Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 26 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    emerge che nel 2013 lo scostamento dal tetto di spesa farmaceutica ospedaliera è stato di 737 milioni di euro, di cui quasi 364 a carico delle imprese (pay back); la cifra è salita a 1.050 milioni di euro nel 2014 e, secondo le previsioni delle aziende partecipanti allo studio I-Com, potrebbe arrivare a 1.360 milioni di euro nel 2015, raddoppiando nel giro di soli due anni;
    nel periodo 2009-2012, la spesa farmaceutica sostenuta dal servizio sanitario nazionale è diminuita ogni anno del 7,5 per cento ad un ritmo 5 volte superiore rispetto alla dinamica di spesa pubblica sanitaria complessiva; il tetto di spesa del 3,5 per cento è destinato ad essere sistematicamente sforato. Secondo stime dell'AIFA, la spesa farmaceutica ospedaliera dovrebbe aumentare – rispetto al 2014 – del 3,4 per cento nel 2015 e dell'8,5 per cento nel 2016. Nel 2013 lo scostamento del tetto di spesa farmaceutica ospedaliera è stato di 737 milioni di euro, di cui quasi 364 a carico delle imprese (pay back). Nel 2014, secondo le stime preliminari, lo sforamento è stato di circa 1.050 milioni di euro, di cui 524,8 milioni a carico delle imprese (pay back);
    come riportato da AIFA il meccanismo di ripiano del pay back nasce per venire incontro all'esigenza di una maggiore flessibilità del mercato farmaceutico, consentendo da un lato l'erogazione di risorse economiche alle regioni a sostegno della spesa farmaceutica di ciascuna e, dall'altro, l'opportunità per le aziende farmaceutiche di effettuare le scelte sui prezzi dei loro farmaci, sulla base delle proprie strategie di intervento sul mercato;
    lo strumento del pay back è stato introdotto nell'ambito della legge finanziaria 2007 e permette alle aziende farmaceutiche di chiedere all'AIFA la sospensione della riduzione dei prezzi del 5 per cento a fronte del contestuale versamento in contanti (pay back) del relativo valore su appositi conti correnti individuati dalle regioni;
    il comma 1 dell'articolo 1 della determinazione AIFA del 27 settembre 2006 disponeva la riduzione del 5 per cento del prezzo al pubblico dei farmaci. Successivamente, la legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 27 dicembre 2006) alla lettera g) del comma 796 dell'articolo 1, disponeva la possibilità per le aziende di sospendere l'effetto di riduzione del 5 per cento del prezzo al pubblico precedentemente introdotto, previo anticipo diretto alle regioni del valore corrispondente al 5 per cento. Pertanto, il valore del pay back è sempre determinato sul prezzo al pubblico (o il prezzo massimo di cessione) e non sul prezzo a carico del servizio sanitario nazionale, ovvero indipendentemente dall'eventuale presenza di concomitanti sconti obbligatori a carico del produttore per la cessione alle strutture sanitarie pubbliche;
    l'applicazione della normativa vigente in materia di pay-back è stata di fatto paralizzata dalle sentenze del TAR Lazio che hanno annullato le richieste che l'AIFA ha inviato alle aziende farmaceutiche (e ai farmacisti e grossisti) per il ripiano degli sfondamenti registrati nella spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale nell'anno 2013. Queste sentenze hanno determinato non solo l'impossibilità per AIFA di procedere con le richieste di ripiano, ma anche la sospensione dell'attività di programmazione dell'Agenzia stessa: per il 2014, infatti, non sono stati più comunicati i budget definitivi delle aziende (e quindi AIFA non ha poi verificato l'eventuale sfondamento dei tetti e, conseguentemente, gli obblighi di ripiano), e nel 2015 non sono stati inviati nemmeno i budget provvisori;
    l'articolo 21 del decreto-legge cosiddetto «enti territoriali», approvato dalla Camera dei deputati il 21 luglio 2016, prevede uno sconto del 10 per cento sulla quota del ripiano 2013-2014 spettante alle industrie, ed uno del 20 per cento per l'anno 2015, in particolare al comma 23 del predetto articolo, è prevista la istituzione di un Fondo denominato «Fondo per pay back 2013-2014-2015» al quale sono riassegnati gli importi versati all'entrata del bilancio dello Stato delle aziende farmaceutiche titolari di autorizzazioni all'immissione in commercio, allo scopo di trasferire alle regioni le quote di rispettiva competenza;
   in sede di esame del predetto provvedimento, sono stati accolti dal Governo due ordini del giorno, n. 9/3926-A-R/59 e n. 9/3926-A-R/113, finalizzati, rispettivamente, a garantire l'impegno dell'Esecutivo «affinché le risorse confluite nel predetto Fondo previsto dal comma 23 dell'articolo 21, che spettano esclusivamente alle regioni e alle province autonome, siano interamente ed integralmente trasferite e ripartite tra queste, entro l'anno in corso» e «a garantire che le risorse connesse all'attuazione delle procedure di cui all'articolo 21 siano integralmente trasferite al fondo di cui al comma 23 dello stesso articolo, al perfezionamento delle procedure pay back,

impegna il Governo

a dare corso quanto prima ai contenuti degli ordini del giorno citati in premessa, adottando le opportune iniziative per l'attuazione dei rispettivi dispositivi affinché le risorse confluite nel «fondo per pay back 2013-2014-2015», spettanti in via esclusiva alle regioni e alle province autonome, siano interamente ed integralmente trasferite e ripartite tra esse stesse.
(1-01324) «Rondini, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la spesa farmaceutica è una delle voci più significative delle risorse che annualmente lo Stato impegna per la sanità;
    la rilevanza strategica del settore farmaceutico, ai fini degli obiettivi di politica industriale e di innovazione del Paese, è stata valutata ai fini della istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un tavolo per la revisione della disciplina sul governo della spesa farmaceutica, come previsto dall'intesa Stato-regioni di luglio 2015, a cui è stato affidato l'obiettivo di individuare, fermi restando gli equilibri di finanza pubblica previsti a legislazione vigente, le modalità di revisione dell'intero settore della governance in materia farmaceutica;
    anche le recenti disposizioni in materia di pay back, di cui all'articolo 21 del decreto-legge n. 113 del 2016, in corso di conversione, contengono una specifica disposizione che fa sperare che entro la fine dell'anno 2016 sia ridisciplinata la materia;
    l'articolo 11, comma 1, del decreto-legge n. 158 del 2012, come sostituito dall'articolo 9-ter del decreto-legge 78 del 2015, convertito dalla legge n. 125 del 2015, prevede che «entro il 30 settembre 2015, l'AIFA conclude le procedure di rinegoziazione con le aziende farmaceutiche volte alla riduzione del prezzo di rimborso dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, nell'ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili, individuati sulla base dei dati relativi al 2014 dell'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali OSMED-AIFA [...]»;
    nella Gazzetta Ufficiale 234, 8 ottobre 2015, è stata pubblicata, nel rispetto delle disposizioni normative di cui al punto precedente, la determina dell'AIFA n. 1267 relativa alla rinegoziazione del prezzo dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, nell'ambito dei raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili, all'esito di un taglio di 2,3 miliardi di euro al fondo sanitario nazionale;
    con determinazione dell'AIFA n. 1252 del 25 settembre 2015 si è dato corso alla rinegoziazione del prezzo di rimborso di alcuni medicinali biotecnologici, al fine di avere per tutti i farmaci un prezzo «spalmabile» in più anni con un atteso risparmio complessivo di circa 100 milioni di euro alla fine del 2017;
    il Consiglio dell'Unione europea ha adottato la direttiva 89/105/CEE riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità medicinali per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia;
    nel mese di aprile 2016 la Commissione affari sociali ha approvato la risoluzione conclusiva n. 8-00177 con cui il Governo si impegnava ad «avviare ogni utile iniziativa finalizzata a dare attuazione alla direttiva 89/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, con particolare riferimento alle attività di controllo relative all'immissione sul mercato di specialità medicinali; ad adottare iniziative volte a garantire che, nel futuro, non si ricorra ad accordi con clausole di riservatezza per l'acquisto di medicinali, ad eccezione di casi straordinari – sia per la rilevanza terapeutica innovativa che per le dimensioni dell'impatto finanziario – valutando comunque, in tali specifiche circostanze, di conformarsi ai consolidati orientamenti comunitari e, ove esistenti, alle indicazioni fornite dall'EMA, nonché a sottoporre gli accordi con clausole di riservatezza all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) per quanto di competenza, e anche in attuazione dell'articolo 162 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, (cosiddetto codice appalti) e al controllo della Corte dei conti»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere che, quando si è nella fase di rinegoziazione di un contratto di un medicinale, vengano assunti, come base imponibile da cui partire, i risultati di risparmio effettivamente ottenuti grazie alle procedure di pay-back del medicinale, ovvero, derivanti dagli sconti confidenziali;
   a prendere in considerazione, nella fase di negoziazione del prezzo dei medicinali, tutte le categorie terapeutiche di medicinali che hanno la stessa identica indicazione, salvaguardando i diritti di proprietà intellettuale;
   ad avviare ogni utile iniziativa finalizzata a garantire un tempestivo monitoraggio, per valutare gli effetti reali della manovra di cui all'articolo 9-ter del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito dalla legge n. 125 del 2015, con riferimento al trimestre ottobre-dicembre 2015, all'anno 2016 e all'anno 2017 e consentire la verifica dell'impatto sul servizio sanitario nazionale delle dinamiche concorrenziali innescate dalla procedura negoziale;
   a garantire un costruttivo prosieguo dei lavori del tavolo per la revisione della disciplina sul governo della spesa farmaceutica, al fine di poter contare, entro il 31 dicembre 2016, sui benefici di nuove disposizioni volte a revisionare in modo organico e sistematico tutta la materia della governance farmaceutica.
(1-01325) «Binetti, Calabrò, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    il settore farmaceutico, così come indirettamente delineato dal testo costituzionale e regolato dalla normativa vigente, e così come sviluppatosi nella prassi, in particolare per i ripetuti interventi ad opera di leggi finanziarie e di stabilità orientate da esigenze di finanza pubblica, appare disomogeneo;
    ciò costituisce un limite al godimento per i cittadini dei loro diritti fondamentali. Al tempo stesso, però, gli interventi normativi operati, pur se animati dal principio stringente del contenimento dei costi, non si sono tradotti in un effettivo controllo del complesso della spesa sanitaria;
    la finalità del contenimento della spesa farmaceutica, a carico dei sistemi sanitari regionali, ha, anzi, spesso determinato da parte delle regioni valutazioni di ordine tecnico che si sono tradotte in regole diverse da regione a regione in ordine alla rimborsabilità o prescrivibilità dei farmaci, con pregiudizio per la loro stessa disponibilità sul territorio nazionale, per la libertà di cura dei pazienti e per la libertà professionale dei medici;
    i vari interventi normativi volti a promuovere la concorrenza, la competitività e la liberalizzazione dei settori produttivi e del sistema della distribuzione dei farmaci hanno cercato di avvicinare il modello sanitario nazionale ad una logica di mercato. Ma il costante riferimento all'articolo 32 della Costituzione operato dalla Corte costituzionale in relazione all'intera materia della «tutela della salute», se da un lato ha qualificato la pianificazione pubblica quale garanzia di indirizzo e coordinamento delle attività economiche a fini sociali, dall'altro ha però disposto un limite alla piena realizzazione della libertà economica prevista dall'articolo 41 della Costituzione;
    la giustizia amministrativa e le segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno adottato come orientamento il contemperamento degli interessi tra tutela della salute dei pazienti e concorrenza farmaceutica, in particolare per quanto concerne la competitività tra medicinali biotecnologici originator e biosimilari nei lotti di gara e la garanzia per i pazienti della prosecuzione del trattamento;
    negli ultimi anni ci si è molto concentrati sull'aspetto economico, allo scopo di garantire un ferreo contenimento della spesa pubblica in un'ottica di breve periodo. In particolare, il controllo ha mostrato una particolare severità verso il settore farmaceutico;
    si può rilevare come gli interventi di contrazione della spesa farmaceutica, proprio a causa delle caratteristiche intrinseche del settore, non hanno prodotto ricadute politiche negative immediate, percepibili o misurabili. Per converso, la chiusura di ospedali od anche di semplici reparti, così come politiche del personale restrittive, trovano immediate reazioni da parte del territorio, sia negli operatori interessati, sia nelle comunità che indirettamente ne subiscono gli impatti;
    particolarmente spiacevole risultano i casi in cui alcuni farmaci innovativi risultano ancora non disponibili per pazienti costretti a deprecabili forme di «turismo» farmaceutico, al fine di poter godere dei benefìci delle più recenti cure farmacologiche essenziali alla loro sopravvivenza;
    sotto si riporterà nel dettaglio il modo mediante il quale l'AIFA stabilisce se un farmaco sia o meno innovativo, in particolare si descriverà il procedimento per la valutazione ed il conferimento dell'attributo di medicinale innovativo. Si tratta di procedure incardinate sul piano giuridico nell'ambito del funzionamento dell'AIFA, ma ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, la definizione e valutazione dell'innovatività di un farmaco è un processo più complesso e dinamico. La complessità nella definizione dell'innovatività deriva dall'eterogeneità delle potenziali opzioni terapeutiche, dalla variabilità delle problematiche clinico-terapeutiche nei diversi ambiti di trattamento, dalla variabile percezione delle priorità o delle attese attribuite al nuovo medicinale in rapporto al contesto sanitario e sociale in cui si inserisce. La dinamicità della valutazione dell'innovatività di un farmaco è essenzialmente dipendente dall'evoluzione continua delle conoscenze scientifiche e dai risultati del processo di consolidamento delle evidenze scientifiche inizialmente disponibili;
    descrivendo il procedimento si può affermare che l'AIFA, per l'attribuzione del grado di innovazione terapeutica ai farmaci appartenenti a ciascuna delle classi della gravità della «malattia bersaglio» deve considerare la disponibilità di trattamenti preesistenti e l'entità dell'effetto terapeutico;
    i punteggi per la disponibilità di trattamenti preesistenti sono dati: a farmaci per il trattamento di patologie finora prive di adeguato trattamento, come nel caso di molti farmaci orfani per il trattamento di malattie rare, o destinati a sottogruppi di pazienti portatori di controindicazioni assolute all'uso dei farmaci già in commercio e per i quali i nuovi farmaci rappresentino l'unica opzione terapeutica praticabile; a farmaci destinati al trattamento di malattie in cui sottogruppi di pazienti sono resistenti o non responsivi alle terapie di prima linea, come nel caso dei farmaci anti-HIV o di alcuni antitumorali; a farmaci per il trattamento di malattie per le quali esistono trattamenti riconosciuti;
    in una prima applicazione di questo metodo, si è considerata una finestra di innovatività di 3 anni, ovvero, nel caso di commercializzazione di un congenere di un farmaco capostipite giudicato innovativo, si è attribuito pari grado di innovatività ai congeneri autorizzati nel periodo di 3 anni immediatamente successivo all'autorizzazione del capostipite. Un periodo superiore ai 3 anni collocherebbe il congenere tra le innovazioni tecnologiche o farmacologiche, poiché riguarderebbe un ambito terapeutico a quel punto già adeguatamente coperto;
   i punteggi per l'attribuzione dell'entità dell'effetto terapeutico sono: benefìci maggiori sulla riduzione della mortalità e della morbilità o su un surrogato validato; beneficio parziale sulla malattia o evidenze limitate di un beneficio maggiore a causa di risultati non conclusivi; beneficio minore o temporaneo su alcuni aspetti della malattia, ad esempio, sollievo sintomatico parziale in una malattia grave;
    il grado di innovazione può essere calcolato mediante diverse combinazioni di punteggi relativi ai trattamenti preesistenti e all'effetto terapeutico. È comunque necessario un approfondimento riguardante il modo di definizione e una esemplificazione dettagliata dei benefìci clinici da considerare maggiori, parziali e minori, e dei rispettivi end-point, come pure un approfondimento riguardante una individuazione delle malattie che richiedono ulteriori progressi in terapia;
    tornando alla dolorosa questione dei tagli di spesa, la legge di stabilità 2015, legge n. 190 del 2014, articolo 1, commi 593-598, ha istituito un fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi;
    le disposizioni istituiscono, presso il Ministero della salute, un fondo destinato a concorrere al rimborso delle spese che i servizi sanitari regionali devono affrontare per l'acquisto di medicinali innovativi. Il fondo, finora istituito solo per gli anni 2015 e 2016, ha uno stanziamento pari a 500 milioni di euro per ciascuno degli anni del biennio di riferimento;
    le risorse per il 2015 sono state reperite da un contributo statale, pari a 100 milioni di euro derivanti da una riduzione di pari importo del fondo per interventi strutturali di politica economica, mentre ulteriori 400 milioni di euro sono stati reperiti ricorrendo alle risorse del Fondo sanitario nazionale nella componente destinata alla realizzazione di specifici obiettivi del piano sanitario nazionale;
    le risorse per il 2016, pari a 500 milioni di euro, sono tutte a valere sul fondo sanitario nazionale;
    il riparto fra le regioni del fondo è stato disposto in proporzione alla spesa sostenuta dalle regioni medesime per l'acquisto dei medicinali innovativi. Le modalità di riparto sono state individuate, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, con decreto interministeriale Ministero della salute – Ministero dell'economia e delle finanze;
    il Comitato per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza è responsabile, dai 2015, del monitoraggio degli effetti di contenimento della spesa sanitaria territoriale ed ospedaliera dovuti alla diffusione dei medicinali innovativi;
    il decreto 9 ottobre 2015 contenente le norme relative al rimborso alle regioni per l'acquisto dei farmaci innovativi disciplina le modalità operative di erogazione delle risorse stanziate e, nell'allegato A, fornisce l'elenco dei farmaci innovativi a cui si riferiscono i rimborsi del decreto e la relativa scadenza dei benefici economici collegati all'attribuzione dell'innovatività;
    la legge di stabilità 2015 ha poi introdotto nuove regole per il ripiano, detto payback, dello sforamento del fondo aggiuntivo per la spesa per farmaci innovativi. A legislazione vigente, il ripiano è a carico di tutte le aziende farmaceutiche, in proporzione ai fatturati relativi ai medicinali non innovativi coperti da brevetto;
    la norma della stabilità 2015 introduce una eccezione per le aziende farmaceutiche produttrici di un farmaco innovativo la cui commercializzazione abbia un fatturato superiore a 300 milioni di euro. Solo in questo caso viene imputata una quota pari al 20 per cento dello sforamento del fondo aggiuntivo anche sull'azienda farmaceutica produttrice del farmaco innovativo, rimanendo il rimanente 80 per cento ripartito; ai fini del ripiano, tra tutte le aziende titolari di autorizzazione all'immissione in commercio in proporzione dei rispettivi fatturati relativi ai medicinali non innovativi coperti da brevetto;
    il fondo è istituto dall'Agenzia italiana del farmaco con le risorse incrementali derivanti dalla spesa complessiva per i farmaci erogati sulla base della disciplina convenzionale;
    le risorse incrementali assegnate, su base annua, alla spesa farmaceutica territoriale sono definite con la seguente procedura; si fa il calcolo della differenza tra il valore massimo della spesa sostenuta dal sistema sanitario nazionale per la farmaceutica territoriale programmata nell'anno di riferimento rispetto al valore dell'anno precedente. Si passa poi al calcolo della differenza tra la spesa attribuita alle molecole in scadenza brevettuale in corso d'anno e la spesa corrispondente stimata sulla base della riduzione del prezzo applicata al relativo medicinale generico-equivalente;
    per i medicinali generici-equivalenti i cui prezzi siano stati già definiti in sede negoziale, la minore spesa viene calcolata applicando i prezzi negoziati; per i medicinali generici-equivalenti il cui prezzo non è ancora stato negoziato, si applica una riduzione media di prezzo pari al 40 per cento;
    l'ultima modifica legislativa è stata apportata dalla legge di stabilità 2016, la legge n. 208 del 2015. Si è chiarito, con il comma 569 dell'articolo 1, che le risorse costituenti la dotazione del fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi, pari a 500 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016, non vengono calcolate ai fini del raggiungimento del tetto vigente della spesa farmaceutica territoriale;
    il comma successivo, il 570, ha invece previsto che il Ministero della salute, sentita l'Agenzia italiana del farmaco e d'intesa con la conferenza Stato-regioni, adotti, ogni anno, un programma strategico in materia di trattamenti innovativi, che definisca tra l'altro le priorità di intervento, le condizioni di accesso ai trattamenti, i parametri di rimborsabilità; le previsioni di spesa, gli schemi di prezzo, gli strumenti di garanzia e trasparenza, le modalità di monitoraggio e la valutazione degli interventi medesimi,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di dedicare una percentuale dei fondi dedicati ai farmaci innovativi non inferiore al venti per cento alla cura dei malati a cui sia stata diagnosticata una patologia «bersaglio» da non più di 24 mesi a prescindere dalla gravità della stessa;
   al fine di garantire la piena applicazione dell'articolo 32 della Costituzione, ad adottare tutte le opportune iniziative di competenza al fine di aumentare il proprio potere contrattuale in fase di acquisto dei farmaci innovativi e a valutare l'opportunità di inserirsi con proprie strutture nella filiera produttiva di tali farmaci;
   a valutare l'opportunità di adottare un piano decennale di lotta all'epatite C, il quale preveda la riduzione del numero di malati, dando priorità alla cura dei nuovi malati e dei malati terminali;
   a finanziare la ricerca anche per quelle patologie rare che affliggono un esiguo numero della popolazione.
(1-01326) «Bechis, Artini, Baldassarre, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto Osmed 2015 ha evidenziato un aumento della spesa farmaceutica nazionale dell'8,6 per cento rispetto all'anno 2014, con una spesa che ha sfiorato i 29 miliardi di euro, arrivando a rappresentare l'1,9 per cento prodotto interno lordo di cui il 76,3 per cento è stato rimborsato dal Servizio sanitario nazionale (SSN). Nel 2015, ogni cittadino ha, assunto in media poco più di 1,8 dosi di farmaci al giorno e ha speso circa 476 euro in un anno. A fronte, dunque, di una spesa farmaceutica già onerosa e destinata a crescere con l'immissione di nuovi farmaci innovativi, si ritiene necessario riformare incisivamente il sistema di governance dei farmaci che deve garantire l'universalità del diritto alla salute e la sostenibilità economica del Servizio sanitario nazionale;
    affinché il sistema sanitario sostenga l'immissione di nuovi farmaci innovativi, sarà necessario intervenire sui tetti di spesa separati tra farmaceutica territoriale e ospedaliera. Ciò anche considerando che il fondo per i farmaci innovativi istituito dalla legge di stabilità per il 2016, con una dotazione di 500 milioni di euro, costituisce una mera copertura temporanea. L'attuale modello regolatore della spesa farmaceutica, oltre a non garantire il rispetto dei tetti di spesa a livello centrale, a livello regionale determina una modalità gestionale notoriamente eterogenea che dà luogo a disequità e ritardi, in danno ai pazienti;
    il settore oncologico è quello in cui l'accesso ai farmaci innovativi ha contribuito e contribuisce maggiormente ad aumentare il tasso di sopravvivenza dei malati, tuttavia, genera una spesa sempre più ingente. Di conseguenza, rispetto a un'offerta in crescita è necessario stabilire dei precisi criteri per l'innovazione, misurati innanzitutto sui vantaggi reali per i malati. Ebbene, a sostegno della proposta avanzata dall'AIOM – Associazione italiana di oncologia medica – e dal progetto «La Salute un bene da difendere, un diritto da promuovere» coordinato dall'associazione pazienti Salute Donna Onlus, si ritiene che la definizione di specifici criteri per l'innovazione è fondamento su cui pianificare l'istituzione di un apposito Fondo pubblico nazionale per i farmaci oncologici innovativi, che sia autonomo e contribuisca al rimborso alle regioni dei farmaci oncologici a forte carattere innovativo; lo stesso potrebbe essere finanziato con il gettito derivante dal tabacco e da altre attività economiche impattanti sulla salute dei cittadini, con il duplice scopo di recuperare risorse aggiuntive, di contrastare il tabagismo ed altri prodotti pericolosi per la salute;
    l'urgenza di intervenire è proporzionata al forte impatto delle terapie oncologiche sulla spesa ospedaliera, come attestano i dati Osmed: di 30 princìpi attivi a maggiore impatto, ben 11 sono farmaci antineoplastici ed immunomodulatori; il 92 per cento (3.3 miliardi di euro) della spesa per farmaci oncologici è gestita dalle strutture pubbliche e assorbe circa il 40 per cento della loro spesa farmaceutica complessiva;
    nell'accesso ai farmaci innovativi, si consuma una gravissima discriminazione nei confronti dei malati italiani rispetto ai malati degli altri Paesi europei. Al riguardo, come noto, i farmaci innovativi devono essere approvati con procedura centralizzata prima dall'Ema, l'autorità europea a ciò preposta, e poi, per quanto riguarda l'Italia, dall'Aifa, che a sua volta tratta con le aziende farmaceutiche il prezzo del rimborso da parte del servizio sanitario nazionale. Successivamente, vi è un terzo grado di approvazione, attraverso prontuari e commissioni, esercitato da ciascuna regione nella sua autonomia che decide se e quando inserire quel farmaco tra quelli che poi saranno somministrati dalle varie aziende ospedaliere; queste ultime, a loro volta, si regoleranno in base ai fondi a loro disposizione. È chiaro che tale sistema determina difformità tra regioni, tra ospedali appartenenti ad una stessa regione, tra ospedali e strutture private, in violazione del principio di equità ed uniformità di accesso alle cure che lo Stato è tenuto ad assicurare a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale, ossia a prescindere dalla regione di appartenenza e dalla struttura a cui ci si affida per ricevere cure mediche;
    è chiaro che tale sistema non consente, inoltre, ai pazienti di accedere alle cure innovative in tempi adeguati, poiché dopo la registrazione europea da parte dell'Ema e l'introduzione quasi immediata in tutti gli altri Paesi europei, in Italia si riscontrano ritardi dell'Aifa nella registrazione di circa 12-18 mesi, a cui si aggiungono i successivi tempi di approvazione delle singole regioni;
    non ha eliminato le incostituzionali disparità di trattamento nelle varie regioni e assicurato un'equa disponibilità dei farmaci innovativi, neanche il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazione dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, cosiddetto «Decreto Balduzzi» e le regioni continuano a limitare l'accesso alle terapie salvavita, indipendentemente dall'approvazione dell'Aifa. Lo stesso Ministro Balduzzi aveva disposto nelle more della negoziazione presso l'Aifa, ai fini della registrazione nazionale, l'inserimento di farmaci già approvati dall'organo regolatorio europeo EMA in una classe denominata CNN (C Non Negoziata). Invece, di fatto, le amministrazioni ospedaliere non hanno quasi mai ritenuto di rimborsare i farmaci innovativi ai propri pazienti, l'uso di questi trattamenti è stato gravemente limitato e quasi sempre a carico del cittadino. Addirittura, anche farmaci valutati dalla stessa Agenzia ad elevato impatto nelle patologie oncologiche subiscono i medesimi ritardi nelle procedure di rimborso. Viene così violato l'articolo 32 della Costituzione che stabilisce: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
    la preoccupazione è che, alle soglie di importanti rivoluzioni terapeutiche, soprattutto in campo oncologico, l'Italia non disponga di strategie e di risorse adeguate per garantire un equo ed uniforme accesso ai trattamenti innovativi, che presto saranno sul mercato a prezzi proibitivi per i pazienti, ripetendo la situazione incresciosa venutasi a creare per i farmaci antivirali per l'epatite C; al riguardo, ad esempio, dai dati diffusi dall'Osmed, su circa 500.000 pazienti affetti da epatite C in Italia, solo 50.000 sono rientrati nei criteri stabiliti dall'AIFA per l'accesso alla terapia con lo specifico farmaco antivirale Sofosbuvir e sarebbero, infine, soltanto 10.000, ad oggi, i pazienti trattati con il predetto farmaco;
    la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità), stabilisce, al comma 569 dell'articolo 1, che la spesa per l'acquisto dei farmaci innovativi concorre al raggiungimento del tetto di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale di cui all'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per l'ammontare eccedente annualmente, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, l'importo del fondo di cui all'articolo 1, comma 593, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, mentre il comma 580 prevede l'adozione da parte del Ministero della salute, sentita l'AIFA, di un programma strategico volto a definire le priorità di intervento, le condizioni di accesso ai trattamenti, i parametri di rimborsabilità sulla base di risultati clinici significativi, il numero dei pazienti potenzialmente trattabili e le relative previsioni di spesa, le condizioni di acquisto, gli schemi di prezzo condizionato al risultato e gli indicatori di performance degli stessi, gli strumenti a garanzia e trasparenza di tutte le procedure, le modalità di monitoraggio e valutazione degli interventi in tutto il territorio nazionale;
    ad oggi, non si hanno notizie in merito a tale piano strategico che, per l'entità della posta in gioco, è diventato urgente e fondamentale per gestire al meglio una situazione che sembrerebbe già compromessa; tanto più che, nel procedere a tale pianificazione, è necessario prestare particolare attenzione al settore oncologico anche per una celere immissione nel mercato mutabile di un farmaco essenziale per la cura del carcinoma del polmone e del rene, che l'AIFA non ha ancora proceduto tempestivamente a registrare;
    secondo l'AIFA un nuovo trattamento è innovativo quando offre al paziente benefici terapeutici aggiuntivi rispetto alle opzioni già disponibili. Farmaci caratterizzati solo da un nuovo meccanismo d'azione senza ancora offrire un documentato vantaggio in termini terapeutici, sono da considerare come innovazione «farmacologica». L'innovazione «tecnologica» è propria di molecole già disponibili, ma ottenute mediante tecniche biotecnologiche o presentate con nuovi sistemi di rilascio del principio attivo. L'innovazione farmacologica (nuovo meccanismo d'azione) non è da considerare come una innovazione terapeutica reale, ma solo come una «innovazione terapeutica potenziale», che sarà dimostrata come vera innovazione terapeutica quando saranno fornite evidenze di vantaggi terapeutici aggiuntivi rispetto ai trattamenti già disponibili dovuti al nuovo e diverso meccanismo d'azione (per esempio, maggiore specificità sul bersaglio con minori effetti collaterali). Analogamente, un'innovazione tecnologica va considerata solo un'innovazione terapeutica potenziale, fin quando non si presentano evidenze che, ad esempio, un nuovo metodo di produzione offre una maggiore sicurezza o un nuovo sistema di rilascio consente una migliore compliance;
    ebbene, l'algoritmo per la definizione dell'innovatività a cui l'AIFA si riferisce da diversi anni non è mai stato specificamente definito, rimanendo così un intento genetico ed inattuabile. Va da sé, la necessità che l'Agenzia dia un'interpretazione definita e più obiettiva dell'algoritmo sull'innovatività, anche al fine di escludere che interessi commerciali prevalgano a discapito dell'interesse dei pazienti e del Servizio sanitario nazionale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative al fine di istituire un fondo pubblico nazionale per i farmaci oncologici innovativi, che sia autonomo e contribuisca al rimborso alle regioni dei farmaci oncologici a forte carattere innovativo, soprattutto in vista dell'imminente ed esponenziale crescita dell'offerta nel settore, valutando la possibilità di finanziare lo stesso con il gettito derivante dal tabacco e da altre attività economiche impattanti sulla salute dei cittadini;
   ad adottare ogni idonea iniziativa affinché l'accesso ai farmaci innovativi sia equo e non discriminatorio per tutti i cittadini sul territorio nazionale, anche affinché siano esclusi i ritardi nella procedura di approvazione determinati dall'AIFA e, successivamente, dalle procedure predisposte dalle singole regioni;
   a porre in essere, urgentemente, un piano strategico, come previsto al comma 580 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), con particolare attenzione alla gestione del settore oncologico in previsione delle evoluzioni terapeutiche in atto, al fine di evitare quanto si è verificato per i farmaci antivirali per l'epatite C;
   ad assumere iniziative affinché l'AIFA definisca in modo chiaro, dettagliato e obiettivo cosa si intenda per farmaci innovativi;
   a dare concreta attuazione all'articolo 44, comma 4-ter del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito dalla legge n. 98 del 9 agosto 2013, cosiddetto «decreto Lorenzin» che ha modificato il «decreto Balduzzi» citato in premessa, stabilendo il limite di 100 giorni per l'approvazione dei farmaci di eccezionale rilevanza terapeutica e per i farmaci orfani;
   ad assumere iniziative per riformare complessivamente, proponendo soluzioni innovative ed appropriate, la governance del sistema farmaceutico, governance che attualmente stenta a stare al passo con le innovazioni terapeutiche e l'offerta di mercato, mentre sarebbe fondamentale cercare di definire a livello nazionale obiettivi, strumenti e risorse da declinare poi sul piano regionale, con chiarezza di tempi e sicurezza di accesso da parte dei pazienti.
(1-01327) «Rizzetto, Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia i medicinali sono sottoposti a un regime controllato dei prezzi, oggetto abitualmente di estenuanti bracci di ferro tra i rappresentanti delle aziende produttrici e l'Agenzia italiana del farmaco. Questo meccanismo per la definizione dei prezzi dei farmaci, se, da un lato, si è dimostrato capace di controllare efficacemente la spesa farmaceutica del servizio sanitario nazionale, dall'altro è, tuttavia, causa di inaccettabili ritardi nell'immissione in commercio dei nuovi prodotti autorizzati, posticipata dalle aziende produttrici, fino a quando si determinino condizioni di redditività minime e accettabili per l'Azienda;
    accanto al ritardo nell'immissione dei farmaci, che provoca un'indesiderata obsolescenza delle capacità terapeutiche del servizio sanitario nazionale, si sta ora determinando un'altra pericolosa distorsione. Il medicinale che, grazie alla capacità virtuosa dell'Agenzia italiana del farmaco, riesce ad essere venduto in Italia a prezzi decisamente più contenuti, sparisce dai banconi delle farmacie per essere rivenduto all'estero a prezzi più competitivi, in base alla normativa europea sul libero scambio. Il parallel trade all'interno dell'Unione europea, infatti, è una forma di scambio in seno al mercato interno fondata sull'articolo 28 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea del 1957, dalla quale peraltro alcuni Governi ritengono di avvantaggiarsi per ottenere attraverso di essa una riduzione consistente della spesa farmaceutica;
    l'accesso ai nuovi farmaci in commercio, oltre ad essere ritardato dal braccio di ferro sopra ricordato tra le autorità sanitarie e le aziende produttrici per la definizione del prezzo di vendita, risulta altresì ostacolato da limitazioni imposte alla capacità prescrittiva dei medici, causate piuttosto che da esigenze di appropriatezza della prescrizione, da logiche di contenimento della spesa;
    inoltre, alcune regioni hanno stabilito una quota massima arbitraria di pazienti ai quali sono somministrabili le terapie sottoposte a restrizioni, provocando l'uso di farmaci appropriati a percentuali ristrette dei potenziali corretti beneficiari, con evidente distorsione delle esigenze di tutela della salute;
    persiste, inoltre, a carico di alcune tipologie di medicinali, il meccanismo dei piani terapeutici, che, seppur non limitativo in assoluto della possibilità di accesso dei pazienti alle cure, ha introdotto nel sistema sanitario una complessa burocratizzazione delle prescrizioni, tale da impegnare considerevoli quantità di tempo medico, sottraendolo alle esigenze di diagnosi e cura;
    ne deriva talora la rinuncia da parte del medico alla cura appropriata dei pazienti, pur di sottrarsi all'adempimento degli oneri burocratici relativi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per predisporre un efficace sistema di controllo sulle autorizzazioni alle immissioni in commercio, per dare priorità nella fornitura a favore della distribuzione diretta alle farmacie, evitando di alimentare quei grossisti per i quali vi sia evidenza di attività di esportazione parallela;
   a concordare in sede di conferenza Stato-regioni l'acquisto diretto da parte delle aziende sanitarie di adeguati quantitativi dei farmaci sottoposti a commercio parallelo, da dispensare successivamente attraverso le farmacie ospedaliere e comunali;
   a predisporre un piano d'incentivazione per la produzione e commercializzazione dei farmaci di ultima generazione, predisponendo, altresì, un piano logistico per garantire la loro massima diffusione sul territorio nazionale, rimuovendo il limite nella prescrizione dei nuovi farmaci per molte categorie di medici, in particolare per i medici di medicina generale o almeno, se sussistono reali esigenze di appropriatezza e non di mero contenimento della spesa, ad assumere iniziate per rendere possibile la prescrizione senza limitazioni per gli specialisti delle patologie per le quali è prevista l'indicazione terapeutica;
   ad adottare iniziative per superare definitivamente il sistema burocratico dei piani terapeutici nella prescrizione dei farmaci;
   a prendere in considerazione, nella fase di negoziazione del prezzo dei medicinali e di autorizzazione alla loro prescrizione, tutti i fattori in gioco, che riguardano non solo il prezzo ma il reale beneficio di salute apportato rispetto a farmaci che hanno la stessa indicazione, nonché i prezzi presenti, per farmaci ad attività simile e per gli stessi farmaci sul mercato internazionale;
   ad assumere iniziative per revisionare in modo organico e sistematico tutta la materia della governance farmaceutica.
(1-01328) «Gigli, Dellai, Sberna, Fauttilli, Baradello, Caruso, Capelli».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 16 novembre 2001, n. 405, e successive modificazioni ed integrazioni recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria, all'articolo 7, prevede che i medicinali non coperti da brevetto aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali, sono rimborsati al farmacista dal Servizio sanitario nazionale (SSN) fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco equivalente disponibile;
    l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) – secondo quanto disposto dal comma 2 dell'articolo 48 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 – è sottoposta alle funzioni di indirizzo del Ministero della salute e alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze;
    l'intesa in Conferenza Stato-regioni n. 82 del 10 luglio 2014 (parto per la salute 2014-2016) prevede, al comma 2 dell'articolo 23, una serie di iniziative atte ad un miglioramento del governo della spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale. Fra le azioni si segnalano l'aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale e la revisione degli accordi negoziali sui farmaci sottoposti ai registri di monitoraggio dell'Agenzia italiana del farmaco dopo un periodo massimo di 36 mesi;
    il comma 585 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, dispone che entro il 31 dicembre 2015 l'AIFA, sulla base delle valutazioni della Commissione consultiva tecnico-scientifica e del Comitato, prezzi e rimborso, provveda a una revisione straordinaria del prontuario farmaceutico nazionale sulla base del criterio costo-beneficio ed efficacia terapeutica, prevedendo anche dei prezzi di riferimento per categorie terapeutiche omogenee;
    la determina dell'AIFA 6 ottobre 2015 n. 1267 del 2015 reca disposizione in materia di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali per uso umano a carico del Servizio sanitario nazionale, nell'ambito di raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili cui è seguita la determina di aggiornamento del 23 dicembre 2015. È da sottolineare che l'attività di rinegoziazione dell'AIFA non prende in considerazione tutte le categorie terapeutiche di farmaci presenti nel prontuario farmaceutico nazionale;
    la determina dell'AIFA 25 settembre 2015 n. 1.252/2015 interviene, invece, in materia di rinegoziazione del prezzo di rimborso dei medicinali biotecnologici;
    nella risposta all'interpellanza urgente n. 2-01118 il sottosegretario De Filippo ha dichiarato che il risparmio stimato per il Servizio sanitario nazionale da qui alla fine del 2017 sarà di 707,1 milioni di euro, una cifra ben inferiore ai 1.500 milioni di euro previsti con l'intesa Stato regioni del 2 luglio 2015;
    il comma 569 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge di stabilità 2016) prevede che la spesa per l'acquisto di farmaci innovativi concorre al raggiungimento del tetto di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale di cui all'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per l'ammontare eccedente annualmente, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, l'importo del fondo di cui all'articolo 1, comma 593, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
    il successivo comma 570 della citata legge di stabilità 2016 prevede la predisposizione da parte del Ministero della salute, sentita l'AIFA, di un programma strategico volto a definire le priorità di intervento, le condizioni di accesso ai trattamenti, i parametri di rimborsabilità sulla base di risultati clinici significativi, il numero dei pazienti potenzialmente trattabili e le relative previsioni di spesa, le condizioni di acquisto, gli schemi di prezzo condizionato al risultato e gli indicatori di performance degli stessi, gli strumenti a garanzia e trasparenza di tutte le procedure, le modalità di monitoraggio e valutazione degli interventi in tutto il territorio nazionale;
    a questo riguardo è emblematico il caso della regione Campania, relativamente alla fissazione dei costi sanitari per l'eradicazione dell'epatite C;
    la Regione Campania ha infatti adottato il documento di indirizzo regionale PDTA «Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale per l'epatite cronica C», secondo cui:
     il trattamento con Sofosbuvir + Ledipasvir per 8 settimane senza ribavirina può essere preso in considerazione nel paziente, non cirrotico, con genotipo 1, naive al trattamento (cioè mai sottoposto a quel trattamento) con viremia < 6 mil UI;.
     nel paziente con cirrosi compensata, genotipo 1, è possibile l'utilizzo del farmaco senza ribavirina;
     con il decreto del commissario ad acta n. 20 del 24 febbraio 2015 sono state regolamentate in regione Campania le modalità di diagnosi, di prescrizione, di erogazione e di somministrazione dei nuovi farmaci per l'Epatite cronica C attraverso l'individuazione e l'autorizzazione dei Centri Prescrittori (CP) costituenti la rete regionale prevedendo, nel contempo, che i medicinali vengano erogati in distribuzione diretta, per il numero di confezioni necessarie a coprire tutto il periodo di trattamento dell'intero ciclo, esclusivamente attraverso le farmacie ospedaliere afferenti ai CP individuati dalla regione;
    si ritiene inoltre importarne evidenziare che tali nuovi farmaci sono classificati ai fini della fornitura in A-PHT, soggetti a prescrizione medica limitativa, da rinnovare volta per volta, vendibili al pubblico su prescrizione dei centri ospedalieri o di specialisti (RNRL) – internista, infettivologo, gastroenterologo e inseriti dall'AIFA nell'elenco dei farmaci innovativi ai sensi dell'articolo 1, comma 1, dell'accordo sottoscritto in data 18 novembre 2010 (rep. atti n. 197/CSR). Le specialità sono soggette a sconto obbligatorio alle strutture pubbliche, come da accordi negoziali;
    con l'articolo 1, comma 503 della legge 23 dicembre 2014 n. 190, della citata legge di stabilità 2015 è stato istituito un fondo per il concorso al rimborso alle regioni per l'acquisto dei medicinali innovativi, alimentato da «... un contributo statale alla diffusione dei predetti medicinali innovativi per 100 milioni di euro per l'anno 2015» e da «...una quota delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre del 1996, n. 662, pari a 400 milioni di euro per l'anno 2015 e 500 milioni di euro per l'anno 2016»;
    al successivo comma 594 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015, è stabilito che le somme di tale fondo sono versate «... in favore delle regioni in proporzione alle spese sostenute dalle regioni medesime per l'acquisto dei medicinali innovativi di cui al comma 593, secondo le modalità individuate con apposito decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano»;
    il 5 maggio 2016 la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un documento sulla governance farmaceutica di cui al tavolo per la revisione della disciplina sul governo della spesa farmaceutica dove specifica i principali determinanti dell'aumento della spesa farmaceutica: elevati prezzi di farmaci soprattutto nell'area oncologica onco ematologica e dei farmaci impiegati nelle malattie rare; schemi terapeutici che associano più farmaci ad alto costo con conseguente raddoppio della spesa (Combo therapy); invecchiamento della popolazione; incremento del numero dei pazienti in trattamento in linee terapeutiche successive alla prima; cronicizzazione dei pazienti in trattamento; fenomeni di non appropriatezza prescrittiva generati dal pressante marketing dell'industria farmaceutica; stabilità dei prezzi dei farmaci per una insufficiente concorrenzialità nel mercato farmaceutico; insufficienti manovre di disinvestimento (la riduzione dei prezzi dei farmaci a brevetto scaduto non è sufficiente a controbilanciare gli aumenti dovuti ai nuovi farmaci: allo stesso modo ai farmaci equivalenti e ai biosimilari stante la normativa vigente non viene imposto uno sconto obbligatorio minimo);
    secondo il citato documento approvato dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano si propone l'introduzione di misure strutturali quali l'introduzione di ma nuova procedura di prezzo/volume (P/V) per la quale il prezzo si riduce o si sconta in maniera progressiva in rapporto all'aumento dei pazienti trattati, delle, estensioni delle indicazioni, delle terapie combinate e dell'incremento della durata della terapie; una nuova definizione di spesa farmaceutica ove la distinzione tra spesa territoriale e ospedaliera si basa non sui percorsi distributivi ma in funzione delle diverse modalità di acquisto; la revisione dei registri tenuti da Aifa per i farmaci ad alto costo e di particolare impatto sanitario; nuovi criteri per l'attribuzione della innovatività al farmaco con i relativi vantaggi che ne derivano; la ridefinizione delle cosiddette «liste di trasparenza» così come previste dall'articolo 7 della legge n. 405 del 2001; sostituibilità automatica dei farmaci biosimilari con gli originatori; una maggiore concorrenza sul mercato farmaceutico come, del resto, avviene oggi per i dispositivi medici; revisione della delibera del CIPE 3 del 2001 ed infine una maggiore attenzione ai farmaci CNN e a quelli inseriti negli elenchi della legge n. 648 del 1996,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per ridefinire i tetti di spesa in funzione delle diverse modalità di acquisto dei prodotti e non più in base ai processi distributivi, come da documento approvato dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome riunitasi il 5 maggio 2016, dal momento che l'attuale previsione di due tetti di spesa, quello per la farmaceutica territoriale, e costituita dalla spesa farmaceutica convenzionata e dalla spesa derivante dalla distribuzione diretta e per conto dei farmaci di fascia «A», e quello per la farmaceutica ospedaliera, anche in considerazione dell'incremento e della «strutturazione» della erogazione diretta e della distribuzione per conto, è da considerarsi ormai superata;
   ad assumere iniziative perché il fondo per i farmaci innovativi sia sempre adeguatamente finanziato, prevedendo un incremento dello stesso a partire dalla prossima legge di stabilità, definendo in modo dettagliato cosa si intende per farmaci innovativi nonché i parametri di rimborsabilità sulla base di risultati clinici significativi;
   riguardo ai farmaci per l'eradicazione del virus dell'epatite C, a porre in essere tutte le iniziative utili, anche di tipo normativo, finalizzate ad introdurre al più presto sul territorio nazionale la sperimentazione di uno o più validi farmaci equivalenti, e non solo del farmaco legato ad un marchio, per la cura dell'epatite C (HCV) in tutti i suoi stati di gravità, perseguendo l'obiettivo curare tutti i pazienti registrati presso il Servizio sanitario nazionale;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche di tipo normativo, volta a realizzare una piena tracciabilità dei farmaci, consentendo l'apposizione di un codice di targatura delle confezioni dei farmaci realmente indelebile lungo tutta la filiera del farmaco, e a controllarne la distribuzione anche in fase intermedia;
   a promuovere specifiche iniziative di competenza volte ad evitare l'immissione sul mercato di farmaci difettosi e non rintracciabili, per prevenire gravi danni nei confronti sia del sistema sanitario nazionale che dei singoli pazienti, in particolare alla luce di truffe che generano mercati alternativi, sottraendo risorse preziose al servizio sanitario nazionale e rendendo taluni farmaci non reperibili.
(1-01329) «Russo, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'inquinamento da plastica in ambiente marino è un problema di dimensioni importanti: le ultime stime parlano di 5 milioni di pezzi di plastica presenti negli oceani, con 269000 tonnellate plastica galleggiante in superficie, mentre, nei fondali si stima la presenza di 4 miliardi di pezzi per chilometro quadrato. Della plastica che finisce negli oceani il 90 per cento costituita da microplastiche, ossia frammenti di dimensioni inferiori ai 5 millimetri, derivanti sia dalla frammentazione di rifiuti di plastica di dimensioni maggiori, sia dalla presenza di microperle/microgranuli/microfibre negli scarichi a mare;
    in particolare, come rilevato dal programma Mediterranean Endangered (2011) per il Mediterraneo, le microplastiche costituiscono il principale responsabile della contaminazione di questo mare semichiuso e già fortemente antropizzato: si sta parlando di un volume stimato tra le 1000 e 3000 tonnellate solo di plastiche galleggianti, senza considerare quelle sommerse;
    non essendo biodegradabili a breve termine, microgranuli e microfibre sono inquinanti e pericolosi per la fauna marina, che spesso li assume tramite l'alimentazione. Sono ampiamente documentati dalla bibliografia scientifica gli impatti di queste microplastiche sugli stock ittici, con lesioni interne e problemi di crescita degli organismi che le hanno ingerite. Inoltre è documentato, data la natura idrofobica degli inquinanti organici persistenti (POP Persistent Organic Pollutants, tra i quali sono famosi i PCB o il DDT) presenti nell'ambiente marino, che essi vengano assorbiti dalle microplastiche. Queste a loro volta li veicolano, una volta ingerite, agli organismi marini, causando problemi alla fertilità e al sistema immunitario degli stessi;
    il Reg.(CE(1223/2009 sui prodotti cosmetici prevede nella composizione degli stessi anche l'uso di microperle e microgranuli ad uso esfoliante per la cute. Sui nanomateriali, si può leggere al comma 11: «La Commissione riesamina periodicamente alla luce dei progressi scientifici le disposizioni del presente regolamento relative ai nanomateriali e, se del caso, propone modifiche appropriate di tali disposizioni». Microperle e microgranuli sono prodotti in polietilene (-C2H4-) in dimensioni che possono variare dai 50 μm ai 5 millimetri, questo comporta che non siano biodegradabili e in buona parte delle loro conformazioni possano classificarsi come nanomateriali;
    per quanto concerne i microgranuli, Paesi come USA e Australia, ma anche Olanda, nonché diverse aziende multinazionali hanno intrapreso campagne per eliminare queste composizioni dai prodotti, cosmetici e non, comunemente in uso. In particolare, negli USA il 28 dicembre 2015 è diventato legge il Microbead-Free Waters Act of 2015. Per quanto concerne l'Unione europea in materia di microgranuli il riferimento è appunto il Regolamento CE1123/2009 che tuttavia contiene informazioni inadeguate sul profilo di rischio di questi materiali, non considerando la loro dannosità a livello ambientale;
    resta aperto il fronte delle microfibre, la cui presenza nelle acque marine è anch'essa documentata a livello scientifico. In un campione di acqua marina si possono trovare microfibre di poliestere, nylon, acrilico e altre fibre sintetiche, principalmente della dimensione di 1 millimetro. La loro principale provenienza è dai tessuti sintetici dei vestiti che abitualmente vengono lavati: un singolo capo di abbigliamento può perdere in un lavaggio fino a 1900 fibre, fibre per le quali non sono previsti filtri nelle lavatrici,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni possibile iniziativa, anche alla luce dell'articolo 16, paragrafo 11 del Regolamento (CE) 1223/2009, per una revisione della normativa sull'uso di questi nanomateriali da parte dell'Unione europea;
   a farsi promotore del bando dell'uso dei suddetti materiali, sia in Italia, sia nelle opportune sedi europee;
   ad assumere iniziative al fine di prevedere per le aziende l'obbligo dell'indicazione in etichetta dell'utilizzo delle nanoparticelle per la produzione di cibi e bevande, a tutela della salute e della libera scelta dei consumatori;
   ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di promuovere, presso le industrie tessili e le compagnie di abbigliamento, la ricerca di tessuti sintetici che non perdano microfibre o ne perdano poche e che possibilmente provengano da materiali riciclati;
   ad intraprendere a livello nazionale una campagna di sensibilizzazione per l'uso di abbigliamento e di cosmetici sostenibili;
   ad adottare, nelle sedi competenti, ogni possibile iniziativa per un ammodernamento dell'impianto di filtraggio delle lavabiancheria, anche introducendo le microfibre nell'elenco delle sostanze oggetto della direttiva 2011/65/UE comunemente conosciuta come RoHS Restriction of Hazardous Substances Directive.
(1-01330) «Benedetti, Basilio, Massimiliano Bernini, Cozzolino, Daga, Gagnarli, Lupo, Parentela, Sarti, Spessotto, Terzoni».


