Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 13 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo ha annunciato l'intenzione di istituire due zone «No-tax area» per intercettare investimenti in fuga dal Regno Unito, prevedendone la collocazione a Milano, nell'area che ha ospitato l'Expo, ed a Bagnoli;
    Milano risulta essere anche la candidata italiana ideale per ospitare la sede dell'EBA, l'Autorità bancaria europea che prossimamente dovrà traslocare da Londra;
    anche la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) dovrà a breve lasciare la City trasferendo la propria sede altrove;
   Trieste, si evidenzia, è considerata la città più europea, in ragione della presenza di un porto commerciale in continua espansione, fondamentale per gli scambi da e per l'Europa, di alcuni dei più importanti centri di ricerca al mondo, nonché per la qualità della vita e l'offerta di welfare cittadino;
    la città di Trieste, inoltre, per via della sua collocazione geografica e delle sue historical roots, è sempre stata ritenuta come il «ponte» tra i Paesi fondatori dell'Unione europea e quelli che vi hanno aderito in seguito rientranti nell'area dell'Est Europa;
    la costituzione di una «No-tax area» all'interno dei punti franchi del porto di Trieste rappresenterebbe, pertanto, un ulteriore incremento dell'attrattività del capoluogo, nonché completerebbe, per gli aspetti finanziari, le agevolazioni doganali vigenti compensando la forte concorrenza che le zone della fascia confinaria della regione subiscono a causa di una complessiva imposizione fiscale più favorevole in Austria e in Slovenia;
    peraltro, ai fini della costituzione di una «no-tax area» in Friuli-Venezia Giulia, basterebbe dare seguito a quanto già previsto nell'Allegato VIII al Trattato di pace del 1947,

impegna il Governo:

   ad attivarsi per la realizzazione di una «no tax area» all'interno dei punti franchi del porto di Trieste, al fine di non perdere un'immancabile occasione di attrazione di capitali esteri ed una straordinaria opportunità di creazione di nuovi posti di lavoro;
   ad assumere le iniziative normative necessarie alla piena attuazione della zona franca del porto di Trieste, come previsto dal Trattato di Pace del 1947, considerando lo sviluppo che ciò potrebbe portare non solo per l'area interessata, ma per tutto il Paese.
(1-01318) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    la fase attuativa del decreto legislativo n. 150 del 2015 in materia di politiche attive è ancora in svolgimento e richiede ancora una serie di decreti, regolamenti e atti di implementazione operativa;
    le politiche attive del lavoro rappresentano uno strumento fondamentale per ridurre la disoccupazione strutturale e per condizionare gli interventi a sostegno del reddito ad una ricerca attiva del lavoro;
    il nostro Paese dedica risorse alle politiche del lavoro molto inferiori a quelle destinate da altri Paesi europei;
    per i servizi per il lavoro il nostro Paese spende annualmente circa 500 milioni di euro, a fronte dei 9 miliardi spesi dalla Germania e dei 5 miliardi spesi dalla Francia;
    il rapporto tra il numero dei disoccupati e il numero di addetti ai centri per l'impiego è di oltre 300 unità nel nostro Paese (un addetto per 300 disoccupati) mentre è di 21 in Germania, di 57 in Francia e di 32 nel Regno Unito;
    una efficace politica di contrasto alla povertà significa anche condizionare il sostegno economico all'adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, così come recita il disegno di legge delega sul contrasto alla povertà;
    nonostante gli importanti risultati ottenuti con il programma «Garanzia Giovani», va assolutamente potenziata l'attività dei centri per l'impiego per la collocazione dei giovani disoccupati in buoni posti di lavoro;
    nella prospettiva indicata dal Governo di introdurre un sussidio di disoccupazione a livello europeo rileva avere anche nel nostro Paese strumenti adeguati a praticare il principio di condizionalità nei confronti dei beneficiari del sussidio, così come già avviene negli altri principali Paesi europei;
    per ANPAL (Agenzia nazionale per le politiche attive) si stanno completando gli adempimenti che ne potranno garantire la piena operatività;
    i percettori di «Naspi» sono già soggetti alle prescrizioni previste dalle nuove regole in tema di politiche attive, a partire dalla necessità di sottoscrizione del patto di servizio personalizzato;
    i centri per l'impiego necessitano di un indispensabile potenziamento al fine di garantire su tutto il territorio nazionale una adeguata offerta dei servizi previsti dalla riforma introdotta dal decreto legislativo n. 150 del 2015;
    le tendenze in atto nel mercato del lavoro italiano, periodicamente registrate dai dati ministeriali nonché, di Istat e di Inps, richiedono la messa in campo di strumenti maggiormente diffusi e stabili di supporto alla riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori disoccupati o a rischio di disoccupazione,

impegna il Governo:

   a definire un piano di rafforzamento operativo e di potenziamento dei centri per l'impiego, al fine di permettere una loro adeguata operatività a fronte dei nuovi significativi adempimenti in tema di politiche attive per i percettori di «Naspi» previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2015, garantendo soluzioni e risorse già nel corso del 2016, e a crescere nel biennio successivo, da distribuire alle strutture territoriali in relazione ai fabbisogni oggettivi di intervento e alle carenze di organico esistenti;
   ad adottare tutte le iniziative che accelerino il pieno funzionamento operativo dell'ANPAL quale soggetto centrale definito dalla riforma per il governo del sistema di politiche attive, al fine di garantire il diritto alla riqualificazione e all'avviamento ad un percorso finalizzato alla ricollocazione dei disoccupati, anche attraverso interventi specificamente dedicati alle ristrutturazioni delle imprese ed ai piani di reindustrializzazione;
    ad assumere iniziative per garantire, nell'ambito della manovra di bilancio per il 2017, un incremento delle risorse per il fondo per le politiche attive del lavoro, con l'obiettivo di aumentare e rendere l'offerta di tali politiche coerente alla platea potenziale dei beneficiari;
    ad adottare le iniziative necessarie alla rapida operatività dell'assegno di ricollocazione anche attraverso forme di sperimentazione legate alle situazioni di crisi occupazionale oggetto di esame presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e/o il Ministero dello sviluppo economico.
(1-01319) «Dell'Aringa, Gnecchi, Damiano, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla, Roberta Agostini, Albini, Amato, Ascani, Bargero, Bazoli, Benamati, Beni, Bergonzi, Blazina, Paola Boldrini, Bolognesi, Borghi, Bossa, Capone, Carloni, Carnevali, Carra, Casati, Causi, Cenni, Cominelli, Crivellari, Cuperlo, D'Incecco, Marco Di Maio, Fioroni, Fossati, Fragomeli, Galperti, Garavini, Gasparini, Ghizzoni, Ginato, Giorgis, Giuliani, Giulietti, Guerra, Iori, La Marca, Lavagno, Lodolini, Malisani, Marchetti, Marchi, Mariani, Massa, Melilli, Miotto, Mognato, Monaco, Montroni, Narduolo, Oliverio, Patriarca, Petrini, Piazzoni, Pollastrini, Preziosi, Rampi, Ribaudo, Romanini, Paolo Rossi, Schirò, Scuvera, Senaldi, Speranza, Stumpo, Taranto, Terrosi, Tullo, Zampa, Zanin, Cova».

Risoluzione in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'incidentalità ferroviaria in Italia nel periodo 2007-2014 si attesta su livelli inferiori rispetto alla media europea, come pure rispetto al dato degli USA;
    scomponendo il dato aggregato del numero totale degli incidenti per tipologie, l'Italia registra un dato superiore alla media per quanto concerne gli «incidenti alle persone per materiale rotabile in movimento»;
    nell'anno 2014, secondo i dati dell'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, gli incidenti significativi, tipizzati secondo la classificazione ERA (European Railway Agency), sono stati 108, avuto riguardo alla rete infrastrutturale di rete ferroviaria italiana;
    dall'analisi delle differenti tipologie di incidenti ferroviari, emerge che il maggior numero di eventi concerne investimenti di persone causati da materiale rotabile in movimento e dagli incidenti in corrispondenza ai passaggi di livello;
    in effetti, l'83 per cento del totale degli incidenti fa riferimento a comportamenti individuali che violano leggi e norme nell'interazione con la ferrovia, e in particolare il 68 per cento riguarda persone che si sono introdotte senza autorizzazione nel sedime ferroviario, mentre il 15 per cento concerne incidenti occorsi ai passaggi a livello;
    il 70 per cento delle presenze indebite di persone non autorizzate presenti negli impianti ferroviari riguarda le linee, e il restante 30 per cento le stazioni e i rispettivi passaggi a livello;
    per quanto sopra esposto, risulta evidente la necessità di accrescere la consapevolezza degli utilizzatori e dei frequentatori delle infrastrutture ferroviarie sui gravi rischi conseguenti all'inosservanza delle fondamentali norme di sicurezza, ferma rimanendo l'obbligatorietà per il gestore della rete ferroviaria di adottare tutte le soluzioni tecniche atte a ridurre al minino l'incidentalità;
    il sistema sanzionatorio relativo agli accessi indebiti alle infrastrutture ferroviarie rinviene al decreto del Presidente della Repubblica n. 753 del 1980 recante «Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto», che non è stato più modificato dalla sua approvazione;
    esso non tiene pertanto conto di nuove forme di comportamento che confliggano con la sicurezza individuale e generale dell'infrastruttura ferroviaria;
    gli organi di stampa e di comunicazione hanno dato conto del diffondersi in specie presso i giovani di comportamenti potenzialmente molto pericolosi per l'incolumità propria e altrui nell'accesso al sedime ferroviario, come per esempio l'abitudine ad eseguire i cosiddetti selfie occupando la sede delle linee ferroviarie per poi diffondere le immagini attraverso i social network;
    risulta evidente il rischio molto elevato connesso a questo tipo di comportamenti, anche per il meccanismo di emulazione che sovente interessa le giovani generazioni;
    è pertanto necessario intervenire agendo sia sull'aggiornamento del quadro sanzionatorio previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 753 del 1980, modificandolo per adattarlo alla situazione contemporanea, sia promuovendo una serie di azioni di sensibilizzazione e comunicazione in grado di accrescere, soprattutto tra i giovani, la consapevolezza in merito al corretto accesso e fruizione del complesso delle infrastrutture ferroviarie (stazioni, passaggio a livello, linee,

impegna il Governo:

   a predisporre una campagna di comunicazione e sensibilizzazione sull'incidentalità ferroviaria, con particolare riferimento alla popolazione in età adolescenziale e giovanile;

   ad assumere iniziative per promuovere l'aggiornamento del decreto del Presidente della Repubblica n. 753 del 1980, per adeguare il quadro sanzionatorio, che oggi effettivamente appare non più adeguato.
(7-01050) «Mognato, Fabbri, Tullo, Pagani, Carloni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   con ordinanza n. 14 del 7 luglio 2016, il nuovo sindaco Virginia Raggi ha nominato, tra i componenti della nuova Giunta capitolina, Marcello Minenna, con delega al bilancio, patrimonio e riorganizzazione delle partecipate;
   il neo-assessore è attualmente dipendente a tempo pieno della Commissione nazionale per le società e Borsa (Consob) e ivi dirigente responsabile dell'ufficio analisi quantitative e innovazione finanziaria;
   sussiste il concreto rischio che il neo-assessore, contemporaneamente al nuovo incarico, mantenga la funzione a tempo pieno come responsabile del suddetto ufficio e lo stipendio come dirigente della Consob;
   il provvedimento normativo istitutivo della Consob, di cui al decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, all'articolo 2, sesto comma, stabilisce che «al personale in servizio presso la Commissione è in ogni caso fatto divieto di assumere altro impiego o incarico o esercitare attività professionali, commerciali o industriali»;
   il regolamento del personale Consob prevede inoltre quanto segue:
    a) all'articolo 19, comma 1: «Il dipendente è tenuto a prestare la propria attività con diligenza, correttezza e spirito di collaborazione, in conformità alle leggi, ai Regolamenti ed alle disposizioni interne, ad osservare l'orario di lavoro, ad assolvere tempestivamente i compiti attribuitigli, attenendosi alle direttive di organizzazione e di indirizzo impartitegli»;
    b) all'articolo 39, comma 1: «Quando ciò sia riconosciuto d'interesse per l'Amministrazione, con deliberazione della Commissione i dipendenti possono essere autorizzati ad assumere un impiego presso amministrazioni, autorità ed enti pubblici in Italia ovvero presso enti od organismi internazionali» e comma 2: «Il dipendente che assume il suddetto impiego è collocato in aspettativa senza diritto a retribuzione»;
   desta comunque stupore e preoccupazione l'eventualità che incarichi così impegnativi vengano svolti contemporaneamente e dunque, di necessità, a tempo parziale, per due ordini di ragioni: in primo luogo la città di Roma ha diritto di avere un assessore che si occupi a tempo pieno di questioni decisive come il bilancio e la riorganizzazione delle partecipate, fra cui Acea, Ama e Atac; in secondo luogo, per quanto concerne l'attività della Consob le analisi quantitative, anche in relazione al costante sviluppo di nuovi strumenti finanziari, svolgono una funzione di rilievo nell'ambito dei compiti che la legge affida alla Commissione e non possono, secondo gli interroganti, essere coordinate da un dirigente che svolga la sua attività in modo residuale rispetto ad altri compiti;
   tra i compiti affidati all'assessore Minenna vi sono in particolare quelli relativi alla riorganizzazione delle società partecipate, tra le quali anche Acea s.p.a., società quotata in borsa e quindi soggetta al controllo della Consob, con quella che appare agli interroganti una indebita commistione fra controllato e controllore potenzialmente foriera di un conflitto di interesse, tenuto conto che, come si legge sul sito della Commissione, l'ufficio a cui è preposto il dottor Minenna «elabora analisi quantitative funzionali allo svolgimento delle attività di vigilanza in continuo sui mercati» e non può dunque essere considerato estraneo all'attività di vigilanza –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione all'applicabilità dell'articolo 2, sesto comma, del decreto-legge n. 95 del 1974 a fattispecie come quella di cui in premessa e se, comunque, non ritenga di assumere iniziative normative per implementare la citata disciplina in materia di incompatibilità.
(2-01430) «Giampaolo Galli, Misiani, Dell'Aringa, Donati, Cinzia Maria Fontana, Andrea Romano, Parrini, Pelillo, Morani, Bonaccorsi, Gadda, Lenzi, Romanini, Montroni, Amato, Garavini, Lodolini, Marchi, Ginefra, Incerti, Fedi, Gandolfi, Gasparini, De Maria, Orfini, Gutgeld, Carnevali, Martella, Fregolent, Boccuzzi, Di Salvo, Carra, Fusilli, Carrozza, Giuseppe Guerini, Braga, La Marca, Albanella, Casellato».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI, PAOLO BERNINI, MANTERO, GRILLO, LOREFICE e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 132 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309: «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza», articolo così sostituito dall'articolo 1, comma 3, della legge 18 febbraio 1999, n. 45, recita: «Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli affari sociali è istituita la Consulta degli esperti e degli operatori sociali sulle tossicodipendenze (...)»;
   avrebbe dovuto essere istituito un tavolo di consultazione e concertazione delle strategie e della programmazione degli interventi in ambito delle politiche antidroga e degli interventi correlati allo scopo, anche come contributo alle decisioni del Comitato nazionale di coordinamento per l'azione antidroga;
   a quanto consta agli interroganti, da oltre 6 anni però la Consulta degli esperti e degli operatori sociali non viene convocata, ed è ancora quella nominata dall'allora Ministro Giovanardi nel 2009;
   da oltre 7 anni non viene convocata la Conferenza nazionale sulle droghe, nonostante il decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 contenga una norma vincolante che ne dispone la convocazione puntuale ogni tre anni; tale vincolo è stato rispettato solo fino alla V edizione del 2009, tenutasi a Trieste;
   di fatto il confronto tra soggetti sociali del territorio impegnati sull'argomento ed istituzioni si è interrotto in quella stagione, a parte occasionali e sporadici episodi: il 4 marzo 2016, presso il Dipartimento per le politiche antidroga, si è tenuto un incontro tra le amministrazioni centrali, le organizzazioni non-governative e le associazioni che si interessano di sostanze stupefacenti; l'occasione era l'imminente sessione speciale sulle droghe dell'Assemblea generale dell'ONU del 19-21 aprile 2016;
   ai lavori per la stesura della relazione al Parlamento sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia 2015, così come prevista dall'articolo 131 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, che dispone che entro il 30 giugno di ciascun anno venga presentata una relazione al Parlamento sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia, hanno partecipato per la prima volta anche i rappresentanti del coordinamento tecnico in materia di salute delle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, costituito presso la Conferenza Stato-regioni, e una rappresentanza delle associazioni del privato sociale accreditato e dei servizi pubblici, così come esperti appartenenti al mondo scientifico e accademico da tempo impegnati nello studio del fenomeno;
   si osserva inoltre che l'Osservatorio italiano sulle droghe, istituito nel 2012 presso il dipartimento politiche antidroga, a quanto consta agli interroganti, non risulta essere operativo, mentre dovrebbe curare la raccolta, l'elaborazione e l'interpretazione di dati statistico-epidemiologici, farmacologico-clinici, psicosociali e di documentazione sul consumo, l'abuso, lo spaccio ed il traffico di sostanze stupefacenti e psicotrope, definire ed aggiornare le metodologie per la rilevazione e l'elaborazione dei dati raccolti; inoltre nel sito del dipartimento (http://www.politicheantidroga.gov.it/) i documenti internazionali messi in rete non paiono agli interroganti aggiornati –:
   se il Governo intenda dare puntuale seguito alle indicazioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in particolare con riferimento al ruolo ed al compito della prevista Consulta degli esperti e degli operatori sociali sulle tossicodipendenze, che al momento appare agli interroganti svuotata del suo effettivo significato operativo;
   quali iniziative si intendano assumere per promuovere il coinvolgimento, nella elaborazione delle politiche nazionali e internazionali sugli stupefacenti, dei consumatori di droga, degli utenti dei servizi per le dipendenze, delle organizzazioni non governative dei diversi soggetti espressione della società civile che si occupano sui territori della prevenzione, della cura e della presa in carico delle persone tossicodipendenti, così come peraltro richiesto dalla Strategia sulle droghe dell'Unione europea 2013-2020, che l'Italia ha sottoscritto, e come si intenda procedere per realizzare tale coinvolgimento compiutamente e non solo episodicamente;
   se si abbia in previsione di convocare la VI Conferenza nazionale sulle droghe;
   quali siano gli orientamenti circa l'attività dell'Osservatorio italiano sulle droghe e se si intenda promuoverne uno sviluppo;
   quali iniziative eventualmente si pensi di mettere in campo per aggiornare la documentazione presente all'interno del sito internet del dipartimento politiche antidroga. (5-09140)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo di stampa, pubblicato dal quotidiano economico: « Il Sole 24 Ore» del 12 luglio 2016, il board del Fondo monetario internazionale nei giorni scorsi, ha discusso il rapporto sull'Italia a seguito della missione annuale nel nostro Paese dell'esponente Rishi Goyal, evidenziando al riguardo, come la ripresa italiana sia a rischio, (a causa dell'esito del referendum britannico che ha deliberato per l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea) i cui effetti, determineranno nel breve e medio periodo uno scenario europeo molto più incerto;
   a tal fine, nel prossimo world economic outlook del 19 luglio 2016, Il Fmi taglierà le stime sul Pil italiano a meno dell'1 per cento nel 2016 (contro il precedente 1,1 per cento) e circa all'1 per cento nel 2017 (rispetto al precedente 1,25 per cento), tratteggiando uno scenario non proprio roseo per l'Italia, considerando le difficoltà per le banche «soggette a rischi» a causa delle alte sofferenze e del debito pubblico che svetta verso il 13’ % del Pil limitando pertanto il margine di manovra contro gli shock;
   il documento del Fmi rileva inoltre, come nonostante l'economia italiana si stia gradualmente riprendendo da una recessione profonda e protratta, la ripresa resta tuttavia modesta e potrebbe essere prolungata e soggetta a rischi, aggiungendo inoltre, come questo percorso di crescita implicherebbe, un ritorno della produzione ai livelli pre-crisi (2007) solo entro il 2025 ed un ampliamento del gap sul reddito rispetto alla media dell'euro zona;
   sul fronte del sistema bancario, il Fmi sollecita nei confronti dell'Italia «passi decisi» e tra questi, una supervisione più severa, una riduzione più rapida delle sofferenze nei prossimi anni ed un maggiore sostegno delle emergenze dei gruppi bancari sani, affrontando le preoccupazioni sulla cornice di risoluzione;
   il settore finanziario italiano, prosegue il rapporto del Fmi, resta soggetto a rischi, considerato che diverse banche potrebbero continuare a trovare difficoltà a generare sufficienti profitti per rafforzare il capitale, smaltire le sofferenze e finanziare il credito, sollecitando al riguardo, la necessità di una cornice ampia che faciliti e supporti le strategie di smaltimento delle sofferenze, a cui aggiungere, procedure per tempestive ristrutturazioni bancarie e insolvenze nonché un approccio coordinato per consolidare il sistema bancario;
   la crescita della produttività e degli investimenti inoltre risulta modesta, i cui livelli di disoccupazione restano sopra l'11 per cento e significativamente alti in alcune regioni e tra i giovani; inoltre, per quanto concerne i bilanci delle banche, come già suesposto, essi sono appesantiti da un livello di sofferenze molto alto e dalla lunghezza dei procedimenti giudiziali;
   il debito pubblico vicino al 133 per cento del Pil limita inoltre, il margine fiscale per rispondere agli shock, prosegue il Fmi, aggiungendo che il debito dovrebbe diminuire solo gradualmente nei prossimi anni e restare tuttavia vulnerabile agli shock finanziari;
   al riguardo, si segnala da parte del Fmi, l'urgenza di riforme pro crescita, per continuare l'aggiustamento di bilancio distribuito in modo equilibrato dal 2017 al 2019 e attuare una revisione della spesa più bassa ma più efficiente e un sistema di tassazione meno distorsivo, incluso l'ampliamento della base imponibile e l'introduzione di una moderna tassa sugli immobili;
   a giudizio dell'interrogante, il quadro complessivo che emerge dal documento predisposto dagli economisti del Fmi, evidenzia una situazione generale macroeconomica per il nostro Paese, di estrema preoccupazione, le cui emergenze connesse al sistema del cosiddetto « bail in» a carico degli investitori al dettaglio, che dovrebbero essere affrontate in modo più appropriato, (come segnala lo stesso Fmi) a cui si aggiungono anche le diverse e articolate criticità legate alla crescita e la domanda interna che continuano ad essere modeste ed insufficienti, determinano uno scenario incerto e privo della necessaria fiducia per il futuro;
   la necessità di interventi normativi espansivi, di politica economica e fiscale, finalizzati a sostenere la crescita e la domanda interna delle famiglie e delle imprese, in particolare quelle di piccola e media dimensione, anche attraverso misure di privatizzazione ambiziose, risultano a giudizio dell'interrogante, indispensabili e non più rinviabili, per affrontare l'effetto domino, determinato sia dalla Brexit, che dalle turbolenze finanziarie che persistono all'interno dell'area euro penalizzando in particolare i Paesi maggiormente a rischio come l'Italia –:
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa ed in particolare, sul rapporto economico predisposto dal Fondo monetario internazionale e reso noto, dall'esponente del Fondo, Rishi Goyal, capo della missione Italia, nella conference call sull'analisi delle cosiddette consultazioni Articolo IV,
   se il Governo condivida le analisi critiche e le sollecitazioni che emergono all'interno del documento medesimo, formulate dal Fmi;
   quali iniziative di politica economica e fiscale il Governo intenda assumere, al fine di introdurre in tempi rapidi le necessarie correzioni e recuperare il gap di competitività e di crescita, per il nostro Paese, che continua ad essere fortemente in ritardo. (4-13778)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo di Ernesto Diffidenti, apparso sul portale del quotidiano nazionale il Sole 24 Ore del 12 novembre 2015, si legge che la Calabria è l'ultima nella classifica dei livelli essenziali di assistenza relativa al 2014;
   la stessa regione è, dal 2010, sottoposta al piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, con la nomina di un commissario da parte del Governo che, per quanto già osservato dall'interrogante precisamente nell'interrogazione a risposta in commissione n. 5-06827 del 30 ottobre 2015, risulterebbe di dubbia legittimità a decorrere dal 1° gennaio 2013, non essendone ammessa la proroga e in considerazione del fato che, per legge, esso è soggetto a specifica procedura di diffida a dell'amministrazione regionale, omessa, a quanto consta agli interroganti, nel caso di specie;
   per l'articolo 32 della Costituzione, «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
   a parere dell'interrogante, vi è una contraddizione, logica, giuridica e pratica, tra i succitati articoli della Costituzione, ciò perché il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente la tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo, di cui all'articolo 32, il quale configura un obbligo preciso e forte in capo alla Repubblica, non limitabile per motivi di spesa o per altre esigenze esterne all’«individuo», normativamente inquadrato dalla fonte più alta dell'ordinamento;
   a conforto di quanto testé opinato, l'articolo 2 della Costituzione, a fortiori, afferma che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale», con ciò ribadendo l'esistenza a priori dei diritti inviolabili connaturati all'essere uomo, la cui tutela la norma in parola lascerebbe, a giudizio dell'interrogante al corso delle cose o in balìa di una rassegnazione impotente od apparente dell'amministrazione pubblica, che sarebbe così deresponsabilizzata in quanto soggetta all'imprevedibilità dell'economia globale, della crisi e del mercato;
   l'emissione della moneta è connessa al signoraggio, che è l'insieme dei redditi che ne derivano;
   il premio Nobel per l'economia Paul Robin Krugman, in un suo testo scritto con Maurice Obstfeld, definisce il signoraggio come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;
   il signoraggio moderno – rilevò il deputato Renato Cambursano, nella sua interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5/05147 del 20 luglio 2011 – «è eclissato nella contabilità dall'azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota», cioè la stessa dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);
   le banche centrali sono le istituzioni che raccolgono la ricchezza e il profitto da signoraggio, che dovrebbero essere trasferiti, coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;
   tale signoraggio, definito primario, deriva dall'abilità che possiede la singola banca centrale di emettere moneta, stampandola e immettendola nel mercato;
   il signoraggio secondario, invece, è – per come riassunto con chiarezza nel succitato atto parlamentare dal menzionato deputato Cambursano – «il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l'offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l'introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio, i derivati»;
   l'articolo 1 della Costituzione repubblicana sancisce che «la sovranità appartiene al popolo», sicché del popolo può considerarsi anche la sovranità sull'orientare le scelte di politica monetaria;
   poiché il popolo produce, consuma e lavora, la moneta, sin dall'emissione della singola banca centrale, dovrebbe diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
   la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata studiata dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini, che ha condensato le sue conclusioni nel volume «La banca, la moneta e l'usura», edizione Controcorrente, Napoli, 2001;
   secondo Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare, in concreto, il potere di emettere moneta e per riappropriarsi della sovranità monetaria, che avrebbe permesso di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne e, soprattutto, al di fuori di qualsivoglia indebitamento;
   anche il professor Giacinto Auriti, accademico fondatore della facoltà di giurisprudenza dell'università di Teramo, compì diversi studi sulla sovranità monetaria e sul signoraggio, sostenendo che l'emissione di moneta, senza riserve e titoli di Stato, quali garanzie per la realizzazione di opere pubbliche, non produrrebbe inflazione, in quanto sarebbe compensata da eguale aumento della ricchezza reale;
   Auriti sostenne pure che le banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, così originando il debito pubblico;
   lo stesso studioso denunciò l'assenza di una norma giuridica sulla proprietà dell'euro all'atto dell'emissione;
   il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto fiscal compact, il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
   con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
   il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, come più sopra visto, tuttavia appare all'interrogante in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita ci servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
   l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
   l'approvazione del «fiscal compact» e degli atti collegati è secondo l'interrogante opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento cinque stelle e di Sinistra, ecologia e libertà, che non erano in Parlamento nella XVI legislatura;
   il 9 maggio 2010, fu costituito  Fondo europeo di stabilità finanziaria, l'European financial stabilisation mechanism (EFSM) poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche «Fondo salva-Stati», finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito, sulla base delle modifiche al Trattato di Lisbona (oggi articolo 136 del trattato sul funzionamento dell'unione europea);
   le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
   il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di un sistema che privilegia la decisione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
   l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità 125.395.900.000 di euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del 30 marzo 2012, dell'Eurogruppo, avrebbe dovuto essere versate entro la metà del 2014;
   alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e immediatamente disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolta all'intera popolazione degli Stati membri, che in larga parte trova difficoltà a conoscere trattati e dispositivi che, nella pratica, ne limitano, secondo l'interrogante, in misura non più controllabile, la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
   è piuttosto recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pil, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria»;
   nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
   la riforma delle pensioni, cosiddetta «riforma Fornero», dal nome del Ministro che ne è stato promotore, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, è stata avviata in un contesto di crisi economica su cui, a parere dell'interrogante, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause;
   tale riforma ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono i fenomeni del «lavoro nero» e del «lavoro mafioso», dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pil), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
   a parere dell'interrogante i diritti fondamentali e inviolabili, previsti nella Costituzione repubblicana, sono seriamente in pericolo, sulla base di quanto detto sulla sovranità monetaria, che appare sottratta al popolo costituzionalmente sovrano, nonché alla base di quanto poi rappresentato sulle cause reali del debito pubblico, di quanto accennato sulla sostanziale perdita di rappresentatività democratica – visto che i processi decisionali determinanti sono rimessi, per l'Europa, a organismi non elettivi – e infine di quanto articolato in materia di strumenti che si assumono di stabilizzazione dalle finanze pubbliche;
   la società italiana di medicina generale ha un sistema in rete di ampio monitoraggio delle patologie diffuse nelle regioni italiane, con dati, anche sulla spesa sanitaria, utilizzati dall'istituto superiore di sanità, dall'Aifa, dall'Agenas, dall'Istat, dall'Osmed, dalla Banca d'Italia;
   l'associazione di medici «Mediass», operante nel territorio di Catanzaro e collegata con la suddetta società anche per l'inserimento dei dati funzionali al predetto monitoraggio, ha diffuso un compiuto elaborato statistico, in relazione al quale la farmaceutica lorda pro capite è, in Italia, depurata dai farmaci Pht (Prontuario della distribuzione diretta per la continuità assistenziale), e comporta una spesa di 197,94 euro, mentre in Calabria è di 232,1 euro, con una differenza del 17,3 per cento;
   la regione Calabria spende in farmaci più del resto d'Italia perché ha mogi più malati cronici, rispetto alla media italiana;
   a fronte di questo ultimo elemento sui malati cronici, la Calabria riceve meno finanziamenti per la sanità, che comunque sono inadeguati, poiché i fondi sanitari regionali vengono ripartiti con il calcolo della popolazione pesata;
   il riferito sistema di ripartizione, in vigore dal 1999, penalizza le regioni che hanno qualche giovane in più, come la Calabria, che avendo più malati cronici e meno risorse sfora naturaliter il tetto di spesa, con conseguente e ingiusto piano di rientro dal disavanzo;
   contenuto nel predetto elaborato statistico, il rapporto dei ricercatori – Healt Search – della società italiana di medicina generale conferma, per diverse patologie, che i malati cronici sono, in Calabria, superiori alla media nazionale, con una maggiorazione di 1,26 su cento abitanti per l'ulcera gastrica, di 1,3 per il diabete mellito, di 0,64 per l'ipertensione arteriosa, di 0,1 per l'infarto del miocardio, di 2,55 per l'artrosi, di 0,24 per malattie del cuore, di 0,24 per ictus cerebrale, di 0,18 per cirrosi epatica, di 0,57 per osteoporosi, di 1,54 per la broncopneumopatia cronica ostruttiva e di 1,22 per la funzionalità dalla tiroide;
   dal 30 settembre 2015, il quadro fornito dai ricercatori della Società italiana di medicina generale ne trova uno di pari entità e significanza nel decreto n. 103 del 2015 del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, che recepisce «il documento dell'intesa Stato-Regioni del marzo 2015»;
   nel  decreto n. 103 del 2015, del commissario ad acta, per il piano di rientro dal disavanzo sanitario, in Calabria si evidenziano, per diverse patologie, valori di prevalenza più elevati – almeno del 10 per cento –, rispetto al resto del Paese, ad esempio per ipertensione, artrosi, cefalea/emicrania, osteoporosi, diabete, bronchite cronica/enfisema, ulcera gastrica o duodenale e cataratta;
   nel menzionato decreto si certifica, come anche riportato nell'elaborato statistico più volte qui citato, che la Calabria ha almeno il dieci per cento di malati cronici in più del resto d'Italia;
   quanto testé riassunto è corroborato dalle informazioni contenute alla pagina 33 dell'allegato n. 1 al Dca n. 103 del 2015, per cui un confronto delle prevalenze di cui al riferito decreto con i dati cd, «Heath Search» e con i dati Istat conferma, inesorabilmente, una maggiore di malati cronici in Calabria rispetto al resto d'Italia;
   il dca n. 103 del 2015 da ancora una significativa maggiore prevalenza rispetto ai predetti dati, per cui, a parere dell'interrogante chi ha firmato e validato quei decreto dovrebbe dedurre che in una regione come la Calabria, in cui il numero dei malati cronici è maggiore, è necessario aumentare la spesa per le relative cure e dunque cessare l'attuazione del piano di rientro;
   inoltre, in Calabria l'indice di comorbilità, come anche rilevato nell'elaborato statistico dell'associazione «Mediass» è maggiore rispetto alla media nazionale;
   la maggiore spesa annua per la cura dell'ipertensione arteriosa, del diabete mellito, della broncopneumopatia cronica ostruttiva e dello scompenso cardiaco è stimata in 108 milioni 826 mila e 600 euro, in rapporto ai 16 anni di vigore dell'attuale criterio di ripartizione del fondo sanitario regionale;
   i dati messi in evidenza nel rapporto di «Mediass» evidenziano che la condizione della Calabria di maggiore prevalenza è piuttosto comune a tutto i Sud dell'Italia;
   il «X Rapporto Sanità», presentato nell'ottobre 2014 alle competenti commissioni congiunte del Parlamento, mostra, per esempio, che la Valle d'Aosta spende di spesa sanitaria – sia pubblica che privata – pro capite ben 3179 euro, mentre la Calabria ne spende 2200;
   nonostante quanto appena sopra evidenziato, la Valle d'Aosta le regioni del Nord, che spendono sempre più della Calabria, sono ritenute virtuose, mentre la Calabria è in piano di rientro e commissariata;
   dal «X Rapporto Sanità» emerge che il piano di rientro realizza, a giudizio degli interroganti una grande diseguaglianza, in primo luogo sul piano costituzionale, a danno dei cittadini della Calabria, costretti ad affrontare in proprio aggravi molto maggiori rispetto a quelli di aree settentrionali del Paese, benché la regione in parola abbia meno finanziamenti sanitari, più patologie croniche e comorbilità;
   a parere dell'interrogante il riferito piano di rientro serve a perpetrare una remota logica di marginalizzazione dell'estrema punta del Sud italiano, coperta dalla vulgata degli sprechi locali e delle ridondanti necessità di correttivi;
   a parere dell'interrogante il commissariamento per l'attuazione del piano di rientro presenta profili di dubbia legittimità e lo stesso piano di rientro risulterebbe infondato in ragione della spesa effettiva per la cura dei pazienti cronici della regione Calabria;
   con  nota del 13 giugno 2016, avente prot. n. 62/2013 e indirizzata al Governatore della regione Calabria, alla relativa struttura commissariale per il rientro dal disavanzo sanitario, al presidente dell'assemblea consiliare e ai suoi componenti, nonché alla deputazione nazionale ed europea eletta nel territorio di riferimento, il Garante della regione Calabria per l'infanzia e l'adolescenza ha evidenziato che la stessa regione «figura tuttora tra le poche», in Italia, «non ancora dotate di un Centro di Rianimazione Pediatrica»;
   «tale lacuna inficia seriamente – ha scritto il citato Garante – il diritto fondamentale di ogni bambino calabrese alla salute, oltre ad arrecare un grave disagio alle famiglie, molte delle quali versanti in condizioni economiche non favorevoli e costrette a spostamenti e permanenze fuori Regione alquanto dispendiosi»;
   il Garante in predicato ha osservato che la rianimazione intensiva pediatrica è «“presidio indispensabile” per la cura dei piccoli pazienti in condizioni critiche dalla nascita al diciassettesimo anno di vita, bisognevoli di un trattamento intensivo in quanto affetti da patologie gravissime che mettono in pericolo la vita»;
   «le linee guida più recenti – ha proseguito il Garante in parola – prevedono l'istituzione a livello regionale di un punto di terapia intensiva pediatrica che deve disporre di un eliporto attivo 24 ore, disponibile a ricevere pazienti in urgenza, – eventualmente anche dalle regioni limitrofe alla Calabria»;
   «l'istituzione in Calabria di un Centro di Rianimazione Pediatrica rappresenta – ha osservato il suddetto Garante – una scelta ormai irrinunciabile per il trattamento adeguato ed efficace di quelle patologie caratterizzate da gravi insufficienze cardio-respiratorie e dalla traumatologia maggiore, oltre a consentire il più ottimale trattamento dei pazienti con gravi intossicazioni e condizioni infettive che necessitino di monitoraggio e di un trattamento intensivo post-operatorio»;
   secondo lo stesso Garante, «si realizzerebbe, così, tra l'altro, in Calabria, un polo di riferimento per il trattamento del trauma grave pediatrico»;
   «da ciò – ha dedotto il Garante – l'urgenza irrinunciabile, e non più differibile, di provvedere all'istituzione in Calabria di un Centro di tal portata e la sede più idonea potrebbe essere individuata nella Città Metropolitana di Reggio Calabria, che oltre a disporre di un eliporto attivo 24 ore su 24, dispone anche di aeroporto ed è sede di Polo Ospedaliero multispecialistico dotato di tutte le strutture sanitarie satellite che si richiedono a supporto di un Centro di Rianimazione Pediatrica»;
   nella nota in questione, il Garante ha ricordato il «momento storico estremamente delicato per le finanze mondiali e territoriali», precisando che si è «costretti a registrare molto spesso priorità di spesa a tutto discapito dei servizi primari per l'Infanzia e l'Adolescenza»;
   in conclusione il Garante di cui si tratta ha sollecitato sul punto «l'impegno del Governatore della Regione, dei suoi Assessori, del Presidente del Consiglio Regionale, così come il sostegno di tale richiesta da parte di tutti gli Onorevoli componenti, oltreché della deputazione calabrese nel Parlamento nazionale ed europeo, affinché un servizio fondamentale e imprescindibile e di eccellenza, qual è la Rianimazione Pediatrica, venga garantito ai calabresi dalle istituzioni, superando logiche e posizionamenti di parte, nel supremo interesse dei più piccoli pazienti abbisognevoli di cure intensive»;
   infine, il Garante summenzionato ha sollecitato «il Commissario Straordinario alla Sanità a voler attivare con urgenza le procedure necessarie affinché la Rianimazione Pediatrica trovi finalmente cittadinanza anche in Calabria» –:
   se il Governo non ritenga urgente l'assunzione di iniziative di competenza per promuovere l'immediata istituzione, a seguito di valutazioni tecniche sulla migliore ubicazione nel territorio di riferimento a vantaggio dei pazienti e dei loro familiari, di un Centro per la rianimazione pediatrica per la regione Calabria. (4-13788)


