Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 19 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le origini dell'area industriale di Marghera risalgono al periodo della prima guerra mondiale e del secondo dopoguerra, quando venne impostato un piano di insediamenti produttivi, chimici, petroliferi e metallurgici, sul margine imbonito della laguna. Il complesso di industrie di trasformazione di base avrebbe utilizzato le materie prime trasportate via nave dall'estero e conferite direttamente al porto lagunare di recente costruzione. Fu la società Porto Industriale, costituita nel 1920, a sviluppare le infrastrutture per il porto industriale ed il porto commerciale, i raccordi ferroviari e stradali necessari al trasporto di merci e materie prime dirette alla lavorazione;
    nel 1922 venne completato l'escavo del Canale di Grande Navigazione che allaccia Marghera alla Marittima ed in quel periodo anche l'escavazione del Canale industriale nord risulta quasi completata. Si insediarono inizialmente industrie di base che lavoravano materie prime povere, poi vennero realizzati impianti di distillazione del carbon fossile e produzione di vetro di lastre, produzione di acido solforico, di fertilizzanti fosfatici, di prodotti anticrittogamici, un cantiere navale, una raffineria ed una serie di depositi di oli minerali;
    a partire dagli anni ‘30 si sviluppò l'industria metallurgica e dei materiali non ferrosi e venne realizzato un grande impianto per la produzione dell'ammoniaca sintetica per concimi azotati, a cui si aggiunsero stabilimenti alimentari. Nel 1935 Marghera disponeva inoltre della più potente centrale termica d'Italia. A fianco di queste attività si insediarono in quegli anni svariate produzioni minori ed imprese di servizi;
    gli stabilimenti industriali, colpiti durante i bombardamenti aerei, vennero ricostruiti nel secondo dopoguerra. Successivamente venne pianificato l'ampliamento della zona industriale nell'area che oggi viene chiamata Penisola della Chimica. Inoltre venne scavato il canale Malamocco-Marghera per allontanare dalla città di Venezia il percorso delle navi dirette al porto industriale, creando un nuovo terminale per il petrolio a sud, in prossimità della Bocca di Malamocco;
    quest'ultima zona industriale sorse in gran parte su aree sottratte alla laguna mediante interramento o rialzo del piano campagna, con l'impiego di rifiuti e scarti delle lavorazioni industriali e di materiali provenienti dallo scavo di canali. Essa accoglieva produzioni petrolchimiche, produzioni di carpenteria di precisione, centrali elettriche, raffinerie di oli alimentari;
    l'occupazione dell'area aumentò rapidamente e parallelamente crebbe la popolazione nelle località della terraferma veneziana afferenti la zona industriale;
    all'inizio degli anni sessanta nell'area si contavano 200 aziende, con circa 35 mila addetti ed oltre 7 milioni di tonnellate/anno di merci in transito per il porto industriale;
    in quegli stessi anni si approntarono i piani per la realizzazione di una terza zona industriale a sud della penisola della chimica di superficie doppia rispetto a quella impiegata fino ad allora dagli stabilimenti;
    tale ultima zona industriale non fu realizzata concretamente, se non per gli insediamenti in località Fusina, a causa della ridotta espansione industriale negli anni ‘60 e ‘70. Questa inversione di tendenza si consolidò nei primi anni ‘80 e fu seguita da un lungo periodo di relativa stagnazione con problemi di ordine occupazionale ed ambientale;
    negli ultimi decenni, pur essendo mutati gli assetti societari delle grandi imprese presenti a Marghera, le società legate alla lavorazione del petrolio e dei suoi derivati, dei fertilizzanti, dei metalli e dei prodotti chimici hanno proseguito la propria attività. Tuttavia, le modifiche degli assetti produttivi, con le conseguenti chiusure e ristrutturazioni aziendali, con le variazioni di processi industriali e la contrazione delle attività di ricerca e di sviluppo, hanno comportato un calo occupazionale sostanziale;
    oggi Porto Marghera, una delle più grandi zone industriali costiere d'Europa, si estende su una superficie complessiva di oltre 2000 ettari dei quali 1.400 occupati da attività industriali, commerciali e terziarie, circa 350 sono occupati da canali navigabili e bacini, 130 riservati al porto commerciale ed il restante suolo occupato da infrastrutture stradali, ferroviarie e servizi;
    il polo industriale veneziano ha vissuto nell'ultimo decennio una profonda trasformazione con numerosi processi di ristrutturazione e di riconversione produttiva, ma ha anche subito gravi crisi accompagnate da dismissioni di impianti produttivi, come la Dow Chemical, la Sirma, Montefibre e la Vinyls;
    in questo momento Porto Marghera, pur avendo la forte vocazione industriale e portuale, presenta un tessuto imprenditoriale molto diverso rispetto a quello che ha contrassegnato il modello di sviluppo del secolo scorso che comprende funzioni e specializzazioni diverse ed un'imprenditoria sempre più differenziata che include nuove categorie di attività e nuove professionalità;
    la distribuzione per classe dimensionale delle imprese rilevate presenta un profilo molto comune alla struttura produttiva italiana, con la concentrazione massima di aziende nella classe delle piccole e medie imprese. Il 92 per cento, peraltro, impiega meno di 50 addetti;
    la Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha evidenziato, nel 2016, elementi critici nella vicenda Venezia-Porto Marghera che influiscono negativamente proprio sulle prospettive di reindustrializzazione dell'area. Infatti, lo stesso organo ha rilevato che l'incongruità della parcellizzazione delle competenze nell'esecuzione delle opere di marginamento e rifacimento delle sponde delle macro-isole lagunari, suddivisa tra il provveditorato la regione Veneto e l'autorità portuale, (pur essendo gli oneri economici a carico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), ha portato al mancato completamento delle opere indispensabili e all'indebolimento delle strutture già realizzate. Inoltre, le conclusioni della stessa Commissione rilevano che il mancato completamento dei marginamenti e del sistema di depurazione delle acque di falda rischia di far disperdere gli oneri sostenuti con risorse pubbliche e di vanificare i progetti di reindustrializzazione, avviato con il masterplan delle bonifiche del 2004, il riconoscimento nel 2010 di questa realtà quale area di crisi complessa, l'accordo di programma del 16 giugno 2012 e nonostante l'impegno economico dello Stato, poiché la bonifica costituisce il presupposto ineludibile dell'insediamento di nuove attività produttive e dello sviluppo di quelle esistenti. Infine, evidenzia come i riflessi negativi della debolezza dell'azione amministrativa, quando non si era in mancanza di una visione strategica di rilancio, compromettano il rapporto auspicabile tra bonifica e riuso a finalità produttive del sito d'interesse nazionale;
    è da sottolineare come, in passato, comune, provincia e regione abbiano assistito al declino di questa importante area senza intervenire concretamente con azioni mirate ed idonee a sviluppare questo importante polo. In particolare, sono mancati gli elementi necessari sotto il profilo economico e strategico per implementare questa strategica area. Inoltre, non si è proceduto ad avviare uno sviluppo urbano coerente, proponendo una fiscalità di vantaggio e strumenti urbanistici idonei a favorirne una riqualificazione;
   oggi la nuova amministrazione comunale e la città metropolitana hanno dichiarato la riqualificazione di porto Marghera una priorità strategica. Infatti, sino ad oggi, le istituzioni non hanno approntato in modo compiuto e concreto le problematiche inerenti a quest'area fondamentale per lo sviluppo della Regione Veneto e del nostro Paese; inoltre assistiamo a una forte debolezza da parte del sistema politico istituzionale nel sostenere le azioni concordate e condivise con il PRRI (piano di riqualificazione e riconversione industriale);
    pertanto, per essere rilanciata Porto Marghera ha di fronte due prospettive che, anche se differenti per contenuti e per tempi di realizzazione e ricadute in termini di occupazione ed indotto, ne possono assicurare uno sviluppo economico;
    la prima consiste nel potenziare la prospettiva portuale, logistica ed industriale che il polo ha sviluppato come vocazione e che può rapidamente concretizzarsi. In questo caso le istituzioni competenti dovrebbero completare le bonifiche evitando gli errori del passato e sviluppando un adeguato monitoraggio della situazione in un quadro regionale di controllo;
    risulta poi indispensabile conservare la presenza industriale sostenendo le imprese esistenti e potenziare l'offerta integrata a costi sostenibili di utility e servizi industriali alle imprese che intendano insediarsi nell'area. Come vanno rispettati gli accordi e avviati gli investimenti, convenuti tra aziende (Eni in modo particolare) e le organizzazioni sindacali per la realizzazione di impianti di chimica verde e per lo sviluppo della green economy;
    è necessario, altresì, verificare attentamente il progetto del porto off-shore in relazione alle prospettive di incremento e dell'attività portuale commerciale e le scelte infrastrutturali relatività Passeggeri;
    la seconda alternativa è quella di una totale riconfigurazione dell'area dove le attività industriali e portuali siano rimosse e possano svilupparsi insediamenti residenziali e turistici;
    in questo caso le istituzioni dovrebbero procedere rapidamente alle bonifiche tenendo conto che i parametri di disinquinamento sono molto più severi e quindi più onerosi, per le aree residenziali che per quelle industriali. Contemporaneamente, è necessario realizzare consolidamenti strutturali delle aree che consentano l'insediamento delle strutture edilizie di grande impatto che si intende realizzare e preparare piani di dismissione delle attività attuali contenendo l'impatto sociale di tali misure. Questa seconda ipotesi risulta senza dubbio più costosa sul piano sociale e richiede più tempo per la sua realizzazione, ma potrebbe, nel corso degli anni, produrre un significativo impatto economico per la terraferma e per l'economia veneta;
    va inoltre garantita la difesa del sistema ambientale, favorendo le politiche e le strategie previste dall'Unione europea e da tutti gli strumenti di pianificazione sovraordinata che impongono di tutelare l'acqua, l'aria e le biodiversità. Infatti, la necessità di tutela non deriva solo dalla fragilità del territorio, ma dalla convinzione che non possa esserci crescita senza rispetto delle risorse sulle quali essa si appoggia. Inoltre, la pesca e l'agricoltura sono delle risorse tipiche della laguna veneziana che meritano particolare attenzione ed incentivazione così come le attività produttive tradizionali quali, ad esempio, il vetro di Murano ed il merletto di Burano e di Palestri;
    è, altresì, fondamentale favorire lo sviluppo del sistema di accoglienza turistica in tutto l'ambito del comune di Venezia, soprattutto perché il turismo rappresenta per la città di Venezia, una componente fondamentale dell'economia locale,

impegna il Governo:

   a completare le bonifiche dell'area di Porto Marghera, come previsto, dalla legge n. 426 del 1998, quale sito ad alto rischio ambientale, la cui perimetrazione è stata definita dal decreto del Ministro dell'ambiente del 23 febbraio 2000, collocandola al primo posto nella lista dei siti di rilevanza nazionale, tenuto conto che sarebbe opportuno intervenire con misure adeguate, dando seguito a quanto previsto dall'accordo di programma del 16 aprile 2012 e al successivo decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 24 aprile 2013, adottando i decreti attuativi mancanti, che permettano un'azione di risanamento ambientale delle aree contaminate, mantenendo, in ogni caso, l'attività e la produzione delle imprese che vi operano e favorendone così le iniziative per una loro espansione-rilancio, oltre a puntare su attività produttive innovative e sostenibili e per contribuire a realizzare la via «italiana per lo sviluppo dell'industria 4.0»;
   a realizzare una cabina di regia tra le diverse istituzioni deputate per attivare una scelta strategica e chiara che permetta di sviluppare l'area di Porto Marghera compatibilmente con le esigenze di salvaguardia ambientale, dando «gambe» alle linee strategiche convenute con il piano di riqualificazione e riconversione industriale;
   a valorizzare Porto Marghera come sito di interesse nazionale attraverso iniziative per l'introduzione della zona franca o di strumenti di fiscalità di vantaggio che possano consentire una nuova fase di insediamenti produttivi per lo sviluppo socio-economico del territorio, coniugandoli con un'opera di rigenerazione urbana;
   a valutare l'opportunità di promuovere una nuova legge speciale per Venezia che possa, nell'ottica della sostenibilità ambientale, costituire un elemento di rilancio socio-economico della stessa, sperimentando anche formule capaci di coordinare i vari livelli istituzionali e consentire una sinergia tra soggetti pubblici e privati per investimenti anche di tipo innovativo facendo sì che stessa legge speciale sia finanziata anche con la compartecipazione al gettito delle imposte locali prevedendo, per una parte, l'impiego delle stesse finalizzato agli investimenti infrastrutturali necessari al rilancio di Porto Marghera.
(1-01320) «Causin, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ormai prossimo avvio delle olimpiadi, che quest'anno si svolgeranno in Brasile e dove portabandiera italiana sarà una donna, offre l'occasione per impegnare l'Italia a investire nello sport perché concretamente svolga un ruolo fondamentale nella formazione delle nuove generazioni al contrasto del sessismo, degli stereotipi, delle discriminazioni e della violenza di genere;
    lo sport può e deve fare molto per realizzare politiche di socializzazione e di affermazione della pari dignità di uomini e donne. In particolare, la diffusione che lo sport ha per via del numero di ragazzi e di ragazze che lo praticano, ma anche per la sua diffusione attraverso i media, può favorire l'auspicato cambiamento culturale che conduca a debellare stereotipi e ruoli di genere;
    infatti, proprio i media, incluso il settore della pubblicità, contribuiscono alla riproduzione di stereotipi e immagini di donne e uomini trasmessi dalla cultura e possono svolgere un importante ruolo nella lotta agli stereotipi di genere; mentre i ruoli di genere, insegnati e incoraggiati fin dalla più tenera età, possono incidere (negativamente) su desideri, interessi e aspirazioni di donne e uomini, tanto nella vita privata che in quella pubblica;
    nel 2013, dopo l'alluvione «Cleopatra» che in Sardegna fece molte vittime, era stata organizzata una partita di calcio tra Torres e Olbia per raccogliere fondi a favore degli alluvionati. A giocare la partita erano state invitate anche le giocatrici della Torres femminile, che avevano accolto con entusiasmo l'invito. Pur essendo una partita amichevole, la Lega Pro intervenne per bloccare la discesa in campo delle giocatrici, richiamandosi al fatto che trattandosi di una gara ufficiale, si doveva rispettare il regolamento, che non consente a uomini e donne di giocare insieme, nemmeno quando si tratta di iniziative benefiche;
    si trattò di un caso non marginale di discriminazione di genere, in grado di rafforzare stereotipi e pregiudizi sulle donne. L'allora coordinatore nazionale del neo dipartimento del calcio femminile lanciò un appello al presidente del Coni e a quello della Federcalcio, affinché non si perdessero occasioni come quella della Sardegna per lanciare, invece, un messaggio positivo a tutto il mondo dello sport e all'intera società, evitando di farsi imbrigliare da regolamenti che discriminano;
    se uomini e donne non possono stare assieme nello sport è più complesso combattere stereotipi, discriminazione e violenza sulle donne;
    in Italia esistono esperienze positive che, invece, invitano a «mischiarsi» per superare gli stereotipi di genere nello sport. Si tengono corsi dedicati ad allenatori/triti, preparatori/trici, dirigenti e tecnici di società sportive con l'obiettivo di riuscire a riconoscere e nominare i principali stereotipi di genere nello sport, di lavorare per l'acquisizione di un linguaggio inclusivo, mantenendo la dimensione del gioco;
    nei campi da gioco sono ricorrenti frasi come «Non correre come una femminuccia», «non piangere come una femminuccia», «Tiri quel pallone come una donna/un gay», e molte altre – anche parecchio offensive – che non sono riconosciute e contrastate per la loro gravità. Si tratta di espressioni che sovente rimandano a persistenti sistemi di credenze stereotipate e aspettative di genere, comportamento, abilità, efficacia e successo ancora legati a parametri maschili/machisti che influenzano l'autovalutazione e l'autostima delle ragazze e delle atlete al ribasso e possono condizionarne la performance o indurle all'abbandono precoce della pratica sportiva;
    femminilità nello stereotipo significa minore aggressività, ambizione e competitività;
    la questione della parità di genere nello sport è già oggetto di grande attenzione in certi Stati membri dell'Unione europea. Qualcosa è anche stato fatto a livello locale, regionale ed europeo e a livello del movimento sportivo internazionale, ma la parità di genere non ha raggiunto un grado accettabile e ancora manca, all'interno di molti Stati membri e del movimento sportivo internazionale, l'attuazione di misure concrete;
    le donne sono sottorappresentate in molti sport e lo spazio loro dedicato è molto inferiore a quello dedicato agli uomini. Ad esempio, la stampa dedica più spazio agli sport maschili, forse anche perché quasi tutti i giornalisti sportivi sono uomini; poche donne occupano posizioni dirigenziali nelle federazioni e nessun presidente è donna; lo stesso si verifica negli staff tecnici, dove la presenza femminile si riduce notevolmente quando si accresce il livello tecnico/competitivo; secondo l'Eurobarometro 2013 sullo sport e l'attività fisica, le ragazze e le donne tuttora partecipano meno dei ragazzi e degli uomini e nelle federazioni rappresentano un quarto dei tesserati; gli sport femminili ricevono minore attenzione perché fanno poca «cassa» e hanno minor mercato;
    con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, l'Unione europea ha acquisito per la prima volta una competenza specifica nel settore dello sport (articolo 165 del TFUE). Nelle sue conclusioni sulla parità di genere nello sport (2014/C 183/09), il Consiglio dell'Unione europea ha invitato gli Stati membri e la Commissione a promuovere azioni connesse all'integrazione della parità di genere nelle attività connesse allo sport, in particolare per quanto riguarda le posizioni decisionali, e ad affrontare lo sport in relazione ai ruoli di genere esposti nella Strategia dell'Unione europea per la parità di genere. Inoltre, ha chiesto di combattere la violenza di genere al fine di garantire il pieno godimento dei diritti umani da parte di donne e uomini e di raggiungere la parità di genere;
    anche secondo il Consiglio, lo sport può rappresentare uno strumento efficace per le pari opportunità e l'inclusione sociale. La vera parità di genere non può essere raggiunta per mezzo della sola normativa. Misure specifiche e l'integrazione di genere si rendono necessarie, inoltre, al fine di garantire che venga sfruttato il notevole potenziale del settore dello sport a questo riguardo, considerata ad esempio la sua importanza nella formazione delle identità di bambini e giovani;
    inoltre, lo sport potrebbe accrescere le capacità, la conoscenza e le competenze di donne e uomini ed aumentarne di conseguenza la mobilità e l'occupabilità. Lo sport potrebbe trarre vantaggio da una forza lavoro caratterizzata da una maggiore integrazione di genere ed evolvere di conseguenza, attirando un numero maggiore di donne e uomini verso lo sport e conducendo ad approcci nuovi e innovativi all'allenamento, alla formazione, alla gestione e all'arbitraggio;
    nel 1987, il Parlamento di Strasburgo ha adottato con propria risoluzione la Carta europea dei diritti delle donne nello sport (GU C 305 del 16 novembre 1987) per invitare i Paesi europei a mettere in atto azioni per la promozione dello sport tra le donne. Negli anni seguenti il Parlamento ha adottato anche altre risoluzioni in tema di donne e sport. Nel frattempo è stata presentata una nuova proposta di Carta europea dei diritti delle donne nello sport che reca una serie di raccomandazioni indirizzate a tutti gli operatori sportivi, alle associazioni ed organizzazioni sportive, alle istituzioni, ai Paesi dell'Unione europea, alle tifoserie e ai media, che aspetta di essere adottata dal Parlamento europeo. La Camera dei deputati, con propria mozione approvata il 26 marzo 2014 (mozione 1-00409), ha impegnato il Governo a recepire in Italia la predetta Carta, ciononostante il Governo risulta non abbia dato seguito all'impegno;
    con riferimento alla violenza nello sport, il seminario della presidenza ellenica sulla «violenza di genere nello sport e la protezione dei minori», svoltosi il 20 marzo 2014 ad Atene, ha invitato ad affrontare e a monitorare periodicamente la parità di genere nello sport in tutti i livelli e settori dello sport, inclusa la violenza di genere nello sport, e a valutare la natura e la portata di quest'ultima, concentrandosi in particolare sugli sport di élite, sulla relazione allenatore-atleta, sulla relazione tra l'entourage sportivo e l'atleta e sulla relazione inter pares tra atleti. Esso ha inoltre chiesto che siano elaborati strumenti sufficienti (per esempio servizi di sostegno, consulenza e linee telefoniche dirette) per gli atleti che abbiano subito molestie sessuali o violenza nello sport;
    a tal proposito emblematici sono i dati dell'indagine svolta nel 2014 dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) sulla violenza contro le donne, dalle quali è emerso che il 33 per cento delle donne ha subito violenze fisiche e/o sessuali ed il 32 per cento di tutte le vittime di molestie sessuali ha confermato che l'aggressore era un superiore, un collega o un cliente. La maggioranza delle donne che sono state vittime di tali atti non ha riferito le proprie esperienze alla polizia o a una qualsiasi organizzazione di assistenza alle vittime;
    la violenza di genere nello sport, specialmente le molestie sessuali e gli abusi sui minori, rappresenta un problema significativo che richiede tuttavia ulteriori ricerche in modo da poter essere meglio compreso;
    l'Italia nel 2013 ha istituito con un protocollo di intesa tra Governo e Coni la «Settimana per lo sport contro la violenza di genere». Nel corso della settimana, che si tiene ogni anno la prima di ottobre, tutte le federazioni sportive, le discipline associate e gli enti di promozione sportiva sono invitati a programmare un evento inerente il tema; vari progetti, esaminati da un gruppo paritetico di lavoro, composto dal ministero e dal Comitato Olimpico, vengono patrocinati dal ministero e dal Coni. La settimana per lo sport, di grande valenza simbolica, non sembra essere accompagnata o sostenuta da interventi continuativi e strutturali in grado di incidere significativamente sulla realtà,

impegna il Governo:

   a dare seguito alle conclusioni del Consiglio dell'Unione europea sulla parità di genere nello sport del 21 maggio 2014 (2014/C 183/09) e, in particolare, ad assumere iniziative per:
    a) prevedere, in stretta collaborazione con il movimento sportivo, l'elaborazione e il mantenimento di piani d'azione nazionali, accordi generali o una strategia sulla parità di genere nello sport;
    b) porre enfasi sul valore della diversità e dell'equilibrio di genere nell'amministrazione dello sport e promuovere la parità di genere nei processi decisionali a tutti i livelli e in tutti i settori sportivi;
    c) prevedere la messa a punto e l'utilizzo di materiali educativi per la formazione dei responsabili decisionali e degli allenatori in ambito sportivo, nonché per i genitori, contribuendo in tal modo all'eliminazione degli stereotipi di genere e alla promozione della parità di genere a tutti i livelli di istruzione e di formazione sportiva;
    d) promuovere la prevenzione della violenza di genere nello sport fin dalla prima infanzia e la protezione delle vittime e potenziali vittime di molestie sessuali nello sport e procedere a scambi delle migliori pratiche su come le organizzazioni sportive possono impedire e trattare gli abusi e le molestie sessuali in ambito sportivo;
    e) lanciare uno studio specifico per valutare la natura e la portata della violenza di genere nello sport;
    f) organizzare campagne di prevenzione e di sensibilizzazione sulla tratta di esseri umani ai fini dello sfruttamento sessuale in occasione degli eventi sportivi di grande rilievo;
    g) rafforzare e integrare la prospettiva di genere nella politica sportiva e promuovere l'eliminazione degli stereotipi di genere attraverso lo sport e le altre politiche correlate, conformemente al principio dell'integrità dello sport;
    h) inserire la questione della parità di genere nello sport nel contesto delle pertinenti future azioni per lo sport a livello nazionale;
    i) promuovere la parità di genere nello sport, concentrandosi particolarmente sugli allenatori e sulla formazione di questi ultimi, nonché sulla corretta rappresentazione delle discipline sportive nei media;
    l) subordinare la concessione di finanziamenti pubblici alle organizzazioni sportive alla fissazione di obiettivi concernenti la parità di genere;
    m) incoraggiare l'inclusione di un approccio pratico basato sul genere nella valutazione da parte di organismi pubblici dei progetti e programmi proposti nell'ambito dello sport;
    n) avviare, in collaborazione con gli organismi sportivi internazionali, un «elenco degli impegni assunti» in materia di parità di genere nello sport;
    o) invitare le organizzazioni sportive e i soggetti interessati, nel rispetto della loro autonomia, a prevedere di elaborare e mantenere piani d'azione o strategie sulla parità di genere nello sport, che includano: il valore della diversità e dell'equilibrio di genere nell'amministrazione dello sport e tra gli allenatori; la promozione della parità di genere nei processi decisionali a tutti i livelli e in tutti i settori dello sport; l'integrazione della parità di genere nello sport e la promozione dell'eliminazione degli stereotipi di genere attraverso campagne promozionali e la messa a punto e l'utilizzo di materiale didattico destinato alla formazione dei responsabili decisionali e degli allenatori in ambito sportivo per tutte le età; l'inserimento, nei codici etici, di misure e procedure specifiche relative alla violenza di genere e considerare di stabilire misure di riferimento come linee telefoniche dirette e servizi specifici di sostegno per le persone colpite; la promozione della copertura mediatica non sessista dello sport; l'aumento dell'equilibrio di genere in seno ai consigli e ai comitati esecutivi nel settore sportivo, nonché nella gestione e negli staff tecnici, cercando di eliminare gli ostacoli non legislativi che impediscono alle donne di assumere tali funzioni;
    p) effettuare un monitoraggio annuale delle azioni e degli interventi intrapresi dalle società sportive e dai soggetti interessati di cui alla lettera precedente;
    q) promuovere presso le organizzazioni sportive, al fine di ridurre la disuguaglianza di genere, la pratica sportiva mista, favorendo squadre o gare nelle quali le donne e gli uomini concorrano insieme.
(1-01321) «Ricciatti, Scotto».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è un programma d'azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel settembre 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell'ONU, che ingloba 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) in un grande programma d'azione per un totale di 169 target o traguardi, come naturale prosecuzione dei Millennium Development Goals che li hanno preceduti, e rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo, come: la lotta alla povertà, l'eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico;
    l'avvio ufficiale degli SDGs ha coinciso con l'inizio del 2016, indicando la strada da percorrere nell'arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030 per assicurare che nessuno ne venga escluso o lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità;
    il quadro disegnato dall'Agenda 2030 rappresenta un'importante opportunità per l'Italia per disegnare un progetto-Paese a medio termine, realizzarlo con la collaborazione delle istituzioni pubbliche, delle imprese e della società civile, coinvolgendo i cittadini in uno sforzo comune per migliorare il loro benessere economico, sociale ed ambientale, assicurando stabilità e minimizzando i rischi, individuali e collettivi, derivanti da un modello di sviluppo chiaramente insostenibile;
    la presidenza italiana del G7 nel 2017 può costituire una determinante occasione per spingere anche gli altri Paesi industrializzati, e specialmente l'Unione europea, a muoversi in questa direzione, anche allo scopo di ridurre le pressioni migratorie verso il continente europeo;
    l'Agenda 2030 dovrebbe divenire patrimonio comune e riferimento delle politiche economiche, sociali e ambientali, oltre che delle azioni individuali e collettive;
    l’High Level Political Forum nasce per assicurare che la tematica dello sviluppo sostenibile venga trattata come priorità nelle agende dei diversi Governi; la sua sessione inaugurale si è svolta il 24 settembre 2013 a New York; con il suo avvio, l'auspicio è che finalmente si possa parlare di sviluppo sostenibile e di ambiente in modo concreto, trasparente e scevro da preconcetti;
    nelle parole del segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon, il Forum rappresenta una piattaforma fondamentale per affrontare le sfide odierne in modo olistico e integrato, nonché per garantire una leadership politica basata su solide basi scientifiche,

impegna il Governo:

   ad imprimere un'accelerazione ai lavori finalizzati alla definizione della Strategia, così da inserire nel prossimo disegno di legge di Stabilità, interventi in grado di avviare, da subito, cambiamenti nelle traiettorie dei fenomeni su cui il nostro Paese è più indietro, anche rispetto a altri Paesi europei;
   a sottoporre la propria Strategia alla valutazione degli altri Paesi, in occasione dell’High Level Political Forum delle Nazioni Unite del 2017;
   ad adoperarsi affinché l'Agenda 2030 venga posta alla base del documento di economia e finanza 2018-2020, insieme all'allegato piano razionale di riforma, come schema di riferimento centrale, cui riferire i vari interventi;
   ad assumere iniziative per definire al più presto un modello di governance di questo processo, capace non solo di coordinare i diversi Ministeri e le altre istituzioni pubbliche competenti nelle singole materie, ma anche di coinvolgere gli stakeholder;
   a produrre indicatori statistici tempestivi e disaggregati e a investire sugli strumenti analitici in grado di mettere i decisori pubblici nella condizione di valutare le conseguenze delle proprie azioni e rendere conto ai cittadini di queste ultime;
   a progettare una campagna di comunicazione orientata a favorire comportamenti individuali e collettivi coerenti con il paradigma dello sviluppo sostenibile e un programma di educazione allo sviluppo sostenibile nella scuola primaria, da estendere successivamente alle scuole di ogni ordine e grado;
   ad assumere iniziative per incrementare l'impegno dell'Italia nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, non solo attraverso un aumento delle risorse destinate alla cooperazione internazionale, ma anche orientando queste ultime a sostenere il cammino verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile;
   a coinvolgere regioni e città nella predisposizione di piani d'azione territoriali finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.
(7-01053) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Sibilia, Grande, Del Grosso, Scagliusi, Di Battista».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    i dati diffusi dall'Istat, che confermano l'indiscussa rilevanza dell'agricoltura nell'economia nazionale, quale protagonista della ripresa dopo anni di recessione, se da lato rappresentano un indubbio incoraggiamento per gli operatori del settore, dall'altro evidenziano il fenomeno della deflazione nel mercato cerealicolo, il cui impatto sta determinando, da anni, una grave turbativa sui mercati agricoli europei, penalizzando fortemente le imprese nazionali;
    al riguardo, il computo cerealicolo italiano è interessato da una grave crisi su scala globale, caratterizzata da una sovrapproduzione di grano e cereali, il cui surplus ha causato un crollo dei prezzi, stimato in oltre il 40 per cento, con gravi ripercussioni nei confronti delle imprese agricole del grano duro e per l'intera filiera della produzione della pasta italiana;
    le articolate criticità derivanti dalla scarsa redditività del grano duro in Italia, si riscontrano in particolare nelle campagne, dove il crollo delle quotazioni è divenuto insostenibile (a differenza del prezzo finale per i consumatori, che risulta in leggera flessione (-0,3 per cento), alle cui difficoltà si affiancano ulteriori effetti negativi, determinati dall'andamento climatico, dal flusso delle importazioni (a causa della dipendenza del nostro Paese dall'estero per il proprio fabbisogno di grano duro che oscilla tra il 30 per cento e il 40 per cento) che causano spesso una concorrenza sleale, nonché dalla crescente instabilità dei prezzi delle commodity agricole;
    il comparto cerealicolo si contraddistingue, inoltre, per ulteriori peculiarità, in quanto opera in un contesto globale e in un mercato altamente specializzato e competitivo, la cui forte volatilità dei prezzi (come in precedenza indicato) non risulta strettamente correlata soltanto alla legge della domanda e dell'offerta, ma anche alle speculazioni finanziarie, dal costo del petrolio dalle oscillazioni delle valute, in grado di produrre distorsioni della filiera, che ha o fortemente indebolito nel corso degli ultimi anni, i livelli di protezione e di tutela nei confronti delle imprese agricole italiane;
    l'insufficienza strutturale degli impianti di stoccaggio e l'eccessiva polverizzazione dell'offerta di grano duro, completano il quadro delle difficoltà che interessano il comparto, con la necessità d'introdurre misure volte a sostenere la filiera, al fine di organizzare un corretto rapporto tra domanda e offerta del prodotto, soggetto alle fluttuazioni del mercato internazionale, con forte penalizzazione dell'offerta nazionale;
    tutelare il reddito dei produttori e al contempo stimolare la produzione di qualità, affinché anche i trasformata nazionali possano approvvigionarsi sempre più di grano al 100 per cento italiano, tenuto conto delle attuali difficoltà del comparto, delineano le linee d'intervento, che si rendono necessarie per sostenere il comparto cerealicolo, la cui importanza, nell'alimentazione umana e zootecnica, riveste una valenza strategica sia a livello nazionale, (per quanto concerne il mercato dell'Unione europea) che per l'esportazione verso il resto del mondo, considerato il rilievo delle esportazioni delle imprese italiane per i prodotti di prima trasformazione, che sono quelli che caratterizzano il made in Italy,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative urgenti in grado di contrastare le numerose a articolate difficoltà che sta o interessando il settore della cerealicoltura italiana, i cui fattori di debolezza causati dalle dinamiche internazionali e nazionali, rischiano di aggravare le condizioni economiche ed occupazionali delle imprese, all'interno del mercato globale;
   ad assumere, in particolare, iniziative volte:
    a) ad attivare, per quanto di competenza, il piano cerealicolo nazionale (approvato in sede di Conferenza Stato-regioni il 26 novembre 2009 e non ancora effettivamente operativo) dotandolo di adeguate risorse finanziarie, al fine di sostenere, i contratti di filiera, in grado di tutelare il reddito dei produttori, attraverso il rafforzamento della rete di sicurezza e di vigilanza delle fasi della produzione, trasformazione e consumo, e di garantire una più equilibrata distribuzione del sistema produttivo nazionale;
    b) ad i alzare i livelli di tutela e protezione delle produzioni di qualità nazionali di grano duro, che rappresentano unitamente ad altri prodotti agroalimentari, le eccellenze del made in Italy a livello mondiale;
    c) a prevedere, al riguardo, una specifica filiera di valore, composta dalle imprese di produzione di grano duro e dell'industria di trasformazione, al fine d'introdurre un sistema organizzato della pasta made in Italy;
    d) a rafforzare le misure che favoriscano la contrattazione tra le imprese, la premialità delle produzioni sulla base della qualità del prodotto, attraverso l'istituzione di un tavolo di lavoro, composto da rappresentanti del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e delle categorie produttive maggiormente rappresentative, al fine di individuare un percorso che sia condiviso con tutta la filiera, per favorire anche sistemi in grado di migliorare l'equilibrio di mercato e di favorire una maggiore trasparenza nella formazione dei prezzi;
    e) ad introdurre misure per fronteggiare l'inadeguatezza del sistema produttivo del grano duro italiano, in grado di elevare l'offerta in termini quantitativi e qualitativi e di supportare lo sviluppo di impianti preposti al corretto stoccaggio della materia prima;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre misure di agevolazione fiscale, per un periodo transitorio in considerazione della situazione emergenziale determinatasi, volte a sostenere le imprese cerealicole italiane, subordinatamente all'autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento della misura da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.
(7-01054) «Faenzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01147, presentata il 4 ottobre 2013, nella seduta n. 91, sulla regolarità dell'affidamento senza gara e in subappalto dell'incarico di progettazione preliminare e definitiva dell'opera strategica di interesse nazionale denominata «Ammodernamento della S.S. 275», non ha ancora ricevuto alcuna risposta;
   l'interrogazione a risposta in commissione n. 4-04990, presentata il 30 maggio 2014, nella seduta n. 237, sul ritrovamento di tali discariche di sostanze pericolose, nocive e tossiche e le conseguenti indagini della Guardia di finanza lungo il tracciato della medesima opera di «Ammodernamento S.S. 275», non ha ancora ricevuto alcuna risposta;
   l'interrogazione a risposta in Commissione 5-04038, presentata il 14 novembre 2014, seduta n. 332, su situazioni di conflitti di interesse nell'ambito della progettazione dell'opera citata, non ha ancora ricevuto alcuna risposta;
   l'opera, in questione, denominata «ammodernamento della strada statale 275» (CUP: F32C04000070002) consiste nella realizzazione di un progetto relativo all'asse viario Maglie-Santa Maria di Leuca e il progetto preliminare dell'opera è stato approvato dal Cipe, con le prescrizioni e raccomandazioni impartite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con delibera n. 92 del 21 dicembre 2004. L'Anas spa ha affidato la progettazione al Sisri di Lecce con convenzione stipulata tra le parti in data 30 gennaio 2002 e successivo atto integrativo del 21 gennaio 2005 e il consorzio Sisri, senza aver effettuato un bando di gara ma in affidamento diretto conferiva alla ProSal srl l'incarico di progettazione, tra l'altro, senza alcuna forma di pubblicità e in violazione della normativa di derivazione comunitaria e statale in materia di progettazione di opere pubbliche;
   si è già paventato, ad avviso dell'interrogante, che Anas spa, tramite il consorzio Sisri di Lecce, ha violato i principi della trasparenza e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, arrecando vantaggio patrimoniale alla ditta Pro.Sal. srl, nella consapevolezza della mancanza in capo a quest'ultima dei requisiti di legge per progettazione e opera stradale di valore pari a oltre 287 milioni di euro e destinata ad attraversare 15 territori comunali con altissimo impatto sugli assetti idraulici, idrogeologici, geomorfologici, ambientali del territorio e con molteplici interferenze con beni archeologici;
   in ordine a ciò il comitato S.S. 275 ha presentato esposto-denuncia per danno erariale prodottosi dal pagamento senza titolo da parte dello Stato italiano delle competenze professionali per l'incarico di progettazione in favore della Pro.Sal s.r.l.;
   al riguardo è intervenuta sentenza-ordinanza n. 397 del 7 ottobre 2015 della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la regione Lazio, che, in merito all'atto di citazione della competente procura contabile, in cui si assume un danno alle casse erariali per irregolare gestione dei lavori dell'opera citata sotto il profilo dell'illegittimo affidamento della progettazione e dell'erogazione di contributi, ha statuito sulla giurisdizione sul danno erariale prodottosi affermando la giurisdizione del giudice ordinario;
   sui medesimi fatti anche la Guardia di finanza, la direzione distrettuale antimafia di Brescia, il Consiglio di Stato, l'Autorità nazionale anticorruzione hanno rilevato negli scorsi mesi gravi illegittimità nell'affidamento e nella gestione dell'opera, sospette lievitazioni dei costi, assenza di trasparenza, polizze false;
   in ordine a detta opera il Ministro Delrio ha testualmente dichiarato (come da resoconto stenografico dell'Assemblea nella seduta n. 631 di mercoledì 25 maggio 2016, a pagina 79) che intende procedere «come abbiamo fatto per Expo, come abbiamo fatto per il Mose». Tuttavia, è ben nota purtroppo la fallacia di tale modo di procedere, svelatosi inadeguato a garantire la legalità attesi gli scandali emersi per le opere che il Ministro vorrebbe assumere come modello, a causa delle infiltrazioni mafiose e della mancanza di controlli –:
   se, il Governo sia a conoscenza di detta pronuncia contabile e se si intenda, alla luce dei fatti sopra esposti, assumere iniziative per procedere all'azione civile dinnanzi al giudice ordinario per il recupero delle somme versate senza titolo da parte dello Stato italiano per l'incarico di progettazione in favore della Pro.Sal s.r.l.;
   se, anche alla luce delle recenti statuizioni giurisdizionali e di tutte le illegittimità emerse in questi mesi, si intenda valutare la revoca dell'affidamento sulla strada statale 275 e assumere iniziative per lo spostamento dei fondi per la bonifica dei terreni, la messa in sicurezza e il potenziamento del tracciato esistente con raddoppio fino a Montesano, con la contemporanea elettrificazione della tratta ferroviaria;
   come il Ministro intenda procedere, per quanto di competenza, per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(5-09200)

Interrogazione a risposta scritta:


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   tramite l'atto di sindacato ispettivo 4-05338, l'interrogante aveva denunciato una pratica, poi giudicata illegittima dal Ministero dello sviluppo economico, messa in atto dall'emittente avente carattere «comunitario» Radio Padania Libera, di occupare gratuitamente frequenze radiofoniche libere per poi cederle a titolo oneroso o permutarle in cambio di altre frequenze;
   il comma 2 dell'articolo 74 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, introdotto grazie ad un emendamento presentato dal deputato del gruppo parlamentare «Lega Nord e Autonomie» Davide Carlo Caparini, stabiliva che «i soggetti titolari di concessione radiofonica comunitaria in ambito nazionale sono autorizzati – ad attivare nuovi impianti (...) sino al raggiungimento della copertura di cui all'articolo 3, comma 5, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di attivazione degli impianti al Ministero delle comunicazioni ed in mancanza di segnalazioni di interferenze, la frequenza utilizzata si intende autorizzata»;
   ad avviso degli interroganti, la citata previsione normativa costituirebbe un ingiusto e smisurato favore nei confronti di due emittenti radiofoniche politicamente e culturalmente schierate, di cui una, Radio Padania Libera, costituisce emittente radiofonica di un partito politico;
   inoltre, costituirebbe un provvedimento di assoluto sfavore nei confronti delle numerose emittenti radiofoniche locali, il cui numero negli ultimi anni è drasticamente diminuito, anche a causa delle evidenti difficoltà economiche;
   il Ministero dello sviluppo economico decise dunque di diffidare Radio Padania (e Radio Maria, l'altra Radio l'altra Radio comunitaria presente in Italia) dal proseguire con questa pratica;
   tuttavia, secondo quanto descritto su alcuni siti internet, Radio Padania Libera avrebbe nuovamente ceduto o permutato frequenze radiofoniche sarde ed emiliane con l'emittente Radio Zeta l'Italiana;
   Radio Zeta l'italiana è di proprietà di Lorenzo Suraci, con il quale già in passato Radio Padania Libera aveva intrattenuto questo tipo di scambi, poi giudicati illegittimi, come ben descritto nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-05338 –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di verificare quanto esposto in premessa;
   se non intenda adottare tutte le iniziative, anche normative, al fine di eliminare il trattamento di favore garantito alle radio comunitarie assicurato dal comma 2 dell'articolo 74, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, visto il continuato uso distorsivo e illegittimo, che ne sta facendo Radio Padania Libera. (4-13849)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta immediata:


   PALAZZOTTO, SCOTTO, FAVA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. – Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016 c’è stato un tentativo, poi fallito, di golpe in Turchia che ha prodotto 312 morti, tra i quali oltre 100 «militari golpisti» e 208 «martiri», come definiti dal Primo ministro turco Binali Yildrim, tra questi 145 civili, 60 poliziotti e tre soldati. I feriti degli scontri sarebbero 1.491;
   nelle 48 ore successive sono state fermate 7.543 persone (100 agenti di polizia, 6.038 soldati, 755 tra giudici e procuratori e 650 civili); tra questi, secondo quanto riferito dal Primo ministro Binali Yildrim, per 316 è stata confermata la custodia preventiva, mentre non è chiara ancora la sorte degli altri arrestati;
   tra gli arrestati ci sono due giudici della Corte costituzionale, Alparslan Altan ed Ercal Tercan, 48 membri del Consiglio di Stato e 140 membri della Corte suprema di appello. L'ordine di arresto sarebbe scattato per tutti i 2.745 giudici, già sospesi il giorno successivo al golpe;
   tra i militari arrestati spiccano il consigliere militare dello stesso presidente Erdogan, colonnello Ali Yazici, il comandante della Seconda armata, generale Adem Huduti, il comandante della Terza armata, Erdal Ozturk, l'ex comandante della Forza aerea turca, Akin Ozturk, ritenuto il leader dei golpisti, e il comandante della base aerea turca e Nato di Incirlik, generale Bekir Ercan. In tutto sarebbero 103 i generali e gli ammiragli sospesi dopo il tentativo di golpe, ovvero quasi un terzo degli alti ufficiali con questi gradi in Turchia;
   le autorità turche hanno in queste ore anche sospeso 8.777 dipendenti del Ministero dell'interno, tra questi 30 prefetti su 81 totali, 7.899 poliziotti, 614 gendarmi e 47 governatori di altrettanti distretti provinciali;
   nell'ambito delle «purghe» ordinate dal Governo turco sono stati rimossi dal loro incarico circa 1.500 dipendenti del Ministero delle finanze, mentre è stato imposto il divieto di espatrio ai funzionari pubblici. Secondo alcune stime, il provvedimento riguarderebbe quasi il 5 per cento della popolazione turca. Sono state annullate le vacanze annuali per tutti i funzionari pubblici fino a nuovo ordine. I funzionari che sono già in vacanza sono chiamati a fare ritorno in ufficio. Questa misura interesserebbe circa tre milioni di persone;
   nel complesso sono più di 17 mila le persone colpite da mandati d'arresto o licenziamenti a seguito del tentativo di golpe in Turchia;
   tutti questi provvedimenti seguono quanto aveva dichiarato il Presidente della Turchia Erdogan: «faremo pulizia all'interno di tutte le istituzioni dello Stato per liberarle dal virus che ha innescato la rivolta», mentre le massime autorità, compreso il presidente, hanno annunciato di voler reintrodurre la pena di morte all'interno dell'ordinamento dello Stato;
   i numeri dell'ondata repressiva scatenata in Turchia dalle autorità di governo hanno allarmato l'Europa e gli Stati Uniti, che dalla solidarietà espressa al Presidente turco e al Governo sono rapidamente passati alla preoccupazione per il rispetto dei diritti umani, a partire dalla possibilità che venga reintrodotta la pena di morte;
   immediatamente alla fine del golpe si è assistito a disumane scene di vendetta di piazza ed episodi di giustizia arbitraria, mentre da più parti è stato espressa profonda preoccupazione per la deriva autoritaria imposta al Paese dalle massime autorità turche al governo del Paese man mano che venivano mostrate all'opinione pubblica mondiale le foto dei militari arrestati seminudi, legati mani e piedi, ammassati per terra all'interno della scuola di polizia di Ankara;
   da mesi, come documentato dagli atti più volte portati all'attenzione della Camera dei deputati, il Governo turco ha iniziato una guerra contro le opposizioni democratiche e le minoranze presenti nel Paese; ha imposto il coprifuoco in numerose città dell'Anatolia del Sud Est (Kurdistan Bakur), colpendo i suoi stessi civili, provocando migliaia di morti e centinaia di miglia di sfollati; ha fatto arrestare e incriminare giornalisti, giudici ed oppositori di ogni tipo;
   in questi mesi è stata da più parti documentata la responsabilità del Governo turco e delle forze di intelligence turche nell'aver permesso che membri di Daesh e di altri gruppi jihadisti entrassero in Turchia e potessero muoversi liberamente nel Paese, così come sono note le responsabilità della Turchia nell'aver aperto i valichi di frontiera ai terroristi; nell'aver permesso il rifornimento di armi, munizioni e supporto logistico; nell'aver permesso che membri di Daesh fossero portati in Turchia per essere curati;
   la Turchia quindi, alleato e membro della Nato, ha favorito in questi anni il passaggio di migliaia di foreign fighter europei, mentre al tempo stesso conduceva una «guerra sporca» contro le organizzazioni curde in Siria e in Iraq, che sono tra le poche forze che hanno causato una serie di sconfitte a Daesh e che hanno dato vita ad un'esperienza di convivenza pacifica tra curdi, arabi, assiri, caldei, aramaici, turcomanni, armeni e ceceni e altre minoranze;
   la Turchia è un membro del Consiglio d'Europa ed è parte della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. In questo momento è in atto una palese violazione degli obblighi in capo allo Stato turco, per cui andrebbe presentato un ricorso interstatale alla Corte europea dei diritti dell'uomo per ottenere una pronuncia della stessa sulle decisioni arbitrarie e sulle gravi violazioni dei diritti umani in corso –:
   quali iniziative urgenti voglia assumere il Governo affinché sia rispettato lo Stato di diritto in Turchia e sia posta fine alla repressione contro le opposizioni democratiche, la magistratura, la stampa e le minoranze presenti nel Paese e, in particolare, se non ritenga di proporre all'Unione europea la sospensione dell'accordo Unione europea-Turchia e, quindi, ogni trasferimento di denaro concordato.
(3-02400)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:


   LOCATELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da oltre un anno il Burundi si trova in una drammatica crisi politica innescata dalla decisione dell'attuale Presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per la terza volta alle elezioni presidenziali, violando le disposizioni della Costituzione burundese, nata dagli accordi di Arusha che hanno posto fine alla guerra civile durata vent'anni, che prevedeva che il Capo dello Stato non potesse rimanere in carica per più di due mandati;
   tale annuncio ha provocato l'esplosione di proteste, manifestazioni, violenti scontri e un tentativo di colpo di Stato, repressi dall'esercito e dalle forze di sicurezza con atti di repressione di inaudita violenza: radio e giornali chiusi, raid nell'università, arresti, omicidi, sparizioni;
   l'Alto Commissario dell'ONU per i diritti umani, Zeid Ra'ad Hussein, ha di recente definito sconvolgente l'aumento delle pratiche di tortura e maltrattamenti in Burundi, dove solo nel 2016 i casi registrati sono circa 400 (dall'inizio della crisi il numero è di quasi 600);
   le repressioni hanno prodotto un consistente flusso di rifugiati verso i campi profughi dei Paesi confinanti: oltre 250.000 persone hanno infatti trovato rifugio in Tanzania, Ruanda, Uganda e Congo, alloggiando in strutture drammaticamente inadeguate ad accogliere una folla di tali proporzioni;
   torture e sparizioni sono all'ordine del giorno e sono giunte testimonianze in ordine all'esistenza di fosse comuni nelle quali sarebbero stati accatastati i cadaveri delle vittime, secondo i racconti pervenuti sarebbero in prevalenza di etnia tutsi, circostanza che suscita molte preoccupazioni per il fatto che la crisi in atto possa innescare una guerra civile come quella che si è consumata in Ruanda tra il 1993 e il 1994;
   i tentativi per la composizione del conflitto in atto, ad opera del Presidente ugandese Museveni e della Comunità dell'Africa Orientale (EAC) sono purtroppo falliti;
   il Burundi ha sottoscritto, tra gli altri, il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, la Convenzione ONU contro la tortura ed i trattamenti e le punizioni crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione sui Diritti del Fanciullo, lo statuto della Corte penale internazionale;
   nel rapporto presentato nel mese di aprile 2016 al Consiglio di Sicurezza, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, definendo allarmante la situazione del Burundi, ha avanzato una serie di proposte tra cui l'ipotesi di inviare una missione di pace nel Paese, con l'invio di fino a tremila uomini, ovvero agenti di polizia da affiancare ai funzionari dell'ONU e dell'Unione Africana allo scopo di garantire la tutela dei diritti umani;
   i rapporti del 2014 e del 2015 di Amnesty International sul Burundi mettono in evidenza episodi di repressione, violazione delle libertà di espressione e di manifestazione, arresti illegali e ricorso alla tortura, documentando violenze di ogni tipo;
   il 25 aprile 2016 la procuratrice Fatou Bensouda della Corte Penale Internazionale ha annunciato un'indagine sulle violenze compiute in Burundi;
   la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato e il Comitato permanente per i diritti umani, istituito presso la Commissione esteri della Camera, hanno incontrato il 10 maggio 2016 Marguerite Barankitse, una delle principali figure di impegno civile e umanitario del Paese, e Leonidas Hatungimana, già portavoce del presidente Nkurunziza, entrambi costretti a riparare all'estero, il secondo essendosi espresso contro il terzo mandato;
   Marguerite Barankitse e Leonidas Hatungimana hanno voluto sottolineare di essere l'una di etnia tutsi, l'altro di etnia hutu, ad indicare che quello in atto in Burundi non è un conflitto di tipo etnico; hanno inoltre descritto e documentato le violenze perpetrate contro la popolazione civile dalle autorità burundesi, in particolare quelle contro donne e minori, confermando la presenza di fosse comuni;
   la signora Barankitse ha denunciato la chiusura da parte del Governo dell'ospedale Rema della «Maison Shalom», da lei fondata quindici anni fa, destinato in particolare alle donne in gravidanza, con conseguenze gravissime per le donne stesse e i bambini; l'interruzione forzata dell'erogazione di energia elettrica avrebbe portato alla morte di numerosi bambini in incubatrice –:
   alla luce della prima conferenza ministeriale Italia – Africa, tenutasi a Roma mercoledì 18 maggio 2016, alla quale ha partecipato il Ministro degli esteri del Burundi, Alain Aimé Nyamitwe, e della eventualità che le autorità italiane abbiano chiesto di essere informate su quanto sta avvenendo nel Paese e abbiano affrontato con il Ministro burundese il tema della violazione dei diritti umani, invocandone il rispetto, e della libertà di espressione e di manifestazione, quali iniziative intenda adottare il Governo anche d'intesa con i partner dell'Unione europea, perché la condotta delle Autorità burundesi sia conforme agli atti ed alle convenzioni poste a tutela dei diritti umani che il Burundi ha sottoscritto; in coordinamento con gli altri Paesi dell'Unione europea e con le Nazioni Unite, per scongiurare il rischio di nuovi massacri in Burundi, per promuovere sanzioni economiche della comunità internazionale contro il Burundi sino a quando non verrà ripristinata la legalità e verrà posto termine alla repressione e per agevolare il percorso formale che potrebbe portare all'incriminazione del presidente del Burundi Pierre Nkurunziza dinanzi alla Corte penale internazionale. (5-09201)


   GARAVINI, TACCONI, FEDI, PORTA, GIANNI FARINA e LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la maggioranza degli elettori britannici in occasione del referendum del 23 giugno 2016 sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, ha votato per abbandonare l'Unione europea;
   questa decisione rappresenta, a giudizio degli interroganti, un grave ostacolo all'ulteriore sviluppo del progetto europeo e rende ancora più necessaria e urgente una riforma delle istituzioni europee che le renda più trasparenti e sensibili ai bisogni dei cittadini europei e che allo stesso tempo metta i valori, i diritti, la cultura e la società più che l'economia al centro dell'azione dell'Unione europea;
   tale voto ha inoltre grandi implicazioni di natura pratica e psicologica per le centinaia di migliaia di cittadini italiani residenti nel Regno Unito, posto che il loro numero è andato crescendo rispetto alle ultime elezioni politiche, in coincidenza delle quali i cittadini italiani con diritto di voto residenti nel Regno Unito erano 172.908, e che nella sola Londra vivono presumibilmente circa 250.000 italiani, molti dei quali non iscritti all'Anagrafe degli italiani all'estero;
   in conseguenza dell'uscita del Regno Unito dalla Unione europea i cittadini italiani residenti nel Regno Unito rischiano di perdere una serie di importanti diritti nonché tutele in ambito sociale ed economico, diritti che erano loro garantiti dal loro status di cittadini europei;
   l'incertezza sulla possibile perdita di tali diritti e tutele ha fatto sì che molti connazionali residenti nel Regno Unito abbiano reagito alla cosiddetta Brexit con un forte senso di smarrimento;
   a seguito dell'uscita del Regno Unito dalla Unione europea sarà necessario procedere a un negoziato fra il Regno Unito e l'Unione europea volto a stabilire i nuovi termini delle relazioni internazionali della Gran Bretagna. Basti pensare che attualmente il Regno Unito è parte integrante di 33 accordi dell'Unione europea con 82 Paesi extra europei;
   il nuovo accordo fra Regno Unito ed Unione europea dovrà essere accettato dai Paesi membri dell'Unione europea, inclusa l'Italia;
   il Governo del Regno Unito ha tutto l'interesse a garantire i diritti acquisiti dei propri cittadini, attualmente un milione e duecentomila, che vivono negli altri Stati membri dell'Unione europea;
   la nuova premier britannica, Theresa May, ha più volte affermato che la futura tutela dei diritti acquisiti dei cittadini dell'Unione europea residenti nel Regno Unito dipenderà dall'eventuale reciprocità garantita dagli altri Stati membri dell'Unione europea in relazione ai diritti acquisiti dei cittadini britannici residenti nel resto dell'Unione europea –:
   se il Ministro non ritenga opportuno predisporre un piano per studiare gli effetti pratici della «Brexit» sulla vita della comunità italiana residente nel Regno Unito, nonché valutare, in sede di futuro negoziato fra il Regno Unito e l'Unione europea, clausole volte a garantire e tutelare i diritti acquisiti fino ad oggi dai cittadini italiani residenti nel Regno Unito, quali ad esempio i diritti sociali e previdenziali, la salvaguardia delle famiglie composte da membri di diversa nazionalità, il mantenimento delle stesse rette scolastiche e delle stesse tasse universitarie, il libero accesso alle borse di studio e ai sussidi attualmente concessi ai ricercatori italiani in Gran Bretagna, il riconoscimento dei titoli di studio e delle certificazioni professionali validi all'interno dell'Unione europea, il diritto di voto attivo e passivo per le elezioni di carattere locale. (5-09202)


   MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, GRANDE, SCAGLIUSI, SPADONI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   ciò che è tragicamente accaduto la notte del 15 luglio 2016 in Turchia, ovvero il fallimento del golpe tentato da una parte delle forze armate turche, pone una serie di interrogativi di cui occorre dare risposte immediate in sede europea, atteso che gli equilibri interni e quelli internazionali ne escono alquanto mutati;
   appare, infatti, chiaro che ora l'esercito cesserà di svolgere quella funzione di guardiano della laicità, che Ataturk gli aveva assegnato, e forte è il rischio di una islamizzazione sempre più totale mentre una certezza già si sta evidenziando in tutta la sua inaccettabile crudezza: la reazione del presidente Erdogan non si è fatta attendere e in poche ore sono stati arrestati migliaia di cittadini turchi, accusati di avere partecipato al tentativo di colpo di Stato. Tra loro ci sono centinaia di magistrati e membri dell'esercito, storicamente una delle istituzioni più importanti e rispettate della Turchia;
   la scenario prevalente è che ciò potrebbe mettere in discussione gli accordi di collaborazione tra Ankara e Bruxelles per quanto riguarda il contrasto al terrorismo la crisi dei rifugiati e la liberalizzazione dei visti, rischiando così di complicare le già difficili relazioni tra alcuni Stati membri dell'Unione e la Turchia, e che avrebbe conseguenze ancora da valutare per l'intera regione mediterranea;
   il 18 marzo 2016 Turchia e Unione europea avevano raggiunto un lucroso accordo sull'emergenza migranti (voluto fortemente soprattutto dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel pur di allontanare dalla rotta balcanica che porta direttamente in Germania i profughi siriani), accordo che, alla luce dei tragici avvenimenti e delle «purghe» di stampo staliniano che Erdogan ha già messo in atto, andrebbe riconsiderato;
   è un fatto inconfutabile che la pace, il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani sono stati calpestati ed è di tutta evidenza che tutto questo porta di fatto la Turchia definitivamente fuori dall'Europa, non fosse già per la sola proposta di reintrodurre la pena di morte;
   è da ricordare che paradossalmente, sempre per la conveniente e famigerata realpolitik sempre utile con alcuni Paesi, la Turchia è stata inserita nella lista dei Paesi sicuri –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo in relazione alla revoca dell'accordo di preadesione della Turchia all'Unione europea, alla liberalizzazione dei visti e alla cancellazione dalla citata lista di un Paese che, oltre a non esserlo stato prima, di fatto non è sicuro adesso, a seguito della stretta antidemocratica messa in atto da Erdogan.  (5-09203)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANLIO DI STEFANO, LUIGI DI MAIO, SPADONI, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'uccisione di 29 cittadini palestinesi e del ferimento di altri 60 da parte di un colono israeliano nella città di Hebron, il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il 25 febbraio 1994, con la risoluzione n. 904, invitò la comunità internazionale a intervenire per proteggere con idonee misure la popolazione civile palestinese;
   l'allora leader palestinese Yasser Arafat, interrompendo di fatto il negoziato per la pace con Israele, si era disponibile a rivedere tuttavia le proprie decisioni qualora fossero stati inviati degli osservatori internazionali nella città di Hebron. Le parti contendenti posero delle pregiudiziali alla partecipazione di alcuni Stati a quella missione, ma si dichiararono concordi sulla presenza, oltre che della Danimarca e della Norvegia, anche dell'Italia, apprezzandone la sensibilità dimostrata nella gestione internazionale del problema arabo-israeliano;
   il 31 marzo 1994, al Cairo, Israele e l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) firmarono così un accordo che prevedeva una Temporary International Presence in Hebron (TIPH), composta da unità che venivano chiamate osservatori di polizia (Police observers). Il contingente internazionale fu composto da 160 unità (90 norvegesi, 35 danesi e 35 italiani) 60 delle quali avevano i compiti di osservatori e le restanti erano di supporto logistico e amministrativo; l'accordo prevedeva oltre al ripiegamento dell'esercito israeliano (I.D.F.) da una parte della città di Hebron anche la presenza temporanea di una forza di osservatori internazionali; prevedeva, inoltre, anche che il personale della missione dovesse riferire su eventi particolari a un Comitato paritetico di Hebron (Joint Hebron Committee);
   dall'Italia fu, dunque inviato un contingente di 35 unità (19 carabinieri del Battaglione paracadutisti «Tuscania» e 12 unità appartenenti all'Arma territoriale), integrato da due marescialli dell'Arma delle trasmissioni dell'esercito, reggimento «Leonessa», e da due civili, funzionari della cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri;
   prese il via così la prima delle missioni TIPH, la quale, tuttavia, fu attiva solo dall'8 maggio all'8 agosto 1994, quando fu ritirata perché l'OLP e Israele non riuscirono a mettersi d'accordo sull'estensione temporale del mandato; gli inizi della TIPH si svolsero, infatti, in un clima di elevata tensione;
   in definitiva, i risultati pratici della prima TIPH (conclusa di fatto il 18 agosto) non furono ottimali dal punto di vista operativo: la presenza internazionale non riuscì infatti a far riaprire il mercato arabo ortofrutticolo, che permaneva chiuso per asseriti motivi di sicurezza, né la Moschea-Sinagoga di Abramo, anch'essa chiusa per evitare scontri tra palestinesi e coloni ebrei; tuttavia, dal punto di vista politico e diplomatico i risultati furono importanti perché, allentandosi la tensione, i colloqui di pace furono ripresi;
   i negoziati di pace ripresero e proseguirono a Oslo, il 28 settembre 1995, dove fu raggiunto un accordo (cosiddetto Oslo II) sulla West Bank e sulla Striscia di Gaza, punto di partenza per la costituzione di una nuova missione di osservatori internazionali;
   l'Italia fu formalmente invitata, con lettera congiunta israelo-palestinese dell'8 gennaio 1995, a partecipare con un proprio contingente di osservatori a tale nuova missione, denominata TIPH 2, come naturale prosecuzione di quella del 1994; la missione, ancora oggi rifinanziata con il consueto decreto-legge di proroga delle missioni internazionali, ha riscontrato la diminuzione del contingente italiano composto da carabinieri, i quali, tra i compiti loro affidati, vedano anche quello di compilare e inoltrare rapporti di situazione che poi vengono inoltrati ai comitati congiunti israelo-palestinesi previsti dagli accordi competenti a darne seguito, nel caso fossero riscontrate violazioni degli accordi internazionali o dei diritti umani universalmente riconosciuti;
   il contingente multinazionale era composto in totale di 140 osservatori di polizia (numero elevato a 180 in occasione del primo rinnovo della presenza internazionale il 31 luglio 1997). Con lo svilupparsi della missione, però, fu notato che i contingenti potevano essere ridotti ritenendo che una diminuzione del numero degli osservatori non avrebbe causato disfunzioni nell'operatività generale della missione stessa. Così, quando in una riunione ad Ankara del novembre 1999 la TIPH 2, che era stata continuamente prorogata, fu ristrutturata, gli osservatori scesero fino a 100 unità e poi all'attuale 85, di cui 31 italiani;
   tuttavia, nel corso di una recente visita anche a Hebron, i primi due firmatari del presente atto di sindacato hanno raccolto testimonianza diretta del contingente italiano dei carabinieri in ordine all'insufficienza delle unità di personale non in grado di assicurare il controllo del territorio assegnato;
   inoltre, come si evince dal testo originale del mandato della missione TIPH: il reporting delle attività del TIPH produce diversi tipi di rapporti, alcuni per uso interno, alcuni dei quali vengono sottoposti ai comitati in cui sono rappresentati i palestinesi, israeliani e i componenti del TIPH. Altri rapporti, tra i quali un riepilogo settimanale delle attività di reporting di TIPH nel suo ambito di competenza, sono sottoposti ai governi dei paesi partecipanti. Tuttavia, nessuno di questi rapporti è reso pubblico, né i partecipanti al TIPH possono commentare pubblicamente su incidenti specifici menzionati nei rapporti;
   tuttavia, è noto che, malgrado l'obbligo di non pubblicità del loro contenuto, in quei rapporti sarebbero evidenziate situazioni di violazioni dei diritti umani e non solo, come denunciato anche da organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche relative alla diminuzione delle unità italiane di personale di polizia come evidenziato in premessa e se e quali iniziative adottare in merito;
   se e quali iniziative il Governo ritenga di poter adottare, anche di concerto con tutti gli altri attori regionali e internazionali presenti a Hebron, affinché siano resi pubblici i rapporti di cui alla premessa. (5-09195)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta immediata:


   MANNINO, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. – Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. – Per sapere – premesso che:
   la Regione siciliana è oggetto della procedura di infrazione n. 2015/2165 aperta dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia giacché non ha rispettato il termine dei sei anni, previsto dall'articolo 30, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE, per l'aggiornamento del piano dei rifiuti;
   in Sicilia la fine dei poteri speciali ossia derogatori messi in campo attraverso le ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri è coincisa con l'emanazione da parte del presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, di ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Sebbene lo strumento sia cambiato, nei fatti la sostanza resta quasi identica, giacché si continua ad andare in deroga a diverse norme regionali, leggi nazionali e soprattutto direttive europee;
   in data 7 agosto 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri ha formulato due diffide nei confronti della Regione siciliana. Con la prima, il Presidente del Consiglio dei ministri ha diffidato la Regione siciliana a provvedere, entro 60 giorni, all'approvazione definitiva del piano regionale di gestione dei rifiuti; con la seconda, invece, ha diffidato la Regione siciliana a riperimetrare gli ambiti territoriali ottimali entro 30 giorni, a costituire gli organi amministrativi entro 150 giorni e ad adeguare la legislazione regionale in materia di gestione dei rifiuti entro 60 giorni;
   il 29 dicembre 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ulteriormente chiesto alla Regione siciliana le iniziative assunte per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti, con l'invito a fornire ogni elemento utile al fine di valutare le conseguenti azioni dovute per il ripristino della regolare gestione del ciclo dei rifiuti;
   nel mese di febbraio 2016 sono state emesse dal presidente della Regione siciliana, ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, n. 30 ordinanze a partire dalla n. 8 del 27 settembre 2013;
   a fine marzo 2016, la Regione siciliana, nella persona del dottor Armenio, ha inviato al Presidente del Consiglio dei ministri la richiesta di stato d'emergenza, giacché i provvedimenti di emergenza, ai sensi del comma 1 dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, non sono più reiterabili poiché sono stati superati i termini previsti dalla legge;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rispondendo alla richiesta della Regione siciliana, non concede un nuovo commissariamento ma accorda – ai sensi del comma 4 dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 – l'emanazione da parte del presidente Crocetta di una nuova ordinanza contigibile ed urgente. Tale autorizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare viene comunicata alla Regione siciliana il 31 maggio 2016, attraverso una lettera dal titolo: «Situazione emergenziale nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti nella Regione siciliana – Prescrizioni per la concessione dell'intesa ex articolo 191, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152». Alla luce di tale accordo raggiunto, il presidente Crocetta firma, in data 7 giugno 2016, una nuova ordinanza, la 5/rif;
   a distanza di più di un mese dall'ordinanza del punto precedente, il cronoprogramma concordato tra la Regione siciliana e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato in larga parte disatteso, così come evidenziato in una lettera datata 11 luglio 2016, sottoscritta anche dalla prima firmataria della presente interrogazione ed inviata al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti;
   dopo l'ordinanza 5/rif, il presidente Crocetta ha firmato anche: la 6/rif del 30 giugno 2016; la 7/rif del 14 luglio 2016; la 8/rif del 15 luglio del 2016; ed una non meglio specificata, in punta di diritto, disposizione attuativa n. 26 dell'11 luglio 2016, denominata piano straordinario di emergenza per il conferimento dei rifiuti urbani e azioni immediate per l'avvio della raccolta differenziata nel territorio regionale;
   la situazione attuale, fatta di continue emergenze, dimostra, ad avviso degli interroganti, come l'operato del presidente Crocetta sia in larga parte insufficiente;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 febbraio 2016, all'articolo 2, comma c), prevede che spetta al Ministro interrogato la promozione, tra le altre cose, di iniziative nell'ambito dei rapporti tra Stato e sistema delle autonomie e l'esercizio coordinato e coerente dei poteri e di rimedi previsti in caso di inerzia o di inadempienza, anche ai fini dell'esercizio del potere sostitutivo del Governo di cui all'articolo 120 della Costituzione e degli articoli 137 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e 19-bis della legge 11 febbraio 1992, n. 157 –:
   quali iniziative intenda intraprendere – ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 febbraio 2016, soprattutto per quanto riguarda l'articolo 2, comma c) – affinché vengano superate le inerzie e le inadempienze della Regione siciliana di cui in premessa. (3-02405)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:


   BORGHESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri n. 100 del 15 gennaio 2016 ha deliberato l'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni Toscana, Calabria, Liguria, Marche, Puglia, Lombardia e Umbria, disponendo la modifica del loro calendario venatorio con la chiusura della caccia al 20 gennaio 2016 per le specie tordo bottaccio, beccaccia e cesena;
   l'attività venatoria è disciplinata in Italia dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, che ha fondamentalmente recepito la direttiva 79/409/CEE (ora direttiva 2009/14/CE), concernente la conservazione degli uccelli selvatici. La suddetta legge n. 157 del 1992 demanda alle regioni la gestione e la disciplina dell'attività venatoria;
   nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot, il Governo italiano ha ricevuto dalla Commissione europea una richiesta di informazioni (caso EU Pilot 6955/14/ENVI) in merito a dubbi di violazione della direttiva 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici. In particolare, per mezzo di svariate denunce, la Commissione europea è stata informata del fatto che le attività venatorie in varie regioni italiane potrebbero non essere compatibili con la legislazione europea applicabile. In particolare, alcune specie di uccelli sono cacciate in Italia in fase di migrazione prenuziale;
   in ragione di ciò, la Commissione europea chiede che le autorità italiane chiariscano, in particolare che i calendari venatori di alcune regioni italiane siano coerenti con la direttiva 2009/147/CE. In particolare, chiede di chiarire la discrasia tra l'articolo 18 della legge n. 157 del 1992, che prevede per queste specie un periodo di caccia fino al 31 gennaio, e quanto invece riportato sul documento Key concepts che per le suddette specie prevede che la migrazione di ritorno alle zone di nidificazione inizia in Italia nella seconda decade di gennaio;
   gli articoli 2.7.3 e 2.7.10 della guida europea alla disciplina della caccia nell'ambito della direttiva 79/409/CE esplicitamente prevedono che le regioni degli Stati membri possano discostarsi dal dato Key concepts nazionale, quando in possesso di dati scientifici che dimostrino una differenza nei tempi di migrazione delle specie cacciabili;
   la giustizia amministrativa italiana in più occasioni ha giudicato corrette le scelte delle regioni italiane che, utilizzando dati scientifici più completi ed aggiornati, si sono discostate motivatamente e giustificatamente dai dati Key concepts nazionali, come previsto dalla guida alla disciplina della caccia dell'Unione europea, prevedendo la chiusura della caccia al tordo bottaccio, alla cesena e in alcuni casi alla beccaccia al 31 gennaio nel rispetto della legge n. 157 del 1992;
   lo stesso ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con propria nota protocollo n. 1347/GAB del 23 gennaio 2015, ha inviato alla Presidenza del Consiglio dei ministri una relazione di risposta alla Commissione ambiente dell'Unione europea riguardante la procedura EU PILOT 6955/ENVI/14, dove riconosce che il documento Key concepts, che riporta «le date di dipendenza e di avvio della migrazione prenuziale nei diversi Paesi, presenta delle «incongruenze» difficili da spiegare nel confronto fra Paesi confinanti. Situazione questa che si ritiene debba essere adeguatamente tenuta in considerazione in questo contesto e, comunque, risolta per evitare disparità di trattamento fra cittadini europei»; si tratta, infatti, delle stesse popolazioni di specie migratrici (beccaccia, tordo bottaccio e cesena) che si diffondono uniformemente in Spagna, Francia mediterranea e Italia per lo svernamento e che da qui nella seconda decade di febbraio partono per fare ritorno ai luoghi di nidificazione (inizio della migrazione prenuziale);
   l'evidente difforme applicazione della direttiva 2009/147/CE fra Spagna, Grecia, Francia e Italia determina disparità di trattamento fra cittadini europei, giacché la chiusura anticipata della caccia in Italia al 20 gennaio rispetto alla consentita chiusura della caccia al 20 febbraio in Spagna e in Francia non ha nessun fondamento scientifico;
   gli interroganti non ritengono esistenti i presupposti previsti dalla legge 5 giugno 2003, n. 131, per procedere all'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle regioni, in quanto è stato accertato il pieno rispetto della normativa statale (legge n. 157 del 1992) da parte delle regioni in fase di predisposizione e approvazione dei calendari venatori e, quindi, la coerenza con le normative comunitarie;
   sembra che la Commissione europea non si sia ancora pronunciata in merito ai chiarimenti prodotti dagli uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in risposta alle domande sul caso EU Pilot 6955/14/ENVI e non abbia, quindi, accertato e contestato violazioni formali;
   durante il recente esame parlamentare della legge europea 2015-2016 è stato accolto un ordine del giorno, con il quale si impegna il Governo a promuovere in sede di Unione europea un processo di revisione dei Key concept –:
   quali siano i motivi che hanno portato il Ministro interrogato a proporre l'esercizio del potere sostitutivo al Consiglio dei ministri del 15 gennaio 2016, nonché quali iniziative intenda intraprendere, anche alla luce dell'approvazione del suddetto ordine del giorno, per aggiornare i dati Key concepts italiani, indicando quale inizio della migrazione prenuziale delle tre specie migratrici in questione la seconda decade di febbraio, così da allinearli a quelli francesi e spagnoli che la Commissione europea, anche di recente, ha confermato di ritenere corretti. (3-02406)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   CARROZZA, FONTANELLI e GELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la biblioteca universitaria di Pisa, aperta al pubblico nel 1742 nei locali situati sotto la Specola astronomica in via Santa Maria, ha attualmente sede della Domus Galilaeana. Sin dal 1823 ha sede nel palazzo quattrocentesco della Sapienza di cui occupa le ali poste a nord-ovest del piano nobile, dove sono situati i locali destinati all'utenza, le sale di consultazione e gli uffici, e le ali a sud-ovest del secondo piano, adibite a magazzini librari;
   nel patrimonio bibliografico si contano: 1.395 manoscritti, 162 incunaboli, 7.083 cinquecentine, 600.000 volumi e opuscoli, 6.500 testate di periodici, rappresenta un patrimonio culturale di grande valore per l'Ateneo e per la città di Pisa;
   la biblioteca è stata chiusa dal maggio del 2012 in seguito al terremoto che ha colpito il nord-Italia con epicentro in Emilia; diversi studi hanno messo in luce gravissimi problemi di staticità e sicurezza dell'edificio storico de «La Sapienza», rendendo necessario realizzare un complesso e oneroso progetto di recupero, precondizione per l'uso pubblico del bene;
   l'8 giugno 2016, in seguito alla rottura di un tubo dell'acqua nella struttura della biblioteca universitaria pisana la conseguente colata lungo i locali che ospitano i volumi della biblioteca ha danneggiato numerosi preziosi volumi: alcuni di questi sono stati asciugati, altri trasferiti a Firenze, altri ancora lasciati sul posto; si tratta di 1.500 volumi antichi e 1.500 volumi moderni;
   una nuova perdita d'acqua ingente potrebbe provocare ulteriori ritardi sui lavori di restauro e messa in sicurezza della biblioteca;
   sono emerse preoccupazioni, condivise recentemente anche dal consiglio di amministrazione dell'università di Pisa, che ha ricordato che, «per espressa volontà del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT), l'intervento di riqualificazione funzionale della biblioteca universitaria pisana rientra nella esclusiva sfera di competenza dello stesso Ministero, mentre l'università si è fatta carico di tutti gli interventi di carattere generale sull'edificio, nonché di quelli relativi alle aree di propria competenza», e che nel contempo ha fornito la propria disponibilità a valutare le richieste giunte dal Ministero di un maggiore coinvolgimento nei lavori che riguardano la biblioteca universitaria pisana al fine di evitare il disallineamento temporale di tutta la procedura a discapito dell'intero progetto, essendo l'intervento di pertinenza dell'ateneo giunto quasi a conclusione;
   i lavori per la ristrutturazione de «La Sapienza», per i quali sono stati stanziati 4,7 milioni di euro da parte dell'università di Pisa, 3 milioni dalla Fondazione Pisa, altri 3 milioni derivanti dalla vendita delle azioni dell'aeroporto della regione, 1,2 milioni dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, procedono a ritmi serrati e in autunno è prevista la riapertura del complesso (fine lavori prevista per il 30 settembre);
   come detto, per espressa volontà del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT), l'intervento di riqualificazione funzionale della biblioteca universitaria pisana rientra nella esclusiva sfera di competenza dello stesso Ministero, mentre l'università si è fatta carico di tutti gli interventi di carattere generale sull'edificio, nonché di quelli relativi alle aree di propria competenza;
   per i lavori di ripristino della biblioteca universitaria pisana ci sono le risorse (pari a 1,7 milioni di euro), ma manca ancora il progetto a carico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo-Soprintendenza, in quanto a tutt'oggi gli uffici competenti del Ministero medesimo non hanno ancora presentato alcun progetto di adeguamento funzionale della stessa;
   sussiste il rischio che la riapertura della biblioteca universitaria pisana sia procrastinata nel tempo –:
   come e in che tempi il Ministro intenda procedere, per quanto di competenza e nel rispetto degli impegni assunti, per dare avvio ai lavori necessari al ripristino della biblioteca universitaria di Pisa.
(4-13845)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si ritiene di dover fare luce sul caso del maresciallo Riccardo Prisciano, poiché, a quanto è dato sapere, sembra sia stato «punito» con un trasferito illegittimo in Sardegna, a ben 800 chilometri dalla figlia di 4 anni che necessita di cure per gravi ed accertate condizioni psico-affettive; il maresciallo, laureato in scienze giuridiche e da sempre impegnato culturalmente ed artisticamente, ha argomentato, fuori dal servizio, le proprie tesi giuridiche circa l'incostituzionalità dell'Islam e l'impossibilità di credere nell'esistenza di un islam moderato; inoltre, ha espresso la propria contrarietà circa le unioni e le adozioni degli omosessuali;
   per tali fatti, il 6 agosto 2015, mentre Prisciano si trovava in Puglia, in congedo parentale per gravi problemi famigliari, gli è stata fissata la data di un processo disciplinare, con soli due giorni di anticipo. A nulla è servito chiedere di spostare il processo per esigenze famigliari, che, pertanto, si è svolto in assenza di Prisciano e di un suo difensore legale; lo stesso è stato così condannato a sette giorni di consegna di rigore e poi trasferito;
   da quella data, il maresciallo ha prestato servizio solo tre giorni, usufruendo del congedo parentale non retribuito, per poter stare accanto alla propria figlia;
   ed ancora, in Sardegna, il Maresciallo Prisciano è stato sottoposto ad un ennesimo procedimento disciplinare, per condotte successive al 6 agosto 2015, accusato di «islamofobia, xenofobia, omofobia, violazioni dei doveri attinenti al grado ed al giuramento prestato e per aver inficiato l'apoliticità della Forza Armata». In tale procedimento disciplinare è stato contestato il fatto di aver scritto, sempre libero dal servizio, articoli, in cui si parlava di aborto, teoria gender, immigrazione e sovranità statale. Inoltre, ancor prima della pubblicazione, è stato contestato a Prisciano di aver scritto un saggio giuridico, il cui titolo è «Nazislamismo»; dagli atti, gli ufficiali dell'Arma dichiarano che «benché si tratti di un saggio giuridico, scaturito dalla stessa tesi di Laurea in Scienze Giuridiche del maresciallo Prisciano, non è opportuno che si parli in tali termini dell'Islam»;
   è evidente che se fosse nuovamente punito, il maresciallo potrebbe rischiare di perdere il posto di lavoro, con tutte le gravi conseguenze del caso;
   dai fatti emersi l'interrogante ritiene che il maresciallo Prisciano potrebbe aver subito dei procedimenti disciplinari «punitivi» di dubbia legittimità a causa delle proprie libere posizioni, in particolare, sull'Islam;
   anche rispetto alle proprie idee sulle unioni civili, resta la libera opinione di un cittadino, tra l'altro giurista, che non può di certo comportare un trasferimento che appare all'interrogante «punitivo» disposto, inoltre, con un procedimento che non sembra aver reso possibile al maresciallo Prisciano un adeguato esercizio del diritto di difesa;
   per quanto predetto, ad avviso dell'interrogante potrebbe esserci stato un atteggiamento persecutorio nei confronti del maresciallo Prisciano che ha comportato un trasferimento di dubbia legittimità. Si badi bene che è errato ricondurre le libere tesi espresse in questione, tra l'altro, non nell'esercizio di appartenente all'Arma dei carabinieri, ad atteggiamenti islamofobici o omofobici. Ciò che appare è che tali pesanti accuse abbiano giustificato e motivato una condanna di dubbia legittimità –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa posto che il maresciallo Prisciano sembra aver subito dei procedimenti disciplinari e il disposto trasferimento, con lesioni del proprio pensiero liberamente e legittimamente espresso;
   se e quali iniziative intenda adottare affinché fatti del genere non si ripetano, anche alla luce delle modalità di svolgimento del procedimento che ha comportato il trasferimento del maresciallo Prisciano in Sardegna, rispetto al quale, inoltre, non si è tenuto conto delle serie esigenze famigliari dello stesso a tutela della figlia di soli 4 anni. (5-09197)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2014 la sottoscritta ha presentato un'interrogazione ai Ministri della difesa, dell'interno, dell'economia e delle finanze e della giustizia riguardo al caso di Riccardo Magherini deceduto il 3 marzo 2014 durante le operazioni di fermo da parte dei carabinieri in Borgo San Frediano a Firenze;
   13 luglio 2016, è stata data notizia della sentenza di primo grado: il giudice Barbara Bilosi ha condannato per omicidio colposo tre dei quattro carabinieri intervenuti in Borgo San Frediano la notte del. 3 marzo, mentre un quarto, Davide Ascenzi, e due volontarie della Croce rossa che avevano prestato i primi soccorsi sono stati assolti per non aver commesso il fatto;
   la condanna è dunque arrivata per Vincenzo Corni, otto mesi di reclusione, per Stefano Castellano e Agostino Della Porta, sette mesi: tutti con sospensione della pena; per il terzo volontario della Croce rossa, Maurizio Perini, all'inizio del procedimento anche lui imputato, ma deceduto nel frattempo. I tre militari sono stati condannati anche al pagamento delle spese legali sostenute dalle parti civili per il 30 per cento (2.200 euro) per ogni difensore, e al rimborso delle spese generali. Il restante 70 per cento delle spese del giudizio saranno compensate tra le parti;
   secondo il giudice, come risulta dal suo dispositivo, i tre carabinieri una volta giunti sul posto, «dopo averlo non senza difficoltà immobilizzato e ammanettato» hanno causato la morte di Magherini tenendolo «prono a terra», in «situazione idonea a ridurre la dinamica respiratoria» per un tempo di almeno un quarto d'ora. Assolti invece il quarto militare Davide Ascenzi, e le due volontarie, Claudia Matta e Jannetta Mitrea, «per non aver commesso il fatto»;
   secondo quanto appreso dalla cronaca riportata dall'edizione online de La Repubblica, edizione di Firenze, il pm Luigi Bocciolini, aveva chiesto una condanna a nove mesi per omicidio colposo. Per Corni, accusato anche di percosse per uno o due calci sferrati, all'arrestato mentre era a terra ammanettato, era stata chiesta una ulteriore pena di un mese. Il giudice Bilosi ha però dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Corni per l'accusa di percosse. Secondo Bocciolini, fino al momento in cui l'ex calciatore, padre di un bambino di due anni e non ancora quarantenne, fu bloccato, i carabinieri non violarono le regole. Ma poi, averlo tenuto ammanettato a pancia in giù a lungo, per quasi mezz'ora, in una posizione che gli impediva di respirare regolarmente, fu «una condotta contraria non solo a una circolare che raccomandava di sollevare da terra i fermati in stato di agitazione, ma anche al semplice buon senso»;
   la sentenza di primo grado ha dunque stabilito che si è trattato di omicidio colposo, la responsabilità dei carabinieri nella morte di Riccardo è dovuta a come hanno gestito il fermo, fra l'altro contravvenendo alle direttive del comando generale dell'Arma che spiega come ci si comporta in casi simili. Va quindi preso in considerazione che una tale sentenza ha un valore storico, e segna un punto a favore di un Paese civile e democratico –:
   in attesa che la sentenza passi in giudicato, se intendano assumere iniziative per mettere in atto una sospensione cautelativa dal servizio in divisa su strada per incapacità riconosciute a gestire situazioni come quella accaduta a Firenze, così da evitare che possano nuovamente esserci vittime innocenti, ancor più vessate da processi spesso troppo lunghi. (4-13846)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DA VILLA e D'INCÀ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12, commi 1 e 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, (Testo unico delle imposte sui redditi, nel seguito TUIR), e successive integrazioni e modifiche, stabilisce le detrazioni dall'imposta lorda per carichi di famiglia;
   l'articolo 12, comma 2, del TUIR, dispone che tali detrazioni «spettano a condizione che le persone alle quali si riferiscono possiedano un reddito complessivo, computando anche le retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, nonché quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente da essa e dagli enti centrali della Chiesa cattolica, non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili»;
   tale soglia massima di reddito dei familiari a carico, compatibile con il godimento delle detrazioni in parola, è stata rivalutata l'ultima volta nel 1995, a valere dall'anno 1996, dall'articolo 1, comma 2, lettera d), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 maggio 1995, che la ha fissata in lire 5.500.000, corrispondenti agli attuali euro 2.840,51;
   secondo il coefficiente di rivalutazione monetaria ISTAT calcolato per il periodo gennaio 1996-maggio 2016 in base all'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (F.O.I.), al netto dei tabacchi, tale importo equivarrebbe oggi a euro 4.067,61;
   nell'infausta eventualità che in una famiglia uno dei due genitori muoia, la eventuale pensione di reversibilità del genitore deceduto viene destinata anche, pro quota, ai figli; l'importo del rateo pensionistico spettante a ciascuno dei figli concorre, in tali casi, alla determinazione dei redditi di cui al suddetto articolo 12, comma 2, del TUIR, sicché, superata la soglia complessiva di 2.840,51 euro lordi all'anno, il genitore superstite perde completamente il diritto di beneficiare delle detrazioni dall'imposta lorda per carichi di famiglia riferiti ai propri figli, orfani dell'altro genitore;
   il genitore superstite, inoltre, per effetto della legge 8 agosto 1995, n. 335 (cosiddetta «legge Dini»), è costretto a subire l'ulteriore ingiustizia di veder cumulati ai fini Irpef il reddito tratto dalla propria attività lavorativa con quello derivante dalla frazione di pensione di reversibilità goduta, determinandosi, per effetto degli scaglioni, un aumento dell'imposta a cui è tenuto in proporzione al suo reddito; mentre, infatti, erano in vita entrambi i genitori, ciascuno di essi era tenuto al versamento dell'IRPEF sul proprio reddito individuale, mentre il vedovo superstite, vedendosi applicare il cumulo fra la pensione di reversibilità ed il reddito derivante dalla propria attività lavorativa, subisce un aggravio di imposte, creando un ulteriore svantaggio per la famiglia monogenitoriale;
   per la combinazione di questi fattori, la famiglia resa monogenitoriale da un lutto può entrare in una doppia condizione di svantaggio rispetto a quella con due genitori viventi che percepiscano entrambi un reddito, verosimilmente superiore al trattamento di reversibilità a beneficio di coniuge e figli superstiti e purtuttavia meno tassato, e che, grazie al mancato innesco dell'esclusione di cui all'articolo 12, comma 2, del TUIR, possano beneficiare delle detrazioni dall'imposta lorda per carichi di famiglia –:
   se il Ministro interrogato sia informato delle circostanze sopra descritte e se non ritenga opportuno intervenire per far cessare al più presto le storture che ne derivano;
   se il Ministro intenda promuovere iniziative affinché le quote di trattamento di reversibilità spettanti ai figli minori non concorrano al computo del reddito complessivo di cui all'articolo 12, comma 2, del TUIR;
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative, previa individuazione delle risorse necessarie alla copertura della misura, per una rivalutazione monetaria del limite di reddito di 2.840,51, di cui all'articolo 12, comma 2, TUIR, che tenga conto della dinamica inflazionistica registrata dai tempi dell'ultimo adeguamento, o quanto meno per una sua rimodulazione secondo criteri di progressività, semmai prevedendo una riduzione graduale dell'ammontare della detrazione relativa a ciascun familiare a carico commisurata al crescere del reddito percepito dal medesimo;
   se e in che modo il Governo intenda affrontare la situazione fiscale a cui sono soggetti i genitori superstiti in ordine al cumulo dei redditi (pensione di reversibilità e proprio reddito da lavoro), e in particolare se e in che modo si intenda risolvere la forte sperequazione dovuta ai conseguenti aumenti dello scaglione IRPEF. (5-09193)


   VENITTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la circolare 36/E dell'Agenzia delle entrate, del 19 dicembre 2013, avente ad oggetto i profili catastali e gli aspetti fiscali degli impianti fotovoltaici, in merito al trattamento fiscale da applicare al corrispettivo conseguito a seguito della cessione del diritto di superficie, sono stati esplicitati, dall'amministrazione finanziaria i seguenti chiarimenti:
    a) l'equiparazione ai fini delle imposte sui redditi, delle disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso agli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento, previsto dall'articolo 9, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, può operare esclusivamente qualora sia possibile procedere ad una contrapposizione di due valori omogenei e questo è fattibile solo allorquando il diritto di superficie sia stato acquistato, in precedenza, a titolo oneroso e con un importo oggettivamente determinabile;
   in altri termini, il corrispettivo percepito a seguito della concessione del diritto di superficie può essere inquadrato nella fattispecie delineata all'articolo 67, comma 1, lettera b) del TUIR, che include tra i redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusivamente nell'ipotesi in cui il medesimo diritto reale sia stato, in precedenza, acquistato a titolo oneroso;
   in conseguenza di questa specifica equiparazione, risultano applicabili alla plusvalenza conseguita – calcolata come differenza fra i corrispettivi percepiti e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto – tutte le disposizioni dettate ai fini della cessione della piena proprietà; pertanto, ad esempio, qualora fra la cessione e l'acquisto (a titolo oneroso) del diritto reale di godimento siano trascorsi più di cinque anni, la plusvalenza conseguita non può essere assoggettata a tassazione;
    b) con specifico riguardo ai compensi percepiti dal titolare del fondo a seguito della costituzione del diritto di superficie acquisito a titolo originario – ovvero senza aver sostenuto un costo oggettivamente determinabile e direttamente riferibile al diritto ceduto –, gli stessi debbano essere inclusi nella fattispecie recata dall'articolo 67, comma 1, lettera l), del TUIR, vale a dire fra i redditi diversi derivanti dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere;
   conseguentemente, ai fini della determinazione della plusvalenza da assoggettare a tassazione, trova applicazione la disposizione recata dall'articolo 71, comma 2, del TUIR la quale prevede che il reddito da sottoporre a tassazione sia costituito dalla differenza fra l'ammontare percepito nel periodo d'imposta e le spese specificamente inerenti alla sua produzione;
   l'applicazione della circolare dell'Agenzia delle entrate comporta conseguentemente l'imponibilità del corrispettivo anche in tutti i casi in cui non lo sarebbe applicando la lettera b) dell'articolo 67, tra cui il diritto costituito sul terreno agricolo ereditato ovvero dopo cinque anni da quando è stato acquistato il fondo e il diritto costituito sul lastrico solare dell'abitazione principale o sull'immobile acquistato o costruito da almeno cinque anni; inoltre, essendo le uniche spese deducibili quelle «specificamente inerenti alla sua produzione», l'imponibile Irpef sarebbe praticamente sempre costituito dall'intero corrispettivo, proprio perché non esiste alcun costo specifico di acquisto altrimenti si ricadrebbe nella fattispecie di cui alla lettera b);
   la Corte di cassazione con la sentenza n. 15333 depositata il 4 luglio 2014, contrariamente a quanto previsto dalla citata circolare 36/E del 2013, ha statuito che, essendo il diritto di superficie un diritto reale, è pienamente applicabile l'articolo 9, comma 5, del TUIR, implicante l'equiparazione della disciplina fiscale relativa alle cessioni a titolo oneroso della piena proprietà degli immobili agli atti che importano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento; per la persona fisica, il corrispettivo derivante dalla cessione del diritto di superficie costituisce dunque reddito diverso ex articolo 67, comma 1, lettera b), del Tuir, qualora si tratti di area fabbricabile (sarà tassata la differenza tra il costo, rivalutato e maggiorato delle spese, e il prezzo di vendita);
   in caso di terreno agricolo, invece, nessuna tassazione è applicabile, salvo che non siano trascorsi almeno cinque anni dall'acquisto; il reddito afferente a tale corrispettivo non può essere inquadrato tra i redditi diversi ed in particolare tra quelli derivanti dall'assunzione di obblighi di permettere di cui alla lett. l) dell'articolo 67 del Tuir, in quanto, da un lato, la generale equiparazione del trasferimento di un diritto reale di godimento al trasferimento del diritto di proprietà, correlata all'articolo 9, comma 5, del TUIR, non consente, neanche, l'applicazione dell'articolo 67 lettera l) del TUIR, in relazione all'obbligo di permettere (concedere) a terzi l'utilizzo del terreno e, dall'altro lato, i redditi determinati dall'assunzione di obblighi, cui fa riferimento tale ultima disposizione, vanno ricollegati specificatamente a diritti personali, piuttosto che a diritti reali e, nel caso di diritto di superficie, la Corte ritiene si sia indiscutibilmente in presenza di diritti reali;
   la Corte peraltro rammenta che, in relazione alla tassazione delle plusvalenze immobiliari infraquinquennali, con riguardo alla lettera b), il limite temporale posto, di cinque anni, evidenzia la volontà del legislatore di tassare solo le plusvalenze aventi natura speculativa: la tassabilità o meno della plusvalenza è stata limitata nell'ambito un quinquennio, oltre detto periodo non potrà più presumersi il carattere speculativo dell'operazione di acquisto e la successiva vendita del bene –:
   se non ritenga di assumere le iniziative di competenza al fine di chiarire la corretta interpretazione della disciplina in materia di tassazione del diritto di in modo da superare la precedente pronuncia dell'amministrazione finanziaria del 2013 rendendola quindi conforme a quanto previsto dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. (5-09196)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 175 del 2014 avrebbe dovuto riprodurre (o sopprimere in parte) gli obblighi e le scadenze previsti per i contribuenti e che si ripercuotono anche, e in modo particolarmente gravoso, sull'operatività dei professionisti gravati da una mole sempre crescente di funzioni, obblighi ed adempimenti che l'amministrazione finanziaria ha progressivamente imputato loro;
   nonostante le dichiarazioni d'intento del legislatore, lo scadenzario presente sul sito dell'Agenzia delle entrate ha previsto, per l'anno 2015, ben 810 pagine di scadenze, delle quali 189 riferibili al primo semestre e ben 275 raggruppate nel periodo luglio-agosto; per l'anno 2016, le pagine riferite alle scadenze del primo semestre sono addirittura aumentate a 283 e per il periodo luglio-agosto 2016 (così come è stato per il 2015) si contano ben 449 scadenze per un totale di 918 adempimenti;
   questo approccio appare dunque all'interrogante poco pragmatico e sembra altresì dimostrare un distacco molto rilevante con la realtà che vivono i professionisti: ne è un esempio lo stesso 730 precompilato, pubblicizzato invece come modello di semplificazione. Al riguardo, infatti, è posizione ampiamente condivisa anche dai vertici dell'Agenzia delle entrate che i soggetti che effettuano l'assistenza fiscale diventano sempre più parte attiva di un processo che non può fare a meno di loro nel rapporto contribuente-amministrazione finanziaria;
   ad oggi, ad esempio, è previsto anche che l'intermediario istituisca un nuovo registro dove annotare cronologicamente le deleghe ricevute dai propri clienti e per i quali si procederà a controlli a campione, al fine di verificare la correttezza della procedura seguita negli studi professionali e presso i Caf;
   ad aumentare questa enorme farraginosità interviene poi l'istituto della proroga che da anni, oramai, viene reiterato costantemente per porre argine ad una proliferazione torrentizia di norme spesso confuse e contradditorie seguite da una prassi interpretativa mai esaustiva e, soprattutto, patologicamente tardiva;
   ad aggravare ulteriormente le difficoltà dei professionisti, non mancano inoltre casi in cui vengono emanati decreti-legge a ridosso delle scadenze, proprio per prorogare termini di pagamento di imposte e tributi;
   sembrerebbe dunque necessario concepire un nuovo rapporto fra cittadini e amministrazione finanziaria anche attraverso un leale, trasparente e funzionale confronto al fine di individuare le linee strategiche da seguire nell'ottica di eliminare, o perlomeno, attenuare, le criticità che hanno assunto ormai dimensioni non più sostenibili, come quelle sopra citate, e al fine di pervenire non soltanto ad una più generale ed effettiva semplificazione che darà modo ai cittadini di riconquistare fiducia nelle istituzioni, ma anche di perseguire lo scopo dell'equità del prelievo fiscale –:
   se il Ministro interrogato non intenda convocare un tavolo di confronto con gli addetti ai lavori al fine di raccogliere le istanze degli intermediari e degli assistenti fiscali con lo scopo di programmare, anche attraverso nuove iniziative normative una vera e propria semplificazione degli adempimenti fiscali e della normativa fiscale in generale, con l'obiettivo di rispettare, sostanzialmente, la disciplina contenuta nello statuto del contribuente, fino ad ora non tenuto in debito conto dal legislatore;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, anche attraverso il tavolo di confronto sopra citato e le opportune iniziative normative, promuovere una complessiva riforma del sistema tributario con lo scopo di:
    a) eliminare gli adempimenti superflui e, soprattutto, la moratoria dei medesimi nei mesi centrali dell'anno, considerati già tutti gli impegni ai quali i professionisti sono chiamati durante l'intero anno;
    b) semplificare o eliminare il modello 770, considerata la duplicazione dei dati provenienti dalla certificazione unica, e la comunicazione dei beni in godimento ai soci e dei finanziamenti;
    c) eliminare la disciplina delle lettere d'intento, con conseguente soppressione del quadro VI della dichiarazione IVA;
    d) rivedere lo «spesometro» ed eliminare gli studi di settore i quali hanno mostrato evidenti limiti nel rappresentare uno strumento di effettiva individuazione dell'evasione fiscale, come invece era nelle intenzioni del legislatore;
    e) rivedere la disciplina delle società non operative, che penalizza irragionevolmente l'esercizio dell'attività di impresa esercitata, anche in considerazione dell'ulteriore aggravio, introdotto inspiegabilmente nel periodo di massima virulenza della crisi economica, rappresentata dalle cosiddette «perdite sistemiche» nonché rivedere le sanzioni – oggettivamente sproporzionate – qualora nel modello Unico il contribuente ometta di indicare gli specifici codici riguardanti cause di disapplicazione/esclusione o, in via residuale, sull'esito dell'interpello;
    f) rivedere tutti gli strumenti di accertamento che determinano il reddito, in via presuntiva, per tabulas;
    g) razionalizzare i tributi locali, in modo da permettere ai comuni di godere di una vera autonomia finanziaria, con una completa attuazione del federalismo fiscale, ma senza rinunciare all'armonizzazione fiscale in tutto il Paese che, di fronte ai continui tagli da parte dello Stato e ad una sperequazione importante tra diverse territori nazionali, tarda ad arrivare, producendo una parossistica differenziazione di aliquote e casistiche tale da obbligare gli operatori a un difficilissimo esercizio di comprensione;
    h) semplificare le modalità di pagamento delle imposte, riducendo drasticamente i codici tributo e i modelli fiscali (attualmente pari, rispettivamente, a 1609 e a 110), essendo ancora insufficiente la razionalizzazione degli stessi operata nel 2002;
   se il Ministro non ritenga opportuno, vigilare ed adoperarsi al fine di addivenire ad una maggiore chiarezza delle disposizioni contenute nei diversi provvedimenti, e ad una maggiore tempestività delle norme, con l'obiettivo di definire norme di proroga soltanto in casi straordinari.
(4-13844)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il 31 maggio 2016 il Governo ha approvato il primo decreto attuativo della legge delega di riforma della magistratura onoraria (decreto legislativo n. 92 del 2016), istituendo la sezione autonoma dei consigli giudiziari per i magistrati onorari, che avrà compiti delicatissimi: giudicare in sede disciplinare i magistrati onorari, valutare la loro idoneità alla conferma, esprimere pareri sull'organizzazione degli uffici. La sezione autonoma dovrà anche tutelare le condizioni di lavoro dei magistrati onorari, dal momento che la loro retribuzione, in parte, sarà liquidata in base agli obiettivi raggiunti, fissati dai capi degli uffici e comunicati ad essa;
   la delicatezza dei compiti affidati alla sezione autonoma è stata del tutto trascurata dal «Governo del fare», che ha fissato le elezioni alla data del 24/25 luglio 2016, non solo costringendo la categoria a organizzarsi in pochissimo tempo per le candidature, ma imponendo anche ai consigli giudiziari l'organizzazione delle procedure di elezione in un tempo brevissimo. Infatti, le incertezze sulle regole delle elezioni sono perdurate fino al 13 luglio 2016, quando il Consiglio superiore della magistratura ha approvato una delibera per risolvere le molteplici problematiche applicative e interpretative della normativa (essendo molte liste ormai depositate in base a indicazioni magari diverse date dai consigli giudiziari);
   aver stabilito una data così prossima, sembrerebbe un ulteriore segnale per scoraggiare la partecipazione al voto di una categoria che già aveva maturato disaffezione, dopo essere stata invitata dal Governo a guardarsi intorno per cercare un altro lavoro;
   come non bastasse, a ciò si aggiunge anche che i magistrati onorari hanno in questi giorni appreso che, se non hanno la fortuna di prestare servizio nei capoluoghi sede di corte d'appello o nelle pochissime sedi indicate come uffici elettorali, dovrebbero percorrere oltre cento chilometri per votare chi dovrà valutarli e tutelarli. Per esempio, in Emilia Romagna si voterà solo a Bologna e i colleghi di Piacenza, per andare a votare, dovrebbero percorrere circa 150 chilometri; 120 chilometri sono la distanza che i colleghi in servizio a Massa e Verona dovranno percorrere per il loro diritto di voto, concesso, rispettivamente, a Genova e a Venezia. Essi sono pregiudicati da regole che, per lo più, non sono state applicate ai magistrati di ruolo, i quali, alle ultime elezioni, hanno votato presso le proprie sedi. I magistrati in servizio, che per problemi organizzativi o di diversa e più complessa natura saranno impossibilitati a recarsi presso le sedi «delocalizzate», saranno così esclusi dalla rappresentanza, emarginati definitivamente nella periferia giudiziaria;
   per il «Movimento sei luglio – per la riforma della Magistratura onoraria», è inoltre inaccettabile che la legge non abbia previsto la partecipazione dei magistrati onorari agli uffici elettorali: soluzione, che, per altro, avrebbe consentito l'operatività di un maggiore numero di seggi dove votare. Per i magistrati aderenti al Movimento, si tratta dell'ennesima nefasta conseguenza dell'operare sbrigativo del Governo, che si vuole sottolineare, ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 92 del 2016 dopo le 23 del 31 maggio 2016, a meno di un'ora dal termine di decadenza di tutti i magistrati onorari. Il decreto, infatti, ha stabilito anche la loro proroga;
   gli interpellanti intendono, quindi, sostenere il «Movimento sei luglio» che rivolge un appello perché sia disposta la costituzione di uffici elettorali che consentano l'esercizio effettivo del voto a tutti i magistrati onorari –:
   se il Governo sia a conoscenza dei gravi fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per dar seguito alla legittima richiesta avanzata dal «Movimento sei luglio».
(2-01431) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGANO e ATTAGUILE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   mese di giugno 2016 sono stati rinviati a giudizio l'attuale presidente dell'Ordine nazionale dei biologi Ermanno Calcatelli, Pietro Sapia, componente del consiglio dello stesso Ordine, e Giuseppina Commandè della segreteria dell'Ordine, per reati di falso ideologico in atto pubblico legati alle elezioni per il rinnovo dei vertici dell'Ordine dei biologi, nel giugno 2012;
   la decisione, dopo anni di indagini, è scaturita dall'udienza preliminare dinnanzi al giudice dell'udienza preliminare, presso il tribunale di Roma. In particolare, gli imputati avrebbero concorso a falsificare un determinato numero di richieste di schede elettorali previste per il voto per corrispondenza, nel corso delle elezioni per il rinnovo dell'Ordine;
   gli stessi avrebbero concorso nella formazione ed utilizzo di schede di voto false;
   il giudice dell'udienza preliminare ha ritenuto gli elementi emersi nell'ambito del procedimento penale nei confronti degli imputati idonei a sostenere l'accusa in giudizio;
   spetterà ora al tribunale decidere sulla fondatezza delle accuse. Allo stato pertanto vi sono tre imputati per i reati contestati relativi alle elezioni degli organi rappresentativi dei biologi per l'anno 2012;
   tra poco meno di un anno si dovrà procedere al rinnovo degli attuali organismi dell'Ordine, che sono in scadenza e dei quali fanno parte Calcatelli, attuale presidente, e Sapia;
   sarebbe alquanto inverosimile, oltre che di dubbia legittimità che soggetti colpiti da una così grave imputazione, relativa proprio all'alterazione dei meccanismi di elezione che li hanno portati a ricoprire cariche di vertice dell'Ordine, possano, a breve, gestire un nuovo procedimento elettorale per il rinnovo delle loro cariche –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative di competenza si intendano assumere per garantire un percorso che consenta all'Ordine nazionale dei biologi di procedere in modo legittimo e trasparente al rinnovo delle cariche.
(4-13843)


   DANIELE FARINA e MATTIELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 giugno 2016 è stato tratto in arresto il giovane cittadino ceco K.M. per fini estradizionali, in quanto colpito da mandato di cattura emesso dall'autorità ucraina per violazione della normativa sugli stupefacenti;
   nel settembre 2013 il ragazzo si trovava al confine ungherese, diretto in Ucraina. Durante in controllo è stato trovato con 1,9 grammi di marijuana, che ha dichiarato essere per uso esclusivamente personale. Le autorità ucraine hanno avviato un procedimento a piede libero per l'accusa di spaccio – per cui in Ucraina sono previsti fino a dieci anni di carcere – di cui lui non ha avuto alcuna ulteriore notizia, finché è arrivato in Italia in vacanza il 29 giugno 2016. Il giorno dopo aver consegnato i documenti in hotel, infatti, si sono presentate all'albergo le forze di polizia, che l'hanno arrestato;
   nonostante si trattasse di una modica quantità, la Corte di Appello di Venezia il 2 luglio 2016 ha convalidato l'arresto provvisorio e disposto la custodia cautelare in carcere, ancora in essere;
   il successivo 5 luglio 2016 la Corte di Appello di Venezia, dopo aver interrogato il cittadino ceco ha confermato la misura cautelare, conformandosi a quanto richiesto dal Ministro della giustizia che, con nota del 5 luglio richiedeva all'autorità giudiziaria, in forza dell'articolo 716, comma 4, CPP «il mantenimento della misura cautelare in carcere allo scopo di assicurare la consegna»;
   in pari data l'avvocato d'ufficio dell'interessato, Tandura, ha chiesto la revoca della misura o la sua sostituzione con misura meno gravosa, ma ad oggi alcun provvedimento è stato adottato dalla corte interpellata;
   l'abuso del ricorso alle misure cautelari successive alle convalide degli arresti provvisori per fini estradizionali, ovvero in forza di mandati di arresto europeo pone seri problemi del rispetto dell'inviolabilità della libertà personale dell'individuo, secondo l'interrogante in aperta violazione dell'articolo 5 della CEDU;
   nel caso di specie si trova in custodia cautelare in carcere un cittadino che per la legge italiana o era un mero possessore per uso personale di una modica quantità di droga leggera o al massimo ha posto in essere una condotta riconducibile all'articolo 73 comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Nel primo caso si sta trattenendo in custodia cautelare un cittadino che per il nostro ordinamento ha commesso la violazione di una norma con sanzione amministrativa, nel secondo caso si applica una misura cautelare detentiva non applicabile se il fatto-reato (spaccio di lieve entità) fosse stato commesso sul territorio italiano;
   di recente, l'Associazione Antigone ha pubblicato un report sull'applicazione delle misure cautelari in carcere che mette in luce, tra le altre cose, l'abuso del ricorso a tale misura, allorquando vi è una procedura estradizionale o relativa ad un mandato di arresto europeo. Dal report emerge che la prassi applicativa relativa alle estradizioni e ai mandati di arresto europeo si caratterizza per una illegittima prevalenza, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, del riconoscimento di provvedimenti di autorità straniere e dell'applicazione per lunghi tempi della misura cautelare, perché le autorità straniere tardano ad inviare la documentazione necessaria alla corte italiana per decidere in merito alla estradizione. L'Italia è stata condannata in più occasioni dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per l'eccessiva durata della custodia cautelare e la mancanza di garanzie per l'accusato durante il procedimento relativo all'applicazione delle misure;
   l'Italia, altresì, è stata anche condannata per la violazione dell'articolo 5, comma 1, della Convenzione, per detenzione arbitraria in custodia cautelare. Ciò è accaduto piuttosto recentemente nella causa Gallardo Sanchez contro Italia (24 marzo 2015) riguardante un caso di estradizione. Il soggetto sottoposto a misura cautelare lamentava la violazione dell'articolo 5, comma 3, per l'eccessiva durata della custodia cautelare (un anno 3 sei mesi), ma la Corte qualificava il fatto come una violazione dell'articolo 5, comma 1, ritenendo che l'Italia non si era dimostrata diligente nella decisione di concedere l'estradizione della persona in custodia cautelare, una decisione segnata da un ingiustificato ritardo;
   il reciproco riconoscimento tra Stati dei provvedimenti limitativi della libertà non dovrebbe collidere e sminuire quanto disposto dall'articolo 5 della CEDU e che l'Italia non dovrebbe, a parere dell'interrogante, assecondare politiche repressive eccessive per fatti evidentemente non gravi;
   attualmente in Ucraina vi è un conflitto bellico e, secondo l'ultimo rapporto Amnesty, sono stati accertati numerosi casi di violazione dei diritti umani –:
   se il Ministro interrogato non intenda interrompere nel più breve tempo possibile la procedura di estradizione e assumere ogni iniziativa di competenza per evitare la prosecuzione della carcerazione ad avviso dell'interrogante ingiustificata.
(4-13848)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   l'assenza di uno o più dispositivi automatici che possano aumentare la sicurezza e influire positivamente sui regimi di circolazione, è una costante in molte ferrovie secondarle e regionali; tale mancanza corrisponde anche alla conseguente mancanza di sicurezza;
   il decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112, ha esteso le competenze dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (ANSF) sulle reti regionali. L'estensione della rete regionale è di circa 3.500 chilometri e corrisponde a circa un terzo della rete nazionale;
   in data 30 gennaio 2013 la Commissione europea ha presentato il «quarto pacchetto ferroviario» composto dalle direttive n. 2016/796 e 2016/798, nonché dal regolamento 2016/797, che propone un approccio integrato volto a rivitalizzare il trasporto ferroviario dell'Unione europea per favorire la creazione di uno spazio ferroviario unico europeo con espresse disposizioni e indicazioni riguardanti l'aspetto della sicurezza delle reti ferroviarie;
   la realizzazione delle disposizioni dell'Unione europea avrà come effetto che all'anno 2019, l'Agenzia ferroviaria europea (ERA) disporrà norme sulla sicurezza ferroviaria omogenee su tutto il territorio europeo e di conseguenza in Italia l'ANSF sarà l'unico soggetto che controllerà in modo uniforme tutto il territorio nazionale;
   in particolare, si ritiene fondamentale richiamare la direttiva 2016/798 laddove prevede la possibilità per ciascuno Stato membro di applicare le disposizioni per l'implementazione degli standard di sicurezza anche alle reti metropolitane e tramviarie, a quelle ferroviarie locali in deroga a quanto previsto dalla stessa direttiva, ciò significando che il Governo potrebbe applicare, nello schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva, l'adeguamento degli standard di sicurezza delle reti ferroviarie locali e regionali a quelli della rete ferroviaria nazionale;
   le profonde diversità dei regimi di circolazione che vi sono attualmente in Italia tra la rete nazionale e quelle regionali sono dovute anche ad una diversa gestione delle stesse, in quanto mentre la rete nazionale è a cura di RFI spa, riconosciuto come unico soggetto gestore, le reti regionali sono gestite da soggetti diversi, anche privati, e di conseguenza gli interventi e gli sviluppi sulle reti regionali vengono pianificati in base alle necessità e in base al ritorno economico che possono generare gli investimenti di ogni singolo soggetto gestore. Tale particolarità rende alcune tratte ferroviarie regionali con regimi di circolazione arretrati, come è il caso della tratta tra Andria e Corato. Una implementazione degli standard di sicurezza anche sulle reti regionali potrebbe essere più omogenea e rapida se a curare e sovrintendere tale implementazione sia infrastrutturale che di preparazione del personale, fosse RFI spa, già gestore della rete nazionale;
   alla suddetta implementazione degli standard di sicurezza dovrebbe corrispondere un'adeguata informazione al Parlamento, al fine di garantire trasparenza ai soggetti gestori dei servizi; alle amministrazioni locali e alla cittadinanza, ed informare sull'effettivo stato di sicurezza e di implementazione degli standard di sicurezza delle reti ferroviarie regionali;
   in data 12 luglio 2016, alle ore 11,38, si è verificato uno scontro frontale tra due convogli ferroviari sulla linea ferroviaria regionale Bari-Barletta, che collega Bari con numerosi centri abitati dislocati su due province, con un bacino di utenza di circa 700 mila abitanti, che ha provocato il decesso di 23 persone e il conseguente ferimento di altri 50 passeggeri. I convogli, ciascuno dei quali formato da quattro vagoni sui quali viaggiavano soprattutto pendolari, studenti universitari e viaggiatori diretti all'aeroporto di Bari Palese, erano in servizio sulla tratta a binario unico Corato-Andria della predetta linea, gestita dalla società Ferrotramviaria s.p.a., società totalmente a capitale privato, che vi opera in qualità sia di gestore dell'infrastruttura sia di impresa ferroviaria;
   la circolazione dei treni nel tratto sopracitato avviene con il solo «blocco telefonico» per cui non sono presenti altri tipi di regime di circolazione;
   la proprietà della predetta infrastruttura è della regione Puglia. La linea è elettrificata ed a scartamento normale, a doppio binario nel tratto Fresca San Girolamo-Ruvo, circa 33 chilometri, mentre per i restanti 37 chilometri è a binario unico. La circolazione dei treni avviene con blocco automatico bidirezionale da Bari a Ruvo mediante l'ACEI, l'apparato centrale elettrico ad itinerari di Bitonto, e gli ACS, gli apparati centrali statici di Terlizzi e Ruvo, e con consenso telefonico da Ruvo a Barletta;
   il convoglio partito da Andria, che si è scontrato con quello proveniente da Corato, non sarebbe dovuto partire. La procura di Trani ha già proceduto alla prima iscrizione nel registro degli indagati per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e disastro ferroviario. Il procuratore di Trani ha subito avvertito che, al momento, parlare di un errore umano è corretto, ma assolutamente riduttivo. Uno dei due convogli sarebbe partito in anticipo dalla stazione di provenienza: nella tratta teatro dell'incidente, infatti, è in uso il sistema obsoleto del consenso telefonico, per cui il via libera ai treni è dato da una comunicazione attraverso telefono tra gli operatori delle varie stazioni. Secondo la procura si tratta di un'indagine molto complessa, a partire dalla dinamica dell'incidente, ma ci sarebbero anche altre circostanze da verificare, ossia se siano stati erogati o meno i finanziamenti per il miglioramento e il raddoppio della linea, perché vi siano sistemi di sicurezza adeguati, se su quella linea vi siano già state situazioni critiche non segnalate;
   la procura di Trani ha avviato anche una serie di accertamenti per individuare eventuali responsabilità all'interno dell'ufficio trasporti a impianti fissi (Ustif) di Bari, un organo periferico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. L'Ustif ha la competenza sui trasporti pubblici che si avvalgono di impianti fissi: funivie, teleferiche, tranvie metropolitane e anche le ferrovie in concessione, come le Ferrovie del nord barese. La struttura si occupa dei collaudi per la messa in esercizio, delle autorizzazioni e dei controlli periodici sulla linea. Gli inquirenti e gli investigatori vogliono dunque accertare se siano stati seguiti tutti i regolamenti, se siano state rispettate le norme e se vi siano in questo ufficio eventuali responsabilità connesse con quanto avvenuto il giorno dell'incidente ferroviario;
   per accertare esattamente la dinamica dei fatti e le problematiche legate alla sicurezza, anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha nominato una commissione d'inchiesta, che ha lo scopo di accertare le cause dell'incidente e le responsabilità sul settore della sicurezza da parte del responsabile della sicurezza;
   la rete ferroviaria ove si è verificato il tragico incidente appartiene alle cosiddette ferrovie secondarie, la cui costruzione ed esercizio è stata affidata dallo Stato, nel tempo, ad operatori privati. Negli anni, tali soggetti sono rientrati nella sfera di competenza di regioni e province autonome, che stipulano con loro contratti di servizio. La gestione delle infrastrutture e dell'esercizio su tali linee è in capo alle società esercenti. La rete di tali ferrovie ha un'estensione totale in Italia di circa 3.700 chilometri. Nell'ambito di tali reti sono ancora presenti 2.700 chilometri di linea a binario unico. In presenza di binario unico, alcune reti secondarie sono caratterizzate anche da standard tecnologici più evoluti, che si adattano ai diversi regimi di esercizio in relazione alle caratteristiche della rete, alla frequenza dei convogli e alla velocità di esercizio; altre reti, invece, cosiddette isolate per la vocazione trasportistica per gli standard di armamento adottati, presentano caratteristiche diverse. Le tecnologie adottate in presenza di tali linee sono diverse: consenso telefonico, blocco conta-assi e, nei casi più evoluti, sistemi di controllo marcia treno;
   il sistema di segnalamento con consenso telefonico è senza dubbio tra i meno evoluti rispetto alle tecnologie disponibili per la regolazione della circolazione ferroviaria. Come affermato anche dal Ministro Delrio nel corso dell'informativa resa alle Camere il 13 luglio 2016, «nel regime del blocco telefonico il capostazione non può inviare un treno alla stazione successiva se non ha domandato e ottenuto dal capostazione della predetta il consenso ad inviare quel determinato treno. La sezione di linea è dunque considerata normalmente bloccata, e viene liberata per la circolazione di volta in volta mediante il consenso dell'inoltro del treno; con tale procedura sulla sezione di linea può essere presente un solo treno per volta». Il sistema si affida quindi interamente all'uomo, lasciando aperta la possibilità di errore e di una fallace interpretazione delle comunicazioni;
   è evidente, dunque, che da una parte, ci sono tecnologie all'avanguardia che garantiscono la sicurezza dei circa 16700 chilometri gestiti da Rete ferroviaria italiana (Rfi) – che dal 2000 ad oggi ha fatto investimenti di circa 6-7 miliardi di euro sulla propria rete – e sottoposti alla vigilanza dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf). Dall'altra, ci sono tratti di rete, circa 3.700 chilometri, che rispondono ad un diverso organo preposto al controllo, l'ufficio speciale trasporti a impianti fissi (Ustif), e ad aziende diverse (circa trentaquattro), a partecipazione sia pubblica che privata, che operano in tutto il Paese. Si va da Ferrovie Nord in Lombardia fino a una pluralità di soggetti presenti proprio in Puglia, nello specifico Ferrovie del Gargano, Ferrotramviaria, Ferrovie del Sud Est e Ferrovie Appulo Lucane. Questi soggetti scontano, in alcuni casi, un deficit di investimenti, che colloca le reti dagli stessi gestite su un piano diverso rispetto al migliori standard di sicurezza;
   dalle prime indagini della procura è emerso che sarebbe bastato un investimento da poco meno di due milioni di euro per evitare l'incidente e dotare la linea di un sistema automatizzato di blocco treno. Il tratto ferroviario che va tra Andria e Corato risulta essere uno dei pochissimi tratti a binario unico in Italia senza alcun sistema di controllo automatizzato;
   la regione Puglia, con deliberazione della giunta regionale 2 aprile 2014, n. 547, ha individuato interventi volti a migliorare la sicurezza del trasporto ferroviario immediatamente cantierabili, stanziando risorse per un importo totale di euro 83.000.000,00 di cui circa venti milioni destinati alla società Ferrotramviaria spa, ossia il gestore dell'infrastruttura ove si è verificato l'incidente, distribuiti tra impianti di bordo (euro 6.250.000) e impianti di terra (euro 14.250.000);
   è evidente che la società Ferrotramviaria non ha utilizzato le predette risorse per migliorare la sicurezza del tratto Corato-Andria, unico tratto controllato unicamente dall'uomo. Tale circostanza ha indotto la Guardia di finanza di Bari ad acquisire documenti nella sede della società e presso la regione. Tra i documenti acquisiti figura anche il contratto di servizio tra la regione Puglia e le società Ferrotramviaria, firmato a dicembre 2015, il regolamento di esercizio e la carta dei servizi dell'azienda;
   le indagini in coreo rivelano» inoltre, che i convogli hanno continuato a circolare regolarmente nel tratto Andria-Corato seppur sprovvisti di sistemi di controllo automatici di cui non si fa menzione nel contratto di servizio citato, in spregio di precise previsioni di legge, ma che la Ferrotramviaria, con una comunicazione inviata all'Ustif, si è impegnata a realizzare entro il 2017;
   gli investimenti sulla sicurezza in sistemi automatici di protezione non possono prevedere eccezione alcuna, sia che riguardino tratte delle Ferrovie dello Stato italiano sia, ancor più, che si tratti di ferrovie regionali «ex concesse». Non è possibile fare distinzione di priorità in termini di sicurezza tra servizi a mercato e servizi universali, tra tratte regionali e linee ad alta velocità;
   il tragico incidente verificatosi in Puglia mostra ancora una volta, ad avviso degli interpellanti, un più generale fallimento delle politiche del Governo per i trasporti e le infrastrutture, come evidenziato anche dall'abbandono di una corretta programmazione, dalla inadeguatezza delle risorse e degli interventi per il trasporto pubblico, urbano ed extraurbano, e, soprattutto, per la riqualificazione della rete ferroviaria nazionale;
   il 15 giugno 2016 è entrato in vigore il pilastro tecnico del 4o pacchetto ferroviario pubblicato sulla GUCE del 26 maggio 2016, che consta di tre testi normativi: 1) direttiva 2016/797/UE relativa all'interoperabilità del sistema ferroviario dell'Unione europea su Autorizzazione Veicoli (VA) e sottosistemi e Nuovo registro europeo dei veicoli; 2) direttiva 2016/798/UE sulla sicurezza delle ferrovie su certificato unico di sicurezza e occurrence reporting; 3) regolamento 2016/796/UE che istituisce un'Agenzia dell'Unione europea per le ferrovie e che abroga il regolamento 881/2004/CE su: sportello unico (One stop shop – OSS) per autorizzazione veicoli, certificato di sicurezza unico, preautorizzazione di ERTMS, oneri e canoni;
   il completamento dell'area ferroviaria europea unica e la semplificazione dell'entrata dei nuovi operatori nei mercato sono gli obiettivi generali del 4o pacchetto. In particolare, gli obiettivi specifici del pilastro tecnico sono volti a: ridurre i costi e la durata delle procedure del rilascio delle autorizzazioni, applicare procedure più snelle e armonizzate a livello dell'unione, ma soprattutto garantire l'implementazione dell'interoperabilità ferroviaria e promuovere uno schema armonizzato per la sicurezza. L'incidente verificatosi in Puglia evidenzia come una maggiore armonizzazione degli standard di sicurezza sia ancora carente sul territorio italiano;
   l'Agenzia europea (ERA) funzionerà come un One Stop Shop (OSS) e rilascerà i certificati di sicurezza per le imprese ferroviarie che operino in più di uno Stato membro oppure, su richiesta del richiedente, in un singolo Stato membro. Mentre il regolamento sull'ERA è già pienamente applicabile in tutti gli Stati membri, la direttiva sicurezza e quella sull'interoperabilità dovranno essere recepite entro il 16 giugno 2019;
   il decreto ministeriale n. 28/T del 5 agosto 2005 «Individuazione delle Reti ferroviarie e dei criteri relativi alla determinazione dei canoni di accesso ed all'assegnazione della capacità di infrastruttura da adottarsi riguardo alle predette reti, dei criteri relativi alla gestione delle licenze e delle modalità di coordinamento delle funzioni dello Stato e delle regioni con riguardo alle questioni inerenti alla sicurezza della circolazione ferroviaria», all'allegato 1 elenca, ai sensi dell'articolo 1, comma 5, decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, le reti ferroviarie locali e regionali non isolate che sono reti a scartamento ordinario chi presentano almeno una interconnessione con la rete nazionale consentendo tecnicamente e funzionalmente l'interscambio:
    1. Ferrovia Adria-Mestre;
    2. Ferrovia Adriatico-Sangritana;
    3. Ferrovia Alifana;
    4. Ferrovia Arezzo-Stia-Sinalunga;
    5. Ferrovia Bari-Barletta;
    6. Ferrovia Benevento-Napoli;
    7. Ferrovia Bologna-Portomaggiore;
    8. Ferrovia Brescia-Iseo-Edolo;
    9. Ferrovia Canavesana;
    10. Ferrovia Casalecchio-Vignola;
    11 Ferrovia Centrale umbra;
    12. Ferrovia Ferrara-Codigoro;
    13. Ferrovia Ferrara-Suzzara;
    14. Ferrovia del Gargano;
    15. Ferrovia Modena-Sassuolo;
    16. Ferrovia Nord Milano;
    17. Ferrovia Parma-Suzzara;
    18. Ferrovie Reggiane;
    19. Ferrovia Roma-Viterbo;
    20. Ferrovia Savona-San Giuseppe;
    21. Ferrovia del Sud Est;
    22. Ferrovia Torino-Ceres;
    23. Ferrovia Udine-Cividale;
   la direttiva ministeriale n. 81-T del 19 marzo 2008 «direttiva sulla sicurezza della circolazione ferroviaria» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stabilisce, ai commi 1 e 2 dell'articolo 1, che i gestori delle reti regionali interconnesse alla rete nazionale elencate nel sopracitato decreto ministeriale n. 28/T del 5 agosto 2005, devono entro tre anni dalla data di approvazione della direttiva ministeriale n. 81-T del 19 marzo 2008, attrezzare le linee ferroviarie di propria competenza con sistemi di prevenzione della marcia del treno atti a garantire i medesimi livelli di sicurezza dei sottosistemi di terra adottati sulla rete in gestione ad RFI ed entro lo stesso termine, il materiale rotabile che circola sulle reti regionali sopracitate deve essere attrezzato con sistemi di bordo compatibili con i sottosistemi di terra previsti sulle stesse linee;
   all'articolo 1, comma 3 e 4 della direttiva sopracitata, si stabilisce che al fine di dare attuazione ai commi 1 e 2, i gestori delle reti regionali interessate presentano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro 90 giorni dall'approvazione della decreto ministeriale n. 81-T del 19 marzo 2008, programmi di attrezzaggio tecnologico che tengano conto delle peculiari caratteristiche di ciascuna rete regionale, proponendo sistemi coerenti dal punto di vista economico tali da garantire interoperabilità con la rete di RFI e dei programmi vengono valutati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sentita la conferenza permanente Stato-regioni, tenendo presente la tipologia di traffico sulla rete di esercizio, in modo tale da definire un programma di riferimento entro il 31 dicembre 2008;
   lo stesso Ministro Delrio nel corso del giorni successivi al tragico incidente sulla Andria-Corato e negli interventi svolti nelle aule di Camera e Senato, ha più volte richiamato, la presenza di risorse ingenti pari a circa 18 miliardi di euro, riferendosi secondo gli interpellanti in maniera non del tutto chiara al contratto di programma RFI e al suo aggiornamento, nonostante in questo perimetro non rientrino specificatamente le linee locali. Altresì, come è stato riportato a Montecitorio, vi sarebbe l'investimento di un ulteriore miliardo e 800 milioni di euro di risorse per le reti non nazionali che il Ministro avrebbe concordato, anche in questo caso in maniera del tutto non chiara né specificata, con il sottosegretario De Vincenti. Nel complesso, al di là delle incongruenze emerse nel richiamare risorse e fondi senza alcuna specifica indicazione di ambito di competenza, appare ipotizzabile che almeno un cospicua parte di queste risorse potrebbe derivare dalle revoche effettuate a seguito delle opere non cantierizzate ai sensi del decreto-legge «Sblocca Italia»;
   in caso di disastro ferroviario, la complessità delle dinamiche che possono svilupparsi a seguito delle indagini da parte dei soggetti competenti, assieme ai tempi delle prescrizioni dei reati, possono talvolta non assicurare alla giustizia i responsabili dei disastri ferroviari –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per recepire, entro lo stesso 2016, ben prima della scadenza del giugno 2019, le direttive citate e dare attuazione al regolamento del IV pacchetto ferroviario di cui alle premesse affinché anche le reti ferroviarie locali e regionali, oggi escluse dalla competenza dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e dagli standard di sicurezza nazionali ed europei, possano beneficiare dei medesimi controlli e verifiche;
   se il Governo intenda dare seguito alla richiesta espressa dal Movimento 5 Stelle sulla ricognizione delle condizioni in cui versano le linee «minori» al fine di rendere pubblica e accessibile la reale situazione delle reti ferroviarie sul territorio nazionale;
   se il Governo intenda assumere iniziative per intervenire sulla prescrizione, sopprimendola, affinché anche nei casi di disastro ferroviario si possa offrire un iter certo e tempestivo della giustizia;
   quali siano, nello specifico, le risorse a cui il Ministro interpellato si riferisce con riguardo ai diversi miliardi di euro destinati alle opere e alla manutenzione, e quali di queste risorse sarebbero imputabili al «fondo revoche» e alle opere non cantierizzate di cui al decreto-legge «Sblocca Italia»; con riferimento a queste risorse, quali sarebbero destinate alle reti regionali per la manutenzione ordinaria e straordinaria, per il raddoppio dei binari unici, per rade guarnente agli standard di sicurezza, su quali reti specifiche e attraverso quali atti;
   quali iniziative intenda adottare per garantire la trasparenza e la pubblicità di tali finanziamenti;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per estendere, nei limiti delle sue competenze, a tutte le regioni gli accordi citati nella informativa urgente per adeguamenti in sicurezza;
   come si intenda coinvolgere RFI e se siano previsti poteri sostitutivi nei confronti di quegli enti e quei gestori che non utilizzano risorse per adeguamento della sicurezza.
(2-01433) «De Lorenzis, Liuzzi, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Cecconi».