   La Camera,
   premesso che:
    il 27 febbraio 2015 alla Camera dei deputati si è svolto un ampio e utile dibattito a seguito delle comunicazioni del Governo in materia di politica estera italiana, con conseguente presentazione di risoluzioni da parte dei gruppi parlamentari;
    tuttavia, è trascorso circa un anno e mezzo da allora e a livello internazionale si sono susseguiti una serie di tragici accadimenti, purtroppo con molte vittime, che hanno stravolto il quadro generale e, pur con diversa intensità rispetto agli altri partner europei, anche il nostro Paese assiste alla crescente instabilità del vicinato, alla crisi migratoria, all'acuirsi della minaccia terroristica, alle riemergenti turbolenze finanziarie;
    come è stato piuttosto evidente in questi anni, la politica estera italiana ha cercato sostanzialmente di mantenere per lo più alcuni punti fermi adottati negli ultimi decenni: il contributo al processo di integrazione europea, la partecipazione all'Alleanza Atlantica, il ruolo nelle Nazioni Unite (per il solo 2017 ha ottenuto di poter sedere nel Consiglio di sicurezza come membro non permanente di turno, avendolo dovuto dividere con l'Olanda, la qual cosa dice molto sul «peso» internazionale dell'Italia), la presenza nel «gruppo di testa» delle maggiori potenze industrializzate, ancorché in qualità di media potenza;
    come si accennava, questo scenario è da qualche tempo in pieno mutamento e motivo costante di riflessione globale sulla tenuta nel tempo di questi capisaldi ma anche sulla loro stessa natura; si è in presenza, infatti, di una mutevolezza degli equilibri verso una direzione sempre più multipolare, dimensione nella quale il nostro Paese fatica a definire una coerente strategia di politica estera;
    si tratta evidentemente di sfide che, per ottenere una risposta efficace, devono essere affrontate necessariamente a livello europeo;
    il nostro Paese, alla ricerca di una nuova governance economica, ha provato a spingere per una ridefinizione delle priorità e della strategia complessiva dell'Unione a favore di una maggiore flessibilità nelle politiche di bilancio nazionali; tuttavia, come è noto, ha dovuto fare i conti con tre ostacoli principali: l'eccessivo rigorismo della Germania e di altri Paesi (guarda caso gran parte dei quali non mediterranei) con poca propensione a accettare nuovi meccanismi di solidarietà; l'esplodere di altre emergenze, quali la crisi migratoria e l'ondata di attacchi terroristici in Europa, di fatto diventate più prioritarie relegando in secondo piano le strategie di riforma economica; lo scarso ruolo propulsivo delle istituzioni europee, in particolare della Commissione;
    in tal senso, di fronte all'inasprirsi della crisi di fiducia all'interno dell'Unione europea (l'esito della «Brexit» rischia di essere solo un primo tassello) e all'incapacità delle sue istituzioni di darvi una risposta adeguata, occorrerebbe rilanciare l'avvio di una più ampia riforma della stessa per ridarle legittimità e consentire un approfondimento dell'integrazione fra i Paesi dell'eurozona;
    in ordine alla crisi migratoria, la definizione di politiche migratorie certe e credibili diviene ogni giorno più pressante e irrinunciabile in ragione del continuo aggravarsi della situazione internazionale, come dimostrano i dati forniti dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) che quantificano in oltre un milione di migranti giunti nell'Unione europea nel 2015, superando di quattro volte il numero registrato nel 2014, senza peraltro accennare a miglioramenti. Che si tratti di un problema sistemico, al quale è necessario dare una risposta complessiva e di lungo periodo, lo dimostra anche il complicarsi della crisi migratoria derivante dalla diversificazione delle rotte e dei mezzi attraverso i quali i migranti giungono nell'Unione. Si arriva non più e non solo via mare attraverso la rotta mediterranea, ma anche, ad esempio, via terra attraverso la cosiddetta rotta balcanica. È inoltre comprovato che la rete di illegalità che gestisce questo ignobile traffico di esseri umani alimenti l'instabilità e il rischio di infiltrazione terroristica;
    peraltro, è noto che il crescere dei flussi dei rifugiati e richiedenti asilo è dovuto in larga parte all'incapacità della comunità internazionale di dare una soluzione a conflitti complessi, quali in primo luogo in Siria e Libia, associati alla destabilizzazione di altri Stati di notevole rilevanza geopolitica;
    il 15 ottobre 2015 la Commissione europea ha presentato un piano d'azione congiunto tra l'Unione europea e la Turchia, che mira a rafforzare le frontiere esterne e a gestire il flusso migratorio sia regolare che irregolare, ed è corredato di un aiuto straordinario di 3 miliardi di euro. In cambio di tale aiuto, si è stabilito di rilanciare il processo di adesione della Turchia all'Unione europea. Quest'ultima, infatti, ha acquisito ufficialmente lo status di Paese candidato all'adesione nel 2005 ed in virtù di questo riceve dall'Unione europea ingenti finanziamenti volti alla convergenza socio-economica con gli altri Stati membri. Solo nell'attuale settennio programmatico 2014-2020 si tratta di 4,5 miliardi per IPA II, di cui 1,5 specificamente destinati a stabilizzare lo stato di diritto e migliorare il livello dei diritti umani e delle libertà fondamentali a essi connesse. Appare pertanto evidente la necessità di subordinare e condizionare i predetti aiuti a un effettivo rispetto e miglioramento di questi diritti e libertà, oltre che ai principi su cui l'Unione si basa;
    a tal proposito, nell'accordo siglato tra l'Unione europea e la Turchia in marzo 2016 si è concordato di far rientrare, a spese dell'Unione europea, tutti i nuovi migranti irregolari che hanno attraversato la cosiddetta «rotta balcanica»; far sì che, per ogni siriano che la Turchia riammette dalle isole greche, un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell'Unione europea, nel quadro degli impegni esistenti; accelerare l'attuazione della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti con tutti gli Stati membri in vista della soppressione dell'obbligo del visto per i cittadini turchi al più tardi entro la fine del giugno 2016; accelerare l'erogazione, per assicurare il finanziamento di una prima serie di progetti entro la fine di marzo, dei 3 miliardi di euro inizialmente stanziati e prendere una decisione in merito a un ulteriore finanziamento destinato allo strumento per i rifugiati siriani; prepararsi alla decisione di aprire quanto prima nuovi capitoli dei negoziati di adesione sulla base delle conclusioni del Consiglio europeo dell'ottobre 2015; collaborare con la Turchia in eventuali sforzi comuni volti a migliorare le condizioni umanitarie all'interno della Siria in modo da consentire alla popolazione locale e ai rifugiati di vivere in zone più sicure;
    tuttavia, le drammatiche e tragiche vicende turche degli ultimi giorni legate al fallito «golpe» rischiano palesemente di far naufragare questi intenti, poiché è evidente, al di là dell'inevitabile ricorso alla vituperata e sempre adottata realpolitik, che occorrerà dare risposte urgenti alle azioni ritorsive e antidemocratiche (che ricordano molto da vicino le famigerate «purghe staliniane») che il presidente Erdogan sta ferocemente adottando, non ultima la proposta di ripristinare la pena di morte in Europa, quello stesso luogo politico e economico nel quale la Turchia vorrebbe entrare; nel frattempo, si sta appunto assistendo a una vera e propria epurazione di massa di proporzioni notevoli: a oggi, risultano sospesi quasi diecimila agenti di polizia, oltre tremila magistrati, 100 agenti dei servizi segreti, 15.200 insegnanti e 492 imam allontanati. Le persone arrestate, militari soprattutto, sono salite a 9.322, ma sono numeri destinati a modificarsi purtroppo;
    la Siria dal 15 marzo 2011 vive una terribile guerra per procura alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi, dove, finora, sono morte più di 250.000 persone tra civili e militari;
    sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria, e il sedicente Stato islamico (Daesh);
    la situazione di stallo con il Parlamento di Tobruk e l'incapacità di Al Sarraj, l'uomo che la «comunità internazionale» ha scelto come nuovo capo del «governo nazionale libico», di essere un soggetto credibile per la popolazione e la ricostruzione del Paese richiedono un profondo ripensamento della strategia finora adottata dall'Italia in un Paese strategicamente chiave per il futuro di tutta l'area mediterranea;
    il fallimento di Al Sarraj dimostra che l'unica via per il riconoscimento di un interlocutore nazionale credibile sia rappresentato da libere elezioni che l'Onu dovrebbe promuovere, in seguito ad un patto tra le parti e attraverso un cessate il fuoco generalizzato, per promuovere un processo realmente democratico includente e popolare;
    l'Alleanza Atlantica, sorta sul concetto di «difesa collettiva», ha, con l'implosione dell'Unione sovietica nel 1991 e lo scioglimento del patto di Varsavia, perso il motivo alla base della sua esistenza e si è trasformata, con l'adozione del nuovo concetto strategico della Nato da strumento di «difesa» ad aggressore, come dimostrano le guerre di Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Somalia, Sudan, Libia, Siria, Ucraina. Queste guerre della Nato hanno finito per rendere ancora più insicuro il pianeta destabilizzando intere aree e funzionando da straordinario propellente, sul quale hanno prosperato i vari terrorismi di matrice religiosa e settaria. Il sistema «di sicurezza» della Nato espone l'Italia a gravissimi rischi, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, violando la Costituzione (articolo 11) e trattati internazionali fondamentali come il Trattato di non proliferazione nucleare;
    in ordine agli esiti del recente vertice NATO tenutosi a Varsavia, occorre sottolineare che l'Alleanza Atlantica viveva già un momento estremamente delicato in merito alle tensioni e minacce sia sul suo fianco est che su quello sud. Dal «fianco est» la stessa scelta di tenere il vertice nella capitale polacca è stata certamente percepita dalla Russia come dimostrazione che l'agenda dell'Unione europea e della Nato hanno messo questo fronte come il principale sul quale impegnarsi. La permanente instabilità in Ucraina, le condizioni per un negoziato di pace tra il Governo ucraino e le regioni secessioniste, delineate con l'accordo Minsk II, appaiono ancora difficili da soddisfare. Ciò conferisce al conflitto ucraino un profilo di «conflitto congelato» ai confini dell'Europa, che si associa alla perdurante instabilità della stessa scena politica di Kiev. Tale situazione costituisce un fattore permanente di attrito con la Russia, con la quale da due anni perdura un rapporto segnato da tensioni e provocazioni che è ormai in parte indipendente dalla situazione in Ucraina;
    il progressivo isolamento economico, politico e diplomatico tra la Russia e i Paesi dell'Unione europea e delle altre forze occidentali indebolisce il fronte comune che la comunità internazionale deve invece costituire al fine di intraprendere le necessarie azioni di contrasto ai fenomeni terroristici;
    nell'ottica di allargare la cooperazione extra Unione, il quadro risulta particolarmente grave se si considera che, ad esempio, non risulta allo stato esistente alcuna forma di coinvolgimento e/o cooperazione tra i servizi di intelligence dei Paesi dell'Unione europea con quelli russi, collaborazione che, come più sopra accennato, appare indispensabile soprattutto per prevenire nuovi attentati da parte di gruppi jihadisti;
    in ordine alla minaccia terroristica, le modalità con le quali si sono susseguiti gli ultimi tragici attentati di matrice jihadista destano grande preoccupazione soprattutto in considerazione del fatto che gruppi organizzati e armati (ma anche i cosiddetti «lupi solitari») riescono, ormai, a muoversi con estrema facilità e in tutta tranquillità nella capitali europee, mettendo in esecuzione delle vere e proprie operazioni militari e bypassando, con apparente semplicità, le misure di protezione in atto;
    già all'indomani dei tragici fatti di Parigi del novembre 2015 i Ministri dell'interno dei Paesi dell'Unione europea si sono riuniti e hanno concordato di rafforzare la lotta contro il terrorismo jihadista attraverso un maggiore controllo delle frontiere esterne, il blocco dei contenuti trasmessi dagli estremisti su internet, nonché sulla necessità di migliorare il sistema di raccolta dati che i viaggiatori forniscono alle compagnie aeree (il cosiddetto PNR). Al contempo si discute da tempo in merito ad una direttiva europea in materia di sicurezza cibernetica (cybersecurity);
    la presenza di combattenti stranieri (foreign terrorist fighters), spesso definiti come «volontari stranieri», si è palesata tragicamente soprattutto tra le file dei miliziani ribelli che si oppongono alle truppe governative siriane. Questi combattenti, spesso giovanissimi, provengono in massima parte dall'Europa e sono nati nei Paesi dell'Unione europea, figli di immigrati storici integrati in Europa da decenni;
    la via del reclutamento passa soprattutto attraverso il web e consiste in un processo capillare di indottrinamento, selezione, fidelizzazione e invio nel Califfato, gestito da rappresentanti dell'Islam radicale non più solo attraverso la frequentazione di moschee radicali (già sotto sorveglianza), ma anche nelle carceri, nelle palestre o alle manifestazioni;
    al contempo, è bene comunque ricordare che il terrorismo islamico o religioso rimane ancora minoritario. Le ragioni o radici vanno ricercate in una pluralità di motivazioni, incluse quelle l'ideologia politica o una rivendicazione secessionista. Pertanto, oltre a combattere la radicalizzazione religiosa risulta irrinunciabile migliorare collegamenti di intelligence che permettano di fermare qualsiasi tipologia di terrorismo;
    sempre più sovente emerge il tema della connessione tra elementi della criminalità organizzata, anche italiana, ed alcune organizzazioni terroristiche di matrice islamica che si esplica nel transito delle droghe verso l'Europa dall'Asia minore e dal vicino Oriente, nel contrabbando delle opere d'arte antiche e nella tratta degli esseri umani, fattori che si legano alle rotte del traffico illegale delle armi. Il problema nella fase attuale è la ricerca di meccanismi che ne indeboliscano la trama;
    il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle, anche in sede istituzionale, ha da tempo evidenziato quali possano essere le strade da percorrere per cercare di combattere definitivamente i fenomeni terroristici, ritenendo innanzitutto necessario interrompere ogni possibile canale di finanziamento a questi gruppi e, nello specifico, all'ISIS, e, conseguentemente, ridimensionare i rapporti istituzionali e commerciali con quei Paesi, come Arabia Saudita, Qatar e Turchia, che hanno dimostrato di averlo sostenuto;
    in tal senso, diviene di fondamentale importanza bloccare, contestualmente, l'esportazione di armi verso i Paesi del Golfo che fomentano guerre e instabilità politica attraverso la corretta e immediata applicazione in tutti gli Stati membri dell'Unione europea del protocollo mirante a stabilire i principi da rispettarsi nell'esportazione di armi, rafforzato ed esteso attraverso la posizione comune 2008/944/PESC e due decisioni del Consiglio 2009/1012/PESC e 2012/711/PESC, così come del Trattato sul commercio delle armi dell'ONU (Arms Trade Treaty – ATT) già ratificato dall'Italia e supportato dall'Unione;
    nell'ultimo anno è, infatti, triplicata la vendita di armi italiane all'estero e sono aumentate le forniture verso Paesi in guerra: in particolare quelle verso l'Arabia Saudita che, alla testa di una coalizione sunnita, partecipa alla guerra in Yemen, motivo per il quale il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulla vendita di armamenti. Cresce anche l'intermediazione finanziaria delle principale banche italiane nel traffico di armi, Intesa e Unicredit, e tra i piccoli istituti coinvolti compare ancora la Banca Popolare dell'Etruria;
    la relazione annuale del Governo italiano sull’export militare italiano 2015 mostra un aumento del 200 per cento per le autorizzazioni all'esportazione definitiva di armamenti il cui valore complessivo è salito a 7,9 miliardi dai 2,6 miliardi del 2014; il valore dell’export di armi «made in Italy» verso l'Arabia Saudita autorizzato nel 2015 è salito a 257 milioni di euro dai 163 milioni del 2014. Un aumento del 58 per cento attribuibile in gran parte alle tonnellate di bombe aeree prodotte nello stabilimento sardo di Domusnovas della Rwm Italia s.p.a. e spedite via aerea e navale da Cagliari tra le proteste e le denunce – anche alla magistratura – di parlamentari e pacifisti;
    a ciò, si aggiunge il forte incremento del valore delle esportazioni di armi italiane verso l'Arabia Saudita che rientrano tra i programmi intergovernativi di cooperazione militare, saliti nel 2015 a 212 milioni dai 172 milioni del 2014. Il principale programma riguarda i cacciabombardieri Eurofighter usati ogni giorno dalla Royal Saudi Air Force nei suoi raid in Yemen. La fornitura, iniziata anni fa, riguarda l'Italia non solo per la sua partnership industriale nel consorzio europeo (con Finmeccanica), ma anche perché questi aerei, assemblati negli stabilimenti inglesi della Bae System, vengono consegnati facendo scalo all'aeroporto bolognese di Caselle. Nonostante la legge n. 185 del 1990 vieti anche il transito di armi destinate a Paesi in guerra. In questi giorni inoltre è stato reso noto l'accordo tra Leonardo Finmeccanica e un Paese del Medio-oriente, presumibilmente l'Arabia Saudita, per la fornitura dei nuovi droni Falco Evo;
    anche le forniture belliche italiane verso gli altri Paesi che partecipano alla guerra in Yemen a fianco dei sauditi sono proseguite o aumentate: gli Emirati si confermano il principale cliente mediorientale (con 304 milioni come l'anno prima), mentre c’è stato un forte incremento di vendite al Bahrain (da 24 a 54 milioni) e soprattutto al Qatar (da 1,6 a 35 milioni). Il Kuwait, nel 2015 ancora tra i clienti minori, è destinato a scalare la classifica dopo la firma, poche settimane fa, di un contratto multimiliardario sottoscritto alla presenza della Ministra Pinotti per la fornitura di 28 cacciabombardieri prodotti da Finmeccanica;
    si tratta, dunque, di un vero e proprio boom di export verso tutti i Paesi in guerra, a cominciare da un clamorosa new-entry: l'Iraq; finora, infatti, questo Paese mai comparso tra i clienti italiani nell'epoca post Saddam, esordisce nel 2015 con vendite per 14 milioni (armi leggere e munizioni, quindi Beretta). È da registrare anche un'impennata di vendite: verso la Turchia (da 53 a 129 milioni) che bombarda i curdi fuori e dentro i suoi confini con gli elicotteri T129 costruiti su licenza Finmeccanica e verso il Pakistan (da 16 a 120 milioni) in perenne conflitto con talebani, indipendentisti baluci e con l'India (anch'essa con forniture belliche italiane in aumento da 57 a 85 nonostante la crisi dei marò e la guerra contro la ribellione contadina naxalita). Nel 2015 sono incrementate, inoltre, le vendite all'Egitto pre-caso Regeni (da 32 a 37 milioni), comprese le armi leggere e i lacrimogeni usati dalla polizia del Cairo nelle repressioni di piazza. Insomma, l'Italia, con il suo fiorente commercio delle armi, continua a esportare insicurezza e destabilizzazione,

