Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 25 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    ai fini della loro immissione in commercio, a tutti i farmaci deve essere attribuito un prezzo ed una classe di rimborsabilità, e quindi se il farmaco deve essere a carico del SSN (medicinale di classe A e H) o del cittadino (classe C). La classe di rimborsabilità viene quindi individuata durante la procedura di autorizzazione all'immissione in commercio (AIC);
    per quanto concede la determinazione del prezzo dei farmaci rimborsati dal SSN, questa avviene mediante la contrattazione tra Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e le aziende farmaceutiche, ed è un'attività che la medesima AIFA svolge nel rispetto dei criteri previsti dalla deliberazione CIPE del 1o febbraio 2001, e sulla base anche della documentazione predisposta dall'azienda farmaceutica;
    la determinazione del prezzo a seguito della contrattazione tra l'Agenzia italiana del farmaco e le aziende farmaceutiche, viene quindi individuato sulla base dei volumi di vendita, della disponibilità del prodotto per il SSN, degli sconti per le forniture agli ospedali e alle strutture sanitarie pubbliche e altro;
    secondo il recente rapporto Osmed 2015, curato dall'Agenzia italiana del farmaco, la spesa farmaceutica nazionale totale nel 2015 è stata pari a 28,9 miliardi di euro (+8,6 per cento rispetto al 2014) e ha rappresentato l'1,9 per cento del prodotto interno lordo di cui il 76,3 per cento è stato rimborsato dal SSN. Nel 2015 ogni cittadino ha speso circa 476 euro in un anno. Una spesa quindi che continua a crescere, complice anche l'alto costo per i farmaci contro l'epatite C che da soli hanno fatturato 1,7 miliardi di euro, e che hanno inciso in maniera significativa sull'incremento della componente ospedaliera della spesa farmaceutica incrementata di ben il 24,5 per cento;
    è peraltro prevedibile che la spesa aumenti nel prossimo futuro a causa dell'immissione sul mercato di nuovi farmaci, come per esempio i farmaci biologici in campo oncologico e alcuni farmaci per le malattie infettive, per cui le aziende tendono a fissare un prezzo molto elevato;
    nell'ambito dei farmaci innovativi, la legge di stabilità 2015 ha istituito un Fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi, relativamente alla immissione in commercio di farmaci innovativi destinati alla cura dell'epatite C, con una dotazione di 500 milioni di euro all'anno per il biennio 2015-2016. Le risorse per il 2016, sono tutte a valere sul Fondo sanitario nazionale. Successivamente, con il comma 569, articolo 1, della legge di stabilità 2016, è stato stabilito che la spesa per l'acquisto di farmaci innovativi concorre al raggiungimento del tetto di spesa per l'assistenza farmaceutica territoriale solo per l'ammontare eccedente annualmente l'importo del suddetto fondo;
    ogni regione deve quindi avere le risorse finanziarie per acquistare il farmaco a prezzo intero e diverse non hanno fondi sufficienti. A supporto delle risorse delle regioni intervengono le risorse del citato fondo, che sono comunque somme già destinate alla sanità, e quindi sottratte ad altri utilizzi;
    con il fondo si prevede di trattare 50 mila pazienti, in base ai criteri di gravità definiti dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa). Le regioni non sono oggi in grado di attuare una efficace programmazione della spesa e in più rimane l'incognita di cosa avverrà una volta trattati i primi 50 mila pazienti. Per curare tutti gli altri bisognerebbe infatti che i prezzi calassero di molto e qualcosa si comincia a intravedere grazie alla concorrenza con altri antivirali diretti, già introdotti in Europa nel 2014 e progressivamente anche in Italia nei primi mesi del 2015;
    in Italia i malati di epatite C sono stimati in circa un milione, ma solo il 45 per cento noto al sistema sanitario. Trattare tutti questi pazienti richiederebbe, ai prezzi attuali, la disponibilità di diversi miliardi;
    dal dicembre dei 2014 hanno ottenuto l'AIC (l'autorizzazione all'immissione in commercio) alcuni medicinali innovativi, tra i quali quelli per l'eradicazione dell'epatite C, dai costi di trattamento non pubblicati quali; Sovaldi (Gilead), Olysio (Janssen), Daklinza (Bristol-Myers Squibb), Harvoni (Gilead), Viekirax-Exviera (AbbVie), Kalydeco (Vertex), in particolare il farmaco Sovaldi a base del principio attivo Sofosbuvir, è commercializzato in Italia dall'azienda Gilead Sciences S.r.l.;
    il farmaco Sovaldi è stato commercializzato ad un prezzo elevatissimo; in Italia circa 41 mila euro a trattamento in regime ospedaliero (74 mila euro per chi lo acquista privatamente in farmacia);
    come ricorda il sito « SaluteInternazionale.info», «a causa dell'alto costo di questi trattamenti il Servizio sanitario nazionale ha deciso di iniziare ad erogarli gratuitamente partendo dai pazienti più gravi. Al momento nel nostro Paese sono stati trattati circa 52 mila pazienti (il 5 per cento dei potenziali beneficiari), Si verifica così, per la prima volta in Italia, una situazione tanto paradossale quanto iniqua: attualmente solo i pazienti nello stadio più avanzato della malattia hanno diritto al trattamento, quando un trattamento nelle fasi meno avanzate della malattia eviterebbe non solo le sofferenze del paziente, ma anche i costi assistenziali connessi»;
    a partire da dicembre 2014 l'AIFA ha avviato il disegno dei registri di monitoraggio dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta per l'epatite C. A dicembre 2015 erano stati avviati 31.069 trattamenti, La spesa SSN per i farmaci anti-HCV per l'anno 2015 ammontava a 1,7 miliardi di euro (7,8 per cento della spesa SSN), corrispondente ad un consumo di 7,3 milioni di dosi giornaliere. Sofosbuvir è il primo principio attivo per spesa. Al 20 giugno 2016 (ultimo aggiornamento dei registri di monitoraggio dell'AIFA), i trattamenti avviati con i nuovi farmaci per la cura dell'epatite C erano 49.715;
    attualmente, il costo finale dei farmaci antivirali diretti è ufficialmente sconosciuto, poiché l'accordo tra l'AIFA e le aziende produttrici prevede una clausola di riservatezza, al fine di impedire la pubblicazione degli stessi;
    lo stesso presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha auspicato che tali accordi non si verifichino più chiedendo al Governo di assumere iniziative affinché «Aifa non sigli accordi con le case farmaceutiche inerenti alla presenza di clausole di riservatezza, o qualunque altro elemento che mini la piena trasparenza, e affinché vengano pubblicati tutti i dati in possesso dell'Aifa inerenti alle decisioni prese per l'autorizzazione in commercio dei farmaci da parte del Comitato prezzi e rimborsi e del Comitato tecnico scientifico dell'Aifa»;
    il direttore dell'Istituto Mario Negri, Silvio Garattini, ha in proposito evidenziato come il segreto nella contrattazione dei prezzi, senza regole prestabilite, sia una pratica preoccupante, e che non pare abbia precedenti nell'acquisto di beni e servizi da parte di strutture pubbliche. «Se il segreto sui prezzi dovesse estendersi, questo rappresenterebbe un vulnus alla trasparenza che deve caratterizzare tutte le azioni che impiegano fondi pubblici. Si può accettare una segretezza durante la trattativa, ma poi il non sapere il prezzo di ciò che si prescrive genera confusione»;
    i nuovi farmaci contro l'epatite C hanno prezzi quasi proibitivi per le finanze delle regioni. Le ditte produttrici, che in alcuni casi hanno già recuperato il costo degli investimenti iniziali, cercano di massimizzare i profitti, negoziando prezzi molto diversi nei vari Paesi in base alle rispettive possibilità economiche. Se da un lato il brevetto garantisce incentivi in ricerca e sviluppo, dall'altro, crea situazioni di monopolio che generano costi elevati per le cure e consentono alle imprese di discriminare i prezzi (come dimostrano le differenze di prezzo tra Usa e Italia);
    per consentire un maggiore accesso ai nuovi farmaci, sarebbe necessario che i loro prezzi si riducessero di nove-dieci volte. L'Aifa ha indicato come possibile approccio la realizzazione di una gara nazionale, che potrebbe promuovere la concorrenza tra le ditte produttrici e portare a una riduzione dei prezzi meglio di una gara regionale e senza rischiare differenze di accesso tra i cittadini delle diverse regioni;
    la situazione però potrebbe cambiare dato che oggi sono disponibili nuovi farmaci efficaci contro il virus dell'epatite C oltre quelli prodotti dalla Gilead. Una competizione trasparente tra produttori potrebbe portare a una decisa riduzione dei prezzi. Ma anche qui ci vuole una forte volontà politica per evitare negoziazioni segrete (com’è avvenuto finora) e anche operazioni di cartello sui prezzi tra produttori. La decisione del Governo di procedere con la licenza obbligatoria potrebbe rappresentare un decisivo stimolo a riportare il prezzo dei farmaci prossimo ai costi effettivi di produzione, e quindi di renderli accessibili a tutte le persone che ne hanno bisogno;
    giova a tal fine ricordare infatti, che in caso di emergenze sanitarie e in base all'accordo in capo all'Organizzazione mondiale per il commercio (OMC), denominato TRIPs (Trade Related aspects of Intellectual Property rights), esiste la possibilità di derogare alla protezione brevettuale attraverso la licenza obbligatoria a cui, ogni Stato che aderisce all'Organizzazione mondiale della sanità, può ricorrere alla fine di proteggere la salute pubblica;
    sotto questo aspetto, il milione di malati di epatite C, e il fatto che l'Italia abbia il primato europeo per numero di soggetti HCV positivi e mortalità per tumore primitivo del fegato, e che oltre 20 mila persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato e nel 65 per cento dei casi, l'HCV risulta causa unica o concausa dei danni epatici, indicano come l'epatite C può essere considerata a tutti gli effetti un'emergenza nazionale di sanità pubblica. Per questo motivo, come ha recentemente scritto l'epidemiologo Adriano Cattaneo in un articolo su Saluteinternazionale.info, è ipotizzabile per l'Italia percorrere la strada della «emergenza sanitaria» al fine di giungere a una licenza obbligatoria per i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite C (HCV). Attraverso la «licenza obbligatoria» è possibile infatti produrre i farmaci anti-epatite C a costo contenuto e garantirne l'accessibilità a tutti i pazienti che ne hanno bisogno. Con una tale licenza infatti, un Governo forza i possessori di un brevetto, o di altri diritti di esclusiva a concederne l'uso per lo Stato o per altri soggetti;
   proprio per spingere il nostro Paese di richiedere e ottenere la suddetta deroga alla protezione brevettuale e chiedere la «licenza obbligatoria» è in avvio una campagna petizione così da consentire a tutti i pazienti di poter accedere alla terapia per l'Epatite C, a carico del servizio sanitario nazionale;
   attualmente la procedura di autorizzazione per l'immissione in commercio dei farmaci nei Paesi europei è gestita a livello centrale dall'EMA, mentre la contrattazione sul prezzo e sulle modalità di rimborso è gestita in Italia dall'AIFA. Il Governo di entrambi questi aspetti è insoddisfacente e va modificato, agendo sia a livello europeo che a livello nazionale;
   a livello europeo bisogna rivedere le modalità per l'approvazione dei farmaci da parte dell'EMA, su cui gravano accuse di subalternità agli interessi delle industrie e di scarsa trasparenza. Innanzitutto devono essere resi disponibili tutti i dati degli studi clinici che sono alla base dell'approvazione, per i quali non devono essere invocati né il segreto industriale, né la tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle sperimentazioni, che può essere garantita senza negare la pubblicità dei dati; è peraltro necessario rivedere la modalità che fa riferimento – per l'approvazione – ai requisiti di qualità, efficacia e sicurezza. L'efficacia va misurata su indicatori di esito robusti e non su indicatori surrogati e il confronto va fatto con un farmaco della stessa categoria di provata efficacia, se esiste, su cui va dimostrato il valore aggiunto del nuovo farmaco in termini di efficacia, tollerabilità e rapporto costi/benefici. Il disegno degli studi clinici necessari per la valutazione di efficacia deve essere di superiorità anziché di non-inferiorità. Attualmente infatti come ha ricordato il direttore dell'Istituto. Mario Negri, Silvio Garattini, nella sua memoria consegnata alla Commissione XII della Camera nel febbraio 2016, – quando si confrontano i nuovi farmaci con quelli già in uso, si tende a documentarne semplicemente la non-inferiorità anziché la superiorità. Il confronto con placebo va riservato a indicazioni terapeutiche per cui non esistono farmaci efficaci già disponibili. In questo modo si eviterebbe l'introduzione sul mercato di prodotti che non sono innovativi rispetto a quelli analoghi già presenti, ma servono solo a incrementare la spesa farmaceutica e i profitti delle multinazionali;
    sempre il professor Garattini, ha ricordato come «la legislazione europea ammette per la registrazione di nuovi farmaci solo i dossier preparati dall'industria farmaceutica. Questo rappresenta un enorme conflitto di interessi». Sarebbe necessario che fra i tre studi clinici richiesti a sostegno della richiesta di approvazione, «almeno uno studio clinico controllato di Fase 3 venga condotto da un ente indipendente senza fini di lucro», privo di «collegamenti» con l'azienda titolare della richiesta di autorizzazione, che dovrebbe comunque sostenerne il costo;
    l'accoglimento delle suddette proposte porterebbe all'approvazione di pochi nuovi farmaci, con quello che questo comporta in termini di minor spesa farmaceutica per farmaci innovativi;
    le indagini degli ultimi anni ci mostrano che poco più del 10 per cento dei nuovi farmaci immessi sul mercato europeo offrono reali vantaggi rispetto a quelli esistenti;
    sarebbe inoltre necessario giungere ad una contrattazione centralizzata per stabilire un prezzo unico europeo dei farmaci, allo scopo di avere un maggiore potere negoziale. In caso contrario la contrattazione sul prezzo a livello nazionale tra l'AIFA e le aziende deve essere svolta in modo trasparente e le industrie devono fornire in modo analitico le voci che compongono il prezzo. Questo deve essere noto al pubblico e ai prescrittori, cosa che oggi non avviene, in quanto il prezzo cosiddetto ex-factory cioè il prezzo massimo di cessione al servizio sanitario nazionale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non è reale. Infatti non comprende né le riduzioni temporanee, né gli sconti obbligatori per la cessione alle strutture pubbliche, comunicati dall'AIFA alle regioni solo a posteriori e dalle ditte farmaceutiche solo alle strutture acquirenti;
    ai fini della determinazione dei prezzi va previsto lo strumento delle aste pubbliche, quanto meno per i prodotti più costosi, nonché la previsione in base alla quale il prezzo dei farmaci equivalenti deve servire per rideterminare, almeno dopo un certo intervallo di tempo, il prezzo dei farmaci di riferimento;
    è comunque indispensabile perseguire un maggiore coinvolgimento pubblico, attraverso maggiori finanziamenti alla ricerca indipendente, alle università e agli istituti di ricerca attivi in campo farmaceutico. In particolare la ricerca indipendente sui farmaci finanziata con fondi pubblici, sia per gli studi di fase 3 che di fase 4, va considerata una priorità importante per il servizio sanitario nazionale;
    è altresì prioritario rivedere in modo sistematico il Prontuario Terapeutico nazionale, attraverso una rigorosa valutazione dei dati aggiornati sulle evidenze di efficacia e gli effetti collaterali dei farmaci, nonché sul rapporto costi/benefici di ogni prodotto, eliminando i molti farmaci ormai obsoleti e quelli con prezzi non competitivi. È necessario in particolare riesaminare la collocazione nel prontuario di farmaci ancora coperti da brevetto per cui esistono alternative nell'ambito degli equivalenti;
    l'articolo 11, comma 1, del decreto-legge n. 158 del 2012 subordina reinserimento dei medicinali equivalenti nel prontuario farmaceutico nazionale alla data di scadenza del brevetto della specialità di riferimento. La stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua segnalazione del 4 luglio 2014, al Governo e al Parlamento, ai fini della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, proponeva di sopprimere la suddetta norma del decreto-legge n. 158 del 2012 relativa al previsto vincolo alle procedure di registrazione dei medicinali equivalenti alla scadenza del brevetto (patent linkage). La richiesta dell'Agcm nasce dall'esigenza di accelerare l'accesso al mercato dei farmaci generici evitando di subordinare l'inserimento dei farmaci generici nella cosiddetta «Lista di trasparenza» (ai fini del rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale) alle date di scadenza brevettuale indicate dal Ministero dello sviluppo economico. Attualmente, infatti, si subordina la procedura di concessione delle autorizzazioni per l'immissione in commercio di farmaci generici alla risoluzione di eventuali dispute su presunte violazioni della proprietà industriale e commerciale, così ritardando l'ingresso nel mercato di detti farmaci equivalenti;
    l'articolo 48, comma 19, del decreto-legge n. 269 del 2003, prevede che una quota del contributo del 5 per cento delle spese autocertificate versato dalle aziende farmaceutiche all'AIFA, vada «alla realizzazione di ricerche sull'uso dei farmaci ed in particolare di sperimentazioni cliniche comparative tra farmaci, tese a dimostrare il valore terapeutico aggiunto, nonché sui farmaci orfani e salvavita, anche attraverso bandi rivolti agli IRCCS, alle Università ed alle Regioni, e, anche su richiesta delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano o delle società scientifiche nazionali del settore clinico di specifico interesse, sentito il Consiglio superiore di sanità, alla sperimentazione clinica di medicinali per un impiego non compreso nell'autorizzazione all'immissione in commercio». I bandi previsti dalla norma citata, messi a disposizione per studi clinici indipendenti, dal 2012 non sono stati purtroppo più emanati, nonostante che le suddette risorse non gravino sulla spesa pubblica;
    si evidenzia in fine come ancora oggi il Governo non sia disponibile a prevedere la vendita dei farmaci di fascia C con ricetta anche fuori delle farmacie, al fine di consentire di aprire al mercato dei farmaci con ricetta obbligatoria ma non rimborsati dal sistema sanitario,

impegna il Governo:

   ad avviare tutte le opportune iniziative volte a implementare e favorire la ricerca farmacologica, perseguendo un maggiore coinvolgimento pubblico, anche attraverso adeguati finanziamenti alle università e istituti di ricerca attivi in campo farmaceutico, e prevedendo a tal fine l'istituzione di un'Agenzia nazionale per la ricerca, che indirizzi le priorità da perseguire in seguito a un dibattito che coinvolga la comunità scientifica, la società civile e i servizi sanitari;
   ad assumere iniziative per una riorganizzazione e a una gestione da parte di un soggetto indipendente del settore della farmacovigilanza, che, benché coordinato dall'Aifa attraverso la rete nazionale della farmacovigilanza, è attualmente in buona parte affidato all'industria farmaceutica;
   ad adoperarsi al fine di considerare la ricerca indipendente sui farmaci finanziata con fondi pubblici, sia per gli studi di fase 3 che di fase 4, quale priorità per il servizio sanitario nazionale che può fornire un contesto prezioso per gli studi pragmatici su vasta scala mirati a problemi rilevanti per salute pubblica, che oggi vengono considerati la nuova frontiera della ricerca clinica;
   a sbloccare i bandi previsti dal decreto-legge n. 269 del 2003 per la realizzazione di ricerche sull'uso dei farmaci, di sperimentazioni cliniche comparative tra farmaci, nonché sui farmaci orfani e salvavita, il fine di favorire gli studi clinici indipendenti;
   a provvedere a una revisione del prontuario terapeutico nazionale da effettuare attraverso una rigorosa valutazione dei dati aggiornati sulle evidenze di efficacia e gli effetti collaterali dei farmaci, nonché sul rapporto costi/benefici di ogni prodotto, riesaminando la collocazione nel prontuario di farmaci ancora coperti da brevetto per cui esistono alternative nell'ambito degli equivalenti;
   sulla base dell'accordo internazionale «TRIPs» di cui in premessa, e in considerazione di quella che si può considerare a tutti gli effetti un'emergenza sanitaria conseguente al milione di malati di epatite C, e al fatto che il nostro Paese abbia il primato europeo per numero di soggetti HCV positivi, ad avviare tutte le iniziative, anche normative per pervenire – proprio ai fini della tutela della salute pubblica – alla prevista deroga alla protezione brevettuale attraverso la «licenza obbligatoria» per i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite C, al fine di produrre i farmaci anti-epatite C a costo contenuto e garantirne l'accessibilità a tutti i pazienti che ne hanno bisogno;
   ad assumere iniziative per provvedere in ogni caso, nella prossima sessione di bilancio, a rifinanziare anche per il 2017 e gli anni successivi il Fondo per il rimborso alle regioni per l'acquisto di medicinali innovativi, istituito con la legge di stabilità 2015, incrementandone sensibilmente la dotazione finanziaria, e rivedendo contestualmente i criteri di prioritizzazione, in modo che tutti i pazienti possano ususfruire di questi farmaci innovativi;
   ad assumere iniziative per prevedere la riduzione automatica dei prezzi dei farmaci a brevetto scaduto;
   a definire i parametri di rimborsabilità dei farmaci sulla base dei risultati clinici, con particolare riferimento ai farmaci ad alto costo per patologie di rilevanza sociale;
   a prevedere che il prezzo dei farmaci equivalenti debba servire per rideterminare, almeno dopo un certo intervallo di tempo, il prezzo dei farmaci di riferimento;
   ad accelerare l'accesso al mercato dei farmaci generici, evitando di subordinare l'inserimento dei farmaci generici nella cosiddetta «lista di trasparenza» (ai fini del rimborso a carico del servizio sanitario nazionale) alle date di scadenza brevettuale indicate dal Ministero dello sviluppo economico, come attualmente previsto dal decreto-legge n. 158 del 2012 di cui in premessa;
   a predisporre in tempi rapidi un piano complessivo per l'eradicazione dell'epatite C, che comprenda anche uno screening di massa che consenta di evidenziare la presenza del virus prima dello sviluppo della malattia;
   a escludere la possibilità per l'Aifa di firmare accordi con le aziende farmaceutiche inerenti alla presenza di clausole di riservatezza, o qualunque altro elemento che riduca la necessaria trasparenza, e a prevedere che vengano pubblicati tutti i dati in possesso dell'Agenzia inerenti alle decisioni prese per l'autorizzazione in commercio dei farmaci da parte del Comitato prezzi e rimborsi e del Comitato tecnico scientifico dell'Aifa stessa;
   ad adottare le opportune iniziative in sede europea perché vengano riviste le modalità per l'approvazione dei farmaci da parte dell'EMA, affinché: a) siano resi disponibili tutti i dati degli studi clinici che sono alla base dell'approvazione, per i quali non devono essere invocati né il segreto industriale, né la tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle sperimentazioni; b) siano riviste le modalità che fanno riferimento – per l'approvazione – ai requisiti di qualità, efficacia a sicurezza, in modo che l'efficacia sia misurata su indicatori di esito robusti e non su indicatori surrogati, e il confronto venga effettuato con un farmaco della stessa categoria di provata efficacia, su cui va dimostrato, ai fini dell'approvazione, il valore aggiunto del nuovo farmaco in termini di efficacia, tollerabilità e rapporto costi/benefici; c) ai fini della registrazione di nuovi farmaci, fra i tre studi clinici richiesti a sostegno della richiesta di approvazione, almeno uno studio clinico controllato di fase 3 venga condotto da un ente indipendente senza fini di lucro, e in assenza di potenziali conflitti di interesse con l'azienda farmaceutica titolare della richiesta di autorizzazione; d) si giunga ad una contrattazione centralizzata per stabilire un prezzo unico europeo dei farmaci, allo scopo di poter avere un evidente maggior potere negoziale;
   ad assumere iniziative per prevedere la possibilità della vendita dei farmaci C con ricetta anche fuori dalle farmacie.
(1-01322) «Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    la spesa farmaceutica rappresenta percentualmente il 13,1 per cento delle risorse che lo Stato annualmente impegna per la sanità. A fronte di un settore così rilevante anche sul versante della tutela della salute, sono stati progressivamente introdotti strumenti di monitoraggio e di governance della spesa e di controllo sull'appropriatezza dell'uso dei farmaci;
    secondo l'ultimo consuntivo pubblicato dall'Aifa sulla spesa farmaceutica (territoriale ed ospedaliera) relativa al 2015 si sono superati i 18 miliardi di euro di spesa, sforando i tetti programmati di 1,880 miliardi di euro (331 milioni quella territoriale e 1.549 milioni di euro quella ospedaliera) e che nel 2020 arriverà a 35 miliardi di euro nel 2020, anche a causa della produzione di nuovi e costosi farmaci;
    nel 2015 sono state 11 regioni a sfondare il tetto territoriale, con la Sardegna in testa a questa classifica in termini di percentuale di sfondamento, mentre per quanto riguarda il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera è stato sfondato in tutte le regioni, tranne che nella provincia autonoma di Trento, l'unica che è riuscita a rispettarlo;
    la direttiva 89/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità medicinali per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione per malattia, è stata adottata considerando che gli Stati membri hanno assunto misure di carattere economico per quanto riguarda la commercializzazione delle specialità medicinali, per controllare le spese a carico dei servizi sanitari per tali specialità medicinali, misure che includono controlli diretti e indiretti dei prezzi delle specialità medicinali come una conseguenza dell'inadeguatezza o dell'assenza di concorrenza nel mercato delle specialità medicinali e restrizioni della gamma delle specialità coperte dai regimi nazionali di assicurazione malattia;
    lo scopo principale delle predette misure è la promozione della salute pubblica attraverso un'adeguata disponibilità di specialità medicinali a prezzi ragionevoli; tuttavia, tali misure dovrebbero servire anche a promuovere l'efficienza produttiva dello specialità medicinali e ad incoraggiare la ricerca e lo sviluppo di nuove specialità medicinali, da cui dipende in definitiva il mantenimento di un alto livello di salute pubblica nella comunità;
    disparità in tali misure possono ostacolare o falsare il commercio intracomunitario delle specialità medicinali e quindi pregiudicare direttamente il funzionamento del mercato comune delle specialità medicinali;
    l'obiettivo della direttiva era quello di ottenere una visione d'insieme delle intese nazionali in materia di prezzi, compreso il modo in cui esse operano nei singoli casi e tutti i criteri su cui sono basate, e di renderle note a tutte le persone interessate dal mercato delle specialità medicinali negli Stati membri, informazioni queste che dovrebbero essere rese pubbliche;
    in Italia, tutti i medicinali, per essere immessi in commercio, necessitano che sia loro attribuito un prezzo ed una classe di rimborsabilità, cioè se il farmaco è a carico del Servizio sanitario nazionale (medicinale di classe A e H) o del cittadino (medicinale di classe C);
    la classe di rimborsabilità viene individuata durante la procedura di autorizzazione all'immissione in commercio; per i medicinali a carico del cittadino (classe C) l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) svolge un'azione di monitoraggio sui farmaci con obbligo di prescrizione (ricetta), verificando il rispetto di due condizioni (il prezzo del medicinale può essere aumentato ogni due anni (negli anni dispari) e l'incremento non può superare l'inflazione programmata), mentre per i farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP) il prezzo è stabilito liberamente dal produttore;
    per i medicinali rimborsati dal servizio sanitario nazionale (classe A e H) esiste un processo di negoziazione dei prezzi che coinvolge l'Aifa e l'azienda titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio;
    la determinazione del prezzo dei medicinali rimborsati dal servizio sanitario nazionale, mediante la contrattazione tra Agenzia italiana del farmaco e le aziende farmaceutiche (legge n. 326 del 2003), è un'attività che l'Agenzia svolge sulla base delle modalità e del criteri indicati nella deliberazione del CIPE del 1o febbraio 2001, recante «Individuazione dei criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci»;
    l'attuale sistema di Governo della spesa farmaceutica, oltre alla delibera del Cipe, sostanzialmente è fondato sulla legge n. 405 del 2001 che ha, fra l'altro, previsto la cosiddetta distribuzione diretta e distribuzione per conto delle categorie di medicinali che richiedono un controllo ricorrente del paziente, nonché il rimborso dei medicinali «copia» da parte del Servizio sanitario nazionale, fino alla concorrenza del prezzo più basso del corrispondente farmaco disponibile nel normale ciclo distributivo; dalla legge n. 222 del 2007 successive modificazioni e integrazioni che stabilisce i tetti di spesa a livello nazionale per l'assistenza farmaceutica e dispone altresì l'attribuzione da parte dell'AIFA, a ciascuna azienda titolare di autorizzazioni all'immissione in commercio di un budget annuale; dalla legge n. 135 del 2012 con la quale, fra l'altro, viene definito che il superamento del tetto della farmaceutica ospedaliera, così come definito dalla legge n. 222 del 2007 e successive modificazioni e integrazioni è posto, per il 50 per cento a carico delle aziende farmaceutiche;
    in data 27 aprile 2016 è stata discussa ed approvata in Commissione affari sociali la risoluzione conclusiva n. 8-00177 a prima firma Miotto ove con il parere favorevole del Governo si impegnava quest'ultimo «ad avviare ogni utile iniziativa finalizzata a dare attuazione alla predetta direttiva 39/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, con particolare riferimento alle attività di controllo relative all'immissione sul mercato di specialità medicinali; ad adottare iniziative volte a garantire che, nel futuro, non si ricorra ad accordi con clausole di riservatezza per l'acquisto di medicinali, ad eccezione di casi straordinari – sia per la rilevanza terapeutica innovativa che per le dimensioni dell'impatto finanziario – valutando comunque, in tali specifiche circostanze, di conformarsi ai consolidati orientamenti comunitari e, ove esistenti, alle indicazioni fornite dall'EMA, nonché a sottoporre gli accordi con clausole di riservatezza alla vigilanza dell'Autorità nazionale anticorruzione, per quanto di competenza, e, anche in attuazione dell'articolo 162 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (cosiddetto “codice appalti”), al controllo della Corte dei conti»;
    il 5 maggio 2016 la Conferenza delle regioni delle province autonome ha approvato un documento sulla governance farmaceutica di cui al Tavolo per la revisione della disciplina sul governo della spesa farmaceutica dove specifica i principali determinanti dell'aumento della spesa farmaceutica: elevati prezzi di farmaci soprattutto nell'area oncologica, onco ematologica e del farmaci impiegati nelle malattie rara; schemi terapeutici che associano più farmaci ad alto costo con conseguente raddoppio della spesa (Combo therapy); invecchiamento della popolazione; incremento del numero dei pazienti in trattamento in linee terapeutiche successive alla prima; cronicizzazione dei pazienti in trattamento; fenomeni di non appropriatezza prescrittiva generati dal pressante marketing dell'industria farmaceutica; stabilità dei prezzi dei farmaci per una insufficiente concorrenzialità nel mercato farmaceutico; insufficienti manovre di disinvestimento (la riduzione dei prezzi dei farmaci a brevetto scaduto non è sufficiente a controbilanciare gli aumenti dovuti ai nuovi farmaci; allo stesso modo ai farmaci generici e ai biosimilari stante la normativa vigente non viene imposto uno sconto obbligatorio minimo);
    sempre secondo questo documento la Conferenza delle regioni e della province autonome di Trento e Bolzano propone l'introduzione di misure strutturali quali l'introduzione di una nuova procedura di prezzo/volume (P/V) per la quale il prezzo si riduce o si sconta in maniera progressiva in rapporto all'aumento dei pazienti trattati, delle estensioni delle indicazioni, delle terapie combinate e dell'incremento della durata della terapie; una nuova definizione di spesa farmaceutica ove la distinzione tra spesa territoriale e ospedaliera si basa non sui percorsi distributivi ma in funzione delle diverse modalità di acquisto; la revisione dei registri tenuti da Aifa per i farmaci ad alto costo e di particolare impatto sanitario; nuovi criteri per l'attribuzione della innovatività al farmaco con i relativi vantaggi che ne derivano; la ridefinizione delle cosiddette «liste di trasparenza» così come previste dall'articolo 7 della legge n. 405 del 2001; sostituibilità automatica dei farmaci biosimilari con gli originatori; una maggiore concorrenza sul mercato farmaceutico come, del resto, avviene oggi per i dispositivi medici; revisione della delibera del CIPE 3 del 2001 ed infine una maggiore attenzione ai farmaci CNN e a quelli inseriti negli elenchi della legge n. 648 del 1996;
    almeno 350.000 italiani soffrono di infezione cronica derivante da virus dell'Epatite C (HCV) e che circa il 20 per cento di tutti i pazienti con infezione cronica HCV è affetto da cirrosi, o da estesa fibrosi del fegato, e negli anni può causare emorragia digestiva, esaurimento funzionale e tumore del fegato. Per questa ragione i pazienti con cirrosi, e sue complicanza, hanno avuto accesso prioritario ai farmaci anti epatite C orali, limitati come quantità per mantenere la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale;
    fino a fine giugno 2016 sono stati trattati con farmaci orali 50.000 italiani con tassi di guarigione superiore al 90-95 per cento ma restano 300.000 pazienti con uno sforzo economico notevole, visto che per i primi 50.000 si sono spesi quasi 1,7 miliardi di euro;
    per quanto attiene al settore dei dispositivi medici (device) si tenta ora di intraprendere la stessa complessa strada adottata per il payback dei farmaci infatti nel decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 si prevede una ulteriore rinegoziazione dei contratti, pur già annullata dal Tar, e il payback per i dispositivi medici. Nel caso dei dispositivi la gestione dovrebbe essere su base regionale, ma non sono noti ad oggi i criteri di gestione né tantomeno quali siano i dispositivi effettivamente interessati, essendo oltre 760 mila i codici di prodotti registrati presso il Ministero della salute; le politiche pubbliche di acquisto dei dispositivi medici da almeno 7 anni mostrano una crescente tendenza ad aggiudicare al massimo ribasso, con valori medi annui che oscillano tra – 12 per cento e – 18 per cento rispetto alle basi d'asta (cfr Centro studi Assobiamedica, studi n. 30 marzo 2015) spesso a loro volta fissate a livelli inferiori rispetto alle condizioni medie dei mercati di riferimento nei dodici mesi precedenti, con evidenti ripercussioni sui prezzi e sui fatturati delle imprese; il livello medio dei prezzi dei dispositivi medici negli ultimi 7 anni ha infatti perso il 25 per cento e a questa caduta verticale dei prezzi si è accompagnata una diminuzione del fatturato delle imprese di circa il 10 per cento dal 2010 al 2013;
    in questi ultimi anni per taluni dispositivi il crollo dei prezzi è stato ancora più pesante, come ad esempio è avvenuto per le siringhe (– 34 per cento) e gli stent (– 30 per cento); e lo stesso dicasi per la contrazione di taluni mercati specifici che è stata dell'ordine del 40-50 per cento, come ad esempio è avvenuto per i dispositivi per monitoraggio funzionale in ambito cardiologico (– 42 per cento), l'elettromedicina (– 44 per cento), e soprattutto l’imaging diagnostico (– 49 per cento);
    tutti gli indicatori succitati dimostrano come la spesa pubblica in dispositivi medici sia in calo e per altro le imprese italiane del settore siano drasticamente diminuite negli ultimi anni; lo strumento delle gare è stato quindi sufficiente e non si comprende come si possa applicare ora anche il pay back;

impegna Governo:

   ad assumere iniziative per accogliere le proposte formulate dalla Conferenza delle regioni anche in sede di attuazione di quanto previsto dall'articolo 21 del decreto n. 113 del 2016 che prevede la riforma della governance del sistema;
   ad assumere iniziative per ridefinire i tetti di spesa in funzione delle diverse modalità di acquisto dei prodotti e non più in base ai processi distributivi, visto che l'attuale distinzione della spesa farmaceutica in due tetti di spesa territoriale costituita dalla spesa farmaceutica convenzionata e dalla spesa derivante dalla distribuzione diretta e per conto dei farmaci di fascia «A» e il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera, anche in consideratone dell'incremento e della «strutturazione» della erogazione diretta e della distribuzione per conto è concettualmente superata;
   ad affrontare in modo organica, il tema dell'acquisto dei dispositivi medici facendo tesoro delle difficoltà applicative del meccanismo del pay back già verificata nel più semplice settore farmaceutico;
   ad assumere iniziative per rimodulare i registri tenuti da AIFA per i farmaci ad alto costo e di particolare impatto sanitario, chiudendo quelli non più utili alla luce delle nuove informazioni semplificando le procedure per le prescrizioni mediche e garantendo alle asl e ai medici prescrittori gli opportuni ritorni informativi;
   ad assumere iniziative per mantenere il fondo per i farmaci innovativi adeguatamente finanziato e definire in modo chiaro e dettagliato cosa si intende per farmaci innovativi nonché i parametri di rimborsabilità sulla base di risultati clinici significativi:
   a favorire una maggiore concorrenza nel mercato farmaceutico e a distinguere le funzioni dell'ente che autorizza e controlla dalle funzioni di acquisto dei prodotti per il Servizio sanitario nazionale;
   a velocizzare l'introduzione nel nostro Paese dei farmaci già autorizzati da Ema;
   ad attivare al più presto la sperimentazione al fine di introdurre anche in Italia uno o più validi farmaci generici, e non solo un brand, per la cura dell'epatite C (HCV) in tutti i suoi stadi di gravità al fine di poter curare tutti i pazienti registrati presso il Servizio sanitario nazionale;
   a stipulare un protocollo di intesa per la sperimentazione su volontari tra il Ministero della salute e le aziende produttrici dei farmaci generici per l'attuazione di quanto previsto al precedente punto;
   a prevedere l'avvio di un monitoraggio finalizzato a valutare gli effetti reali della manovra di cui all'articolo 9-ter del decreto-legge n.78 del 2015, convertito dalla legge n.125 del 2015, con riferimento al trimestre ottobre-dicembre 2015 ed all'anno 2016, anche al fine di consentire la verifica dell'impatto sul Servizio sanitario nazionale delle dinamiche concorrenziali innescate dalla procedura negoziale.
(1-01323) «Lenzi, Miotto, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, D'Incecco, Fossati, Gelli, Grassi, Mariano, Murer, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini».

