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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 5 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 1, comma 6, della legge n.185 del 1990 (Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento), l'esportazione e il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere; verso i Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione; verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea (UE); verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'UE o del Consiglio d'Europa;
    dal 26 marzo 2015 il regno dell'Arabia Saudita, coadiuvato da altri otto Paesi arabi (Egitto, Marocco, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar e Bahrein) con armi fornite dall'Occidente, sta conducendo attacchi aerei incessanti su città e villaggi yemeniti;
    la coalizione a guida saudita è stata la principale responsabile degli oltre 3500 civili uccisi nello Yemen, di cui molti bambini e ragazzi;
    nel settembre 2015 Faisal bin Hassan Thad, ambasciatore dell'Arabia Saudita presso le Nazioni Unite, è stato eletto a presiedere il comitato consultivo dei Consiglio dell'Onu dei diritti umani che ha il compito di indicare gli esperti sui diritti umani;
    l'Arabia Saudita ha sfruttato la propria posizione all'interno del Consiglio dei diritti umani per impedire una risoluzione che avrebbe avviato un'indagine internazionale e per farne approvare una, del tutto inutile, per istituire una commissione d'inchiesta yemenita la quale, nove mesi dopo, non ha fatto nulla per indagare sulle denunce di crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani;
    all'interno dell'Arabia Saudita, la repressione di ogni forma di dissenso prosegue senza sosta, attraverso processi farsa di fronte ai tribunali speciali anti-terrorismo, lunghe condanne per dissidenti pacifici e difensori dei diritti umani, in alcuni casi seguite da punizioni corporali (come nei casi degli attivisti Raif Badawi e Ashraf Fayadh), e centinaia di esecuzioni. Il 2015 è stato l'anno che ha fatto segnare il maggior numero di esecuzioni dal 1995;
    in Yemen, secondo quanto dichiarato dal segretario generale delle Nazioni Unite BaO Ki-Moon nel corso dell'ultima assemblea generale dell'Onu tenutasi a New York il 28 settembre 2015, 21 milioni di persone (1'80 per cento della popolazione) hanno bisogno di aiuti umanitari urgenti di cibo e carburante necessario a far funzionare i pozzi della poca acqua potabile;
    secondo le organizzazioni Amnesty International e Human Rights Watch, l'Arabia Saudita commette «gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani» all'estero e all'interno del paese e sfrutta la sua posizione all'interno del Consiglio dei diritti umani per ostacolare efficacemente la ricerca della giustizia per i possibili crimini di guerra nello Yemen;
    secondo Richard Bennet, direttore dell'ufficio di Amnesty International presso le Nazioni Unite, la credibilità del Consiglio dei diritti umani è a rischio. Da quando l'Arabia Saudita è entrata in questo organismo, la situazione dei diritti umani nel paese ha continuato a peggiorare e la coalizione a guida saudita ha ucciso e ferito migliaia di civili nel conflitto dello Yemen;
    nelle ultime settimane l'Arabia Saudita ha evitato nuovamente di essere chiamata a rispondere del proprio operato, premendo sulle Nazioni Unite affinché la coalizione a guida saudita impegnata nel conflitto dello Yemen venisse tolta dall'elenco degli Stati e dei gruppi armati che nel 2015 hanno violato i diritti dei bambini nei conflitti armati;
    nonostante le crescenti prove a disposizione sui crimini di guerra, i principali alleati dell'Arabia Saudita, tra cui Stati Uniti e Regno Unito, non hanno smesso di inviare armi da usare nello Yemen;
    Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto agli Stati membri delle Nazioni Unite di votare per sospendere l'Arabia Saudita dal Consiglio dei diritti umani e hanno inoltre ribadito la richiesta di avviare un'indagine internazionale, imparziale e indipendente sulle violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel conflitto dello Yemen;
    la risoluzione n. 60/251 dell'Assemblea generale, con cui è stato creato il Consiglio dei diritti umani, prevede che «con una maggioranza dei due terzi dei membri presenti e votanti, l'Assemblea generale possa sospendere il diritto di partecipazione di uno stato al Consiglio dei diritti umani che compia gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani»;
    quello adottato nei confronti della Libia, nel 2011, è l'unico precedente di un tale tipo di sospensione,

impegna il Governo

a proporre, nel corso della prossima sessione del Consiglio dei diritti umani (la 32a sessione regolare si è conclusa il 1o luglio 2016 a Ginevra) che si terrà dal 13 al 30 settembre 2016, la sospensione dell'Arabia Saudita dall'organo citato.
(7-01043) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Grande, Di Battista, Scagliusi, Del Grosso, Sibilia».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la Corte di Cassazione, con sentenza 24 febbraio 2016, n. 3618, ha ritenuto che le piattaforme petrolifere siano soggette ad accatastamento e quindi assoggettabili ad ICI, e conseguentemente, anche ad Imu e tasi;
    il suddetto pronunciamento è molto importante perché pone fine ad una diatriba in corso da anni in materia di applicazione dei tributi immobiliari, che ha visto i comuni contrapporsi, da una parte, con le società petrolifere e, dall'altra, con l'Agenzia delle entrate che nei fatti ha sempre ritenuto che le piattaforme petrolifere non fossero da iscrivere in catasto, con ciò alimentando ancora di più il contenzioso tributario;
    l'importanza della questione è evidenziata anche dalla presentazione in parlamento di diverse interrogazioni parlamentari con le quali si lamenta l'incapacità della giurisprudenza di merito di pervenire ad una soluzione uniforme e si dà conto degli elevati importi coinvolti nel contenzioso;
    la suddetta pronuncia della Corte va oltre il caso specifico oggetto del giudizio, enunciando principi di diritto molto importanti, come l'obbligatorietà dell'assoggettamento all'imposta dei fabbricati non iscritti in catasto, indipendentemente dalle eventuali problematiche collegate alla determinazione del loro valore imponibile;
    con riferimento all'accatastabilità delle piattaforme petrolifere, la Corte ha affrontato preliminarmente il problema della natura delle piattaforme petrolifere, ritenendo che queste ultime debbano essere considerate come «immobili», ai sensi dell'articolo 812 c.c., essendo «saldamente infisse nel sottosuolo marino»;
    si tratta di beni immobili che insistono sul territorio dello Stato, visto che il fondo marino appartiene al demanio dello Stato ed il diritto al suo sfruttamento minerario soggetto a concessione. Essi soddisfano quindi il presupposto dell'ICI, così come definito dall'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo n. 504 del 1992, che si realizza con il possesso di fabbricati «siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali (...)»;
    l'obbligo di accatastamento delle piattaforme petrolifere deriva direttamente dall'articolo 4, del regio decreto-legge n. 652 del 1939 che qualifica come immobili urbani i fabbricati e le costruzioni stabili «di qualunque materiale costituite» ed include tra questi anche «gli edifici sospesi o galleggianti, stabilmente assicurati al suolo»;
    dalle norme richiamate, secondo la Corte di Cassazione, consegue che le piattaforme stabilmente assicurate al suolo demaniale marino debbono essere accatastate;
    nelle medesima sentenza la Corte affronta anche il problema della categoria catastale da attribuire, visto che il giudice di secondo grado aveva ritenuto che le piattaforme potessero essere annoverate tra gli immobili con destinazione E/9 e quindi comunque essere ritenute esenti dalle imposte patrimoniali immobiliari perché riconosciute di pubblica utilità;
    secondo la Corte, invece, «le piattaforme petrolifere, così come le centrali cui sono annesse, sono classificabili nella categoria catastale D/7, svolgendosi operazioni qualificabili quali attività industriale»;
    per quanto attiene al soggetto attivo d'imposta, la commissione tributaria regionale aveva escluso la potestà impositiva del comune sulle acque territoriali e quindi l'assoggettabilità ad Ici delle piattaforme in ragione della loro allocazione a mare;
    la Corte, dopo aver rilevato che «non può concepirsi un luogo del territorio nazionale che non “appartenga” ad un Comune» ha ritenuto che esiste una naturale potestà degli enti locali nell'ambito del mare territoriale, paragonabile a quella esercitata sul proprio territorio, fino ad una distanza di 12 miglia marine, «con estensione della sovranità dello Stato e, per esso, dei relativi Comuni, sul mare territoriale, pur con i limiti derivanti dalle convenzioni internazionali»;
    dopo aver individuato la competenza territoriale comunale, la Corte di Cassazione ha affrontato il problema dell'inquadramento del caso di specie tra le ipotesi di soggettività passiva, individuandola nel «possesso a titolo di concessione». Secondo la Corte, «anche se il mare non è ricompreso tra i beni del demanio marittimo, che concernono solo il lido, la spiaggia e le terre emerse, tuttavia i beni infissi nel fondo del mare territoriale sono equiparabili a quelli del demanio marittimo». Conseguentemente, le strutture stabilmente infisse nel fondo del mare territoriale sono soggette al potere impositivo comunale, in quanto possedute in base ad una concessione demaniale, ai sensi dell'articolo 3, comma 2 del decreto legislativo n. 504 del 1992;
    per quanto attiene alla determinazione del valore imponibile, ad avviso della parte intimata (ENI spa), il comune sarebbe carente del potere di «determinare il valore delle piattaforme ai fini ICI, essendo la base imponibile determinata con riferimento alla rendita catastale», con conseguente competenza dell'Agenzia delle entrate. Su tale punto la Corte enuncia principi molto importanti, che vanno al di là del caso concreto analizzato, in quanto, come noto, a seguito della incomprensibile abrogazione del quarto comma dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 504 del 1992, che autorizzava l'uso della rendita presunta, parte della giurisprudenza di merito sembra ritenere che al comune sia preclusa l'attività di accertamento con riferimento a fabbricati non iscritti in catasto o iscritti con rendita non più adeguata, pur nei casi di inerzia sia dell'intestatario catastale sia dell'Agenzia delle entrate, la quale anche in caso di attivazione della procedura ex articolo 1, comma 336, della legge finanziaria 2005, in molti casi non opera con la necessaria tempestività;
    quanto esposto dimostra che si è configurata una situazione che stride con la logica e con la piena applicazione dei principi che regolano l'imposizione fiscale, perché la debenza del tributo, pur in presenza di fabbricato che ne soddisfa il presupposto, dipenderebbe dalla volontà del contribuente di procedere all'aggiornamento catastale, ovvero dalla tempestività dell'intervento in surroga dell'Agenzia delle entrate, senza che tali fattori aleatori deroghino espressamente al termine decadenziale entro il quale il comune può notificare atti di accertamento per recuperare gli importi dovuti;
    in merito a quest'ultima questione la sentenza in commento effettua una significativa precisazione, laddove afferma che «tutti i fabbricati siti nel territorio dello Stato sono imponibili, soggiacciono all'imposta ICI e non può considerarsi “condicio sine qua non” ai fini impositivi, la iscrizione catastale in mancanza di una correlazione normativa tra “imponibilità” e “accatastabilità”, essendo soggetti ad ICI tutti gli immobili, ancorché non accatastati e potendo essere determinata l'imposta in base ai criteri residuali». L'affermazione appare perfettamente aderente al dettato normativo, laddove è previsto che soddisfa il presupposto d'imposta il possesso di fabbricati iscritti o che devono essere iscritti in catasto;
    per quanto riguarda le modalità di determinazione del valore, va anche considerato che le fattispecie in questione ricadono tra i fabbricati riconducibili al gruppo catastale D e interamente posseduti da imprese, fin quando la rendita catastale non sia attribuita. In mancanza di rendita, la determinazione della base imponibile deve essere, come è noto, effettuata utilizzando i valori di bilancio, così come previsto dall'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 504 del 1992;
    individuato il criterio di determinazione della base imponibile, la Corte si preoccupa anche di quali sono gli impianti da valorizzare nella base imponibile;
    dopo aver chiarito che le piattaforme costituiscono un cespite economico indipendente e distinto rispetto alla centrale di terra, e quindi soggetto ad accatastamento autonomo e non quale pertinenza della centrale di terra, la Corte rigetta la tesi della non valorizzazione delle condotte petrolifere, in quanto poste nei fondali marini, così come previsto dalla circolare dell'Agenzia del territorio n. 6 del 2012. Sul punto la Corte ritiene che non possa considerarsi quale ius superveniens la disposizione di cui all'articolo 1, comma 244 della legge n. 190 del 2014, la quale prevede che nelle more dell'attuazione della revisione del catasto si applicano le istruzioni impartite con la circolare n. 6 del 2012, della soppressa Agenzia del territorio;
    secondo la Corte, «premessa l'anomalia e gli evidenti profili di incostituzionalità di una legge che si limita a rinviare, ai fini della applicazione di una normativa, senza altra specificazione, alle istruzioni di una circolare ministeriale, emanata da una delle parti del giudizio, tuttavia tale circolare, “normativizzata”, a prescindere dalla sua eventuale efficacia retroattiva, anche nel caso di valenza di interpretazione autentica della normativa indicata, non trova applicazione per le piattaforme petrolifere, non menzionate nella citata circolare». Ed in particolare non trova applicazione il paragrafo 3 della suddetta circolare (paragrafo, peraltro, poi «abrogato» dall'Agenzia delle entrate con circolare n. 2 del 1o febbraio 2016) che ha in generale previsto la valorizzazione nella rendita catastale delle condotte petrolifere, ma solo se ubicate nel territorio dello Stato, con esclusione di quelle poste nei fondali marini. Ad avviso della Corte la circolare «normativizzata» non fa riferimento alle piattaforme petrolifere, ma solo alle «condotte petrolifere» che sono ontologicamente diverse dalle prime;
