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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 21 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni X e XIII,
   premesso che:
    il 7 giugno 2016 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare (2015/2065(INI));
    il documento prende le mosse da numerosi studi sul settore nonché da atti ufficiali delle diverse articolazioni dell'Unione europea nei quali vengono sottolineate le molteplici criticità riscontrate nella filiera alimentare per quanto attiene le distorsioni causate dal ricorso a pratiche commerciali sleali;
    è il caso di segnalare che la relazione (COM (2016)0032) della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese riporta che «Le pratiche commerciali sleali possono essere definite in termini generali come pratiche che si discostano ampiamente dalla buona condotta commerciale, sono in contrasto con la buona fede e la correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale all'altro»;
    con la comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 15 luglio 2014, dal titolo «Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese» (COM(2014)0472), la Commissione, tra le altre cose, invitava gli Stati membri a esaminare le modalità per offrire maggiore protezione ai piccoli produttori e venditori al dettaglio di beni alimentari dalle pratiche commerciali sleali che spesso caratterizzano le relazioni commerciali in cui una delle due parti si trova in una posizione di forza rispetto all'altra;
    nella citata relazione la Commissione europea (COM (2016)0032) si sofferma sulla crescente diffusione delle pratiche sleali, in particolare, nella motivazione si legge che: «La questione delle pratiche commerciali sleali nelle relazioni B2B è venuta sempre più alla ribalta nel corso degli ultimi anni e, nonostante sia difficile valutare del tutto la portata del problema, vi sono sufficienti prove statistiche e basate sul mercato che suggeriscono che tali pratiche sono relativamente comuni, in particolare in alcuni settori della filiera. In un'indagine realizzata nel marzo 2011, il 96 per cento degli intervistati nell'ambito della filiera alimentare ha dichiarato di essere stato esposto ad almeno una forma di pratiche commerciali sleali»;
    nelle premesse, alla lettera F, della citata risoluzione vengono elencate le pratiche e i comportamenti commerciali considerati sleali, segnalati dagli stessi operatori della filiera alimentare, tra i quali emergono con maggiore frequenza: i ritardi nei pagamenti, l'accesso limitato al mercato; le modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali, anche con effetto retroattivo; le informazioni non sufficientemente dettagliate o formulate in modo ambiguo in merito alle condizioni contrattuali; il rifiuto di sottoscrivere contratti scritti; la risoluzione improvvisa e ingiustificata del contratto; il trasferimento sleale del rischio commerciale; la richiesta di pagare beni o servizi privi di valore per una delle parti contrattuali; la riscossione di pagamenti per servizi fittizi; il trasferimento dei costi di trasporto e stoccaggio ai fornitori; l'imposizione di promozioni, pagamenti per l'esposizione della merce in vista e altri pagamenti aggiuntivi; il trasferimento dei costi delle promozioni nei locali commerciali ai fornitori: la restituzione incondizionata e obbligatoria della merce invenduta; le pressioni volte a ridurre i prezzi della merce; l'impossibilità per i contraenti di rifornirsi in altri Stati membri (limitazione territoriale delle forniture);
    per le dimensioni delle unità produttive, la molteplicità dei soggetti che partecipano alla filiera, le metodologie di produzione, la deperibilità dei prodotti, nonché l'impossibilità di interrompere la produzione in relazione alle mutevoli condizioni del mercato, il settore agroalimentare risulta tra i più vulnerabili in presenza di comportamenti e pratiche commerciali sleali;
    questa situazione acquista particolare rilevanza se inserita nel più ampio contesto europeo in cui la filiera alimentare si caratterizza per i crescenti scambi commerciali transfrontalieri, a fronte dei quali, però, si registrano ancora differenti misure di tutela commerciale adottate dagli Stati membri;
    le caratteristiche delle pratiche commerciali sleali risultano, in molteplici casi, difficili da definire, conseguentemente da perseguire e sanzionare;
    operatori e istituzioni degli Stati membri, a fronte dell'accresciuta consapevolezza delle necessità di diffondere e adottare buone prassi commerciali, hanno introdotto strumenti di autoregolamentazione che, però, non risulterebbero adeguatamente efficaci nel ripristinare l'equilibrio di mercato;
    seppure l'Italia sia tra i primi Stati membri ad aver recepito nel proprio ordinamento le misure di tutela adottate in sede europea, vista la crescente frequenza dei comportamenti scorretti segnalati dagli operatori del settore, a fronte anche di una debolezza strutturale e finanziaria del computo agricolo e agroalimentare italiano, nel quale prevalgono micro e piccole e medie imprese, si rende più che mai necessario affinare e rafforzare le misure e gli strumenti per contrastare le pratiche commerciali sleali;
    secondo i dati dell'Istat, pubblicati il 6 giugno 2016, nel 2015 è in ripresa il valore aggiunto del settore agricolo a prezzi correnti che ammonterebbe a 33,1 miliardi di euro, pari al 2,3 per cento del valore aggiunto nazionale, con una crescita rispetto al 2014 del 5,6 per cento a prezzi correnti e del 3,8 per cento in volume;
    secondo i dati forniti dall'Istat, risulterebbe in crescita anche il settore agroalimentare con un +4,2 per cento in valori correnti e del 2,3 per cento in volume;
    a fronte di un calo complessivo del 3,2 per cento dell'indicatore di reddito agricolo per il 2015 dell'Ue 28, in Italia si registrerebbe una crescita, pari a +6,2 per cento, assieme alla Grecia (+11,7 per cento) e Francia (+8,7 per cento);
    questi dati testimoniano anche l'attenzione crescente per l'economia agricola e per quella alimentare, a cui si stanno avvicinando le nuove generazioni, in controtendenza rispetto all'andamento del settore negli ultimi decenni;
    nel 2014, l'Italia si è confermata al primo posto tra i Paesi dell'Unione europea per numero di prodotti dop, igp e stg, in tutto 269, di cui 257 attivi, che rappresentano una straordinaria risorsa da promuovere nei mercati internazionali e, contestualmente, un grande patrimonio di tradizioni, competenze e professionalità da tutelare e proteggere contro le pratiche commerciali sleali;
    negli ultimi anni, si è sviluppata una nuova consapevolezza e attenzione da parte dei consumatori su particolari caratteristiche e peculiarità dei prodotti, quali genuinità, qualità, tracciabilità della filiera, etica e responsabilità sociale delle imprese, tutti aspetti che hanno favorito la riscoperta delle tipicità locali e delle produzioni biologiche, a cui ha fatto seguito l'avvio di una molteplicità di intraprese agricole, alimentari e commerciali;
    le pratiche commerciali sleali, che colpiscono gli anelli più deboli della filiera alimentare, rappresentano un forte deterrente per il rilancio del comparto agroalimentare compresi i prodotti dop, igp e stg, con risvolti negativi, non solo per la sopravvivenza delle aziende, ma anche per la tutela della qualità dei prodotti e, conseguentemente, dei consumatori;
    non meno rilevante e necessaria e di pari attenzione appare poi la questione legata alla sempre maggiore offerta di prodotti «civetta» ossia di prodotti venduti ad un prezzo molto basso o addirittura sotto costo per attirare la clientela, ma che sempre più spesso rappresentano una pratica utilizzata per aggirare la complessa normativa (decreto legislativo n. 114 del 1998) che regola le vendite promozionali,

impegna il Governo:

   a promuovere iniziative volte a rendere più incisive le misure di prevenzione, vigilanza e contrasto delle pratiche commerciali sleali;
   ad assumere iniziative al fine di rimodulare il sistema sanzionatorio per perseguire con maggiore efficacia i comportamenti che danneggiano i diversi operatori della filiera agroalimentare;
   a contrastare con maggiore incisività i comportamenti caratterizzanti pratiche commerciali sleali nella filiera agroalimentare;
   a promuovere una normativa per la regolamentazione della pratica commerciale di prodotti sottocosto e di prodotti «civetta» che riservi particolare attenzione alla necessità di fornire al consumatore gli elementi necessari ad effettuare acquisti consapevoli in merito alle caratteristiche quali – quantitative e di durabilità del prodotto in offerta;
   a promuovere una normativa che preveda la diffusione anche a mezzo stampa delle informazioni sulle pratiche commerciali sleali accertate e sanzionate;
   a promuovere la diffusione di una maggiore consapevolezza per le pratiche commerciali virtuose e rispettose del lavoro e delle attività delle aziende che operano nella filiera agroalimentare, anche con iniziative pubbliche di sensibilizzazione e coinvolgimento, con l'intento di fare conoscere le diverse fasi della lavorazione dei prodotti, i diversi attori della filiera che concorrono alla loro realizzazione nonché la cultura e le tradizioni del luoghi di produzione;
   a promuovere le produzioni a chilometro zero e di qualità, le tipicità locali, i marchi di tutela del sistema agroalimentare presenti in Italia, con l'obiettivo di fare conoscere le caratteristiche, le componenti e i metodi di lavorazione dei prodotti;
   a farsi promotore di un processo di rafforzamento dei sistemi di tracciabilità dei prodotti e delle transazioni nell'ambito della filiera agroalimentare;
   ad attivarsi, per quanto di competenza, per promuovere a livello europeo una normativa uniforme che preveda eguali criteri per definire, contrastare e perseguire le pratiche commerciali sleali.
(7-01057) «Vallascas, Gallinella, Da Villa, Crippa, D'Ambrosio, L'Abbate».


   La III Commissione,
   premesso che:
    il Venezuela vive uno dei momenti più difficili della sua lunga storia, una storia alla quale l'emigrazione italiana ha contribuito in maniera estesa e significativa, arrivando anche ad essere parte consistente e rilevante della classe dirigente del Paese;
    le elezioni legislative del 2015, con la netta vittoria dell'opposizione all'attuale Governo del presidente Maduro, se da un lato hanno confermato la dinamica democratica e pluripartitica delle istituzioni venezuelane, dall'altro hanno acuito tensioni socio-politiche già esistenti determinando un atteggiamento di chiusura rispetto al Parlamento da parte del potere Esecutivo, cui è seguito un totale stallo della vita sociale ed economica;
    l'eventuale tentativo di ricorrere a scorciatoie violente o militari per risolvere le profonde contraddizioni che dividono il Paese, oltre a non rappresentare una soluzione alla crisi attuale, deve essere denunciato e contrastato con forza dalla comunità internazionale;
    non è parimenti ammissibile la ulteriore permanenza in detenzione preventiva, senza alcun processo giusto, di personalità politiche come Leopoldo Lopez, Antonio Ledesma, Lorent Saleh;
    la liberazione dei «detenuti politici» deve rappresentare una condizione prioritaria per l'avvio di un processo di vero dialogo tra le parti e di pacificazione nazionale;
    il «referendum revocatorio» richiesto dalle forze di opposizione al Governo in base a quanto previsto dalla Costituzione fortemente voluta dall'allora presidente Chavez e suffragato da un numero di firme ampiamente superiore al minimo previsto, dovrà essere consentito e realizzato nei tempi e nei modi dettati dalla Carta costituzionale;
    diversi organismi e numerose personalità internazionali si stanno prodigando, pur con analisi e modalità differenti, per evitare una deriva violenta:
     l'Unasur (Unione delle nazioni sudamericane), con il suo segretario generale Ernesto Samper Pizano;
     l'Unione europea che sostiene pienamente gli sforzi degli ex presidenti Mr. José Luis Rodríguez Zapatero, il signor Leonel Fernàndez e Mr. Martìn Torrijos per facilitare un dialogo urgente, efficace e costruttivo tra il governo e la maggioranza parlamentare in Venezuela. Questi sforzi offrono un'opportunità fondamentale per creare condizioni favorevoli e di un quadro di riferimento per soluzioni pacifiche e condivise sulle sfide multidimensionali del Paese;
     l'OSA (Organizzazione degli Stati americani), con il suo segretario generale Almagro;
     il Vaticano, con una attenzione diretta di Papa Francesco e del segretario di Stato Parolin;
     il dipartimento di Stato degli USA che ha incaricato una personalità come Thomas Shannon per riaprire un dialogo con Caracas;
    il nostro Paese che ha una importante presenza di italo-discendenti (oltre che di italiani) in Venezuela, nonché una ottima reputazione presso la popolazione, può utilmente concorrere a scongiurare derive violente, nello spirito del dialogo reciproco e della riconciliazione nazionale;
    è da considerare l'opportunità da parte dell'Esecutivo italiano, nella persona del suo Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di visitare quanto prima il Venezuela ed incontrare il suo omologo su una agenda di carattere governativo;
    è parimenti da considerare l'opportunità che una delegazione di parlamentari si rechi quanto prima in Venezuela per incontrare i propri omologhi in base ad una agenda di carattere parlamentare;
    una operazione del genere, a due fronti, sarebbe un segnale forte e allo stesso tempo rispettoso, di stimolo al dialogo;
    le forze politiche italiane, prescindendo dal loro «colore», possono svolgere nella loro autonomia un ruolo importante, in direzione del dialogo e del reciproco riconoscimento, con i loro omologhi venezuelani;
    si fanno sempre più pressanti le richieste dei connazionali residenti in Venezuela e delle famiglie dei loro discendenti, che chiedono gesti concreti di solidarietà per affrontare la crisi economica e soprattutto l'emergenza umanitaria dovuta alla carenza di medicine e di beni di prima necessità,

impegna il Governo

a porre in essere con urgenza tutte le iniziative diplomatiche nonché gli interventi opportuni per favorire una soluzione pacifica della crisi politica e, al tempo stesso, lenire la crisi umanitaria, consentendo la spedizione di medicinali e – per quanto riguarda la collettività italiana residente in Venezuela – l'immediata e positiva definizione del problema relativo al pagamento delle prestazioni previdenziali dell'INPS sospese a causa della rigida applicazione del cambio venezuelano ai pensionati.
(7-01056) «Porta, Quartapelle Procopio, Tidei».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   nell'articolo pubblicato in data 19 maggio 2016 sul sito il velino.it di Paolo Pollichieni dal titolo «Caso Scajola, chi pedinava il colonnello Pace ? L'ufficiale della Gdf distaccato alla Dia morto suicida il 14 aprile scorso. Sui tavoli di diverse redazioni un dossier anonimo» si legge: «Chi, e per conto di chi, spiava il colonnello Omar Pace, ufficiale della Guardia di finanza distaccato alla Direzione investigativa antimafia, morto suicida il 14 aprile scorso, alla vigilia della sua convocazione, in qualità di testimone, nel processo in corso a Reggio Calabria contro l'ex ministro degli interni Claudio Scajola ? Il fatto che qualcuno lo pedinasse da giorni ormai è un dato accertato. Lo ebbe a segnalare a colleghi e magistrati inquirenti lo stesso colonnello Pace che, in particolare, ha riferito di un pedinamento mentre si recava all'ateneo di San Marino dove era docente a contratto. In più, sui tavoli di diverse redazioni nei giorni scorsi è finita una lettera anonima scritta da chi sicuramente aveva condiviso con il colonnello Pace alcune delle più delicate inchieste. Nell'anonimo si fa esplicito riferimento alle indagini che portarono all'arresto dell'ex ministro Scajola e che inguaiano l'ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, che continua a vivere indisturbato la sua dorata latitanza negli Emirati Arabi, grazie ai ritardi che sta incontrando la pratica avviata dal Ministro della Giustizia, Orlando, perché venga concessa l'estradizione. Si tratta di un nuovo protocollo d'intesa tra Italia e Emirati arabi che, includendo tra i reati anche l'associazione mafiosa, consentirebbe un riesame della richiesta di estradizione in precedenza respinta dalla Corte suprema di Dubai. Più volte inserita nell'ordine del giorno, la pratica non è stata ancora esaminata dal Consiglio dei ministri.
  Tornando all'anonimo inviato ai giornali, va aggiunto che in esso vengono fatti i nomi di due diretti superiori del colonnello Pace che ne avrebbero ostacolato l'attività investigativa. In più avrebbero tentato di far ricadere sull'ufficiale la responsabilità della pubblicazione su «Il Fatto quotidiano» di alcune imbarazzanti intercettazioni telefoniche attorno alla Lega ed in particolare attorno allo staff di un altro ex ministro dell'interno, il leghista Roberto Maroni, oggi governatore della Lombardia. Quelle trascrizioni, dopo che per mesi sono rimaste a prendere polvere, vennero trasmesse dalla Direzione distrettuale di Reggio Calabria a quella di Milano, nel viaggio, però qualcuno ne avrebbe estratto copia consegnandola al giornalista Marco Lillo che ne pubblicò ampi stralci. Nel libro "Il potere dei segreti", scritto da Marco Lillo, trova spazio non solo la meticolosa ricostruzione dei giochi di potere che, complici anche le attività di dossieraggio messe in atto per condizionare le scelte di Maroni e le iniziative dell'europarlamentare Albertini e del sindaco di Verona Tosi, non gradite a Silvio Berlusconi. C’è anche la ricostruzione del blitz che gli uomini della Dia fecero per recuperare quelle devastanti intercettazioni telefoniche. Marco Lillo, ancora oggi accusato di ricettazione e violazione del segreto istruttorio con l'aggravante dell'articolo 7, venne bloccato mentre portava la figlia a scuola, poi scortato a casa e in redazione e perquisito, fin quando non consegnò i brogliacci richiesti. Lillo ha sempre giurato di aver ricevuto per posta le trascrizioni e di essersi limitato ad accertarne l'autenticità. Invece all'interno della Dia c'era chi continuava a imputare al colonnello Omar Pace tale fuga di notizie. Una ragione in più, secondo la «gola profonda» che ha inviato ai giornali l'esposto anonimo, per giustificare l'allontanamento dell'ufficiale dall'inchiesta.
  Nell'anonimo si evidenzia anche, e questo dimostra la vicinanza dell'estensore con l'ufficiale suicidatosi nella sua stanza all'interno della direzione romana della Dia, l'inesistenza di alcuna ragione «personale» che inducesse al suicidio il colonnello Pace. Lo si sottolinea ricordando che appena il giorno prima l'ufficiale aveva acquistato un vestito nuovo da indossare per la prima comunione della figlia prevista due settimane più tardi. Inoltre aveva appena prenotato una crociera per il settembre prossimo come regalo a sua moglie. Tutte cose che effettivamente mal si conciliano con la scelta per ragioni «personali» di togliersi la vita. Sul web, inoltre, compaiono molte testimonianze di colleghi e investigatori che hanno lavorato con Omar Pace imparando a stimarlo fortemente. «Era il migliore, il più sensibile – recita una di queste. Chiunque ipotizzi fragilità, lutti vicini e lontani, celati accertamenti sanitari o altro, non perda tempo, vada nei Tribunali, negli archivi di polizia, nelle memorie dei computer, troverà centinaia di atti investigativi a firma di Omar Pace e poi, guardandoli negli occhi, vada a chiedere a quanti hanno avuto l'onore di operare al suo fianco, a quelli che hanno assistito alle sue conferenze, alle sue lezioni nelle scuole di polizia, nelle università, a chiunque lo abbia conosciuto»;
   sul sito iltempo.it in un articolo del 19 giugno 2016 a firma Sil.Man. si apprendono grazie a un'intervista alla signora Brasciano vedova del colonnello Pace ulteriori fatti che aumentano i dubbi sulla morte di Omar Pace;
   nell'intervista si legge: «Domenica abbiamo cenato come sempre insieme ai nostri figli. Lunedì mi sono svegliata, avevo la sensazione che Omar non sarebbe dovuto andare al lavoro, ma non gli ho prestato attenzione. Alle 11 circa mi hanno chiamata per dirmi che era morto. Niente mi aveva lasciato immaginare un gesto estremo da parte di mio marito, anche il biglietto che ho ritrovato a casa dopo la sua morte mi è sembrato vago. «Ti ho sempre amata, pensa ai bambini». Non una motivazione, un elemento che potesse aiutarmi a capire». Barbara Basciano, vedova del Tenente Colonnello Omar Pace, al suicidio crede poco. Vuole giustizia e chiede che la morte del padre dei suoi figli non venga archiviata in fretta. Signora Basciano, cosa non la convince in questa storia ? «Poco o niente. Omar era un uomo molto scrupoloso, attento alla sua salute e al suo aspetto fisico. Non era certo un debole». Si preparava però a testimoniare a un processo importante. Non pensa possa aver avuto paura ? «Era abituato a situazioni come e più gravi di questa. Avevamo una crociera prenotata e la cresima del nostro primogenito Flavio, due settimane dopo». Però si è sparato nel suo ufficio, con la pistola d'ordinanza. «Ho chiesto la riesumazione del corpo per togliermi ogni dubbio. Mi hanno fatto firmare il consenso per l'autopsia quando ero sotto shock e ad oggi non ho ricevuto notizie riguardo all'esito degli esami». Qualcuno disse che suo marito era depresso dopo la morte del padre e della sorella. «Sciocchezze, il padre è morto cinque anni fa e la sorella lo scorso anno dopo una lunga agonia. Lo stesso Omar aveva definito la tragedia come una liberazione per lei dalle sofferenze». Ha avuto la sensazione, i giorni precedenti alla sua morte, che qualcosa lo turbasse ? «Omar non portava mai il lavoro a casa. Ma ricordo una telefonata, in particolare, che gli aveva fatto cambiare espressione». Cioè ? «Eravamo al centro commerciale, lo chiamarono per dirgli che avrebbe dovuto testimoniare al processo. Disse scocciato che lo avevano anticipato, ma si capiva che era nervoso».
  Come le hanno detto che suo marito era morto ? «Nel modo più indelicato possibile. Quel lunedì mi sono ritrovata sotto casa 20 persone in borghese. Sono entrati, fortunatamente i miei figli non erano in casa. Hanno preso il tablet di mio marito e non me l'hanno più restituito. Mi hanno portato con la macchina in questura, hanno preso mie dichiarazioni senza darmi copia di quanto scritto. Di Omar mi sono stati ridati solo l'orologio e la fede, chiusi in una bustina trasparente sporca di sangue». Ha paura ? «Fossi sola sarei molto più combattiva, ma ho due figli da crescere. Comunque non mi arrendo, pretendo la verità. Ho perso la persona che amavo, avevamo tanti progetti»;
   l'articolo de L'Espresso del 6 aprile 2016 dal titolo «Amedeo Matacena, latitante da record», a firma Gianfrancesco Turano, riporta tra l'altro «(...) Nel caso del politico e armatore reggino, invece, a metà settembre del 2015 il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha firmato un accordo bilaterale con gli Emirati che avrebbe dovuto consentire l'estradizione del latitante. Perché Matacena è ancora libero ? Semplice. A sette mesi di distanza l'esecutivo non ha ancora ratificato l'accordo che deve essere vagliato da un altro dei dicasteri principali, gli Affari esteri, guidato da Paolo Gentiloni. L'ultima occasione è andata a vuoto il 3 marzo 2016, quando si è tenuto il Consiglio dei Ministri numero 107 del governo di Matteo Renzi. Gentiloni era in visita ufficiale a New York e il collegio ministeriale, nella fase di pre-consiglio, ha rinviato la questione a data da destinarsi. In particolare, spiega la Farnesina, è emerso un problema di reciprocità. L'ordinamento giuridico degli Emirati prevede la pena di morte per una quantità di reati che vanno dal terrorismo al traffico di droga all'omosessualità. «Bisogna evitare», dicono fonti del ministero, «che l'Italia estradi un cittadino degli Emirati a rischio di pena capitale».
  Sette mesi non sono bastati a rendersi conto del problema e a risolverlo. Eppure non è proprio un mistero che la pena di morte sia in vigore in tutti i paesi della penisola arabica, anche se gli Emirati sono ben lontani dai livelli dell'Arabia Saudita, stabilmente in testa alle classifiche delle esecuzioni insieme a Iran, Stati Uniti e Cina. L'ultima condanna a morte nel paese del Golfo è stata eseguita nel 2014 e l'ultima sentenza capitale risale al giugno del 2015, per l'omicidio di un'insegnante statunitense, Ibolya Ryan, uccisa da una cittadina di Abu Dhabi legata ai qaedisti yemeniti. Il rischio paventato dalla Farnesina è che un terrorista degli Emirati scappi in Italia e che la giustizia italiana debba consegnarlo al plotone di esecuzione del suo paese. A loro volta, gli Emirati hanno un problema di reciprocità, non avendo nel codice nulla che assomigli vagamente al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Così, mentre il dibattito in punta di diritto prosegue, prosegue anche l'esilio dorato di Matacena»;
   dall'interrogazione n. 4-17858 del 21 gennaio 2000, risultante senza risposta, si apprende e legge: «(...) su «Panorama» del 27 dicembre 1999 si legge che: «Nell'ambito dello smantellamento della struttura disegnata tra il 1985 e il 1992 dall'ammiraglio Fulvio Martini (Ulisse), si sta poi liquidando il celebre «ufficio K», già diretto da Massimo Pizza (Polifemo), utilizzato anche dalla Procura di Palermo contro la mafia e che per anni si servì di uomini di Gladio. Un ruolo importante nella ristrutturazione interna è stato affidato al generale dei Carabinieri Luca Pescaroli, già responsabile del Sismi in Somalia», si chiede di conoscere: se risponda a verità che l'ufficio K (in gergo «ufficio Killer»), composto sostanzialmente dagli OSSI (operatori speciali del servizio di informazioni) che la seconda corte di assise di Roma ha dichiarato essere eversivi dell'ordine costituzionale, oggetto di numerose interrogazioni parlamentari rimaste senza risposta e di cui a suo tempo il Governo addirittura smentita l'esistenza, non solo esisteva ma ha continuato ad esistere finora, pur essendo composto dagli uomini di Gladio, organizzazione che il governo Andreotti dichiarò in Parlamento essere sciolta»;
   nell'interrogazione 4/13035 del 28 aprile 2016 vi siano elementi circa il possibile utilizzo del suicidio o dell'eventuale finto suicidio in diversi ambiti soprattutto finanziari e bancari per eliminare testimoni scomodi –:
   se siano al corrente di quanto riportato in premessa e soprattutto se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per far luce sulle numerose ombre che avvolgono questo caso di suicidio che, col passare del tempo, si sta arricchendo di particolari che danno struttura all'idea che l'ipotesi del suicidio sia quantomeno discutibile;
   se l'accordo bilaterale in attesa di essere ratificato, che permetterebbe la formale estradizione dagli Emirati Arabi del latitante Amedeo Matacena, rientri ancora tra i punti presenti nella agenda governativa, e se visti i ritardi nell'approntare il disegno di legge di ratifica, il Governo non abbia intenzione di procedere tramite richieste unilaterali, al fine di consegnare agli inquirenti il latitante, prima della prescrizione;
   se il Governo abbia contezza di chi siano i due superiori di Omar Pace che avrebbero ostacolato la sua attività investigativa;
   se abbiano elementi che possano confermare che il colonnello Pace fu accusato ingiustamente di aver reso pubblici stralci di intercettazioni telefoniche, come asserito dalla stampa al fine di poterlo allontanare dall'inchiesta sul caso Scajola;
   se il Governo intenda specificare le eventuali date di «dismissione» dell'ufficio K di cui in premessa e quali mansioni oggi ricoprano gli ex eventuali membri del gruppo.
(2-01438) «Pesco, Cominardi, Alberti, Villarosa, Frusone, Corda, Dadone, Ruocco, Basilio, Bonafede, Manlio Di Stefano, Grillo, Lorefice, Carinelli, Dell'Orco, Zolezzi, Terzoni, Spessotto, Simone Valente, Colletti, Grande, Busto, Ciprini».