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    in data 12 luglio 2016, alle ore 11,38, si è verificato uno scontro frontale tra due convogli ferroviari sulla linea ferroviaria regionale Bari-Barletta, che collega Bari con numerosi centri abitati dislocati su due province, con un bacino di utenza di circa 700 mila abitanti, che ha provocato il decesso di 23 persone e il conseguente ferimento di altri 50 passeggeri. I convogli, ciascuno dei quali formato da quattro vagoni sui quali viaggiavano soprattutto pendolari, studenti universitari e viaggiatori diretti all'aeroporto di Bari-Palese, erano in servizio sulla tratta a binario unico Corato-Andria della predetta linea, gestita dalla società Ferrotramviaria spa società totalmente a capitale privato, che opera in qualità sia di gestore dell'infrastruttura sia di impresa ferroviaria;
    la circolazione dei treni nel tratto sopracitato avviene con il solo «blocco telefonico» per cui non sono presenti altri tipi di regime di circolazione;
    la proprietà della predetta infrastruttura è della regione Puglia. La linea è elettrificata ed a scartamento normale, a doppio binario nel tratto Fresca San Girolamo-Ruvo, circa 33 chilometri, mentre per i restanti 37 chilometri è a binario unico. La circolazione dei treni avviene con blocco automatico bidirezionale da Bari a Ruvo mediante l'ACEI, l'apparato centrale elettrico ad itinerari di Bitonto, e gli ACS, gli apparati centrali statici di Terlizzi e Ruvo, e con consenso telefonico da Ruvo a Barletta;
    il convoglio partito da Andria, che si è scontrato con quello proveniente da Corato, non sarebbe dovuto partire. La procura di Trani ha già proceduto alle prime iscrizioni nel registro degli indagati per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e disastro ferroviario. Il procuratore di Trani ha subito avvertito che, al momento, parlare di un errore umano è corretto, ma assolutamente riduttivo. Uno dei due convogli sarebbe partito in anticipo dalla stazione di provenienza: nella tratta teatro dell'incidente, infatti, è in uso il sistema obsoleto del consenso telefonico, per cui il via libera ai treni è dato da una comunicazione attraverso telefono tra gli operatori delle varie stazioni. Secondo la procura si tratta di un'indagine molto complessa, a partire dalla dinamica dell'incidente, ma ci sarebbero anche altre circostanze da verificare, ossia se siano stati erogati o meno i finanziamenti per il miglioramento e il raddoppio della linea, perché non vi siano sistemi di sicurezza adeguati, se su quella linea vi siano già state situazioni critiche non segnalate;
    la procura di Trani ha avviato anche una serie di accertamenti per individuare eventuali responsabilità all'interno dell'ufficio trasporti a impianti fissi (Ustif) di Bari, organo periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha competenza sui trasporti pubblici che si avvalgono di impianti fissi (funivie, teleferiche, tranvie metropolitane e anche le ferrovie in concessione, come le Ferrovie del nord barese) e dei relativi collaudi per la messa in esercizio, delle autorizzazioni e dei controlli periodici sulla linea;
    il sistema di segnalamento con consenso telefonico è senza dubbio tra i meno evoluti rispetto alle tecnologie disponibili per la regolazione della circolazione ferroviaria. Come affermato anche dal Ministro Delrio nel corso dell'informativa resa alle Camere il 13 luglio 2016, «nel regime del blocco telefonico il capostazione non può inviare un treno alla stazione successiva se non ha domandato e ottenuto dal capostazione della predetta il consenso ad inviare quel determinato treno. La sezione di linea è dunque considerata normalmente bloccata, e viene liberata per la circolazione di volta in volta mediante il consenso dell'inoltro del treno; con tale procedura sulla sezione di linea può essere presente un solo treno per volta». Il sistema si affida quindi interamente all'uomo, lasciando aperta la possibilità di errore e di una fallace interpretazione delle comunicazioni;
    le profonde diversità dei regimi di circolazione che vi sono attualmente in Italia tra la rete nazionale e quelle regionali sono dovute anche ad una diversa gestione delle stesse dato che la rete nazionale è di competenza di Rete ferroviaria italiana spa, quale unico soggetto gestore, mentre le reti regionali sono gestite da soggetti diversi, anche privati, con conseguente pianificazione interventi e sviluppi subordinati alle necessità e al ritorno economico del privato gestore. Ne deriva la presenza di alcune tratte ferroviarie regionali con regimi di circolazione arretrati come nel caso della tratta tra Andria e Corato. Una implementazione degli standard di sicurezza anche sulle reti regionali potrebbe essere, invece, più omogenea e rapida se fosse di competenza a livello infrastrutturale e di preparazione del personale di Rete ferroviaria italiana spa, già gestore della rete nazionale;
    è evidente, dunque, che da una parte, ci sono tecnologie all'avanguardia che garantiscono la sicurezza dei circa 16.700 chilometri gestiti da Rete ferroviaria italiana (Rfi) – che dal 2000 ad oggi ha fatto investimenti di circa 6-7 miliardi di euro sulla propria rete – e sottoposti alla vigilanza dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf). Dall'altra, ci sono tratti di rete, circa 3.700 chilometri, che rispondono ad un diverso organo preposto al controllo, l'Ufficio speciale trasporti a impianti fissi (Ustif), e ad aziende diverse (circa trentaquattro), a partecipazione sia pubblica che privata, che operano in tutto il Paese (Ferrovie nord in Lombardia fino a una pluralità di soggetti presenti proprio in Puglia, nello specifico Ferrovie del Gargano, Ferrotramviaria, Ferrovie del sud-est e Ferrovie appulo-lucane) e che scontano, in alcuni casi, un deficit di investimenti, che colloca le reti dagli stessi gestite su un piano diverso rispetto ai migliori standard di sicurezza;
    dalle prime indagini della procura è emerso che sarebbe bastato un investimento da poco meno di due milioni di euro per evitare l'incidente e dotare la linea di un sistema automatizzato di blocco treno. Il tratto ferroviario che va tra Andria e Corato risulta essere uno dei pochissimi tratti a binario unico in Italia senza alcun sistema di controllo automatizzato;
    la regione Puglia, con deliberazione della giunta regionale 2 aprile 2014, n. 547, ha individuato interventi volti a migliorare la sicurezza del trasporto ferroviario immediatamente cantierabili, stanziando risorse per un importo totale di euro 83.000.000,00 di cui circa venti milioni destinati alla società Ferrotramviaria spa ossia, il gestore dell'infrastruttura ove si è verificato l'incidente, distribuiti tra impianti di bordo (euro 6.250.000) e impianti di terra (euro 14.250.000);
    occorre chiarire se la società Ferrotramviaria abbia utilizzato le predette risorse per migliorare la sicurezza del tratto Corato-Andria, unico tratto controllato unicamente dall'uomo. Tale circostanza ha indotto la Guardia di finanza di Bari ad acquisire documenti nella sede della società e presso la regione. Tra i documenti acquisiti figura anche il contratto di servizio tra la regione Puglia e la società Ferrotramviaria, firmato a dicembre 2015, il regolamento di esercizio e la carta dei servizi dell'azienda;
    le indagini in corso rivelano, inoltre, che i convogli hanno continuato a circolare regolarmente nel tratto Andria Corato seppur sprovvisti di sistemi di controllo automatici di cui non si fa menzione nel contratto di servizio citato, in spregio di precise previsioni di legge, ma che la Ferrotramviaria, con una comunicazione inviata all'Ustif, si è impegnata a realizzare entro il 2017;
    gli investimenti sulla sicurezza in sistemi automatici di protezione non possono prevedere eccezione alcuna, sia che riguardino tratte delle Ferrovie dello Stato italiano sia, ancor più, che si tratti di ferrovie regionali « ex concesse», senza possibilità di fare distinzione di priorità in termini di sicurezza tra servizi a mercato e servizi universali, tra tratte regionali e linee ad alta velocità;
    per consentire e verificare l'implementazione degli standard di sicurezza è necessaria un'adeguata informazione al Parlamento, garantendo trasparenza ai soggetti gestori dei servizi, alle amministrazioni locali e alla cittadinanza, con la specifica informazione sull'effettivo stato di sicurezza delle reti ferroviarie secondarie e regionali e sul relativo monitoraggio delle stesse;
    il tragico incidente verificatosi in Puglia mostra ancora una volta un più generale fallimento delle politiche del Governo per i trasporti e le infrastrutture, come evidenziato anche dall'abbandono di una corretta programmazione, dalla inadeguatezza delle risorse e degli interventi per il trasporto pubblico, urbano ed extraurbano, e, soprattutto, per la riqualificazione della rete ferroviaria nazionale;
    la mancanza di uno o più dispositivi automatici di sicurezza idonei ad influire positivamente sui regimi di circolazione è una costante in molte ferrovie secondarie e regionali riducendo gravemente la garanzia di sicurezza;
    sulla sicurezza, il decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112 ha esteso le competenze dell'Agenzia nazionale sicurezza ferroviaria (ANSF) sulle reti regionali per circa 3.500 chilometri pari quasi ad un terzo della rete nazionale. Nell'ambito di tali reti sono ancora presenti 2.700 chilometri di linea a binario unico, di cui alcune, cosiddette isolate per la vocazione trasportistica e per gli standard di armamento adottati, sono dotate di tecnologie diverse: alcune solo del consenso telefonico, altre del blocco conta-assi e, nei casi più evoluti, sistemi di controllo marcia treno;
    in data 30 gennaio 2013, la Commissione europea ha presentato il «IV pacchetto ferroviario» composto dalle direttive n. 2016/796 e 2016/798, nonché dal regolamento 2016/797, che propone un approccio integrato volto a rivitalizzare il trasporto ferroviario dell'Unione europea per favorire la creazione di uno spazio ferroviario unico europeo con espresse disposizioni e indicazioni riguardanti l'aspetto della sicurezza delle reti ferroviarie;
    il 15 giugno 2016 è entrato in vigore il citato «IV pacchetto ferroviario». Gli obiettivi del pacchetto sono il completamento dell'area ferroviaria europea unica e la semplificazione dell'entrata dei nuovi operatori nel mercato: nello specifico, si intende ridurre i costi e la durata delle procedure del rilascio delle autorizzazioni, applicare procedure più snelle e armonizzate a livello dell'Unione, ma soprattutto garantire l'implementazione dell'interoperabilità ferroviaria e promuovere uno schema armonizzato per la sicurezza;
    l'Agenzia europea (ERA) funzionerà come un One Stop Shop (OSS) e rilascerà i certificati di sicurezza per le imprese ferroviarie che operino in più di uno Stato membro oppure, su richiesta del richiedente, in un singolo Stato membro;
    l'attuazione delle disposizioni dell'Unione europea implicherà che solo dall'anno 2019 l'Agenzia ferroviaria europea (ERA) disporrà norme sulla sicurezza ferroviaria omogenee su tutto il territorio europeo e di conseguenza in Italia l'ANSF sarà l'unico soggetto che controllerà in modo uniforme tutto il territorio nazionale;
    in particolare, la direttiva 2016/798 prevede la possibilità per ciascuno Stato membro di applicare le disposizioni per l'implementazione degli standard di sicurezza anche alle reti metropolitane e tranviarie a quelle ferroviarie locali, in deroga a quanto previsto dalla stessa direttiva. Ciò significando che il Governo potrebbe prevedere, nello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva, l'adeguamento degli standard di sicurezza delle reti ferroviarie locali e regionali a quelli della rete ferroviaria nazionale;
    la scadenza per il recepimento della citata normativa e prevista per il 16 giugno 2019;
    a livello nazionale, il decreto ministeriale n. 28/T del 5 agosto 2005 su «Individuazione delle Reti ferroviarie e dei criteri relativi alla determinazione dei canoni di accesso ed all'assegnazione della capacità di infrastruttura da adottarsi riguardo alle predette reti, dei criteri relativi alla gestione delle licenze e delle modalità di coordinamento delle funzioni dello Stato e delle regioni con riguardo alle questioni inerenti alla sicurezza della circolazione ferroviaria», all'allegato 1 elenca, ai sensi dell'articolo 1, comma 5, decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, le reti ferroviarie locali e regionali non isolate, a scartamento ordinario, che presentano almeno una interconnessione con la rete nazionale consentendo tecnicamente e funzionalmente l'interscambio:
     1. Ferrovia Andria-Mestre; 2. Ferrovia Adriatico-Sangritana; 3. Ferrovia Alifana; 4. Ferrovia Arezzo-Stia-Sinalunga; 5. Ferrovia Bari-Barletta; 6. Ferrovia Benevento-Napoli; 7. Ferrovia Bologna-Portomaggiore; 8. Ferrovia Brescia-Iseo-Edolo; 9. Ferrovia Canavesana; 10. Ferrovia Casalecchio-Vignola; 11. Ferrovia Centrale umbra; 12. Ferrovia Ferrara-Codigoro; 13. Ferrovia Ferrara-Suzzara; 14. Ferrovie del Gargano; 15. Ferrovia Modena-Sassuolo; 16. Ferrovie Nord Milano; 17. Ferrovia Parma-Suzzara; 18. Ferrovie Reggiane; 19. Ferrovia Roma-Viterbo; 20. Ferrovia Savona-San Giuseppe; 21. Ferrovia del Sud-Est; 22. Ferrovia Torino-Ceres; 23. Ferrovia Udine-Cividale.
    il decreto ministeriale n. 81-T del marzo 2008 «Direttiva sulla sicurezza della circolazione ferroviaria» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, stabilisce ai commi 1 e 2 dell'articolo 1, che i gestori delle reti regionali interconnesse alla rete nazionale elencate nel sopracitato decreto ministeriale n. 28/T del 5 agosto 2005, devono, entro tre anni dalla data di approvazione del decreto ministeriale n. 81-T del 19 marzo 2008, attrezzare le linee ferroviarie di propria competenza con sistemi di prevenzione della marcia del treno atti a garante i medesimi livelli di sicurezza dei sottosistemi di terra adottati sulla rete in gestione ad Rete ferroviaria italiane ed, entro lo stesso termine, il materiale rotabile che circola sulle reti regionali sopracitate deve essere attrezzato con sistemi di bordo compatibili con i sottosistemi di terra previsti sulle stesse linee;
    all'articolo 1, comma 3 e 4 della direttiva sopracitata, si stabilisce che, al fine di dare attuazione ai commi 1 e 2, i gestori delle reti regionali interessate presentano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro 90 giorni all'approvazione del decreto ministeriale n. 81-T del 19 marzo 2008, programmi di attrezzaggio tecnologico che tengano conto delle peculiari caratteristiche di ciascuna rete regionale, proponendo sistemi coerenti dal punto di vista economico tali da garantire interoperabilità con la rete di Rete ferroviaria italiana e detti programmi vengono valutati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la conferenza permanente Stato-regioni, tenendo presente la tipologia di traffico sulla rete di esercizio, in modo tale da definire un programma di riferimento entro il 31 dicembre 2008;
    quanto alle risorse, lo stesso Ministro Delrio nel corso dei giorni successivi al tragico incidente sulla Andria-Corato e negli interventi svolti nelle aule di Camera e Senato, ha più volte richiamato, 1 presenza di risorse ingenti pari a circa 18 miliardi di euro, 9 miliardi di euro per il 2015 e 9 miliardi di euro per il 2016, affermando che una parte consistente di tali risorse fossero per le reti ferroviarie secondarie, probabilmente riferendosi in maniera non del tutto chiara ad avviso dei firmatari del presente atto al contratto di programma RFI e al suo aggiornamento, nonostante in questo perimetro non rientrino specificamente le linee locali, ma soltanto le opere connesse alla rete ferroviaria nazionale e solo indirettamente il miglioramento di quelle regionali. Nel complesso, al di là delle incongruenze emerse nel richiamare risorse e fondi, senza alcuna specifica indicazione di ambito di competenza, appare ipotizzabile che almeno una parte di queste risorse possa derivare dalle revoche effettuate a seguito delle opere non cantierizzate ai sensi del decreto «sblocca Italia». Altresì, come è stato riportato dal Ministro Delrio durante l'informativa alla Camera dei deputati, vi sarebbe l'investimento di un ulteriore miliardo e 800 milioni di risorse per le reti non nazionali che il Ministro avrebbe concordato con il sottosegretario De Vincenti, anche in questo caso in maniera a giudizio dei firmatari del presente atto del tutto non chiara né specificata, poiché non è stato dettagliato con quali provvedimenti queste risorse sono state stanziate e messe a disposizione per la specifica finalità;
    sempre con riferimento alle risorse, nell'ambito dei contributi statali destinati a investimenti o a servizi in materia di trasporto pubblico locale di cui al Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale anche ferroviario di cui al comma 1 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, cui le regioni attingono in favore delle aziende di trasporto pubblico locale, è indubbio che nel ristoro degli oneri per l'esercizio dell'attività vi sia una quota destinata alla manutenzione dei mezzi e dell'infrastruttura. Pertanto, poiché come emerso dall'indagine conoscitiva svolta sul trasporto pubblico locale dalla IX Commissione della Camera dei deputati nella XVII Legislatura, e come più volte evidenziato dagli enti locali nelle sedi istituzionali preposte, l'ammontare delle risorse stanziate nel fondo nazionale risulta non sufficiente, ne consegue che anche quando tali risorse sono trasferite alle regioni e in ultimo alle aziende di trasporto pubblico locale, esse non sono sufficienti a coprire totalmente gli oneri sostenuti. Questo potrebbe aver implicato negli anni per alcune delle aziende risparmi o rinvii sull'ammodernamento dei sistemi di sicurezza ovvero aver comportato che le stesse avendo utilizzato risorse proprie per la manutenzione abbiano limitato gli investimenti nell'aggiornamento dei sistemi di sicurezza, in ammodernamento dei mezzi e dell'infrastruttura e nel conseguente aumento della capacità di trasporto, con effetti negativi sulla qualità e sulla sicurezza del servizio, sulla disponibilità dell'offerta e sull'acquisto di nuovi mezzi;
    le risorse previste nel corso dell’iter di esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113 come convertito, recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio, pari a 10 milioni di euro per i parenti delle vittime e per i feriti del disastro ferroviario di Andria, possono essere considerate una misura solo volta a lenire il dolore e il grave disagio per tale vicenda;
    un maggiore potenziamento del servizio di trasporto pubblico locale contribuirebbe in misura rilevante alla riduzione della congestione stradale e delle vittime della strada. Secondo i dati definitivi diffusi dall'ISTAT per il 2014, si sono verificati 177.031 incidenti stradali con lesioni a persone, che hanno provocato la morte di 3.381 persone (entro il 30o giorno) e il ferimento di altre 251.147 e i dati provvisori per il 2015 mostrano che tale andamento è ancora in continuo aumento;
    in caso di disastro ferroviario, come accaduto anche il 29 giugno del 2009 a Viareggio, a causa della complessità delle indagini e delle lungaggini delle dinamiche nell'accertamento e nella ricostruzione dell'accaduto e delle responsabilità da parte della magistratura, può intervenire la prescrizione dei reati implicando l'impossibilità di individuare e assicurare alla giustizia i responsabili di tali stragi, e questo genera una crescita della disaffezione dei cittadini verso le istituzioni per il senso di impunità,