    i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione autorizzano i comuni che finora non abbiano provveduto ad accertare le piattaforme petrolifere a condurre tale attività con riferimento sia all'Ici che all'Imu-tasi. L'attività non necessita dell'intervento preventivo dell'Agenzia delle entrate, in quanto la base imponibile può essere valorizzata sulla base delle scritture contabili della società proprietaria, ed in caso di mancata collaborazione, sulla base dei dati di bilancio pubblicati dalla camera di commercio;
    per quanto riguarda l'Ici, trattandosi di omessa denuncia, nel corso del 2016 sono accertabili le annualità 2010 e 2011. Purtuttavia, in controtendenza a quanto stabilito dalla Corte costituzionale, recentissimamente il dipartimento delle finanze con la risoluzione n. 3/DF ha rilevato che ai fini dell'applicabilità dell'imposta municipale propria Imu alle piattaforme petrolifere serve uno specifico intervento normativo atto a consentire non solo il censimento delle costruzioni (dotate di autonomia funzionale e reddituale) site nel mare territoriale, anche con riferimento alla relativa delimitazione, georeferenziazione e riferibilità ad uno specifico comune censuario, ma anche l'ampliamento del presupposto impositivo dell'Imu e della Tasi;
    con la suddetta risoluzione n. 3/DF del 1o giugno 2016, infatti il dipartimento delle finanze ha risposto al quesito di un'associazione in merito all'applicabilità dell'IMU alle piattaforme petrolifere a seguito dell'entrata in vigore della legge di stabilità 2016, che ha introdotto nuovi criteri per l'individuazione della rendita catastale dei fabbricati iscrivibili nei gruppi catastali D ed E;
    le motivazioni da cui trae origine il quesito scaturiscono proprio dalla citata sentenza n. 3618 del 24 febbraio 2016, con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto le piattaforme petrolifere assoggettabili all'Ici, nonostante la loro allocazione nel mare territoriale;
    sulla questione concernente l'assoggettamento all'Imu delle piattaforme petrolifere, inoltre, il Governo aveva risposto all'interrogazione n. 5-08070 del 2016 in cui veniva chiesto se, alla luce della sentenza e della normativa vigente, «le piattaforme petrolifere italiane sono soggette o meno all'imposta» precisando che per quanto attiene l'assoggettabilità a IMU e ICI delle stesse, considerato anche che la sentenza n. 3618/2016 è di recente emanazione, sarà compito degli uffici tecnici dell'amministrazione finanziaria approfondire la problematica per proporre al Governo un'eventuale soluzione normativa;
    nella risoluzione n. 3/DF, il dipartimento delle finanze ricorda che le piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale presentano le caratteristiche di un immobile a destinazione speciale e particolare che le farebbero rientrare, quali impianti, in una delle categorie catastali dei gruppi D ed E per le quali, a partire dal 2016, sono stati dettati nuovi criteri per la determinazione della rendita di cui all'articolo 1, comma 21, della legge di stabilità 2016, che esclude dalla stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo e dove si legge: «A decorrere dal 1o gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l'utilità, nei limiti dell'ordinario apprezzamento. Sono esclusi dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo». Tuttavia, sottolinea il dipartimento delle finanze, secondo le vigenti disposizioni normative che regolano il sistema catastale, tali cespiti non sono oggetto di inventariazione negli atti del catasto, poiché è «l'Istituto idrografico della Marina» – e non «l'Amministrazione del catasto e dei servizi tecnici erariali» – l'Organo Cartografico dello Stato designato al rilievo sistematico dei mari italiani;
    l'Imu ha per presupposto il possesso di immobili e a tali fini vengono espressamente richiamate «le definizioni di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504» il quale stabilisce che: « a) per fabbricato si intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano». Facendo, quindi, la norma riferimento esplicito al catasto edilizio urbano, la risoluzione n. 3/DF del 2016 conclude che per applicare i criteri di calcolo del valore contabile di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 504 del 1992 occorre uno specifico intervento normativo atto a consentire non solo il censimento delle costruzioni (dotate di autonomia funzionale e reddituale) site nel mare territoriale, anche con riferimento alla relativa delimitazione, georeferenziazione e riferibilità ad uno specifico comune censuario, ma anche l'ampliamento del presupposto impositivo dell'Imu e della Tasi,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative di competenza per apportare puntuali modifiche normative alla legge di stabilità 2016 ed al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, al fine di stabilire il pieno assoggettamento delle piattaforme petrolifere ad accatastamento e ad Ici, e conseguentemente, anche ad Imu e tasi, stabilendo che a decorrere dal 1o gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo, delle costruzioni e, a differenza da quanto previsto attualmente dalla legge di stabilità 2016, delle piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l'utilità, nei limiti dell'ordinario apprezzamento, escludendo dalla stessa stima diretta macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo, ma che tale ultima esclusione non operi in riferimento alle piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale;
    ad assumere iniziative per modificare la lettera a) del comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, nel senso di prevedere che per fabbricato si intende l'unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, considerandosi parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza, nonché le piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale;
    ad assumere iniziative per prevedere che le piattaforme petrolifere, come inventariate dall'Istituto cartografico della Marina, siano classificabili nella categoria catastale D/7 e che, in mancanza di definizione della rendita catastale, la base imponibile delle piattaforme petrolifere situate nel mare territoriale, classificabili nella categoria D/7 sia costituita dal valore di bilancio, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del comma 3, dell'articolo 6, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 33.
(7-01041) «Paglia, Fassina, Melilla».


   La IX Commissione,
   premesso che:
   la città di Matera non risulta collegata alla rete ferroviaria nazionale a scartamento ordinario ed è raggiungibile su ferro solo da Bari tramite la linea a scartamento ridotto e non elettrificata delle Ferrovie Appulo-Lucane;
   nel 1981 fu avviata la fase di progettazione della ferrovia Ferrandina-Matera La Martella, i cui lavori cominciarono nel 1986. L'opera ha avuto molteplici criticità nel corso della sua realizzazione anche in relazione a problemi tecnici di esecuzione, oltre che per il fallimento delle imprese esecutrici, nonostante le ingenti somme spese (circa 200 milioni di euro);
   nel contratto di programma 2012-2016 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete Ferroviaria Italiana Spa, risulta presente, seppur non finanziata, la linea Ferrandina-Matera, con un costo dell'opera pari a 265 milioni di euro e in particolare, ad oggi, l'intervento risulta sospeso in quanto i finanziamenti residui – al netto delle opere già eseguite – non sono sufficienti per la realizzazione di fasi funzionali dell'investimento;
   l'accessibilità alla città di Matera mediante ferrovia è da ritenersi, da una parte, allo stato attuale, assolutamente insufficiente e, dall'altra, essenziale sia per l'esercizio del diritto alla mobilità costituzionalmente garantito, che per l'erogazione di quei servizi connessi allo sostenibilità, allo sviluppo e all'attrattività della stessa anche in relazione al ruolo che ricoprirà Matera in rappresentanza dell'Italia quale, capitale europea della cultura per l'anno 2019;
   in particolare, l'accessibilità alla città di Matera con la ferrovia può assolvere tre funzioni prevalenti: collegare la città alla rete fondamentale RFI costituita da linee AV/AC (linea Napoli-Roma e nuova linea Bari-Napoli) e da linee convenzionali (nel caso specifico linea adriatica); collegare la città agli aeroporti di riferimento della rete portante del trasporto pubblico regionale ed interregionale;
   allo stato attuale, l'unico collegamento ferroviario sul versante Adriatico è garantito dalla linea a scartamento ridotto Bari-Altamura-Matera, gestita da Ferrovie Appulo Lucane. I tempi attuali di collegamento Matera – Bari sono di 1 ora e 35 minuti, necessari a percorrere una distanza di circa 70 chilometri. I lavori di potenziamento già programmati e in buona parte finanziati in territorio lucano e pugliese, unitamente all'introduzione di un modello di esercizio che prevede la differenziazione tra treni locali e treni regionali veloci, consentiranno di ottenere tempi di collegamento inferiori a 60 minuti, tra Matera Villa Longo e Bari Policlinico e di circa 70 minuti, tra Matera Centrale e Bari Centrale;
   Trenitalia ha da poco attivato un collegamento automobilistico (Freccia Link) che da Matera raggiunge Salerno in coincidenza con i servizi Freccia Rossa. Questo collegamento comporta un tempo di viaggio complessivo Matera-Milano di 8 ore e 20 minuti, (7 ore e 20 minuti fino a Bologna) come di seguito ripartiti: – tempo di viaggio Matera-Salerno in autobus Freccia Link – 2 ore e 55 minuti), tempo di interscambio con Freccia Rossa – 25 minuti (per tener conto anche degli imprevisti vista la lunghezza del percorso su strada e del rischio di congestione del traffico all'interno di Salerno); tempo di viaggio Salerno-Milano Centrale in FrecciaRossa – 5 ore e 25 minuti;
   l'iniziativa posta in essere da Trenitalia, che ha istituito il collegamento autobus Freccia Link Matera-Salerno (2 coppie/giorno) in coincidenza con servizi Alta Velocità a Salerno non consente di fornire una risposta adeguata ed esaustiva alle esigenze di mobilità espresse dalla città di Matera sia per la bassa capacità della modalità bus, sia per le note problematiche delle infrastrutture viarie che necessitano di poderosi interventi di ammodernamento le cui risorse finanziarie sono state peraltro oggetto di richiesta da parte della regione Basilicata al Governo nazionale anche nell'ambito dello stipulando contratto di programma ANAS. Il tutto tenuto conto anche del fatto che il collegamento automobilistico dedicato Freccia Link riguarda solo 2 coppie di collegamenti sulle 15 offerte tra Salerno e Roma (di cui 10 da Trenitalia e 5 da NTV). È evidente quindi per i firmatari del presente atto, come la soluzione nella configurazione attuale risulti del tutto inadeguata in quanto di scarsa capacità ed eccessivamente vincolante poiché priva di sistematicità;
   per l'accessibilità alla città di Matera, come per l'intera regione Basilicata, è necessario pertanto mettere in campo una strategia differenziata nel tempo e in base alle relazioni da servire (Napoli-Roma-Firenze da un lato, e Bologna-Milano/Verona/Venezia dall'altro) tenuto conto dei progressivi potenziamenti già programmati e in corso di realizzazione;
   quindi i due collegamenti da Matera verso Salerno e verso Bari (quest'ultimo assimilabile a quello verso Foggia per la città di Potenza) debbono essere considerati complementari e non alternativi tra loro;
   per quanto riguarda il completamento della linea ferroviaria Ferrandina/Matera, questa potrebbe svolgere una funzione importante di collegamento sistematico della città di Matera sulla rete Alta Velocità oltre che di collegamento tra i due comuni capoluogo di Potenza e di Matera;
   la linea Ferrandina Matera, di cui sono state realizzate le opere civili e la lunga galleria di Miglionico (circa 6,5 chilometri), ha uno sviluppo di circa 19,5 chilometri. Il costo per il suo completamento e adeguamento alle nuove specifiche tecniche, in base all'ultimo aggiornamento disponibile, a fonte del Ministro dell'infrastrutture e dei trasporti-RFI, è passato da 165 milioni di euro a 265 milioni di euro;
   va tenuto conto che, in data 29 ottobre 2014, nella seduta n. 320, è stato accolto l'ordine del giorno n. 9/02629-AR/226 presentato dall'onorevole Antezza, unitamente ai parlamentari Speranza e Folino, con cui si è impegnato il Governo ad assicurare i finanziamenti necessari alla regione Basilicata per consentire inserimento della città di Matera nella rete ferroviaria di livello regionale e nazionale ed il collegamento funzionale con i principali nodi ferroviari nazionali;
   va tenuto conto altresì del parere delle commissioni lavori pubblici di Senato e trasporti della Camera sullo schema di aggiornamento dell'anno 2015 del contratto di programma 2012-2016 – parte investimenti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società Rete ferroviaria italiana Spa (n. 299), nel quale si segnala l'esigenza di riservare un'attenzione specifica allo sviluppo delle linee ferroviarie della regione Basilicata e in particolare ai collegamenti con la città di Matera, in relazione al suo ruolo di «Capitale europea della cultura 2019» e con specifico riferimento al completamento dei lavori sulla linea Matera-Ferrandina,

impegna il Governo:

   ad assumere prioritariamente iniziative per:
    a) stanziare le risorse finanziarie necessarie al completamento delle opere ed alla messa in esercizio della linea ferroviaria Matera-Ferrandina, così come già quantificate nel contratto di programma 2012-2016 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-RFI ed alla relativa gestione;
    b) istituire un tavolo tecnico con le regioni Basilicata e Puglia al fine di individuare la soluzione più adeguata per poter realizzare un collegamento ferroviario a scartamento ordinario che colleghi la città di Matera alla rete ferroviaria nazionale anche sul versante pugliese;
    c) far sì che le imprese ferroviarie che oggi effettuano servizi di Alta Velocità, in particolare Trenitalia, procedano da subito con l'introduzione di almeno due coppie di servizi Taranto-Ferrandina-Potenza-Salerno-Napoli-Roma, effettuati con materiale rotabile Alta Velocità (Freccia Argento o FrecciaRossa), nelle fasce orarie di maggior interesse, prevedendo l'interscambio a marciapiede tra treno e bus a Ferrandina scalo, anche promuovendo la compartecipazione finanziaria regionale di Basilicata e Puglia.