Interrogazione a risposta orale:


   BARUFFI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha lanciato un'importantissima consultazione pubblica finalizzata a valutare diversi aspetti del ruolo sociale ed economico degli intermediari su internet, anche rispetto alle politiche adottate dagli stessi per combattere i contenuti illeciti, ovvero la presentazione e la vendita di prodotti contraffatti o piratati;
   si tratta di una questione molto rilevante in quanto, in questi anni, si è registrato un sostanziale regime di esenzione di responsabilità di questi grandi player, cui è corrisposta una scarsa, o quantomeno insufficiente, collaborazione relativamente alla tempestiva rimozione dei contenuti illecitamente commercializzati o caricati; il risultato è stata l'esplosione della contraffazione/pirateria sul web;
   l'Italia è sempre stata attenta a questi temi, come bene attesta il paper del Governo sul digital single market del 2015, dove tra l'altro si ribadiva che «per un'efficace tutela del diritto d'autore nell'era digitale occorre bilanciare l'accesso alla conoscenza e all'informazione (...) chiamando ad un ruolo più deciso, anche in termini di responsabilità, gli intermediari/operatori delle reti elettroniche»;
   tale posizione è stata riaffermata con nettezza dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri on. Sandro Gozi nell'audizione del 20 gennaio 2016 presso la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo nell'ambito dell'indagine in corso sulla «contraffazione via web»;
   il 6 gennaio si è conclusa la Consultazione della Commissione europea sulla responsabilità degli intermediari online (internet provider liability): i primi risultati sintetici, resi noti nei giorni scorsi, testimoniano dell'enorme interesse circa questo dossier, nonché della rilevanza degli interessi coinvolti: in particolare, ben 27 Paesi avrebbero risposto alla consultazione;
   forti dell'autorevole e non ambigua posizione tenuta dal Governo sul tema, tutte le categorie economiche che operano nei settori più esposti (segnatamente audiovisivo, musicale, culturale, e altro) hanno partecipato a tale consultazione, anche coordinandosi al fine di rendere maggiormente efficace il proprio intervento –:
   se il Governo abbia partecipato alla consultazione della Commissione europea richiamata in premessa, quale posizione abbia tenuto e quali proposte concrete abbia avanzato. (3-02417)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO e GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d'azzardo e della dipendenza grave, istituito inizialmente presso Agenzia delle dogane e dei monopoli, con la legge di stabilità del 2015 passato al Ministero della salute ha il compito di «monitoraggio della dipendenza dal gioco d'azzardo e dell'efficacia delle azioni di cura e di prevenzione intraprese, della definizione di linee di azione per garantire le prestazioni di prevenzione cura e riabilitazione delle persone affette da Gap, di valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave»;
   a far parte dell'Osservatorio, presieduto dal direttore generale della direzione generale della prevenzione sanitaria, Raniero Guerra, sono stati chiamati componenti del Ministero della salute (Silva Arcà, Lidia Di Minco), del Ministero dell'economia e delle finanze (Elena Giacone, Gianluca Campana, Alessandro Aronica), del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Paolo Sciascia), del dipartimento per le politiche antidroga (Patrizia De Rose), del dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale (Cinzia Zaccaria), dell'Istituto superiore di sanità (Roberta Pacifici), ma anche dell'Anci (il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi), della Conferenza delle regioni e delle province autonome (Arcangelo Alfano, Nora Coppola, Mila Ferri), oltre che – e qui è il punto più controverso – quelli che il decreto chiama «esperti di comprovata esperienza nel settore della dipendenza»;
   in data 13 aprile 2016, presso la sede di via Ribotta del Ministero della salute, si è svolta la prima riunione di insediamento dell'Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d'azzardo e il fenomeno della dipendenza grave;
   condizione preliminare per sedere nell'Osservatorio è (o dovrebbe essere) l'assenza di conflitto di interessi. I componenti dell'Osservatorio, infatti, in quanto organismo istituzionale, non possono intrattenere rapporti con enti o imprese che hanno contratti economici o commerciali in materie di pertinenza di un organismo che ha una funzione pubblica;
   in particolare, il conflitto di interessi che si intende evitare è in riferimento alle industrie del settore della sanità o a fornitori di servizi nel campo della salute. Si evidenzia che per la pubblica amministrazione è incompatibile la situazione che si verifica quando un soggetto, al quale viene affidata una responsabilità decisionale o consultiva, intrattiene rapporti personali o professionali con i destinatari delle deliberazioni dell'organismo: situazione che inficia la reputazione d'imparzialità che gli viene richiesta;
   si ricorda che nell'Osservatorio, dal mondo dell'associazionismo provengono la Associazione italiana genitori A.Ge. Onlus, la Società italiana tossicodipendenza, SiTD, la Associazione italiana per lo studio del gioco d'azzardo e del comportamento a rischio, ALEA, la Federazione italiana comunità terapeutiche, FICT, il Codacons, il Coordinamento nazionale comunità terapeutiche, CNCA, il Moige (Movimento italiano genitori onlus) e Federsed (Federazione italiana degli operatori dei dipartimenti e dei servizi);
   per quanto riguarda Federserd, la stessa gestisce il servizio del gioco responsabile sponsorizzato dai principali concessionari di Stato e, come già rilevato con atto di sindacato ispettivo presentato dall'interrogante il 4 dicembre 2015, n. 5/07184, che ad oggi non ha ancora ricevuto risposta, si ritiene sussista un conflitto d'interessi che avrebbe dovuto escluderne la partecipazione, posto che la stessa è sponsorizzata da aziende farmaceutiche e da concessionari di giochi d'azzardo come Sisal e Lottomatica, Admiral, Cirsa e Codere;
   difatti, a conferma di quanto già sostenuto dall'interrogante con l'interrogazione predetta, il Consiglio di Stato ha emesso la pronuncia n. 710 del 2016, che ha ordinato una adeguata istruttoria sull'esistenza «di eventuali situazioni di conflitto di interessi in capo a Federserd, al di là delle sue finalità statutarie, rispetto ai compiti di prevenzione e di cura del preoccupante fenomeno della ludopatia, che hanno giustificato l'istituzione dell'Osservatorio» e, da ultimo, con l'ordinanza n. 8023 del 13 luglio 2016, il Tar ha disposto proprio l'esclusione in via cautelare dai lavori dell'Osservatorio della Federserd;
   ciò che lascia interdetti è che il Ministero della salute non abbia effettuato la relazione richiesta dal Tar Lazio, con ordinanza n. 6576 del 2016, circa i criteri che hanno portato alla nomina di Federsed in seno all'Osservatorio. Tale mancanza ha poi infatti determinato il predetto provvedimento del giudice amministrativo del 13 luglio, che ha stabilito l'esclusione dell'associazione in via cautelare dai lavori dell'Osservatorio;
   è necessario che chi faccia parte dell'Osservatorio non abbia rapporti di interesse – personale o professionale o di sponsorizzazione/finanziamento – con aziende concessionarie o operatori di settore del gioco legale. Invece, l'assenza di una preventiva istruttoria da parte del Ministero della salute sulla scelta dei membri dell'Osservatorio fa temere che, oltre a quello di Federserd, possano sussistere ulteriori conflitti di interessi;
   sul punto, a quanto è dato sapere, il dottor Raniero Guerra, presidente dell'Osservatorio nonché direttore generale della prevenzione generale presso il Ministero della salute, ha assunto la carica di consigliere della Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti (FADOI), che sembra sia finanziata da ditte farmaceutiche; difatti, l'associazione Codacons, con specifico riferimento a tale nomina, ha chiesto che ne venga accertata l'assenza di conflitto di interessi;
   per garantire la massima trasparenza e correttezza nelle attività dell'Osservatorio, bisognerebbe accertare la piena indipendenza di ogni suo componente da qualsiasi condizionamento o conflitto d'interessi con l'oggetto specifico dell'Osservatorio, vale a dire il contrasto al gioco d'azzardo patologico, ed accertarsi che i soggetti che fanno parte dell'Osservatorio non intrattengano rapporti commerciali diretti o indiretti di finanziamento con imprese concessionarie o gestori del comparto dell'azzardo legale;
   si fa poi presente che, l'articolo. 1, comma 133, della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 stabilisce che «nell'ambito delle risorse destinate al finanziamento del Servizio sanitario nazionale (..) a decorrere dall'anno 2015, una quota pari a 50 milioni di euro è annualmente destinata alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo come definita dall'Organizzazione mondiale della sanità...»;
   dunque, ancor più delicata è la questione del conflitto di interessi e considerando che i componenti dell'Osservatorio sono chiamati a decidere sulla destinazione dei 50 milioni di euro previsti per la lotta contro le dipendenze da azzardo nel 2016. Mentre per quanto riguarda i 50 milioni previsti nel 2015 non è chiaro quale destinazione abbiano avuto. Lo stanziamento dei 50 milioni per curare le patologie da gioco d'azzardo è vincolato e ciò comporta una necessaria programmazione e monitoraggio della spesa che ad oggi è sconosciuta;
   ed ancora, alla predetta disposizione della legge n. 190 del 23 dicembre 2014, si prevede anche che: «una quota delle risorse di cui al primo periodo, nel limite di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, è destinata alla sperimentazione di modalità di controllo dei soggetti a rischio di patologia, mediante l'adozione di software che consentano al giocatore di monitorare il proprio comportamento generando conseguentemente appositi messaggi di allerta». Ebbene, ad oggi non si è conoscenza delle iniziative intraprese per l'adozione del software. Pertanto, è lecito chiedersi del destino dei 3 milioni di euro previsti per il triennio 2015-2016-2017 per il predetto software di cui non è stato fornito il progetto;
   in ultimo, si rappresenta un'ulteriore situazione inerente ai corsi di formazione per operatori del gioco d'azzardo (GDA). A quanto è dato sapere, in data 6 luglio 2016, è stato presentato, con conferenza stampa presso il Ministero della salute, un «corso di formazione per operatori sul gioco d'azzardo patologico» con tanto di rilascio di «attestato di partecipazione»;
   a tal riguardo, si mette in evidenza che l'Osservatorio a quanto risulta all'interrogante, nulla ha «vagliato» su tali corsi predisposti dagli operatori stessi del settore gioco che, per di più, hanno trovato (ci si domanda sulla base di quali argomentazioni) il patrocinio del Ministero della salute. Inoltre, non si conoscono le modalità operative del corso e la sua valenza, né l'eventuale partecipazione di organismi facenti parte del servizio sanitario nazionale;
   la partecipazione dell'Osservatorio ai fini della preparazione del corso, a parere dell'interrogante, era indispensabile, considerando che l'Osservatorio è stato istituito con lo scopo di effettuare: il monitoraggio dell'efficacia delle azioni di cura e di prevenzione intraprese; la definizione delle linee di azione per garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette dal gioco d'azzardo patologico (Gap) ai fini della predisposizione del decreto regolamentare di adozione delle linee guida; la valutazione delle misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco di azzardo e il fenomeno della dipendenza grave;
   si ritiene necessario, dunque, procedere alle opportune verifiche per accertare eventuali conflitti di interessi e/o incompatibilità, considerando che anche le partnership con concessionari di gioco d'azzardo e aziende farmaceutiche generano, inevitabilmente, un conflitto di interessi. Inoltre, è necessario accertare quale sia stata la destinazione specifica delle risorse finanziarie stanziate per la lotta contro le patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, sui fatti esposti in premessa e, in particolare, se non ritengano che i partecipanti a commissioni, gruppi di lavoro, comitati o altri organismi istituzionali in grado di influenzare, anche indirettamente, iniziative normative ed istituzionali nel settore delle tossicodipendenze e del gioco d'azzardo, debbano essere sottoposti ai fini della nomina ad una obbligatoria e preventiva verifica di assenza di conflitto di interessi, derivanti da possibili finanziamenti e sponsorizzazioni economiche ricevute da aziende che hanno interessi nel settore della cura delle dipendenze (ad esempio, società farmaceutiche, concessionari di giochi d'azzardo e altro), anche considerando che sono chiamati a decidere sulla destinazione di risorse finanziarie;
   per quali motivi non sia stata effettuata una preventiva istruttoria nella scelta dei componenti dell'Osservatorio, come dimostra l'inclusione tra i membri di Federserd, federazione che appare all'interrogante in evidente conflitto di interessi;
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare affinché l'Osservatorio e i suoi membri non si trovino in posizioni, anche potenziali, di conflitto di interessi e/o incompatibilità, verificando se e quali componenti abbiano ricevuto contributi/finanziamenti da aziende farmaceutiche e dai concessionari dei giochi d'azzardo e procedendo, conseguentemente, alla loro esclusione;
   se intendano promuovere iniziative per verificare se in altri gruppi di lavoro, commissioni, comitati o altri organismi istituzionali relativi al settore delle tossicodipendenze e del gioco d'azzardo, sussistano conflitto di interessi e/o incompatibilità;
   se si intendano fornire informazioni dettagliate sull'utilizzo (studi, analisi, procedure, produzione di linee guida, ricerca, orientamento) che, sino ad oggi, è stato fatto dei 50 milioni di euro stanziati annualmente per curare le patologie da gioco d'azzardo e lo status di progettazione del software che consenta al giocatore di monitorare il proprio comportamento, di cui alla legge n. 190 del 23 dicembre 2014;
   se si intendano fornire chiarimenti circa le ragioni del patrocinio offerto dal Ministero della salute ad un corso di formazione per gestori ed esercenti del gioco d'azzardo di cui in premessa, circa l'istruttoria compiuta precedente al patrocinio, nonché circa eventuali evidenze scientifiche di reale utilità del corso ai fini della prevenzione del così detto gioco d'azzardo patologico. (5-09238)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 16 luglio 2016, a causa di un violento temporale, si sono verificati numerosi allagamenti nella zona industriale di Molfetta, che hanno bloccato l'attività di decine di aziende causando numerosi danni alle stesse, in particolare nella zona intorno a via Antichi Portici;
   il maltempo ha colpito soprattutto il nord della Puglia, con difficoltà in alcune zone della Capitanata e, in modo particolare, del Gargano;
   durante l'emergenza, pare che non ci fosse sul luogo nessun Coordinamento di aiuto alla protezione civile e alle attività commerciali –: 
   se si intendano porre in essere iniziative, per quanto di competenza, volte a supportare le aziende colpite, agevolando altresì gli interventi volti a migliorare il defluire delle acque meteoriche;
   se si intenda procedere alla declaratoria dello stato di calamità naturale per il ristoro dei danni subiti dal sistema delle imprese. (4-13885)


   CAPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione fino all'anno 1991 non ha o percepito alcun compenso durante il periodo di formazione, mentre i medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione dopo il 1991 ha o ricevuto una mera borsa di studio di importo irrisorio, senza la corresponsione degli oneri previdenziali e senza avere alcuna copertura assicurativa;
   ai sensi delle direttive 75/362/CEE e 75/363/CEE del Consiglio delle Comunità europee del 1975 e della direttiva 82/76/CEE del Consiglio delle Comunità europee del 1982 in materia di formazione dei medici specialisti e dei corsi per il conseguimento dei relativi diplomi, è stato stabilito che le attività di formazione dovessero formare oggetto di «adeguata remunerazione», indicando nella data del 31 dicembre 1982 il termine ultimo per l'attuazione di tali direttive;
   in mancanza del prescritto recepimento delle citate direttive comunitarie, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha dichiarato che l'Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti con la sentenza 7 luglio 1987;
   le direttive sopra citate e la successiva direttiva comunitaria 93/16/CEE sono state parzialmente recepite in Italia con il decreto legislativo n.368 del 17 agosto 1999, poi modificato dalla legge 23 dicembre 2005 n.266, che prevede, per i medici in formazione specialistica, la stipula di uno specifico contratto annuale, di formazione;
   inoltre, l'articolo 39 del predetto decreto stabilisce che al medico in formazione specialistica; per tutta la durata legale del corso, è corrisposto un trattamento economico annuo omnicomprensivo, costituito da una parte fissa – uguale per tutte le specializzazioni e per l'intera durata del corso – e da una parte variabile, i cui importi sono determinati annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   nonostante la direttiva comunitaria di cui sopra sia stata recepita dall'Italia, come detto, nell'anno 1999, soltanto alla fine dell'anno 2007 sono stati sottoscritti i primi contratti con gli specializzandi;
   questo ritardo comporta evidentemente un'inaccettabile disparità di trattamento rispetto agli specializzandi degli anni precedenti ed a coloro che si erano già specializzati, i quali non hanno avuto la possibilità di sottoscrivere alcun contratto, né, tanto meno, hanno percepito il trattamento economico e previdenziale di cui sopra;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2007 – in attuazione del decreto legislativo n. 368 del 17 agosto 1999, come modificato dalla legge 23 dicembre 2005, n.266 – veniva finalmente previsto lo schema contrattuale applicabile ai medici specializzandi e veniva stabilito che, soltanto a decorrere dall'anno accademico 2007, il trattamento economico relativo al contratto di formazione specialistica era costituito da una parte fissa annua lorda – uguale per tutte le specializzazioni – e da una parte variabile annua lorda. Tale trattamento economico complessivo è comprensivo di tutti gli oneri, a carico dei contraenti del contratto di formazione specialistica, ivi inclusi i contributi da versare alla gestione pensionistica e previdenziale;
   la normativa sopra citata rappresenta un giusto riconoscimento del ruolo dei medici in formazione specialistica, riconoscendo agli stessi un trattamento economico sensibilmente migliore, la copertura assicurativa e previdenziale durante l'intero periodo di formazione, nonché tutti i diritti in materia di ferie, permessi, maternità, e altro;
   deve essere necessariamente ripristinata l'uguaglianza e la parità di trattamento tra i medici in formazione specialistica iscritti all'anno accademico 2007 ed i medici specializzandi/specializzati nel periodo precedente, negata – di fatto – dall'inerzia dello Stato italiano e, in particolare, della Presidenza del Consiglio dei ministri nel recepimento e/o attuazione delle direttive comunitarie;
   è bene ricordare che i medici che ha o frequentato le scuole di specializzazione nel periodo precedente all'anno accademico 2007 sono stati costretti ad instaurare un contenzioso, cui ha o fatto seguito una serie di pronunce giudiziali favorevoli ai medici stessi, con condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri al risarcimento dei danni subiti dai predetti medici, a causa dell'inottemperanza dello Stato italiano agli obblighi comunitari sullo stesso gravanti in base alle direttive di sopra citate;
   i predetti risarcimenti in favore dei medici sono stati anche di importo rilevante;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per risolvere la questione sopra esposta, e in quali tempi, visto che si è di fronte ad una vicenda annosa e non più accettabile. (4-13887)


   COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, PAGLIA, PANNARALE, CARLO GALLI, MARTELLI, MELILLA e PIRAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane, fondata nel 1862 come azienda autonoma, oggi società per azioni, è una delle più importanti aziende italiane nell'ambito dei servizi, operativa nel settore postale, finanziario, assicurativo e in quello della telefonia mobile, centrale nell'economia del Paese per la sua abilità strategica e per la sua funzione sociale;
   Poste Italiane, concessionaria del servizio universale, è presente su tutto il territorio italiano con 13 mila uffici postali e più di 143 mila dipendenti;
   nell'ottobre del 2015 Poste italiane viene collocata in borsa, con la vocazione di grandi guadagni e la funzione di contribuire all'abbattimento di parte del debito pubblico;
   la collocazione sul mercato azionario del 35 per cento dei titoli ha garantito solo una minima entrata nelle casse dello Stato e, dopo un primo buon debutto, le quotazioni si sono «sgonfiate»;
   un'ulteriore collocazione del 30 per cento dei titoli azionari in borsa, in aggiunta al precedente passaggio del 35 per cento a Cassa depositi e prestiti, significherebbe di fatto un inutile smembramento dell'azienda, causando importanti ripercussioni sul personale di Poste Italiane e sulla qualità dei servizi offerti alla cittadinanza –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative intenda avviare per valutare le ripercussioni dell'ulteriore ricollocazione in borsa, al fine di evitare una svendita che darebbe a Poste Italiane un aspetto speculare a quello di altre società che gestiscono reti di distribuzione, con il rischio di perdere le specificità dell'azienda, in primis la sua funzione sociale. (4-13888)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TACCONI, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano è proprietario a Lucerna di un immobile sito in Obergrundstrasse, 92 composto di 3 piani per una superficie costruita di 1506 metri quadrati;
   l'edificio, che risale ai primi anni del secolo scorso, opera degli architetti Vogt & Balthasar, in base alle notizie raccolte sul posto, risulta essere stato acquistato dallo Stato Italiano nel 1939 ad un prezzo complessivo di 158.000 franchi svizzeri, di cui ben 62.000 donati dalla locale collettività italiana con l'intesa che la stessa ne avrebbe usufruito «in perpetuo»;
   alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1944, lo stabile demaniale risultava tuttavia gravato da ipoteche per un valore complessivo di circa 112.000 franchi svizzeri;
   ancora una volta la colonia italiana, che nel frattempo sarebbe divenuta titolare di un contratto di locazione da parte del consolato generale di Zurigo, si assumeva l'onere del pagamento degli interessi bancari per circa 5.500 franchi all'anno di cui la metà quale contributo diretto, l'altra metà ricavato da contratti di «subaffitto»:
   nel 1958, anno in cui lo Stato rilevò le ipoteche gravanti ancora sull'immobile, il contributo totale della collettività italiana si poteva quantificare in 139.000 franchi (62.000 iniziali + 77.000 per il pagamento degli interessi ipotecari dal 1944 al 1958), vale a dire oltre 85 per cento del valore nominale dell'acquisto;
   l'immobile è stato sede, negli anni, di una rappresentanza consolare per servire la collettività lì residente, che nel Cantone di Lucerna e i confinanti Cantoni di Nidvaldo, Obvaldo e Uri conta oltre 25.000 connazionali iscritti all'AIRE. Con la chiusura del consolato prima, del vice-consolato poi ed infine, nel 2000, dell'agenzia consolare la gestione dell'immobile da parte del consolato generale di Zurigo, diventava più problematica;
   interviene ancora una volta la collettività italiana che, attraverso una Fondazione appositamente costituita, si propone, quale scopo statutario, di mantenere la Casa d'Italia di Lucerna «per renderla fruibile per la comunità nel medio e lungo periodo»;
   l'anno 2008 la Fondazione sottoscrive con lo Stato italiano un atto di concessione per la durata di 9 anni a canone agevolato, con lo scopo di provvedere alla sua corretta e funzionale gestione e all'ottimale utilizzo degli spazi insieme con gli enti che nell'immobile avevano ed hanno ancora la loro sede e cioè la Fondazione Asilo, la Colonia Italiana, il COMITES e il CASLI e, nel contempo, provvedere a spazi adeguati e perfettamente agibili per l'operatività di uno sportello consolare;
   come da normativa vigente, con la concessione in parola la Fondazione prendeva a proprio carico le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria di tutti i locali, degli apparati e degli impianti esistenti e si impegnava, nell'arco della durata della concessione stessa, ad effettuare interventi di manutenzione straordinaria quantificati in 196.000 franchi svizzeri, lavori portati a termine ben prima del termine preventivato;
   in previsione della prossima scadenza della concessione nel mese di gennaio 2017, la Fondazione ha chiesto il prolungamento della concessione medesima o la stipula di un nuovo atto con l'impegno ad effettuare altri importanti lavori di ristrutturazione e di messa in sicurezza dell'edificio per un importo di circa 500.000 franchi per i quali ha presentato un piano dettagliato redatto e firmato da un ingegnere di fiducia del consolato generale di Zurigo;
   tutto ciò per tener fede allo scopo statutario della Fondazione e alle aspettative che la storia della Casa d'Italia qui succintamente evocata ha creato nella collettività italiana di Lucerna che, avendo contribuito non poco all'acquisto e alla manutenzione della Casa, la considera centro della propria vita culturale e associativa, luogo d'incontro e fulcro di rilevanti attività sociali;
   a fianco della Fondazione, ed in collaborazione con essa, hanno manifestato vivo interesse al rilancio della Casa d'Italia anche altri enti presenti sull'intero territorio della Confederazione elvetica dove operano da decenni per l'integrazione sociale, culturale e professionale dei migranti attraverso l'organizzazione di collaudate iniziative;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, nel perseguire l'obiettivo del risanamento delle finanze pubbliche, ha chiesto al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale di approntare un piano di dismissioni di beni demaniali all'estero nel quale figura, come da decreto ministeriale n. 5513/525 del 29 marzo 2016, anche l'immobile di Lucerna;
   con la vendita dell'immobile in questione, il cui prezzo di mercato non potrà non tener conto dei rilevanti lavori di manutenzione straordinaria necessari anche ai fini di una sua nuova destinazione d'uso, mentre si realizzerebbe un introito alquanto modesto per le finanze del Paese, in qualche modo si «esproprierebbe» la collettività italiana di Lucerna di un bene che essa è abituata, alla luce di quanto esposto, a considerare proprio –:
   se non ritenga di assumere iniziative per rivedere il piano approntato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e soprassedere al progetto di dismissione della Casa d'Italia di Lucerna studiando, d'intesa con la comunità italiana lì residente che ha mostrato un concreto interesse in tal senso, ogni iniziativa volta a valorizzare un edificio di grande significato storico per destinarlo ad un'adeguata fruizione da parte della comunità. (4-13889)


   FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA, PORTA e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono circa 4.000 i cittadini italiani residenti nella Nuova Zelanda;
   l'accordo di sicurezza sociale tra Italia e Nuova Zelanda, con intesa amministrativa, è stato firmato il 22 giugno 1998;
   il Parlamento neozelandese ha già approvato tale accordo;
   a 18 anni dalla firma dell'accordo il Parlamento italiano non lo ha ancora ratificato;
   il Consiglio dei ministri nel febbraio del 2014 aveva tuttavia approvato l'atto, insieme agli accordi con Canada, Israele e Giappone, che successivamente venivano ratificati dal Parlamento italiano; escluso dalle ratifiche, per motivi incomprensibili, resta invece l'accordo con la Nuova Zelanda;
   l'accordo con la Nuova Zelanda è molto importante, perché mira a coordinare i rispettivi sistemi di sicurezza sociale e favorire l'accesso delle persone che si spostano da un Paese all'altro alle prestazioni di sicurezza sociale e pensionistiche previste dalle rispettive legislazioni;
   la comunità italiana in Nuova Zelanda ha da tempo sottoscritto una petizione per sollecitare le autorità competenti italiane – Governo, Parlamento e Istituzioni – ad adoperarsi per la ratifica dell'accordo;
   giova ricordare che con la Nuova Zelanda l'Italia ha già firmato numerosi accordi tra i quali quello contro le doppie imposizioni fiscali, quello riguardante lo svolgimento di attività lavorativa da parte dei familiari conviventi del personale diplomatico, consolare e tecnico amministrativo, quello sulla coproduzione cinematografica, e tanti altri;
   nonostante il tempo trascorso, l'accordo si potrebbe ratificare ed in seguito, adottando le procedure amichevoli previste da tutte le convenzioni di sicurezza sociale stipulate dall'Italia, potrebbe essere aggiornato per riflettere le eventuali modifiche intervenute nei sistemi nazionali di sicurezza sociale dei due Paesi contraenti;
   va infine sottolineato che i costi dell'accordo sono modesti, visto il numero non elevato dei potenziali aventi diritto –:
   quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare i Ministri affinché sia ripreso l’iter procedurale e normativo per la ratifica dell'accordo di sicurezza sociale tra Italia e Nuova Zelanda, siano tutelati tanti connazionali emigrati in Nuova Zelanda e rispettati gli impegni formalmente presi quando l'accordo fu firmato quasi venti anni orsono, siano soddisfatte le legittime aspettative di tanti italiani residenti in Nuova Zelanda e siano così consolidati e rilanciati i già buoni rapporti che intercorrono tra i due Paesi. (4-13893)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PISO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito legge 11 agosto 2014 n. 116 (cosiddetto decreto competitività) all'articolo 13, comma 5, (lettera b-bis), ha introdotto una ad avviso dell'interrogante non meditata modalità di classificazione dei rifiuti, in base alla quale se non si può dimostrare con analisi che il rifiuto speciale è innocuo, il rifiuto stesso è classificato come pericoloso. La norma è entrata in vigore il 18 febbraio 2015 (cioè 180 giorni dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 91);
   la classificazione dei rifiuti va effettuata dal produttore assegnando ad essi il codice CER, prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione, applicando la decisione 2000/532/Ce. Al fine di stabilire se il rifiuto è pericoloso o meno debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede; le indagini da svolgere richiedono di individuare i composti presenti nel rifiuto; determinare i pericoli connessi a tali composti ed infine di stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all'analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti;
   le modalità applicative del citato decreto-legge, sono più rigide rispetto alle prassi applicative delle norme comunitarie più comunemente praticate in Europa. Il risultato paradossale di tale ad avviso dell'interrogante improvvida iniziativa sta già direttamente colpendo gli impianti di recupero e di riciclaggio, che sono costretti a respingere i materiali, sino al 17 febbraio accettati, per il timore di incorrere nelle severe sanzioni della legge; gli inceneritori respingono camion pieni di combustibile prezioso, le discariche rifiutano i carichi di spazzatura non certificata;
   il mancato adeguamento della classificazione dei rifiuti comporta il rischio di pesanti sanzioni penali (fino a due anni di arresto per la non corretta classificazione dei rifiuti...) e rende di fatto «meno competitivo» il sistema produttivo sul quale graveranno oneri non sussistenti in altri Paesi;
   una quantità di materiali preziosi, dovrà essere esportata, smaltita, incenerita o sottoposta a processo di termovalorizzazione all'estero, generando un danno all'economia nazionale e un doppio profitto (importazione a titolo oneroso per l'Italia e profitti derivanti dalla termovalorizzazione) per i Paesi, quali Svizzera e Germania, che adottano regole meno rigide –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, quali provvedimenti urgenti il Ministro intenda adottare, al fine di evitare il collasso del sistema di smaltimento e riciclaggio e maggiori oneri complessivi per il nostro Paese, derivanti dal disposto dell'articolo 13, comma 5, (lettera b-bis), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito in legge 11 agosto 2014 n. 116. (4-13894)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi giorni l'intervento dei carabinieri del gruppo per la tutela dell'ambiente di Milano contro una strutturata organizzazione criminale facente capo ad imprenditori del settore del trattamento e recupero rifiuti, i quali avrebbero smaltito illecitamente mediante sversamento nei suoli del lodigiano, del cremonese e del pavese centinaia di migliaia di tonnellate di fanghi da depurazione, ha fatto emergere con evidenza un grave problema di inquinamento ambientale e di carenza di controlli, tale da rendere la Lombardia una vera «terra dei fanghi»;
   sempre nel cremonese e in particolare nel comune di Crema su una questione in parte analoga, avente ad oggetto il pericolo di inquinamento del fiume Serio e il relativo servizio di igiene ambientale, sono state già effettuate a livello comunale e regionale diverse segnalazioni e richieste di intervento. È noto da tempo, infatti, che il depuratore di Crema scarichi nel fiume Serio reflui che, con ogni evidenza, appaiono come non correttamente trattati, ragione per la quale è stato richiesto l'intervento della società competente, la Linea Gestioni srl. In particolare, si segnala a questo proposito una diffida rivolta alla società da parte del settore agricoltura della provincia, finalizzata a sollecitare l'eliminazione delle irregolarità accertate ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006; in cui il dirigente provinciale diffidava la società Linea Gestioni ad eliminare le irregolarità rilevate dall'A.R.P.A. regionale in merito al superamento del limite di emissione previsto dall'AIA vigente relativamente al parametro «grassi e oli animali e vegetali», risalente all'aprile del 2014. Ai quesiti posti dai portavoce locali del Movimento Cinque Stelle a questo proposito aveva risposto il successivo 20 maggio il competente assessore Matteo Piloni, evidenziando che non era stato rilevato nulla di grave né di preoccupante e che i dati comunicati dal gestore non avevano rilevato alcuna anomalia. Ma la provincia di Cremona, settore agricoltura, ha emesso un nuovo decreto, il n. 1331 del 2014, segnalando un nuovo superamento del limite riguardante grassi e oli animali e vegetali;
   la società di gestione avrebbe assicurato «un'intensificazione dei controlli sul parametro in questione ed un potenziamento dell'impianto di trattamento di rifiuti liquidi», anche se «l'installazione e l'esercizio di nuovi impianti di ricerca e sperimentazione – ha replicato la provincia di Cremona – è soggetta a preventiva autorizzazione e non può quindi essere fatta in autonomia» (articolo Crema. Boldi e Di Feo, M5S: «l'Arpa ha diffidato ancora Linea Gestioni. Il Comune chiarisca cosa sta accadendo» su www.cremaonline.it).
   è evidente quindi che di fronte all'inerzia delle istituzioni locali e alle notizie su casi di pericoloso inquinamento che vengono dalla cronaca recentissima, è necessario che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare valuti un intervento diretto, per quanto di competenza, per questioni che attengono i diritti fondamentali e preminenti interessi alla tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle situazioni illustrate in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga di adottare al fine di potenziare il sistema di controlli e interventi per evitare e/o contenere i gravi pericoli di inquinamento delle acque del fiume Serio, per la tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, del cremonese. (4-13897)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 15 aprile 2016 si è tenuto, a Firenze, presso l'Auditorium Regione Toscana, il Convegno intitolato «Amianto e altri cancerogeni. La strage di militari. Più morti che in guerra.»;
   risulta all'interrogante che lo Stato Maggiore dell'Aeronautica non abbia autorizzato i delegati del Cocer dell'Aeronautica a partecipare all'evento, se non a titolo privato, come se discutere e approfondire questioni relative alla salute di colleghi ammalati, anche a causa dell'amianto, fosse un fatto privato e non riferibile alle competenze della rappresentanza militare e, quindi, di servizio –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per impedire che in futuro possano ripetersi simili episodi di limitazioni del diritto di parola e di espressione dei militari, e soprattutto di quelli che sono componenti degli organi di rappresentanza militare. (3-02416)

Interrogazione a risposta scritta:


   LIUZZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti stampa (La Nuova – 10 marzo 2016) che il 9 marzo 2016 intorno alle ore 12,00, gli abitanti della zona compresa tra le province di Taranto e Matera, hanno avvertito un doppio boato che ha fortemente spaventato la popolazione;
   i cittadini della provincia di Matera (Pomarico, Miglionico, Montescaglioso e Ferrandina) che hanno avvertito distintamente i due rimbombi, hanno contattato il corpo dei vigili del fuoco esprimendo una forte preoccupazione e chiedendo spiegazioni sul fenomeno avvertito;
   risulta, sempre da fonti stampa, che contemporaneamente nello stesso circondario è scoppiato un incendio nel comune di Santa Maria D'Irsi di cui pare sia stata esclusa la correlazione con il boato;
   il Centro nazionale terremoti (Ingv) non ha rilevato nella zona interessata ai boati alcuna scossa di terremoto;
   il giorno 10 marzo 2016 la stampa locale ha ipotizzato come causa dei boati «un boom sonico generato dal passaggio ravvicinato di due jet militari. Tecnicamente è stato il suono prodotto dall'onda d'urto generata da un oggetto quando questo si muove in un fluido con velocità superiore a quella del suono. Un boato sonico viaggia attraverso l'aria quindi arriva in diversi luoghi in diversi momenti» (La Nuova – 10 marzo 2016);
   lo stesso giorno, l'Osservatorio ambientale del comune di Montescaglioso (MT) ha presentato una richiesta formale di chiarimenti sulle cause dei boati registrati il 9 marzo 2016, indirizzata al presidente della regione Basilicata, all'assessore all'ambiente, al sindaco di Montescaglioso (MT) e alla stazione locale dei carabinieri;
   l'Osservatorio ambientale del comune di Montescaglioso (MT), oltre a segnalare i fatti prima citati, ha evidenziato nell'atto «che la zona indicata è oggetto di ben due richieste di screening per la ricerca di idrocarburi denominate rispettivamente “il perito” e “La capriola”; in data 16 novembre 2015 i sottoscritti avevano presentato una richiesta indirizzata al Consiglio Regionale di Basilicata, al Sindaco di Montescaglioso per avere chiarimenti su episodi simili registrati in quel periodo»; «alla richiesta presentata in data 16 novembre 2015 erano state date solo risposte non ufficiali che attribuivano la causa dei boati al passaggio di un aereo che aveva superato il muro del suono o allo spurgo di una condotta del gas»;
   i componenti dell'Osservatorio ambientale hanno altresì richiesto agli enti destinatari della segnalazione di attivarsi indipendentemente dal fatto che gli episodi registrati il 9 marzo 2016 siano legati ad attività estrattive;
   nella zona del metapontino, come da notizie stampa, si erano già registrati dei boati nel 2013 e, successivamente, nell'ottobre 2015 che irrompevano nella quiete pubblica provocando paura e sgomento;
   sullo stesso tema, il 15 ottobre 2015, il Ministro della difesa rispondeva ad un'interrogazione in Commissione (n. 5-00076) del deputato Giovanni Burtone, nella quale si evidenziava il fatto che non vi fossero risposte ufficiali che spiegassero in modo chiaro ed esaustivo i boati improvvisi avvertiti dalla popolazione del metapontino. Come allora, anche il giorno 10 marzo 2016 la stampa ha ipotizzato potessero essere fragori legati alle esercitazioni militari in aria;
   il Ministro rispondeva dicendo che «non disponendo di elementi più dettagliati circa il luogo, il giorno e l'ora degli eventi cui fa riferimento l'Onorevole interrogante» non era possibile dare una risposta esaustiva e specificava che «All'interno di tale area si svolge regolarmente attività di volo a quote superiori ai 35000 ft (circa 12.000 metri) che sono, generalmente, sufficienti ad evitare le conseguenze connesse a “bang sonici”»;
   i fatti citati in premessa, confermati delle numerose testimonianze degli abitanti della provincia di Matera, necessitano di elementi dettagliati circa il luogo, il giorno e l'ora per formulare una risposta ufficiale che spieghi il fenomeno –:
   se sia a conoscenza di fatti sopra citati;
   quali siano l'origine, l'entità e le conseguenze dei boati e se intenda formulare una risposta ufficiale ed esauriente da offrire alla popolazione della zona interessata al fenomeno citato in premessa;
   se intenda porre in essere tutte le iniziative di competenza necessarie volte alla salvaguardia dei cittadini, affinché il caso in questione non si ripeta in futuro. (4-13900)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 luglio 2016 l'interrogante è stato informato dal sindaco del comune di Casal Velino, che il signor Giovanni Giordano – impiegato di Poste Italiane Spa presso l'ufficio postale di Acquavella frazione di Casal Velino (SA) –, investito delle cariche di consigliere comunale presso il comune di Casal Velino (con deleghe ai rapporti con gli enti e delle funzioni di ufficiale di anagrafe), e di consigliere dell'Unione dei comuni vlini (Casal Velino-Pollica-San Mauro Cilento), in data 17 giugno 2016 è stato trasferito dalla sede di lavoro di Acquavella ad altra sede lavorativa, durante l'esercizio dei suoi mandati elettorali;
   il consigliere Giordano, di fatto ostacolato nelle funzioni del mandato elettorale, è stato costretto a chiedere aspettativa senza retribuzione;
   l'articolo 78, comma 6, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, prevede che gli amministratori locali, lavoratori dipendenti pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l'esercizio del mandato;
   la giurisprudenza amministrativa ha al riguardo già chiarito che per effetto di tale disposizione «vige un divieto assoluto di trasferimento involontario durante il mandato elettorale» (Tar Puglia, sede, sezione II, 9 aprile 2013, n. 520);
   il provvedimento di trasferimento del 17 giugno 2016 non è stato revocato nonostante il consigliere avesse inviato alla società stessa la documentazione comprovante la propria qualità di consigliere comunale e di consigliere dell'Unione dei comuni velini –:
   quali elementi si intendano fornire sui fatti descritti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere, anche sul piano normativo, per tutelare il diritto all'esercizio del mandato elettorale dei dipendenti amministratori locali, a partire dal caso che ha riguardato il citato dipendente di Poste italiane. (5-09237)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI, COLLETTI, SPESSOTTO e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Vita spa, compagnia assicurativa del gruppo Poste italiane, ha collocato sul mercato nel 2002 prodotti definiti index linked, vale a dire collegati a un indice, composti da una parte obbligazionaria ed uno o più strumenti finanziari derivati. Le polizze sono state sottoscritte da circa 70.000 risparmiatori, molti dei quali pensionati, ignari, nella maggior parte dei casi, del reale rischio di investimento legato a tali prodotti. Quasi cinquantamila investitori, tra i clienti suddetti, hanno stipulato polizze decennali denominate programma dinamico classe 3A valore reale;
   tali polizze decennali, collocate dal 7 gennaio al 9 febbraio 2002, dopo circa sei anni dalla stipula, hanno perso più del 30 per cento del valore per effetto della crisi dei mutui subprime e del fallimento della Lehman Brothers;
   tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009 Poste Vita spa ha proposto agli investitori di differire la scadenza dei contratti al 31 dicembre 2015 con la contestuale trasformazione delle polizze sottoscritte in prodotti cosiddetti di ramo I, preservando in tal modo interamente il valore del capitale investito e garantendo il recupero del 105 per cento del premio versato. La proposta è stata accettata dalla quasi totalità dei titolari delle polizze, in quanto è stata prospettata dagli amministratori della società come un'operazione di tutela del risparmiatore;
   a distanza di poco tempo dalla trasformazione delle polizze index linked programma dinamico classe 3A valore reale queste sono ritornate in quotazione, recuperando le perdite subite e con performance attive alla loro naturale scadenza;
   ad avviso degli interroganti Poste Vita spa non avrebbe agito a tutela del risparmiatore, offrendo, in un primo tempo, prodotti di investimento notevolmente complessi senza una adeguata esposizione ai clienti dell'alto fattore di rischio cui si stavano sottoponendo con la sottoscrizione delle polizze e, in un secondo tempo, mettendo gli investitori davanti alla scelta quasi obbligata di trasformare i contratti e di differire la loro scadenza di tre anni a fronte della garanzia del mantenimento del premio inizialmente versato, venendosi a determinare a lungo termine un vantaggio economico sostanzialmente soltanto per la società –:
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, volte ad attivare opportune verifiche di merito e di metodo riguardo alle operazioni effettuate da Poste Vita spa nei confronti della clientela nella gestione delle polizze di cui in parola al fine di verificare se la società abbia agito ottemperando ai dettami della legge e del codice etico del gruppo Poste italiane. (4-13899)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in relazione all'affidamento del servizio di trasporto ferroviario per la regione Sardegna si profila un ennesimo disastro gestionale;
   la «guerra» sui binari sardi è appena iniziata;
   le Ferrovie dello Stato italiano risultano contrastate senza precedenti da un colosso europeo che si candida a gestire il trasporto su ferro in tutta la Sardegna;
   prima la giunta regionale ha approvato una delibera per affidare il servizio di trasporto ferroviario direttamente a Trenitalia, poi gli uffici dell'assessorato, 6 giorni dopo, in base alle procedure europee, hanno pubblicato un bando di preinformazione sulla Gazzetta europea per verificare chi fosse disponibile a gestire il servizio;
   la regione aveva dato per scontato che nessuno oltre a Trenitalia fosse interessato a gestire i treni in Sardegna;
   il 13 gennaio 2016, invece, spunta Arriva Italia Rail, diramazione nazionale di un colosso europeo che gestisce servizi di trasporto passeggeri in 14 nazioni europee: Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito;
   il gruppo che si candida a sfidare Trenitalia in Sardegna è uno dei principali gestori nella città di Londra, il più grande operatore di servizi autobus in Danimarca ed uno dei maggiori operatori ferroviari del Regno Unito. Dal 2010, in seguito all'acquisizione del gruppo da parte di Deutsche Bahn, leader mondiale nel settore della mobilità e della logistica, Arriva è diventata la divisione internazionale di per il trasporto passeggeri regionale e locale su ferro e su gomma al di fuori dalla Germania. Il gruppo di cui fa parte Arriva Italia garantisce ogni anno più di 2,2 miliardi di viaggi passeggeri, fa circolare più di 20.000 mezzi di trasporto (autobus, treni, traghetti, funicolari, tram e altro) e dà lavoro a più di 55.000 dipendenti;
   la regione, infatti, ha proceduto a portare avanti le interlocuzioni monopolistiche con Trenitalia, ad avviso dell'interrogante ignorando totalmente la candidatura di Arriva Italia Rail;
   a quanto consta all'interrogante è a quel punto che il colosso europeo ha preso carta e penna e ha scritto e firmato la diffida formale con espresso avvertimento di voler impugnare l'eventuale atto di assegnazione del servizio adottato in contrasto con i principi di trasparenza e parità di trattamento di cui al regolamento (CE) 1370/2007;
   in sostanza, l'assessorato dei trasporti pur avendo ricevuto almeno due candidature per l'assegnazione novennale del servizio del trasporto pubblico regionale ha ritenuto di dover interloquire con la sola Trenitalia senza motivare in alcun modo tale scelta, senza confronto tra candidati e senza spiegare perché tale operatore dovrebbe essere preferito;
   la diffida Arriva Italia Rail ha, dunque, al momento determinato un sostanziale blocco del procedimento di assegnazione del servizio pubblico su rotaia;
   si tratta di un nuovo, ennesimo, fallimento procedurale;
   la pubblicazione dell'avviso di preinformazione sulla Gazzetta europea ha due obiettivi:
    1) soddisfare una regola generale per avviare un confronto concorrenziale tra operatori del settore nel solo interesse pubblico al fine di selezionare il migliore;
    2) in subordine, per le fattispecie in cui fossero ammesse ipotesi di affidamento diretto, (ed è discutibile, secondo l'interrogante, che vi possa o meno rientrare il servizio in esame) consentire ai potenziali concorrenti del mercato di impugnare le relative procedure di assegnazione per contestarne in giudizio la legittimità, come, dunque, ha comunicato che farà la società Arriva Italia Rail;
   si rischia un contenzioso rilevantissimo che potrebbe bloccare gravemente un servizio di grande importanza come quello del trasporto ferroviario;
   si tratta di un blocco che apre nuove procedure e che rischia di mettere in ginocchio già malandato servizio ferroviario;
   dopo la inaccettabile acquisizione dei treni più lenti del mondo ora scatta quella che appare all'interrogante una nuova farsa, nella quale ancora una volta saranno i sardi a pagare lo scotto più rilevante per una politica inadeguata, superficiale e pasticciona –:
   se non ritenga il Governo di dover assumere ogni iniziativa di competenza per evitare che si comprometta il servizio pubblico;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per prevedere norme univoche per la definizione delle procedure di affidamento, non lasciando ad una eccessiva discrezionalità decisioni rilevanti sul piano del servizio pubblico;
   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per prevenire e gestire tali situazioni, anche in relazione agli investimenti necessari per il riammodernamento della rete ferroviaria dell'isola, tra le meno sicure e più lente d'Europa. (5-09242)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco si contraddistingue per il suo impegno straordinario al servizio dei cittadini, in tutti gli ambiti e le funzioni attribuitigli per legge, per i quali si trova quotidianamente ad operare su richiesta di soggetti pubblici e privati;
   i corpi di polizia ed in particolare i vigili del fuoco sono i responsabili tecnici materiali della sicurezza e del soccorso pubblico, condizioni irrinunciabili per la crescita del Paese e per il miglioramento della vita dei cittadini;
   gli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco soffrono da oltre trent'anni di una notevole sperequazione, sul piano retributivo e pensionistico, rispetto agli altri corpi dello Stato e segnatamente rispetto alle forze di polizia ad ordinamento civile, tra cui anche il Corpo forestale dello Stato e la polizia di Stato, nonostante la condivisione delle funzioni istituzionali di pubblica sicurezza, polizia giudiziaria e soccorso pubblico;
   come specificato dall'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 138 «ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti.»;
   alla luce di tale normativa, nonché per evidenti ragioni di equità, ad avviso dell'interrogante, è necessario riequilibrare l'anomala situazione sopra citata e porre su un piano di parità i corpi dello Stato, anche a fronte delle previste riforme che interessano le forze di polizia, conseguenti all'approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124 (cosiddetta legge Madia);
   in data 5 maggio 2016, il Conapo (Sindacato autonomo dei vigili del fuoco) ha proclamato lo stato di agitazione nazionale del personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, preannunciando l'intenzione di indire uno sciopero nazionale della categoria, oltreché promuovere mobilitazioni di piazza;
   lo stato di agitazione è finalizzato ad ottenere l'equiparazione, sia sul piano retributivo, che pensionistico, degli operatori appartenenti alla categoria dei vigili del fuoco alle categorie degli altri corpi dello Stato, ponendo rimedio alle evidenti sperequazioni tuttora in essere;
   come specificato dai vigili del fuoco del Conapo è altresì importante istituire, per il personale in uniforme, lo scatto dell'assegno funzionale ai 17, 27 e 32 anni di servizio, in godimento dal 1987 dagli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile; perequare tutti gli importi della indennità di rischio; istituire per il personale in uniforme i sei scatti aggiuntivi (15 per cento) utili sull'importo della pensione nella misura già corrisposta agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile ai sensi dell'articolo 6-bis del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387; introdurre l'aumento di servizio ai fini pensionistici, nella misura pari ad un anno ogni cinque, così come già corrisposto, sin da 1977, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, della legge 27 maggio 1977, n. 284; introdurre per il personale direttivo e dirigente dei vigili del fuoco aumenti retributivi rispettivamente al 13o e al 23o anno di servizio ed al 15o e 25o anno di servizio, come corrisposti, dal 1981, alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, ai sensi dell'articolo 43, commi 22 e 23 e articolo 43-ter della legge 1o aprile 1981, n. 121 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di provvedere alla equiparazione di trattamento tra il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e delle forze dell'ordine sancita formalmente dalla legge e attualmente disattesa. (3-02414)