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'11 maggio 2016 è stata varata, dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, e firmata per suo conto, dal sottosegretario Claudio De Vincenti, una direttiva «recante criteri e modalità per il conferimento degli incarichi dirigenziali»;
   la suddetta direttiva prevede che, nel caso in cui nessun dirigente di ruolo manifesti interesse per l'interpello o tra i dirigenti interessati nessuno sia risultato idoneo all'incarico, «è possibile individuare la professionalità necessaria ricorrendo a personale dirigenziale di altre amministrazioni o ad estranei alla dirigenza» con alta professionalità predisponendo un criterio secondo il quale, prima si deve cercare all'interno e poi, se l'esito dell'interpello riservato ai dirigenti di ruolo è risultato «infruttuoso», all'esterno;
   tale criterio comporta dunque che la selezione di personale esterno, non solo è successiva e solo eventuale, ma è legata ad una «rinnovata volontà discrezionale della struttura proponente», che però deve essere «debitamente motivata», una novità importante rispetto al passato quando, andato deserto l'interpello, si poteva attingere direttamente all'esterno senza il passaggio intermedio della ricerca tra i dirigenti di altre amministrazioni;
   tuttavia, quando l'11 aprile la prima bozza della direttiva fu inviata in visione, l'unica sigla interna a rispondere prima della registrazione del provvedimento da parte della Corte dei Conti, formulando i propri rilievi, era stata la Dirstat, la Federazione del pubblico impiego, che, tramite il segretario generale Paolucci, aveva sottolineato alcune criticità del provvedimento del Presidente del Consiglio quali il termine di 18 mesi dalla data di decorrenza dell'incarico in corso, prima del quale il dirigente titolare di un incarico non può partecipare all'interpello che, nella prima stesura della direttiva, era di 24 mesi, ma che ha mantenuto il carattere di vessatorietà, dal momento che i dirigenti di seconda fascia, non potranno partecipare, pur in presenza di curricula e di professionalità eccellenti, ad un interpello di prima fascia;
   un'altra criticità evidente è che, se si verifica l'ipotesi dell'affidamento di contratti di 18 mesi, alla loro scadenza ci si ritroverebbe senza incarico;
   la direttiva inoltre non prevede, come avviene per i dirigenti, il ricorso anche a professionalità interne nel ruolo di funzionari, limite che costituisce un serio problema soprattutto se l'incarico viene conferito a funzionari provenienti da altre amministrazioni previo collocamento in aspettativa, poiché si provocherebbe un danno all'amministrazione di provenienza che, oltre a ritrovarsi privata di un'unità, non potrebbe disporre del relativo posto in ruolo;
   il ricorso a personale esterno viene ricondotto ad una «rinnovata volontà discrezionale della struttura proponente debitamente motivata», discrezionalità amministrativa che sfiora secondo gli interroganti un ingiustificato arbitrio, per non parlare poi dell'articolo 7 della direttiva che, al comma 6, prevede che «gli incarichi dirigenziali decorrono dalla data indicata nel decreto di attribuzione dell'incarico o dalla data di registrazione del provvedimento da parte della Corte dei Conti, se successiva»; essendo, la registrazione stessa successiva, non è dato comprendere il senso di tale disposizione;
   tale direttiva dunque permetterà al Governo assunzioni senza limiti di età o di titolo di studio a giudizio degli interroganti contravvenendo alle disposizioni legislative vigenti che prevedono l'utilizzo di dipendenti pubblici qualificati e assunti mediante concorsi, oltretutto senza passaggi parlamentari –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se non reputi opportuno assumere iniziative per assicurare il rispetto di quelli che gli interroganti giudicano requisiti fondamentali nel conferimento di incarichi dirigenziali. (4-13793)


   DI LELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le maggiori testate giornalistiche riportano da diversi giorni lo strano intreccio tra Juventus, e ultras per la vendita dei biglietti ed il rapporto tra gli ultras e la ’ndrangheta su cui insiste un'inchiesta della magistratura;
   un quadro inquietante come riportato da «Repubblica»: «Alti esponenti di una importantissima società calcistica (la Juventus, ndr) consentono, di fatto, un bagarinaggio abituale e diffuso come forma di compromesso con alcuni esponenti del tifo ultras»: scriveva il gip Stefano Vitelli nell'ordinanza di custodia cautelare che la scorsa settimana ha portato all'arresto di 18 persone indagate in prevalenza per associazione mafiosa;
   la prima vittima, anche se i contorni sono ancora da chiarire, è Raffaello Bucci, il tifoso e consulente della società morto suicida la scorsa settimana dopo essere stato interrogato in procura a Torino;
   sembra che il 40enne ex ultras dei Drughi gestisse biglietti e merchandising e, dopo anni di assenza dalle curve, sarebbe diventato collaboratore esterno di Alberto Pairetto (Supporter liaison officer della Juventus, raccordo tra i tifosi e la società) col compito di mediare tra il club, le forze dell'ordine e gli ultras più violenti. Si sarebbe, in altre parole, come si legge nell'ordinanza di custodia cautelare del 1° luglio 2016, di fronte a «un bagarinaggio abituale e diffuso come forma di compromesso con alcuni esponenti del tifo ultras». «Io voglio che voi state tranquilli e noi siamo tranquilli» dice Alessandro d'Angelo, il security manager della Juventus a Dominello il 21 febbraio 2014. Riassumendo in poche parole il «compromesso» accettato di buon grado dalla società per tenere a bada gli ultras (Repubblica). I Dominillo, Rocco e Saverio, sono i referenti piemontesi del clan Pesce Bellocco di Rosarno, che decidono di entrare nel business del bagarinaggio;
   a svelare gli intrecci di questa vicenda legata al business della compravendite di biglietti è la moglie di Andrea Puntorno, il leader degli ultras, arrestato nel 2014 dai carabinieri di Torino per una storia di armi e droga, Patrizia Fiorillo vittima di minacce da parte degli ex soci del marito, due soggetti «prossimi all'area ’ndranghetista facente capo alla famiglia Belfiore» così li definisce la Stampa;
   la donna riferisce al magistrato che: «Andrea prima del campionato gestisce una campagna abbonamenti. Gli danno i moduli da sottoscrivere e vogliono una certa cifra. Lui organizza una distribuzione di abbonamenti, facendoli sottoscrivere e facendoseli pagare con un sovrapprezzo. Li lascia per la maggior parte a chi ha sottoscritto, in più gestisce un pacchetto di abbonamenti che paga lui alla Juve. Compila i dati prendendoli da fotocopie di documenti e poi li usa di partita in partita per fare entrare persone a pagamento». Il nome del marito compare anche negli atti dell'ultima ordinanza frutto delle indagine dell'antimafia torinese nei confronti della famiglia Dominello, legata alla cosca Pesce-Bellocco di Rosarno;
   per l'ennesima volta si ripete il binomio calcio e mafia che affonda le proprie radici nei primi casi di «totonero» e calcio-scommesse, fino al possesso delle società stesse, utilizzate per il riciclaggio di denaro sporco;
   a conferma di ciò, è utile ricordare che l'allarme è stato rilanciato, proprio in questi giorni, dalla Commissione parlamentare antimafia che nella relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito ed illecito, trasmessa alle Camere il 7 luglio 2016, sottolinea che le cosche mafiose entrano nell'assetto societario delle squadre di calcio e poi impongono il «pizzo» agli imprenditori locali sotto forma di sponsor. Così facendo, «stringono più forti legami con il territorio» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda avviare, per quanto di competenza, un monitoraggio sul fenomeno di cui in premessa al fine di scongiurare simili connubi;
   quali iniziative il Governo abbia intenzione di porre in essere, per quanto di competenza, anche a livello normativo, per arginare i fenomeni di infiltrazione mafiosa nelle società sportive. (4-13798)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO, SPADONI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e DE LORENZIS. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 agosto 2014, n. 125 recante «Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo», ha istituito l'Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), le cui funzioni e interventi in materia di cooperazione, fatti salvi i compiti attribuiti dalla legge istitutiva al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, coincidono in larga parte con quelli in precedenza gestiti dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo ai sensi della legge n. 49 del 1987;
   lo statuto dell'Agenzia, emanato con decreto interministeriale n. 113 del 2015 ha disciplinato le competenze e le regole di funzionamento dell'ente, «nel rispetto dei criteri di efficacia, economicità, unitarietà e trasparenza degli interventi di cooperazione allo sviluppo», che consistono principalmente nello svolgimento di attività di carattere tecnico-operativo connesse alle fasi di istruttoria, formulazione, finanziamento, gestione e controllo delle iniziative di cooperazione internazionale;
   in particolare, il Ministro interrogato, coadiuvato dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, esercita i poteri di indirizzo e vigilanza sull'Agenzia previsti dalla normativa vigente, mettendo in essere ogni azione o atto strumentale a garantire la coerenza dell'attività dell'Agenzia con la politica estera e con le vigenti disposizioni di legge, adottando fra gli altri direttive, approvando il bilancio preventivo e il conto consuntivo e verificando il raggiungimento degli obiettivi;
   il recente decreto-legge n. 67 del 16 maggio 2016, relativo alla proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 113 del 16 maggio 2016, ha disposto la conferma di una serie di contratti di collaborazione a progetto, stipulati già in precedenza dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, prevedendo, come denunciato in una nota sindacale dal Coordinamento nazionale della FILP Affari esteri, un incremento dei compensi salariali;
   tali contrattisti, che prestano servizio a Roma, sembrerebbero essere stati assunti per chiamata diretta, senza alcuna procedura d'evidenza pubblica, e ciò per gli interroganti avverrebbe in contrasto con le norme che sanciscono la non rinnovabilità o l'estensione automatica dei contratti;
   nella richiamata nota sindacale, si legge in particolare che per 12 persone, si spendono oltre un milione e trecento mila euro, ossia 115 mila euro per ciascun contrattista l'anno, (senza contare le diarie di missione pari a circa 350/500 euro al giorno);
   inoltre, analogamente a quanto previsto in precedenti provvedimenti di proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali, il «decreto-legge missioni» presenta un carattere derogatorio rispetto al quadro normativo vigente in materia di controllo della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché per i contralti di collaborazione coordinata e continuativa –:
   a fronte di quanto esposto in premessa, se il Ministro interrogato stanti i suoi poteri di indirizzo e vigilanza sull'Agenzia, possa fornire delucidazioni in merito alla stipula o al rinnovo, da parte dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo di alcuni contratti di collaborazione a progetto, per compensi superiori ai centomila euro ciascuno, in favore di contrattisti dell'Agenzia, che non apparirebbero conformi in con le vigenti disposizioni normative in materia di rinnovabilità dei contratti. (4-13782)


   VAZIO, GADDA, MORETTO, DONATI, MARCO DI MAIO, FREGOLENT, FANUCCI, DALLAI, PARRINI, ERMINI e MORANI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente della regione Vallonia dello Stato federale del Belgio ha recentemente avviato una campagna pubblicitaria contro l'abbandono di rifiuti lungo le strade, come evidenziato ad esempio nella pagina web – http://www.sofico.org/. A tal fine, sono stati realizzati una serie di cartelloni informativi che ritraggono un maiale alla guida di una autovettura — che presenta tutte le caratteristiche della nota Fiat 500 storica — e che getta un sacco dell'immondizia in mezzo alla carreggiata;
   l'immagine è di sicuro impatto, ma desta — a detta degli interroganti grande sconcerto e perplessità per la precisa scelta grafica di disegnare una Fiat 500 storica, in luogo di un'autovettura generica;
   la Fiat 500, oltre ad essere una vettura di indubbio valore storico, rappresenta un simbolo dell'italianità nel mondo;
   tali valori hanno addirittura portato, nel lontano 1984, alla costituzione del Fiat 500 Club Italia, dedicato alla 500 storica progettata da Dante Giacosa nel 1957. Si tratta del più grande Club di modello al mondo, contando più 21.000 soci, in Italia così come all'estero;
   la Fiat 500 storica trasmette, anche grazie alla vasta filmografia esistente, l'immagine più positiva dell'Italia e del popolo italiano nel mondo, rappresentandone i valori di genuinità, affidabilità, familiarità, orgoglio storico ed ingegneristico;
   il suddetto accostamento pubblicitario — a parere degli interroganti intacca l'onorabilità del marchio della casa produttrice Fiat, e colpisce al cuore il Fiat 500 Club e la sensibilità delle migliaia di collezionisti d'auto d'epoca presenti in tutto il mondo;
   infine, tale messaggio, così come costruito nella specifica campagna pubblicitaria, a parere degli interroganti, lede l'immagine stessa dell'italianità nel mondo e la sensibilità del popolo italiano –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere nei confronti del Governo belga in relazione al descritto utilizzo di uno dei principali simboli del made in Italy nel mondo, quale è la Fiat 500 storica, accostato ad un messaggio negativo come quello che, a giudizio degli interroganti, si intende perseguire con la suddetta campagna informativa. (4-13802)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MATARRESE, GALGANO, MONCHIERO, OLIARO, VEZZALI, CATANIA, VARGIU e FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Umbria, il cuore verde d'Italia, dopo trent'anni di loschi silenzi, scopre all'improvviso, di avere la sua «terra dei fuochi»;
   il dato preoccupante è che la terra dei fuochi dell'Umbria non è in un'area circoscritta attorno a un'unica zona, ma è diffusa sul territorio che risulta, così, profondamente sfigurato;
   si trova, infatti, dentro e attorno alle discariche attive e non più attive dalla metà del secolo scorso;
   stando ai lavori della commissione di inchiesta sui rifiuti suffragati dai risultati delle analisi compiute dall'Arpa, l'Agenzia regionale di protezione ambientale, in 108 punti dei terreni nelle vicinanze delle discariche è stata accertata la presenza di sostanze altamente inquinanti come fanghi di scarti industriali e trielina;
   nella Valnestore si contano, stando almeno alle dichiarazioni ufficiali, quattro milioni di metri cubi di ceneri sotterrate negli anni;
   una situazione che, nel corso degli ultimi cinquant'anni, sarebbe finita per danneggiare anche molte falde acquifere della regione: nell'area centrale si conta, infatti, per quanto non accessibile e non visibile dalla strada, ma ben conosciuto dagli abitanti della zona, un «lago nero», dalle acque di color antracite e privo di fauna ittica;
   questo è quanto emerge dall'attività della Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che, poco tempo fa, ha fatto tappa nella regione, prima a Terni, poi a Perugia e Orvieto, per fare il punto sulle indagini scattate sulla gestione dei rifiuti in Umbria;
   una gestione, tra l'altro, sulla quale potrebbe aver allungato le mani una criminalità di stampo mafioso;
   aspetto non trascurabile è poi quello relativo all'aumento di tumori e altre gravi patologie registratosi negli ultimi anni nella regione Umbria, altamente imputabile alla presenza di tali sostanze tossiche sul territorio: nella mappa interattiva del registro tumori umbro di popolazione (Rtup), nel periodo compreso tra il 2004 e il 2011, il territorio compreso tra le frazioni di Pietrafitta e Tavernelle (Panicale) e il capoluogo di Piegaro, per i nuovi casi di tumore, si tinge di rosso;
   si tratta di un dato per il quale è al momento impossibile stabilire una correlazione legata a fattori ambientali ma comunque difficile da smentire, perché parla chiaro e forte e si fa largo tra i tantissimi cittadini che, giustamente preoccupati, chiedono certezze per la loro salute;
   non bisogna infatti dimenticare che nel novembre 2015 è stata inviata una mail al sindaco di Piegaro, Roberto Ferricelli, nella quale era scritto «Pietrafitta è un paese di 800 persone ed ogni anno abbiamo tra uno e due casi di insorgenza tumore. (...) Ricordiamo tutti le pagine inquietanti della vallata che parlano di emissioni o di gestione di rifiuti con operazioni che hanno modificato anche la morfologia del territorio. Perché non chiediamo e promuoviamo un'indagine? Se poi scopriremo che i dati della vallata sono in linea con la media nazionale staremmo tutti più tranquilli. Se scopriamo che così non è, invece, chiediamo un'indagine sulle possibili fonti nocive»;
   l'indagine è stata fatta, tutto il territorio è sotto inchiesta e coperto da segreto istruttorio, ma trapela un primo allarmante risultato: è stata rilevata una quantità di arsenico di 19,8 microgrammi per litro quando il limite consentito è, invece, pari a 10 ed ecco perché, dopo apposita segnalazione di Arpa e Usl, il comune di Panicale ha vergato l'ordinanza che fissa il divieto di uso potabile del pozzo degli impianti sportivi di Tavernelle, impianti che insistono su un deposito di ceneri da carbone provenienti dalla centrale di La Spezia che furono mischiate a quelle della lignite bruciata nella centrale-Enel di Pietrafitta;
   dell'ex centrale Enel di Pietrafitta, inoltre, non restano che ruderi e degrado: quando è stata dismessa è stata acquistata dalla Valnestore Sviluppo con l'idea di creare un polo di eccellenza sulle energie rinnovabili;
   oggi, di quel progetto, non rimane più nulla: palazzine in crollo, edifici in degrado ed è ancora visibile l'area dove venivano stoccati i rifiuti speciali e pericolosi;
   si è sicuramente di fronte a chiari indizi di come questo territorio è stato sottoposto a fortissimi rischi ambientali, senza un definitivo riassetto dei luoghi al termine di quelle attività, con potenziali pericolosi effetti sulla salute;
   si moltiplicano, dunque, le sottoscrizioni del comitato «Soltanto la salute» voluto con vigore dai cittadini e pronto a mettere in campo anche analisi private sullo stato dell'ambiente del Valnestore per rivendicare i diritti delle persone colpite da gravi patologie e per evitare il diffondersi del tasso tumorale –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, per avviare, tempestivamente, analisi approfondite al fine di comprendere l'esattezza dei confini di questo grave danno ambientale e, soprattutto, al fine di provvedere alla messa in sicurezza dei siti danneggiati, così da restituire al territorio l'immagine di alto pregio ambientale che le appartiene.
(5-09148)


   BRAGA, CHAOUKI, CIMBRO, CASELLATO e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da diverse fonti di stampa nazionali e internazionali che sarebbero arrivate in Marocco circa 2.500 tonnellate di rifiuti provenienti dall'Italia: si tratterebbe di ecoballe approdate nel porto di Al Jadida e destinate ad essere smaltite in siti del Marocco;
   stando a quanto riportato da alcuni media marocchini, gruppi di attivisti sui temi ambientali avrebbero avviato una raccolta di firme contro l'ipotesi di bruciare i rifiuti italiani nei cementifici di Casablanca e di Settat, mettendo insieme in pochi giorni 10 mila adesioni;
   la petizione degli attivisti chiederebbe anche l'intervento del gabinetto reale perché il Paese «non diventi il centro di raccolta della spazzatura internazionale»; secondo i firmatari «la spazzatura italiana arrivata in Marocco rappresenta un pericolo per la salute dei cittadini»;
   sempre secondo la stampa, i rifiuti arrivati al porto di Al Jadida sarebbero provenienti dalla Campania, e precisamente dal sito di deposito combustibili «Taverna del Re» che si trova tra le province di Caserta e Napoli;
   il fatto avviene peraltro alla vigilia della ventiduesima Conferenza Onu sul clima (COP22), che si terrà a novembre a Marrakech e che si propone di dare attuazione alle decisioni assunte alla Conferenza di Parigi lo scorso anno in materia di contrasto ai cambiamenti climatici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga urgente procedere, per quanto di competenza, ad una approfondita verifica della vicenda, al fine di chiarire quale tipologia di rifiuti sia arrivata nel porto marocchino e se tali rifiuti siano in linea con i parametri internazionali relativi allo smaltimento degli stessi. (5-09149)


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 dicembre 2015 con decreto n. 287, con decorrenza dal 1o gennaio 2016, risulta che è stato conferito l'incarico di funzionario area ambiente nell'ufficio di gabinetto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al dottor Marco Ravazzolo, come si evince dalle informazioni presenti nel sito del Ministero citato;
   il dottor Marco Ravazzolo risulta essere un dipendente di Confindustria;
   lo stesso incarico presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è, quindi, conferitogli d'intesa con Confindustria per un ammontare annuo lordo di euro 59.008,95;
   in data 7 dicembre 2015 il dottor Marco Ravazzolo sottoscriveva «dichiarazione di assenza di conflitto d'interesse» ai sensi e per gli effetti dell'articolo 53, comma 14, del decreto legislativo n. 165 del 2001 così come modificato dall'articolo 1, comma 42, lettere h) ed i), della legge 6 novembre 2012, n. 190 (legge anticorruzione);
   l'incarico al suddetto Ministero è attualmente in corso;
   risulta agli interroganti che il dottor Ravazzolo partecipi a numerose riunioni tecniche al Ministero su tematiche delicate, ad esempio quelle riguardanti il tema dei rifiuti, la governance dei Consorzi obbligatori, gli aspetti legislativi, e altro;
   l'articolo 53, comma 5, del decreto legislativo n. 165 del 2001 recita: «In ogni caso, il conferimento operato direttamente dall'amministrazione, nonché l'autorizzazione all'esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d'impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell'interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente» –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, se non ritenga che nella figura del dottor Ravazzolo vi siano elementi di incompatibilità o comunque di evidente inopportunità nell'incarico, tali da consigliare l'interruzione della collaborazione con il professionista al fine di non condizionare l'attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. (5-09150)