Interrogazione a risposta orale:


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che il 6 luglio 2016 Autostrade del Lazio (partecipata pubblica in misura paritaria fra Anas e regione Lazio) ha disposto l'aggiudicazione definitiva in favore del Consorzio Stabile Sis S.c.p.A, per l'affidamento in concessione delle attività di progettazione realizzazione e gestione del corridoio intermodale Roma-Latina e del collegamento Cisterna-Valmontone. La stipula del contratto tra la stazione appaltante e il Consorzio Sis non potrà avvenire prima del 10 agosto 2016, così come disposto dall'articolo 11, comma 10, decreto legislativo n. 163 del 2006, e solo dopo l'esito positivo dei controlli sui requisiti generali di partecipazione della società;
   il progetto prevede la realizzazione di 186 chilometri di infrastrutture: l'asse autostradale Roma-Latina e la Cisterna-Valmontone, oltre alle opere per la connessione con la viabilità locale e alla realizzazione di due viabilità complanari all'autostrada, gratuite per alcuni tratti, nonché l'adeguamento per il traffico locale dell'attuale Pontina, tra Pomezia nord ed Aprilia sud, per un costo totale dell'opera pari a 2,8 miliardi di euro (di cui oltre 900 milioni di euro stanziati dallo Stato) e una durata massima prevista per la concessione di 50 anni;
   l'opera in questione (dichiarata strategica e di preminente interesse nazionale con deliberazione del CIPE n. 12 in data 21 dicembre 2001) presenta un iter burocratico estremamente contorto ed articolato, caratterizzato da molti contenziosi legali. Dopo una serie di controversie burocratiche e giudiziarie (che in questa sede e si evita di ricordare in quanto oggetto di numerose precedenti interrogazioni parlamentari), il 19 dicembre 2011 Autostrade del Lazio ha pubblicato il bando di gara, in cui, tra le altre cose, si specifica che il bando non vincola Autostrade del Lazio né all'espletamento della gara, né alla diramazione degli inviti, né alla successiva aggiudicazione. Inoltre, si legge testualmente che «Autostrade del Lazio si riserva espressamente la possibilità di annullare la gara o di modificarne o rinviarne i termini in qualsiasi momento ed a suo insindacabile giudizio, senza che i concorrenti possano avanzare pretese di qualsiasi genere e natura» e contestualmente si stabilisce un termine per il ricevimento delle domande di partecipazione. Nel giorno 9 febbraio 2012 (data di scadenza della presentazione predisposta dal bando) sono solo 6 le domande di partecipazione pervenute alla stazione appaltante;
   dopo 28 mesi, il 10 aprile 2014 Autostrade del Lazio ha spedito le lettere d'invito ai concorrenti prequalificati, ma sono solo due le società che hanno presentato l'offerta: il Consorzio Sis, composto dai torinesi Dogliani e dall'iberica Sacyr, e la RTI Impregilo (società costituita dall'alleanza tutta italiana fra Impregilo, Astaldi, Pizzarotti e Ghella). La RTI Impregilo propone uno sconto di 303 milioni di euro sul contributo pubblico. Si passa così da 902 e 605 milioni per l'intera tratta e da 468 a 367 milioni per la sola tratta Roma-Latina. Mentre il Consorzio Sis propone di incassare tutta la somma di finanziamento pubblico, 902 milioni di euro, ma si impegna a restituirla con un interesse del 5 per cento, «solo» dopo trent'anni dall'avvio della concessione e «senza garanzie finanziarie». Da fonti stampa si apprende che la società RTI Impregno, ha intrapreso le vie legali facendo ricorso al Tar, ritenendo inammissibile l'offerta presentata dalla società italo spagnola;
   nonostante il codice dei contratti non imponga una specifica tempistica tra la fase di preselezione dei concorrenti e l'invio delle lettere di invito, è evidente che in questi 28 mesi, altri e nuovi operatori avrebbero potuto affacciarsi sul mercato e avere interesse a partecipare. Allo stesso tempo è altresì evidente che chi aveva già manifestato interesse poteva aver intanto modificato le proprie situazioni soggettive e non essere più interessato o in grado di partecipare. Risulta chiaro che l'eccessiva dilatazione dei tempi tra le fasi della gara e della procedura ristretta ha comportato una restrizione della concorrenza. Si precisa che quanto appena detto era stato segnalato precedentemente dall'autorità per la vigilanza sui contratti pubblici che aveva manifestato dubbi sulla correttezza e/o convenienza del bando di gara. Tali dubbi erano stati ratificati dal consiglio nell'adunanza del 4 luglio 2012 in una delibera, e successivamente dall'Anac con la delibera n. 29 del 9 dicembre 2014 (http://www.anticorruzione.it) si rileva, inoltre, il mancato coinvolgimento delle piccole e medie imprese richiesto dall'articolo 2 comma 1-ter del decreto legislativo n. 163 del 2006. Infatti, la stazione appaltante può: a) imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare a terzi appalti corrispondenti ad una percentuale non inferiore al 30 per cento del valore globale dei lavori oggetto della concessione. Tale aliquota minima deve figurare nel bando di gara e nel contratto di concessione. Il bando fa salva la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale; b) invitare i candidati a dichiarare nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione, che intendono appaltare a terzi. Di conseguenza, permane una evidente inottemperanza formale e sostanziale del bando di gara e della lettera d'invito; inoltre nessuna delle due società concorrenti ha fatto ricorso all'istituto della cooptazione (istituto che permette all'impresa di affidare una percentuale non superiore al 20 per cento dell'importo complessivo dei lavori ad altre imprese cooptate);
   si evidenziano, altresì, ad avviso degli interroganti gravi carenze nella esplicitazione e chiara indicazione del quadro economico di progetto in merito alle reali somme destinate alle spese inerenti alle misure previste per i protocolli di legalità così come disposto dalla delibera del CIPE n. 58/2011 (Approvazione linee guida per la stipula di accordi in materia di sicurezza e lotta antimafia ex articolo 176, comma 3, lett. e) del decreto legislativo n. 163/2006 e successive modificazioni e integrazioni; infatti, nel quadro economico risulta assente la voce «costi per il protocollo di legalità», carenza, quest'ultima, che rischia di esporre la stazione appaltante a ulteriori contenziosi giudiziari;
   in riferimento anche a quanto pubblicamente indicato dalla società RTI Impregno, che si è detta intenzionata ad impugnare l'aggiudicazione definitiva in favore del Consorzio Stabile Sis s.c.p.a, si evidenziano delle carenze nel bando/lettera di invito nelle modalità di assegnazione dei punteggi per gli elementi quantitativi 7.1 e 7.2: il problema risiede in ciò che è stato previsto nella lettera d'invito e nella formula utilizzata per l'assegnazione dei punteggi, in cui si tiene conto solo dell'entità della restituzione del contributo e non delle tempistiche;
   appare doverosa e necessaria una specifica valutazione da parte dell'ANAC estesa all'atto di aggiudicazione definitiva, anche in virtù dell'articolo 211, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016, al cui esito positivo e privo di criticità condizionare l'assegnazione dei finanziamenti statali;
   appare altresì doveroso, in ossequio dei principi di correttezza e trasparenza delle procedure di scelta del contraente e dell'utilizzo di denaro pubblico, che le valutazioni espresse dall'ANAC sulla procedura in questione siano rese pubbliche e vincolanti rispetto all'adozione degli atti di competenza e alla stipulazione del contratto di gara –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle irregolarità riportate in premessa e, in considerazioni di queste nonché in virtù di quanto stabilito nel bando del 19 dicembre 2011 pubblicato da Autostrade del Lazio, non reputi doveroso avviare le iniziative di competenza per sospende l’iter amministrativo, in attesa di verifiche in merito alla legittimità della procedura di gara, accompagnate da una valutazione in ordine alla possibilità di evitare la realizzare dell'ennesima faraonica infrastruttura autostradale;
   se in Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative volte a condizionare all'esito positivo dei pronunciamenti dell'Anac l'erogazione dei finanziamenti statali. (3-02398)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   OLIARO e GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse nei giorni scorsi sugli organi di stampa si è appreso che, a seguito dell'ultima indagine demoscopica commissionata da Trenitalia ad una società esterna al gruppo Ferrovie dello Stato Italiane in merito al grado di soddisfazione rispetto al servizio ferroviario locale, sarebbe aumentato il numero dei pendolari umbri che avrebbe giudicato positivamente il trasporto regionale di Trenitalia, apprezzandone gli sforzi di miglioramento;
   secondo i risultati dell'indagine, a fronte di una media nazionale del 79 per cento d'intervistati che nel corso dell'ultima periodica rilevazione ha espresso un giudizio positivo sul viaggio nel suo complesso (+2,8 per cento rispetto al 2015 e + 4,8 per cento rispetto al 2014), la percentuale registrata in Umbria è dell'89,3 per cento, in crescita di 4,2 per cento rispetto al 2015 e di 9,5 per cento al 2014. Gli interpellati hanno indicato nel comfort (+9,8 per cento rispetto al 2015 e + 12,6 per cento rispetto al 2014), nella permanenza a bordo (+5,9 per cento rispetto al 2015 e + 10,1 per cento rispetto al 2014), nella pulizia (+9 per cento rispetto al 2015 e + 13,8 per cento rispetto al 2014) e nella puntualità (+9,3 per cento rispetto al 2015 e + 13,1 per cento rispetto al 2014) gli aspetti maggio ente migliorati. Al conseguimento di questo risultato avrebbero concorso le decisive ovazioni operative e tecnologiche introdotte negli ultimi periodi, un radicale turnover del management, nonché l'arrivo in Umbria di treni nuovi, più confortevoli, performanti e affidabili. A giugno 2015 sono infatti entrati in esercizio quattro nuovi convogli Jazz, che svolgono 13 corse al giorno;
   in base ai dati forniti dalla medesima indagine, in lieve controtendenza è il giudizio sulla sicurezza sui convogli, su cui pesa negativamente l'eco di alcuni atti vandalici o di aggressioni al personale ferroviario. Tuttavia, il 78,7 per cento degli intervistati in Umbria continua a esprimere un'opinione positiva sul livello di sicurezza, intesa nell'accezione di security;
   proprio per migliorare la security a bordo, è stato avviato a livello nazionale un importante progetto di videosorveglianza live. Oltre a registrare le immagini interne al treno, il sistema – primo in Europa – consente di replicarle in tempo reale sui monitor di bordo delle flotte più recenti, come deterrente ad aggressioni e atti vandalici. Le stesse immagini sono trasmesse in tempo reale alle diverse control room sul territorio, per assicurare un costante presidio della situazione a bordo dei treni;
   nonostante i dati positivi che registrano un miglioramento del gradimento da parte degli utenti sui convogli ferroviari regionali, il Coordinamento comitati pendolari umbri, in una lettera pubblicata dal Corriere dell'Umbria il 7 luglio 2016, mette in dubbio gli esiti dell'indagine commissionata da Trenitalia sul grado di soddisfazione rispetto al servizio ferroviario locale;
   come riportato nella lettera, il Comitato sostiene di non essere stato interpellato in merito da alcuno degli addetti dell'azienda di rilevazione di cui non conoscerebbe neppure la denominazione e che, se avesse invece interloquito con la società cui è stata commissionata l'indagine, i dati sarebbero stati ben diversi, visti i ritardi che quotidianamente assillano i treni regionali, in particolare da e per Roma, sia per problematiche all'infrastruttura, sia per guasti al materiale, nonché per la questione della regolazione di accesso alla linea alta velocità Roma/Firenze, dove i treni ad alta velocità sarebbero favoriti dal gestore nazionale della rete (RFI), anche se in ritardo, a scapito dei treni regionali, per non parlare dei servizi sospesi nel periodo estivo che creano problemi a tanti viaggiatori, ad esempio ai pendolari tra Terni e Orvieto –:
   se non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché Trenitalia, con riferimento soprattutto alla situazione dei pendolari sui convogli ferroviari della regione Umbria che, a fronte del contratto di servizio, applica all'impresa ferroviaria delle penalità e/o un sistema premiante in base ai parametri di qualità, fornisca chiarimenti sull'attendibilità dell'indagine demoscopica sul gradimento del servizio ferroviario locale, in particolare su come è stata condotta, dove sono state effettuate le rilevazioni, in che orari, in quali stazioni e/o su quali treni regionali, come anche riguardo il campione degli intervistati, ovvero se gli stessi si sono dichiarati passeggeri ordinari o pendolari, dal momento che si ritiene che la trasparenza sia presupposto essenziale per la collaborazione tra utenti, istituzioni e gestori del servizio. (5-09204)


   FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tragedia che ha colpito la tratta ferroviaria pugliese Andria-Corato impone una seria presa di coscienza sul tema della sicurezza ed in particolare sulla necessità di mettere in atto prontamente interventi di rinnovamento dei sistemi di segnalamento;
   il cosiddetto blocco a chiamata o blocco telefonico, un sistema a chiamata tra le stazioni che devono avvisare dell'arrivo dei treni e trasmettere le informazioni ai macchinisti, deve essere superato su tutto il territorio nazionale;
   l'Italia resta la patria dell'eccellenza nella progettazione e realizzazione di sistemi di segnalamento e l'industria di settore investe oltre il 4 per cento del proprio fatturato in attività di ricerca e sviluppo, secondo i dati dell'Associazione delle industrie/Ferroviarie (Assifer);
   proprio nel giorno in cui si consumava il terribile dramma pugliese, Rete ferroviaria italiana (Rfi) dava conto del superamento dei test di collaudo in Sardegna, sulla tratta Decimomannu-Cagliari, del sistema satellitare di segnalamento Ersat. Il sistema Ersat è integrato con il modello European Rail Traffic Management System (Ertms) per il distanziamento in sicurezza dei treni;
   oltre ad RFI, ai test di collaudo erano presenti i tedeschi di DB Netz, i francesi di SNCF, gli svizzeri di SBB, la olandese Prorail, i britannici di Network Rail, Trafickverkert (Svezia), Bane DK (Danimarca), JBV (Norvegia) e gli spagnoli di ADIF. Tutti hanno verificato e apprezzato le potenzialità operative e gestionali di Ersat che permette un funzionamento a prova di errore della localizzazione del treno, grazie alla tecnologia satellitare con boe virtuali Gps e un continuo scambio di informazioni tra terra e convogli attraverso l'Internet Protocol (Ip) e utilizzando la rete pubblica Gsm;
   Ersat è un sistema di segnalamento che, primo caso al mondo, interfaccia e integra la tecnologia ferroviaria, sistema di segnalamento Ertms, con quella di navigazione e localizzazione satellitare Galileo. Il nuovo sistema, la cui omologazione è in corso, in futuro sarà utilizzato per controllare e gestire in sicurezza il traffico ferroviario sulle line convenzionali secondarie, locali e regionali. A regime Ersat potrà essere installato su quasi il 45 per cento della rete convenzionale secondaria, sostituendo gli attuali sistemi di sicurezza, e su buona parte di quella europea;
   con Ersat, una volta ricevuta via satellite la localizzazione dei treni (posizione e velocità), l'Ertms supervisiona la situazione del traffico ferroviario per mezzo del dialogo costante che avviene tra terra e treno: dati e informazioni sono trasmessi ai dispositivi installati a bordo dei convogli dalle radio-base posizionate lungo il tracciato ferroviario, ogni sette chilometri;
   inoltre, il sistema potrà trovare applicazione nelle extra urbane. Rfi e Db Netz (i gestori delle infrastrutture ferroviarie italiane e tedesche) e Trenitalia stanno effettuando in Sardegna, insieme a Asstra (Associazione a cui aderiscono oltre 140 aziende pubbliche e private operative nel trasporto pubblico locale, urbano e extraurbano), le sperimentazioni applicative. I test, coordinati da Ansaldo STS, dovrebbero concludersi entro gennaio 2017 –:
   quali iniziative urgenti s'intendano avviare al fine di giungere ad una tempestiva implementazione su tutta la rete ferroviaria nazionale di nuovi e innovativi sistemi di segnalamento, quali ad esempio il sistema Ersat, con particolare riferimento ai profili di investimento pubblico per lo sviluppo di tali sistemi. (5-09205)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazioni del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004) ha istituito l'addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili, pari ad un euro per passeggero imbarcato, per compensare, per un importo massimo di 30 milioni di euro annui, ENAV spa dei costi sostenuti per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa dei servizi regolati in base ai contratti di programma e di servizio di cui all'articolo 9 della legge 21 dicembre 1996, n. 665, Trasformazione in ente di diritto pubblico economico dell'Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale, e per la quota eccedente assegnati al Ministero dell'interno per finanziare, nel limite del 60 per cento del totale residuo, misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie e, per il rimanente 40 per cento del totale residuo, a favore dei Comuni del sedime aeroportuale o con lo stesso confinanti secondo medie percentuali;
   dopo un anno tale addizionale comunale sui diritti di imbarco, per effetto dell'articolo 6-quater, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti, e successive modificazioni, è stato incrementato di tre euro al fine del finanziamento, fino al 31 dicembre 2015, del «Fondo Speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo» (FSTA), istituito, ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291, Interventi urgenti in materia di politiche del lavoro e sociali, presso l'Inps per evitare l'espulsione dal mondo del lavoro dei lavoratori del settore del trasporto aereo oggetto in quegli anni di massicce procedure di cassa integrazione guadagni straordinaria/mobilità/solidarietà. Tale fondo è stato istituito per favorire la rioccupabilità di questi lavoratori, attraverso il finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, e per erogare specifiche prestazioni integrative alla cassa integrazione guadagni straordinaria, mobilità e contratti di solidarietà, tali da garantire un trattamento economico complessivamente pari all'80 per cento della retribuzione riferita agli ultimi 12 mesi di lavoro e per una durata di più 48 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria e più 12 mesi di mobilità per complessivi sette anni. Trattamento che ha ingenerato non poche perplessità nell'opinione pubblica per essere eccessivamente favorevole rispetto a quanto previsto per la generalità dei lavoratori;
   dopo un altro anno, l'articolo 1, comma 1328, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), ha aumentato l'addizionale sui diritti d'imbarco sugli aeromobili di ulteriori 50 centesimi di euro a passeggero al fine di ridurre il costo a carico dello Stato dei servizi antincendio negli aeroporti;
   per far fronte all'eccezionale situazione di squilibrio finanziario del comune di Roma, l'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, ha imposto l'addizionale commissariale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti della città di Roma fino ad un massimo di un euro per passeggero;
   due anni dopo, l'articolo 4, comma 75, della legge 28 giugno 2012, n. 92, Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, ha disposto un ulteriore incremento di due euro dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco da versare all'INPS anche se non risulta chiara l'effettiva destinazione. La medesima «legge Fornero», in materia di riforma del mercato del lavoro, ha provveduto all'articolo 2, comma 47, a rendere permanente e non più temporaneo l'incremento di tre euro dell'addizionale comunale sui diritti d'imbarco che, in vista della soppressione del FSTA, dal 1o gennaio 2016, siano incamerate nella gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali dell'INPS per sostenere in sintesi le casse in perdita e gli «assegni sociali» che gravano sulla fiscalità generale;
   tale destinazione non ha comunque impedito al Governo Letta di prorogare il FSTA di ulteriori tre anni (2016, 2017, 2018), come da articolo 13, commi 21 a 23, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, Destinazione Italia, finanziando tale proroga mediante un ulteriore corrispondente incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco che è stato fissato recentemente con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nella misura di euro 2,50 per l'anno 2016, euro 2,42 per l'anno 2017 e euro 2,34 per l'anno 2018 (decreto ministeriale 29 ottobre 2015, Definizione della misura dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco da destinare all'INPS);
   non si comprende la ratio di continuare a chiamare addizionale comunale un tributo che per tutta evidenza è un'imposta statale impiegata, come sopra narrato, per le più svariate esigenze. Sommando, infatti, tutti gli aumenti che si sono succeduti nel corso degli anni si è passati da 1,00 euro iniziali agli attuali 10,00 euro per gli aeroporti del comune di Roma (9,00 euro tutti gli altri). Di tali somme ai comuni aeroportuali compete solo il 40 per cento di un euro, quindi 40 centesimi a passeggero imbarcato, a valere però sulle quote eccedenti l'importo fisso di 30 milioni di euro annui necessari a compensare Enav spa dei servizi erogati. Eppure anche su questi esigui importi da anni si assiste a continui attriti tra i comuni aeroportuali e il Governo per il loro mancato trasferimento. Infatti, l'Associazione nazionale comuni aeroportuali italiani (ANCAI), che riunisce 82 comuni sul cui territorio insistono in percentuale variabile sedimi aeroportuali, ha quantificato in 100 milioni di euro i mancati trasferimenti dalla sua istituzione ad oggi, con grave nocumento per i bilanci degli enti interessati, al punto che dopo numerosi solleciti ha deciso di inviare formale diffida ad adempiere nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero dell'interno per l'ottenimento di quanto di loro spettanza;
   il 15 luglio 2016 in occasione della risposta del Governo all'interpellanza urgente n. 2-01428 (Iniziative per sostenere la presenza delle compagnie aeree low cost in Sardegna, nel quadro degli interventi volti a garantire la continuità territoriale) il Sottosegretario Umberto Del Basso De Caro ha dichiarato che: «Con riferimento alla più generale problematica della riduzione dell'addizionale comunale di imbarco, si è già avuto occasione di sottolineare che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in aderenza all'indirizzo governativo che tende a favorire la riduzione delle tasse, si sta adoperando per la messa in atto di un intervento normativo che consenta una riduzione dell'addizionale comunale tendenzialmente di carattere strutturale» –:
   se il Governo intenda chiarire in che modo si sta adoperando «per la messa in atto di un intervento normativo che consenta una riduzione dell'addizionale comunale» anche in considerazione della diffida ad adempiere dell'Associazione nazionale comuni aeroportuali italiani (ANCAI) in merito al trasferimento ai comuni delle somme loro spettanti in relazione alla suddetta addizionale. (5-09206)


   MOGNATO, TULLO, MARTELLA, MURER, ZOGGIA e MALISANI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'estromissione del transito delle grandi navi dal bacino di San Marco costituisce un'oggettiva priorità non solo per la città di Venezia, ma anche per il Governo italiano, come ribadito tra l'altro dal World Heritage Committee dell'UNESCO nel corso della 40a sessione di lavoro recentemente conclusa a Istanbul;
   il decreto 2 marzo 2012, cosiddetto Clini-Passera, che vieta il transito nel bacino di San Marco e attraverso il canale della Giudecca alle unità navali con stazza superiore alle 40.000 tonnellate, all'articolo 3 recita che «il divieto (...) si applica a partire dalla disponibilità di vie di navigazione praticabili alternative a quelle vietate»; in tale situazione pertanto è stata autorizzato il transito di unità navali con stazza fino a 96.000 tonnellate;
   nel corso del tempo sono stati presentati alcuni progetti aventi lo scopo di predispone le alternative richieste dal decreto cosiddetto Clini-Passera;
   in particolare, sono stati presentati presso la commissione VIA da parte dell'Autorità portuale di Venezia il progetto dello scavo del canale Contorta-S. Angelo e, come variante al medesimo, del canale Tresse nuovo-Vittorio Emmanuele; inoltre, è stato presentato quello da parte di Duferco della realizzazione di un nuovo avamporto per le grandi navi presso la bocca di porto del Lido; è stato altresì esaminato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nella prima fase (scooping) il progetto preliminare presentato da ED srl e da Tecnitalia spa di spostamento del terminal per le grandi navi a Marghera;
   il segretario della commissione tecnica VIA nazionale ha comunicato che il progetto cosiddetto Tresse nuovo-Vittorio Emmanuele non può essere considerato una variante del precedente progetto di scavo del canale Contorta-S. Angelo, bensì si configura come relativo ad «opera di nuova, distinta e originale progettazione»;
   l'introduzione del limite di 96.000 tonnellate di stazza ha portato, secondo i dati di «Venezia Terminale Passeggeri», ad una perdita di circa 160.000 crocieristi nel corso degli ultimi due anni; tale tendenza, se si protraesse a lungo, pregiudicherebbe il ruolo di home port dello scalo veneziano;
   le linee guida per la redazione nuovo piano regolatore portuale introducono tra i capisaldi qualificanti la redazione della nuova pianificazione «l'individuazione di possibili siti complementari (o financo alternativi, in una prospettiva di lungo periodo) alla Marittima, per tenere conto dell'evoluzione logistica e navale del comparto crocieristico, anche andando oltre la semplice ottemperanza al decreto Passera-Clini»;
   la stessa procura della Repubblica di Venezia ha aperto un fascicolo conoscitivo sul tema delle grandi navi, per valutare l'esistenza di possibili fattispecie di natura penale riconducibili al transito attraverso il bacino di san Marco e il canale della Giudecca, avuto riguardo in particolare a danni arrecati alle strutture urbane della città (rive, canali) oltre che all'inquinamento ambientale derivante dalle emissioni in atmosfera;
   intervenendo nel corso della conferenza internazionale Along the Silk Road tenutasi a Venezia pochi giorni fa il Ministro Delrio ha dichiarato: «dobbiamo valutare tutte le ipotesi in campo per trovare una soluzione finale e definitiva. Il nostro obiettivo è quello di far sì che quelle navi non entrino più a Venezia», assicurando la massima attenzione da parte del Governo –:
   considerati i progetti sopra ricordati, quale sia ad oggi lo stato di avanzamento della procedura di comparazione per la scelta finale. (5-09207)


   BIASOTTI e SISTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che i treni Frecciarossa 9598 Lecce-Milano e 9597 Milano-Lecce, di nuova istituzione, a partire dal 12 giugno 2016, nei giorni di sabato e domenica, nella tratta Lecce-Milano-Lecce, effettuano le fermate intermedie nelle stazioni di Reggio Emilia AV, Bologna, Rimini, Ancona, Termoli, Foggia, Bari, Brindisi;
   le fermate in Puglia sono quindi previste a Foggia, Bari, Brindisi e Lecce. Assente, invece, la fermata a Barletta;
   è inaccettabile che venga esclusa la fermata che interessa una città – capoluogo di provincia – che conta un'utenza di circa 600 mila passeggeri; lo scalo barlettano rappresenta infatti un bacino di utenza pari ad almeno 400 mila persone, tanti quanti sono gli abitanti della provincia. A questi vanno aggiunti, poi, i residenti di centri baresi come Corato, più interessati alla fermata di Barletta che a quella di Bari. L'opportunità di una fermata a Barletta è poi di tutta evidenza, anche considerata la notevole distanza che vi è con la città metropolitana di Bari a sud e con la città di Foggia a nord;
   Barletta, che ha dato tra l'altro i natali a Pietro Mennea, a cui è stato dedicato il nuovissimo treno super veloce Frecciarossa 1000, è un nodo ferroviario classificato da RFI «Gold», il secondo dopo Bari, nodo terminale delle tratte ferroviarie Barletta-Spinazzola e Bari-Barletta (gestione Ferrotramviaria s.p.a., tristemente nota per i luttuosi accadimenti della scorsa settimana);
   già in passato le comunità interessate hanno sottoscritto una petizione popolare di oltre 30 mila firme consegnate alle commissioni parlamentari competenti e a Trenitalia;
   le scelte fin qui compiute da Trenitalia per il servizio di collegamento tra Milano e Lecce tramite i Frecciarossa continuano a penalizzare in maniera non più accettabile il territorio, la Puglia e persino la stessa società –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di prevedere che sia effettuata una fermata del treno Frecciarossa Milano-Lecce presso la stazione di Barletta.
(5-09208)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, DELL'ORCO, SARTI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, VIGNAROLI e SPADONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa (Il Sole 24 Ore del 4 maggio 2016, pagina 16) si apprende che nella seduta del 1o maggio 2016 il CIPE avrebbe dato il definitivo «via libera» alla realizzazione della bretella Campogalliano – dal costo previsto di 600 milioni di euro circa, finanziati per il 60 per cento dal privato e al 46 per cento dallo Stato tramite un'operazione di « project Financing»;
   lo stesso CIPE, come risulta dal sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, «si è espresso sull'applicazione delle misure di defiscalizzazione, ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 183/2011, a favore del Collegamento autostradale Campogalliano-Sassuolo»;
   L'opera si va ad inserire in un'area già pesantemente inquinata: dai dati ARPA – Emilia Romagna i trasporti stradali sono i principali responsabili anche delle emissioni di ossidi di azoto (NOx), contribuendo per il 57 per cento, seguiti dalle attività industriali e di produzione di energia. Il traffico incide per il 39 per cento sulle emissioni di monossido di carbonio (CO) e rappresenta anche la principale fonte di emissioni di sostanze climalteranti, essendo responsabile del 25 per cento delle emissioni di anidride carbonica (CO2 equivalente);
   a concentrazione media di fondo di inquinanti secondari come PM10, PM2,5 e ozono in Emilia-Romagna dipende in buona parte dall'inquinamento a grande scala tipico della Pianura padana. In particolare, le polveri PM10 e PM2,5 sono in parte (30-50 per cento di origine secondaria ovvero sono prodotte da reazioni chimico-fisiche che avvengono in atmosfera a partire da inquinanti precursori come l'ammoniaca (NH3) emessa principalmente dalle attività agricole e zootecniche, gli ossidi di azoto (NOx), i composti organici volatili (COV) dovuti principalmente all'uso di solventi;
   volendo ripercorrere le tappe principali del percorso di questa opera, viene in aiuto il portale dedicato alle infrastrutture strategiche, dal quale risulta che:
    a) nell'anno 2001, con la delibera CIPE n. 121, il «collegamento Campogalliano-Sassuolo» è inserito nell'ambito del «corridoio plurimodale dorsale centrale-sistemi stradali e autostradali» con un costo di 175,6 milioni di euro e una disponibilità uguale al costo;
    b) fra il 2003 e il 2004 viene eseguita la procedura di valutazione d'impatto ambientale. Già in quegli anni vi era stata una criticità determinante, al punto di far sospendere il procedimento: infatti, lo studio trasportistico a supporto della realizzazione dell'opera non appariva adeguato. Sono poi state trasmesse integrazioni che hanno portato all'emanazione di pareri favorevoli con prescrizioni da parte degli enti competenti;
    c) nel 2006 l'ANAS comunica che ha deciso di ricorrere, per la realizzazione del raccordo autostradale Campogalliano-Sassuolo all'affidamento in concessione di cui all'articolo 19 della legge n. 109 del 1994 e che il bando di gara sarà pubblicato entro marzo 2006;
   l'opera è inclusa nella delibera CIPE n. 130 di rivisitazione del programma delle infrastrutture strategiche;
   nel rapporto «infrastrutture strategiche» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, aggiornato a novembre, viene confermato il costo di 467,13 milioni di euro, quasi il triplo dell'importo inizialmente previsto. Per l'opera risultano avviate le procedure relative alla gara di appalto dei lavori, che comprendono il collegamento allo scalo di Civitanova – Marzaglia, la variante di Rubiera e il tratto di Pedemontana fra la Modena-Sassuolo urbana e la strada provinciale 15, come previsto nell'accordo sottoscritto fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il presidente della regione. Si propone all'ANAS di verificare la possibilità di utilizzare il project financing o il pedaggiamento:
    d) nel 2008 il CIPE, con delibera n. 54 del 27 marzo, prende atto che l'ANAS ha aggiornato il costo del progetto complessivo a 563,033 milioni di euro e che è in fase di valutazione la fattibilità dell'intervento in finanza di progetto. La stessa ANAS ha individuato un primo stralcio funzionale, del costo di 234,6 milioni di euro, necessario per risolvere nel breve periodo il collegamento del nuovo scalo ferroviario di Marzaglia, in corso di completamento. Non essendo le opere stradali relative al 1o stralcio soggette a tariffazione, il CIPE assegna, in via programmatica, un contributo di 8,7 milioni di euro, per 15 anni, a valere sul contributo pluriennale previsto dall'articolo 2, comma 257, della legge n. 244 del 2007 con decorrenza 2009 e un contributo di 13,1 milioni di euro, per 15 anni, a valere sul contributo pluriennale previsto dalla norma suddetta con decorrenza 2010. Tali contributi sono suscettibili di sviluppare un volume di investimento di 234,6 milioni di euro, corrispondente al costo del 1o stralcio. L'assegnazione definitiva avverrà in sede di approvazione del progetto definitivo, che dovrà essere presentato al ministero delle infrastrutture e dei trasporti entro sei mesi dalla data di pubblicazione della delibera sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 13 gennaio 2009;
   il rapporto «infrastrutture prioritarie» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti riporta il costo di 537,1 di euro e le variazioni progettuali intervenute a seguito dell'atto aggiuntivo all'intesa generale quadro;
   il 1o agosto viene sottoscritto il 2o atto aggiuntivo all'intesa generale quadro, con il quale si conferma la rilevanza strategica delle infrastrutture già previste nell'intesa, nonché delle ulteriori infrastrutture individuate con il 1o atto aggiuntivo, tra le quali è compreso il collegamento Campogalliano-Sassuolo e opere connesse (Pedemontana e tangenziale di Rubiera) per complessivi 633,1 milioni di euro:
    e) in data 3 luglio 2013 l'unita gare e contratti di ANAS spa ha reso noto che la commissione di gara ha terminato i lavori ed individuato l'aggiudicatario provvisorio nell'ATI Autostrada del Brennero SpA – Pizzarotti & C. – COOPSETTE – OBEROSLER CAV. PIETRO – Consorzio Stabile CO.SEAM Italia – Edilizia Wipptal – Cordioli e C. In seguito al formale passaggio delle consegne alla SVCA in data 6 marzo 2014, in data 2 aprile 2014 la SVCA ha disposto l'aggiudicazione definitiva a favore della suddetta ATI. Sono in corso le attività propedeutiche alla sottoscrizione della convenzione di concessione;
   dall'interrogazione n. 3-02957 a prima firma della senatrice Blundo, risulta che un ruolo preminente è riconosciuto in capo alla società Auto Brennero che però sarebbe interessata ad investire nella realizzazione del progetto della bretella Campogalliano-Sassuolo, solo se le venisse rinnovata la concessione riguardante la A22, da tempo scaduta. Inoltre, la società Coopsette, che era inizialmente destinata a costruire l'opera, attraversa una grave crisi finanziaria, al punto che il 30 ottobre 2015 il Ministero dello sviluppo economico, verificata la condizione di insolvenza, ha disposto con decreto la liquidazione coatta amministrativa. Tale situazione influenza l'efficacia operativa di Coopsette e impone l'obbligo di rivedere gli impegni assunti dalla stessa, come partecipata della società di progetto Autocs, nella costruzione della bretella Campogalliano-Sassuolo. Nell'interrogazione Dell'Orco e altri n. 4-10954 si esplicita ulteriormente la situazione richiedendo se il Governo non ritenga che l'eventuale fallimento o liquidazione di Coopsette possa configurarsi come causa di perdita dei requisiti di qualificazione previsti dal bando per Autocs. L'attuale presidente di Autocs risulta essere Emilio Sabattini, nominato il 7 agosto 2014, quando ancora era presidente della provincia di Modena. Durante il periodo di svolgimento del doppio incarico, che risulterebbe oggetto di incompatibilità ai sensi dell'articolo 63 del decreto legislativo n. 267 del 2000, Sabattini sostenne molto il progetto della bretella;
   a pagina 41 del piano di gestione del rischio alluvioni, redatto nel 2014 dall'Autorità di bacino del fiume Po, si illustra dettagliatamente come l'area a rischio significativo del fiume Secchia interessa tutto il tratto dalla cassa di espansione di Modena – Rubiera – Campogalliano, alla confluenza in Po e racchiude il territorio di Pianura Padana compreso tra il torrente Crostolo e il fiume Panaro delimitato dal perimetro aree inondabili dello scenario di piena di scarsa probabilità chiuse a monte nei pressi della confluenza del torrente Tresinaro (sezione PAI 168) e a valle alla confluenza del Secchia in Po e sul tracciato dell'argine maestro destro del Po, con un'estensione di circa 1500 chilometri quadri. Essa comprende tutte le aree potenzialmente inondabili in seguito a scenari di rottura dei rilevati arginali maestri del Secchia e interessa 45 comuni, di cui 25 emiliani in provincia di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, e 20 lombardi in provincia di Mantova. Tale territorio è ricco di centri abitati e abitazioni sparse, servizi di primaria importanza, zone industriali, infrastrutture viarie di rilevanza nazionale e internazionale, attività produttive e agricole;
   una parte di esso si trova in condizioni altimetriche tali da essere potenzialmente inondabile anche per eventi di rottura del sistema arginale del Po, del Panaro o del Crostolo, oltre che per esondazioni dal reticolo di bonifica che lo serve. Una parte importante del territorio è stata interessata dagli eventi sismici del 2012;
   il sistema che difende la pianura dalle inondazioni del fiume Secchia è composto dalla cassa di espansione localizzata tra la via Emilia e l'Autostrada Al (completamente delimitata da rilevati arginali), da un'area di naturale espansione delle piene compresa tra la cassa di espansione e il canale Calvetro, e dal sistema arginale maestro che si sviluppa con continuità su entrambe le sponde a valle dell'Autostrada A1 risalendo per breve tratto a monte di essa in destra idraulica. La lunghezza complessiva degli argini che compongono tale sistema è di circa 150 chilometri;
   l'area della cassa di espansione è compresa tra la briglia selettiva localizzata qualche chilometro a monte della via Emilia, all'altezza della sezione 172 del PAI, e il manufatto moderatore dei deflussi, localizzato alla sezione 159 del PAI. Il vero e proprio sistema arginale della cassa di espansione, che raggiunge anche i 7-8 m di altezza sul piano di campagna, inizia a valle del ponte ferroviario della linea storica Milano – Bologna, dopo il quale è localizzata una briglia che realizza, in magra, un salto di alcuni metri. A monte del ponte ferroviario si sviluppa però in sinistra idraulica un sistema arginale di minori dimensioni che risale lungo il torrente Tresinaro, a difesa del centro abitato di Rubiera dalle piene del Secchia, e non ha soluzione di continuità con l'argine sinistro del torrente stesso;
   tali dati erano stati già evidenziati nella Risoluzione presentata dal deputato Dell'Orco in Commissione trasporti della Camera n. 7-00081;
   la futura bretella prevederebbe l'esborso di un pedaggio, ma anche il ricorso al project financing, con il rischio di replicare la dinamica già vista sulla Bre-Be-Mi, realizzata in base a stime di transito completamente irreali e obsolete ed i cui costi di realizzazione sono lievitati nel tempo da 800 a 1800 milioni di euro. A quanto risulta, questa dinamica è in genere dovuta alla tendenza degli azionisti della società veicolo che costruisce l'opera ad operare anche come fornitori ed appaltatori tenendo i prezzi delle prestazioni relativamente elevati, dunque contribuendo ad incrementare i costi di investimento, a giudizio degli interroganti con la consapevolezza (ed in taluni casi, con la garanzia formale) che il settore pubblico interverrà per ripianare i conti;
   la normativa sulla valutazione d'impatto ambientale è variata in modo sostanziale dal 2001 ad oggi: al tempo in cui fu attivata la procedura di valutazione dell'opera non era prevista alcuna valutazione dell'impatto ambientale cumulativo dei diversi impatti prodotti nella medesima area;
   il progetto coinvolge una porzione di territorio caratterizzato dalla presenza di complessi arborei di altissimo pregio e monumentalità e va a impattare, inoltre, su un'area che si contraddistingue per l'elevato numero di pozzi ad uso acquedottistico e per la vicina presenza del fiume Secchia, soggetto costantemente al rischio di alluvioni: è documentato lo straripamento del Secchia avvenuto nel 2014 nell'area dove di intende costruire la bretella. A ciò si aggiunga che il tracciato previsto dell'arteria scorre in gran parte sulla conoide del Secchia nel tratto Sassuolo-Formigine che alimenta gli acquiferi di Marzaglia, una zona molto vulnerabile, a monte della quale vi sono le nuove cave, nel tempo sarà alterato anche lo stato delle falde più profonde e il rischio della potabilità delle acque che alimentano Modena diverrà più che reale;
   a giudizio degli interroganti il rischio idrogeologico, ambientale e paesaggistico appare notevole, in quanto il progetto dell'autostrada Campogalliano-Sassuolo incide anche sull'oasi del Colambrone e sull'intero parco regionale del fiume Secchia. Per tali motivi, associazioni come il WWF, Legambiente e Italia Nostra si sono opposti, fin dall'inizio, al progetto;
   dal 2001 ad oggi il quadro economico – produttivo si è evoluto in modo sostanzialmente difforme da quanto previsto nel progetto originario, al punto da mettere in discussione non solo la «strategicità» dell'opera ma addirittura la sua stessa utilità, dal momento che le infrastrutture attualmente presenti (tangenziale Modena – Sassuolo) sono già sufficienti a sopperire alle necessità del territorio –:
   se il Governo ritenga opportuno, alle luce della evidente vetustà ed incompletezza del procedimento di valutazione d'impatto ambientale e alla luce del piano alluvioni 2014, assumere iniziative per procedere ad una nuova valutazione d'impatto ambientale, o almeno per integrare lo studio d'impatto ambientale esistente con la documentazione riguardante l'impatto cumulativo dell'opera con le altri fonti inquinanti già presenti sul territorio, la valutazione delle principali alternative, un aggiornamento ai dati reali delle previsioni di traffico e un profilo di rischio idrogeologico aggiornato;
   se si ritenga opportuno riconsiderare l'intero progetto, in ottemperanza alle misure di contenimento della spesa pubblica, e rivedere lo status di «opera strategica» per la bretella in questione, alla luce dei mutamenti intervenuti nel quadro economico – produttivo e infrastrutturale.
(4-13850)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Cosenza è stato sciolto anticipatamente (nel mese di febbraio 2016) in seguito alle dimissioni volontarie della maggioranza dei consiglieri comunali; conseguentemente alla decadenza del sindaco Mario Occhiuto, l'amministrazione è stata affidata al commissario prefettizio Angelo Carbone;
   nel periodo che ha preceduto le elezioni per il rinnovo dell'amministrazione comunale di Cosenza del 5 giugno 2016, il sindaco Mario Occhiuto è stato oggetto di violente polemiche politiche attraverso una campagna a giudizio degli interpellanti denigratoria e del tutto strumentale in merito alla sua posizione patrimoniale e, in particolare ai debiti privati contratti nella sua attività imprenditoriale;
   è stata infatti diffusa la falsa notizia della possibile esistenza di una condizione di incompatibilità alla carica di sindaco nel caso di una eventuale rielezione di Mario Occhiuto, che, nel frattempo, aveva riproposto la propria candidatura a sindaco;
   in particolare, è stato sostenuto da taluni dirigenti politici che l'asserita incompatibilità avrebbe fatto seguito alla sussistenza di un contenzioso tra Mario Occhiuto e il comune, generato dal fatto che il tribunale ordinario di Cosenza avrebbe ordinato al comune di sostituirsi al debitore principale nel pagamento dei debiti personali contratti dallo stesso Mario Occhiuto;
   addirittura, sempre da parte di taluni dirigenti politici locali, è stato sostenuta la falsa e risibile circostanza che il comune di Cosenza avrebbe pagato debiti privati del sindaco;
   il commissario prefettizio, interpellato, sembra che abbia fornito tutti i chiarimenti richiesti, che sarebbero nella disponibilità dei Ministro interpellato;
   da notizie di stampa sembrerebbe che il commissario, il 25 maggio 2016, abbia infatti depositato in prefettura una lunga informativa in cui avrebbe dichiarato che «non sussistono contenziosi tra il comune e il candidato a sindaco Occhiuto»;
   ciò nonostante, dopo la rielezione del sindaco Mario Occhiuto, avvenuta al primo turno, il 5 di giugno e con la percentuale del 59 per cento dei voti, la polemica del tutto strumentale sembra essersi riaccesa con interventi sulla stampa degli stessi dirigenti politici locali –:
   se e come il Ministro interpellato intenda intervenire per offrire opportuna conoscenza dei chiarimenti trasmessi dal commissario prefettizio di Cosenza al Ministero dell'interno e precisare, una volta per tutte, che nessuna somma è stata pagata dal comune di Cosenza ai debitori del sindaco, ad eccezione di quelle trattenute per un quinto dalla sua indennità.
(2-01434) «Santelli, Occhiuto».

Interrogazioni a risposta immediata:


   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   l'attacco verificatosi a Nizza il 14 luglio 2016 sembra essere l'ennesimo atto di una strategia terroristica dell'islamismo radicale che sta insanguinando l'Europa;
   sebbene tra gli attacchi di Parigi del novembre del 2015 e la tragedia di Nizza ci siano differenze organizzative ed esecutive, in entrambi i casi si è trattato di assassini che vogliono colpire la nostra libertà e si è dimostrato una volta di più che, sia che si tratti di terroristi islamici cresciuti in Europa o di squilibrati naturalizzati, un minimo comune denominatore li lega tutti: il radicalismo religioso che inneggia allo Stato islamico;
   seppure la rivendicazione dell'attentato in Costa Azzurra da parte dell'Isis sia ancora al vaglio degli inquirenti, è innegabile che la sicurezza dei cittadini europei è ormai costantemente in pericolo e che è assolutamente necessario adottare ogni misura opportuna a contrastare gli episodi di violenza e di stampo terroristico;
   in questo quadro l'Italia, parallelamente e attraverso la collaborazione con le altre nazioni europee, deve intensificare al massimo tutte le misure di prevenzione, nonché l'attività dei servizi segreti e delle forze dell'ordine e di sicurezza e, in particolare, adottare ogni iniziativa a supporto e a sostegno di queste categorie di lavoratori, invece di proseguire in quella che appare agli interroganti una sistematica attività di screditamento delle stesse che questo Governo e questa maggioranza stanno portando avanti, come sembra dimostrare anche il provvedimento, attualmente in corso di esame al Senato della Repubblica, per l'introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento;
   con particolare riferimento al tema della prevenzione è necessario individuare misure che possano impedire lo svolgimento sul territorio nazionale di attività illegali o contrarie ai principi costituzionali molto prima che si giunga a veri e propri atti di violenza o di tipo terroristico e, a tal fine, è necessario introdurre regole più stringenti per quanto attiene alle attività svolte nelle moschee, negli altri edifici destinati al culto islamico e nei centri culturali e rispetto alla figura degli imam –:
   quali urgenti iniziative, anche normative, intenda assumere con riferimento alle problematiche esposte in premessa.
(3-02401)


   BRUNETTA, OCCHIUTO e BALDELLI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   i tragici fatti di Nizza e la minaccia terroristica sempre più incombente hanno procurato un diffuso allarme sicurezza nella popolazione;
   d'altra parte, l'allarme e il senso di sconforto è diffuso tra le stesse forze dell'ordine chiamate a difendere i connazionali, in particolare a seguito degli orientamenti adottati con il provvedimento in materia di tortura, attualmente in corso di esame al Senato della Repubblica, che di fatto ad avviso degli interroganti mette i servitori dello Stato nella mani di chi è accusato di delinquere, proprio perché basta un atto, un'azione non reiterata – anche senza reato specifico intenzionale – per sottoporre gli operatori della sicurezza a denunce;
   le azioni dell'Islam jihadista e la minaccia terroristica sono indissolubilmente legate al tema dei flussi migratori indiscriminati che interessano l'Italia e l'intera Europa. Ebbene, il tema dell'immigrazione è condizionante e si ricorda che è ancora in sospeso l'avvio della fase 3 della missione Eunavfor Med. La fase 3 è fondamentale, perché permetterebbe di entrare nelle acque territoriali libiche, combattendo in maniera efficace gli scafisti responsabili del traffico illegale di clandestini. Ciò significa che il Governo libico è ancora fermo e che il nostro Paese rischia di continuare a sostenere una missione che è in grado solo di alimentare l'immigrazione clandestina;
   davanti agli ultimi drammatici episodi di cronaca internazionale, dai fatti di Dacca alle vicende in Turchia, in un momento così delicato per il Paese e per l'intera Europa, il Governo ha chiesto coesione: è necessario, però, che questa coesione sia reciproca e che il positivo sentimento di collaborazione sia anche e soprattutto da parte del Governo nei confronti delle opposizioni e del Parlamento e non solo in merito ai temi che interessano la sicurezza nazionale ed europea in senso stretto, ma anche su quelli che, correlati a quest'ultima, influiscono sulla vita quotidiana dei cittadini italiani e sulla coesione sociale (crisi economica, povertà, disoccupazione) –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intende intraprendere per rispondere con fermezza alle azioni che minano la sicurezza del nostro Paese, con particolare riferimento ai fatti riportati in premessa e, più in generale, per contrastare ogni minaccia terroristica, definendo una politica sulla sicurezza realmente sostenibile, duratura e che porti risultati concreti. (3-02402)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini italiani residenti all'estero e regolarmente iscritti all'AIRE possono esercitare il diritto di voto all'estero nel luogo di residenza per le elezioni politiche nazionali, per i referendum abrogativi e costituzionali ex articoli 75 e 138 della Costituzione e per le elezioni del Parlamento europeo;
   il voto all'estero per le elezioni politiche nazionali e i referendum è regolato dalla legge 27 dicembre 2001, n. 459, e dal relativo regolamento attuativo (decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2003, n. 104), in attuazione degli articoli 48, 56 e 57 della Costituzione, che hanno istituito la circoscrizione estero);
   il 17 aprile 2016 si è svolto il referendum abrogativo cosiddetto «referendum sulle trivelle»;
   nei giorni precedenti i connazionali all'estero iscritti all'AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all'estero) hanno votato tramite posta;
   come indicato dal sito del Ministero dell'interno, su un totale di 779.548 votanti (il 19,73 per cento degli aventi diritto) si sono registrati 699.236 voti validi e un totale di 80.312 voti non validi, comprese 13.287 schede bianche;
   risulterebbe, dunque, che all'ultima consultazione referendaria il 10,3 per cento dei votanti AIRE avrebbe espresso un voto non valido, a fronte dell'1,28 per cento sul territorio nazionale;
   in particolare, escludendo le schede bianche, all'estero risulterebbero l'8,60 per cento di voti nulli, rispetto allo 0,68 per cento in Italia;
   con le dovute proporzioni, per ogni scheda nulla in Italia ci sono più di 12 schede nulle all'estero;
   nei prossimi mesi si svolgerà un importante referendum costituzionale –:
   se i Ministri fossero conoscenza di questa anomalia;
   se siano documentabili le cause di questa importante differenza;
   quali siano le iniziative che i Ministri intendano adottare affinché si verifichi nuovamente quanto in premessa.
(4-13842)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIGLI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   la libertà di circolazione e soggiorno delle persone all'interno dell'Unione europea costituisce la pietra angolare della cittadinanza dell'Unione europea, introdotta dal trattato di Maastricht nel 1992;
   essa ha comportato innanzitutto la graduale abolizione delle frontiere interne in virtù degli accordi di Schengen, inizialmente in un numero limitato di Stati membri. Le disposizioni in materia di libera circolazione delle persone sono attualmente stabilite dalla direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; l'attuazione di tale direttiva continua, però, a incontrare considerevoli ostacoli;
   la principale motivazione dei cittadini dell'Unione europea di avvalersi della libera circolazione è data dal lavoro, seguita dalle ragioni familiari. Di tutti i cittadini dell'Unione europea che nel 2012 soggiornavano in uno Stato membro diverso dal proprio («cittadini mobili dell'Unione»), oltre tre quarti dei quali (78 per cento) erano in età attiva (15-64 anni) rispetto al circa 66 per cento che è la fascia rappresentata fra i cittadini del Paese. Il tasso medio di occupazione dei cittadini mobili dell'Unione europea (67,7 per cento) era superiore a quello di coloro che risiedevano nello Stato membro di cui avevano la cittadinanza (64,6 per cento). Tra i cittadini mobili dell'Unione europea, gli inoccupati (tipicamente studenti, pensionati, persone in cerca di occupazione, familiari inattivi) costituiscono soltanto una percentuale limitata del totale; inoltre, il 64 per cento di essi ha già lavorato in precedenza nel Paese in cui soggiorna e il 79 per cento appartiene a un nucleo familiare in cui almeno una persona è occupata. Tra il 2005 e il 2012 il tasso complessivo di inattività è sceso tra i cittadini mobili all'interno dell'Unione europea;
   nel quadro del mercato unico la libera circolazione dei lavoratori ha effetti positivi sulle varie economie e sui diversi mercati del lavoro e le quattro libertà fondamentali (la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali), indissolubilmente legate tra loro, creano i presupposti di una destinazione più efficiente delle risorse all'interno dell'Unione europea. La libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea stimola la crescita economica, in quanto permette alle persone di viaggiare, studiare e lavorare oltre frontiera e mette a disposizione dei datori di lavoro che intendono assumere personale un bacino più ampio di talenti cui attingere. Dati i notevoli squilibri esistenti tra i diversi mercati del lavoro europei e il calo della popolazione in età attiva nel continente, la mobilità del lavoro contribuisce a colmare il divario tra competenze offerte e posti di lavoro disponibili;
   la libera circolazione delle persone, tuttavia, non riguarda esclusivamente i lavoratori. Mentre si afferma sempre più la nozione di cittadinanza nell'Unione europea, infatti, è opportuno garantire tale libertà alle persone che ancora non lavorano. Malgrado un quadro legislativo in materia di libera circolazione dei lavoratori e di riconoscimento delle qualifiche professionali, accanto ai numerosi programmi europei di scambi, permangono ostacoli che rendono ancora difficile la mobilità effettiva degli studenti, delle persone in fase di formazione, dei giovani volontari, degli insegnanti e dei formatori;
   a questo proposito la citata direttiva 2004/38/CE chiarisce lo status di lavoratori dipendenti e autonomi, studenti e persone che non hanno un lavoro retribuito, specificando, altresì, che i cittadini dell'Unione europea in possesso di carta d'identità o passaporto in corso di validità possono vivere in un altro Paese dell'Unione europea per un periodo superiore a tre mesi a determinate condizioni, in base al loro status nel Paese ospitante. I lavoratori, dipendenti o autonomi, non devono soddisfare condizioni aggiuntive. Gli studenti e coloro che non hanno un lavoro retribuito, come, ad esempio, i pensionati, devono disporre di risorse sufficienti per sé e per la propria famiglia, in maniera tale da non gravare sul sistema di assistenza sociale del Paese ospitante, nonché di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi;
   in Europa i sistemi di istruzione hanno radici profonde e sono molto variegati. L'Unione europea non ha, quindi, una politica di istruzione comune, ma il suo ruolo è invece quello di favorire la mobilità e gli scambi, creando una reale cooperazione fra gli Stati membri attraverso: programmi multinazionali in materia d'istruzione, di formazione e di giovani, programmi di scambio e opportunità di apprendimento all'estero, progetti innovativi di insegnamento e apprendimento, nonché reti di competenze in campo accademico e professionale;
   in Italia le università, che si muovono in autonomia in base alla loro struttura amministrativa, sono promotrici di numerose iniziative e programmi nel campo della mobilità e degli scambi;
   nell'Unione europea vige il principio fondamentale di non discriminazione in base alla cittadinanza tra gli studenti di uno Stato membro e quelli dello stesso Stato che frequentano corsi in un altro Stato membro. Questo principio vale anche per le condizioni d'ammissione ad un istituto d'insegnamento o di formazione, in materia di tasse d'iscrizione o di condizioni per la concessione di una borsa di studio, destinata a coprire l'importo di queste tasse d'iscrizione;
   tutti gli Stati dell'Unione europea prevedono, nella loro legislazione, un'assistenza finanziaria agli studenti universitari e in alcuni Stati membri, se uno studente decide di seguire un corso in un altro Stato membro, la legislazione consente anche il trasferimento della borsa di studio concessa. Questo significa che lo studente può continuare a beneficiare dell'aiuto finanziario concesso dal proprio Paese anche quando frequenta un corso in un altro Stato membro;
   la mobilità degli studenti nel mondo dell'istruzione è uno dei punti forti dell'Unione europea che si impegna a favorire lo «spostamento temporaneo» di giovani, al fine di facilitare l'acquisizione degli strumenti culturali adeguati alle esigenze del contesto europeo e di migliorare la trasparenza ed il riconoscimento dei titoli conseguiti. Cambiare Paese, metodo e cultura apre la mente e forma un carattere universale. Questo potrebbe essere il futuro dell'istruzione e del mondo del lavoro, che cerca giovani versatili, creativi, in grado di comunicare con l'altro a 360 gradi. Sta crescendo, infatti, sempre più la consapevolezza che i processi educativi abbiano un ruolo determinante nella costruzione del cittadino europeo, una persona capace di capire e conciliare la propria storia con quelle diverse dalla propria;
   numerosi sono i programmi dell'Unione europea per la mobilità degli studenti: Erasmus, Erasmus mundus, Lifelong learning (all'interno dei quali si trovano quattro programmi settoriali: Comenius, Erasmus, Leonardo da Vinci, Grundtvig), Azione Jean Monnet, Tempus e altri ancora;
   tutto quanto sopra esposto rischia di essere vanificato nel momento in cui in alcuni Stati membri si verificano casi, riferiti all'interrogante, del negato riconoscimento a studenti europei della validità dei titoli conseguiti nel Paese di origine ai fini dell'ammissione a corsi o facoltà universitarie di un altro Stato membro;
   è il caso di quanto avviene in Portogallo, dove – come riferito all'interrogante – la direcao general do ensino superior del Ministero dell'educazione e della scienza ha negato ad uno studente italiano l'ammissione al corso di biologia marina della facoltà di scienza e tecnologia dell'Università dell'Algarve;
   la direcao general do ensino superior ha sostenuto in proposito che l'esame finale sostenuto al termine del ciclo di studio della scuola secondaria di secondo grado, che nel nostro Paese è titolo di accesso a tutte le facoltà universitarie, ad eccezione di quelle che prevedono un numero limitato di posti (facoltà a numero chiuso) e nelle quali si accede previo superamento di un test di ammissione specifico, non avrebbe la medesima validità dell'omologa prova che deve essere sostenuta e superata dagli studenti portoghesi per frequentare il citato corso di biologia marina;
   tale obiezione avrebbe avuto senso se allo studente italiano fosse stato permesso di partecipare al concorso nazionale di accesso previsto per gli studenti portoghesi, risultando altrimenti impossibile accedere ai corsi universitari di quel Paese;
   la Convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all'insegnamento superiore nella regione europea (nota anche come «Convenzione di Lisbona»), approvata l'11 aprile 1997, ratificata dall'Italia con legge 11 luglio 2002, n. 148, nel quadro più ampio del riconoscimento del diritto allo studio e del riconoscimento dei titoli di studio, annovera tra i suoi principali obiettivi quello di consentire ai diplomati della scuola secondaria superiore di accedere alle università e agli altri istituti di istruzione superiore di tutti i Paesi;
   l'autoreferenzialità di molti atenei e docenti, le barriere difensive elevate dalle corporazioni professionali nazionali, nonché il pregiudizio circa la qualità dell'istruzione superiore degli altri Paesi sono atteggiamenti e comportamenti che rischiano di coagularsi in una pericolosa miscela di protezionismo e di infettare il corpo sociale europeo con il virus dell'autarchia –:
   quali tempestive iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare al fine di garantire la mobilità internazionale di studenti e laureati e la libera circolazione dei professionisti, anche con riferimento al caso citato in premessa, attuando altresì quanto previsto dalla citata Convenzione di Lisbona.
(3-02403)