impegna il Governo:

   a promuovere una riflessione sulla sostanziale e incontrovertibile inadeguatezza delle politiche promosse, degli interessi tutelati e dell'impianto istituzionale dell'Unione europea nel rispondere alle necessità e ai bisogni reali dei cittadini europei, innescando in tal modo il rifiuto dell'unità e della messa in comunione delle politiche;
   a promuovere la concentrazione delle risorse dell'Unione destinate alla lotta al terrorismo per migliorare la sicurezza interna dei cittadini europei attraverso il potenziamento delle reti di intelligence nazionale e l'armonizzazione dei quadri normativi relativi all’intelligence, favorendo altresì la collaborazione in tal senso con la Federazione russa e con i Paesi del Nord Africa, al fine di utilizzare appieno le capacità tecnico-operative attuali;
    ad attivarsi per concordare modalità efficaci per rafforzare le frontiere esterne dell'Unione, inclusa quella italiana, in modo da massimizzare la sicurezza senza ledere in alcun modo i diritti delle persone e preservando al contempo la libertà di circolazione interna all'Unione, in particolare affinando le misure atte a rendere efficaci i controlli, inclusi quelli concernenti i flussi migratori in entrata;
   ad attivarsi, nelle opportune sedi, per la costruzione di una rete di intelligence che monitori le rotte dei traffici illeciti che finanziano il terrorismo internazionale al fine di definire efficaci azioni operative transnazionali;
   a proporre l'elaborazione di un piano europeo per la sicurezza cibernetica quale utile strumento per il contrasto al terrorismo internazionale nel rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini europei quali privacy e libertà di espressione, come riconosciuti nella Carta dei diritti dell'Unione europea e dalla giurisprudenza, anche recente, della Corte di giustizia dell'Unione;
   a definire un piano d'azione condiviso con gli altri Stati membri volto a contrastare il radicalismo e la propaganda jihadista attraverso il coinvolgimento attivo dei Paesi in cui si incentra il radicalismo e degli attori internazionali maggiormente interessati, quali la Lega araba e l'Unione africana, favorendo l'avvio di piani per uno sviluppo sostenibile di lungo periodo miranti in primo luogo a incrementare il benessere sociale e la diffusione della cultura;
   ad assumere iniziative per istituire un'agenzia internazionale per i richiedenti asilo direttamente nei territori di transito e partenza, superare il regolamento di Dublino, e concordare con i Paesi di provenienza e transito un piano comune di gestione dei flussi migratori, anche nell'ottica di prevenzione della criminalità;
   ad attivarsi affinché sia sospeso l'accordo siglato tra la Turchia e l'Unione europea in relazione ai migranti e contestualmente siano sospesi sia gli aiuti economici da esso previsti sia il processo di liberalizzazione dei visti ivi definito, sino a quando la Turchia: a) non rispetterà pienamente e integralmente i diritti umani sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e stabiliti dalle altre convenzioni internazionali siglate, incluso l'articolo 38 della direttiva 2013/32/UE, sia nei confronti dei migranti che dei cittadini turchi; b) non cesserà qualsiasi tipo di violenza nei confronti delle minoranze (religiose, linguistiche e altre); c) non ripristinerà integralmente la libertà di stampa e garantirà piena libertà di espressione e di manifestazione delle idee; d) non prenderà una chiara posizione nel confronti del terrorismo internazionale e del problema dei foreign fighters;
   ad adoperarsi perché siano sospesi l'accordo di pre-adesione all'Unione europea firmato nel 2005 con la Turchia e, contestualmente, gli aiuti a esso connessi;
   a promuovere, in sede NATO, una necessaria e opportuna riflessione sulla permanenza della Turchia nell'Alleanza Atlantica;
   a riconoscere e ripristinare le relazioni diplomatiche con la Repubblica araba siriana; a condannare gli atti di terrorismo compiuti ai danni della popolazione siriana; a intervenire nelle sedi internazionali, quali ONU e Unione europea, affinché sia rispettata la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 2170 che prevede misure per ostacolare ogni tipo di supporto, finanziamento e armamento ai terroristi dello Stato islamico (Daesh) – nei confronti del fronte terroristico «Jabhat al-Nusra» e del flusso di terroristi in Siria e in Iraq; a dissociarsi e a contribuire, in sede europea, alla rimozione delle inique sanzioni economiche alla Repubblica araba siriana;
   ad agire, in sede ONU, per arrivare ad un processo di riconciliazione che consenta l'indizione in Libia, di libere elezioni in un arco di tempo determinato; a supportare e ad individuare, come soggetti referenti per la ricostruzione del Paese e per la gestione dei flussi migratori, le attuali amministrazioni locali libiche;
   a sottoporre al Parlamento un'agenda per il progressivo disimpegno dell'Italia da tutte le azioni della Nato in aperto contrasto con la lettera e lo spirito dell'articolo 11 della Costituzione; a comunicare al comandante in carica in Europa della NATO, l'indisponibilità a consentire l'utilizzo del territorio italiano per il deposito e transito di armi nucleari, batteriologiche e chimiche;
   ad attivarsi nelle sedi internazionali affinché i Paesi membri della NATO siano inclusi nella ripartizione delle quote dei flussi migratori;
   a salvaguardare la sacralità dell'articolo 11 della Costituzione secondo il quale «L'Italia ripudia la guerra», utilizzando le Forze armate esclusivamente per difendere i confini nazionali e per missioni in ambito Onu che non si configurino come missioni di guerra mascherate;
   ad assumere iniziative finalizzate a interrompere immediatamente la vendita di armi all'Arabia Saudita e agli altri Paesi della coalizione sunnita che partecipano ai bombardamenti in Yemen, nel rispetto della legge n. 185 del 1990;
   a promuovere una rigorosa applicazione della posizione comune firmata da tutti gli Stati europei nel 2008 che prevede il divieto di vendita di armi e di finanziamenti per Paesi – come Arabia Saudita, Qatar e Paesi del Golfo – che alimentano guerre civili o sostengono anche indirettamente il terrorismo;
   a condannare senza reticenze le iniziative di repressione e di guerra nel Kurdistan turco operato dal regime di Erdogan, a richiedere un immediato cessate il fuoco tra le parti nonché la liberazione dei prigionieri politici incarcerati per la professione delle proprie idee e a riprendere le trattative di pace unilateralmente interrotte con il PKK.
(1-01331) «Manlio Di Stefano, Castelli, Frusone, Battelli, Del Grosso».


   La Camera,
   premesso che:
    il trasporto sanitario d'urgenza con mezzo aereo di Stato è regolato dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 25 luglio 2008 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 196 del 27 agosto 2008 che, all'articolo 2, dispone che: «Il trasporto aereo di Stato per motivi sanitari di urgenza è disposto in favore di cittadini italiani gravemente ammalati o traumatizzati, nei casi di imminente pericolo di vita, quando non sono trasportabili con altri mezzi e non esiste nel luogo ove si trovano La possibilità di assisterli adeguatamente. Può essere autorizzato il trasporto sanitario d'urgenza anche quando debbono essere eseguiti interventi sanitari entro limiti di tempo determinati ed improrogabili, come nel caso di trapianti di organi, per il trasporto di organi da trapianto o di personale sanitario per l'esecuzione dei trapianti stessi»;
    secondo tale direttiva, le richieste di trasporto sanitario d'urgenza sono rivolte dalle prefetture ovvero dalle rappresentanze diplomatiche competenti all'Aeronautica militare che provvede direttamente alla loro trattazione secondo le procedure già in uso, impiegando gli appositi aeromobili acquisiti e gestiti dall'Aeronautica e delle relative strutture. L'Ufficio preposto al «Servizio per i voli di Stato, di governo e umanitari» è direttamente gestito dal segretario generale di Palazzo Chigi con autonomia funzionale ed operativa;
    da un punto di vista pratico, la richiesta di trasporto sanitario d'urgenza deve essere preventivamente rivolta alla prefettura ovvero alla Rappresentanza diplomatica da una struttura sanitaria. L'ufficio preposto di Palazzo Chigi deve poi verificare l'effettiva necessità del volo, assicurarsi che il paziente sia adeguatamente accompagnato (da medici, infermieri, familiari, eccetera), acquisire l'indicazione di eventuali apparecchiature mediche da utilizzare in volo, acquisire la documentazione relativa al trasporto (generalmente effettuato dal Servizio 118) da e per l'aeroporto e la struttura sanitaria e conoscere le esigenze relative ai tempi dell'operazione;
    per attivare il trasporto aereo di Stato è necessaria la seguente documentazione:
    certificazione a cura della struttura sanitaria che dichiari, oltre alla diagnosi, che il paziente è trasportabile con aeromobile, è/non è barellato, non è affetto da malattie contagiose, necessita/non necessita di assistenza a bordo con medico e/o infermiere, i cui nominativi verranno indicati tempestivamente non appena individuati, ha/non ha bisogno di strumentazione sanitaria a bordo (tale strumentazione deve essere fornita dalla struttura sanitaria richiedente, deve essere auto alimentata e di piccole dimensioni);
    dichiarazione dell'interessato di esonero dell'equipaggio e della pubblica amministrazione da qualsiasi responsabilità in via diretta o di rivalsa. Detta dichiarazione deve essere firmata dal paziente o, se minore, dall'esercente la patria potestà, oppure, se impossibilitato, dal più stretto familiare;
    attestazione della struttura sanitaria richiedente che provvederà al trasporto fino all'aeromobile e attestazione, da parte della struttura sanitaria richiedente o del medico curante, delle necessarie intese con la struttura sanitaria ricevente per il trasporto e il ricovero del paziente;
    per i voli sanitari d'urgenza, l'Aeronautica militare mette generalmente a disposizione il 31o stormo, composto da due gruppi di volo, il 306o e il 93o. Il 306o gruppo ha in carico i velivoli Dassault Falcon 50 e gli Airbus A319CJ, mentre il 93o Gruppo ha in carico i Dassault Falcon 900EX, 900EASy e gli elicotteri SH3D/TS;
    il 31o stormo assicura un adeguato livello di prontezza operativa, garantendo generalmente la copertura su tutto il territorio nazionale e anche all'estero, qualora richiesto dalla missione. A rotazione, i reparti mantengono un equipaggio ed un aereo in allerta per decollare entro le due ore dalla chiamata ed un secondo equipaggio di scorta pronto al decollo entro le sei ore dalla chiamata. Ogni equipaggio è formato da due piloti, uno specialista di volo ed un assistente di bordo. I due piloti hanno la responsabilità della condotta del velivolo, mentre lo specialista e l'assistente di bordo si limitano a coordinare le operazioni di terra (trasbordo dei pazienti e delle attrezzature medico-sanitarie). La med-crew non è mai ricompresa nell'equipaggio del volo militare;
    sebbene i voli (nazionali, internazionali ed intercontinentali) sanitari d'urgenza effettuati con velivoli militari siano in costante diminuzione (51 voli nel 2014 per un totale di circa 300 ore di volo; 30 nel 2015 per quasi 177 ore di volo; 14 voli al giugno 2016, pari a circa 96 ore di volo), il loro costo medio rimane comunque altissimo: circa 9.000 euro/h, escluso il personale medico e l'attrezzatura sanitaria. Il costo annuale si stima sia stato di circa 2,7 milioni di euro nel 2014; di 1,6 milioni di euro nel 2015 e di quasi 1 milione di euro fino al giugno 2016; costo che, coinvolgendo flotte e apparati militari, va ragionevolmente moltiplicato per tre, per un onere a carico dello Stato intorno agli 8 milioni di euro nel 2014; a 4,8 milioni di euro nel 2016 e a 2,6 milioni di euro fino al giugno 2016 (ovvero, quasi 160.000 ad personam);
    al di fuori dal trasporto sanitario d'urgenza tradizionalmente inteso, si stima che siano circa 800 mila i pazienti «migranti» costretti ogni anno a stressanti e costosi trasferimenti da una regione ad un'altra (generalmente dal sud al nord) per sottoporsi a visite, esami ed interventi. Tra questi, vi sono anche i trasferimenti più strazianti che coinvolgono malati terminali che decidono di trascorrere gli ultimi giorni di vita, assistiti dai congiunti, nelle proprie abitazioni, piuttosto che in strutture assistenziali lontane dalla propria abituale residenza;
    seguendo il modello statunitense, il nostro Paese sta consolidando la prassi che vede numerosi ospedali (soprattutto pediatrici) stipulare convenzioni con strutture alberghiere, residence, case accoglienza, ma anche compagnie aeree, allo scopo di alleviare difficoltà e costi logistici e di trasporto per i pazienti e per le loro famiglie. Appare evidente che le procedure previste dalla normativa vigente in materia di trasporto sanitario d'urgenza fatichino a rispondere adeguatamente ad una domanda sempre più diversificata di servizi sanitari e al contempo fornire alti standard qualitativi a costi sostenibili. Quest'ultimo aspetto presenta le maggiori criticità, soprattutto alla luce del dato economico che evidenzia come il costo di un'ora su un velivolo militare superi di quasi 4 volte il costo orario su un aereo ambulanza privata;
    da diversi anni, in molti Paesi dell'Unione europea (Ue) ed extra Ue il servizio di aero ambulanza viene gestito da compagnie private accreditate e certificate che, grazie a convenzioni con società assicurative, ospedali nazionali ed internazionali, centri di cura di eccellenza, consolati e ambasciate, riescono a rendere il proprio servizio fruibile ad un, ampio bacino di utenza. Anche per effetto della sostanziale disattenzione da parte delle istituzioni statali, rispetto agli altri Paesi, il servizio privato di voli ambulanza in Italia è adora un settore di nicchia in una fase pionieristica. Di fatto, esiste un unico operatore che offre un servizio di air ambulance certificato da Eurami, la più importante società di accreditamento sanitaria europea in grado di coprire, su scala nazionale ed internazionale, qualsiasi tipo di trasporto aereo d'urgenza, ivi comprese le innumerevoli necessità di rimpatrio per malattia improvvisa o grave infortunio, specie all'estero. Le sette compagnie italiane di aerotaxi riconosciute da Enac non sono incentivate a praticare servizi sanitari e ultimamente molte di loro hanno deciso di trasferire le proprie flotte all'estero;
    ogni aereo ambulanza privata (Cessna Citation e Piper Cheyenne) offre una disponibilità h 24, 7 giorni su 7 e 365 giorni l'anno, osserva le procedure internazionali del settore, è equipaggiato permanentemente come centro terapia intensiva (full ICU) e dispone di tecnologie e strumentistica di ultima generazione (barelle Spectrum Aeromed, riserva di 02 per 3.600 lt, inverter, 4 prese elettriche da 220 W, impianto aspirazione fisso, erogazione di 02, Mortara monitor multiparametrico Corpuls-3, Draeger ventilatore Polmonare Oxylog 3000 Plus, Fresenius agilia pompe infusione, Vidacare ez-10 sistema infusione intraossea, Laerdal aspiratore, Esaote eco-cardio mylab sat a colori, Abbott emogas analizzatore I-Statt, acls-Ferrino zaini e scorta farmaci, e altro). Ogni volo speciale è assistito da med-crew specializzata e addestrata composta da un medico anestesista rianimatore e da un infermiere di cure intensive e/o di pronto soccorso;
    a fronte di una richiesta annua domestica che si aggira intorno alle 3000 unità, i voli speciali di aereo ambulanza privata effettuati da aeromobili posizionati in Italia sono mediamente 200-300, equivalenti a circa 1000 ore di volo, per costi medi di 10/15 mila euro per singolo volo assistito e sempre comprensivo di med-crew e attrezzatura sanitaria;
    pur disponendo di flotte, tecnologie all'avanguardia e risorse umane d'eccellenza, il trasporto sanitario d'urgenza privato è escluso dai livelli essenziali di assistenza del nostro servizio sanitario nazionale. Tale limitazione non solo preclude ad un vastissimo bacino di utenza l'accesso ad un servizio di tutela della salute del cittadino, ma impedisce interessanti prospettive di crescita del mercato aereo sanitario nazionale;
    la crescente domanda di servizi sanitari pone la necessità di ottimizzare le prestazioni d'eccellenza offerte, dal servizio di aereo ambulanza privato e di metterle a disposizione del servizio sanitario nazionale, rendendole fruibili ad una platea sempre più vasta;
    il 25 marzo 2015 l'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, riguardante «revisione e aggiornamento dell'accordo CSR del 21 dicembre 2006 sul coordinamento dei trasporti con le attività trapiantologiche» (Rep. Atti n. 55/CSR), ha introdotto rilevanti novità in tema di trasporti sanitari d'urgenza ed ha stabilito che siano le regioni e le province autonome a farsi carico di tutti i trasporti effettuati nell'ambito della attività di prelievo e trapianto, compreso, quando necessario, il trasporto dei trapiantandi;
    allo scopo di redigere le nuove «Procedure operative per l'organizzazione del trasporto di pazienti per trapianto», il Centro nazionale trapianti ha commissionato al dipartimento di ingegneria civile, chimica, ambientale e dei materiali dell'Università di Bologna il monitoraggio del sistema dei trasporti aerei connessi alle attività trapiantologiche, al fine di ottenere la loro mappatura scientifica sull'intero territorio nazionale. Tale studio è stato condotto con un duplice scopo: razionalizzare il sistema dei trasporti in termini di efficacia ed efficienza e fissare le misure di sicurezza necessarie, nonché i requisiti indispensabili ai quali devono rispondere i trapianti. Dalla ricerca è emerso che in sei mesi (dal giugno al dicembre del 2015) sono stati effettuati 339 voli per il trasporto di materiale biologico, dell’équipe trapiantologiche e degli organi. Sono stati, inoltre, trasportati 121 pazienti con 30 voli effettuati dalla Aeronautica militare. I chilometri percorsi in volo dagli organi sono rispettivamente: 161.640 per il rene; 144.929 per il fegato; 39.030 per il polmone; 50.352 per il cuore e 7.153 per il pancreas. I tempi complessivi di trasporto (dal momento del prelievo a quello del trapianto) in funzione della percentuale «consumata» di tempo di ischemia è, per i trasporti aerei, in un range compreso tra il 26,3 e il 52,1 per cento. Tali tempi, dunque, sono compatibili con la qualità dell'organo e possono ulteriormente essere migliorati;
    con il suddetto accordo Stato-regioni del 25 marzo 2016, i trasferimenti sanitari d'urgenza riguarderanno non solo i trasporti di materiale biologico, delle équipe trapiantologiche e degli organi, ma anche quello dei trapiantandi, prima eseguito esclusivamente da mezzi dell'aeronautica militare. Il Cnt sarà, infatti, chiamato praticamente a contattare il paziente, ad informarlo sulla logistica e ad attivare tutti mezzi necessari nel caso di trasferimento (anche aereo) del medesimo. Il paziente sarà, dunque, preso totalmente in carico dalla rete trapiantologia sia dal punto di vista clinico, che dal punto di vista logistico. I centri trapianto e i centri regionali coinvolti saranno tenuti ad uno stretto coordinamento sotto la supervisione del Centro nazionale trapianti operativo;
    il nuovo regime mira a limitare l'impiego della flotta di Stato dell'aeronautica militare per il trasporto dei trapiantandi ai soli casi imprevedibili ed in presenza di circostanze eccezionali per le quali è stata prevista una particolare «procedura d'urgenza», in base alla quale il Centro nazionale dei trapianti – nei casi in cui le normali disposizioni messe in atto dalle regioni non fossero in grado di effettuare il trasporto – potrà richiedere l'intervento dei velivoli militari in estrema sintesi, l'accordo Stato-regioni del 25 marzo 2016 riconfigura l'intera organizzazione dei trasferimenti aerei collegati alle attività trapiantologiche e la complessiva attribuzione di competenze in materia, per effetto delle quali il trasporto dei trapiantandi non sarà più attribuito all'aviazione militare, ma posto a carico del Servizio sanitario nazionale. Conseguentemente, il Ministero della salute sarà chiamato a stabilire nuove facilitazioni per i pazienti, nonché nuove certificazioni di qualità per i vettori,

impegna il Governo:

   a monitorare la effettiva necessità di voli sanitari dedicati, mappando adeguatamente tutte le emergenze sanitarie che richiedono intervento immediato (emergenze chirurgiche e rianimatorie, trasporto di neonati e bambini nei centri specializzati, grandi ustionati), al di lì di quelle strettamente correlate al settore trapiantologico;
   a quantificare la dimensione dei voli sanitari attualmente effettuati da privati, a totale carico dei richiedenti (trasferimento di pazienti terminali e di intrasportabili);
   a calcolare, conseguentemente, i costi economici che deriverebbero dall'inserimento nei livelli essenziali di assistenza del trasporto aereo quando indispensabile per il rischio di vita del paziente, ovvero per necessità di trasferimento ineludibili legate alla terapia e impossibili da soddisfare attraverso i normali voli di linea (pazienti infetti, pazienti intrasportabili, pazienti che necessitino di speciale assistenza con macchinari);
   ad assumere iniziative per prevedere tale inserimento nei livelli essenziali di assistenza garantendo convenzioni-quadro nazionali con gli operatori del trasporto aereo sanitario alle quali possano aderire le regioni.
(1-01332) «Vargiu, Catalano, Dambruoso, Baradello, Fauttilli, Matarrese, Mongiello, Vezzali, Capua, Capelli».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    negli anni si è verificato un sostanziale disallineamento che si è determinato sia nelle le Forze armate che nelle Forze di polizia nella promozione al grado di primo maresciallo;
    il disallineamento si è verificato inoltre nell'avanzamento al grado di luogotenente in seguito alla statuizione del periodo transitorio di permanenza nel grado da primo maresciallo per l'avanzamento a luogotenente previsto dall'articolo 2253 del decreto-legge 15 marzo 2010, n. 66;
    attualmente, nel grado di maresciallo di prima classe, con la vigente forma di avanzamento vi sono circa: 8400 unità dell'Aeronautica, 4200 unità della Marina, 850 unità dell'Esercito;
    il 31 dicembre 2012 è stata approvata la legge n. 244 per il conferimento di una delega al Governo per il complessivo riordino dello strumento militare che prevede significative implicazioni sia sulla dotazione strumentale che su quella organica del personale militare e civile preposto al medesimo settore;
    a seguito di tale legge delega sono stati trasmessi al Parlamento gli schemi di decreto legislativo A.G. 32 – recante disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale e organizzativo delle Forze armate – e A.G. 33 – recante disposizioni in materia di personale militare e civile del Ministero della difesa, nonché misure per la funzionalità della medesima amministrazione;
    già nel dicembre del 2013, la IV Commissione della Camera dei deputati, nell'esprimere parere favorevole allo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di personale militare e civile del Ministero della difesa, nonché misure per la funzionalità della medesima amministrazione – A.G. 33 –, aveva indicato nelle osservazioni «una previsione della promozione per i marescialli di prima classe al grado di primo maresciallo», nonché la previsione di «una promozione, ad anzianità, per i primi marescialli con cinque anni di permanenza nel grado nella qualifica di luogotenente»;
    nell'aprile di quest'anno, la IV Commissione della Camera dei deputati, nell'esprimere parere favorevole allo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 28 gennaio 2014, n. 7 e n. 8 – A.G. 277 –, aveva previsto nelle osservazioni che «il Governo, considerato il disallineamento che si è determinato tra le Forze armate nella promozione al grado di 1o Maresciallo, promuova la definizione di aliquote di avanzamento speciali di Marescialli Capi e gradi corrispondenti con elevata anzianità di grado, per la promozione al grado superiore, a tal fine intervenendo all'atto dell'esercizio delle deleghe relative alla cosiddetta “equiordinazione”»;
    le politiche depressive adottate in questi anni hanno prodotto il risultato di diffondere una condizione di pesante malessere, inquietudine ed incertezza sul futuro, in un settore delicatissimo come quello delle Forze armate e di pubblica sicurezza;
    la disparità che si è venuta a determinare nel corso di questi anni nei confronti del personale militare che, nonostante vanti sia requisiti professionali che di anzianità, non ha visto riconosciuti i diritti ad esso spettanti sotto il profilo contrattuale, nonché giuridico costituzionale, risulta quanto mai evidente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative al fine di definire aliquote di avanzamento speciali di marescialli capi e gradi corrispondenti con anzianità di grado di almeno 13 anni, per la promozione al grado superiore;
   ad assumere iniziative normative al fine di definire aliquote di avanzamento speciali per primi marescialli e gradi corrispondenti con anzianità di servizio di almeno 27 anni, per la promozione al grado superiore.
(7-01063) «Causin».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il giorno 12 luglio 2016 si è verificato un gravissimo incidente ferroviario nella linea regionale Bari-Barletta, sulla tratta tra la stazione di Corato e la stazione di Andria, al chilometro 51, che ha causato la morte di 23 persone ed il ferimento di altri 50 passeggeri. Si tratta del più grave disastro ferroviario avvenuto sul territorio pugliese;
    la linea ferroviaria a scartamento ordinario Bari-Barletta, inaugurata nel 1965, è di proprietà della regione Puglia. Dal 1990 la stessa linea è stata oggetto di lavori di ammodernamento con la costruzione di un doppio binario tra le stazioni di Fesca-San Girolamo e di Ruvo di Puglia, mentre i restanti 37 chilometri sono a binario unico. L'incidente è avvenuto al chilometro 51, nella parte a binario unico in cui vige il cosiddetto meccanismo del «consenso telefonico», con il quale il capostazione del treno in partenza, chiede telefonicamente «il via libera» al collega della successiva stazione di arrivo;
    tale sistema, pur essendo considerato sicuro, è senza dubbio tra i meno evoluti rispetto alle tecnologie disponibili per la regolazione della circolazione ferroviaria; infatti, si affida interamente all'operatività dei capistazione;
    tra l'altro, occorre sottolineare che la rete delle cosiddette ferrovie secondarie esistente in Italia ha un'estensione totale di oltre 3 mila chilometri: molte di queste sono caratterizzate da standard tecnologici più evoluti, mentre altre reti, cosiddette «isolate», presentano caratteristiche diverse;
    su queste ultime tratte le tecnologie adottate sono, infatti, differenziate: consenso telefonico, blocco conta-assi, e nei casi più evoluti sistemi di controllo marcia treno;
    il sistema di segnalamento con consenso telefonico è, come suddetto, considerato una procedura sicura, ma maggiormente a rischio rispetto agli altri sistemi di blocco ferroviario (poiché si affida esclusivamente alla comunicazione umana), mentre oggi sono disponibili ed impiegati sulla rete nazionale sistemi automatici di controllo, come il sistema «marcia treno» (SCMT), il sistema di supporto alla condotta (SSC) od il sistema ERTMS/ETCS, di cui è dotata l'alta velocità che sono considerati molto sicuri e, pertanto, riducono grandemente il rischio dovuto ad errori umani;
    il gravissimo incidente avvenuto in Puglia ha reso evidente l'importanza di avere una tecnologia avanzata con uno standard di sicurezza avanzato e di eccellenza a livello mondiale come quello attualmente in funzione per la rete ferroviaria nazionale;
    l'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie ha il compito di vigilare sulla sicurezza del trasporto ferroviario sulle linee nazionali. Infatti Rete ferroviaria italiana deve dimostrare l'efficacia del proprio sistema di gestione della sicurezza e la sua capacità di saper processare le indicazioni provenienti dai soggetti ad essa sovraordinati (l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria o la direzione generale per le investigazioni ferroviarie e marittime) e di monitorare e analizzare i dati provenienti dalle proprie attività, intervenendo in particolare su: 1) lo stato manutentivo dell'armamento ferroviario, 2) il rispetto delle procedure per l'esecuzione delle attività di manutenzione dell'infrastruttura a tutela sia della sicurezza della circolazione sia dell'incolumità dei lavoratori, 3) la verifica della corretta esecuzione delle attività di manutenzione dell'infrastruttura prima della riattivazione all'esercizio, 4) la sicurezza dei passaggi a livello in consegna ai privati, nelle more della completa attuazione dei provvedimenti di soppressione o di adeguamento tecnologico;
    con il decreto legislativo n. 162 del 2007, è stato recepito il «secondo pacchetto ferroviario» per quanto attiene ai profili della sicurezza ed è stata istituita la citata Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie. Tale decreto-legislativo ha stabilito che sulle reti regionali non isolate l'agenzia eserciterà le proprie competenze a decorrere da quando «risultino completati i sistemi di attrezzaggio idonei a rendere compatibili i livelli tecnologici delle medesime reti regionali a quelli della rete nazionale per permettere l'unificazione degli standard di sicurezza, dei regolamenti e delle procedure per il rilascio del certificato di sicurezza». Sino a quel momento sulle reti regionali, sulle quali non risultano completati gli adeguamenti tecnologici «possono continuare ad operare senza certificato di sicurezza le imprese ferroviarie controllate dal gestore dell'infrastruttura o facenti parte della società che gestisce l'infrastruttura. In tale caso il direttore di esercizio è responsabile di tutti gli obblighi di legge (decreto del Presidente della Repubblica n. 753 del 1980)»;
    quanto sottolineato al punto precedente rivela che le carenze della tecnologia di sicurezza delle reti regionali non dipendono dalla vigilanza dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie;
    infine, il decreto-legislativo n. 112 del 2015 ha demandato ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, l'individuazione delle reti ferroviarie regionali non isolate alle quali si applicano le norme dettate dall'Unione europea sull'utilizzo e la gestione dell'infrastruttura, oltre che sull'attività ferroviaria. Il decreto, come sostenuto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha l'obiettivo di aumentare la quantità di rete con standard elevati. Lo stesso atto normativo sposterà gradatamente le linee con alto livello di traffico sotto il controllo dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie. È necessario comunque, una volta approvato questo atto normativo, un adeguamento graduale. Una volta a regime lo stesso decreto consentirà un livello di sicurezza maggiore;
    è pertanto fondamentale che la gestione delle infrastrutture che, per le ferrovie regionali è in capo alle società esercenti, debba essere mantenuta in sicurezza. Così come deve essere garantita l'operatività dell'esercizio delle ferrovie regionali con piena regolarità;
    tra l'altro, occorre sottolineare che per le ferrovie regionali la sicurezza è demandata, come detto, al gestore dell'infrastruttura. Infatti la figura del responsabile è quella del direttore di esercizio, che rappresenta l'azienda presso gli organi di vigilanza dello Stato delle regioni e degli enti locali territoriali e risponde dell'efficienza del servizio ai fini della sicurezza e della regolarità;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti esercita, in ogni caso, la vigilanza sugli aspetti concernenti la sicurezza e l'esercizio, mediante gli uffici periferici territoriali;
    è inoltre da ribadire che con il contratto di programma del 2015 sono stati stanziati 9 miliardi di euro di cui 4 e mezzo sono destinati a tecnologie per la sicurezza della rete ferroviaria nazionale ed una parte di questi ultimi sono destinati alle reti a carattere regionale;
    è necessario comunque che il Governo collabori con le regioni al fine di adottare misure che possano migliorare il sistema della sicurezza delle ferrovie regionali, adeguandolo all'apparato delle ferrovie nazionali al fine di assicurare un effettivo e sicuro esercizio del diritto alla mobilità per i cittadini;
    è inoltre opportuno attribuire in capo all'Agenzia per la sicurezza delle ferrovie non solo la vigilanza sulla sicurezza di tutte le reti ferroviarie, ma di estenderne soprattutto le competenze sulle cosiddette «ferrovie isolate»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per superare completamente il sistema del meccanismo del segnalamento telefonico in modo da garantire il diritto alla sicurezza per coloro che viaggiano nelle tratte ferroviarie regionali, adottando tecnologie moderne ed avanzate come quelle utilizzate per la sicurezza della rete ferroviaria nazionale, considerato inoltre che appare necessario adottare per la gestione della sicurezza delle ferrovie regionali, misure dirette a controllare che i gestori di queste ultime, operino secondo i requisiti del diritto comunitario e nazionale;
   ad assumere iniziative per implementare le risorse finanziarie destinate alla sicurezza delle ferrovie regionali, nonché per garantire in tempi brevi, certi e sicuri, l'adeguamento dei livelli tecnologici di sicurezza delle ferrovie regionali;
   ad adottare iniziative normative che permettano, in tempi ragionevoli, di estendere le competenze concernenti la vigilanza sulle reti ferroviarie regionali all'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, in modo che sia attribuita ad un solo ente responsabile il controllo di tutta la rete ferroviaria del nostro Paese secondo standard di efficienza e modernità;
   a promuovere interventi finalizzati a implementare i controlli su tutta la rete ferroviaria sia in funzione di un efficace controllo che permetta di eliminare i rischi di incidenti sulla rete ferroviaria, sia in relazione al controllo sugli operatori ferroviari, assicurando e sostenendo il miglioramento delle attività degli addetti nello svolgimento del loro servizio e rafforzando le misure sanzionatorie in caso di eventuali e gravi inadempienze.
(7-01062) «Garofalo, Causin».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la S.E.A.P. – Società Esercizio Aeroporti Puglia s.p.a. nasce nel 1984 allo scopo di gestire gli scali del sistema aeroportuale pugliese (Bari, Brindisi, Foggia e Grottaglie);
    il decreto del 12 novembre 1997, n. 521, «Regolamento recante norme di attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 10, comma 13, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, con cui è stata disposta la costituzione di società di capitali per la gestione dei servizi e infrastrutture degli aeroporti gestiti anche in parte dallo Stato» prevede, al comma 3 dell'articolo 7, «Affidamento della gestione» che «l'affidamento in concessione delle gestioni totali aeroportuali alle società di capitali richiedenti è subordinato alla sottoscrizione:
     a) della convenzione da predisporsi secondo le indicazioni contenute nel disciplinare tipo di cui al successivo articolo 17, comma 1;
     b) del contratto di programma da predisporsi secondo i contenuti di cui alla delibera CIPE 24 aprile 1996, recante linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità;
    la convenzione n. 40 stipulata in data 25 gennaio 2002, con la relativa postilla n. 1 sottoscritta in data 12 febbraio 2003, tra Enac e la Società Esercizio Aeroporti Puglia s.p.a disciplina i rapporti conseguenti all'affidamento in concessione totale degli aeroporti di Bari, Foggia, Grottaglie e Brindisi per un tempo di 40 anni dalla data di sottoscrizione della postilla n. 1 sopramenzionata;
    il comma 1 dell'articolo 4 della sopracitata convenzione n. 40 stabilisce che con onere a proprio carico la concessionaria provvede a:
     a) gestire ciascun Aeroporto quale complesso di beni, attività e servizi organizzati destinati direttamente o indirettamente, alle attività aeronautiche adottando ogni opportuna iniziativa in favore delle comunità territoriali vicine, in ragione dello sviluppo intermodale dei trasporti, e adottando altresì le iniziative dirette ad assumerne, d'intesa con Enac, anche mediante provvedimenti di ricollocazione all'interno del sedime aeroportuale, lo svolgimento delle attività di aviazione generale comunque compatibili con l'operatività aeroportuale;
     b) organizzare e gestire l'impresa aeroportuale garantendo l'ottimizzazione delle risorse disponibili per la produzione di attività e di servizi di adeguato livello qualitativo, nel rispetto dei principi di sicurezza, di efficienza, di efficacia e di economicità e di tutela ambientale;
     c) erogare con continuità e regolarità, nel rispetto del principio di imparzialità e secondo le regole di non discriminazione dell'utenza, i servizi di propria competenza;
    la lettera C) elenca anche i particolari a cui la concessionaria deve provvedere a proprio carico;
    il contratto di programma per l'Aeroporto di Grottaglie non è mai stato approvato e tuttora sono in corso le varie fasi che dovranno portare all'approvazione dell'unico contratto di programma per gli aeroporti pugliesi;
    il decreto interministeriale n. 4269 del 6 marzo 2003 emesso dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con i Ministeri dell'economia e delle finanze e della difesa, affida in concessione alla società Aeroporti di Puglia s.p.a. (SEAP S.p.A.) – ex Esercizio Aeroporti gli aeroporti civili di Bari, Foggia e Grottaglie e l'aeroporto militare, aperto al traffico aereo civile di Brindisi;
    dal 2006 è stata istituita la nuova ragione sociale, da S.E.A.P. – Società Esercizio Aeroporti Puglia ad AEROPORTI DI PUGLIA S.p.A. Obiettivo di Aeroporti di Puglia è la realizzazione e la gestione di un sistema aeroportuale moderno ed efficiente, con standard di servizio ad alto livello, perfettamente integrato con il territorio ed in grado di favorire un armonico processo di crescita economico-sociale della Puglia. Attualmente al capitale sociale, pari ad euro 12.950.000,00 e sottoscritto quasi totalmente dalla regione Puglia, partecipano con quote minoritarie anche altri enti territoriali ed economici: 99,414 per cento – regione Puglia, 0,4 per cento – camera di commercio di Taranto, 0,059 per cento – camera di commercio di Bari, 0,004 per cento – camera di commercio di Brindisi, 0,002 per cento – camera di commercio di Lecce, 0,009 per cento – provincia di Foggia, 0,002 per cento – provincia di Brindisi, 0,058 per cento – provincia di Bari, 0,04 per cento – comune di Bari, 0,012 per cento – comune di Brindisi;
    il regolamento (UE) n. 131 5/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, sugli «orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti» riporta, tra l'altro, all'articolo 24, i criteri da rispettare affinché gli aeroporti facciano parte alla rete «Globale» e pertanto individuando come conformi, secondo tali criteri, nella, regione Puglia quelli di Bari, Brindisi e Foggia, escludendo l'aeroporto di Grottaglie dalle reti Ten-T;
    il Piano nazionale degli aeroporti, approvato con decreto del Presidente della Repubblica il 17 settembre 2015, determina la strategia degli sviluppi degli scali e individua gli aeroporti di interesse nazionale, riconoscendo come tali in Puglia quello di Bari (di interesse strategico), quello di Brindisi e quello di Grottaglie per il traffico cargo, mentre riconduce ad aeroporto di «interesse regionale» quello di Foggia. Gli scali rientrano nel bacino denominato «Mediterraneo-Adriatico». Occorre ricordare che per l'identificazione degli aeroporti strategici di ciascun bacino sono stati presi in considerazione, innanzitutto, gli aeroporti inseriti nella core network europea. Solo nel caso in cui – nel bacino individuato – non è risultato insistere alcun aeroporto incluso nella rete centrale delle Ten-T, si è individuato quale aeroporto strategico quello inserito nella rete globale delle Ten-T con maggiori dati di traffico per cui l'unico aeroporto considerato strategico di questo bacino non può che essere unicamente Bari;
    gli aeroporti del bacino di traffico Mediterraneo/Adriatico hanno registrato nel 2015 un traffico di 6,206 milioni di passeggeri, concentrati quasi esclusivamente sugli scali di Bari (3,955 milioni) e Brindisi (2,248 milioni). Per gli aeroporti di Bari e Brindisi nel 2015, fonte Enac, si confermano incrementi del traffico passeggeri rispetto il 2014, Bari (+ 7,96 per cento) e Brindisi (+ 4,17 per cento). Negli ultimi dieci anni, è stata registrata, per tale bacino, una considerevole crescita, pari ad un tasso medio del 10 per cento annuo;
    in merito alla tipologia di voli l'aeroporto di Bari presenta una ripartizione del traffico con componente nazionale del 70 per cento ed internazionale del 30 per cento, mentre l'aeroporto di Brindisi, con prevalente traffico delle compagnie low-cost, ha un traffico nazionale pari all'80 per cento ed internazionale pari al 20 per cento; l'aeroporto di Taranto-Grottaglie opera quasi esclusivamente nel settore cargo con traffico internazionale; ad eccezione di qualche volo charter stagionale, pur essendo potenzialmente idoneo ad operare anche in ambito di aviazione civile per il traffico passeggeri;
    per quanto riguarda i bacini di utenza individuati dall'atlante degli Aeroporti italiani – Nomisma elaborato sui dati della popolazione ISTAT 2008, per gli Aeroporti pugliesi risulta che:
     Bari, entro la soglia dei 90’, è in grado di servire un totale di circa 3.150.000 abitanti, circa 940.000 possono raggiungere l'aeroporto in meno di 30’ (pari al 30 per cento, circa) 860.000 in un tempo compreso tra i 30’ e i 60’ (pari al 28 per cento), circa 1.330.000 in un tempo che va da 60’ a 90’ (pari al 42 per cento);
     Brindisi, entro la soglia dei 90’, è in grado di servire un totale di circa 2.700.000 abitanti, circa 240.000 possono raggiungere l'aeroporto in meno di 30’ (pari al 9 per cento), circa 1.100.000 in un tempo compreso tra i 30’ e i 60’ (pari al 41 per cento), circa 1.360.000 in un tempo che va da 60’ a 90’ (pari al 50 per cento);
     Grottaglie, entro la soglia dei 90’, è in grado di servire un totale di circa 2.920.000 abitanti, circa 500.000 residenti (pari al 17 per cento) possono raggiungere l'aeroporto in meno di 30’, circa 680.000 in un tempo compreso tra i 30’ e i 60’ (pari al 23 per cento) e 1.740.000 in un tempo che va da 60’ a 90’ (pari al 60 per cento);
    inoltre, l'aeroporto di Bari dista circa 70 chilometri da Matera ed è raggiungibile in 1 ora circa tramite le strade: SS-96 e SS-99; la stessa città capitale della cultura 2019, dista dall'aeroporto di Grottaglie circa 90 chilometri;
    in merito all'aeroporto di Grottaglie, così come previsto nell'Atlante degli aeroporti, «per la posizione geografica strategica in relazione all'area Mediterranea e per le caratteristiche dimensionali e prestazionali della pista di volo, presenta anche interessanti potenzialità per particolari tipologie di traffico passeggeri e pertanto nel lungo periodo potrebbe svolgere il ruolo di riserva di capacità dei traffici aerei dell'Italia meridionale»;
    la pista è tra le 19 piste italiane con lunghezza compresa tra 2.800 e 3.900 metri. In tale contesto è opportuno precisare che l'allungamento della pista RWY 17/35 da 1.710 metri a 3.200 metri, è stato realizzato in seguito alla presentazione del progetto, approvato dal Ministero dell'ambiente il 24 ottobre 2005, per il potenziamento land side e air side per la realizzazione di una piattaforma logistica aeronautica dell'aeroporto di Grottaglie proposto per adeguare le infrastrutture alle caratteristiche del traffico cargo, anche in forza dell'accordo con Alenia. Tali adeguamenti sono stati approvati in seguito all'Accordo di programma quadro «Trasporti: aeroporti e viabilità» del 31 marzo 2003 tra Ministero dell'economia, Ministero delle infrastrutture, regione Puglia, nonché Enav, Enac ed Anas che ha definito gli interventi per i quattro aeroporti pugliesi, stabilendo per Grottaglie la funzione prevalente di polo nel traffico merci;
    secondo quanto previsto al capitolo 3 del regolamento per la costruzione e l'esercizio degli aeroporti emanato da Enac, in relazione al numero ed al tipo di aeromobili previsti, le dimensioni del piazzale devono essere tali da garantire adeguate separazioni, evitando manovre difficoltose che richiedano un uso eccessivo di potenza del motore e costituiscano sollecitazioni anomale per carrello e pneumatici. In particolare, sono adottate le seguenti separazioni minime tra un aeromobile in parcheggio ed ogni altro aeromobile e manufatto adiacente:
     lettera di codice separazione:
   A 3 m;
   B 3 m;
   C 4,5 m;
   D 7,5 m;
   E 7,5 m;
   F 7,5 m;
    la piazzola di sosta, apron «D», prospiciente l'aerostazione passeggeri, risulta di dimensioni ridotte e inadatte a sostenere un numero significativo di velivoli. A tal fine, nel piano di sviluppo è previsto l'ampliamento del piazzale aeromobili «D» che potrà accogliere i B137-800 e nel contempo consentirà con apposito intervento, di riqualificare quello esistente degradato e ormai con ridotta portanza nella parte della pavimentazione rigida; l'intervento, contenuto nello sviluppo aeroportuale dell'aeroporto di Grottaglie prevede l'ampliamento in due fasi in un arco temporale dal 2016 al 2022;
    l'aviazione civile per voli passeggeri è sempre stata permessa;
    da fonti stampa dell'11 gennaio del 2014 si apprende che il presidente della camera di commercio di Taranto, Luigi Sportelli, avrebbe informato a mezzo stampa dell'interessamento della compagnia aerea Cityline Swiss che avrebbe avanzato ad Aeroporti di Puglia un programma di voli operativo dal 14 aprile 2014, con collegamenti con Roma Fiumicino, Palermo, Catania, Timisoara e Nizza Albenga;
    sempre da fonti stampa si apprende che in data 13 gennaio 2014 l'associazione « Tarantovola.it» avrebbe inviato una diffida e lettera aperta ad Aeroporti di Puglia lamentando un comportamento ostativo da parte del gestore a favorire voli passeggeri applicando costi spropositati;
    AdP avrebbe risposto specificando che la Compagnia Aerea CityLine SWISS, per il tramite l'intermediazione del Tour Operator Esafly di Taranto avrebbe chiesto di attivare alcuni nuovi collegamenti da e per l'Aeroporto di Grottaglie riguarda, allo stato, due soli voli (Parma-Taranto il venerdì e Taranto-Parma la domenica), programmati a partire dal 18 aprile 2014, per i quali, comunque, allo stato attuale, non risulta pervenuta all'ENAC alcuna ufficiale comunicazione da parte del vettore. Inoltre, AdP specifica che risulta una precedente serie di richieste a partire dal 2005 di collegamenti da/per gli aeroporti pugliesi da parte del medesimo Tour Operator Esafly e del vettore svizzero mai concretizzatesi e solo a gennaio 2013 è stato operato 1 (uno) volo charter per Lourdes con la Compagnia aerea TradeAir Zagabria (Croazia);
    AdP specifica che la Compagnia Aerea City Line Swiss dal 2005 ha formulato al gestore aeroportuale diverse proposte riguardante voli, ma questi non sono mai stati attivati ed inoltre informa che la società Aeroporti di Puglia s.p.a., nel pieno rispetto delle obbligazioni assunte con l'affidamento, da parte di ENAC, della concessione totale del sistema aeroportuale pugliese e della normativa di riferimento in materia di regolazione tariffaria in ambito aeroportuale, non ha mai frapposto alcun ostacolo all'esercizio dell'attività di aviazione commerciale destinata al traffico passeggeri da/per gli aeroporti in gestione, né, con particolare riferimento all'aeroporto di Grottaglie, che ha una vocazione specificatamente cargo ed industriale, ha mai applicato diritti o tariffe di ammontare «spropositato», come impropriamente asserito dall'Associazione intimante, essendo i corrispettivi richiesti, come per legge, strettamente correlati ai costi per l'offerta del servizio;
    con disposizione del direttore generale dell'ENAC n. 20 del 14 luglio 2014 si è stabilito che l'Aeroporto di Taranto Grottaglie «Marcello Arlotta» è qualificato a «svolgere la funzione di piattaforma logistica integrata per attività di sviluppo di ricerca e sperimentazione di prodotti aeronautici – in particolare di SARP (sistema aeromobile a pilotaggio remoto) –, con l'attivazione delle procedure di gestione per l'uso flessibile dello spazio aereo». Di conseguenza, è consentita l'attività di trasporto commerciale di passeggeri previa valutazione di compatibilità di apposito « risk assessment» (valutazione del rischio) a cura del gestore aeroportuale ed inoltre è consentita l'attività di aviazione generale, inclusa quella di aerotaxi, salvo casi di incompatibilità con l'attività di sperimentazione in atto;
    la parte meridionale della pista, «Testata 35» dell'aeroporto di Grottaglie è in un'area ad alta pericolosità idraulica e nella parte centrale la pericolosità «idraulica» si alterna tra «alta» e «media»; tuttavia non vi sono attualmente in atto iniziative utili per diminuire il rischio idrogeologico dell'area;
    la città di Taranto dista soli 73 chilometri dall'aeroporto di Brindisi e 94 chilometri dall'aeroporto di Bari, tuttavia sono molteplici le difficoltà per i cittadini del bacino di utenza potenziale di recarsi ai suddetti aeroporti in assenza di un veicolo privato, risultando carenti o assenti i servizi di collegamento stradali o tramite ferrovia per raggiungere da Taranto i suddetti aeroporti;
    in merito al collegamento ferroviario con l'Aeroporto di Grottaglie, la società di gestione, attraverso un piano territoriale di area vasta (2008), aveva prefigurato lo sviluppo dell'infrastruttura aeroportuale all'interno di una piattaforma logistica integrata fondata sulla sinergia porto-aeroporto, inserita in un sistema a rete, che consenta di scambiare su ferro e su gomma flussi di merci provenienti dalle principali direttrici di traffico. L'assetto di sviluppo dell'aeroporto, connesso ai progetti di connessione ferroviaria è stato posto alla base di un protocollo d'intesa tra regione Puglia, provincia di Taranto, comuni di Taranto, Grottaglie, Monteiasi e Carosino, e Aeroporti di Puglia, sottoscritto nel marzo 2009, e approvato da Enac;
    dall'approvazione tecnica del «Masterplan al 2030» dell'Aeroporto Arlotta di Grottaglie da parte di ENAC del marzo 2016, si evince che gli investimenti previsti fino al 2030 saranno di 55,1 milioni di euro; tuttavia, non risultano previsti interventi atti a favorire un collegamento ferroviario nonostante nel piano nazionale aeroporti sia previsto per l'aeroporto in questione il collegamento ferroviario, per un valore stimato di 28,40 milioni di euro. Tale collegamento non solo agevolerebbe il transito di merci e persone, ma sarebbe anche funzionale alla piattaforma logistica in corso di realizzazione nel porto di Taranto;
    nel documento «Orientamenti sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree» 2014/C 99/03 è previsto che l'Unione europea intende promuovere un utilizzo corretto delle risorse pubbliche per politiche orientate alla crescita e, nel contempo, limitare le distorsioni di concorrenza che pregiudicherebbero la parità di condizioni degli operatori del settore nel mercato interno ed evitare, in particolare, la moltiplicazione di aeroporti non redditizi. In particolare, nel medesimo documento, si sottolinea che gli aeroporti devono essere in grado di coprire i propri costi di funzionamento e gli investimenti pubblici devono essere utilizzati per finanziare la costruzione di aeroporti efficienti sotto il profilo economico, evitando distorsioni di concorrenza e proliferazione di aeroporti economicamente non efficienti;
    nel documento «Orientamenti sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree» 2014/C 99/03 si specifica che l'applicazione delle norme sugli aiuti di Stato ai settori aeroportuale e del trasporto aereo rientra negli sforzi della Commissione diretti a migliorare la competitività e il potenziale di crescita dei settori unionali aeroportuali e delle compagnie aeree. Il principio della parità di condizioni tra gli aeroporti e le compagnie aeree all'interno dell'Unione è di fondamentale importanza ai fini di tali obiettivi, nonché per l'intero mercato interno;
    il documento prevede un aiuto operativo per gli aeroporti regionali (con meno di 3 milioni di passeggeri l'anno) per un periodo transitorio di 10 anni, per permettere l'adeguamento del loro modello di business. Per ricevere gli aiuti, gli aeroporti devono comunque elaborare un business plan teso alla piena copertura dei costi operativi alla fine del periodo transitorio. Per gli aeroporti con un traffico passeggeri annuo inferiore a 700.000 unità, considerate le maggiori difficoltà nel raggiungere la piena copertura dei costi durante il periodo transitorio, si prevede un regime speciale con la possibilità di aiuti maggiori e rivalutazione della situazione dopo 5 anni. Si ritiene che un aiuto agli investimenti negli aeroporti contribuisca al conseguimento di un obiettivo di interesse comune, se:
     a) serve ad incrementare la mobilità dei cittadini dell'Unione e la connettività delle regioni mediante la creazione di punti di accesso a voli intraunionali; oppure
     b) aiuta a combattere la congestione del traffico aereo nei principali hub aeroportuali unionali; oppure
     c) facilita lo sviluppo regionale;
    in merito all’«Aiuto di avviamento a favore di compagnie aeree» par. 5.2 dei suddetti orientamenti, «Come indicato al punto 15, un aiuto di Stato concesso a compagnie aeree per il lancio di una nuova rotta allo scopo di migliorare la connettività di una regione viene considerato compatibile con il mercato interno ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del trattato, se le condizioni cumulative di cui al punto 79 sono soddisfatte conformemente ai punti da 139 a 153»;
   i punti 139 e 140 stabiliscono il «Contributo al raggiungimento di un obiettivo ben definito di interesse comune»:
     al punto 139 si stabilisce che «si ritiene che un aiuto all'avviamento a favore di compagnie aeree contribuisca al conseguimento di un obiettivo di interesse comune se: a) migliora la mobilità dei cittadini dell'Unione e la connettività delle regioni aprendo nuove rotte; oppure b) facilita lo sviluppo regionale di regioni remote»;
     al punto 140 «quando un collegamento che sarà operato dalla nuova rotta è già servito da un servizio ferroviario ad alta velocità o da un altro aeroporto nello stesso bacino di utenza in condizioni analoghe, in particolare per quanto riguarda la durata del viaggio, non può essere considerato tale da contribuire a un ben definito obiettivo di interesse comune»;
     i punti dal 141 al 145 definiscono invece le «Necessità dell'intervento statale»;
     i punti 146 e 147 definiscono l’«Adeguatezza dell'aiuto di Stato in quanto strumento strategico»;
     i punti 148 e 149 definiscono la «Presenza di un effetto di incentivo»;
     il punto 150 stabilisce la «Proporzionalità dell'importo dell'aiuto (aiuto limitato al minimo)»;
     i punti da 151 a 155 recano previsioni per una «Prevenzione di effetti negativi indebiti sulla concorrenza e sugli scambi»;
    su tale base l'aiuto all'avviamento sarà considerato compatibile soltanto per rotte che collegano un aeroporto con meno di 3 milioni di passeggeri l'anno con un altro aeroporto all'interno dello spazio aereo comune europeo;
    gli Stati membri devono dimostrare che l'aiuto è adeguato per raggiungere l'obiettivo prefissato o per risolvere i problemi per i quali è stato deciso l'aiuto. Una misura di aiuto non viene considerata compatibile con il mercato interno se altri strumenti strategici o di aiuto meno distorsivi consentono di conseguire lo stesso obiettivo;
    il bilancio di Aeroporti di Puglia, nonostante si riferisca a quattro distinti scali, non rivela se il singolo aeroporto sia gestito in maniera efficiente sotto il profilo economico, in quanto il bilancio unico considera la somma della gestione dei quattro scali aeroportuali pugliesi;
    la comunicazione della Commissione europea 2014/C 99/03 stabilisce che in caso di incentivi da parte del gestore ai vettori aerei al fine di promuovere nuove rotte, è necessario effettuare un'analisi ex ante dell'investimento, al fine di assicurare un ragionevole utile sul capitale investito per il gestore aeroportuale;
    anche il legislatore nazionale ha introdotto una previsione normativa ai fini della trasparenza di uno specifico segmento costituito dalle incentivazioni riconosciute dai gestori aeroportuali ai vettori. Tale previsione è contenuta nell'articolo 13, commi 14 e 15, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, come modificato dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9. In particolare, il comma 14 prevede che i gestori di aeroporti che erogano contributi, sussidi o ogni altra forma di emolumento ai vettori aerei in funzione dell'avviamento e sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, devono esperire procedure trasparenti di scelta del beneficiario e tali da garantire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati, secondo modalità definite nelle apposite linee guida adottate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti l'Autorità di regolazione dei trasporti e l'Ente nazionale per l'aviazione civile;
    va ricordato, infine, che in Italia, il contributo del Sud alle entrate turistiche è rimasto limitato, nonostante la notevole dotazione di poli culturali e naturali delle regioni meridionali e la stagione estiva potenzialmente più lunga rispetto al resto del Paese. Tra i punti di debolezza del sistema turistico italiano e, in particolare, del patrimonio turistico del Sud Italia ruolo chiave è ricoperto dall'accessibilità. Una piena valorizzazione del potenziale turistico del Sud dipenderà dal miglioramento delle connessioni ai poli turistici. È fondamentale, pertanto, che le politiche infrastrutturali e dei servizi di trasporto, pur focalizzate sulla connettività dei principali nodi del Paese, garantiscano livelli minimi di accessibilità anche alle aree più periferiche,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché il gestore Aeroporti di Puglia rediga il prima possibile il « risk assessment» indispensabile per consentire l'attività di trasporto commerciale di passeggeri;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza al fine di approvare il contratto di programma per gli aeroporti pugliesi, attualmente al vaglio dell'Autorità di regolazione dei trasporti e rendere il contenuto dello stesso pubblico sui siti web di ENAC, Autorità di regolazione dei trasporti e Aeroporti di Puglia;
   ad assicurare gli investimenti previsti dal masterplan 2030 per l'aeroporto di Grottaglie includendo nello stesso anche il collegamento ferroviario di cui in premessa;
   ad assicurare, per quanto riguarda il potenziamento dell'accessibilità e dell'intermodalità degli aeroporti, che:
    tra gli investimenti per la realizzazione degli interventi di potenziamento della rete, nonché dei nodi intermodali di connessione con gli aeroporti, vengano attuati gli interventi di infrastrutturazione e di interconnessione intermodale programmati e pianificati e, in caso di mancata pianificazione, che ne sia pianificata la realizzazione;
    gli interventi e le relative tempistiche di realizzazione trovino attuazione nell'ambito dei contratti di programma con gli enti interessati;
    le connessioni intermodali già programmate siano realizzate nei tempi previsti e siano avviati processi di pianificazione degli ulteriori collegamenti su ferro verso gli aeroporti di Brindisi e Grottaglie;
    vengano prese tutte le iniziative utili affinché i collegamenti intermodali siano realizzati nel minor tempo possibile;
   ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di eliminare il rischio idrogeologico nell'aeroporto di Grottaglie;
   a verificare che per tutti gli aeroporti in gestione ad Aeroporti di Puglia spa, i termini stabiliti nella convenzione n. 40, in particolare l'articolo 4, siano pienamente rispettati;
   ad adottare ogni iniziativa utile al fine di assicurare ai cittadini, collegamenti sostenibili, diretti rapidi e coordinati con i voli, che consentano di giungere, anche nei giorni festivi, con costi moderatamente bassi ovvero gratuiti, entro sessanta minuti presso gli aeroporti di Bari, Taranto-Grottaglie e Brindisi;
   ad adottare ogni iniziativa utile al fine di favorire la realizzazione dei collegamenti diretti dalla rete ferroviaria per gli aeroporti di Bari, Brindisi e Grottaglie;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché Aeroporti di Puglia renda il proprio bilancio chiaro in modo da distinguere e verificare che ogni singolo aeroporto in concessione ad Aeroporti di Puglia sia gestito in maniera efficiente sotto il profilo economico;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza al fine di verificare, monitorare e rendere trasparente le risorse erogate, a qualunque titolo, alle compagnie aeree da parte di soggetti pubblici, rispettando quanto sancito dalla normativa europea, in particolare dalla comunicazione della Commissione europea 2014/C 99/03, e dalle leggi italiane, nello specifico dal decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, articolo 13, commi 14 e 15;
   ad adottare ogni iniziativa utile al fine di verificare la possibilità per l'aeroporto di Taranto-Grottaglie di ricevere gli aiuti di cui alla comunicazione della Commissione europea 2014/C 99/03, a seguito della redazione del business-plan teso alla piena copertura dei costi operativi alla fine del periodo transitorio;
   ad adottare ogni iniziativa utile affinché gli scali in gestione ad Aeroporti di Puglia spa siano utilizzati definitivamente ed esclusivamente per l'aviazione civile e l'aviazione militare operi unicamente negli aeroporti militari in cui non opera l'aviazione civile;
   a valutare, per quanto di competenza, l'ipotesi di scorporare dalla concessione ad Aeroporti di Puglia, l'affidamento dell'aeroporto di Grottaglie, con bando di gara a gestori aeroportuali che ritengono remunerativo gestire lo scalo per voli passeggeri;
   a valutare se sia ambientalmente ed economicamente sostenibile una redistribuzione del traffico aereo dei voli passeggeri tra gli scali gestiti da Aeroporti di Puglia.
(7-01064) «De Lorenzis».