   GRIMOLDI e CAPARINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Corriere della sera – cronaca di Brescia del 30 giugno 2016 riporta un allarmante sfogo del commissario del Sito di interesse nazionale (SIN) di Caffaro Roberto Moreni: «Da Roma non mi è stato dato nessun potere, 260 ettari di Brescia sono ostaggio del ministero»;
   da quanto riporta tale giornale, il 31 maggio 2016, Roberto Moreni ha inviato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le proprie dimissioni da commissario straordinario del sito di interesse nazionale – Caffaro, a decorrere dal 1o dicembre 2016;
   il commissario è stato nominato nel giugno 2015 per una durata biennale dell'incarico, fino a giugno 2017, e la rinuncia anticipata ha sollevato una serie di interrogativi sui poteri che il Ministero ha riconosciuto al commissario e sulle risorse messe effettivamente a disposizione del medesimo Commissario per la bonifica del sito;
   da quanto dichiara lo stesso commissario, le proprie dimissioni manifestano l'insoddisfazione personale e disapprovazione per il disinteresse dimostrato dal Ministero a trovare soluzioni concrete ai problemi legati alla bonifica del SIN, visto che, in realtà, il processo di bonifica non è mai iniziato;
   in particolare il commissario chiedeva che fra i poteri e responsabilità, ci fosse anche l'atto di autorizzazione degli interventi, invece, sempre da quanto riportato dal giornale, il Ministero ha mantenuto in capo a sé la decisione finale, assegnando solo un ruolo istruttorio al commissario, in questo modo, facendo perdere la credibilità a quest'ultimo verso enti come l'Arpa o Ats e burocratizzando l'approvazione di qualsiasi intervento anche se minore;
   il commissario ha proposto anche la riperimetrazione del sito che attualmente interessa circa 260 ettari di territorio comunale, allo scopo di diminuire la spesa complessiva, ma in questo modo si rischia di lasciare inquinata una larga fetta di territorio, creando pericoli per la salute pubblica;
   l'intera situazione genera ansia e preoccupazione ai cittadini bresciani, si teme la mancanza dei fondi e l'allungamento dei tempi per l'approvazione dei progetti, anche perché la lista delle cose da fare ai fini della bonifica è ancora lunga: le rogge, il campo Calvesi, il Passo Gavia, il bando per il progetto di messa in sicurezza della falda di Caffaro e dei terreni inquinati; d'altra parte, sembra, dall'articolo di stampa, che il Ministero abbia dirottato altrove le risorse finanziarie a disposizione per le bonifiche, peraltro ridotte a 30 milioni all'anno;
   al SIN di Caffaro sono stati assegnati solo 13 milioni di euro per effettuare la bonifica, veramente insufficienti per l'estensione dell'area inquinata che risulta uno dei siti più inquinati del territorio nazionale, con 150 tonnellate di pcb, 500 chili di diossina finita sui terreni, 478 chili all'anno di cromo prodotto dalle galvaniche di Valtrompia che dalla falda finiscono ancora nei fossi e altri inquinanti;
   in un'intervista al Corriere della sera del febbraio 2015, il Ministro annunciava l'arrivo, addirittura entro il mese di maggio 2015, di ben 50 milioni di euro per la bonifica del sito inquinato di Brescia-Caffaro, dei quali non si è avuta notizia successivamente; attualmente i giornali fanno riferimento a 40 milioni di euro che sarebbero anche essi bloccati;
   da quanto dichiara anche il sindaco di Brescia Del Bono, su Corriere della sera – cronaca di Brescia del 1o luglio 2016, la ipernormazione della materia produce una sovrapposizione di competenze e procedure che allungano a dismisura i tempi;
   il contenimento dei poteri straordinari assegnati al commissario dimostrano, secondo gli interroganti, la limitazione dell'interesse del Governo per la situazione di Brescia, soprattutto se si fa un confronto con l'estensione a dismisura dei poteri assegnati ai commissari straordinari per il disinquinamento dell'area del SIN di Taranto, ove è previsto il silenzio assenso per tutti i pareri, nulla osta e atti autorizzativi, per poter completare nell'immediato le attività in programma –:
   se sia ancora attuale la linea del Governo, tanto pubblicizzata sui media, che prevede di mettere a disposizione 40 milioni di euro e di avvalersi dei poteri straordinari del commissario, ai fini della conclusione della bonifica del SIN di Brescia-Caffaro, e, comunque, quali iniziative urgenti il Ministro abbia in programma, in vista della conclusione anticipata dell'incarico del commissario straordinario Roberto Moreni, per poter assicurare le necessarie risorse finanziarie e garantire la bonifica del sito di interesse nazionale.
(5-09151)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati presentati il 28 giugno 2016 da Legambiente, nel rapporto Ambiente Italia 2016, l'habitat marino è seriamente messo alla prova dall'inquinamento, con il 25 per cento degli scarichi cittadini àncora non depurati (40 per cento in alcune località) e migliaia di agglomerati in procedura di infrazione europea. Sostanzialmente, un terzo dell'Italia vive con un sistema idrico fuorilegge e depuratori inesistenti, inadeguati, insufficienti, liquami in mare e nelle falde acquifere, infatti il 45 per cento dei prelievi realizzati da Goletta Verde nel 2015 è risultato inquinato, mentre la plastica continua a invadere spiagge e fondali marini;
   è del 2000 la direttiva europea che impone di raggiungere un buono stato delle acque entro il 2015, quindici anni non sono bastati. Per le inadempienze nell'attuazione della direttiva 91/271/CEE, l'Italia ha già subito due condanne da parte della Corte di giustizia europea, la C565-10 (procedura 2004-2034) e la C8513 procedura 2009-2034) e l'avvio di una nuova procedura di infrazione (procedura 2014-2059); dal 2016 scatteranno le sanzioni fino a 500 milioni di euro l'anno. Sull’Unità del 2 gennaio 2016 si legge «il 2016 inizia con una nuova grana ambientale sul tavolo del Governo: l'arrivo delle sanzioni europee per circa 480 milioni causate da circa 2500 comuni fuorilegge e sotto infrazione per mancata depurazione degli scarichi urbani e che inquinano fiumi e tratti di costa». Su questo fronte il ricorso alla figura del commissario straordinario è stata introdotta con il decreto-legge n. 133 del 2014 («SbloccaItalia»), il quale, con il comma 7 dell'articolo 7, ha previsto la possibilità del Governo di esercitare 4 poteri sostitutivi;
   una delle regioni che presenta un quadro drammatico per qualità delle acque e per carenza di infrastrutture di depurazione è proprio la Sicilia; in base al « Report 2015» sul controllo degli impianti di depurazione delle acque marine reflue urbane, redatto dall'Arpa Sicilia, risulta che solo il 61 per cento della popolazione residente in Sicilia (poco più di 3 milioni di abitanti) è servita da un impianto di depurazione. Infatti, la nuova sanzione dell'Unione europea, pronta ad abbattersi sulla regione Sicilia per questa inadempienza ammonta a 185 milioni di euro, se non verranno presi provvedimenti entro il 2016; con delibera del Cipe 60/201212 sono stati finanziati 183 interventi relativi al settore del collettamento e della depurazione delle acque nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, per un totale stanziato di 1,6 miliardi di euro. Per la Sicilia sono previsti interventi per euro 1.161.020.472,14, di cui disponibili euro 65.098.799,53 (di fonte pubblica) per un totale di 93 opere;
   si cita il caso dello scarico industriale della Raffineria ISAB Impianti Sud, (stabilimento dedicato principalmente alla raffinazione del petrolio greggio) ubicato nella frazione di Melilli (provincia di Siracusa) a Città Giardino. La raffineria, grazie ad una autorizzazione quadriennale, concessa nel 2009 dal comune, scarica direttamente a mare, a Marina di Melilli (rilasciando in atmosfera puzze nauseabonde che compromettono seriamente lo stato di salute dei residenti) attraverso un canalone interrato detto «Canale Alpina» (in cemento armato che attraversa l'impianto industriale da ovest ad est lungo la dorsale sud, uscendo dalla recinzione lato est e passando sotto la SS 114 e la ferrovia), invece di convogliare le proprie acque al depuratore «IAS» (Industria Acqua Siracusana) di Priolo Gargallo (dove vengono già convogliati tutti i reflui industriali e civili dei comuni di Priolo e Melilli e di Belvedere). Nel suddetto «Canale Alpina» di scarico sono convogliati: lo scarico dalla vasca di raccolta delle acque bianche e meteoriche; lo stramazzo della vasca di raccolta delle acque in uscita dalle torri di raffreddamento; le acque di esubero provenienti dalla vasca di dissabbiamento dell'acqua mare (acqua di make-up);
   le acque provenienti dall'Impianto Trattamento Acque di Scarico (TAS);
   in ottemperanza a quanto fissato dai decreti ministeriali di compatibilità ambientale, DEC/ VIA/2122 del 2 maggio 1995, DEC/VIA/2226 del 15 settembre 1995 e DA n. 60/9 del 9 febbraio 1995, è stato inviato alle autorità competenti il «Piano di caratterizzazione e di Computo delle Emissioni in Atmosfera – Piano di Monitoraggio Ambientale», che prevede una serie di rilievi ambientali da eseguire nel corso degli anni: per l'anno 2014 è stata monitora la temperatura e la concentrazione di cloro attivo nelle acque di scarico della raffineria; non risulta che ci siano altri dati pubblici sulle emissioni in atmosfera da quello scarico. Al Ministero competente risultavano essere presentati, nell'ambito del monitoraggio a mare dello scarico, solo i parametri cloro e temperatura;
   dal 2013 il comune di Melilli non rinnova l'autorizzazione allo scarico a mare, ma lo stabilimento continua imperterrito ad impiegare il «Canale Alpina» come canale di scarico. Inoltre l'area in questione è stata dissequestrata dalla procura di Siracusa per necessità di bonifica; infatti erano iniziati su richiesta dell'ex assessore Nicotra gli interventi di messa in sicurezza del sito. Situazioni analoghe a questa si ripetono in modalità differenti ma ripetute in tutto il territorio nazionale e causano un aggravio sempre maggiore delle condizioni igienico-sanitarie marine, così come documentato dai vari report ambientali –:
   quali iniziative, anche normative, abbia intrapreso o intenda intraprendere il Ministro interrogato per assicurare, in via generale e per il caso specifico espresso in premessa, la compatibilità degli scarichi industriali con la piena fruizione, anche a fini balneabili, dei litorali ove sversano e se non si ritenga doveroso ampliare il campo di monitoraggio nelle acque di scarico ad una più ampia gamma di fattori ed agenti senza limitare il monitoraggio solo ai parametri della temperatura e della concentrazione di cloro attivo nelle acque, garantendo al contempo la pubblicità dei dati di monitoraggio più recenti. (5-09152)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 16 giugno 2015 il quotidiano online « Corriere di Viterbo» pubblicava un articolo dal quale si veniva a conoscenza che nel distretto di Civita Castellana, la Asl di Viterbo – Centro regionale amianto (CRA) del Lazio – aveva riscontrato durante un'indagine, la presenza di amianto nell'impasto commercializzato per la produzione di ceramiche sanitarie;
   al fine di ottenere un approfondimento attraverso il microscopio a trasmissione (TEM), la Asl di Viterbo inviava un contro campione al Politecnico di Torino giacché da parte sua il laboratorio di igiene industriale CRA aveva già eseguito delle analisi (microscopia ottica a contrasto di fase, microscopia ottica a luce polarizzata e microscopia elettronica a scansione) abitualmente utilizzate per l'individuazione delle fibre di amianto;
   le analisi del politecnico di Torino hanno confermato l'esistenza di amianto nei campioni monitorati, invero i dati hanno fornito prova della presenza della tremolite – un silicato di calcio e di magnesio – ossia di un amianto anfibolico;
   a seguito delle citate analisi, la procura di Viterbo ha posto sotto sequestro lo stabilimento di Gallese in quanto distribuiva alle aziende del comprensorio il feldspato quale ingrediente principale degli impasti ceramici e sostanza in cui è stata riscontrata la presenza di amianto;
   nel sito sottoposto a sequestro, il materiale incriminato viene solo stoccato ed in parte lavorato, mentre viene estratto nella cava di Orune in Sardegna che però, a differenza dello stabilimento di Gallese, non è stata sottoposta ad alcun sequestro continuando ad operare regolarmente;
   la legge 27 marzo 1992 n. 257, anticipando quanto sostenuto dalla direttiva 2009/148/CE, detta le norme per la messa al bando di tutti i prodotti contenenti amianto, vietandone l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione, nonché la produzione;
   come noto, il decreto legislativo n. 152 del 2006, all'articolo 242, comma 1, dispone che al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento debba entro ventiquattro ore mettere in campo le misure necessarie di prevenzione e darne immediata comunicazione ai sensi dell'articolo 304, comma 2. Oltre ciò il secondo comma dell'articolo 242, precisa che, qualora si verifichi un evento di potenziale contaminazione è necessario dapprima effettuare la comunicazione agli enti preposti ed intervenire con misure di messa in sicurezza d'emergenza, e successivamente effettuare un'indagine preliminare finalizzata a verificare la reale contaminazione;
   inoltre nell'allegato V, il legislatore ha altresì stabilito alla tabella 1 che la concentrazione soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti, per l'amianto è di 1000 mg/Kg espressi come ss, corrispondente al limite di rilevabilità della tecnica analitica (diffrattometria a raggi X oppure trasformata di Fourier); valore che sussiste sia per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale (A), sia per i siti ad uso commerciale e 2 industriale (B);
   l'allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH) stabilisce restrizioni in materia di fabbricazione, immissione sul mercato e uso di talune sostanze, preparati e articoli pericolosi, comprendendo in tale elenco anche le fibre d'amianto Tremolite CAS n. 77536-68-6. Nello specifico viene previsto che l'immissione sul mercato e l'uso di queste fibre e degli articoli o rifiuti contenenti tali fibre intenzionalmente aggiunte sono vietati –:
   se il Ministro interrogato in relazione al grave rischio ambientale rappresentato dalla fibra amianto «tremolite» intenda attivare il comando generale tutela ambientale ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 per effettuare verifiche urgenti, contestualmente comunicando se siano ancora in corso le attività di lavorazione di cui sopra nei siti di Gallese ed Orune e, in ogni caso, se siano iniziati interventi di messa in sicurezza dei siti. (5-09153)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato le interrogazioni n. 5-00646, 5-00169, 5-02239, 3-00504 e 4-00805, aventi ad oggetto il sito di interesse nazionale (SIN) di Priolo;
   le questioni sollevate nelle interrogazioni sopra indicate concernevano i gravi ritardi delle bonifiche delle aree pubbliche (rada di Augusta – discariche – e altro), gli episodi gravissimi di inquinamento atmosferico proveniente dalle emissioni dell'area industriale, i ritardi dell'amministrazione regionale per l'approvazione del piano regionale della qualità dell'aria e le gravi vicende penali per reati ambientali coinvolgenti i massimi vertici della SAI8 ex gestore del servizio idrico integrato della provincia di Siracusa;
   l'inquinamento delle matrici ambientali del territorio dei comuni di Augusta, Melilli, Priolo e Siracusa è un dato evidenziato e documentato da atti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (conferenze dei servizi istruttorie e decisorie per l'area SIN di Priolo) e studi (caratterizzazioni) dell'ISPRA;
   in termini quantitativi e qualitativi l'inquinamento del territorio dell'area SIN rappresenta nel nostro Paese un'emergenza alla pari di altre e per le quali nel corso degli anni 2015 e 2016 il Governo è intervenuto con decreti-legge;
   gli studi sanitari relativi all'area SIN di Priolo evidenziano la più alta incidenza di tumori nel territorio del comune di Augusta, i cui valori tra i maschi si attestano ben oltre quelli del resto di Italia e collocano Augusta nell'ambito di un profilo epidemiologico tipico delle aree fortemente industrializzate (si veda Il monitoraggio dello stato di salute delle popolazioni residenti in siti contaminati);
   nel corso degli ultimi due anni sono stati presentati innanzi alla procura della Repubblica di Siracusa molteplici esposti, di comitati cittadini, di associazioni ambientaliste e delle amministrazioni comunali tutti aventi ad oggetto fatti di inquinamento atmosferico di rilevante entità;
   la procura della Repubblica ha avviato procedimenti penali per accertare se sussistono fatti costituenti reato;
   da anni è oramai accresciuta la sensibilità della cittadinanza sul tema dei rischi sanitari e soprattutto sull'incidenza dell'inquinamento sulla salute della popolazione residente;
   per oltre tre anni il sacerdote Palmiro Prisutto parroco della Chiesa madre di Augusta, ogni ultima domenica del mese, durante la messa, ha letto i nomi di tutte le vittime di tumore nel territorio di Augusta;
   più volte e ripetutamente Don Palmiro Prisutto e non solo ha chiesto l'intervento e la partecipazione personale delle più alte istituzioni della Repubblica;
   per ultimo Don Palmiro Prisutto ha pubblicato sui media una lettera inviata al Ministro delle salute invitandola a recarsi ad Augusta;
   ad oggi gli inviti a fare sentire la presenza e la vicinanza del Governo e di chi rappresenta il territorio rispetto ad un tema così importante sono rimasti inascoltati;
   se è vero che la misura del valore di un'azione politica è determinata dalle risorse umane economiche e dai mezzi impiegati per contrastare i fenomeni come quelli sopra descritti, è altrettanto vero che vi è l'obbligo, non solo morale, della politica e di chi la rappresenta ai massimi livelli di confrontarsi, di rendere partecipi, di info are e far sentire vicinanza a coloro che hanno pubblicamente ed in più occasioni richiesto interventi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto e se intendano programmare un incontro pubblico con i cittadini dei comuni di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa al fine di confrontarsi, di rendere partecipi, di informare e far sentire la vicinanza dello Stato e l'interesse al tema dell'inquinamento dell'area SIN di Priolo Gargallo;
   se siano previsti interventi e iniziative in merito al tema delle bonifiche di questo vasto territorio, sito di interesse nazionale di Priolo-Melilli-Augusta-Siracusa.
(4-13777)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato da numerosi fonti di stampa (Lombardia, 110 mila tonnellate fanghi illegali sversati: 6 arresti sul sito http://www.lapresse.it, Smaltimento illecito dei fanghi nel Lodigiano, finiscono in manette 6 persone, in www.ilcittadino.it, Rifiuti, fanghi maleodoranti smaltiti illegalmente nei campi lombardi: 6 arresti in http://milano.repubblica.it), i carabinieri del Comando per la tutela dell'ambiente di Milano hanno eseguito 6 ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari, oltre a numerose perquisizioni e sequestro di beni, a carico di appartenenti a una strutturata organizzazione criminale facente capo ad imprenditori del settore del trattamento e recupero rifiuti, i quali avrebbero smaltito illecitamente, mediante spandimento al suolo, ingenti quantità di fanghi da depurazione, con la complicità di alcune aziende di trasporto e agricole. La quantità di fanghi smaltiti illecitamente è invero enorme, ammontando a circa 110 mila tonnellate, accertate dagli investigatori tra il 2012 e il 2015 in numerosi comuni delle provincie di Lodi, Cremona e Pavia: sono stati infatti accertati innumerevoli episodi di gestione illecita (quantomeno 400 operazioni di illecito spandimento) di rifiuti operata della «Cre spa» relativamente ai fanghi da depurazione ritirati e gestiti dall'impresa che hanno generato un traffico illecito di rifiuti con profitti per la società;
   la quantità di materiale gravemente inquinante sversato sui territori, il livello di elaborazione delle modalità di esecuzione del traffico illecito di rifiuti e il carattere interregionale dello stesso rendono evidente la necessità di un'azione di verifica sulla questione mirata da parte del Governo e nell'incremento dei sistemi per il controllo, la prevenzione e la repressione di simili fenomeni –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa, anche con riguardo a segnalazioni analoghe pervenute da altre parti del Paese, e quali iniziative di competenza intenda assumere per promuovere un incremento del controllo, della prevenzione e del contrasto a simili fenomeni. (4-13783)


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è dovere dei decisori pubblici dare risposte concrete e immediate a tutto ciò che rende la quotidianità dei cittadini degna dei canoni di civiltà. Tra questi canoni il primo, essenziale, riguarda il diritto del cittadino di non subire il soffocamento da immondizia. L'allarme rifiuti, che scatta puntuale ad ogni avvio di estate, quest'anno si profila più minaccioso, illustrato da reperti filmici a portata di scolari delle elementari, che si rivelano, peraltro, particolarmente avvertiti, in termini di cittadinanza attiva;
   se i topi della periferia romana sono ormai un video virale su Youtube così come le piramidi di immondizia nei lungomare siciliani, va detto che non c’è città, paese, borgo italiano che non viva con drammaticità il suo rapporto con i rifiuti solidi urbani. A passare per le strade italiane, dal centro alle periferie, si rischia di impattare in uno scenario di quelli descritti da Corbin nella «Storia sociale degli odori». Perché la storia ha anche una chiave di interpretazione olfattiva: per le strade delle nostre città medievali ogni sorta di rifiuti, deiezioni, scarti, tutto appena fuori dall'uscio di casa, a macerare. In mezzo a questo lerciume una corte dei miracoli di elemosinanti, storpi, sfaccendati, nuguli di bambini scalzi, di umanità sofferente». Dai piani alti, ad orari improbabili, si provvedeva al lancio di effetti che la modernità (solo la seconda metà del novecento, però, su scala universale) avrebbe destinato provvidamente agli scarichi del sistema fognario, partendo dalle stanze da bagno;
   fortunatamente molti di quei fenomeni sono caduti in desuetudine: per il resto le città continuano però, troppo spesso a somigliare, quanto a rapporto con la immondizia, a quel Medioevo che conobbe le epidemie più apocalittiche. Eppure non c’è un solo cittadino che non si lamenti del balzello, talvolta addirittura esoso, che paga per la nettezza urbana;
   la Costituzione pone come diritto fondamentale e incoercibile quello alla salute (articolo 32), che è un tutt'uno con il diritto alla vita, perché precede tutti gli altri. Ci si chiede cosa sta succedendo, allora, ai nostri rifiuti;
   ci si chiede se c'entra, forse, quella che appare all'interrogante una politica sconclusionata, un po’ emergenziale, che ha prodotto i laghi di insipienza che oggi sono riempiti di immondizia e se c'entra il restringimento delle risorse agli enti locali, che fa diventare più povere e inefficienti tutte le amministrazioni comunali;
   di sicuro c’è una emergenza rifiuti che attenta alla salute degli italiani e infligge un colpo ferale all'economia, nella stagione in cui la «grande bellezza» dovrebbe rifulgere nel suo splendore per tradursi in moneta sonante –:
   quali iniziative urgenti, facendo salve le competenze riservate agli enti locali dalla Costituzione, il Governo intenda assumere per concorrere a porre riparo all'emergenza rifiuti che sta creando fortissimi disagi in molte città italiane, al fine di tutelare la salute pubblica ai sensi del primo comma dell'articolo 32 della Costituzione e di salvaguardare il patrimonio ambientale, paesaggistico storico ed artistico della Nazione, ai sensi dell'articolo 9, secondo comma della Costituzione.
(4-13799)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Gargano è una delle aree a maggiore biodiversità d'Italia con oltre 2500 Taxa vegetali, e in particolare 88 specie di orchidee e oltre 378 specie di vertebrati;
   il consumo di suolo, operato anche dalle tante opere edilizie abusive, rappresenta uno dei principali problemi che compromettono l'ambiente naturale di tale area e la conservazione della biodiversità;
   l'Ente parco nazionale del Gargano è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 5 giugno 1995 con lo scopo di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale dell'omonimo promontorio;
   con il medesimo decreto sono state emanate le misure di salvaguardia, introdotte ai sensi dell'articolo 8, comma 5, della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991 ad integrazione di quelle di cui all'articolo 6, vigenti nel territorio del parco fino all'approvazione del piano del parco di cui all'articolo 12 della medesima legge;
   ad oggi, nonostante siano trascorsi ventun'anni dall'istituzione dell'area protetta, non risultano ancora vigenti il piano ed il regolamento del parco;
   secondo dichiarazioni rese dall'ente parco, quest'ultimo non disporrebbe ancora «dei poteri interdittivi e sanzionatori previsti dall'articolo 29 della legge quadro sui parchi »;
   l'articolo 6 comma 6 della legge quadro dispone che l'inosservanza delle misure di salvaguardia comporta la riduzione in pristino dei luoghi e la eventuale ricostituzione delle specie vegetali ed animali danneggiate a spese dell'inadempiente, ponendo in capo all'autorità di gestione dell'area protetta la potestà di ingiungere al trasgressore l'ordine di riduzione in pristino e, ove questi non provveda entro il termine assegnato, di disporre l'esecuzione in danno degli inadempimenti;
   dal 2014 la procura della Repubblica di Foggia ha avviato un programma di abbattimenti di opere abusive all'interno del parco a seguito di vecchie ordinanze di demolizione divenute irrevocabili, utilizzando un fondo di 500 mila euro messo a disposizione dall'Ente parco che giaceva inutilizzato da oltre un decennio nelle casse dell'Ente e che le associazioni ambientaliste da anni chiedevano di impiegare;
   l'intervento della procura della Repubblica, come ha avuto modo di dichiarare il procuratore capo Leonardo de Castris, è scaturito dalla constatazione di una perdurante inerzia delle amministrazioni locali nella lotta all'abusivismo sul Gargano;
   l'avvocato Stefano Pecorella è dal maggio 2010 alla guida dell'Ente parco nazionale del Gargano, dapprima in qualità di commissario straordinario e quindi in qualità di presidente, mentre dal 2010 al 2015 ha contemporaneamente ricoperto la carica di consigliere comunale di Manfredonia, comune che rientra nel perimetro del parco, a seguito della sua candidatura alla carica di sindaco;
   come evidenziato anche dall'ultima relazione della Corte dei Conti sulla gestione dell'ente, approvata nell'adunanza del 28 aprile 2015, il piano del parco è stato deliberato dalla comunità del parco (atto n. 2/2010) e dal commissario straordinario (atto n. 22/2010) e quindi trasmesso alla regione Puglia dove risulta ancora in essere l’iter procedurale, mentre il regolamento del parco di cui all'articolo 11 della legge n. 394 del 1991 è ancora in via di definizione;
   dal sito istituzionale dell'Ente parco si apprende che il 15 ottobre 2015, ad oltre cinque anni dal suo insediamento alla guida dell'Ente, il presidente Pecorella ha siglato con il «CREA» (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria) un accordo per l'accompagnamento e supporto all'Ente parco nella definizione della valutazione ambientale strategica e del rapporto ambientale, elementi indispensabili per fare in modo che il piano del parco venga definitivamente approvato dalla regione Puglia, evidenziando pertanto, a giudizio degli interroganti, la carenza della documentazione già trasmessa a suo tempo alla regione;
   secondo l'ultimo rapporto Ecomafia 2015 di Legambiente, la Puglia è al primo posto nella classifica generale dell'illegalità ambientale con 4.499 infrazioni accertate e resta sul podio per il ciclo illegale del cemento e per i reati contro la fauna; tra le province, quella di Foggia, entro cui ricade il parco del Gargano, si classifica al sesto posto nazionale con 802 infrazioni e pertanto la lotta all'abusivismo dovrebbe essere una priorità assoluta per un ente nato con lo scopo primario di tutelare il suo territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra riportati, in relazione ad una situazione che registra la presunta perdurante carenza, in capo all'Ente parco nazionale del Gargano, dei poteri interdittivi e sanzionatori di cui all'articolo 29 della legge quadro sulle aree protette;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché si giunga all'approvazione degli strumenti di pianificazione dell'area protetta, anche esercitando i poteri sostitutivi previsti dalla legge n. 394 del 1991, stante quella che gli interroganti giudicano un evidente inefficienza dell'attività dell'Ente parco nazionale del Gargano;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché sia garantita e ripristinata la legalità nell'area in questione e venga efficacemente contrastato il fenomeno dell'abusivismo edilizio nel parco nazionale del Gargano.
(4-13801)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, CORDA, FRUSONE, RIZZO e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come riporta il sito www.ilfattoquotidiano.it, la procura della Repubblica di Napoli sta conducendo una inchiesta avente ad oggetto un giro di affari illeciti finalizzati a truccare l'esito dei concorsi per l'accesso ai ruoli dell'Esercito, anche attraverso un particolare algoritmo in grado di rispondere esattamente a tutte le domande dei quiz e dei test delle prove concorsuali;
   le indagini, che prendono spunto da perquisizioni effettuate nei mesi scorsi dalla Guardia di finanza di Napoli, coinvolgerebbero 14 persone tra militari, ufficiali e sottufficiali dell'Esercito, oltre ad un generale in pensione, accusati di millantato credito e corruzione per induzione, posta in essere attraverso l'indebita dazione di ingenti somme di danaro da parte dei giovani concorrenti, per il superamento delle varie prove;
   nel corso delle predette perquisizioni, le Fiamme gialle del capoluogo partenopeo avrebbero infatti riscontrato buste con notevole quantità di danaro contante, elenchi di nomi dei potenziali vincitori dei concorsi e addirittura un «tariffario»: 50 mila euro per il «pacchetto completo» di tutte le prove concorsuali e 20 mila euro dopo il superamento delle prove fisiche;
   maggiori dettagli della truffa in parola vengono forniti dal quotidiano nazionale « Il Mattino», che in un articolo dell'8 luglio 2016 dal titolo emblematico «Esercito, ecco le istruzioni per superare i quiz» spiega le modalità per ottenere l'algoritmo vincente per i quiz relativi ai concorsi «VFP1» e «VFP4» dell'Esercito;
   tale formula consisterebbe in un codice alfanumerico che gli indagati comunicavano poche ore prima dello svolgimento delle prove ai giovani concorrenti, tramite messaggio;
   è di tutta evidenza che, se tali ipotesi di reato fossero provate, si tratterebbe di una vera e propria associazione a delinquere finalizzata a truccare il regolare esito di prove concorsuali, a danno degli ignari concorrenti onesti, oltre che ai danni dello Stato;
   simile episodi, purtroppo non isolati, risultano inoltre deprecabili in quanto ledono in modo diretto il prestigio e l'onore delle Forze armate e, più in generale, il decoro delle Istituzioni –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se gli stessi trovino conferma e quali iniziative di competenza intenda assumere in caso di accertate responsabilità penali dei soggetti indagati appartenenti alle Forze armate;
   se il Governo non ritenga opportuno, valutata la particolare gravità delle ipotesi di reato sia sul piano oggettivo che soggettivo, assumere ogni iniziativa di competenza per incrementare risorse umane, economiche e mezzi per favorire le attività inquirenti nel caso di specie. (5-09142)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LACQUANITI, DI SALVO, MARCHI, CARRA, GIUDITTA PINI, PAOLA BOLDRINI, SBERNA, FEDI, CARROZZA, ZANIN, LAVAGNO, COMINELLI, FUSILLI, PAOLO ROSSI, COVA e RIBAUDO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il piano annuale di gestione del patrimonio abitativo in dotazione al Ministero della difesa per gli anni 2012-2013, stabilito con decreto del Ministro della difesa del 7 maggio 2014, e il piano annuale di gestione del patrimonio abitativo in dotazione al Ministero della difesa per l'anno 2014, stabilito con decreto del Ministro della difesa del 24 luglio 2015, prevedono (articolo 2, comma 1) categorie protette «meritevoli di tutela» quali «gli utenti il cui nucleo familiare convivente comprenda un portatore di handicap, accertato (...) ovvero i coniugi superstiti, o altro familiare convivente, del personale dipendente deceduto in servizio e per causa di servizio»;
   a tali categorie dietro istanza si applica, articolo 2, comma 2, del decreto del 7 maggio 2014, il canone «più favorevole all'utente», fatti salvi gli adeguamenti annuali effettuati sulla base degli indici ISTAT;
   «Possono, inoltre, mantenere la conduzione i coniugi superstiti non legalmente separati né divorziati, nonché i coniugi di personale militare e civile della Difesa titolare di concessione di alloggi di servizio che siano divorziati, ovvero legalmente separati e, per un periodo inderogabile di cinque anni i figli e nipoti di personale militare e civile della Difesa concessionario originario di alloggi di servizio» (articolo 4, commi 2 e 3, del decreto 7 maggio 2014);
   il Comando forze di difesa interregionale nord di Padova, e il Comando capitale, dal mese di aprile 2016, hanno posto in essere iniziative, a giudizio degli interroganti, ingiustificatamente lesive nei confronti delle predette categorie protette, «meritevoli di tutela»;
   tali iniziative, sottraggono i benefici già riconosciuti dallo stesso comando a seguito dell'istanza prodotta dai conduttori sulla base degli allegati C e D del decreto ministeriale come se fossero venute meno le condizioni meritevoli di tutela;
   tra le famiglie colpite da tali iniziative, rientrerebbero perfino i portatori di grave handicap di cui alla legge n. 104 articolo 3, comma 3;
   gli stessi conduttori, contemporaneamente alla cancellazione «delle condizioni eccezionali di deroga» previste dal decreto del 7 maggio 2014, si sono visti applicare i canoni di mercato di cui al decreto del 16 marzo 2011 (con obbligo di rilascio);
   il Comando forze di difesa interregionale nord ha una competenza per la gestione degli alloggi di servizio su Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige e Emilia Romagna; il Comando capitale su Roma e tutto il Lazio, e le lettere inviate ammontano a diverse centinaia;
   contemporaneamente sono state inviate anche numerose lettere di recupero coatto senza presumibilmente tenere conto «di contemperare tali azioni con la capacità tecnico/amministrativa di procedere al ripristino/utilizzo degli alloggi liberati per una nuova utenza con titolo», secondo quanto disposto dallo Stato Maggiore della Difesa per evitare un danno economico alla stessa amministrazione della difesa;
   tali azioni appaiono agli interroganti ingiustificate e lesive dei diritti riconosciuti delle «categorie protette» prima menzionate, quali vedove, portatori di handicap, figli, nipoti, conviventi, di personale militare e civile del Ministero della difesa concessionario originario di alloggi di servizio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti, e quali iniziative siano state assunte al fine di ottenere la revoca dei provvedimenti intrapresi dal Comando capitale e dal Comando forze di difesa interregionale nord di Padova.
(4-13785)