   GALGANO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   secondo il comma 6 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 («buona scuola»): «Le istituzioni scolastiche effettuano le proprie scelte in merito agli insegnamenti e alle attività curricolari, extracurricolari, educative e organizzative e individuano il proprio fabbisogno di attrezzature e di infrastrutture materiali, nonché di posti dell'organico dell'autonomia di cui al comma 64»;
   ai commi 56 e 56 dell'articolo 1 la suddetta legge fa esplicito riferimento al «piano nazionale per la scuola digitale», evidenziando come «al fine di sviluppare e di migliorare le competenze digitali degli studenti e di rendere la tecnologia digitale uno strumento didattico di costruzione delle competenze in generale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca adotta il piano nazionale per la scuola digitale, in sinergia con la programmazione europea e regionale e con il progetto strategico nazionale per la banda ultralarga»; e ancora «a decorrere dall'anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, le istituzioni scolastiche promuovono, all'interno dei piani triennali dell'offerta formativa e in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, azioni coerenti con le finalità, i principi e gli strumenti previsti nel piano nazionale per la scuola digitale di cui al comma 56»;
   la legge sulla «buona scuola», inoltre, al comma 58 dell'articolo 1 specifica gli obiettivi del piano nazionale per la scuola digitale «a) realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo settore e imprese, nel rispetto dell'obiettivo di cui al comma 7, lettera h); b) potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche; d) formazione dei docenti per l'innovazione didattica e sviluppo della cultura digitale per l'insegnamento, l'apprendimento e la formazione delle competenze lavorative, cognitive e sociali degli studenti»;
   infine, il comma 59 dell'articolo 1 è dedicato ai docenti per il coordinamento delle attività del piano nazionale scuola digitale, stabilendo che «le istituzioni scolastiche possono individuare, nell'ambito dell'organico dell'autonomia, docenti cui affidare il coordinamento delle attività di cui al comma 57. Ai docenti può essere affiancato un insegnante tecnico-pratico»;
   dunque, secondo le finalità del Governo e del Parlamento l'informatica e l'informatizzazione sono due dei pilastri fondamentali per la formazione degli studenti. Tanto che nella nota divulgativa relativa alla legge n. 107 del 2015 si evidenzia che «il nostro è il secolo dell'alfabetizzazione digitale: la scuola ha il dovere di stimolare i ragazzi a capire il digitale oltre la superficie. A non limitarsi ad essere »consumatori del digitale«. A non accontentarsi di utilizzare un sito web, una app, un videogioco ma a progettarne uno. Perché programmare non serve solo agli informatici, serve a tutti e serve al nostro Paese per tornare a crescere, aiutando i nostri giovani a trovare lavoro e a crearlo per sé e per gli altri»;
   è lo stesso Governo ad indicare il punto di arrivo delle previsioni della legge sulla «buona scuola» specificando che «si dovrà promuovere l'informatica per ogni indirizzo scolastico. Fin dal prossimo anno vogliamo attivare un programma per digital maker, sostenuto dal Ministero e anche da accordi con la società civile, le imprese, l'editoria digitale innovativa. Concretamente ogni studente avrà l'opportunità di vivere un'esperienza di creatività e di acquisire consapevolezza digitale»;
   tuttavia, se si vanno a guardare i numeri dei posti di potenziamento relativi all'anno scolastico 2016/2017, si scopre che, ad oggi, per l'informatica ne sono stati previsti 6 in tutta Italia contro i 147 di matematica e fisica e i 501 di diritto;
   eppure in Italia ci sono circa 8 mila docenti abilitati all'insegnamento dell'informatica nelle scuole secondarie e che, anche a fronte di una consistente richiesta di potenziamento della materia presentata dagli istituti delle rispettive regioni, si troveranno a dover essere trasferiti altrove perché hanno ricevuto una proposta di assunzione soprattutto nel Nord Italia con la «fase b» del piano straordinario di assunzioni della legge sulla «buona scuola»;
   nel caso specifico dell'Umbria, ad esempio, si tratta di docenti abilitati all'insegnamento di matematica, fisica e informatica della provincia di Perugia, che sono stati assunti fuori regione con la cosiddetta «fase b» del piano straordinario di assunzioni della legge sulla «buona scuola» e che da almeno 6 anni (alcuni addirittura 12) lavorano come supplenti nelle scuole superiori della provincia di Perugia, principalmente insegnando matematica e fisica;
   docenti che hanno scelto di lavorare nella scuola, che hanno investito in questo lavoro molti anni della loro vita, sebbene fossero precari, con passione e con dedizione, insegnando materie che hanno studiato e approfondito e nella cui didattica si sono specializzati;
   grazie all'abilitazione in informatica a settembre 2015 è stata fatta loro una proposta di assunzione per insegnare questa disciplina nelle regioni del Nord Italia, dove mancano docenti di informatica. Proposta che hanno dovuto accettare pena il «depennamento» da tutte le graduatorie nelle quali erano inseriti, lasciando così scoperti i posti nelle scuole in Umbria;
   i colleghi, che si trovavano nelle stesse graduatorie di matematica e fisica ma non sono abilitati in informatica, sono rientrati nella fase successiva del piano di assunzioni (fase c), ottenendo una cattedra nell'organico di potenziamento in provincia di Perugia in matematica o in fisica;
   di fatto, dunque, questi docenti si sono visti penalizzati per aver voluto prendere un'abilitazione in più rispetto agli altri docenti, ovvero quella in informatica, e si sono visti scavalcati non solo dai colleghi delle graduatorie ad esaurimento con meno punti, ma anche dai docenti che saranno assunti con il nuovo concorso. Anche se la legge sulla «buona scuola» considera l'informatica come una delle materie chiave per la formazione degli studenti, nel perugino le numerose richieste di potenziamento per la materia avanzate dalle scuole non verranno soddisfatte nonostante – questo il paradosso – ci siano docenti che potrebbero farlo e che, invece, si troveranno ad essere trasferiti nel Nord Italia;
   nel caso dell'Umbria, infatti, per informatica sono stati messi a concorso solo 3 posti proprio a seguito dell'assunzione di questi insegnanti fuori regione;
   una condizione che accomuna circa 8 mila docenti in tutto il Paese e che, tra l'altro, potrebbe essere sanata in parte se venissero accolte le richieste delle scuole riguardo l'organico di potenziamento, come previsto dalla legge della «buona scuola» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per far fronte alle richieste di potenziamento per l'insegnamento dell'informatica presentate dalle singole scuole e quali misure intenda mettere in campo per garantire la puntuale applicazione delle previsioni della legge sulla «buona scuola» in relazione in particolare al piano nazionale per la scuola digitale, facendo in modo che l'insegnamento dell'informatica venga garantito in tutte le scuole. (3-02404)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANTERINI e DELLAI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge 10 marzo 2000, n. 62 le scuole paritarie sono riconosciute parte integrante del sistema nazionale di istruzione;
   in forza delle convenzioni stipulate, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 9 gennaio 2008, n. 23, i gestori delle scuole primarie paritarie convenzionate ricevono annualmente, tramite gli uffici scolastici regionali, un contributo statale, nella misura fissata con decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sulla base del numero delle classi, del numero di ore di sostegno per gli alunni disabili e del numero di ore di insegnamento integrativo necessarie per alunni con difficoltà di apprendimento;
   l'erogazione dei fondi è da tempo caratterizzata da frequenze irregolari e ritardi nella liquidazione dei contributi, nonostante si tratti di somme dovute e già stanziate, e ciò comporta enormi difficoltà di programmazione per le scuole, talora costrette ad esposizioni bancarie per consentire un regolare pagamento degli stipendi;
   anche per l'anno scolastico 2015/2016 molti gestori delle scuole paritarie primarie denunciano ritardi nell'erogazione dei contributi spettanti ed evidenziano il rischio concreto di non poter pagare gli stipendi del personale nei mesi estivi, così come di non poter far fronte alle altre spese fisse;
   molte scuole paritarie primarie diffuse sul territorio nazionale sono di piccole dimensioni, con rette di importo non elevato, proprio per accogliere tutti gli alunni e favorire anche l'inclusione scolastica delle categorie più svantaggiate;
   c’è la conferma che suddette scuole non sono classificabili «a fini di lucro» –:
   se ritenga opportuno intervenire, secondo quanto espresso in premessa, per assicurare tempi rapidi e certi nell'erogazione dei contributi statali a favore delle scuole paritarie primarie, superando ogni ulteriore rallentamento burocratico, in modo da garantire il pagamento degli stipendi dei docenti prima della fine del mese di luglio 2016 e salvaguardare così, anche per il futuro, l'importante funzione pedagogica e culturale che le scuole paritarie primarie svolgono per la qualità e il bene della scuola tutta. (5-09194)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI, ALBINI, FOSSATI, LAFORGIA, DALLAI, MARIANI, ROCCHI e BENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha con chiarezza espresso in più occasioni e con importanti atti, la propria determinazione ne contrastare forme, anche inedite di lavoro nero e sfruttamento, nonché di scoraggiare le forme di precariato che riguardano soprattutto le giovani generazioni e rilanciare buona occupazione e tutele e diritti dei lavoratori; alla luce di tutto ciò, al Senato sono state recentemente approvate norme rilevanti, e il Governo stesso ha assunto provvedimenti per correggere l'abuso e l'uso improprio di voucher che spesso nascondevano forme di sfruttamento e lavoro non tutelato anche dal punto di vista della sicurezza;
   la regione Toscana ha messo in campo azioni, progetti, risorse per promuovere occupazione giovanile, formazione professionale e reinserimento lavorativo, nonché azioni importanti per contrastare sfruttamento insicurezza sul luogo del lavoro anche in relazione al fenomeno della contraffazione;
   nonostante tutto ciò, sono emersi recentemente episodi che hanno rivelato l'esistenza di consistenti forme di sfruttamento in alcuni settori produttivi, come il comparto agricolo e vitivinicolo che suggeriscono un innalzamento dell'attenzione;
   le forme di aggiramento delle norme e dei controlli sembrerebbero essere ancora molte;
   i buoni pasto sono dei documenti, emessi in forma cartacea (ticket restaurant) o elettronica (card o badge), che hanno la funzione di mezzo di pagamento, in quanto danno al possessore il diritto di ottenere dagli esercizi convenzionati la somministrazione di pasti o prodotti alimentari, escludendo ogni prestazione in denaro;
   i buoni pasti sono emessi con valore variabile, solitamente dai 2 ai 10 euro, e non vengono sottoposti a tassazione Irpef fino all'importo complessivo giornaliero di 7 euro se il ticket è elettronico o 5,29 euro se cartaceo (come disposto dal comma 16 della legge n. 190 del 2014);
   sono previsti vantaggi fiscali per l'azienda che acquista i buoni pasto da distribuire ai dipendenti; il costo che sostiene è infatti deducibile per competenza ai fini delle imposte dirette (Irpef e Ires);
   i buoni pasto, classificati, come «beni di servizi», spettano esclusivamente ai lavoratori subordinati sia a tempo determinato che a tempo parziale;
   è emerso, da organi di informazione, che a Firenze sia stata conciliata una delle prime vertenze di un lavoratore che veniva pagato «in nero» dal datore esclusivamente con buoni pasto;
   sempre secondo la stampa le vertenze aperte nella sola regione Toscana sarebbero «una decina». Questo fenomeno, hanno segnalato alcune associazioni sindacali, sarebbe «molto più ampio. Almeno tre volte più grande di quello che appare. Farlo emergere non è facile, perché chi lo subisce è disperato. Ha bisogno di lavorare per mangiare. A volte sono ragazzi, giovanissimi. Ma, molto più spesso, sono ultra 55enni disoccupati di lungo corso, che hanno esaurito tutti gli ammortizzatori sociali e non hanno sostegni di alcun tipo»;
   le associazioni sindacali hanno inoltre reso noto che le prime segnalazioni sarebbero arrivate nel mese di dicembre 2015 soprattutto nel settore terziario: «più che i negozi, in realtà, parliamo di pubblici esercizi. Bar, ristoranti: in generale di locali che esercitano attività stagionale, magari nei centri storici e che non hanno molti dipendenti»;
   se per i lavoratori il pagamento con i buoni pasto è privo di qualsiasi garanzia e tutela, i datori di lavoro possono addirittura dedurre tali costi dell'imponibile soggetto a tassazione «riciclando» con facilità gli incassi non dichiarati –:
   se il Governo sia a conoscenza della vicenda riportata in premessa, nel caso, quale sia l'entità di tale fenomeno e quali iniziative urgenti intenda conseguentemente assumere al fine di prevenire e contrastare tale pratica illegale che, penalizza i lavoratori ed incentiva l'evasione fiscale e contributiva da parte delle imprese coinvolte. (5-09199)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAMBRUOSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 5-ter, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 99 – recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti» –, stabilisce che «per i tirocini formativi e di orientamento di cui alle linee guida di cui all'Accordo sancito il 24 gennaio 2013 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano i datori di lavoro pubblici e privati con sedi in più regioni possono fare riferimento alla sola normativa della regione dove è ubicata la sede legale e possono altresì accentrare le comunicazioni di cui all'articolo 1, commi 1180 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, presso il Servizio informatico nel cui ambito territoriale è ubicata la sede Legale»;
   il citato accordo del 24 gennaio 2013 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulle «Linee-guida in materia di tirocini», pur inserendo nei «considerati» esplicito richiamo al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 25 marzo 1998, n. 142 – che adotta il «Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, sui tirocini formativi e di orientamento» –, introduce all'articolo 1 «Principi comuni in materia di tirocini, definizioni e tipologie» più restrittivi rispetto ai criteri già in vigore e invocati in premessa –:
   se l'articolo 2, comma 5-ter, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, si riferisca a tutti i tirocini definiti dalla normativa nazionale di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 25 marzo 1991, n. 142 – recante «Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, sui tirocini formativi e di orientamento» -, o esclusivamente alla più restrittiva categoria di tirocini formativi e di orientamento di cui all'articolo 1 delle «Linee-guida in materia di tirocini» adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano con accordo del 24 gennaio 2013.
(4-13841)


   DURANTI, RICCIATTI, SANNICANDRO e SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Taranto, con appalto n. 13/2015 — CIG: 6365885941 ha aperto la «procedura per l'affidamento di manutenzione ordinaria e straordinaria del verde pubblico sul territorio di competenza comunale», con scadenza di presentazione delle offerte fissata al 10 dicembre 2015 (come si evince dal sito internet del comune stesso), disponendo come risorse 1,5 milioni di euro;
   vincitrice del suddetto bando risultano essere le «A.T.I. Bitella — A.V.I.M. — Chemipull Italiana», con una offerta pari a 1,2 milioni di euro. L'affidamento del bando è avvenuto il 30 giugno 2016;
   l'appalto di cui sopra è frutto anche di un confronto politico fra le organizzazioni sindacali e l'amministrazione comunale, con l'obiettivo congiunto di stabilizzare i lavoratori che precedentemente operavano in stato di precarietà (con impiego di 18 ore settimanali) e di efficientare il servizio di manutenzione del verde tramite la quotidianità degli interventi;
   gli obiettivi congiunti di cui al paragrafo precedente si sarebbero dovuti tradurre in alcuni punti quali:
    a) clausola sociale per la continuità per i lavoratori operanti sul verde;
    b) contratti a tempo indeterminato;
    c) monte ore di 130 mensili;
    d) contratto collettivo nazionale di lavoro multiservizi, con livello corrispondente alla declaratoria per le lavorazioni realmente effettuate;
   i punti di cui sopra trovavano corrispondenza nel bando stesso della amministrazione comunale, che metteva appunto in gara la somma di 1,5 milioni di euro, inseriva la «clausola sociale» e indicava una serie di lavorazioni prefiguranti costanza e quotidianità degli interventi. Inoltre, la durata dell'appalto — fissata in un anno con possibile proroga di sei mesi — rende assolutamente congrua la cifra stanziata con l'aumento delle ore per i lavoratori;
   precedentemente all'appalto in questione, sul verde cittadino lavoravano 76 dipendenti della «Ancora Service» al costo per l'amministrazione comunale di circa 54.000 euro mensili (648 mila euro l'anno). Di quei 76 dipendenti, 22 sono transitati nel cosiddetto «appalto spiagge», mentre gli altri 54 sono alle dipendenze della «A.T.I.» che a differenza del passato dispone appunto — in quanto vincitrice di gara — di 100 mila euro mensili;
   per quanto a conoscenza dell'interpellante, nei mesi di aprile, maggio e giugno (proroga) 2016, l'affidamento di tali servizi — ai 54 dipendenti — era legato al «mini affidamento» di appalto, che garantiva loro 14 giorni lavorativi a 6,5 ore per un monte complessivo di 91 ore mensili;
   sempre per quanto a conoscenza dell'interpellante, i suddetti lavoratori — dopo l'assegnazione di gara – sono stati contrattualizzati con «contratto agricolo» per 12 giorni al mese per 6,5 ore al giorno. Di conseguenza, vi è una sostanziale differenza lavorativa fra il previsto «contratto multi servizi a 130 ore» ed il «contratto a ricolo» assegnato di 78 ore mensili (con relativa e sostanziosa perdita economica annua per ogni singolo dipendente), nonostante le risorse assegnate alla azienda siano nettamente superiori al passato. Va altresì ricordato che, a differenza del «contratto multiservizi», con il contratto agricolo sono ricomprese nella paga base — oltre 13esima e 14esima — anche le ferie; a ciò si aggiungono le problematiche legate alla corresponsione della malattia. Tale contratto agricolo ha scadenza trimestrale, nonostante l'appalto sia annuale;
   l'assegnazione di 12 giornate mensili si tramuta quindi, secondo l'interrogante, in «lavoro a chiamata», che a detta degli interpellanti è poco rispettoso della dignità del dipendente, privato infatti della minima possibilità di organizzazione dei propri orari e soggetto quindi a indebite pressioni. In tal modo, inoltre, si rischia seriamente di aggravare la piaga del «lavoro nero», venendo a mandare l'elemento della quotidianità e della continuità lavorativa;
   a quanto si apprende dalle organizzazioni sindacali, i lavoratori sarebbero in diversi casi non adeguatamente dotati sia di «Dispositivi di protezione individuale» che di strumenti atti allo svolgimento del lavoro così come previsto dal bando;
   alla luce di quanto descritto nel «capitolato speciale» contenuto nel bando di gara d'appalto 13/2015 — CIG: 6365885941, l'impiego di ore e lavoro previste con il «contratto agricolo» risulta all'interrogante non congruo con gli obiettivi del capitolato stesso, con particolare riguardo ai «fattori strategici», alla «gestione tecnica», alla «Manutenzione ordinaria» ed a quella «straordinaria»;
   la non congruità di cui sopra risulta oltremodo ingiustificata, stante il «margine di profitto» della A.T.I. stessa. In base ad un calcolo effettuato dalle organizzazioni sindacali, infatti, l'azienda per le cosiddette spese vive impiegherebbe circa il 60 per cento dei fondi assegnati dal comune, con un conseguente margine di profitto del «40 per cento», evidentemente alto rispetto alla media di impresa italiana;
   risulta inoltre che, alla data del 16 luglio 2016, alcune unità lavorative, tra queste portatori di particolari fragilità, non siano state ancora chiamate a svolgere il loro servizio con il rischio di non riuscire ad effettuare le previste 12 giornate che consentirebbe di ricevere il compenso nel mese di agosto;
   per quanto detto, il servizio oggetto dell'appalto risulta essere oggettivamente inefficiente: il complessivo del monte ore assegnato ad ogni dipendente (78 ore per 54 lavoratori) è palesemente insufficiente rispetto alle lavorazioni previste in origine; si sono già registrate diverse rimostranze della cittadinanza circa lo stato della manutenzione del verde; ai dipendenti vengono assegnati interventi non inerenti all'appalto stesso come la raccolta differenziata; si è registrata la non costante raccolta dei residui di lavorazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di prevenire a una situazione contrattuale in grado di rispettare la normativa vigente e la dignità stessa dei lavoratori, di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e di evitare di aggravare il disagio economico e sociale dei dipendenti e delle loro famiglie. (4-13851)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta orale:


   CARFAGNA. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il 1o agosto 2014, nel corso del semestre europeo presieduto dall'Italia, è entrata in vigore la convenzione del Consiglio europeo per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, cosiddetta Convenzione di Istanbul, primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza;
   l'articolo 8 della Convenzione sopra citata stabilisce che siano destinate «adeguate risorse finanziarie e umane per la corretta applicazione delle politiche integrate, misure e programmi per prevenire e combattere tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione delle presente Convenzione, incluse quelle svolte da organizzazioni non governative e dalla società civile»;
   alla luce di quanto previsto nella Convenzione di Istanbul è successivamente intervento il decreto-legge 14 agosto 2013 n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, che ha previsto un incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, di 10 milioni di euro per l'anno 2013, 7 milioni di euro per l'anno 2014 e 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015 per le attività dei centri anti violenza e le case rifugio;
   nello specifico la legge 15 ottobre 2013, n. 119, ha stabilito che solo il 20 per cento del fondo è destinato direttamente ai centri antiviolenza e alle case rifugio, mentre il restante 80 per cento è attribuito alle regioni;
   oltre al Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità 2016) ha altresì previsto lo stanziamento di 18 milioni di euro per il biennio 2015-2016 che non sono stati ancora erogati;
   nonostante la previsione normativa e la dimensione del problema, la prima tranche dello stanziamento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità del 2013-2014 è stata trasferita alle regioni solo nell'autunno del 2014 e una volta che la somma è arrivata nelle casse regionali, nella maggior parte dei casi se n’è persa traccia. Come documentato da Actionaid Italia, di trasparenza nella di distribuzione ce n’è stata ben poca tanto che a novembre 2015 solo per dieci amministrazioni era possibile consultare la lista delle strutture beneficiarie dei fondi, di cui solo cinque – Veneto, Piemonte, Sardegna, Sicilia e Puglia – hanno pubblicato online i nomi di ciascuna struttura e i fondi ricevuti;
   l'analisi di «Donnech Contano» mostra che il finanziamento medio per centro antiviolenza e casa rifugio varia per ogni regione. Infatti, sono stati destinati circa 60 mila euro in Piemonte, 30 mila euro in Veneto e Sardegna, 12 mila euro in Puglia, 8 mila euro in Sicilia, 12 mila nelle ex province di Firenze e Pistoia, 6 mila in Abruzzo e Val d'Aosta. Si tratta di un punto cruciale, poiché l'obiettivo principale dello stanziamento dei fondi dovrebbe essere quello di garantire un funzionamento adeguato dei centri e non solo la loro sopravvivenza;
   la mancanza di dati ed informazioni su come siano stati spesi i fondi stanziati attraverso la legge 15 ottobre 2013, n. 119 fa emergere la necessità che tutte le regioni pubblichino online un resoconto completo sull'utilizzo dei fondi e che il Governo, titolato ad avere tutte le informazioni in merito, fornisca a sua volta ma rendicontazione accurata partendo dalla reportistica ricevuta dalle regioni;
   dopo la chiusura del servizio «SosDonna H24», sportello antiviolenza del comune di Roma, da anni a sostegno per le donne vittime di violenza, molti centri antiviolenza sono stati costretti a interrompere o ridurre drasticamente la loro attività. Casa Fiorinda di Napoli, unica casa rifugio della città è stata chiusa a causa di mancanza di fondi; il Centro antiviolenza «le Onde» di Palermo, che in venti anni ha aiutato diecimila donne è attualmente ridotto all'ascolto telefonico e l'Associazione Casa della Donna di Pisa è ormai costretta a limitare le sue prestazioni a causa della mancanza di fondi;
   nel frattempo in Italia, secondo dati Istat, una donna su tre continua ad essere vittima di violenza; nei primi cinque mesi del 2016 le vittime di femminicidio sono state 55; 43 gli omicidi avvenuti all'interno del nucleo familiare e 27 quelli avvenuti all'interno della coppia;
   una sequela di chiusura e ridimensionamenti per i presidi sul territorio che rischia di mettere ancora più in difficoltà le vittime considerato che molti dei centri esistenti hanno storie ventennali e svolgono un ruolo centrale nella prevenzione dei femminicidi. In queste strutture, le operatrici offrono supporto legale e psicologico durante la denuncia, rispondono al telefono 24 ore su 24 per i casi di emergenza, collaborano con le forze dell'ordine e i servizi sociali, organizzano attività di promozione culturale;
   i centri antiviolenza non sono un mero nascondiglio per chi ha denunciato, ma soprattutto uno spazio in cui gli specialisti aiutano la donna a riconquistare l'autostima, a trovare un lavoro, e quindi a rendersi autonoma dal suo aguzzino e nei quali operano spesso anche avvocati esperti di violenza di genere e psicologi per aiutare i figli che hanno assistito alle aggressioni a superare il trauma, oltre ai tanti operatori che fanno da collegamento tra ospedali, magistratura e polizia;
   la lotta alla violenza contro le donne è una questione prioritaria per il nostro Paese, rispetto alla quale sono indispensabili obiettivi condivisi e misure volte alla prevenzione del fenomeno, sia al sostegno e all'accoglienza delle vittime. Con il Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, approvato durante il IV Governo Berlusconi, è stato previsto il potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza, sostegno, protezione e reinserimento delle vittime con una realizzazione di una completa messa in rete degli stessi centri con gli altri servizi presenti sul territorio di riferimento;
   tutto questo disordine, ad avviso dell'interrogante, è dovuto senz'altro alla drastica riduzione dei finanziamenti da parte del Governo e alla scarsa attenzione nei confronti di queste tematiche. Come se non bastasse, seppur dopo due anni si sia provveduto al conferimento della delega in materia di pari opportunità al Ministro interrogato, manca ancora un ruolo di guida necessario per abbattere il muro di indifferenza con cui il Governo ha affrontato in questi anni il tema dell'assistenza alle donne vittime di violenza –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere nella lotta e nel contrasto alla violenza di genere e al fine di garantire che l'incremento previsto per il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità nonché l'ulteriore stanziamento stabilito nella legge di Stabilità 2016 siano erogati ai centri antiviolenza per evitare la loro chiusura e garantire il supporto legale e psicologico a tutte le donne vittime di violenza.
(3-02410)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   l'atto di indirizzo per il rinnovo dell'accordo collettivo nazionale dei medici convenzionati prevede una diversa articolazione della continuità dell'assistenza medica territoriale sulle sedici ore (cosiddetto «H16»), dalle ore 8 alle ore 24,00 e non più nell'arco delle 24 ore; dalle ore 24,00 alle ore 8,00 le urgenze mediche dovrebbero essere trasferite al 118, organizzazione territoriale dell'emergenza sanitaria;
   l'atto di indirizzo discende dal Patto per la salute che, a sua volta, è inquadrato all'interno della cornice giuridica delle leggi nazionali e regionali. La legge cosiddetta «Balduzzi», come tutte le precedenti (decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modifiche e integrazioni) recita che l'accordo collettivo nazionale per la medicina generale deve assicurare la continuità assistenziale H 24. Il Patto per la salute vigente nel rispetto delle superiori norme non solo prevede percorsi distinti e paralleli per l'urgenza medica e l'emergenza (articolo 5 punto 12 e 13, pagina 15), ma addirittura ne implementa l'organizzazione e l'integrazione, con l'istituzione dei numero unico per le urgenze (116.117) e la riorganizzazione più efficiente del 118 in ragione dei progressi della diagnostica a distanza (telemedicina). L'uno e l'altro servizio svolgono funzioni completamente diverse, pur integrabili in ragione del possibile ricorso al 118 per interventi che appaiano urgenti e che in un secondo momento acquisiscono carattere emergenziale. Analogamente, il 118 potrebbe essere allenato per interventi che sembrando soggettivamente di emergenza, rivelano invece il carattere dell'urgenza o dell'urgenza differibile;
   l'atto di indirizzo citato tende quindi surrettiziamente a modificare strutturalmente l'organizzazione dei sottosistemi rispettivamente dell'emergenza e dell'urgenza (addirittura unificandoli dalle ore 24,00 alle ore 8,00) senza avere alcuna potestà normativa in merito, come si evince dalle norme sopra richiamate. Ancor meno questa potestà è in capo all'accordo collettivo nazionale che invece disciplina il rapporto di lavoro con i medici di famiglia, non già la chiusura o il ridimensionamento delle guardie mediche, tanto meno l'organizzazione dell'emergenza territoriale;
   vi è, inoltre, nel merito, una presunzione di fondo, tutta da dimostrare, relativamente al potenziamento dell'assistenza diurna in forza del dirottamento delle ore di servizio trasferite a questa dall'assistenza notturna. Come se la presenza di più medici di famiglia durante le ore diurne dovesse scongiurare il ricorso al pronto soccorso, intercettando i cosiddetti codici bianchi. È noto, infatti, dai dati rilevati, che questo assunto è un luogo comune smentito dai fatti. L'inutilità, di un semplice incremento delle attività dei professionisti è ampiamente dimostrata da quelle esperienze già effettuate in diverse parti d'Italia con l'istituzione di punti di guardia medica nelle ore diurne. Punti che non hanno prodotto i risultati auspicati in assenza di dotazioni diagnostiche e specialistiche adeguate;
   è evidente che i temi del riordino da un lato delle cure primarie, con l'epocale corollario della cronicità, dall'altro dei servizi di emergenza e urgenza non possono essere declinati all'interno di una regolamentazione contrattuale, ma hanno bisogno di un intervento normativo quanto mai necessario e attuale;
   l'eventuale istituzione dell’«H16» ridurrebbe significativamente l'offerta sanitaria ai cittadini e, in discontinuità con i 150 anni di storia del nostro Paese, per la prima volta dalla lontana istituzione della condotta medica farebbe venir meno un servizio essenziale, dovendo ovviamente il 118 di altro occuparsi, se non si vuole pregiudicarne irreparabilmente la funzionalità;
   il modello ipotizzato è approssimativo e ancora indefinito, ma è facile prevedere che avrebbe alcune evidenti disastrose conseguenze tra le quali il collasso dei pronto soccorso presi d'assalto dai pazienti, un utilizzo improprio dei medici del 118 e la perdita di posti di lavoro nella continuità assistenziale (un terzo degli attuali incarichi di continuità assistenziale – circa 5000 – verrebbe meno con un importante riverbero negativo sull'occupazione medica, pur precaria) –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per scongiurare la soppressione della comunità dell'assistenza medica territoriale 24 ore su 24;
   se sia stato valutato, anche per il tramite del rappresentante del Governo nel comitato di settore regioni-sanità, in sede di approvazione dell'atto di indirizzo di cui in premessa, il rischio dello sviluppo di un nuovo mercato speculativo dell'assistenza medica notturna, in particolare nelle aree territoriali più isolate e svantaggiate con l'introduzione delle misure sopra richiamate e se sia stata valutata la correttezza della procedura, atteso che si giungerebbe ad una modifica epocale del sistema sanitario nazionale senza che di ciò sia stato investito il Parlamento;
   se, qualora la riforma venisse attuata, non si intendano assumere iniziative di competenza per apportare modifiche, integrazioni e correttivi per i centri e le isole minori e le comunità site in posti svantaggiati, interni e difficilmente collegati con i centri maggiori.
(2-01435) «Brunetta, De Girolamo, Polverini, Secco, Longo, Catanoso, Sandra Savino, Polidori, Vella, Palmizio, Alberto Giorgetti, Squeri, Romele, Russo, Sarro, La Russa, Occhiuto, Palese, Francesco Saverio Romano, Ciracì, Luigi Cesaro, Bueno, Giacomoni, Bergamini, Palmieri, Mottola, Marti, Distaso, Latronico, Altieri, Fucci, Chiarelli».

Interrogazioni a risposta immediata:


   OTTOBRE. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   l'intesa raggiunta in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 16 dicembre 2010, relativa alle «linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», ha stabilito la permanenza dei punti nascita con un numero di parti all'anno pari o superiore a 500;
   tale requisito ha tolto, così, almeno il 30 per cento dei punti nascita presenti sul territorio nazionale, secondo i dati del 2013 forniti dalla banca dati Sdo del Ministero della salute, senza tenere in considerazione la particolare situazione orografica delle regioni alpine, dove i punti nascita sono raggiungibili con notevole difficoltà, soprattutto nel periodo invernale, che, come noto, in quelle zone è notevolmente prolungato, e dove c’è anche il problema della mancanza di bacino di utenza che, con tali scelte politiche, si contribuisce solo che ad alimentarlo;
   in Austria, Germania e Svizzera, invece, sono state fatte scelte diverse, più flessibili e più ragionevoli per le esigenze dei cittadini, nonostante tali Paesi debbano rispettare le medesime linee di indirizzo internazionali, con la «pronta disponibilità sostitutiva» di ginecologi, anestesisti e pediatri che garantiscono una rapidità di intervento di 10 minuti;
   tutto ciò ha comportato che le regioni che non hanno il problema della presenza di zone montane o disagiate sono già riuscite a riorganizzare il percorso nascita, con la chiusura di 60 strutture tra il 2010 e il 2013, mentre le regioni dell'arco alpino e quelle che presentano difficili condizioni territoriali, quali la distanza e l'orografia, nonché difficoltà a garantire il servizio di trasporto assistito materno e il servizio di trasporto d'emergenza neonatale ancora non riescono a riorganizzarsi;
   il Sottosegretario per la salute delegato, nella risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione dell'interrogante e dell'onorevole Borghese, in data 2 luglio 2015, affermava: «(...) L'accordo ha previsto la persistenza di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti all'anno esclusivamente in caso di situazioni orografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti dall'accordo per le unità operative ostetriche e neonatologico/pediatriche di I livello»; continuando poi: «il Ministero della salute verifica che l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza avvenga nel rispetto delle condizioni di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse e accerta la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal servizio sanitario nazionale; nonché che le strategie di riorganizzazione dei punti nascita siano coerenti con le politiche convenute nell'accordo ed opera sulla sicurezza del percorso nascita una costante azione di affiancamento alle regioni, attestata, tra l'altro, dal rinnovo, con decreto ministeriale del 19 dicembre 2014, del Comitato percorso nascita nazionale, che supporta le regioni e le province autonome nell'attuazione delle migliori soluzioni per la qualità e la sicurezza del percorso nascita.» Concludendo con: «La questione riguardante l'eventuale aggiornamento dei requisiti e degli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza, che i punti nascita con volumi inferiori a 500 parti all'anno devono possedere, è stata più volte affrontata e dibattuta nell'ambito del continuo confronto tra il Ministero della salute e le regioni sulla sicurezza del percorso nascita. Tuttavia, emerge con ogni evidenza tecnico-scientifica che le modalità organizzative, seppur flessibili ed idonee, in particolare per strutture di zone disagiate con meno di 500 parti all'anno devono garantire gli standard qualitativi, di efficienza ed appropriatezza stabiliti dall'accordo, che permettano il parto in condizioni di sicurezza»;
   la chiusura del punto nascita di Arco, a seguito della decisione della commissione ministeriale, lascia l'intera comunità perplessa, in quanto punto di riferimento di tutto l'Alto Garda, della Val di Ledro ma anche di comuni confinanti del bresciano e del veronese, da Malcesine a Limone, da Magasa a Tremosine;
   dal documento finale del Comitato percorso nascita nazionale sembrerebbe che non siano stati minimamente presi in considerazione tutti i dati della Val di Ledro, una realtà di 5.400 residenti stabili che nelle stagioni turistiche aumentano esponenzialmente;
   sembrerebbe che il punto nascita dell'ospedale di Arco non abbia superato l'esame del Comitato nazionale punti nascita, in quanto, dalle motivazioni espresse, appare come siano stati fattori determinanti le condizioni orografiche ritenute meno disagevoli rispetto a quelle dei bacini di riferimento di Cavalese e Cles e il tasso di fidelizzazione delle pazienti (64 per cento) anche in questo caso inferiore agli altri due; fattori questi che a parere dell'interrogante risultano essere poco precisi nella valutazione reale del territorio: infatti, le strade sono comunque molto tortuose e trafficate e i due elicotteri di Trentino emergenza sono spesso impegnati, tutto ciò a indubbio discapito della sicurezza delle partorienti; il tasso di fidelizzazione delle pazienti, inoltre, risulterebbe, dai dati in possesso del sottoscritto, al 70 per cento, pertanto ricadente nei requisiti previsti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei canoni di valutazione, applicati dal Comitato percorso nascita nazionale, per la scelta della chiusura del punto nascita di Arco, se tali valutazioni corrispondano ai dati reali della zona a cui il punto nascita fa riferimento e se in base a ciò possa chiarire se il parere espresso dal Comitato percorso nascita nazionale debba ritenersi vincolante per la provincia di Trento. (3-02407)


   BINETTI, CALABRÒ e PAGANO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   dal 6 luglio 2016 l'Italia non è più sotto accusa di fronte al Consiglio d'Europa per la spinosa questione dell'obiezione di coscienza all'aborto, sollevata nel 2013 dalla Cgil;
   il 6 luglio 2016, infatti, il Comitato dei ministri, organo di governo politico del Consiglio d'Europa, che conta 47 membri, tra cui Svizzera, Russia e Ucraina, ha pubblicato una risoluzione positiva sul contenzioso tra il Governo italiano e la Cgil, promuovendo l'Italia per la sua gestione della materia, dopo averla censurata in un primo momento per decisione del Comitato europeo per i diritti sociali;
   l'11 aprile 2016, infatti, il Comitato europeo per i diritti sociali aveva accolto, sia pure parzialmente, il ricorso presentato dalla Cgil, che aveva rilevato la violazione di una serie di articoli della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, tra cui la carenza di prestazione nei servizi d'interruzione di gravidanza;
   secondo la Cgil le donne che desideravano ricorrere ai servizi di aborto continuavano a incontrare reali difficoltà, con rischi considerevoli per la loro salute e per il loro benessere; la Cgil aveva, inoltre, contestato la discriminazione su base geografica del trattamento offerto nelle diverse regioni, con servizi migliori in alcune regioni rispetto ad altre;
   la Cgil aveva, inoltre, denunciato anche il fatto che medici non obiettori sarebbero stati trattati peggio di quelli obiettori in quanto a carichi di lavoro, ripartizione delle mansioni e possibilità di carriera e aveva parlato di vere o presunte pressioni di cui sarebbero stati oggetto i medici non obiettori per cambiare il loro orientamento;
   in altri termini la Cgil accusava il Governo italiano di non assicurare misure sufficienti a garantire l'aborto come previsto dalla legge n. 194 del 1978 a fronte dell'alto numero di ginecologi obiettori, attestati ormai stabilmente attorno al 70 per cento sul totale e l'11 aprile 2016 i rilievi presentati dalla Cgil erano stati accolti dalla commissione competente del Consiglio d'Europa;
   la notizia era stata divulgata con enorme risalto mediatico dai media nazionali che avevano contestualmente affermato che si trattava di una «vittoria» del «diritto di abortire» sulle istanze opportunistiche di chi decideva di fare obiezione per sottrarsi a turni pesanti e ad altre non meglio precisate forme di discriminazione;
   la commissione competente del Consiglio d'Europa aveva poi concesso al Governo italiano la possibilità di presentare le proprie controdeduzioni in una seduta pubblica, che si è svolta il 24 maggio 2016, nel corso della quale era stato possibile chiarire una serie di aspetti che non erano stati esaminati con la dovuta attenzione nel corso della prima valutazione, anche perché la commissione disponeva di una documentazione non sufficientemente aggiornata;
   il 6 luglio 2016 il Comitato dei ministri ha pubblicato una risoluzione nella quale si tiene conto delle informazioni comunicate dalla delegazione italiana e si prende nota delle informazioni fornite in seguito alla decisione del Comitato europeo dei diritti sociali che accoglie con favore gli sviluppi positivi intervenuti e nel documento si sottolinea che il Comitato dei ministri attende con interesse il rapporto che sarà sottoposto dall'Italia al Comitato europeo dei diritti sociali nel 2017;
   il Comitato dei ministri, organismo politico di livello superiore rispetto al Comitato per i diritti sociali, ha quindi accolto gli argomenti forniti dal Ministero della salute ritenendoli più persuasivi del reclamo presentato dalla Cgil; il nostro Paese esce quindi dalla posizione scomoda di «accusato» –:
   quali misure intenda assumere il Governo per un attento monitoraggio della legge n. 194 del 1978, in modo che venga sempre e comunque garantito il diritto all'obiezione di coscienza del personale sanitario, a cominciare dalle ostetriche e dagli stessi ginecologi. (3-02408)


   LENZI, SERENI, AMATO, ARGENTIN, BENI, PAOLA BOLDRINI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GELLI, GRASSI, MARIANO, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PIAZZONI, PICCIONE, GIUDITTA PINI, SBROLLINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il nuovo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che sostituisce integralmente il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza», è stato predisposto in attuazione della legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi 553 e 554, legge 28 dicembre 2015, n. 208), che ha stanziato 800 milioni di euro annui per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza;
   la definizione dei livelli essenziali d'assistenza è, dunque, ferma al 2001, dopo che nel 2008 il decreto che avrebbe dovuto ridefinire i livelli essenziali di assistenza non entrò mai in vigore, in seguito ai rilievi su profili attinenti all'equilibrio economico mossi dalla Corte dei conti;
   la revoca del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008 ha comportato anche il mancato aggiornamento del nomenclatore tariffario degli ausili e delle protesi, aggravando così ulteriormente una situazione già di per sé difficile, visto che, di fatto, ha escluso dal rimborso tutte le nuove applicazioni tecnologiche che sicuramente rendono più agevole compiere i normali gesti quotidiani alle persone disabili. L'elenco in vigore risale al 1999, identico peraltro a quello originario del 1992: non è mai stato modificato, benché fosse previsto un aggiornamento ogni tre anni;
   i nuovi livelli essenziali di assistenza devono recepire tra le varie novità anche la legge 18 agosto 2015, n. 134, in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico, dove si prevede, all'articolo 3, l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con l'inserimento «delle prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l'impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche disponibili»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, se è pur vero che non è strutturato per patologie, prevede, all'allegato n. 8, «pacchetti» di interventi per molte singole disabilità, anche intellettive, come, ad esempio, la sindrome di Down, dimenticando completamente l'autismo, nonostante la citata legge n. 134 del 15 esigesse l'emanazione di livelli essenziali di assistenza specifici per l'autismo entro sei mesi dall'entrata in vigore, termine scaduto alla fine del mese di gennaio 2016;
   il nuovo schema di revisione dei livelli essenziali di assistenza, invece, nomina l'autismo includendolo nel capitolo delle psicosi, ciò che contrasta a giudizio degli interroganti con tutta la letteratura scientifica degli ultimi trent'anni, provocando inoltre l'uscita dalla diagnosi di autismo al compimento dei 18 anni. Nell'elenco delle prestazioni del «pacchetto» per le psicosi in genere manca, ad esempio, l'intervento cognitivo comportamentale raccomandato dalla linea guida n. 21 dell'Istituto superiore di sanità («Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti»), manca la gran parte degli interventi specifici previsti dalle linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel settore dei disturbi pervasivi dello sviluppo, con particolare riferimento ai disturbi dello spettro autistico, approvate a suo tempo dalla Conferenza unificata Stato-regioni e manca anche la scala Vineland, che viene richiesta dall'Inps per determinare la necessità dell'indennità di accompagnamento piuttosto che quella di frequenza –:
   se il Ministro interrogato, alla luce delle ragioni sopra evidenziate, non ritenga necessario promuovere le necessarie modifiche affinché nel nuovo decreto di revisione dei livelli essenziali di assistenza vi sia un'indicazione specifica dei trattamenti terapeutico-riabilitativi, assistenziali, che sia i minori che gli adulti sofferenti di disturbi dello spettro autistico hanno diritto di ricevere. (3-02409)

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per una serie di ragioni assai difficilmente identificabili, e comunque scarsamente condivisibili, questo Governo, a giudizio dell'interrogante, non riesce a prendere decisioni concrete ed efficaci in materia di giochi, soprattutto sotto il profilo della prevenzione delle dipendenze e quindi a tutela della salute, nonostante ci siano diversi disegni di legge orientati in tal senso. Eppure, il problema si va facendo sempre più grave ed esige che si affronti con tutta l'attenzione che merita;
   sulla base di una recente ricerca effettuata dalla Società italiana di medicina dell'adolescenza, in collaborazione con altre istituzioni, è emerso che entro i 14 anni la stragrande maggioranza dei giovani ha giocato più di una volta, anche senza essere diventato un giocatore abituale; l'ha fatto soprattutto con i giochi che non destano particolare allarme sociale da parte degli adulti, come ad esempio il Gratta e vinci, il Lotto e il Super Enalotto e altri;
   attualmente si sta diffondendo tra i giovani la consuetudine a giocare utilizzando le app presenti sugli smartphone, in tutti gli ambienti, compresi quelli considerati più sensibili come le scuole: l'11 per cento degli intervistati, su di un campione di 2 mila studenti di età compresa tra i 12 e i 14 anni ha già giocato anche online; ciò è uno degli «effetti collaterali» della massiccia permanenza in rete degli adolescenti e indica un pericoloso avvicinamento al gioco d'azzardo online, legale per gli adulti;
   in realtà, per giocare online occorre disporre di una carta di credito, ma sembra che non sia difficile per gli adolescenti aggirare questo ostacolo per vivere un tipo di emozione che la legge non consente, secondo il classico modello che fa della trasgressione una delle esperienze più attrattive;
   dall'indagine citata risulta che il 95 per cento degli adolescenti intervistati sa cosa sia un gioco d'azzardo e il 90 per cento di loro sa bene che il gioco d'azzardo può creare dipendenza e per di più il 70 per cento ritiene che a questo tipo di dipendenza possano poi associarsene altre; ma solo il 66 per cento, un 30 per cento in meno, ma una percentuale comunque significativa, ritiene che sia possibile effettuare azioni di prevenzione nei confronti della dipendenza dal gioco d'azzardo attraverso adeguate campagne informative; eppure né la scuola, né i Ministeri competenti: Ministero della salute e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca hanno fatto nulla in tal senso, lasciando al Ministero dell'economia e delle finanze l'iniziativa di considerare il gioco come una sorta di cassaforte a cui attingere per i propri obiettivi di fiscalità generale, senza tenere in nessun conto gli effetti deleteri che si creano per le future generazioni, sempre più esposte al rischio dipendenza;
   la ricerca ha messo in evidenza come sussista un forte rischio che il nuovo paradigma della dipendenza da gioco per i ragazzi in età scolare non sarà solo l'azzardo per vincere denaro, ma l'attività di gioco in sé, resa accessibile da tutti gli strumenti tecnologici di cui i ragazzi dispongono ormai con estrema facilità. L'attenzione dei ragazzi si sta spostando sempre di più sulle app di gioco da utilizzare sui telefonini; si può fare una ricerca sui comuni app store, inserendo le parole « slot machine» e si trovano circa 2.200 app gratuite da scaricare e se si digita slot machine e bambini, è possibile scaricare app per bambini dai 4 agli 8 anni;
   sono legali, non si vince denaro, ma la possibilità di giocare più a lungo, secondo il modello del ticket redemption, dove la vincita consiste in un accumulo di punti, ticket, che possono essere successivamente convertiti in premi, secondo il classico schema che consente di fidelizzare i clienti attraverso l'accumulo di punti da spendere successivamente: una formula sicura per creare dipendenza –:
   cosa intendano fare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per affrontare questo problema, sempre più esteso e più grave, con la necessaria serietà ed incisività, dal momento che tutti i fenomeni di dipendenza, una volta che si sono consolidati, oltre a costituire un grave danno per la persona, hanno sempre importanti ripercussioni anche sul piano della salute pubblica. (3-02399)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, DI VITA e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 161, recante «disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea» (legge europea 2013-bis), ha recepito le disposizioni dell'Unione europea (direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003) in materia di ruolo sanitario finalizzate ad evitare eccessi lavorativi prolungati e a garantire la funzione dei riposi nei modi e nei limiti previsti per gli altri lavoratori;
   il riallineamento alla normativa europea è entrato in vigore dal 25 novembre 2015, da questa data il personale del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale ha diritto ad undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore e la durata media dell'orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario; il lavoratore ha diritto a un periodo di riposo ogni 7 giorni di almeno 24 ore;
   il sottosegretario De Filippo, all'interpellanza urgente n. 2-01410 del 27 giugno 2016, ha risposto: «il Ministero della salute ha provveduto a richiedere alle regioni e alle province informazioni in ordine al quadro giuridico e alle prassi adottate a livello locale, in particolare, quelle concernenti la durata settimanale massima di lavoro e i relativi periodi di riferimento, il calcolo delle ore lavorative prestate in regime di attività libero-professionale e di riposo giornaliero. Dalle informazioni che abbiamo acquisito è emerso che le regioni hanno provveduto ad adottare atti di indirizzo finalizzati ad assicurare l'uniforme attuazione sul territorio di riferimento delle prescrizioni previste dalla normativa europea e da quella nazionale di recepimento. Non ci sembrano, ad oggi, pertanto, sussistere casi generalizzati di violazione delle disposizioni sull'orario di lavoro e, pertanto, eventuali ipotesi che si potrebbero accertare nel corso dei prossimi mesi di una non corretta applicazione sono verosimilmente circoscritte a casi isolati sul territorio nazionale (...). Nel rispetto della cornice finanziaria e programmatica e delle disposizioni vigenti in materia del costo del personale, è stato richiesto alle regioni e alle province autonome esattamente entro il 29 febbraio 2016, attraverso un apposito flusso documentale, il piano di definizione del fabbisogno del personale, di cui al citato comma 541 della legge di stabilità, lettera b), dando evidenza alle seguenti informazioni: la prima, fabbisogno di personale necessario all'applicazione della legge n. 161, con particolare riferimento, soprattutto, alle aree di emergenza-urgenza e della terapia intensiva; seconda, il fabbisogno del personale correlato alla riorganizzazione della rete ospedaliera e dell'emergenza-urgenza effettuata ai sensi proprio del decreto ministeriale n. 70, il piano deve essere corredato dalle relative metodologie di calcolo; alle regioni e alle province autonome è stato, inoltre, richiesto di comunicare, ai sensi dell'articolo 1, comma 542, della legge di stabilità, entro sempre la stessa data, l'eventuale ricorso alle forme di lavoro flessibili, dettagliando il numero di unità reclutate, il profilo ricoperto e la tipologia di contratto con la relativa durata»;
   il dipartimento di area critica dell'azienda, dell'AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno, d'intesa con la direzione aziendale, il 7 luglio 2016, ha emanato la circolare, protocollo n. 15074, in merito alle «criticità organizzative ed adempimenti connessi alla gestione dei turni di servizio degli operatori di Area Critica» autorizzando ad acquisire la disponibilità del personale alla effettuazione di lavoro straordinario e a disporne ove necessario, l'effettuazione, precisando che qualora tali provvedimenti dovessero confliggere con i dettami sull'orario di lavoro (decreto-legge n. 66 del 2003 e legge n. 161 del 2014), la direzione aziendale nel suo complesso ne assumerà la piena responsabilità;
   gli straordinari del personale sanitario dell'azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno, sono stati oggetto di un'indagine della procura di Salerno, in quanto, l'azienda sanitaria ha sforato il tetto del fondo destinato agli straordinari con una spesa di 7 milioni e mezzo di euro nel 2014, attestandosi prima nella classifica stilata dalla regione Campania. Oggetto della verifica degli inquirenti sono stati turni e assegnazione di salario accessorio, al fine di individuare le ragioni dell'enorme sforamento del tetto di spesa;
   le risorse umane, all'interno dell'azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno, hanno subito una progressiva diminuzione a seguito del blocco del « turn-over» che negli anni di riferimento 2011/2014 è stata calcolata in 197 unità complessive –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, in merito alla circolare emanata dall'azienda ospedaliera salernitana;
   se non si intenda rendere noto, anche fornendo la relativa documentazione inviata al Ministero, il fabbisogno di personale necessario all'applicazione della legge n. 161 del 2014, all'azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno. (5-09198)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   ai primi di giugno 2016 Ericsson annuncia il nuovo piano industriale che prevede a livello nazionale 385 esuberi su quattro mila dipendenti, mentre per Genova gli esuberi sono calcolati in 103 unità entro il 2016 e 44 entro il primo semestre 2017, operazioni che coinvolgeranno i dipartimenti di ricerca e sviluppo. Questa decisione è l'ultima di una serie che ha portato i dipendenti genovesi della multinazionale, colosso nel campo di ricerca e sviluppo nelle telecomunicazioni e gestore delle reti mobili di H3G e Vodafone da circa 1100 a circa 600 unità;
   negli ultimi nove anni la multinazionale ha compiuto ben 13 operazioni di «snellimento» del personale, causando il dimezzamento della sua forza, lavoro su Genova, la sede più penalizzata in Italia: si concentra infatti a Genova il 30 per cento degli esuberi di Ericsson Italia. Eppure l'acquisizione di Marconi da parte della multinazionale svedese nel 2006 per 2,10 milioni di euro sembrava nascere sotto i migliori auspici: insieme al marchio rilevava la maggioranza delle attività relative alle reti di accesso, agli apparati e servizi Data Networks con base in Nord America, i servizi internazionali che includono le attività di Telecomunicazioni (installazione, commissioning e manutenzione) non stanziate nel Regno Unito, le attività nei servizi a valore aggiunto (VAS) nel Medio Oriente e le attività relative ai servizi wireless software. I dipendenti erano 3228 complessivamente nelle sedi di Genova, Roma, Napoli, Assago (Mi), Mestre, Caserta e Torino per quanto attiene al contratto delle telecomunicazioni;
   la nuova sede genovese viene inaugurata il 24 maggio 2012 e si sviluppa su 18 mila metri quadri su 7 piani nel villaggio scientifico degli Erzelli. Qualche giorno prima, il 19 maggio 2012 regione Liguria, comune e provincia di Genova, insieme con i Ministeri dello sviluppo economico e dell'istruzione dell'università e della ricerca firmano con Ericsson Telecomunicazioni spa l'accordo di programma. L'accordo prevede un finanziamento complessivo di 41,9 milioni di euro (24 milioni del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, di cui circa 5 milioni a titolo di contributo e circa 19 milioni come credito agevolato; 6,9 milioni del MISE, di cui 4,6 milioni quale contributo alla spesa e 2,3 milioni come contributo in conto interessi e 11 milioni di regione Liguria di cui 5,3 quale contributo alla spesa e 5,7 in forma di credito agevolato a valere sull'Asse 1 – Misura 1.1 del POR-FESR 2007-2013) per la realizzazione del nuovo Centro di ricerca e sviluppo di apparati e sistemi di telecomunicazione dell'azienda all'interno del Parco scientifico e tecnologico di Erzelli del costo complessivo previsto pari a 73,3 milioni di euro;
   il «contributo» pubblico viene chiesto dall'azienda con lo scopo di incentivare nuovi progetti di ricerca da sviluppare nell'ambito delle telecomunicazioni con la prospettiva di una crescita occupazionale sul territorio. A fronte vanno però presentati, come da accordo di programma, dei progetti di ricerca che l'azienda prevede a partire dalla seconda metà del 2012 con l'obiettivo di ultimarli entro il 2014; diversamente Ericsson, nei primi mesi del 2014 decide di non portare avanti progetti e contemporaneamente la regione Liguria decide di detrarre 9 degli 11 milioni di euro previsti dall'accordo sopracitato. Meno chiaro è invece l'esito della richiesta circa i fondi riferiti al Ministero dello sviluppo economico, secondo quanto riferiscono le stesse organizzazioni sindacali;
   nel nuovo piano industriale, presentato alle organizzazioni sindacali nel mese di giugno, Ericsson oltre ad annunciare il piano esuberi, manifesta un forte interesse al progetto del Governo riguardante la banda ultra larga che prevede un importante investimento futuro da parte del Ministero dello sviluppo economico. Ad oggi la multinazionale svedese sembra essere il giusto player viste le competenze che potrebbe mettere in campo: tecnologie di rete ottica, tecnologia IP routing ed i sistemi di gestione e controllo di rete, ambiti tecnologici dove le sedi di ricerca e sviluppo di Genova e Pisa erano da sempre fra i leader mondiali e, oggi nonostante tutto, ancora potrebbero esserlo;
   va tenuto conto dell'importanza strategica della multinazionale nel settore delle telecomunicazioni e del forte impatto che avrà il piano di esuberi appena annunciato che certamente potrebbe essere il prodromo di un possibile disimpegno sia a livello nazionale che locale nonché dell'impegno che il Governo dovrebbe profondere nel vigilare su come vengono investiti i fondi da esso erogati;
   il 28 luglio 2016 scadono i 45 giorni in cui, per legge, si può raggiungere un accordo tra azienda e sindacati per provare a individuare un accordo e il 27 agosto scadono i termini anche per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   il 21 giugno, senza dare alcuna spiegazione, la multinazionale svedese ha disertato l'incontro già fissato al Ministero dello sviluppo economico, causando l'annullamento del vertice –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rinnovare ad Ericsson la richiesta di partecipare ad un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali prima del raggiungimento dei termini di legge del 28 luglio, quando inizierebbe il percorso al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che potrebbe avviare la Procedura di licenziamento;
   se, nel contempo intenda chiarire se i contributi di competenza del Ministero dello sviluppo economico siano stati erogati alla multinazionale svedese nel corso di questi anni e, nel caso, se gli investimenti rispettato l'accordo di programma siglato;
   considerate le alte competenze presenti della sede genovese e alla luce delle penalizzazioni già subite, se non ritenga necessario adoperarsi, per quanto in suo potere per far ritirare il piano di esuberi nelle sedi di Genova e Pisa, invitando l'azienda ad utilizzare proprio queste stesse competenze presenti in Italia per competere proficuamente nelle future gare di assegnazione della banda ultra larga.
(2-01432) «Quaranta, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, FASSINA, D'ATTORRE, QUARANTA, FOLINO, PIRAS, NICCHI, COSTANTINO, DURANTI, MELILLA, FRATOIANNI, SCOTTO, FRANCO BORDO, DANIELE FARINA, AIRAUDO, PLACIDO, MARTELLI, FAVA, SANNICANDRO, PANNARALE e GREGORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la testata giornalistica Il Sole 24 Ore riporta questa mattina un articolo che annuncia la ripartenza dei lavori per il decreto di riordino delle camere di commercio attuativo della delega alla pubblica amministrazione;
   compito del provvedimento sarà quello di tradurre in pratica l'alleggerimento già scritto nella legge delega che prevede di passare da 105 ad un numero massimo di 60 camere di commercio tramite accorpamenti che potranno essere evitati solo dalle strutture che contano su una platea di 75 mila imprese;
   il testo prevederebbe anche il piano di riduzione dei diritti annuali a carico delle imprese che quest'anno dovrebbe raggiungere il 50 per cento si segnala, che su questo tema gli interroganti si sono già espressi con la proposta di legge n. 3861;
   sarà compito di Unioncamere la redazione di una proposta per la nuova geografia delle circoscrizioni e per il numero del personale. Preoccupa l'obiettivo minimo di taglio del 15 per cento degli organici complessivi e del 25 per cento per il personale che svolge funzioni di supporto nelle camere di commercio frutto delle fusioni;
   il livello professionale delle lavoratrici e dei lavoratori del sistema camerale è molto elevato, tanto da vantare know how difficilmente replicabile –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questa bozza di decreto attuativo e come intenda tutelare tutti i livelli occupazionali, scongiurando i tagli al personale e garantendo tutte le competenze attribuite al sistema camerale. (5-09209)


   BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel settore del tessile e della moda, l'investimento realizzato dalle imprese finali per lo studio, ideazione e realizzazione delle collezioni (il cosiddetto «campionario») è rilevante e, per citare alcuni dati dell'Osservatorio del settore tessile abbigliamento nel distretto di Carpi, nel 2013 si è attestato su cifre che arrivano al 6,6 per cento del fatturato delle imprese del distretto;
   sempre secondo l'Osservatorio, l'incidenza di questo costo sarebbe proporzionalmente più elevata nelle imprese di piccole dimensioni, dove supera il 9 per cento del fatturato, mentre nelle imprese finali di maggiori dimensioni si posiziona sul 4,9 per cento;
   l'investimento che ogni anno le imprese finali devono sostenere per l'attività di ideazione e realizzazione dei campionari rappresenta quindi un costo molto significativo, tenendo conto della necessità di progettare sempre nuovi modelli ad ogni stagione di vendita;
   l'articolo 1, commi da 280 a 284, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) ha istituito una misura fiscale, generica, di vantaggio in favore delle imprese per lo svolgimento di attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo: l'intervento di sostegno si sostanzia in un contributo, concesso nella forma di credito d'imposta, pari al 10 per cento dei costi sostenuti elevato al 15 per cento qualora i costi siano riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca. I costi agevolabili non possono superare l'importo di 15 milioni di euro per ciascun periodo d'imposta;
   l'articolo 1, comma 66, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) ha successivamente modificato l'intervento di sostegno, elevando al 40 per cento la misura del credito d'imposta per i costi di ricerca e sviluppo riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca, e aumentando a 50 milioni di euro per ciascun periodo d'imposta l'importo complessivo massimo dei costi su cui determinare il credito d'imposta;
   l'Agenzia delle entrate, con la circolare 46/E del 13 giugno 2008, in ordine all'individuazione delle attività rientranti nell'agevolazione, con particolare riferimento al campionario del settore tessile, abbigliamento e calzature, ha affermato che: «fermo restando il carattere automatico del credito d'imposta in esame, l'ulteriore indagine riguardante la effettiva riconducibilità di specifiche attività aziendali (quali, ad esempio, la realizzazione di un dato campionario da parte di un'azienda del settore tessile, lo sviluppo di una data molecola da parte di un'azienda nel settore chimico-farmaceutico) ad una delle attività di ricerca e sviluppo ammissibili, si ritiene comporti "valutazioni di carattere tecnico" che, come si desume dall'articolo 6 del decreto ricerca, involgono la competenza del Ministero dello sviluppo economico»;
   nell'aprile 2009, il Ministro dello sviluppo economico ha emanato la circolare interpretativa n. 46586 sull'applicazione dell'agevolazione del credito di imposta alla ricerca ed allo sviluppo alla attività del tessile e della moda nella quale si esplicitava, tra l'altro, che il credito d'imposta era previsto nella misura del 15 per cento, elevabile al 20 per cento per i costi riferiti a contratti stipulati con, università e enti pubblici di ricerca e che i costi ammissibili erano il lavoro del personale interno (stilisti e tecnici) impiegato nelle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le prestazioni dei professionisti (stilisti, altri consulenti esterni), le materie prime e materiali di consumo connessi alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le lavorazioni esterne connesse alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le attrezzature tecniche specifiche (computer e software dedicato, macchinari), nella misura e per il periodo in cui sono utilizzati per l'attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, i fabbricati e i terreni esclusivamente per la realizzazione dei laboratori utilizzati, nella misura e per il periodo in cui sono destinati alle fasi di ideazione e realizzazione dei prototipi;
   l'articolo 4, commi da 2 a 4, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, ha previsto un'agevolazione, sotto forma di detassazione del valore degli investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, finalizzate alla realizzazione di campionari (cosiddetto « Bonus campionari»), a favore delle imprese che svolgono attività produttive classificabili nelle divisioni 13 o 14 della tabella ATECO 2007;
   l'attività di studio, ideazione e realizzazione delle collezioni da parte delle imprese dell'abbigliamento, è stata riconosciuta anche dall'Agenzia delle entrate in occasione del richiamato bonus campionari, attivato nel 2011, come un'attività di ricerca industriale e sviluppo pre-competitivo poiché la funzione di ricerca e sviluppo svolta dalle imprese di abbigliamento si concretizza nell'attività di ricerca ideazione stilistica dei prodotti e nella realizzazione dei prototipi, che ad ogni stagione vede impegnate le risorse creative e tecniche interne alle imprese finali e le risorse esterne, rappresentate dagli stilisti che operano in qualità di consulenti e dalle imprese di subfornitura che collaborano attivamente allo studio e realizzazione dei prototipi: realizzando prodotti legati all'evoluzione della moda, le imprese finali propongono, ad ogni stagione, nuovi modelli. L'attività di ricerca e sviluppo richiede, di conseguenza, notevoli risorse e assume una valenza strategica nel determinare il successo dell'impresa;
   con l'introduzione di un credito di imposta in favore dei soggetti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo nel decreto «destinazione Italia» del dicembre 2013, il legislatore è tornato a promuovere l'innovazione attraverso lo strumento dell'incentivo fiscale: la misura introdotta nel 2013, che, però, non ha trovato attuazione per mancanza di copertura finanziaria, è stata poi modificata dalla legge di stabilità per il 2015 con l'obiettivo di renderla più efficace nell'incentivare sia gli investimenti sia l'occupazione di personale con un profilo professionale qualificato, fermo restando il cambiamento della logica di calcolo dell'agevolazione da volumetrica ad incrementale;
   l'articolo 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha integralmente sostituito l'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, con il quale è stato introdotto il credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo, rinviando, nel comma 14, ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, l'individuazione delle disposizioni applicative necessarie per poter dare attuazione al credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo;
   tra i costi ammissibili al credito d'imposta, nel rispetto di quanto contenuto nel comma 6 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 145 del dicembre 2013 ed elencati nell'articolo 4 del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 27 maggio 2015 sono elencati:
    a) i costi relativi a personale altamente qualificato in possesso di un titolo di dottore di ricerca, ovvero iscritto ad un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera, ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico secondo la classificazione UNESCO Isced, che sia dipendente dell'impresa, impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, con esclusione del personale con mansioni amministrative, contabili e commerciali o in rapporto di collaborazione con l'impresa, compresi gli esercenti arti e professioni, impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, a condizione che svolga la propria attività presso le strutture della medesima impresa;
    b) le quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio, nei limiti dell'importo risultante dall'applicazione dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro delle finanze 31 dicembre 1988, in relazione alla misura e al periodo di utilizzo per l'attività di ricerca e sviluppo e comunque con un costo unitario non inferiore a 2.000 euro al netto dell'imposta sul valore aggiunto. Sono agevolabili i costi, di competenza del periodo di imposta, relativi ai beni materiali ammortizzabili, diversi dai terreni e dai fabbricati – sia in proprietà che in uso – abitualmente impiegati dall'impresa nelle attività di ricerca e sviluppo in relazione al tempo di effettivo impiego in tali attività;
    c) le spese relative alla ricerca extra muros ossia spese relative a contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca e organismi equiparati, e con altre imprese, comprese le start-up innovative, diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. Sono escluse le spese relative alle commesse affidate alle società del gruppo ed i costi derivanti da commesse con imprese controllate dalla medesima persona fisica, tenendo conto a tal fine anche di partecipazioni, titoli o diritti posseduti dai familiari dell'imprenditore;
    d) competenze tecniche e privative industriali relative a un'invenzione industriale o biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale, anche acquisite da fonti esterne;
   nella circolare dell'Agenzia delle entrate n. 5/E del 16 marzo 2016, avente come oggetto il credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo previste dall'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, a pagina 13, si precisa che «per la concreta individuazione, nel contesto delle suddette attività di ricerca e sviluppo, delle attività da considerare ammissibili nell'ambito dello specifico settore del tessile e della moda, sono valide, in linea generale, le indicazioni fornite dal MISE con l'allegata circolare n. 46586 del 16 aprile 2009», che considera agevolabili, i costi sostenuti per svolgere le attività dirette alla realizzazione del contenuto innovativo di un campionario o delle collezioni e per la realizzazione dei prototipi, indicando in via orientativa, ma non esaustiva, come costi ammissibili: il lavoro del personale interno (stilisti e tecnici) impiegato nelle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le prestazioni dei professionisti (stilisti, altri consulenti esterni), le materie prime e materiali di consumo connessi alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le lavorazioni esterne connesse alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le attrezzature tecniche specifiche (computer e software dedicato, macchinari), nella misura e per il periodo in cui sono utilizzati per l'attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, i fabbricati ed i terreni esclusivamente per la realizzazione dei laboratori utilizzati, nella misura e per il periodo in cui sono destinati alle fasi di ideazione e realizzazione dei prototipi;
   il 21 giugno in VI Commissione è stata presentata la risoluzione n. 7-01027 nella quale si impegna il Governo ad assumere le necessarie iniziative di carattere normativo volte a promuovere una riduzione dell'imposizione fiscale sugli investimenti effettuati nella ricerca industriale e nello sviluppo precompetitivo, per la realizzazione di campionari nell'industria tessile e calzaturiera al fine di sostenere il settore della moda in Italia;
   nella risposta all'interpellanza urgente dell'otto luglio 2016, il Ministro Morando ha fatto presente che il Ministero dello sviluppo economico starebbe predisponendo in collaborazione con l'Agenzia delle entrate, il testo di una nuova circolare interpretativa che sostituisca o integri quella del 2009, al fine di fornire chiarimenti per la fruizione, per le attività di ricerca e sviluppo del settore tessile e della moda, del credito d'imposta e che in caso si determinasse la volontà del Governo di adottare misure di sostegno, anche di carattere fiscale, ulteriori rispetto a quelle che oggi ci sono, destinate a favorire le imprese operanti in specifici settori economici, si dovrà tener conto degli effetti sui saldi di finanza pubblica e dei limiti e delle condizioni poste dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato –:
   a che punto sia l'emanazione della circolare inerente alla fruizione del credito d'imposta per le attività di ricerca e sviluppo per il settore tessile e della moda.
(5-09210)


   CRIPPA, VALLASCAS, DA VILLA, FANTINATI, CANCELLERI e DELLA VALLE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Società italiana per le imprese all'estero finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero (Simest), controllata per il 76 per cento dal Governo italiano, opera come partner qualificato delle imprese che scelgono l'internazionalizzazione per affermare la propria presenza sui mercati esteri;
   nel 2011 la Simest ha stipulato con il gruppo Parmacotto, azienda italiana leader nel settore dell'agroalimentare, un accordo che prevede un investimento di 11 milioni di euro nel capitale sociale dell'azienda, finalizzato ad una sua ulteriore espansione negli USA, Francia e Germania dove punta a consolidare la propria presenza;
   in data 4 luglio 2016 la Guardia di finanza di Parma, dopo una lunga indagine, dispone il sequestro preventivo di 11 milioni di euro, ovvero dell'equivalente di quanto disposto, da Simest società per azioni, società di diritto pubblico;
   si ipotizza il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, praticata tramite artifici contabili, false attestazioni e conseguente falsificazione di un bilancio annuale d'esercizio;
   di certo, i rapporti tra Simest e Parmacotto già da anni non erano rosei; come si apprende dalla relazione dei commissari giudiziali Antonella Lunini e Luca Orefici che curano la procedura di concordato in continuità di Parmacotto, il rappresentante di Simest nell'assemblea del 15 dicembre 2014 si rifiutò di approvare il bilancio 2013, con queste motivazioni: «Il dott. D.M, in rappresentanza del socio Simest, in merito all'approvazione del bilancio 2013 dichiara di non approvare lo stesso in quanto non sufficientemente chiari i dati in esso esposti, anche alla luce dei risultati sorprendentemente negativi che emergono dallo stesso, nonché per quanto scritto nella relazione degli amministratori circa la insussistenza/inveridicità di poste di bilancio anche negli anni precedenti»;
   preoccupa il futuro di una nota azienda italiana che lavora da circa 40 anni nel settore dell'agroalimentare, oltre a quello dei lavoratori dello stabilimento e del suo indotto –:
   di quali informazioni sia in possesso, per quanto di competenza, in merito alla vicenda sopra descritta e quali iniziative intenda adottare al fine di assicurare la continuità aziendale e verificare che le procedure di concessione di liquidità gestite da Simest siano state corrette.
(5-09211)

Interrogazione a risposta scritta:


   SILVIA GIORDANO, TOFALO, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, COLONNESE, DI VITA e NESCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dagli anni Ottanta, a Salerno, nella zona di Fratte, al confine con la Valle dell'Irno, sono ubicate le Fonderie Pisano, dove viene smaltito e bruciato ferro e ghisa;
   il 23 giugno 2016 i carabinieri del Noe di Salerno hanno eseguito il sequestro preventivo d'urgenza delle Fonderie Pisano emesso dalla procura della Repubblica. I reati contestati ai titolari dello stabilimento sono: scarico di acque reflue inquinanti, gestione illecita di rifiuti speciali anche pericolosi, emissioni nocive in atmosfera, danneggiamento di beni pubblici, gettito di cose idonee a molestare le persone, violazione della normativa antincendio e della sicurezza dei luoghi di lavoro, abuso d'ufficio, falsità materiale ed ideologica in atti pubblici;
   il 4 luglio il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Salerno, Stefano Berni Canani, ha accolto le richieste della procura e ha convalidato il provvedimento di sequestro delle Fonderie Pisano;
   il 4 luglio 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico si è svolto un incontro avente ad oggetto la situazione delle Fonderie Pisano;
   alla riunione presieduta dal dottor Castano del Ministero dello sviluppo economico, hanno partecipato l'assessore della regione Campania Lepore, il rappresentante di Invitalia Palmitelli, i rappresentati dell'azienda Ing. C. Pisano e i propri collaboratori, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali della Fiom-Cgil e CGII, nonché le rappresentanze sindacali unitarie;
   l'azienda ha illustrato il progetto delle nuove Fonderie, soffermandosi sulla questione relativa all'impatto ambientale che il nuovo stabilimento genererà sul territorio; tutti gli impianti saranno infatti nuovi e di ultima generazione, con recupero energetico ed abbassamento dei valori emissivi (ben inferiori ai limiti previsti dalle norme). L'azienda ha inoltre manifestato la volontà di procedere, in tempi compatibilmente brevi, alla realizzazione del nuovo impianto con l'obiettivo di conservare intatti tutti i livelli occupazionali. L'azienda ha inoltre precisato che questo progetto richiederà la condivisione della filiera istituzionale nella determinazione del nuovo sito prescelto. Appare evidente che esiste un problema molto serio di continuità produttiva che non può essere accantonato; la disdetta di commesse importanti, infatti, potrebbe risultare pregiudizievole;
   il Ministero dello sviluppo economico ha condiviso la continuità produttiva e le caratteristiche del progetto come sopra illustrate dall'azienda e, attraverso Invitalia, si è impegnato a valutarlo con estrema attenzione – e nei tempi più brevi possibili – compatibilmente con quanto previsto dalla legislazione vigente;
   il Ministero dello sviluppo economico, insieme alla regione Campania, convocherà il tavolo entro il prossimo mese di settembre per l'esame della evoluzione di quanto sopra illustrato;
   il quotidiano la Città di Salerno rende noto che «dal primo luglio circa un centinaio di dipendenti delle Fonderie Pisano saranno senza stipendio e senza la possibilità di ammortizzatori sociali» –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati affinché siano tutelati il diritto alla salute delle persone residenti nella zona di Fratte (Salerno) e il diritto al lavoro e alla libertà di iniziativa economica privata sanciti dagli articoli 23 e 41 della Costituzione;
   se i Ministri interrogati intendano promuovere, per quanto di competenza, un tavolo di confronto tra i vertici aziendali, le rappresentanze sindacali dei lavoratori, la regione Campania e il comune di Salerno al fine di favorire l'elaborazione di un piano per la ricollocazione dei lavoratori presso altre aziende del medesimo settore. (4-13847)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Petrini e altri n. 7-01027, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benamati.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione De Lorenzis n. 5-09141, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 653 del 13 luglio 2016.

   DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. Per sapere – premesso che:
   da fonte stampa del quotidiano La Stampa del 28 giugno 2016 dal titolo «L'Italia esporterà software di sorveglianza in Egitto» si apprende che il Ministero dello sviluppo economico ha concesso all'azienda italiana Area spa, di Vizzola Ticino, una autorizzazione specifica per l'esportazione di una tecnologia di sorveglianza del traffico internet in Egitto al fine «di agevolare l'attività di intercettazione di comunicazioni ai fini della sicurezza nazionale», con una commessa dal valore di 3,1 milioni di dollari, in favore della Technical Research Department (TRD) all'interno del Consiglio nazionale di difesa, tramite una azienda locale intermediaria denominata Alkan Communication and Information Technology del Cairo;
   sempre secondo la fonte stampa succitata, la Technical Research Department sarebbe «un'unità opaca, autonoma e priva di controlli democratici dell’intelligence e degli apparati egiziani, protagonista di una intensa attività di sorveglianza delle comunicazioni, sia di massa che mirata. Nel corso degli ultimi anni il TRD avrebbe infatti comprato, riferiva un rapporto di Privacy International, sistemi per la gestione di intercettazioni, centri di monitoraggio per telefoni mobili e fissi, prodotti di intercettazioni passiva e di massa e spyware da varie aziende europee, inclusa la tedesca AGT e l'italiana Hacking Team»;
   in data 31 marzo 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha revocato l'autorizzazione globale per l'esportazione ad Hacking Team, dando a questa la possibilità di esportazione di propri prodotti spyware solo a seguito di autorizzazioni specifiche. Secondo la fonte stampa, l'autorizzazione appena concessa sia stata rilasciata nonostante riguardi l'Egitto, tristemente noto per la violazione dei diritti umani, e inoltre su un tipo di tecnologia di monitoraggio di tutte le comunicazioni internet che non sembra destare preoccupazione nel Governo italiano. Nemmeno alla luce delle tensioni con il Cairo sul caso Regeni»;
   in data 6 luglio 2016, il Ministro dello sviluppo economico, rispondendo ad una interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera, ha confermato che in data 13 giugno 2016, è stata rilasciata dalla direzione generale per la politica commerciale internazionale del Ministero dello sviluppo economico, l'autorizzazione all'esportazione in Egitto di un sistema di monitoraggio delle comunicazioni su internet per fini di sicurezza nazionale con utilizzatore finale i servizi di sicurezza egiziani;
   sempre a detta del Ministero dello sviluppo economico, l'autorizzazione sopracitata è stata rilasciata sulla base di un parere favorevole espresso all'unanimità dal comitato consultivo di cui fanno parte rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze, della difesa, dell'interno, dell'istruzione dell'università e della ricerca, della salute, oltre a quattro esperti tecnici;
   nella risposta il Ministro dello sviluppo economico ha affermato che è prassi consolidata che l'autorità competente si conformi al parere del comitato consultivo in quanto il parere si basa su aspetti di natura tecnica e in particolare sul principio generale della piena libertà di commerci che può subire limitazioni in presenza di misure restrittive adottate nelle sedi appropriate, ad esempio Nazioni Unite e Unione europea. Tuttavia, il Ministro dello sviluppo economico ha aggiunto che «dal punto di vista politico (...) ho chiesto, a tal proposito, alla Direzione generale di rivalutare, in tale contesto, i presupposti dell'autorizzazione concessa, anche ai fini di un'eventuale revoca. Più in generale, data la delicatezza di questo tipo di strumenti, il cui uso può essere rivolto alla riduzione delle libertà individuali, proporrò di rivedere le attuali procedure, affinché, nel rispetto degli obblighi internazionali, prevedano criteri ancora più stringenti rispetto a quelli oggi in vigore per l'esportazione di prodotti dual use» –:
   se la direzione generale abbia rivalutato i presupposti delle autorizzazioni concesse finora e quali siano state oggetto di revoca;
   se e quando il Ministro abbia proposto di rivedere le attuali procedure per prevedere criteri ancora più stringenti, quale sia l'esito di tale proposta e se sia stata tradotta già in atti ministeriali di cui possa citare la data di applicazione e il contenuto specifico;
   se sia già stata ritirata l'autorizzazione ad Area spa e quali siano i criteri ancora più stringenti, rispetto a quelli oggi in vigore, per l'esportazione di prodotti dual use, che si intendano adottare;
   per quale motivo le rappresentanze dei sei Ministeri interrogati non abbiano ritenuto opportuno, viste anche le vicende legate al caso Regeni, di esprimersi in senso contrario al rilascio dell'autorizzazione per favorire lo spionaggio dei cittadini in Stati come l'Egitto in cui vige un regime totalitario in spregio ai diritti umani. (5-09141)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Marantelli n. 5-02029 del 30 gennaio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Gigli n. 4-11136 del 16 novembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Borghesi n. 5-07436 del 20 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Ottobre n. 4-13598 del 27 giugno 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-09122 dell'11 luglio 2016.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   NICOLA BIANCHI, VALLASCAS, PINNA, CRISTIAN IANNUZZI, CORDA, BUSTO e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul litorale dunale di Badesi (Olbia-Tempio) sono in corso ingenti lavori di natura edilizia in località Baia delle Mimose, nome del contiguo villaggio turistico realizzato nel corso degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso;
   in seguito a varie azioni legali (2011-2013) da parte delle associazioni ecologiste Amici della Terra e Gruppo d'intervento giuridico onlus, il servizio S.A.V.I. dell'assessorato della regione autonoma della Sardegna, con nota prot. n. 7354 del 3 aprile 2013, ha comunicato di aver richiesto al comune di Badesi anche con precedenti note protocollo n. 22067 del 29 settembre 2011 e n. 27517 del 25 novembre 2011 «la documentazione amministrativa e tecnica utile a verificare se le opere in questione debbano essere assoggettate alle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale e di Incidenza Ambientale, ai sensi del D. Lgs. 152/2006 e ss.mm.ii., della DGR 34/33 del 2012 e del decreto del Presidente della Repubblica 357/1997 e s.m.i.», significando la perdurante e plateale assoluta assenza di alcun preventivo svolgimento della procedura di verifica di assoggettabilità riguardo i lavori attualmente in corso;
   infatti, la realizzazione di «villaggi turistici di superficie superiore a 5 ha, centri residenziali turistici ed esercizi alberghieri con oltre 300 posti-letto o volume edificato superiore a 25.000 m3, o che occupano una superficie superiore ai 20 ha, esclusi quelli ricadenti all'interno dei centri abitati» (come quello in argomento) deve essere preceduta da positiva conclusione di procedura di verifica di assoggettabilità, ai sensi della direttiva n. 2011/92/UE (allegato II, punto 12, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni (articolo 20, allegati II e IV), delle legge regionale n. 1 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni (articolo 31) e deliberazione giunta regionale n. 24/24 del 23 aprile 2008 (allegato B), estesa a ampliamenti e/o modifiche al fine di verificarne gli impatti cumulativi, come da giurisprudenza costante (Corte di Giustizia CE, Sez. III, 25 luglio 2008, n. 142; Corte di Giustizia CE, Sez. II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07; Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2004, n. 4163; T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 febbraio 2012, n. 427; T.A.R. Sardegna, sez. II, 30 marzo 2010, n. 412);
   l'area rientra nel sito di importanza comunitaria – SIC «Foci del Coghinas» (codice ITB010004) ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE –:
   se il Ministro in oggetto sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda attivare per evitare che lo Stato sia coinvolto in un'eventuale ma molto probabile procedura di infrazione (articolo 258, Trattato U.E. versione unificata) per palese violazione delle direttive n. 92/43/CEE e n. 2011/92/UE. (4-00717)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa a lavori di costruzione edilizia sul litorale dunale del comune di Badesi (provincia di Sassari – zona omogenea Olbia Tempio), in località «Baia delle Mimose» sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la Commissione europea ha richiesto formalmente alle autorità italiane (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e regione Sardegna) informazioni sull'applicazione della direttiva 85/377/CEE (direttiva VIA) e della direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat) relativamente ai lavori edilizi in località «Baia delle Mimose» nel comune di Badesi, aprendo in data 3 giugno 2013 una specifica procedura di indagine (caso EU Pilot n. 5173/13/ENVI «Lavori edilizi nelle dune di Badesi (OT) nella Regione Sardegna. Presunta violazione delle direttive 2011/92/EU e 92/43/CEE»).
  Dal Geoportale nazionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risulta che le costruzioni in parola sono esterne ma confinanti su tutti i lati con il perimetro di un sito della rete Natura 2000 (SIC ITB010004 «Foci del Coghinas»), istituito successivamente all'avvio del processo di edificazione.
  A partire dall'apertura del caso EU Pilot sopra citato sono state formulate dalla Commissione europea numerose richieste di informazioni supplementari, alle quali il ministero, sulla base delle informazioni fornite dalle competenti strutture della regione Sardegna, ha fornito sempre puntuale riscontro per il tramite del dipartimento delle politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  In relazione agli aspetti concernenti l'applicazione della direttiva 92/43/CEE (Habitat) la regione Sardegna con propria nota del 13 dicembre 2013 ha chiarito positivamente le osservazioni avanzate in relazione ai potenziali impatti su habitat e specie di interesse comunitario del limitrofo sito della rete Natura 2000, evidenziando il buono stato di conservazione dell’habitat 2250 «Dune costiere con Junipertus sp» e degli altri habitat dunali presenti nell'area.
  La regione Sardegna ha altresì precisato che «la destinazione d'uso dell'area, che insiste su aree esterne al perimetro del Sito di Importanza Comunitaria, era prevista come zona turistica F3 del Piano di Fabbricazione e poi confermata all'interno del Piano Urbanistico Comunale, sottoposto a procedimento di Valutazione di Incidenza». Detto procedimento risulta concluso con esito positivo con determinazione n. 14409/642 del 16 ottobre 2010.
  I chiarimenti forniti dalla regione Sardegna in merito ai quesiti afferenti l'applicazione della direttiva Habitat sono stati ritenuti, sufficienti dai servizi della Commissione europea. Infatti, nella successiva richiesta di integrazione avanzata dalla Commissione europea, trasmessa dal dipartimento delle politiche europee con comunicazione del 20 febbraio 2014, veniva fatto riferimento solo al rispetto della direttiva VIA e non più alla direttiva Habitat.
  Con riferimento alla direttiva VIA, il Ministero ha più volte espresso formalmente la propria posizione, convenendo con la Commissione europea sull'opportunità di svolgere una valutazione ambientale ex post sugli interventi edilizi oggetto dell'indagine.
  Nel febbraio 2016 il, Ministero ha formalmente comunicato alla Commissione europea l'impegno della regione Sardegna ad effettuare, in conformità alla direttiva VIA 2011/02/UE, una valutazione ambientale degli interventi edilizi oggetto del caso EU Pilot realizzati in attuazione del piano di lottizzazione «Baia delle Mimose», (località Pirotto-Li Frati) nel comune di Badesi, anche alla luce della configurazione definita dal piano urbanistico comunale del 2010 già sottoposto a procedura di valutazione ambientale strategica e di valutazione di incidenza.
  L'avvio della procedura di valutazione ambientale è previsto entro il mese di settembre 2016.
  Nel mese di marzo 2016 la Commissione europea ha accolto il suddetto impegno, chiedendo di fornire aggiornamenti sul prosieguo delle attività.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il bando di concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per i posti comuni dell'organico dell'autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado, pubblicato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 23 febbraio 2016, indice «su base regionale, concorsi per titoli ed esami finalizzati alla copertura di n. 16.147 posti comuni nelle scuole secondarie di primo grado e di n. 17.232 posti comuni di insegnamento nelle scuole secondarie di secondo grado che si prevede risulteranno vacanti e disponibili per il triennio 2016/2017, 2017/2018, 2018/2019 per ciascuna classe di concorso (...)» (articolo 1, comma 1);
   l'avviso relativo al calendario delle prove sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana — 4° serie speciale — concorsi ed esami del 12 aprile 2016;
   già da oggi, però, risulta esaminando il bando citato, che molte prove si svolgeranno in regioni diverse da quelle di residenza dei candidati;
   il criterio scelto per quanto esposto qui sopra sembra essere quello dell'appartenenza ad una regione limitrofa a quella in cui si svolgeranno le prove;
   purtroppo, però, tra i candidati costretti a spostarsi sono compresi anche quelli residenti nella regione Sardegna;
   per evidenti e ben noti motivi geografici non si può certo parlare di regioni limitrofe rispetto alla Sardegna;
   ne consegue che i candidati sardi saranno costretti a lunghe e costose trasferte per sostenere la prova d'esame, con evidenti disagi legati alle difficoltà nei trasporti, ai costi, alle prenotazioni e all'assenza di continuità, o dovranno rinunciare non potendo coprire i costi stessi;
   non si comprende perché si sia deciso di far sostenere ai candidati sardi la prova fuori dalla regione di appartenenza, prova che si terrà presumibilmente in piena estate, con la conseguente difficoltà per i candidati di trovare aerei liberi da e per la Sardegna;
   la prova scritta è computer based. Ci si chiede come sia possibile che manchi in tutta la Sardegna un laboratorio d'informatica adatto in modo da poter far svolgere la prova ai candidati sardi nella loro regione –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per impedire una evidente, ennesima, penalizzazione per i cittadini sardi, costretti, per poter svolgere le prove concorsuali ad affrontare disagi ed esborsi economici inaccettabili e non previsti per nessun altro cittadino. (4-12319)

  Risposta. — Come è noto, con decreti direttoriali del 23 febbraio 2016, nn. 105, 106 e 107 sono stati banditi i concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento di personale docente, rispettivamente, nella scuola primaria e dell'infanzia, nella scuola secondaria di primo e secondo grado, nonché per il sostegno, secondo il combinato disposto degli articoli 399 e 400 del Testo Unico delle norme in materia di istruzione emanato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.
  È altresì noto che l'articolo 1, comma 113, lettera C, della legge n. 107 del 2014 ha modificato il secondo comma del citato articolo 400 del Testo Unico, che ora recita: all'indizione di cui al comma 1 provvede il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che determina altresì l'ufficio dell'amministrazione scolastica periferica responsabile dello svolgimento dell'intera procedura concorsuale e della approvazione della relativa graduatoria regionale. Qualora, in ragione dell'esiguo numero dei posti conferibili, si ponga l'esigenza di contenere gli oneri relativi al funzionamento delle commissioni giudicatrici, il Ministero dispone l'aggregazione territoriale dei concorsi, indicando l'ufficio dell'amministrazione scolastica periferica che deve curare l'espletamento dei concorsi così accorpati. I vincitori del concorso scelgono, nell'ordine in cui sono inseriti nella graduatoria, il posto di ruolo fra quelli disponibili nella regione.
  Conseguentemente, i bandi di concorso per la scuola secondaria e per i posti di sostegno hanno disposto, in forza di quanto previsto dal novellato articolo 400, l'aggregazione territoriale delle procedure concorsuali non più in base all'esiguo numero di domande, ma in base all'esiguo numero di posti. In conseguenza di ciò, talune procedure concorsuali, sono state aggregate in una regione diversa rispetto a quella dove sono stati banditi i posti.
  Il bando ha individuato, dunque, in linea con il disposto normativo, quale ufficio scolastico regionale responsabile della procedura concorsuale quello ove avviene lo svolgimento della prova scritta che curerà tutte le fasi della procedura medesima, dallo svolgimento della prova, alla correzione delle prove da parte della commissione, alle prove orali, ivi compreso l'accesso agli atti.
  Si segnala, ad ogni modo, che l'aggregazione operata per le procedure della Sardegna è in linea con quella avvenuta nelle altre regioni. In base ai dati in possesso dell'amministrazione, risulta che delle 7.371 prove che dovranno essere sostenute da candidati che hanno chiesto di partecipare al concorso per posti della Sardegna, quelle che dovranno essere sostenute fuori dall'isola sono 596, pari all'8 per cento del totale.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sugli organi di stampa (Corriere dell'Umbria e www.umbria24.it del 27 aprile 2016), si apprende che: «Dovranno rifondere 95 mila euro per lo spreco di denaro pubblico che ci fu nella vicenda dell'affitto dell'ex Contrappunto. L'ex rettore dell'Università per stranieri di Perugia e attuale Ministro dell'istruzione, Stefania Giannini, l'attuale rettore Giovanni Paciullo e altre persone all'epoca dei fatti in posizioni di vertice dell'Ateneo, sono state condannate dalla Corte dei conti per il danno erariale causato. La notizia è riportata da alcuni quotidiani locali. I giudici contabili (presidente Angelo Canale, consigliere relatore Fulvio Maria Longavita) hanno ridimensionato il computo dei canoni mai riscossi per morosità e quelli iniziali prescritti, passando dai 339 mila euro ipotizzati dalla procura ai 95 mila della sentenza, divisi a vario titolo dalle persone citate in giudizio (in particolare 9 mila euro Giannini e 3.900 euro Paciullo). La vicenda risale al 2008 (Giannini rettore e Paciullo componente del Cda della Unistra), quando l'Ateneo prese in affitto il Contrappunto, affidandolo in gestione per creare un polo di attività culturali e ricreative per gli studenti, in particolare una “Scuola di cucina italiana”. Questo progetto non trovò mai compimento, con la conseguenza che i canoni di affitto pagati sono stati classificati dalla Corte dei conti come “danno erariale«»;
   effettivamente i fatti di indagine per cui il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini ora è stata condannata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale dell'Umbria per danno erariale pari a euro 9.187,50 non sono nuovi e hanno – tra l'altro – già formato oggetto anche di precedenti atti di sindacato ispettivo dell'interrogante (interrogazione a risposta scritta n. 4-04797 e n. 4-07412), in risposta ai quali il Ministro sulla base della «fondamentale premessa» secondo la quale «Non può mancarsi di rilevare che ad oggi, per il periodo di cui all'interrogazione, non è stata accertata, dall'autorità competente in materia, alcuna responsabilità per irregolare gestione contabile e amministrativa riferita all'università per stranieri di Perugia», declinava ogni responsabilità per l'addebito contestatole;
   ora la Corte dei conti ha accertato una responsabilità a carico del Ministro per danno erariale: quel danno definito sia come un «indebito esborso di denaro pubblico», in quanto ad esso non corrisponde nessuna utilità acquisita, sia come un «mancato introito di denaro nelle casse della pubblica amministrazione» riconducibile ad una responsabilità amministrativa e/o contabile dei dipendenti o funzionari pubblici;
   gli atti compiuti dal Ministro durante il suo incarico di rettore dell'università per stranieri di Perugia accertati da una sentenza della magistratura contabile al termine di un regolare processo sono lesivi degli interessi pubblici ed inevitabilmente vanno, secondo gli interroganti, ad inficiare anche il prestigio e l'autorità morale necessari per ricoprire un incarico di tale importanza istituzionale quale è il ruolo di Ministro della Repubblica –:
   se il Ministro interrogato non intenda fornire con urgenza i propri intendimenti e, preso atto dell'esito del procedimento contabile per danno erariale, non ritenga opportuno assumersi ogni responsabilità consequenziale anche valutando l'opportunità di dimettersi dall'incarico, così da fugare ogni dubbio, anche di carattere etico e di responsabilità politica, che possa inficiare il prestigio e l'autorità morale necessari per ricoprire l'incarico istituzionale di Ministro della Repubblica. (4-13041)

  Risposta. — Va precisato preliminarmente che la sentenza della sezione giurisdizionale per la regione Umbria della Corte dei conti, cui fa riferimento l'interrogante, riguarda l'adozione del provvedimento – risalente all'aprile 2008 – con il quale il Consiglio di amministrazione dell'Università per gli stranieri di Perugia ha autorizzato la stipula di un contratto di locazione diretto a consentire la disponibilità di locali destinati ad ospitare, in parte, gli uffici amministrativi, dei quali si era reso necessario il trasferimento – per scadenza del precedente contratto di locazione – e, nella restante parte, il Centro attività ricreative dell'ateneo, di cui era stata programmata l'implementazione allo scopo di creare, dopo la tragica vicenda relativa all'omicidio di Meredith Kercher, un più incisivo polo di aggregazione della popolazione studentesca.
  Il collegio giudicante ha ritenuto l'impegno economico assunto per far fronte al pagamento dei canoni sovradimensionato rispetto all'effettivo impiego della superficie locata, non utilizzata nella sua interezza a causa della mancata realizzazione dell'iniziativa didattico-gastronomica consistente nell'allestimento in loco di una «Scuola di Alta Cucina»; progetto per l'appunto non andato in porto per le successive inadempienze della società che a tanto avrebbe dovuto provvedere. La mancata riuscita di tale proposta, che cita l'interrogante, è dipesa difatti unicamente da un inadempimento contrattuale del soggetto privato, che, pur presentando ex ante ineccepibile esperienza professionale, si è poi dimostrato del tutto inaffidabile; tanto è vero che l'Ateneo si è attivato in sede giudiziale ai fini risarcitori.
  I giudici contabili hanno addebitato, ma la decisione in parola non costituisce una pronuncia definitiva, ad alcuni membri del Consiglio di amministrazione dell'ateneo sostanzialmente un deficit di avvedutezza programmatica, determinato dall'assunzione di un onere economico immediato, rivelatosi eccessivo per le criticità emerse soltanto in seguito.
  Ciò nonostante, la sezione territoriale ha ridotto la pretesa risarcitoria (passando da 364.000,00 euro a 59.576,21 euro) proprio in considerazione dell'utilizzo dell'immobile per fini istituzionali.
  Di fatti, l'operato degli amministratori si è concretato in una scelta discrezionale intesa a rispondere pienamente agli interessi istituzionali dell'Università al netto delle imprevedibili interferenze causali provocate dalla inaspettata evoluzione della vicenda originata dagli inadempimenti del sub-conduttore.
  A tal proposito, si ricorda che la domanda risarcitoria riguardante il contatto di sublocazione (stipulato con la società incaricata dalla gestione della «Scuola di alta cucina») è stata respinta, in quanto attinente ad una vicenda priva di qualsiasi collegamento diretto ed immediato, con la decisione autorizzativa del contratto di locazione intercorso con la società proprietaria dell'immobile.
  È di tutta evidenza, pertanto, l'inesistenza, nel caso di specie, di motivazioni «di carattere etico e di responsabilità politica» e ciò in primo luogo per la natura del fatto oggetto di contestazione – suscettibile, peraltro, di diversa valutazione nel secondo grado di giudizio – in secondo luogo per l'esiguità dell'importo liquidato a titolo di danno che, nell'eventualità di conferma della condanna, sarà comunque corrisposto ad integrale ristoro di qualsiasi nocumento erariale.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i trasferimenti delle risorse statali ai comuni a seguito delle manovre finanziarie sono diminuite negli ultimi 3 anni di circa 6 miliardi e 450 milioni di euro determinando una situazione finanziaria di assoluta insostenibilità;
   in questo quadro di riduzione progressiva di trasferimenti si inserisce l'anomalia rappresentata dalla legge 24 aprile 1941, n. 392 recante «Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari» che pone anacronisticamente a carico dei comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari che poi sono rimborsate dal Ministero della giustizia con l'erogazione di un contributo economico annuo, mai integrale;
   tale previsione normativa che mette a carico dei comuni le spese degli uffici giudiziari è stata emanata nel 1941 cioè prima della nascita della Repubblica e dell'approvazione della Carta costituzionale che assegna allo Stato le funzioni in materia di giustizia;
   a fronte di una spesa media annuale dei tribunali ed uffici giudiziari – ed anticipate dai bilanci dei comuni – pari a 315 milioni di euro annuo, negli ultimi tre anni il contributo versato dallo Stato ai comuni a titolo di rimborso è stato compreso tra il 60-80 per cento delle spese effettivamente sostenute e gli acconti e i saldi sono stati spesso erogati accumulando gravi ritardi, a volte anche di diversi anni;
   nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia sono iscritti per l'esercizio in corso solo 79,8 milioni di euro, mentre le spese sostenute dai comuni relative all'anno 2012 sono di oltre 300 milioni di euro, già anticipati dalle casse delle amministrazioni comunali;
   il processo di riorganizzazione delle sedi giudiziarie sul territorio nazionale ha, tra le inevitabili conseguenze, una maggiore concentrazione di spese sui comuni dove sono state accorpate le sedi giudiziarie soppresse dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155;
   a ciò si aggiunge che nei comuni accorpanti le sedi giudiziarie soppresse, iniziano a fioccare nuove richieste di spesa da mettere a carico dei bilanci comunali che si esplicitano in spese per il trasloco, spese per la realizzazione, adeguamento e messa in sicurezza di nuove sedi, spese per le nuove utenze, spese per i nuovi servizi di vigilanza e di gestione ordinata degli immobili, con richiesta da parte dei Tribunali di risorse aggiuntive e ulteriori comprese tra il 15 per cento e il 110 per cento rispetto all'anno precedente;
   tali risorse sono state impiegate dai comuni solo ed esclusivamente per garantire l'erogazione di un servizio di diretta gestione statale –:
   di quali informazioni e dati disponga il Ministro in materia nonché quali provvedimenti ed iniziative urgenti intenda assumere per garantire il ristoro delle spese e il superamento di una situazione così problematica a carico dei bilanci comunali;
   a quanto ammontino le risorse iscritte nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2012 al fine di corrispondere il contributo ai comuni, se siano state decurtate e a quanto ammonti tale diminuzione rispetto all'anno precedente;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di assicurare la copertura delle spese già sostenute dai comuni nel 2012, per garantire il rispetto della legge;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di garantire la copertura delle spese per l'erogazione del servizio della giustizia sull'intero territorio nazionale per l'anno 2013 e 2014;
   se non sia opportuno superare questo sistema di copertura dei costi degli uffici giudiziari assumendo iniziative per abrogare la legge 24 aprile 1941, n. 392, ponendo a carico dell'amministrazione della giustizia la gestione diretta delle spese in modo da garantire responsabilità ed efficacia. (4-02528)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante sottolinea – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze dei comuni in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
  È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'Associazione dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.
  È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delineare i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 – dell'articolo 21 quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolte periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno 2016 – condivisa sul nuovo modello di gestione con il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed i Procuratori generali presso le Corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
  Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della scuola superiore della magistratura – ai dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, difatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del ministero nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.
  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre ad attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 6,5 milioni di euro.
  Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della giustizia e – il 13 maggio 2016 – dal Ministero dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
  Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione commercio internazionale del Parlamento europeo si è recentemente espressa per la autorizzazione alla importazione di 70 mila tonnellate di olio di oliva tunisino adducendo ragioni di ordine umanitario;
   tale decisione rischia di avere ripercussioni sugli olivicoltori italiani, in particolare sui produttori meridionali già provati dalla crisi e dalla concorrenza estera, molto spesso decisamente sleale;
   se il Parlamento europeo dovesse confermare la decisione della Commissione Inta ci si ritroverebbe con una notevole quantità di olio che sarà importato a dazio zero già dal mese di febbraio di quest'anno fino al 31 dicembre del 2017;
   a giudizio dell'interrogante e di tutte le organizzazioni che rappresentano gli olivicoltori, si tratta di una misura dannosissima per la produzione di olio italiano che, com’è noto, presenta un elevato standard di qualità e, conseguentemente, costi di produzioni sicuramente più elevati di quelli tunisini;
   è evidente che le conseguenze di questa importazione rischiano di dare il colpo di grazia ai produttori meridionali che speravano di conseguire quest'anno quei margini di guadagno che purtroppo non realizzano da molto tempo;
   nel 2014 la produzione di olio di oliva italiano è calata di oltre il 35 per cento (fonte: Ismea), passando dalle 464 mila tonnellate della campagna 2013 a meno delle 300 mila di quella del 2014;
   i produttori hanno dovuto subire non solo l'andamento negativo del clima, ma anche gli attacchi di alcune specie patogene che hanno arrecato danni ingenti agli uliveti;
   si comprendono le ragioni che hanno portato la Commissione Inta ad autorizzare la importazione di olio dalla Tunisia, ma è evidente che l'organismo non ha valutato le conseguenze sulla produzione di olio di oliva in Italia e, in particolare, nel Mezzogiorno;
   è necessario, pertanto, che il Governo adotti iniziative che scongiurino la conferma di quanto deciso dalla commissione Inta del Parlamento europeo o che, in mancanza, preveda misure compensative a vantaggio degli olivicoltori meridionali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato ritenga di dover intraprendere per evitare che la decisione di autorizzare la importazione senza dazi di 70 mila tonnellate di olio di oliva dalla Tunisia abbia gravi ripercussioni sugli olivicoltori italiani e, in particolare, su quelli operanti nelle regioni meridionali. (4-11943)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame faccio presente che, dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo dell'importazione senza dazi di 35 mila tonnellate l'anno in più di olio d'oliva tunisino per il 2016 in tutta Europa, e altrettante per il 2017 (in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate previste dall'accordo di associazione Unione europea-Tunisia), sono fermamente contrario a qualsiasi aumento permanente del contingente di olio tunisino.
  Peraltro, già a margine del Consiglio dei ministri dell'Unione europea del 15 febbraio 2016, avevo chiesto che questa scelta, nata come misura straordinaria, non si trasformasse in azione strutturale.
  In tale contesto, è stato altresì evidenziato come eventuali accordi di cooperazione, focalizzati sulla promozione di soluzioni innovative per sostenere le produzioni agricole e alimentari nei paesi del Mediterraneo, risulterebbero più efficaci delle proposte di aumento dell'importazione di olio nordafricano.
  In tale direzione, pur tenendo presente la particolare situazione politica in cui versa la Tunisia, abbiamo già rappresentato, nelle sedi competenti, la necessità che i negoziati di politica economica e commerciale non penalizzino l'agricoltura e che le eventuali concessioni dell'Unione europea, nei confronti dei diversi partner commerciali, vengano governate dal principio di un approccio equilibrato e proporzionale tra i vari settori dell'economia europea.
  Anche in sede di Comitati di gestione di settore, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali aveva espresso parere contrario alla proposta di regolamento della Commissione finalizzata ad abolire i massimali mensili per i quantitativi di olio d'oliva, ai fini del rilascio dei titoli di importazione nell'ambito del volume complessivo del contingente che ha origine dalla Tunisia.
  In ogni caso, reputo necessario che le politiche internazionali tengano in debito conto i fabbisogni e le esigenze del settore agricolo e non danneggino i prodotti agricoli, europei; in tal senso, a difesa dell'agricoltura nazionale, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali monitora regolarmente il contesto.
  Chiarito quanto sopra, faccio presente che recentemente sono stati emanati il Regolamento n. 580 del 2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, sull'introduzione di misure commerciali autonome di emergenza a favore della Repubblica tunisina, nonché il regolamento di esecuzione n. 605 del 19 aprile 2016 della Commissione, recante apertura e gestione di un contingente tariffario temporaneo di olio di oliva originario della Tunisia e che modifica il regolamento (CE) n. 1918 del 2006.
  Per cui il quantitativo aggiuntivo sarà attivo solo per due annate e le 35.000 tonnellate sono disponibili per gli operatori dell'intera unione. Infatti, il quantitativo di olio tunisino importato, in regime di contingente tariffario a dazio zero, rappresenta il 5,5 per cento circa (dati Istat) del quantitativo totale di olio importato, necessario per soddisfare sia il consumo interno che l’export.
  Abbiamo rappresentato ai competenti dicasteri la necessità di richiedere una congrua riduzione dei quantitativi da concedere unitamente ad una rimodulazione dei quantitativi medesimi, al fine di evitare possibili penalizzazioni ai produttori olivicoli italiani nel pieno della campagna olivicola.
  Ciò posto, mi preme evidenziare che il citato regolamento del Parlamento europeo ha inoltre recepito, tra i considerando, quanto richiesto dall'Italia in materia di tracciabilità prevedendo, per evitare le frodi, che le misure commerciali autonome siano subordinate al rispetto delle norme vigenti in Unione europea per quanto concerne l'origine dei prodotti e le procedure correlate.
  Grazie all'azione della delegazione italiana, è stato introdotto l'obbligo di un accurato monitoraggio, da compiersi a fine 2016, per valutare le eventuali ripercussioni negative sui mercati interni e procedere, se del caso, ad eventuali misure correttive.
  Peraltro occorre tener presente che, a livello nazionale, gli operatori che movimentano gli oli, indipendentemente se di origine estera o nazionale, compresi i semplici commercianti di olio sfuso privi di stabilimento o deposito, sono obbligati alla tenuta dei registri di carico e scarico ai fini della commercializzazione degli oli stessi.
  In tal senso, in Italia è attivo il registro telematico degli oli che consente un puntuale monitoraggio dei flussi di prodotto movimentati dai singoli operatori.
  Tale registro che, per una tempestiva fruizione dei dati ivi contenuti da parte degli organismi di controllo, è tenuto secondo modalità telematiche messe a disposizione sul portale del Sistema informativo agricolo nazionale (Sian), costituisce un sistema di tracciabilità omogeneo e puntuale della «filiera olio d'oliva» in quanto consente di controllare le singole movimentazioni di ogni stabilimento e conoscere i soggetti, nazionali o esteri, coinvolti nella movimentazione stessa.
  Grazie a questo strumento di controllo, sono state realizzate le azioni più importanti di contrasto alle frodi, svolte in questi ultimi anni nel settore oleario dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari (Icqrf) in collaborazione con la Guardia di finanza.
  Ad ulteriore tutela del nostro prodotto rilevo poi che, per l'olio d'oliva, gli investigatori del Corpo forestale dello Stato si avvalgono dell'innovativa tecnica del riconoscimento del Dna delle cultivar di olivo presenti nell'olio (analisi molecolare).
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   D'ALIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 novembre 2014 è stata sottoscritta la convenzione di concessione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società del progetto Autostrada Ragusa-Catania, costituita da un'associazione di imprese composta da Silec s.p.a., Mec s.p.a., Egis projects S..A.. Tecnis s.p.a. aggiudicataria della realizzazione del raddoppio del collegamento Catania-Ragusa compreso tra lo svincolo della strada statale 514 con la strada statale 115 e lo svincolo della 194 Ragusana con la strada statale 114;
   la convenzione prevede trentanove anni di concessione, di cui quattro e mezzo per la realizzazione di un collegamento di 68 chilometri tra il territorio di Ragusa e la futura autostrada Catania-Siracusa nel comune di Augusta. L'autostrada include 19 viadotti, 8 gallerie e 11 svincoli;
   il Governo che avrebbe dovuto dare seguito a tale opera non l'ha inserita nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza 2015. A parere dell'interrogante, pertanto, non appare condivisibile la previsione che ritiene che l'opera, pur non essendo stata inserita nel documento di economia e finanze, possa essere realizzata, anche senza un'adeguata copertura finanziaria;
   è necessario, quindi, chiarire le ragioni che hanno determinato la decisione suddetta che avrà gravi ripercussioni per la viabilità dell'isola penalizzando i cittadini e l'economia dell'intera regione –:
   quali siano le ragioni del mancato inserimento dell'opera che assicura il raddoppio del collegamento Catania-Ragusa nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza;
   se non sia necessario rivedere tale decisione che penalizza fortemente un territorio su cui grava una drammatica crisi economico-sociale che potrà determinare forti ripercussioni negative sui cittadini e sulle imprese dell'isola. (4-08788)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In data 7 novembre 2015 è stata sottoscritta la convenzione di concessione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Società autostrada Ragusa Catania s.r.l. (di seguito Sarc s.r.l.) per la realizzazione del raddoppio del collegamento Catania- Ragusa.
  La concessione prevede un importo complessivo di circa 815 milioni di euro e la copertura del costo dell'intervento, come stabilito dalla delibera Cipe n. 3/2010, è così suddivisa:

  Tipologia risorse Importi (euro)
  Capitale finanziario
  (Promotore finanziario)
448.455.845.00
  Anas S.p.A. (articolo 11 legge 144 del 1999) 49.207.119,00
  Anas S.p.A. (Fondi Anas) 100.000.000,00
  regione Siciliana
  (PAC 2014/2020 Delibera Cipe 94/2015)
217.711.631,00
  Totale 815.374.595,00

  Il contributo pubblico, la cui disponibilità è stata confermata a questo Ministero concedente sia da Anas s.p.a che dalla regione siciliana, ammonta ad euro 366.918.750,00; pertanto, il mancato inserimento dell'opera in esame nell'Allegato infrastrutture al documento di economia e finanza, come aggiornato ad aprile 2016, non penalizza la realizzazione dell'opera.
  Infine, si rappresenta che in data 18 febbraio 2016, al fine di meglio definire alcune clausole convenzionali, è stata sottoscritta la scrittura interpretativa, che è parte integrate della convenzione stessa. Il relativo decreto interministeriale di approvazione, sottoscritto dai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economa e delle finanze, è stato trasmesso alla Corte dei conti in data 16 marzo 2016 per la successiva registrazione.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   DADONE, BRESCIA, DI BENEDETTO, VACCA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   avvalersi o meno dell'insegnamento della religione cattolica è decisione attualmente rimessa alla volontà delle famiglie o degli alunni maggiorenni, da esprimersi per iscritto all'atto dell'iscrizione nelle scuole pubbliche italiane;
   un recente articolo di stampa ha posto in rilievo i dati del territorio nazionale in ordine al numero di alunni che si avvalgono della cosiddetta «ora di religione», che risulta in forte riduzione, in moltissimi casi si tratta di pochi alunni per classe, in alcuni casi, pur isolati, anche di un unico alunno; in sostanza, l'insegnamento della religione avverrebbe, effettivamente, in «aule semivuote»;
   in epoca di sofferenza del comparto dell'istruzione, di necessità di risparmi, in presenza dei tagli che si sono perpetrati negli anni recenti, a fronte degli accorpamenti delle classi adottati nel caso di riduzione o non raggiungimento del necessario numero di alunni, che ha intaccato, in alcuni casi, anche il diritto alle classi a tempo pieno o al cosiddetto sistema del «modulo», almeno nella scuola elementare, la notizia relativa all'insegnamento della religione colpisce in modo particolare;
   preme agli interroganti segnalare che la disciplina vigente a questo riguardo è data dalla legge 25 marzo 1985, n. 121, di ratifica del Concordato modificato nel medesimo anno, e dalla circolare ministeriale 20 dicembre 1985, n. 368, applicativa dell'intesa tra CEI e Ministero dell'istruzione;
   la legge n. 121 del 1985 dispone in ordine all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole materne, elementari, medie e superiori, lasciando alle famiglie la facoltà di avvalersene o meno; è stabilito specificamente che: «avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica non deve dar luogo a nessuna forma diretta o indiretta di discriminazione»;
   nella circolare n. 368 viene aggiunto che: «La scelta in ordine all'insegnamento della religione cattolica non deve in alcun modo interferire o condizionare, o costituire comunque criterio per la composizione delle classi»;
   è stata altresì riportata dalla stampa la dichiarazione delle diocesi competenti: «Accorpare le classi per formare gruppi di studenti più numerosi è vietato. Sarebbe considerato discriminatorio»;
   non sembrerebbe trovarsi rispondenza tra la suddetta dichiarazione, il dettato normativo ed il testo della circolare, anche perché, nel caso di specie, non si tratterebbe di accorpare «classi», bensì alunni; la situazione sembrerebbe, al contrario, produrre una discriminazione rispetto all'insegnamento delle altre materie –:
   quale sia l'orientamento del Ministro in ordine ai fatti esposti in premessa e se non ravveda in essi motivi e cause di discriminazione. (4-12869)

  Risposta. — Si ricorda preliminarmente che l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado è disciplinato dalla legge n. 121 del 1985, di ratifica del Concordato tra Repubblica italiana e la Santa sede, e dai successivi provvedimenti attuativi.
  Ai sensi dell'articolo 310 del decreto legislativo n. 297 del 1994, tuttora vigente, la facoltà di avvalersi o non avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica viene esercitata dai genitori, o dagli studenti negli istituti di istruzione secondaria superiore, al momento dell'iscrizione.
  Per gli alunni che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica è possibile scegliere tra la partecipazione ad attività didattiche e formative (cosiddetta attività alternativa) o ad attività di studio e di ricerca individuali con l'assistenza di personale docente, oppure, per gli studenti delle istituzioni scolastiche di istruzione secondaria di secondo grado, a libera attività di studio e di ricerca individuale senza l'assistenza di personale docente. E comunque possibile anche optare per la non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica.
  Per quanto riguarda il numero degli alunni che si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica, si fa presente che, in base ai dati delle rilevazioni integrative che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca effettua annualmente su tutte le istituzioni scolastiche, la percentuale complessiva relativa all'anno scolastico 2014/2015 è stata pari all'87,9 per cento nelle scuole statali, con una riduzione dello 0,3 per cento rispetto al precedente anno 2013/2014 in cui era dell'88,2 per cento. Se poi tale dato viene riferito agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, non si sono registrati decrementi, essendo stata la percentuale pari all'80,7 per cento sia nel 2013/2014 che nel 2014/2015.
  Se si analizza la situazione a livello territoriale, si registrano addirittura degli incrementi: ad esempio la Liguria è passata dal 64,5 per cento al 65,6 per cento di alunni di scuola secondaria di secondo grado avvalentisi di tale insegnamento, il Friuli Venezia Giulia è passato dal 70,5 per cento al 71,5 per cento; l'Emilia Romagna dal 68,9 per cento al 69,7 per cento.
  Si rappresenta, comunque, che il dato rilevato annualmente dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non è disaggregato a livello di singola classe; pertanto, non è possibile ad oggi verificare se e quanti sono i casi segnalati dagli interroganti in merito all'utilizzazione di docenti di religione cattolica per numeri molto limitati di alunni o, in casi estremi, per un solo alunno. Né viene rilevato, parimenti, il numero di alunni, percentualmente molto basso, che in ciascuna classe seguono attività alternative o studio assistito, attività per le quali viene comunque assegnato un docente di ruolo, ove possibile, o un docente con contratto a tempo determinato.
  Tutto ciò posto, si rappresenta che l'ipotesi di accorpare gli alunni in caso di loro esiguità attiene all'organizzazione complessiva delle attività didattiche delle singole istituzioni scolastiche, che deve contemperare, tra l'altro, gli orari di svolgimento dei vari insegnamenti disciplinari e gli orari di servizio dei docenti.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   LUIGI DI MAIO e FRUSONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli interroganti intendono svolgere alcune considerazioni circa l'inopportunità del rilascio di un provvedimento di valutazione di impatto ambientale positivo in merito al deposito costiero di GPL nel comune di Manfredonia (Fg) località Santo Spiriticchio – proponente società Energas s.p.a. con nota prot. DVA 2013-0024526 del 28 ottobre 2013;
   la società Energas s.p.a., con nota prot. DVA 2013-0024526 del 28 ottobre 2013, ha chiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il rilascio del decreto di compatibilità ambientale in merito al progetto di cui sopra;
   la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS nella seduta plenaria del 19 settembre 2014, con parere n. 1614, ha dettato 43 prescrizioni per salvaguardare la compatibilità ambientale del progetto;
   più in particolare, il parere della commissione tecnica ha evidenziato (pagine 35 e seguenti) che il progetto rientra tra le attività a rischio di incidente rilevante di cui al decreto legislativo n. 334 del 1999 oggi abrogato dal decreto legislativo n. 105 del 2015;
   a quanto consta agli interroganti la valutazione sulla sicurezza dell'impianto da parte dei vigili del fuoco sarebbe stata condotta (in base a una normativa che appare oggi del tutto superata) esclusivamente con riferimento al deposito a terra di GPL, mentre risulterebbe assente ogni analisi e valutazione da parte dei vigili del fuoco in ordine alla sicurezza delle altre installazioni e relative operazioni previste nel progetto, ossia il pontile a mare, l'approdo delle navi gasiere, il carico e lo scarico del GPL in condotta e il gasdotto di collegamento a terra;
   la valutazione sulla sismicità secondo gli interroganti risulta datata, alla luce delle nuove normative adottate in materia (decreto ministeriale 14 gennaio 2008 e successive modificazioni e integrazioni) e gravemente carente, dal momento che non sembrerebbero affrontati gli aspetti della subsidenza e della liquefazione del terreno in caso di terremoti in un'area, come quella del golfo di Manfredonia, che è affetta da rilevante subsidenza con fenomeno in graduale, ma inesorabile, aumento, soprattutto nella zona dell'Ippocampo (cfr: Atti della giornata scientifica «Criticità geologiche del territorio pugliese: metodi di studio ed esempi» dipartimento di scienze della terra e geo ambientali – università di Bari – 22 giugno 2011 a cura di Triggiani – Refice – Capolongo – Bovenga – Caldara);
   la valutazione sull'impatto del tratto di gasdotto sui sedimenti marini è risultata, ad avviso degli interroganti, del tutto insoddisfacente, dal momento che si basa su studi risalenti a oltre 15 anni addietro e gli interventi non appaiono sufficientemente dettagliati nel progetto depositato (pagina 42 del parere);
   sotto un profilo più generale, ma ugualmente grave, il livello della progettazione presentata nello studio di impatto ambientale, dato il rilevantissimo impatto del progetto sull'ambiente circostante, è risultato ampiamente insoddisfacente, dal momento che non sarebbe stato possibile, per le autorità preposte, valutare aspetti rilevanti di incidenza ambientale a causa dell'assenza di indicazioni di dettaglio sulla realizzazione dell'intervento;
   le conclusioni rassegnate nel parere del comitato tecnico per la VIA della regione Puglia, allegate alla deliberazione di giunta regionale n. 1361/2015 del 5 giugno 2015 nell'ambito del procedimento VIA nazionale, evidenziano, a giudizio degli interroganti, una rilevante carenza nella valutazione dell'incidenza ambientale del progetto;
   le citate prescrizioni del comitato tecnico per la VIA della regione Puglia evidenziano gravi carenze del progetto sotto il profilo della valutazione del clima acustico, del rischio per le componenti biotiche esistenti, dell'ottemperanza alle prescrizioni in materia di ZPS (deliberazione giunta regionale n. 346 del 2010), del peso sulle infrastrutture esistenti, dell'urbanistica. Tali carenze inducono il comitato a formulare penetranti prescrizioni in ordine alla realizzazione del progetto;
   il parere del comitato tecnico per la VIA della regione Puglia evidenzierebbe, poi, la gravissima circostanza dell'omesso coinvolgimento dell'autorità di bacino della Puglia per gli aspetti idrogeologici del territorio interessato dal progetto (PAI), dal momento che il tracciato del gasdotto attraversa una zona ad alta pericolosità idraulica;
   occorre evitare l'avvio di un'ulteriore procedura di infrazione da parte della Commissione europea ai danni dell'Italia, dal momento che la zona in cui è localizzato l'intervento rientra tra le ZPS di cui alle direttive comunitarie nn. 79/409/CEE (direttiva uccelli) e 92/43/CEE (direttiva habitat). L'archiviazione della procedura di infrazione 2001/4156, alla luce della sentenza di condanna della Corte di giustizia del 20 settembre 2007 nella causa C-388/05 per violazione delle medesime direttive, non esime lo Stato italiano dall'osservanza delle prescrizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 92/43/CEE (direttiva habitat) come risulta dalla risposta scritta all'interrogazione al Parlamento europeo n. E-002450-15 del 13 febbraio 2015, per il quale le «autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica»;
   né il parere della commissione tecnica VIA e VAS del Ministero, né il parere del comitato tecnico della regione Puglia consentono, a giudizio degli interroganti, di ritenere che sia stata raggiunta la certezza richiesta sull'assenza di pregiudizio all'integrità del sito in questione, il quale rientra nel protocollo europeo Natura 2000;
   nessun cenno è compiuto al profilo delle interferenze con la vicina base aerea dell'aeroporto militare di Amendola «Luigi Rovelli Comando 32° Stormo» –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in relazione alla valutazione di compatibilità ambientale;
   quali iniziative intenda assumere per l'esatto adempimento delle prescrizioni indicate nei pareri della commissione nazionale VIA e del comitato tecnico della regione Puglia;
   quali siano i motivi per cui sarebbe mancato il coinvolgimento dell'autorità di bacino della Puglia per gli aspetti di tutela idrogeologica del territorio interessato dall'intervento;
   se il Comitato tecnico regionale per la prevenzione incendi della regione Puglia del Ministero dell'interno intenda rilasciare il nulla osta di fattibilità, a norma della vigente normativa in tema di attività a rischio di incidente rilevante, nonostante quella che agli interroganti appare l'assenza: a) di un adeguata valutazione della sicurezza dell'intero impianto da realizzare; b) di un'adeguata valutazione in ordine agli aspetti di sismicità del territorio di realizzazione del sito; c) di un'aggiornata valutazione del fondale marino e dei sedimenti marini interessati dall'intervento, anche in ordine al cosiddetto effetto domino che si potrebbe avere nella zona interessata dall'intervento. (4-11019)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ad un progetto di deposito di GPL nel comune di Manfredonia (provincia di Foggia) in località Santo Spiriticchio proposto dalla società Energas, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il progetto in questione è stato assoggettato a procedura di valutazione d'impatto ambientale (VIA). Tale procedura si è conclusa, a seguito di un'approfondita istruttoria tecnica che ha tenuto conto di tutti gli aspetti ambientali interessati, compresi quelli relativi all'incidenza del progetto sulle aree della rete Natura 2000 (SIC e ZPS), con l'emanazione di un decreto positivo di compatibilità ambientale relativamente al progetto del deposito costiero di GPL e delle opere funzionalmente connesse (decreto ministeriale n. 295 del 22 dicembre 2015, pubblicato sul sito web del Ministero dell'ambiente www.va.minambiente.it).
  Detta pronuncia di compatibilità, ambientale, pur positiva, è comunque condizionata al rispetto di numerose prescrizioni.