(7-01042) «Tullo, Antezza, Bruno Bossio, Speranza».


   La IX Commissione,
   premesso che:
   la situazione del settore del trasporto ferroviario nella regione Basilicata presenta una serie di gravi profili di criticità che lo rendono uno dei più arretrati del Paese. Secondo il report Pendolaria di Legambiente, tra il 2010 e il 2015, si è registrato un taglio ai servizi ferroviari del 18,9 per cento mentre l'età media dei treni in servizio è una delle più alte (23,7 anni);
   da vari decenni gli investimenti nella regione si sono infatti concentrati più sullo sviluppo del trasporto su gomma a discapito di un settore cruciale per i trasporti e della logistica come quello ferroviario, per di più in un contesto come quello Mediterraneo dove gli scambi sono in grande crescita;
   in particolare, la città di Matera vive una condizione di isolamento rispetto al sistema ferroviario nazionale, in quanto è collegata ad un'unica linea (Bari-Matera) peraltro a scartamento ridotto;
   una situazione alquanto paradossale se si pensa che la città di Matera è stata nominata quale capitale europea per il 2019, un alto riconoscimento che rappresenterà un grande volano per la crescita turistica, economica e culturale per tutta la regione, che rischia però di essere vanificato dallo stato di arretratezza del sistema trasportistico locale e dalla cronica mancanza di investimenti che vengono spesso annunciati piuttosto che effettivamente realizzati;
   si fa riferimento, in particolare, alla firma del cosiddetto patto per la Basilicata, siglato tra il Governo e la regione Basilicata nel maggio 2015. Ma, come evidenziato anche dalle manifestazioni di protesta di Sinistra Italiana davanti al Teatro Duni di Matera – sede della firma del patto – ancora una volta non si interviene proprio sul tema trasporti che viene lasciato da palazzo Chigi e dalla regione alla mercé di decisioni che appaiono incomprensibili;
   lo stesso presidente Renzi, in occasione del convegno dei giovani di Confindustria, lo scorso giugno, ha ammesso la gravità della mancanza dei collegamenti ferroviari da e per Matera, cosa ancor più grave vista la latitanza decisionale dello stesso Governo su questo versante;
   neanche bastano quelli che sembrano veri e propri espedienti insufficienti come l'istituzione del collegamento Freccialink (navetta a mezzo autobus) introdotto di recente tra Salerno e Matera, che da un lato dimostrano, per gli interroganti, la miopia dei decisori, dall'altro, confermano la forte domanda di collegamenti veloci sul quadrante;
   Matera e la Basilicata hanno bisogno di altro in termini ferroviari. In generale, Matera va inserita prioritariamente e senza ulteriori indugi all'interno dell'anello ferroviario meridionale dell'alta velocità Napoli-Salerno-Potenza-Taranto-Bari-Napoli. Più che il seppur legittimo completamento della tratta Ferrandina-Matera e dei lavori sulla tratta a scartamento ridotto Matera-Bari, vi è estremo bisogno di concentrare seri sforzi di investimento, da individuare anche nel prossimo aggiornamento del contratto di programma 2012-2016 – parte investimenti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società Rete ferroviaria italiana Spa, su un collegamento veloce tra Bari e Matera, su un collegamento tra Gioia del Colle e Matera e anche sul collegamento, non a mezzo autobus, ma a mezzo treno, tra Salerno e Matera;
   solo in questo modo si riporta al centro degli scambi l'importante città di Matera e una regione così importante per lo sviluppo del Mezzogiorno come la Basilicata;
   ancora di recente Ferrovie dello Stato ha stanziato 4,5 miliardi di euro per una delle commesse più grandi mai stanziate per treni regionali. Treni che potrebbero essere utilizzati proprio per la Basilicata,

impegna il Governo

a mettere in campo, per quanto di competenza una strategia urgente ed efficace per lo sviluppo del sistema dei trasporti ferroviari della Basilicata da attuarsi entro il 2019, data di avvio dell'anno di Matera quale città europea per la cultura, con particolare riferimento al completamento della linea Ferrandino-Matera-La Matera e all'istituzione di collegamenti veloci tra Matera e Bari, Matera e Gioia del Colle e Matera-Potenza-Salerno.
(7-01044) «Folino, Franco Bordo».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    in data 15 aprile 2015, la multinazionale finlandese Nokia, produttrice di apparecchiature per telecomunicazioni, ha annunciato di aver acquisito, per 15,6 miliardi di euro, l'azienda franco-americana Alcatel-Lucent. L'operazione è stata strutturata per far nascere un gruppo in grado di competere, nei settori delle infrastrutture di rete, delle centraline e delle antenne per le comunicazioni cellulari a livello mondiale, con il colosso cinese Huawei e con quello svedese Ericsson;
    in Italia, l'azienda ha la sua sede principale a Vimercate (MB), dove sono ospitati gli headquarter e i principali laboratori relativi agli apparati di trasmissione radio a microonde, e altri centri di ricerca e sviluppo a Battipaglia (SA) e Rieti, mentre a Trieste è attivo uno stabilimento di produzione;
    in una nota del 21 giugno 2016 della Fiom nazionale pervenuta agli interroganti, lo stesso sindacato dichiarava che:
     Nokia e Alcatel-Lucent, da gennaio 2016 operano con un'unica organizzazione, seppure ancora con entità legali distinte;
     il 6 aprile 2016, ai comitati aziendali europei, il vertice della multinazionale ha presentato un piano di ristrutturazione che prevede circa 219 esuberi in Italia su 1.400 addetti complessivi;
     complessivamente, a livello europeo gli esuberi annunciati sono circa 4.300 su un totale di 34.400 addetti;
     la gran parte degli addetti italiani è concentrata nelle sedi di Vimercate (MB) e Cassina de Pecchi (MI), che quindi vedranno la gran parte degli esuberi; nei prossimi mesi è previsto il trasferimento degli addetti di Cassina de Pecchi a Vimercate;
     gran parte degli esuberi annunciati per l'Italia non derivano da sovrapposizioni di funzioni tra le due società che si stanno unificando, ma dalla decisione di delocalizzare in Paesi a basso costo, sia europei che extra-europei, tutte le attività «remotizzabili», siano esse di supporto ai clienti, gestionali, o di altro tipo;
     entrambe le aziende, Alcatel-Lucent Italia e Nokia Italia, hanno svolto negli scorsi anni pesanti piani di ridimensionamento, prima con uscite volontarie e cassa integrazione per i dipendenti e cessioni di rami d'azienda, e poi con licenziamenti;
     in particolare, Alcatel-Lucent ha effettuato 19 licenziamenti a ottobre 2015, al termine di un periodo di cassa integrazione in deroga. L'azienda si è mostrata irremovibile anche rispetto all'intervento dell'onorevole Bellanova, allora sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
     la realtà italiana dell'azienda non è ad oggi in stato di crisi, per quanto attiene ai dati di bilancio dichiarati;
     sono in fase di approvazione o già approvati finanziamenti ad Alcatel-Lucent da parte della regione Lombardia (1,6 milioni di euro) e da parte del Ministero dello sviluppo economico, a sostegno delle attività di ricerca e sviluppo, attività che riguardano in Italia circa 250 addetti della sede di Vimercate;
     va tenuto conto che l'azienda, operando nel campo delle telecomunicazioni, potrebbe, direttamente o indirettamente, beneficiare dei bandi pubblici per la banda ultra-larga recentemente avviati;
    la nota sopraindicata della Fiom, continua indicando lo stato della trattativa tra azienda, istituzioni e sindacati, indicando che:
     si sono svolti tre incontri presso il Ministero dello sviluppo economico, in cui finora  l'azienda non ha fornito alcun piano industriale ma ha confermato sostanzialmente il numero degli esuberi e che un nuovo incontro era programmato per il 28 giugno 2016;
     pur non essendo ancora entrati nel merito specifico dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali, il sindacato Fiom ha fondati motivi di ritenere che l'azienda intenda ripercorrere la strada del recente passato, e cioè quella di individuare nominalmente i lavoratori da espellere, sottoponendoli a lunghi periodi di cassa integrazione a zero ore (quindi con l'allontanamento dall'attività professionale svolta) e successivamente l'uscita del lavoratore con l'accettazione della collocazione in mobilità o con il licenziamento vero e proprio. Infatti, la direzione aziendale ribadisce e conferma ad ogni occasione il rifiuto dell'utilizzo degli strumenti che dovrebbero essere prioritari, quali i contratti di solidarietà e la cassa integrazione a rotazione;
    in una nota del 10 giugno 2016 della Fim Cisl di Monza e Brianza, riguardante l'incontro tenutosi al Ministero dello sviluppo economico il 17 giugno 2016 sulla situazione degli esuberi Nokia/Alcatel-Lucent, veniva ribadita la necessità di un intervento diretto e più incisivo del Governo sulla vicenda. Si sottolineava che il rappresentante del Ministero avesse dichiarato che il Ministro Calenda, stava cercando di incontrare il CEO di Nokia ed era disposto, se necessario, ad andare in Finlandia per velocizzare i tempi dell'incontro. Il sindacato riteneva inoltre che fosse importante l'intervento del Governo sui vertici della multinazionale per contribuire alla riduzione degli esuberi in Italia, magari portando nuove attività anche a fronte degli investimenti sulla banda larga. La nota proseguiva ritenendo contraddittorio il fatto che, pur avendo ricevuto finanziamenti pubblici dalla regione e dal Ministero dello sviluppo economico, l'azienda avesse presentato una dichiarazione di esuberi, considerando che i fondi elargiti dalle istituzioni avrebbero dovuto essere finalizzati anche a ridurre l'impatto sulle eccedenze annunciate;
    dalla Fim veniva poi ricordato come si era chiuso l'ultimo piano di ristrutturazione di Alcatel-Lucent, che ha visto il licenziamento unilaterale di 19 persone rimaste in eccedenza. Tra questi, due lavoratori, la cui vicenda viene indicata nei paragrafi sottostanti, che nonostante abbiano impugnato il licenziamento ottenendo il reintegro, sono state nuovamente licenziate;