   ATTAGUILE, FEDRIGA, MOLTENI e SALTAMARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   pur nelle sue evoluzioni, necessarie per adeguarlo ai temi, il codice di disciplina militare detta le linee guida del comportamento che il componente delle forze armate deve tenere;
   dal punto di vista della dottrina, la premessa al regolamento del 1964, così argomenta: «... Le Forze armate, per evitare ogni possibile incrinatura nella propria compagine e per esercitare imparzialmente le alte funzioni derivanti dai doveri istituzionali, debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche»;
   il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, codice dell'ordinamento militare, al Titolo IX, Esercizio dei diritti, Capo II, Libertà fondamentali, all'articolo 1472, Libertà di manifestazione del pensiero, prevede che: «1. I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l'autorizzazione. 2. Essi possono, inoltre, trattenere presso di sé, nei luoghi di servizio, qualsiasi libro, giornale o altra pubblicazione periodica. 3. Nei casi previsti dal presente articolo resta fermo il divieto di propaganda politica»;
   quanto esposto stride pesantemente con quanto posto in essere da Fabio Mavilia, primo maresciallo della Marina militare in servizio a Maristaeli Catania, che sui social aveva postato offese di vario genere tra cui «Noi con Salvini...Razzisti e mafiosi», «Salvini sei lo schifo della politica», «La Lega, di cui adesso ne fa parte il vicesindaco...la legalità non sanno dove sta di casa... vi manderemo a casa!»;
   una vicenda che ha dell'incredibile e che prende il via dalla querela presentata nei confronti del sottoufficiale che risulta essere un attivista del Movimento Cinque Stelle. A presentare la querela è stato l'avvocato Fabio Cantarella, vicesindaco di Mascalucia, del movimento di «Noi con Salvini» in Sicilia a fianco dell'interrogante, segretario nazionale;
   accusare sostanzialmente gli esponenti di «Noi con Salvini» di essere razzisti e mafiosi non configura reato, ma secondo il pubblico ministero Alessandro Sorrentino, in forza alla procura della Repubblica di Catania, rientrerebbe nell'ambito dell'esercizio del diritto di critica politica, cosa che, ad avviso dell'interrogante, dovrebbe essere in violazione dell'articolo 1472 del codice dell'ordinamento militare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e non si intenda verificare che i comportamenti del militare di cui in premessa siano in linea con quanto previsto dal codice dell'ordinamento militare, assumendo, per quanto di competenza, ogni iniziativa, se ne sussistano i presupposti anche disciplinari, al fine di tutela il prestigio delle forze armate e l'onorabilità di una forza politica che rappresenta cittadini e territori, essendo stato, nel caso specifico, ampiamente superato, secondo gli interroganti, il diritto di critica politica garantito a tutti i cittadini. (4-13795)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   FREGOLENT, TINAGLI, PELILLO e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 20 maggio 2016, n. 76, recante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze, all'articolo 1, comma 2, prevede la possibilità per due persone maggiorenni dello stesso sesso di costituire un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni;
   l'introduzione di questa nuova fattispecie ha rilevanti implicazioni fiscali e civili, in particolare per quanto riguarda la definizione del regime della comunione di beni, il diritto ad avere un'abitazione principale comune fiscalmente rilevante ai fini dell'imposta sui redditi e delle imposte locali, il diritto alla pensione di reversibilità, nonché i diritti di successione;
   l'articolo 1, comma 20, della citata legge inoltre prevede, al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso;
   il comma 75, dell'articolo 1, della legge di stabilità del 2016, di cui alla legge 28 dicembre 2015 n. 208, intervenendo sulle agevolazioni previste ai fini IRPEF, amplia le ipotesi in cui è possibile fruire del cosiddetto « bonus mobili», individuando specifici requisiti soggettivi in presenza dei quali è anche elevato da 10.000 a 16.000 euro il limite massimo di spesa detraibile;
   in particolare, il citato comma 75 stabilisce che «Le giovani coppie costituenti un nucleo familiare composto da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituito nucleo da almeno tre anni, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni, acquirenti di unità immobiliare da adibire ad abitazione principale, beneficiano di una detrazione dall'imposta lorda, fino a concorrenza del suo ammontare, per le spese documentate sostenute per l'acquisto di mobili ad arredo della medesima unità abitativa»; la detrazione da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 16.000 euro;
   con l'emanazione della circolare n. 7/E del 31 marzo 2016, l'Amministrazione finanziaria ha fornito alcuni chiarimenti anche sui soggetti che possono beneficiare della detrazione fiscale sul «bonus» «mobili per giovani coppie»;
   la detrazione è riservata ai soggetti che possiedono i requisiti di seguito elencati: a) essere una coppia coniugata o una coppia convivente more uxorio da almeno tre anni. Per le coppie coniugate, non rilevando il requisito di durata del vincolo matrimoniale, è sufficiente che i soggetti risultino coniugati nell'anno 2016. Per le coppie conviventi more uxorio, la convivenza deve durare da almeno tre anni. Tale condizione deve risultare soddisfatta nell'anno 2016 ed essere attestata o dall'iscrizione dei due componenti nello stesso stato di famiglia o mediante un'autocertificazione resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445; b) non aver superato, almeno da parte di uno dei componenti la giovane coppia, i 35 anni di età. Per non creare disparità di trattamento in base alla data di compleanno, il requisito anagrafico deve intendersi rispettato dai soggetti che compiono il 35o anno d'età nell'anno 2016, a prescindere dal giorno e dal mese in cui ciò accade; c) essere acquirenti di un'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale della giovane coppia. In assenza di diversa prescrizione normativa si deve ritenere che l'unità immobiliare possa essere acquistata, a titolo oneroso o gratuito e che l'acquisto possa essere effettuato da entrambi i coniugi o conviventi more uxorio o da uno solo di essi. In quest'ultimo caso, nel rispetto della ratio della norma, l'acquisto deve essere effettuato dal componente che caratterizza anagraficamente la giovane coppia e quindi dal componente che non abbia superato il 35o anno d'età nel 2016. L'acquisto dell'unità immobiliare si ritiene che possa essere effettuato nell'anno 2016 o che possa essere stato effettuato nell'anno 2015;
   quanto previsto dalla citata circolare attuativa dell'amministrazione finanziaria per le coppie coniugate, per le quali non rileva il requisito di durata del vincolo matrimoniale, dovrebbe, ai sensi di quanto previsto dal citato articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, essere applicabile anche alle giovani coppie tra persone dello stesso sesso unite civilmente costituenti un nucleo familiare –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per chiarire che le disposizioni previste dalla legge di stabilità 2016 volte a concedere alle giovani coppie l'agevolazione fiscale per l'acquisto di mobili si applicano, ai sensi dell'articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, anche alle giovani coppie tra persone dello stesso sesso unite civilmente. (5-09160)


   GEBHARD e ABRIGNANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 «Codice dell'amministrazione digitale» prevede l'istituzione dell'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC);
   in particolare, l'articolo 6-bis, del citato decreto, introdotto dall'articolo 5, comma 3, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, prevede che «Al fine di favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di informazioni e documenti tra la pubblica amministrazione e le imprese e i professionisti in modalità telematica, è istituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, il pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico»;
   il medesimo articolo, al comma 2 ha stabilito che l'indice INI-PEC fosse «realizzato a partire dagli elenchi di indirizzi PEC costituiti presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi professionali»;
   la scelta iniziale di inserire gli indirizzi PEC di imprese e professionisti iscritti in ordini o collegi è stata di carattere operativo, poiché non era ancora vigente la legge n. 14 gennaio 2013, n. 4 relativa alle professioni non ricomprese in ordini o collegi;
   il mancato inserimento degli indirizzi PEC dei professionisti di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4, come ad esempio di quello dei tributaristi, ha comportato diversi problemi operativi per l'adempimento di alcuni obblighi normativi a cui tali professionisti sono soggetti;
   il problema tra tributaristi e Agenzia delle entrate è stato risolto con la risoluzione n. 88/E del 14 ottobre 2014: a fronte dei protocolli d'intesa stipulati tra le associazioni dei tributaristi e le direzioni regionali, l'Agenzia attinge gli indirizzi PEC degli associati direttamente dagli elenchi inviati e periodicamente aggiornati dalle associazioni stesse;
   in attuazione dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 159 del 2015, dal 1o giugno 2016, tutti gli atti di riscossione inviati da Equitalia e destinati a imprese e professionisti vengono recapitati esclusivamente tramite PEC;
   la recente introduzione del sistema di notifica degli atti di riscossione tramite posta elettronica certificata, pone la categoria professionale dei tributaristi ex lege 14 gennaio 2013, n. 4, in una posizione di diseguaglianza rispetto ai professionisti iscritti in albi o elenchi;
   è evidente la necessità di trovare una soluzione tecnica al problema che vede ad oggi i tributaristi impossibilitati a ricevere le comunicazioni di Equitalia tramite PEC –:
   se non ritenga di doversi attivare con la massima sollecitudine al fine di favorire un accordo tra tributaristi e Equitalia, sull'esempio di quello vigente tra Agenzia delle entrate e tributaristi stessi, affinché anche gli indirizzi PEC dei predetti professionisti di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4 vengano inclusi nell'elenco denominato indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC).
(5-09161)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 8 luglio scorso è stato nominato assessore al bilancio, patrimonio e riorganizzazione delle partecipate del Comune di Roma Capitale, il professor Marcello Minenna, dirigente pubblico in servizio presso la Consob con l'incarico di responsabile dell'ufficio analisi quantitative dell'autorità di vigilanza;
   l'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, recante il testo unico sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, prevede, al comma 7, che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza; ai fini dell'autorizzazione, l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitti di interesse; nel caso di specie tale verifica appare quanto mai necessaria, tenuto conto che, a quanto risulta, il professor Marcello Minenna avrebbe manifestato la sua intenzione di continuare a prestare servizio attivo, nella sua qualità di responsabile dell'ufficio analisi quantitative della Consob, nonostante abbia una delega relativa anche a partecipate quotate del Comune di Roma Capitale;
   il comma 8, del medesimo articolo 53, stabilisce che le pubbliche amministrazioni, tra cui rientrano anche i comuni ai sensi del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche senza la previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi, prevedendo che, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, determina la nullità di diritto del relativo provvedimento di nomina o comunque di conferimento dell'incarico;
   in entrambi i casi citati, la normativa sopra indicata prevede, altresì, salve le sanzioni più gravi, la responsabilità disciplinare del dipendente pubblico, che ha assunto l'incarico nonostante il divieto posto dal comma 7 del predetto articolo 53 nonché del funzionario responsabile del procedimento dipendente dell'amministrazione che ha conferito l'incarico;
   ai sensi del comma 10 del predetto articolo 53, l'autorizzazione deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti che intendono conferire l'incarico ovvero può essere richiesta dal dipendente interessato;
   nel caso di specie, qualora tale procedura non dovesse essere stata seguita o comunque in assenza di un provvedimento autorizzatorio della Consob, sarà necessario verificare urgentemente se sussistono i presupposti per far valere la nullità di diritto di tale nomina, ai sensi della citata disciplina, in particolare prima che venga predisposto e approvato l'assestamento di bilancio del comune di Roma Capitale, che, nel caso in cui non dovesse essere stata seguita la procedura sopra indicata, potrebbe essere un atto nullo, in quanto predisposto, proposto e approvato anche da un assessore la cui nomina potrebbe essere nulla di diritto;
   entro il 31 luglio prossimo infatti, dovrà essere approvato, ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000, l'assestamento di bilancio del comune di Roma Capitale che, come è noto, è atto propulsivo dell'assessore al bilancio il quale, successivamente e congiuntamente alla, giunta e al consiglio comunale lo approva;
   a quanto si apprende dagli organi di stampa il professor Minenna avrebbe rinunciato al trattamento economico da assessore, mantenendo il trattamento economico più elevato cui ha diritto quale dirigente della Consob: a tal riguardo, ferma la necessità di verificare la legittimità di tale decisione in relazione ad un diritto che potrebbe essere irrinunciabile, in ogni caso si rileva che qualora la nomina del professor Minenna ad assessore di Roma Capitale sia avvenuta senza l'osservanza della procedura dettata dal predetto articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ai sensi del comma 8 del medesimo articolo 53, l'importo previsto come corrispettivo dell'incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell'amministrazione conferente, deve essere trasferito alla Consob ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti. Da ciò dovrebbe derivare, quindi, che il professor Minenna, qualora non abbia acquisito l'autorizzazione da parte della Consob a svolgere il ruolo di assessore, non potrebbe, comunque, rinunciare al trattamento economico a lui spettante nella medesima qualità di assessore che invece dovrebbe essere destinato a beneficio del fondo di produttività di fondi equivalenti della Consob;
   in ogni caso, occorre verificare se l'incarico di assessore al bilancio, patrimonio e riorganizzazione delle partecipate del comune di Roma Capitale sia compatibile con il ruolo di responsabile dell'ufficio analisi quantitative e innovazione finanziaria che il professor Minenna ha chiesto di mantenere, anche in considerazione della legge 7 giugno 1974, n. 216 che all'articolo 2, sesto comma, prevede che «al personale in servizio presso la Commissione è in ogni caso fatto divieto di assumere altro impiego o incarico o esercitare attività professionali, commerciali o industriali», che sancisce un principio di incompatibilità per il personale della Consob molto rigido proprio perché si tratta di personale appartenente ad un'Autorità indipendente –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione all'applicabilità delle disposizioni dell'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e dell'articolo 2, sesto comma, del decreto-legge n. 95 del 1974 a fattispecie come quella di cui in premessa e se, comunque, il Governo non ritenga di assumere iniziative normative per implementare la disciplina vigente in materia di incompatibilità. (5-09162)


   PESCO, ALBERTI, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Il Corriere della Sera il 10 luglio pubblica un articolo dal titolo «Baretta: “Lo Stato in Montepaschi sarebbe l'estrema ratio” – “Il governo considera l'intervento pubblico come l'ultimo passo. Inoltre, l'intervento pubblico dovrebbe comunque avvenire d'intesa con la commissione europea”. A dirlo è il sottosegretario all'economia Pier Paolo Baretta, secondo cui ognuno deve fare la sua parte sulle sofferenze, non solo Cdp» ove tra l'altro si legge: Il ministro Pier Carlo Padoan sembra però aver fretta di chiudere l'accordo con Bruxelles che autorizzi l'intervento pubblico nel Monte dei Paschi di Siena. Avverrà prima del 29 luglio, quando l'Eba, l'autorità europea, renderà noti i risultati degli stress test su 53 banche dell'Ue, Mps compreso? «Il governo considera l'intervento pubblico come l'ultimo passo, eventualmente da attivare dopo che il mercato abbia messo in campo la necessaria risposta alla prima urgenza, che riguarda la cessione di quote significative di crediti deteriorati. Inoltre, l'intervento pubblico dovrebbe comunque avvenire d'intesa con la commissione europea». Intesa che ancora non c’è. «Con la commissione stiamo esaminando la situazione. Mi rendo conto che parlare di intervento pubblico in Mps solo se necessario possa apparire come un esercizio teorico, ma non dimentichiamo che, al momento, noi siamo solo di fronte a una richiesta della Banca centrale europea al Monte di alleggerire più rapidamente le sue “sofferenze”. Tutti sono al lavoro su questo, per creare un mercato dei crediti deteriorati». Beppe Grillo dice che se salta Mps, si scatenerà una nuova crisi globale. «Diffondere il panico è proprio ciò che non serve. Mps è una banca ben patrimonializzata, ma con troppi crediti deteriorati. Ridurli è interesse di tutto il sistema, non solo di Mps, per questo siamo convinti che il mercato si attiverà. Il governo ha già messo in campo strumenti come il pegno non possessorio e il patto marciano che accorciano i tempi di recupero dei crediti». (...) Il governo vuole il salvataggio in sospensione di bail in (che le regole Ue permettono solo se è a rischio la stabilità finanziaria) ma allo stesso tempo dice che la situazione non è poi così grave: una contraddizione. «No. Il governo non sottovaluta la situazione, ma dice che si può evitare che diventi una crisi di sistema. C’è un problema di sofferenze, così come in altri Paesi c’è la questione dei derivati. Ci vogliono interventi coordinati con l'Ue. Il tutto appunto per evitare di cadere in quel rischio di instabilità finanziaria che comunque è previsto dalle regole»;
   il 14 aprile 2016 si è tenuta l'assemblea dei soci del Monte dei Paschi di Siena: in tale sede è risultato che i 9,7 miliardi di euro corrispondenti al valore dei crediti in sofferenza al netto delle svalutazioni, siano per 2.993.356.000 euro, corrispondenti a circa 112.000 posizioni, riferibili a crediti concessi fino a 500.000 euro; le restanti 9.300 posizioni circa, per 6.710.773.000 euro (ovvero il 69,15 per cento), si riferiscono a finanziamenti oltre i 500.000 euro, dove si evidenziano i 3.120.668.000 euro (il 32,4 per cento) di sofferenze nette per crediti concessi per importi oltre i 3 milioni di euro; le sofferenze di importi maggiori si sono avute su finanziamenti concessi nel 2008 (anno di entrata) in vigore definitiva di Basilea II e di cessazione della truffa «Euribor»), ed entrate in sofferenza nel 2014; a tale assemblea, il Governo, tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, partecipò con 117.997.241 azioni ordinarie, rappresentanti il 12,98 per cento dei voti espressi, alla votazione riguardante la volontà di intraprendere un'azione di responsabilità nei confronti del management di Banca Monte dei Paschi di Siena: a tale votazione hanno partecipato 60 soggetti: 46 in proprio, 14 con delega in rappresentanza di altri 425, quasi tutti fondi di investimenti, banche, assicurazioni e finanziarie; solo il 31,01 per cento delle azioni ordinarie hanno partecipato alla votazione, con il 99,96 per cento dei voti espressi contro l'azione di responsabilità, Governo ovviamente incluso;
   nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-10147, ancora senza risposta, si segnalava l'evidente presenza di anomalie nella gestione del contratto derivato Alexandria/Nomura sottoscritto quando Mario Draghi era alla guida della Banca d'Italia, a giudizio degli interroganti responsabile anche allora quanto meno di una vigilanza priva di pregio, e chiuso su esplicita richiesta dello stesso Mario Draghi, divenuto nel frattempo presidente della Banca centrale europea, nonostante il contratto fosse viziato da nullità in quanto contenente clausole illegittime (che hanno dato luogo ad un'ipotesi di accusa di falso in bilancio) e costato, in termini patrimoniali e di perdite, diversi miliardi di euro ai danni del Monte dei Paschi di Siena –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche alla luce della sua veste di azionista, nei confronti degli amministratori succedutisi alla guida della Banca Monte dei Paschi di Siena, al fine di preservare l'investimento pubblico, prima di utilizzare ulteriori fondi pubblici a danno degli italiani o, peggio, assumere nuovi debiti nei confronti di un'Unione europea a senso unico, così acuendo il pregiudizio derivante da una cattiva gestione degli amministratori, e se non intenda rafforzare gli strumenti per contrastare ogni attività illegittima e per garantire una piena tutela del risparmio dei cittadini ignari rispetto a retroscena come quelli descritti. (5-09163)


   PAGLIA e FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il perverso intreccio di inchieste giudiziarie, perdite camuffate con abili operazioni finanziarie, operazioni di acquisizione azzardate e rapporti poco trasparenti con il mondo politico che hanno messo in crisi il Monte dei Paschi di Siena, storico istituto di credito del nostro Paese, potrebbe far nuovamente implodere il sistema bancario italiano e scatenare una nuova crisi finanziaria globale capace di coinvolgere oltre ad altri istituti di credito italiani anche colossi esteri come Deutsche Bank;
   il tracollo dell'istituto di credito dal 22 gennaio 2016 si aggira intorno al 60 per cento del suo valore azionario, con il risultato che oggi la capitalizzazione al valore di mercato del Monte dei Paschi di Siena sfiora il miliardo di euro, a fronte di un patrimonio netto pari a circa dieci miliardi di euro e di sofferenze nette, ossia di crediti deteriorati che non riuscirà a recuperare, pari a ventiquattro miliardi di euro;
   a queste cifre si è giunti dopo che la parte peggiore delle suddette sofferenze, che hanno un valore nominale di 27 miliardi di euro (su un totale crediti deteriorati di 47 miliardi) è già stata svalutata per 17 miliardi, portando così il residuo valore netto di bilancio a 10 miliardi di euro, valore su cui si è concentrato lo scetticismo dei mercati;
   La BCE ha chiesto all'istituto di credito di ridurre le sofferenze di 10 miliardi di euro entro il 2018, ma la vendita delle stesse a prezzi di mercato causerebbe una perdita superiore agli accantonamenti messi fino ad oggi a bilancio;
   in tale scenario il Governo ha esternato in più occasioni che la sua priorità è quella di tutelare il risparmio e per questo di voler chiudere in tutta fretta, prima del 29 luglio 2016, data entro la quale l'Eba (l'autorità bancaria europea) renderà noti i risultati degli stress test di 53 banche tra cui il Monte dei Paschi, l'accordo con l'Unione europea che autorizzi l'intervento pubblico «precauzionale» contemplato dalla direttiva europea BRRD sulle risoluzioni bancarie (cosiddette Bail-in) che, all'articolo 32, comma 4, punto III, autorizza in via precauzionale, i Governi a ricapitalizzare gli istituti di credito che non superano lo scenario avverso dello stress test, senza che questo venga considerato un aiuto di Stato;
   secondo uno schema riportato da due autorevoli quotidiani nazionali, Il Sole 24 Ore e La Stampa, l'operazione prevederebbe l'intervento del Tesoro – già socio della banca con il 4 per cento – o della sua partecipata, la Cassa depositi e prestiti, che ricapitalizzerebbe l'istituto con bond convertibili, per poi cedere ad una bad bank la gran parte dei crediti deteriorati;
   gravi sarebbero le conseguenze sociali per famiglie ed imprese, soprattutto alla luce dei nuovi provvedimenti approvati dal Parlamento per snellire le procedure esecutive e recuperare più agevolmente i crediti da parte del sistema bancario, derivanti dall'avvio di una procedura di risoluzione per l'istituto di credito senese –:
   con riferimento ai crediti deteriorati, quanti mutui siano stati accesi presso il Monte dei Paschi di Siena da famiglie e imprese, specificando tra questi quanti per acquisto di prima casa o di altri immobili, e quanti crediti chirografari e fondiari siano stati concessi dall'istituto alle imprese, specificati per numero e valore e con riferimento alle obbligazioni subordinate emesse dall'istituto, quale sia la loro ripartizione tra il retail e i soggetti istituzionali italiani ed esteri. (5-09164)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane è di fatto nata durante il Regno di Sardegna come ente pubblico che gestiva in monopolio i servizi postali e telegrafici per conto dello Stato, dopo l'unificazione le Poste hanno inglobato anche le aziende di servizi postali dei regni annessi;
   ora Poste Italiane spa, con piano unilaterale di riorganizzazione del servizio postale, sta mettendo in campo un piano inaccettabile di chiusura di numerosi piccoli uffici dislocati nel complesso e articolato territorio sardo;
   un piano che prevede l'accorpamento di due o più uffici e la soppressione dei cosiddetti centri secondari di distribuzione;
   a questo si aggiunge la chiusura in toto di numerosi sportelli postali;
   la chiusura degli sportelli soprattutto nei piccoli comuni della Sardegna andrebbe ad incidere su una situazione già gravemente provata dalla cancellazione di importanti servizi dal territorio;
   nelle piccole realtà sarde lo sportello postale è rimasto uno dei pochi presidi pubblici esistente;
   tale piano determinerebbe infiniti disservizi, disagi gravosissimi per tanti utenti, spesso anziani, e perdita di qualità nella prestazione del servizio;
   a questo si aggiunge la condizione insulare della Sardegna che costituisce di per se un consolidato handicap nella gestione del servizio postale;
   è notorio che i tempi del recapito in Sardegna sono gravati in modo rilevante proprio dalla condizione insulare e per molti centri dalle condizioni precarie di mobilità interna;
   Poste Italiane per le sue dimensioni, i suoi asset strategici e i suoi primati produttivi svolge da sempre un'autentica funzione sociale; funzione sociale — hanno ribadito i sindacati unitariamente — che costituisce un elemento imprescindibile di garanzia e sviluppo all'interno del sistema Paese e delle relazioni che intercorrono tra azienda, istituzioni, cittadini, e corpi intermedi. In una parola, tutte le decisioni, politiche e di mercato, che attengono a Poste Italiane attengono anche, inevitabilmente, ai cittadini e alle loro tutela;
   per questo, le recenti decisioni, l'una di matrice aziendale attinente alla riorganizzazione del settore PCL, e l'altra di matrice governativa attinente al piano di privatizzazione di Poste, impongono un necessario bilanciamento di interessi tra esigenze di mercato e tutela della funzione sociale dell'azienda;
   è indispensabile che venga mantenuto e rafforzato un equilibrio tra assetti proprietari, iniziativa economica e funzione sociale come principio fondamentale di indirizzo;
   il processo di privatizzazione di Poste Italiane, inevitabilmente, impatta sul servizio pubblico e sociale svolto dall'azienda;
   è necessario un equilibrio con appositi pesi e contrappesi, atti a bilanciare le esigenze di mercato con le esigenze sociali e, per realizzare questo scopo primario, è necessario un dibattito pubblico che coinvolga le regioni, il Governo, azienda e parti sociali;
   a fronte di numerosi e reiterati appelli in tal senso da parte delle organizzazioni sindacali, ad oggi ciò non è ancora avvenuto: le recenti decisioni del Consiglio dei ministri mutano completamente gli assetti proprietari di Poste Italiane, marginalizzando gravemente il controllo pubblico sulla stessa;
   il processo di privatizzazione è andato avanti senza che si sia aperto un reale confronto sul futuro di quella che è la più grande infrastruttura di cui è dotato il sistema produttivo italiano;
   sono in gioco migliaia di posti di lavoro, competenze, tecnologie, 500 miliardi di euro l'anno di risparmi dei cittadini, la stessa coesione sociale e territoriale del Paese;
   occorre che tutto questo sia di assoluta evidenza pubblica;
   la quotazione in borsa di Poste Italiane, a giudizio dell'interrogante, è stata — al contrario di quanto il rispetto dei principi fondamentali sulla socialità del servizio imponeva — la classica operazione di cassa finalizzata ad abbattere il debito pubblico di insignificanti decimali attraverso un trasferimento di quote di proprietà tra gli altri fondi speculativi che, con la storica mission aziendale e con la sua vocazione sociale, hanno poco o nulla a che fare;
   lo Stato, cedendo le azioni, incorrerà in una perdita secca ed irreparabile non incassando più la cedola annuale versata da Poste;
   basti pensare che le dismissioni della prima tranche di azioni ha già significato una perdita di 157 milioni per le casse dello Stato nel 2015;
   devono essere garantiti tre fondamentali funzioni:
    1) la funzione svolta da Poste Italiane per la coesione territoriale e sociale;
    2) l'unitarietà del gruppo Poste Italiane e la tenuta occupazionale;
    3) la strategicità degli asset di Poste Italiane per l'economia del sistema Paese che necessitano di governo ed investimenti pubblici;
   l'attuale sistema di riorganizzazione di Poste comunicazione e logistica sancito con l'accordo del 25 settembre 2015, non funziona; non funziona perché non riesce a garantire la socialità del servizio e i livelli occupazionali che servono per consegnare adeguatamente la posta senza far saltare in un soffio i perimetri delle mansioni dei lavoratori, la loro sicurezza e la loro dignità;
   l'accordo del 25 settembre 2015 è stato un tentativo di equilibrare, sulla carta, esigenze di riorganizzazione aziendale con il diritto dei cittadini a ricevere la posta e il diritto dei lavoratori postali a svolgere con correttezza e serenità il proprio lavoro;
   è stato il primo tentativo di un lungo percorso soggetto a controlli in itinere e, proprio a seguito di quei controlli in itinere, dopo aver provato, con senso di responsabilità, ad attuare quei difficili equilibri, oggi si può dire — superati i margini di sperimentazione — che quel modello di riorganizzazione è inapplicato e non produce l'efficienza e l'efficacia prevista e poiché l'inadeguatezza dell'applicazione ormai è un dato di fatto, va riaperto il confronto sull'accordo del 25 settembre 2015;
   occorre configurare l'ufficio postale in toto quale presidio ed interfaccia tra cittadino e pubblica Amministrazione, strumento necessario per le sfide proposte dalla digitalizzazione del Paese;
   le recenti impostazioni aziendali, infatti, hanno fatto registrare un'innegabile tendenza a concentrarsi sempre più esclusivamente sui dettami assoluti del mercato, senza idonei bilanciamenti atti a favorire il rilancio delle aree meno sviluppate rendendo disponibili tecnologie, piattaforme, servizi –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per bloccare quelle che l'interrogante giudica procedure di privatizzazione «selvaggia» delle Poste Italiane;
   se non si intenda rilanciare anche la funzione sociale a servizio del cittadino e del territorio;
   se non si intenda promuovere un confronto serrato con tutti i protagonisti della società per meglio rafforzare il percorso condiviso e sociale e della società.
(5-09146)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 120 del 2012, la Corte costituzionale ha dissipato definitamente ogni dubbio sulla legittimità costituzionale delle previsioni dell'articolo 71 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per o sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
   come è noto, il primo comma di questa disposizione stabilisce che «per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità, o emolumento, comunque denominati, avente carattere fisso e cumulativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze di malattia dovute ad infortunio sul lavoro o da altra causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita»;
   a distanza di 7 anni dall'emanazione del citato decreto-legge 112 del 2008, il 20 luglio 2015 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha emanato una circolare sull'argomento, sulla scorta di un parere fornito dall'ARAN nello stesso anno (parere diametralmente opposto a quello emanato del 1995 dalla stessa Agenzia in riferimento ad analoga norma riferita al ccnl del 1995), introducendo la decurtazione dell'indennità penitenziaria in caso di assenza per malattia in danno del solo personale del comparto ministeri in servizio presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed il dipartimento della giustizia minorile (con l'esclusione quindi del personale di polizia penitenziaria e dei dirigenti che conservano integra l'indennità);
   in data 29 febbraio 2016, la direzione generale del personale e delle risorse del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha diramato una circolare con la quale ha disposto il monitoraggio delle assenze per malattia di tutto il personale del comparto ministeri nel periodo dal 25 giugno 2008 al 19 luglio 2015, con la messa in mora dello steso personale per dette assenze ed il recupero dell'indennità penitenziaria riconosciuta per le assenze a partire dal 20 luglio 2015;
   l'indennità penitenziaria fu introdotta nel 1970 con la legge n. 1054, successivamente modificata più volte, al fine di retribuire tutto il personale penitenziario indistintamente (civile e di polizia) per la specificità della funzione svolta, con i rischi e i disagi ad essa connessi, per cui detta indennità, a differenza di quelle riconosciute da altre amministrazioni diverse da quella penitenziaria, è stata sempre considerata trattamento economico fondamentale (inserito in tabella A) e non accessorio, e quindi non assoggettabile alla decurtazione di cui all'articolo 71 del citato decreto-legge 112 del 2008;
   le attuali innovazioni, oltre a snaturare e svilire profondamente una categoria di lavoratori che negli anni hanno pagato un pesante tributo di sangue nell'adempimento del loro dovere, crea anche una inaccettabile sperequazione all'interno del personale penitenziario, che viceversa agisce unitariamente all'interno degli istituti di pena per il raggiungimento della mission istituzionale, con grande compattezza, sinergia e profondo senso delle istituzioni –:
   se si intendono assumere iniziative normative finalizzate a escludere l'applicazione dell'articolo 71 del decreto-legge 112 del 2008 nei confronti del personale penitenziario del comparto ministeri alla luce:
    a) della specificità ed unicità del lavoro svolto, non all'interno di normali uffici, ma all'interno degli istituti penitenziari;
    b) della natura di retribuzione fondamentale e non accessoria della indennità penitenziaria;
    c) dell'esigenza di uniformità di trattamento con il restante personale penitenziario (dirigenza e personale del Corpo di polizia penitenziaria).
(4-13791)