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dai media, il Conapo Sindacato Autonomo dei vigili del fuoco ha posto in essere una serie di mobilitazioni su tutto il territorio nazionale per denunciare la disparità di trattamento retributivo e pensionistico esistente tra i vigili del fuoco ed il personale degli altri Corpi dello Stato a ordinamento civile;
   il sindacato Conapo chiede di pervenire alla parità di trattamento mediante l'estensione anche ai vigili del fuoco di taluni istituti retributivi e pensionistici da tempo riservati alle Forze armate e di polizia in virtù del particolare servizio cui questo personale è sottoposto;
   gli esponenti del sindacato chiedono specifici provvedimenti legislativi di attuazione dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 (specificità lavorativa);
   in particolare, gli esponenti del sindacato Conapo chiedono di istituire per i vigili del fuoco (compresi i funzionari direttivi) lo scatto dell'assegno funzionale ai 17, 27 e 32 anni di servizio, già dal 1987 in godimento agli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile (articolo 6 del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni dalla legge n. 472 del 1987), di perequare tutti gli importi dell'indennità di rischio agli importi dell'indennità pensionabile attualmente corrisposta alle analoghe qualifiche degli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile, di istituire i 6 scatti aggiuntivi utili sull'importo della pensione nella misura già corrisposta, sin dal 1987, agli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile (articolo 6-bis del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni dalla legge n. 472 del 1987), di istituire per il personale in uniforme dei vigili del fuoco l'aumento di servizio ai fini pensionistici di un anno ogni cinque così come già corrisposto, sin dal 1977, agli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile (articolo 3, comma 5, della legge n. 284 del 1977) e di istituire per il personale in uniforme dei vigili del fuoco direttivo e dirigente gli aumenti retributivi ai 13 e 23 e ai 15 e 25 anni di servizio, come attualmente già corrisposti (sin dal 1981) alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti delle forze di polizia a ordinamento civile (articolo 43, commi 22 e 23, e articolo 43-ter della legge n. 121 del 1981);
   il sindacato, al fine del reperimento delle risorse finanziarie occorrenti, chiede di valutare anche la possibilità di utilizzare i risparmi di spesa derivanti dall'attuazione della legge n. 124 del 2015 relativa alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione di quelli già vincolati per il riordino delle carriere delle forze di polizia;
   si fa presente che l'interrogante sull'argomento ha già presentato interrogazione n. 4-12021, in data 9 febbraio 2016, tutt'ora rimasta senza risposta –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di equiparare il trattamento retributivo e pensionistico dei vigili del fuoco con quello degli altri Corpi dello Stato a ordinamento civile mediante l'estensione dell'ambito di applicazione delle norme esplicitate in premessa. (3-02415)


   MAGORNO, AIELLO, BRUNO BOSSIO, CENSORE, COVELLO, STUMPO, BATTAGLIA e BARBANTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il TAR Calabria, con sentenza n. 1060/2016, in accoglimento del ricorso proposto da consiglieri provinciali, ha decretato la decadenza ipso jure dalla carica di presidente della provincia di Cosenza dell'architetto Mario Occhiuto ex articolo 1, comma 65, della legge n. 56 del 2014, a causa dell'effetto dissolutorio del consiglio comunale di Cosenza per la dimissione della maggioranza dei consiglieri, ed ha conseguentemente annullato il decreto n. 3 del 2016 con cui il presidente decaduto aveva accettato le dimissioni del consigliere provinciale Di Nardo dall'incarico di vice presidente della provincia di Cosenza ed aveva nominato in sostituzione il consigliere provinciale Bruno, nonché gli atti di convocazione del consiglio provinciale dell'8 febbraio 2016 prot. n. 4747, ordinando che «la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa»;
   tale sentenza risulta essere dotata dell'attributo della esecutività ai sensi dell'articolo 33, comma 2, del codice del processo amministrativo, approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, talché l'eventuale ricorso in appello non ne sospendeva l'esecuzione, salvo espresso provvedimento del giudice di secondo grado;
   il consiglio provinciale nella seduta del 20 maggio 2016, con deliberazione n. 5 prendeva atto della suddetta sentenza e del suo carattere immediatamente esecutivo, e con deliberazione n. 6 dava motivatamente atto che, per effetto della stessa sentenza, il consigliere anziano della provincia di Cosenza risultava essere legittimato ad esercitare le funzioni vicarie di presidente della provincia di Cosenza con pienezza di poteri, ferma restando, relativamente all'adozione di singoli atti, l'osservanza della relativa disciplina normativa, prendendo atto della immissione nelle suddette funzioni vicarie del medesimo;
   successivamente sulla base del ricorso avverso a tale sentenza presentato dalla Provincia di Cosenza nella persona di Francesco Giuseppe Bruno, nell'asserita qualità di vice presidente in carica, il Consiglio di Stato, Sez. V, con decreto n. 1929 del 26 maggio 2016 disponeva la sospensione degli effetti della sentenza impugnata nelle more della trattazione collegiale dell'istanza di sospensiva «in ragione della delicatezza delle questioni controverse e dei riflessi sulla composizione dell'organo consiliare provinciale», e contestualmente veniva fissata l'udienza in camera di consiglio per il giorno 7 luglio 2016, confermata con successivo decreto presidenziale n. 2019 del 27 maggio 2016;
   va altresì evidenziato che la determina di incarico ai legali dell'appellante, n. 879 del 18 maggio 2016, veniva adottata da un dirigente temporaneo della provincia di Cosenza, cessato dall'incarico, perché nominato dal presidente dichiarato «decaduto», ex articolo 110 del decreto legislativo n. 267 del 2000, come risulta dall'elenco del personale non a tempo indeterminato pubblicato nel sito internet della provincia di Cosenza;
   nell'ambito dei suddetto ricorso in appello (n. 4188/2016 R.G.) veniva poi proposto appello incidentale da parte del presidente dichiarato decaduto, Mario Occhiuto, che chiedeva la riforma della sentenza per gli stessi motivi già fatti valere con l'impugnazione principale, e contestava in particolare la sua decadenza dalla carica di presidente della provincia, per l'asserita «ultrattività» di tale carica, ai sensi delle disposizioni statutarie dell'Ente di cui agli articoli 32, comma 2, e 37, comma 4, in virtù delle quali non si considererebbe decaduto il presidente a seguito dello scioglimento anticipato del consiglio del comune di cui è sindaco, se è rieletto sindaco nella prima consultazione utile, com’è avvenuto nella fattispecie e come provato dall'attestato del segretario generale prot. n. 23902 del 10 giugno 2016, prodotto al Consiglio di Stato;
   la difesa degli appellati osservava che lo statuto provinciale non può costituire fonte abilitata a innovare nella disciplina riservata alla normativa statale e che pertanto le citate disposizioni statutarie devono considerarsi del tutto ininfluenti poiché è nota le natura giuridica di atto normativo secondario, collocandosi, nell'ambito della gerarchia delle fonti normative, come fonte subprimaria, incapace di derogare o di modificare una legge;
   in data 21 giugno 2016 la Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso una nota del Sottosegretario di Stato per gli affari regionali, prot. DAR 0011057 del 22 giugno 2016, ribadiva che lo statuto dell'ente non può introdurre disposizioni derogatorie rispetto a quanto testualmente previsto dall'articolo 1, comma 65, della legge n. 56 del 2014, e che, nelle more delle nuove elezioni per il presidente della provincia, la continuità amministrativa dell'ente è assicurata dal consigliere anziano quale figura di garanzia;
   il Consiglio di Stato, Sez. V, ordinanza n. 2601 del 7 luglio 2016, «visto l'articolo 98 cod, proc. Amm.» «viste le memorie difensive», «visti tutti gli atti della causa», ha respinto l'istanza di sospensione dell'efficacia della sentenza del TAR Calabria – Catanzaro, Sez. II, n. 1060/2016, affermando che «risulta corretto il rilievo del giudice di primo grado secondo cui nel caso di specie si è verificata la causa di decadenza prevista dall'articolo 1, comma 65, della legge 7 aprile 2014, n. 56», e precisando infine che «la presente ordinanza sarà eseguita dell'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti;
   tale ordinanza n. 2601 del 7 luglio 2016 è stata notificata a mezzo pec al protocollo generale e al segretario generale della provincia di Cosenza in data 8 luglio 2016;
   con una ulteriore noia della Presidenza del Consiglio dei ministri datata 19 luglio 2016 il Sottosegretario per gli affari regionali Gianclaudio Bressa ribadiva l'esclusione della possibilità del reinsediamento poiché è intervenuta l'interruzione determinata dalla decadenza e che quindi in tale fattispecie la carica di presidente della provincia è legata a nuove elezioni;
   si evidenzia nel frattempo il gravissimo corto circuito istituzionale che si è venuto a creare con atteggiamenti a giudizio degli interroganti irresponsabili considerata le permanenza in servizio, ancorché illegittima, del direttore generale, dei dirigenti e dei collaboratori chiamati dal presidente decaduto, così come i comportamenti di costoro che si sottraggono all'obbligo giuridico di conformarsi alle decisioni assunte dai giudici amministrativi –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in relazione ai fatti esposti in premessa. (3-02418)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRAGA, ROBERTA AGOSTINI e GUERRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la normativa vigente in tema di parità tra uomini e donne all'accesso alle giunte comunali, all'articolo 6 comma 3 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL) di cui al decreto legislativo n. 267 DEL 2000, prevede che «Gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti»;
   lo stesso TUEL, all'articolo 46, comma 6, come modificato dalla legge 23 novembre 2012, n. 215, dispone che il sindaco e il presidente della provincia nominino, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della giunta, e ne diano comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva alla elezione;
   la legge n. 56 del 7 aprile 2014, cosiddetta legge Delrio all'articolo 1, comma 137, prescrive che «Nelle giunte dei Comuni con popolazione superiore ai 3.000 abitanti nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico»;
   con la circolare del 24 aprile 2014, n. 6508 il Ministero dell'interno ha fornito indicazioni applicative in ordine alla richiamata «legge Delrio» 56 del 2014 soggiungendo, altresì che prima di nominare la giunta «occorre lo svolgimento da parte del sindaco di una preventiva e necessaria attività istruttoria preordinata ad acquisire la disponibilità allo svolgimento delle funzioni assessorili da parte di persone di entrambi i generi». Nella stessa circolare viene inoltre stabilito che, laddove un genere risulti assente o presente in misura inferiore a quanto prescritto dalla legge, nell'atto di nomina della giunta, il sindaco è chiamato a dare un'adeguata motivazione sulle ragioni della mancata applicazione del principio di pari opportunità;
   l'articolo 47, comma 4, del TUEL stabilisce che lo statuto dei comuni con popolazione inferiore a 15mila abitanti possa prevedere la nomina ad assessori di cittadini non facenti parte del consiglio ed in possesso dei requisiti di candidabilità, eleggibilità e compatibilità alla carica di consigliere, possibilità sancita nello statuto del comune di San Fermo della Battaglia;
   in data 10 giugno 2016, a seguito delle elezioni amministrative del 5 giugno 2016, nel comune di San Fermo della Battaglia in provincia di Como, successivamente alla proclamazione degli eletti alle cariche di sindaco e consigliere comunale dalla quale è risultato un consiglio comunale che conta la presenza di una sola donna peraltro eletta nella lista di minoranza, sono stati nominati i componenti della giunta, composta da sindaco e da quattro assessori, nessuno dei quali donna;
   in data 17 giugno 2016 il sindaco di San Fermo della Battaglia, dopo diverse sollecitazioni, a quanto risulta all'interrogante, ha presentato un'integrazione all'atto di nomina dei componenti di giunta limitandosi a evidenziare che «esiste una situazione di obiettiva ed assoluta impossibilità di rispettare la percentuale di genere femminile nella composizione della Giunta comunale fissata dal legislatore considerato altresì che da una indagine preventiva svolta, non sono state reperite idonee personalità di sesso femminile interessate a ricoprire l'eventuale carica di assessore esterno», ad avviso degli interroganti senza, di fatto, dare adeguata motivazione delle effettive ragioni dell'impossibilità di garantire la rappresentanza di entrambi i sessi nella giunta comunale, né tanto meno tenere in giusta considerazione la possibilità, già prevista dallo statuto comunale di San Fermo della Battaglia, di procedere alla nomina di assessori esterni;
   la parità di genere nella rappresentanza, politica e il riequilibrio tra uomini e donne all'interno delle giunte comunali è stato oggetto negli ultimi anni di alcune rilevanti sentenze emanate dai diversi tribunali amministrativi regionali (TAR Lazio-Roma) e dal Consiglio di Stato, che hanno determinato importanti ricadute a livello amministrativo. La recente sentenza n. 406 emessa dal Consiglio di Stato, sezione quinta, in data 27 ottobre 2015, depositata il 3 febbraio 2016, conferma la sentenza del TAR Calabria-Catanzaro ribadendo il carattere inderogabile della percentuale di «quote rosa» nelle giunte comunali prevista dalla legge n. 56 del 2014. Il Consiglio di Stato, richiamando anche l'orientamento espresso con la sentenza n. 4626/2015, osserva che l'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014, citato in premessa, costituisce un ineludibile parametro di legittimità delle nomine;
   da quanto sopra esposto risulta palese l'evidente violazione delle norme vigenti che, in materia di parità di genere, prevedono e garantiscono la presenza di entrambi i sessi nelle amministrazioni pubbliche –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere, anche sul piano normativo, in relazione ai casi in cui, come accaduto presso il comune di San Fermo della Battaglia, non sia data applicazione all'articolo 1, comma 137, della legge n. 56 del 2014, al fine di porre rimedio all'ingiustificata e immotivata inosservanza delle norme in materia di parità di genere riferite, in particolare, alla nomina degli assessori comunali. (5-09239)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è apparsa su diversi quotidiani la notizia secondo cui cento immigrati, pare richiedenti asilo, sarebbero stati trasferiti dalla regione Friuli-Venezia Giulia per essere collocati in Lombardia, probabilmente a Milano e Varese;
   tale decisione sarebbe stata adottata dal Governo, benché la Lombardia, stando anche agli ultimi dati disponibili, ospiti già il numero maggiore di immigrati, avendone oltre 15.400, ovvero più del 14 per cento;
   la presidente della regione Friuli-Venezia Giulia è Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd;
   in Lombardia le strutture destinate all'accoglienza sono ormai da tempo sature tanto che molti sindaci, di qualunque orientamento politico compresi i sindaci del Pd, hanno chiesto ai rispettivi prefetti di bloccare gli arrivi di ulteriori immigrati da ospitare nei loro comuni;
   pare che in realtà siano almeno 1.200 gli immigrati in arrivo a Milano e nel resto della Lombardia nei prossimi giorni, di cui i primi cento sarebbero proprio quelli trasferiti da Udine e diretti a Milano e Varese di cui in premessa;
   sempre secondo quanto riportato dalla stampa, si apprende che i cento immigrati trasferiti dal Friuli in Lombardia non avrebbero formalmente diritto all'assistenza, perché non è stata accolta la richiesta di asilo o perché sono rientrati in Friuli da altre città a cui erano stati destinati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato dalla stampa e se ciò corrisponda al vero;
   secondo quali criteri sia stato disposto il trasferimento dei cento richiedenti asilo dal Friuli-Venezia Giulia proprio in Lombardia e non in altre regioni che attualmente ospitano un numero nettamente inferiore di immigrati;
   quanti siano esattamente gli immigrati trasferiti dal Friuli-Venezia Giulia in Lombardia, quale sia la loro nazionalità e se abbiano diritto all'assistenza;
   quando sia avvenuto il loro effettivo trasferimento e quali siano i relativi costi, nonché dove e in quali strutture siano stati alloggiati in Lombardia. (4-13886)


   MARTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dai media, il Conapo Sindacato autonomo dei vigili del fuoco ha messo in atto una serie di mobilitazioni su tutto il territorio nazionale per denunciare la disparità di trattamento retributivo e pensionistico esistente tra i vigili del fuoco ed il personale degli altri Corpi dello Stato ad ordinamento civile;
   il sindacato Conapo chiede di pervenire alla parità di trattamento mediante l'inserimento dei vigili del fuoco nel cosiddetto «comparto sicurezza» (con relative norme di perequazione previste dagli articoli 43 e 43-ter della legge n. 121 del 1981) o, in subordine, mediante l'estensione anche ai vigili del fuoco in applicazione dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 (specificità lavorativa) di tali istituti retributivi e pensionistici da tempo riservati alle forze armate e di polizia in virtù del particolare servizio cui questo personale è sottoposto;
   in particolare, gli esponenti del sindacato Conapo chiedono di istituire per i vigili del fuoco (compresi i funzionari direttivi) lo scatto dell'assegno funzionale ai 17,27 e 32 anni di servizio, già dal 1987 in godimento agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6 del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni, alla legge n. 472 del 1987), di perequare tutti gli importi della indennità di rischio agli importi della indennità pensionabile attualmente corrisposta alle analoghe qualifiche degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, di istituire i 6 scatti aggiuntivi utili sull'importo della pensione nella misura già corrisposta, sin dal 1987, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6-bis del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni, dalla legge 472/1987), di istituire per il personale in uniforme dei vigili del fuoco l'aumento di servizio ai fini pensionistici di un anno ogni cinque così come già corrisposto, sin dal 1977, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 3, comma 5 della legge n. 284 del 1977) e di istituire per il personale in uniforme vigili del fuoco direttivo e dirigente gli aumenti retributivi ai 13 e 23 e ai 15 e 25 anni di servizio, come attualmente già corrisposti (sin dal 1981) alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 43, commi 22 e 23 e articolo 43-ter della legge n. 121 del 1981);
   al fine del reperimento delle risorse finanziarie occorrenti, il sindacato chiede di valutare anche la possibilità di utilizzare i risparmi di spesa derivanti dalla attuazione della legge n. 124 del 2015 relativa alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione di quelli già vincolati per il riordino delle carriere delle forze di polizia –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di equiparare il trattamento retributivo e pensionistico dei vigili del fuoco con quello degli altri Corpi dello Stato ad ordinamento civile mediante l'estensione delle norme esplicitate in premessa o l'introduzione di norme di analoga portata;
   se ritengano opportuno affrontare sin da subito tale problematica visto che la sperequazione retributiva e pensionistica denunciata perdura ormai da troppi anni. (4-13895)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo anni di incertezza e di voci, nel dicembre 2015 è stata presa la decisione di chiudere alcuni distaccamenti della polizia stradale in Sardegna, tra i quali quello di Orosei;
   si tratta di una decisione profondamente sbagliata, per quel che riguarda, in particolare Orosei;
   cancellare quel presidio, infatti, andrebbe a danno non solo della popolazione locale, ma anche, soprattutto nella stagione estiva, di tutti quei turisti e visitatori che ogni a o vengono a villeggiare nella zona, e che si troverebbero privati di un servizio fondamentale in un'area molto vasta, con un drastico calo nella perlustrazione stradale, e quindi nella sicurezza;
   si sta, infatti, parlando di una zona nella quale la popolazione aumenta nei mesi estivi di oltre quattro volte rispetto a quelli invernali, per una stagione turistica sempre più lunga, che richiederebbe un impegno maggiore delle forze di polizia, in particolare di quella stradale, e non, invece, come sta accadendo, un disimpegno dello Stato nei confronti di un territorio che richiederebbe molta maggiore attenzione e premura di quanto viene «concesso»;
   la decisione è stata a lungo paventata, ed era di fatto annunciata dal numero degli effettivi che sono scesi dai 12 del giugno 2015 ai soli 8 attuali, senza alcun rimpiazzo, mentre anche il parco auto del presidio era ridotto al minimo. Oggi risulta esserci una sola auto, tra l'altro con 300 mila chilometri sulle spalle;
   è chiaro che non mandare personale segnala la volontà del Governo di chiudere il presidio, nonostante le proteste, mettendo anche in difficoltà coloro che lavorano nel presidio e che, se questo venisse chiuso, sarebbero costretti a trovare collocazione ad almeno 40 chilometri, da casa;
   in nome di una malintesa « spending review» sembra concretizzarsi quello che altro non può essere definito che uno sfregio ad un territorio spesso trascurato e, tra l'altro, alquanto fragile dal punto di vista idrogeologico. Nelle scorse emergenze, il presidio di Orosei si è brillantemente segnalato per il sostegno alle popolazioni in difficoltà;
   infatti, un precedente atto di sindacato ispettivo, presentato a fine 2014 e che ha avuto risposta nell'estate 2015, poneva la questione della chiusura del distaccamento di polizia stradale di Fonni, Ottana e Siniscola, quest'ultima poi «salvata» a danno di Orosei;
   rispondendo a quell'atto di sindacato ispettivo, il Governo affermava, tra l'altro che gli interventi previsti sarebbero stati dettati da «esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino»;
   più oltre, si affermava anche che «Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia»;
   si trattava di risposte rassicuranti in teoria, ma molto meno in pratica. Appare, infatti, difficile capire come si possa parlare di «logica di effettiva prossimità al cittadino» quando si intende cancellare un presidio di polizia stradale che per i cittadini è stato, ed è, estremamente importante; certo non è tagliando a Orosei (o a Siniscola, o altrove), ossia in territori già molto penalizzati e nei quali la presenza dello Stato è sempre meno viva, che si può davvero migliorare i servizi e l'azione della polizia;
   infine, non può essere trascurato il fatto che il comune di Orosei ha provveduto a consegnare il nuovo stabile da adibire a caserma di polizia stradale realizzato con mutui che devono essere ancora estinti, e che dovranno essere pagati dal comune stesso, per uno stabile a questo punto inutile o di difficile ricollocazione in tempi brevi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, per quanto di – competenza, intervenire per rivedere la prevista chiusura del distaccamento di polizia stradale di Orosei, ritenuto vitale dai cittadini che temono di perdere un fondamentale presidio di sicurezza. (4-13898)