    in data 6 ottobre 2015, tramite lettera sono stati licenziati da Alcatel-Lucent Italia S.p.a. una lavoratrice ed un lavoratore dell'azienda, con la motivazione che le attività cui erano addetti non erano più previste all'interno della società e che non sussistevano, nell'attuale organizzazione aziendale, altre posizioni ove potessero essere impiegati, nemmeno in mansioni e livello inferiore di inquadramento. I lavoratori in oggetto hanno presentato ricorso legale accolto per il primo lavoratore in data 30 marzo 2016 e per la seconda lavoratrice in data 22 aprile 2016, entrambi con sentenze sostanzialmente identiche;
    nel dettaglio, per il primo lavoratore veniva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dall'azienda nei suoi confronti; condannava Alcatel-Lucent a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro e a corrispondergli, a titolo risarcitorio, un'indennità pari alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla effettiva reintegrazione e comunque nel limite di dodici mensilità; condannava l'azienda al versamento dei relativi contributi previdenziali ed assistenziali; condannava l'azienda a rimborsare al lavoratore le spese di lite, liquidate in complessive euro 3.000,00;
    per la seconda lavoratrice veniva dichiarata l'illegittimità del licenziamento intimato da Alcatel-Lucent Italia S.p.a. nei suoi confronti e si ordinava all'azienda la sua immediata reintegra nel posto di lavoro con il medesimo inquadramento, le stesse mansioni o in mansioni equivalenti; era inoltre condannata l'azienda a risarcire alla lavoratrice il danno determinato nell'indennità mensile di euro 2.681,75, da corrispondere dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegra, oltre interessi e rivalutazione dal licenziamento al saldo effettivo, nonché a versare i contributi di legge per l'intero periodo di avvenuta interruzione del rapporto di lavoro; si condannava anche l'azienda a rimborsare alla lavoratrice le spese di lite che si liquidavano in complessivi euro 5.000,00 oltre accessori;
    in data 4 maggio 2016, Alcatel-Lucent inviava alla lavoratrice una raccomandata dove l'azienda indicava che stava provvedendo a trasmettere presso l'abitazione della signora i fogli paga in via di elaborazione e a corrispondere la retribuzione a lei spettante. Veniva indicato anche che, avverso l'ordinanza in oggetto, l'azienda si accingeva a proporre ricorso, depositato poi in data 23 maggio 2016 per entrambe le sentenze in oggetto;
    in data 6 maggio 2016, Alcatel-Lucent inviava ai due lavoratori una raccomandata dove indicava che manifestava l'intenzione di risolvere comunque il rapporto di lavoro dei suddetti signori per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 604 del 1966. L'azienda si dichiarava disponibile da subito a ricercare eventuali misure di assistenza in favore dei dipendenti e precisava di essere disponibile ad offrire, in ipotesi di non opposizione al licenziamento, un importa titolo di incentivo all'esodo, chiedendo che venisse attivata la procedura innanzi alla commissione di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile. Sempre l'azienda, specificava poi che, salvo diverso esplicito accordo scritto, la comunicazione del licenziamento avrebbe prodotto effetti dalla ricezione della raccomandata in oggetto come previsto dall'articolo 1, comma 41, della legge n. 92 del 2012, considerando il periodo dalla ricezione della missiva fino alla definizione della procedura, come preavviso di licenziamento;
    i lavoratori in oggetto, hanno da subito rigettato ogni proposta alternativa dell'azienda, chiedendo che fossero applicate, nella totalità, le sentenze emesse dal  tribunale di Milano nei loro confronti;
    vi sarebbero, a quanto risulta agli interroganti, altri 5 lavoratori di Alcatel-Lucent che, per il licenziamento da loro ritenuto per ingiusta causa, che avrebbero fatto ricorso e che allo stato attuale avrebbero in attesa di sentenza,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative urgenti, per quanto di competenza, affinché la società Nokia/Alcatel-Lucent non attui la riduzione di personale annunciata con misure traumatiche e contemporaneamente non benefici di erogazioni pubbliche a fondo perduto;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza, nell'ambito degli interventi tesi a salvaguardare i livelli occupazionali, volta a ridurre i motivi di conflittualità tra azienda e dipendenti e ad evitare che si possano ripetere casi come quelli dei lavoratori indicati in premessa.
(7-01040) «Tripiedi, Dall'Osso, Cominardi, Ciprini, Lombardi, Chimienti, Pesco, Alberti, Paolo Nicolò Romano, Toninelli, Villarosa, De Rosa, Baroni, Micillo, Mannino, Massimiliano Bernini, Mantero, Grillo, Silvia Giordano, Gagnarli, Busto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nell'edizione del 20 giugno 2016, del Corriere dell'economia, a pagina 11, è stato pubblicato un articolo dal titolo «Cessioni 2016, nei piani entra anche un pezzetto di Cdp», nel quale, in merito al programma di privatizzazioni avviato dal Governo, si fa riferimento alla presunta cessione di una quota di Cassa depositi e prestiti;
   in particolare si legge che «Come far tornare i conti sulle privatizzazioni, raggiungendo l'obiettivo di 8 miliardi previsto per il 2016, ora che la quotazione di Fs è slittata ? Vendendo pezzetti di altre imprese pubbliche appetibili non quotate che possano piacere al mercato, magari per 1-1,5 miliardi di entrate. Fra le altre, per esempio, una fetta della Cassa depositi e prestiti»;
   nell'articolo si sostiene che «il progetto di aprire il capitale di Cdp è informalmente al vaglio del ministero del Tesoro guidato da Pier Carlo Padoan. Nulla di deciso, ancora: l'operazione è delicata. Ma le idee sono chiare»;
   a rafforzare l'ipotesi sostenuta nell'articolo, viene riferito del recente conferimento a cassa depositi e prestiti del 35 per cento a CDP del 35% di Poste Italiane che, secondo quanto si legge, avrebbe rafforzato entrambe le società, e porterà la quota del Ministero dell'economia e delle finanze in cassa depositi e prestiti dall'80,1 per cento all'82,8 per cento, mentre la partecipazione delle Fondazioni passerebbe dal 18,4 per cento al 15,9 per cento, circostanza che, secondo l'articolista, metterebbe il Ministero nelle condizioni di cedere una parte della propria quota;
   quanto affermato nell'articolo acquista una straordinaria rilevanza sia per la gravità delle implicazioni e delle conseguenze negative che una cessione, seppure di una quota, dell'istituto potrebbe avere sui risparmiatori italiani sia per le modalità dell'operazione che, per come è stata presentata, sarebbe gestita con estrema riservatezza;
   è il caso di rilevare che cassa depositi e prestiti è un istituto che, per buona parte della sua storia, si è occupato della raccolta dei depositi quale «luogo di fede pubblica» e del finanziamento degli enti pubblici;
   Cassa depositi e prestiti gestisce attualmente 252 miliardi di euro in risparmi postali, tra buoni fruttiferi e libretti di risparmio, collocati da Poste italiane attraverso gli oltre 14 mila uffici dislocati su tutto il territorio nazionale;
   questa disponibilità finanziaria dovrebbe essere gestita con uno scrupoloso sistema di tutele a garanzia dei piccoli risparmiatori che rappresentano la struttura portante dei depositi, viceversa a partire dal 2003, con la separazione dallo Stato e la trasformazione dell'istituto in società per azioni, si è assistito a un progressivo spostamento di Cassa depositi e prestiti verso ambiti di attività, di credito e di portafoglio, che potrebbero mettere a rischio la solidità dell'istituto;
   lo stesso avvicendamento del presidente e dell'amministratore delegato con due esponenti espressione del mondo bancario privato e della finanza rafforzerebbe secondo gli interpellanti l'ipotesi di un ampliamento del perimetro di interessi di Cassa depositi e prestiti verso i settori bancario e finanziario;
   negli ultimi anni Cassa depositi e prestiti, anche attraverso l'ex Fondo strategico italiano, ha posto in essere alcune operazioni di acquisizione e di cessione dimostrando, tra le altre cose, un grande interesse per i fondi sovrani con alcuni dei quali partecipa ad importanti operazioni d'investimento: nel 2014, Fondo strategico italiano e Kuwait Investment Authority hanno costituito FSI Investimenti spa;
   il 31 marzo 2016, Cassa depositi e prestiti ha annunciato la riorganizzazione delle attività del Fondo strategico italiana spa, che assume la nuova denominazione di CDP Equity spa a cui si è aggiunta la costituzione di FSI SGR con l'obiettivo, si legge nel comunicato di Cassa depositi e prestiti di «supportare i piani di crescita di aziende medio-grandi con significative prospettive di sviluppo anche attraverso l'attrazione di capitali esteri e privati»;
   tra le altre cose, la Cassa depositi e prestiti partecipa con 500 milioni di euro ad Atlante, fondo creato di recente dal Governo e da alcune banche per acquistare i crediti deteriorati a prezzi analoghi a quelli ai quali le banche li hanno in carico;
   secondo alcuni organi di stampa, dopo che il fondo avrebbe già speso, in poche settimane, 2,5 dei 4,2 miliardi di euro della sua dotazione per acquisire Popolare Vicenza e Veneto Banca, considerate sull'orlo del fallimento, si renderebbe necessaria una ricapitalizzazione pari a 5 miliardi di euro e Cassa depositi e prestiti, sempre secondo quanto sostengono alcuni organi di stampa, potrebbe essere sollecitata ad un nuovo apporto di capitali;
   da quanto esposto, emergerebbe una situazione controversa nella quale la notizia, peraltro non smentita, della cessione di una quota di Cassa depositi e prestiti richiederebbe un intervento chiarificatore a tutela soprattutto i nuovi ambiti di attività di Cassa depositi e prestiti che potrebbero aumentare gli elementi di rischio per i risparmiatori –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alle ipotesi formulate da organi di stampa su una presunta cessione di una quota di Cassa depositi e prestiti;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla necessità di rafforzare gli strumenti di tutela e garanzia dei risparmi postali gestiti da Cassa depositi e prestiti, in considerazione dei rischi cui potrebbero essere esposti i risparmi dai nuovi ambiti di attività dell'istituto.