   FRACCARO e BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la direzione nazionale antimafia (DNA) è composta dal procuratore nazionale antimafia e da 20 magistrati del pubblico ministero che sono i sostituti procuratori nazionali antimafia. Il procuratore della DNA esercita le funzioni di coordinamento delle indagini condotte dalle singole direzioni distrettuali antimafia (DDA) nei reati commessi dalla criminalità organizzata. Tale coordinamento è finalizzato, soprattutto, ad assicurare la conoscenza delle informazioni tra tutti gli uffici interessati e a collegare le DDA tra loro quando emergano fatti o circostanze rilevanti tra due o più di esse;
   con legge 30 giugno 2009, n. 85, sono istituiti la banca dati nazionale del DNA e il laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA. Al fine di facilitare l'identificazione degli autori dei delitti, presso il Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza, è istituita la banca dati nazionale del DNA. Presso il Ministero della giustizia, dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, è istituito il laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA;
   con la modifica introdotta dal comma 3 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 7 del 2015 (cosiddetto decreto antiterrorismo), modificato in sede di conversione in legge, è stato integrato l'articolo 117 c.p.p., sostituendo il comma 2-bis con la previsione che «Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nell'ambito delle funzioni previste dall'articolo 371-bis, accede al registro delle notizie di reato, al registro di cui all'articolo 81 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché a tutti gli altri registri relativi al procedimento penale e al procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione. Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo accede, altresì, alle banche dati logiche, dedicate alle procure distrettuali e realizzate nell'ambito della banca dati condivisa della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo»;
   la possibilità di attingere alle banche dati delle indagini preliminari delle procure distrettuali prevista dal progetto denominato S.I.D.D.A./S.I.D.N.A. (sistema informativo direzione distrettuale antimafia/ sistema informativo direzione nazionale antimafia), come affermato dal sostituto procuratore nazionale antimafia Alberto Maritati nel documento «Coordinamento delle indagini nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata. Il ruolo della DNA», è alla base di una moderna ed efficiente risposta repressiva dello Stato verso l'aggressione del crimine organizzato perché consente una rapida conoscenza complessiva del fenomeno e delle sue attuali manifestazioni;
   la banca dati distrettuale, con il sistema S.I.D.D.A., è costituita da un archivio dei testi integrali e da una base dei dati relazionale, tra loro integrati. All'interno dell'archivio dei testi integrali è possibile effettuare una prima e semplice ricerca dei dati e delle informazioni utili, come ad esempio è possibile ricercare nomi di persone o di società, un numero di targa di autoveicolo o di utenza telefonica, un soprannome e simili. La base dati relazionale è stata organizzata e strutturata secondo uno schema concettuale definito entità-relazione. La categoria delle entità è costituita da ogni possibile oggetto dell'informazione, come ad esempio i soggetti, il fatto reato, il bene, il mezzo di offesa, lo stupefacente, l'utenza telefonica e altro, la relazione è data dal legame che si può stabilire tra due o più entità, come tra i soggetti che appartengono allo stesso sodalizio criminale, tra il soggetto ed un bene, un'arma, una località e così via. Le entità e le relazioni presenti in banca dati sono state definite in base agli oggetti di informazione che ricorrono maggiormente nelle attività di indagine e che rivestono maggiore importanza sul piano investigativo per la singola indagine, ma anche per soddisfare le esigenze di una conoscenza complessiva dei fenomeni criminali di tipo mafioso;
   la centralità strategica del progetto del progetto S.I.D.D.A./S.I.D.N.A è stata rimarcata anche nella relazione annuale sulle attività svolte dal procuratore nazionale e dalla direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, in riferimento al periodo 1o luglio 2014-30 giugno 2015, pubblicata nel febbraio 2016. Come si legge nel documento «Occorreva quindi creare un'unica banca dati centralizzata, che sapesse fondere gli elementi informativi, i più vari, proprio per rispondere alla multifattorialità delle dinamiche criminali; che sapesse, parimenti, garantire riservatezza e confidenzialità, delle informazioni e la loro assoluta ed esclusiva gestione in capo ai Procuratori distrettuali che ne sono titolari. Rendendo partecipi le Procure distrettuali della diretta realizzazione di un unico patrimonio informativo condiviso presso la DNA, dal quale derivare le 26 viste logiche riservate e dedicate alle singole DDA, si determina un'architettura non solo più efficiente ed efficace ma anche più sicura ed economica. Elemento fondamentale, che pone tale logica di accentramento strutturale coerente anche sotto il profilo giuridico in termini di riservatezza delle informazioni, è la disposizione per cui in ogni caso nessun dato custodito nella banca dati della Procura distrettuale può essere sottratto all'esigenza conoscitiva del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per coordinare e dare impulso alle indagini, rendendo nella sostanza in ogni istante la banca dati fisica oggi presente nelle Procure distrettuali perfettamente speculare alla sua equivalente presso la DNA»;
   le attività di assistenza applicativa, gestione sistemistica, asset inventory, politiche di backup e di sw distribution di patch sw, gestione delle reti e altro riguardanti i sistemi e gli utenti (magistrati, segreterie, ufficiali di polizia giudiziaria) che operano sul Sistema informativo SIDNA/SIDDA sulle 26 direzioni distrettuali e sulla direzione nazionale antimafia sono state assegnate con gara d'appalto al raggruppamento temporaneo di impresa (RTI) costituito da Telecom Italia, Selex ES, Top-Network, Sirfin Spa e Progesi Sel. Le attività sono dettagliate nel piano generale di lavoro del contratto e nel piano di lavoro obiettivo (PLO) predisposto dal predetto RTI e in conformità con quanto previsto dal contratto esecutivo numero SIA.54.02.03.08.GM.G.19/12 «Contratto per la fornitura dei servizi di Gestione Sistemi e Assistenza Applicativa del Sistema Informativo del Ministero della giustizia e degli Uffici Giudiziari» del 21 settembre 2012, aumentato del quinto contrattuale per le sedi della DNA/DDA (rif lettera Prot. m_dg_DOG07.27/03/2013.0007844.U), così come sottoscritto con il Ministero della giustizia direzione generale dei sistemi informativi automatizzati;
   nell'ambito delle menzionate attività, di assistenza e gestione, Sirfin spa, con sede legale a Cosenza in via Isonzo 2/M, attraverso la sua controllata Sirfin PA srl, con sede legale a Cosenza in via Isonzo 2/M, ha in carico la gestione e il coordinamento dei seguenti servizi:
    a) servizio gestione sistemi e reti SIDDA/SIDNA, il cui compito è di recepire le richieste dell'amministrazione che ha sottoscritto il PLO, analizzarle con i responsabili per il RTI dei CS (Centro servizi), razionalizzarle in accordo con i referenti territoriali CISIA (Coordinamento interdistrettuale sistemi informativi automatizzati), al fine di ottenere una visione integrata delle attività specifiche del servizio sul territorio nazionale;
    b) servizio assistenza applicativa SIDDA/SIDNA, il cui compito è di recepire le richieste dell'amministrazione, analizzarle con i responsabili per il RTI dei CS, razionalizzarle in accordo con i referenti territoriali CISIA, al fine di ottenere una visione integrata delle attività specifiche del servizio sul territorio nazionale;
    c) servizio supporto specialistico, il cui compito è di recepire le richieste dell'amministrazione, analizzarle con i responsabili per il RTI dei CS, razionalizzarle in accordo con i referenti territoriali CISIA, al fine di ottenere una visione integrata delle attività specifiche del servizio sul territorio nazionale;
   come illustrato dalla relazione annuale della DNA, per quanto attiene l'assistenza sistemistica/applicativa nelle DDA, anche l'attività di supporto sul sistema Siris/ARES è affidata alla società Sirfin spa. Nella fattispecie l'applicativo Siris/ARES integra le funzionalità di base per accedere alla banca dati del S.I.D.D.A./S.I.D.N.A., non più come applicazioni separate, permettendo di richiamare qualsiasi contesto applicativo ove sia presente un soggetto fisico e/o giuridico. Oltre ad includere le funzionalità esistenti, l'applicativo aggiungerà contestualmente nuove funzionalità per migliorarne l'integrazione e le performance, tramite nuovi sistemi di personalizzazione delle richieste (scelta dei capitoli), la rivisitazione delle query (per adeguarle alla nuova banca dati nazionale centralizza) e nuovi servizi di elaborazione delle richieste, che utilizzano la nuova architettura di ARES come l'esecuzione asincrona delle richieste provenienti da più utenti;
   risulta infine all'interrogante che la Sirfin PA srl (84 dipendenti al 31 dicembre 2013 e 92 dipendenti al 31 dicembre 2014) negli ultimi 18 mesi abbia sistematicamente ritardato il versamento dei pagamenti degli stipendi ai propri dipendenti provvedendo a bonificare il saldo delle mensilità, della corresponsione dei buoni pasto e dei rimborsi spese in forma rateizzata determinando così un inevitabile disagio nei confronti del personale incaricato di svolgere funzioni strategiche all'interno dell'amministrazione della giustizia;
   nelle comunicazioni al personale Sirfin PA srl, la quale nel febbraio del 2016 ha sottoscritto un contratto di affitto di ramo d'azienda con la Sirfin spa, imputa i continui inconvenienti nella corresponsione degli emolumenti riconosciuti al personale: a) ai ritardi nei pagamenti da parte del Ministero della giustizia all'impresa mandataria, la quale provvede alla ridistribuzione delle somme alle imprese mandanti; b) all’iter di approvazione e autorizzazione nella predisposizione dei pagamenti da parte della società mandataria –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere per assicurare la regolare e puntuale corresponsione degli stipendi ai dipendenti delle aziende che operano nell'ambito delle attività di pertinenza della direzione nazionale antimafia e terrorismo e delle direzioni distrettuali antimafia;
   quali siano le iniziative in essere per monitorare il rispetto degli impegni sottoscritti tra il Ministero della giustizia e il menzionato raggruppamento temporaneo di imprese. (4-13797)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Grottaglie (TA), al pari degli aeroporti di Bari, Brindisi e Foggia, è gestito dalla società Aeroporti di Puglia s.p.a. (AdP) secondo le previsioni del decreto ministeriale n. 521 del 1997 e la convenzione n. 40 stipulata con ENAC del 25 gennaio 2002 per una durata quarantennale a far data dal 12 febbraio 2003;
   in data 16 marzo 2016 ENAC ha inviato ad AdP il documento avente ad oggetto «Aeroporto di Taranto Masterplan al 2030 – Approvazione Tecnica» protocollo 0004759/2016. Nelle premesse ENAC scrive che «L'articolo 9 comma 2 di tale Convenzione» – riferendosi alla convenzione n. 40 – «prevede che la società digestione presenti il Piano di Sviluppo per la definizione e programmazione degli interventi da realizzare nel breve e medio periodo»;
   inoltre, ENAC aggiunge che AdP «in passato ha sviluppato una serie di documenti programmatici rivolti alla creazione del sistema di trasporto aereo regionale – quali il «Masterplan del Sistema Aeroportuale Pugliese» del 2007, ad un «Piano Territoriale Propedeutico al Piano di Sviluppo Aeroportuale» del 2007 – «senza arrivare però alla definizione di un vero e proprio Masterplan aeroportuale»;
   tuttavia, il riferimento riportato da ENAC all’«articolo 9 comma 2 di tale Convenzione» riguarda il «regime dei beni» e il comma 2, in particolare, si riferisce alla rilevazione della consistenza dei beni insistenti sul sedime aeroportuale;
   a giudizio dell'interrogante tale riferimento non risulta corretto. Infatti, è l'articolo 12 della Convenzione n. 40 sopracitata che disciplina i «piani di sviluppo, i piani regolatori, progetti, realizzazione delle opere» e, pertanto, ai sensi del comma 1, la concessionaria AdP avrebbe dovuto presentare annualmente all'ENAC una relazione sullo stato di attuazione del programma d'intervento e del relativo piano degli investimenti comprendente anche le opere non previste, le variazioni e gli aggiornamenti che comunque debbono essere coerenti con lo sviluppo del sistema aeroportuale nazionale e con il programma originario approvato e devono tener conto dell'andamento delle attività aeroportuali;
   ai sensi del comma 2 del sopracitato articolo 12, la concessionaria avrebbe dovuto entro un anno dal provvedimento di definitiva determinazione della durata dell'affidamento presentare il piano regolatore generale di ciascun aeroporto, coerente al programma di intervento per la conseguente approvazione dell'ENAC che procede d'intesa con il Ministero competente;
   a detta di ENAC – come rinvenibile dal documento sopracitato avente ad oggetto «Aeroporto di Taranto Masterplan al 2030 – Approvazione Tecnica» – solo in tempi più recenti, nel febbraio del 2014, AdP ha presentato un progetto di «infrastrutturazione destinata all'insediamento di attività industriali orientate alla sperimentazione e test di nuove soluzioni aerospaziali» e tale progetto preliminare, comprendente una serie di interventi suddivisi in lotti funzionali, ha ricevuto l'approvazione di ENAC con nota prot. 25389 dell'11 marzo 2014;
   a giudizio dell'interrogante, si evincono due inadempienze della convenzione n. 40 e un errore da parte di ENAC in riferimento all'articolato della Convenzione –:
   se il Ministro possa chiarire se AdP abbia detenuto in concessione l'aeroporto di Grottaglie nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 12 della convenzione n. 40 che stabiliva che la concessionaria AdP avrebbe dovuto presentare annualmente all'ENAC una relazione sullo stato di attuazione del programma d'intervento e del relativo piano degli investimenti comprendente anche le opere non previste ai sensi del comma 1 del citato articolo 12 della convenzione n. 40 e, in caso contrario, quali iniziative di competenza intenda adottare;
   se il Ministro possa chiarire se AdP abbia detenuto in concessione l'aeroporto di Grottaglie nel rispetto del comma 2 dell'articolo 12 della convenzione n. 40, che stabiliva tempi precisi per la presentazione del piano regolatore generale dell'aeroporto di Grottaglie entro un anno dal 25 gennaio 2002 e, in caso contrario, quali iniziative di competenza intenda adottare;
   se il Ministro possa chiarire se ENAC nel documento citato in premessa, avente ad oggetto «Aeroporto di Taranto Masterplan al 2030 – Approvazione Tecnica» abbia citato erroneamente l'articolo 9, comma 2, della convenzione in riferimento al «Piano di Sviluppo per la definizione e programmazione degli interventi da realizzare nel breve e medio periodo» e, comunque, a fronte di quanto riferito da ENAC che di fatto ha ammesso che AdP non ha presentato i piani di sviluppo e regolatori per l'aeroporto di Grottaglie, quali iniziative di competenza intenda adottare. (5-09165)


   VENTRICELLI, MICHELE BORDO, CASSANO, GINEFRA, VICO, PIEPOLI, GRASSI, MARIANO, LOSACCO, MONGIELLO, CAPONE e BOCCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   poco dopo le undici di questa piattina, si è verificato un gravissimo incidente ferroviario sulla linea Corato-Andria, in Puglia l'impatto è stato violentissimo e i due convogli si sono accartocciati in un groviglio di lamiere: si tratta uno degli episodi più gravi mai avvenuti in Italia;
   a quanto appreso c’è stato uno scontro frontale di due treni che viaggiavano sullo stesso binario; il tratto interessato è a binario unico e sono in  atto lavori per il raddoppio, sulla linea transitano giornalmente più di duecento treni poiché quella interessata è l'arteria ferroviaria che collega il nord barese a Bari, con migliaia di pendolari che si spostano verso il capoluogo quotidianamente;
   sul posto sono intervenute diverse squadre dei vigili del fuoco provenienti da Bari e Barletta, oltre ad agenti della polizia ferroviaria che hanno effettuato i primi rilievi per risalire alle cause dell'incidente; i soccorritori, che sul luogo hanno allestito un ospedale da campo, continuano a lavorare per mettere in sicurezza i passeggeri superstiti: al momento si contano 27 morti e diversi feriti gravi, con decine di persone trasportate in ospedale;
   la linea ferroviaria, gestita dalla società Ferrotraviaria, è utilizzata soprattutto  studenti e pendolari, anche se tra i morti figurano anche persone anziane;
   a quanto affermato da Massimo Nitti, direttore generale della Ferrotranviaria, uno dei due treni non ci sarebbe dovuto essere, poiché sarebbe dovuto essere in stazione, mentre l'altro sarebbe dovuto essere in transito –:
   quali siano le dinamiche dell'incidente e le cause che hanno portato allo scontro;
   se i Ministri interrogati intendono, per quanto di competenza, verificare se a causare l'incidente possa essere stato un errore umano, poiché, come illustrato in premessa, uno dei due treni sarebbe effettivamente partito in anticipo dalla stazione di provenienza;
   in attesa che la magistratura faccia il suo corso, se il Governo intenda assumere iniziative per verificare i fattori alla base dell'incidente, anche attraverso un'eventuale Commissione ministeriale tenendo presente che con la tecnologia a disposizione oggi, con le soluzioni tecniche a disposizione, pare inverosimile che possano continuare ad accadere eventi del genere. (5-09166)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 13 del 1989 disciplina le disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati;
   le prime disposizioni tecniche per il superamento delle barriere architettoniche sono contenute nella circolare ministeriale del 19 giugno 1968, successivamente riprese ed ampliate dal decreto del Presidente della Repubblica del 27 aprile 1978 che costituisce un punto fondamentale nella disciplina della materia, soprattutto per quanto riguarda le direttive di progettazione senza barriere architettoniche negli edifici pubblici a carattere collettivo e sociale;
   la legge n. 13 del 1989 affronta le problematiche della progettazione senza barriere nell'ambito dell'edilizia residenziale, quindi negli edifici privati di nuova costruzione, negli interventi di ristrutturazione, negli spazi esterni di pertinenza e di accesso;
   precedentemente le prescrizioni normative si riferivano alle opere ed agli edifici pubblici e privati «aperti al pubblico», e poco significativamente agli interventi di edilizia residenziale pubblica. Con la legge n. 13 le disposizioni per favorire la fruizione degli spazi vengono estese a tutti gli edifici privati, residenziali e non, in sede di nuova costruzione o di ristrutturazione degli stessi;
   l’iter procedurale prevede che l'interessato presenti la domanda entro il 1o marzo di ciascun anno. Successivamente l'amministrazione comunale effettua un immediato accertamento sull'ammissibilità della domanda, subordinata alla presenza di tutte le indicazioni e documentazioni, alla sussistenza di tutti i requisiti necessari alla concessione del contributo, all'inesistenza dell'opera, al mancato inizio dei lavori ed alla verifica della congruità della spesa prevista rispetto alle opere da realizzare;
   entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle domande, il sindaco, sulla base delle domande ritenute ammissibili, stabilisce il fabbisogno del comune e forma l'elenco che deve essere reso pubblico mediante affissione presso le casa comunale. Il sindaco comunica alla regione il fabbisogno, unitamente ad un elenco delle domande ammesse ed a copia delle stesse;
   facendo seguito alle varie richieste, la regione determina il fabbisogno complessivo e trasmette al Ministro dell'infrastrutture e dei trasporti la richiesta di partecipazione alla ripartizione del fondo per la eliminazione ed il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati. Il fondo viene annualmente ripartito tra le regioni richiedenti con decreto interministeriale in proporzione al fabbisogno indicato dalle regioni. Le regioni ripartiscono le somme assegnate ai comuni richiedenti, privilegiando il fabbisogno dei comuni ove sono state presentate domande con diritto di precedenza;
   attualmente le regioni si trovano ad affrontare infinite difficoltà essendo il fondo presso il Ministero privo di copertura da anni;
   la regione Lombardia dal 2013 ad oggi ha giacenti per: il fabbisogno 2013, 2246 domande da liquidare con un ammontare del fabbisogno di euro 9.087.288,55 (al netto di 47 domande pagate con un residuo derivante dal bando regionale 2015, pari a euro 188.732,14); per il fabbisogno 2014, 2296 domande da liquidare per un ammontare del fabbisogno di euro 9.124.387,32; per il fabbisogno 2015, 1172 domande da liquidare per un ammontare del fabbisogno di euro 4.775.140,03; per il fabbisogno 2016, 1201 domande da liquidare per un ammontare del fabbisogno di euro 4.875.457,20 cui ad oggi, si aggiungono come fabbisogno 2017 ulteriori 140 richieste –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda al più presto assumere iniziative per il rifinanziamento del fondo di cui alla legge 13 del 1989, necessario per dare la possibilità alle regioni di intervenire, ricordando come solo per la regione Lombardia le richieste ammontino a complessivi euro 27.856.129, al fine di alleviare i disagi e le sofferenze di cittadini che sono già pesantemente provati. (4-13773)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   fino al 31 ottobre 2014 Trenitalia consentiva il rilascio del biglietto anche quando i posti disponibili erano tutti prenotati; fino ad un massimo di dieci viaggiatori per ogni vettura. Questa possibilità era valida anche per le Frecce;
   dal 1o novembre 2014 Trenitalia, recependo una raccomandazione dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (ANSF), ha deciso che non siano più ammessi viaggiatori in piedi sulle Frecce;
   per un treno con 12 vetture, questo ha significato 120 persone in meno su ogni Freccia (lungo la Direttrice Adriatica sono 22 le Frecce in circolazione ogni giorno, con la conseguenza di una riduzione di circa 2.000 posti nell'offerta);
   la soluzione che consentiva un numero minimo di persone oltre i posti offerti, non aveva mai creato problemi, né alla sicurezza del servizio, né agli altri viaggiatori: quasi sempre, almeno l'80 per cento dei viaggiatori con biglietto per viaggiare in piedi, in realtà poi trovava posto a sedere (c’è, infatti, una documentata tradizione che conferma una disponibilità di posti sul treno, anche quando all'operatore di biglietteria i posti sono tutti esauriti);
   questa contrazione nell'offerta dei posti sulle singole Frecce, non è stata accompagnata da un aumento del numero delle Frecce in circolazione;
   dunque ora lungo la direttrice Adriatica nel periodo estivo, in quello natalizio e in quello pasquale è difficile per i cittadini poter viaggiare in treno a causa della scarsità dell'offerta (specialmente nel tratto Pescara-Bologna);
   ad aggravare la situazione c’è anche il fatto che mentre in alcune tratte (vedasi la Napoli-Roma-Firenze) esiste sia l'offerta dell'Alta Velocità (e le conseguenti Frecce Rosse), sia l'offerta alternativa con regionali veloci, in altri ambiti (come lungo la direttrice Adriatica), non solo c’è stata la contrazione dell'offerta per i viaggiatori in piedi, ma manca qualsiasi alternativa con regionali veloci;
   è evidente che in alcune aree di utenza i cittadini possano disporre sia dell'Alta Velocità, che dell'alternativa costituita dai regionali veloci, mentre in altre aree (come lungo la direttrice Adriatica) manchi sia l'Alta Velocità, sia il servizio offerto dai regionali veloci –:
   se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per far aumentare il numero dei treni lungo la direttrice adriatica, evitando così di penalizzare ulteriormente le utenze delle regioni adriatiche. (4-13780)


   MARCON. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 1995 un aereo Antonov, dopo il decollo nell'aeroporto Villafranca di Verona, si è schiantato a terra spezzandosi in due e incendiandosi causando 49 vittime tra le quali 30 italiane, 14 romene, di cui 8 dell'equipaggio, 4 serbe ed una olandese;
   dal disastro sono trascorsi quasi 21 anni, di cui 15, invece, dalla sentenza della corte d'appello che nel 2001 stabiliva le responsabilità penali e di conseguenza i soggetti obbligati in solido al risarcimento ai parenti delle vittime e al pagamento delle spese legali, sentenza poi diventata definitiva nel 2003. Anche la Corte di Cassazione individuò il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti quale corresponsabile civile insieme al Catullo;
   nell'ottobre 2010 la sentenza del tribunale civile di Venezia confermò la sentenza, obbligando quindi il Ministero a pagare. La somma di 3 milioni e 713.962 euro è accantonata in Banca d'Italia: denaro pignorato sulla base dell'atto depositato dal legale che assiste i parenti dei passeggeri romeni. Tecnicamente si tratta di un atto di pignoramento presso terzi promosso contro il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che l'avvocato Egidio Verzini (che segue la causa affiancato dalle colleghe Erica Leorato e Silvia Tassello) ha depositato in altri cinque istituti bancari nei confronti dei quali il Ministero risulta essere creditore. Così oltre che alla Banca d'Italia l'atto è stato trasmesso a Intesa San Paolo spa, a Unicredit, a Banca Nazionale del Lavoro e a Banca Monte dei Paschi di Siena;
   contestualmente alla richiesta di «congelare» i beni, i legali hanno citato il Ministero davanti al tribunale di Roma. Ma in attesa dell'udienza il denaro resta bloccato;
   il debito dello Stato nei confronti dei parenti delle vittime straniere di quel disastro ammonta a 2.475.974 euro, ma, rispondendo al legale, il tesoriere centrale dello Stato, a quanto risulta all'interrogante, dà atto non solo dell'esistenza delle somme ma anche che l'accantonamento è superiore: all'importo richiesto si aggiunge la maggiorazione del 50 per cento ai sensi di legge, «a valere sulle disponibilità del conto intestato al Ministero – Regione Lazio» –:
   se non ritenga urgente assumere iniziative per provvedere al pagamento della somma prevista dalla sentenza per risarcire i parenti delle vittime del disastro aereo del 1995;
   se non intenda procedere con urgenza alla rimozione di ogni ostacolo di carattere interno al fine di sbloccare la somma accantonata a seguito della sentenza per procedere al più presto alla corresponsione dell'indennizzo dei parenti delle vittime;
   quali siano le ragioni di un così lungo ritardo nel pagamento di quanto dovuto da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e se non ritenga necessario che il Ministero sia d'esempio, in qualità di istituzione dello Stato, dando esecuzione a una sentenza definitiva. (4-13781)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PELUFFO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge cosiddetta Bossi-Fini (legge n. 189 del 2002 «Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo», al capo II «Disposizioni in materia di asilo») ha apportato sostanziali modifiche alla precedente normativa, la preesistente Commissione centrale per il riconoscimento dello « status di rifugiato» è stata trasformata in Commissione nazionale per il diritto di asilo e, con un decentramento dell'esame delle richieste di asilo, sono state istituite le commissioni territoriali;
   la nuova normativa è stata completata con l'entrata in vigore del regolamento di attuazione (decreto del Presidente della Repubblica «Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica in data 22 dicembre 2004) che disciplina le varie fasi della procedura, il funzionamento dei centri di identificazione, le funzioni della commissione nazionale per il diritto di asilo e delle commissioni territoriali;
   le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale sono dunque l'organismo preposto al riconoscimento ai migranti dello status di rifugiato. In alternativa a detto riconoscimento, esse possono concedere la protezione sussidiaria, se si ritiene che sussista un rischio effettivo di un grave danno in caso di rientro nel Paese d'origine, ovvero chiedere alla questura che venga dato al richiedente un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
   la commissione può non riconoscere lo status di rifugiato oppure rigettare la domanda per manifesta infondatezza. Contro le decisioni della commissione territoriale si può ricorrere al tribunale la sospensione quando ricorrono gravi e fondati motivi, che deve decidere nei cinque giorni successivi;
   tali commissioni, composte da 4 membri di cui due appartenenti al Ministero dell'interno, un rappresentante del sistema delle autonomie e un rappresentante dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Acnur/UNHCR), sono state istituite in numero di dieci, portate a venti con il decreto-legge n. 119 del 22 agosto 2014, oltre alla Commissione nazionale che ha compiti essenzialmente di indirizzo e coordinamento e formazione dei componenti delle commissioni territoriali, nonché di esame per i casi di cessazione e revoca degli status concessi;
   secondo l'articolo 26 del decreto legislativo 25 del 2008 (cosiddetto «Decreto procedure») non è previsto un termine specifico per la conclusione del procedimento. Sono tuttavia individuati dall'articolo 28 del medesimo decreto dei criteri che prevedono un esame prioritario da parte della commissione territoriale per determinate categorie di richiedenti in relazione alla loro vulnerabilità o presenza in centri di identificazione ed espulsione o centri di accoglienza per richiedenti asilo. Al di fuori di questi casi l'ordine delle convocazioni viene stabilito dalle singole commissioni facendo ricorso prioritariamente alla cronologia della data di redazione del cosiddetto Modello C3, combinato con esigenze logistiche (possibilità delle strutture ricadenti nella giurisdizione ad accompagnare i richiedenti, disponibilità di interpreti e altro);
   pur nella consapevolezza che ogni singola commissione ha una propria statistica individuale, secondo quanto riportato dai mezzi di comunicazione nazionali e dalle principali Onlus preposte ad affiancare lo Stato nell'attività di accoglienza, il tempo medio di completamento delle procedure di protezione internazionale, suddiviso per fase (commissione territoriale; tribunale; corte d'appello) e per tipologia di migrante (provenienza geografica), si aggira intorno agli 8 mesi;
   tali lunghi tempi di attesa si rivelano fonte di disagio. In primo luogo, per i richiedenti asilo i quali, avendo spesso alle spalle delle drammatiche vicende umane di fuga da conflitti o da persecuzioni portate su base etnica, politica o religiosa, debbono scontare una permanenza precaria in strutture non adeguate o condizioni degradanti. In secondo luogo, per le stesse strutture, attrezzate per una prima accoglienza temporanea e non equipaggiate dei soggiorni di lungo periodo. Infine, per le comunità afferenti il territorio sul quale insistono dette strutture, che si trovano a gestire, sovente solo con le proprie risorse e facendo leva unicamente sul volontariato, delle emergenze umanitarie di portata ben maggiore –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione anzidetta;
   se si intendano assumere iniziative, e con quali tempistiche, per il potenziamento numerico delle sopra descritte commissioni territoriali, in modo da velocizzarne le operazioni accorciando i tempi d'attesa, a beneficio dei richiedenti asilo, delle strutture che li ospitano e di tutti i soggetti coinvolti. (5-09139)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 4 e il 5 luglio 2016, è stata incendiata una parte dei terreni de «L'erbaio», la terra a coltura biologica della cooperativa sociale «Le Agricole», in una traversa di via del Progresso, zona Capizzaglie, a Lamezia Terme;
   la suddetta cooperativa «Le Agricole» fa capo all'associazione «Progetto Sud» di don Giacomo Panizza che già in passato ha subito intimidazioni;
   fortunatamente l'incendio non ha colpito la totalità degli appezzamenti, ma si è propagato a chiazze. È stata tuttavia compromessa una delle serre dove si coltivano pomodori e, con l'incendio dell'erba, sono andati bruciati anche alcuni tubi di irrigazione;
   sul fatto ora indagano i carabinieri che, secondo quanto raccontano le cronache locali, non avrebbero alcun dubbio sulla matrice dolosa e criminale dell'incendio;
   preme qui sottolineare che don Giacomo Panizza è da sempre impegnato nella lotta alla `ndrangheta e nella rivalsa civile del Mezzogiorno, in particolare della Calabria, sin dalla fondazione, nel 1976 a Lamezia Terme, di «Progetto sud», una comunità autogestita insieme persone con disabilità, che contribuisce a diverse iniziative anche della Caritas italiana e della Calabria;
   dal 2002, da quando spezzò il cerchio di paura accettando di occupare con la sua associazione uno degli edifici sequestrati alla ‘ndrangheta, don Panizza vive sotto protezione per le numerose e continue minacce e gli attentati subiti;
   nel corso di questi anni, infatti, don Panizza è stato vittima di più atti intimidatori, per esempio la bomba esplosa davanti alla comunità nel dicembre del 2011 e i colpi di pistola di piccolo calibro, in una notte di aprile del 2012, contro la ginestra del centro di assistenza ai disabili «Dopo di noi», realizzato dalla comunità in uno stabile confiscato alla cosca Torcasio –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per tutelare prezioso lavoro della realtà sociale, culturale e produttiva realizzata da don Giacomo Panizza;
   quali siano le misure vigenti atte a garantire l'incolumità al sacerdote e alla comunità di cui in premessa. (4-13784)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalla recente inchiesta sulle infiltrazioni mafiose negli appalti legati all'evento Expo Milano 2015, che vede al centro il consorzio di cooperative Dominus Scarl e i subappalti da questo ricevuti dall'ente Fiera di Milano, emergono allarmanti profili di possibile coinvolgimento e di infiltrazioni mafiose anche nel territorio cremasco (come emerge dagli articoli intitolati «Tentacoli mafiosi nel Cremasco» e «Quando il boss colpì a bastonate un 31enne» nel quotidiano La Provincia di Cremona del 9 luglio 2016).
   infatti, il presidente di Dominus Scarl Giuseppe Nastasi, arrestato nell'ambito di questa inchiesta dalla guardia di finanza il 5 luglio 2016, aveva vissuto a lungo nel territorio cremonese, in particolare nel comune di Monte Cremasco ed in questo periodo era anche già stato arrestato, il 17 agosto 2012, con l'accusa di tentato omicidio, porto abusivo di arma e calunnia a seguito dell'aggressione ai danni di un uomo di 31 anni avvenuta il precedente 26 marzo. Tra i coinvolti c’è anche Giuseppe Lombino, in passato residente a Bagnolo Cremasco, che ha subito la misura cautelare degli arresti domiciliari;
   queste inquietanti notizie devono essere lette anche alla luce degli studi fatti sull'estensione e la ramificazione dei fenomeni mafiosi nel Nord Italia, e in particolare in prossimità di grandi centri di interessi economici, come sono appunto la regione Lombardia in generale e l'area del milanese in particolare, nei quali emergono segnali che inducono a ritenere il cremonese tra le possibili aree di avvicinamento a Milano da parte della criminalità organizzata mafiosa, in quanto «le province di Mantova e Cremona, [...] confinano con le province emiliane a maggiore presenza mafiosa, i cui clan tendono a divenire proiezione in terra lombarda. Non è però ancora possibile stabilire l'esatta situazione della zona, nonostante siano ormai numerosi e significativi gli episodi collegati con l'attività di organizzazioni di stampo mafioso» (così, nel «Primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali per la presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso»;
   proprio l'apparente distanza dei territori in questione rispetto a quelli in cui tradizionalmente si è radicato il fenomeno mafioso potrebbe indurre infatti pericolose sottovalutazioni che renderebbero la zona un polo di attrazione a causa dello scarso controllo indotto da questa situazione, come è proprio delle dinamiche dello sviluppo del fenomeno mafioso. Il coinvolgimento dei soggetti citati nell'inchiesta Expo e la loro permanenza sul territorio apre infatti altri possibili filoni nel territorio che vanno ad aggiungersi a quelli già individuati e che risultano presenti da tempo nella zona, quali i Bruzzise di Seminara e il Grande Aracri di Cutro, la cosca dei Di Grillo Mancuso, oltre a un gruppo criminale operante in contatto con alcuni clan di camorra (attivo anche nelle province di Milano e Varese) e ai prestanome legati alla decina di Petraperzia (EN) stanziata a Cologno Monzese (sempre secondo quanto riportato nel «Primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali per la presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso»);
   tutte queste considerazioni inducono quindi a un supplemento urgente di attenzione, attraverso tutti i mezzi a disposizione dell'amministrazione e delle forze dell'ordine, per il controllo del fenomeno mafioso nel cremonese –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato in merito alla questione di cui in premessa e per il controllo e la prevenzione del fenomeno mafioso nel territorio della provincia di Cremona. (4-13789)