   NESCI, DIENI, PARENTELA, SARTI, D'UVA, NUTI e DI BATTISTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo della giornalista Alessia Candito, apparso il 12 luglio 2016 sulla testata giornalistica on line « Il Corriere della Calabria» e intitolato «Reghion. Smantellato comitato d'affari che condizionava il Comune», si racconta di una importante operazione della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, nell'ambito della quale «dieci persone state fermate fra Reggio Calabria, Roma, Milano, Brescia e Croton perché ritenute responsabili, a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, truffa aggravata, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, intestazione fittizia di beni» ed «estorsione aggravata dal metodo mafioso»;
   «fra i dirigenti comunali fermati – spiega l'articolo – c’è anche il potentissimo Marcello Cammera, per anni responsabile dei Lavori Pubblici, poi spostato, non senza frizioni, al settore Cultura, per ordine del sindaco Giuseppe Falcomatà»;
   «sono invece – precisa la succitata fonte giornalistica – Vincenzo e Domenico Barbieri, e Alberto e Mario Scambia gli imprenditori cui il comitato d'affari assegnava appalti e lavori, aggirando le normative antimafia, mentre un nuovo provvedimento di fermo è stato notificato in carcere all'ex deputato Psdi, già condannato definitivo per concorso esterno, Paolo Romeo»;
   al «centro delle indagini della Dda, c’è però – prosegue l'articolo – anche l'attività di due società, operanti nel settore della depurazione delle acque e di fornitura di servizio idrico integrato, cui è stata contestata la violazione amministrativa del Codice di responsabilità, gli Enti Locali»;
   secondo il procuratore capo della che ricostruisce Federico Cafiero de Raho, si tratta, nello specifico, di «un'altra operazione che ricostruisce le attività di un'associazione segreta che per lungo tempo ha condizionato il Comune di Reggio Calabria e le altre istituzioni»;
   nell'articolo in predicato, la giornalista Candito osserva che l'inchiesta è un «seguito, dunque, dell'operazione Fata Morgana, che circa due mesi fa ha svelato l'esistenza di una loggia segreta, per gli inquirenti guidata da Paolo Romeo, che per anni ha tessuto una fitta trama di rapporti e relazioni nelle istituzioni locali e non solo, per favorire i clan»;
   «proprio Marcello Cammera – spiega Candito, per come emerso dalle informative agli atti di quell'indagine – era per Romeo un interlocutore privilegiato, a lui legato da un rapporto tanto confidenziale da consentire all'ex deputato di apostrofare in malo modo il dirigente quando non eseguiva le sue direttive»;
   nell'articolo in parola si fa riferimento al ruoli di Angela Marcianò in quanto assessore comunale ai lavori pubblici di Reggio Calabria, che, sintetizza la giornalista Candito, per rinesi ha provato a limitare strapotere del Cammera, entrata in rotta di collisione con il medesimo dirigente, «che pur trasferito ad altro settore non ha mai voluto abbandonare il ruolo di rup di diversi appalti»;
   al centro degli approfondimenti della direzione distrettuale antimafia figura, peraltro, come chiarito dal procuratore Cafiero de Raho, «l'appalto per la depurazione delle acque, come per la costruzione e conduzione degli impianti»;
   «avviata sin dal 2013 – ricostruisce la giornalista – dal Reparto Operativo dei Carabinieri reggini, l'attività d'indagine, mirata a verificare il buon andamento del settore lavori pubblici del comune di Reggio Calabria, ha dimostrato l'esistenza di, un "comitato d'affari", composto da dirigenti e funzionari pubblici e imprenditori, capace di gestire la "macchina amministrativa comunale" nell'interesse della ‘ndrangheta, che riusciva ad orientare, aggirando ed eludendo la normativa antimafia, la concessione di appalti multimilionari in favore di holding imprenditoriali riconducibili alla ’ndrangheta»;
   in un articolo del 12 luglio 2016, sempre di Alessia Candito e sempre pubblicato su « Il Corriere della Calabria», con il titolo «REGHION. Il ventre infetto di Palazzo San Giorgio», si riassume che «anche durante la gestione commissariale seguita allo scioglimento dell'amministrazione comunale per contiguità mafiose, nella pancia di Palazzo San Giorgio ha continuato a operare un comitato d'affari; legato a ‘ndrangheta e massoneria in grado di condizionare l'assegnazione di appalti e lavori pubblici»;
   «siamo in presenza di un vero e proprio network – ha detto il comandante provinciale dei Carabinieri, Lorenzo Falferi – che, sfruttando cointeressenze nel tessuto economico-istituzionale ed imprenditoriale reggino, aveva costruito una fitta rete di relazioni a Milano, Roma e Brescia»;
   «qui oggi non si è intaccato soltanto il braccio armato della criminalità organizzata – ha aggiunto Falferi – ma strutture istituzionali e della pubblica amministrazione che avrebbero dovuto curare l'interesse collettivo»;
   più avanti l'articolo da ultimo menzionato riferisce che «un nuovo provvedimento è stato notificato in carcere anche all'avvocato Paolo Romeo, in – passato condannato definitivamente per concorso esterno e di recente arrestato nuovamente perché considerato il capo di una loggia segreta in grado di condizionare la politica e l'imprenditoria reggina»;
   è stato Romeo, «secondo gli inquirenti, a tessere – illustra Candito – la tela di contatti e relazioni che ha imbrigliato il Comune della città calabrese dello Stretto, grazie all'insostituibile lavoro del suo principale referente all'interno della macchina di Palazzo San Giorgio, Marcello Cammera»;
   l'operazione – ha anticipato il procuratore Cafiero de Raho – è solo «un segmento dimostrativo di quanto quella rete associativa, mafiosa, segreta, che – opera nella provincia di Reggio Calabria riesca a condizionare e a infiltrare le pubbliche amministrazioni»;
   nell'articolo in questione si fa riferimento, poi, all’«appalto per la depurazione delle acque ed il servizio idrico integrato della città di Reggio Calabria»;
   la giornalista spiega che l'appalto in parola è «un affare da 256 milioni di euro andato a un'Ati inedita fino ad allora, formata dal colosso spagnolo Accion Agua e dalla Idroreghion, società reggina con sede a Milano, nata da una scissione di ramo d'azienda dalla Acquereggine, con contestuale novazione della partecipazione sociale»;
   è «in questa fase, che nella Idroreghion, nascosto dalla società Gear, entra con il 24,4 per cento delle quote – racconta Candito – Domenico Barbieri»;
   segue, nell'articolo, un resoconto di pratiche di scambi di favori, di situazioni di tradimento delle funzioni pubbliche e ricerca ossessiva dell'interesse privato, a danno dei cittadini, con un comitato d'affari che aveva creato «un vero e proprio fondo nero per pagare mazzette e bustarelle»;
   con l'inchiesta, dai recenti provvedimenti, «Mammasantissima», sempre della procura di Reggio Calabria, è stata scoperta una struttura segreta di vertice della ‘ndrangheta;
   il senatore di Gal Antonio Caridi, del quale è stato richiesto l'arresto, è una delle cinque persone coinvolte nella suddetta operazione, che ha portato alla scoperta della struttura segreta di vertice della ‘ndrangheta, radicata nel territorio reggino e capace, come si legge sulla stampa, di condizionare la politica, tanto che nell'ambito della medesima operazione sono stati arrestati l'ex deputato del Psdi Paolo Romeo, già in carcere dal 9 maggio scorso e l'ex consigliere regionale e sottosegretario della giunta regionale di centrodestra Alberto Sarra;
   dal 26 maggio 2002 al 26 maggio 2007, a Reggio Calabria Caridi è stato per l'Unione di Centro assessore comunale all'ambiente;
   dal 22 giugno 2007 al 18 agosto 2010, a Reggio Calabria Caridi è stato per l'Unione di Centro assessore comunale per le politiche ambientali;
   il 29 marzo di 2010 Caridi era stato eletto consigliere regionale nelle file del Popolo della Libertà, risultando il primo delle liste di tutta la provincia con 11.215 preferenze;
   dal 19 aprile 2010 fino al 25 aprile 2013 Caridi è stato anche assessore regionale per le attività produttive nella giunta, di centrodestra, guidata da Giuseppe Scopelliti;
   altri arrestati di spicco nella stessa operazione «Mammasantissima» sono l'avvocato Giorgio De Stefano e Francesco Chirico che, come si legge sulla testata « Zoom24.it», in un articolo del 16 luglio 2016 intitolato «’Ndrangheta: operazione “Mamma Santissima”, ecco gli altri politici sostenuti da Sarra e dai clan», cognato del boss Orazio De Stefano «è (..) indagato poiché, sfruttando la sua capacità relazionale e di mimetizzazione connessa alla attività lavorativa svolta alle dipendenze, dal 1973 al 2004, del Comune di Reggio Calabria e, dal mese di ottobre 2004, della Regione Calabria (Servizio giuridico, con sede in via Tripepi di Reggio Calabria), avrebbe svolto il ruolo di soggetto cerniera tra le componenti “visibili” e quella “riservata” della ‘ndrangheta, rapportandosi per conto dell'organizzazione mafiosa con le più importanti realtà imprenditoriali operanti sul territorio, interessate a mascherare la presenza di relazioni dirette con le articolazioni territoriali della ‘ndrangheta reggina, avvalendosi anche “di sigle ed operatori sindacali, tra i quali Barillà Antonino, anche per imporre l'assunzione di soggetti a lui collegati ed appartenenti al medesimo circuito criminale”»;
   in un articolo di Alessia Candito, pubblicato il 16 luglio 2016 su « Il Corriere della Calabria» e intitolato «La Santa. Ecco chi sono i “riservati” di Reggio Calabria», sono riportate delle notizie circostanziate in ordine a interrogatori recentissimi dei pentiti Nino Lo Giudice e Cosimo Virgiglio, che «hanno svelato al pm Giuseppe Lombardo i nomi di alcuni degli appartenenti a quella terra di mezzo in cui ’ndrangheta e massoneria si mischiano per aiutarsi mutuamente»;
   il pentito Lo Giudice, scrive la giornalista Candito, «fa i nomi dell'avvocato Antonio Marra, dell'ex sottosegretario Alberto Sarra, di Pasquale Rappoccio, dell'avvocato Giorgio De Stefano, dell'ex antenna dei servizi Giovanni Zumbo, del funzionario regionale Francesco Chirico, cognato di Paolo, Giorgio e Orazio De Stefano e zio del capocrimine Giuseppe, dell'avvocato Paolo Romeo»;
   «insieme a questi – prosegue la giornalista – ci sarebbero anche, secondo quanto il collaboratore ha appreso dal Superboss (Pasquale Condello, nda), nomi noti della ’ndrangheta reggina come Giuseppe De Stefano e Pasquale Libri, politici come Giuseppe Scopelliti e i suoi fratelli, Fortunato e Francesco, l'imprenditore Mandaglio, “titolare di un negozio di elettrodomestici in via Possidonea”, e diversi legali, Bucca, Scalfari e Calabrese, che – spiega il pentito – “il Condello accostava anche ai servizi di sicurezza”»;
   anche «il dott. Crocè e tale Dominique Suraci – puntualizza a fine interrogatorio il pentito, come aggiunge la giornalista – fanno parte del medesimo contesto massonico: sono soggetti anche questi vicini a Pasquale Condello»;
   nell'articolo la giornalista Candito riporta, in seguito, un lungo elenco di appartenenti a comitati di potere tratto da elementi citati con estrema precisione, tra cui figurano «i nomi di molti politici, come quello dell'ex governatore della Calabria, Giuseppe Chiaravalloti», di «Luigi Fedele e Pietro Fuda, protagonisti di un ribaltone politico, cucinato in ambito massonico»;
   si tratta, compendia Candito, di soggetti su cui «la Dda ha intenzione di approfondire», anche perché – sottolinea il gip – «le recentissime dichiarazioni dei due collaboratori, pur non del tutto sovrapponibili, evidenziano, affermazioni convergenti sull'esistenza di questo sistema masso-mafioso che si sta procedendo ad esaminare»;
   peraltro, nell'ambito dell'operazione Alchemia, come riporta un articolo di Alessia Candito, pubblicato il 19 luglio 2016 su « Il Corriere della Calabria» e intitolato «Alchemia. Il “re dello stocco” è un prestanome del clan», si fa riferimento ad accuse a Francesco D'Agostino, vicepresidente del consiglio regionale della Calabria in quota «Oliverio presidente», contenute nei verbali di Teresa Ostarteg e in conversazioni intercettate dalla direzione distrettuale antimafia, di Reggio Calabria;
   D'Agostino, precisa la giornalista, è nell'inchiesta «formalmente indagato per intestazione fittizia aggravata dall'aver favorito la ’ndrangheta»;
   nell'ambito della stessa inchiesta, come da notizie stampa, risulta indagato per corruzione anche il deputato calabrese Giuseppe Galati, «ex berlusconiano come figura in un articolo del giornalista Lucio Musolino, apparso su “Il Fatto Quotidiano” lo scorso 19 luglio e intitolato ‘Ndrangheta, ‘do un pezzo di terreno a questo onorevole’. Le intercettazioni sul verdiniano Galati" – poi illuminato sulla via di Verdini e oggi, quindi, a pieno titolo esponente calabrese del Partito della Nazione»;
   in un articolo del giornalista Paolo Pollichieni, direttore de « Il Corriere della Calabria», intitolato «La masso-’ndrangheta in azione anche le regionali 2014» e pubblicato sulla prefata testata on line il 18 luglio 2016, si anticipa che «un diverso troncone dell'inchiesta “Mammasantissima” avrà effetti anche più devastanti rispetto a quelli già prodotti dall'indagine per la quale è stato chiesto l'arresto del senatore Antonio Caridi e fornirà un'eloquente testimonianza di come l'organizzazione sia ancora oggi in grado di interferire nella vita pubblica calabrese, condizionando elezioni amministrative e politiche, selezione e promozione della burocrazia ai più alti livelli, gestione delle risorse economiche connesse con la creazione a Reggio dell'Area Metropolitana dello Stretto e, nel resto della Calabria, attraverso i fondi comunitari messi a disposizione con i bandi del Pon e del Por»;
   c’è un passaggio fondamentale della succitata ricostruzione giornalistica, per cui «davanti all'esito fallimentare del rapporto con il centrodestra, l'organizzazione (criminale, nda) ha rivolto in direzione opposta sguardo ed attenzioni»;
   Pollichieni, direttore di « Il Corriere della Calabria», nell'articolo in parola informa che sul punto specifico, cioè sul sostegno al centrosinistra regionale da parte dell'organizzazione criminale, sono in pieno svolgimento «le indagini delle procure distrettuali di Catanzaro e Reggio Calabria», mentre sul campo lavorano «gli uomini del Ros dei carabinieri e dello Sco della Polizia di Stato»;
   passaggio importante dell'articolo succitato è quando l'autore Pollichieni riassume «una plastica dimostrazione di come funziona» l'assoggettamento «agli interessi criminali, con tanto di sberleffo al proprio interlocutore politico»;
   l'esempio, tratto dall'ordinanza del gip di Reggio Calabria, Domenico Santoro, per l'operazione «Mammasantissima», si riferisce alla «figura ed opera del dominus dei lavori pubblici in riva allo Stretto, Marcello Cammera»;
   «Cammera – scrive Pollichieni – dovrà affrontare, nel tempo, due diversi assessori ai lavori pubblici, il primo viene scelto da Giuseppe Scopelliti e risponde al nome di Franco Germanò; il secondo lo sceglierà, in tempi recentissimi, Giuseppe Falcomatà e risponde al nome di Angela Marcianò». «Entrambi – riassume il giornalista – vogliono “vedere le carte”, scrivono lettere di fuoco al dirigente Cammera e questi risponde picche»;
   Pollichieni riporta addirittura l'intercettazione di una conversazione tra Germanò e Romeo, cui il primo si rivolge per «ammorbidire» Cammera;
   «Dieci anni più tardi – prosegue Pollichieni – lo scontro si riproporrà. Cambia scenario politico, coalizione e sindaco ma Cammera è sempre saldo al suo posto, unico gestore dei lavori pubblici in Reggio Calabria. L'assessore Marcianò non si rivolge certo a Paolo Romeo ma al sindaco. Cammera commenta questa levata di scudi con Paolo Romeo, ma è tranquillo perché qualcuno gli ha spiegato che se l'assessore Marcianò insiste si farà male. Se si va allo scontro, lo rassicurano, la Marcianò va a casa e Cammera resta al suo posto. Millanterie ? A stare alle indagini di queste settimane non pare proprio: il Ros avrebbe messo le mani sui contenuti di una cosiddetta “chat di giunta” una sorta di chat a circuito chiuso a mezzo della quale il sindaco Falcomatà e i suoi assessori dialogano riservatamente. In alcuni passaggi si parla molto diffusamente del ruolo di Cammera e dello scontro con l'assessore Marcianò. Le indagini sul punto potrebbero riservare sorprese»;
   «va aggiunto, per completezza – continua Pollichieni – che c’è un altro punto di contatto tra la vicenda dell'assessore ai lavori pubblici dell'era Scopelliti, Franco Germanò, e l'assessore odierno Angela Marcianò. Al culmine dello scontro entrambi finiscono vittime di un attentato intimidatorio: una bomba nella macchina nel caso di Germanò, l'incendio dell'autovettura in quello della Marcianò. Sicuramente una coincidenza. In seguito all'attentato, tuttavia, Germanò si dimetterà da assessore. La Marcianò non lo ha fatto, forse la differenza tra i due epiloghi sta nel fatto che in soccorso dell'assessore Marcianò è arrivata la retata disposta dalla Dda di Reggio Calabria con la «Operazione Reghion»»;
   la città metropolitana di Reggio Calabria è stata istituita dall'ordinamento giuridico nazionale con il decreto-legge 5 novembre 2012, n. 188, «Disposizioni urgenti in materia di Province e Città metropolitane»;
   il PON Città Metropolitane 2014-2020, approvato dalla Commissione europea con decisione C(2015) 4998 del 14 luglio 2015, costituisce uno degli strumenti attuativi dell'Agenda urbana nazionale, fornendo un'interpretazione territoriale dell'accordo di partenariato 2014- 2020, e individua il sindaco del Comune capoluogo della città metropolitana come autorità urbana e organismo intermedio, attribuendogli ampia autonomia nella definizione dei fabbisogni e nella conseguente individuazione degli interventi da realizzare;
   l'articolo 3 del patto – del 30 aprile 2016 – tra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Sindaco della città metropolitana di Reggio Calabria prevede che l'importo complessivo degli interventi da realizzare, «che costituiscono gli impegni del presente Patto», ammonti a euro 410.103.968,02;
   in un articolo di Alessia Candito del 16 febbraio 2016, pubblicato su « Il Corriere della Calabria» e intitolato «Reggio Nord e il forum dal passato pesante», si fa riferimento a un programma riguardante «una lista di cose da fare e con urgenza per chi avrà l'onore e l'onere di tirare la carretta della nuova città metropolitana»;
   «ad esporlo ai consiglieri comunali, senza che nessuno – a quanto pare avesse alcunché da eccepire, si sono presentati – si legge nell'articolo – fra gli altri l'ex deputato del Psdi Paolo Romeo, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa con il clan De Stefano, e indicato in diversi atti giudiziari come eminenza grigia degli arcoti, Franco Malara, sindaco di Santo Stefano d'Aspromonte e nipote del presunto boss della montagna “don Rocco” Musolino, qualche mese fa finito al centro di uno scandalo prima per il cosiddetto “emendamento ad personam” che da revisore dei conti gli ha permesso di candidarsi ad una carica politica, quindi per le presunte pressioni per farlo eleggere nel consiglio direttivo dell'Ente Parco, e Domenico Giandoriggio, nel lontano ‘93 arrestato nell'inchiesta, poi sfumata, sul decreto Reggio»;
   secondo Candito, le riferite esperienze pregresse degli intervenuti non sembrano aver turbato gli inquilini di Palazzo San Giorgio, se è vero quanto il Comitato afferma nella nota diffusa al termine della riunione, durante la quale – riporta la giornalista – «il documento nella sua fase ultima di implementazione, ha avuto l'unanime parere positivo della Commissione, con i commissari tutti concordi nel ritenere Reggio Nord 2020 la più avanzata espressione di documento strategico che a oggi sia stato prodotto su una parte di territorio della futura Città metropolitana di Reggio Calabria, ritenendo significativo il metodo, modello da esportare come prassi di successo in altri contesti»;
   a parere degli interroganti, in quanto sopra riportato, traspare incontestabilmente il gravissimo e costante condizionamento dell'amministrazione pubblica del comune di Reggio Calabria e, in potenza, della relativa area metropolitana, nonché la capacità degli inquadrati comitati d'affari politico-massonico-mafiosi di dettare precise modalità operative sull'utilizzo di enormi risorse pubbliche;
   agli interroganti non risulta che il comune di Reggio Calabria e la regione Calabria abbiano, a seguito delle recenti, gravissime notizie stampa sul condizionamento delle rispettive amministrazioni pubbliche, avviato indagini interne –:
   se, per il tramite del prefetto di competenza per territorio, non si ritenga di verificare la sussistenza degli elementi cui al comma 1 dell'articolo 143 del testo unico degli, enti locali, non intenda disporre ogni opportuno accertamento, promuovendo l'accesso presso il comune di Reggio Calabria. (4-13901)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RUBINATO, ROTTA, SBROLLINI, ZARDINI, D'ARIENZO, CRIVELLARI, DAL MORO, GINATO, CASELLATO, NARDUOLO e MURER. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'organico del personale docente delle scuole statali del Veneto è «uscito» pesantemente penalizzato dalla manovra di contenimento della spesa pubblica avviata nell'anno scolastico 2008-2009 dai Ministri Tremonti-Gelmini e mantenuta fino al 2014 dalle successive legislature di austerity dei Governi «Monti» e «Letta»;
   il depauperamento del sistema scolastico Veneto è stato attuato negli ultimi otto anni per effetto dell'applicazione del criterio della «spesa storica» in sede di ripartizione del contingente di organico di diritto attraverso il consueto decreto interministeriale MIUR-MEF;
   il criterio della «spesa storica», sebbene non sia mai stato contemplato da nessuna norma di legge, né sia mai stato menzionato nei decreti interministeriali, è stato applicato di fatto in quanto unico criterio idoneo a rispettare l'obbligo di conseguire, a decorrere dall'anno 2009, le economie lorde di spesa imposte dall'articolo 64, comma 6, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, dalla legge n. 133 del 2008 (456 milioni di euro per l'anno 2009, 1.650 bilioni per l'anno 2010, 2.534 milioni per l'anno 2011, 3.188 milioni a decorrere dall'anno 2012);
   infatti, la situazione di partenza anteriore al 2009, anno a decorrere dal quale sono stati attuati i tagli dei posti di organico, era molto diversa tra le regioni italiane. Nel Veneto e in poche altre regioni (come per esempio in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia) non esisteva soprannumero di docenti a tempo indeterminato in quanto il trend della popolazione scolastica era in costante graduale aumento. In altre regioni, invece, il calo demografico portava alla riduzione del numero delle classi, con la conseguenza che i docenti a tempo indeterminato, rimanendo senza ore di cattedra, diventavano soprannumerari;
   le prescritte economie lorde di spesa imposte dall'articolo 64, comma 6, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, non potevano essere realizzate laddove il trend della popolazione scolastica era in diminuzione, giacché ciò avrebbe comportato l'aumento del soprannumero, con la conseguente invarianza della spesa per gli stipendi del personale a tempo indeterminato;
   la manovra di contenimento della spesa pubblica prevista dalla, cosiddetta riforma Tremonti-Gelmini è stata perciò attuata nelle regioni come per esempio il Veneto, la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia, nelle quali è stato possibile diminuire i posti per le nomine in ruolo e per le supplenze annuali senza creare soprannumero;
   le conseguenze sono state però diverse tra le regioni, a seconda della consistenza dell'aumento della popolazione scolastica. In particolare il triennio 2009-2011 di applicazione dei tagli è coinciso nel caso della regione Veneto proprio con il periodo del massimo aumento della popolazione scolastica. Non altrettanto è avvenuto in altre regioni (per esempio nel Friuli Venezia Giulia). Inoltre nel Veneto il numero degli alunni frequentanti le scuole statali è continuato ad aumentare anche negli anni scolastici successivi al 2008-2009, fino all'anno scolastico 2014-2015;
   così in Veneto nel periodo 2009-2016, a fronte dell'aumento di più 29.770 alunni (corrispondenti a circa più 1.488 classi), i posti dell'organico di diritto del personale docente, assegnati dagli annuali decreti interministeriali, anziché aumentare, sono diminuiti di 4.221 unità;
   la situazione non appare migliore se si considerano i correttivi apportati in sede di assegnazione dell'organico di fatto nel medesimo periodo 2009-2016, dove si registra – a fronte di un aumento di 30.750 mila alunni, di un aumento dell'1,68 per cento del rapporto alunni/docenti e di un aumento di 3.874 alunni disabili – una diminuzione di 4.569 mila posti;
   la situazione non è stata riequilibrata neppure nell'anno scolastico 2015-2016, quando, dopo l'adeguamento dell'organico alla situazione di fatto, è stato possibile per il MIUR ripartire in data 17 luglio 2015 un contingente nazionale straordinario di 4.255 posti aggiuntivi di organico di fatto;
   infatti, dei 4.255 posti aggiuntivi, solo 150 sono stati assegnati al Veneto, mentre 755 sono andati alla Lombardia, 715 all'Emilia Romagna, 500 al Piemonte, 420 alla Sicilia, 320 alla Toscana. Tutto ciò è avvenuto al di fuori di qualsiasi proporzionalità con il numero degli alunni e al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo esterno, atteso che nessuna tabella del MIUR consente di confrontare insieme gli aumenti e le riduzioni del numero di alunni con il numero dei posti assegnati. I principi di trasparenza amministrativa, pur se conclamati dalle norme di legge, non trovano tuttavia applicazione in questo settore, anche se il Sistema informativo del MIUR (SIDI) è in grado di confrontare le variazioni dei posti e le variazioni degli alunni in ciascuna delle 7.440 scuole statali italiane;
   nel marzo scorso è stata pertanto avanza la dall'USR del Veneto la richiesta di un incremento dei posti dell'organico di diritto per l'anno scolastico 2016-2017 del personale docente, al fine di evitare il ripetersi delle numerose criticità che erano precedentemente emerse, essendosi dovuto fare ricorso a «rimedi anomali» per rispettare il contingente assegnato dell'organico di diritto che hanno penalizzato gravemente il servizio scolastico di questa regione, generando una anomala disparità di trattamento con le altre regioni;
   in particolare, sono state segnalate le seguenti criticità: 175 classi sovradimensionate che non è stato possibile sdoppiare (equivalenti a 289 posti mancanti), 1480 ore eccedenti all'orario prescritto di 18 ore (equivalenti a 82 cattedre risparmiate), 20 sezioni di scuola dell'infanzia non autorizzabili (pari a 40 posti mancanti), n. 8 turni pomeridiani di sezioni di scuola dell'infanzia non attivabili (pari a 8 posti), 130 cattedre di liceo musicale non inseribili al SIDI;
   ciò nonostante è stato applicato al Veneto in organico di diritto 2016-2017 un'ulteriore riduzione di 92 posti rispetto all'organico di diritto 2015-2016, anziché effettuare un riequilibrio tra i posti del personale insegnante con le altre regioni;
   è stata pertanto da ultimo richiesta da parte dell'Ufficio scolastico regionale del Veneto l'assegnazione del numero indispensabile di posti di personale docente in sede di adeguamento dell'organico alla situazione di fatto per l'anno scolastico 2016-2017, calcolato in 48.530 posti, analiticamente motivando istituto per istituto, plesso per plesso, sezione per sezione, classe per classe, le necessità dei posti aggiuntivi per il rispetto dei parametri normativi e per evitare la formazione di classi in situazione di affollamento, non consentite dalle norme vigenti;
   tale richiesta supera quelli dell'organico di diritto per l'anno scolastico 2016-2017 di 3.013 posti, distribuiti per provincia come segue: a Belluno un totale di 47 posti, a Padova 36 posti, a Rovigo 52, a Treviso 70, a Venezia 81, a Verona 85 posti e a Vicenza 97, cui vanno aggiunte 165 cattedre di liceo musicale e coreutico e 2.380 ore residue a chiusura dell'organico di diritto;
   tali posti sono indispensabili alle esigenze generali di funzionamento del servizio scolastico per assicurare il diritto costituzionalmente garantito all'istruzione degli alunni delle scuole statali del Veneto e per evitare la formazione di classi in situazione di affollamento, non consentite dalle norme vigenti;
   tale incremento dei posti del personale docente delle scuole statali del Veneto in sede di adeguamento dell'organico alla situazione di fatto per 2016-2017 appare necessario per evitare i pesanti disagi sociali e le proteste delle famiglie, dei sindaci e delle associazioni, che potrebbero generarsi se, in occasione dell'imminente riparto dei circa 31.000 posti di organico di fatto del personale docente tra i 18 Uffici scolastici regionali, non fosse tenuta nel debito conto la prioritaria esigenza di assicurare la funzionalità del servizio per favorire invece il soddisfacimento delle esigenze occupazionali del personale docente. È noto infatti che numeri ingenti di docenti di altre regioni, facendo domanda di assegnazione provvisoria per l'anno scolastico 2016-2017, desiderano trovare i posti per il rientro nel comune di provenienza –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dovere adottare con urgenza le iniziative necessarie, nell'ambito delle proprie prerogative e competenze, a riequilibrare i posti del personale docente del Veneto rispetto alla pesante penalizzazione derivata al sistema scolastico Vendo dalla manovra di contenimento della spesa pubblica avviata a partire dall'anno scolastico 2008-2009 dall'articolo 64, comma 6, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008 e mantenuta fino ad oggi per effetto delle applicazione del criterio della «spesa storica» in sede di ripartizione del contingente di organico di diritto, assegnando al Veneto l'incremento di circa 3.000 posti nell'organico di fatto indispensabili alle esigenze generali di funzionamento servizio scolastico.
(5-09244)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il comune di Taranto, con appalto n. 13/2015 — CIG: 6365885941 ha aperto la «procedura per l'affidamento di manutenzione ordinaria e straordinaria del verde pubblico sul territorio di competenza comunale», con scadenza di presentazione delle offerte fissata al 10 dicembre 2015 (come si evince dal sito internet del comune stesso), disponendo come risorse 1,5 milioni di euro;
   vincitrice del suddetto bando risultano essere le «A.T.I. Bitella — A.V.I.M. — Chemipull Italiana», con una offerta pari a 1,2 milioni di euro. L'affidamento del bando è avvenuto il 30 giugno 2016;
   l'appalto di cui sopra è frutto anche di un confronto politico fra le organizzazioni sindacali e l'amministrazione comunale, con l'obiettivo congiunto di stabilizzare i lavoratori che precedentemente operavano in stato di precarietà (con impiego di 18 ore settimanali) e di efficientare il servizio di manutenzione del verde tramite la quotidianità degli interventi;
   gli obiettivi congiunti di cui al paragrafo precedente si sarebbero dovuti tradurre in alcuni punti quali:
    a) clausola sociale per la continuità per i lavoratori operanti sul verde;
    b) contratti a tempo indeterminato;
    c) monte ore di 130 mensili;
    d) contratto collettivo nazionale di lavoro multiservizi, con livello corrispondente alla declaratoria per le lavorazioni realmente effettuate;
   i punti di cui sopra trovavano corrispondenza nel bando stesso della amministrazione comunale, che metteva appunto in gara la somma di 1,5 milioni di euro, inseriva la «clausola sociale» e indicava una serie di lavorazioni prefiguranti costanza e quotidianità degli interventi. Inoltre, la durata dell'appalto — fissata in un anno con possibile proroga di sei mesi — rende assolutamente congrua la cifra stanziata con l'aumento delle ore per i lavoratori;
   precedentemente all'appalto in questione, sul verde cittadino lavoravano 76 dipendenti della «Ancora Service» al costo per l'amministrazione comunale di circa 54.000 euro mensili (648 mila euro l'anno). Di quei 76 dipendenti, 22 sono transitati nel cosiddetto «appalto spiagge», mentre gli altri 54 sono alle dipendenze della «A.T.I.» che a differenza del passato dispone appunto — in quanto vincitrice di gara — di 100 mila euro mensili;
   per quanto a conoscenza dell'interpellante, nei mesi di aprile, maggio e giugno (proroga) 2016, l'affidamento di tali servizi — ai 54 dipendenti — era legato al «mini affidamento» di appalto, che garantiva loro 14 giorni lavorativi a 6,5 ore per un monte complessivo di 91 ore mensili;
   sempre per quanto a conoscenza dell'interpellante, i suddetti lavoratori — dopo l'assegnazione di gara – sono stati contrattualizzati con «contratto agricolo» per 12 giorni al mese per 6,5 ore al giorno. Di conseguenza, vi è una sostanziale differenza lavorativa fra il previsto «contratto multi servizi a 130 ore» ed il «contratto a ricolo» assegnato di 78 ore mensili (con relativa e sostanziosa perdita economica annua per ogni singolo dipendente), nonostante le risorse assegnate alla azienda siano nettamente superiori al passato. Va altresì ricordato che, a differenza del «contratto multiservizi», con il contratto agricolo sono ricomprese nella paga base — oltre 13esima e 14esima — anche le ferie; a ciò si aggiungono le problematiche legate alla corresponsione della malattia. Tale contratto agricolo ha scadenza trimestrale, nonostante l'appalto sia annuale;
   l'assegnazione di 12 giornate mensili si tramuta quindi, secondo l'interrogante, in «lavoro a chiamata», che a detta degli interpellanti è poco rispettoso della dignità del dipendente, privato infatti della minima possibilità di organizzazione dei propri orari e soggetto quindi a indebite pressioni. In tal modo, inoltre, si rischia seriamente di aggravare la piaga del «lavoro nero», venendo a mandare l'elemento della quotidianità e della continuità lavorativa;
   a quanto si apprende dalle organizzazioni sindacali, i lavoratori sarebbero in diversi casi non adeguatamente dotati sia di «Dispositivi di protezione individuale» che di strumenti atti allo svolgimento del lavoro così come previsto dal bando;
   alla luce di quanto descritto nel «capitolato speciale» contenuto nel bando di gara d'appalto 13/2015 — CIG: 6365885941, l'impiego di ore e lavoro previste con il «contratto agricolo» risulta all'interrogante non congruo con gli obiettivi del capitolato stesso, con particolare riguardo ai «fattori strategici», alla «gestione tecnica», alla «Manutenzione ordinaria» ed a quella «straordinaria»;
   la non congruità di cui sopra risulta oltremodo ingiustificata, stante il «margine di profitto» della A.T.I. stessa. In base ad un calcolo effettuato dalle organizzazioni sindacali, infatti, l'azienda per le cosiddette spese vive impiegherebbe circa il 60 per cento dei fondi assegnati dal comune, con un conseguente margine di profitto del «40 per cento», evidentemente alto rispetto alla media di impresa italiana;
   risulta inoltre che, alla data del 16 luglio 2016, alcune unità lavorative, tra queste portatori di particolari fragilità, non siano state ancora chiamate a svolgere il loro servizio con il rischio di non riuscire ad effettuare le previste 12 giornate che consentirebbe di ricevere il compenso nel mese di agosto;
   per quanto detto, il servizio oggetto dell'appalto risulta essere oggettivamente inefficiente: il complessivo del monte ore assegnato ad ogni dipendente (78 ore per 54 lavoratori) è palesemente insufficiente rispetto alle lavorazioni previste in origine; si sono già registrate diverse rimostranze della cittadinanza circa lo stato della manutenzione del verde; ai dipendenti vengono assegnati interventi non inerenti all'appalto stesso come la raccolta differenziata; si è registrata la non costante raccolta dei residui di lavorazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di prevenire a una situazione contrattuale in grado di rispettare la normativa vigente e la dignità stessa dei lavoratori, di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e di evitare di aggravare il disagio economico e sociale dei dipendenti e delle loro famiglie.
(2-01437) «Duranti, Ricciatti, Sannicandro, Scotto».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con una nota ufficiale l'Inps ha comunicato in data 8 giugno 2016 alla regione sarda l'apertura della posizione contributiva della Agenzia forestale regionale Forestas;
   nella comunicazione è scritto quanto segue: la sottoscrizione di diverse tipologie contrattuali non comporta riflessi sull'assoggettamento contributivo dei dipendenti dell'Agenzia, ente pubblico non economico, rientrante tra le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001;
   nel comunicare i dati della registrazione, l'Inps informa che in data 1 maggio 2016 è stata aperta una posizione contributiva per il versamento dei contributi relativi ai rapporti di lavoro subordinato, segnatamente alla gestione INADEL e alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali indipendentemente dal tipo di contratto applicato al proprio personale;
   a questa comunicazione è seguita una delibera dell'agenzia Forestas che impugnava tale decisione ritenendola non congrua rispetto alle aspettative contributive per i dipendenti;
   in effetti Forestas aveva calcolato di percepire imponenti sgravi fiscali legati all'inquadramento previdenziale strettamente agricolo dei lavoratori dell'agenzia;
   nell'atto di impugnazione il commissario di Forestas fa richiesta di annullamento del predetto provvedimento, perché foriero di importanti costi superiori alle risorse dell'amministrazione;
   in tal senso Forestas ha dato mandato a un professionista esterno per impugnare l'atto dell'Inps;
   l'Inps in data 13 luglio 2016 con nota del direttore centrale Gabriella Di Michele ha risposto a Forestas affermando che: «questa Direzione Inps ha iscritto codesta agenzia, ente pubblico non economico a carattere regionale, alla gestione CPDEL, alla gestione INADEL e alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali;
   il suddetto inquadramento contributivo, scrive ancora l'INPS, risulta coerente con la personalità di diritto pubblico dell'Agenzia. Tale la sua natura giuridica, l'Agenzia rientra, pertanto, nel novero delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 1 del d.lgs. n.165/2001»;
   infine, l'Inps con estrema chiarezza scrive: «non risultano a questa direzione disposizioni normative di carattere generale che consentano di inquadrare il personale delle pubbliche amministrazioni che operano nel settore delle Foreste al Fondo di previdenza dei lavoratori dipendenti (FPLD)»;
   la comunicazione dell'Inps è di ben altro avviso: sul piano previdenziale si applica la reale natura del lavoratore, dunque niente sgravi agricoli;
   sgravi – sostiene l'Inps – che dipendono e dipenderanno non dal contratto applicato, ma dalla tipologia delle attività istituzionali stabilite dalla normativa riguardante Forestas;
   Forestas con nota del 15 luglio 2016 comunica di aver impugnato la determinazione di Inps e di aver nel contempo seguito le indicazioni di Inps per quanto riguarda il personale inquadrato come impiegati, quadri e dirigenti;
   per quanto riguarda il personale operaio, secondo l'interrogante arbitrariamente, Forestas sta applicando sgravi fiscali agricoli inquadrando i lavoratori nel regime del fondo di previdenza dei lavoratori dipendenti in contrasto con la disposizione di Inps che aveva ribadito che con la personalità di diritto pubblico l'Agenzia Forestas rientra, pertanto, nel novero delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n.165 del 2001;
   tale procedura seguita da Forestas contrasta in modo palese con le indicazioni dell'Inps e con precedenti evidenti, a partire dall'Agenzia Agris, sempre in Sardegna, che pur avendo competenza specifica agricola vede tutti i dipendenti inquadrati non solo nel regime previdenziale pubblico ma addirittura nel contratto dei dipendenti regionali;
   sostanzialmente Forestas sta incamerando quasi 20 milioni di euro di sgravi senza averne di fatto titolo e nel contempo la regione nega il diritto al riconoscimento di dipendenti regionali a tutti i lavoratori di Forestas;
   in questa direzione se l'Inps dovesse avallare questa situazione, si genererebbe da un lato un aspetto discriminatorio contributivo e dall'altro un evidente danno erariale per sgravi non dovuti e concessi arbitrariamente;
   le esenzioni INPS, applicate precedentemente al contratto dell'ente foreste, non sono state dunque prorogate all'agenzia Forestas, considerato che l'agenzia Forestas è un nuovo soggetto che opera nell'ambito agricolo solo per il 20 o 25 per cento;
   per l'Inps i dipendenti dell'agenzia Forestas sono pubblici dipendenti (come quelli dell'agenzia Agris e di tutte le altre agenzia regionali) e dunque va aperta una posizione previdenziale nell'ambito della gestione dipendenti pubblici (ex Inpdap);
   tutto questo comporta conseguenze dirette ed ovvie:
    1. ai lavoratori di Forestas non si applica lo status di lavoratori agricoli non essendo il datore di lavoro «agricolo» per legge (la legge regionale n. 8 del 2016 spiega chiaramente compiti e missione dell'agenzia Forestas, tra cui non si ravvisa l'attività di coltivazione ma semmai, marginalmente, la messa a dimora di piante, marginale e sotto il 20 per cento). Quella agricola è attività chiaramente non prevalente (numericamente ed economicamente sotto il 10 per cento), perché la legge, tra le attività prevalenti, cita: protezione civile ed antincendio ed attività assimilabili (circa il 60 per cento dell'attività svolta da dati ufficiali dell'ente foreste), e poi gestione sostenibile e protezione fauna e flora selvatica, settore fito-sanitario, educazione ambientale, rete sentieri;
    2. ai lavoratori di Forestas non si applicano gli sgravi per i lavoratori agricoli. A questo punto, viene fuori il problema: la previdenza privatistica senza sgravi (come il contratto poco avvedutamente applicato) costa più di quella dei pubblici dipendenti. Ora occorrerebbe spiegare perché si è scelto di mantenere il contratto collettivo nazionale di lavoro tipico dei lavoratori agricoli;
    3. un buco di bilancio di oltre 20 milioni di euro, a causa del maggiore onere per la gestione previdenziale ed assistenziale del personale;
   il Governo che ha già impugnato tale legge deve garantire il pieno rispetto delle condizioni previdenziali fermando la nefasta applicazione di quella che l'interrogante ritiene una scellerata legge, attivando, per quanto di competenza, tutte le necessarie azioni per garantire il profilo contrattuale pubblico dei lavoratori dell'agenzia Forestas, l'unica nel sistema regionale a non avere il contratto regionale (CCRL) per non ammettere che sono anch'essi dipendenti pubblici della regione;
   considerato che sono in corso trattative per le possibili modifiche alla stessa, appare opportuno che la legge forestale ridefinisca il contratto applicato ai lavoratori di Forestas, e finalmente sia applicato il contratto regionale, perché applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro (contratto privatistico) senza gli sgravi (che spettano solo agli agricoltori e non ai forestali ed alla protezione civile) costa molto di più;
   il contratto regionale applicato all'agenzia Forestas determinerebbe un forte risparmio rispetto al contratto collettivo nazionale di lavoro senza gli sgravi (a giudizio dell'interrogante non dovuti ma sempre pretesi dall'Inps sulla base del fatto che la regione sarebbe un datore di lavoro agricolo) –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per evitare un ulteriore aggravio nella gestione degli sgravi agricoli garantendo il rispetto delle norme vigenti;
   se non si intendano assumere iniziative per fornire indicazioni precise all'INPS in relazione a tali fattispecie, anche in considerazione di evidenti discriminazioni tra lavoratori dello stesso comparto pubblico;
   se il Governo non ritenga di dover vigilare sulle reali ed effettive applicazioni previdenziali da parte dell'Inps, scongiurando interventi che possano portare a forzate e illegittime soluzioni, con conseguente danno alle stesse casse previdenziali;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per addivenire ad una corretta definizione del comparto contrattuale dei lavoratori di Forestas nell'ambito delle intese rivolte al superamento del contenzioso Stato-regione, considerata l'impugnazione della relativa legge da parte del Governo. (5-09235)