impegna il Governo:

   con riferimento all'attività di ricognizione:
    a) ad assumere ogni iniziativa di competenza per provvedere, entro il 31 dicembre di ciascun anno, ad una dettagliata ricognizione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti delle condizioni di sicurezza delle reti ferroviarie locali e regionali, isolate e non isolate, adibite al trasporto passeggeri, delle reti ferroviarie adibite alla prestazione di servizi passeggeri urbani e suburbani e delle infrastrutture ferroviarie, anche private, adibite alle operazioni merci sprovviste di sistemi di controllo automatizzati, dei relativi regimi di circolazione, dei progetti di ammodernamento, potenziamento e messa in sicurezza, incluso lo stato dei passaggi a livello e tutto quello che riguarda la sicurezza ferroviaria di dette reti regionali;
    b) a pubblicare entro il 15 gennaio dell'anno successivo, la relazione dell'esito di tale ricognizione sul sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, da trasmettere alle competenti Commissioni parlamentari per rendere pubblica e accessibile la reale situazione di tutte le reti ferroviarie sul territorio nazionale;
    c) a verificare tempestivamente che tutti i contratti di concessione attualmente in essere rispettino puntualmente gli obblighi di legge in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria e contengano previsioni stringenti volte al rispetto dei tempi previsti dai medesimi contratti per la realizzazione degli investimenti, in particolare per quelli relativa alla sicurezza, dando pubblicità tramite il sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dell'esito puntuale di tale verifica;
   con riferimento al recepimento delle direttive europee:
    a) ad assumere le iniziative di competenza per recepire, nel più breve tempo possibile, e la direttiva 2016/798/UE sulla sicurezza delle ferrovie e la direttiva 2016/797/UE sull'interoperabilità di cui al citato «IV Pacchetto ferroviario», anticipando la scadenza del 16 giugno 2019, garantendo così il recepimento dei più avanzati standard di sicurezza ferroviaria attualmente vigenti in Europa e implementando immediatamente ed in modo omogeneo i suddetti standard su tutta la rete ferroviaria;
    b) ad adottare con urgenza il decreto ministeriale previsto ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112, recante «Attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento, europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, che istituisce uno spazio ferroviario europeo unico (Rifusione)», al fine di attribuire l'interoperabilità ad una parte delle linee per le quali sono attribuite alle regioni le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, consentendo anche a Rete ferroviaria italiana di supportare gli investimenti tecnologici e in sicurezza;
    c) ad assumere iniziative per recepire costantemente i più avanzati standard di sicurezza ferroviaria e di conseguenza implementare immediatamente ed in modo omogeneo i suddetti standard su tutta la rete feroviaria;
   con riferimento alle attività di pianificazione:
    a) a promuovere un piano di interventi per la sicurezza delle reti ferroviarie regionali, entro il 30 giugno 2017, concordato con le regioni, reso pubblico sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, individuando le priorità di investimento e monitorando periodicamente gli standard di sicurezza raggiunti, specificando lo stato di avanzamento dell'adeguamento in essere e le risorse previste, impegnate e realmente spese per ciascun intervento, al fine di superare definitivamente, su tutte le reti ferroviarie, il sistema del consenso telefonico e provvedere quindi all'armonizzazione degli standard di sicurezza a terra e a bordo su tutte le reti ferroviarie, siano esse gestite da Rete ferroviaria italiana, da altre società esercenti o da aziende di trasporto, coerentemente con l'esito del a ricognizione annuale, attraverso l'automatizzazione dei binari e dotando le linee dei sistemi tecnologici di protezione della marcia del treno più avanzati e di facile installazione, a partire dall'ERTMS livello 2 (blocco radio), ai sistemi Scmt (sistema di controllo della marcia treno) e Ss (sistema di supporto alla condotta), al BCA (blocco conta-assi automatico);
    b) ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché entro il 30 giugno 2017, che le reti ferroviari regionali pubbliche confluiscano nella Rete ferrovia italiana s.p.a.;
    c) ad assumere iniziative affinché per le reti ferroviarie private, qualora sulle stesse non vengono avviati gli adeguamenti previsti entro 6 mesi dall'adozione del piano, l'implementazione degli standard di sicurezza, nonché l'opportuno adeguamento, manutenzione, omologazione di tali reti e la relativa formazione professionale e ogni conseguente attività siano affidate in forma esclusiva ad Rete ferroviaria italiana s.p.a.;
    d) a definire, entro il 30 giugno 2017, i procedimenti di implementazione per adeguare agli standard di sicurezza della rete ferroviaria nazionale quelli delle reti regionali con adeguate iniziative da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in accordo con l'Agenzia nazionale sicurezza ferroviaria;
   con riferimento alle risorse da impiegare:
    a) ad assumere iniziative per stanziare con urgenza le necessarie risorse per adeguare entro il 30 giugno 2018 gli standard di sicurezza delle reti ferroviarie regionali a quelli della rete ferroviaria nazionale, il superamento dei passaggi a livello, nonché per il monitoraggio delle reti interessate da dissesto idrogeologico, specificando i fondi di imputazione di dette risorse e le reti regionali destinatarie con indicazione del tipo di adeguamento da adottare, prevedendo specifiche misure di controllo e verifica dello stato di avanzamento dell'adeguamento stesso, nonché dando pubblicità a tali interventi e ai rispettivi finanziamenti sul sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
    b) ad assumere iniziative per destinare in maniera strutturale dal 1o gennaio 2018, per gli anni successivi, tutte le risorse necessarie per la sicurezza della circolazione ferroviaria regionale, il suo funzionamento e la manutenzione dell'infrastruttura e del materiale rotabile;
    c) ad assumere iniziative per stanziare, stabilmente e con urgenza, risorse in favore del fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale di cui al comma 1 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, di modo che la sua capienza sia ogni anno di almeno 6,5 miliardi di euro e comunque sufficiente a ristorare interamente gli oneri degli enti locali e delle aziende di trasporto pubblico;
   con riferimento all'attività di vigilanza, ad assumere iniziative per porre sotto l'esclusiva competenza dell'Agenzia nazionale sicurezza ferroviaria le reti ferroviarie regionali entro il 30 giugno del 2017, estendendo i compiti di vigilanza dell'Agenzia all'intera rete delle ferrovie secondarie al fine di creare un regime unico di controlli e verifiche;
   con riferimento ai poteri sostitutivi di subentro, ad adottare specifiche iniziative normative volte a prevedere poteri sostitutivi per quegli enti e quei gestori che non utilizzano risorse per l'adeguamento degli standard di sicurezza e procedere ad incorporare la rete dell'infrastruttura delle ferrovie concesse nella rete ferroviaria nazionale di proprietà dello Stato in caso di mancato rispetto degli obblighi di sicurezza ferroviaria vigenti;
   con riferimento all'attività di monitoraggio:
    a) ad assumere iniziative affinché l'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria monitori in maniera puntuale lo stato di avanzamento dell'implementazione degli standard di sicurezza su tutta la rete nazionale e sulle reti regionali e i risultati di tale monitoraggio siano resi pubblici con aggiornamenti mensili sul sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e su quello dell'Agenzia nazionale sicurezza ferroviaria;
    b) a far sì, con immediatezza, che trimestralmente il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblichi sul proprio sito web, una relazione sullo stato di attuazione del piano per la sicurezza ferroviaria con particolare riferimento all'implementazione degli standard di sicurezza e ai relativi regimi di circolazione su tutta la rete nazionale e sulle reti regionali, ai tempi per la conclusione dei suddetti interventi e alle risorse stanziate;
   con riferimento alle disposizioni di giustizia, ad adottare nel più breve tempo possibile iniziative normative volte ad escludere definitivamente la decorrenza della prescrizione nei casi di reato per disastro ferroviario, strage ferroviaria e omicidio colposo plurimo, di modo che si possa garantire l'accertamento processuale dei fatti e delle responsabilità.
(7-01060) «De Lorenzis, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano, Spessotto».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il gravissimo incidente che si è verificato il 12 luglio 2016 sulla tratta regionale ferroviaria Bari-Barletta ha riproposto con prepotenza il tema della sicurezza del sistema ferroviario nazionale, con particolare riferimento alle tratte locali e regionali;
    in particolare, è emersa la necessità di aggiornare tutta la rete ferroviaria italiana verso i migliori standard tecnologici e le migliori innovazioni nel campo della sicurezza ferroviaria, guardando con maggiore attenzione alle necessità dei milioni di pendolari che ogni giorno utilizzano i sistemi ferroviari di trasporto pubblico locale;
    la tragedia ferroviaria pugliese ha fatto emergere tutti i limiti e l'arretratezza del cosiddetto sistema del consenso telefonico, una forma di comunicazione dei movimenti dei treni che è sempre più desueta in un contesto tecnologico fatto di treni a lievitazione, sistemi di tracciamento satellitare sempre più avanzati e sofisticate tecniche di segnalamento ad elevati standard di qualità e sicurezza;
    circostanza quella legata al frequente utilizzo di tecniche come il blocco telefonico su gran parte della rete ferroviaria italiana, ancora più paradossale se si pensa che, in tema di innovazione per la sicurezza delle ferrovie, l'Italia resta la patria dell'eccellenza nella progettazione e nella realizzazione dei sistemi di segnalamento. Ciò è testimoniato dal fatto che l'industria di settore investe oltre il 4 per cento del proprio fatturato in attività di ricerca e sviluppo, secondo i dati dell'Associazione delle industrie ferroviarie (Assifer);
    come è stato evidenziato di recente in un question time in Commissione del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana-Sel, proprio nel giorno in cui si consumava il terribile dramma pugliese, Rete ferroviaria italiana (Rfi), dava conto del superamento dei test di collaudo in Sardegna, sulla tratta Decimomannu-Cagliari, del sistema di segnalamento Ersat. Il sistema Ersat è integrato con il modello European Rail Traffic Management System (Ertms) per il distanziamento in sicurezza dei treni;
    oltre ad Rfi, ai test di collaudo, erano presenti i tedeschi di Db Netz, i francesi di Sncf, gli svizzeri di Sbb, la olandese Prorail, i britannici di Network Rail e altri importanti partner europei. Tutti hanno verificato e apprezzato le potenzialità operative e gestionali di Ersat che permette un funzionamento a prova di errore della localizzazione del treno, grazie alla tecnologia satellitare con boe virtuali Gps e un continuo scambio di informazioni tra terra e convogli attraverso Internet Protocol e utilizzando la rete pubblica Gsm;
    Ersat è un sistema di segnalamento che, primo caso al mondo, interfaccia e integra la tecnologia ferroviaria Ertms, con quella di navigazione e localizzazione satellitare Galileo. Il nuovo sistema, la cui omologazione è in corso, in futuro sarà utilizzato per controllare e gestire in sicurezza il traffico ferroviario sulle linee convenzionali secondarie, locali e regionali;
    come ha dato conto lo stesso Governo, rispondendo ad un question time in Commissione del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana-Sel, il progetto è cofinanziato dall'Unione europea nell'ambito del programma quadro Horizon 2020. Tuttavia né Rfi, né il Governo hanno saputo fornire un cronoprogramma preciso dell'entrata in funzione del sistema Ersat, né hanno illustrato un preciso impegno economico legato agli stanziamenti sul progetto;
    inoltre, sempre nella risposta del Governo si segnala che, quale gestore della infrastruttura ferroviaria nazionale, Rfi ha stipulato convenzione di collaborazione tecnica e scientifica con le maggiori università e istituti di ricerca per comuni progetti indirizzati verso il miglioramento della sicurezza e della circolazione ferroviaria;
    la mozione 1-01091 del 12 gennaio 2016 ad opera del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana-Sel già ha impegnato il Governo a precisi obblighi in tema di trasporto ferroviario e tutela dei pendolari, in particolare: ad adottare ogni iniziativa di competenza, garantendo il pieno coinvolgimento delle regioni per promuovere finalmente scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità urbana ed extraurbana, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare a 5 milioni di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei; ad attivarsi al fine di garantire il diritto alla mobilità con collegamenti ferroviari efficienti al Nord come al Sud, tra i principali capoluoghi, integrandoli con il sistema dei porti e degli aeroporti e ponendo in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad impedire il perdurante taglio dei collegamenti ferroviari, avviando nel contempo un azione di monitoraggio di tutta la rete pubblica affidata a Rfi;
    si tratta di impegni a cui, secondo i presentatori del presente atto, il Governo continua a non dar seguito;
    al contrario, è urgente assumere iniziative per impegnare sia Trenitalia, sia Rfi, che i vari operatori locali ad un preciso e robusto finanziamento di misure per la sicurezza del trasporto pubblico ferroviario, sia regionale che nazionale;
    in tema di governance del sistema ferroviario nazionale e regionale e sicurezza delle reti, sarebbe opportuno evidenziare un maggiore ruolo ed una più estesa competenza dell'Autorità di regolazione dei trasporti affinché queste, in quanto Autorità indipendente e, quindi, operante al di fuori del perimetro del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e delle sue agenzie controllate, possa essere maggiormente in grado di esercitare poteri autonomi di regolazione, law enforcement e moral suasion, come accade del resto in altri settori economici rilevanti come quello energetico o idrico,

impegna il Governo:

   a varare un piano nazionale, con la collaborazione di regioni ed enti locali, volto alla sicurezza ferroviaria di tutta la rete italiana, con particolare attenzione alle condizioni di trasporto dei pendolari;
   ad assumere iniziative per introdurre, nel prossimo disegno di legge di stabilità, misure immediatamente applicabili volte a finanziare l'ammodernamento e l'innovazione tecnologica dei sistemi per la sicurezza ferroviaria, prestando maggiore attenzione allo sviluppo di nuovi e più moderni sistemi satellitari di segnalamento come il sistema Ersat;
   ad adottare iniziative volte ad una maggiore armonizzazione con la politica europea del trasporto ferroviario, sia in ambito del trasporto delle persone, che nell'ambito del trasporto delle merci, garantendo una maggiore interoperabilità tra i sistemi per la sicurezza ferroviaria elaborati a livello comunitario;
   ad assumere iniziative normative per estendere le competenze dell'Autorità indipendente di regolazione dei trasporti anche per tutto ciò che concerne la sicurezza ferroviaria nazionale e regionale, con maggiori poteri di ispezione e controllo anche nei confronti delle altre autorità pubbliche competenti, nonché dei soggetti privati gestori dei vettori e delle infrastrutture ferroviarie.
(7-01061) «Franco Bordo, Folino».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, NICCHI, GREGORI, SCOTTO, FRATOIANNI, COSTANTINO, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, MELILLA e SANNICANDRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sta diventando ormai consuetudine la pericolosissima moda, soprattutto fra i più giovani, del fenomeno del «selfie sui binari» poco prima dell'arrivo dei treni;
   questi episodi non sono – da tempo – più riconducibili a sporadici avvenimenti, ma stanno avvenendo troppo frequentemente a causa del dilagare di questa nuova moda: scattarsi un selfie mentre sta per arrivare un treno per poi postarla sui vari social;
   solo nelle Marche questo fenomeno è già stato riportato per ben tre volte, ma non è circoscritto alla regione in quanto sta avvenendo su tutto il territorio nazionale. Si contano già numerosi adolescenti morti che sono stati travolti dal treno;
   l'ultimo episodio è avvenuto il 22 luglio 2016 Ancona all'altezza della Frana Barducci, quando la Polfer ha notato due ragazzi scavalcare la recinzione ed attraversare velocemente i binari, proprio mentre stava per sopraggiungere il treno regionale 2324 diretto ad Ancona;
   una volta raggiunti dalla polizia ferroviaria, i ragazzi non hanno saputo dare una spiegazione plausibile del loro comportamento, ma tutto fa presumere che possa ricollegarsi, appunto, al rischiosissimo fenomeno del «selfie sui binari» poco prima dell'arrivo del treno. I due sono stati affidati ai familiari –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale fenomeno;
   se abbia intenzione di predisporre una campagna informativa dedicata al tema nelle scuole, soprattutto superiori;
   se non intenda assumere iniziative per stanziare dei fondi da investire per scongiurare il diffondersi di questo pericolosissimo fenomeno. (5-09259)