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 giugno 2016 nella città di Palermo hanno avuto luogo due distinti omicidi;
   tra le ore 13 e le ore 14 nella zona di Borgo Nuovo un uomo di 68 anni, Vincenzo Barbagallo, è rimasto ucciso e figlio di 48 anni, Domenico, ferito da alcuni proiettili fatti esplodere, secondo la ricostruzione fornita dai Carabinieri, da un vicino di casa, Francesco Lo Monaco, 49 anni;
   all'origine di questa prima tragedia ci sarebbe una lite domestica, le mogli di Lo Monaco e Barbagallo avrebbero litigato intorno alle 13 e quando la situazione sembrava essere tornata alla normalità sarebbe nata una discussione ben più animata tra i mariti, poi sfociata nel delitto;
   intorno alle ore 23, nella zona di Cruillas, in piazza Lampada della Fraternità, un giovane di 27 anni, Roberto Frisco, ha perso la vita per una coltellata all'addome;
   questa seconda tragedia che ha portato anche al ferimento di 4 persone, avrebbe avuto origini in una maxi rissa scoppiata tra le famiglie «rivali» dei Frisco e dei Lo Piccolo, combattuta con martelli ed un coltello;
   sono risultati feriti anche il padre della vittima, Giuseppe, di 54 anni, e il fratello Francesco di 31 anni oltre a due componenti della famiglia Lo Piccolo, Salvatore, 19 anni, e il fratello Nunzio, 23;
   come ricordato anche dai rappresentanti del sindacato di polizia Consap, il bilancio di sangue è pesantissimo e deve portare ad una attenta riflessione, almeno in uno dei due casi è sicuramente da escludere che il delitto possa considerarsi di tipo mafioso;
   si segnala, nell'ultimo periodo un aumento della violenza in città, con particolare riguardo ai crimini violenti;
   la città di Palermo, secondo i dati forniti dai sindacati di polizia, è la terza in Italia, dopo Napoli e Bari, per numero di omicidi e tentati omicidi –:
   se non ritenga di doversi attivare celermente affinché sia predisposto un accurato piano di sicurezza pubblica destinato alla città di Palermo, volto a prevenire e reprimere la criminalità.
(4-13794)


   BORGHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del processo di accoglienza di migranti richiedenti asilo, anche il territorio provinciale del Verbano Cusio Ossola è stato interessato nel corso delle ultime settimane da procedure di assegnazione di contingenti da assegnare presso strutture individuate dalla locale prefettura;
   l'attività condotta dalla prefettura ha fatto registrare nei mesi scorsi notevole fibrillazione con le comunità locali, stante le decisioni unilaterali assunte dalla medesima senza confronto e preventivo contatto e informazione con le autorità locali coinvolte, che sono state notiziate della presenza di migranti richiedenti asilo sul territorio di propria competenza dagli organi di stampa e non dalla prefettura;
   a seguito di tali procedure, e dei rilievi che sono stati fatti emergere circa l'esigenza di un maggiore coinvolgimento dei sindaci dei territori interessati, anche a seguito dell'avvenuta nomina di un prefetto titolare, si è riscontrata da parte della prefettura del Verbano Cusio Ossola una attività tendente a superare i limiti della precedente gestione, secondo l'interrogante, attuata in maniera del tutto burocratica, miope e priva di capacità di raccordo, coinvolgimento e informazione delle autorità locali;
   nei giorni scorsi il sindaco del comune di Villadossola ha richiesto chiarimenti sulle disposizioni ministeriali in riferimento all'accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale in merito alla autorizzazione rilasciata dalla prefettura per l'inserimento di 18 nuovi profughi in Villadossola, avvenuto nei giorni scorsi ancora una volta, a quanto consta all'interrogante, con modalità di totale esclusione preventiva degli amministratori comunali coinvolti per territorio;
   è stato segnalato alla stessa Prefettura che il CISS Ossola era stato ammesso «al riparto del Fondo Nazionale per le Politiche ed i servizi dell'asilo (Bando SPRAR emanato con decreto ministeriale 7 agosto 2015), con possibilità di attivare i servizi a far data dal 1o giugno 2016; ai sensi della circolare del ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione prot. 0001254 del 27 gennaio 2016, indirizzata ai signori Prefetti della Repubblica, il Ministero esplicitava: «Si eviti di prevedere l'accoglienza nei territori in cui siano già presenti Centri SPRAR e si concentri l'eventuale attività contrattuale prevalentemente sui territori ove non insistono tali tipologie di progetti»;
   in relazione a quanto sopra riportato era stato chiesto alla prefettura di non autorizzare ulteriori collocazioni di migranti all'interno del territorio comunale di Villadossola;
   la prefettura, con nota successiva, puntualizzava che «la Circolare del Ministero dell'interno indica di concentrare l'eventuale attività contrattuale prevalentemente sui territori ove non esistono centri SPRAR» e contestualmente indicava la necessità di rendere «immediata disponibilità degli alloggi per 18 posti sul territorio di Villadossola, come da convenzione sottoscritta con la Società Cooperativa ONLUS Azzurra in data 20 giugno» –:
   alla luce di quanto esposto, se il Ministro interrogato intenda indicare quale sia la corretta interpretazione delle disposizioni citate, fornendo lumi circa l'effettiva legittimità della presenza di un ulteriore contingente di migranti presso strutture insite nel territorio del comune di Villadossola. (4-13796)


   CHAOUKI, CARROZZA, COCCIA, SCHIRÒ, TIDEI, PATRIARCA, MARZANO, LA MARCA, BENI, TACCONI, GADDA, MURER, CAROCCI, AMATO, MALISANI, GIGLI, SANTERINI, LOCATELLI, ROSSOMANDO, LACQUANITI, ALBANELLA, SCUVERA, CAPONE e CENNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 luglio 2016 nella località di Fermo, come hanno riportato prima alcune fonti di stampa locali e poi tutti i principali quotidiani italiani, Emmanuel Chidi Namdi, un richiedente asilo nigeriano di 36 anni, è stato brutalmente ucciso da un uomo già noto alle forze dell'ordine, sottoposto a «Daspo» di quattro anni per avvenimenti precedenti e vicino a gruppi di estrema destra;
   come riportano i media, Emmanuel e la sua compagna, Chinyery, erano partiti dalla Nigeria, scappati dalla violenza di Boko Haram, dopo aver perso i loro genitori e una figlia;
   la dinamica dell'aggressione è ancora al vaglio degli inquirenti, ma stando a quanto dichiara Don Vinicio Albanesi, fondatore della comunità di Capodarco che aveva accolto in Seminario Emmanuel e la moglie, al quotidiano La Repubblica l'episodio farebbe parte di uno scenario più complesso;
   «non voglio che questo omicidio venga giudicato come una rissa di strada finita male», dichiara Albanesi al quotidiano. «È un chiaro episodio di razzismo. Ci sono piccoli gruppi qui in città che non hanno una vera e propria ideologia, ma hanno in testa un mix di arroganza, razzismo, stupidità. [...] Secondo me si tratta dello stesso giro che ha messo le bombe davanti alle chiese»;
   le bombe di cui don Vinicio parla, come riportato da La Repubblica.it, sono i quattro ordigni collocati il 28 febbraio 2016 davanti al Duomo e davanti all'ingresso della chiesa di San Tommaso, nel quartiere di Lido Tre Archi, nella notte tra il 12 e il 13 aprile, davanti all'ingresso della Chiesa di San Marco alle Paludi, e ancora il 22 maggio, sotto il portone della Chiesa di San Gabriele dell'Addolorata a Campiglione di Fermo;
   l'articolo de La Repubblica ipotizza che le bombe nelle chiese avessero un chiaro messaggio: «via i preti che si occupano soprattutto di immigrati» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti suesposti, quali iniziative di competenza intenda adottare al riguardo, se sia stata riscontrata la presenza di un gruppo di estrema destra coinvolto in queste circostanze, e se vi siano evidenze che confermino le dichiarazioni di Don Vinicio Albanesi e quindi, il collegamento tra i due episodi. (4-13800)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'UVA e VILLAROSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 121, 122 e 123, della legge 13 luglio 2015, n. 107, istituisce la carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del(docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado;
   secondo le stesse previsioni normative tale strumento veniva istituito al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali;
   attraverso l'introduzione della Carta verrebbe consentita la spesa di 500 euro per ciascun anno scolastico, da utilizzare «per l'acquisto di libri e di testi, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il MIUR, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa»;
   con decreto del Presidente del consiglio dei ministri del 23 settembre 2015 recante «Modalità di assegnazione e di utilizzo della Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado», ne veniva disciplinata la corretta attuazione ed erano stabilite le modalità di distribuzione e di funzionamento;
   a norma dell'articolo 5 dello stesso decreto la carta è assegnata a ciascun docente a mezzo di apposita card personale elettronica. In essa sono contenuti esclusivamente i dati personali e di servizio del soggetto beneficiario, utili agli esclusivi fini dell'associazione della carta al docente titolare. L'importo di cui all'articolo 3 è, per ciascun anno scolastico, accreditato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8 per l'anno scolastico 2015/2016;
   così come disposto dal successivo articolo 6, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe provveduto ad affidare il servizio relativo all'emissione, alla fornitura e alla gestione della carta senza nuovi o maggiori oneri per la finanzia pubblica, in tempo utile per consentire la distribuzione della carta a decorrere dal 2016/2017;
   nonostante tali espresse previsioni normative, a oggi, tale affidamento della carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche non risulta essere ancora effettuato;
   secondo quanto appreso dagli interroganti l'assegnazione delle risorse ai docenti è avvenuta, nell'anno in corso, attraverso l'erogazione diretta in busta paga del «bonus» previsto, rendendo di fatto l'utilizzo dello stesso certamente meno trasparente, ovvero in presenza di disagi non trascurabili in termini di rendicontazione per i beneficiari;
   per tali motivi, ad avviso degli interroganti, si ritiene necessaria e urgente la corretta applicazione delle modalità e delle assegnazioni previste dalle citate disposizioni normative, al fine di assicurare un uso corretto dello strumento e, allo stesso tempo, garantirne la corretta attuazione –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di assicurare la corretta attuazione alle disposizioni normative previste dall'articolo 1, commi 121, 122 e 123, della legge 13 luglio 2015, n. 107, nonché la corretta applicazione delle misure contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 settembre 2015, garantendo una fruizione trasparente e semplificata della carta elettronica prevista per la formazione continua e la valorizzazione delle competenze professionali dei docenti di ruolo. (5-09144)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, PIRAS, MELILLA, DURANTI, COSTANTINO, NICCHI, GREGORI, SCOTTO, QUARANTA, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sul sito orizzonte scuola.it è stato pubblicato un articolo in cui viene evidenziata, a quasi due mesi dalla riapertura delle scuole, la mancanza di almeno 1300 docenti e la preoccupazione anche per la situazione del personale Ata da parte di Manuela Cartoni (Flc Cgil). Anna Bartolini (Cisl Scuola), Claudia Mazzucchelli (Uil Scuola) e Paola Martano (Snals Confsal);
   questa carenza potrebbe portare a non garantire l'ordinaria attività didattica, in quanto mancano almeno 670 posti per gli spezzoni orario a cattedra e ne servirebbero almeno altrettanti per lo sdoppiamento delle «classi pollaio», i corsi serali, i licei musicali e coreutici, i corsi di bilinguismo, la scuola in carcere, le sezioni antimeridiane della scuola dell'infanzia;
   a fronte di una popolazione scolastica di 214.637 studenti per l'anno scolastico 2016/17, minore di 1.262 unità rispetto allo scorso anno, sono state aumentate le classi (9.935, +6 rispetto lo scorso anno), ma il problema delle «classi pollaio» persiste, in quanto la diminuzione non è stata omogenea nell'intero territorio regionale;
   inoltre, vi è stato un aumento degli studenti con handicap al quale non è corrisposto ad oggi un aumento degli insegnanti di sostegno che sono rimasti allo stesso numero dell'anno scorso;
   all'Istituto professionale Bonifazi di Civitanova, ad esempio, si registra una prima classe da 36 alunni. All'istituto alberghiero Santa Marta di Pesaro si prevedono 6 classi prime con una media di 33,5 studenti ognuna. Ogni classe avrà almeno 1 se non due studenti con necessità di sostegno. All'istituto alberghiero di Piobbico ci sono 71 alunni per due classi quarte previste e addirittura troviamo classi con 40 studenti per le quinte serali degli istituti professionali Osimo-Castelfidardo, Podesti Calzecchi Onesti di Ancona, Beffino Padovano di Senigallia. Stessa situazione si registra all'alberghiero Panzini di Senigallia e all'istituto tecnico Merloni Milani di Fabriano;
   la carenza di organico si ripercuote anche sulle classi antimeridiane della scuola dell'infanzia («sono ben 85 le sezioni che funzionano solo al mattino malgrado le famiglie abbiano richiesto tutte sezioni a tempo pieno» spiegano le segretarie sindacali regionali), sul tempo pieno nella scuola primaria richiesto e non assegnato, sul mancato sdoppiamento delle classi di laboratorio nei tecnici e professionali, pensando a quanto possa essere difficile, ad esempio, gestire il laboratorio di cucina con un'intera classe di più di 30 alunni;
   le difficoltà interessano anche il personale Ata, in quanto già quest'anno ci sono alcuni istituti comprensivi che hanno una media di collaboratori scolastici di 1,1 per plesso e se non dovessero essere concessi altri posti, in molti istituti non sarebbero in grado neanche di garantire l'apertura e la chiusura delle scuole;
   l'incertezza è data anche dalla mancanza di trasparenza e rispetto delle regole da parte dell'ufficio scolastico regionale. L'11 luglio era prevista la chiusura dell'organico di diritto del personale Ata e le organizzazioni sindacali non sono state incontrate. L'informazione preventiva dovuta al sindacato si è tradotta in una scarna nota. Nel frattempo i lavoratori venivano chiamati dalle scuole, senza alcuna ufficialità, e si vedevano costretti a presentare immediatamente domanda di trasferimento –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di garantire il corretto svolgimento del prossimo anno scolastico;
   se non ritenga necessario approfondire i motivi per cui anche questa volta, come già verificatosi per il personale docente, le procedure per i  tagli e le conseguenti posizioni di esubero non hanno rispettato, nei tempi e nei modi, l’iter che la norma prevede;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di colmare l'assenza di informazioni che perdura con la conseguente impossibilità di affrontare le numerose difficoltà segnalate dalle istituzioni scolastiche e l'impossibilità delle scuole di individuare il criterio con cui sono decisi l'esubero ed i conseguenti tagli di personale. (4-13775)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   mancano circa due mesi dalla riapertura dell'anno scolastico 2016/2017 e come dichiarato dalle organizzazioni sindacali del settore scuola delle Marche, sono circa 1300 i docenti che a oggi mancherebbero per garantire le lezioni in tutte le scuole delle Marche;
   pertanto, da parte del personale docente e ATA vi è l'oggettiva preoccupazione di non poter garantire l'attività didattica ordinaria;
   le sigle sindacali settore scuola hanno dichiarato: «Mancano almeno 670 posti per gli spezzoni orario a cattedra, ne servirebbero almeno altrettanti per lo sdoppiamento delle “classi pollaio”, i corsi serali, i licei musicali e coreutici, i corsi di bilinguismo, la scuola in carcere, le sezioni antimeridiane della scuola dell'infanzia»;
   la popolazione scolastica nelle Marche per il prossimo anno scolastico 2016/2017 è composta di 214.637 studenti suddivisi in 9.935 classi;
   nonostante gli studenti siano diminuiti 1.262 unità rispetto allo scorso 2015/2016, i sindacati fanno emergere che persiste il problema delle "classi pollaio", poiché la diminuzione degli studenti non è omogenea nell'intero territorio regionale;
   inoltre, sono aumentati gli studenti portatori di handicap grave e gravissimo, ma non vi è stato un aumento degli insegnanti di sostegno che sono lo stesso numero dello scorso anno scolastico;
   in alcuni istituti delle Marche, risulta essere iscritta nelle prime, una media di 33,5 studenti per classe con almeno uno o due studenti portatori di handicap;
   negli istituti alberghieri di Piobbico, Panzini di Senigallia, Santa Marta di Pesaro e nell'istituto tecnico Merloni Milani di Fabriano, risultano esserci classi perfino con quaranta studenti;
   nelle classi della scuola dell'infanzia presenti sul territorio marchigiano, a causa della carenza di organico, non è stato possibile rispondere alle esigenze famigliari, creando così molti disagi. Infatti, nella regione sono ottantacinque le sezioni che svolgono attività antimeridiana, malgrado le numerose richieste da parte dei genitori di poter usufruire della scuola anche nelle ore pomeridiana per motivi di lavoro;
   situazione analoga si registra nelle scuole primarie per le classi prime dove vi è stata molta richiesta di tempo pieno, ma non l'assegnazione;
   a ciò va aggiunta la mancanza del personale ATA, dove, a detta dei sindacati, negli istituti comprensivi vi è una media di collaboratori scolastici di 1,1 per plesso –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non ritenga di dover intervenire tempestivamente per evitare che, in molti istituti marchigiani, vi sia la concreta possibilità di non poter garantire l'apertura e la chiusura delle scuole a causa della mancanza di personale ATA;
   se e con quali iniziative intenda intervenire per porre fine al clima di grande incertezza e preoccupazione che vivono docenti, personale ATA, studenti e loro famiglie, al fine di evitare classi con un numero di studenti maggiori rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente, sia per il buon andamento dell'apprendimento scolastico degli studenti, sia per la sicurezza di docenti, personale scolastico e studenti;
   se i criteri messi in atto a seguito dell'entrata in vigore della legge 107/2015, tengano conto davvero delle esigenze delle istituzioni scolastiche, poiché le scuole marchigiane si trovano in grosse difficoltà a causa dei tagli del personale docente a Ata in esubero, mentre invece risultano esserci classi con una media di 33.5 studenti;
   se corrisponda al vero che i lavoratori dell'ambito scolastico, siano chiamati dalle scuole anche senza alcuna ufficialità e costretti a presentare all'istante la domanda di trasferimento; in caso affermativo, quali siano le motivazioni e la mancata applicazione delle procedure messe in atto dall'ufficio scolastico regionale per quanto attiene all'obbligo dei lavoratori di presentare domanda di trasferimento in tempi congrui definiti a livello normativo. (4-13792)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'INPS, quale ente pubblico, è sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   la governance dell'Istituto, oltre che dal presidente, è assicurata dai diversi organi con responsabilità inerenti sia al compito di fissare gli obiettivi strategici e di approvare i bilanci, sia a quello di esercitare un controllo continuativo sulla gestione dell'istituto;
   l'Inps, il cui funzionamento è regolato dalla legge n. 88 del 1989 e successive modifiche ed integrazioni, vive un periodo storico singolare a causa di criticità nella sfera organizzativa;
   infatti, dopo le dimissioni del presidente Mastrapasqua, la fine del mandato del commissario Conti e poi del commissario Treu dopo appena tre mesi di mandato, è stato nominato il professor Tito Boeri al vertice dell'ente, senza che risulti la nomina del consiglio di amministrazione;
   in una fase così delicata per il mercato del lavoro e per il Paese, l'Inps si trova ad avere – di fatto – una governance composta dal presidente professor Tito Boeri, che determina le scelte rilevanti per il funzionamento dell'INPS anche per effetto di alcune vicissitudini del direttore generale che si era autosospeso dalla carica per presunti conflitti di interesse;
   recentemente è stata illustrata alle organizzazioni sindacali una proposta di una nuova «Disciplina dei criteri e delle modalità per il conferimento degli incarichi dirigenziali di livello generale e non generale» che inciderebbe, per la materia direttamente regolata, sul vigente regolamento di organizzazione dell'Istituto, adottato con determinazione n. 117 del 17 luglio 2014 relativamente all'articolo 31 «Conferimento di incarichi di funzione di livello dirigenziale generale», all'articolo 32 «Conferimento di incarichi di direzione regionale di livello dirigenziale», all'articolo 33 «conferimento dell'incarico di direzione di area metropolitana e provinciale», all'articolo 34 «conferimento di incarichi di funzione dirigenziale»;
   le organizzazioni sindacali Fp Cgil, Cisl e Uil PA con un documento del 6 giugno 2016 hanno criticato l'iniziativa evidenziando «l'estemporaneità di una proposta che, in una condizione di vacatio del Direttore generale, quindi di per sé inopportuna, interviene su un ambito specifico del regolamento di organizzazione le cui modifiche necessitano, al contrario, di una visione di insieme senza la quale lo stesso regolamento perde di unitarietà. Le perplessità di metodo sono confermate dalla considerazione che, nella parte motivazionale dello schema di determina presidenziale, consegnato alle organizzazioni sindacali, non viene citato, come accadde in occasione dell'ultima modifica al regolamento di organizzazione operata con la determinazione commissariale n. 117 del 2014, l'articolo 1, comma 9, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 il quale prevede espressamente che “Fino all'emanazione dei regolamenti di cui al comma 7, i provvedimenti di carattere, organizzatorio e di preposizione ad uffici di livello dirigenziale degli enti previdenziali pubblici resisi vacanti sono condizionati al parere positivo delle Amministrazioni vigilanti e del Dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato alla verifica della coerenza dei provvedimenti con gli obiettivi di cui al comma 7”»;
   in particolare, secondo le organizzazioni sindacali, «si introduce per il conferimento degli incarichi dirigenziali di livello generale, modificando il vigente regolamento di organizzazione, la figura di un soggetto terzo, la Commissione, composta da tre membri esterni all'Istituto, nominati dal Presidente e scelti tra professori universitari, dirigenti della pubblica amministrazione, manager di enti privati e soggetti esperti nella selezione e valutazione del personale, chiamata ad effettuare la valutazione dei candidati, individuando una rosa di 3 concorrenti (la rosa potrebbe ridursi a 2, o addirittura anche ad un unico nominativo, nel caso in cui la stessa Commissione riscontri l'idoneità di un numero inferiore di candidati) sulla base della quale il Direttore generale formula successivamente la proposta di conferimento dell'incarico al Presidente»;
   in tale contesto i sindacati hanno rilevato che «nel caso specifico il Direttore generale, cui si imputa la responsabilità complessiva della gestione dell'Inps ed al quale spetta il compito di sovrintendere all'organizzazione, all'attività ed al personale dell'Istituto, assicurandone l'unità operativa e di indirizzo tecnico-amministrativo, nel rispetto dei criteri generali e delle direttive stabilite dall'Organo di indirizzo politico, vede ridimensionato il suo ruolo ad una funzione meramente notarile rispetto a decisioni i cui contenuti hanno un impatto diretto proprio su quei risultati di gestione per i quali sarà chiamato a rispondere !»;
   in sostanza – secondo la proposta di disciplina dei criteri e delle modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali – ne risulterebbe depotenziata la figura del direttore generale;
   secondo la USB Pubblico impiego con comunicato n. 28/16 del 10 giugno 2016 sarebbe in atto uno scontro tra presidente e direttore generale;
   ad avviso degli interroganti la situazione all'interno dell'Inps appare grave, vista l'importanza delle funzioni e dei compiti di cui è titolare l'ente –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo al fine di evitare le criticità emerse nei processi di riassetto organizzativo dell'Inps e per favorire la creazione di una trasparente e democratica governance dell'INPS, tenendo presenti i principi della trasparenza dei criteri e dell'efficienza delle procedure e un modello di governance democratico e aperto alle esigenze dei lavoratori iscritti. (5-09147)


   FEDRIGA e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia riportata su Il Piccolo di Trieste del 12 luglio 2016 quella dell'Inps che richiede ad una ragazza ventinovenne, affetta da malattia genetica alle ossa che la vede costretta a vivere su una carrozzina, la restituzione di tutti gli assegni di invalidità ricevuti perché non spettanti;
   la ragazza triestina, Caterina Pellizer, è affetta da una malattia denominata «osteogenesi imperfetta», una patologia genetica rara che crea problemi allo scheletro ed alle ossa;
   fin da piccola Caterina è stata presa in carico da una struttura ospedaliera parigina, dove opera il luminare Georges Finidori, specializzato nel trattamento di questa patologia, per cui la ragazza ha scelto quale sede universitaria per i suoi studi Bordeaux, dove lo scorso anno ha conseguito la laurea in Psicologia sociale;
   sebbene la ragazza sia di nazionalità italiana con residenza triestina, condizioni queste mai venute meno, e nonostante la sua permanenza in Francia in questi anni sia sempre stata motivata da ragioni di studio e di cura e, quindi, limitata nel tempo al periodo necessario per seguire le lezioni e ricevere le cure mediche necessarie, oggi l'Inps le contesta la residenza Oltralpee le chiede la restituzione di 72.185 euro;
   nel marzo 2016 l'Inps di Treviso ha recapitato una missiva in via dell'Eremo a Trieste, dove appunto la ragazza ha la residenza, con la quale la si informava che «le è stata corrisposta una prestazione di invalidità civile non spettante», allegando un bollettino postale precompilato, con scadenza il 16 aprile 2016;
   da quanto si apprende a mezzo stampa, la ragazza ha ora presentato ricorso amministrativo, chiedendo l'annullamento della revoca del trattamento pensionistico di cui è stata beneficiaria; al momento comunque l'Inps le ha sospeso il suo assegno di invalidità mensile pari a 800 euro;
   induce a riflettere la dichiarazione della ragazza: «Sono incazzata perché ancora una volta la società contemporanea, che vorrebbe essere aperta, non accetta il fatto che una donna possa scegliere liberamente cosa fare della propria vita. Forse dovevo rimanere a casa di mamma e papà a fare il vegetale e a piangermi addosso? Secondo l'Inps, in questo caso, avrei avuto più legittimità a ricevere i soldi di cui ho pieno diritto perché ho una malattia rara e non cammino?»;
   secondo gli interroganti è doveroso che le istituzioni sostengano i giovani meritevoli, determinati e al contempo bisognosi, come la ragazza triestina sopra richiamata, nel loro percorso di studi e di cure, specie se la rarità della patologia necessita di spostamenti all'estero, invece che colpirli con la burocrazia e le iniquità del nostro sistema –:
   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro interrogato intenda urgentemente adottare in merito alla vicenda riportata in premessa;
   quali siano le motivazioni alla base delle quali è stata predisposta la lettera di revoca dell'assegno di invalidità, con relativa richiesta di restituzione della somma finora percepita, recapitata a Caterina Pellizzer, e se l'Inps considera la dimora universitaria all'estero motivo di diniego del beneficio dell'assegno di invalidità spettante. (5-09158)