   GNECCHI, GRIBAUDO, ROTTA, BARUFFI, BOCCUZZI, PATRIZIA MAESTRI, INCERTI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, ALBANELLA, IORI, FABBRI, DI SALVO, ROSTELLATO, ARLOTTI e GIACOBBE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il sistema previdenziale italiano ha sempre cercato di rispondere alle esigenze dei cittadini e delle cittadine; uno degli istituti importanti per garantire una pensione che offra la possibilità di una vita dignitosa è stato il riscatto, volontario e oneroso, per recuperare periodi non coperti da contribuzione nella propria vita lavorativa;
   si sono susseguite molte norme che hanno ampliato la possibilità di coprire in modo oneroso periodi altrimenti privi di contribuzione; i contributi da riscatto possono riguardare i periodi di lavoro non coperti da contribuzione (perché omessi), o per i quali non sussiste più l'obbligo di regolarizzazione assicurativa (perché prescritti), o per i quali il lavoratore o la lavoratrice intendono volontariamente migliorare la propria posizione previdenziale, il riscatto può riguardare varie situazioni:
    a) contributi non versati, dal datore di lavoro per attività lavorativa subordinata; (rendita vitalizia ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 1338 del 1962);
    b) contributi non versati dal titolare di impresa artigiana o commerciale per i coadiuvanti (sentenza della Corte costituzionale n. 18/1995 e ordinanza della Corte costituzionale 21/2001 la Corte costituzionale con ordinanza n. 21/01 ha riaffermato i principi esposti con propria sentenza n. 18 del 12/19 gennaio 1995);
    c) contributi dovuti dai coltivatori diretti, coloni e mezzadri diversi dal titolare (sentenza, della Corte costituzionale n. 18/1995 e ordinanza della Corte costituzionale 21/2001; la Corte costituzionale con ordinanza n. 21/01 ha riaffermato i principi esposti con propria sentenza n. 18 del 12/19 gennaio 1995);
    d) il corso legale di laurea (articolo 50 della legge n. 153 del 1969), le lauree brevi e i titoli di studio ad esse equiparati;
    e) periodi di occupazione in lavori socialmente utili;
    f) l'attività lavorativa svolta all'estero in Paesi non convenzionati (articolo 51 della legge n. 153 del 1969);
    g) l'astensione facoltativa per maternità che si colloca al di fuori del rapporto di lavoro;
    h) gli anni di praticantato effettuati dai promotori finanziari (articolo 1, comma 198, della legge n. 662 del 1996);
    i) l'attività svolta con contratto di collaborazione coordinata e continuativa;
   a decorrere dal 1o gennaio 1996 (articolo 2, comma 26 della legge 3 agosto 1995, n. 335), è stata istituita una apposita gestione separata, presso l'Inps, finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ai soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell'articolo 49 del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui all'articolo 36 della legge 11 giugno 1971, n. 426. Sono esclusi dall'obbligo i soggetti assegnatari di borse di studio, limitatamente alla relativa attività;
   per i lavoratori iscritti alla gestione di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la legge 23 dicembre 1999 n.488, articolo 51, comma 2, prevede la facoltà di riscattare annualità di lavoro prestato con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, risultanti da atti aventi data certa, svolti in periodi precedenti alla data di entrata in vigore dell'assoggettamento all'obbligo contributivo. Tale facoltà di riscatto posta a carico dell'interessato e può essere fatta valere fino ad un massimo di cinque annualità la disposizione prevede che con successivo decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e delle finanze, è stabilita la disciplina della facoltà di riscatto, in coerenza con la disciplina di cui al decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, tenendo conto della parametrazione con le retribuzioni del periodo considerato e valutando quale aliquota di riferimento l'aliquota contributiva in vigore al momento della domanda;
   dalla lettura della succitata norma si evince chiaramente una palese discriminazione nei confronti dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata (liberi professionisti senza cassa di categoria, la classica iscrizione con partita IVA, non riconducibile ad altre iscrizioni previdenziali), ai quali a differenza delle altre categorie di lavoratori autonomi iscritti ad altre gestioni, non è consentito di esercitare la facoltà del riscatto dei contributi per attività lavorativa autonoma svolta antecedentemente al 1o aprile 1996;
   con il messaggio n. 25982 del 19 novembre 2008 l'Inps ha chiarito che la facoltà di riscatto, prevista dall'articolo 51, comma 2, della legge n. 488 del 1999, dei periodi di collaborazione coordinata e continuativa anteriori al 1o aprile 1996, data di entrata in vigore della legge n. 335 del 1905 che ha istituito la gestione separata dei lavoratori autonomi presso l'istituto, può essere esercitata anche da coloro che sono iscritti a tale gestione, ma solo per i periodi di lavoro svolti come collaboratori coordinati e continuativi. L'INPS precisa quindi che la facoltà di riscatto può essere esercitata esclusivamente per i periodi in cui gli iscritti alla gestione separata abbiano esercitato solo o anche attività di collaborazione coordinata e continuativa e non, quindi, l'attività professionale per la quale sono attualmente iscritti alla, gestione separata; la documentazione richiesta per poter riscattare il periodo di collaborazione coordinata e continuativa è la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di cui si chiede il riscatto dalla quali risulti l'attività svolta;
   se i liberi professionisti iscritti alla gestione separata devono dimostrare, attraverso le dichiarazioni dei redditi relativi al periodo di cui si chiede il riscatto, di aver svolto eventuale attività di collaborazione coordinata e continuativa, non si comprende il motivo per il quale non si possano prendere in considerazione anche i periodi di attività professionale anteriori al 1o aprile 1996, che potrebbero essere oggetto di riscatto e facilmente dimostrabili con le dichiarazioni dei redditi relative al suddetto periodo; in tal modo gli iscritti con partita iva, ma non collaboratori coordinati e continuativi, risultano essere gli unici lavoratori ai quali si nega la possibilità di riscatto di contributi che non avevano potuto versare perché, ancora non esisteva la gestione separata –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di valutare l'opportunità di assumere iniziative per estendere anche ai liberi professionisti, iscritti obbligatoriamente alla gestione separata Inps, la facoltà di esercitare il riscatto dei contributi per l'attività prestata come libero professionista in periodi antecedenti il 1996, fino ad un massimo di 5 anni, considerato che per la collaborazione coordinata e continuativa questo è stato previsto. (5-09236)