ATTI DI CONTROLLO

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2013 l'assessorato all'urbanistica, edilizia privata, agricoltura del comune di Milano ha proposto la dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico di immobili e aree ai sensi dell'articolo 136, comma C, del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni ed integrazioni per il quartiere sperimentale VIII Triennale di Milano – QT8, ritenendo la tutela «necessaria per salvaguardare questo rappresentativo quartiere di periferia urbana quale testimonianza storica e culturale di particolare valore identitario» (allegato 1: proposta di vincolo per QT8);
   in data 12 settembre 2013 il consiglio di zona 8, nel cui ambito territoriale si trova il quartiere QT8, ha approvato la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico paesaggistico di immobili e di aree comprese nell'ambito urbano del quartiere QT8 (allegato 2: delibera CdZ 8 n. 160/13);
   in data 8 novembre 2013 la giunta comunale di Milano ha preso atto della proposta di vincolo, ha dato atto che il direttore del settore pianificazione urbanistica generale avrebbe provveduto all'espletamento degli ulteriori adempimenti di propria competenza necessari e conseguenti e ha dichiarato il provvedimento immediatamente eseguibile (allegato 3: delibera giunta comunale 2232/13);
   alla data odierna non risulta che la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Milano abbia provveduto a porre sotto vincolo paesaggistico il suddetto quartiere –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno verificare, per quanto di competenza, presso la propria sede territoriale di Milano, lo stato della pratica di vincolo per il quartiere QT8;
   se il Ministro possa relazionare circa le motivazioni per le quali non sia stato ancora ultimato l’iter della suddetta pratica, stante il tempo trascorso;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere, per quanto di competenza, affinché il quartiere QT8 di Milano venga rapidamente posto sotto vincolo paesaggistico, così come richiesto e deliberato dal comune di Milano.
(4-13924)


   PAGANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2016, sulla Gazzetta Ufficiale 4a Serie Speciale Concorsi ed esami no 41 è uscito l'avviso relativo alla pubblicazione dei 9 bandi di concorso per l'assunzione, a tempo indeterminato, presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1;
   il concorso prevede: a) una prova selettiva consistente in un test per la verifica delle conoscenze di base; b) una selezione scritta articolata in due prove: una per la verifica delle conoscenze teoriche concernenti materie ed ambiti disciplinari specifici del settore, nonché una prova relativa alla conoscenza della lingua inglese, nonché ulteriori prove concernenti le tecnologie informatiche e della comunicazione; c) una prova per le conoscenze pratiche riferite alle attività che la funzione pubblica, una volta superato il concorso, porterà ad esercitare;
   il concorso, inoltre, prevede la valutazione dei titoli posseduta da candidati ed una prova orale;
   l'unica modalità di iscrizione al concorso era quella di effettuare le domande tramite posta elettronica indirizzando queste ultime al sito «riqualificazione Formez»;
   alle 23.59 del 30 giugno 2016 si sono chiuse le iscrizioni al concorso. In totale sono pervenute 19.479 iscrizioni per i diversi profili professionali;
   sullo stesso sito, il 5 luglio 20106 è stato pubblicato il calendario delle prove preselettive e fu specificato da parte del Ripam quanto segue: a) la durata di ciascuna sessione, dalla convocazione dei candidati alla chiusura della stessa, è stimata in 6 ore complessive, salvo imprevisti; b) l'esito delle letture ottiche degli elaborati sarà comunicato in sede di svolgimento delle prove, al termine delle stesse; c) le operazioni di correzione degli elaborati saranno comunque pubbliche e trasmesse anche tramite diretta streaming;
   inoltre, sul sito internet Ripam saranno pubblicati, a decorrere dal 1 settembre 2016, dopo aver effettuato le verifiche sui titoli dichiarati dai candidati on-line, gli elenchi nominativi di quei candidati risultati idonei alle prove preselettive, nonché le modalità di svolgimento delle successive prove scritte, per l'ammissione alla prove orali;
   i quesiti relativi alle prove preselettive sarebbero stati disponibili on line gratuitamente almeno 10 giorni prima dello svolgimento delle prove;
   l'unica fonte ufficiale alla quale i candidati avrebbero dovuto fare riferimento per la preparazione delle prove sarebbe stata esclusivamente quella scritta sul sito Ripam;
   il 19 luglio, Ripam pubblicò le griglie con le risposte esatte alle domande contenute nella banca dati già pubblicata il 13 luglio. In quella data fu specificato che dall'estrazione delle domande preselettive saranno esclusi eventuali quesiti contenenti refusi o errori, direttamente in sede d'esame e non prima;
   è da sottolineare che, ancora prima che uscissero le griglie con le risposte esatte (19 luglio), è stata accertata dai partecipanti al concorso stesso la presenza di quesiti formulati in modo errato, contenenti più o nessuna risposta esatta o, addirittura, copiati da Wikipedia, il che risulterebbe perlomeno «pittoresco»;
   è stato, inoltre, accertato che esistono profonde sperequazioni nella determinazione del punteggio; per esempio, è stato attribuito un valore eccessivamente alto a coloro che hanno svolto semplice tirocinio presso il Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo (5 punti per sei mesi) mentre a coloro che hanno lavorato con contratti diretti con le altre pubbliche amministrazioni vengono assegnati solo 2 punti per annualità. Oppure, ancora, non viene assegnato nessun punteggio ai candidati che abbiano stipulato contratti di lavoro con enti diversi dalle pubbliche amministrazioni;
   al punto b) dell'articolo 9 del bando di concorso, infatti, relativo alla valutazione dei titoli di servizio si legge:
    n. 2 (due) punti per ogni anno di esperienza professionale maturata, con qualunque tipologia contrattuale, presso una qualsiasi pubblica amministrazione di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, in attività lavorative specificamente riferite al profilo professionale per cui si concorre, per un massimo di 20 (venti) punti;
    n. 5 (cinque) punti per ogni semestre di esperienza professionale, acquisita mediante attività di tirocinio presso il Ministero, nell'ambito dei programmi previsti ai sensi del articolo 2, comma 5-bis, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 e dell'articolo 2 del 2 decreto-legge 8 agosto 2013, n.91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, fino ad un massimo di n.10 (dieci) punti»;
   i su citati programmi di tirocinio presso il Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo sono stati denominati lo stessa «500 giovani per la cultura»;
   tali criticità sono state evidenziate anche a mezzo stampa (sia cartacea sia on line) da esponenti del mondo della cultura. Per l'autorevolezza degli autori e delle opinioni espresse, si segnalano i seguenti articoli, in ordine cronologico: «Biblioteche, indignazione e polemiche sul web per domande concorso funzionari Mibact» di Tomaso Montanari, Professore ordinario di Storia dell'Arte moderna all'Università degli Studi «Federico II» di Napoli (www.repubblica.it, 18 luglio 2016); «Lettera al Ministro Franceschini, la cultura non è un quiz» di Sergio Tanzanella, Professore ordinario di Storia della Chiesa alla Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (Il Manifesto, 21 luglio 2016); «Come non va fatto un concorso !» in cui si riportano le opinioni del professor Giuliano Volpe – Presidente del consiglio superiore dei beni culturali e dei beni paesaggistici – e del professor Andrea Carandini – Presidente del FAI (www.quotidianoarte.it, 22 luglio 2016);
   alla luce delle criticità sopra evidenziate, il rischio di ricorsi è altissimo –:
   se non sia necessario che il Ripam elimini le domande errate pubblicate sulla propria banca dati come quesiti per le prove concorsuali dei candidati immediatamente e non, come specificato in data 19 luglio, solo prima dell'inizio di ogni prova d'esame per i singoli profili professionali;
   se non sia opportuno sospendere e inviare lo svolgimento del concorso bandito e indicato in premessa, affinché siano eliminati gli errori riscontrati sul sito Ripam in modo da garantire un accesso corretto dei candidati allo stesso concorso;
   se il Ministro interrogato non intenda promuovere una diversa valutazione ai titoli dei candidati con particolare riferimento alla valutazione dei tirocini, alla valutazione dei contratti diretti con la pubblica amministrazione e alla valutazione dei contratti con altri enti privati;
   in considerazione della gravità dei fatti richiamati in premessa, se non si intenda avviare una verifica interna per accertare, per quanto di competenza, le eventuali responsabilità derivanti da quanto in precedenza espresso. (4-13929)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZO, FRUSONE, BASILIO, CORDA, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   notizie di stampa riportano il naufragio di un'imbarcazione proveniente dalla Tunisia e diretta verso l'Europa sabato 2 luglio 2016 al largo d Sabrata. Dei 28 naufraghi, solo 11 sarebbero sopravvissuti;
   in quattro anni, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) dichiara che il numero dei morti nel Mediterraneo è salito a 2.859 per il primo semestre 2016, contro i 1.838 del 2015;
   sono numerosi i migranti subsahariani e del Medio Oriente a voler raggiungere l'Europa passando per la Tunisia. Per questo motivo, la Tunisia è al centro di una particolare attenzione da parte dell'Unione europea, ma sembra che le politiche fin qui adottate non abbiano conseguito risultati concreti;
   in un comunicato stampa del segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, viene annunciata una nuova operazione militare nel Mediterraneo, denominata Sea Guardian. «Abbiamo intenzione di lavorare in stretta collaborazione con l'operazione Sophia dell'Unione europea» ha dichiarato M. Stoltenberg. «Al Sud vediamo Stati deboli e sull'orlo del fallimento. Milioni di senza tetto e di disperati fuggano dai gruppi terroristici come Daesh e questa instabilità ha un impatto sulla nostra società»;
   il 6 luglio 2016 Parlamento europeo ha deliberato un nuovo mandato all'agenzia Frontex, l'agenzia europea incaricata della gestione delle frontiere esterne;
   secondo la campagna informativa Frontexit (www.frontexit.org), l'agenzia Frontex non rispetterebbe i diritti umani fondamentali. «A più di un anno dall'annuncio di un rinforzamento dell'agenzia Frontex – si legge in una nota stampa del 7 luglio 2016 – per rispondere alla cosiddetta crisi migratoria il risultato delle condizioni di sicurezza alle frontiere europee è allarmante: il numero dei migranti e dei rifugiati morti nel Mediterraneo è aumentato, le violazioni dei diritti e le violenze nei loro confronti si sono moltiplicate tanto alle frontiere quanto nei centri di smistamento chiamati “hotspot”»;
   secondo quanto denunciato dalla campagna Frontexit, la politica attuale dell'Unione europea finirebbe per favorire l'immigrazione clandestina, fenomeno che accresce la mortalità tra i migranti ed incoraggia i traffici illegali. L'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) stima che il numero dei morti nel Mediterraneo durante il mese di giugno 2016 ammonti a 2.859. Nonostante questi dati, la nuova agenzia guarda-frontiera europea vedrà estendere i propri poteri, specialmente in materia di espulsioni e di raccolta dati che verranno poi trasmessi all'Europol nel quadro dalla lotta ai crimini transfrontalieri e di lotta al terrorismo;
   «Sea Guardian», secondo l'interpretazione data da Frontexit è un'estensione di Frontex ed ha come obiettivo quello di far sbarcare nei «porti sicuri più vicini» le persone intercettate in alto mare. Questi sbarchi dovranno aver luogo in Marocco, Tunisia, Algeria, nei Paesi balcanici e in Turchia. «Paesi in cui gravi violazioni dei diritti umani perdurano sia nei confronti dei cittadini nazionali, che degli stranieri, dove è calpestato il diritto di lasciare il paese, principio contrario al diritto internazionale ed europeo, in particolare al principio di non respingimento» dichiara il collettivo Frontexit;
   alcune organizzazioni non governative mettono inoltre in guardia sulle ricorrenti violazioni dei diritti umani, puntando il dito contro gli «incidenti» fatti presente dalla stessa agenzia Frontex. A tal proposito, la campagna Frontexit sottolinea che «il nuovo mandato non permette di imputare effettivamente e direttamente la responsabilità giuridica dell'agenzia di fronte a un meccanismo indipendente»;
   in un comunicato del 4 luglio 2016, FTDES (Forum tunisino dei diritti economici e sociali) ha ridefinito la tragedia dei giovani migranti di Ben Gardane in un contesto economico e politico. Il Forum ricorda che quegli stessi giovani annegati sulle coste libiche sono gli stessi che hanno partecipato a diverse manifestazioni contro la disoccupazione e la marginalizzazione della loro città in materia di impiego e di sviluppo. In una recente dichiarazione, Messaoud Romdhani, membro fondatore di FTDES, rivela che il partenariato di mobilità non è riuscito a ridurre il numero di migranti in condizione di clandestinità che attraversano il Mediterraneo, con 1.015.078 arrivi e 3.3771 decessi nel 2015. L'autore afferma che una società civile «vigilante in Tunisia continuerà a fare pressione sui governi dai due lati del Mediterraneo» –:
   se il Governo sia a conoscenza delle denunce indicate in premessa e quali iniziative intenda porre in essere perché le criticità sopra richiamate non abbiano a ripetersi in una eventuale partecipazione dell'Italia alla missione Sea Guardian;
   quale sia la posizione del Governo rispetto alle politiche di contenimento e di sbarco dei migranti soccorsi in mare nei Paesi nord africani indicati in premessa, e se esse siano in linea con la politica d'accoglienza attuata in Italia e nei Paesi europei;
   quale tipo di supporto eventualmente sia stato richiesto all'Italia in termini finanziari, di mezzi e, soprattutto, di uomini per partecipare alla missione «Sea Guardian». (5-09262)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   Sace e Simest sono due importanti finanziarie italiane aventi il compito di agevolare l'internazionalizzazione delle imprese, in particolare le piccole e medie. Sono società per azioni controllate da Cassa depositi e prestiti che è partecipata per l'80,1 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e per il 18,4 per cento da diverse fondazioni bancarie, mentre il restante 1,5 per cento è costituito da azioni proprie;
   Simest è stata creata nel 1990 con il compito di promuovere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane, di fornire servizi di assistenza e consulenza agli imprenditori nelle loro attività all'estero;
   una delle principali attività di Simest è la partecipazione al capitale di società estere costituite da imprese italiane o di società costituite all'interno dell'Unione europea (Italia inclusa). La finanziaria può affiancare imprese italiane che decidano di costituire società all'estero, sottoscrivendo fino al 49 per cento del capitale, al fine di condividere il rischio potenziale della nuova impresa e di costituire una garanzia per il partner estero;
   per conto del Governo italiano, Simest gestisce una serie di finanziamenti agevolati. Queste agevolazioni sono riservate all'esportazione italiana di beni quali macchinari ed impianti, mezzi di trasporto pubblico, infrastrutture e coprono, al massimo, l'85 per cento dell'importo della fornitura e sono erogate per un periodo uguale o superiore a 24 mesi. I tassi applicati sono i cosiddetti CIRR, concordati mensilmente nell'ambito dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), senza alcuna limitazione circa i Paesi ai quali possono essere applicati;
   un fondo gestito da Simest detiene n. 191 partecipazioni in Paesi extraUE, mentre Simest detiene n. 237 partecipazioni in società in Paesi extraUE e n. 10 Paesi nell'Unione europea;
   nel 2014 sono stati approvati dal Consiglio di amministrazione della società 62 progetti, per un impegno di circa 129,6 milioni di euro (68 progetti per 139 milioni di euro nel 2013) di cui 53 nuove partecipazioni, con un impegno finanziario per Simest di circa 124,9 milioni di euro e 9 piani di sviluppo di società già partecipate, per complessivi 4,7 milioni di euro;
   dei 53 nuovi progetti approvati, 42, per complessivi 69,3 milioni di euro, riguardano investimenti in Paesi extra Unione europea (41 per 72,5 milioni di euro nel 2013), di cui: 11 progetti relativi a Paesi dell'area Asia e Oceania (7 nella sola Cina); 10 relativi a Paesi dell'America centrale e meridionale (6 in Brasile); 9 relativi a Paesi dell'Europa extra Unione europea (4 in Russia); 7 relativi a Paesi dell'America settentrionale (5 in USA); 3 relativi a Paesi del Mediterraneo e M.O. (Israele, Turchia, EAU); 2 relativi a Paesi dell'Africa (Etiopia e Sud Africa);
   11, per complessivo 55,6 milioni di euro riguardano investimenti in Paesi intra Unione europea (11 per 47,5 milioni di euro nel 2013). Tra le iniziative intra Unione europea 10 riguardano l'Italia, con un significativo aumento delle partecipazioni nazionali che passano dalle 7 (per 33,5 milioni di euro) approvate nel 2013 alle 10 (per 47,5 milioni di euro) approvate nel 2014;
   attraverso il Fondo di venture capital, nell'anno 2014 sono state approvate dal Comitato di indirizzo e rendicontazione (organo interministeriale deliberante sulle operazioni) 33 nuove partecipazioni per un impegno complessivo di 22 milioni di euro (29 per 16,6 milioni di euro nel 2013), oltre a 3 aumenti di capitale per un ulteriore impegno di 1,6 milioni di euro (1 per 0,4 milioni di euro nel 2013);
   attraverso il Fondo start up, nel 2014 sono state approvate dal Comitato di indirizzo e controllo (organo interministeriale deliberante sulle operazioni) 3 nuove partecipazioni per un impegno complessivo di 0,6 milioni di euro (5 per 1 milioni di euro nel 2013);
   attraverso il Fondo di cui alla legge n. 295 del 1973, a carattere rotativo, vengono erogati contributi sugli interessi bancari per il finanziamento di investimenti all'estero (quote di capitale di rischio) e per il finanziamento delle esportazioni di beni strumentali;
   nel 2014 il Comitato agevolazioni (organo interministeriale deliberante sulle operazioni) ha accolto 34 operazioni per un importo di 78,3 milioni di euro (39 per 241,0 milioni di euro nel 2013) in favore soprattutto di grandi imprese (87,5 per cento dell'importo), ma si è comunque registrato un incremento del numero delle operazioni promosse da piccole e medie imprese;
   invece, il gruppo Sace offre prodotti e coperture assicurative per una grande varietà di eventi: rischi relativi a crediti di breve e lungo termine, rilascio di cauzioni collegate a gare ed appalti, rischi legati al blocco di merci ed attrezzature. Inoltre, Sace fornisce garanzie per i diversi tipi di finanziamento all'internazionalizzazione che le banche offrono alle piccole e medie imprese, grazie ai quali gli istituti bancari possono mettere a disposizione dei propri clienti un volume di credito più elevato;
   gli impegni assicurativi di Sace deliberati nell'anno 2015 (misurati in termini di quota capitale ed interessi), risultano pari a euro 9.749,9 milioni. I nuovi impegni si sono diretti principalmente verso l'Unione europea (33,0 per cento), il Medio Oriente e Nord Africa (27,7 per cento) e gli altri Paesi Europei e CSI (20,6 per cento);
   non c’è dubbio che sia Simest sia Sace gestiscono un quantità di risorse pubbliche importanti ai fini istituzionali alle quali sono preposte;
   è anche vero che alcune società che hanno beneficiato dei finanziamenti suddetti sono state coinvolte inchieste giudiziarie, vedasi il caso Parmacotto oppure casi di operazioni di delocalizzazione all'estero di imprese italiane come: Monefibre SpA, che nel 2009 mette in cassa integrazione 290 dipendenti e ne licenzia 10, mentre la Simest partecipa con 2 milioni di euro all'apertura di uno stabilimento in Cina; Marcegaglia spa, 134 dipendenti in mobilità nel 2013 e un contributo di 32 milioni di euro da Simest per stabilimenti in Russia, Brasile e Cina; Ducati energia che dal 2005-2009 avrebbe mandato in cassa integrazione 95 dipendenti ed avrebbe ricevuto una partecipazione Simest di 6 milioni di euro per investimenti in Croazia e Italia;
   a parere degli interpellanti, la Simest dovrebbe seguire specifici criteri nell'investimento e non supportare con fondi pubblici aziende in crisi;
   sarebbe opportuno rendere pubblici i beneficiari dei finanziamenti delle società Simest e Sace –:
   quali siano le imprese beneficiarie dei finanziamenti di Simest e Sace negli ultimi dieci anni, specificando il dato in modo puntuale e non aggregato;
   quali siano i processi decisionali che attivano le linee di credito a favore delle società e, in particolare, con quali garanzie e a seguito di quale tipo di indagine su dati finanziari e industriali.
(2-01439) «Crippa, Vallascas, Cancelleri, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Cecconi».

Interrogazioni a risposta immediata:


   PALLADINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   all'indomani della notoria crisi del 2003, che ha interessato le economie globali e che tuttora interessa l'economia italiana, ed in modo ancora più pesante la regione Campania, sono state adottate diverse misure per aiutare le imprese con provvedimenti legislativi tesi ad evitare il «default»;
   il legislatore italiano, anche per adeguarsi alle raccomandazioni della Commissione europea, ha emanato diversi provvedimenti nel corso degli ultimi anni al fine di aiutare le imprese virtuose in crisi, evitando, per quanto possibile, il fallimento e, quindi, agevolando la conservazione, in primis, dei livelli occupazionali;
   al fine di dare un significativo contributo dello Stato, quasi sempre il principale creditore delle imprese ed a volte il principale attore della causa della crisi (cattivo pagatore dei propri debiti e, nel contempo, creditore per l'applicazione di imposte e gravose sanzioni, interessi, more ed aggi esattoriali), sono state apportate significative variazioni con la riforma del diritto fallimentare;
   con l'istituto della transazione fiscale e previdenziale, disciplinato dall'articolo 182-ter della legge fallimentare, si è reso disponibile il credito fiscale e previdenziale, nel senso che il creditore Stato, alla stregua degli altri creditori, può transigere il proprio credito, ove ne ricorrano i presupposti di legge, al fine di salvaguardare i fattori produttivi, tra cui si ribadisce un ruolo significativo assume la forza lavoro;
   anche le circolari emanate dalla direzione centrale normativa dell'Agenzia delle entrate (circolare n. 40/E del 18 aprile 2008, risoluzione n. 3/E del 5 gennaio 2009, circolare n. 14/E del 10 aprile 2009 e circolare n. 19/E del 6 maggio 2015) impartiscono agli uffici periferici disposizioni al fine di agevolare le aziende nel ricorso a tale istituto transattivo;
   non di meno non si può non tenere in debita considerazione la raccomandazione n. 2014/135/UE del 12 marzo 2014 della Commissione europea «su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza» che invita gli Stati membri a favorire ed agevolare le aziende in crisi nel ricorso degli strumenti agevolativi per evitare il «default»;
   la Commissione europea, con la raccomandazione del 12 marzo 2014 «su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza», ha inteso garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell'Unione europea, l'accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l'insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l'economia in generale. Un altro obiettivo è dare una seconda opportunità in tutta l'Unione europea agli imprenditori onesti che falliscono;
   la raccomandazione ha il duplice obiettivo di: «incoraggiare gli Stati membri a istituire un quadro giuridico che consenta la ristrutturazione efficace delle imprese sane in difficoltà finanziaria e di dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti, promuovendo l'imprenditoria, gli investimenti e l'occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno. Riducendo tali ostacoli, la raccomandazione mira in particolare a»:
    a) diminuire i costi della valutazione dei rischi connessi agli investimenti in un altro Stato membro;
    b) aumentare i tassi di recupero del credito;
    c) eliminare le difficoltà di ristrutturazione dei gruppi transfrontalieri di imprese;

   fatte queste doverose premesse si ritiene necessario, ad ogni buon fine, far presente che la direzione regionale dell'Agenzia delle entrate della Campania fino a dicembre 2014 ha sottoscritto numerose transazioni fiscali, salvando migliaia di posti di lavoro; successivamente, a quanto risulta all'interrogante, non sono stati più concessi nulla osta per la stipula di accordi transattivi, pur avendo le direzioni provinciali di competenza espresso parere favorevole, contravvenendo espressamente alle disposizioni impartite dalla direzione centrale dell'Agenzia delle entrate;
   a fronte di numerose richieste di transazioni fiscali, trasmesse con parere favorevole dalle direzioni provinciali e giacenti da oltre due anni presso la direzione regionale della Campania, in molti casi non sarebbe stato ancora espresso il parere o, per quelli espressi, sarebbero state rigettate le proposte transattive –:
   quali siano le ragioni del diniego delle proposte di transazioni fiscali per le imprese in Campania dal 2014 in poi e quali urgenti iniziative intenda porre in essere, ove ricorrano i requisiti di legge, per accordare le transazioni fiscali alle imprese campane che ne hanno fatto richiesta, evitando in tal modo che venga a crearsi una sorta di concorrenza sleale da parte di aziende ubicate in altre regioni, alle quali, a parità di condizioni, dette transazioni fiscali vengono concesse.
(3-02422)


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sembra confermata l'esclusione, nel programma dell'amministrazione capitolina del MoVimento 5 Stelle, della corsa di Roma per aggiudicarsi i giochi olimpici del 2024;
   già durante la campagna elettorale la neo sindaca Virginia Raggi aveva ripetutamente dichiarato che le olimpiadi per Roma non costituivano una priorità ed ora non c’è alcun accenno a tale candidatura nelle linee programmatiche approvate giovedì 21 luglio 2016 dalla giunta capitolina;
   per tale candidatura il Governo aveva già stanziato 2 milioni di euro nel 2016 ed ulteriori 8 milioni di euro previsti per il 2017, risorse che a questo punto, secondo gli interroganti, non trovano più ragione d'essere, come peraltro non trova più motivo di esistere il comitato di promozione capitanato dal duo Montezemolo-Malagò;
   il timore, quasi certezza, è che siano stati investiti milioni di euro per sponsorizzare una candidatura inesistente, soldi dei contribuenti sottratti a finalità ben più urgenti, come l'abbattimento del cuneo fiscale, l'aumento delle pensioni minime, la salvaguardia degli esodati ancora esclusi ed altro;
   la Lega Nord ha già in passato denunciato la fumosa gestione dei primi fondi stanziati dal Governo per la promozione di «Roma 2024», in mancanza di chiarezza sugli interventi che si intendevano porre in essere e di un'attenta valutazione della fattibilità e sostenibilità economico-finanziaria dei costi di realizzazione delle strutture necessarie –:
   se il Governo non ritenga di stornare le risorse di cui in premessa, sottraendole al Comitato olimpico Roma 2024, e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare per far luce sulle modalità e sulle finalità di spesa dei soldi finora utilizzati dai vertici del comitato promotore, quale atto di trasparenza doveroso nei confronti dei cittadini contribuenti. (3-02423)