  Ciò posto, in riferimento alle osservazioni degli interroganti circa la valutazione ambientale condotta con particolare riguardo alle citate interferenze del progetto con i siti della rete Natura, 2000, si precisa che le stesse risultano infondate atteso il livello dell'istruttoria tecnica cui è stato sottoposto il progetto.
  Per quanto riguarda il coinvolgimento dell'autorità di bacino della Puglia nel procedimento di VIA si precisa che nella normativa di riferimento per il progetto in parola (articolo 6 della legge n. 349 del 1996) né quella attualmente vigente (decreto legislativo n. 152 del 2006) individua espressamente tale ente tra quelli coinvolti nel procedimento. Secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia è previsto, che qualunque soggetto pubblico o privato, possa intervenire nel procedimento formulando osservazioni che sono considerate in sede di istruttoria tecnica per la definizione del procedimento medesimo. A tal fine si precisa che la documentazione relativa al progetto in questione e stata messa a disposizione, anche attraversò pubblicazione sul sito web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di tutti i soggetti eventualmente interessati.
  Sull'argomento si precisa altresì che, laddove richiesti, gli eventuali pareri nulla osta e le eventuali autorizzazioni di competenza del suddetto ente devono essere resi dal medesimo in sede di conferenza dei servizi convocata dal Ministero dello sviluppo economico per l'autorizzazione del progetto.
  Ad ogni buon conto si informa che il rapporto del progetto con gli aspetti e gli strumenti di programmazione e pianificazione territoriale e settoriale (tra i quali anche il piano di assetto idrogeologico – PAI) è stato considerato sia nel parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS sia in quello della regione Puglia. Al riguardo occorre tuttavia precisare che, ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988, benché la relazione del progetto con gli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale e settoriale costituiscano «parametri di riferimento per la costruzione del giudizio di compatibilità ambientale» resta comunque «escluso che il giudizio di compatibilità ambientale abbia ad oggetto i contenuti dei suddetti atti di pianificazione e programmazione, nonché la conformità dell'opera ai medesimi».
  Quanto infine al quesito posto dagli interroganti circa il rilascio del nulla osta di fattibilità in capo al comitato tecnico regionale (CTR) per la prevenzione incendi della regione Puglia (Ministero dell'interno) ai sensi della normativi vigente in tema di attività a rischio di incidente rilevante si è a conoscenza che, in data 10 agosto 1998, sulla base del rapporto di sicurezza a quel tempo presentato dalla società proponente, è stato rilasciato un nulla osta di fattibilità (NOF) sull'impianto da parte del comitato interregionale Puglia e Basilicata.
  Si evidenzia inoltre che il tema è stato considerato nel citato parere della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS che ne fa anche oggetto di una prescrizione ripresa nel decreto ministeriale n. 295 del 22 dicembre 2015 (cfr. n. A.7 all'articolo 1), inerente, in particolare l'acquisizione di un NOF da parte del CTR Puglia relativo all'impianto nella sua interezza (deposito, gasdotto, terminale e raccordo ferroviario).
  Per quanto di competenza il Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso gli altri soggetti istituzionali interessati.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DIENI, NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio, a quanto emerge dagli articoli di stampa, si sarebbe recato il 10 marzo 2016 a Mormanno (CS) per presenziare alla cerimonia per l'abbattimento dell'ultimo diaframma della galleria omonima, nell'ambito dei lavori per il completamento dell'Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria;
   nell'ambito delle iniziative che si sono svolte a margine della visita, vi sarebbe stato un banchetto organizzato all'interno della stessa galleria di Mormanno;
   secondo quanto riferisce Il Quotidiano del sud, nell'articolo «Per Renzi un buffet da 120 mila euro in una galleria dell'autostrada» apparso online il 15 marzo, «il cantiere per qualche ora si è trasformato in una sorta di loft, con tanto di divani in vimini e buffet molto ricercato. Pare ci fosse anche un carretto con gelati artigianali. Il tutto organizzato da una ditta di Tarsia per una cifra vicina ai 120 mila euro»;
   al di là del discutibile sfarzo ciò che non risulterebbe chiaro è chi si sia intestato il costo rilevante dell'evento;
   a quanto emerge dalle notizie apparse sullo stesso articolo citato, l'Anas avrebbe fatto sapere di non aver richiesto il buffet che è stato invece un'iniziativa della Italsarc (il consorzio di imprese che fa da general contractor dell'opera) che a ogni inaugurazione di tratto di autostrada offre un rinfresco ai suoi dipendenti;
   non è chiaro, inoltre, se il Presidente del Consiglio, i suoi accompagnatori, soggetti istituzionali o rappresentanti di Anas abbiano partecipato o meno all'evento finanziato da Italsarc –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se possa essere escluso che il costo del buffet di 120 mila euro apprestato nella galleria di Mormanno (CS) sia imputabile in via diretta o indiretta ad Anas o ad altri soggetti pubblici;
   se possa essere escluso che il buffet sia stato sollecitato in alcun modo da Anas s.p.a.;
   se il Presidente del Consiglio, i suoi accompagnatori, soggetti istituzionali o rappresentanti di Anas abbiano partecipato o meno all'evento. (4-12722)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 18 aprile 2016, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La società Anas, cui sono stati chiesti chiarimenti circa il rinfresco di cui parla l'interrogazione, ha comunicato che il buffet è stato organizzato dal contraente generale Italsarc S.c.p.a., esecutore dei lavori del macrolotto 3.2 dell'autostrada A/3 Salerno-Reggio Calabria, in occasione dell'abbattimento dell'ultimo diaframma della galleria di Mormanno (CS).
  Anas segnala altresì che il citato rinfresco non è stato richiesto dall'Anas stessa, ma, autonomamente deciso ed offerto dal contraente generale per festeggiare l'ultimazione dei lavori con tutte le maestranze del cantiere e le rispettive famiglie.
  Per completezza di informazione, Anas ha comunicato che buffet con le medesime caratteristiche sono stati organizzati sempre dalla società Italsarc, a proprie spese, anche in occasione degli abbattimenti dei diaframmi delle gallerie Campotenese (28 ottobre 2015), Jannello Nord (4 febbraio 2016), galleria Jannello sud (21 dicembre 2015), galleria Colletrodo nord (8 luglio 2015), galleria Donna Di Marco nord (25 giugno 2015).
  Trattandosi poi di una festa privata, organizzata, tra l'altro, nella canna della galleria parallela a quella dove si è svolta la cerimonia di abbattimento del diaframma, il Presidente del Consiglio Renzi non vi ha preso parte, né, peraltro, la sua partecipazione è stata mai programmata.
  Anas ha infine comunicato che il costo del buffet è pari a meno di 20.000, e non pari a 120.000 euro come riferito nell'articolo di stampa citato dagli Interroganti, ribadendo altresì che esso è risultato totalmente a carico del Contraente generale e, quindi, non imputabile a fondi pubblici.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   DISTASO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i trasferimenti delle risorse statali ai comuni a seguito delle manovre finanziarie sono diminuite negli ultimi 3 anni di circa 6 miliardi e 450 milioni di euro determinando una situazione finanziaria di assoluta insostenibilità;
   in questo quadro di riduzione progressiva di trasferimenti si inserisce l'anomalia rappresentata dalla legge 24 aprile 1941, n. 392, recante «Trasferimento ai Comuni del servizio dei locali e dei mobili degli Uffici giudiziari» che pone anacronisticamente a carico dei comuni le spese per la gestione degli uffici giudiziari che poi sono rimborsate dal Ministero della giustizia con l'erogazione di un contributo economico annuo, mai integrale;
   tale previsione normativa che mette a carico dei comuni le spese degli uffici giudiziari è stata emanata nel 1941 cioè prima della nascita della Repubblica e dell'approvazione della Carta costituzionale che assegna allo Stato le funzioni in materia di giustizia;
   a fronte di una spesa media annuale dei tribunali ed uffici giudiziari – ed anticipate dai bilanci dei comuni – pari a 315 milioni di euro annuo, negli ultimi tre anni il contributo versato dallo Stato ai comuni a titolo di rimborso è stato compreso tra il 60-80 per cento delle spese effettivamente sostenute e gli acconti e i saldi sono stati spesso erogati accumulando gravi ritardi, a volte anche di diversi anni;
   nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia sono iscritti per l'esercizio in corso solo 79,8 milioni di euro, mentre le spese sostenute dai comuni relative all'anno 2012 sono di oltre 300 milioni di euro, già anticipati dalle casse delle amministrazioni comunali;
   il processo di riorganizzazione delle sedi giudiziarie sul territorio nazionale ha, tra le inevitabili conseguenze, una maggiore concentrazione di spese sui comuni dove sono state accorpate le sedi giudiziarie soppresse dal decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155;
   a ciò si aggiunge che nei comuni accorpanti le sedi giudiziarie soppresse, iniziano a fioccare nuove richieste di spesa da mettere a carico dei bilanci comunali che si esplicitano in spese per il trasloco, spese per la realizzazione, adeguamento e messa in sicurezza di nuove sedi, spese per le nuove utenze, spese per i nuovi servizi di vigilanza e di gestione ordinata degli immobili, con richiesta da parte dei tribunali di risorse aggiuntive e ulteriori comprese tra il 15 per cento e il 110 per cento rispetto all'anno precedente;
   tali risorse sono state impiegate dai comuni solo ed esclusivamente per garantire l'erogazione di un servizio di diretta gestione statale –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per garantire il ristoro delle spese e il superamento di una situazione così problematica a carico dei bilanci comunali ed in particolare;
   a quanto ammontino le risorse iscritte nel relativo capitolo di bilancio del Ministero della giustizia per l'anno 2012 al fine di corrispondere il contributo ai comuni, se siano state decurtate e a quanto ammonti tale diminuzione rispetto all'anno precedente;
   quali siano le iniziative che il Governo stia intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di assicurare la copertura delle spese già sostenute dai comuni nel 2012, per garantire il rispetto della legge;
   quali siano le iniziative che il Governo sta intraprendendo, anche con carattere d'urgenza, al fine di garantire la copertura delle spese per l'erogazione del servizio della giustizia sull'intero territorio nazionale per gli anni 2013 e 2014;
   se non sia opportuno superare questo sistema di copertura dei costi degli uffici giudiziari assumendo iniziative per abrogare la legge 24 aprile 1941, n. 392, e ponendo a carico dell'amministrazione della giustizia la gestione diretta delle spese in modo da garantire responsabilità ed efficacia. (4-02581)

  Risposta. — Mediante l'atto ispettivo in discussione, l'interrogante sottolinea – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze dei comuni in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
  È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'Associazione dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.
  È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del Regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 – dell'articolo 21-quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolte periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno 2016 – condivisa sul nuovo modello di gestione con il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed i procuratori generali presso le corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
  Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della Scuola superiore della magistratura – ai dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, difatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del Ministero nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.
  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre ad attendere che le scese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
  Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della giustizia e – il 13 maggio 2016 – dal Ministero dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
  Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   LOREFICE, GRILLO, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, BARONI e MANTERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   al largo di Pozzallo, in provincia di Ragusa, si estende su una superficie di 28 chilometri quadrati la più grande piattaforma petrolifera fissa offshore d'Italia. La piattaforma, appoggiata nel 1987 su un fondale di circa 122 metri di profondità d'acqua, è gestita da Edison per conto di una società mista Edison (60 per cento) ed Eni (40 per cento);
   secondo i giornalisti che hanno condotto l'indagine pubblicata sulla rivista siciliana «S» dal titolo «19 anni di contaminazioni – Il dossier che fa tremare la Edison», al largo delle coste siciliane altro non si troverebbe che una pericolosa discarica sottomarina che rischia di contaminare per secoli i fondali del Canale di Sicilia;
   secondo un dossier redatto dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), pubblicato integralmente dalla rivista S, 500.000 metri cubi di acque contaminate da «metalli tossici, idrocarburi policicli aromatici, composti organici aromatici e Metil-Ter-Butil-Etere» sarebbero stati iniettati in un pozzo del Campo Vega dopo l'estrazione di milioni di barili di petrolio. In particolare, sarebbero stati smaltiti i rifiuti della piattaforma petrolifera Vega A nel pozzo sterile V6 a 2800 metri di profondità, pari a mezzo milione di metri cubi di liquidi altamente inquinanti ovvero 147 mila metri cubi di acque di strato miste a idrocarburi, 333 mila metri cubi di acque di lavaggio delle cisterne di petrolio e 14 mila metri cubi di acque di sentina;
   essendo il pozzo Vega 6 permeabile, secondo l'ISPRA «ragionevolmente la contaminazione ha interessato un'area di maggiore estensione», coinvolgendo anche «altre formazioni geologiche con essa confinanti e in comunicazione». Tale fenomeno, sempre secondo l'ISPRA, sarebbe anche stato favorito dal trattamento con acido cloridrico, uno dei liquidi più corrosivi esistenti, che la Edison avrebbe utilizzato per ampliare la capacità di contenimento del pozzo, e dalla fratturazione della matrice rocciosa per aprire in essa nuove vie per lo scorrimento dei fluidi;
   ad avviso dell'Ispra la Edison dovrebbe risarcire lo Stato con 70 milioni di euro, somma equivalente al risparmio ottenuto dalla società dallo smaltimento illegale dei rifiuti. Al riguardo il Ministro interrogato su richiesta di Istituto avrebbe chiesto il risarcimento del danno, mentre il Ministero dello sviluppo economico ha raddoppiato la concessione petrolifera della piattaforma Vega A in Vega B. Il Ministero dello sviluppo economico, in quel periodo guidato da Federica Guidi, autorizzava infatti il 12 dicembre 2014 il raddoppio della concessione con la seguente motivazione: «la società ha ottemperato ai termini di buona gestione del giacimento»;
   l'area scelta per la realizzazione della piattaforma Vega B ricade all'interno della fascia di protezione delle 12 miglia dal sito di interesse comunitario (Sic) «Fondali e foce del fiume Irminio». La legge impedirebbe di costruire nuove piattaforme così vicine ad un'area protetta;
   sarebbero state pubblicate anche le analisi degli esperti che smonterebbero le tesi secondo cui le trivellazioni non provocherebbero alcun danno ambientale;
   dal 2007 su tutta la vicenda è in corso un procedimento penale per il reato di illecito profitto dovuto allo smaltimento di rifiuti pericolosi non autorizzato per l'attività estrattiva e di stoccaggio degli idrocarburi, prossimo alla prescrizione, che vede imputati i dirigenti Edison a Ragusa per l'inquinamento generato dal 1989 ininterrottamente ad oggi –:
   come mai, essendo la vicenda già nota dal 2007, il 16 aprile 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia dato il via libera al raddoppio della piattaforma e 13 novembre dello stesso anno abbia concesso un prolungamento di 10 anni alla concessione con la motivazione che «La società ha ottemperato ai termini di buona gestione del giacimento»;
   se, non intendano, nei limiti delle proprie competenze, attivarsi affinché venga interrotta ogni tipo di attività estrattiva e di stoccaggio degli idrocarburi, che possa costituire un serio e grave pericolo per la sicurezza dei cittadini e per l'ambiente, anche in considerazione del fatto che la piattaforma sarebbe in grado di resistere a terremoti fino al 9° grado della scala Mercalli in un'area già colpita nel 1693 da un terremoto dell'11° grado della stessa scala, con uno sconvolgimento epocale dell'ecosistema marino;
   se non intendano verificare la compatibilità, la legittimità e correttezza, anche nei termini previsti dalle norme che regolano i contratti pubblici, del rinnovo e dell'ampliamento della concessione ad un contraente che si trova in una situazione di contenzioso al punto che, nell'ambito del processo citato in premessa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è finanche costituito parte civile, chiedendo un risarcimento per ingiusto profitto pari a 69 milioni di euro. (4-12790)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alle attività e alla gestione del sito destinato alla coltivazione e produzione di idrocarburi «Campo minerario Vega», si rappresenta quanto segue.
  Il campo minerario Vega è situato nel canale di Sicilia a circa 20 chilometri dal porto di Pozzallo, in direzione sud-ovest e, a partire dal 1987, in concessione alla Edison s.p.a., è stato destinato alla produzione di idrocarburi.
  Il campo si compone di una piattaforma fissa, denominata «Vega A», ancorata sul fondale marino mediante una serie di pali in acciaio, ad una profondità di circa 122 metri.
  A 2.300 metri dalla piattaforma «Vega A» è localizzata, invece, la seconda struttura del campo, il galleggiante denominato «Vega Oil». In particolare, si tratta di una ex nave cisterna (250.000 tonnellate di portata lorda), asservita al campo e destinata allo stoccaggio e allo scarico del greggio. Gli idrocarburi estratti dai 18 pozzi del campo giungono alla piattaforma «Vega A» e da qui vengono trasferiti sulla «Vega Oil» attraverso una condotta. Successivamente, all'interno delle cisterne della «Vega Oil», il greggio viene separato dall'acqua e il prodotto ottenuto viene trasportato a terra.
  Come rappresentato dall'Ispra nella propria relazione di valutazione del danno ambientale, la maggior parte degli idrocarburi viene estratta dalle dolomie, rocce dotate di una maggiore permeabilità rispetto ai calcari e, durante i processi di lavorazione del campo Vega, vengono prodotti elevati quantitativi di rifiuti. In particolare, si tratta di tre tipologie di acque: acque di strato, acque di lavaggio ed acque di sentina.
  Tanto premesso, si rappresenta che, nel periodo compreso tra il 1989 ed il 2007, all'interno del campo in parola risulta essere stato effettuato un illecito smaltimento dei rifiuti prodotti (acque di strato, acque di lavaggio ed acque di sentina) a seguito del prelievo di idrocarburi dal sottosuolo marino, per cui è stato avviato un procedimento penale che vede imputati alcuni soggetti, in particolare il direttore e il responsabile della sicurezza del campo Vega, nonché l'amministratore delegato della Edison s.p.a. e i comandanti del «galleggiante» utilizzato nel campo per lo stoccaggio del greggio, i quali, in concorso tra loro, a diverso titolo, contribuivano alla gestione del campo minerario Vega.
  A questi ultimi viene addebitato il reato di «attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti», previsto attualmente dall'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per avere concorso, con la messa in opera di attività continuative e organizzate, all'illecito smaltimento di elevatissimi quantitativi di rifiuti nel sottosuolo marino.
  Infatti, come rappresentato dal Ministero della giustizia, i fatti menzionati sono oggetto di valutazione nell'ambito del procedimento penale n. 1156 del 2007, iscritto dalla procura della repubblica di Modica in data 9 agosto 2007 a carico dei soggetti sopra citati e da questa trasmesso al competente Gup di Modica in data 4 giugno 2009, con richiesta di rinvio a giudizio di tutti gli indagati.
  Secondo quanto precisato dal presidente del tribunale di Ragusa – dinanzi al quale il predetto procedimento risulta attualmente pendente in seguito alla soppressione degli uffici giudiziari di Modica – con decreto del 6 giugno 2012 il Gup presso l'ex tribunale di Modica disponeva il rinvio a giudizio dei sei imputati.
  Detto decreto veniva dichiarato nullo con provvedimento del 22 ottobre 2012 del giudice monocratico e da questi inviato nuovamente al competente Gup per la rinnovazione dell'atto nullo.
  Con decreto del 22 febbraio 2013 il Gup di Modica disponeva nuovamente il rinvio a giudizio dei medesimi soggetti innanzi all'ex tribunale di Modica, contestando agli imputati, ciascuno nella rispettiva qualità e funzione in ordine alla gestione della piattaforma campo Vega, di aver concorso in un continuato ed organizzato illecito smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi (articolo 104, comma 1 e 260, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
  In particolare, agli imputati è contestato di avere illecitamente immesso nel sottosuolo, tramite il pozzo recettore «Vega 6»:
   147.810 metri cubi di acque di strato;
   318.675 metri cubi di acque di lavaggio;
   14.732 metri cubi di acque di sentina.

  L'ultima udienza di trattazione dibattimentale risulta fissata per il giorno 5 maggio 2016.
  Tale attività illecita, sempre secondo quanto riportato dall'Ispra, ha determinato una fonte di inquinamento che ha prodotto un danno all'ambiente che ha assunto le forme sia di una contaminazione dell'area della formazione geologica recettrice dello scarico sia, attraverso il trasferimento degli inquinanti, di una contaminazione su vasta area che ha interessato altre porzioni di sottosuolo comprese le riserve di acqua dolce in esso presenti e, presumibilmente, le acque marine ed i sedimenti.
  Nello specifico, i rifiuti prodotti durante le attività del campo Vega venivano sistematicamente smaltiti dagli imputati con modalità assolutamente non conformi alle disposizioni normative, attraverso la reimmissione in un pozzo sterile del campo, denominato «Vega 6», delle acque di strato, di lavaggio e di sentina, ad una profondità nel sottosuolo di circa 2.800 metri.
  Inoltre, l'Ispra ha evidenziato che le attività di illecito smaltimento prevedevano ulteriori attività, come l'aggiunta di diverse sostanze chimiche ai rifiuti prodotti durante l'attività estrattiva, in particolare, inibitori di corrosione, biocidi e de-ossigenanti, tutti prodotti utilizzati per mantenere in buono stato di conservazione le strutture del pozzo «Vega 6». Sempre all'interno del pozzo in questione è stata documentata una iniezione di acido cloridrico, al fine di aumentarne la capacità di assorbimento dei rifiuti liquidi reimmessi nel sottosuolo.
  Pertanto, gli imputati hanno illecitamente smaltito una miscela di rifiuti contenenti acque di strato, acque di lavaggio e acque di sentina, con l'aggiunta di una serie di prodotti di sintesi che hanno provocato una immissione nel sottosuolo, attraverso il pozzo «Vega 6», di una miscela di rifiuti caratterizzata da un elevato potere inquinante, che ha determinato un danno all'ambiente individuabile in termini di contaminazione chimica e alterazione morfologica di un'area della formazione geologica Siracusa; contaminazione chimica su vasta arca della formazione Siracusa e di ulteriori formazioni geologiche, inquinamento delle acque e dei sedimenti marini per risalita dei contaminanti e perdita di riserve di acqua dolce di origine fossile.
  Con specifico riferimento al risarcimento del suddetto danno ambientale, in conformità a quanto previsto dalla parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006, è necessario valutare in via prioritaria la possibilità di effettuare una riparazione primaria per riportare le risorse naturali danneggiate alle condizioni originarie.
  Tuttavia, sulla base delle analisi emerse dalla valutazione del danno ambientale operata dall'Ispra, considerando anche la natura particolare delle matrici ambientali compromesse, si ritiene che dal punto di vista tecnico un ripristino primario, nel caso di specie, non sia realizzabile. Tutto ciò è dovuto sia all'elevata profondità alla quale la contaminazione si è verificata (circa 2.800 metri), sia al trasferimento degli inquinanti su vasta area che impediscono di effettuare degli interventi che possano riportate le risorse lese alle loro condizioni originarie, il che impedisce che l'eliminazione della contaminazione in tale contesto sia praticabile. Sempre in relazione all'impossibilità tecnica di un ripristino primario, risultano non percorribili anche la riparazione complementare e quella compensativa, così come descritte nell'allegato 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Peraltro, come previsto dalla normativa vigente, nell'impossibilità di effettuare le sopra citate riparazioni, il risarcimento del danno deve essere effettuato per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato (per finanziare gli interventi di cui all'articolo 317, comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006), il quale, in termini monetari, può essere rappresentato dai costi di smaltimento dell'intero quantitativo di rifiuti che gli imputati hanno illecitamente smaltito nel corso degli anni.
  In particolare, il costo di smaltimento totale è pari a 69.470.380 euro e tale somma corrisponde al risarcimento del danno ambientale per equivalente monetario, da considerarsi come cifra minima da corrispondere, considerando l'enorme valore attribuibile, dal punto di vista ambientale, al patrimonio naturale danneggiato dalle attività illecite in questione condotte dai soggetti imputati. Al riguardo, si fa presente che questo Ministero si è costituito parte civile nel procedimento penale sopra citato per il quale ha inoltre recentemente richiesto all'avvocatura distrettuale di fornire informazione sullo stato. Si comunica altresì l'intenzione dello stesso Ministero di avviare successivamente anche l'azione civile nel confronti dei responsabili dell'evento che ha causato danni all'ambiente, così come quantificati dall'Ispra.
  Tanto premesso, con specifico riferimento alla piattaforma «Vega A», essa, come precedentemente evidenziato, è stata realizzata sulla base della concessione del 1987. In via generale, qualora l'intervento non sia soggetto a valutazione di impatto ambientale, il Ministero dell'ambiente, d'intesa con il Ministero dello sviluppo economico, può autorizzare le attività di reiniezione e scarico a mare e a terra delle acque risultanti dalla estrazione di idrocarburi liquidi o gassosi nelle unità geologiche profonde da cui gli stessi sono stati estratti, così come previsto dall'articolo 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In particolare, si precisa che l'esistente piattaforma «Vega A» non ha autorizzazioni in corso alla reiniezione e scarico a mare delle acque di strato prodotte dalle attività estrattive.
  Per quanto concerne, invece, la valutazione di impatto ambientale effettuata sul «Campo Vega B» e, in particolare, le attività poste in essere per la coltivazione del campo Vega, si fa presente che è stato sottoposto a procedura di valutazione di impatto ambientale – conclusasi con provvedimento favorevole VIA-AIA con prescrizioni decreto ministeriale 0000068 del 16 aprile 2015 – esclusivamente il progetto relativo allo «Sviluppo del Campo Vega B – Concessione di Coltivazione C.C6 EO». Inoltre, al riguardo si fa presente che lo stesso decreto di VIA, per quanto concerne le emissioni in acqua prevede una specifica disciplina di regolamentazione degli scarichi, nonché un sistema di controllo degli stessi la cui verifica deve essere effettuata secondo le modalità indicate nel piano di monitoraggio e controllo. Conseguentemente, verranno effettuate le attività di monitoraggio previste dalla normativa vigente in materia.
  Detto progetto consiste nella realizzazione di una nuova piattaforma satellitare fissa denominata «Vega B», di tipo non presidiato, posta a circa 6 chilometri dall'esistente piattaforma «Vega A», alla quale sarà collegata tramite due condotte sottomarine.
  La realizzazione di detta piattaforma «Vega B» era già prevista nel «programma dei lavori» approvato contestualmente al conferimento della concessione con decreto dell'allora Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato n. 580 del 24 febbraio 1994.
  Le attività relative al progetto di «Sviluppo del Campo Vega B – Concessione di Coltivazione C.C6 EO», infatti, non rientrano tra i divieti introdotti dall'articolo 2, comma 3, lettera «h» del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 (inibizione delle attività di ricerca e prospezione di idrocarburi entro la fascia di 12 miglia dalla costa e dalle aree marine protette), poiché sulla base di quanto successivamente stabilito dall'articolo 38 della legge 11 novembre 2014, n. 164, tale divieto non riguarda i titoli abilitativi e/o le istanze esistenti alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128.
  Pertanto, la commissione VIA e VAS nel proprio parere ha preso in considerazione le aree Siti di importanza comunitaria/Zone speciali di conservazione più prossime alle coordinate del punto in cui verrà realizzata la futura piattaforma «Vega B», concludendo che stante la considerevole distanza da essa non erano previste interferenze. Stesse considerazioni valgono anche per il SIC «Fondali della Foce del Fiume Irminio», citato dall'interrogante, sebbene istituito successivamente alla presentazione dell'istanza di VIA.
  Inoltre, con riferimento alla concessione di coltivazione al largo delle coste siciliane, il Ministero dello sviluppo economico ha rappresentato che la proroga, richiesta per completare il programma lavori già approvato in sede di conferimento del titolo minerario, è stata concessa dal suddetto ministero nel novembre 2015, ai sensi dell'articolo 18, secondo comma, della legge 11 gennaio 1957, n. 6: «il concessionario ha diritto ad una proroga di dieci anni se ha eseguito i programmi di coltivazione e di ricerca e se ha adempiuto a tutti gli obblighi derivanti dalla concessione».
  La proroga decennale è stata pertanto rilasciata per la prosecuzione della produzione dalla piattaforma «Vega A» e per il completamento dell'originario programma lavori già autorizzato.
  Ad ogni modo, il Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MATARRELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nonostante le criticità segnalate dai Paesi produttori, in particolare Italia e Grecia, il Consiglio agricoltura dell'Unione europea ha approvato l'aumento di 35 mila tonnellate, sia nel 2016 che nel 2017, dei contingenti di olio d'oliva tunisino ammessi nell'Unione europea a dazio zero;
   la misura, proposta dalla Commissione per sostenere la Tunisia dopo gli attacchi terroristici del 2015, è priva di una valutazione d'impatto e rischia di penalizzare fortemente l'olivicoltura europea, in particolare quella domestica, considerando altresì che con il provvedimento si impone al settore agricolo un peso che compete ad altre politiche –:
   quali ulteriori iniziative intenda assumere al fine di evitare che il settore olivicolo oleario, concentrato nelle aziende olivicole nelle regioni del Sud Italia, già pesantemente penalizzato dalla crisi economica in atto, non perda la capacità di favorire la vitalità economica, in particolare delle aree rurali ancor più svantaggiate. (4-12824)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame faccio presente che, dopo l'approvazione da parte del Parlamento europeo dell'importazione senza dazi di 35 mila tonnellate l'anno in più di olio d'oliva tunisino per il 2016 in tutta Europa, e altrettante per il 2017 (in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate previste dall'accordo di associazione Unione europea – Tunisia), sono fermamente contrario a qualsiasi aumento permanente del contingente di olio tunisino.
  Peraltro, già a margine del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea del 15 febbraio 2016, avevo chiesto che questa scelta, nata come misura straordinaria, non si trasformasse in azione strutturale.
  In tale contesto, è stato altresì evidenziato come eventuali accordi di cooperazione, focalizzati sulla promozione di soluzioni innovative per sostenere le produzioni agricole e alimentari nei paesi del Mediterraneo, risulterebbero più efficaci delle proposte di aumento dell'importazione di olio nordafricano.
  In tale direzione, pur tenendo presente la particolare situazione politica in cui versa la Tunisia, abbiamo già rappresentato, nelle sedi competenti, la necessità che i negoziati di politica economica e commerciale non penalizzino l'agricoltura e che le eventuali concessioni dell'Unione europea, nei confronti dei diversi partner commerciali, vengano governate dal principio di un approccio equilibrato e proporzionale tra i vari settori dell'economia europea.
  Anche in sede di comitati di gestione di settore, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali aveva espresso parere contrario alla proposta di regolamento della Commissione finalizzata ad abolire i massimali mensili per i quantitativi di olio d'oliva, ai fini del rilascio dei titoli di importazione nell'ambito del volume complessivo del contingente che ha origine dalla Tunisia.
  In ogni caso, reputo necessario che le politiche internazionali tengano in debito conto i fabbisogni e le esigenze del settore agricolo e non danneggino i prodotti agricoli europei; in tal senso, a difesa dell'agricoltura nazionale, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali monitora regolarmente il contesto.
  Chiarito quanto sopra, faccio presente che recentemente sono stati emanati il regolamento n. 580 del 2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, sull'introduzione di misure commerciali autonome di emergenza a favore della Repubblica tunisina, nonché il regolamento di esecuzione n. 605 del 19 aprile 2016 della Commissione, recante apertura e gestione di un contingente tariffario temporaneo di olio di oliva originario della Tunisia e che modifica il regolamento (CE) n. 1918 del 2006.
   Per cui il quantitativo aggiuntivo sarà attivo solo per due annate e le 35.000 tonnellate sono disponibili per gli operatori dell'intera unione. Infatti, il quantitativo di olio tunisino importato, in regime di contingente tariffano a dazio zero, rappresenta il 5,5 per cento circa (dati Istat) del quantitativo totale di olio importato, necessario per soddisfare sia il consumo interno che l’export.
  Abbiamo rappresentato ai competenti dicasteri la necessità di richiedere una congrua riduzione dei quantitativi da concedere unitamente ad una rimodulazione dei quantitativi medesimi, al fine di evitare possibili penalizzazioni ai produttori olivicoli italiani nel pieno della campagna olivicola.
  Ciò posto, mi preme evidenziare che il citato Regolamento del Parlamento europeo ha inoltre recepito, tra i considerando, quanto richiesto dall'Italia in materia di tracciabilità prevedendo, per evitare le frodi, che le misure commerciali autonome siano subordinate al rispetto delle norme vigenti in Unione europea per quanto concerne Vorigine dei prodotti e le procedure correlate.
  Grazie all'azione della delegazione italiana, è stato introdotto l'obbligo di un accurato monitoraggio, da compiersi a fine 2016, per valutare le eventuali ripercussioni negative sui mercati interni e procedere, se del caso, ad eventuali misure correttive.
  Peraltro occorre tener presente che, a livello nazionale, gli operatori che movimentano gli oli, indipendentemente se di origine estera o nazionale, compresi i semplici commercianti di olio sfuso privi di stabilimento o deposito, sono obbligati alla tenuta dei registri di carico e scarico ai fini della commercializzazione degli oli stessi.
  In tal senso, in Italia è attivo il registro telematico degli oli che consente un puntuale monitoraggio dei flussi di prodotto movimentati dai singoli operatori.
  Tale registro che, per una tempestiva fruizione dei dati ivi contenuti da parte degli organismi di controllo, è tenuto secondo modalità telematiche messe a disposizione sul portale del Sistema informativo agricolo nazionale (Sian), costituisce un sistema di tracciabilità omogeneo e puntuale della «filiera olio d'oliva» in quanto consente di controllare le singole movimentazioni di ogni stabilimento e conoscere i soggetti, nazionali o esteri, coinvolti nella movimentazione stessa.
  Grazie a questo strumento di controllo, sono state realizzate le azioni più importanti di contrasto alle frodi, svolte in questi ultimi anni nel settore oleario dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari (Icqrf) in collaborazione con la Guardia di finanza.
  Ad ulteriore tutela del nostro prodotto rilevo poi che, per l'olio d'oliva, gli investigatori del Corpo forestale dello Stato si avvalgono dell'innovativa tecnica del riconoscimento del Dna delle cultivar di olivo presenti nell'olio (analisi molecolare).
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   PETITTI e ARLOTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 aprile 1941, n. 392 dispone che sono obbligatorie per i comuni le spese di funzionamento degli uffici giudiziari e trasferisce agli stessi comuni la loro gestione e mantenimento;
   la legge del 1941 pone in particolare a carico dei comuni in cui ha sede l'ufficio giudiziario una serie di spese – sempre più gravose – riguardanti la custodia dei locali, la loro manutenzione, l'illuminazione, il riscaldamento, le provviste di acqua, la riparazione dei mobili, le spese per i registri e gli oggetti di cancelleria ed altro ancora;
   il decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187, reca le norme riguardanti i procedimenti relativi alla concessione ai comuni di contributi per le spese di gestione degli uffici giudiziari a norma dell'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e prevede all'articolo 2 che il contributo è corrisposto in due rate: la prima è disposta in acconto all'inizio di ciascun esercizio finanziario, mentre la seconda, a saldo, è corrisposta entro il 30 settembre;
   risulta agli interroganti che fino allo scorso anno, pur con sempre crescenti ritardi, le spese sostenute e debitamente rendicontate a fine anno, venivano rimborsate in percentuali che sono andate da un minimo dell'85 per cento alla quasi integrale copertura dei costi;
   il 7 febbraio è stato sottoposto alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Regolamento per la disciplina della concessione di contributi per le spese di giustizia ai Comuni», in cui si stabilisce in particolare che il contributo che verrà corrisposto ai comuni per le spese di gestione degli uffici giudiziari sarà determinato non più sul consuntivo riferito all'anno precedente (come attualmente previsto) ma sulla base di costi standard per categorie omogenee di beni e servizi, in rapporto al bacino di utenza e all'indice delle sopravvenienze di ciascun ufficio giudiziario come individuate in un apposito decreto annuale; inoltre, la percentuale in acconto è ridotta al 50 per cento (non più il 70 per cento) di un quantum da determinare anno per anno;
   lo schema di decreto del Presidente della Repubblica ha ricevuto parere negativo da parte dell'Anci, perché costringerebbe gli enti locali a farsi carico di spese per materie delegate, iscrivendo a bilancio rimborsi che oggi vengono tagliati a consuntivo;
   la stessa Anci segnala che la media della spesa annuale dei comuni è stata pari a 315 milioni di euro annuo e che nel capitolo di bilancio del Ministero per l'anno in corso sono iscritti 79,8 milioni di euro, con una differenza per il solo anno 2012 di oltre 230 milioni di euro, già anticipati dai comuni (per il comune di Rimini ad esempio, che sostiene mediamente spese per il palazzo di giustizia per circa 1.2 milioni, significa 800 mila euro di riduzione dei rimborsi) –:
   se il Ministro interrogato abbia effettuato una stima circa l'ammontare effettivo del debito nei confronti dei comuni sede degli uffici giudiziari;
   se si preveda una modifica dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «Regolamento per la disciplina della concessione di contributi per le spese di giustizia ai Comuni» che provocherebbe ulteriori numerose problematicità alle casse dei comuni sede degli uffici giudiziari;
   se non ritenga opportuno dotare il fondo di ulteriori risorse per garantire la copertura finanziaria totale del rimborso. (4-00660)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, gli interroganti sottolineano – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze dei comuni in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  Come noto, la legge di stabilità 2015 ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, nella prospettiva di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre scorso, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  Al fine di raccogliere attraverso il metodo del confronto i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa, coerente, attuazione.
   È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'Associazione dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche in termini di assistenza e supporto.
  È stato, poi, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nell'ottica di potere efficacemente gestire ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria, in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, si è sostenuta l'introduzione – nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 – dell'articolo 21 quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  In tale quadro, va sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Dal settembre 2015, difatti, si sono svolte periodici incontri di riflessione – l'ultimo dei quali proprio il 16 giugno 2016 – condivisa sul nuovo modello di gestione con il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed i Procuratori generali presso le Corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni.
  Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della Scuola superiore della magistratura – ai dirigenti, giudiziari ed amministrativi, per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  L'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si è incentrato, pertanto, sulla edificazione di comuni basi culturali e su un rinnovato rapporto con gli enti locali, soprattutto con i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione secondo un rinnovato equilibrio, che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo di prossimità tradizionalmente svolto per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive anche la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, difatti, sottolineare anche in questa sede come proprio la prospettiva di un corretto avvio del nuovo sistema abbia orientato l'impegno del Ministero nel regolare, definitivamente e al più presto, le posizioni pendenti, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministro della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Sul punto va, preliminarmente, rilevato come – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai comuni dovesse essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.
  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria con i generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 – convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini – aveva, poi, previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore a 30 milioni di euro per l'anno 2012 e a 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre ad attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte poi al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta con decreto interministeriale a firma dei Ministri della giustizia, dell'interno e dell'economia e delle finanze, secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze e attraverso le competenti articolazioni ministeriali consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari a circa 77 milioni di euro, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
  Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013, inoltre, è stato già firmato dal Ministro della giustizia e – il 13 maggio 2016 – dal Ministro dell'interno, ed è, allo stato, in attesa della sottoscrizione del Ministro dell'economia e delle finanze.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012 che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della giustizia risulta, inoltre, pari a circa 111 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti al fine della determinazione dei contributi spettanti ai comuni sino al 31 agosto 2015.
  Saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che – nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a questo dicastero – possano soddisfare, nella misura più adeguata le aspettative dei comuni, sede di uffici giudiziari.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane si sarebbe svolto in Sardegna un sopralluogo segreto di componenti di una commissione tecnica formata da vari tecnici;
   in tale «blitz», avvenuto nell'oristanese, sarebbero stati visionati due siti per il deposito unico nazionale di scorie nucleari;
   il «blitz» sarebbe avvenuto in gran segreto nelle scorse settimane;
   si tratterebbe di una missione secretata nell'Oristanese, dove sarebbero stati individuati ben due siti potenziali per la realizzazione del deposito unico nazionale per le scorie nucleari;
   quella che poteva essere un'opzione in questi giorni sta diventando sempre più un pericolo per l'Isola;
   sia l'Ispra che la Sogin starebbero a parere dell'interrogante caldeggiando e sostenendo un'ipotesi di realizzazione di tale deposito in Sardegna;
   la visita della commissione avvenuta in gran segreto nei due siti confermerebbe l'intenzione di accelerare;
   in teoria, i tecnici avrebbero dovuto ascoltare qualche amministratore comunale ma tale passaggio in Sardegna sarebbe stato saltato;
   la delegazione è andata dritta nei due siti rimasti top secret ma tutti e due ricompresi nella provincia di Oristano;
   il fatto che la commissione abbia deciso di visionare i due siti è un fatto di una gravità inaudita proprio perché è evidente che si stanno concentrando le attenzioni sulla Sardegna;
   è altrettanto vero che, all'interno della commissione, sono emerse alcune posizioni critiche sui due siti oristanesi ma è emerso anche che la Sogin e la stessa Ispra stanno caldeggiando tale ipotesi;
   tutto questo è un fatto di una gravità inaudita proprio per la sfrontatezza e l'arroganza con la quale secondo l'interrogante si sta muovendo il Governo nonostante la totale contrarietà espressa dalla regione Sardegna;
   secondo indiscrezioni di cui ha preso atto l'interrogante, della delegazione facevano parte personaggi notissimi nell'ambiente del nucleare, tra i quali anche componenti della Commissione nazionale per la VIA e la VAS, nonché membri della Commissione Tecnico-scientifica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e un esperto del Governo italiano per il superamento di situazioni di crisi ambientali;
   si tratta di una compagine che si è mossa per quanto risulta all'interrogante, con una discrezione assoluta e che, a qualsiasi domanda precisa, avrebbe dichiarato di essere vincolata al segreto di Stato;
   un dato è certo, però, il sopralluogo risulta all'interrogante essere stato pianificato nell'ambito degli approfondimenti che si stanno svolgendo per ridurre al minimo il numero dei siti;
   tutto questo a testimonianza del fatto che gli studi posti in essere in materia sono privi, per l'interrogante, di valutazioni oggettive, eseguite sul posto ma si basano solo ed esclusivamente su valutazioni strumentali;
   sino ad oggi la commissione Sogin Ispra ed Enea ha lavorato solo sul database realizzato dagli Stati Uniti (Database of Individuali Seismogenic Sources), nel quale per quanto consta all'interrogante si individua in modo esplicito l'unica regione che sarebbe esente da pericoli;
   si tratta di un piano secondo l'interrogante scellerato, che deve essere respinto senza se e senza ma;
   il fatto stesso che questo sopralluogo sia avvenuto in gran segreto conferma un atteggiamento grave e nefasto dello Stato nei confronti della Sardegna;
   la Sogin, più di tutti gli altri soggetti, risulta all'interrogante agire per promuovere la Sardegna sostanzialmente come terra di conquista per le scorie nucleari;
   la Sardegna non può e non deve essere minimamente considerata nemmeno come ipotesi per tali fini e questo sopralluogo è ad avviso dell'interrogante, un'offesa inaudita al popolo sardo;
   si tratta di un'operazione che, secondo l'interrogante, servirebbe solo a utilizzare fondi senza controllo come è stato sino ad oggi;
   il deposito nucleare unico sarà l'ennesimo pozzo senza fondo;
   questo piano, appare all'interrogante solo uno strumento delle lobby del nucleare e degli appalti che puntano a progettare, spendere e spandere con troppi omissis che non possono in alcun modo essere accettati;
   un deposito unico nazionale che, per ragioni già evidenziate nel passato, costituzionali e di volontà popolare, non potrà trovare nessun accoglimento, per nessuna ragione, in Sardegna;
   dopo dieci anni dal blocco del progetto scellerato della Sogin per la realizzazione di un sito unico nazionale per stoccare tutte le scorie nucleari conservate nelle centrali italiane dismesse e il rientro di molte altre dall'estero, il piano predisposto da Ispra sembrerebbe rimettere in primo piano la Sardegna;
   si rischia una vera e propria rivolta popolare per respingere un'ipotesi devastante che i sardi non accetteranno mai –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale sopralluogo;
   se sia in grado di smentire la presenza di due siti, individuati nell'area dell'Oristanese, destinati alle finalità richiamate in premessa;
   se non ritenga di dover escludere a priori tale ipotesi;
   se non ritenga di dover confermare o smentire ufficialmente le affermazioni rese da un Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio secondo il quale la Sardegna ha già dato e non dovrebbe essere inclusa nell'elenco; (4-10665)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si precisa che il decreto legislativo n. 31 del 2010, entrato in vigore il 23 marzo 2010, originariamente regolamentava la «Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché benefici economici e campagne informative al pubblico, a norma dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99».
  Successivamente, per effetto del decreto-legge n. 34 del 2011 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 114 del 2011, a seguito del referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011, com’è noto, sono state abrogate le disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari ed il citato decreto legislativo n. 31 del 2010 è stato modificato per regolamentare soltanto la «Disciplina dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative, a norma dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99».
  Peraltro, in base alla direttiva 2011/70/Euratom, l'Italia deve provvedere allo «smaltimento» che è inteso come «collocazione di rifiuti radioattivi o di combustibile esaurito, secondo modalità idonee, in un impianto autorizzato senza intenzione di recuperarli successivamente». Per giungere allo smaltimento dei rifiuti radioattivi è attualmente in corso la procedura, comprendente anche la relativa tempistica, per la localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, interamente disciplinata dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010.
  Nell'ambito della suddetta procedura disciplinata dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010, il processo partecipativo che avrà inizio dalla pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) culminerà con il «seminario nazionale», nel corso del quale verranno approfondite tutte le problematiche e gli aspetti tecnici relativi al deposito nazionale. Si giungerà poi all'istruttoria finale di approvazione della Carta nazionale delle aree idonee (CNAI), sulla cui base potranno essere formulate le dichiarazioni di interesse da parte delle amministrazioni regionali interessate ad ospitare il deposito e propedeutiche agli approfondimenti tecnici di dettaglio, della durata di quindici mesi, e all'individuazione del sito definitivo, secondo le dettagliate e tassative procedure definite con il già citato articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010. Pertanto, la localizzazione del deposito nazionale scaturirà solo all'esito di una procedura ampiamente partecipativa.
  Si evidenzia, inoltre, che il rilascio del nulla-osta alla Sogin S.p.A. alla pubblicazione della CNAPI rappresenterà soltanto il momento di avvio, e non di conclusione, della lunga procedura caratterizzata da ampie fasi di consultazione pubblica, nella quale verranno coinvolti regioni ed enti locali interessati, cittadini e comunità scientifica, che porterà prima ad individuare alcune aree idonee ad ospitare il deposito nazionale e solo dopo ad individuare il sito.
  Tenuto conto del percorso istituzionale che ha sinora caratterizzato i lavori dei Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico, si chiarisce che le strutture ministeriali interessate hanno svolto in questi mesi un'intensa attività istruttoria.
  Questo processo normativo non attribuisce ai ministeri alcuna discrezionalità in ordine all'inclusione o esclusione pregiudiziale di specifiche aree fra quelle da prendere in considerazione per l'individuazione del sito in questione che, invece, sono regolate dal citato articolo 27 (autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio del parco tecnologico) del decreto legislativo n. 31 del 2010, laddove ha previsto specifici passaggi per la progressiva selezione dei siti, nonché la possibilità di candidature da parte di singoli territori e la ricerca di un'intesa con le regioni interessate. È in questa sede, infatti, che si potranno fare valere tutte le legittime istanze, anche attraverso la formale interlocuzione con gli enti territoriali specificamente interessati.
  In merito agli articoli di stampa, i quali, secondo l'interrogante, hanno ipotizzato varie localizzazioni per il deposito, si fa presente che gli stessi non si possono considerare attendibili poiché sulla documentazione consegnata ai due dicasteri è prevista la classificazione di riservatezza attribuita dalla Sogin S.p.A. alla proposta di CNAPI. Come tale dunque sarà trattata, conformemente alle vigenti disposizioni, sino alla pubblicazione a seguito del nulla-osta, che sarà rilasciato nei tempi tecnici necessari.
  Si fa presente, inoltre, che nella fase attuale del procedimento di localizzazione del deposito nazionale, non si è ancora giunti alla pubblicazione della CNAPI e le attività di validazione dei risultati cartografici e di verifica tecnica della coerenza degli stessi con i criteri fissati con la guida tecnica n. 29 e, più in generale, dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA), svolte dal citato dipartimento dell'Ispra sono state condotte dallo stesso esclusivamente su base cartografica e documentale senza effettuare alcun sopralluogo in campo.
  Si segnala, infine, che la direzione generale competente di questo Ministero il 4 febbraio 2016 ha inviato alla Commissione europea la relazione sullo stato di attuazione della direttiva 2011/70/Euratom, attualmente consultabile sul sito web del Ministero dell'ambiente e, in data 18 marzo 2016, ha anche avviato il procedimento amministrativo di valutazione ambientale strategica sul programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, redatto congiuntamente con il Ministero dello sviluppo economico.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   POLVERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   dal 1873 opera a Napoli l'istituto Domenico Martuscelli che si occupa soprattutto della formazione scolastica dei non vedenti o ipovedenti coprendo una vastissima area del Mezzogiorno;
   attualmente l'istituto è un ente morale sottoposto – tramite il provveditorato agli studi di Napoli – alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   dispone di un ingente patrimonio immobiliare nel centro di Napoli valutato nell'ordine di almeno 50 milioni di euro;
   nel corso degli anni la situazione amministrativa dell'Istituto è andata via, via deteriorandosi nonostante i continui ripianamenti dei bilanci da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca stesso. Una parte del patrimonio immobiliare è in stato di abbandono e, quindi, inutilizzabile ai fini per i quali è stato donato all'ente o comunque acquisito e, di contro, alcuni immobili risultano invece affittati – come da notizie apparse sulla stampa nazionale o da denunce delle organizzazioni sindacali – a prezzi inferiori a quelli di mercato;
   da sette mesi, gli oltre quaranta dipendenti dell'Istituto non percepiscono lo stipendio pur adoperandosi per garantire per quanto possibile la funzionalità dell'ente;
   si è dovuto assistere ad un rimpallo di responsabilità tra lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'Unione italiana ciechi e la DTL di Napoli sull'eventuale applicazione ai dipendenti dell'Istituto, del decreto legislativo n. 965 del 2001 sulla cosiddetta mobilità;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è finalmente intervenuto, in data 16 giugno 2015, con la nomina di un commissario straordinario – Emanuele Sanfilippo – che allo stato, in base a quanto affermato da alcune organizzazioni sindacali non si sarebbe ancora insediato nonostante l'evidente gravità e urgenza della situazione –:
   in che modo intendano intervenire per scongiurare un ulteriore irreparabile aggravamento della situazione dell'istituto Domenico Martuscelli di Napoli che, è bene ricordarlo, rappresenta un punto di riferimento ed un presidio irrinunciabile del welfare dell'intero Mezzogiorno d'Italia e assicurare, alle lavoratrici ed ai lavoratori dell'ente, il corretto pagamento delle retribuzioni loro spettanti. (4-09709)

  Risposta. — Con riferimento a quanto rappresentato dall'interrogante con l'interrogazione in esame sulla gestione dell'istituto «Domenico Martuscelli» di Napoli, si ritiene opportuno premettere che l'istituto, fondato nel 1873, è un ente di diritto pubblico che, secondo lo statuto in vigore (articolo 1, commi 1 e 2), è qualificato come un «Istituto di istruzione ed assistenza per i ciechi ... sottoposto alla vigilanza del MP.I.».
  Tuttavia, l'istituto attualmente esercita un'attività limitata, consistente nell'assistenza rivolta a un ridotto nucleo di anziani, ospitati in appositi alloggi all'interno dell'istituto nonché un'attività di sostegno erogata a poche unità di giovani ipovedenti e non vedenti. Tale attività evidentemente non si configura come attività d'istruzione.
  Pertanto, allo stato attuale, le finalità indicate all'articolo 3 dello statuto vigente dell'istituto Martuscelli sono quasi completamente disattese.
  Con riferimento al ruolo del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca sulla situazione amministrativa e soprattutto patrimoniale dell'ente, si può osservare, come riportato nella relazione ispettiva disposta dalla competente direzione del Miur conclusasi nel maggio del 2015, che il patrimonio complessivo è attualmente costituito da 161 unità immobiliari, oltre il complesso principale sede dell'Istituto, del valore stimato (attualizzato all'anno 2000) di circa 50 milioni di euro.
  All'uopo occorre ricordare che gli organi di governo dell'istituto, rispetto al prescritto controllo di legittimità sulle alienazioni immobiliari di competenza dell'allora provveditorato agli studi di Napoli, chiesero una verifica sulla fondatezza giuridica di detto controllo al Consiglio di Stato, il quale nel 1997 espresse l'avviso che l'istituto poteva deliberare le alienazioni immobiliari senza la preventiva autorizzazione ministeriale.
  Il risultato di quanto rappresentato ed evidenziato in altra ispezione, questa volta disposta dal competente ufficio periferico del Miur e conclusasi nel novembre del 2010, è che nell'arco di 23 anni, i vari consigli di amministrazione succedutesi nel tempo hanno deliberato l'alienazione di 76 unità immobiliari. In tal modo il patrimonio dell'istituto è stato impoverito, piuttosto che utilizzato come fonte di reddito da reinvestire nel perseguimento dei fini sociali; infatti, la scelta operata dai suddetti consigli è stata quella di tamponare le crisi di liquidità attraverso l'istituto dell'alienazione patrimoniale, senza tuttavia effettuare una pianificazione di ampio respiro finalizzata al risanamento dell'Ente.
  Occorre osservare che il Miur è intervenuto, per quanto di competenza, sulla gestione amministrativa dell'istituto attraverso numerosi pareri (non favorevoli) sui conti consuntivi e sui bilanci di previsione, le due citate ispezioni disposte nel giro di cinque anni e tutto ciò nonostante la suddetta significativa circostanza che, per circa un ventennio, ha esautorato dal controllo di legittimità sulle alienazioni immobiliari gli uffici preposti.
  Ciononostante, si evidenzia che il competente ufficio periferico del Miur non ha limitato il proprio intervento al mero compito di vigilanza, a cui è deputato dalle norme statutarie, ma ha altresì sempre svolto un ruolo propositivo nell'avanzare più volte soluzioni, trasmesse a tutti gli organi competenti, individuate in una serie di iniziative urgenti ed indifferibili, che si possono riassumere come di seguito:
   ridimensionare la pianta organica la quale deve essere calibrata sulle esigenze dell'utenza e sulle reali capacità finanziarie dell'ente;
   rinegoziare con gli enti locali gli importi delle rette attualmente riconosciute per i giovani ancora assistiti nella struttura;
   adottare un sistema contabile rispettoso dei princìpi dettati dalla ragioneria generale dello Stato con il «Regolamento per l'Amministrazione e la contabilità degli enti pubblici non economici» di cui alla legge n. 70 del 1975.