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2014 l'azienda multinazionale Thyssenkrupp presentava un piano industriale di «efficientamento» del polo industriale AST (Acciai speciali Terni) nel corso di un incontro svoltosi a Palazzo Chigi, alla presenza del Sottosegretario di Stato pro tempore Delrio e di alcuni rappresentanti delle istituzioni locali;
   il piano prevedeva una diminuzione di 550 posti di lavoro e la chiusura di un altoforno entro il biennio 2015-16, per un risparmio economico diretto stimato in circa 100 milioni di euro;
   a seguito della presentazione della proposta, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con le organizzazioni sindacali ed i rappresentanti aziendali, apriva un tavolo di confronto che ha visto in data 2 dicembre 2014, la sigla di un accordo fra le parti che prevedeva l'esodo volontario incentivato per 290 lavoratori;
   in data 17 gennaio 2016 da fonti stampa («TerniOggi») si apprende che il Ministro Poletti, al tempo della vertenza, quindi nel 2014, aveva già firmato un accordo, il quale prevedeva, a norma di legge, il pensionamento anticipato per circa 300 lavoratori dell'AST; si trattava dei cosiddetti «lavoratori esposti amianto» e tale agevolazione era stata già concessa anche ai lavoratori ILVA di Taranto e Genova;
   l'accordo, già sottoscritto dal Ministro Poletti, sembrerebbe di conseguenza essere stato disatteso e ciò ha permesso, nel dicembre 2014, all'azienda di applicare il piano industriale senza tenere in considerazione la vicenda dei lavoratori esposti all'amianto;
   la suddetta fonte di stampa informa che alcuni vertici sindacali si opposero a questa agevolazione per i lavoratori esposti all'amianto;
   in data 27 febbraio 2016 si è svolto in Terni il convegno organizzato dall'ONA – Osservatorio Nazionale Amianto, nel corso del quale è intervenuto il suo presidente, avvocato Ezio Bonanni, il quale ha dichiarato: «Tutto ciò che sta avvenendo in Umbria non può essere accettato, tanto più perché la classe confindustriale minaccia licenziamenti, e ciò è inaccettabile: i lavoratori dopo essere stati esposti ad amianto e ad altre sostanze tossico-nocive rischiano di tornare a casa malati e privi di stipendio, mentre avrebbero diritto a poter godere della meritata pensione dopo una vita di lavoro, di sacrifici, in esposizione ad amianto, e in virtù di una legge dello Stato, l'articolo 13 co. 8 della L. 257/92, come è avvenuto per altri siti in Italia. Il diritto ai benefici amianto non può essere una gentile concessione, frutto di una concezione del diritto come speciale concessione del feudatario. Invochiamo l'applicazione del principio di eguaglianza. La discriminazione di cui sono vittime i lavoratori umbri è inaccettabile e il beneficio amianto deve essere anche a loro riconosciuto fino al 02.10.03, tanto più tenendo conto che i lavoratori di identici siti in altre regioni hanno ottenuto il riconoscimento fino a quella data e quindi c’è stato un prepensionamento quasi completo di tutti i lavoratori dell'amianto. Le fibre di amianto sono cancerogene e quindi i benefici amianto sono un risarcimento e anche chi non si ammala di tumore, comunque vive in media 7 anni in meno»;
   sussiste dunque una ingiusta ed ingiustificata discriminazione, di cui sono vittime i dipendenti degli stabilimenti Thyssenkrupp di Terni, della SGL Carbon di Narni, per l'Officine Grandi Riparazioni di Foligno e per gli altri siti e di altri siti umbri, i cui lavoratori hanno ottenuto il riconoscimento dei benefici amianto fino al 1992, ancorché il minerale killer sia rimasto presente fino ai tempi più recenti;
   i lavoratori umbri, sostenuti dall'associazione Osservatorio nazionale amianto hanno chiesto al Presidente del Consiglio Renzi e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti, di sanare questa ingiusta discriminazione e di ripristinare lo stato di legalità;
   lo studio « Sentieri», curato dall'Istituto superiore di sanità e Ministero della salute, ha registrato nella città di Terni un eccesso di patologie legate al mesotelioma pleurico negli uomini pari al 164 per cento e i dati epidemiologici – che certificano una più alta incidenza di casi di neoplasie e altre patologie asbesto-correlate, peraltro confermate anche dal registro istituito dall'ONA, che ai singoli cittadini, attraverso l'utilizzo dell'applicativo web REPAC (http://www.repacona.it/), di segnalare i diversi casi di patologie sia neoplastiche che fibrotiche – confermano la più intensa esposizione a polveri e fibre di amianto dei lavoratori in Umbria;
   l'amianto, come detto, in alcuni siti risulterebbe presente a tutt'oggi, così in Thyssen a Terni come presso SGL Carbon a Narni, e quindi non si comprende per quale titolo, motivo e ragione i benefici contributivi siano stati riconosciuti e ciò dopo numerose azioni giudiziarie, solo fino al 31 dicembre 1992;
   il riconoscimento dei benefici contributivi per esposizione ad amianto, fino al 2 ottobre 2003, porterebbe al prepensionamento di lavoratori che sono stati già esposti ad amianto per decenni e sono stati penalizzati dall'introduzione delle nuove norme della «legge Fornero», e quindi rischiano di non poter mai godere della pensione, in quanto verranno falcidiati prima di raggiungere l'età pensionabile alla soglia dei 70 anni;
   inoltre, l'esatta applicazione dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, riparerebbe l'ingiusta discriminazione subita dai lavoratori umbri, e soprattutto risolverebbe anche i problemi occupazionali, legati all'utilizzo dell'amianto e che rendono necessaria la ristrutturazione delle aziende con la definitiva bonifica. L'ONA ha chiesto le opportune verifiche sulla reale situazione relativa ai siti AST – Thyssen e SGL Carbon, anche alla luce di alcune interrogazioni del consigliere regionale del Movimento 5 Stelle in regione Umbria, e la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti;
   allo scopo di scongiurare qualsiasi pericolo per i lavoratori e la cittadinanza appare necessario verificare la eventuale presenza di amianto negli stabilimenti TK-AST e SGL Carbon nonostante i pregressi interventi di bonifica, e da cosa sia determinata –:
   quali siano i contenuti dell'accordo siglato per la tutela e il pre-pensionamento dei lavoratori esposti all'amianto dello stabilimento TK-AST di Terni;
   per quali motivi il Ministero del e delle politiche sociali, abbia emesso un atto di indirizzo per il prepensionamento dei lavoratori della Thyssenkrupp di Torino con il riconoscimento fino al 2 ottobre 2003, mentre invece per lo stesso stabilimento di Terni non è stato emesso alcun atto di indirizzo;
   se i Ministri interrogati intendano promuovere, per quanto di competenza, accertamenti presso lo stabilimento TK-AST di Terni e SGL Carbon di Narni e OGR di Foligno e altri siti circa la presenza residua di amianto è le ragioni per le quali a tutt'oggi non è stata ancora effettuata la bonifica;
   se intendano, nell'ambito delle proprie competenze, verificare se i preoccupanti risultati dello studio Sentieri, che vedono nella città di Terni e per il resto dell'Umbria un aumento delle patologie legate al mesotelioma pleurico maschile e di altre patologie asbesto-correlate, siano collegati con la situazione dei lavoratori del polo siderurgico ternano, presso la SGL Carbon e presso l'OGR – Officine grandi riparazioni delle Ferrovie dello Stato – di Foligno;
   se intendano verificare i motivi per i quali l'INAIL-regione Umbria e le INAIL territoriali abbiano rifiutato il rilascio della certificazione di esposizione ad amianto ai lavoratori anche per i periodi antecedenti il 31 dicembre 1992;
   quali iniziative intendono adottare, per quanto di competenza, per verificare la presenza di amianto negli stabilimenti suddetti anche dopo il 31 dicembre 1992 e se non ritengano indispensabile e improrogabile assumere le iniziative o gli atti necessari affinché vi sia da parte degli enti competenti il riconoscimento dell'esposizione all'amianto anche dopo il 31 dicembre 1992 dei lavoratori della provincia di Terni e, in particolare, dei lavoratori impiegati presso TK-AST di Terni e SGL Carbon di Narni. (5-09159)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 130, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha previsto per l'anno 2015, nel limite di 45 milioni di euro, il riconoscimento di buoni per l'acquisto di beni e servizi a favore dei nuclei familiari con un numero di figli minori pari o superiore a quattro in possesso di una situazione economica corrispondente ad un valore dell'Isee non superiore a 8.500 euro l'anno;
   a distanza di oltre un anno dalla sua introduzione il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 dicembre 2015, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 12 febbraio 2016, definisce l'importo del beneficio in 500 euro che vengono corrisposti agli aventi diritto all'assegno per il nucleo con tre figli minori, secondo le modalità di accredito di tale assegno e in corrispondenza del primo accredito utile;
   con la circolare n. 70 del 29 aprile 2016 l'Inps ha definito le istruzioni contabili perché alle famiglie potesse essere corrisposto il beneficio riconosciuto;
   detta circolare parimenti stabilisce che i 500 euro vengano corrisposti ai beneficiari dell'assegno per il nucleo con tre figli minori secondo le modalità di accredito di tale assegno e in corrispondenza del primo accredito utile che coincide con il pagamento della prima rata di luglio 2016;
   a tutt'oggi tuttavia risulta all'interrogante che non sia stato ancora corrisposto il «bonus» laddove invece e stato accreditato l'importo dell'assegno suddetto;
   si tratta di circa 70 mila famiglie con un reddito molto basso – dal momento che si parla di un valore Isee non superiore a 8.500 euro all'anno – e che ha o quindi maggio ente bisogno di risposte concrete e tempestive –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del ritardo nella corresponsione del «bonus» alle famiglie e degli eventuali motivi di tale ritardo e se intenda intervenire perché tali famiglie non siano costrette ad attendere ulteriormente un beneficio ad esse già riconosciuto. (4-13786)


   SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), al comma 391, ha istituito la carta famiglia, uno degli strumenti concreti pensati per sostenere le famiglie con almeno tre figli minori (430 mila circa su un totale di quasi un milione di famiglie numerose, l'8,5 per cento dei nuclei in Italia);
   la carta consente l'accesso-legato all'Isee a sconti sull'acquisto di beni o servizi ovvero a riduzioni tariffarie concessi dai soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all'iniziativa;
   le disposizioni attuative della misura sono state demandate ad un successivo decreto del Ministro del lavoro e politiche sociali, da adottarsi, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ed il ministro dello sviluppo economico;
   la carta famiglia avrebbe, dovuto avere attuazione entro fine marzo 2016, ma ad oggi nessun decreto è stato emanato, nonostante risulti all'interrogante che le associazioni familiari abbiano offerto agli uffici del Ministero il testo di una bozza di regolamento;
   trattandosi di una misura che non comporta costi per i bilanci pubblici e che è invece di sostegno ai cosiddetti nuclei familiari «deboli», quelli cioè che si «fanno carico» di opporsi a quella desertificazione generativa con cui l'Italia segna da tempo i propri dati demografici, e che proprio per questo sono maggio ente esposti al rischio povertà – basta leggere i dati dell'ISTAT al riguardo – sembra all'interrogante che non si possa attendere oltre –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché il decreto di cui in premessa sia al più presto adottato. (4-13787)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI e SPESSOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il tabagismo costituisce una forma di dipendenza particolarmente pericolosa ed è la causa, secondo l'organizzazione mondiale della sanità, di sei milioni di morti all'anno in tutto il mondo, destinati a salire ad otto milioni entro il 2030 e di cento milioni di morti in tutto il ventesimo secolo, una cifra superiore alla somma delle vittime di guerre ed epidemie varie. Per non parlare per gli enormi costi che gravano sui sistemi sanitari;
   secondo l'ultima indagine DOXA-ISS del 2016, il numero di fumatori in Italia ha raggiunto gli 11,5 milioni, vale a dire il 22 per cento della popolazione: 6,9 milioni di uomini (il 27,3 per cento) e 4,6 milioni di donne (17,2 per cento) e si stima che siano attribuibili al fumo di tabacco nel nostro paese dai 70.000 agli 83.000 decessi l'anno, di cui oltre il 25 per cento è compreso tra i 35 ed i 65 anni di età (dati ISTAT del 2012);
   il fumo attivo e il fumo passivo, in tutto, sono classificati come cancerogeni certi per l'uomo (gruppo 1) dall'Organizzazione mondiale della sanità tramite lo IARC. Sono cancerogeni certi anche alcuni dei suoi componenti, primi tra tutti benzene e benzo[a]pirene. Si descrive quindi il tabagismo come sicuramente collegato all'insorgenza di patologie neoplastiche di varia natura, in primis il cancro polmonare per incidenza e mortalità;
   nonostante le evidenze scientifiche degli effetti dannosi del fumo passivo sulla salute e sull'ambiente, un italiano su quattro continua a fumare, esponendo di conseguenza anche i non fumatori a una serie di effetti sulla salute e sull'ambiente circostante;
   le multinazionali del tabacco, come la Phillip Morris, sotto la cui egida operano marchi tristemente famosi come Marlboro e L&M, hanno da un lato articolato la propria presenza sui mercati, invadendo anche altri settori, dall'altro, si sono riversate sui mercati del terzo mondo, dove il consumo di sigarette sta dilagando, con costi umani e sociali di grande dimensione;
   nel corso degli anni le multinazionali del tabacco (Cina National Tobacco Corporation, un monopolio di Stato – le sigarette nel mondo sono perlopiù prodotte in Cina, che ha il 43 per cento del mercato globale; Philip Morris, di cui Malboro è il marchio più diffuso, ha il 16,4 per cento del mercato; Bat, la British american tobacco, un altro « big» che ha sedi in tutto il mondo; Japan Tobacco International; la Imperial Tobacco e Altadis) a seguito di battaglie legali sono state condannate in diversi Stati al pagamento di molti miliardi di euro a favore di diverse categorie di fumatori, di malati di tumore ai polmoni e alla gola e dipendenti della nicotina che hanno accusato i marchi di non aver adeguatamente informato i consumatori sui danni provocati dal fumo. Tutta, i profitti del settore sono altissimi grazie anche al fatto che le sigarette (e altri prodotti del tabacco come sigari, cartine, tabacco da fiuto) sono tra i prodotti più pubblicizzati tra i beni di consumo. I guadagni astronomici (la redditività del tabagismo nel 2010 è stata di 346,2 miliardi di dollari, per un profitto netto di 35,1 miliardi) si reggono su una spesa di marketing difficilmente quantificabile, ma che si aggira intorno a decine di miliardi di dollari l'anno. Soltanto negli Stati Uniti, per esempio, sono spesi ogni anno circa 10 miliardi in pubblicità per le sigarette (in un periodo in cui la pubblicità è stata vietata in tv e in radio, insieme con altri divieti);
   nella produzione di tabacco l'Italia è leader nell'Unione europea con oltre 1/4 della produzione complessiva. La coltivazione in Italia si sviluppa su 18.000 ettari soprattutto in Campania, Veneto, Umbria e Toscana, una produzione complessiva di 55.600 tonnellate per un valore di circa 135 milioni di euro che raddoppiano se si fa riferimento all'indotto. Sono 50.000 gli addetti a livello nazionale, nella fase di coltivazione e prima trasformazione;
   tali coltivazioni risultano fortemente concentrare in alcune aree del Paese, le regioni Campania, Toscana, Umbria e Veneto, dove rappresentano una delle principali risorse economiche e fonte di occupazione, oltre a essere legate ad una importante tradizione agricola;
   la manifattura tabacchiera italiana è caratterizzata da produzioni di alta qualità e da marchi storici, che non sono mai stati adeguatamente valorizzati soprattutto da parte delle strutture e dagli enti pubblici deputati a farlo (vedasi l'ICE – Istituto per il commercio estero), al punto che i maggiori marchi sono pressoché sconosciuti sul mercato internazionale, potendo invece competere per rapporto qualità/prezzo con i principali brand;
   in data 4 maggio 2005 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Philip Morris International Management SA («PMIMSA») e Philip Morris Italia s.r.l. – già s.p.a. (di seguito «PM Italia») hanno siglato un verbale di intesa programmatica della durata di tre anni, con l'obiettivo di migliorare la qualità, l'efficienza produttiva e la competitività del tabacco italiano, garantendo adeguati sbocchi commerciali attraverso l'acquisto di tabacchi nazionali per il successivo triennio, per supportarne il miglioramento qualitativo, la riconversione dei forni destinati alla cura del tabacco Flue Cured Virginia Bright e il finanziamento di borse di studio;
   in data 11 ottobre 2007 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, PMIMSA e PM Italia hanno rinnovato il verbale di intesa programmatica per la durata di ulteriori quattro anni commerciali, fino al 2011;
   in data 18 aprile 2011 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, PMIMSA e PM Italia hanno nuovamente rinnovato il verbale di intesa programmatica, per una durata di tre anni commerciali, prevedendo l'acquisto – da parte di PM Italia – di complessive 63.000 tonnellate di tabacco italiano secco sciolto;
   il 24 luglio 2015 Philip Morris Italia, affiliata italiana di Philip Morris International Inc. (PMI), ha sottoscritto un verbale d'intesa programmatica per una partnership strategica con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   l'accordo prevede un investimento da parte di PMI di circa 80 milioni di euro l'anno, con un obiettivo di collaborazione fino al 2020 e un potenziale investimento complessivo fino a circa 500 milioni di euro per l'acquisto di tabacco coltivato in Italia;
   tra i vari obiettivi dell'accordo vi sono la disponibilità di PM Italia a continuare a collaborare con l'amministrazione italiana con il comune obiettivo di migliorare la qualità del tabacco nazionale, attraverso specifiche attività di ricerca e sperimentazione, nonché di promuovere la divulgazione delle pratiche agronomiche del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   nel verbale dell'accordo si prevede, all'articolo 6, che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali incaricherà Ismea di predisporre, in collaborazione con PM Italia, un programma di investimenti finalizzato alla sostenibilità del settore;
   la Coldiretti ha accolto con favore l'accordo con cui Philip Morris si conferma il principale acquirente di tabacco in Italia e secondo il presidente Roberto Moncalvo «dà la possibilità di rafforzare una collaborazione importante tra Coldiretti e Philip Morris nella fornitura del tabacco e consentirà di consolidare un investimento di circa 500 milioni entro il 2020»; «Potrà così rafforzarsi un accordo rilevante perché – ha evidenziato Moncalvo a mezzo stampa – il contatto diretto con i produttori consente di bypassare intermediazioni che in passato riducevano il prezzo del tabacco riconosciuto agli agricoltori, ma anche l'impegno importante degli agricoltori dal punto di vista delle buone pratiche agricole e in termini di garanzia di legalità del lavoro impiegato per la coltivazione del tabacco». Gli impegni di acquisto di Philip Morris riguardano i gruppi varietali Virginia Bright (10.000 tonnellate pari a circa il 30 per cento del totale varietale prodotto in Italia) e Burley (11.000 tonnellate pari a oltre il 60 per cento del totale varietale prodotto in Italia). In termini di valore, gli acquisti di Philip Morris valgono oltre il 35 per cento dell'intero valore degli acquisti nazionali di tutte le manifatture;
   la scelta di Philip Morris nel 2011 di rinnovare gli accordi e adottare il modello di contrattazione diretta con i produttori – rileva la Coldiretti – ha consentito la continuità della coltivazione. Dal 2010, infatti, con la forte riduzione degli aiuti comunitari le maggiori manifatture avevano deciso di abbandonare la produzione italiana considerata fuori mercato per i costi, seppur qualitativamente valida –:
   se ed in quale modo l'accordo sopra riportato abbia favorito e valorizzato i marchi italiani del tabacco e la qualità del tabacco nazionale;
   se ed in quale misura siano stati adottati programmi di investimenti per la sostenibilità del settore;
   se non si ritenga opportuno rivedere l'accordo con la multinazionale Philip Morris al fine di tutelare al massimo livello la salute pubblica e dei singoli consumatori, considerando il conclamato rapporto tra tabagismo e danni gravi alla salute;
   in che modo si intenda valorizzare la manifattura tabacchiera made-in-italy, soprattutto nell'ottica di una più efficace penetrazione nel mercato internazionale. (4-13790)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   GULLO e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da diverse settimane, il tratto di mare della riviera nord del comune di Pescara, in Abruzzo, dal porto fino all'altezza di via Galilei è proibito alla balneazione. A metà giugno, l'Arta, Agenzia regionale per la tutela dell'ambiente dell'Abruzzo ha inviato al sindaco di Pescara Marco Alessandrini l'ultimo rapporto che conferma tale divieto;
   l'inquinamento, nei punti in cui sono state condotte le rilevazioni, è aumentato in maniera consistente: sono emerse 831 unità di escherichia coli e 260 di enterococchi, valori decisamente più alti rispetto alle analisi svolte nel maggio 2016;
   a distanza di pochi giorni, il 19 giugno 2016, come risulta da notizie di stampa riportate sul giornale «Il Centro», da nuove analisi condotte, risulterebbe una riduzione dei colibatteri nel tratto di mare in corrispondenza di via Galilei;
   le autorità comunali pescaresi e i tecnici dell'Arta hanno attribuito il diverso e più favorevole esito delle analisi alle condizioni meteo estremamente variabili degli ultimi giorni; nonostante ciò permane il divieto di balneazione;
   il 20 giugno 2016, come si apprende da « Il Centro», a causa delle piogge, si sono verificati nuovi sversamenti di liquami di fogna fino al mare, provocando l'inevitabile innalzamento dei livelli di colibatteri; in conseguenza di ciò, il sindaco di Pescara ha emanato un'ordinanza con la quale ha esteso il divieto di balneazione fino a viale Leopoldo Muzii;
   si tratta purtroppo di provvedimenti «tampone» che non risolvono alla radice la complessità delle problematiche relative alla salute dei cittadini, messa a rischio anche a causa del fatto che, per preservare il depuratore sito a Pescara – verso il quale vengono convogliate le acque reflue e gli scarichi fognari di ben tre comuni – le fogne vengono fatte defluire direttamente in mare –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di propria competenza, intenda adottare il Ministro interrogato al fine di tutelare la salute dei cittadini pescaresi, alla luce di quanto esposto in premessa. (5-09154)


   GREGORI e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lazio ha recentemente autorizzato nuove assunzioni nella misura di 543 unità, sbloccando così il turn over e permettendo l'apertura di nuovi servizi previsti dai piani operativi 2016-2018, anche al fine di rafforzare le strutture di Roma e provincia;
   si tratterebbe di un fatto positivo se non avvenisse attraverso un processo di penalizzazione dei presidi sanitari come quello dell’«A. Angelucci» di Subiaco. Tale presidio, oltre ad aver già subito un ridimensionamento a seguito dei piani di rientro definiti dal Ministero della salute e dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con la regione Lazio, ha successivamente subito la chiusura del reparto di rianimazione e poi di ortopedia – non prevista nel piano di rientro portando ad una forte carenza di un importante servizio in una zona con elevata percentuale di popolazione anziana, con presenza di tre strutture Rsa e con forte impatto turistico-sciistico;
   altrettanto pressanti per la popolazione locale sono le difficoltà del reparto di chirurgia, dove i due medici sono stati trasferiti nell'ospedale «S. Giovanni Evangelista» di Tivoli, e sostituiti da unità provenienti dall'ospedale di Monterotondo che non possono garantire così continuità assistenziale al fine della diagnosi e della cura;
   così come si registrano difficoltà presso il pronto soccorso, a causa della presenza di soli tre medici effettivi a tempo indeterminato ed uno a servizio ridotto con 28 ore settimanali;
   altrettanto grave è la carenza di personale infermieristico, soprattutto nei reparti di medicina e pronto soccorso;
   il piano di potenziamento sanitario messo in campo dalle autorità nazionali e locali sembra all'interrogante valere dunque solamente per alcune strutture come quelle di Monterotondo e Colleferro, creando gravi asimmetrie sanitarie sul territorio –:
   quali iniziative urgenti di competenza s'intendano assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria nell'area di Subiaco, oltre alla salvaguardia dei livelli occupazionali del personale impiegato, nel rispetto della normativa europea inerente ai riposi e agli straordinari. (5-09155)


   MARIANO e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Puglia, in adempimento a quanto previsto dalla legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) e dal decreto ministeriale n. 70 del 2015, ha predisposto la riorganizzazione della rete ospedaliera con la deliberazione della giunta regionale n. 161 del 2016, successivamente rettificata con la deliberazione di giunta regionale n. 265 del 2016;
   come evidenziato dalla risposta del sottosegretario alla salute, on. De Filippo, all'atto di sindacato ispettivo n. 5-08223, «tale documentazione, come previsto dall'articolo 1, comma 541, della legge n. 208 del 2015, è stata sottoposta all'esame del tavolo del Regolamento sugli standard ospedalieri (decreto ministeriale n. 70 del 2015), che ha ritenuto la stessa non sufficiente per esprimere una valutazione, considerata la mancanza di elementi essenziali e prioritari, rispetto ad un disegno di rete assistenziale coerente con il decreto ministeriale n. 70 del 2015. Il tavolo del Regolamento sugli standard ospedalieri ha rinviato pertanto la valutazione di merito alla presentazione di un provvedimento di riorganizzazione della rete ospedaliera, integrato con la rete dell'emergenza-urgenza, che tenga conto di tutte le osservazioni già rese dai Ministeri affiancanti»;
   la provincia di Brindisi è caratterizzata da una dotazione di posti letto inferiore agli standard e la nuova deliberazione di giunta regionale n. 265 del 2016 prevede per la provincia di Brindisi una ulteriore contrazione dei posti letto pubblici, passando dai 1085 previsti ai 901 del piano previsto dalla deliberazione di giunta regionale n. 265 del 2016 e posizionandosi al di sotto dei parametri previsti dal decreto ministeriale n. 70 del 2015;
   questa ulteriore decurtazione dei posti letto nelle provincia di Brindisi non tiene conto di fattori importantissimi quali, innanzitutto, lo stato di salute della popolazione della provincia di Brindisi. Si ricorda, infatti, che la provincia di Brindisi, è stata dichiarata area a elevato rischio di crisi ambientale con due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 e del 30 luglio 1997;
   il decreto legislativo n. 22 del 1997 e il successivo decreto legislativo n. 152 del 2006 hanno incluso Brindisi tra i 57 siti di interesse nazionale per interventi di bonifica. Si ricorda che il criterio di inclusione di un sito tra quelli di interesse nazionale dipende dal rischio sanitario che le condizioni di quel sito determinano per le popolazioni; il piano regionale della qualità dell'aria predisposto dall'Arpa Puglia inserisce Brindisi in fascia C, la più critica, che necessita di azioni di riduzione dell'inquinamento; la legge regionale 24 luglio 2012, n. 21, «Norme a tutela della salute, dell'ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale», introduce, all'articolo 2, in riferimento sia a Taranto che a Brindisi, in quanto dichiarate entrambe «aree ad elevato rischio ambientale», l'obbligo di redigere con cadenza annuale un rapporto di «valutazione del danno sanitario»;
   numerosi studi hanno mostrato una mortalità in eccesso rispetto alla media regionale per malattie cardiovascolari (in particolare infarto acuto del miocardio) e malattie respiratorie croniche in relazione all'alzamento di alcuni inquinanti atmosferici, in considerazione del fatto che la provincia ospita un'area ad elevato rischio di crisi ambientale e un sito di interesse nazionale per le bonifiche che condiziona il profilo della salute della popolazione residente; per tali motivi sono in corso, nell'ambito del centro salute ambiente della regione Puglia, specifici interventi di monitoraggio ambientale e di sorveglianza epidemiologica. Si evidenzia infatti che nell'area a rischio esistono eccessi di mortalità nel sesso maschile per tumori della vescica e leucemie oltre che per malattie dell'apparato respiratorio; nel sesso femminile si registrano eccessi per tumori del polmone e malattie respiratorie croniche. Nel comune di Brindisi, si osservano in aggiunta eccessi per tutti i tumori e tumori della pleura, mentre nelle donne per malattie dell'apparato digerente e per tutte le cause così come evidenziato dai report epidemiologici della stessa regione Puglia; con riferimento agli obiettivi del piano di riordino: «La ratio della legge è quella di ricondurre le strutture ospedaliere dentro un regime gestionale che coniughi efficienza economica, alti volumi, adeguata qualità e la migliore sicurezza delle cure». In particolare, l'efficienza economica (rispetto degli standard e dei volumi) pone, tra gli indici di verifica, lo standard relativo alla degenza media: meno di 7 giorni di degenza per i ricoveri ordinari;
   la delibera della giunta regionale sintetizza il decreto ministeriale n. 70 del 2015, in particolare: «individuazione dei fabbisogni prestazioni ospedaliere, ai fini della ridefinizione della rete ospedaliera dei letti per acuti e postacuti, con individuazione analitica del numero dei posti letto suddivisi per struttura, disciplina; (...)»; «Aumento del numero di posti letto ospedalieri per postacuti per l'adeguamento agli standard nazionali al fine di migliorare la qualità dell'assistenza, offrendo al paziente la giusta intensità di cura per le sue condizioni cliniche e la presa in carico globale (...)»;
   attualmente, la provincia di Brindisi risulta soprattutto carente di posti letto dedicati a percorsi terapeutici post acuzia. In particolare, sono attivati soltanto posti letto per riabilitazione motoria e per riabilitazione neurolesi e motulesi pari all'0,36 per mille sulla popolazione. Si sottolinea come tali posti letto siano interamente affidati a strutture private. In tutta la provincia risulta completamente assente sia nell'offerta pubblica che in quella privata la disponibilità di posti letto per la riabilitazione pneumologica e cardiologica, pur a fronte dei dati epidemiologici evidenziati e della previsione di due reparti di pneumologia per acuti sia presso il «Perrino» di Brindisi, che presso l'ospedale di Ostuni. Per ciò che attiene alla lungodegenza, ad oggi, per tutta la provincia sono previsti 35 posti letto distribuiti tra gli ospedali di Fasano, Mesagne e San Pietro. Il nuovo piano riduce ulteriormente questa dotazione poiché, a fronte della prevista riconversione dei tre suddetti ospedali, sia il «Camberlingo» di Francavilla Fontana, per storici problemi di staticità, sia il «Perrino» di Brindisi, per mancanza di spazi utili, non saranno nelle condizioni di attivare ed ospitare nell'immediato le lungodegenze;
   ne consegue un gap in termini di assistenza e qualificazione futura con prevedibile impossibilità a rientrare negli standard previsti dal decreto ministeriale n. 70 del 2015; in particolare, con il nuovo piano ospedaliero, il «Perrino» di Brindisi viene classificato come degenza ad elevata assistenza di II livello, l'ospedale di Francavilla Fontana di I livello e quello di Ostuni come ospedale di base, mentre per gli ospedali di Fasano, Mesagne, San Pietro Vernotico è prevista una riconversione in presidi territoriali di assistenza, dismettendo così i reparti che permettono di svolgere attività ospedaliera;
   nello specifico, l'ospedale «Melli» di San Pietro in Vernotico, ad oggi plesso del Perrino, rappresenta la struttura che più di tutte è adatta a svolgere funzioni di continuità assistenziale rispetto alla degenza ad elevata assistenza di II livello, dedicate a patologie internistiche e alla post acuzie nell'ottica di un decongestionamento dello stesso e, nell'ottica, di una maggiore appropriatezza dei ricoveri e dei percorsi terapeutici. La stessa struttura, infatti, è perfettamente rispettosa degli standard strutturali (presenza di area verde, di facile accesso, parcheggi), e dotata di reparti e di palestra, già recentemente ristrutturati ed equipaggiati per funzioni riabilitative specialmente nella riabilitazione, pneumologica e cardiologica e delle post acuzie in generale; altri recenti investimenti hanno riguardato le sale operatorie e la diagnostica senologica;
   proprio per queste ragioni, presso l'ospedale di San Pietro Vernotico, è stata più volte prevista l'attivazione di 270 posti letto di riabilitazione cardiologica e pneumologica in realtà mai attivati che risulta oggi quanto mai necessaria;
   la stessa lungodegenza potrebbe essere potenziata ed ospitata nello stesso presidio, vista la disponibilità di spazi e reparti attrezzati; così come le sale operatorie potrebbero utilmente essere attivate per interventi di « day service» chirurgico, oculistico e dermatologico, così come previsto da recenti delibere della direzione generale della asl;
   diventa, inoltre, rilevante potenziare l'offerta sanitaria della struttura di II livello (Perrino), integrandone la dotazione esistente, prevedendo la presenza di una gastroenterologia e di una reumatologia, nonché salvaguardandone alcune particolari eccellenze tra cui il reparto grandi ustionati, centro di riferimento regionale, con 11 posti letto, sul quale sono stati già investiti 6 milioni di euro e altrettanti sono in corso di investimento, la radiologia interventistica e la « breast unit» per il cancro alla mammella, tra le prime della Puglia per numero di interventi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e del piano di riordino 2016 afferente alla azienda sanitaria locale di Brindisi e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per fronteggiare le emergenze sanitarie di Brindisi e della provincia già note al Ministro interrogato e garantire pienamente i livelli essenziali di assistenza. (5-09156)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, NESCI e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo di Quotidiano Sanità del 5 luglio 2016, dal titolo «Campania. De Luca alla prova della nomina dei manager Asl: nell'albo anche il commissario Polimeni», si annuncia che il 19 luglio 2016 ci sarà una seduta monotematica del consiglio regionale della Campania dedicata alla sanità in occasione della quale potrebbero essere nominati da parte del presidente della regione Campania Vincenzo De Luca i nuovi direttori generali chiamati a guidare 15 delle 17 aziende sanitarie campane attualmente commissariate;
   il medesimo articolo riferisce che tali nomine saranno formalizzate dopo che nei giorni scorsi la giunta regionale ha dato il via libera all'aggiornamento dell'albo degli aspiranti manager (115 nomi che si aggiungono all'elenco vigente dal 2014 fatto di 462 profili) e «saranno assunte in solitario in base alle nuove norme approvate in Consiglio a fine maggio. Tra le new entry dell'albo spicca il nome di Jospeh Polimeni, attuale commissario governativo per la sanità regionale che così sembrerebbe opzionare un ruolo nella Sanità campana al termine della fase commissariale che dovrebbe concludersi entro il 2017»;
   anche sul sito d'informazione www.unotvweb.it è riportata analoga notizia e si riferisce che proprio a partire dalla legge regionale approvata nel mese di maggio 2016 dalla maggioranza relativamente alle procedure di nomina nella sanità campana «a breve saranno nominati 15 direttori generali da insediare in altrettante aziende sanitarie e ospedaliere campane e policlinici universitari. (...) Sono oltre 550 i curricula che il governatore della Regione Campania dovrà leggere prima di procedere alle nomine. Nomi che sono inseriti nell'albo regionale aggiornato poco tempo fa»;
   con l'interpellanza urgente n. 2-01388, discussa il 9 giugno 2016 e a prima firma della deputata Vega Colonnese, era stata anticipata la vicenda, che qui si riassume e si aggiorna, al fine di evidenziare ulteriormente la peculiare e sconcertante tempistica della giunta regionale della Campania;
   in data 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione» che modifica, in maniera sostanziale, il meccanismo di nomina dei direttori generali del servizio sanitario regionale della Campania sopprimendo il secondo livello di valutazione da effettuarsi tramite un avviso pubblico per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni;
   con la citata legge approvata il 31 maggio 2016 il presidente della giunta nomina il direttore generale direttamente tra i soggetti iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni ed è stata quindi soppressa la previsione che il presidente della giunta regionale, su conforme deliberazione della giunta stessa, nomini il direttore generale all'interno di una rosa di cinque candidati che hanno ottenuto i migliori punteggi, a seguito della valutazione dei titoli e dei requisiti posseduti dagli idonei che hanno partecipato all'avviso;
   in data 9 giugno 2016 il M5S nella interpellanza urgente ha illustrato i profili di incostituzionalità della citata legge regionale per palese contrasto con le norme nazionali ovvero con il decreto legislativo n. 502 del 1992 e con la legge n. 124 del 2015 (cosiddetta delega Madia), norme entrambe che costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione che, al terzo comma, prevede che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato; nel caso di specie il principio fondamentale è in materia di tutela della salute;
   con delibera n. 319 del 28 giugno 2016 la giunta regionale ha approvato l'aggiornamento all'elenco unico regionale degli idonei alla nomina di direttore generale di aziende sanitarie ed enti del servizio sanitario nazionale e ha disposto che, a far data dalla pubblicazione sul BURC di tale aggiornamento, i nominativi degli aspiranti all'incarico che nell'elenco allegato risultano qualificati «idonei» sono aggiunti all'elenco degli idonei approvato con DGRC n. 317/2014 e successive modificazioni e integrazioni;
   entro il 17 luglio 2016 le competenti commissioni di Camera e Senato devono esprimere il parere sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (305), e sullo schema di decreto si sono già espressi sia la Conferenza delle regioni e delle province autonome sia il Consiglio di Stato;
   entro il mese di luglio 2016 il Governo deve approvare il decreto legislativo che nello schema già predisposto prevede, con riguardo alla nomina dei direttori generali, una selezione unica per titoli previo avviso pubblico, in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che procede secondo le modalità del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni;
   l'aggiornamento dell'elenco degli idonei della regione Campania fatto proprio a pochi giorni della approvazione della legge regionale che ha modificato i meccanismi di nomina dei direttori generali desta non poche perplessità e ciò va a corroborare il dubbio che tale legge regionale possa consentire al presidente della regione di procedere a nuove e discrezionali nomine svincolate da procedure selettive e pubbliche, con l'aggravante di procedervi, quasi fosse una corsa contro il tempo, prima che entri in vigore il nuovo decreto legislativo ed i nuovi meccanismi di nomina, ovvero prima che le «regole del gioco» cambino;
   le nomine imminenti della maggior parte dei direttori generali delle asl e dei policlinici, come annunciate dalla stampa, chiosano quanto già temuto e preannunciato dal M5S nella interpellanza del 9 giugno alla quale non ha fatto seguito alcuna remora istituzionale da parte del presidente della regione Campania che, imperterrito, a giudizio degli interroganti, chiaramente dimostra di volere andare dritto all'obiettivo, ovvero nominare i direttori generali con il massimo della discrezionalità consentita;
   si tratta di un atteggiamento che, secondo gli interroganti, denota un agire istituzionale estremamente scorretto, anche dinanzi al fatto che, proprio in occasione della discussione della citata interpellanza, il sottosegretario alla salute Vito De Filippo, ha fatto presente che nell'ambito dell'istruttoria da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri sarà garantita la massima attenzione tenuto conto della materia così delicata come quella indicata dalla interpellanza del M5S ed ha aggiunto che riguardo ai profili d'incostituzionalità sia fondamentale, anche e soprattutto proprio la citata «legge delega Madia» e lo schema di decreto legislativo di imminente attuazione;
   il sottosegretario Vito De Filippo in tale occasione ha anche informato che, ai fini di una valutazione della compatibilità costituzionale, per la sua eventuale impugnativa ai sensi dell'articolo citato 127 della Costituzione, la tempistica è di sessanta giorni dalla pubblicazione ufficiale della legge regionale e scadrà quindi l'8 agosto ed entro tale data, sempre e comunque nella tradizionale e convenzionale tempistica, che è stata sempre rispettata dal Consiglio dei ministri, il provvedimento dovrà essere esaminato dal Consiglio dei ministri;
   si ribadisce il massimo sconcerto per quello che gli interroganti giudicano un atto di scorrettezza istituzionale enorme, con uno spregio delle istituzioni che saranno chiamate a porre rimedio alle evidenti storture costituzionali, con dispendio di risorse pubbliche per un arco temporale che si sa essere peraltro molto lungo;
   quanto posto in essere dal presidente della regione Campania, ad avviso degli interroganti, deve essere affrontato, non solo nei termini consentiti dall'ordinamento, ma anche attraverso un dibattito pubblico e un dialogo istituzionale che ne stigmatizzi l'agire così da evitare che anche altre regioni agiscano in maniera analoga, e risulta infatti agli interroganti, che anche in altre regioni si stiano verificando nomine anomale di dirigenti, anche con riguardo alla tempistica nell'ambito di un sistema che invece dovrebbe essere caratterizzato dal massimo rispetto dell'articolo 97 della Costituzione –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito a quanto sopra esposto e quali iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo, tenuto conto della imminente scadenza dell'8 agosto 2016 per sollevare la questione di legittimità costituzionale in relazione alla legge regionale di cui in premessa, anche alla luce delle dichiarazioni del sottosegretario De Filippo. (5-09157)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COCCIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da più di 50 anni la Fondazione Santa Lucia è un ospedale ad alta specializzazione di rilievo nazionale: i servizi di assistenza medica sono insieme alla ricerca aspetto determinante della sua attività;
   inaugurato nel 2002, l'attuale ospedale ha sostituito lo storico edificio nel quale sono state avviate le prime attività di riabilitazione negli anni sessanta. Allora l'assistenza sanitaria era ancora dedicata ai neuromotulesi della seconda guerra mondiale. Nei decenni successivi è andata sviluppandosi quella riabilitazione neurologica ad alta specializzazione che oggi vede medici e fisioterapisti operare con l'ausilio di tecnologie come i sistemi d'interfaccia cervello-computer (BCI) e gli esoscheletri. Questa crescita della Fondazione Santa Lucia è andata di pari passo con l'enuclearsi di un'autentica scienza della riabilitazione, alla quale la Fondazione ha dato un importante contributo, ricostruito in un articolo della rivista scientifica Neurological Sciences (marzo 2015);
   la Fondazione Santa Lucia svolge nel settore delle neuroscienze sia ricerca pre-clinica che traslazionale, ovvero orientata a una rapida applicazione dei suoi risultati nella cura dei pazienti. L'attività di ricerca rappresenta un elemento costitutivo della mission della Fondazione alla quale il Ministero della salute ha riconosciuto nel 1992 il titolo di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS). L'attività dei singoli laboratori è coordinata all'interno di sei linee di ricerca;
   sessanta laboratori sono complessivamente impegnati in questo settore di attività della Fondazione, che nel 2015 ha raggiunto una produzione scientifica pari a 2.112,50 punti di impact factor normalizzato. L’impact factor è un sistema di calcolo standard internazionale per valutare in modo oggettivo l'attività scientifica di singoli ricercatori e di un'istituzione nel suo complesso. Uno studio svolto nel 2012 dal Ministero della salute in base a questo fattore di calcolo su tutti gli IRCCS accreditati in Italia, ha assegnato alla Fondazione Santa Lucia il quinto posto assoluto e il primo nel settore delle neuroscienze tra gli oltre cinquanta, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico attivi sul territorio nazionale;
   nonostante, l'importanza e la qualità delle attività svolte, la Fondazione Santa Lucia si trova in una situazione molto grave che potrebbe presto condurre a seri rischi per la tenuta stessa dell'organizzazione che, nonostante i problemi di questi anni, sta continuando ad assicurare la qualità delle cure e dei livelli occupazionali;
   questa situazione è divenuta ormai patologica e richiede interventi immediati per garantire la salvaguardia di un bene prezioso per tutta la comunità: nell'attività e nell'impegno di quanti operano in questa struttura si concentrano tre sfide fondamentali e cioè la cura dei pazienti, la ricerca scientifica e l'inclusione sociale –:
   quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere al fine di assicurare i livelli di assistenza sanitaria, i profili occupazionali e la qualità della ricerca scientifica della Fondazione Santa Lucia.
(5-09145)