Interrogazione a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, in data 3 marzo 2015, ha approvato la strategia per la banda ultralarga (BUL), prevedendo la suddivisione del territorio nazionale in quattro tipologie di cluster con costi e complessità di infrastrutturazione crescenti;
   tale strategia prevede interventi pubblici e privati che abbiano come obiettivo: per le aree dei cluster A e per la maggioranza delle aree del cluster B l'infrastrutturazione con reti di banda ultralarga a 100 Mbps, mentre per le aree dei cluster C e D un'infrastrutturazione con reti di banda larga veloce ad almeno 30 Mbps (obiettivi poi rivisti parzialmente nei bandi di pre-qualifica);
   come sottolinea la Strategia, «La tecnologia d'accesso fisso (Fixed Wireless Access, FWA) sta giocando un ruolo importante nel raggiungimento del primo obiettivo dell'Agenda Digitale Europea». Inoltre, l'FWA è ritenuta fondamentale per raggiungere il secondo obiettivo dell'Agenda digitale europea («garantire la copertura universale della banda larga, combinando reti fisse e senza fili, con velocità di connessione crescenti fino a 30 Mbps e oltre»);
   la Commissione europea negli orientamenti 2013 ha chiarito che «nella attuale fase di mercato e sviluppo tecnologico, le reti NGA» vanno individuate, tra le altre, fra «alcune reti di accesso senza fili avanzate in grado di garantire un'affidabile trasmissione ad alta velocità per abbonato»;
   Infratel Italia, per effetto degli accordi tra Ministero dello sviluppo economico e diverse regioni italiane, sta attuando una prima fase del progetto che prevede la realizzazione, nelle aree bianche dei comuni delle prime regioni selezionate, di reti abilitanti l'offerta di servizi BUL da parte di concessionari selezionati su base competitiva;
   il bando di gara relativo a detta procedura è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana 5a Serie speciale — n. 63 del 3 giugno 2016, il quale prevede l'aggiudicazione dei lotti di gara prevista entro il 2016;
   Infratel ha avviato una consultazione pubblica per individuare i nodi di accesso potenzialmente rilegabili dall'infrastruttura FTTN da realizzare attraverso gli investimenti pubblici dei bandi BUL;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella delibera 120/16/CONS precisa che «gli Orientamenti europei 2013 prevedono esplicitamente la necessità di selezionare infrastrutture tecnologicamente neutrali. Alla luce di tale principio, le architetture di tipo FTTN potranno prevedere oltre alla connessione di cabinet (FTTC) anche quella di nodi di rete di tipo FWA purché siano in grado di garantire i livelli di servizio e le prestazioni di connettività indicate dal bando»;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella delibera 659/15/CONS evidenzia che «nelle aree più specificatamente rurali l'impiego delle frequenze 3.6-3.8 GHz, si possa meglio prestare ad applicazioni fisse del tipo FWA per la fornitura di accesso radio» e che «l'utilizzo di tali frequenze potrebbe contribuire all'offerta di servizi a banda larga anche ad utenze residuali situate in aree marginali e rurali del Paese»;
   nel documento di illustrazione della relazione annuale 2016 sull'attività svolta e sui programmi di lavoro dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il presidente dell'Autorità Cardani ha affermato che, dopo aver portato a termine il regolamento sulle procedure di assegnazione delle frequenze 3.600-3.800 MHz per lo sviluppo di soluzioni fixed wireless access a banda larga e ultralarga, sia «opportuno accelerare (...) la gara per l'assegnazione da parte del MISE (...) anche al fine di favorire la partecipazione dei fornitori di FWA ai bandi per il finanziamento pubblico delle reti a banda ultralarga»;
   nei documenti «Strategia Italiana BUL», « Addendum», «Bando di pre-qualifica» non sono indicate le necessarie garanzie per gli operatori già presenti nei territori oggetto di intervento affinché le reti possano beneficiare dell'intervento pubblico, ovvero i nodi di accesso siano connessi con la fibra pubblica che sarà realizzata dai concessionari –:
   se e in quali tempi il Governo rivenga opportuno avviare e concludere le procedure di assegnazione della banda 3.6-3.8 GHz, e se tali procedure saranno coordinate con le attività relative ai richiami bandi BUL;
   se il Governo ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per l'individuazione da parte di Infratel Italia dei criteri di priorità di rilegamento che gli aggiudicatari dei band BUL dovranno applicare in sede di progettazione/realizzazione dell'infrastruttura finanziata, criteri che dovrebbero essere ispirati ai principi della net neutrality, di cui alla menzionata delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 120/16/CONS. (4-13917)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nelle Forze armate, nello specifico nella Marina militare, sono aumentate le esigenze di impiego del personale in seguito al ridislocamento delle unità navali minori e delle forze anfibie sul territorio nazionale;
   le ripercussioni di tali trasferimenti, sul morale e benessere del personale coinvolto e delle loro famiglie, sono state evidenziate dallo stesso Co.Ce.R. Marina, che si è pronunciato attraverso delibere, per una diversa analisi delle condizioni di trasferimento in altre sedi del personale coinvolto;
   nonostante i sacrifici richiesti al personale dunque, appare al quanto inappropriato agli interroganti quanto si apprende dalla lettura di articoli di cronaca apparsi sul web afferenti a due maestri da cucina e mensa (MCM), aventi grado di sottocapi di 2o classe, che hanno prestato servizio presso lo staff dell'ammiraglio De Giorgi, capo di stato Maggiore fino al 22 giugno 2016, che saranno destinati all'estero presso dislocazioni NATO, nonostante il loro grado, categoria e specialità, non siano quelli stabiliti dalla specifica direttiva emanata il 21 aprile 2015 dalla direzione per l'impiego del personale militare della Marina militare per dettare i criteri da osservare per le selezioni del personale da inviare all'estero;
   si ipotizza, secondo quanto riportato su un articolo apparso sul sito internet notizie.tiscali.it del 9 luglio 2016, che tale trasferimento inciderà in termini di maggiori indennità per 288.000 sul bilancio della difesa;
   analogamente, si riportano altri due casi di marescialli che, terminato il periodo alle dirette dipendenze dell'ex Capo di Stato Maggiore della Marina, saranno destinati presso altri compiti in Italdelega Shape e presso la R.I.C.A. di Bruxelles in trattamento economico-diplomatico secondo quanto riportato dai messaggi n. 14045 e n. 14412 di Maripers –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tali trasferimenti in atto;
   a quanto ammonterebbero le indennità riconducibili alle disposizioni di cui in premessa;
   quanti trasferimenti di personale dipendente, proveniente dallo staff dell'ex Capo di Stato Maggiore De Giorgi siano già avvenuti, nell'arco degli ultimi mesi, o siano previsti e quali oneri porteranno per lo Stato in termini di indennità pagate, con particolare riferimento alla sua segreteria particolare, e all'ufficio relazioni esterne e comunicazione, e presso quali sedi il personale sia stato o sarà dislocato;
   se i trasferimenti del personale dipendente dalla Marina militare risultino conformi alle direttive ministeriali e quali siano stati i criteri meritocratici adottati per il personale da destinare all'estero proveniente dagli uffici di stretta collaborazione del Ministro della difesa e dei capi di stato maggiore della difesa. (4-13918)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in merito la realizzazione della strada a scorrimento veloce Licodia Eubea Libertinia – A 19 Palermo-Catania ci si trova in una fase di pericoloso stallo che impedisce ad un intero comprensorio di essere collegata all'autostrada;
   l'intervento relativo al primo lotto era previsto nel piano investimenti 2007-2011 con un importo complessivo di circa 278 milioni di euro di cui 137 dell'Anas e 142 a valere sui fondi QSN-PON;
   a causa della tempistica legata alla disponibilità dei fondi europei sulla programmazione 2007-2013 si è resa necessaria la rimodulazione dell'intera arteria suddividendola in più lotti;
   il primo stralcio funzionale denominato variante di Caltagirone compreso tra il chilometro 3,700 fino al chilometro 12,470 è stato completato e aperto al traffico;
   il secondo stralcio compreso tra lo svincolo di Regalsemi e l'innesto della strada 117-bis è stato suddiviso in due tratti:
    a) il primo di 3,2 chilometri tra Regalsemi e variante Caltagirone è stato approvato e mandato in gara da Anas per un importo di 111 milioni di euro; ad oggi la gara è sospesa e l'importo è previsto a valere sulle risorse Fas in fase di definizione da parte della regione;
    b) per il secondo tratto che va dalla variante di Caltagirone fino all'innesto con la strada statale 117-bis di 7,7 chilometri sono necessari la riprogettazione e l'aggiornamento economico in considerazione del tempo trascorso;
   l'importo previsto nel 2009 era stimato in 132 milioni di euro;
   le nuove normative e le esigenze del territorio compreso lo svincolo di Mirabella Imb. hanno determinato la necessità di una revisione dell'intero progetto;
   sta di fatto che il comprensorio del catanese interessato da tale opera sconta tutte le criticità legate da un assetto stradale che risulta inadeguato –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per accelerare la risoluzione delle criticità che interessano il secondo stralcio sia per quanto riguarda il collegamento tra Regalsemi e la variante di Caltagirone sia e soprattutto per il tratto che va dalla variante di Caltagirone fino all'innesto con la strada statale 117-bis per un totale di 11 chilometri strategici per l'intero territorio. (5-09256)


   D'UVA, NUTI, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, DI VITA, SPESSOTTO, RIZZO, DE LORENZIS, CANCELLERI, PARENTELA, LUPO, MARZANA e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 ottobre 2000 il Ministero dei trasporti e della navigazione rilasciava con proprio decreto la concessione gestoria dell'infrastruttura ferroviaria nazionale in favore della Società di trasporti e servizi per azioni ferrovie dello Stato, in via esclusiva e per un limite temporale pari ad anni 60, concessione successivamente trasferita alla società «Rete Ferroviaria Italiana S.p.A.»;
   a norma dell'articolo 2 del decreto ministeriale n. 138/T ottobre 2000, veniva garantito «il collegamento via mare fra la penisola e, rispettivamente, la Sicilia e la Sardegna», attraverso l'affidamento del servizio alla società concessionaria «Rete ferroviaria italiana S.p.A.», quale si sarebbe fatta carico della gestione e dell'organizzazione del trasporto dei convogli ferroviari nello Stretto di Messina;
   a oggi i collegamenti tra la Sicilia e il resto della penisola vengono garantiti dalla società «Rete ferroviaria italiana S.p.A.», la quale opera attraverso l'utilizzo di treni a lunga e media percorrenza, servizio che non risulta, tuttavia, idoneo a garantire un sistema di trasporto adeguato agli standard qualitativi previsti per altre tratte nazionali;
   il servizio di collegamento ferroviario marittimo da e per la Sicilia prevede l'utilizzo di quattro navi adibite al trasporto dei convogli ferroviari, tra cui la nave traghetto di ultima generazione «Messina», recentemente entrata a far parte della flotta della società Rete ferroviaria italiana;
   i treni a lunga percorrenza vengono allocati all'interno delle navi traghetto attraverso un sistema di complesse operazioni di montaggio e smontaggio dei vagoni, le quali determinano un rilevante allungamento dei tempi di percorrenza dei treni che collegano la Sicilia al resto della penisola, con periodi di durata complessiva delle manovre fino a circa due ore e trenta minuti;
   il servizio di trasporto ferroviario a media e lunga percorrenza così come erogato dalla società Rete ferroviaria italiana è stato, inoltre, oggetto di consistenti riduzioni nel numero dei collegamenti garantiti, compromettendo, di fatto, il diritto alla continuità territoriale dei cittadini residenti in aree geograficamente svantaggiate;
   in data 1o luglio 2016, con proprio comunicato, la società Rete ferroviaria italiana stabiliva il divieto di permanenza all'interno delle carrozze caricate nel ponte binari, nel rispetto della normativa vigente internazionale trasporto navale, arrivando finanche a sospendere temporaneamente il servizio prenotazione per persone a ridotta mobilità e con disabilità a Messina;
   secondo quanto disposto dalla società, infatti, «durante il traghettamento dei treni sullo Stretto di Messina i viaggiatori dovranno obbligatoriamente sostare nel ponte passeggeri della nave e non rimanere, nel ponte binari, a bordo delle carrozze. Lo prevedono le norme internazionali in materia di sicurezza della navigazione. Le disposizioni sono state richiamate dalla Capitaneria di Porto di Messina durante l'ultima visita effettuata a bordo di una delle unità navali di RFI»;
   «la mancata applicazione delle disposizioni», continua il comunicato «non permette la partenza della nave traghetto. RFI ha già attivato un tavolo tecnico presso le sedi competenti per ridurre al minimo i disagi per i viaggiatori dei treni. In questa prima fase di applicazione i tempi di imbarco e traghettamento potranno subire allungamenti. Inoltre, sono in corso approfondimenti per individuare la migliore soluzione per continuare ad assicurare alle persone a ridotta mobilità e con disabilità il servizio di assistenza, temporaneamente sospeso, garantito dal network Sale Blu di Rete Ferroviaria Italiana»;
   tale decisione veniva assunta dalla società a seguito di una ispezione posta in essere dalla capitaneria di porto locale, che avendo verificato l'inadeguatezza delle imbarcazioni per la permanenza dei passeggeri dei convogli, negava la possibilità per gli stessi di sostare all'interno delle carrozze durante la traversata;
   tale notizia veniva riportata in data 1o luglio 2016 dal quotidiano consultabile online « La Repubblica — Palermo», secondo il quale «Una nota della capitaneria del 30 giugno seguita ad un'ispezione ad uno dei traghetti obbliga le ferrovie a far scendere i passeggeri dai convogli durante la navigazione. Tutti dovranno salire sul ponte. Il sistema antincendio sulle navi non è idoneo: i passeggeri per motivi di sicurezza dal primo luglio sono così costretti a scendere dal treno una volta dentro la nave. Bagagli in mano, perché la sicurezza all'interno delle vetture non può essere garantita dal personale»;
   lo stesso quotidiano, evidenziando la gravità dei disagi, sottolineava le «tantissime le proteste oggi per i gravissimi disagi. Soprattutto per anziani e disabili, per questi ultimi le sale blu di Rfi, cioè il servizio assistenza dedicata a passeggeri con mobilità ridotta, sta annullando tutte le prenotazioni. Non esiste infatti sulle navi di trasporto di Rfi il servizio per la discesa dei passeggeri con problemi di mobilità sulla nave»;
   in data 3 luglio 2016, il quotidiano consultabile online «Tempostretto», pubblicava la notizia di una autorizzazione da parte della Capitaneria di Porto «per la sola nave più nuova, che sarà anche l'unica ad essere utilizzata per trasporto passeggeri. Resta il problema in caso di indisponibilità o ritardi che comporterebbero navigazioni contemporanee. Proposto un tavolo tecnico ministeriale»;
   come sottolineato, quindi, tale autorizzazione risulta «valida solo per la nave Messina. Per questo motivo, i treni passeggeri saranno imbarcati solo su quella nave. Il problema potrebbe verificarsi nel caso di guasto alla nave Messina o di ritardi ferroviari, che potrebbero comportare la necessità di far traghettare due navi ferroviarie passeggeri contemporaneamente. Verrebbe utilizzata un'altra nave e tornerebbe il disagio di dover scendere dal treno durante la traghettata»;
   all'interno del bando di gara della nave «Messina» n. PA/2009/065, emesso per la «Progettazione, costruzione e fornitura di una motonave tipo RO-RO da adibire al trasporto nello stretto di Messina di carrozze e carri ferroviari, passeggeri, autovetture, automezzi pesanti e merci pericolose», veniva fatto espresso riferimento alla possibilità per la società R.F.I. di disporre la realizzazione di un'ulteriore nave da affiancare alla nuova ammiraglia;
   nella sezione II del citato bando, denominata «oggetto dell'appalto», è riportato al punto 2.1 come l'importo della fornitura sia suddiviso per 52 milioni di euro destinati alla costruzione della già realizzata nave «Messina», e 48 milioni per l'opzione connessa alla possibilità di richiedere la realizzazione entro un anno dall'affidamento delle prestazioni per la fornitura della prima, di una seconda nave gemella;
   tale esigenza risulta oggi certamente urgente in considerazione delle possibili criticità che emergerebbero dal temporaneo inutilizzo, anche per la sola ordinaria manutenzione, della nave «Messina», ovvero a seguito di un auspicato aumento dei collegamenti ferroviari da e per la regione siciliana;
   ad avviso degli interroganti, il modello di traghettamento attualmente in essere non consente un adeguato livello di stabilità nei collegamenti ferroviari nello Stretto di Messina, dal momento che l'utilizzo di una sola nave non può garantire in caso di guasti, ovvero di indisponibilità del solo mezzo autorizzato al trasporto dei passeggeri all'interno delle carrozze, un sistema di trasporto adeguato agli standard minimi di sicurezza dei viaggiatori e dei loro effetti personali;
   si ricordi, infine, come il sistema di collegamento interregionale abbia subito nel corso degli ultimi anni un notevole ridimensionamento sia qualitativo che quantitativo, essendo stati significativamente ridotti i collegamenti da e per la regione siciliana;
   l'attuale condizione, che ad avviso degli interroganti non può che ritenersi temporanea, in considerazione della necessità di predisporre nuovi investimenti nel settore ferroviario per l'Italia meridionale, non consentirebbe la possibilità di assicurare a tutti i passeggeri adeguati standard qualitativi in presenza di un auspicato aumento del numero di collegamenti, data la presenza di una sola nave considerata idonea al trasporto dei viaggiatori all'interno delle carrozze –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire standard qualitativi adeguati nei collegamenti marittimi per il trasporto ferroviario, assicurando la possibilità per i passeggeri, tra i quali soggetti anziani e disabili, di permanere all'interne, dei convogli durante il traghettamento e predisponendo misure che assicurino adeguati standard minimi di sicurezza dei viaggiatori e dei loro effetti personali, anche attraverso la previsione di investimenti che consentano un eventuale ampliamento della flotta, la cui possibilità veniva già menzionata nel bando per la costruzione della nave traghetto «Messina», ovvero un ammodernamento del sistema di imbarco e sbarco dei treni.
(5-09257)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FOLINO, FERRARA, ZARATTI, PELLEGRINO, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, MELILLA, PIRAS, SANNICANDRO e DURANTI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   in data 4 marzo 2016 il Corpo forestale dello Stato ha eseguito il sequestro di una vasca di accumulo di acque, situata in località Cancelli di Fabriano (Ancona), funzionale alle attività di scavo relative all'opera infrastrutturale Quadrilatero, riguardante la viabilità tra Marche e Umbria (Ansa, 4 marzo 2016);
   la misura è stata attivata in seguito al rilevamento di uno sversamento delle acque di lavorazione del cantiere suddetto nel torrente Giano, area fluviale sottoposta a vincolo paesaggistico;
   secondo quanto rilevato dagli uomini del Corpo forestale dello Stato le acque di lavorazione del cantiere della Quadrilatero confluivano in un bacino di decantazione artificiale dal quale traboccava nel torrente invece di essere convogliate nell'impianto di deputazione;
   lo sversamento, che verrà analizzato nei prossimi giorni dalla agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche, ha colorato completamente di bianco il torrente, mettendo a repentaglio la fauna rara del quale il torrente Giano è ricco, come gamberi di fiume e salmonidi;
   risultano essere state denunciate cinque persone alla procura della Repubblica di Ancona per i seguenti reati: danneggiamento aggravato di acque pubbliche, deturpamento di bellezze naturali, immissione di rifiuti liquidi in acque pubbliche, getto pericoloso di cose e alterazione dello stato dei luoghi in zone tutelate;
   il Corpo forestale dello Stato ha consentito alla ditta di continuare, tuttavia, ad utilizzare l'impianto attenendosi alle prescrizioni tecniche del progetto –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di riferire sulla dinamica dei fatti riportati in premessa e sulle misure di controllo attivate nel cantiere, al fine di garantire il rispetto delle prescrizioni tecniche del progetto a tutela dell'ambiente;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per rafforzare tali presìdi di tutela;
   se non intenda promuovere, parallelamente alle indagini della magistratura, iniziative per verificare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità di carattere amministrativo. (4-13919)