  Occorre aggiungere che l'attuale situazione amministrativa dell'ente è aggravata anche dalla significativa spesa per stipendi a favore di 43 dipendenti, i quali, tra l'altro, non sono posti in condizione di essere pienamente produttivi attesa l'attuale esiguità dell'attività dell'istituto.
  Pertanto, con riferimento ai possibili interventi per scongiurare l'ulteriore aggravamento della situazione dell'Istituto, si rende noto che è stato chiesto al competente Dipartimento della funzione pubblica il parere in ordine all'applicabilità ai dipendenti dell'istituto Martuscelli della cosiddetta «mobilità» di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Si rappresenta, infine, che in data 16 giugno 2015 si è insediato il Commissario straordinario col mandato di predisporre un nuovo Statuto, ripristinare la sostenibilità economica di lungo periodo dell'ente ed azzerare l'esposizione debitoria.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   RAMPELLI. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   in seguito alla diffusione del batterio patogeno xylella fastidiosa sulle piante di ulivi nella zona del Salento è stato disposto l'abbattimento delle piante infette e di tutte quelle che si trovano in prossimità ad esse;
   il Nuovo Quotidiano di Puglia di domenica 11 ottobre 2015 riportava a pagina 4, in una nota, l'informazione fornita dai comitati «No Tap» circa una strana coincidenza tra l'ipotesi di tracciato del metanodotto ipotizzato da Snam, collegato a Tap, e la zona in cui ci saranno i maggiori abbattimenti di ulivi a causa dei focolai di xylella fastidiosa;
   nello specifico, il Tap dif Melendugno (Lecce) dovrebbe essere collegato allo snodo di Mesagne (Brindisi) attraverso i territori di Veglie (Lecce), Oria e Torchiarolo (Brindisi): si tratta dei territori nei quali è previsto il maggior numero di abbattimenti;
   tale notizia è stata ripresa da un emittente televisiva che proprio sull'argomento riporta le dichiarazioni del sindaco del comune di Torchiarolo, che oltre ad evidenziare come il gasdotto sia «provvidenziale» per lo sviluppo del territorio, ha sottolineato che «io non sono un ingenuo e questa possibilità che ci sia una coincidenza voluta o casuale non mi sfugge», e poi, riferendosi ad un incontro che lo stesso sindaco ha tenuto con i dirigenti SNAM il 22 ottobre 2015, ha dichiarato che avrebbe valutato «insieme se ci saranno subdoli interessi»;
   nonostante i pareri negati della regione Puglia, il Governo nell'aprile 2015 ha dato mandato per la realizzazione del gasdotto in questione, provocando la presa di posizione netta da parte di comitati e amministrazioni locali, i quali avevano già sollevato dubbi e perplessità sull'opera, sia dal punto di vista di impatto ambientale sia in termini economici;
   il Fatto Quotidiano già nel dicembre 2013 aveva sollevato simili dubbi e aveva messo in luce come la joint venture «Trans Adriatic Pipeline AG» abbia sede in Svizzera, a Baar, nel cantone di Zug, dove le società anonime, come questa, grazie alla tassazione di vantaggio superano di dodici volte il numero degli abitanti –:
   per quali motivi si sia ritenuto di autorizzare la realizzazione del gasdotto, e se e di quali elementi disponga in merito all'ipotesi di un collegamento tra il tracciato dello stesso e gli abbattimenti di ulivi. (4-11064)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché sulla base degli elementi rappresentati dal Ministero dello sviluppo economico, si evidenzia quanto segue.
  Si premette che il gasdotto di interconnessione denominato «Trans Adriatic Pipeline» (TAP) e il «Metanodotto di interconnessione TAP», costituiscono due infrastrutture distinte e sono riconducibili a due iter amministrativi diversi.
  La prima (TAP) proposta dalla società Trans Adriatic Pipeline è stata autorizzata dal Ministero dello sviluppo economico con decreto del 20 maggio 2015.
  La seconda, proposta da SNAM Rete Gas in qualità di gestore della rete nazionale, ha la finalità di connettere il gasdotto TAP alla Rete nazionale di trasporto esistente.
  Per questa seconda infrastruttura è in corso l'iter autorizzativo presso il Ministero dello sviluppo economico che ne ha avviato il relativo procedimento l'11 aprile 2016.
  Nell'ambito del citato procedimento di autorizzazione, il tracciato proposto da Snam Rete Gas per il progetto del «Metanodotto di interconnessione TAP» è attualmente in corso di valutazione presso questo dicastero per i profili di impatto ambientale.
  Ciò premesso, si evidenzia che quanto affermato dai comitati «No TAP» circa la coincidenza tra l'ipotesi formulata da Snam del tracciato del metanodotto collegato a TAP, e la zona in cui ci saranno i maggiori abbattimenti di alberi di ulivo a causa della diffusione del batterio patogeno xylella fastidiosa, non è riscontrabile nella documentazione progettuale fornita dalla società Snam a corredo dell'istanza di valutazione dell'impatto ambientale, ex articolo 23 del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativa al «Metanodotto d interconnessione TAP».
  Ad ogni modo la valutazione dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Tale verifica ad oggi non risulta ancora conclusa, ma qualora il tracciato dovesse incontrare motivi ostativi in ragione di aspetti relativi alla compatibilità ambientale, sarà oggetto delle opportune valutazioni.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a svolgere le valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione tenendosi costantemente informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ROCCELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la surrogazione di maternità è sanzionata dalla legge n. 40, articolo 12 comma 6, che recita: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
   nonostante la legge vigente, questa pratica non viene sanzionata dai tribunali italiani, che finora non hanno agito contro chi vi fa personalmente ricorso (si assiste frequentemente a trasmissioni televisive in cui si racconta di tale pratica effettuata all'estero, sia da parte di cittadini comuni, sia di persone con ruoli istituzionali di rilievo), e neppure nei confronti di coloro che organizzano dall'Italia questo mercato, nonostante denunce circostanziate e nonostante la facilità di verificare le violazioni della legge n. 40 in merito alla maternità surrogata attraverso le pubblicità e gli annunci su Internet;
   come recentemente affermato anche in una recente mozione approvata dal Comitato nazionale per la bioetica «l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, è in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali» e «la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione»;
   le ipotesi di maternità surrogata a scopo puramente altruistico sono smentite dai contratti tra le parti; nei Paesi ove il pagamento è formalmente vietato, in genere si parla genericamente di «rimborsi», ma la conferma del fatto che si tratta di gravidanza dietro compenso è confermata dall'esistenza del contratto, e dal fatto che l'ovocita femminile appartiene sempre a una donna diversa dalla madre gestante, costringendo due donne diverse, entrambe fertili, a sottoporsi a trattamenti farmacologici inappropriati (perché destinati a donne infertili) e spesso pericolosi per la salute fisica e psichica; se si trattasse di un «dono» la necessità di questa scissione, che serve a garantire il committente da eventuali contenziosi, verrebbe meno;
   la donna che fornisce i propri ovociti viene in genere scelta in base a criteri con connotazioni razziste, cioè al fenotipo (pelle bianca, colore occhi e capelli, aspetto gradevole) e alle capacità intellettive (possibilmente con grado elevato di istruzione), e viene pagata di conseguenza, mentre quella che porta avanti la gravidanza deve solo godere di buona salute, e solitamente appartiene a Paesi terzi da cui non vengono esportati ovociti (India, Guatemala, Nepal) perché l'aspetto fisico di donne di queste etnie non corrisponde agli standard richiesti dal mercato; come recentemente riportato da un'inchiesta su questo fenomeno del periodico « Vanity Fair»: «Per risparmiare, facciamo così. Siccome la maggior parte della gente vuole bambini bianchi, facciamo l'inseminazione negli Stati Uniti, trasportiamo gli embrioni congelati in Israele e poi li portiamo in Nepal, dove abbiamo creato una clinica. Le madri vengono quasi tutte dall'India, dove c’è grande disponibilità. I vantaggi sono i costi bassi e la maggior velocità, perché in Nepal non c’è la burocrazia contrattuale che c’è in America»;
   se si trattasse di «dono del grembo», e non di utero in affitto, potrebbe essere un'unica donna a contribuire con i propri ovociti e con la gravida a, cedendo il figlio alla nascita in modalità analoghe a quelle che in Italia sono note come «parto anonimo»; si ricorda che modalità di adozione concordate prima della nascita sono legittime in diversi stati, anche nei confronti di coppie omosessuali;
   anche nei Paesi dove formalmente la surroga è gratuita, sono presenti, come abbiamo detto, forme di pagamento surrettizie mascherate da rimborsi spese, come è facile constatare attraverso gli annunci su Internet e le inchieste giornalistiche, ad esempio quella già menzionata di « Vanity Fair», in cui si legge: «In realtà nessuna lo fa gratis, nemmeno in Canada dove le forme di compenso vengono registrate come rimborso spese»;
   la «cessione» di bambini al di fuori dei percorsi adottivi è considerata reato, in quanto tratta di esseri umani, in tutti i Paesi del mondo –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato perché siano implementate le sanzioni previste per il reato di surrogazione di maternità e sia quindi tutelata la dignità delle donne e dei bambini, e se, nelle more, intenda avvalersi del dispositivo dell'articolo 9 del codice penale che prevede, per reati commessi all'estero da cittadini italiani, per i quali la legge italiana stabilisce una pena restrittiva della libertà personale di durata minore di tre anni, che il colpevole sia punito «a richiesta del Ministro della giustizia». (4-12706)

  Risposta. — Mediante l'atto ispettivo in esame, la deputata Roccella – dopo aver stigmatizzato il ricorso alla pratica della surrogazione di maternità e aver prospettato il rischio di possibile sfruttamento delle donne che accettano di portare avanti la gravidanza – lamenta come, di fatto, i tribunali italiani non applichino le sanzioni previste dalla legge n. 40 del 2004, vanificando l'incriminazione penale prevista dal legislatore.
  A riguardo appare opportuno premettere come l'impianto della legge che disciplina, in Italia, la fecondazione assistita e la maternità surrogata e l'assetto originario di tale normativa siano stati progressivamente modulati secondo le pronunce emesse, in materia, dalla Corte costituzionale.
  Nessun intervento della Consulta ha, invece, investito l'articolo 12, comma 6, della legge citata, sicché – anche in assenza di una espressa indicazione normativa – deve ritenersi che la procedibilità, secondo la legge italiana, dei reati comuni commessi all'estero dal cittadino – qual è, appunto, quello previsto e punito ai sensi della norma citata – sia sottoposta all'ulteriore condizione della doppia incriminazione del fatto. Come noto, difatti, perché un fatto possa essere penalmente sanzionato nel nostro Paese, è necessario che sia previsto come reato sia dalla legge italiana, sia dalla normativa vigente nello Stato nel quale è stato commesso.
  Si tratta di un principio generale, rinvenibile già nei lavori preparatori del nostro codice penale, recepito anche dalla Corte di Cassazione e condiviso dalla quasi totalità dei sistemi penali degli Stati europei.
  Esistono, tuttavia, Paesi in cui la surrogazione di maternità non è soggetta ad incriminazione.
  Il necessario rispetto del principio della doppia incriminazione preclude, pertanto, in tali casi, che l'azione penale possa anche solo essere iniziata nel nostro Paese.
  Quanto al menzionato articolo 9 del codice penale, evidenzio che nella qualità di Ministro della giustizia esercito le mie prerogative nelle forme previste dalla legge e, pertanto, soltanto in presenza di una richiesta della competente autorità giudiziaria.
  In particolare, dalla consultazione degli atti della competente articolazione risulta che, dall'anno 2012, nei soli tre casi in cui l'autorità giudiziaria ne ha fatto richiesta il Ministro della giustizia ha formulato istanza di perseguimento ex articolo 9 del codice penale in relazione al reato di cui all'articolo 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, una delle quali a mia firma.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   RUBINATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11, comma 3, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Misure urgenti in materia di concorrenza, liberalizzazioni e infrastrutture», convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevede che «le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad assicurare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la conclusione del concorso straordinario e l'assegnazione delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 e di quelle vacanti»;
   il concorso straordinario per l'assegnazione di nuove sedi farmaceutiche, con regole nuove tra cui l'associazione tra concorrenti e conseguente somma dei titoli e una piattaforma ministeriale per rendere il tutto più semplice e veloce, doveva portare all'apertura di migliaia di nuove farmacie su tutto il territorio nazionale nel giro di un anno;
   nello specifico l'articolo 11 prevede: la rideterminazione a 3.300 del numero dei residenti per ogni farmacia nel comune, nonché l'individuazione da parte dei comuni stessi delle nuove sedi di farmacie nel proprio territorio obbligatoriamente secondo il nuovo indicatore, sulla base di dati ISTAT della popolazione residente al 31 dicembre 2010; l'invio dei dati da parte dei comuni alla regione entro e non oltre 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, cioè il 25 aprile 2012. Il medesimo articolo 11, al comma 3, stabilisce che le regioni provvedano ad assicurare entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione, cioè entro il 25 marzo 2013 la conclusione del concorso straordinario nonché l'assegnazione delle sedi farmaceutiche poste a concorso;
   ad oggi la regione del Veneto ha solamente bandito il concorso regionale in data 6 novembre 2012 con decreto della giunta regionale n. 2199, nonché pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione la graduatoria unica dei concorrenti, approvata dall'apposita commissione esaminatrice, in data 20 marzo 2015, mentre altre regioni hanno già completato o stanno già facendo l'assegnazione delle nuove sedi farmaceutiche a concorso, come ad esempio la Toscana (concluso il 1° Interpello a luglio 2015 e successiva assegnazione), il Piemonte (espletato il 1o interpello con assegnate 70 sedi farmaceutiche di cui 5 farmacie già aperte), l'Emilia Romagna (già partito il 1° interpello al 10 gennaio 2016), la Puglia (eseguito il 1o interpello a novembre 2015 ed in avvio l'assegnazione delle sedi farmaceutiche), nonché la Lombardia (il 1o interpello è partito il 6 marzo 2016 ore 18.00);
   sul territorio della regione Veneto, essendo ormai decorsi quasi 3 anni dalla scadenza del termine dei 12 mesi assegnato dalla legge n. 27 del 24 marzo 2012 per l'espletamento del concorso, è sempre più difficile reperire la disponibilità di strutture edilizie ad uso commerciale, a fronte peraltro della perentorietà dei 180 giorni previsti per l'apertura della farmacia dalla sua assegnazione;
   tenuto anche conto di questi anni di crisi, le 223 farmacie in concorso per il Veneto potrebbero creare un migliaio di nuovi posti di lavoro tra farmacisti, magazzinieri dei depositi con il loro indotto, corrieri, artigiani, locatari di locali commerciali, senza considerare il plusvalore generato a beneficio sia delle case sia dei negozi dell'intera area dall'apertura della farmacia, con ricadute comunque positive anche per il Paese –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare, nel rispetto delle proprie competenze e di quelle regionali in materia sanitaria, affinché si dia attuazione alla normativa citata in premessa su tutto il territorio nazionale, incluso il Veneto, portando a conclusione quanto prima tutte le fasi del concorso straordinario per l'assegnazione di nuove sedi farmaceutiche. (4-12760)

  Risposta. — L'articolo 11 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ha previsto l'apertura di nuove sedi farmaceutiche e ha autorizzato le regioni a bandire un concorso straordinario per l'assegnazione delle sedi farmaceutiche di nuova istituzione e vacanti.
  In particolare, il comma 9, secondo periodo, dell'articolo 11, dispone che «Nel caso in cui le regioni o le province autonome di Trento e di Bolzano non provvedano nel senso indicato ovvero non provvedano a bandire il concorso straordinario e a concluderlo entro i termini di cui al comma 3, il Consiglio dei ministri esercita i poteri sostitutivi di cui all'articolo 120 della Costituzione con la nomina di un apposito commissario che provvede in sostituzione dell'amministrazione inadempiente anche espletando le procedure concorsuali ai sensi del presente articolo».
  Si rammenta che il termine prestabilito dal comma 3 dell'articolo 11 è di 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 1 del 2012.
  Per quanto concerne le iniziative da parte del Ministero della salute per garantire la conclusione delle procedure concorsuali, occorre precisare che, ad oggi, quasi tutte le regioni, ad eccezione dell'Umbria, della Campania, della Basilicata, della Calabria, della Sicilia e della Sardegna, nelle quali sono attualmente in corso le procedure finalizzate alla valutazione dei titoli, hanno pubblicato la graduatoria e alcune di esse hanno già avviato la fase di interpello e accettazione.
  Allo stato, sembra pertanto che le procedure si stiano avviando a conclusione.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   SARTI, SPADONI, FERRARESI, DELL'ORCO, DALL'OSSO, PAOLO BERNINI, TERZONI, MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si stanno moltiplicando le segnalazioni, riportate anche dalla stampa, con ampia documentazione fotografica, della presenza di una piattaforma in mare, alta oltre 100 metri, di fronte al comune di Cesenatico (a mero titolo di esempio: http://www.ilrestodelcarlino.it/cesena/piattafor-ma-pozzo-cesenatico-1.1697609; http://www. cesenatoday.it/cronaca/piattaforma-mare-cesenatico-dubbi-polemiche.html);
   si tratterebbe della Key Manhattan che, secondo quanto dichiarato dal sindaco di Cesenatico, dovrebbe svolgere attività di manutenzione volte a riattivare la produzione di metano presso il pozzo Morena 001, chiuso dal 2008, all'interno della concessione di coltivazione A.C.28.EA dell'ENI;
   la concessione è stata rilasciata nel 1997. La piattaforma è stata realizzata nel 1996. Da quanto risulta agli interroganti il pozzo in questione è stato perforato nel 1994;
   in entrambi i casi, sia per l'intervento in corso in queste ore sia per la perforazione del pozzo e l'installazione della piattaforma, non risulterebbe essere mai stata effettuata la prescritta valutazione di impatto ambientale o, almeno, non  sarebbe citata nell'atto di concessione;
   nell'archivio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – direzione VIA non risulta agli interroganti, sulla base di una ricerca effettuata sia con la parola «Morena» sia con il nome della concessione, alcuna procedura di v.i.a., sia per il passato sia per l'intervento odierno;
   appare evidente che riaprire un pozzo chiuso da otto anni attraverso il posizionamento sul fondale di una piattaforma alta 100 metri che dovrebbe operare per due mesi e riavviare l'estrazione da un pozzo a 4 chilometri dalla costa, per un intervento che non sarebbe stato mai sottoposto a v.i.a., a suo tempo, non può essere ridotto ad un intervento di mera manutenzione, anche straordinaria;
   il decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni obbliga a sottoporre alla procedura di v.i.a, anche le modifiche sostanziali di progetti esistenti, anche quando sono stati già sottoposti a v.i.a. Qui addirittura si trova di fronte ad un progetto che non risulterebbe essere stato mai sottoposto alla procedura nonostante i progetti di estrazione di gas fossero inseriti già nell'allegato II della direttiva 337 del 1985 (la prima direttiva sulla v.i.a.);
   le attività in corso sono tra quelle considerate a forte rischio secondo il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 145, «Attuazione della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE», visto che le operazioni di pozzo, compresa la riparazione, sono tra quelle per le quali sarebbe prevista la redazione di una relazione sui grandi rischi;
   la riattivazione di un pozzo può determinare potenziali effetti sull'ambiente tra i quali, a mero titolo di esempio:
    nella fase di cantiere: si possono verificare perturbazione delle specie e degli ambienti di fondale in via diretta per l'appoggio della piattaforma, perturbazione del fondale sollevando sedimenti che possono viaggiare anche per centinaia di metri, rischio di incidenti con sversamenti di sostanze, uso di sostanze che possono causare impatti sull'acqua e sul suolo emissioni in atmosfera derivanti dal funzionamento dei macchinari;
   nella fase di estrazione: si possono determinare subsidenza, con impatti potenzialmente anche rilevanti sulla costa vista la vicinanza della piattaforma (soli 4 chilometri), basti pensare ai problemi erosivi, rilascio di idrocarburi in acqua da perdite e incidenti;
   secondo quanto riporta il sito dell'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse la scadenza naturale della concessione è il 1° gennaio 2017, mentre è stata presentata una richiesta di proroga nel 2012 –:
   se l'intervento di cui in premessa sia stato sottoposto a v.i.a. o a verifica di assoggettabilità a v.i.a.;
   in caso negativo, se il Ministro interrogato non ritenga che le attività in corso siano da assoggettare a procedure di v.i.a. assoggettabilità a v.i.a. e, in caso affermativo, non sia il caso di sospendere ogni attività in mare. (4-11964)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche afferenti la piattaforma «Key Manhattan» sita in mare Adriatico di fronte al comune di Cesenatico, in provincia di Forlì-Cesena, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si evidenzia, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si segnala, inoltre, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Riguardo la predetta normativa, lo scorso 17 aprile si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estratte gas o petrolio da piattaforme
offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter rinnovare la concessione fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  Con riferimento alle attività sul pozzo «Morena 1» nell'ambito della concessione di coltivazione A.C. - 28 della Società ENI, si comunica che agli atti della competente direzione di questo dicastero risulta che il pozzo in questione non è stato assoggettato a VIA in quanto realizzato prima dell'entrata in vigore della normativa VIA relativa a dette attività (decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1994).
  Per quanto utile si rappresenta, sulla base di notizie reperite sul sito web del Ministero dello sviluppo economico, che il detto pozzo Morena 1, perforato ed in produzione già dal 1994 e facente parte della concessione in esclusiva dell'ENI, ai sensi della legge n. 136 del 1953, è stato autorizzato a continuare la produzione con provvedimento del Ministero delle attività produttive del 18 giugno 1998.
  Più in generale, in relazione alle vecchie piattaforme non sottoposte a VIA, si osserva che solo nel 1985 è stata emanata una prima direttiva comunitaria recante la disciplina in materia (direttiva 1985/337/CEE, poi sostituita dalla direttiva 2011/92/UE).
  Si fa presente, tuttavia, che le piattaforme per le quali non è stata svolta la valutazione di impatto ambientale, in quanto installate precedentemente all'entrata in vigore della relativa normativa, sono comunque sottoposte, qualora aventi più di uno scarico emissivo, all'autorizzazione integrata ambientale (AIA).
  In particolare, secondo quanto previsto dall'articolo 29-
decies del decreto legislativo n. 152 del 2006, la verifica del rispetto dei valori limite di emissione stabiliti dalle AIA per le piattaforme di produzione a mare, viene effettuata dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) in coordinamento con gli uffici territoriali competenti del Ministero dello sviluppo economico.
  Al riguardo, peraltro, si segnala che, come recentemente statuito dalla Corte di giustizia Unione europea (sentenza 11 febbraio 2015 nella causa C-531/13), la decisione sul se le trivellazioni esplorative debbano essere sottoposte o meno a VIA spetta ai singoli stati membri, che possono a tal fine fissare soglie e criteri applicativi oppure decidere di valutare singolarmente i vari progetti. Tanto a comprova del fatto che la normativa italiana sia più restrittiva di quella comunitaria secondo la quale la trivellazione finalizzata ad estrarre gas e petrolio per poter determinare la convenienza commerciale del giacimento, non rientra tra i progetti per i quali è sempre obbligatoria la valutazione d'impatto ambientale.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, tenendosi costantemente informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SARTI, SPADONI, FERRARESI, DELL'ORCO, DALL'OSSO, PAOLO BERNINI, TERZONI, MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 30 gennaio 2016 è stata posizionata, immediatamente davanti alla costa di Cesenatico (a circa 4 chilometri dalla riva su un fondale di 10 metri di profondità), la piattaforma galleggiante GSF «Key Manhattan» (tecnicamente un impianto Jack-Up Drilling Unit di circa 600 tonnellate, con tre torri alte circa 150 metri) della società Transocean, nei pressi del pozzo Morena 1 di: Eni S.p.A., appartenente alla concessione di coltivazione «A.0 28 EA»;
   la concessione di coltivazione, per l'estrazione di gas, del pozzo Morena 1, perforato nel 1994, prorogato nel 1997, ed in produzione fino al 2008, scade fra meno di un anno, il 1° gennaio 2017, ma è stata presentata, in data 2 marzo 2012, istanza di proroga decennale della concessione di coltivazione «A.0 28.EA» della Società Eni S.p.a. pubblicata sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (BUIG) Anno LVI – n. 6 del 30 giugno 2012;
   non risulta nessuna attività preventiva di informazione e partecipazione rivolta alla cittadinanza, né tanto meno, di valutazione dei possibili impatti ambientali (ma anche economici);
   Eni ha già fatto sapere che l'attività prevista rientra nelle «normali attività di manutenzione di un pozzo... finalizzata all'adeguamento tecnologico necessario al miglioramento continuo della sicurezza degli impianti, attraverso l'inserimento nel pozzo di una tecnologia avanzata denominata Sand Control che limita il trasporto in superficie della sabbia, consentendo così la produzione selettiva del solo gas metano»;
   la stessa Eni descrive diversamente, nei suoi documenti, la tecnologia di « Sand Control»: «le tecniche di Sand Control previste sono quelle in foro tubato (Inside Casing Gravel Pack) e, in particolare, l’High Rate Water Pack ed il Frac Pack. Nell’High Rate Water Pack, la sabbia viene trasportata mediante brine, con pressioni di trattamento ben inferiori alla pressione di fratturazione e con elevate portate. Nel Frac Pack, invece, vengono realizzate delle vere a proprie fratture che vengono riempite di proppant a granulometria controllata per mantenerle aperte nel tempo e consentire di avere una produttività del livello più elevata. Le tipologie di «Sand Control» da adottare vengono scelte di volta in volta sulla base delle caratteristiche della formazione, distanza dalla tavola d'acqua, numero di livelli produttivi presenti, distanza tra gli stessi, presenza di livelli di argille o strati impermeabili» (citazione dallo Studio di Impatto Ambientale del progetto Clara NW di ENI, anno 2012);
   sulla rivista AB Oil così viene descritta la stessa tecnologia: «Eliminare le infiltrazioni di sabbia è stata una delle sfide più ardue mai affrontate dagli ingegneri sin dall'inizio delle attività gas-petrolifere in mare». Le tecnologie di controllo della sabbia si sono evolute negli anni, prima di tutto con il processo di completamento gravel pack, che funge da filtro nel pozzo al livello di formazione produttiva per impedire le infiltrazioni di sabbia. Quando gli operatori si sono resi conto che più grande e spesso era il filtro, migliori erano le prestazioni del pozzo, hanno combinato la tecnologia di fatturazione idraulica con il completamento gravel pack, dando vita a quello che oggi è chiamato processo Frac Pack e migliorando così l'efficienza operativa e il recupero del petrolio e del gas»;
   appare chiaro secondo gli interroganti come nulla c'entri la sicurezza del pozzo in questione quanto, piuttosto, la volontà di aumentare dei profitti, tornando a sfruttare un pozzo giudicato in precedenza esaurito;
   allo stesso modo appare difficile credere a giudizio degli interroganti anche per gli ingenti costi connessi, che questa operazione sia destinata a rimettere in produzione un singolo pozzo per un intervallo temporale di poco più di 8 mesi;
   le operazioni sopra descritte sono più simili ad una nuova perforazione che alla manutenzione ordinaria di un pozzo già esistente;
   nel decreto di attribuzione ad Eni S.p.A., emesso in data 18 giugno 1998, della concessione «A.C. 28 EA» per venti anni, fino al 1° gennaio 2017, oltre a prevedere «la sola prosecuzione dell'attività con il pozzo e gli impianti esistenti e con il trattamento del gas presso la Centrale «Rubicone», erano previsti «lavori di ulteriore ricerca» riguardo ai due prospetti denominato «Cesenatico Mare Nord» e «Cesenatico Mare Est» consistenti: nella interpretazione del rilievo 3D Adria, nella perforazione, entro 6 anni dall'attribuzione, di un sondaggio esplorativo della profondità di 2500 metri, per l'accertamento dei prospetti individuati e, subordinatamente ai risultati del suddetto sondaggio, nella perforazione di un ulteriore pozzo esplorativo»;
   il rischio idrogeologico, con subsidenza di oltre 5 centimetri all'anno, erosione delle spiagge, pericolo di ingressione anche nelle acque di falda, rischio di allagamenti nella zona di Cesenatico, è già abbastanza elevato senza la ripresa di un'estrazione di metano a pochi chilometri dalla riva;
   dalla metà del ’900 la subsidenza della fascia costiera emiliano-romagnola ha subito un forte incremento per ragioni strettamente dipendenti dalle attività umane. In questo caso le cause sono: la bonifica di vaste aree paludose nell'area ravennate e ferrarese, l'estrazione di acqua dalle falde mediante migliaia di pozzi e la coltivazione di decine di giacimenti di metano a terra e in mare nell'area compresa tra Cesenatico e Porto Garibaldi; queste attività hanno decuplicato la velocità di abbassamento del suolo, a Cesenatico, nella seconda metà degli anni ’80, la subsidenza ha raggiunto picchi di 5 centimetri/anno, tra il 1950 e il 2000, Rimini si è abbassata di circa 63 centimetri e l'intero territorio costiero a nord di Cesenatico ha perso 1 metro di quota rispetto al medio mare;
   poiché gli abbassamenti non si limitano alla terraferma, ma interessano anche la spiaggia sommersa, si stima in circa 100 milioni di metri cubi la quantità di sedimento necessaria per riportare il profilo di spiaggia e del fondale alle condizioni dei primi anni ’50; infatti, la perdita in 50 anni di un metro di quota rispetto al medio mare di una fascia costiera, già di per sé poco elevata, ha aumentato moltissimo il grado di vulnerabilità di terre e abitati;
   è possibile fare delle stime fondate sui costi del ripascimento causato dalla subsidenza; infatti, l'abbassamento di un centimetro all'anno comporta, nello stesso periodo, una perdita di un milione di metri cubi di sabbia sui circa 100 chilometri di costa regionale ed assegnando alla sabbia il costo di 13 euro al metro cubo, ogni anno andrebbero spesi 13 milioni di euro per rimpiazzare la sabbia persa, quindi poiché nella fascia costiera, tra il 1950 e il 2005, per via dell'abbassamento di circa 1 metro, sono andati perduti circa 100.000.000 di metri cubi di sabbia, si potrebbe così stimare un danno di 1,3 miliardi di euro –:
   se la società Eni S.p.A. o una società terza da essa incaricata abbia presentato richieste autorizzatorie per i lavori in corso o di prossima esecuzione;
   se i lavori in corso si muovano nell'ambito del decreto di attribuzione ad Eni S.p.A., emesso in data 18 giugno 1998 della concessione di coltivazione «A.C 28 EA» ed, in particolare, se pur essendo scaduti i termini dei lavori di ulteriore ricerca (sei anni) le operazioni di questi giorni facciano riferimento a quelle possibilità;
   se risulti accordata la proroga richiesta da Eni S.p.A. per la concessione di coltivazione «A.C 28 EA» dal 1° gennaio 2017 al 1° gennaio 2027;
   se il Governo disponga di elementi circa il prolungamento della vita utile, oltre il 2016, del suddetto pozzo, oltreché riguardo ad analoghi lavori in altri pozzi in zone adiacenti;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative di competenza per la formalizzazione di una procedura di impatto ambientale, con le necessarie garanzie per cittadini e l'ambiente e, in mancanza di questa, come pensi di tutelare entrambi;
   se il Governo abbia proceduto ad una stima sia dei danni diretti (ripascimento, rischio allagamenti), sia indiretti (presenze turistiche, appetibilità della zona per i tour operator) che una simile attività potrebbe comportare;
   se il Governo abbia avuto una qualche forma di consultazione da parte del proponente Eni S.p.A. prima dell'inizio dei lavori;
   se il Governo non ritenga necessario assumere informazioni dettagliate su quanto stia avvenendo nel mare di Cesenatico, in particolare sul tipo di tecnologia di controllo delle sabbie utilizzata da Eni S.p.A, al fine di verificare se si stia adoperando una tecnologia di Frac Pack e quali garanzie Eni S.p.A. sia disposta a fornire sull'impatto di queste operazioni (gestione dei fanghi, reflui e rifiuti).
(4-12010)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche afferenti la piattaforma « Key Manhattan» sita in mare Adriatico di fronte al comune di Cesenatico, in provincia di Forlì-Cesena, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si evidenzia, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si segnala, inoltre, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli, abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti, messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Riguardo la predetta normativa, lo scorso 17 aprile si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter proseguire le attività fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  Con riferimento alle attività sul pozzo «Morena 1» nell'ambito della concessione di coltivazione A.C. – 28 della Società ENI, si comunica che agli atti della competente direzione di questo dicastero risulta che il pozzo in questione non è stato assoggettato a VIA in quanto realizzato prima dell'entrata in vigore della normativa VIA relativa a dette attività (decreto del Presidente della Repubblica 526 del 1994).
  Si fa presente, tuttavia, che le piattaforme per le quali non è stata svolta la valutazione di impatto ambientale, in quanto installate precedentemente all'entrata in vigore della relativa normativa, sono comunque sottoposte, qualora aventi più di uno scarico emissivo, all'autorizzazione integrata ambientale (AIA).
  In particolare, secondo quanto previsto dall'articolo 29-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006, la verifica del rispetto dei valori limite di emissione stabiliti dalle AIA per le piattaforme di produzione a mare, viene effettuata dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) in coordinamento con gli uffici territoriali competenti del Ministero dello sviluppo economico.
  In ogni caso, sulla base delle informazioni fornite dal viceministro allo Sviluppo economico lo scorso 23 febbraio, rispondendo ad una interrogazione sull'argomento in commissione attività produttive alla Camera, è stato evidenziato che il detto pozzo «Morena 1», perforato ed in produzione già dal 1994 e facente parte delle concessioni in esclusiva dell'ENI, ai sensi della elegge n. 136 del 1953, è stato autorizzato a continuare la produzione con provvedimento del Ministero delle attività produttive del 18 giugno 1998 per la durata di 20 anni. Per tale titolo minerario, in scadenza al 2017, è stata presentata dalla società istanza di proroga decennale attualmente oggetto di istruttoria da parte del competente Ministero dello sviluppo economico.
  Sempre secondo quanto riferito dal viceministro allo sviluppo economico, la ripresa della produzione del pozzo è quindi attualmente solo ipotizzata dall'Eni S.p.A., in base alle risultanze degli interventi che la società sta portando a compimento sugli impianti. La ripresa delle attività potrà essere autorizzata solo nel caso in cui l'operatore sia in grado di ripristinare la produzione del pozzo in condizioni di massima sicurezza anche ambientale, nell'ambito di un titolo già vigente nelle 12 miglia e nel pieno rispetto della normativa attualmente in vigore.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero, per il tramite della competente direzione generale, continuerà a svolgere le valutazioni in materia con il massimo grado di attenzione, tenendosi costantemente informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, PARENTELA, VIGNAROLI e LUPO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014 la Commissione Europea, a seguito di numerosi esposti provenienti da cittadini, comitati ed associazioni ha aperto una procedura Pilot 6730/2014/ENVI, sulle modalità di svolgimento della valutazione di incidenza ambientale prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni;
   il 30 marzo 2015 la Presidenza del Consiglio – dipartimento per le politiche europee ha scritto alle regioni allegando una nota tecnica della Commissione europea in cui sono sollevate 21 criticità relativamente alle procedure di valutazione di incidenza ambientale;
   tra le problematiche sollevate vi sono, tra l'altro, quelle relative alla trasparenza dei procedimenti e alla partecipazione del pubblico, alla capacità tecnica dei redattori degli studi e dei valutatori, alla mancanza di una visione d'insieme degli impatti sui siti derivanti dalla sommatoria dei singoli progetti valutati, alla capacità di assicurare un controllo efficace sul rispetto delle prescrizioni, alla incapacità di adempiere agli obblighi di monitoraggio ante e post-operam;
   più specificatamente al punto 5 della lettera la Commissione richiede un maggiore coinvolgimento dei soggetti gestori delle aree Natura2000 nelle procedure di VINCA; si evidenzia che il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni, prevede come obbligatorio il coinvolgimento delle aree protette solo nel caso siano di livello nazionale;
   al punto 7 della lettera della Commissione richiede l'attivazione di un archivio informatico nazionale sulla valutazione di incidenza ambientale;
   al punto 13 richiede di prevedere espressamente che la valutazione d'impatto ambientale abbia una durata massima di 5 anni;
   al punto 14 sui controlli in merito all'attuazione delle prescrizioni chiede il rafforzamento del ruolo del Corpo forestale dello Stato;
   al punto 16 la Commissione chiede di rafforzare il coordinamento tra le direzioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (conservazione della natura e valutazione d'impatto ambientale);
   al punto 18 si richiede di modificare il decreto 7 luglio 2011 n. 121 per prevedere la responsabilità degli amministratori competenti e di chi approva le valutazioni d'impatto ambientale nonché di modificare l'articolo 733-bis per precisare meglio i «casi consentiti»;
   al punto 21 la Commissione chiede di rafforzare il ruolo dell'ISPRA e delle agenzie regionali nelle attività di verifica rispetto alla realizzazione delle misure di compensazione e nella valutazione tecnica delle procedure di VINCA;
   per quanto riguarda la trasparenza si ricorda che il decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni in relazione alle procedure di valutazione di incidenza ambientale purtroppo non ha previsto l'obbligo per le regioni di assicurare che i procedimenti amministrativi connessi fossero partecipati e trasparenti, nonostante l'articolo 6, comma 2, della convenzione di Aarhus, ratificata dalla Stato italiano con la legge n. 108 del 16 marzo 2001 stabilisca che tutti i procedimenti di carattere ambientale siano oggetto di pubblicità e debbano prevedere obbligatoriamente una fase di partecipazione pubblica;
   numerosi tentativi, sotto forma di emendamenti a vari provvedimenti, da parte del M5S volti ad integrare le previsioni del decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 nella direzione indicata dalla Commissione europea e, in particolare, per assicurare la trasparenza e la partecipazione del pubblico ai procedimenti sono stati respinti in questi due anni dalla maggioranza;
   il recente Report State of nature in the EU della Commissione europea sullo stato delle specie e degli habitat in Europa ha evidenziato per l'Italia, che solo il 22,2 per cento delle valutazioni sugli habitat è nella classe «favorevole» mentre ben il 67,4 per cento è nelle classi «sfavorevole/sconosciuto» o «sfavorevole» (Tab.C.5 dell'Allegato al rapporto);
   per quanto riguarda gli habitat in stato «sfavorevole», nella Tabella C.6 si evidenzia che in Italia il 44,4 per cento è ancora in ulteriore declino e solo lo 0,4 per cento in miglioramento;
   il decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997, all'articolo 15, prevede che il controllo sull'applicazione del decreto sia affidato al Corpo forestale dello Stato;
   la stampa nazionale ha riportato con grande enfasi, evidenziando anche casi concreti, l'intervento della Commissione europea dimostrando l'interesse del Paese alla tutela delle aree Natura2000 e, in generale, delle aree protette (a mero titolo di esempio: http://espresso.repubblica.it) –:
   quali iniziative di tipo normativo il Governo intenda attivare al fine di rispondere, almeno per le modifiche richieste a livello di disciplina nazionale, alle criticità sollevate dalla Commissione europea con particolare riferimento:
    a) all'obbligo di coinvolgimento nelle procedure di valutazioni d'incidenza ambientale di tutte le aree protette, anche quelle di carattere non nazionale;
    b) alla durata massima di validità della valutazioni di incidenza ambientale;
    c) alla modifica del decreto 7 luglio 2011, n. 121;
    d) al rafforzamento del ruolo dell'ISPRA e delle agenzie;
   se il Governo non ritenga, alla luce dei dati fortemente preoccupanti sullo stato degli habitat e dell'estensione dei siti Natura2000 in Italia, di rivedere la propria posizione sulla riorganizzazione dei Corpi di polizia che attualmente prevede la soppressione del Corpo forestale dello Stato, visto che la Commissione addirittura richiede un rafforzamento del ruolo del Corpo per la tutela degli habitat e delle specie;
   quali iniziative di tipo organizzativo abbia messo in campo per garantire il coordinamento tra direzione conservazione della natura e direzione VIA, per rafforzare il ruolo di ISPRA e delle agenzie nonché per prevedere un archivio informatico nazionale al fine di rispondere ai precisi rilievi della Commissione europea;
   quali attività siano in via di programmazione e quali fondi siano destinati alle aree Natura2000 interessate da fenomeni di peggioramento degli habitat e, in generale, dalla presenza di vaste zone con habitat classificati in cattivo stato di conservazione. (4-09567)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste dagli interroganti, sulla base delle informazioni acquisite dalla competente direzione generale del Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne gli aspetti relativi al caso EU Pilot (6730/2014/ENVI), è opportuno sottolineare come il 9 luglio 2014 i servizi della Commissione europea hanno richiesto dei chiarimenti all'Italia in merito all'applicazione della direttiva 92/43/CEE « Habitat». Dal luglio 2014 numerose sono state le comunicazioni intercorse tra l'Italia e la Commissione europea, che, per le anomalie riscontrate ha deciso di aprire un'inchiesta sul mancato rispetto delle aree protette. La relativa procedura di indagine EU Pilot 6730/14/ENVI è, infatti, «diretta ad accertare se esista in Italia una prassi di sistematica violazione dell'articolo 6 della direttiva Habitat».
  Sull'argomento il Ministero ha fornito puntuali elementi informativi alla Commissione. In particolare, per quanto riguarda l'attivazione di un archivio informatico nazionale sulla valutazione di incidenza ambientale, si precisa che è stata predisposta la Strategia nazionale per la biodiversità 2011-2020 (di seguito Snb) che ha come scopo generale quello di integrare le esigenze di conservazione della biodiversità a tutti i livelli e l'uso sostenibile delle risorse naturali nelle politiche nazionali di settore. In tale contesto si ritiene che l'Italia abbia correttamente interpretato il raggiungimento degli obiettivi posti dall'articolo 6 paragrafi 2, 3 e 4 della direttiva Habitat, attraverso l'individuazione di specifiche priorità di intervento indirizzate alla efficacia della valutazione di incidenza. Peraltro c’è da evidenziare come, in attuazione della Snb, a partire dal 2011, sono state avviate diverse iniziative sia a livello centrale che regionale. Tra queste si citano a titolo esemplificativo il documento tecnico «Vas-Valutazione di incidenza» elaborato con il Ministero per i beni e le attività culturali nel settembre 2011; l'adozione delle linee guida per le regioni e le province autonome in materia di monitoraggio delle specie e degli Habitat di interesse comunitario, istruite nel gennaio 2014.
  Inoltre per quanto attiene al riferimento, sul maggior coordinamento fra le diverse direzioni di codesto Ministero, si precisa che, tramite l'adozione del Snb, è stato definito l'obiettivo specifico di rafforzare, l'efficacia e l'efficienza della procedura di valutazione di incidenza a livello centrale e periferico, tramite l'attivazione di tavoli tecnici di coordinamento e cooperazione fra Stato e regioni coinvolte.
  In relazione al rafforzamento del ruolo dell'Ispra e delle Arpa, si fa presente che, a seguito della direttiva del Ministro dell'ambiente del 19 settembre 2008 relativa al «Supporto diretto e istruttorio al funzionamento della CTVA-VIA e VAS» l'Ispra fornisce già dal 2008 supporto tecnico-scientifico alle attività istruttorie di competenza della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas per i progetti/piani di competenza statale, mettendo a disposizione le diverse professionalità aventi specifiche competenze sugli aspetti ambientali interessati dal progetto o dal piano in esame. Peraltro, in merito alle modalità di coordinamento tra le procedure di valutazione ambientale e di valutazione di incidenza ambientale e al rafforzamento del ruolo dell'Ispra e delle Arpa, si evidenzia come la vigente normativa (articolo 10, comma 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006) preveda che le procedure di valutazione ambientale strategica (Vas) e di valutazione di impatto ambientale (Via) comprendono le procedure di valutazione di incidenza di cui all'articolo 5 del decreto n. 357 del 1997 e che la valutazione dell'autorità competente, sia essa nazionale o regionale, si estende alle finalità di conservazione proprie della valutazione d'incidenza o comunque si debba esprimere nel merito. Di tale integrazione procedurale è data specifica evidenza nell'avviso al pubblico predisposto dal proponente per l'avvio della procedura di Via.
  Per il monitoraggio dell'ottemperanza delle prescrizioni associate ai provvedimenti di Via, l'Ispra e le Arpa assumono istituzionalmente (articolo 28 del decreto legislativo n. 152 del 2006) un ruolo chiave in qualità di enti vigilanti o comunque coinvolti nelle necessarie attività di controllo del rispetto degli obblighi posti in capo ai proponenti per garantire la piena compatibilità ambientale delle opere in fase di cantiere e di esercizio.
  Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla riforma del Corpo forestale dello Stato e delle amministrazioni provinciali, si fa presente che ciò comporterà il passaggio del personale attualmente in forza presso altri corpi di polizia o amministrazioni; in questo senso, a seguito del recente assorbimento del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei Carabinieri è prevista all'interno dell'Arma l'istituzione di una specifica organizzazione per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare, cui faranno riferimento anche l'attuale Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, compresi i gruppi e i Nuclei operativi ecologici (Noe) alle dipendenze. Resta comunque inteso che le attività di vigilanza saranno garantite ed attuate dalle amministrazioni cui saranno affidate le competenze in materia di sorveglianza del patrimonio faunistico.
  Ad ogni modo, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
  Si segnala altresì che è in corso l'analisi di un disegno di legge recante disposizioni sull’«Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente e disciplina dell'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale» finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'Ispra. Le funzioni di indirizzo e di coordinamento tecnico dell'Ispra sono principalmente volte a rendere omogenee, attraverso norme tecniche vincolanti, le attività del Sistema nazionale e a disciplinare i «livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali» (Lepta). Si tratta di una riforma di cui avvertiamo una assoluta necessità. Non è possibile infatti che in Italia si abbiano tante qualità e modalità di tutela ambientale quante sono le Arpa regionali.
  Alla luce delle considerazione suesposte, per quanto, di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli altri soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, VIGNAROLI, DE LORENZIS, VACCA, LIUZZI, COZZOLINO, COLLETTI, CRIPPA, SARTI, SPESSOTTO, BRESCIA, BUSINAROLO, PARENTELA, CECCONI, AGOSTINELLI e BENEDETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   recenti studi olandesi hanno evidenziato la possibile correlazione tra le attività di trivellazioni per l'estrazione del gas e il verificarsi di terremoti legati al fenomeno della subsidenza (abbassamento del piano di campagna) a sua volta dovuto alla compattazione della roccia serbatoio in seguito all'estrazione del metano;
   nonostante l'Olanda sia un Paese a bassissimo rischio sismico, nell'area di Groningen, sede di un grande giacimento, sono stati registrati danni a centinaia di edifici; una commissione ha stimato che 152 mila abitazioni dovranno essere ristrutturate a causa del rischio causato dai terremoti indotti dall'estrazione per un danno stimato in circa 30 miliardi;
   in un lavoro di Koster e Van Ommeren del Timbergen Institute «Natural Gas Extraction, Earthquakes and House Prices» (2015) i due ricercatori concludono che «Questi terremoti indotti hanno effetti negativi sull'ambiente costruito sotto forma di costi monetari, come i danni, e costi non-monetari, come la riduzione del comfort, rischi di danni alla salute»; esiste, cioè, anche un impatto sulla vita quotidiana delle persone sottoposte a continui tremori del terreno;
   l'incremento del numero e dell'intensità dei terremoti nel 2012 e 2013 ha indotto il Governo olandese ad ammettere in una prima lettera del Ministro dell'economia Kamp al Parlamento la gravità della situazione. Nella lettera si legge, tra l'altro:
    «durante l'ultimo decennio il numero di tremori per anno e, inoltre, il numero di forti terremoti nel campo di Groningen è aumentato in proporzione all'incremento della produzione»;
    «era già nota la relazione tra estrazione del gas e i terremoti. Il KNMI ha valutato, sulla base di uno studio statistico riguardante tutti i giacimenti olandesi, che la magnitudo massima di un sisma collegato alle estrazioni sarebbe stata di 3,9 della scala Richter. Oggi il KNMI ha evidenziato che per il campo di Groningen non può essere stimata la magnitudo massima sulla base dei dati storici disponibili. Pertanto la magnitudo potrebbe essere anche maggiore.»;
   lo stesso Governo olandese ha dovuto ammettere che la riduzione del volume di gas estratto non necessariamente porterà alla riduzione/interruzione dei fenomeni sismici che, anzi, con ogni probabilità continueranno; questa valutazione confligge con i decreti autorizzativi rilasciati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare su vari stoccaggi di gas in cui si prevede la prescrizione per il proponente di ridurre l'iniezione al fine di riportare l'entità dei sismi a valori più bassi;
   ad aprile 2015 alcuni cittadini hanno ottenuto dal Consiglio di Stato olandese una sentenza che ha obbligato lo Stato a vietare lo sfruttamento nell'area di Loppersum, quella più provata dai terremoti costringendo il Governo a ridurre la produzione per il 2016 portandola a un terzo di quella originale;
   il Governo olandese si è scusato per i terremoti causati dal prelievo di gas naturale nella provincia di Groningen e i giganti del petrolio Shell e Exxon, responsabili di quelle operazioni, si sono dichiarati colpevoli stanziando per ora 1,2 miliardi di euro per risarcire i proprietari di 30 mila edifici danneggiati nella provincia dai terremoti più recenti (dopo il 2008);
   nello Stato dell'Oklahoma è stato riconosciuto che i terremoti che continuano ad affliggere lo Stato sono indotti dalla reiniezione di materiale di scarto dalle operazioni petrolifere nel sottosuolo;
   qui il dipartimento dell'energia e dell'ambiente dello Stato dell'Oklahoma ha aperto un sito web in cui si illustrano le connessioni fra l'attività estrattiva e la sismicità. Nel sito c’è pure una mappa interattiva che mostra gli epicentri dei terremoti e i pozzi di reiniezione e di estrazione;
   nel 2011 ci sono stati diversi terremoti di magnitudo superiore a 5.0, presso Prague, eventi del tutto straordinari nella storia dell'Oklahoma, secondo i geologi;
   Sergio Chiesa, geologo del Cnr, spiega così l'impatto che l'estrazione di metano può avere sul suolo. «Il gas sottoterra ha una certa pressione» dice lo scienziato, «perciò estrarne grandi quantità modifica l'equilibrio del terreno. Se il giacimento è profondo, in superficie si avvertiranno solo piccole scosse. Ma se il deposito di metano è vicino alla superficie, le cose cambiano e i rischi sono maggiori»;
   in Italia l'approvazione del decreto «Sblocca Italia» (decreto-legge 12 settembre 2014, n. 13) ha dato il via a una intensa attività di richiesta di nuove autorizzazioni per la realizzazione di progetti di perforazione per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e di gas metano. Nonostante l'Italia sia un Paese caratterizzato da un territorio a forte rischio sismico negli studi di impatto ambientale di questi progetti non sono presenti o, se sono presenti, sono del tutto superficiali e senza gli approfondimenti necessari, sugli eventuali effetti dell'estrazione sulla sismicità e gli eventuali impatti della sismicità indotta/innescata; tali studi, inoltre, non tengono conto del cosiddetto «effetto cumulo»;
   lo stesso Ministero dello sviluppo economico ha organizzato il 12 giugno 2015 un workshop tecnico sull'argomento ammettendo finalmente l'esistenza del problema nonostante sia noto da decenni anni (la prima pubblicazione scientifica sul rischio di terremoti indotti connessi alla reiniezione di fluidi nel sottosuolo risale al 1968 e fu pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature; altre pubblicazioni che collegano l'aumento del rischio sismico con le estrazioni sono state pubblicate negli anni ’90 e nel decennio scorso);
   i numerosissimi decreti autorizzativi dei singoli procedimenti, anche per il rilascio dei titoli minerari che riguardano aree vastissime, sono stati rilasciati in assenza della valutazione ambientale strategica di cui alla direttiva 42/2001/CE, che avrebbe evidenziato la coincidenza di molti di questi territori con aree a fortissimo rischio sismico;
   nonostante queste risultanze scientifiche il Ministero dello sviluppo economico ha per ora messo in atto esclusivamente una strategia volta ad assicurare piani di monitoraggio dei fenomeni più approfonditi e solo per alcuni dei giacimenti, mentre il monitoraggio nel caso dei terremoti avviene a valle del processo e, cioè, al momento della registrazione del sisma; il solo monitoraggio della pressione di poro, come sta accadendo in Olanda, non permette di prevenire il fenomeno;
   il caso di Groningen e il caso dello stoccaggio gas Castor evidenziano, d'altro lato, che anche la diminuzione o addirittura l'interruzione improvvisa delle attività che interessano il sottosuolo non determinano l'interruzione del fenomeno; anzi, nel caso del progetto Castor le principali scosse sono avvenute ad una settimana dall'interruzione delle attività richiesta da parte del Governo spagnolo;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006, all'articolo 3-ter, richiama gli enti e il Governo al rispetto sia del principio di precauzione sia del principio di prevenzione –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritengano necessario assumere iniziative per prevedere che lo studio di impatto ambientale in caso di progetti che prevedono perforazioni, estrazioni di gas metano e petrolio nonché reiniezione di fluidi nel sottosuolo considerino obbligatoriamente gli effetti sull'attività sismica, sia per l'attivazione della subsidenza sia per altri fenomeni connessi alle sollecitazioni di faglie;
   se non ritengano necessario assumere iniziative per introdurre nei procedimenti valutativi l'obbligo per i proponenti di accertare lo stato del patrimonio edilizio esistente nelle aree interessate per verificarne la capacità di sopportare sismi indotti/innescati;
   se non ritengano di sottoporre a profonda revisione le norme relative al riconoscimento delle capacità tecnico/finanziarie dei proponenti in considerazione dei costi che la sismicità indotta/innescata potrebbe comportare per i risarcimenti dei danni a cose e/o persone;
   se non ritengano, comunque, necessaria una moratoria sul rilascio di nuovi titoli minerari e di nuove autorizzazioni alle attività che possono comportare un aggravio del già pesante rischio sismico del Paese;
   se non ritengano opportuno formare ed avvisare ufficialmente tutti i funzionari coinvolti nei procedimenti autorizzativi sui casi sopra riportati e delle conseguenze potenziali di progetti che possono comportare l'aggravio del rischio sismico in assenza, ad oggi, di efficaci metodologie per prevenire esattamente e controllare il fenomeno sismico innescato/indotto dalle estrazione e/o dalle reiniezioni di fluidi. (4-10370)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alle problematiche attinenti i possibili effetti sull'attività sismica derivanti dallo svolgimento delle attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in Italia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In relazione alla possibile correlazione tra le attività di trivellazioni per l'estrazione del gas e il verificarsi di terremoti legati al fenomeno della subsidenza, sia per altri fenomeni connessi alle sollecitazioni di faglie, si premette che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (Via) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  In ordine alle possibili criticità segnalate dagli interroganti, si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  In particolare, nelle singole istruttorie di valutazione d'impatto ambientale relative a progetti di coltivazione si tiene conto di tutti i possibili impatti ambientali generati dal progetto, tra questi anche gli aspetti sismici.
  Al riguardo, peraltro, si segnala, che la normativa italiana è più restrittiva di quella comunitaria secondo la quale la trivellazione finalizzata ad estrarre gas e petrolio per poter determinare la convenienza commerciale del giacimento, non rientra tra i progetti per i quali è sempre obbligatoria la valutazione d'impatto ambientale. Difatti, come recentemente statuito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenza 11 febbraio 2015 nella causa C-531/13), la decisione sul se le trivellazioni esplorative debbano essere sottoposte o meno a Via spetta ai singoli Stati membri, che possono a tal fine fissare soglie e criteri applicativi oppure decidere di valutare singolarmente i vari progetti.
  L'Italia inoltre, diversamente da altri Paesi, con la Strategia energetica nazionale del 2013 ha vietato il
fracking (idrocarburi a terra) e successivamente con l'articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 13 (cosiddetta «Sblocca Italia») ha introdotto il divieto di ricerca e estrazione di shale gas e shale oil e il rilascio dei relativi titoli minerari, perché si è valutato che tali attività non sono compatibili con la politica ambientale del nostro Paese.
  Da ultimo si segnala che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli
standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale.
  Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, LUPO, GALLINELLA, L'ABBATE, COZZOLINO e DAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 agosto 2015, sulla Gazzetta Ufficiale n. 187, è stata pubblicata la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   l'articolo 8, comma 1, lettera a), prevede, tra l'altro, l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia;
   il Consiglio dei ministri nel corso della riunione n. 101 del 20 gennaio 2016 ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo — non ancora pubblicato ufficialmente — recante tra l'altro l'assorbimento di parte del personale del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri;
   tale scelta quindi porterebbe a trasformare lo status giuridico dei dipendenti del Corpo forestale dello Stato da «civile» a «militare». L'Arma dei carabinieri ha infatti collocazione autonoma nell'ambito del Ministero della difesa, con rango di Forza Armata ed è forza militare di polizia a competenza generale e in servizio permanente, di pubblica sicurezza;
   sono state recentemente emanate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo due sentenze: la sentenza Cedu del 2 ottobre 2014 sul caso «Matelly c. Francia» e la sentenza Cedu n.135 del 21 aprile 2015 sul caso «Adefromil c. Francia»;
   in merito alla procedura «Caso EU Pilot 6730/14/ENVI» sull'attuazione in Italia della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica», il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri ha inviato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 27 marzo 2015 un documento in cui, tra le diverse questioni poste in evidenza e delle azioni ritenute necessarie al raggiungimento di un miglioramento dell'attuazione della direttiva «Habitat» in Italia, si menziona, al punto 14) che «dovrebbero essere razionalizzate le forze in campo in materia di vigilanza ambientale (ex guardiacaccia delle Province, Corpo Forestale dello Stato, Corpi forestali provinciali e regionali)» –:
   se, in merito a questa scelta governativa, risulti che il Dipartimento politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri abbia ben valutato gli aspetti di opportunità giuridica, anche in relazione alla procedura EU Pilot 6730/14/ENVI, giacché la trasformazione dello status del personale del Corpo forestale dello Stato potrebbe essere in contrasto con il diritto dell'Unione europea. (4-12153)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame in merito al trasferimento di parte del personale del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri e del potenziale contrasto che tale riorganizzazione giuridica verrebbe a creare con la normativa europea.
  In primo luogo, si rileva che l'articolo 8, comma 1, lettera
a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, non è oggetto di contestazione nell'ambito del caso EU 6730/14/ENVI relativo alla attuazione in Italia della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
  In secondo luogo, si osserva che nell'ambito del suddetto caso, con nota del 27 marzo 2015, la Commissione ha proposto alle autorità italiane una serie di azioni dirette a favorire una migliore applicazione della suddetta direttiva. Non si tratta quindi di formali contestazioni, con cui la Commissione ha sanzionato prassi amministrative incompatibili con il diritto dell'Unione, ma di suggerimenti funzionali alla corretta attuazione della direttiva
Habitat.
  Ciò premesso, tra le suddette azioni, la Commissione ha indicato che «Il rafforzamento del ruolo del Corpo forestale dello Stato dovrebbe essere accompagnato da corsi di formazione per gli agenti incaricati dei controlli. Inoltre, dovrebbero essere razionalizzate le forze in campo in materia di vigilanza ambientale (ex guardiacaccia delle Province, Corpo Forestale dello Stato, Corpi Forestali Provinciali e Regionali)».
  Con riguardo ad alcuni dei suggerimenti indicati – tra cui figura anche quello attinente al Corpo forestale dello Stato – il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha fatto presente, nella sua nota di risposta del 17 aprile 2015, che gli stessi «rappresentano elementi fondamentali di confronto nell'ambito della verifica della normativa vigente di livello nazionale e regionale, al fine di prevenire alle Linee guida nazionali per la valutazione d'incidenza, previste dalla Strategia nazionale biodiversità, anche in considerazione delle diverse esperienze (positive e negative) snaturate sia nell'ambito regionale, sia nazionale e comunitario».
  Nelle successive richieste di informazioni, formulate nell'ambito del caso EU Pilot in questione (la più recente è del 21 marzo 2016), la Commissione non ha più sollevato quesiti in merito alle azioni proposte. Pertanto, la Commissione non sembra aver ravvisato particolari profili di contrasto con la normativa europea di riferimento.
  In conclusione, si osserva che presso l'Arma dei carabinieri opera il Nucleo operativo ecologico (Noe), posto alle dipendenze funzionali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con compiti di vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in materia ambientale.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriSandro Gozi.