   D'OTTAVIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sul sito della società FlixBus è scritto quanto segue:
    «FlixBus è un giovane operatore della mobilità che ha cambiato il modo di viaggiare di milioni di persone in Europa. Connubio unico tra start-up tecnologica, piattaforma di e-commerce e azienda di trasporti, in pochissimo tempo ha creato la rete di autobus intercity più estesa d'Europa;
    grazie a un sistema di prenotazioni semplicissimo e a una rete in continua espansione, diamo a chi viaggia la possibilità di scoprire il mondo, con un'offerta adatta a tutte le tasche. Con gli standard più elevati di comfort, sicurezza e sostenibilità, FlixBus rappresenta un'alternativa di viaggio conveniente e green;
    il nostro successo si fonda sulla digitalizzazione dei mezzi di trasporto tradizionali. Con un sistema di prenotazioni all'avanguardia, l'App FlixBus, il Wi-Fi gratuito e la tracciabilità via GPS, abbiamo creato un nuovo mezzo di trasporto. La sua rete intelligente e la gestione dinamica dei prezzi garantisce sempre l'offerta migliore ai nostri clienti. Lavoriamo insieme a una rete di PMI, responsabili della flotta degli autobus: è qui che innovazione, spirito da start-up e un brand internazionale incontrano l'esperienza e la qualità di un settore tradizionale;
    dopo la fine del monopolio delle ferrovie nel 2013 le due start-up hanno avuto la meglio sulle corporation internazionali e, con la fusione, sono diventate leader incontrastate di mercato in Germania;
    nel 2015 è iniziata l'espansione internazionale, con la creazione di reti domestiche in Italia, Francia, Austria e Paesi Bassi, e internazionali verso Scandinavia, Spagna, Inghilterra ed Europa centrale e orientale. Oggi, i nostri passeggeri possono beneficiare della rete di autobus a lunga percorrenza più estesa d'Europa;
    dietro l'azienda c’è un team internazionale di quasi 1.000 dipendenti tra Monaco di Baviera, Berlino, Parigi, Milano, Zagabria, oltre a migliaia di autisti distribuiti presso le aziende partner di tutta Europa, che contribuiscono a rendere FlixBus ogni giorno migliore»;
   la stessa società ha da poco acquisito Megabus;
   circolano voci sempre più insistenti sulla chiusura dell'attività a partire dal 16 agosto 2016 della società di trasporti Megabus, comprovate dalla chiusura delle prenotazioni a partire da quel giorno –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo, visto che sono circa 200 le persone interessate dall'operazione le cui motivazioni non sono state ne illustrate ne motivate, e che gli autisti e il personale dipendente sembra abbiano ricevuto una lettera di comunicazione di licenziamento. (5-09240)


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2009 la SDA express courier, società del gruppo Poste Italiane, ha iniziato a registrare perdite di bilancio;
   a settembre 2012 la SDA ha aperto una procedura di mobilità per 114 persone e, a seguito di accordi con le parti sindacali, i dipendenti licenziati sono state circa una decina;
   a gennaio 2013 è stato firmato un accordo sindacale tra le parti, con scadenza in data 31 dicembre 2015, che prevedeva un abbattimento dei costi di circa 2.000.000 di euro in tre anni, con l'utilizzo di metà delle 40 ore di riduzione dell'orario di lavoro annue a dipendente, l'utilizzo totale delle 4 giornate di festività e delle ferie;
   a novembre 2015 i sindacati hanno iniziato ad avanzare richieste di incontri con i vertici aziendali in vista della scadenza del patto anticrisi sottoscritto nel 2013;
   l'azienda ha spesso respinto le richieste suddette e, in quelle rare occasioni in cui ha accettato di incontrare le rappresentanze dei lavoratori, si è presentata senza alcun documento o proposta di rinnovo contrattuale;
   il 4 maggio 2016, in occasione di un incontro tra le parti sociali, la SDA ha espresso la volontà di sottoscrivere un nuovo patto anticrisi o, in alternativa, di aprire una procedura di mobilità per circa 100 dipendenti;
   i sindacati dei lavoratori hanno dunque sollecitato un piano industriale che determinasse gli atti messi in campo dai vertici SDA per il risanamento aziendale, ma essendo rimasta inascoltata tale istanza, le tre sigle sindaca CGIL, CISL e UIL hanno indetto uno sciopero nazionale per il giorno 13 maggio 2016;
   va detto che nel corso degli ultimi anni, Poste italiane da una parte ha assunto dirigenti ben pagati, quali il fratello del Ministro Angelino Alfano, nominato tra mille polemiche nel 2013 dirigente di Postecom, società internet del gruppo partecipato al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e, dall'altra parte, ha licenziato i lavoratori, mettendo a repentaglio la vita di molte persone e anche quella di una società potenzialmente competitiva sul mercato;
   durante un incontro tra i vertici dell'azienda e le rappresentanze sindacali svoltosi il 5 luglio 2016, SDA express courier ha presentato una serie di proposte relative al piano di risanamento e alle condizioni di partecipazione dei lavoratori al processo di risanamento relativo agli anni 2016-2018, quali la sospensione degli scatti salariali, il congelamento degli aumenti contrattuali, la sospensione dei ticket, la sospensione di due ratei della quattordicesima mensilità, la modifica dell'orario di lavoro e altre ancora: trattasi chiaramente di proposte verso le quali la delegazione sindacale ha espresso forte contrarietà; di contro SDA ha ribadito l'intenzione di mettere in mobilità 100 dipendenti –:
   se il Ministro interrogato non reputi necessario promuovere un incontro tra le rappresentanze sindacali dei lavoratori e i vertici di SDA al fine di elaborare un piano industriale che contenga la salvaguardia dei livelli occupazionali e il riconoscimento delle professionalità dei dipendenti della società. (5-09241)

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   una catastrofe occupazionale si sta abbattendo sulla Sistemi Informativi, una società del gruppo IBM che occupa 960 addetti a Roma, Milano, Torino e Perugia;
   il 16 giugno 2016 l'azienda ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per 156 dipendenti dichiarati in esubero. Le motivazioni addotte sono il perdurare della crisi del settore dell’information technology, le difficoltà nel reperire commesse nella pubblica amministrazione, l'ammessa incapacità nell'aprire nuove prospettive di mercato;
   questo è solo il drammatico punto di arrivo di una situazione che è andata degenerando nel tempo; nel giugno del 2013 la stessa azienda aveva messo in cassa integrazione per un anno ben 292 dipendenti, la maggior parte dei quali a zero ore;
   i problemi della Sistemi Informativi sono strettamente collegati al declino dell'impegno della multinazionale IBM nel mercato italiano. Negli anni ‘90 IBM produceva nel nostro Paese hardware e software, occupando circa 13.000 lavoratori in vari centri anche d'eccellenza. Da allora, la smobilitazione è stata costante, con licenziamenti ed esodi incentivati e cessioni di rami d'azienda, che hanno portato l'attuale numero di occupati nella casa madre a circa 5.400 dipendenti;
   la Sistemi Informativi era nata nel 1979 come azienda autonoma, crescendo costantemente nel tempo, fino a quando, nei primi anni 2000, è stata acquisita da IBM. L'acquisizione ha comportato la riduzione dei margini di autonomia e di dinamismo manageriale. È stata imposta una serie di vincoli burocratici e finanziari, e non si è più investito in formazione del personale, ricerca e sviluppo;
   inoltre, sono stati caricati sul bilancio una serie di costi non limpidamente quantificabili, come il marchio e l'infrastruttura sistemistica, che hanno via via assottigliato il patrimonio aziendale;
   nel 2013 il bilancio era in rosso di oltre 4 milioni di euro, su un fatturato totale di 100 milioni. Si è allora proceduto alla prima operazione di «macelleria sociale», ad avviso dell'interrogante, sfruttando l'ammortizzatore sociale della cassa integrazione per scaricare le inefficienze sui lavoratori e sulla collettività. Nel periodo della cassa integrazione, il sindacato ha richiesto un piano industriale che rilanciasse l'azienda e garantisse l'occupazione. Questo piano, definito dalla stessa azienda « The Last Chance», alla fine è stato partorito. Prevedeva anche iniziative interessanti, come l'istituzione di un centro per lo sviluppo di software a distanza offerto al mercato internazionale (il Rome Delivery Center), l'istituzione di « business unit» che aggredissero con più efficacia il mercato, la valorizzazione dei cosiddetti « asset» aziendali, cioè quei prodotti che potevano essere «pacchettizzati» e venduti a più clienti, la riqualificazione del personale verso tecnologie più attuali (mobile, cloud, data analitics);
   il piano scritto sulla carta è tuttavia rimasto inattuato; il centro per la produzione di software a distanza si è limitato a fornire servizi a basso costo alla controllante IBM, le business unit praticamente sono rimaste dei fantasmi, solo teorica è rimasta la riqualificazione del personale che invece è stato ridotto di 156 unità attraverso licenziamenti;
   dalla comparazione dei costi aziendali sostenuti dal 2011 al 2015, con speciale attenzione al personale, emerge quanto segue:
    il costo del personale manageriale IBM assegnato a Sistemi Informativi è pari a 11.285.553,00 euro;
    i costi per dimissioni incentivate sono pari a 12.267.779,00 euro;
    il costo medio del personale non impegnato a discapito dell'utilizzo di consulenti esterni è di 24.111.715,38 euro;
    il costo per i consulenti esterni è 55.151.547,00 euro;
    l'investimento in formazione e riqualificazione professionale nel quinquennio per oltre 1.000 dipendenti è pari a 74.900,00 euro;
   nel descrivere le azioni messe in campo per il contenimento dei costi, l'azienda ha dichiarato che negli anni 2013, 2014 e 2015 avrebbe posto in essere azioni per il ridimensionamento del ricorso a personale esterno, mentre appare evidente all'interrogante che i risparmi sono stati fatti sulla qualificazione professionale dei dipendenti;
   tuttavia, il bilancio del 2015, presentato in maggio, è stato quasi portato in pareggio. Si è scesi dai quasi 4 milioni di rosso del 2014 a circa 118 mila euro del 2015. Sono calati i ricavi, come si dice nelle motivazioni della procedura di licenziamento collettivo, ma sono calati anche i costi, soprattutto quelli «generali», non ben specificati nel bilancio stesso –:
   se il Ministro interrogato reputi necessario assumere iniziative per la convocazione di un tavolo di confronto tra i lavoratori e i vertici aziendali, al fine di trovare soluzioni meno traumatiche in termini occupazionali, quali ad esempio l'applicazione di contratti di solidarietà;
   se il Ministro non intenda adoperarsi, per quanto di competenza, affinché Sistemi Informativi attui un piano di rilancio aziendale volto a salvaguardare gli 800 lavoratori ancore impiegati presso l'azienda. (4-13892)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un sopralluogo dell'interrogante nell'ospedale San Giuseppe di Isili al fine di accertare la situazione denunciata dal Comitato per la salvaguardia della struttura sanitaria è stato constatato quanto segue:
    il piano della struttura sanitaria dedicato alle sale operatorie, il cui accesso risultava libero e senza alcun tipo di controllo, risultava gravemente manomesso con danneggiamento aggravato dell'intera struttura edilizia, elettrica e funzionale;
    appariva evidente da una verifica dettagliata che la struttura era stata pesa di mira da un vero e proprio raid teso a distruggere e rendere inutilizzabile la struttura stessa;
    le pareti delle sale operatorie risultavano gravemente danneggiate in seguito ad evidenti colpi violenti inferti sulle pianelle sanitarie con l'evidente obiettivo di rendere del tutto inaccessibile e inutilizzabile le sale;
    con evidente intendimento di rendere inutilizzabile la struttura sono stati violentemente divelti gli impianti elettrici e idrici della struttura sanitaria;
    a testimoniare il raid sono immagini di dettaglio dalle quali si evince la gravità dell'atto compiuto da persone non identificate che si sono introdotte all'interno della struttura, a quanto consta all'interrogante, senza nessun esplicito e documentato mandato;
    la struttura, come si può evincere dalle stesse immagini, contiene ancora apparecchiature di pertinenza delle due sale operatorie smantellate e sono presenti pacchi di guanti, mascherine e indumenti in quantità considerevole legati all'attività chirurgica;
    non è dato sapere chi abbia operato in tale struttura e se gli stessi abbiano avuto qualsivoglia mandato e/o autorizzazione;
    risulta all'interrogante che diversi pazienti fossero in procinto di essere operati quando è stato comunicato agli stessi che la sala operatoria non era più disponibile;
    da dichiarazioni raccolte risulterebbe che un paziente avesse già avuta inserita la canuta preoperatoria e che la stessa sia stata rimossa a seguito di tale evento;
    ad oggi la struttura operatoria risulta totalmente inutilizzabile e distrutta sotto ogni punto di vista;
    alcuni pazienti in attesa di interventi vengono dunque frettolosamente allontanati dal presidio e indirizzati verso plessi più remoti;
    in questo quadro di caotica incertezza si aggrava la posizione di coloro che, in funzione delle patologie diagnosticate, si sarebbero avvalsi non solo dei servizi di chirurgia in quanto tali, ma anche di tutte quelle figure professionali che insistevano nel reparto e che vengono ora messe in standby in seguito alla sospensione;
    ai pazienti dializzati per l'applicazione della fistola, viene negato il servizio, interrompendolo, sino ad allora prontamente fornito; tali pazienti ora si vedono costretti a raggiungere Muravera o Cagliari, con aggravio di costi e disagi e di fatto la negazione del diritto ai livelli essenziali di assistenza;
   a questo già di per sé grave atto che si configura come una grave interruzione di un pubblico servizio, con l'aggravante dell'interruzione di un servizio sanitario di primaria importanza, si aggiunge che tale oggettiva situazione risulta essere, secondo l'interrogante, il fatto di scelte che hanno deliberatamente e in modo subdolo deciso la permanente interruzione del pubblico servizio;
   risultano evidenti atti, dichiarazioni, della struttura dirigenziale della Asl 8, tesi a negare il servizio sino a qualche mese fa puntualmente garantito e che risulta, invece, gravemente interrotto e negato;
   a supporto di tale affermazione l'interrogante è stato messo a conoscenza del fatto che la dirigenza della Asl 8 avrebbe deciso con proprio atto il trasferimento dei tre anestesisti dalla struttura di Isili a Cagliari salvo, poi, con aggravio rilevantissimo di costi, chiedere la disponibilità degli stessi medici anestesisti alla fornitura delle stesse prestazioni notturne nell'ospedale di Isili, questa volta sotto un regime economico ben più rilevante;
   risulta all'interrogante, per notizie assunte nel corso del sopralluogo, che le prestazioni del medico anestesista impiegato nelle ore notturne con una sorta di «distacco funzionale» sarebbero state remunerate con cifre che si aggirano sui 750 euro a notte;
   occorre accertare se solo uno dei tre medici ha accettato di fornire questa prestazione e se lo stesso abbia o meno rapporti diretti, di parentela o meno, con i vertici della Asl 8;
   tale grave ipotesi, se accertata, configurerebbe elementi ancora più rilevanti ai fini di un'interruzione di un pubblico servizio funzionale all'ottenimento di vantaggi o altro a favore di persone ben identificate;
   la chiusura delle sale operatorie che si ripercuote gravemente sul servizio generale del presidio ospedaliero si configura secondo l'interrogante come interruzione di un pubblico servizio anche e conseguentemente alla chiusura di fatto del reparto di chirurgia che risultava non solo in piena efficienza ma con importanti numeri di fruizione da parte dei pazienti;
   la chiusura di svariati reparti dal materno infantile alla chirurgia ha generato un grave danno alla popolazione del territorio e, considerato il grado di distanza e di isolamento dalla prima struttura sanitaria utile, un rilevante nocumento al primario diritto alla salute e alla vita;
   il perdurare dell'interruzione del pubblico servizio sanitario di primario intervento e di natura chirurgica, come era stato sempre dispensato dalla struttura ospedaliera, costituisce un vero e proprio rischio per l'intera comunità di Isili – Sarcidano – Barbagia di Seulo;
   in quest'ottica appare rilevante accertare la determinazione delle strutture gestionali della asl ed eventualmente dell'assessore regionale della sanità che potrebbero rendere permanente l'interruzione del servizio pubblico, considerato che intendono, secondo dichiarazioni pubbliche e atti amministrativi, disporre un appalto di lavori per il rifacimento di una sola sala operatorie per interventi di natura programmata, ovvero non in grado di far fronte a nessun tipo di urgenza chirurgica che si dovesse verificare nella struttura e quindi, e conseguentemente, a scapito di un'intera popolazione ricadente in area già gravemente condizionata;
   tale determinazione appare all'interrogante non solo funzionale a perseguire interessi diversi da quelli territoriali ma avrebbe costi gestionali rilevanti legati, per esempio, al trasferimento dei medici da altre strutture ospedaliere funzionalmente agli orari di chirurgia programmata;
   la repentina e maldestra chiusura delle sale operatorie e del reparto di chirurgia sono l'effetto immediato e più grave della dismissione in atto di servizi fondamentali per la sicurezza dei cittadini;
   la concretizzazione territoriale di quella che appare all'interrogante una evidente interruzione di pubblico servizio si manifesta in tutta la sua spregiudicatezza il 16 marzo 2016, allorquando la direzione della asl 8 decide con la delibera n. 252 la chiusura delle due sale operatorie del San Giuseppe di Isili, sollevando questioni inerenti a norme di sicurezza e agibilità degli impianti;
   la chiusura delle sale ha causato un effetto domino che genera l'interruzione grave del pubblico servizio legato al reparto di chirurgia gettando nel caos organizzativo anche il pronto soccorso con ulteriore aggravio sul piano dell'interruzione del pubblico servizio;
   la chiusura avviene repentinamente, senza preavviso pubblico e senza informativa immediata nei confronti di istituzioni e utenti;
   nel frattempo l'azienda comincia ad organizzare il trasferimento del personale precedentemente impiegato in chirurgia eliminando mansioni e servizi del laboratorio analisi;
   la chiusura di reparti e strutture chirurgiche genera il dilatarsi dei tempi di percorrenza per i pazienti, tempi che potrebbero risultare fatali per quegli utenti afflitti da acuzia grave, gestibile entro l'ora ma non oltre;
   i pazienti afflitti da malattie croniche non potrebbero più avvalersi di determinati supporti che soltanto la presenza di una chirurgia perfettamente funzionante potrebbe garantire;
   in assenza di opportune professionalità e supporti chirurgici anche il pronto soccorso rischierebbe di trasformarsi in un primo soccorso, a giudizio dell'interrogante con l'evidente interruzione di un pubblico servizio;
   recenti atti evidenziano, secondo l'interrogante, tutta la strumentalità delle motivazioni «tecniche» relative alla necessità di chiusura e ristrutturazione;
   è fondamentale, per tutta la filiera di servizi sanitari, il mantenimento in piena efficienza delle strutture ospedaliere richiamate, proprio per affrontare le urgenze di un territorio distante, isolato e remoto, e di tutti reparti operativi;
   il reparto di ostetricia-ginecologia venne impunemente smantellato senza lasciare nessun tipo di servizio e tantomeno fu attivato il servizio di assistenza meglio definito punto donna, dando luogo anche in questo caso a una rilevante interruzione di pubblico servizi –:
   se non ritenga il Ministro di acquisire elementi circa la situazione in atto che sembra caratterizzarsi per l'interruzione parziale e temporanea sino alla sua totale negazione di servizio pubblico di primaria e vitale importanza per la salute pubblica verificando, per quanto di competenza, che sia assicurato il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (5-09243)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Santa Lucia è un ospedale, inaugurato nel 2002, ad alta specializzazione di rilievo nazionale e i suoi servizi di assistenza medica sono insieme alla ricerca aspetto fondamentale della sua identità;
   nonostante l'importanza e il valore riconosciuto all'istituzione, la si trova in una situazione estremamente delicata, di cui si discute da anni, senza trovare una soluzione definitiva;
   il tema del destino della Fondazione torna periodicamente ad interessare anche i mezzi d'informazione, ed è necessario lavorare per una soluzione, evitando la crisi definitiva;
   tre scioperi sindacali negli ultimi due mesi e fornitori sempre più preoccupati di rientrare dai crediti da o la misura dei rischi di tenuta interna ed esterna dell'organizzazione, che da anni mette in campo tutte le proprie energie per continuare ad assicurare qualità delle cure e livelli di occupazione;
   la Fondazione resta punto di riferimento anche nazionale nell'ambito della neuro-riabilitazione, come dimostra il fatto che nell'anno 2015, la Fondazione ha effettuato 2011 ricoveri (ordinari e day hospital) e nei primi cinque mesi dell'anno 2016, 615 ricoveri (ordinari e day hospital);
   si osserva, inoltre, che la complessità dei pazienti ricoverati presso la Fondazione Santa Lucia continua a crescere secondo il calcolo oggettivo della Scala di Barthel e di altre scale funzionali;
   la scarsità dei finanziamenti pubblici non aiuta certo questa importantissima attività, così come rende difficile l'attività di ricerca, che insieme all'attività sanitaria costituisce il secondo ambito istituzionale di attività della Fondazione in qualità di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico. Nel periodo 2008-2015 i finanziamenti della «ricerca corrente», infatti, sono scesi del 28,6 per cento, nonostante la produttività scientifica della Fondazione sia salita nel medesimo periodo del 77,63 percento, secondo il calcolo dell’Impact Factor, standard di valutazione internazionale, utilizzato anche dal Ministero della salute;
   le molte richieste di ricovero che continuano a pervenire dimostrano, inoltre, che i cittadini, con i loro bisogni di salute, riconoscono alla Fondazione Santa Lucia qualità di eccellenza. I dati nazionali sull'attività di ricerca, che collocano la Fondazione nel gruppo delle tredici istituzioni che da sole realizzano il 50 per cento dell'intera produzione scientifica degli Irccs (otto di questi concentrati a Milano e in Lombardia !), confermano che la Fondazione è una risorsa, che non può andare persa;
   appare, quindi, necessario un intervento per evitare la chiusura della Fondazione con le gravissime conseguenze che si possono immaginare –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Ministro interrogato per assicurare i livelli di assistenza sanitaria, i profili occupazionali e la qualità della ricerca scientifica della Fondazione Santa Lucia. (4-13890)


   KRONBICHLER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale del lavoro di Bolzano con sentenza n. 10/2015 del 30 gennaio 2015 ha condannato la Croce Rossa Italiana (CRI) al pagamento di 100.844,51 euro favore di Christian Putzer, residente a Chienes (Provincia di Bolzano) ed ex dipendente della CRI a titolo di differenze salariali;
   la sentenza di primo grado è stata confermata dalla Corte di Appello di Trento con sentenza n. 11/2015 del 10 febbraio 2016, rigettando l'impugnazione proposta dalla CRI;
   con decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, il Governo ha regolato la riorganizzazione dell'Associazione italiana della Croce Rossa;
   con la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), articolo 1, comma 397, si stabilisce che: «Fino alla conclusione delle procedure di cui al presente comma non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive, atti di sequestro o di pignoramento presso il conto di tesoreria della CRI dell'Ente ovvero presso terzi, per la riscossione coattiva di somme liquidate ai sensi della normativa vigente in materia. Tutti gli atti esecutivi sono nulli»;
   così facendo sono state congelate tutte le azioni esecutive nei confronti della CRI dirette a conseguire i crediti già accertati giudizialmente a favore dei lavoratori, a giudizio dell'interrogante ledendo gravemente i loro diritti garantiti dalla Costituzione e creando gravi disagi agli stessi lavoratori e alle loro famiglie –:
   se in Ministro interrogato non intenda urgentemente porre rimedio e in che modo alla gravissima situazione sociale creatasi con il blocco degli atti esecutivi nei confronti della CRI;
   se non ritenga urgente assumere iniziative affinché possano essere fatti valere i diritti riconosciuti in sede giudiziaria ai lavoratori di cui in premessa, ripristinando così lo stato di diritto. (4-13891)


   NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LOREFICE e SPESSOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti di stampa nazionali e locali, in data 11 luglio 2016, una bambina, nata prematuramente su un traghetto che copre la tratta tra Carloforte, sull'isola di San Pietro, e Portovesme, una località nel sud della Sardegna, è morta poco dopo essere arrivata con un'ambulanza del 118 all'ospedale Sirai di Carbonia;
   la madre della bambina, una trentunenne di Lodi incinta di sette mesi che si trovava in vacanza a Carloforte, dopo aver avvertito i primi sintomi del parto prematuro, aveva chiesto assistenza ai medici del 118 in loco che le avevano consigliato di raggiungere l'ospedale di Carbonia e si era pertanto imbarcata su un traghetto della Delcomar verso Portovesme, partorendo poi sull'imbarcazione con l'aiuto di un'ostetrica presente a bordo. La neonata, giunta in condizioni molto gravi a Portovesme, dove erano stati attivati i soccorsi, è stata trasportata d'urgenza in ambulanza a Carbonia, nel più vicino ospedale, morendo di lì a poco;
   il servizio di elisoccorso, che ha lo scopo di offrire pronta assistenza specialistica sia a coloro che colpiti da un evento traumatico grave e/o rischioso per la propria sopravvivenza si trovino in un'area territoriale lontana dall'ospedale più idoneo, o difficilmente raggiungibile via terra per le caratteristiche geomorfologiche, sia ai pazienti per i quali il trasporto in ambulanza potrebbe determinare un ulteriore aggravamento delle condizioni cliniche, è allo stato attuale gestito attraverso una convenzione, rinnovata annualmente, sottoscritta dalla direzione generale della sanità e dalla direzione regionale per la Sardegna dei vigili del fuoco;
   attualmente l'unica base attiva per l'esercizio del servizio di elisoccorso sanitario presente in Sardegna è situata ad Alghero e i vigili del fuoco hanno in dotazione un solo elicottero;
   con deliberazione n. 23/6 del 29 maggio 2012 la giunta regionale della regione autonoma della Sardegna ha disposto il trasferimento all'azienda sanitaria di Lanusei della somma complessiva di euro 20.645.000 per lo svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento del servizio di elisoccorso regionale ai sensi del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e la realizzazione di due elibasi;
   la legge regionale n. 23 del 17 novembre 2014 ha previsto l'istituzione dell'azienda regionale dell'emergenza e urgenza della Sardegna (AREUS), preposta allo svolgimento dei compiti relativi all'emergenza-urgenza svolti dalle centrali operative 118 presso le aziende sanitarie, compreso il servizio di elisoccorso, nonché delle funzioni di coordinamento nel trasporto delle persone, anche neonati, degli organi e dei tessuti, di scambio e compensazione di sangue ed emocomponenti, ma oggi tali disposizioni ancora non hanno trovato applicazione e l'azienda AREUS non è operativa;
   con deliberazione n. 9/4 del 2 dicembre 2015 la giunta regionale della Sardegna ha stabilito di dare mandato alla direzione generale dell'azienda sanitaria locale di Lanusei di procedere alla stipula della convenzione-protocollo operativo con la direzione regionale per la Sardegna dei vigili del fuoco, valida per l'anno 2016, con le stesse modalità operative e la stessa forma di contributo per le spese di gestione del servizio espletato nell'anno 2015;
   ad oggi le procedure di gara per l'affidamento del servizio di elisoccorso regionale non sono state ancora messe in atto, nonostante i fondi messi a disposizione, e la convenzione citata è prorogata di anno in anno;
   per la Sardegna il servizio di elisoccorso assume un'importanza fondamentale per la tutela della salute dei cittadini, in modo particolare durante la stagione estiva, considerate le grandi difficoltà che si incontrano per raggiungere via terra i poli sanitari dei maggiori centri della regione a causa delle pessime condizioni in cui versa la rete stradale dell'isola;
   tale situazione è di enorme gravità, in quanto, ad avviso degli interroganti, il diritto alla salute dei cittadini che vivono o che trascorrono le vacanze in Sardegna non è pienamente garantito. Appare, pertanto, non più procrastinabile l'attuazione di quanto previsto dalle disposizioni regionali citate, vale a dire lo svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento del servizio di elisoccorso e la realizzazione delle due elibasi –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare il pieno rispetto dei livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute a tutti i cittadini alla luce delle criticità sopra esposte nonché delle peculiarità geografiche e della connotazione insulare della Sardegna. (4-13896)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'introduzione delle zone franche urbane è avvenuta in Italia attraverso la legge finanziaria del 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296 articolo 1, commi da 340 a 343). Le zone franche urbane sono aree infra-comunali di dimensione minima prestabilita dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per la creazione di piccole e micro imprese, che hanno come obiettivo quello di favorire lo sviluppo economico sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale;
   la legge finanziaria del 2007 è stata successivamente modificata ed integrata dalla legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007, articolo 2, commi da 561 a 563), che ha finalizzato l'istituzione delle zone franche urbane all'obiettivo di «contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l'integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale»;
   in attuazione della legge istitutiva delle zone franche urbane, il Cipe, con delibera 30 gennaio 2008, n. 5, ha provveduto a definire i criteri e gli indicatori per l'individuazione e la delimitazione delle zone franche urbane delineando una procedura alla quale hanno concorso le amministrazioni comunali, regionali e il dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero dello sviluppo economico;
   con la medesima delibera sono state altresì individuate 22 zone franche urbane collocate nella maggior parte nel Sud d'Italia prevedendo agevolazioni fiscali e previdenziali per rafforzare la crescita imprenditoriale e occupazionale nelle piccole imprese di nuova costituzione ivi localizzate. Tali agevolazioni, della durata di 5 anni, consistono in esenzione dalle imposte sul reddito, esenzione dall'Irap, Ici ed esonero dal versamento dei contributi previdenziali;
   in Italia, dal recente e attuale dibattito sulle zone franche urbane sta emergendo sempre di più l'esigenza da parte di numerose amministrazioni di usufruire di forme di fiscalità di vantaggio territoriale per la crescita ed il rilancio di territori non urbani ma non per questo meno bisognosi di interventi;
   la complessità dei problemi legati allo spopolamento di campagne e montagne, alla concentrazione dei servizi ai cittadini, alle imprese ed alla trasformazione del mondo agricolo, e nel contempo, le potenzialità di sviluppo proprio dell'Italia, del suo artigianato, della sua tradizione enogastronomica, della sua agricoltura, inducono ad una riflessione sulla sperimentazione, anche in questo ambito, di uno strumento finora destinato solo ai quartieri delle città;
   gli esempi di altre nazioni europee possono essere illuminati, infatti, in Francia nel 1995 sono state istituite le zones de revitalisation rurale comprendenti comuni con un basso numero di abitanti, con scarsa popolazione attiva e con vocazione agricola. Al loro interno si attuano misure fiscali agevolative di varia tipologia, interventi pubblici a sostegno e in sussidio dell'iniziativa privata per la conservazione delle attività agricole e lo sviluppo di artigianato e agriturismo, con lo scopo di favorire i territori svantaggiati dalla distanza, dalla collocazione geografica e dalla incapacità di attrarre sviluppo;
   in Belgio, in particolare nella regione vallone, sono state istituite da alcuni anni le zone franche locali (cosiddette zones franches rurales) anche in territori extraurbani in comuni caratterizzati da scarsa densità abitativa, problemi di isolamento, difficoltà socio-economiche, criticità in tema di servizi essenziali, di disoccupazione, di reddito medio dichiarato, soggetti svantaggiati e condizioni abitative precarie;
   va inoltre ricordato che la Commissione europea ha constatato come la creazione di questi nuovi soggetti non incida sulla concorrenza in maniera sproporzionata, godendo di un regime di esenzioni fiscali;
   l'Appennino rappresenta intrinsecamente una condizione di vita difficile per i propri abitanti, per l'orografia accidentata, per i trasporti e le comunicazioni; risulta quindi necessario approfondire le problematiche istituzionali e finanziarie del «sistema montagna» al fine di poter giungere alla definizione degli aspetti di coesione territoriale e quindi di poter sviluppare politiche mirate per i territori montani;
   con il decreto-legge 19 giugno 2015, n.78, recante «Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali», all'articolo 12, vengono istituite le zone franche in Emilia nei territori colpiti dall'alluvione del 2014 e nei comuni colpiti dal sisma del 2012 prevedendo notevoli agevolazioni per le imprese presenti in quei territori. Considerato che alla fine del 2015, nel comune di Mirandola (MO), la direzione dell'Agenzia delle entrate ha già preparato il codice di disciplina ed adempimenti è senz'altro necessario sensibilizzare amministratori e politici a livello comunale, regionale e nazionale sulla necessità che anche questi provvedimenti vengano presi, al più presto, per le terre alte;
   alla luce di quanto sopra espresso emerge la necessità di provvedere all'istituzione di zone franche montane, simili a quelle urbane, nelle zone dell'Appennino emiliano, al fine di dare una risposta alle problematiche che penalizzano il territorio delle terre alte, quali la carenza e insufficienza di infrastrutture, il dissesto idrogeologico che interferisce con la viabilità primaria e secondaria, lo spopolamento demografico per la mancanza di occupazione giovanile, l'abbandono delle attività pastorali che hanno generato riforestazione incontrollata di pascoli e terreni, il degrado del patrimonio edilizio rurale nonché la carenza di servizi alle imprese –:
   se il Governo intenda adottare ogni iniziativa volta all'istituzione delle zone franche montane, nelle aree dell'Appennino emiliano, e quali iniziative intenda intraprendere al fine di garantire le agevolazioni e gli incentivi previdenziali e fiscali in grado di attrarre gli investimenti di capitale e sostenere le imprese con benefici per l'occupazione. (4-13884)

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente n. 5-08144, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 591 del 16 marzo 2016.

   SIMONE VALENTE, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, D'UVA, VACCA, DAGA e BARONI.— Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 17 febbraio 2016 presso il Palazzo dei Congressi in Roma si è tenuta la presentazione del progetto di candidatura ai Giochi Olimpici e Paralimpici del 2024; in occasione dell'evento organizzato dal Comitato promotore Roma2024 e dal Coni è stato annunciato un budget previsionale di spesa pari a circa 5,3 miliardi di euro, uno dei più bassi nella storia dei Giochi Olimpici e frutto di un taglio considerevole che però non ha incluso nel computo degli interventi da effettuare le infrastrutture, le metropolitane, gli aeroporti e le spese relative al turismo;
   il Comitato promotore ha sviluppato per l'occasione un piano finanziario preliminare che verrà via via maggiormente dettagliato nei prossimi mesi, prevedendo dei costi relativamente bassi dato che circa il 70 per cento dei luoghi risulta già disponibile molti di questi non richiedono almeno all'apparenza costi di ristrutturazione; al momento sono state individuate due macrovoci di spesa: da una parte si prevedono circa 2,1 miliardi di euro per la realizzazione del villaggio olimpico di Tor Vergata (che si trasformerà in un campus universitario), per un'arena destinata al ciclismo, per il parco naturalistico, per il recupero dello Stadio Flaminio (oggi in totale abbandono) e infine per il completamento delle famose Vele di Calatrava. Dall'altra parte, 3,2 miliardi di euro serviranno per i costi temporanei relativi all'organizzazione e gestione dei Giochi e per le strutture rimovibili;
   da quello che si deduce leggendo la relazione del Comitato, il budget operativo è stato definito considerando i contributi del Comitato olimpico internazionale, i contratti di sponsorizzazione, la vendita dei biglietti, i dati ricavati da precedenti eventi internazionali avvenuti in Italia (come i Giochi olimpici invernali di Torino 2006), nonché l'analisi di impatto economico di eventi olimpici delle precedenti edizioni come Atene 2004, Pechino 2008 e Londra 2012;
   sempre dal report predisposto dal Comitato, si rileva che esso sta attualmente collaborando con il Governo, le più importanti aziende italiane, le associazioni industriali, gli istituti finanziari e le principali banche nazionali per individuare e definire le soluzioni strategiche migliori che includono fonti di finanziamento privato e soluzioni di finanziamento innovative favorendo lo sviluppo di una partnership pubblico-privata in particolare per tutti quegli investimenti che richiedono maggiori impegni di spesa;
   come si evince dal punto «Q71» del programma, il Comitato beneficerà anche della collaborazione di ANAC nell'attuazione dei meccanismi di controllo sugli affidamenti e le procedure di gara per garantire la piena trasparenza e il rispetto di tempi e costi;
   anche nel settore dell'istruzione il Comitato ha creato rapporti con la rete d'istruzione regionale coinvolgendo studenti della scuola primaria e secondaria e favorito una cooperazione con le maggiori università pubbliche e private di Roma, in particolare l'università di Tor Vergata e le università prestigiose delle altre città italiane come la Bocconi di Milano o il Politecnico;
   sul piano della viabilità è stato anche predisposto un progetto generale per ridurre la congestione e migliorare le condizioni del traffico, promuovendo l'uso del trasporto pubblico collettivo e quattro nuovi ponti sul Tevere previsti allo scopo di migliorare la connettività promuovendo modalità di trasporto più sostenibili;
   in riferimento al quadro normativo dal quale ha preso il via l'attività del Comitato Roma 2024, risulta indispensabile menzionare la legge di stabilità 2016 che ha conferito al Coni un contributo pari a 2 milioni di euro per il 2016 e 8 milioni per il 2017 in favore delle attività del Comitato promotore per le Olimpiadi di Roma 2024 e il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185 (cosiddetto decreto Giubileo) che ha inserito tra le finalità del «Fondo Sport e Periferie» le attività degli interventi volti alla presentazione e alla promozione della candidatura di Roma per le Olimpiadi 2024 (per il 2014 si parla di una dotazione pari a 20 milioni di euro; nel 2016 sono stati disposti 50 milioni di euro e per concludere nel 2017 con la somma pari a 30 milioni di euro);
   tuttavia, occorre sottolineare come al di là delle premesse sopra esposte contenenti i punti caratterizzanti il programma, ciò che non convince è proprio il taglio che è stato dato al progetto che non ha tenuto debitamente conto di quella moltitudine di interventi accessori imprescindibili per la realizzazione e la buona riuscita dell'evento;
   assai evidente come negli ultimi 50 anni i budget presentati dalle città in sede di candidatura olimpica sono stati puntualmente sforati: le spese effettive sono sempre lievitate rispetto alle previsioni iniziali con pesanti e drastiche conseguenze sulle tasche dei cittadini;
   sussiste un fondato timore che le Olimpiadi costeranno certamente di più così come sta accadendo attualmente in Brasile dove si rileva un eclatante ritardo nella ultimazione dei lavori e il progetto da poco presentato per Roma 2024 non è poi molto diverso da quello illustrato durante il Governo Monti quando l'Italia era in corsa per l'edizione del 2020. A quei tempi il budget totale prevedeva un impegno di spesa pari a circa 13 miliardi di euro, ma comprendeva tutte le spese comprese quelle relative al turismo (3 miliardi), viabilità e infrastrutture (4,4 miliardi) mentre i costi secchi di organizzazione e impianti sportivi ammontavano a 5,3 miliardi di euro;
   si teme un possibile sforamento del budget di circa il 35 per cento (e nello specifico si tratta di circa 1,3 miliardi di euro). Stesso discorso va fatto anche per quanto concerne i possibili benefici economici tratti dalla manifestazione: si prevede una crescita del prodotto interno lordo dello 0,4 per cento all'anno nel periodo di cantiere dal 2017 al 2024 ma circoscritto solo alla regione Lazio e non a tutto il Paese;
   si tratta di dati del tutto poco convincenti e che non escludono il possibile rischio di una eccessiva e rovinosa esposizione finanziaria italiana –:
   quante risorse serviranno realmente per la realizzazione dell'evento olimpico qualora sarà l'Italia ad aggiudicarsi la candidatura, con specifico riferimento al budget di spesa ritenuto necessario per effettuare interventi infrastrutturali per la viabilità, il trasporto, la linea metropolitana, gli aeroporti e il turismo;
   a quanto ammonti la spesa sostenuta per l'evento di presentazione del dossier Roma 2024 e chi sia il soggetto incaricato dell'organizzazione nonché della gestione dell'evento tenutosi nel mese di febbraio 2016; a quanto ammonti nel dettaglio la spesa complessiva finora sostenuta dal Comitato promotore Roma2024 per sostenere e implementare le attività finalizzate alla candidatura, con particolare riferimento al piano delle singole voci di spesa. (5-08144)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Micillo n. 4-13833, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 656 del 18 luglio 2016.

   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con l'ormai noto termine «terra dei fuochi» si intende quella vasta area che comprende un territorio di oltre 1000 chilometri quadrati all'interno del quale sono situati oltre 50 comuni facenti parte della provincia di Napoli e Caserta. All'interno di tale area vivono oltre 2 milioni e mezzo di persone;
   il fenomeno dello smaltimento di rifiuti, spesso speciali, attraverso l'incendio degli stessi, è oggi, più che mai, diffuso e oltremodo frequente;
   i cumuli di rifiuti infatti continuano ad essere riversati nelle campagne e ai margini delle strade per poi essere dati alle fiamme;
   la combustione di rifiuti, sia urbani che speciali, continua a produrre fumi e detriti pericolosi per la salute dei cittadini che vivono nelle zone interessate; la diossina e le diverse sostanza tossiche sprigionate dai numerosi roghi che è possibile avvistare ogni giorno raggiungono livelli preoccupanti. Un siffatto inquinamento è molto pericoloso, in quanto tali sostanze tossiche penetrano la catena alimentare attraverso gli animali da allevamento per poi raggiungere anche l'uomo;
   gravi, come ben si sa, sono le ripercussioni di immagine e conseguentemente economiche per le aziende agroalimentari del territorio;
   con il decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013, entrato in vigore il 10 dicembre 2013, decreto-legge convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 8 febbraio 2014, n. 32, il Governo ha introdotto il reato di combustione illecita dei rifiuti ed ha cercato di arginare il preoccupante fenomeno;
   l'11 luglio 2013 è stato siglato il cosiddetto «patto per la terra dei fuochi» finalizzato proprio ad arginare il fenomeno di cui sopra; firmatari di tale patto sono stati regione Campania, provincia di Napoli, provincia di Caserta, prefettura di Napoli, prefettura di Caserta, Anci Campania, comuni della provincia di Napoli (Acerra, Afragola, Caivano, Calvizzano, Casandrino, Casalnuovo di Napoli, Casoria, Cercola, Crispano, Frattamaggiore, Frattaminore, Giugliano in Campania, Marano, Marigliano, Melito di Napoli, Mugnano, Napoli, Nola, Palma Campania, Pomigliano d'Arco, Qualiano, Roccarainola, Sant'Antimo, San Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Terzigno e Villaricca) comuni della provincia di Caserta Agro Aversano (Aversa, Carinaro, Casaluce, Casal di Principe, S. Marcellino, Lusciano, Trentola Ducenta, Frignano, San Cipriano di Aversa, Gricignano di Aversa, Cesa, Teverola; Litorale Domitio: Castelvolturno, Mondragone, Villa Literno), comuni della zona atellana (Orta di Atella, Sant'Arpino Succivo); Arpa campania, asl Napoli 1, asl Napoli 2, asl Napoli 3, asl Caserta, compartimento Anas, FAI – Fondo Ambiente Italia, Guardie ambientali d'Italia, Legambiente Campania, ISDE Medici per ambiente ed un delegato del Ministro dell'interno per roghi rifiuti;
   è notizia recente che, proprio in relazione al patto per la terra dei fuochi, è arrivato il «via libera» definitivo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della regione con cui vengono stanziati sette milioni e cinquecento mila euro a favore di molti comuni all'interno del territorio della terra dei fuochi. I comuni interessati dal finanziamento sono i seguenti: Giugliano, Parete, Villaricca e Melito (1 milione di euro), Caivano e Crispano (500 mila euro), Frattamaggiore e Sant'Antimo (499 mila euro), Saviano e Nola (399 mila euro), Marigliano, Brusciano, Castello di Cisterna e Mariglianella (728 mila euro), Marano (250 mila euro), Striano, San Giuseppe Vesuviano, Palma Campania e Somma Vesuviano (505 mila euro), Afragola (249 mila euro), Casalnuovo e Pomigliano d'Arco (249 mila euro), Qualiano e Calvizzano (499 mila euro), Mugnano (30 mila euro), Villa Literno (30 mila euro), Casandrino (30 mila euro), Castelvolturno e Mondragone (470 mila euro), Aversa (30 mila euro), Villa di Briano (30 mila euro), Orta di Atella (30 mila euro), Casamarciano (30 mila euro), Terzigno (30 mila euro), Sant'Arpino (30 mila euro), Casal di Principe, San Cipriano e Casapesenna (90 mila euro), Caserta e Maddaloni (340 mila euro), Napoli (30 mila euro), Carinaro e Scisciano (60 mila euro), Cesa (121 mila euro), Trentola Ducenta e San Marcellino (495 mila euro), Casaluce (30 mila euro), Acerra (30 mila euro), Casoria (30 mila euro), Cercola (31 mila euro);
   i fondi stanziati a favore dei comuni interessati risultano tuttavia non sufficienti. Si tratta infatti di poco più di 7 milioni di euro per più di 50 comuni del Napoletano e del Casertano che sono fortemente interessati, da molti anni, da un inquinamento senza pari. Vi sono inoltre dei dati che lasciano davvero perplessi come il caso del comune di Acerra il quale, a fronte di una richiesta di 248 mila euro ha ottenuto solo 30 mila euro, il minimo stabilito dalla regione. Altro dato che lascia allibiti è la cifra destinata alla città di Napoli a fronte dei 250 mila euro richiesti ne sono stati stanziati appena 30 mila;
   il 12 luglio 2016 si è tenuto, presso la prefettura di Napoli, negli uffici della protezione civile, l'incontro tra una delegazione del Movimento 5 Stelle composta dal primo firmatario del presente atto, le senatrici Paola Nugnes (Commissione ambiente e Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati) e Vilma Moronese (Commissione permanente territorio, ambiente, beni ambientali), Vincenzo Viglione (consigliere regionale M5S in Commissione ambiente, energia e protezione civile della regione Campania), Rosalba Rispo (portavoce consigliere M5S Parete), Gennaro Cozzolino (portavoce consigliere M5S Ercolano) da un lato, e il viceprefetto Donato Cafagna, Commissario antiroghi in Campania ed il Commissario di Governo per le bonifiche Mario De Biase, dall'altro lato. Durante tale incontro sono emerse tutte le criticità che ancora affliggono quel territorio campano;
   per monitorare la situazione in cui versa la terra dei fuochi, non si può fare riferimento esclusivamente al dato fornito dal personale dei vigili del fuoco, in quanto questi ultimi riportano esclusivamente i roghi che vengono da loro sedati. Spesso e volentieri, infatti, capita che i vigili del fuoco, come nel caso in cui vengano appiccati più roghi all'interno di uno spazio ristretto ed a distanza di poco tempo l'uno dall'altro, non fanno in tempo a sedare più roghi contemporaneamente. Dato, questo, che deve ovviamente essere relazionato con la circostanza che il personale impegnato per lo spegnimento dei roghi tossici è carente dal punto di vista numerico e non congruo con quella che è la portata del problema che affligge il territorio. Così come non è frequente il caso che i roghi si spengano senza l'intervento del personale specializzato e quindi il rogo non viene registrato; il 18 luglio 2016 in una zona periferica di Napoli, grossomodo all'altezza del complesso lkea, si è verificato uno degli incendi più gravi del 2016. Il rogo ha interessato il campo rom di contrada Salice tra i comuni di Afragola e Casoria. Sono stati interessati principalmente baracche, pneumatici e rifiuti vari che erano presenti nel campo. Alcune persone di etnia rom hanno riferito al personale di Polizia di aver visto uomini non meglio identificati scendere da un furgone bianco per spargere benzina sui rifiuti poco prima del rogo. L'incendio era talmente vasto che è stato possibile vedere la colonna di fumo nero a diversi chilometri di distanza e la puzza di copertoni bruciati ha raggiunto il centro di Napoli con tutto il suo carico di impurità (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it);
   i militari che attualmente sono impegnati nella lotta ai roghi non sembrano bastare per arginare l'ormai triste frequente fenomeno;
   da notizie di stampa risulta che attualmente sono circa 200 i militari dell'Esercito impegnati nelle province di Napoli e Caserta nell'operazione «Terra dei Fuochi», 200 uomini divisi in 48 pattuglie sulle aree a maggiore rischio di incendi di rifiuti abbandonati. Al momento, nell'operazione sono impegnati i militari del reggimento «Guide», un reparto di stanza a Salerno, inquadrato nella brigata «Garibaldi», dipendente dalla divisione «Acquì», (http://www.ilmattino.it);
   la città di Giugliano in Campania sembra essere una delle più colpite dal fenomeno dei roghi tossici estivi. Nella prima decade di luglio 2016 è stata la zona Asi a bruciare a pochi passi dalla Resit. Quello che fa più paura e rabbia ai cittadini è il vedere – e soprattutto «sentire bruciare» proprio quell'area che è stata oggetto di tante denunce (http://www.teleclubitalia.it) –:
   se il Governo sia a conoscenza dello stato attuale in cui versa il territorio della terra dei fuochi;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere per arginare il fenomeno sopra descritto e per tutelare la salute dei cittadini che abitano la zona, nonché la salute dei cittadini tutti;
   quali iniziative si intendano intraprendere per aiutare gli operatori economici del settore agroalimentare che vengono danneggiati dalla situazione sopradescritta;
   di quali dati ufficiali siano in possesso relativamente al fenomeno dei roghi tossici che, ormai quotidianamente, vengono accesi nella zona della terra dei fuochi;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere al fine di potenziare e rendere maggiormente efficiente il personale impegnato nel sedare i roghi tossici che interessano il territorio in questione;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere al fine di prevenire il fenomeno della combustione dei rifiuti all'interno del territorio della «terra dei fuochi»;
   quali tempi vi siano in ordine all'effettiva messa a disposizione dei fondi di cui in premessa in favore dei comuni della «terra dei fuochi»;
   se intendano assumere iniziative per stanziare ulteriori fondi a favore dei comuni della «terra dei fuochi» dal momento che le cifre erogande sono non sufficienti;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per arginare il fenomeno sopra descritto in considerazione del fatto che i roghi, sono, il più delle volte, di origine dolosa. (4-13833)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-09175 del 14 luglio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Duranti n. 4-13851 del 19 luglio 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Piso n. 3-01336 del 4 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13894;
   interrogazione a risposta in Commissione Baruffi n. 5-07619 del 3 febbraio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02417;
   interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-08103 del 14 marzo 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13900;
   interrogazione a risposta in Commissione Vito n. 5-08418 del 19 aprile 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02416;
   interrogazione a risposta scritta Laffranco n. 4-13306 del 25 maggio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02414;
   interrogazione a risposta scritta Andrea Maestri n. 4-13381 del 7 giugno 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02415;
   interpellanza Marti n. 2-01399 del 21 giugno 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13895.

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza urgente Santelli e Occhiuto n. 2-01434 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 657 del 19 luglio 2016. Alla pagina 39833, seconda colonna, alla riga quarantatreesima, sostituire la cifra «55» con la cifra «59».