(2-01419) «Vallascas, Cancelleri, Crippa, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRACCARO, BATTELLI, BARONI, PETRAROLI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione dell'articolo 67, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, del piano d'azione pluriennale 2009-2013 in materia di giustizia elettronica europea del Consiglio dell'Unione europea e della risoluzione del Parlamento europeo del 9 luglio 2008 sono state approvate le «Conclusioni del Consiglio che invitano all'introduzione dell'European Case Law Identifier (ECLI) e di una serie minima di metadata uniformi per la giurisprudenza» (2011/C 127/01);
   la Commissione europea ha recentemente lanciato sul «Portale europeo della giustizia» (e-Justice Portal) il motore di ricerca consultabile in italiano «Identificatore europeo della giurisprudenza (European Case Law Identifier – ECLI) che si prefigge di raccogliere tutte le informazioni sul sistema legale europeo, sulla Corte di giustizia europea, sull'Ufficio europeo dei brevetti e sulla giurisprudenza dei Paesi dell'Unione europea, nonché le sentenze e i pareri giurisprudenziali degli Stati membri;
   come si legge sullo stesso sito, il motore di ricerca è stato ideato allo scopo di facilitare il riferimento corretto ed inequivocabile a sentenze in materia di diritto dell'Unione europea emesse da organi giurisdizionali europei e nazionali, poiché è stato ritenuto sempre più importante accedere facilmente alle decisioni giudiziarie di altri Stati membri per rafforzare il ruolo del giudice nazionale di applicazione e difesa del diritto dell'Unione. La ricerca e la citazione di sentenze di altri Stati membri sono infatti seriamente ostacolate dalle differenze tra sistemi nazionali di identificazione della giurisprudenza, tra regole di citazione e campi tecnici che descrivono i contenuti di una sentenza;
   l'ECLI è un identificatore uniforme recante lo stesso formato riconoscibile per tutti gli organi giurisdizionali dell'Unione e degli Stati membri ed è composto da cinque elementi obbligatori: 1) la dicitura «ECLI»: per definire l'identificatore come identificatore europeo della giurisprudenza; 2) il codice del Paese; 3) il codice dell'organo giurisdizionale che ha emesso la sentenza; 4) l'anno in cui la sentenza è stata emessa; 5) un numero ordinale sino ad un massimo di 25 caratteri alfanumerici, in un formato concordato da ciascuno Stato membro;
   è indubbio che l'insieme di metadati uniformi potranno contribuire a migliorare gli strumenti di ricerca in campo giurisprudenziale e ad agevolare l'attività di avvocati, notai, giudici, ma anche la navigazione all'interno di tutta la giurisprudenza europea e nazionale ad associazioni e privati cittadini. Grazie al sistema dell'ECLI, basterà infatti una sola ricerca attraverso un'unica interfaccia che utilizza un identificatore unico, per trovare tutte le occorrenze della pronuncia in tutte le banche dati nazionali e transnazionali che vi partecipano;
   ogni Stato membro che adotta l'ECLI è tenuto a nominare un organismo governativo o giudiziario a titolo di coordinatore nazionale ECLI. Questa figura è responsabile della definizione dell'elenco di codici identificativi degli organismi giurisdizionali partecipanti, della pubblicazione della struttura del numero ordinale e di tutte le ulteriori informazioni pertinenti per il funzionamento del sistema dell'ECLI. Spetta altresì a ciascuno Stato membro decidere se e in che misura utilizzare il sistema dell'ECLI, ad esempio se con o senza applicazione retroattiva ad archivi storici, o il numero delle istanze partecipanti (ad esempio, solo a livello di organi di ultima istanza o tutti gli organi giurisdizionali, e altro);
   attualmente gli Stati membri ad aver messo a disposizione e uniformato i propri database al nuovo motore di ricerca sono Francia, Spagna, Paesi Bassi, Slovenia, Germania, Repubblica Ceca e Finlandia. La procedura per l'inserimento dei database della giurisprudenza italiana risulta ancora «in fase di elaborazione» –:
   se il Governo abbia nominato un organismo coordinatore nazionale ECLI e se sia stato predisposto un piano di attuazione per definire modalità e tempistiche per l'adozione dell'identificatore europeo della giurisprudenza (European Case Law Identifier). (5-09060)


   GASPARINI, CASATI e MAURI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto Milano-Bresso «Franco Bordoni Bisleri» è collocato in una delle aree più popolose della città metropolitana di Milano, e all'interno del più grande parco pubblico d'Europa: il Parco Nord;
   l'aeroporto opera sotto la giurisdizione della direzione aeroportuale Lombardia dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac);
   l'Enac disciplina l'accesso e la circolazione attraverso proprie ordinanze e, nello specifico con l'ordinanza n. 3 del 2011 del 15 novembre 2011 tutt'ora vigente e, dal 15 giugno 2016, con l'ordinanza n. 7 del 2016 che regolamenta lo scalo di Bresso che entrerà in vigore il 1o luglio 2016;
   con la recente ordinanza l'aeroporto viene aperto al traffico comunitario civile di aviazione generale e aerotaxi per velivoli, aeromobili ed elicotteri ed è possibile l'effettuazione di servizi aerotaxi senza limitazioni rispetto al numero di posti;
   il regolamento di scalo adottato da Enac disattende per gli interroganti quanto contenuto nel Protocollo d'intesa del 31 luglio 2007, sottoscritto da Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia provincia di Milano, Consorzio Parco Nord Milano, comuni di Bresso, Cinisello Balsamo e Milano laddove è stabilito che si intende adottare un programma di interventi «al fine di assicurare i necessari livelli di sicurezza del aeroporto strettamente connessi e funzionali al traffico attuale, escludendo opere o interventi che configurino un potenziamento delle capacità di traffico» (articolo 32 dell'intesa);
   il prefetto di Milano ha rilevato le inadeguate misure di sicurezza dell'aeroporto e con decreto prefettizio del 22 marzo 2016 ha regolato le attività di volo in arrivo e in partenza dallo scalo per garantire la tutela della sicurezza pubblica;
   al confine Est dell'aeroporto è presente il sito demaniale che ospita provvisoriamente un centro di accoglienza di migranti gestito dalla CRI;
   Il consiglio comunale di Bresso, alla presenza di rappresentanti di Enac il 25 maggio 2016 ha votato all'unanimità il mandato al sindaco per farsi promotore presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il prefetto di Milano ed Enac affinché l'aeroporto di Bresso rimanga una scuola per piloti e uno spazio per piccoli aerei a turismo, evidenziando anche la preoccupazione delle popolazioni dei comuni limitrofi all'area dell'aeroporto «per la presenza di una pista di atterraggio di dimensioni ridotte e di un sistema di sicurezza e antincendio non adatto a voli di dimensioni elevate»  –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per garantire l'attuazione del protocollo di cui in premessa e la sicurezza delle comunità locali facendo rispettare l'impegno preso di non potenziare il traffico nell'aeroporto;
   se intenda convocare i sottoscrittori del protocollo d'intesa del 31 luglio 2007, sopra richiamato per verificare la sua attuazione e per rimuovere gli ostacoli che ne ritardano l'attuazione;
   se intenda assumere iniziative per prevedere fin da subito speciali limitazioni di volo per l'aeroporto di Bresso per garantire la sicurezza dei cittadini e il minor impatto possibile dal punto di vista ambientale in un'area come quella dei comuni di Milano/Niguarda, Bresso e Cinisello Balsamo tra le più urbanizzate e abitate d'Italia. (5-09063)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle giornate di sabato 2, domenica 3 e lunedì 4 luglio 2016 la Sardegna è stata duramente colpita da incendi presumibilmente di natura dolosa che hanno distrutto non meno di 6.000 ettari dal centro al sud dell'isola;
   la gestione degli eventi criminali ha fatto emergere in modo chiaro e netto previsioni di rischio incendi totalmente sbagliate, assenza totale di coordinamento sui territori, forestali in trincea senza alcun supporto operativo di coordinamento, volontari sul fronte ma anch'essi abbandonati sul campo;
   i mezzi aerei sono risultati in ritardo ovunque, per sottovalutazione o per dislocazione non corretta ed equilibrata;
   le migliaia di ettari di bosco e non solo rasi al suolo dalle fiamme negli ultimi due giorni sono certamente il risultato di «mani criminali» ma anche di una disorganizzazione rilevante nella catena di comando;
   quando ancora la conta dei danni è in corso emerge una vera e duplice piaga: ritardi e disorganizzazione;
   emerge in modo inequivocabile dai contatti sul campo e dai risultati che le fiamme sono riuscite a passare da una parte all'altra dei territori senza trovare un argine sufficiente alla loro corsa distruttiva;
   si registra il ritardo dei mezzi aerei, dislocati in posizione non baricentrica e soprattutto insufficienti, considerato che sono arrivati dal continente solo con ore di ritardo;
   il Governo non deve perdere altro tempo, deve dichiarare subito lo stato d'emergenza e di calamità per la piaga degli incendi in Sardegna;
   occorre disporre immediatamente per tutte le giornate a rischio l'ausilio dei canadair «armati», ovvero carichi d'acqua e in volo di pattugliamento, in modo tale da cancellare i ritardi e intervenire tempestivamente sul primo focolaio;
   non si può continuare a latitare su temi come la protezione civile mettendo a rischio boschi e vite umane;
   un esordio così nefasto per la campagna antincendi non ha precedenti;
   si tratta di ritardi inauditi per far arrivare i mezzi aerei dalla Sicilia, senza nessuna allerta sul territorio e, con una pianificazione dell'allerta rischio con troppe falle, a partire dalle aree più colpite, Sedilo e Uta;
   è indispensabile che chi di dovere se ne assuma la responsabilità e ne tragga le conseguenze;
   dal fonogramma del rischio incendi per la giornata del 4 luglio diramato dalla presidenza della regione emerge un dato evidente e grave: sull'area di Sedilo era stata prevista un'allerta media alla pari dei 2/3 della Sardegna, ovvero incendio già innescato da gestire con mezzi ordinari ed eventualmente mezzi aerei leggeri della regione;
   previsione totalmente sbagliata, considerato che le fiamme del giorno prima erano state rilevantissime e tutti sapevano che vi era un gravissimo pericolo di ripresa del fuoco durante la notte;
   evento che si è puntualmente verificato visto che da Ottana sabato sera si segnalavano lingue di fuoco altissime sul fronte opposto a quello della mattina;
   stessa grave situazione ad Uta, nel quadrante a cavallo tra Y e V della mappa dei rischi; secondo la protezione civile regionale, per la giornata di ieri sarebbero state sufficienti le sole forze di terra e non servivano pattuglie di controllo o né serviva allertare le squadre;
   tutto questo quando invece sulla stessa zona le fiamme avevano già colpito il giorno precedente e quindi a maggior ragione avrebbero dovuto aumentare i controlli e il presidio attivo;
   non c’è stata nessuna allerta con il risultato di aziende cancellate dalle fiamme, migliaia di ettari percorsi dalle fiamme, canadair arrivati con notevole ritardo da Trapani;
   errori madornali che non sono frutto di causalità ma di errate valutazioni della reale situazione, visto che vi erano evidenti presupposti per quel che poi si è drammaticamente verificato;
   per questa ragione oltre ad una stagione partita con un ritardo strutturale, basti pensare all'approvazione da parte della giunta regionale del piano antincendio a metà giugno 2016, si registra un problema evidente: assenza di coordinamento tra quanto si pianifica e quanto accade sul territorio;
   a tutto questo si aggiunge che il calendario con lo schieramento dei mezzi della protezione civile nazionale evidenziano la presenza di soli 2 canadair ad Olbia sino al 7 luglio;
   non c’è nessuna indicazione certa per il dopo;
   i mezzi sono insufficienti e soprattutto non dislocati in modo baricentrico e omogeneo;
   a questo si aggiunge che sono spariti gli elitanker che negli anni in cui furono impiegati in Sardegna, come facilmente dimostrabile dalle statistiche e da chi lavora nel campo, sono stati di grande aiuto;
   invece, gli elitanker S-64 sono inspiegabilmente fermi in Campania, due a Pontecagnano, ed 1+1 a Comiso (Rg);
   per questa ragione occorre l'immediata dichiarazione dello stato di emergenza e di calamità con il dispiegamento immediato di nuovi vigili del fuoco, considerato che sono sempre di più gli incendi che lambiscono e colpiscono case e persone;
   occorre attivare in pianta stabile in Sardegna la colonna mobile della protezione civile dello Stato;
   è indispensabile garantire il massimo coordinamento e il coinvolgimento dei volontari sul territorio;
   a questo si aggiungono affermazioni della protezione civile nazionale sulla disorganizzazione e sugli errori che hanno devastato la Sardegna in questi ultimi tre giorni;
   il coordinamento nazionale si assume anche la responsabilità grave delle previsioni del rischio incendio totalmente sbagliate alle quali ha fatto riferimento in una dichiarazione pubblica l'interrogante;
   si tratta di previsioni, ad avviso dell'interrogante, totalmente sbagliate nel metodo, visto che le unità locali del volontariato avevano messo in campo analisi ben più precise e scientifiche dichiarando con largo anticipo il rischio elevatissimo nelle aree poi effettivamente colpite dagli incendi;