   PAGLIA, SCOTTO, FASSINA, MARCON, MELILLA, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, AIRAUDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARTELLI, NICCHI, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la data cruciale di venerdì 29 luglio 2016, entro la quale l'Eba e l'organismo di vigilanza della Banca centrale europea si pronunceranno sull'esito degli stress test condotti sui maggiori 53 gruppi bancari europei e finalizzati ad offrire una visione prospettica della capacità degli stessi di assorbimento degli shock in condizioni di stress, è ormai alle porte;
   l'esito dei suddetti test potrebbe chiamare in causa per vari aspetti la normativa sui salvataggi bancari e cioè la direttiva 2014/59/UE (Bank recovery and resolution directive – BRRD), il cui recepimento nell'ordinamento giuridico italiano è stato affidato ai decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015;
   il dibattito relativo alle norme che hanno recepito la suddetta direttiva comunitaria (meglio nota come bail-in) si è negli ultimi tempi progressivamente spostato dal piano meramente tecnico-finanziario a quello più prettamente giuridico-costituzionale, anche al fine di verificarne la loro compatibilità con i principi fondanti dell'ordinamento giuridico del nostro Paese;
   la disciplina dettata dalla direttiva, che fa parte dell'ampio complesso normativo che regola la Banking Union, si inscrive nell'ambito di un profondo ripensamento dell'assetto regolamentare del sistema finanziario volto ad orientare la vigilanza verso obiettivi macro-prudenziali di gestione del rischio sistemico, attraverso l'introduzione di un regime armonizzato per la gestione delle crisi bancarie finalizzato al tempestivo fronteggiamento dei dissesti, al fine di garantire la continuità delle funzioni essenziali degli istituti di credito e delle imprese d'investimento;
   la direttiva, spezzando quel legame intercorso fino ad oggi fra rischio bancario e rischio sovrano e riallocando i rischi dal settore pubblico al settore privato, stabilisce che, a partire dal 1o gennaio 2016, gli Stati membri possano ricapitalizzare una banca in crisi solo previa condivisione dei relativi oneri da parte degli azionisti, degli obbligazionisti, nonché dei titolari di depositi non protetti dal vigente sistema di garanzia, e quindi di importo superiore a 100.000 euro (cosiddetto bail-in, dall'inglese «cauzione interna»). Da ciò ne deriva l'esigenza di assicurare il contemperamento tra l'esigenza di stabilità del sistema creditizio e la doverosa tutela del risparmio;
   secondo una gerarchia prestabilita si procede, nei riguardi degli azionisti e dei possessori di obbligazioni emesse dalla banca, con la riduzione del valore delle loro azioni od obbligazioni, correlata con l'azzeramento del capitale e, successivamente, con la conversione delle stesse in nuove azioni, che, dopo aver assorbito le perdite, dovrebbero assicurare un'adeguata ricapitalizzazione dell'istituto in crisi che sia sufficiente a mantenere la fiducia del mercato e quindi a far riprendere la sua attività. In caso di insufficienza delle predette operazioni, si fa ricorso ai depositi di importo superiore a 100.000 euro, destinando gli importi eccedenti tale limite all'assorbimento delle perdite residue e quindi al capitale (ora costituito da vecchi e nuovi azionisti), dopo aver spossessato i titolari dei depositi;
   invero, risulta a giudizio degli interroganti poco ragionevole e di dubbia legittimità costituzionale l'applicazione retroattiva di misure in peius per i clienti ed i risparmiatori della banca (peraltro gli stessi soggetti sui quali si fondano i presupposti di prosperità economica del nostro Paese ed i cui risparmi costituiscono la principale provvista del sistema creditizio), i quali dovranno farsi carico di passività emesse antecedentemente rispetto al momento in cui hanno maturato il proprio risparmio ovvero abbiano sottoscritto strumenti finanziari, utilizzati dal nuovo sistema per gestire e risolvere le crisi. Di contro, per il principio di irretroattività della legge sancito dall'articolo 11 delle cosiddette preleggi, una nuova legge non può modificare quei poteri sorti da un fatto acquisitivo valido per la legge precedente; essa è ammessa dall'impianto costituzionale italiano solo in campo penale e solo se introduce un favor rei (ossia un vantaggio per il colpevole);
   il coinvolgimento nelle crisi bancarie di obbligazionisti e depositanti presuppone, inoltre, che gli stessi possiedano una cultura finanziaria in grado di comprendere appieno l'affidabilità di una banca, la sua solidità, il reale livello di rischio dei titoli che emette, tutti presupposti che dovrebbero assicurare loro di poter disporre sempre e comunque del denaro che le affidano;
   l'origine di questa soluzione di salvataggio, sorta in ambiti e circostanze distanti dalle realtà bancarie, finanziarie e giuridiche dei singoli Stati e risultato di una costante pressione esercitata a livello legislativo dalle istituzioni comunitarie e che tende alla costruzione di un corpus iuris europeo, costituisce l'ennesimo esempio di come, in questi anni, numerose fattispecie e configurazioni astratte abbiano assunto una fattispecie regolamentare vincolante per i Paesi membri che spesso genera non pochi e prevedibili conflitti normativi tra le norme comunitarie ed i principi costituzionali degli ordinamenti giuridici «domestici»;
   con riferimento ai suddetti decreti legislativi n. 180 e n. 181 del 16 novembre 2015, si appalesano aspetti più che sufficienti per ipotizzare, come peraltro evidenziato sin dalla loro entrata in vigore dalle censure di esimi giuristi, magistrati e perfino della stessa Abi, la violazione di alcuni disposizioni costituzionali, prima fra tutte l'articolo 47, laddove si affida alla Repubblica l'incoraggiamento e la tutela il risparmio in tutte le sue forme e la disciplina, il coordinamento ed il controllo dell'esercizio del credito. È infatti più che manifesta l'incostituzionalità di una norma che imponendo, ai possessori di azioni o di obbligazioni non rischiose, la conversione forzosa in azioni di minor valore ed un prelievo forzoso senza contropartita a tutti i titolari di conti di deposito che superano l'importo di 100.000 euro (limite, peraltro, riducibile dal legislatore comunitario), di fatto non incoraggia, né tutela il risparmio;
   così come è palese a giudizio degli interroganti che la norma a carico dei depositanti viola anche l'articolo 3 della Costituzione, poiché riserva a questi una disparità di trattamento rispetto agli azionisti ed agli obbligazionisti, ai quali, sia pure in perdita, viene riconosciuta una contropartita;
   altrettanto può dirsi con riferimento al vero e proprio esproprio in danno dei risparmiatori, senza che venga garantita una qualche forma di indennizzo futuro e non motivato da un interesse generale, quanto piuttosto al dichiarato fine di soccorrere specifici soggetti privati (le banche), e per questo a parere degli interroganti in stridente contrasto con l'articolo 42 della Costituzione, in base al quale la proprietà privata può essere espropriata salvo indennizzo e solo per motivi di interesse generale;
   la disciplina del bail-in interviene direttamente nei rapporti fra privati (banche e risparmiatori) prevedendo modifiche in corsa delle condizioni contrattuali ed economiche alle quali sono stati sottoscritti i prodotti di investimento e di risparmio. Anche in questo caso risalta l'incompatibilità con un altro principio costituzionale, quello di cui all'articolo 41, che riconosce e protegge la libertà di iniziativa economica privata;
   l'articolo 17 del decreto legislativo n. 180 del 16 novembre 2015 stabilisce la possibilità di «ridurre o convertire» i diritti soggettivi in specie degli obbligazionisti e dei depositanti a fronte di un semplice «rischio» di dissesto di una banca, la cui sussistenza può essere rimandata ad una valutazione dell'autorità competente alla quale viene riconosciuto un arbitrario ed eccessivo margine di discrezionalità. Infatti, lo stesso articolo, al comma 2, lettera e), stabilisce che il rischio di dissesto può essere dedotto da «elementi oggettivi» che «indicherebbero» la possibilità del verificarsi alcune situazioni, le quali, a loro volta, manifesterebbero un rischio di dissesto. Ciò dimostra che l'affermazione a difesa del meccanismo, per cui in caso di dissesto obbligazionisti e depositanti avrebbero perso comunque i propri diritti, non ha valore giuridico: non è infatti il dissesto, ma il semplice «rischio» di dissesto a determinare l'attivazione di una procedura che viola la garanzia costituzionale del citato diritto di proprietà, entro cui, come insegna un consolidato indirizzo costituzionale, si riassume l'insieme dei diritti patrimoniali imputabili ad un soggetto privato;
   a pochi giorni dalla loro pubblicazione il 9 dicembre 2015, il dottor Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza della Banca d'Italia, nel corso di un'audizione parlamentare, affermava che il bail-in avrebbe potuto aumentare i rischi sistemici, minando la fiducia alla base dell'attività bancaria, trattandosi in realtà, come lo stesso lo ha definito, di «un mero trasferimento dei costi della crisi dalla più vasta platea dei contribuenti ad una categoria di soggetti non meno meritevoli di tutela – piccoli risparmiatori, pensionati ed altri – che in via diretta o indiretta hanno investito in passività delle banche». Lo stesso Barbagallo ha poi rivelato come anche la Banca d'Italia avesse chiesto, in sede di trattativa europea sulla direttiva 2014/59/UE (Bank recovery and resolution directive – BRRD), che fossero introdotte due condizioni, poi non accolte dal Governo in sede di emanazione dei relativi decreti attuativi, riguardanti:
    a) «un approccio alternativo al bail-in, in base al quale si sarebbero potute imporre perdite ai creditori solo in presenza di apposite clausole contrattuali di subordinazione»;
    b) il rinvio dell'applicazione del bail-in al 2018, «così da consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro, quindi con maggiore consapevolezza dei nuovi rischi assunti»;
   simili considerazioni erano, quindi, già in possesso del Governo che, in maniera frettolosa ed avventata, ha comunque deciso di procedere con l'emanazione del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, poi recepito dalla legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi 842 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208), con cui sono state applicate in Italia le nuove regole europee per il salvataggio bancario e contestualmente recepite con il suddetto decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
   analoghe riserve venivano manifestate qualche giorno più tardi, nel mese di gennaio 2016, dal Governatore della Banca d'Italia, dottor Ignazio Visco, che nel corso di un intervento tenuto al congresso del Forex di Torino, ha precisato di aver chiesto invano al Governo, in sede di definizione della norma, di non applicarla retroattivamente ma solo dopo un «passaggio graduale e meno traumatico» e nello stesso contesto ha poi lanciato un appello ai rappresentanti italiani affinché sollecitino in sede europea l'opportunità di avvalersi con largo anticipo della clausola contenuta nella stessa direttiva all'articolo 129, che ne prevede la rivedibilità entro giugno del 2018 (senza, peraltro, escluderla anche prima di tale termine), perché preoccupato da un'applicazione immediata e retroattiva dei meccanismi di salvataggio che avrebbe potuto comportare, oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia, anche rischi per la stabilità finanziaria, anche in relazione al trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritto anni addietro;
   pur se il processo di adeguamento del diritto italiano alle norme comunitarie, caratterizzato dalla continua ricerca di un equilibrio dinamico, è inevitabile, anche alla luce del combinato disposto degli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione, questo non può esimersi da una necessaria ed efficace valutazione delle stesse norme rispetto a quei principi fondanti su cui si è modellato per oltre sessant'anni l'ordinamento giuridico del nostro Paese. Pertanto, se l'adattamento del diritto interno alle previsioni comunitarie appare, sulla base di cessioni di sovranità, un fenomeno difficilmente eludibile, è anche vero che tale processo di transfer normativo merita di essere sempre valutato alla luce e sulla base dei richiamati principi;
   le normative europee ed internazionali devono essere sempre e comunque compatibili con i principi costituzionali, nonché con tutte le altre norme che di detti principi costituiscono diretta promanazione, principi fondamentali che, tra l'altro, rappresentando indiscutibilmente gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell'ordinamento costituzionale, in quanto tali, si sottraggono a qualsiasi revisione. Tale limite è stato più volte ribadito dalla Corte costituzionale che a più riprese (si confronti la sentenza n. 238 del 2014) ha sancito che i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili della persona costituiscono un limite esplicito ed implicito all'ingresso delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l'ordinamento giuridico italiano si conforma ex articolo 10, primo comma, della Costituzione (si confrontino ex multis le sentenze della Corte costituzionale n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001), operando, addirittura, quali controlimiti all'ingresso delle norme dell'Unione europea (si confrontino ex plurimis le sentenze della Corte costituzionale n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991 e n. 284 del 2007);
   ad abundantiam si può sottolineare che la normativa del salvataggio interno di cui alla direttiva, oltre che a giudizio degli interroganti costituzionalmente illegittima, per quanto sin qui evidenziato, appare altresì in contrasto con l'articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sostanzialmente replica quanto previsto in tema di diritto di proprietà dal sopra citato articolo 42 della Costituzione italiana, con l'articolo 1 del protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo che ha vincolato il legislatore italiano ad ampliare in maniera esponenziale e significativa il livello di tutela del diritto di proprietà assicurando, nella materia ablativa, al soggetto inciso che l'indennizzo riconosciuto dall'ordinamento interno non vada a sostanziarsi come meramente figurativo, bensì quale ineludibile paradigma di riferimento per il sacrificio imposto e, pertanto, ragguagliato al valore venale di mercato, ed infine con l'articolo 345 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea laddove dispone che: «I Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri»;
   da tutto ciò ne deriva che qualsiasi intervento normativo o amministrativo, che miri a degradare un diritto soggettivo ad un mero interesse legittimo, trova sempre un limite invalicabile nei principi fondamentali della Costituzione e in quelli dell'Unione europea, nonché dei trattati internazionali, come la Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   giova in conclusione si possono riportare le eloquenti parole del dottor Claudio De Rose, presidente onorario e procuratore generale emerito della Corte dei conti, per il quale «è sicuramente errato e sommamente ingiusto lasciare ora il sistema bancario nel suo complesso del tutto immune da obblighi od oneri nei riguardi delle singole banche e soprattutto nei riguardi di chi, come ad esempio i depositanti, non hanno alcuna colpa di quanto accaduto ed hanno avuto solo la sfortuna di avere aperto un conto corrente presso una banca, più sregolata o meno scaltra di altre, oppure meno protetta dal sistema»;
   dopo quanto premesso è lecito domandarsi a quali condizioni sia legittimo scaricare il soddisfacimento di un interesse riconducibile ad una tipologia d'impresa, pur se funzionale all'economia, su inconsapevoli correntisti che in forza del bail-in si vedono trattati come investitori chiamati a partecipare al rischio d'impresa di una banca a cui hanno avuto la sfortuna di affidare i loro risparmi;
   quello che appare agli interroganti un così stridente e profondo vulnus alla Costituzione dovrebbe indurre il Governo a proporre in sede europea l'anticipata revisione della direttiva unita ad una profonda riforma del sistema bancario che lo riconduca alla sua originaria e preminente funzione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali –:
   se il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga di dover adottare le iniziative di competenza al fine di sospendere nel nostro Paese la vigenza delle norme sul cosiddetto bail-in, soprattutto in caso di rischio di impatto sistemico legato all'avvio della procedura, come nell'ipotesi di stress test negativi su un grande gruppo bancario, e di dover sollecitare un confronto in sede europea che anticipi la revisione del meccanismo sensibilmente rispetto ai termini previsti dall'articolo 129 della direttiva 2014/59/UE (Bank recovery and resolution directive).
(3-02424)


   BRUNETTA e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a parere degli interroganti la pessima impostazione della politica economica del Governo Renzi si mostra in tutta la sua evidenza attraverso la lettura dei numeri, che, impietosi, certificano gli errori di quanto previsto nel documento di economia e finanza presentato ad aprile 2016;
   nel documento di economia e finanza la crescita reale del prodotto interno lordo nel 2016 è stata stimata dall'Esecutivo all'1,2 per cento quando tutti gli outlook sul nostro Paese dicevano che sarebbe arrivata a stento all'1 per cento. Allo stesso modo, è stato inserito un tasso di inflazione dell'1 per cento, quando al massimo sarà poco più di zero (l'acquisito a giugno 2016 è –0,2 per cento);
   oggi la situazione può solo peggiorare, con la crescita nominale (quella che conta ai fini del rispetto dei parametri di Maastricht, data da crescita reale più inflazione) che a fine anno finirà per essere meno della metà rispetto a quella prevista dal Governo ad aprile 2016 (meno dell'1 per cento a fronte del 2,2 per cento previsto ad aprile 2016);
   per non parlare delle precedenti previsioni di ottobre 2015, quando l'Esecutivo aveva stimato una crescita del prodotto interno lordo dell'1,6 per cento a cui si aggiungeva un'inflazione all'1 per cento, quindi una crescita nominale del 2,6 per cento: i numeri, a parere degli interroganti, dimostrano dunque che i conti pubblici sono sempre stati «gonfiati», con tutta evidenza con l'obiettivo di giustificare una politica di spesa volta semplicemente ad acquisire facile consenso;
   servirà, quindi, una manovra correttiva da 30-40 miliardi di euro per coprire il buco della minor crescita (almeno 16 miliardi di euro, senza considerare l'effetto Brexit), sterilizzare le clausole di salvaguardia (15 miliardi di euro, per evitare l'aumento dell'iva) e finanziare le cosiddette «spese indifferibili» come le missioni internazionali e le risorse per gli ammortizzatori sociali (altri 10 miliardi di euro circa);
   per non parlare della situazione del sistema bancario italiano: gli stress test della Banca centrale europea, che saranno pubblicati il 29 luglio 2016, potrebbero portare l'intero sistema al collasso, con un giudizio negativo soprattutto su Monte dei paschi di Siena;
   in tema di banche, in particolare, la stampa dei giorni scorsi ha riportato dichiarazioni di autorevoli esponenti della stessa maggioranza, parimenti critiche nei confronti dell'operato del Governo e, nello specifico, del Ministro interrogato, giudicato inadeguato;
   davanti alla situazione che vive il sistema bancario, è infatti inaccettabile continuare a ripetere che il sistema bancario è solido come emerge anche da alcune di tali dichiarazioni: «tutti quelli che da mesi lo ripetono, andrebbero messi tra gli ignavi. È solido il risparmio degli italiani, è basso il debito privato, ma le aziende sono in crisi e le banche sono aziende. Su questo tema non ho trovato un Ministero dell'economia e delle finanze all'altezza della sfida. Mi dispiace dirlo, ma (...) di fronte all'ennesimo “vorrei ma non posso” non si può più tacere»;
   non si può tacere, e non si può voltare la testa dall'altra parte, soprattutto se le vittime delle politiche scellerate dell'Esecutivo sono il sistema bancario italiano, i correntisti e i piccoli risparmiatori italiani. Negli ultimi 18 mesi si sono susseguiti quattro decreti sulle banche inutili e dannosi, per non parlare dell'atteggiamento tenuto sulla vicenda del Monte dei paschi di Siena e della «soluzione di mercato» per l'aumento di capitale. Se va male «paga lo Stato, senza neanche sapere se funzionerà». L'unica certezza dell'operazione è che Jp Morgan, che la organizza, ci guadagnerà 80-100 milioni di euro in ogni caso; questo dato è significativo, e non va sottovalutato alla luce di quanto accaduto non molto tempo fa in Grecia, dove la Goldman sachs con una mano faceva l’advisor del Governo greco per il debito e con l'altra invitava i clienti a vendere –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intende intraprendere per superare le criticità esposte in premessa, con specifico riferimento alla drammatica situazione del sistema bancario, in particolare alla luce dei prossimi risultati degli stress test, e se, a tal proposito, intenda procedere attraverso un’«operazione verità» direttamente in Parlamento, riferendo in maniera puntuale sulla grave crisi in atto, per ricercare una soluzione condivisa ad un problema che coinvolge l'intero Paese. (3-02425)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lunedì 25 luglio 2016 il titolo di Monte dei paschi di Siena ha chiuso in ribasso di oltre l'8 per cento, attestandosi su un valore vicino al minimo storico registrato appena tre settimane fa, e la sua capitalizzazione è tornata a scendere sotto il miliardo di euro;
   il nervosismo dei mercati rispetto al titolo dell'istituto bancario senese, che non si è riusciti a contenere neanche con le adottate misure antispeculazione, è il segno più evidente del fatto che l'istituto è quello più a rischio tra gli oltre cinquanta esaminati dall'Autorità bancaria europea e dei quali venerdì 29 luglio 2016 verranno pubblicati i risultati degli stress test;
   la Banca centrale europea ha chiesto alla direzione della banca di intervenire con urgenza per liberare il bilancio da una prima tranche di sofferenze, pari a circa dieci miliardi di euro, ma i crediti deteriorati nel portafoglio di Monte dei paschi di Siena ammontano in totale a ben 27 miliardi di euro;
   appena cinque anni fa, tra il 2011 e il 2012, la cattiva gestione del Monte dei paschi di Siena, culminata in due inchieste penali, aveva già determinato la necessità di un intervento di salvataggio, costato allo Stato ben 4 miliardi di euro;
   questa volta l'entrata in vigore della normativa sul bail-in rende impossibile un aiuto di Stato e si procederà molto probabilmente al «sacrificio» degli investitori subordinati, che perderebbero i loro crediti;
   le risultanze degli stress test previste per venerdì 29 luglio 2016 saranno utilizzate per fissare a fine anno l'asticella di capitale minimo che ciascuna banca dovrà avere a partire dal 2017 e metteranno in luce la necessità urgente di procedere a una ricapitalizzazione di Monte dei paschi di Siena –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere rispetto alla grave, ennesima, crisi dell'istituto bancario di cui in premessa. (3-02426)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FALCONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 9 luglio 2016 il Corriere della Sera ha anticipato in un articolo l'intenzione del gruppo Amazon ad acquistare tre centrali in dismissione dell'Enel per un totale di 300 megawatt di potenza;
   l'obiettivo del gruppo americano, secondo quanto riferito dalla stampa, è costruire delle « server farm» che possano fare da base, non solo per l'Italia, per l'appetibile business del cloud pubblico; è noto, infatti, che un'azienda di medie dimensioni che abbia il core business in Rete può arrivare a spendere milioni di euro l'anno per acquistare il servizio del cloud;
   l'amministratore delegato di Enel ha confermato, nei giorni successivi, che la trattativa è in corso e che riguarda gli impianti che fa o parte del progetto della società di riqualificazione di ex siti, chiamato Futur-E; l'Enel ha 23 centrali in cessione sul territorio nazionale;
   sarebbero almeno tre i siti che Amazon vorrebbe acquistare per farne delle « server farm», tutti ubicati in Piemonte. In particolar modo quello di Trino Vercellese adiacente al territorio novarese, territorio nel quale la stessa Amazon ad inizio anno ha manifestato la volontà di insediare un nuovo, moderno e tecnologico centro di logistica;
   sul sito di Montalto di Castro, forse il più noto dei vecchi insediamenti Enel, esisterebbero dei dubbi da parte di Amazon connessi soprattutto alle dimensioni del sito, risultato troppo grande e complesso per il progetto. Tuttavia sembrerebbe esistere un interesse al sito da parte di Apple che, pur non lavorando con le aziende, vende iCloud ai propri clienti;
   il valore dell'operazione è rilevante e l'investimento complessivo si configura come uno dei più importanti fatti da Amazon sul continente europeo. Le fattorie dei server servono ad Amazon per aggredire il mercato del cloud pubblico aziendale tanto che la notizia ha messo in agitazione gli altri fornitori di servizi di cloud;
   si ipotizza, in un secondo momento, anche una joint venture con l'Enel, sia per l'eventuale gestione dell'energia – i server sono notoriamente energivori –, sia per la fornitura dell'infrastruttura di banda ultralarga con Enel Open Fiber: una gestione dei dati con una rete propria avrebbe vantaggi non tanto di costo, quanto di sicurezza, un tema fondamentale per le aziende che si devono fidare della gestione in outsourcing del proprio tesoro di informazioni;
   questa iniziativa pubblico-privata avrà un più ampio impatto positivo sul territorio se inserita nel «Protocollo di intesa per l'attuazione delle iniziative strategiche del sistema logistico del Nord-ovest» già sottoscritto a Novara il 9 aprile 2016 tra il Governo e le regioni Piemonte, Lombardia e Liguria –:
   quali siano le info azioni in possesso dei Ministri interrogati sull'eventuale acquisizione da parte di Amazon di centrali di Enel in cessione da destinare a server farm;
   se corrisponda al vero che, in particolare, Amazon sia interessata ai tre siti che Enel intende cedere in Piemonte;
   di quali elementi dispongono circa le garanzie che Enel intenderebbe fornire ai lavoratori dei siti eventualmente ceduti. (5-09263)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata:


   LUPI, CALABRÒ e BINETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 luglio 2016, sul sito web de Il Corriere della Sera, è stato pubblicato un reportage riguardante gli appuntamenti che l'amministratore delegato della società Extraordinary conceptions (presunta azienda americana specializzata in maternità surrogata) ha organizzato a Roma con coppie italiane intenzionate ad avere un figlio, avvalendosi, appunto, della cosiddetta «maternità surrogata» dietro pagamento di una somma stabilita;
   l'appuntamento organizzato a Roma, presso un albergo di lusso, sarebbe stato seguito da altri a Firenze e a Milano: incontri che, fortunatamente, sono stati cancellati a seguito dell'invio dei nuclei antisofisticazione da parte del Ministro della salute Lorenzin;
   la pubblicità degli incontri organizzati dalla presunta società americana, con la quale venivano invitati gli aspiranti genitori, è stata effettuata attraverso vari canali ma, soprattutto, utilizzando siti internet (alcuni dei quali si occupano di sanità: si prenda, ad esempio, l'articolo pubblicato sul sito AdnKronos «Salute e benessere» in data 25 maggio 2016; su tale sito, si leggono non solo le date fissate a Roma, Firenze e Milano – date che vanno dal 1o al 7 giugno 2016 –, ma anche l'intero tour europeo che tocca le città di Ginevra, Zurigo e Barcellona);
   sempre sullo stesso sito, si legge come la società Extraordinary conceptions sia un'agenzia leader nel campo della maternità surrogata e della donazione di ovuli, con sede in California, rivolta a persone singole, coppie, sia etero che omosessuali, le quali possono fare affidamento sugli Stati Uniti grazie alla legislazione in materia in vigore negli Stati favorevoli alla maternità surrogata;
   attiva da 11 anni, la Extraordinary conceptions conterebbe su ben 2.000 giovani donne tra Usa e Canada e su un range che va da cento ad oltre duecentocinquanta richieste al mese;
   si forniscono, inoltre, informazioni su come i singoli e le coppie torneranno nei loro Paesi di origine con un bambino dotato di passaporto americano recante i nomi dei nuovi genitori;
   dal reportage de Il Corriere della Sera si apprende, inoltre, come in Italia l'amministratore delegato della presunta società possa avvalersi della collaborazione di due avvocati per la stesura del contratto, all'interno del quale è possibile inserire qualsiasi tipo di richiesta da parte del committente;
   durante la gravidanza la madre surrogata non verrà mai in contatto con il singolo o la coppia desiderosa di avere un figlio: si precisa, inoltre, che il neonato, al compimento dei diciotto anni, potrà chiedere di incontrare la madre surrogata;
   in Italia, il tipo di incontro avvenuto a Roma e che la società Extraordinary conceptions organizza in altre parti del nostro Paese e nel mondo intero è vietato dalla legge n. 40 del 2004, secondo la quale: «Chiunque realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 ad un milione di euro» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di impedire che questi ed ulteriori, illegali incontri (sui quali sarebbe anche opportuno indagare al fine di verificare le varie responsabilità, ricostruendo il percorso stesso relativo all'utilizzo di canali che pubblicizzano questa sconcertante, illecita attività), che hanno come oggetto il ricorso alla maternità surrogata, possano nuovamente tenersi all'interno del nostro Paese.
(3-02421)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia spa fondata nel 1957 come istituto di credito a medio termine per il finanziamento di piccole e medie imprese della provincia di Udine, si è trasformata nel corso del tempo perdendo le specialità che ne avevano favorito la nascita fino a diventare banca ordinaria;
   la Banca, partecipata dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia, ha favorito lo sviluppo delle aziende ed è stata un punto di riferimento degli imprenditori e dei cittadini regionali in particolare nell'ambito dei finanziamenti erogati in virtù di leggi agevolative regionali, nazionali o comunitarie;
   tuttavia, a seguito dell'emergere di risultanze parzialmente sfavorevoli, nel settembre 2010 Banca d'Italia avviava una ispezione ai sensi delle disposizioni in materia bancaria e finanziaria;
   all'esito di tale ispezione, terminata nel novembre 2010, sono emersi rilievi ed osservazioni che richiedevano l'adozione di interventi correttivi. In particolare, l'ispezione rilevava:
    a) sotto il profilo del rischio strategico e sistemi di governo: protratte incertezze strategiche dell'azionista di riferimento (Finanziaria MC s.p.a. – regione Friuli Venezia Giulia) riguardanti anche la mission aziendale, che hanno condizionato l'azione di governance, risultata debole e poco reattiva in un contesto di mercato non favorevole;
    b) sotto il profilo del sistema dei controlli: un debole impianto dei controlli a causa della mancanza di una completa mappatura dei processi di lavoro e della non coerente collocazione organizzativa dei presidi, inidonea ad assicurare funzionalità efficace alle strutture incaricate;
    c) sotto il profilo del rischio di credito: una elevata esposizione al rischio di credito non correttamente segnalata all'organo di vigilanza a causa anche del consistente incremento di sofferenze dell'ultimo biennio (+ 280 per cento). Il processo creditizio risulta connotato da attività istruttorie non approfondite, dal trascurato monitoraggio di informazioni rilevanti, una ponderazione più favorevole ai finanziamenti erogati ai Consorzi di sviluppo industriale garantiti dalla Regione Friuli Venezia Giulia nonostante la vigilanza avesse già stigmatizzato tale pratica;
    d) sotto il profilo del rischio operativo: carenze regolamentari e disfunzioni nei controlli nell'area amministrativo-contabile che si sono riflesse sulla qualità delle segnalazioni inviate alla Vigilanza;
   l'autorità di vigilanza si riservava di effettuare ulteriori comunicazioni ed integrazioni all'esito degli accertamenti, nonché di promuovere eventuali provvedimenti ai sensi della vigente legislazione bancaria e finanziaria;
   in data 18 aprile 2011 il nucleo di polizia tributaria di Udine inoltrava al procuratore aggiunto Dottore Raffaele Tito della procura di Udine, il fascicolo contenente l'esito dell'attività d'indagine eseguita in merito all'attività ispettiva della Banca d'Italia nei confronti della Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia Spa;
   in tale fascicolo i militari rappresentavano che sebbene la relazione degli ispettori della banca d'Italia redatta al termine dell'attività di ispezione avesse evidenziato risultanze sfavorevoli tali da richiedere l'adozione di interventi correttivi, tale giudizio non tiene conto di un'altra serie di aspetti riguardanti il progetto di acquisto di Friulia-Lis Spa e successiva fusione per incorporazione in Mediocredito Friuli Venezia Giulia;
   secondo gli ispettori della Guardia di Finanza, l'operazione di acquisizione della partecipazione della società di leasing Friuli-Lis Spa da parte del Mediocredito Friuli Venezia Giulia è stata inserita, sulla carta, per rafforzare le sue dotazioni patrimoniali con un aumento di capitale a pagamento di 50 milioni di euro, ma in realtà l'operazione aveva lo scopo di consentire a Friulia spa, la finanziaria dalla regione Friuli Venezia, di monetizzare nell'immediato i crediti vantati nei confronti della Friulia-Lis spa (finanziamenti attivi per 20,9 milioni di euro ed estinzione di un mutuo di 20 milioni di euro acceso per consentire la distribuzione di riserve di utili della Friulia-Lis Spa);
   nel computo dell'esborso finanziario sostenuto dalla Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia spa vi è inoltre il valore di cessione della partecipazione della Friulia-Lis spa pari a 23,05 milioni di euro, un valore che la Guardia di finanza ritiene non aderente alla realtà fattuale. Ad avviso degli ispettori tale operazione è stata celata e non rilevata nel corso dell'ispezione dell'organo di vigilanza proprio per nasconderne gli effetti sull'adeguatezza patrimoniale della Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia spa e dei relativi indici di controllo;
   a conclusione della relazione il nucleo di polizia tributaria di Udine invitava la procura di Udine ad investire della problematica Banca d'Italia al fine di integrare le risultanze della prima ispezione con le risultanze dell'indagine della Guardia finanza per verificare l'esistenza di omissioni da parte dei responsabili della Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia spa nei rapporti con gli organi di vigilanza;
   si ricorda che l'articolo 97-bis del Testo unico bancario dispone che:
    «1. Il pubblico ministero che iscrive, ai sensi dell'articolo 55 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, nel registro delle notizie di reato un illecito amministrativo a carico di una banca ne da comunicazione alla Banca d'Italia e, con riguardo ai servizi di investimento, anche alla CONSOB. Nel corso del procedimento, ove il pubblico ministero ne faccia richiesta, vengono sentite la Banca d'Italia e, per i profili di competenza, anche la CONSOB, le quali hanno, in ogni caso, facoltà di presentare relazioni scritte.
  2. In ogni grado del giudizio di merito, prima della sentenza, il giudice dispone, anche d'ufficio, l'acquisizione dalla Banca d'Italia e dalla CONSOB, per i profili di specifica competenza, di aggiornate informazioni sulla situazione della banca, con particolare riguardo alla struttura organizzativa e di controllo....»;
   qualora la Banca d'Italia dovesse riscontrare quanto emerso dalle indagini si configurerebbe la fattispecie di reato, ascrivibile ai componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, di cui all'articolo 2638 comma 2, del codice civile (ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza) punibile con la reclusione da uno a quattro anni;
   il 26 maggio 2011 la Banca d'Italia comunicava al nucleo di polizia tributaria di Udine di aver avviate una procedura sanzionatoria amministrativa, ai sensi dell'articolo 145 del decreto legislativo n. 385 del 1993, in esito alle risultanze emerse nel corso degli accertamenti ispettivi;
   il 13 gennaio 2012 il pubblico ministero della procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine, Dottore Raffaele Tito, a cui il nucleo di polizia tributaria di Udine aveva inviato l'informativa sulle operazioni di fusione per incorporazione avviate dalla Banca Mediocredito del Friuli Venezia Giulia spa del 100 per cento delle azioni della Friulia-Lis spa, detenute dalla finanziaria regionale Friulia spa, e chiedeva al giudice per le indagini preliminari l'archiviazione del procedimento;
   in tale richiesta si evidenziava che tale operazione era stata il frutto di precise e manifeste scelte politiche del Governo regionale e che, sebbene la Guardia di finanza avesse sollevato profili di scarsa trasparenza e non veridicità dei dati contabili di quella operazione, la stessa era stata soggetta ad approvazione da parte di Banca d'Italia nel febbraio 2008;
   il procuratore Tito, inoltre, escludeva che vi fossero rilievi penali ex articolo 2638 cc rispetto alle necessarie e dovute comunicazioni da parte del Mediocredito del Friuli Venezia Giulia all'organo di vigilanza;
   rispetto alla rassegna stampa prodotta dalla Guardia di finanza e allegata all'informativa, il Dottore Tito, pur ritenendola interessante, la liquidava non ritenendo le perplessità esposte da diversi esponenti politici, elementi che offrissero profili penali, limitandosi a prospettare dubbi e mere opportunità e sperpero di denaro;
   fino al 2009 il Mediocredito è stato un gruppo performante con risultati reddituali in crescita che interveniva anche nel tessuto industriale del vicino Veneto, ma dal 2009 in poi gli utili sono scesi continuamente, facendo venire al pettine i nodi man mano che sono cresciute le sofferenze, le rettifiche di valore e gli accantonamenti per prestiti alle piccole e medie imprese finite in default;
   nel 2015 l'agenzia di rating Fitch ha downgradato Mediocredito da «BBB+» a «6», perché le limitazioni previste dalla direttiva europea e delle normative comunitarie in materia di aiuti di stato «possono condizionare il supporto fornito dalla Regione alla banca in un'eventuale situazione di stress severo»;
   a parere dell'interrogante, tutta l'operazione sembrerebbe aver goduto di una rete di protezione a livello regionale che avrebbe coperto e «silenziato» quanto emerso dall'informativa della Guardia di finanza e si ravviserebbero delle inquietanti analogie con quanto accaduto recentemente a Banca Etruria con la differenza che in questo caso si sono utilizzati fondi pubblici;
   non è del tutto chiaro se e quante operazioni di finanziamento realizzate da Mediocredito credito del Friuli Venezia Giulia abbiano interessato aziende che non presentavano alcuna capacità di rimborso in quanto si trattava di aziende in avanzato stato di crisi –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali ulteriori accertamenti, per quanto di competenza, intenda promuovere al riguardo, a tutela dei risparmiatori e delle imprese;
   se il Ministro della giustizia non ritenga di assumere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di Udine ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza;
   se non si intenda fare luce, per quanto di competenza, su quella che appare all'interrogante una rete di protezione che avrebbe tenuto sotto silenzio quanto emerso dall'informativa della Guardia di finanza, sulle motivazioni di tale comportamento nonché sulle eventuali responsabilità. (4-13927)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   FAUTTILLI. Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 18 luglio 2016 si è sviluppato un incendio, dovuto al rogo di sterpaglie, nei pressi della via Pontina a Roma, in particolare all'altezza di Castel Romano;
   l'incendio di cui sopra ha causato gravissimi disagi per coloro che si trovavano a passare sulla Pontina, con code e automobilisti fermi sotto il sole;
   la strada, infatti, è stata bloccata, ma troppo tardi per evitare le gravi conseguenze di cui si è detto;
   risulta all'interrogante, infatti, che l'emergenza fosse conclamata da ore, ma che non vi sia stata alcuna risposta tempestiva da parte di tutte le autorità competenti;
   non si è, infatti, provveduto ad una tempestiva chiusura della Pontina in entrambi i sensi di marcia, proprio per evitare che gli automobilisti continuassero ad imboccare un'arteria dalla quale era, di fatto, impossibile uscire;
   inoltre, i roghi che spesso si sviluppano intorno alla via Pontina sono un pericolo costante per la circolazione, dato che il fumo impedisce la visibilità, e sono un evento non certo raro;
   la Pontina resta una via estremamente pericolosa e necessita di continui interventi per la messa in sicurezza, oltre che per l'ordinaria manutenzione, per la manutenzione stagionale straordinaria –:
   quale siano le motivazioni della mancata attivazione delle procedure di emergenza di cui si è detto in premessa e, inoltre, se il Ministro interrogato possa chiarire, per quanto di propria competenza, la data di inizio dei lavori per la costruzione della nuova autostrada Roma-Latina. (3-02429)