Interrogazione a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, a pagare di più sui tagli ai finanziamenti alle regioni stato il settore sanitario, creando, in talune regioni, come la Lombardia, non poche difficoltà per continuare a mantenere l'alto livello di servizi e prestazioni;
   è indubbio, infatti, che la Lombardia regala alle casse statali ogni anno 54 miliardi di tasse dei propri cittadini e delle proprie imprese e che gran parte di questi fondi finiscono per colmare i buchi cronici nei bilanci sanitari delle solite altre regioni tutt'altro che virtuose;
   quanto pubblicato su il Corriere della sera del 4 giugno 2016 avvalora i dubbi dell'interrogante;
   sembrerebbe, infatti, che dopo anni che nessuno faceva più caso all'elenco del personale sanitario calabrese, da una verifica compiuta dall'attuale commissario straordinario, Massimo Scura, sia emersa «una marea e mezzo di imboscati»;
   ad esempio, nel settore amministrativo della sanità regionale risultano assunti 80 psicologi, altri settori che contano più di 100 medici quando sarebbero sufficienti la metà, ed altri settori invece in cui metà dell'organico risulta esentato dai normali turni di lavoro;
   addirittura nel territorio provinciale reggino (esclusa la città di Reggio) lavorano 800 medici per 350 posti letto; la stessa Asp, però, registra la più alta percentuale di personale ospedaliero (cioè il 53 per cento) ad avere diritto di limitazione o esclusione dai turni di lavoro, perché fisicamente non idoneo o perché avente titolo ad assistere parenti gravemente malati;
   dinanzi a questa scoperta, appare ancora più incredibile all'interrogante la notizia di un imminente bando di concorso — il più grande nella storia della sanità pubblica calabrese — per 672 figure professionali da inserire nelle varie strutture ospedaliere situate nel territorio calabrese, tra ostetriche, radiologi, operatori socio-sanitari, infermieri professionali, dirigenti medici e altro –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, non intenda fare luce sulla situazione della sanità pubblica calabrese, al fine di provvedere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi, ad una stretta vigilanza sulla sua riorganizzazione e di chiarire la reale necessità di un mega concorso pubblico, nel rispetto del principio per cui vanno rimossi i dirigenti responsabili delle inefficienze prima ancora di procedere al reclutamento di nuovi, contenendo in tal modo lo spreco di risorse pubbliche, garantendo al contempo la qualità nei servizi e nelle prestazioni erogate ai pazienti calabresi ed evitando soprattutto il fenomeno della «migrazione sanitaria» che viene scaricato sulle regioni che provvedono all'assistenza dei cittadini calabresi.
(4-13774)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da fonte stampa del quotidiano « La Stampa» del 28 giugno 2016 dal titolo «L'Italia esporterà software di sorveglianza in Egitto» si apprende che il Ministero dello sviluppo economico ha concesso all'azienda italiana Area spa, di Vizzola Ticino, una autorizzazione specifica per l'esportazione di una tecnologia di sorveglianza del traffico internet in Egitto al fine «di agevolare l'attività di intercettazione di comunicazioni ai fini della sicurezza nazionale», con una commessa dal valore di 3,1 milioni di dollari, in favore della Technical Research Department (TRD) all'interno del Consiglio nazionale di difesa, tramite una azienda locale intermediaria denominata Alkan Communication and Information Technology del Cairo;
   sempre secondo la fonte stampa succitata, la Technical Research Department sarebbe «un'unità opaca, autonoma e priva di controlli democratici dell'intelligence e degli apparati egiziani, protagonista di una intensa attività di sorveglianza delle comunicazioni, sia di massa che mirata. Nel corso degli ultimi anni il TRD avrebbe infatti comprato, riferiva un rapporto di Privacy International, sistemi per la gestione di intercettazioni, centri di monitoraggio per telefoni mobili e fissi, prodotti di intercettazioni passiva e di massa e spyware da varie aziende europee, inclusa la tedesca AGT e l'italiana Hacking Team»;
   in data 31 marzo 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha revocato l'autorizzazione globale per l'esportazione ad Hacking Team, dando a questa la possibilità di esportazione di propri prodotti spyware solo a seguito di autorizzazioni specifiche. Secondo la fonte stampa, l'autorizzazione appena concessa sia stata rilasciata nonostante riguardi l'Egitto, tristemente noto per la violazione dei diritti umani, e inoltre su un tipo di tecnologia di monitoraggio di tutte le comunicazioni internet che non sembra destare preoccupazione nel Governo italiano. Nemmeno alla luce delle tensioni con il Cairo sul caso Regeni»;
   in data 6 luglio 2016, il Ministro dello sviluppo economico, rispondendo ad una interrogazione a risposta immediata in Assemblea alla Camera, ha confermato che in data 13 giugno 2016, è stata rilasciata dalla direzione generale per la politica commerciale internazionale del Ministero dello sviluppo economico, l'autorizzazione all'esportazione in Egitto di un sistema di monitoraggio delle comunicazioni su internet per fini di sicurezza nazionale con utilizzatore finale i servizi di sicurezza egiziani;
   sempre a detta del Ministero dello sviluppo economico, l'autorizzazione sopracitata è stata rilasciata sulla base di un parere favorevole espresso all'unanimità dal comitato consultivo di cui fanno parte rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze, della difesa, dell'interno, dell'istruzione dell'università e della ricerca, della salute, oltre a quattro esperti tecnici;
   nella risposta il Ministro dello sviluppo economico ha affermato che è prassi consolidata che l'autorità competente si conformi al parere del comitato consultivo in quanto il parere si basa su aspetti di natura tecnica e in particolare sul principio generale della piena libertà di commerci che può subire limitazioni in presenza di misure restrittive adottate nelle sedi appropriate, ad esempio Nazioni Unite e Unione europea. Tuttavia, il Ministro dello sviluppo economico ha aggiunto che «dal punto di vista politico (...) ho chiesto, a tal proposito, alla Direzione generale di rivalutare, in tale contesto, i presupposti dell'autorizzazione concessa, anche ai fini di un'eventuale revoca. Più in generale, data la delicatezza di questo tipo di strumenti, il cui uso può essere rivolto alla riduzione delle libertà individuali, proporrò di rivedere le attuali procedure, affinché, nel rispetto degli obblighi internazionali, prevedano criteri ancora più stringenti rispetto a quelli oggi in vigore per l'esportazione di prodotti dual use» –:
   se sia già stata ritirata l'autorizzazione ad Area spa e quali siano i criteri ancora più stringenti, rispetto a quelli oggi in vigore, per l'esportazione di prodotti dual use, che si intendano adottare;
   per quale motivo le rappresentanze dei sei Ministeri interrogati non abbiano ritenuto opportuno, viste anche le vicende legate al caso Reggeni, di esprimersi in senso contrario al rilascio dell'autorizzazione per favorire lo spionaggio dei cittadini in Stati come l'Egitto in cui vige un regime totalitario in spregio ai diritti umani. (5-09141)


   MICCOLI, DAMIANO, GNECCHI, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, GIACOBBE, PATRIZIA MAESTRI e CARLONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane ha indetto una gara telematica in 4 lotti, con scadenza 17 settembre 2015, per l'accordo quadro riguardante «L'erogazione dei servizi di Customer Services del Gruppo». Aggiudicatrici dei lotti 1, 2 e 4 dell'appalto risultano le aziende E-Care, 3G e Progetto Lavoro (unite in RTI) e Abramo Customer, non Gepin Contact s.p.a., in precedenza gestore dei servizi oggetto del bando;
   per la gestione della vicenda, che prospettava un incerto futuro per i lavoratori di Gepin Contact s.p.a. soggetta al cambio di appalto, è stato aperto un tavolo di concertazione presso il Ministero dello sviluppo economico. Nel corso degli incontri ivi avvenuti, in data 12 maggio, il Viceministro Teresa Bellanova ha dichiarato la disponibilità di Poste Italiane ad applicare la clausola sociale per garantire la continuità occupazionale delle 350 unità di Gepin Contact s.p.a. nei siti di Roma e Napoli;
   in un successivo incontro al Ministero dello sviluppo economico, svoltosi in data 23 giugno 2016, cui hanno partecipato funzionari ministeriali, sindacati e le aziende aggiudicatrici dell'appalto, viene condiviso l'impegno per la salvaguardia dei lavoratori Gepin Contact s.p.a.; inoltre, vengono elencate le unità di personale da ricollocare ed i rispettivi siti di riferimento;
   le organizzazioni nazionali di categoria, dopo tale incontro, si dichiarano preoccupate circa «l'emergere delle problematiche di sostenibilità economica dell'operazione». Le stesse organizzazioni sindacali, inoltre, esprimono anche «sorpresa e disappunto» per essere venute a conoscenza dal verbale del Ministero dello sviluppo economico che «la modalità di assunzione del personale già dipendente di Gepin Contact s.p.a. sarà part-time a 4 ore giornaliere». Indicazione che, secondo i sindacati, «disattente totalmente gli impegni assunti dal Ministero in data 12 maggio, perché nella gara di Poste Italiane dovevano essere inserite le cosiddette “clausole sociali” (di cui al comma 10 del decreto legislativo n. 50 del 2016) ovvero la salvaguardia dei perimetri, le attuali sedi di lavoro e la situazione reddituale dei lavoratori coinvolti»;
   le organizzazioni sindacali hanno ribadito come non spetti ai lavoratori ed al sindacato creare le condizioni di carattere economico atte a realizzare il preciso impegno, per il mantenimento di tutti i posti di lavoro, alle stesse condizioni reddituali dei dipendenti di Gepin Contact;
   Gepin Contact, s.p.a., in data 30 giugno 2016, ha inviato una comunicazione formale di «esonero dalla prestazione lavorativa» ai propri dipendenti impegnati sulle commesse Poste additando, tra altre cause, l'apertura della procedura di mobilità che, allo stato attuale, non risulta ancora conclusa;
   a quanto risulta agli interroganti a tutt'oggi sarebbero non pagati gli ultimi 2 mesi di stipendio;
   dopo l'incontro svoltosi il 6 luglio 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico, Gepin Contact s.p.a., con comunicato del 7 luglio 2016, ha ribadito la volontà di procedere al licenziamento immediato dei dipendenti interessati dalla procedura di mobilità alle seguenti condizioni: a) rinuncia da parte dei lavoratori al preavviso; b) rateizzazione del trattamento di fine rapporto spettante in 36 mesi; c) corresponsione, da parte del gruppo Poste Italiane — Sda Express Courier, di un importo complessivo di 10 milioni di euro a fronte della rinuncia da parte della Gepin Contact s.p.a. ad ogni azione e/o pretesa presente e futura relativa ai giudizi incardinati e/o incardinandi;
   il comportamento adottato da Gepin, appare agli interroganti totalmente irrispettoso delle normative introdotte dal nuovo codice degli appalti e rischia di creare un pericoloso precedente tale da aggirare di fatto il fine e l'applicazione della norma –:
   se e quali siano le iniziative di competenza che il Ministro interrogato intenda assumere per chiudere positivamente la vicenda, alla luce di quanto annunciato, con l'applicazione delle norme introdotte dal decreto legislativo n. 50 del 2016 relative alla salvaguardia occupazionale nei cambi di appalto degli interi perimetri, delle attuali sedi di lavoro e della situazione reddituale dei lavoratori coinvolti, a cominciare dal pagamento degli stipendi dovuti in questi mesi che risultano non corrisposti. (5-09143)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sistema industriale in Italia sta indubbiamente attraversando una fase difficile in un periodo economico di incertezza in cui ci si deve impegnare al fine di superare la propria debolezza con il recupero e il rafforzamento della competitività nei vari settori produttivi e di eccellenza che contraddistinguono il nostro Paese;
   la realizzazione di reti di telecomunicazione moderne rappresenta senz'altro un abilitatore fondamentale per la competitività delle imprese. L'industria 4.0, la digitalizzazione dei processi, la leva del commercio elettronico, lo sviluppo di servizi avanzati sono un passaggio fondamentale per la competitività di tutti i settori produttivi;
   l'Italia sta recuperando un ritardo storico importante nelle reti in fibra, ma il percorso, in termini di investimenti è ancora lungo, sia per le reti fisse, dove gli operatori sono chiamati a portare la fibra sempre più vicina alle imprese e alle famiglie, sia per gli operatori mobili che devono affrontare il passaggio alla telefonia di 5a generazione;
   lo sviluppo di questa nuova generazione di rete mobile consentirà un salto di qualità indispensabile per i servizi digitali, la diffusione delle smart city e l'espandersi dell'IoT ma richiede ingenti investimenti in infrastrutture e in fibra che possono essere garantiti solo da dinamiche concorrenziali sane ed efficaci;
   dalle ultime notizie emerse in questi giorni risulta che, in seguito ai recenti sviluppi della fusione H3G-Wind, sarà possibile l'ingresso nel mercato mobile nazionale della società francese Iliad come quarto operatore del mercato italiano. La società guidata da Xavier Niel, però, è stata protagonista di politiche commerciali molto spregiudicate, basate su prezzi bassi e pochi investimenti. Quello di cui il settore mobile in Italia non ha bisogno è una nuova guerra dei prezzi e di strategie industriali di breve-medio periodo;
   si deve quindi garantire che l'entrata di un nuovo 4o operatore nel mercato italiano non diventi problematica per gli investimenti e l'innovazione, che il mercato abbia forti incentivi e risorse per realizzare gli ingenti investimenti necessari a modernizzare le reti mobili;
   la fusione dei due tra più grandi operatori mobili del Paese dovrà essere attentamente monitorata dalle istituzioni nazionali per garantire che le soluzioni individuate dalla Commissione europea siano funzionali agli obiettivi della politica industriale italiana. Al momento le informazioni fornite dalla Commissione e dalle parti sono molto carenti e non consentono né al mercato né alle istituzioni nazionali di fare valutazioni accurate;
   sembra ancora più opportuno che il Governo monitori con massima attenzione questo procedimento e chieda alla Commissione di lanciare un market test, in modo da permettere a tutti gli stakeholder e al Governo stesso di valutare nel dettaglio il piano di Iliad –:
   se il Governo abbia intenzione di monitorare con attenzione gli sviluppi a livello europeo della fusione e le sue conseguenze al fine di garantire che l'ingresso di un nuovo operatore mobile sia coerente con i piani di sviluppo infrastrutturale sia fisso e mobile;
   se il Governo intenda chiedere alla Commissione europea di rendere pubblico il progetto di Iliad attraverso una consultazione pubblica, il cosiddetto « market test», in modo da consentire a tutti i soggetti interessati una valutazione puntuale degli impegni presi dalla società francese e degli impatti che il nuovo operatore avrà sul mercato. (4-13776)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Gifflenga, comune della provincia di Biella, l'azienda Premar (che ha già una sede nel comune e opera nel campo rifiuti industriali e speciali) ha presentato all'amministrazione locale il progetto di un impianto sperimentale che tratterebbe materie plastiche per ricavarne olio minerale;
   l'impianto andrebbe a insediarsi in un'area interessata dalla coltivazione del «riso di Baraggia Biellese e Vercellese» a cui, nell'agosto 2007, a livello europeo, è stato riconosciuto il marchio denominazione di origine protetta (DOP) e la cui zona di coltivazione comprende anche il comune stesso di Gifflenga;
   dieci associazioni ambientaliste hanno scritto una lettera aperta al sindaco del predetto comune per ricevere maggiori informazioni in merito al progetto senza ricevere esaurienti risposte, come si ricava dall'articolo «Gifflenga: Premar, dieci tra associazioni e movimenti scrivono al sindaco» del 17 maggio 2016, pubblicato dal quotidiano online NewsBiella.it;
   da altro articolo stampa in data 20 maggio 2016 e dal titolo «No degli ambientalisti all'impianto di pirolisi» si apprende che l'azienda Premar, in merito all'autorizzazione richiesta, si è rivolta al Ministero dello sviluppo economico per il riconoscimento del brevetto per detto impianto che sarà di tipo sperimentale. Per la precisione il quotidiano online Biella Cronaca cita che: «la ditta in questione di Gifflenga ha inviato al Ministero dello Sviluppo economico un'istanza per ottenere l'autorizzazione e il brevetto per un nuovo impianto per il trattamento dei rifiuti» e che tale istanza è stata inviata in copia al Comune interessato nel mese di marzo 2016;
   il sindaco ha convocato un incontro pubblico dove i cittadini hanno avanzato numerosi dubbi e preoccupazioni per il nuovo eventuale insediamento, come si evince dal resoconto stampa del 12 giugno 16 «È guerra sulla pirolisi: «Troppi rischi» Medici e comitati critici, ma il sindaco assicura: «Tutelerò la salute dei cittadini», pubblicato sul quotidiano nazionale «La Stampa» edizione di Biella;
   negli ultimi 2-3 anni in Piemonte sono stati presentati, senza ottenere la finale autorizzazione, 7-8 analoghi impianti (pirolisi e/o pirogassificazione di rifiuti o biomasse con tecnologia del cracking catalitico), in particolare vi è stato un caso molto simile nel vicino comune di Arborio (provincia di Vercelli, ma anche in questo caso territorio di coltura del riso DOP di Baraggia, vedasi notizia stampa del 25 settembre 2015 dal titolo "La Conferenza dei servizi in Provincia «stoppa» il progetto per l'impianto di pirolisi ad Arborio" dal quotidiano nazionale «La Stampa» edizione di Vercelli);
   come si apprende dall'articolo stampa de Il Biellese del 24 giugno 2016 «Premar, Roma chiede le integrazioni», il giorno 15 giugno 2016 si è svolta presso il Ministero dello sviluppo economico e per la precisione presso la direzione generale sicurezza dell'approvvigionamento e per le infrastrutture energetiche – Divisione IV «Mercato e logistica dei prodotti petroliferi e dei carburanti», una conferenza servizi preliminare;
   sempre dal sopra citato articolo stampa si apprende che «la pratica è di diretta competenza ministeriale» e «che sarà il Ministero dello Sviluppo Economico a rilasciare l'autorizzazione finale» –:
   se il Governo, nel valutare la sussistenza dei presupposti per la realizzazione dell'impianto di trattamento dei rifiuti e gli impatti sul sistema ambientale, sociale e produttivo, intenda favorire, per quanto di competenza, l'accoglimento della richiesta proveniente da più soggetti e associazioni di valutare la cosiddetta «opzione zero» o attivarsi per individuare soluzioni alternative;
   considerato che il progetto di cui in premessa è soggetto a brevetto e coperto da clausole di riservate, quali iniziative di competenza intenda intraprendere per garantire che con riguardo alla realizzazione dell'intervento siano previsti strumenti informativi utili e idonee forme di partecipazione della popolazione e delle organizzazioni sociali che hanno espresso contrarietà alla realizzazione dell'impianto;
   se non si ritenga opportuno, alla luce di quanto esposto in premessa, promuovere una valutazione d'impatto sanitario (VIS) per conoscere la reale condizione di salute dei cittadini e valutare l'incidenza, nel tempo, dell'impatto dell'impianto.
(4-13779)

Apposizione di una firma
ad una interpellanza.

  L'interpellanza Brescia e altri n. 2-01425, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Becattini n. 5-09031, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Bragantini.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Verini e altri n. 3-02390, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Alfreider e Pastorino n. 5-09132, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Civati, Quaranta.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Marcon n. 4-13201, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 624 del 13 maggio 2016.

   MARCON, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal sito internet Dagospia, il giorno 11 maggio 2016, e ripreso da diverse testate giornalistiche, in data 5 aprile 2016, in occasione della firma per il contratto per la fornitura di 28 Eurofighter Typhoon tra il Ministero della difesa del Kuwait e Finmeccanica (responsabile della campagna commerciale «Kuwait» nell'ambito del consorzio Eurofighter), la Ministra della difesa avrebbe ricevuto due gioielli – definiti «importanti» da una non meglio specificata fonte araba – «destinati alle figlie» e un orologio modello Rolex «in oro bianco, tempestato di brillantini», invece, proprio per lei;
   se la ricostruzione di Dagospia fosse veritiera, il modello di Rolex in questione sarebbe con tutta probabilità l'Oyster Perpetual Datejust 31 o similare, di valore di oltre 43 mila euro secondo il sito della Rolex, quindi superiore al valore di 300 euro, soglia entro cui il «Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri, gli altri membri del Governo e i loro congiunti» possono accettare e trattenere personalmente i doni ricevuti;
   nella stessa giornata della pubblicazione della notizia sul sito internet il Ministero della difesa diramava la seguente nota: «In ordine ad alcune presunte indiscrezioni apparse oggi su Dagospia il Ministero della difesa rende noto che il ministro Pinotti ha sempre seguito le prescrizioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 2007, riguardo i cosiddetti “doni di rappresentanza”. Ove ne ricorrono le condizioni, detti doni vengono quindi presi in consegna e custoditi dall'amministrazione Difesa. Sono perciò da considerare prive di qualsiasi fondamento le notizie apparse oggi su un sito web e riprese incautamente da altri»;
   la nota del Ministero parrebbe non smentire la notizia dei regali post accordo Kuwait-Finmeccanica, ma sembrerebbe precisare che la titolare del Dicastero non ha tenuto per sé nulla di quanto ricevuto e che quindi i doni sarebbero custoditi dall'Amministrazione difesa;
   il comma 2 dell'articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 2007 – Disciplina del regime per i doni di cortesia ricevuti dai componenti del Governo – prescrive che: «I doni di rappresentanza il cui valore espresso in denaro sia superiore ai 300,00 euro e che, in relazione alla loro tipologia e specificità, possono essere destinati alle sedi ufficiali o di rappresentanza, restano nella disponibilità dell'amministrazione», mentre il successivo comma 3 prevede che: «I restanti doni, di valore superiore a 300,00 euro, sono destinati dal Presidente del Consiglio e dai ministri per iniziative aventi finalità umanitarie, caritatevoli, di assistenza e beneficenza»;
   il comma 5 dello stesso articolo infine dispone che: «L'amministrazione ricevente individua l'ufficio ove tenere l'apposito registro in cui iscrivere i doni di rappresentanza contenente la descrizione del bene, l'indicazione del donatore, la stima effettuata, la data e il motivo della consegna, la destinazione effettuata»;
   nel mese di giugno 2016 il capo di gabinetto del Ministero della difesa ha negato la richiesta ufficiale di accesso agli inoltrata da alcuni parlamentari;
   nella risposta ad una interrogazione svolta in Commissione il 19 maggio 2016 il Sottosegretario di Stato per la difesa delegato faceva esplicito riferimento alla possibilità di ricorrere al mezzo della richiesta di accesso agli atti in relazione ai doni di rappresentanza;
   dal 23 giugno 2016 è entrato in vigore il FOIA (Freedom of information act) che dovrebbe consentire l'accesso a qualsiasi atto della pubblica amministrazione a prescindere dall'interesse soggettivo del richiedente. Il FOIA prevede anche dei casi di esclusione come la difesa nazionale e la tutela delle relazioni internazionali che appaiono difficili da invocare in questo caso, a parere dell'interrogante, senza creare clamore intorno a questa vicenda –:
   come si concili il diniego dell'accesso agli atti con l'entrata in vigore del FOIA e se non ritenga necessario fornire tutti gli elementi utili a sgombrare il campo da ombre che alimentano malumori intorno a questa vicenda;
   se siano stati consegnati doni alla Ministra interrogata durante l'incontro del 5 aprile 2016 in Kuwait e, in caso di risposta positiva, quale sia la descrizione dei beni, il donatore e il motivo della consegna e quando siano stati consegnati all'Amministrazione della difesa e se infine, vista la natura dei presunti doni, non sia intenzione devolverli per iniziative aventi finalità umanitarie, caritatevoli, di assistenza e beneficenza. (4-13201)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   Interrogazione a risposta scritta Gregori n. 4-06318 dell'8 ottobre 2014;
   Interrogazione a risposta in Commissione Mariano n. 5-09050 del 1o luglio 2016;
   Interpellanza urgente Francesco Saverio Romano n. 2-01417 del 5 luglio 2016;
   Interrogazione a risposta in Commissione Gregori n. 5-09089 del 6 luglio 2016;

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio n. 4-13766 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 652 del 12 luglio 2016. Alla pagina 39580, seconda colonna, dalla riga sesta alla riga ottava, deve leggersi: «risultati eletti. In tale relazione si certifica, inoltre, come solo l'intervento delle forze dell'ordine abbia evitato che la situazione» e non come stampato.