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, VIGNAROLI e D'INCÀ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con lettera del 27 aprile 2016 ha trasmesso una nota relativa all'attuazione dell'ordine del giorno Terzoni n. 9/3513-A/8 accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 10 febbraio 2016, concernente il sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI;
   nella nota sono riportati i dati relativi alle risorse complessivamente erogate dallo Stato per il SISTRI a partire dalla sua progettazione, l'ammontare dei contributi pagati dalle imprese, nonché l’iter della procedura di affidamento in concessione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti da parte di CONSIP;
   nella parte relativa alle risorse complessive erogate dallo Stato per il sistema SISTRI vengono distinti il periodo di vigenza contrattuale e il periodo di proroga contrattuale con dettaglio delle fatture emesse da Selex, nonché dei pagamenti effettuati;
   dallo schema risulta che, per il periodo di vigenza contrattuale, a fronte di un totale di fatture emesse di 293.910.420,35 euro, il Ministero ha versato una quota di 69.640.140,80 euro, con un residuo quindi di 224.270.279,55 euro. In particolare, la quota residua è rappresentata prevalentemente dall'ammontare delle fatture contestate (in particolare, le fatture nn. 147, 157, 158, 196, 20, 7770000001 e 7770000002), come da prospetto allegato alla predetta nota;
   per il periodo di proroga contrattuale, invece, il totale residuo da pagare risulta ammontare a 9.380.55,82 euro. Tale importo risulta dalla somma delle fatture relative ai costi di produzione del servizio da settembre a ottobre del 2015 e da novembre a dicembre del 2015 e da una parte del periodo da giugno ad agosto dello stesso anno;
   nella parte relativa all'ammontare dei contributi pagati dalle imprese vengono elencati i trasferimenti che il Ministero dell'economia e delle finanze ha eseguito dal capitolo di entrata 2592, articolo 14 denominato «Contributo dovuto da parte dei soggetti di cui al comma 3 dell'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il funzionamento del sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti» al capitolo di spesa 7082 PG 02. In totale dal 2010 sono stati versati in questo capitolo 169.775.519,83 euro ai quali si sommano 5 milioni di euro relativi al fondo istituito per la realizzazione del SISTRI previsto dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), articolo 1, comma 1116, come fondo unico investimenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'avvio del sistema;
   nella parte relativa all’iter della procedura di affidamento in concessione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, dopo aver elencato i servizi operativi richiesti nel bando di prequalifica si sottolinea la possibilità per l'aggiudicatario della presa in carico del sistema attuale per assicurare la continuità e la successiva evoluzione, lo sviluppo e la gestione del nuovo sistema informatico –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di fornire chiarimenti circa le ragioni del mancato pagamento delle fatture emesse da Selex risultanti dal prospetto riportato nella nota citata in premessa;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze possa dettagliare quale sia ad oggi la disponibilità di risorse nel capitolo di spesa 7082 visto che a fronte di un totale di versamenti da parte dei soggetti aderenti al sistema di tracciabilità dei rifiuti 169.775.519,83, oltre ai 5 milioni relativi al fondo istituito per la realizzazione del SISTRI previsto dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), articolo 1, comma 1116, come fondo unico investimenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'avvio del sistema, risulta essere stato corrisposto a SELEX un ammontare, tutto compreso, di 103.502.911,06 euro;
   se i fondi accantonati nel suddetto capitolo possano essere eventualmente utilizzati per eseguire i rimborsi alle aziende come previsto nell'ordine del giorno n. 9/1682-A/077, accolto dal Governo come raccomandazione;
   nel caso cui il capitolo risultasse privo di fondi, se si intendano fornire indicazioni verso quali altri capitoli siano state destinate le somme versate alle imprese e accantonate in precedenza;
   in che modo l'aggiudicatario, nel periodo di presa in carico del sistema attuale, potrà disporre delle apparecchiature hardware attualmente presenti negli edifici di proprietà di Selex a tal fine chiarendo in che termini il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare potrà garantire la continuità del sistema nel momento di passaggio al nuovo contraente ed in che termini il Ministero ha intenzione di prenderne possesso;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa confermare quanto indicato nella nota riportata in premessa dalla quale si apprende che il nuovo aggiudicatario potrà creare un sistema con una logica completamente nuova, senza utilizzo di ulteriori risorse per strumentazioni già disponibili.
(4-13331)

  Risposta. — Con riferimento alle questioni poste dagli interroganti, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale e dal Ministero dell'economia e delle finanze, si rappresenta quanto segue.
  La situazione relativa ai pagamenti effettuati dal Ministero dell'ambiente nei confronti della società Selex service management spa in liquidazione è stata ampiamente illustrata nella risposta fornita in relazione all'ordine del giorno Terzoni n. 9/3518-A/8, trasmessa in data 27 aprile 2016 al servizio per il controllo parlamentare della Camera dei deputati.
  Sul punto, si ritiene tuttavia necessario ribadire che l'operato del Ministero dell'ambiente deriva dall'applicazione dell'articolo 11, comma 10, del decreto-legge n. 101 del 2013, secondo il quale «... il Ministero dell'ambiente e dello tutela del territorio e del mare provvede, sulla base dell'attività di audit dei costi, eseguita da una società specializzata terza, e della conseguente valutazione di congruità dall'Agenzia per l'Italia Digitale, al versamento alla società concessionaria del SISTRI dei contributi riassegnati ai sensi dell'articolo 14-
bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, comunque non oltre il trenta per cento dei costi della produzione consuntivati sino al 30 giugno 2013 e sino alla concorrenza delle risorse riassegnate sullo stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al netto di quanto già versato dal Ministero sino alla predetta data...».
  L'agenzia per l'Italia digitale, così come previsto dalla normativa vigente, ha formulato, per il Ministero dell'ambiente, la propria valutazione ritenendo congruo il riconoscimento della somma di euro 57.837.889,00.
  Conseguentemente, solo a seguito della predetta valutazione di congruità svolta dall'AgID, e del parere espresso dall'Avvocatura generale dello Stato in data 27 novembre 2014, che ha legittimato l'amministrazione a corrispondere alla Selex Se-Ma s.p.a. solo le somme congruite dalla predetta agenzia, e comunque nel limite quantitativo dei contributi riassegnati, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 1o dicembre 2014, ha provveduto al pagamento delle fatture 26/2010, 154/2010, 155/2010, per un importo complessivo di euro 26.325.026,64. Tale importo va ad aggiungersi a quanto già precedentemente corrisposto alla Selex Se-Ma s.p.a., pari ad euro 29.000.000,00 e riferito alle fatture 116/2009 e 117/2009, andando a rappresentare un totale di euro 55.325.026,64 (Iva compresa).
  In data 3 dicembre 2015 il Ministero dell'ambiente ha provveduto, altresì, al pagamento parziale della fattura n. 156/2010 per un importo pari ad euro 14.315.114,16 (Iva compresa), corrispondendo così alla suddetta società l'intera somma ritenuta congrua dalla valutazione svolta dall'agenzia per l'Italia digitale.
  Pertanto, l'importo totale dei pagamenti a favore della Selex Se-Ma s.p.a., per il periodo di vigenza contrattuale (14 dicembre 2009-30 novembre 2014), è pari ad euro 69.640.180,80 (Iva compresa).
  Inoltre, come già evidenziato in risposta al citato ordine del giorno, sono state ulteriormente pagate le somme relative alla fatturazione dei «costi della produzione», così come previsto dall'articolo 11, comma 9-
bis del decreto-legge n. 101 del 2013, come modificato dall'articolo 8 del decreto-legge n. 210 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21, il quale ha stabilito che «... In ogni caso all'attuale concessionaria del SISTRI, è corrisposta a titolo di anticipazione delle somme da versare per l'indennizzo dei costi di produzione e salvo conguaglio, da effettuare a seguito della procedura prevista dal periodo precedente, la somma di 10 milioni di euro per l'anno 2015 e di 10 milioni di euro per l'anno 2016. Al pagamento delle somme a titolo di anticipazione, provvede entro il 31 marzo 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito dei propri stanziamenti di bilancio».
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 23 marzo 2016, ha pertanto corrisposto l'ammontare complessivo di euro 24.400.000,00 (Iva compresa).
  Circa la disponibilità di risorse sul capitolo di spesa 7082 del Ministero dell'ambiente, si segnala che il suddetto capitolo si alimenta con le riassegnazioni dei versamenti da parte dei soggetti aderenti al sistema di tracciabilità dei rifiuti.
  A decorrere dall'esercizio finanziario 2016, il capitolo è stato dotato di uno stanziamento iniziale annuale pari ad euro 15 milioni, di cui ad oggi, per il corrente esercizio finanziario, rimangono disponibili euro 2,8 milioni.
  Nell'anno in corso lo stanziamento del capitolo sarà integrato dalla riassegnazione di eventuali versamenti che superano l'importo già allocato in bilancio, su richiesta del suddetto Ministero.
  Inoltre, si fa presente che, ad oggi, risultano sul medesimo capitolo residui correnti per circa euro 16,99 milioni, a fronte di residui accertati al 31 dicembre 2015 per circa euro 31,6 milioni.
  In merito alle forme di rimborso per le imprese che hanno versato il contributo Sistri negli anni 2010, 2011 e 2012, di cui all'ordine del giorno n. 9/01682 del 24 ottobre 2013, si conferma che lo stesso prevedeva l'adozione di un piano di intervento destinato alla restituzione o compensazione dei contributi versati.
  Al riguardo, occorre tenere presente che la Corte di cassazione a sezione unite, con ordinanza n. 23835 del 2015, relativa al regolamento di giurisdizione proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'ambito di un giudizio promosso nei suoi confronti per il risarcimento del danno patrimoniale rappresentato dall'equivalente monetario dei contributi di iscrizione al Sistri, ha evidenziato, ancorché ai soli fini della giurisdizione, che, seppur è indubbia la natura di tributo del contributo annuale di iscrizione al Sistri del quale presenta le caratteristiche, nel caso di specie la giurisdizione spetta al giudice ordinario trattandosi di domanda concernente il risarcimento del danno. Conseguentemente, deve oggi essere attentamente valutata, attraverso un adeguato approfondimento istruttorio, con il necessario supporto dell'Avvocatura generale dello Stato, la compatibilità tra quanto stabilito dalla Suprema corte in ordine alla natura tributaria del contributo e il richiamato ordine del giorno n. 9/01682 del 24 ottobre 2013, allo scopo di individuare le possibili modalità attuative di quest'ultimo che risultino coerenti con la natura tributaria del contributo.
  Peraltro, un ulteriore approfondimento sul tema degli eventuali rimborsi si rende, altresì, necessario alla luce di quanto ribadito dal Ministero dell'economia e delle finanze circa la necessità di procedere in ogni caso alla quantificazione degli oneri e alla individuazione della corrispondente copertura finanziaria.
  Per quanto riguarda la procedura di affidamento della nuova concessione Sistri, si fa presente che, in data 26 giugno 2015, Consip ha pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il bando di gara per la selezione dei concorrenti. La fase di pre-qualifica si è conclusa in data 16 ottobre 2015 con l'ammissione di tutti i richiedenti. Il termine previsto per la presentazione delle offerte, inizialmente fissato al 21 dicembre 2015, è stato successivamente prorogato, su richiesta delle imprese partecipanti in ragione della complessità della gara, alla fine del mese di marzo 2016. Sono attualmente in corso di valutazione le offerte pervenute dai partecipanti alla gara e si conta che la conclusione della procedura e l'aggiudicazione della medesima gara avvengano presumibilmente nel mese di settembre 2016. Dopo di che vi sarà un naturale periodo di affiancamento all'attuale gestore, con successiva entrata in esercizio del nuovo sistema, ragionevolmente nei primi mesi del 2017.
  Si fa presente altresì che, come indicato nel capitolato di gara, il Ministero ha attivato un'opzione relativa all'eventuale presa in carico delle apparecchiature
hardware attualmente presenti nei locali della Selex Se-Ma spa. Tale opzione verrà esercitata dal Ministero contestualmente alla sottoscrizione del contratto con il nuovo concessionario.
  La realizzazione del nuovo sistema da parte del nuovo concessionario riprodurrà i servizi strumentali, indicati nel capitolato di gara, in quanto necessari a garantire l'evoluzione del Sistri, con particolare riguardo agli aspetti legati alla tracciabilità, che dovrà contenere semplificazioni inerenti la tracciatura dei percorsi e dei rifiuti secondo modalità approvate dal Ministero dell'ambiente in coerenza con l'evoluzione normativa e tecnologica.
  Da ultimo, si segnala che in
Gazzetta Ufficiale n. 120 del 24 maggio 2016 è stato pubblicato il decreto 30 marzo 2016, n. 78, concernente il regolamento sul funzionamento e l'ottimizzazione del sistema di tracciabilità dei rifiuti, che garantisce modalità più semplici ed efficaci di gestione del sistema stesso.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (cosiddetto «Decreto Sviluppo») pubblicato in Gazzetta Ufficiale 26 giugno 2012, n. 147, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11 agosto 2012 ha modificato l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», ed in particolare ha rideterminato l'oggetto della disciplina del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 con riferimento alle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9;
   le modifiche apportate all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 consentono le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 per procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128. Questa disposizione, di fatto, non vieta le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare di tutte le concessioni antecedenti alla data del 26 agosto 2010 (data di entrata in vigore del provvedimento), ad avviso degli interroganti contravvenendo ai «fini di tutela ambientale dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù delle leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea»;
   le modifiche apportate all'articolo 6, comma 17 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 consentono le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9 per i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati prima del 26 agosto 2010, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi. Anche questa disposizione, di fatto, non vieta le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare di tutte le autorizzazioni, concessioni conseguenti e connessi antecedenti alla data del 26 agosto 2010 (data di entrata in vigore del provvedimento) contravvenendo ai fini di tutela ambientale dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù delle leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell'Unione europea comprendendo anche i titoli prorogati e ancora in attesa di autorizzazione;
   in applicazione della nuova disciplina, in data 21 gennaio 2013, la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale ha espresso un giudizio positivo di compatibilità ambientale sul «Progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi “Ombrina Mare” nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD», come documentato sul portale web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'area marina, in cui si sviluppa il progetto, è parte integrante del Parco nazionale «costa teatina» così come disposto dall'articolo 8, comma 3, della legge 8 marzo 2001, n. 93 con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione interessata e trovandosi l'area stessa a circa 6 chilometri della costa teatina;
   il territorio della costa teatina, e quello dell'intera regione, è caratterizzato dalla presenza di tre parchi nazionali ed uno regionale, nonché di una zona costiera molto suggestiva e che tali caratteristiche territoriali hanno permesso un forte sviluppo del turismo, dell'artigianato, della pesca, dell'agroalimentare e di tutte le attività indotte e connesse e che quindi sussistono gravi motivi attinenti al pregiudizio di situazioni di particolare valore ambientale o archeologico-monumentale;
   la regione Abruzzo, gli enti locali, le comunità territoriali, le realtà produttive e le associazioni sono orientate ad un sistema regionale integrato mare-montagna di sviluppo economico e sociale ecosostenibile e che la presenza del Progetto Ombrina 2 potrebbe fortemente compromettere –:
   se la procedura di valutazione d'impatto ambientale sul progetto Ombrina 2, concessione d30 B.C.-M.D. sia stata correttamente svolta ed in particolare se le modifiche degli elaborati del progetto sottoposto a valutazione d'impatto ambientale apportate dal proponente e pubblicate sul sito del Ministero, siano ritenute dall'autorità competente sostanziali e rilevanti per il pubblico, ai sensi dell'articolo 24, comma 9-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e se l'autorità competente abbia eseguito quanto previsto dal comma 10 dell'articolo 24 dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero la pubblicazione su sito web dell'autorità competente della documentazione presentata dal proponente, ivi comprese le osservazioni, le eventuali controdeduzioni e le modifiche eventualmente apportate al progetto, ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. (4-00090)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale (Via) sul progetto Ombrina Mare, a 6 chilometri dalla Costa dei Trabocchi, in provincia di Chieti, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che l'istanza di Via afferente a tale progetto è stata presentata dalla Società in data 3 dicembre 2009.
  Nelle more della conclusione dell'istruttoria tecnica svolta della Commissione di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas, è entrato in vigore il decreto legislativo n. 128 del 2010, dal titolo «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale a norma dell'articolo 12 della legge 18 giugno, n. 69» che ha modificato l'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006 aggiungendo il comma 17 il quale prevedeva il divieto di svolgere attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, all'interno delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette ed entro una fascia di 12 miglia dal perimetro delle stesse.
  Con parere n. 541 del 7 ottobre 2010 la Commissione Via e Vas ha pertanto espresso, in merito al progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi Ombrina Mare, un giudizio negativo di compatibilità ambientale che trovava il suo fondamento, come si evince chiaramente nel dispositivo finale, nelle limitazioni areali all'attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi introdotte dal decreto legislativo n. 128 del 2010.
  In relazione a quanto sopra, la competente direzione di questo Ministero ha provveduto a dare comunicazione al proponente, ai sensi dell'articolo 10-
bis della legge n. 241 del 1990, della prossima emanazione di un provvedimento sfavorevole di compatibilità ambientale.
  Con nota del 22 novembre 2011 la Società Medoil Italia spa ha inviato le proprie osservazioni al preavviso di rigetto.
  Successivamente a tale data è entrato in vigore il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, ed in particolare l'articolo 35, comma 1, dello stesso, che modificava e sostituiva l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 128 del 2010. Con tale articolo venivano fatti salvi «i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6, 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi».
  Alla luce delle nuove disposizioni normative, e stante il fatto che per il caso di cui trattasi il procedimento concessorio era già in essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, la competente direzione di questo dicastero, non avendo ancora concluso la procedura di Via, ha provveduto a dare comunicazione del riavvio del procedimento.
  A seguito del riavvio del procedimento, acquisito il parere favorevole della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas n. 1154 del 25 gennaio 2013, è stato predisposto il relativo provvedimento di Via inoltrato per la firma ai Ministri concertanti lo stesso, ossia il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro per i beni e le attività culturali.
  Nelle more dell'acquisizione della firma del Ministro per i beni e le attività culturali è intervenuto un parere della regione Abruzzo. Seppure in termini di legge la mancanza del parere regionale non risulti preclusivo all'emanazione del provvedimento di compatibilità ambientale, ciò non di meno, si è ritenuto di disporre un supplemento istruttorio per consentire le opportune considerazioni della predetta commissione riguardo a tale parere regionale. La Commissione tecnica Via e Vas ha quindi emanato, in data 3 aprile 2013, il parere n. 1192 con cui veniva confermato il precedente parere n. 1154 del 25 gennaio 2013 anche alla luce del successivo parere della regione Abruzzo, e si impartivano ulteriori prescrizioni ai fini dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
  Per quanto concerne gli aspetti ambientali, connessi con la presenza di Siti di interesse comunitario (Sic) si rappresenta che i pareri della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas comprendono una specifica esaustiva valutazione degli impatti derivanti dal progetto con riguardo a tutte le componenti ambientali interferite. In particolare, per quanto riguarda l'interferenza con aree protette e le aree Sic costiere, si evidenzia che sono state prese in considerazione tutte le aree allo stato istituite, ed è stata condotta, con riferimento alle aree Sic costiere, una specifica «valutazione di incidenza».
  Per quanto concerne, invece, la partecipazione in tali procedimenti di conferimento sia dei cittadini che delle amministrazioni locali, essa è stata soddisfatta dal legislatore proprio e soprattutto per mezzo dell'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, laddove prevede che «Le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività...».
  Inoltre, come già evidenziato, seppur il parere della regione Abruzzo sia pervenuto ben oltre i tempi previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, si è ritenuto di disporre un supplemento istruttorio per consentire le opportune considerazioni della Commissione Via-Vas riguardo a tale parere regionale, al termine del quale si è provveduto ad integrare lo schema di decreto di compatibilità ambientale con le risultanze di tale supplemento istruttorio.
  Sempre in tema di partecipazione si fa presente che ai sensi dell'articolo 24, comma 9-
bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006 l'autorità competente, solo ove ritenga che le modifiche apportate siano sostanziali e rilevanti per il pubblico, dispone che il proponente ne depositi copia e, contestualmente, dia avviso dell'avvenuto deposito.
  Tutto ciò premesso, relativamente al progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi Ombrina Mare, nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD, si precisa che con decreto n. 172 del 7 agosto 2015 è stato concluso con esito positivo il procedimento di valutazione di impatto ambientale (Via) ed autorizzazione integrata ambientale (Aia). Successivamente, per effetto delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), secondo cui «Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli
standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale», il Ministero dello sviluppo economico ha rigettato l'istanza di autorizzazione della società.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a svolgere le valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, AGOSTINELLI, ALBERTI, BALDASSARRE, BASILIO, BATTELLI, BENEDETTI, PAOLO BERNINI, MASSIMILIANO BERNINI, BONAFEDE, BRESCIA, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, BUSTO, CANCELLERI, CARINELLI, CASO, COLONNESE, CORDA, COZZOLINO, CRIPPA, DA VILLA, DAGA, DALL'OSSO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, DE ROSA, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BATTISTA, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, DIENI, D'UVA, FICO, GAGNARLI, GALLINELLA, LUIGI GALLO, GRILLO, L'ABBATE, LIUZZI, LOMBARDI, LOREFICE, MANNINO, MANTERO, MARZANA, MICILLO, NUTI, PARENTELA, PESCO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, SARTI, SCAGLIUSI, SPADONI, SPESSOTTO, TACCONI, TERZONI, TOFALO, TONINELLI, TRIPIEDI, TURCO, SIMONE VALENTE, VALLASCAS, ZACCAGNINI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 26 marzo 2013 gli onorevoli Vacca e Del Grosso si sono recati presso gli uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per esercitare il diritto da cittadino portavoce – parlamentare di accesso agli atti riguardo il progetto Ombrina 2 della società Medoilgas Italia s.p.a. circa la concessione di coltivazione idrocarburi liquidi e gassosi «d30B.C – MD»;
   tale iniziativa imprenditoriale è da sempre osteggiata dalla popolazione locale, dalle amministrazioni territoriali, dalle associazioni e in generale da tutto il tessuto produttivo e le numerosissime osservazioni al progetto testimoniano quanto dichiarato;
   l'istanza del progetto di coltivazione del giacimento Ombrina Mare risale al 9 dicembre 2009, mentre il permesso di ricerca degli idrocarburi risale a decreto ministeriale del 5 maggio 2005, che lo ha accordato per una durata di 6 anni;
   l'8 novembre 2010 con nota protocollo n. 0026875 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla Società Medoilgas Italia s.p.a., è stato comunicato il preavviso di rigetto dell'istanza di concessione di coltivazione in virtù degli effetti prodotti dal decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, recante «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, a norma dell'articolo 12 della legge 18 giugno 2009, n. 69»;
   con nota 22 novembre 2010 la società Medoilgas Italia s.p.a. ha presentato le proprie osservazioni in ordine al preavviso di rigetto;
   il decreto di rigetto dell'istanza di concessione di coltivazione non è stato mai perfezionato;
   nel frattempo, il Ministero dello sviluppo economico, con decreto, prorogava il permesso di ricerca a favore della società Medoilgas;
   il Governo con decreto-legge del 22 giugno 2012, n. 83 (convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 187 del 11-08-2012), ha modificato l'articolo 6 comma 17 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   le modifiche apportate, di fatto, riaprono tutte le istanze di concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
   le numerosissime osservazioni al progetto Ombrina 2 della società Medoilgas Italia s.p.a. di parte dei cittadini, delle amministrazioni locali, delle associazioni e delle realtà produttive del territorio in cui ricade il progetto testimoniano la ferma contrarietà alla realizzazione dello stesso;
   nella lettera protocollo DIVA – 2012 – 0016011 del 3 luglio 2012 al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la società Medoilgas Italia s.p.a. esprime «un doveroso apprezzamento per il prezioso contributo apportato da Lei (dottor Corrado Clini – Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e dai suoi collaboratori per l'individuazione della soluzione poi adottata dal Governo al fine di porre riparo ad una situazione insostenibile oltre che ingiusta per gli operatori del settore» (petrolifero) auspicandone «un positivo completamento dell’iter alle Camere per una sua definitiva e rapida approvazione» a seguito di istanze «più volte rappresentate in passato» circa le «disposizioni introdotte con il decreto legislativo 128 del 2010...» che ha determinato «...drastiche restrizioni alle attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi nei mari italiani»;
   ogni Ministro dovrebbe agire seguendo criteri di terzietà, imparzialità e indipendenza e ad avviso degli interroganti, questi principi non sono stati rispettati dal Ministro interrogato considerato che la citata società ha ritenuto di esprimere il «doveroso apprezzamento per il contributo apportato» alla vicenda, che sembra essenzialmente riferito agli interessi della stessa Medoilgas Italia s.p.a. mentre appare agli interroganti inesistente la considerazione nei confronti dei cittadini, delle amministrazioni locali, delle associazioni e delle realtà produttive del territorio in cui ricade il progetto –:
   in cosa consista il prezioso contributo, citato nella missiva, apportato dal Ministro interrogato, e dai suoi collaboratori, per l'individuazione della soluzione ad una situazione «insostenibile» causata da una norma dello Stato e per quale motivo non vi sia traccia di rapporti tanto cordiali e attenti con i cittadini e le amministrazioni locali. (4-00129)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale (Via) sul progetto Ombrina Mare, a 6 chilometri dalla Costa dei Trabocchi, in provincia di Chieti, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Relativamente al progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi Ombrina Mare, nell'ambito della concessione di coltivazione d30 B.C-MD, si precisa che con decreto n. 172 del 7 agosto 2015 è stato concluso con esito positivo il procedimento di valutazione di impatto ambientale (Via) ed autorizzazione integrata ambientale (Aia). Successivamente, per effetto delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 239 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), secondo cui «Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli
standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente nonché le operazioni finali di ripristino ambientale», il Ministero dello sviluppo economico ha rigettato l'istanza di autorizzazione della Società.
  In ogni caso, si ripercorre l’
iter procedimentale seguito nello svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale sul progetto Ombrina Mare.
  L'istanza di Via afferente a tale progetto è stata presentata alla Società in data 3 dicembre 2009.
  Nelle more della conclusione dell'istruttoria tecnica svolta dalla Commissione di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas, è entrato in vigore il decreto legislativo n. 128 del 2010, dal titolo «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale, a norma dell'articolo 12 della legge 18 giugno, n. 69» che ha modificato l'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006 aggiungendo il comma 17 il quale prevedeva il divieto di svolgere attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, all'interno delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette ed entro una fascia di 12 miglia dal perimetro delle stesse.
  Con parere n. 541 del 7 ottobre 2010 la Commissione Via e Vas ha pertanto espresso, in merito al progetto di coltivazione del giacimento di idrocarburi Ombrina Mare, un giudizio negativo di compatibilità ambientale che trovava il suo fondamento, come si evince chiaramente dal dispositivo finale, nelle limitazioni areali all'attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi introdotte da decreto legislativo n. 128 del 2010.
  In relazione a quanto sopra, la competente direzione di questo Ministero ha provveduto a dare comunicazione al proponente, ai sensi dell'articolo 10-
bis della legge n. 241 del 1990, della prossima emanazione di un provvedimento sfavorevole di compatibilità ambientale.
  Con nota del 22 novembre 2011 la Società Medoil Italia spa ha inviato le proprie osservazioni al preavviso di rigetto.
  Successivamente a tale data è entrato in vigore il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, ed in particolare l'articolo 35 comma 1 dello stesso, che modificava e sostituiva l'articolo 6 comma 17 del decreto legislativo n. 128 del 2010. Con tale articolo venivano fatti salvi «i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6, 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128, ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti autorizzativi e concessori conseguenti e connessi».
  Alla luce delle nuove disposizioni normative, e stante il fatto che per il caso di cui trattasi il procedimento concessorio era già in essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010, la competente direzione di questo dicastero, non avendo ancora concluso la procedura di Via, ha provveduto a dare comunicazione del riavvio del procedimento.
  A seguito del riavvio del procedimento, acquisito il parere favorevole della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas n. 1154 del 25 gennaio 2013, è stato predisposto il relativo provvedimento di Via inoltrato per la firma ai ministri concertanti lo stesso, ossia Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministro per i beni e le attività culturali.
  Nelle more dell'acquisizione della firma del Ministro per i beni e le attività culturali è intervenuto un parere della regione Abruzzo. Seppure in termini di legge la mancanza del parere regionale non risulti preclusivo all'emanazione del provvedimento di compatibilità ambientale, ciò non di meno, si è ritenuto di disporre un supplemento istruttorio per consentire le opportune considerazioni della predetta commissione riguardo a tale parere regionale. La Commissione tecnica Via e Vas ha quindi emanato, in data 3 aprile 2013, il parere n. 1192 con cui veniva confermato il precedente parere n. 1154 del 25 gennaio 2013 anche alla luce del successivo parere della regione Abruzzo, è si impartivano ulteriori prescrizioni ai fini dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
  Per quanto concerne gli aspetti ambientali, connessi con la presenza di Siti di interesse comunitario (Sic), si rappresenta che i pareri della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas comprendono una specifica esaustiva valutazione degli impatti derivanti dal progetto con riguardo a tutte le componenti ambientali interferite. In particolare, per quanto riguarda l'interferenza con aree protette e le aree Sic costiere, si evidenzia che sono state prese in considerazione tutte le aree allo stato istituite, ed è stata condotta, con riferimento alle aree Sic costiere, una specifica «valutazione di incidenza».
  Per quanto concerne, invece, la partecipazione in tali procedimenti di conferimento sia dei cittadini che delle amministrazioni locali, essa è stata soddisfatta dal Legislatore proprio e soprattutto per mezzo dell'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, laddove prevede che «Le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività...».
  Inoltre, come già evidenziato, seppur il parere della regione Abruzzo sia pervenuto ben oltre i termini previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, si è ritenuto di disporre un supplemento istruttorio per consentire le opportune considerazioni della Commissione Via-Vas riguardo a tale parere regionale, al termine del quale si è provveduto ad integrare lo schema di decreto di compatibilità ambientale con le risultanze di tale supplemento istruttorio.
  Ad ogni modo, come premesso, per effetto della citata disposizione di cui all'articolo 1, comma 239 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), il Ministero dello sviluppo economico ha rigettato l'istanza di autorizzazione della società.
  Alla, luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a svolgere le valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VALLASCAS, CRIPPA, DA VILLA, FANTINATI, DELLA VALLE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sul sito del dipartimento delle politiche europee presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è pubblicato, aggiornato al 5 giugno 2014, l'Elenco delle decisioni della Commissione europea che dispongono il recupero di aiuti di Stato; l'elenco include tutte le decisioni che non risultano archiviate dalla Commissione europea, per un totale, alla data della pubblicazione dell'elenco, di sedici casi in cui la Commissione avrebbe ravvisato, nelle misure assunte dallo Stato italiano e dalle sue diverse articolazioni organizzative e territoriali, una incompatibilità con il mercato comune e, pertanto, configurabili come aiuti di Stato; nelle decisioni, la Commissione dispone che l'Italia intimi ai diversi beneficiari degli aiuti giudicati incompatibili di rimborsare gli aiuti illegittimi, eventualmente maggiorati di interessi (dalla data in cui gli aiuti sono messi a disposizione dei beneficiari fino a quella dell'effettivo recupero), nonché le modalità e i tempi con cui l'Amministrazione di competenza intende procedere al recupero; sempre sul sito del dipartimento delle politiche europee si afferma: «Il Servizio aiuti di Stato cura il coordinamento fra tutte le amministrazioni centrali e regionali per assicurare il rispetto della normativa europea. Gli incentivi agli investimenti spesso costituiscono aiuti di Stato e quando ciò accade è necessario che siano conformi alla normativa UE. Il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea disciplina la materia agli articoli 107 e 108»; i procedimenti inclusi nell'elenco aggiornato al 5 giugno scorso riguarderebbero diversi aiuti illegittimi che sarebbero stati riconosciuti tali in diversi periodi. Tra questi sarebbero presenti posizioni che sarebbero state oggetto di decisione della Commissione europea più di un decennio fa; le diverse procedure relative ai casi presenti nell'elenco di cui sopra sarebbero in capo alle diverse amministrazioni competenti; questo stato di cose determinerebbe una molteplicità di procedimenti, tanti quanti sono le amministrazioni competenti interessate, con percorsi e adempimenti giuridici, spesso profondamente diversi tra loro, che richiederebbero tempistiche anch'esse diverse; tutto questo avrebbe ripercussioni rilevanti sui soggetti beneficiari chiamati a restituire gli aiuti di stato; in alcuni casi, la celerità dei procedimenti adottati per il recupero è destinato a ripercuotersi con grave danno sui soggetti beneficiari e sulla sopravvivenza stessa sul mercato; in materia di concorrenza e aiuti di stato, la Corte di giustizia dell'Unione europea in più circostanze ha giudicato lo Stato italiano inadempiente delle decisioni della Commissione europea, in merito al recupero degli aiuti, con un ulteriore aggravio per le casse dello Stato –:
   se sia una competenza del Dipartimento delle Politiche europee armonizzare, nel rispetto delle normative in materia e dell'autonomia amministrativa degli enti interessati, i procedimenti per il recupero degli aiuti di Stato;
   quali siano le motivazioni per le quali alcuni soggetti beneficiari a distanza di anni non abbiano provveduto a restituire gli aiuti di Stato;
   quale sia lo stato di attuazione delle decisioni della Commissione europea che dispongono il recupero di aiuti di Stato e se sia noto quale sia l'ammontare complessivo degli aiuti di Stato erogati dalle diverse amministrazioni centrali e regionali. (4-08731)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame in merito all'armonizzazione dei procedimenti per il recupero degli aiuti di Stato.
  Quanto al primo quesito, «Se sia competenza del Dipartimento delle politiche europee armonizzare, nel rispetto delle normative in materia e dell'autonomia amministrativa degli enti interessati, i procedimenti per il recupero degli aiuti di Stato».
  Fra le competenze in materia di aiuti di Stato che la legge 24 dicembre 2012, n. 234, attribuisce al Dipartimento delle politiche europee non c’è una specifica previsione che riguardi l'armonizzazione dei procedimenti per il recupero degli importi dovuti per effetto delle decisioni di cui all'articolo 14 del regolamento (CE) n. 659/1999 del 22 marzo 1999 (decisioni di incompatibilità di aiuti di Stato illegali).
  L'articolo 48 della citata legge n. 234 del 2012 disciplina il recupero degli aiuti di Stato illegali nei confronti dei quali sia intervenuta una decisione negativa della Commissione europea con ordine di recupero. La norma precisa che «a seguito della notifica di una decisione di recupero di cui al comma 1, con decreto da adottare entro due mesi dalla data di notifica della decisione, il Ministro competente per materia individua, ove necessario, i soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto, accerta gli importi dovuti e determina le modalità e i termini del pagamento. Il decreto del Ministro competente costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati.».
  Nei casi in cui l'ente competente al recupero è diverso dallo Stato, è la regione ovvero la provincia autonoma ovvero l'ente territoriale competente ad adottare il provvedimento per l'individuazione dei soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto, l'accertamento degli importi dovuti e per la determinazione delle modalità e dei termini del pagamento.
  Il recupero è disposto dall'amministrazione che lo ha concesso, la quale, ai sensi del comma 1 del citato articolo 48, incarica la società Equitalia spa di effettuare la riscossione degli importi dovuti per effetto delle decisioni della Commissione europea.
  È dunque compito della medesima amministrazione competente fornire alla Commissione tutte le informazioni inerenti l'esecuzione delle decisioni di recupero.
  Pertanto, il Dipartimento delle politiche europee non ha alcuna competenza sulle procedure di recupero degli aiuti di Stato. La ragione per cui sul sito del Dipartimento delle politiche europee viene pubblicato e aggiornato l'elenco delle decisioni della Commissione europea che dispongono il recupero di aiuti di Stato risiede nel fatto che la sentenza della Corte di giustizia UE del 15 maggio 1997, relativa alla causa C-355/95 (
Textilwerke Deggendorf GmbH (TWD)/Commissione) ha stabilito il principio secondo il quale non possono essere concessi nuovi aiuti alle imprese destinatarie di decisioni di recupero della Commissione europea e nel fatto che l'Italia, con l'accordo di partenariato 2016-2020, si è impegnata anche a garantire il rispetto di tale principio, pena il blocco dei fondi strutturali, rendendo pubblico l'elenco delle decisioni di recupero della Commissione europea, l'elenco delle imprese destinatarie di aiuti ad hoc da recuperare e l'elenco delle amministrazioni (con i loro indirizzi di posta certificata) che hanno istituito regimi di aiuto ritenuti illegali e che pertanto hanno l'obbligo di recuperare.
  Fermo restando quanto sopra, si segnala che l'articolo 35, commi da 2 a 4, del disegno di legge europea 2015-2016, in corso di approvazione parlamentare (AC 3821), prevede di introdurre al citato articolo 48 della legge n. 234 del 2012 modifiche destinate a trovare applicazione alle decisioni di recupero notificate a decorrere dal 1o gennaio 2015 e finalizzate ad accelerare le procedure di recupero.
  In particolare, la norma proposta con il disegno di legge europea 2015-2016, che terminerà il suo
iter di approvazione presumibilmente entro il mese di luglio 2016, intende:
   abrogare l'inciso in virtù del quale la competenza di Equitalia è limitata alle decisioni della Commissione europea adottate in data successiva all'entrata in vigore della legge n. 234 del 2012;
   riscrivere integralmente le procedure, previste dal comma 2 del citato articolo 48, per l'individuazione dei soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto, l'accertamento degli importi dovuti la determinazione di termini e modalità di pagamento.

  Più nel dettaglio, la norma mira a:
   1) stabilire i tempi (quarantacinque giorni dalla notifica della decisione di recupero) entro i quali il ministro competente per materia sulle attività di recupero, dovrà, con proprio decreto, individuare i soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto, accertare gli importi dovuti e determinare le modalità e i termini del pagamento;
   2) colmare il vuoto normativo relativo al caso in cui le attività da compiere per il recupero di aiuti illegali siano di competenza di più amministrazioni. In tal caso, anche al fine di accelerare le relative procedure, si prevede la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di un commissario straordinario, che, con proprio provvedimento da adottarsi entro 45 giorni dal decreto di nomina, individua i soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto, accerta gli importi dovuti e determina le modalità e i termini del pagamento. Il commissario è nominato entro quindici giorni dalla data di notifica della decisione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che definisce altresì le modalità di attuazione della decisione di recupero.
  Il Commissario viene individuato all'interno delle amministrazioni che hanno concesso gli aiuti oggetto della decisione – le quali devono fornirgli ogni elemento necessario alla corretta esecuzione – o di quelle territorialmente interessate. Egli svolge le attività connesse all'incarico conferito avvalendosi delle risorse umane, finanziarie e strumentali delle amministrazioni competenti a legislazione vigente e non riceve alcun compenso personale.
  Viene specificato che il decreto del ministro competente ed il provvedimento del commissario straordinario «costituiscono titoli esecutivi nei confronti degli obbligati.»;
   disciplinare l'ipotesi in cui la decisione di recupero sia rivolta ad enti diversi dallo Stato. In questo caso, le regioni, le province autonome o gli enti territoriali competenti dovranno adottare «il provvedimento per l'individuazione dei soggetti tenuti alla restituzione dell'aiuto, l'accertamento degli importi dovuti e la determinazione delle modalità e dei termini di pagamento» chiarendo che anche tale provvedimento costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati.

  Fermo restando quanto sopra, comunque, il Dipartimento delle politiche europee, nell'ambito della sua consueta attività di coordinamento, ha sempre assistito le amministrazioni competenti al recupero, curando l'informazione circa gli adempimenti da portare a termine per l'attuazione delle decisioni di recupero e fornendo ogni necessario supporto giuridico.
  Il Dipartimento delle politiche europee, poi, ha sempre operato anche promuovendo e facilitando il contatto e lo scambio costante di informazioni tra le amministrazioni interessate e la Commissione europea, formalizzando tale prassi organizzando anche cosiddette «riunioni pacchetto» o «
country visits».
  Nel corso di tali incontri, le amministrazioni – con l'aiuto e l'assistenza del Dipartimento delle politiche europee, che ha curato il coordinamento – hanno potuto esaminare e discutere i
dossier di loro competenza direttamente con la Commissione europea, acquisendo tutte le informazioni necessarie a una accurata gestione dei dossier medesimi, e hanno avuto l'opportunità di risolvere eventuali perplessità o dubbi interpretativi.
  In tali occasioni, fra l'altro, il Dipartimento delle politiche europee ha chiarito con la Commissione europea che il protrarsi nel tempo delle azioni di recupera sia, in determinati casi, da attribuire alla peculiarità della legislazione nazionale, come, ad esempio, nel caso delle procedure concorsuali.
   Il Dipartimento delle politiche europee continua ad adoperarsi per dare impulso all'attività di recupero delle amministrazioni competenti e favorire il dialogo con la Commissione europea, in modo da facilitare e rendere più rapidi i recuperi, per evitare il definitivo pronunciamento della Corte e eventuali, possibili sanzioni.
  Sul sito del Dipartimento delle politiche europee, all'indirizzo
http://www.politicheeuropea.it/attività/17997/audi-di-stato-illegali-guida-della-commissione-ue, sono presenti i documenti di riferimento per l'esecuzione dei recuperi.
  Quanto al secondo quesito: «Quali siano le motivazioni per le quali alcuni soggetti beneficiari a distanza di anni non abbiano provveduto a restituire gli aiuti di Stato».
  Ciascun caso di recupero di un aiuto di Stato presenta specifiche peculiarità. Ciò premesso, le principali cause di ritardo nell'esecuzione dei recuperi sono riconducibili al complessivo sistema di garanzie giurisdizionali del nostro Paese.
  In primo luogo, ciò può esser dovuto al contenzioso che si instaura quando le parti tenute a restituire l'aiuto (sorte capitale e relativi interessi) impugnano gli atti ed i provvedimenti adottati in esecuzione del recupero. Pertanto, l'attività di recupero delle amministrazioni impegnate nell'attività di recupero è condizionata dallo svolgimento delle cause, intentate dai soggetti tenuti a restituire l'aiuto. I tempi tecnici necessari a esperire i diversi gradi di giudizio comportano inevitabilmente ritardi nell'esecuzione dei recuperi. Inoltre, nei casi in cui il giudice nazionale solleva una questione pregiudiziale circa la esatta interpretazione del diritto europeo, la durata delle procedure si allunga ancora di più, in quanto occorre attendere la pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia.
  In secondo luogo, il ritardo può esser dovuto alla apertura di procedure concorsuali che investono imprese che devono restituire aiuti di Stato. Le procedure concorsuali presentano tempi spesso non in linea con la necessità di effettuare rapidamente il recupero del beneficio illegittimamente ricevuto dall'impresa. D'altra parte la
ratio delle procedure concorsuali è di verificare quali siano i margini per la salvaguardia dei creditori e, entro certi limiti, dell'impresa stessa.
  Al riguardo, occorre rilevare che, proprio al fine di contenere i possibili ritardi derivanti dai contenziosi nazionali in materia di aiuti di Stato il legislatore è intervenuto con l'articolo 49 della citata legge n. 234 del 2012, introducendo, per tali casi, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a prescindere dalla tipologia dell'aiuto accordato e dal soggetto che l'ha concesso.
  La giurisdizione esclusiva favorisce una maggiore concentrazione ed omogeneità nella formazione della giurisprudenza ma anche una maggiore rapidità nella soluzione dei contenziosi grazie alla applicabilità ai casi di cui si tratta del rito abbreviato, di cui all'articolo 119, comma 1 del Codice del processo amministrativo.
  Inoltre, il Dipartimento delle politiche europee ha curato diverse iniziative di confronto con la Commissione europea per spiegare le interconnessioni fra la normativa giurisdizionale nazionale e le procedure di recupero, che ne possono risultare rallentate.
  Quanto alla prima parte del terzo ed ultimo quesito: «Quale sia lo stato di attuazione delle decisioni della Commissione europea che dispongono il recupero di aiuti di Stato ...».
  Ad oggi, si contano tredici casi per i quali il recupero degli aiuti è ancora pendente.
  In sei casi (SA 21420: SEA Handling; SA.23425: SACE BT; SA.32014: SAREMAR; SA.33083: agevolazioni fiscali e contributive connesse a calamità naturali; SA.35842/ SA.35843: CSTF e Buonotourist, SA 39451: Banca Tercas); la Commissione ha adottato la decisione con cui ha intimato il recupero, in corso di svolgimento.
  In altri cinque casi (CR 80/2001: esenzione dall'accisa sul consumo degli oli minerali per la produzione di allumina; SA.31614: Sardinia Ferries-settore della navigazione in Sardegna; CR 57/2003: Proroga legge Tremonti
bis; CR 1/2004: Aiuti all'industria alberghiera in Sardegna; CR 27/1999: Aiuti alle società municipalizzate), è intervenuta la prima sentenza della Corte di giustizia ai sensi dell'articolo 260, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con la quale la Corte ha riconosciuto che l'Italia ha mancato all'obbligo del recupero ed in conseguenza della quale l'Italia è tenuta a prendere i necessari provvedimenti. Tale condanna non comporta il pagamento di sanzioni.
  È invece previsto il pagamento di sanzioni in due casi (CR 49/1998: Aiuti in favore dell'occupazione e CR 81/1997: Aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia). In tali ipotesi sono infatti intervenute le sentenze di condanna
ex articolo 260 par. 3 Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (sentenze della Corte di Giustizia del 17 novembre 2011 per il caso CR 49/98 e del 17 settembre 2015, per il caso CR 81/97), che hanno comminato il pagamento di una sanzione sotto forma di una somma forfettaria e di una penalità periodica.
  Il Governo si sta adoperando per dare impulso all'attività di recupero delle Amministrazioni competenti e favorire il dialogo con la Commissione europea, in modo da facilitare e rendere più rapidi i recuperi, per evitare il definitivo pronunciamento della Corte e le possibili sanzioni.
  Qualora l'interrogante, riferendosi allo «stato di attuazione delle decisioni di recupero», intendesse sapere quanta parte degli aiuti soggetti a recupero siano stati effettivamente recuperati dalle amministrazioni competenti, dovrebbe necessariamente fare riferimento ai dati che solo le medesime amministrazioni possono fornire con esattezza.
  Quanto alla seconda parte del terzo quesito «...e se sia noto quale sia l'ammontare complessivo degli aiuti di Stato erogati dalle diverse amministrazioni centrali e regionali».
  Nel rilevare che non risulta chiaro quale sia l'arco temporale di riferimento, si rappresenta che la normativa europea impone di conservare la documentazione degli aiuti concessi per dieci anni dalla concessione, si segnala che tali dati sono disponibili proprio presso le Amministrazioni concedenti.
  Al riguardo, preme tuttavia segnalare che l'articolo 52 della legge n. 234 del 2012 prevede la predisposizione, di un registro nazionale degli aiuti di Stato a cura del Ministero dello sviluppo economico, dovrà essere operativo entro il 1o gennaio 2017. Tale registro consentirà di effettuare, in ogni momento, la verifica sia dell'ammontare degli aiuti concessi, che dei beneficiari degli aiuti di Stato medesimi.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriSandro Gozi.


   VALLASCAS, BENEDETTI, GAGNARLI, TOFALO, DEL GROSSO e NICOLA BIANCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   è operativo, presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'ufficio per il mercato interno e la concorrenza che, tra le sue articolazione, annovera il servizio per gli aiuti di Stato;
   il decreto del presidente del consiglio dei ministri 4 febbraio 2015, sull'organizzazione della struttura dipartimentale della Presidenza del Consiglio dei ministri, all'articolo 5, comma 7, sui compiti dell'ufficio recita: «Assicura la vigilanza e l'attività d'informazione preventiva nel settore degli aiuti di Stato al fine di garantire la coerenza della legislazione e della prassi applicativa dello Stato e delle autonomie locali con i principi e le normative dell'Unione europea, e partecipa ai tavoli di coordinamento e consultazione in sede europea e nazionale sulle tematiche collegate»;
   il medesimo decreto, all'articolo 5, comma 9, lettera d), nell'enunciare i compiti del servizio aiuti di Stato, definisce nel dettaglio quanto illustrato al citato comma 7;
   da quanto esposto, apparirebbe chiaro il ruolo fondamentale dell'ufficio per il mercato interno e la concorrenza, per il tramite del servizio aiuti di Stato, nell'informazione preventiva, presso le articolazioni dello Stato, le regioni, le autonomie locali, dei criteri di erogazione e dei requisiti in base ai quali gli aiuti di Stato possano essere considerati compatibili con il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea che disciplina la materia agli articoli 107 e 108;
   questa attività risulterebbe determinante per salvaguardare il rispetto della normativa, per prevenire errate applicazioni e per evitare di incorrere in valutazioni negative e contestazioni da parte della Commissione europea sulla natura dei benefici concessi dagli Stati membri, evenienza che, oltre al rischio di distorsione della concorrenza del mercato, determinerebbe l'avvio del procedimento di recupero degli aiuti presso i beneficiari degli stessi;
   quest'ultima evenienza, considerata la celerità con cui la Commissione europea imporrebbe il recupero, a fronte di investimenti particolarmente rilevanti, determinerebbe in molti casi la condizione di insolvibilità da parte dei beneficiari, con conseguente compromissione dell'organismo societario che ha beneficiato dell'aiuto illecito;
   è il caso di rilevare che, al 5 giugno 2014, erano sedici le decisioni che non risultavano archiviate dalla Commissione europea, e pertanto ancora in corso, per le quali la Commissione aveva sollecitato la restituzione dei benefici erogati;
   nei casi citati sembrerebbe che si delinei l'assurda situazione in base alla quale, per un'errata interpretazione della normativa europea da parte dell'organismo erogatore, sia il destinatario del beneficio illecito a subirne le conseguenze peggiori;
   in caso di riconoscimento di incompatibilità degli aiuti di Stato con il regolamento sul funzionamento dell'Unione europea, verrebbero attivate dall'ente erogatore procedure di recupero con tempistiche che risulterebbero incompatibili con la liquidità e la solvibilità del beneficiario e che determinerebbero situazioni di grave sofferenza finanziaria che spesso sfocerebbero nella chiusura delle intraprese economiche;
   è il caso di citare la vicenda della Saremar, società di cabotaggio marittimo della regione Sardegna, ammessa al concordato preventivo che si concluderà il 31 dicembre 2015 con la liquidazione dell'azienda e il licenziamento di 167 dipendenti, a causa dello stato di insolvenza che si sarebbe determinato a seguito della decisione della Commissione europea che ha disposto il recupero di 10 milioni e 800 mila euro, considerati aiuti di stato ottenuti dalla regione Sardegna, tra il 2011 e il 2012, nell'ambito del progetto Flotta Sarda;
   egualmente assurda sembrerebbe la situazione di 28 albergatori della Sardegna, condannati a restituire 35 milioni di euro, ottenuti come finanziamento per riqualificare le strutture ricettive, a quanto pare a causa di un errore commesso dalla regione Sardegna in fase di predisposizione e pubblicazione dell'apposito bando;
   tutto questo sembrerebbe delineare una situazione in cui l'informazione preventiva potrebbe essere stata insufficiente ovvero potrebbe essere stato carente lo stesso coordinamento a livello nazionale e regionale sugli aiuti di Stato e porrebbe la questione di una corretta interpretazione della normativa europea in materia –:
   quali iniziative intenda adottare per creare le condizioni affinché si ottenga una diffusione chiara dei criteri e dei princìpi che regolamentano a livello europeo il sistema degli aiuti di Stato, al fine di evitare che si determinino situazioni in cui la Commissione europea non riconosca la compatibilità degli aiuti di Stato con il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   in che cosa consistano, nel dettaglio, le attività del servizio aiuti di Stato dell'ufficio per il mercato interno e la concorrenza, presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con particolare riguardo alle attività di informazione preventiva presso le articolazioni dello Stato, le regioni e le autonomie locali;
   se non ritenga opportuno avviare un'attività di sensibilizzazione, informazione, nonché di formazione, per il tramite del servizio aiuti di Stato dell'ufficio per il mercato interno e la concorrenza, presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, presso tutte le articolazioni dello Stato, le regioni, le autonomie locali, al fine di fornire indicazioni chiare sulle modalità di concessione di aiuti di Stato che possano essere valutati legittimi e compatibili con il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. (4-10579)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame in merito alle iniziative da adottare per la diffusione dei criteri che regolamentano a livello europeo il sistema degli aiuti di Stato, con particolare riguardo alle attività di informazione preventiva da attuare a livello nazionale e regionale.
  Prima di fornire elementi di risposta sulle singole questioni sollevate dall'interrogante, si ritiene utile una breve sintesi delle principali competenze che ha il Dipartimento per le politiche europee in materia di aiuti di Stato.
  Nel nostro Paese le misure che costituiscono aiuti di Stato sono predisposte dalle singole amministrazioni pubbliche (ministeri, regioni, enti locali).
  La legge n. 234 del 2012 conferma che sono le singole amministrazioni a notificare le citate misure alla Commissione europea, ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE); tale norma è di applicazione diretta e tutti gli organi di tutti gli Stati membri devono rispettarla.
  Prima della approvazione da parte della Commissione europea, tali misure non possono essere concesse, salvo i casi di esenzione da notifica.
  La medesima legge n. 234 del 2012 prevede che le citate amministrazioni devono dare notizia della notifica da esse stesse effettuata alla Presidenza del Consiglio dei ministri (PCM) – Dipartimento per le politiche europee (DPE).
  Pertanto la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche europee è estranea al processo di notifica, il quale resta nella piena e autonoma responsabilità delle Amministrazioni pubbliche con potere di spesa (ministeri, regioni, enti locali). La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche europee può esprimere un preventivo parere in merito al carattere di aiuto di Stato delle citate misure, solo ove le amministrazioni lo richiedano.
  Occorre poi osservare che la quasi totalità degli interventi agevolativi che possono configurare aiuti di Stato sono previsti in disposizioni normative, che possono avere la loro genesi nelle Amministrazioni o in sede parlamentare (o consiliare, nel caso delle regioni e degli enti locali). In tali ipotesi, il processo di formazione di tali norme prevede un vaglio interno alle Amministrazioni e un vaglio da parte delle competenti Commissioni di Camera e Senato o dei Consigli regionali e degli enti locali.
  La valutazione di compatibilità delle misure che configurano aiuti di Stato è competenza esclusiva della Commissione europea.
  È, quindi, di tutta evidenza, pertanto, che la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche europee non ha alcuna specifica competenza preliminare in ordine a valutazioni di compatibilità con le regole in materia di aiuti di Stato delle misure che prevedono incentivi pubblici alle imprese.
  Con riferimento alle misure di aiuto non notificate – fermo restando che esse non possono essere concesse, salvo i casi di esenzione da notifica – la Commissione europea può chiedere informazioni, aprire indagini formali e, nella misura in cui essa ritenga dette misure incompatibili, ne può ordinare il recupero, adottando apposite decisioni.
  Quanto ai quesiti posti dall'interrogante:
   1) Quanto al primo quesito, Quali iniziative intenda adottare [la Presidenza del Consiglio dei ministri] per creare le condizioni affinché si ottenga una diffusione chiara dei criteri e dei principi che regolamentano a livello europeo il sistema degli aiuti di Stato, al fine di evitare che si determinino situazioni in cui la Commissione europea non riconosca la compatibilità degli aiuti di Stato con il trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

  Nell'ambito dello svolgimento dei propri compiti istituzionali di coordinamento, previsti dalla legge n. 234 del 2012, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche europee coinvolge costantemente le amministrazioni ai fini di un esame congiunto della normativa sugli aiuti di Stato, spesso quando essa è ancora allo stadio di progetto: ciò consente una preventiva conoscenza delle regole sugli aiuti di Stato che entreranno in vigore.
  In tale contesto, la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche europee fornisce indicazioni alle amministrazioni per adeguarsi in anticipo a tali regole, sensibilizza le medesime sui profili maggiormente rilevanti o complessi, affronta, congiuntamente con le amministrazioni, eventuali problemi di carattere applicativo, ai fini di una loro idonea soluzione.
  L'interazione costante con le amministrazioni che, in tal modo, attingono informazioni, notizie e pareri, anche informali, consente loro una sempre migliore applicazione delle norme sugli aiuti pubblici.
  Il coordinamento è, poi, anche finalizzato alla migliore partecipazione alla fase di formazione degli atti dell'Unione europea da parte delle autorità italiane.
  Premesso quanto sopra, si richiamano di seguito le principali funzioni – previste dalla legge n. 134 del 2012 – attribuite alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche europee in materia di aiuti di Stato, il cui esercizio consente una diffusione dei criteri e dei principi vigenti in materia di aiuti di Stato:
   1. la definizione della posizione italiana nei confronti dell'Unione europea, previo coordinamento con ministeri e regioni, in relazione a ciascun progetto di atto dell'Unione in materia di aiuti di Stato;
   2. il coordinamento sui casi oggetto di indagine da parte della Commissione europea, nei casi ove la competenza sul dossier è in capo a più amministrazioni;
   3. il coordinamento finalizzato all'adempimento, da parte delle amministrazioni, degli obblighi di relazione sugli aiuti di Stato nei Servizi di interesse economico generale (Sieg);
   4. il monitoraggio sui casi di recupero di aiuti di Stato;
   5. la predisposizione di relazioni trimestrali sulle procedure di indagine formale e sui recuperi.

  Oltre alle attività sopra elencate, si anticipa che è stato avviato un progetto per la realizzazione di un vademecum sugli aiuti di Stato.
  Tale
vademecum rappresenta un ulteriore strumento per una ricognizione sistematica della normativa sugli aiuti di Stato, finalizzata ad agevolare e semplificare l'applicazione della normativa medesima, con una conseguente maggiore uniformità.
  Per una migliore divulgazione sarà effettuata la pubblicazione sul sito istituzionale.

  2) Quanto al secondo quesito, in che cosa consistano, nel dettaglio, le attività del servizio aiuti di Stato dell'Ufficio per il mercato interna e la concorrenza, presso il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, con particolare riguardo alle attività di informazione preventiva presso le articolazioni dello Stato, le regioni e le autonomie locali.
  Le principali attività del servizio aiuti di Stato dell'ufficio per il mercato interno e la concorrenza, presso il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, sono quelle attinenti:
   i. al coordinamento, previste dalla legge n. 234 del 2012 (fase di formazione della normativa europea; implementazione a livello nazionale; rapporti con la Commissione europea e gli altri Stati membri);
   ii. al supporto alle amministrazioni;
   iii. alle attività di natura consultiva.

  Ognuna di tali attività rappresenta un utilissimo strumento di guida e di informazione preventiva per tutte le amministrazioni.
  Fermo restando quanto sopra, si segnala che l'articolo 35, commi da 1 a 3, del disegno di legge europea 2015-2016 in corso di approvazione parlamentare (AC 3821), propone di rafforzare le funzioni dell'Ufficio aiuti di Stato del Dipartimento delle politiche europee, istituendo presso il Dipartimento politiche europee una «cabina di regia» unica che garantisca la completezza delle informazioni da notificare alla Commissione europea sui progetti di norma con i quali le amministrazioni centrali o territoriali intendono istituire o a modificare aiuti di Stato alle imprese.
  In particolare, la norma proposta con il disegno di legge europea 2015-2016 – che entrerà in vigore presumibilmente entro il prossimo mese di luglio – intende modificare l'articolo 45 della legge n. 234 del 2012, al fine di sostituire la comunicazione diretta da parte delle singole amministrazioni interessate, accompagnata da una mera informativa al Dipartimento per le politiche europee, con una procedura centralizzata in base alla quale le misure con le quali le amministrazioni centrali e territoriali intendono concedere aiuti di Stato alle imprese saranno controllate dal detto Dipartimento, a cui è affidato il compito di verificare, in tempi certi, la completezza della documentazione contenuta nella notifica. Il successivo inoltro della notifica alla Commissione europea sarà poi effettuato conformemente alla normativa europea.
  Il futuro ruolo dell'Ufficio aiuti di Stato sarà quindi quello di scongiurare la principale causa del rallentamento dei tempi di risposta della Commissione europea: la disomogeneità delle procedure di notifica delle diverse amministrazioni e l'incompletezza della documentazione trasmessa.
  Quanto alla richiesta dell'interrogante riguardante le principali attività del Servizio aiuti di Stato di cui sopra nel dettaglio:
   i. Attività di coordinamento.
  Tale attività si svolge, in primo luogo, con riferimento a ciascun progetto di atto dell'Unione in materia di aiuti di Stato (esempio: Comunicazioni, Linee guida, Discipline, Regolamenti).
  Il Dipartimento delle politiche europee esamina, congiuntamente con le Amministrazioni centrali e regionali le bozze di atti dell'Unione europea, fin dalla fase della loro formazione e della discussione con la Commissione europea e con gli altri Stati membri.
  Ciò consente la definizione di una posizione unitaria e allo stesso tempo rappresenta uno strumento di informazione preventiva (con largo anticipo) sulle regole europee che entreranno in vigore e che dovranno essere rispettate.
  Nell'ambito del coordinamento, il Servizio aiuti di stato fornisce ai rappresentanti delle Amministrazioni coordinate tutte le informazioni necessarie all'esame della proposta, in tutti i suoi aspetti, facilitando la valutazione delle competenti amministrazioni sull'impatto regolatorio della medesima.
  Nella fase del coordinamento, il servizio indica le possibili procedure e soluzioni tecniche per una corretta implementazione delle regole sugli aiuti di Stato.
  A seguito delle riunioni multilaterali a Bruxelles, nelle quali la posizione unitaria viene rappresentata e negoziata, il Dipartimento delle politiche europee informa le amministrazioni degli esiti di dette riunioni e delle decisioni che la Commissione ha assunto o intende assumere.
  Per facilitare la circolazione delle informazioni all'interno delle amministrazioni, il Dipartimento delle politiche europee ha costituito una rete di punti contatto, esperti in materia di aiuti di Stato, che cura la diffusione delle informazioni in ogni amministrazione centrale e regionale e che può facilitare il coordinamento interno all'amministrazione.
  Quando vengono in rilievo dossier più specifici, il coordinamento viene svolto ove vi sono più amministrazioni interessate. In tali casi, la natura settoriale dei principi e delle norme comporta un livello di approfondimento maggiore. Di conseguenza, il rapporto con le Amministrazioni è più interattivo e meno formale e tale modalità risulta più efficace per l'ottenimento di risultati migliori e più celeri.
  Pertanto, sia per la molteplicità dei settori economici trattati, che per l'elevato numero delle amministrazioni coinvolte, l'attività di coordinamento consente al Servizio aiuti di assicurare l'informazione necessaria alle amministrazioni chiamate ad applicare le norme sugli aiuti di Stato.

   ii. Supporto alle Amministrazioni.
  In numerose occasioni, il Dipartimento delle politiche europee fornisce la propria assistenza alle amministrazioni, sia su questioni di carattere giuridico che su aspetti di natura procedurale. In effetti, sono numerose le ipotesi nelle quali le amministrazioni, pur ben consapevoli delle norme da applicare, hanno tuttavia necessità di assistenza, come ad esempio: l'individuazione delle strutture competenti (ad esempio, all'interna della Commissione europea); una migliore informazione sulle concrete procedure di notifica; la predisposizione di notifiche più complete; l'organizzazione di incontri su
dossier specifici.
  In tali casi e negli altri simili, il Dipartimento delle politiche europee si adopera per facilitare i rapporti fra le autorità nazionali e quelle europee.

   iii. Attività di natura consultiva.
  La funzione consultiva viene esercitata con la pronuncia sulle richieste di parere provenienti dalle amministrazioni pubbliche che molto spesso hanno ad oggetto schemi di norme (nazionali o regionali). Ciò rappresenta una efficacissima modalità di curare costantemente un'informazione preventiva e di diffonderla all'interno delle amministrazioni.
  La funzione consultiva viene inoltre esercitata nei riguardi di leggi regionali già in vigore, ai fini della eventuale impugnativa da parte del Governo: in tali casi, il parere viene rilasciato alle strutture governative competenti a definire i termini della eventuale impugnazione. In ultima istanza, la decisione di impugnazione ha natura politica ed è oggetto di delibera del Consiglio dei ministri.

   3) Quanto al terzo quesito, Se [la Presidenza del Consiglio dei ministri] non ritenga opportuno avviare un'attività di sensibilizzazione, informazione, nonché di formazione, per il tramite del servizio aiuti di Stato dell'Ufficio, del mercato interno e la concorrenza, presso il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, presso tutte le articolazioni dello Stato, le regioni, le autonomie locali, al fine di fornire indicazioni chiare sulle modalità di concessione di aiuti di stato che possano essere valutati legittimi e compatibili con il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  Tra le funzioni che la legge n. 234 del 2012 attribuisce al Servizio aiuti di Stato dell'Ufficio per il mercato interno e la concorrenza presso il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, non vi è quella di provvedere alla formazione in materia di aiuti di Stato.
  Ciò non di meno, il Dipartimento delle politiche europee ha curato un'attività di formazione dei funzionari delle amministrazioni ad ogni livello amministrativo.
  In particolare, agli esiti del processo di modernizzazione degli aiuti di Stato, il Dipartimento delle politiche europee ha svolto un ampio programma di formazione per funzionari pubblici su questioni generali e specifiche di applicazione del nuovo complesso di regole in materia di aiuti di Stato.
  L'intenso programma di formazione ha avuto l'obiettivo di favorire l'applicazione uniforme delle norme sugli aiuti di Stato da parte delle diverse strutture amministrative del Paese. Per tale finalità è stata coinvolta direttamente la Commissione europea anche in qualità di docente.
  I vari interventi formativi hanno avuto ad oggetto sia i contenuti delle nuove singole discipline, sia una parte generale sugli elementi essenziali che consentono di individuare la fattispecie dell'aiuto di Stato, sulle regole che consentono di evitare
ex ante l'insorgere di condizioni patologiche nella concessione di aiuti di Stato e sulle norme da seguire per il recupero degli aiuti.
  I diversi appuntamenti formativi:
   2014-2015.
  Il 16 e 17 giugno 2014, presso il DPE si è tenuta una prima sessione di formazione. La prima delle due giornate ha visto la partecipazione delle magistrature nazionali e della Commissione. La seconda giornata è stata rivolta alle amministrazioni centrali e regionali.
  Il 24 novembre del 2014 il servizio ha coinvolto la Commissione europea, fornendo la propria assistenza, ed ha promosso un corso di formazione per funzionari e dirigenti pubblici della regione Sardegna svoltosi a Cagliari.
  Nel 2015, il Dipartimento delle politiche europee, d'intesa con l'Agenzia per la coesione territoriale, in stretta collaborazione con la Commissione europea, ha organizzato tre sessioni formative, dislocate sul territorio: la prima a Roma nelle giornate del 2 e 3 marzo; la seconda a Milano nelle giornate del 30 e 31 marzo; la terza a Napoli nella giornata del 5 giugno.
  A tali appuntamenti formativi hanno partecipato circa trecento dipendenti pubblici delle Amministrazioni centrali e regionali, nonché soggetti appartenenti ad altre categorie professionali, quali magistrati, avvocati, commercialisti, professori universitari eccetera.
  Nel corso delle tre sessioni di formazione svoltesi nel 2015, sono state trattate le tematiche collegate al controllo
ex-ante ed ex post degli aiuti di Stato ed alle norme sul recupero dei medesimi.
  In ciascuna delle sessioni, poi, si è proceduto all'approfondimento del nuovo regolamento generale d'esenzione.
  Nell'ambito delle sessioni di Roma e Milano si sono tenuti anche seminari fra i servizi della CE e magistrati, avvocati; commercialisti e professori universitari.

  Anno 2016.
  Nell'anno in corso, il Dipartimento ha avviato, in collaborazione con Formez PA, un'attività formativa di base per i dipendenti pubblici non direttamente coinvolti nella materia degli aiuti di Stato con l'obiettivo di favorire una comprensione di massima del processo di modernizzazione delle regole per il controllo degli aiuti, entrato in vigore nel 2014.
  Ciò al fine, anche, di consentire alle amministrazioni il rafforzamento, nell'ambito delle proprie articolazioni e strutture gestionali, di una diffusa consapevolezza nell'allocazione delle risorse pubbliche, nonché di una conoscenza primaria nell'utilizzo conforme degli aiuti da parte delle imprese beneficiarie, evitando effetti distorsivi della concorrenza.
  Al fine di consentire il più ampio coinvolgimento delle amministrazioni senza aggravarle di alcun onere, l'attività formativa si è svolta esclusivamente
on line attraverso Webinar.
  Sono state organizzate due sessioni: la prima edizione ha preso il via il 26 aprile 2016 e si è conclusa il 7 giugno 2016 con un'adesione di 1.320 iscritti certificati e 778 connessioni attive.
  La seconda edizione, iniziata il 17 maggio 2016 e tuttora in corso, ha registrato un'adesione di 1.320 iscritti certificati e 780 connessioni attive.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriSandro Gozi.