   ANDREA MAESTRI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 5 aprile 2016, su richiesta dalle forze politiche d'opposizione, si è tenuta una seduta straordinaria del consiglio comunale di Ravenna per discutere del futuro del porto e per chiedere conto al sindaco delle modalità con cui, in data 2 marzo 2016, avesse saputo in anticipo, rispetto alla formale notifica del provvedimento ministeriale all'autorità interessata, dell'avvenuto commissariamento dell'ente portuale, dandone addirittura comunicazione alla stampa locale;
   nella stessa seduta il sindaco e il vicesindaco, alla presenza del commissario straordinario e del segretario generale dell'autorità portuale, hanno affermato che sarebbe intendimento del comune portare avanti un progetto di approfondimento sui fondali, che sono in corso di studio e mirato alla realizzazione di alcuni punti fondamentali, tra i quali l'utilizzazione, ai fini della collocazione dei materiali di dragaggio, delle aree di logistica 1 (di proprietà Sapir spa), di impianti di trattamento di futura realizzazione, di cave con caratteristiche compatibili, di altre aree di logistica portuale. A completamento dell'informativa il vicesindaco ha precisato che: «Fu chiesto alla Sapir, fin dal 1994, di sottrarre aree alla sua attività per destinarle alla realizzazione di casse di colmata, perché esse hanno da sempre rappresentato (e rappresentano tuttora) l'unica possibilità, a impatto limitato per il territorio, di garantire una destinazione ai materiali provenienti dai dragaggi e la possibilità per il porto di procedere ai dragaggi stessi»;
   nell'informativa venivano omesse le informazioni sulle inchieste in corso da parte della procura della Repubblica di Ravenna sulle casse di colmata su aree di proprietà Sapir spa (società a maggioranza pubblica) e sull'area di logistica 3, di proprietà della cooperativa muratori cementisti (Cmc) di Ravenna;
   da notizie pubblicate sulla stampa locale si è infatti appreso che, durante i primi mesi del 2015, la procura della Repubblica di Ravenna ha avviato un'inchiesta sulla situazione delle casse di colmata del porto di Ravenna, trasformate in vere e proprie «discariche abusive», le cui indagini preliminari sono state chiuse di recente. Allo stato attuale, risulterebbero indagati i vertici della Sapir spa, della Cmc di Ravenna spa e dell'autorità portuale di Ravenna. L'ipotesi di reato sarebbe quella di cui all'articolo 256 del decreto-legge n. 152 del 2006 (norme in materia ambientale), per avere realizzato un deposito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da fanghi di dragaggio all'interno delle casse di colmata esistenti nel porto di Ravenna su aree di proprietà della Sapir spa. In pratica, sarebbero stati depositati a più riprese negli anni, da quando esiste l'autorità portuale e fino al 2011, i materiali di dragaggio del porto attraverso le cosiddette «autorizzazioni R13», per la messa a riserva, in attesa del loro recupero, con bonifica dei siti utilizzati. Le autorizzazioni sarebbero poi scadute senza che si sia provveduto alla rimozione dei materiali;
   sempre da notizie ricavate dalla stampa locale, nelle ultime settimane, emergerebbe altresì che le suddette autorizzazioni R13 non sarebbero state corredate, alla data del loro rilascio da parte della provincia di Ravenna, delle garanzie prescritte dalla normativa in materia ambientale;
   durante una conferenza stampa del 23 dicembre 2015, l'allora presidente dell'autorità portuale Di Marco aveva pubblicamente fatto riferimento a soluzioni per cui le casse esistenti, anche in ragione dei provvedimenti assunti dall'autorità giudiziaria, non sarebbero più state utilizzate nell'ambito del progetto hub portuale di Ravenna, già approvato dal Cipe con deliberazione n. 98 del 29 ottobre 2012; di tale decisione erano state informate le strutture ministeriali competenti ed era inoltre stato annunciato che il Ministro interrogato era informato della situazione e che lo stesso, in ragione della conclamata necessità di rivedere i contenuti del progetto, aveva addirittura promosso la costituzione di un apposito tavolo tecnico al fine di superare le problematiche insorte. Inoltre, è stato rappresentato alla pubblica opinione che erano stati avviati i necessari contenziosi contro i proprietari delle autorizzazioni R13, tutte intestate alla Sapir spA ed alla Cmc di Ravenna;
   nel corso della stessa conferenza stampa, l'ingegner Di Marco aveva anche dato conto dell'onerosità, per l'autorità portuale, del sistema da anni utilizzato nel porto di Ravenna per il deposito dei materiali di dragaggio, implicante il pagamento di cospicui affitti (a prezzi di mercato) alla Sapir spa per la disponibilità di aree che, un tempo, appartenevano al demanio pubblico (e che, attraverso il conferimento dei beni da parte degli azionisti pubblici di Sapir, sono state, di fatto, privatizzate). Rappresentò la situazione paradossale dell'autorità portuale di Ravenna, unica in Europa a possedere solo banchine e non anche aree su cui realizzare casse di colmata o da dare in concessione a privati;
   anche in relazione alle indicazioni ricevute dalle strutture ministeriali e, poi, dal tavolo tecnico istituito dal Ministro interrogato presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti su richiesta degli enti locali e, in particolare, del sindaco di Ravenna (tutti azionisti della Sapir spa), l'autorità portuale aveva ipotizzato diverse soluzioni di rimodulazione del progetto hub portuale di Ravenna, prevedendo o la realizzazione di casse di colmata a mare, da localizzare all'interno delle dighe foranee, oppure la realizzazione di vasche di sedimentazione temporanee da localizzare in zona retroportuale (in conformità al piano regolatore portuale vigente) su aree di proprietà Sapir, da acquisire mediante esproprio, al fine di realizzare, successivamente, nuove infrastrutture portuali;
   l'autorità portuale di Ravenna, sotto la presidenza di Di Marco, ha dunque lavorato a diverse soluzioni di «rimodulazione» del progetto hub portuale di Ravenna, culminate poi nelle tre presentate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e rese pubbliche il 9 febbraio 2016, fornendone gli elaborati salienti anche alle competenti commissioni comunali ed ai consiglieri che ne avevano fatto richiesta. In tutte le soluzioni era previsto l'esproprio di alcune aree della Sapir spa;
   le istituzioni locali, che hanno sempre partecipato alle riunioni del comitato portuale e della conferenza di servizi, condividendo e approvando le posizioni assunte, sono state anche costantemente informate da Di Marco sull'esito dei confronti avuti con le strutture tecniche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché con il Consiglio superiore dei lavori pubblici sulle possibili soluzioni di rimodulazione del progetto hub;
   rimodulazione che, comunque, sarebbe dovuta essere oggetto di apposita conferenza di servizi con la partecipazione delle stesse amministrazioni e istituzioni presenti alla conferenza di servizi sul progetto preliminare poi approvato dal Cipe;
   tuttavia, il 21 ottobre 2015, dopo la riunione del comitato portuale, il sindaco di Ravenna, Fabrizio Matteucci, il presidente della provincia, Claudio Casadio, il presidente della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Ravenna, Natalino Gigante, e il consigliere regionale, Gianni Bessi, hanno dato alla stampa un comunicato nel quale delegittimavano il presidente Di Marco ed il progetto stesso di rimodulazione. La giunta ha ufficializzato durante la seduta della commissione consiliare del 5 novembre 2015 la sua contrarietà alla realizzazione delle «vasche a mare in avamporto», ovvero all'intervento rispetto al quale l'amministrazione comunale si era espressa con formale parere favorevole sia nell'ambito dell'apposita conferenza di servizi, sia in sede di comitato portuale;
   alla scadenza dell'incarico, intervenuta in data 2 marzo 2016, l'ingegner Di Marco non è stato confermato nel ruolo del presidente dell'autorità portuale, nonostante il fatto che, ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge n. 84 del 1994, sarebbe stata possibile la sua riconferma per una sola volta;
   in concomitanza con la scadenza dell'incarico dell'ingegner Di Marco, sempre il 2 marzo 2016, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 52, è stato nominato «commissario straordinario» dell'autorità portuale di Ravenna il contrammiraglio Giuseppe Meli, con incarico non superiore a mesi sei, con conferimento allo stesso dei «poteri e attribuzioni del presidente indicati dalla legge n. 84 del 1994, e successive modificazioni e integrazioni»;
   la nomina del commissario straordinario è arrivata sorprendendo l'intera comunità ravennate, dato che la riconferma dell'ingegner Di Marco era da tutti data per scontata poiché, nei tre mesi antecedenti la scadenza, non era stata attivata la procedura prevista dall'articolo 8, comma 1, della legge n. 84 del 1994, né era stato perfezionato alcun atto di intesa tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Emilia-Romagna. Al contempo, per effetto del contestuale atto di nomina del commissario straordinario, è stata pure negata l'operatività dell'istituto della prorogatio prevista dalla legge n. 444 del 1994, che viene di regola attivato per il tempo necessario a consentire il perfezionamento della procedura concertativa tra le parti interessate, al fine di garantire la continuità della gestione amministrativa di un ente. Il ricorso a tale legge avrebbe consentito la presenza di Di Marco come presidente non solo per i 45 giorni di prorogatio, ma in alternativa nel ruolo di commissario per un periodo di 6 mesi, così come avvenuto in altri porti italiani (Livorno, Piombino, Bari, Civitavecchia). Se i fatti fossero andati così, secondo gli interroganti, nei sei mesi di commissariamento il presidente Di Marco avrebbe potuto portare a termine il complesso lavoro di «rimodulazione» del progetto hub portuale di Ravenna, evidentemente osteggiato dagli enti locali, anche per la presenza di soluzioni progettuali incidenti sfavorevolmente sugli interessi di Sapir spa, di cui gli stessi enti risultano azionisti di maggioranza;
   interrogato sulla vicenda e sulle motivazioni che hanno portato alla sostituzione dell'ingegner Di Marco, il Ministro interrogato non ha mai dato risposte concrete né informali, né formali, ad esempio all'interrogazione a risposta scritta n. 4-12391 presentata dal primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo il 7 marzo 2016. Soltanto in una nota trasmissione televisiva (Otto e mezzo su La7) in data 8 aprile 2016 è stato rappresentato dal Ministro interrogato che «in alcuni porti, come Ravenna, si è cambiato il presidente uscente per l'eccessiva litigiosità con gli enti locali ed in particolare con il sindaco (...) io cerco di aiutare i sindaci (...)». Ora, al di là del fatto che, per gli interroganti, un Ministro della Repubblica dovrebbe rispondere in Parlamento e non in una trasmissione televisiva, ci si chiede se il Ministro interrogato sia mai entrato nel merito dei motivi di questa presunta litigiosità. E ci si chiede anche che cosa sarebbe successo se il comune di Ravenna fosse stato amministrato da un partito diverso dal Partito democratico, come, ad esempio, è avvenuto a Livorno dove il sindaco del MoVimento 5 Stelle, ingegner Filippo Nogarin, chiedeva la sostituzione del presidente uscente, dottor Luciano Gallanti, dopo aver fatto due mandati pieni al porto di Genova, ed il Ministro interrogato ha deciso di confermare come commissario straordinario proprio lo stesso Gallanti;
   nella complessa ed incerta situazione scaturita a seguito della mancata riconferma del presidente Di Marco, si è pure appreso, sempre dalla stampa locale, che, a seguito di una lettera formale inviata al sindaco di Ravenna da due consiglieri comunali del MoVimento 5 Stelle e della Federazione della Sinistra, la Sapir spa, a qualche settimana dalla scadenza del piano operativo comunale (cosiddetto poc logistica) del comune di Ravenna, avrebbe chiesto al comune stesso l'avvio della procedura di approvazione di piani urbanistici attuativi (riferiti alle aree Trattaroli destra e logistica 1), relativamente a localizzazioni già interessate dalla realizzazione del progetto hub portuale di Ravenna ed alcune delle quali sequestrate dalla procura della Repubblica di Ravenna;
   dalla documentazione fornita dal comune di Ravenna ai due consiglieri sopra citati si evince che l'autorità portuale di Ravenna, ora gestita dal commissario straordinario, contrammiraglio Giuseppe Meli, ha concesso formale attestazione di compatibilità tecnica in merito all'area Trattaroli destra, proprio quella sequestrata dalla procura, con ciò consentendo alla Sapir spa di poter presentare entro il termine del 30 marzo 2016 il piano urbanistico attivo relativo al comune di Ravenna;
   Sapir spa ha poi presentato al comune di Ravenna:
    a) in data 25 marzo 2016 il piano urbanistico attivo logistica 1, il cui procedimento prima era stato rigettato e poi sospeso proprio in presenza del vincolo preordinato all'esproprio apposto con l'approvazione del progetto preliminare dell’hub portuale di Ravenna da parte del Cipe;
    b) in data 29 marzo 2016, con allegato l'assenso suddetto dell'autorità portuale, il piano urbanistico attivo Trattaroli destra, in merito al quale il comune ha comunicato che gli «uffici stanno provvedendo alla pre-istruttoria entro i 60 giorni dalla presentazione ai sensi dell'articolo 16 delle norme del piano operativo comunale»;
   la Sapir motiva il suo intervento con il fatto che proprio l'autorità portuale, che aveva presentato al Cipe il progetto preliminare nel 2012, aveva previsto di realizzare un intervento (il nuovo terminal container) proprio nell'area Trattaroli destra e dichiara che l'intervento verrebbe realizzato ad una quota più alta (+4 metri sul livello del mare) della precedente (che era 3,50 metri sul livello del mare), il che consentirebbe il recupero del materiale già presente, mentre la quota del materiale in esubero verrebbe allontanata (presumibilmente verso la logical se il piano urbanistico attivo relativo a quest'ultima venisse autorizzato);
   sulla scorta di quanto sopra esposto, risulta agli interroganti equivoco il tempismo con il quale Sapir ha inoltrato la domanda, poiché sia il piano operativo comunale, sia il piano operativo comunale tematico logistica scadevano il 30 marzo 2016, data oltre la quale il comune non avrebbe più potuto accogliere domande o istanze relative al piano urbanistico attivo; per gli interroganti andrebbe inoltre valutato ciò alla luce del fatto che l'eventuale periodo di prorogatio che avrebbe potuto essere riconosciuto all'ex presidente Di Marco sarebbe scaduto il 15 aprile 2016, cioè dopo la scadenza dei due piani operativi comunali suddetti;
   va inoltre rilevato che il sindaco e altri esponenti di enti locali, oltre che il presidente di Confindustria Ravenna, dottor Giulio Ottolenghi, tutti azionisti della Sapir spa, della quale il dottor Ottolenghi è anche consigliere di amministrazione, si sono adoperati per esautorare il presidente Di Marco;
   i fatti sin qui descritti fanno emergere il più che fondato sospetto per gli interroganti che la non riconferma del presidente Di Marco sia da ricondurre a circostanze non direttamente riferibili ai – peraltro notevoli – risultati della sua gestione economica ed amministrativa dell'autorità portuale di Ravenna, quanto piuttosto alla volontà di portare a compimento soluzioni progettuali che avrebbero potuto rivelarsi, per gli interroganti, incompatibili con gli interessi economici di Sapir spa, di cui gli enti locali sono azionisti di maggioranza;
   il quadro che emerge a Ravenna fa sorgere interrogativi e preoccupazioni per l'interesse pubblico, essendo fatto notorio quanto è emerso in circostanze simili ad Augusta, in riferimento alla locale autorità portuale;
   preoccupante, infine, appare la situazione per la realizzazione del progetto hub portuale di Ravenna, della cui procedura di approvazione, da mesi, non si ha più notizia: lontanissima appare la speranza di dragare finalmente il porto e rilanciare un comparto economico di vitale importanza per la città;
   sussiste il rischio concreto di perdere i 240 milioni di euro di finanziamenti vari che, proprio grazie all'azione dell'ormai ex presidente Di Marco, erano stati resi disponibili in particolare sia dal Cipe (60 milioni di euro), sia dalla Banca europea per gli investimenti (120 milioni di euro); non è chiaro come sarà utilizzato l'avanzo record (62 milioni di euro) che Di Marco ha lasciato, come risulta dal bilancio 2015 approvato dal comitato portuale di fine aprile 2016 presieduto dal commissario straordinario –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e, in caso positivo, intenda illustrare a che punto sia l’iter di realizzazione del progetto hub portuale di Ravenna, per poter sbloccare la situazione relativa alla realizzazione del progetto ed evitare che vengano dispersi finanziamenti vitali per l'economia ravennate, facendo chiarezza sui contenziosi avviati dal presidente pro tempore Di Marco contro la Cmc di Ravenna e la Sapir Spa. (3-02430)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio 2016 è entrato in vigore il decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 2015, n. 201, «Regolamento recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale» (cosiddetto piano aeroporti);
   il piano individua 12 scali strategici e 3 intercontinentali all'interno dei complessivi 38 scali di interesse nazionale, scelti in base al ruolo strategico, all'ubicazione territoriale, alle dimensioni e tipologia di traffico e all'inserimento nelle previsioni dei progetti europei della rete Transeuropea dei trasporti;
   nel bacino relativo alla regione Calabria, risulta strategico lo scalo di Lamezia Terme, mentre vengono catalogati di interesse nazionale quelli di Reggio Calabria e di Crotone;
   la particolare ubicazione geografica della provincia e della città di Crotone – che si unisce alla mancanza di un'efficiente rete ferroviaria ed autostradale in grado di consentire rapidi collegamenti dalla fascia ionica al resto d'Italia – rende vitale la presenza di uno scalo aeroportuale sia per garantire servizi fondamentali alla collettività sia per sostenere lo sviluppo delle attività turistiche ed economiche in generale di tutto il territorio della nella fascia ionica;
   la mozione approvata dalla Camera dei deputati il 29 settembre 2015 ha impegnato il Governo, tra l'altro a potenziare, in considerazione delle carenze infrastrutturali, ferroviarie e stradali che caratterizzano la direttrice ionica, l'aeroporto di Crotone, prevedendo innanzitutto, così come avviene per tutti gli aeroporti di interesse nazionale, l'esonero dagli oneri di servizio e a favorire la mobilità pubblica dei territori con lo scalo aeroportuale;
   ad oggi risulta però che soltanto sullo scalo di interesse nazionale di Crotone (che soddisfa un bacino di utenza di circa 450.000 abitanti) gravino ancora i pesanti oneri di servizio di circa novantamila euro al mese che vengono corrisposti all'Enav, relativi all'assistenza ai voli forniti da parte di Enac ed Enav –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per dare attuazione all'impegno assunto dal Governo il 29 settembre 2015 e far sì che l'aeroporto Sant'Anna di Crotone possa contare sullo sgravio dei costi, nonché sui benefici, dei servizi di assistenza ai voli erogati da Enac ed Enav, così come avviene per tutti gli aeroporti italiani considerati di interesse nazionale ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 15 settembre 2015, n. 201. (5-09260)