   anziché porre rimedio a questo primo aspetto, la protezione civile, ad avviso dell'interrogante, celebra la propria efficienza benché questa volta evidentemente vi sia stato un fallimento visti i risultati: oltre 6.000 ettari in fiamme in due giorni;
   affermare che i mezzi aerei sono arrivati puntualmente significa offendere l'intelligenza di tutti coloro che da ore ne richiedevano l'intervento, così come anche una persona inesperta capirebbe che la dislocazione dei canadair non può essere solo al nord dell'isola ma necessita anche al centro e al sud;
   la risposta da parte della protezione civile sull'uso dei mezzi aerei armati d'acqua in volo è singolare se non esemplare;
   l'affermazione secondo la quale i mezzi aerei possano volare armati, ovvero carichi d'acqua, solo in occasioni straordinarie lascia comprendere la superficialità con la quale sono state fatte le scelte;
   questo vuol dire che, per la protezione civile, le condizioni di sabato e domenica non erano straordinarie e quindi si conferma che le previsioni erano tutte sbagliate e conseguentemente erano fallimentari le decisioni assunte;
   a questo si aggiunge l'affermazione inaccettabile secondo la quale questa scelta non sarebbe praticabile in condizioni di ristrettezza finanziaria: dunque, si arriverebbe al paradosso di ritenere preferibile distruggere 6.000 ettari;
   con queste affermazioni, ad avviso dell'interrogante, finiscono per risultare, dunque, leciti e sostenibili gli sprechi nei bilanci dello Stato, per esempio gli armamenti;
   l'affermazione che alla Sardegna saranno assegnati 3 canadair dopo l'8 luglio 2016 ribadisce il concetto: ritardi e superficialità;
   sorprende che la protezione civile nazionale accusi l'interrogante di non contestare chi non si occupa ordinariamente di prevenzione incendi;
   dagli atti parlamentari si può evincere quante volte le richieste e le sollecitazioni siano state avanzate anzitempo al Governo, e quante volte queste siano state eluse e ignorate;
   bene farebbe il gruppo dirigente della protezione civile a rappresentare la realtà con onestà intellettuale e aderenza ai fatti, senza coprire un Governo, a giudizio dell'interrogante inaffidabile che relega la protezione civile a quello che appare ruolo di comparsa dimenticandosi e ignorando le esigenze della Sardegna –:
   se non si ritenga di dichiarare lo stato di emergenza in relazione agli incendi di cui in premessa al fine di dislocare in Sardegna mezzi e risorse necessari a garantire la sicurezza civile e ambientale, tenendo conto della condizione insulare;
   se non si ritenga di rafforzare con urgenza gli organici dei vigili del fuoco e predisporre una colonna mobile regionale in grado di garantire autonomia rispetto all'ordinario servizio;
   se non si ritenga di dover valutare l'efficienza del servizio di prevenzione incendi, al fine di modificare e correggere gli evidenti errori riscontrati nella previsione dei rischi;
   se non si ritenga di dover disporre l'uso di canadair armati nelle giornate di maggior rischio al fine di favorire pattugliamento preventivo e rapido intervento in relazione all'eventuale pericolo di incendi. (5-09069)


   GIACOBBE, BASSO, CAMPANA, CAROCCI e TULLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 25 giugno 2016 il sindaco del comune di Carcare ha emesso l'ordinanza n. 27/2016, avente come oggetto: «Tutela sanitaria Art. 50 T.U.E.L. 267/2000», con la quale si ordina il «divieto di dimora, anche occasionale, di persone provenienti dai paesi dall'area africana o asiatica, presso qualsiasi struttura d'accoglienza, prive di regolare certificato sanitario attestante le condizioni sanitarie e l'idoneità a soggiornare». L'ordinanza si basa su una presunta relazione tra l'insorgenza di malattie infettive, l'origine etnica, la provenienza geografica;
   l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, presso la Presidenza del Consiglio (Unar) si era espresso in merito ad analoga ordinanza del sindaco del comune di Alassio del 1o luglio 2015, adottata sulla base di un presunto «accertamento di un esponenziale aumento sul territorio comunale di cittadini stranieri provenienti da diversi stati africani asiatici e sudamericani» (a fronte della destinazione di 8 profughi al territorio alassino). L'Unar, a seguito di una istanza rivolta a tale organismo da alcune organizzazioni territoriali, affermava, secondo quanto riportato dalla stampa, che questo tipo di ordinanze «sembrerebbero configurare una molestia ai sensi della legge anti discriminazione, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi di razza o di origine etnica, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo» e considerando «discriminatoria la misura di vietare a tali cittadini stranieri di insediarsi anche occasionalmente nel territorio comunale»;
   risulta che l'Unar abbia chiarito in quella occasione che la correlazione tra l'insorgenza di malattie infettive, l'origine etnica e la provenienza geografica è scorretta sul piano scientifico. È infatti esclusa in modo assoluto da tutte le statistiche e da tutti gli studi. «Al contrario si ritiene che problemi connessi alle malattie infettive, qualora effettivamente accertati, non possono essere collegati in modo esclusivo al fenomeno dell'immigrazione, bensì ad altri fattori, quali la povertà o l'emarginazione sociale, che purtroppo colpiscono, senza alcuna distinzione di nazionalità, etnia o razza, chi è costretto a vivere in condizioni igienico sanitarie precarie»;
   inoltre, l'Unar ha allegato, alla lettera inviata al sindaco di Alassio, un rapporto curato dal dirigente medico superiore della Polizia di Stato, Fabrizio Cipriani, dove si sottolinea che i dati ufficiali «permettono di affermare che i migranti che arrivano sulle nostre coste sono sostanzialmente in buona salute, anche se provati dal viaggio». E che, comunque alla «presenza di eventuali patologie è possibile far fronte seguendo le ordinarie regole igieniche»;
   l'Unar fece sapere al sindaco di Alassio che la correlazione impropriamente formulata nell'ordinanza – anche dando per scontato che essa fosse stata emanata per reali preoccupazioni per la salute pubblica – configura uno di quei comportamenti discriminatori vietati dalla cosiddetta «legge Turco Napolitano» del 1998 e dal decreto legislativo emanato nel 2003 in attuazione della direttiva europea sulla parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla razza o dall'origine etnica. «Resta salva – così si conclude la missiva del direttore dell'Unar – la possibilità per le vittime di discriminazione di agire in giudizio ai sensi dell'articolo 44 del Decreto legislativo 286 del 1998»;
   sull'asserita emergenza sanitaria invocata per giustificare l'adozione di quel provvedimento, è a suo tempo intervenuta anche la ALS 2 Savonese, dichiarando che «secondo il protocollo del 25 giugno, i migranti, oltre ad una prima visita al momento dello sbarco, quando giungono in provincia di Savona vengono visitati nella sede Asl di via Scarpa e successivamente indirizzati verso le strutture di accoglienza, dove viene comunque assegnato loro un medico»;
   sul medesimo tema si è espressa anche l'organizzazione umanitaria medica internazionale indipendente Medici Senza Frontiere che ha analizzato e argomentato le ragioni per cui una richiesta di questo tipo appare inconsistente e del tutto pretestuosa, oltre che sproporzionata rispetto alla situazione;
   in generale, l'afflusso di richiedenti protezione internazionale sul territorio italiano non ha generato nel presente o nel passato emergenze sanitarie ed essi sono tutelati dal servizio sanitario nazionale, e dall'Asl attraverso i medici di base e le strutture territoriali che – con la loro azione quotidiana – garantiscono la salute dei singoli e, più in generale, quella pubblica;
   il Ministero della salute, di concerto con gli altri attori implicati, ha predisposto già dal 2011, una serie di misure di sorveglianza sanitaria, messe in atto allo sbarco e nei centri di accoglienza, volte proprio a tutelare la salute pubblica, oltre che quella del migrante stesso. L'analisi dei dati di sorveglianza sanitaria raccolti dal 2011, non ha evidenziato alcun elemento che deponga per un'emergenza sanitaria;
   come è stato recentemente sottolineato anche dalla Caritas e dell'Arci di Savona, le modalità con cui è organizzata la destinazione e l'accoglienza dei profughi sono determinanti al fine di realizzare un inserimento sociale ed un impatto sul territorio non negativo, essendo consapevoli dei problemi e delle criticità che possono nascere, e che tali problemi non possano essere prevenuti o tantomeno risolti con provvedimenti basati su asserite e indimostrate esigenze sanitarie;
   le stesse organizzazioni hanno esortato le istituzioni, ai vari livelli, ad intervenire, da un lato evitando provvedimenti discutibili e pretestuosi, e dall'altro a gestire il sistema di accoglienza con regole che permettano realmente l'integrazione dei rifugiati nelle città;
   le associazioni di volontariato e le imprese del Terzo settore agiscono quotidianamente, anche nel territorio in questione, «per favorire un'accoglienza integrata con i territori e diffusa, ricercando la collaborazione degli enti locali, creare occasioni di inserimento ed integrazione, utili per chi viene accolto e per le comunità, costruendo contesti utili a evitare inutili allarmismi e situazioni di isolamento e disagio»;
   il modello di accoglienza condiviso dall'Anci (Associazione Nazionale Comuni d'Italia), attraverso la partecipazione diretta degli enti locali, permette di realizzare un'accoglienza diffusa e monitorata in armonia con le differenti comunità;
   l'esperienza che si è riscontrata anche nel territorio savonese conferma che una risposta responsabile e aperta degli enti territoriali e delle organizzazioni sociali può creare le condizioni per diminuire una modalità di accoglienza secondo la logica emergenziale, e quindi portatrice di maggiore disagio nella popolazione residente;
   quanto all'uso dell'ordinanza, il potere sindacale dovrebbe limitarsi a prefigurare misure che assicurino il rispetto di norme dalla cui violazione possono derivare gravi pericoli per l'ordine pubblico e per la sicurezza pubblica; il potere di ordinanza non può essere usato in forma discriminatoria –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto citato in premessa e se non ritenga di dover assumere iniziative di competenza affinché non si verifichino nuovi casi di comportamenti discriminatori come quelli sopra evidenziati;
   quali iniziative si intendano assumere per dare indicazioni precise per la gestione di situazioni di emergenza come quelle di cui in premessa e per fornire alle popolazioni, gli strumenti informativi utili a rassicurare sulla reale situazione relativamente alle garanzie esistenti per la salute pubblica;
   quali ulteriori iniziative si intendano realizzare per garantire l'accoglienza diffusa dei profughi in strutture adeguate e con il necessario sostegno alle comunità locali. (5-09085)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nel comprensorio ternano-amerino, in provincia di Terni, è stato redatto il progetto definitivo dell'acquedotto «Sistema acquedottistico Ternano-Amerino – captazione risorsa e realizzazione adduttrice di collegamento con l'acquedotto della città di Terni, in corrispondenza del serbatoio di località Pentima», che prevede la captazione di una nuova risorsa idropotabile nei comuni di Scheggino e Ferentillo da addurre al serbatoio di Pentima (Terni);
   tale opera è da intendersi come un adeguamento del progetto Scheggino-Pentima redatto nel 2004 che rientrava tra gli interventi urgenti e necessari per fronteggiare la crisi idrica che ha colpito l'Umbria, previsti dall'articolo 2, comma 1, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3230 del 2012, ed approvato con ordinanza del presidente della giunta regionale del 26 novembre 2002, n. 126;
   l'opera non fu realizzata poiché le dimensioni del finanziamento regionale assegnato e dell'investimento richiesto al gestore del servizio idrico, SII s.c.p.a., non erano compatibili con la capacità di quest'ultimo di accesso al credito;
   l'intervento fu pertanto rinviato in attesa di migliori condizioni finanziarie tali da mantenere la sostenibilità della tariffa. La recente assegnazione da parte della regione Umbria di una significativa integrazione all'originale cofinanziamento ha comportato il venire meno di quelle criticità finanziarie che avevano portato alla sospensione del progetto;
   dal rinvio dell'opera ad oggi sono trascorsi 11 anni, e 13 ne sono passati dalla ha proclamazione dello stato di emergenza per la crisi dell'approvvigionamento idrico, motivo della prima stesura del progetto approvato con l'ordinanza regionale n. 126 del 2002;
   il sistema di approvvigionamento prevede la captazione di 400 litri al secondo dall'acquifero basale, costituito dal complesso del Calcare massiccio e della Corniola, mediante la realizzazione di un campo pozzi aventi profondità variabile fra 150 e 300 metri. A parere degli interroganti, ciò contrasta con quanto consigliato dall'ordine dei geologi della regione Umbria, che richiede di limitare le profondità dei prelievi (seppure di entità minore rispetto ad un acquedotto) per non danneggiare le falde profonde, in linea con quanto disposto dalle direttive europee;
   il sistema di captazione sarà costituito da 9 pozzi ubicati a Scheggino (5) e Ferentillo (4) e la condotta adduttrice sarà lunga circa 24 chilometri e collegherà il serbatoio di Renaria con quello di Pentima;