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal Corriere di Novara, rete ferrovia italiana, la società che gestisce la circolazione dei treni Frecciabianca delle Ferrovie dello Stato italiane, ha deciso di spostare la linea storica dell'alta velocità Torino-Milano, a partire dal mese di settembre 2016;
   il cambiamento di percorrenza che riguarda non soltanto Novara, ma anche città importanti, come Vercelli, rischia di determinare gravissime ripercussioni sui numerosi pendolari, studenti e lavoratori, che quotidianamente fruiscono di tale servizio di mobilità, i cui effetti negativi si esplicano anche in termini economici e commerciali;
   il provvedimento di Trenitalia, a giudizio dell'interrogante, ove confermato, elimina la possibilità di collegare direttamente le città capoluogo, quali Novara e Vercelli, alle grandi reti di trasporto nazionale, accrescendo le difficoltà logistiche negli spostamenti, come ad esempio nelle grandi città del Nord-est, considerato che obbliga i viaggiatori a cambiare convoglio obbligatoriamente a Milano;
   l'interrogante evidenzia, inoltre, come la decisione di indirizzare i passeggeri sui treni interregionali, i cui servizi in termini di efficienza e comodità risultano scarsi e inadeguati considerato che si viaggia quasi sempre in piedi e le carrozze risultano spesso sporche, rischi di aumentare le difficoltà nei confronti dei tantissimi utenti piemontesi costretti ad indirizzarsi verso altri mezzi di trasporto per raggiungere le mete stabilite –:
   se corrisponda al vero la notizia esposta in premessa e pubblicata dal quotidiano Corriere di Novara, secondo la quale, a partire dal mese di settembre 2016 Trenitalia sposterà i treni ad alta velocità Frecciabianca dalla linea Torino-Milano, sopprimendo le soste nelle stazioni di Novara e Vercelli, che rappresentano luoghi di sosta e di transito fondamentali per centinaia di migliaia di viaggiatori;
   in caso affermativo, quali siano i suoi orientamenti circa tale decisione da parte di Ferrovie dello Stato italiane, ad avviso dell'interrogante sbagliata e inaccettabile, considerato che tale provvedimento esclude di fatto le suddette città, le cui comunità locali rappresentano, in termini economici e commerciali, un valore aggiunto per la ricchezza regionale;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere nei confronti di Ferrovie dello Stato italiane, al fine di riconsiderare tale scelta i cui effetti negativi, come evidenziato in premessa, rischiano di ripercuotersi pesantemente sulla situazione socioeconomica piemontese. (4-13920)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle numerose crisi umanitarie in corso, la regione Friuli Venezia Giulia è stata oggetto negli ultimi anni di un costante afflusso di immigrati, dovuto sia all'arrivo via terra, lungo la direttrice balcanica, sia alla redistribuzione in chiave nazionale di quanti sono approdati sulle coste italiane via mare;
   a livello regionale risulta difficile attuare una chiara e coerente programmazione per l'accoglienza diffusa sul territorio, dovuta alla mancata adesione da parte dei comuni alla strategia individuata dalla giunta regionale;
   nel corso degli ultimi mesi, soprattutto, è stata rilevata la difficoltà da parte delle istituzioni governative e locali di affrontare i problemi derivanti dalla gestione dei richiedenti asilo, dovuti principalmente alla carenza di personale impiegato, sia nella commissione territoriale, sia nelle forze dell'ordine;
   nel comune di Gradisca d'Isonzo, in Friuli Venezia Giulia, ha sede da ormai dieci anni un centro di identificazione e espulsione (CIE) con potenzia 248 posti e un centro di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) e centro di accoglienza (204 posti), ubicati in spazi contigui all'interno di un edificio già adibito a caserma;
   la struttura del CIE viene utilizzata come centro di accoglienza e, attualmente, nello stesso comune (che ha una popolazione di circa 6.500 abitanti) sono ospitati più di 400 richiedenti asilo presso il CIE – CARA;
   l'afferente servizio sociale dei comuni dell'ambito distrettuale 2.1 Alto Isontino contava, al 12 novembre 2015, 356 presenze (escludendo quelle del CARA), a fronte di una previsione di 175 migranti quale quota percentuale assegnata;
   nell'ottobre 2015, l'assessore regionale all'immigrazione del Friuli Venezia Giulia, Gianni Torrenti, affermava che: «... il sovraffollamento del Cara di Gradisca d'Isonzo è dovuto a una soluzione temporanea»;
   presso l'ex caserma «Cavarzerani» di Udine – dove trovano attualmente posto più di ottocento richiedenti asilo, a fronte di un numero previsto di 396 ospiti – si sono recentemente verificati scontri fra migranti appartenenti a diverse nazionalità;
   a seguito di tali avvenimenti una parte dei richiedenti è stata trasferita presso la ex-caserma «Friuli» per evitare nuovi episodi di scontro;
   l'afferente servizio sociale dei comuni dell'ambito distrettuale 4.5 Udinese contava al 12 novembre 2015 189 presenze;
   da alcune fonti di stampa locali si è appreso di numerosi sgomberi e trasferimenti effettuati in chiave infra-regionale nel Friuli Venezia Giulia, a seguito dei quali appare improcrastinabile una ridefinizione delle politiche di accoglienza a livello nazionale per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia (interessata in questo momento da un'accoglienza proporzionalmente maggiore rispetto alle altre regioni);
   al 31 dicembre 2015 il totale delle istanze presentate presso la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Gorizia (unica in regione) era di 2.730 richieste di asilo; nell'arco dell'anno 2015 siano state esaminate 2.351 domande, accolte 2.600 e respinte 624;
   con la mozione n. 64 il consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, nella seduta del 27 gennaio 2015, ha deliberato – fra l'altro – di impegnare la giunta regionale a ribadire con fermezza la contrarietà a un'eventuale riapertura del CIE di Gradisca d'Isonzo, nonché a garantire, attraverso il «tavolo istituzionale regionale sulla protezione internazionale», recentemente costituito quale strumento di partecipazione all'attualizzazione, a livello locale, delle strategie operative definite dal tavolo di coordinamento nazionale e/o regionale, un costante coinvolgimento degli enti locali e delle realtà associative nell'organizzazione di un'accoglienza diffusa e inclusiva, condivisa con le comunità e nell'ampliamento dei posti disponibili del sistema SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati);
   con la citata mozione la giunta regionale è stata, altresì, impegnata a sollecitare il Governo affinché assumesse iniziative per: abrogare tutte le norme non rispettose dei diritti umani ai sensi della Costituzione e della Carta dei diritti umani; riformare la normativa relativa al sistema delle espulsioni e dei trattenimenti; in attesa della auspicata chiusura di tutti i C.I.E. presenti sul territorio italiano, equipararne le norme, almeno ai sensi dell'articolo 67 della legge n. 354 del 1975, equiparando anche le norme relative all'accesso e al controllo da parte dei consiglieri regionali; rispettare la volontà della popolazione della regione Friuli Venezia Giulia che rifiuta l'apertura del C.I.E. sul territorio regionale ritenendo tale forma di contenzione non rispettosa dei diritti umani; ampliare il sostegno anche economico ai progetti di accoglienza diffusa dei richiedenti asilo provenienti sia dal mare sia dai percorsi di terra attraverso i confini dall'Austria e dalla Slovenia, in modo da garantire pari opportunità a tutte le persone che si ritrovino nella stessa condizione di vita e in modo da, superare le difficoltà dei territori e la percezione di emergenza continua;
   l'accoglienza attuata tramite l'utilizzo di strutture di grandi dimensioni e sovraffollate, rispetto ai numeri previsti dalla programmazione regionale, non appare idonea a garantire la convivenza tra le varie etnie presenti, la gestione da parte di chi si occupa delle strutture, l'integrazione dei richiedenti asilo con le popolazioni locali –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in relazione alla situazione relativa all'accoglienza dei migranti in Friuli Venezia Giulia evidenziata in premessa;
   se siano previsti dei trasferimenti di migranti o richiedenti asilo dal Friuli Venezia Giulia verso altre regioni;
   se il Governo intenda chiedere alla regione autonoma Friuli Venezia Giulia l'istituzione e la realizzazione di nuovi centri per l'accoglienza, di qualunque tipo. (4-13915)


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la provincia e la città di Palermo sono territori ove la criminalità organizzata di tipo mafioso è profondamente e storicamente radicata, come, d'altronde, le relazioni annuali della direzione nazionale antimafia certificano: nell'ultima relazione disponibile, pubblicata nel febbraio 2016, con riferimento a «Cosa Nostra» si legge che «deve confermarsi, anche all'esito delle investigazioni svolte in quest'anno – come costantemente segnalato nelle precedenti relazioni – che la città di Palermo è e rimane il luogo in cui l'organizzazione criminale esprime al massimo la propria vitalità sia sul piano decisionale (soprattutto) sia sul piano operativo, dando concreta attuazione alle linee strategiche da essa adottate in relazione alle mutevoli esigenze imposte dall'attività di repressione continuamente svolta dall'autorità giudiziaria e dalla polizia giudiziaria»;
   questa situazione, secondo gli interroganti, si riflette inevitabilmente anche sulla macchina amministrativa locale, come dimostrano, tra l'altro, recenti indagini che hanno coinvolto il comune di Palermo e le sue società partecipate;
   infatti, nel 2009 un dipendente del comune, Gabriele Oliveri, è stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento in favore del boss mafioso latitante Andre Adamo;
   nel 2011 sono stati arrestati due dipendenti della società partecipata AMAT, tra i 36 esponenti delle famiglie mafiose palermitane di Brancaccio, San Lorenzo, Resuttana e Passo di Rigano, arrestati in un maxi blitz coordinato dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo, e accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e traffico di stupefacenti: uno dei due dipendenti AMAT arrestati è Matteo Inzerillo, già coinvolto negli anni Novanta nell'inchiesta Iron Tower su un traffico di droga fra la Sicilia e gli Stati Uniti, esponente di spicco della fazione degli «scappati», coloro che furono esiliati dopo aver perso la guerra di mafia contro i corleonesi, e che, secondo gli inquirenti, stavano cercando di ricostituire una nuova cupola mafiosa nel palermitano;
   nel febbraio dei 2015, il consigliere comunale Giuseppe Faraone, già assessore provinciale, è stato arrestato con l'accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in quanto avrebbe fatto da intermediario per la «messa a posto» di un cantiere edile;
   numerosissimi sono stati, inoltre, in questi anni i casi corruttivi registrati con riferimento sia al comune di Palermo, sia alle sue società partecipate, tenendo presente che, come ben illustrato in una recente relazione della direzione investigativa antimafia al Parlamento, tra mafia e corruzione c’è un «nesso congenito e fortissimo», o, come illustrato recentemente dal pubblico ministero antimafia Nino Di Matteo, «Mafia e corruzione sono ormai facce della stessa medaglia ma mentre i boss sono adeguatamente puniti, i corrotti che vanno a braccetto con i padrini sono garantiti da una sostanziale impunità dalla politica»;
   nel giugno del 2014, ben 11 dipendenti della società partecipata COIME sono stati arrestati a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata al peculato, falso e accesso abusivo a sistema informatico, per aver organizzato una truffa da quasi 1 milione di euro, alternando fraudolentemente le buste paghe di molti dipendenti;
   nel febbraio del 2014 è stato denunciato a Palermo un dipendente della società partecipata RAP, con l'accusa di ricettazione e violazione della normativa in materia ambientale;
   nel dicembre del 2014 le autorità di polizia hanno proceduto all'arresto di 16 dipendenti del comune di Palermo, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, istigazione alla corruzione, truffa e falso materiale, per aver truccato le cartelle esattoriali delle imposte comunali Tarsu e Tares;
   gli amministratori della società partecipata AMIA (oggi in fallimento) nell'aprile del 2015 sono stati condannati per bancarotta fraudolenta l'ex presidente e i membri del consiglio di amministrazione e il direttore generale della società, con interdizione dai pubblici uffici: gli imputati, a vario titolo, avrebbero iscritto nel bilancio del 2005 false plusvalenze derivanti da vendite di automezzi e di immobili per un valore di 16 milioni di euro, che in realtà, nel passaggio da Amia ad Amia servizi Srl erano stati affittati; le presunte false plusvalenze avrebbero tenuto in vita l'Amia che altrimenti avrebbe dovuto essere ricapitalizzata o messa in liquidazione o assoggettata a procedure concorsuali;
   nell'aprile del 2015, 5 dipendenti della società partecipata RAP sono stati tratti agli arresti domiciliari mentre altri 3 sono stati sottoposti alla misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, a chiusura di un'indagine su furti di carburante e beni aziendali che avvenivano quasi quotidianamente;
   nell'ottobre del 2015, 84 fra agenti della polizia municipale e dipendenti della società partecipata COIME sono finiti sotto indagine per sospette timbrature multiple per conto di terzi del proprio badge, risultando in servizio mentre erano assenti dal posto di lavoro;
   due funzionari del comune, Mario Li Castri e Giuseppe Monteleone, sono stati promossi dirigenti a tempo determinato nel giugno 2015, quando all'epoca dei fatti risultavano indagati dalla procura di Palermo per abusivismo e successivamente rinviati a giudizio;
   nell'aprile del 2016, un dipendente degli uffici comunali della protezione civile palermitana è stato indagato per l'usanza della doppia timbratura del proprio badge di riconoscimento;
   nell'aprile 2016 è apparsa la notizia di un dipendente della società partecipata RESET che, nel normale orario di lavoro, avrebbe svolto compiti ad esclusivo vantaggio personale di un dirigente comunale, nello specifico il lavaggio di un'autovettura, in un'area definita dagli organi di stampa «assolutamente off-limits» presso la sede dell'assessorato comunale alla cultura; tale servizio, secondo quanto riportato dai quotidiani, costituirebbe un comportamento usuale all'interno dell'edificio dell'assessorato e non un episodio isolato;
   nell'aprile del 2016, è stato reso noto all'opinione pubblica che all'interno di locali della polizia municipale palermitana un barbiere veniva ospitato per esercitare, da anni e in maniera del tutto illegittima, la propria professione in favore dei dipendenti della polizia medesima;
   nel maggio del 2016 è stato arrestato un altro dipendente della società partecipata RAP per detenzione di armi e di droga;
   nel luglio del 2016, il consiglio di giustizia amministrativa si è pronunciato sul bando di concorso per dirigenti a tempo determinato indetto nel dicembre 2014 dal comune di Palermo, definendo una nomina illegittima, con ricadute su tutte le altre nomine avvenute con modalità similari, così come da tempo è stato denunciato tramite alcune interrogazioni parlamentari alla Camera dei deputati la n. 5-06573, la n. 4-09911 e la n. 4-13217;
   persino un ex-sindaco è stato condannato penalmente: nel 2009, il programma satirico televisivo «Striscia la notizia» scoprì che l'allora sindaco di Palermo, Diego Cammarata impiegava consciamente a fini personali un operaio della società partecipata GESIP (oggi in fallimento), durante il normale orario lavorativo, come skipper manutentore della propria imbarcazione; per questo Cammarata è stato condannato nel febbraio 2016 in secondo grado per truffa a due anni mentre l'operaio della GESIP è stato condannato a 1 anno e mezzo;
   anche l'Autorità nazionale anticorruzione ha svolto un'intensa attività ispettiva e di controllo presso il comune di Palermo negli ultimi anni;
   in particolare, con riferimento alle norme sulla trasparenza, l'Anac ha rivolto due rilevazioni negative sulle informazioni contenute sul sito web istituzionale del comune di Palermo datate 19 marzo 2014 e 29 maggio 2014, per mancanza di alcuni dati e informazioni;
   la deliberazione n. 5, adunanza 30 settembre 2014 denunciava pensanti anomalie e difformità relative al progetto comunale di realizzazione della linea tranviaria, per un valore al prezzo di aggiudicazione nel 2005 pari a circa 192 milioni di euro più, Iva e lievitato sino al costo odierno complessivo di circa 323 milioni di euro, inoltrando successivamente le carte alla Procura della Repubblica di Palermo e alla Corte dei conti; in particolare sono stati contestati: lavori avviati in mancanza di progetto esecutivo e senza quindi una chiara stima iniziale dei costi, ritardi nello portamento dei sottoservizi che hanno fatto slittare il completamento dell'opera, varianti non autorizzate subito dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dal comune (e quindi non conformi alla contabilità di Stato), errori progettuali per otto milioni di euro non contestati ai progettisti, consulenze costosissime; come diretta conseguenza della deliberazione, il direttore generale di AMAT, nonché responsabile unico del progetto dell'appalto si è autosospeso dal consiglio di amministrazione di AMAT;
   nel giugno del 2016, l'Anac inviò un dossier alla procura della Corte dei conti e alla procura della Repubblica di Palermo, sui lavori di somma urgenza eseguiti dal comune per interventi in 3 edifici scolastici e 2 edifici di proprietà comunali, che sarebbero stati deliberati con modalità non corrette, in quanto i lavori eseguiti non avevano carattere di somma urgenza ma, in larga parte manutentiva e quindi soggetti ad un iter differente;
   lo stesso responsabile della prevenzione della corruzione presso il comune di Palermo, come si può leggere nella propria relazione sullo stato di attuazione degli adempimenti discendenti dalla legge n. 190 del 2012, nonché dal piano triennale di prevenzione dei fenomeni corruttivi del comune di Palermo – Triennio 2014-2016 «Con nota riservata del 09.10.2014 avente ad oggetto “Conferimento degli incarichi dirigenziali – legge n.190 del 2012 articolo 1 comma 46 – attività di vigilanza del Responsabile della prevenzione dei fenomeni corruttivi”, lo scrivente ha segnalato il caso di n. 2 dirigenti dell'amministrazione destinatari di sentenza penale di condanna per reati contro la pubblica amministrazione, nei confronti dei quali dovrà essere valutata l'applicazione degli effetti del citato articolo 1 comma 46»;
   la società partecipata GESIP (oggi in fallimento) fu costituita nel 2001 e vi confluirono 1550 precari, dei quali 637 ex detenuti delle cooperative storiche e il restante dal bacino dei lavoratori socialmente utili, per un costo di oltre 54 milioni di euro, lievitati negli anni successivi fino a circa 2000 unità ed un costo totale a carico del comune che arrivò a sfiorare nel 2012 circa 70 milioni di euro;
   in questa società nel corso degli anni si sono annoverati numerosi casi di assenteismo da parte del proprio personale, oggi passato in larga parte alla società partecipata di nuova costituzione RESET, e dedito ad altri impieghi durante il normale orario di lavoro: ad esempio 1 dipendente è stato scoperto mentre era dedito a vendere cibo in un esercizio commerciale, 5 dipendenti sono stati impiegati come muratori per la ristrutturazione della casa di un dirigente, 3 dipendenti invece impiegati come autisti di politici, mentre nel corso del primo semestre del 2010. Inoltre ben 5 dipendenti sono stati accusati a vario titolo di rapporti con Cosa Nostra; nelle notizie di stampa non è, infatti, difficile ritrovare articoli o servizi televisivi che definiscono una parte di questi lavoratori come «fannulloni»;
   inoltre, ciclicamente, i dipendenti della GESIP hanno messo in atto collettivamente episodi di violenza inaudita all'interno della città di Palermo, arrivando a provocare vere e proprie scene di guerriglia urbana come nel 2012, quando addirittura minacciarono di bloccare la città di Palermo e persino Io svolgimento delle elezioni amministrative locali, al fine di richiedere milioni di euro da parte delle istituzioni per poter coprire i buchi di bilancio della società e continuare ad erogare gli stipendi;
   la pericolosità sociale di questo fenomeno è stata attestata, tra l'altro, anche da un servizio del programma satirico televisivo Striscia la notizia del maggio 2012, in cui l'allora Ministro alla coesione territoriale Fabrizio Barca, intervistato da Stefania Petyx, ammetteva che le risorse erano state sottratte alle politiche di sviluppo della regione siciliana, sottolineando la necessità dell'intervento economico per motivi di ordine pubblico;
   da ultimo il 22 luglio 2016, il capo del personale della società partecipata RESET, ha ricevuto ultimamente diverse minacce dai dipendenti della società, precedentemente in GESIP, fino a subire una grave intimidazione, venendo incendiata la propria vettura;
   quanto finora esposto descrive, secondo gli interroganti, seppur non in maniera esaustiva, un quadro preoccupante della gestione delle osa pubblica a Palermo, a prescindere dal sindaco in carica, e rappresenta, sempre secondo gli interroganti, una chiara assenza di una seria politica di contrasto di eventi illeciti all'interno dell'amministrazione comunale e delle sue partecipate, che non ha ostacolato l'accesso da parte della criminalità, anche organizzata, alla macchina amministrativa –:
   se il Governo non intenda, per quanto di competenza, attivare iniziative ispettive, da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato e dell'Ispettorato per la funzione pubblica presso il dipartimento della funzione pubblica, al fine di verificare la regolarità della situazione amministrativo-contabile presso l'ente comune di Palermo e le sue società partecipate;
   se il Governo non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per assumere le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti nel testo unico della legge sull'ordinamento degli enti locali alla luce del preoccupante susseguirsi di fenomeni criminogeni all'interno delle istituzioni locali palermitane. (4-13921)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, AIRAUDO, PLACIDO, MARTELLI, FERRARA, SCOTTO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA e SANNICANDRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   un'analisi dell'Ires Cgil Marche ha elaborato i dati dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps il quale riporta che nei primi cinque mesi del 2016 le aziende marchigiane hanno assunto 52.778 persone, il 12,2 per cento meno rispetto allo stesso periodo del 2015;
   la maggior parte dei neo assunti ha un contratto a termine 76 per cento 18,3 per cento è stato assunto con un contratto a tempo indeterminato e solo il 5,8 per cento come apprendista;
   le trasformazioni di contratti di apprendistato in contratti a tempo indeterminato sono state 1.433 (+13,5 per cento) quelle dei tempi determinati in contratti stabili ammontano a 3.523 (-40,1 per cento). Le cessazioni di lavoro sono state 40.788 con la creazione di un saldo positivo assunzioni-cessazioni (pari a 11.990 posti di lavoro) ma solo in termini complessivi: il saldo tra assunzioni e cessazioni per i contratti a tempo indeterminato continua a essere negativo (-4.353). Appare evidente che la precarietà fra i giovani è crescita e pare continuare a crescere;
   un altro fenomeno di cui si è già in passato occupato il Governo è la crisi della natalità e il ritardo delle giovani generazioni soprattutto ad abbandonare il nucleo familiare per emanciparsi e costruire la propria autonomia di vita –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale andamento;
   se il Ministro interrogato non intenda mettere in atto politiche volte al superamento del fenomeno della precarietà soprattutto per le giovani generazioni.
(4-13923)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con legge n. 91 del 1o aprile 1999 è stato istituito il Centro nazionale trapianti, il quale ha la propria sede in Roma, presso l'Istituto superiore di sanità;
   al suddetto Centro è stato affidato il coordinamento nazionale dell'attività di donazione, prelievo e trapianto di organi, tessuti e cellule. In particolare:
    il controllo, attraverso il sistema informativo delle donazioni, dei trapianti e delle liste di attesa;
    la definizione di linee guida e dei protocolli operativi;
    l'assegnazione degli organi per i casi di urgenza riferiti al bacino nazionale;
    la definizione dei parametri per la verifica della qualità e del risultato delle strutture per i trapianti;
    la promozione e il coordinamento dei rapporti con le istituzioni estere del settore;
   a questi compiti, la legge istitutiva aggiunge la collaborazione alla promozione dell'informazione sulle attività di donazione, prelievo e trapianti di organi tessuti e cellule, la gestione del sistema informativo e, più in generale, un ruolo effettivo nelle funzioni organizzative e gestionali del sistema trapianti;
   sino a circa due anni fa, la gestione dei donatori di organi e il conseguente trapianto era affidata a tre macroaree denominate: a) CIR-CIR-NIT, riguardante le regioni del Nord Italia; b) CIR-AIRT quelle del Centro Italia; c) CIR-OCST le regioni del Sud (Lazio compreso);
   ad oggi, la gestione dell'allocazione degli organi è stata presa direttamente in carico dal Centro nazionale trapianti con la creazione del Centro nazionale trapianti operativo;
   a quanto è dato sapere, in questa struttura, la cui responsabile è una dirigente infermieristica, sono impiegati cinque medici e cinque infermieri;
   attraverso la presenza di queste operatori, che di fatto rispondono alle chiamate telefoniche, le strutture locali segnalano la presenza dei possibili donatori di organi;
   l’iter per la donazione dell'organo, avviato tramite la suddetta segnalazione telefonica, si snoda attraverso l'accertamento della morte del donatore sino alla decisione di donare o meno gli organi (sia per l'espressione di volontà alla donazione sia per la idoneità o meno alla donazione stessa);
   una volta ritenuti idonei alla donazione sia il soggetto e che i relativi organi, il Centro nazionale trapianti operativo gestisce la distribuzione (allocazione) degli organi secondo precisi algoritmi e graduatorie di gravità ben definite. Quindi, a quanto è dato sapere, 10 persone, svolgendo turni per la copertura delle 24h, avviano un ulteriore procedimento per l'allocazione definitiva dell'organo o degli organi;
   l'attuale ubicazione del Centro nazionale trapianti operativo si trova all'interno dell'edificio dell'Istituto superiore di sanità di via Giano della Bella, n. 3o, in Roma, e precisamente in due stanze: in una sono presenti cinque postazioni dotate di computer che vengono utilizzate per lavori scientifici ed elaborazione dei dati; mentre nell'altra sono allestite le postazioni computerizzate e telefoniche per la gestione dell'attività di allocazione;
   a quanto consta all'interrogante, durante il giorno sono presenti, in turnazione, 2 infermieri e 2 medici, mentre la notte è presente un solo infermiere con reperibilità di un medico;
   a quanto è dato sapere, è stata recentemente avviata la costruzione – oggi in fase di ultimazione – di una struttura in muratura nell'area del parcheggio dell'Istituto superiore di sanità dove sarà trasferito il Centro nazionale trapianti operativo;
   sempre a quanto è dato sapere, tale struttura – ricca di rifiniture di pregio e curiose utilità (quali ad esempio una serra) – è costatata una cospicua somma –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa;
   con quali fondi tale costruzione sia stata finanziata, e quali siano criteri seguiti per la sua progettazione e realizzazione;
   se il Ministro interrogato non ritenga di verificare l'opportunità di impiegare in tal modo ingenti risorse pubbliche, ben potendo le medesime essere destinate a specifiche attività del Centro trapianti, ovvero all'implementazione dell'organico. (4-13922)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro ordinamento la trasparenza dell'attività amministrativa costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e che, secondo quanto previsto all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, essa è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione;
   il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, recante il «riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni» declina il principio di trasparenza in termini di «accessibilità totale» delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, per cui la trasparenza, così intesa, è diretta a:
    a) favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche;
    b) «...attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione»;
    c) garantire «libertà individuali e collettive, nonché [de]i diritti civili, politici e sociali»;
    d) integrare «il diritto ad una buona amministrazione» e «concorrere alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino»;
    e) agevolare sistemi di accountability e limitare o prevenire lo svolgersi di fenomeni illeciti;
   l'articolo 22 del su citato decreto legislativo n. 33 del 2013, alla lettera c) del comma 1, prevede l'obbligo di pubblicare e aggiornare annualmente l'elenco degli enti di diritto privato, comunque denominati, in controllo dell'amministrazione, con l'indicazione delle funzioni attribuite e delle attività svolte in favore dell'amministrazione o delle attività di servizio pubblico affidate;
   ai fini delle citate disposizioni sono enti di diritto privato in controllo pubblico gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciuti, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi;
   il secondo comma dell'articolo 22 prevede che per ciascuno degli enti di cui alle lettere da a) a c) del comma 1 sono pubblicati i dati relativi alla ragione sociale, alla misura della eventuale partecipazione dell'amministrazione, alla durata dell'impegno, all'onere complessivo a qualsiasi titolo gravante per l'anno sul bilancio dell'amministrazione, al numero dei rappresentanti dell'amministrazione negli organi di governo, al trattamento economico complessivo a ciascuno di essi spettante, ai risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi finanziari. Sono altresì pubblicati i dati relativi agli incarichi di amministratore dell'ente e il relativo trattamento economico complessivo;
   fra l'elenco degli enti pubblici, comunque denominati, vigilati dalla amministrazione medesima rientrano certamente le fondazioni di diritto privato in quanto, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 25 del codice civile, l'amministrazione regionale «esercita il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell'atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l'amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge»;
   secondo il parere dell'autorità nazionale anticorruzione, sono da intendere quali enti di diritto privato in controllo pubblico, ai sensi dell'articolo 22, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 33 del 2013, gli enti di diritto privato sottoposti a controllo da parte di amministrazioni pubbliche, ivi incluse le fondazioni, oppure gli enti costituiti o vigilati da pubbliche amministrazioni nei quali siano a queste riconosciute, anche in assenza di una partecipazione azionaria, poteri di nomina dei vertici o dei componenti degli organi;
   numerose fondazioni attive sul territorio regionale, con particolare riferimento a quelle operanti nel settore assistenziale e sociosanitario, non solo non sono compiutamente elencate nel sito dell'amministrazione trasparente della regione, ma, oltre a non adempiere a nessun obbligo previsto dall'indicata normativa vigente, non sono neppure mai state lontanamente sottoposte a quegli obblighi di vigilanza previsti dal codice civile da parte degli organi competenti della regione Friuli Venezia Giulia;
   quanto su esposto, secondo l'interrogante, costituisce, una forma grave di inadempimento degli stringenti obblighi previsti dalla normativa citata –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per monitorare la corretta applicazione degli obblighi previsti dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, con particolare riferimento al caso riportato in premessa. (4-13916)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, MELILLA, DURANTI, PIRAS, COSTANTINO, QUARANTA, NICCHI, GREGORI, SCOTTO, FRATOIANNI e FOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 21 luglio 2016 la guardia di finanza (fonte Ansa) ha sequestrato otto con container con 5.400 fontane per la cromoterapia e l'aromaterapia pronte per essere vendute a prezzi che oscillavano fra i 245 e i 500 euro, con marchi CE contraffatti e potenzialmente pericolose per la salute, in un'azienda di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), insieme ad altra merce importata dalla Cina per un valore complessivo di 2,5 milioni di euro;
   la titolare è stata denunciata per i reati di contraffazione e frode nell'esercizio del commercio. Ufficialmente l'impresa produce componenti metalliche, ma ad una prima verifica i finanzieri hanno trovato uno scatolone con 1.400 etichette attestanti la marcatura «CE» per prodotti di diverso genere –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale fatto;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per tutelare l'imprenditoria sana che diviene vittima del fenomeno della contraffazione;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare al fine di combattere l'annoso fenomeno della contraffazione che è attore del mercato nero e pericoloso per la salute delle persone. (5-09258)