Interrogazione a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI, LOREFICE e CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema dei trasporti italiano – ed in particolare quello del Mezzogiorno presenta una rilevante carenza di connessioni sia per gli spostamenti dei passeggeri da e per i centri di maggiore attrazione sia tra ferrovie, porti, aeroporti e strade ed un limitato sviluppo dell'intermodalità strada-rotaia e mare-rotaia; più nello specifico, le reti di trasporto ferroviario rispetto a quelle degli altri Paesi dell'Unione europea – non sono attualmente in grado di soddisfare, in termini di qualità, le aspettative ed i bisogni della popolazione con il risultato di una scarsa propensione all'utilizzo del mezzo ferroviario soprattutto nel campo del trasporto delle merci;
   nel nostro Paese, d'altra parte, persiste un sistema in larga misura ancora basato sul trasporto su gomma (80 per cento nel traffico di passeggeri e 87 per cento in quello delle merci) che, tuttavia, mal si concilia con un adeguato sistema di infrastrutture e servizi di trasporto che dovrebbe essere caratterizzato da un graduale trasferimento del trasporto di merci dalla modalità su gomma ad altre modalità (trasferimento per il quale è previsto che entro il 2030 il 30 per cento delle merci che percorre più di 300 chilometri dovrà viaggiare su ferrovia o sulle vie navigabili, con l'obiettivo di arrivare, nel 2050, sino al 50 per cento;
   la rete ferroviaria della Sicilia in particolare – interamente gestita da Rete ferroviaria italiana (RFI), ad eccezione della linea Catania-Randazzo-Riposto gestita dalla Ferrovia Circumetnea pur rappresentando la rete ferroviaria insulare più estesa del bacino mediterraneo presenta, nella maggior parte dei casi, dei tracciati obsoleti nonché linee dismesse, smantellate o incompiute, che appaiono del tutto inadeguate alle attuali esigenze sociali ed economiche del territorio siciliano;
   gli interventi e le opere di ammodernamento riguardanti la sopra citata rete ferroviaria rispetto alla quale non può che registrarsi una grave mancanza di offerta di servizi veloci regionali di collegamento tra i vari capoluoghi – sono stati piuttosto limitati nel corso degli ultimi anni e non hanno contribuito a ridurre in modo considerevole il gap infrastrutturale esistente tra il Nord ed il Mezzogiorno, ad oggi ancora fortemente penalizzato da una rete complessivamente meno moderna ed efficiente;
   con riferimento alla situazione nella regione Sicilia è opportuno poi, ricordare in questa sede che su una rete ferroviaria di 1.379 chilometri, solo poco più del 13 per cento (ovvero, circa 190 chilometri) ha il doppio binario (presentando la restante parte un binario unico) e, per ciò che concerne l'alimentazione, l'isola può contare su 800 chilometri di linee elettrificate ed addirittura 578 chilometri di linee non elettrificate, senza considerare la vetustà del materiale rotabile e la presenza dei treni in servizio, ormai troppo vecchi;
   in più, in ordine alle condizioni della suddetta rete, si rilevano, purtroppo, numerose problematiche, la maggior parte delle quali sono da ricollegarsi ad un diffuso, e ad oggi non ancora risolto, stato di abbandono, malfunzionamento, degrado e pericolosità dei tracciati, spesso privi di qualsivoglia attività manutentiva e di ristrutturazione: difatti, oltre il 20 per cento della rete (equivalente a circa 300 chilometri) risulta interrotto e, complessivamente, sono ben 28 le linee ferroviarie presenti sul territorio rispetto alle quali emergono particolari criticità e che sono chiuse al traffico o, addirittura, incompiute;
   di non poco conto, peraltro, le criticità connesse a profili di natura geologico-ambientale e di protezione civile: buona parte delle infrastrutture ferroviarie della regione Sicilia, infatti – e, più precisamente, quelle che sono state progettate e realizzate prima dell'entrata in vigore delle norme per le costruzioni nelle zone sismiche di cui alla legge 2 febbraio 1974, n. 64, – debbono considerarsi come opere dall'elevato grado di vulnerabilità su un territorio, quello siciliano, che di per sé già risulta caratterizzato da un alto indice di franosità e sul quale si verifichino, anche molto frequentemente, fenomeni di dissesto idrogeologico;
   in considerazione del fatto che, a livello europeo, l'industria dei trasporti rappresenta un segmento piuttosto rilevante dell'economia, contribuendo al 5 per cento del prodotto interno lordo, appare di fondamentale importanza, per lo sviluppo delle politiche infrastrutturali, il perseguimento di obiettivi di efficientamento e potenziamento tecnologico delle infrastrutture; a tal fine, il DEF 2016 individua tra le linee di azione sia interventi per il miglioramento funzionale e prestazionale delle infrastrutture esistenti, sia iniziative per la digital transformation delle infrastrutture;
   occorre sottolineare, d'altro canto, come l'indirizzo politico ed economico del nostro Paese (anche alla luce di quanto delineato, da un lato, dal programma operativo infrastrutture e reti 2014-2020 che individua una strategia finalizzata a migliorare la mobilità delle merci e delle persone nelle regioni meno sviluppate attraverso l'estensione della rete ferroviaria meridionale ed azioni a favore dell'intermodalità per le merci e, dall'altro, dal nuovo contesto regolatorio della programmazione del fondo sviluppo e coesione (FSC) 2014-2020 a sostegno del completamento delle grandi direttrici di traffico ferroviario e del miglioramento dell'offerta dei servizi di trasporto su rotaia) debba essere in grado di favorire maggiori stanziamenti finanziari per il mantenimento del servizio ferroviario – e l'acquisto dei beni prodotti funzionali a quest'ultimo – in particolare, attraverso l'impiego di risorse per il monitoraggio infrastrutturale al fine di offrire un servizio più completo ed efficiente che tenga conto delle esigenze delle persone, dei rapporti commerciali e del turismo –:
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere – di concerto con Rete ferroviaria italiana e con la regione siciliana – per risolvere le criticità esposte in premessa e quali interventi specifici abbia già programmato e/o intenda promuovere – ed in che tempi – al fine di assicurare il ripristino della funzionalità, il potenziamento e la messa in sicurezza delle linee ferroviarie che attualmente risultano in stato di abbandono e chiuse al traffico. (4-13925)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE, CAPOZZOLO e TINO IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 luglio 2016 si è appreso dal sindaco di Montecorvino Pugliano, Gianfranco Lamberti, che un incendio di vaste proporzioni e di natura dolosa, propagatosi da alcun pneumatici abbandonati in una cava posta sotto sequestro dall'autorità giudiziaria si è sviluppato fino a lambire la ex discarica di Parapoti;
   sono dovute intervenire due squadre dei vigili del fuoco, la polizia municipale e la protezione civile che, per diverse ore hanno cercato di contenere l'incendio stesso;
   solo l'intervento di alcuni cittadini insieme ai vigili del fuoco ha evitato che l'incendio si propagasse sino alla ex discarica di Parapoti, che oggi produce biogas, con il rischio di un ingentissimo danno ambientale;
   il territorio dove si è propagato l'incendio si trova in un evidente stato di incuria ed abbandono, nel quale l'attività di discariche abusive, si aggiunge a quella di discariche private (Colle Barone) e pubbliche (Parapoti), creando una situazione di assoluta incertezza nella gestione e negli interventi amministrativi;
   la messa in sicurezza dell'intero territorio e la bonifica dei siti è improcrastinabile;
   il consiglio comunale e la nuova giunta di Montecorvino Pugliano, appena insediati si trovano già in una situazione di gravissima difficoltà finanziaria derivante dalla gravosa gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata e trasferiti al Comune stesso –:
   quali tempestive iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di chiarire le cause dell'incendio, nonché di valutare l'assunzione di iniziative per prevedere un impegno economico con la regione Campania per la messa in sicurezza del territorio stante il rischio di grave inquinamento per la popolazione. (5-09265)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in via Asiago 8/D, a Monza, io una elegante palazzina di recente costruzione (2013) e composta da una quarantina di appartamenti, pare, secondo quanto riportato anche dai quotidiani locali, che siano ospitati attualmente 126 richiedenti asilo;
   nel medesimo complesso residenziale vivono 34 cittadini italiani, distribuiti in una dozzina di famiglie;
   il primo invio di richiedenti asilo nella palazzina è iniziato nel novembre 2015, con una trentina di richiedenti asilo di origine bengalese, e in breve tempo il numero degli immigrati è arrivato, già a fine 2015 agli attuali 126, distribuiti in 13 appartamenti, da circa 60 a 80 metri quadri ciascuno;
   la gestione dell'accoglienza dei richiedenti asilo nella palazzina di via Asiago risulta affidata alla società «Trattoria mercato srl», che ha partecipato e vinto il bando promosso dalla prefettura di Monza ed ha provveduto ad alloggiarli in alcuni appartamenti sfitti del medesimo complesso di cui sopra, messi a disposizione dal costruttore in cambio del pagamento di un canone di affitto;
   come riportato anche dalla stampa, la decisione di collocare 126 immigrati in una palazzina dove vivevano solo 34 cittadini italiani non porta logicamente a nessuna integrazione ma invece ha creato numerosi e gravi problemi nello stabile;
   le ragionevoli preoccupazioni e opportune segnalazioni alle forze dell'ordine e alla prefettura, a cui gli abitanti dello stabile si sono rivolti per avere aiuto, ad oggi non hanno avuto alcun fattivo riscontro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e se questi corrispondano al vero; in particolare: quale sia il numero effettivo e la nazionalità dei richiedenti asilo ospitati nella palazzina di via Asiago a Monza dal novembre 2015 ad oggi e in quanti appartamenti siano effettivamente collocati, con indicazione della relativa metratura; a quale punto della procedura sia l'esame delle domande, di protezione internazionale presentate e quali gli eventuali esiti; quale sia la motivazione per la quale si sia provveduto a collocare in un unico stabile un numero così elevato di immigrati rispetto ai residenti italiani; se tale numero sia destinato ad aumentare e se siano previsti nuovi arrivi nella medesima palazzina; se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative affinché sia trasferita quantomeno una parte di queste persone in altre strutture; quali controlli, sia preventivi che successivi, siano stati effettuati dalla prefettura competente e dalle forze dell'ordine, ognuno per quanto di competenza, con riguardo ai profili di sicurezza e igienico sanitario, anche a seguito delle segnalazioni dei residenti del complesso residenziale.
(4-13926)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i comuni per i pasti forniti al personale statale della scuola, insegnanti e ATA ricevono un contributo di circa 2,80 euro a fronte di una spesa media di 5,00/6,00 euro a pasto e quindi, complessivamente, un rimborso di 62 milioni di euro, a fronte di una spesa che l'Anci stima in circa 130 milioni di euro coprendo la differenza con risorse proprie;
   i 62 milioni di euro derivano da: 46 milioni di euro annui (90 miliardi delle vecchie lire) previsti nella legge n. 4 del 1999 e da un incremento (ampiamente insufficiente) di 16 milioni di euro operato a seguito del contratto collettivo nazionale del lavoro della scuola del 2007 che, senza alcun preventivo accordo con i comuni, ampliò la platea degli aventi diritto alle mense comunali, riconoscendo il diritto a tutto il personale statale in servizio durante la refezione, compreso il personale ATA;
   la cifra da allora è sempre rimasta invariata e non sono mai stati operati incrementi, nonostante le reiterate richieste dell'Anci e nonostante il Tar Lombardia nel 2009 abbia riconosciuto la competenza del Ministero dell'Istruzione dell'università e della ricerca per il pagamento dei pasti per il personale statale, precisando che il costo di ogni attività formativa, compresa l'assistenza educativa alla refezione, deve essere posta a carico dello Stato quale datore di lavoro, gravando sull'ente locale la sola gestione dei servizi di assistenza scolastica rivolti agli alunni;
   a seguito di quanto previsto al comma 41 dell'articolo 7 della legge n. 135 del 2012, il contributo dello Stato non viene più erogato in base ai pasti effettivamente forniti, ma viene assegnato direttamente agli enti locali in proporzione al numero di classi che accedono al servizio di mensa scolastica;
   tale nuova metodologia di ripartizione delle risorse produce una maggiore celerità nell'erogazione delle somme, ma l'assegnazione in base al numero delle classi ha determinato maggiore iniquità rispetto al metodo precedente che prevedeva il rimborso a seguito del conteggio effettivo;
   l'Anci, nel corso degli anni, ha più volte espresso la non condivisione delle disposizioni normative che prevedono un «Contributo» dello Stato in luogo del rimborso dell'intero costo;
   l'Anci ha inoltre espresso la non condivisione del fatto che tale «contributo» sia erogato in proporzione al numero delle classi che accedono al servizio;
   si rileva la necessità di una modifica normativa, passando da contributo a rimborso;
   appare opportuno l'adeguamento della somma, sia rispetto al numero dei dipendenti statali autorizzati, sia all'effettivo costo sostenuto dai comuni per l'acquisto dei pasti, trattandosi di una cifra individuata nel 1999, seppur con una insufficiente integrazione a partire dal 2007;
   fino ad oggi non si è avuto nessun riscontro positivo alla questione;
   alcuni comuni hanno intenzione di adire le vie legali nei confronti del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca al fine di ottenere il rimborso completo delle spese sostenute;
   l'Anci ha posto la questione all'attenzione della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, per tentare di individuare una soluzione condivisa;
   negli incontri tecnici che si sono tenuti, il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca ha preso atto della necessità di attualizzare la somma riconosciuta ai comuni rappresentando la difficoltà di reperire le risorse necessarie, ma individuando, d'intesa con l'Anci, una possibile soluzione che prevede un periodo, transitorio nel quale viene riconosciuto ai comuni un incremento delle somme pari al 50 per cento della differenza tra la somma attualmente stanziata (62 milioni di euro) e quella effettivamente spettante (130 milioni di euro), che ad avviso dell'Anci non potrà essere inferiore a 30 milioni di euro annui;
   l'Anci è disposta a soprassedere all'adeguamento delle risorse per l'anno scolastico appena concluso, ma richiede che tale adeguamento avvenga a partire dall'anno scolastico 2016-17;
   si tratta di una soluzione provvisoria in attesa di una revisione delle norme contrattuali del personale insegnante ed ATA statale che dovrà prevedere che sia l'amministrazione da cui dipendono gli insegnanti e gli ausiliari a sostenere per intero i costi dei pasti nell'ambito del prossimo rinnovo di contratto del personale;
   va rilevato che negli incontri politici di conferenza Stato-città ed autonomie locali non vi è stata nessuna risposta soddisfacente da parte dei ministeri interessati –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati affinché si provveda, già a partire dall'anno scolastico 2016/17, all'incremento delle risorse per i pasti al personale statale al fine di adeguare il contributo che i comuni ricevono per tale spesa, da parte dello Stato. (4-13928)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   TRIPIEDI, CIPRINI, COMINARDI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il legame tra requisiti previdenziali e aspettativa di vita, così come misurata dall'Istat, è stato introdotto in Italia per la prima volta nel 2009 e perfezionato nel 2010 sulla base di provvedimenti proposti dai Ministri pro tempore dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali Tremonti e Sacconi;
   in particolare, il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, ha previsto dal 2013 il progressivo innalzamento dei requisiti per l'accesso alla pensione (di vecchiaia ed anticipata);
   parafrasando un eufemismo giornalistico, tale provvedimento ha consentito di «sterilizzare gli effetti dell'allungamento della vita media della popolazione»;
   ad amplificarne la portata è stato il riassetto pensionistico del Governo Monti, la cosiddetta riforma Fornero, che, all'articolo 24, comma 12, della legge n. 214 del 2011, ha previsto gli adeguamenti alla speranza di vita per ogni tipologia di prestazione, tra cui: la nuova pensione di vecchiaia, la pensione anticipata, la pensione anticipata contributiva, l'assegno sociale, le pensioni in regime di armonizzazione, le pensioni dei lavoratori usurati di cui al decreto legislativo n. 67 del 2011;
   l'Inps ha peraltro applicato gli adeguamenti anche a coloro che, a vario titolo, mantengono in vigore la vecchia disciplina di pensionamento, sia dei lavoratori salvaguardati, sia di coloro che accedono alla pensione con i requisiti anagrafici e contributivi, rispettivamente di 57 e 35, di cui alla legge n. 335 del 1995 (come, ad esempio, coloro che optano per il regime sperimentale «opzione donna»);
   sulla base delle sopra citate normative, ogni tre anni (e poi ogni due a decorrere dall'anno 2019) l'età pensionabile sarà adeguata all'aumento della speranza di vita, come calcolato dall'Istat sulla base della media del triennio precedente;
   tale adeguamento è stato applicato anche ai regimi pensionistici armonizzati (ad esempio, Inpdap ed Enpals), nonché ai regimi e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell'assicurazione generale obbligatoria, compresi quelli relativi ai «lavoratori impegnati in lavori di sottosuolo presso miniere, cave e torbiere, nonché al personale (compresi i rispettivi dirigenti) delle Forze di polizia, Forze armate, vigili del fuoco». Sono esclusi i lavoratori per i quali viene meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa (ad esempio, gli autisti di mezzi pubblici);
   per consentire la determinazione dell'incremento dell'età, l'Istat deve rendere disponibili annualmente i dati della variazione della speranza di vita all'età di 65 anni, con riferimento alla media della popolazione residente in Italia, rispetto al triennio precedente. Ovviamente, «l'aggiornamento non sarà applicato in caso di diminuzione della speranza di vita»;
   secondo il rapporto Osservasalute, nel 2015 la speranza di vita per gli uomini è stata 80,1 anni, 84,7 anni per le donne; nel 2014 la speranza di vita alla nascita era maggiore e pari a 80,3 anni per gli uomini e 85,0 anni per le donne;
   tale decremento produce anche una qualità della vita che si riflette negativamente sui meno abbienti, bisognosi di prestazioni assistenziali socio-economiche;
   il rapporto del Ministero dell'economia e delle finanze mette in luce che, per effetto dell'attuazione dell'adeguamento dei requisiti all'incremento della speranza di vita, si stima una riduzione dell'incidenza della spesa pensionistica in rapporto al prodotto interno lordo di circa 0,1 punti percentuali attorno al 2020, crescente fino a 0,3 punti percentuali nel decennio 2030-2040, per poi decrescere a 0,1 punti percentuali nel 2045 e sostanzialmente annullarsi successivamente. Il combinato dei due interventi comporta complessivamente una riduzione dell'incidenza della spesa pensionistica in rapporto al prodotto interno lordo di circa 0,2 punti percentuali nel 2015, crescente fino a 0,5 punti percentuali nel 2030, per poi scendere attorno a 0,4 punti percentuali nel 2040, 0,1 punti percentuali nel 2045 ed annullarsi sostanzialmente negli anni successivi –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per attuare la modifica della disciplina vigente sull'aspettativa di vita, tenendo conto del rapporto tra l'età media, attesa di vita e quella dei singoli settori di attività, soprattutto usuranti, valutando anche, alla luce della riduzione dell'incidenza del prodotto interno lordo negli anni a venire, di abrogarla. (3-02427)


   GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DI SALVO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROSTELLATO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI, ZAPPULLA, MARTELLA e BINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le reiterate manifestazioni di disponibilità del Governo in carica ad introdurre elementi di flessibilità nel sistema previdenziale rappresentano un significativo e condivisibile cambio di approccio culturale ai temi della previdenza, dell'invecchiamento e del ricambio generazionale nel mercato del lavoro;
   per addivenire a risultati efficaci e tecnicamente praticabili in tale materia, è indispensabile disporre di dati sempre più puntuali e condivisi, anche al fine della migliore gestione delle relative risorse finanziarie, in piena coerenza con i pronunciamenti legislativi;
   sulla base dell'analisi dell'ultimo «Monitoraggio dei flussi di pensionamento», predisposto trimestralmente dall'Inps, dalla rilevazione del primo semestre 2016 emergono una serie di elementi di grande utilità in vista delle prossime scadenze parlamentari;
   tra i tanti dati, si segnala l'esigenza di uno specifico approfondimento per quanto concerne il numero delle pensioni di anzianità e anticipate, liquidate con il sistema contributivo nel primo semestre 2016. Il totale di tali trattamenti pensionistici, riferiti quindi alla platea dei lavoratori e delle lavoratrici, è pari a 5.104, di cui 3.593 lavoratori dipendenti, 401 coltivatori diretti mezzadri e coloni, 466 artigiani e 644 commercianti. A questi dati andrebbero sommati i dati relativi ai dipendenti pubblici, di cui ancora non si dispone la precisa entità numerica, tuttavia stimabile nell'ordine di un terzo rispetto al numero dei lavoratori dipendenti;
   come si evince dalle stesse note metodologiche riferite alle tabelle relative a tutte le categorie di lavoratori e lavoratrici, i dati complessivi fanno riferimento sia alle pensioni liquidate in regime contributivo puro (per vecchiaia, invalidità e superstiti di coloro che hanno la prima contribuzione accreditata dopo il 31 dicembre 1995 – articolo 1, comma 6, della legge n. 335 del 1995), sia a quelle relative a coloro che, pur essendo nel regime misto, hanno esercitato la facoltà di opzione per il sistema contributivo (articolo 1, comma 23, della legge n. 335 del 1995), oltre a quelle delle lavoratrici che hanno esercitato la cosiddetta opzione-donna (articolo 1, comma 9, della legge n. 243 del 2004), platea che in questa sede ci interessa particolarmente;
   qualora tali trend dovessero essere confermati, compreso il dato relativo ai dipendenti pubblici, potremmo ragionevolmente stimare nell'ordine di circa 12.000 il numero complessivo dei trattamenti pensionistici liquidati con il sistema contributivo nel corso del 2016, ancora una volta precisando che tale numero è riferito ai lavoratori e alle lavoratrici;
   come noto, ai sensi del comma 281 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2016, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), superando le incertezze interpretative che ne avevano condizionato la fruibilità, il legislatore ha stabilito che, al fine di portare a conclusione la sperimentazione dell'istituto della cosiddetta opzione donna, possano avvalersene le lavoratrici che hanno maturato, al netto degli incrementi legati alle aspettative di vita, i relativi requisiti entro il 31 dicembre 2015, ancorché la decorrenza del trattamento pensionistico sia successiva a tale data;
   nell'ambito della medesima disposizione è stato previsto che: «Sulla base dei dati di consuntivo e del monitoraggio, effettuato dall'Inps, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il 30 settembre di ogni anno, trasmette alle Camere una relazione sull'attuazione della sperimentazione di cui all'articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, con particolare riferimento al numero delle lavoratrici interessate e agli oneri previdenziali conseguenti e, in relazione alla conclusione della medesima sperimentazione, come disciplinata ai sensi del primo periodo del presente comma, anche al raffronto degli specifici oneri previdenziali conseguenti all'attuazione del primo periodo del presente comma con le relative previsioni di spesa»;
   l'ultimo periodo del comma 281 prevede: «Qualora dall'attività di monitoraggio di cui al precedente periodo risulti un onere previdenziale inferiore rispetto alle previsioni di spesa di cui al primo periodo del presente comma, anche avuto riguardo alla proiezione negli anni successivi, con successivo provvedimento legislativo verrà disposto l'impiego delle risorse non utilizzate per interventi con finalità analoghe a quelle di cui al presente comma, ivi compresa la prosecuzione della medesima sperimentazione»;
   gli oneri finanziari della norma disposta con il citato comma 281, indicati in 160 milioni di euro per l'anno 2016 e di 49 milioni di euro per l'anno 2017, sono stati stimati sulla base della previsione che la platea delle lavoratrici coinvolte sarebbe stata dell'ordine di 36.000 unità;
   non appare comprensibile come, nonostante la specifica disposizione legislativa, l'ente previdenziale non abbia provveduto, nell'elaborazione del «Monitoraggio dei flussi di pensionamento», a distinguere ed evidenziare il dato riferito alle donne che si sono avvalse della facoltà prevista dal citato articolo 1, comma 9, della legge 23 agosto 2004, n. 243, distinzione importante in sede di ogni rilevazione da completare con la relazione prevista entro il 30 settembre di ogni anno;
   si coglie l'occasione per evidenziare che in sede di monitoraggio dei flussi di pensionamento sia sempre indispensabile per il Governo e per il legislatore avere i dati distinti per uomini e donne, quindi separatamente, e nonostante tale carenza, i dati denotano andamenti ben diversi e ridimensionati rispetto a quanto ipotizzato in sede di approvazione della legge di stabilità per il 2016 –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di disporre il tempestivo aggiornamento dei metodi di computo del numero delle pensioni di anzianità e anticipate, liquidate con il sistema contributivo, evidenziando il dato relativo al numero delle lavoratrici che si sono avvalse della cosiddetta opzione donna, in ottemperanza del citato comma 281 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016), anche al fine della piena e tempestiva applicabilità dell'ultimo periodo di tale disposizione richiamato in premessa. (3-02428)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il mondo dell'ippica soffre di più di altri di una crisi che ci auguriamo non cronica aspettando un sostegno, dovuto, che però non arriva;
   ippodromi, proprietari, allevatori, allenatori, fantini e addetti sono arrivati sull'orlo della disperazione;
   molti dei 42 ippodromi inizialmente presenti sul territorio nazionale rischiano la chiusura a causa di clausole vessatorie senza senso imposte dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali; Napoli Agnano è a rischio chiusura, Milano San Siro Trotto è chiuso da anni, Roma Capannelle funziona con grandi difficoltà, Roma Tor di Valle ha chiuso da anni. Tutto questo a causa di una crisi che rischia di diventare irreversibile senza che si sia mai arrivati ad una soluzione definitiva della questione;
   a contribuire alle difficoltà del settore c’è anche il crollo delle scommesse. Infatti, con l'arrivo delle scommesse sul calcio nelle agenzie ippiche, luogo dove prima si andava solo per scommettere sui cavalli, l'offerta si è raddoppiata e i soldi delle scommesse si sono divisi e l'ippica ha visto ridurre drasticamente le sue entrate – negli ultimi 12 anni la raccolta è passata da 3,6 a 0,6 miliardi di euro. L'ingresso delle slot machine, poi, ha dato un ulteriore colpo al settore;
   inoltre, attualmente, non esiste un ente che si occupi esclusivamente di ippica. Con la legge 15 luglio 2011, n. 111 vi è stato il subentro all'Unire dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI). Successivamente, il comma 9 dell'articolo 23-quater del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 ha stabilito la soppressione immediata dell'ASSI con il passaggio al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali anche di tutti i rapporti passivi e attivi;
   circa 8/9 mila persone e altrettanti cavalli contribuiscono ogni giorno alla realizzazione delle corse e lo Stato e le Agenzie incassano «pronto cassa» gli introiti derivanti dalle scommesse;
   gli operatori del settore anticipano i costi per la realizzazione delle corse e spesso si sostengono quasi esclusivamente proprio con i premi vinti durante le stesse;
   i premi, in passato, venivano pagati dopo 60 giorni dalla conclusione del mese. Oggi, invece, si è in ritardo di più di 6 mesi e nulla fa ben sperare per il futuro;
   i premi vengono preparati dall'ufficio premi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e poi controllati dall'ufficio centrale del bilancio (UCB) del Ministero;
   anche gli ippodromi non percepiscono nulla dal dicembre 2015 e dovranno probabilmente attendere il prossimo autunno per ricevere le proprie spettanze;
   per pagare una sola mensilità l'UCB impiegherebbe quasi 40 giorni lavorativi. Si tratta di circa 3.000 pagamenti tra scuderie, allevatori, allenatori, driver/fantini, veterinari, e altro. Con questi tempi, però, si rischia che per il futuro la tempistica si allunghi ulteriormente. Con l'approssimarsi della pausa estiva, poi, è lecito chiedersi se i pagamenti subiranno ulteriori rallentamenti;
   all'incontro, avvenuto il 19 luglio 2016 tra una rappresentanza sindacale RSU dell'ippodromo di Agnano, unitamente all'allenatore guidatore Luigi Panico – in rappresentanza della categoria Campana – e, alcuni rappresentanti del Ministero delle politiche agricole, agli stessi è Stato comunicata, l'avvenuta registrazione dell'impegno di spesa da parte dell'Ufficio centrale del bilancio. Inoltre, sembra sia stato detto loro che a breve verranno avviati i pagamenti degli arretrati gennaio/maggio unitamente agli allenatori guidatori per il mese di febbraio a seguire;
   a quanto consta all'interrogante Ucb ritiene di doversi trattenere l'Iva delle fatture dei premi in base alla legge nota come « Split Payment». Il sistema delle « split payment», trasferisce a carico della pubblica amministrazione il versamento dell'Iva relativa alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei suoi confronti. Lo split payment si applica ai fornitori di prestazioni della pubblica amministrazione ma le scuderie, come com’è evidente non sono prestatori di servizi, infatti si parla di premi. Spesso è stato precisato che non si potevano certificare alle scuderie i crediti perché queste non sono prestatori di servizi;
   lo split payment, soprattutto, non si applica nel caso di compensi assoggettati a ritenute alla fonte ed i premi alle Scuderie con partita Iva sono sempre assoggettati alla ritenuta del 4 per cento a titolo di acconto –:
   visto il macroscopico ritardo dei pagamenti di cui in premessa da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, se il Governo non intenda intervenire presso l'Ucb al fine di sollecitare il pagamento dei suddetti arretrati affinché si normalizzi lo stato degli stessi e di quelli correnti e futuri;
   quali iniziative intendano adottare per far uscire il settore ippico dalla grave crisi e promuovere rilancio, visibilità e nuove prospettive di sviluppo;
   se non si ravvisi la necessità di convocare urgentemente un tavolo tecnico di lavoro per affrontare, insieme agli addetti del settore, i tanti e gravi problemi al quale il settore deve far fronte;
   come si intenda affrontare anche la questione dello split payment ovvero della trattenuta dell'intero importo dell'Iva spettante alle scuderie che, titolari di partita Iva, emettono fattura, Considerando che la legge sullo split payment non si applica nel caso in cui si emettano fatture con la ritenuta di acconto del 4 per cento.
(5-09261)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nell'ambito della conversione del decreto cosiddetto milleproroghe 2016 (decreto-legge n. 210 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 21 del 2016), recentemente discussa in Parlamento, sono state previste alcune modifiche ed integrazioni alla disciplina della riorganizzazione dell'associazione della Croce rossa italiana, in particolare per quanto riguarda la configurazione dell'ente strumentale che sarà operativo fino al 1o gennaio 2018 (quando sarà soppresso); in primis, viene esteso anche all'ente strumentale della CRI il diritto a fruire dell'Avvocatura dello Stato. In secondo luogo, viene sancita un'anticipazione di liquidità allo stesso ente strumentale, rispetto a quanto sancito dall'articolo 49-quater del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013, che prevedeva tale disposizione soltanto per l'associazione della CRI. Inoltre, nell'ambito delle medesime modifiche operate alla Camera è previsto che la riduzione dei finanziamenti, attualmente previsti, sia vincolata al rimborso dell'anticipazione di liquidità;
   alle criticità di natura gestionale-amministrativa, determinate anche dalla difficoltà di allineare la particolare configurazione dell'ente pubblico CRI con le dinamiche e la configurazione di un ente privato, si aggiungono ulteriori problemi in relazione alla deriva dei costi che la già parziale privatizzazione dell'ente ha definito nell'ultimo triennio, caratterizzata da un aumento incontrollato del deficit di bilancio con conseguenti ripercussioni sulla qualità dei servizi resi ai cittadini, con grave nocumento anche dei lavoratori e connessi contenziosi ormai fuori controllo, oltre al mancato rispetto delle iniziali previsioni di risparmio formulate dal decreto legislativo n. 178 del 2012 che, ad oggi, risultano ampiamente disattese;
   inoltre, si palesano, a giudizio degli interpellanti, non trascurabili dubbi di costituzionalità delle misure introdotte, allorché si priva di un diritto essenziale il cittadino ed il lavoratore, ovvero quello della difesa dei suoi diritti e dei suoi interessi attraverso il ricorso alla giustizia ed il diritto al legittimo ristoro in caso di accoglimento di istanza: diritto che è un principio inderogabile della Costituzione;
   il tribunale del lavoro di Bolzano con sentenza n. 10/2015 del 30 gennaio 2015 ha condannato la Croce Rossa Italiana (CRI) al pagamento di 100.844,51 euro a favore di Christian Putzer, residente a Chienes (provincia di Bolzano) ed ex dipendente della CRI a titolo di differenze salariali; la sentenza di primo grado è stata confermata dalla corte di appello di Trento con sentenza n. 11/2015 del 10 febbraio 2016, rigettando l'impugnazione proposta dalla CRI;
   il decreto legislativo n. 178 del 2012 ha disposto la riorganizzazione della Croce rossa italiana, prevedendo la totale privatizzazione dell'ente pubblico e la smilitarizzazione del personale militare, comportando una serie di criticità di natura amministrativa, organizzativa e gestionale in capo alla struttura (già oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo e proposte di rettifica), che hanno richiesto, dal 2012 ad oggi, ripetuti interventi di proroga dell'entrata in vigore delle disposizioni al fine di garantire gli opportuni approfondimenti per una più ragionata definizione del processo di riorganizzazione;
   con la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), articolo 1, comma 397, si stabilisce che: «Fino alla conclusione delle procedure di cui al presente comma non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive, atti di sequestro o di pignoramento presso il conto di tesoreria della CRI dell'Ente ovvero presso terzi, per la riscossione coattiva di somme liquidate ai sensi della normativa vigente in materia. Tutti gli atti esecutivi sono nulli»;
   così facendo sono state congelate tutte le azioni esecutive nei confronti della CRI dirette a conseguire i crediti già accertati giudizialmente a favore dei lavoratori, a giudizio degli interpellanti ledendo gravemente i loro diritti garantiti dalla Costituzione e creando gravi disagi agli stessi lavoratori e alle loro famiglie –:
   se il Ministro interrogato non intenda urgentemente porre rimedio e in che modo alla gravissima situazione sociale creatasi con il blocco degli atti esecutivi nei confronti della Croce rossa italiana;
   se non ritenga urgente assumere iniziative affinché possano essere fatti valere i diritti riconosciuti in sede giudiziaria ai lavoratori di cui in premessa, ripristinando così lo stato di diritto;
   se il Governo intenda prevedere un piano di intervento a sostegno dei lavoratori della Croce rossa italiana, segnatamente per quanto attiene ai profili in mobilità, per garantire un equo percorso e la giusta ricollocazione di dipendenti che hanno nel tempo maturato professionalità e qualifiche che non meritano di essere disperse, congiuntamente alla conservazione dei relativi livelli acquisiti degli emolumenti economici attribuiti o dovuti in forza del lavoro svolto.
(2-01440) «Kronbichler, Scotto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCON e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la policitemia vera (PV) e la trombocitemia essenziale (TE) sono tumori del midollo, associati ad una sovrapproduzione di cellule ematiche che può provocare gravi complicazioni cardiovascolari (ad esempio trombosi venose e arteriose), formazione di coaguli di sangue, ictus, e infarto;
   sia per la PV che per la TE l'unico farmaco approvato e rimborsabile in Italia è un chemioterapico orale: l’«Idrossiurea»;
   per la TE è approvata e rimborsabile l’«Anagrelide», farmaco gravato però da seri effetti collaterali a livello cardiologico e indicato solo per l'abbassamento di piastrine e non di altri valori ematologici e quindi inadatto in quei casi in cui risultano alterati anche altri valori oltre alle piastrine;
   per la PV dall'aprile 2015 risulta invece approvato anche lo Jakavi, per pazienti risultati intolleranti o resistenti ad Idrossiurea, ma il farmaco in Italia, a differenza degli altri Paesi europei, risulta a tutto oggi ancora non rimborsabile e quindi inaccessibile;
   circa il 20/25 per cento dei pazienti sono intolleranti o resistenti ad Idrossiurea. Inoltre, tale farmaco non può essere assunto da pazienti giovani che intendono programmare una gravidanza (è tetratogeno) ed è molto rischioso, essendo un chemioterapico, in caso di lunghe assunzioni;
   i pazienti di TE, in caso di impossibilità ad assumere idrossiurea o Anagrelide, possono assumere come farmaco off label, in base alla legge n. 648 del 1996, l’«interferone alfa ricombinante» (peraltro indicato dalle linee guida europee come farmaco di prima scelta terapeutica sia per PV che per TE, al pari dell'Idrossiurea);
   in Italia, a differenza degli altri Paesi europei, viene fornito solo «interferone alfa ricombinante non pegilato», farmaco gravato da pesantissimi effetti collaterali (ad esempio febbre, tiroiditi, stati depressivi, dolori articolari, perdita di capelli), che comporta l'abbandono della terapia per gran parte di pazienti;
   esiste da anni un altro tipo di interferone alfa ricombinante, l'interferone «pegilato» che, in quanto rivestito di una sostanza, il polietilene glicole, permette di rallentare il tempo di eliminazione del farmaco nell'organismo e quindi di somministrarlo con minor frequenza, riducendo gli effetti collaterali e migliorandone l'efficacia;
   in Europa da anni è, invece, fornito solo «interferone alfa pegilato» («pegasys» o «pegintron») come farmaco off label e anche negli Stati Uniti il pegilato è rimborsato dalle assicurazioni;
   è convinzione diffusa fra gli ematologi europei, e anche italiani, che l'interferone pegilato sia più tollerabile e più efficace dell'interferone non pegilato (d'altra parte è così anche per le altre patologie, come l'epatite C, per le quali anche in Italia l'interferone non pegilato è stato completamente sostituito da interferone pegilato);
   dal punto di vista economico la differenza economica è irrisoria tra la forma pegilata e l'equivalente dose non pegilata (126,55 euro versus 91,5 euro);
   i pazienti di PV, in caso di impossibilità ad assumere Idrossiurea non hanno in Italia alcuna alternativa, poiché lo Jakavi, altro farmaco già approvato, non è attualmente rimborsabile;
   attualmente ci sono quindi in Italia pazienti in larga parte giovani malati di TE o PV che risultano avere una «malattia fuori controllo» con elevato rischio di vita o di complicanze invalidanti –:
   quali siano le ragioni che ostano alla prescrizione off label del pegilato per la trombocitemia essenziale quanto per la policitemia vera come accade negli altri Paesi europei;
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare affinché si possa lasciare facoltà al medico di prescrivere off label anche l'interferone alfa ricombinante pegilato;
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare affinché anche in Italia, come negli altri Paesi europei, si renda rimborsabile e quindi accessibile per policitemia vera, il farmaco Jakavi. (5-09264)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Grillo e altri n. 1-01178, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cominardi.

  La mozione Ricciatti e Scotto n. 1-01321, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pannarale, Martelli, Carlo Galli, Duranti, Costantino, Nicchi, Pellegrino.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Lenzi e altri n. 1-01323, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Monchiero, Antezza, Amoddio, Bargero, Benamati e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: Lenzi, Monchiero, Miotto, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini, Antezza, Amoddio, Bargero, Benamati.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Andrea Maestri n. 4-13516 del 15 giugno 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Palladino n. 5-09039 del 30 giugno 2016;
   interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-13852 del 20 luglio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Fauttilli n. 4-13859 del 20 luglio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Kronbichler n. 4-13891 del 21 luglio 2016.