   inoltre, il campo pozzi sito nelle vicinanze di località Terna, comune di Ferentillo, verrà realizzato in un'area sede di un'ex discarica di RSU (rifiuti solidi urbani), di rifiuti speciali e inerti. Tali discariche furono attivate precedentemente al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982;
   secondo le direttive indicate dalla Convenzione di Aahrus, gli interroganti denotano una grave mancanza se si considera l'omissione nel progetto dell'insistere su un'area facente parte di un'ex discarica di RSU; inoltre l'osservanza della convenzione è prerogativa fondamentale per l'ottenimento dei fondi europei ai progetti presentati;
   nel tragitto interessato dall'opera vengono occupati i percorsi del belvedere inferiore alla cascata delle Marmore, con conseguente danno all'economia turistica e mettendo tra l'altro a rischio la candidatura della stessa, ripresentata per la seconda volta, come patrimonio UNESCO;
   a parere degli interpellanti, la regione ha predisposto con fondi europei interventi contrastanti fra loro in quanto è stato disposto per il vecchio acquedotto del Narnese, che presenta perdite ingenti nella zona, un adeguamento alle nuove esigenze di riclassificazione per il rischio sismico ed idrogeologico, mentre con gli stessi fondi e le medesime condizioni del vecchio acquedotto nel tratto della Valnerina la regione ha disposto, nella zona protetta del parco fluviale del Nera un tipo di intervento, che potrebbe arrecare un ingente danno al parco stesso, nonché alla zona facente parte della rete Natura 2000, ZPS (zona di protezione speciale) e SIC (siti interesse comunitario). In tale zona dovrebbe essere calcolato l'impatto ambientale non sulla base della distanza «metrica» dal punto di prelievo fuori dal limite dell'area protetta (a cui dovrebbe essere aggiunta tra l'altro la fascia di rispetto che intercorre o corridoio), ma l'effetto di questo intervento sulla falda profonda che potrebbe produrre sull'elemento principe della zona SIC, ovvero il fiume ed il suo ecosistema, comportando per la verifica di impatto ambientale la presentazione di una VAS (valutazione ambientale strategica);
   la rete Natura 2000 è costituita dai siti di interesse comunitario, identificati dagli Stati membri secondo quanto stabilito dalla direttiva «habitat» (92/43/CEE), che vengono successivamente designati quali zone speciali di conservazione (ZSC), e comprende anche le zone di protezione speciale (ZPS);
   il progetto è soggetto ad una serie di direttive e normative comunitarie, le quali si considerano essenziali per la realizzazione di quest'ultimo; in particolare i riferimenti normativi sono: a) la direttiva 98/83/CE, del 3 novembre 1998, concernente la «qualità delle acque destinate al consumo umano» che ha come obiettivo la salvaguardia della salute umana dai potenziali effetti negativi causati dalla contaminazione delle acque; b) la direttiva 2000/60/CE, del 23 ottobre 2000, che rappresenta un quadro per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee in materia di acque a tutela gli ecosistemi acquatici e terrestri dai rischi di inquinamento, e che incoraggia un utilizzo delle risorse idriche sostenibile; c) il decreto legislativo n. 31 del 2001 che ribadisce i medesimi concetti di tutela e salvaguardia relativamente alla qualità delle acque destinate al consumo umano in attuazione della citata direttiva europea 98/83/CE; d) la direttiva 2006/118/CE, del 12 dicembre 2006, sulla «Protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento», che ha introdotto specifiche misure tese alla prevenzione ed al controllo dell'inquinamento delle acque sotterranee, ai sensi dell'articolo 17, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2000/60/CE;
   rispetto al 2002 lo stato meteorologico e quello idrogeologico sono variati e quindi, a parere degli interpellanti, non giustificano l'emergenza siccità, citata nella premessa del progetto, come motivo della realizzazione dello stesso. Tale cambiamento è stato segnalato e documentato dall'ordine dei geologi dell'Umbria con comunicazione del 9 giugno 2014, prot. 1396, relativa alla limitazione della profondità delle ricerche idriche nel territorio dell'Umbria, ed indirizzata alla presidente della regione. In tale comunicazione si evidenzia che il provvedimento disposto con l'ordinanza del presidente della giunta regionale del 26 novembre 2002, n. 126, non risponde alla situazione attuale ed inoltre circoscrive il periodo di emergenza come intercorso tra il 2002 ed il 31 dicembre 2004. Inoltre, si sottolinea una lacuna normativa, in quanto, come evidenziato fin dal 2009, si attende la normativa regionale sulle disposizioni per la tutela, ricerca, estrazione ed utilizzo delle acque sotterranee, la quale a distanza di 5 anni non ha ancora concluso il suo iter di approvazione;
   a giudizio degli interpellanti, le ragioni di «emergenza idrica» adottate dalla regione come motivazioni nel progetto, riferendosi all'ordinanza n. 126, non possono essere ritenute valide, dal momento che entra in totale contraddizione con la richiesta e l'ottenimento dei fondi a fronte di un'emergenza totalmente opposta, ovvero di eventi con precipitazioni eccezionali ed alluvioni, come riportato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2013, recante «Ripartizione delle risorse di cui all'articolo 1, comma 548, della legge 24 dicembre 2012, n. 228», il quale ha ripartito le risorse tra le regioni colpite dagli eventi alluvionali dell'11, 12 e 13 novembre 2012 assegnando alla regione Umbria la somma di 46.400.000 euro;
   captando la falde profonde del fiume, come è in progetto, se ne mette a rischio la vita. Non applicando il «principio di precauzione», insieme al Nera, pure l'economia turistica e le speranze per il futuro (ad esempio, candidatura UNESCO) della Valnerina e dei suoi abitanti verranno compromesse;
   lo stesso direttore del servizio idrico integrato, per giustificare l'acquedotto, parla di una presunta «sete» della conca ternana, ma non si capisce su quali dati reali si basi questa preoccupazione visto che a Terni attualmente la disponibilità media di acqua per ogni cittadino è di 195 litri/giorno, contro una media nazionale di 175 litri/giorno e europea di 163 litri/giorno e che qualora venisse attuato il progetto tale disponibilità salirebbe a 350 litri/giorno. Tra l'altro, con la chiusura delle aziende e delle industrie, rispetto ai tempi in cui è stato progettato l'acquedotto la domanda è calata;
   infine, i prelievi idrici previsti dai pozzi di Scheggino e di Ferentillo vanno attingere nello stesso sistema acquifero basale saturo che alimenta in alveo il Nera, mettendo in pericolo due sorgenti importanti per la vita del fiume: quella in zona Ceselli che versa nel fiume 1300 litri/secondo e quella di Terria con 350 litri/secondo. Infatti con l'emungimento dei pozzi questo apporto verrà a diminuire notevolmente e potrebbe arrivare a mancare del tutto, ciò porterebbe le acque del Nera sotto al deflusso minimo vitale che il Servizio idrico integrato ha calcolato in 2,7 metri cubi/secondo. Deflusso minimo vitale che verrà ulteriormente impoverito quando la regione Marche porterà al massimo il prelievo dalla sorgente del fiume di ulteriori 300 litri/secondo, senza considerare gli altri incrementi di prelievo che le regioni autorizzano alle varie attività produttive presenti in Valnerina, nonché l'aumento della captazione per l'acquedotto spoletino all'altezza di S. Anatolia;
   occorrerebbe verificare quali siano le motivazioni per cui nelle relazioni a corredo del progetto non sia stato considerato il fatto che i 9 pozzi preleveranno acqua in prossimità di un'area sulla quale era presente una discarica contenente rifiuti solidi urbani, nonché se attualmente persistano i fabbisogni idrici previsti dal piano regolatore regionale degli acquedotti dell'Umbria e dal piano di tutela delle acque, oppure se siano cambiate le previsioni socioeconomiche dei bacino di utenti servito;
   la presenza di una discarica sull'area di attingimento potrebbe essere ritenuta un fattore di rischio, in quanto probabilmente si preleverebbero acque con caratteristiche non adatte al consumo umano –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se, anche per il tramite della competente autorità di bacino, si intenda verificare se siano ancora attuali i presupposti emergenziali, urgenti e necessari, per i quali era necessario attivarsi nel 2004 per fronteggiare la crisi idrica che ha colpito l'Umbria, e se il prelievo di 400 litri al secondo possa incidere sul deflusso minimo vitale e possa causare un deterioramento di qualità dei corpi idrici superficiali (fiume Nera) e sotterranei;
   quali iniziative, per quanto di competenza e in raccordo con le amministrazioni coinvolte, si intendano intraprendere al fine di tutelare i siti «Natura 2000» dell'Umbria, SIC IT5210046 «Valnerina», SIC IT5220010 «monte Solenne», SIC IT5220017 «cascata delle Marmore», e ZPS IT5220025 «bassa Valnerina tra monte Fionchi e cascata delle Marmore».
(2-01418) «Daga, Terzoni, Zolezzi, Mannino, Micillo, Busto, De Rosa, Vignaroli, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ex-deposito munizioni sito in Anagni (FR), soggetto per oltre 50 anni ai vincoli militari, è stato acquistato dal Comune di Anagni nel 2009 con un investimento di 6 milioni di euro;
   l'area è di circa 187 ettari, risulta ben conservata e presenta diversi deposti semi – ipogei tutti delle stesse dimensioni (14x5) dislocati su una vasta vallata e uniti da un percorso asfaltato, in parte interrato. Il sito risulta chiuso al pubblico;
   nel deposito di Anagni è stato attivo, per pochi mesi, prima della fine dell'ultimo conflitto mondiale, uno stabilimento per la produzione di esplosivi destinati agli impianti industriali della vicina città di Colleferro, ove avveniva il caricamento dei proiettili pesanti. A questo scopo il territorio del deposito è stato inciso in profondità da una rete di gallerie scavate nel tufo vulcanico, utilizzate prima come luogo per ospitare gli impianti industriali per la produzione di esplosivo, e successivamente utilizzate per la rimessa di munizioni;
   l'area è ubicata all'interno della media Valle Latina o settore nord della valle del fiume Sacco. È caratterizzata da una morfologia collinare, con una quota massima di circa 221 metri sul livello del mare, per divenire poi pianeggiante in prossimità del fiume Sacco;
   l'area del deposito rappresenta una linea di demarcazione fra l'area industriale egli insediamenti agricoli ubicati nel settore nord del territorio del comune di Anagni;
   le limitazioni a cui è stata sottoposta l'area, in quanto assoggettata alle rigide regole del demanio militare, ne hanno permesso una salvaguardia pressoché totale dall'attività antropica invasiva, è per questo che oggi rappresenta l'ultima vasta porzione di campagna anagnina con un ecosistema inalterato, ove sono presenti essenze arboree tipiche del territorio;
   l'ex deposito di Anagni è ubicato in una posizione strategica rispetto ad una sezione trasversale della valle del fiume Sacco, infatti la vicinanza dalla struttura dei monti Lepini e dalla struttura dei monti Simbruini-Ernici, rappresenta una importante area di passo e un sicuro luogo di permanenza per numerose specie di fauna selvatica, rappresentata, per analogia con il territorio limitrofo da airone, cicogna, gufo reale, gufo comune, poiana, civetta, allocco, volpe, tasso, istrice, queste le specie più autorevoli;
   il 18 marzo 2016 il consiglio comunale di Anagni delibera all'unanimità di autorizzare l'alienazione del compendio immobiliare denominato «ex deposito militare» dando attuazione all'avviso esplorativo di interesse per l'acquisto dell'area di proprietà comunale;
   l'amministrazione ha dunque avviato un percorso che punterebbe alla vendita della zona a privati, prevedendo di ricavare 12 milioni di euro dall'operazione (6 erano stati i milioni investiti nell'acquisto, con un mutuo trentennale che aveva impegnato il comune a pagare circa 300.000 euro di rata annua);
   il 29 luglio è la data entro la quale dovranno arrivare le proposte di eventuali privati interessati alla zona;
   l'area della ex polveriera si trova all'interno del perimetro del SIN Valle del Sacco, ossia in quelle aree contaminate molto estese classificate più pericolose dallo Stato Italiano e che necessitano di interventi di bonifica del suolo, del sottosuolo e/o delle acque superficiali e sotterranee per evitate danni ambientali e sanitari;
   nel bando pubblicato dal comune, tra le attività d'investimento possibili, risulterebbe quella definita «Innovazione Tecnologica o di Pubblica Utilità». Tale indicazione ha allarmato le associazioni ambientaliste, preoccupate che tale criterio, possa riguardare lo smaltimento di rifiuti tossico-nocivi o altri ulteriori drammi per questo territorio;
   il pesante carico ambientale della valle del Sacco, può essere alleggerito da un utilizzo intelligente dell'area, unica zona verde rimasta in un territorio che ha visto negli anni un consumo industriale di suolo devastante;
   risulterebbe inoltre, che alcuni edifici presenti nell'area siano costruiti in fibrocemento, una volta detto anche cemento-amianto o, dal nome del maggiore produttore, eternit –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   quali siano i vincoli del SIN Valle del Sacco a cui il sito e dunque il privato che lo acquisterà, deve sottostare sia durante che dopo la vendita dello stesso;
    se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare delle iniziative, per quanto di competenza, volte a monitorare la vendita, affinché vengano rispettati i criteri di trasparenza, di corretto utilizzo dell'area e di salvaguardia degli elementi naturali e ambientali esistenti.