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Di Vita n. 1-01232, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 612 del 22 aprile 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    le notizie di cronaca riportano sempre più spesso casi di maltrattamenti perpetrati a danno di minori, anziani e disabili (soggetti che necessitano di una tutela maggiore da parte delle istituzioni in quanto versano in una situazione di particolare svantaggio non essendo in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze e alla propria auto-difesa) che si compiono all'interno delle strutture, pubbliche e private come asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali, di cui sono ospiti;
    questi, purtroppo, non costituiscono singoli casi isolati. È chiaro a tutti ormai che gli episodi che continuano a registrarsi in tutto il territorio nazionale si inseriscono a pieno titolo nel quadro di un fenomeno invero più diffuso di quanto si riesca a immaginare, dovuto in particolare alla pressoché generalizzata assenza di controlli in tale settore. Realtà tristemente simili emergono infatti sempre più di frequente dalle cronache giornalistiche;
    tra i casi più recenti quello del 18 gennaio 2016 relativo a una comunità alloggio a Licata in provincia di Agrigento, sottoposta a sequestro preventivo, in cui sarebbero stati maltrattati fisicamente e psicologicamente alcuni minori e persone con disabilità psichiche (inabili psichici) affidati alla struttura per ricevere assistenza e sostegno psicologico. Una assistente sociale, responsabile della gestione della struttura, è stata arrestata e posta ai domiciliari, per tre operatori è scattato il divieto di dimora nella provincia di Agrigento e l'amministratore è stato interdetto dall'esercizio. Nell'ambito dell'operazione, condotta dai carabinieri e denominata «Catene spezzate», sono complessivamente otto le persone iscritte nel registro degli indagati;
    è dell'8 febbraio 2016 invece la notizia dell'arresto di dieci persone in provincia di Roma, accusate di maltrattamenti di giovani pazienti affetti da patologie neuropsichiatriche e ospiti di un centro di riabilitazione a Grottaferrata. Tre pazienti sono stati segregati e chiusi a chiave nelle loro stanze. Un vero e proprio lager con i degenti, 16 ragazzi di cui cinque minori di 14 anni, con gravi disabilità che venivano picchiati, ingozzati di cibo a forza, umiliati e insultati. Alcune delle vittime avevano otto anni. I principali artefici dell'orrore sono un educatore e un assistente socio-sanitario con funzioni educative che si sarebbero distinti per atteggiamenti particolarmente autoritari e violenti, tanto da creare un sistematico e diffuso clima di terrore nei giovani ospiti. Nel corso delle indagini sono stati documentati diversi episodi di maltrattamenti commessi dagli altri operatori che, sebbene con ruoli minori, sottoponevano i ragazzi a soprusi e violenza fisica e verbale, quasi da ipotizzare una «consuetudine repressiva» adottata dal personale addetto a quel reparto;
    il 15 febbraio 2016 s’è poi registrato il caso dei 14 operatori impiegati presso l'Aias di Decimomannu (Cagliari), che sono stati sospesi per sei mesi dal pubblico servizio dopo che la registrazione delle telecamere di immagini inequivocabili di violenze perpetrate a danno di alcune persone con disabilità. Secondo quanto emerso dalle indagini dei militari, iniziate nel 2014, i 14 operatori avrebbero maltrattato alcuni ospiti, tutti adulti, della struttura sanitaria dove si trovano a causa delle loro gravi condizioni di disabilità psicofisiche. Tra le accuse, oltre ai maltrattamenti, percosse, lesioni personali e omissione di referto;
    a marzo un'operazione simile era stata condotta dai carabinieri a Bazzano, in provincia di Parma. Sette persone erano state arrestate nella casa di riposo «Villa Matilde», dove gli anziani erano costretti perfino a mangiare sul pavimento;
    sconcerto ha destato anche il caso di Potenza del 7 aprile 2016, che ha visto l'arresto di sette persone in servizio presso il centro riabilitativo «Don Uva» che ospita anche pazienti con ritardo mentale medio o grave. Le telecamere nascoste piazzate da carabinieri del Nas hanno documentato atti di violenza sia fisica sia psicologica perpetrati da dipendenti della struttura ai danni dei pazienti;
    ultimo si segnala il recente caso delle maestre di un asilo nido privato di Grosseto finite agli arresti domiciliari dopo circa un anno di indagini per i maltrattamenti perpetrati a danno dei bimbi loro affidati. Dai filmati delle telecamere nascoste si vedono le maestre forzare con il cibo e strattonare dei bambini;
    l'11 aprile 2016 viene ricordato per la vicenda delle maestre di un asilo nido privato di Grosseto finite agli arresti domiciliari dopo circa un anno di indagini per i maltrattamenti perpetrati a danno dei bimbi loro affidati. Dai filmati delle telecamere nascoste si vedono le maestre forzare con il cibo e strattonare dei bambini;
    si segnala infine il caso del 24 maggio 2016 di maltrattamenti e violenze ad anziani e disabili presso la casa di riposo «L'accoglienza», di Nuoro. In questo caso la polizia della città ha piazzato delle telecamere nascoste fra le corsie e ha emesso sei ordini di custodia cautelare per la direttrice e cinque operatori sanitari. Due persone sono finite in carcere e una agli arresti domiciliari. Per gli altri tre è previsto l'obbligo di dimora. Ma le perquisizioni degli inquirenti non sono finite, e l'operazione potrebbe estendersi ancora. La casa di accoglienza ospitava 37 anziani, molti dei quali malati di Alzheimer, che ora sono stati trasferiti in altre sette strutture socio-assistenziali della provincia. La direttrice della struttura è anche indagata per violenza e minaccia nei confronti dei dipendenti. Gli aveva infatti imposto di non parlare con gli inquirenti. La stessa struttura era già stata sequestrata dalla polizia a giugno del 2015 per una serie di carenze igienico-sanitarie che poi erano state sanate;
    con riferimento a tutti i casi innanzi citati è bene rimarcare il ruolo fondamentale rivestito dallo strumento della denuncia dei familiari delle vittime degli atti di violenza. Statisticamente, infatti, la maggior parte di questi casi sono potuti emergere solo grazie alle denunce di questi ultimi e grazie ad esse sono conseguentemente scattate le indagini delle forze dell'ordine che hanno poi potuto verificare, con il monitoraggio disposto attraverso l'installazione di apposite telecamere nascoste presso le strutture coinvolte, l'effettiva consumazione, a volte reiterata, di detti illeciti;
    la drammaticità dei dettagli delle condotte poste in essere in quelle circostanze sono ben noti a tutti soprattutto grazie alle immagini riprese dalle telecamere e diffuse dai mezzi di stampa. Le registrazioni mostrano degli scenari semplicemente sconcertanti: luoghi di accudimento che si trasformano in prigioni e « lager», educatori che diventano aguzzini e l'assistenza che si deforma in violenza. Bambini, disabili e anziani, i più «fragili» che diventano bersaglio di violenze in luoghi «protetti», in cui però la «protezione» lascia il passo alla «correzione», o alla «punizione»;
    si discute di soggetti che a volte, purtroppo, soggiacciono ad una situazione di disinteresse anche da parte delle proprie famiglie. Pertanto, si intende sottolineare la necessità e l'urgenza di attuare un sistema di controllo che garantisca la sicurezza di questi individui maggiormente bisognosi di tutela; la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata nell'ordinamento italiano con la legge n. 176 del 1991, riconosce ad ogni bambino e adolescente il diritto alla protezione da ogni tipo di abuso, sfruttamento e violenza;
    con la legge 3 marzo 2009, n. 18, il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e del relativo protocollo opzionale, sottoscritta dall'Italia il 30 marzo 2007. Scopo della Convenzione, è quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà da parte delle persone con disabilità;
    la convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità ha tra i suoi obiettivi primari quello di garantire su scala nazionale la piena capacità giuridica e la tutela dell'integrità psicofisica delle persone con disabilità, così come sancito in particolare agli articoli 12, 14, 15, 16 e 33 della Convenzione;
    secondo l'articolo 12 della Convenzione gli Stati Parti devono assicurare che tutte le misure relative all'esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani. Tali garanzie devono assicurare che le misure relative all'esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario;
    l'articolo 14 della Convenzione prevede invece che gli Stati Parti garantiscano che le persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, godano del diritto alla libertà e alla sicurezza personale e che non siano private della loro libertà illegalmente o arbitrariamente, che qualsiasi privazione della libertà sia conforme alla legge e che l'esistenza di una disabilità non giustifichi in nessun caso una privazione della libertà;
    in base all'articolo 15 della Convenzione nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Per garantire ciò, in particolare, gli Stati Parti devono adottare tutte le misure legislative, amministrative, giudiziarie o di altra natura idonee ad impedire che persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, siano sottoposte a tortura, a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti;
    a tal proposito è opportuno rilevare che dalle statistiche degli ultimi anni emerge che circa un lavoratore su quattro dell'Unione europea soffre di stress legato all'attività lavorativa (Eurostats Statistics, 2004);
    questi dati non sono trascurabili, e infatti tale questione è stata considerata meritevole di una regolamentazione negoziale definita a livello europeo e nazionale;
    la normativa di riferimento, riguardante la valutazione dei rischi da stress, è il decreto legislativo 81 dell'aprile 2008 (Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro), il quale sancisce l'obbligo per il datore di lavoro, a tutela della salute dei lavoratori, di valutare i rischi da stress lavoro-correlato;
    questo però non sempre avviene, o meglio non avviene in misura articolata e soddisfacente, soprattutto nel contesto nazionale, ove non si registra un'adeguata attività di prevenzione;
    tra le principali conseguenze generate dallo stress lavorativo si rinvengono in particolare taluni effetti comportamentali. Molti lavoratori stressati lamentano di essere facilmente irritabili e aggressivi. Altri si descrivono come «asociali», o con una tendenza a estraniarsi o evitare le situazioni di confronto;
    queste considerazioni fanno riflettere e introducono un concetto cruciale: quello del burnout;
    è un termine inglese, la cui traduzione letterale è «bruciato», e sta ad evidenziare una sindrome derivante da un processo stressogeno che colpisce le persone in ambito lavorativo e porta con sé una perdita della motivazione, ossia un disamoramento verso il proprio lavoro, con conseguente impedimento di vedere il reale obiettivo delle proprie mansioni;
    tale sindrome è descritta in particolare come una malattia professionale specifica degli operatori impegnati in professioni di aiuto, ossia infermieri, medici, psicologi, assistenti sociali, ma anche poliziotti, insegnanti e via dicendo. Pare che queste figure professionali siano caratterizzate da una duplice fonte stressante: il proprio stress personale e quello della persona aiutata (Maslach, Leiter, 1997);
    sembrerebbe che questi soggetti si facciano carico dei problemi delle persone con cui si rapportano, e di conseguenza hanno una certa difficoltà nel discernere tra la propria vita e la loro;
    in tal senso, si ritiene che prevenire più efficacemente l'insorgere delle cause che provocano tale sindrome nel personale soggetto a particolare stress lavorativo, possa contribuire a determinare una sensibile riduzione degli episodi di violenza e dei maltrattamenti che avvengono nelle strutture che ospitano le persone in condizione di particolare fragilità;
    a tal proposito è da segnalarsi ad esempio che da ultimo la Commissione europea ha redarguito l'Italia sull'applicazione dell'orario di lavoro e chiesto espressamente alle autorità italiane «di essere informata sull'attuazione della direttiva nel settore sanitario in tutto il territorio italiano». Il nostro Paese fatica infatti ad adeguare l'orario di lavoro alla normativa europea, emergendo in modo eclatante come i modelli di organizzazione in varie realtà ospedaliere disattendano l'applicazione della legge entrata in vigore il 25 novembre 2015 sulla durata del riposo minimo giornaliero e sul tempo di lavoro massimo settimanale;
    l'articolo 16 della Convenzione stabilisce che gli Stati Parti che, come l'Italia, hanno ratificato la Convenzione devono adottare tutte le misure legislative, amministrative, sociali, educative e di altra natura adeguate a proteggere le persone con disabilità, all'interno e all'esterno della loro dimora, contro ogni forma di sfruttamento, di violenza e di abuso, e che allo scopo di prevenire il verificarsi di ogni forma di sfruttamento, violenza e abuso, gli Stati Parti assicurano che tutte le strutture e i programmi destinati alle persone con disabilità siano effettivamente controllati da autorità indipendenti;
    l'articolo 33 della Convenzione, poi, stabilisce alcuni obblighi delle Parti contraenti relativi alla sua applicazione e monitoraggio nell'ambito degli ordinamenti nazionali;
    in particolare, ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 1, gli Stati contraenti hanno l'obbligo di designare una cosiddetta «struttura di coordinamento» al fine di facilitare l'applicazione della Convenzione a livello interno;
    rientra in tale ambito l'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, istituito dall'articolo 3 della legge n. 18 del 3 marzo 2009 di ratifica ed esecuzione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, preposto essenzialmente alla promozione ed al monitoraggio della Convenzione;
    tuttavia, tale organismo dà attuazione soltanto in parte all'articolo 33;
    l'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione richiede infatti alle Parti contraenti di predisporre un'ulteriore «struttura» indipendente che risponda ai criteri relativi allo status e al funzionamento delle istituzioni nazionali per la protezione e la promozione dei diritti umani, indicati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella Risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (comunemente noti come «Principi di Parigi»);
    la piena conformità alla Convenzione richiede pertanto l'istituzione in Italia di un'ulteriore «struttura» che, alla luce dei citati Principi di Parigi, dovrà presentare i seguenti caratteri:
     garantire la rappresentanza della società civile;
     essere indipendente dal Governo e prevedere la partecipazione dei rappresentanti dei Ministeri a titolo consultivo;
     disporre di una dotazione finanziaria sufficiente per lo svolgimento delle proprie attività in modo autonomo;
    in base ai «principi di Parigi», tra le funzioni che potrebbero essere affidate alla «struttura» figurano:
     la promozione, la protezione e il monitoraggio della Convenzione nell'ordinamento interno;
     l'indirizzo di raccomandazioni alle autorità competenti e l'elaborazione di proposte di legge in materia di disabilità;
     lo svolgimento di inchieste;
     eventualmente, l'esame di «ricorsi» da parte delle persone con disabilità o delle organizzazioni che le rappresentano;
     la legge 21 maggio 1998, n. 162, «Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, concernenti misure di sostegno in favore di persone con handicap grave», che ha modificato la cosiddetta «legge quadro» sull’handicap, ha avuto l'importantissimo merito di introdurre per prima in Italia il concetto di «vita indipendente», in particolare legando tale termine all'idea dell'assistenza domiciliare personale finanziata con fondi statali gestiti dalla stessa persona con disabilità;
    la legge 8 novembre 2000, n. 328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», stabilisce poi, all'articolo 14, che i comuni devono predisporre su richiesta dell'interessato un progetto individuale per realizzare la piena integrazione delle persone disabili nell'ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell'istruzione scolastica o professionale e del lavoro, che punta ad una visione in chiave unitaria dei bisogni della persona con disabilità;
    entrambe le leggi statali appena citate, in vigore da diversi anni ormai, potrebbero dunque dare concreta attuazione ai principi sanciti dalla stessa Convenzione, se solo i principi in esse contenuti non fossero ancora quasi del tutto disattesi a livello locale, e limitare drasticamente sin dalla radice il rischio che situazioni gravissime e drammatiche come quelle citate si verifichino nuovamente;
    in Italia esistono ancora molte strutture, troppe, che accolgono le persone con disabilità, attraverso le quali, almeno sulla carta, dovrebbero essere erogate prestazioni socio-sanitarie, riabilitative ed educative;
    come appartenenti al M5S i firmatari del presente atto di indirizzo ritengano che il Parlamento, oggi più che mai, ha anzitutto il dovere di promuovere ed elaborare proposte di modifica della normativa esistente, volte a rimuovere ogni situazione segregante e di istituzionalizzazione delle persone con disabilità, a cominciare da misure a favore di soluzioni abitative che realizzino il diritto alla vita indipendente e alla permanenza e inclusione della persona con disabilità nella propria comunità di origine e, dove possibile, nella propria abitazione, come peraltro indicato nell'articolo 19 della Convenzione ONU;
    ai sensi della disposizione appena citata, gli Stati parti alla Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che:
      (a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione;
     (b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l'assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione;
     (c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni;
    la misura di prevenzione più importante resta sempre la creazione di una politica di transizione dall'assistenza negli istituti all'assistenza nella stessa collettività come previsto, oltre che dalla Convenzione Onu, anche dalla Strategia europea sulla disabilità 2010-2020, firmata anche dall'Italia;
    nelle more della realizzazione di tale ambizioso e nobile obiettivo si ritiene che debba provvedersi utilmente a emanare urgentemente delle disposizioni specifiche atte a fronteggiare l'aspetto specifico sin qui descritto e denunciato, relativo alla carenza di controlli mirati nei confronti delle strutture e delle persone giuridiche che svolgono servizi di interesse pubblico per conto dell'ente locale di riferimento fornendo servizi di accoglienza, cura, istruzione e assistenza ai soggetti più fragili della nostra società, quali i minori gli anziani e le persone con disabilità;
    ciò può essere fatto in particolare attraverso la previsione di nuove misure di prevenzione di simili illeciti che rappresentino, da una parte, un elemento di maggiore tranquillità, per le famiglie che eventualmente decidano di affidare una persona cara a tali strutture, e d'altra parte, un deterrente per scongiurare ogni tipo di abuso da parte di coloro che operano in tali strutture o, addirittura, di soggetti esterni,

impegna il Governo:

   al fine precipuo di ridurre i fenomeni di violenza perpetrati nei confronti dei soggetti più fragili della società, quali i minori, gli anziani e le persone con disabilità, a intraprendere le opportune iniziative di competenza, anche di carattere normativo, volte a favorire l'incremento delle attività di controllo, vigilanza e nei confronti delle strutture socio-educative, sanitarie e di ricovero e, in generale, di tutti i soggetti giuridici che svolgono servizi di interesse pubblico per conto dell'ente locale di riferimento fornendo servizi di accoglienza, cura, istruzione e assistenza, in particolare adottando le seguenti misure:
    a) la tempestiva adozione di tutte le iniziative di competenza necessarie per avviare e portare a conclusione il percorso di deistituzionalizzazione e di supporto alla domiciliarità, in particolare nei casi permanenza, temporanea o continuativa, anche se motivata da eventuali situazioni di emergenza, di soggetti ospiti di strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, sia pubbliche che private accreditate, che si occupano a vario titolo dell'assistenza di minori, persone con disabilità e anziani, che non consentano una vita indipendente e la piena inclusione sociale;
    b) l'istituzione, ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità e della risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (cosiddetto «principi di Parigi»), di uno specifico organismo indipendente che svolga attività di ricerca e monitoraggio sulle situazioni di violenza, sfruttamento, maltrattamento e negligenza, che possa accogliere, anche da singoli individui, le richieste di supporto in caso di episodi di violenza, verificarle, elaborare proposte per tutelare in tal senso le persone con disabilità e le loro famiglie, migliorando anche la normativa in materia di tutela, e che promuova, protegga e monitori l'implementazione della citata Convenzione dell'Onu;
    c) la predisposizione, per quanto di competenza, di piani d'ispezioni ministeriali presso le strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, sia pubbliche che private accreditate, sia straordinarie (cosiddetto «a sorpresa») che programmate, disposte su scala nazionale e secondo l'incidenza territoriale dei soggetti fragili interessati (minori, anziani e persone con disabilità) in relazione alla popolazione e al numero di strutture pubbliche o private (asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali) presenti sul territorio di riferimento, anche in coordinamento con le regioni, i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali;
    d) la predisposizione di attività di promozione allo sviluppo e alla realizzazione di specifiche forme di autocontrollo da parte di asili nido, scuole dell'infanzia e strutture socio-assistenziali, pubblici e privati, con particolare riferimento all'adozione di meccanismi di segnalazione interna e procedure analoghe al modello del whistleblowing che consentano, anche in anonimato, ai lavoratori delle strutture interessate di denunciare gli episodi di violenza o i maltrattamenti ivi compiuti all'amministrazione comunale;
    e) la predisposizione di specifici uffici territoriali o sportelli del cittadino, realizzati anche in forma digitale con portali web dedicati, anche collegati con i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali, che consentano ai congiunti degli ospiti di asilo nido, scuole dell'infanzia e strutture socio-assistenziali, pubblici e privati, di denunciare, anche in forma anonima, episodi di violenza o maltrattamenti nei confronti di minori, anziani e persone con disabilità, in particolare tramite l'adozione di una procedura analoga al modello del whistleblowing in cui il destinatario delle segnalazioni interne sia, oltre all'organo direttivo della struttura interessata dalla segnalazione medesima, anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'organismo indipendente istituito ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità e della risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (cosiddetto «Principi di Parigi»);
    f) la previsione dell'obbligo in capo alle strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, sia pubbliche che private accreditate, che si occupano a vario titolo dell'assistenza di minori, persone con disabilità e anziani, di relazionare periodicamente sull'attività di gestione delle segnalazioni al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e all'organismo indipendente istituito ai sensi dell'articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità e della risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 (cosiddetto «Principi di Parigi»);
    g) la predisposizione di verifiche periodiche dello stato di servizio di operatori ed educatori impiegati presso le strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, volte in particolare alla valutazione delle misure poste in essere specificatamente dai datori di lavoro per prevenire, eliminare o ridurre i fattori di rischio dello stress lavoro-correlato (cosiddetto burnout), anche in coordinamento con le regioni, i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali;
    h) la predisposizione di rilevazioni ministeriali periodiche, da effettuarsi almeno una volta l'anno, del grado di soddisfazione degli utenti delle strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, e dei loro familiari, attraverso tecniche di analisi e verifica dati di customer satisfaction, in particolare nella modalità interview, che prevede un colloquio diretto tra intervistato e intervistatore e quindi favorisce l'emergere di eventuali criticità, e solo in via secondaria e opzionale in modalità survey, ovvero modalità di comunicazione asincrona e somministrabile anche in via informatizzata, anche in coordinamento con le regioni, i nuclei ispettivi e di vigilanza e le aziende sanitarie locali;
    i) la previsione di un'aggravante per i reati commessi nelle strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero;
    j) la rimozione degli ostacoli, anche procedurali e burocratici, che compromettono la completa trasparenza, apertura ed accessibilità delle strutture socio-educative, sanitarie, riabilitative, residenziali e di ricovero, e che in particolare impediscono spesso tutt'oggi ai familiari dell'utente di poter fare liberamente visita al proprio caro anche in orari di visita non prestabiliti.
(1-01232)
«Di Vita, Grillo, Mantero, Lorefice, Colonnese, Silvia Giordano, Baroni, Nuti, Di Benedetto, Lupo, Mannino, Dall'Osso».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Daniele Farina n. 4-13848, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 657 del 19 luglio 2016.

   DANIELE FARINA e MATTIELLO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   il 30 giugno 2016 è stato tratto in arresto il giovane cittadino ceco K.M. per fini estradizionali, in quanto colpito da mandato di cattura emesso dall'autorità ucraina per violazione della normativa sugli stupefacenti;
   nel settembre 2013 il ragazzo si trovava al confine ungherese, diretto in Ucraina. Durante in controllo è stato trovato con 1,9 grammi di marijuana (a quanto si legge nel verbale d'arresto), che ha dichiarato essere per uso esclusivamente personale. Le autorità ucraine hanno avviato un procedimento a piede libero per l'accusa di spaccio – per cui in Ucraina sono previsti fino a dieci anni di carcere – di cui lui non ha avuto alcuna ulteriore notizia, finché è arrivato in Italia in vacanza il 29 giugno 2016. Il giorno dopo aver consegnato i documenti in hotel, infatti, si sono presentate all'albergo le forze di polizia, che l'hanno arrestato;
   nonostante si trattasse di una modica quantità, la Corte di Appello di Venezia il 2 luglio 2016 ha convalidato l'arresto provvisorio e disposto la custodia cautelare in carcere, ancora in essere;
   il successivo 5 luglio 2016 la Corte di Appello di Venezia, dopo aver interrogato il cittadino ceco ha confermato la misura cautelare, conformandosi a quanto richiesto dal Ministro della giustizia che, con nota del 5 luglio richiedeva all'autorità giudiziaria, in forza dell'articolo 716, comma 4, CPP «il mantenimento della misura cautelare in carcere allo scopo di assicurare la consegna»;
   in pari data l'avvocato d'ufficio dell'interessato, Tandura, ha chiesto la revoca della misura o la sua sostituzione con misura meno gravosa, ma ad oggi alcun provvedimento è stato adottato dalla corte interpellata;
   l'abuso del ricorso alle misure cautelari successive alle convalide degli arresti provvisori per fini estradizionali, ovvero in forza di mandati di arresto europeo pone seri problemi del rispetto dell'inviolabilità della libertà personale dell'individuo, secondo l'interrogante in aperta violazione dell'articolo 5 della CEDU;
   nel caso di specie si trova in custodia cautelare in carcere un cittadino che per la legge italiana o era un mero possessore per uso personale di una modica quantità di droga leggera o al massimo ha posto in essere una condotta riconducibile all'articolo 73 comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Nel primo caso si sta trattenendo in custodia cautelare un cittadino che per il nostro ordinamento ha commesso la violazione di una norma con sanzione amministrativa, nel secondo caso si applica una misura cautelare detentiva non applicabile se il fatto-reato (spaccio di lieve entità) fosse stato commesso sul territorio italiano;
   di recente, l'Associazione Antigone ha pubblicato un report sull'applicazione delle misure cautelari in carcere che mette in luce, tra le altre cose, l'abuso del ricorso a tale misura, allorquando vi è una procedura estradizionale o relativa ad un mandato di arresto europeo. Dal report emerge che la prassi applicativa relativa alle estradizioni e ai mandati di arresto europeo si caratterizza per una illegittima prevalenza, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, del riconoscimento di provvedimenti di autorità straniere e dell'applicazione per lunghi tempi della misura cautelare, perché le autorità straniere tardano ad inviare la documentazione necessaria alla corte italiana per decidere in merito alla estradizione. L'Italia è stata condannata in più occasioni dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per l'eccessiva durata della custodia cautelare e la mancanza di garanzie per l'accusato durante il procedimento relativo all'applicazione delle misure;
   l'Italia, altresì, è stata anche condannata per la violazione dell'articolo 5, comma 1, della Convenzione, per detenzione arbitraria in custodia cautelare. Ciò è accaduto piuttosto recentemente nella causa Gallardo Sanchez contro Italia (24 marzo 2015) riguardante un caso di estradizione. Il soggetto sottoposto a misura cautelare lamentava la violazione dell'articolo 5, comma 3, per l'eccessiva durata della custodia cautelare (un anno 3 sei mesi), ma la Corte qualificava il fatto come una violazione dell'articolo 5, comma 1, ritenendo che l'Italia non si era dimostrata diligente nella decisione di concedere l'estradizione della persona in custodia cautelare, una decisione segnata da un ingiustificato ritardo;
   il reciproco riconoscimento tra Stati dei provvedimenti limitativi della libertà non dovrebbe collidere e sminuire quanto disposto dall'articolo 5 della CEDU e che l'Italia non dovrebbe, a parere dell'interrogante, assecondare politiche repressive eccessive per fatti evidentemente non gravi;
   attualmente in Ucraina vi è un conflitto bellico e, secondo l'ultimo rapporto Amnesty, sono stati accertati numerosi casi di violazione dei diritti umani –:
   se il Ministro interrogato non intenda interrompere nel più breve tempo possibile la procedura di estradizione e assumere ogni iniziativa di competenza per evitare la prosecuzione della carcerazione ad avviso dell'interrogante ingiustificata. (4-13848)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti e altri n. 5-08028 del 7 marzo 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13919.