(5-09067)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 28 luglio 2015 a Pescara, la rottura di una condotta fognaria ha causato lo sversamento in mare di trenta milioni di litri di feci e liquami;
   tre giorni dopo, il 31 luglio, è stata data alla cittadinanza la notizia della riparazione della condotta, ma non quella dello sversamento dei liquami;
   nella stessa data l'Agenzia regionale per la tutela dell'ambiente (ARTA) dell'Abruzzo ha comunicato al sindaco che era in atto un grave inquinamento del mare, contaminato da colifecali e streptococchi, nonostante la quale il sindaco non ha ritenuto di intervenire con un'ordinanza per sancire il divieto di balneazione;
   nel frattempo, avevano cominciato a diffondersi le notizie sul mare inquinato in seguito al fatto che improvvisamente decine di bambini erano stati colpiti da patologie quali impetigine, dermatiti, ustioni, infezioni virali e gastroenteriti dopo aver fatto il bagno in mare;
   in seguito alla presentazione un esposto alla Procura della Repubblica e al prefetto di Pescara, il 7 agosto 2015, presso la sede dell'amministrazione comunale ha avuto luogo una seduta congiunta delle commissioni consiliari ambiente e vigilanza, che al fine di approfondire quanto accaduto hanno ascoltato le delazioni del sindaco, del primario della ASL di Pescara e di due rappresentanti dell'ARTA e dell'ACA, l'azienda comprensoriale acquedottistica che gestisce i servizi idrici nei comuni delle province di Pescara, Chieti e Teramo;
   nel corso della seduta si è appreso ufficialmente della rottura della condotta fognaria la sera del 28 luglio, e che la stessa aveva causato uno sversamento nel fiume, ossia nel mare, di venticinquemila metri cubi di liquami, e che l'Aca, di concerto e autorizzata dall'Arta, per fronteggiare l'emergenza, aveva immesso trecentocinquanta litri di acido par acetico direttamente nella rete fognaria, secondo una pratica che sembra andasse avanti già dalla precedente primavera, al verificarsi di ciascuno degli undici guasti nella condotta verificatisi nel periodo 6 aprile – 14 maggio;
   durante la medesima seduta delle commissioni si è appreso che il sindaco aveva emesso un'ordinanza (la numero 413/2015, poi rimossa con la 415/2015), firmata il 1o agosto, per il divieto di balneazione lungo il tratto di litorale antistante la zona di Via Balilla, ma poi ha scelto di non informare la cittadinanza e non pubblicare l'ordinanza perché «convinto che le successive analisi (dell'Arta) sarebbero state negative;
   le cronache degli ultimi giorni sono tornate con insistenza sulla questione dell'inquinamento del mare nel tratto di costa antistante Pescara anche a causa del decennale malfunzionamento del depuratore, che avrebbe fatto sì che le acque nere di fogna di centottantamila persone dirette allo stesso siano state deviate direttamente nel fiume per preservare il depuratore che, in presenza di una portata superiore a quella per cui è stato progettato, e, quindi, soprattutto al verificarsi di forti piogge potrebbe corrompersi ed essere messo fuori uso per mesi –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di adottare iniziative, per quanto di competenza, per il controllo dell'inquinamento delle acque nella fascia costiera di Pescara e la verifica della balneabilità, al fine di tutelare la salute dei cittadini. (4-13679)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   per i militari che vengono riconosciuti inabili per causa di servizio è previsto il richiamo immediato da parte dell'ente che riceve l'esito positivo della causa;
   quando si viene reimmessi nei ruoli civili l'ente di destinazione non conosce assolutamente le patologie sofferte dal dipendente e lo ricolloca dove necessita senza far effettuare corsi di riqualificazione come previsto nel tabulato;
   appare discriminante che il dipendente transitato all'impiego civile deve effettuare nella nuova sede almeno un anno, prima di poter fare richiesta di trasferimento presso la sede da lui desiderata. Ad oggi questo tempo di un anno è stato modificato a tre anni; è da sottolineare che trattasi di disabili o invalidi, quindi persone con difficoltà;
   nel tempo presso le amministrazioni interessate sono state evidenziate una serie disparità di trattamenti che riguardano: adeguamento dello stipendio, ferie, avanzamento al grado superiore, riassorbimento dell'assegno ad personam, riassorbimento dell'indennità di amministrazione anche se accessoria, sedi di assegnazione, mancanza di corsi formativi, cause di servizio, decurtazioni per assenze per malattie croniche accertate, prima sistemazione e mobilità del dipendente pubblico, documentazione sullo storico da militare e processi verbali delle Commissioni mediche ospedaliere-Commissioni mediche locali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere per eliminare le disparità evidenziate. (4-13680)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge italiana riconosce la salute come diritto fondamentale dell'individuo;
   i livelli essenziali di assistenza (LEA), vale a dire l'insieme delle prestazioni che vengono garantite dal servizio sanitario nazionale, a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, sono stati definiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, entrato in vigore il 23 febbraio 2002;
   il nuovo patto per la salute 2014-2016, all'articolo 1, comma 3, ha previsto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, in attuazione dei principi di equità, innovazione ed appropriatezza e nel rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica. Successivamente, la legge di stabilità 2015 ha «ratificato» in via normativa i contenuti del patto della salute;
   nel corso della XVI legislatura, il Governo con un decreto del 23 aprile 2008 aveva ridefinito i livelli essenziali d'assistenza. Il decreto, tuttavia, non è mai entrato in vigore, in quanto ritirato dal Governo a seguito dei rilievi della Corte dei conti, che vertevano sostanzialmente su profili attinenti all'equilibrio economico su cui avrebbe dovuto basarsi il provvedimento;
   nel 2010 è stata elaborata una nuova proposta di aggiornamento dei livelli essenziali d'assistenza, in ordine alla quale la ragioneria generale dello Stato aveva espresso parere favorevole circa la sostenibilità economico-finanziaria, ma anche in quell'occasione il provvedimento non è stato adottato;
   la revisione dei livelli essenziali di assistenza, l'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare e del nomenclatore tariffario dell'assistenza protesica ad elevata tecnologica, così come le misure per l'assistenza domiciliare, territoriale, semiresidenziale e residenziale, sono ormai attese da anni da tutti gli operatori, dalle associazioni delle famiglie e dai malati, soprattutto di malattie rare;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che aggiorna i livelli essenziali di assistenza, pronto ormai da un anno e mezzo e finanziato con 800 milioni di euro dalla legge di stabilità 2016, è attualmente ancora al vaglio del Ministero dell'economia e delle finanze per la valutazione dell'impatto economico del provvedimento;
   il sottosegretario Vito De Filippo, rispondendo ad un'interrogazione sulla questione presentata dall'onorevole Giovanni Monchiero, ha dichiarato che «il Ministero della Salute quotidianamente sta sollecitando e sta incidendo, anche in termini di tempi, nell'approvazione e nella definizione di questa istruttoria finanziaria»;
   il ritardo dell’iter di approvazione del decreto di aggiornamento dei livelli essenziali d'assistenza si ripercuote negativamente sulla salute dei cittadini e lede un diritto sancito dall'articolo 32 della Costituzione –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per velocizzare l’iter della valutazione dell'impatto economico del decreto da adottare e quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché il provvedimento diventi immediatamente operativo.
(2-01416) «D'Incecco, Albini, Arlotti, Bonomo, Capone, Capozzolo, Carloni, Carrescia, D'Ottavio, Dallai, Fedi, Fossati, Fragomeli, Galperti, Gribaudo, Iacono, La Marca, Miotto, Mognato, Mongiello, Moretto, Murer, Preziosi, Ribaudo, Romanini, Rubinato, Sbrollini, Terrosi, Venittelli, Zardini».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PAGLIA e FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   tra le principali conseguenze di carattere politico-finanziario dell'effetto domino scatenatosi all'indomani dell'esito del referendum sulla Brexit ed alle quali potrebbe essere esposto il nostro Paese, vi è senz'altro quella relativa alla necessità di una nuova regolamentazione della struttura dei mercati finanziari; Borsa italiana Spa, infatti, è stata in passato assorbita con tutte le sue controllate (Cassa di compensazione e garanzia, Montetitoli e l'Mts), dall'Lse Group (London Stock Exchange);
   pertanto, Borsa italiana Spa è attualmente una società privata a pressoché totale proprietà estera, dato che a seguito della suddetta fusione tutte le banche italiane fino ad allora presenti nella compagine societaria sono uscite dall'azionariato, ad eccezione di Emittenti titoli (il gruppo di società quotate, rappresentate da Assonime), che oggi, partecipando al capitale azionario con una percentuale esigua prossima allo 0,5 per cento del totale, ha poca voce in capitolo;
   all'epoca della fusione tra l'Euronext ed il Nyse (dal quale oggi è già separata), il relativo negoziato prevedeva una «clausola di salvaguardia» automatica che autorizzava le Borse europee a sganciarsi in caso di pregiudizio per l'interesse superiore del mercato, clausola attualmente non contemplata dagli accordi di fusione tra Lse Group e Borsa italiana Spa essendo Londra, a differenza di New York, parte integrante dell'Europa;
   allo stato attuale, l'unica misura in grado di tutelare gli investitori è il ricorso al commissariamento contemplato tra i provvedimenti straordinari a tutela del mercato previsti dagli articoli 75 e 76 del Testo unico della Finanza (TUF);
   ai sensi dei predetti articoli, quando la Gran Bretagna attiverà l'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea al fine di avviare la sua separazione dall'Unione europea, le autorità italiane preposte alla vigilanza sul funzionamento dei mercati finanziari (Banca d'Italia e Consob), secondo gli interroganti dovranno immediatamente disporre il commissariamento di Borsa italiana Spa e, di conseguenza, di Mts, Montetitoli e Cassa di compensazione e garanzia;
   secondo quanto riportato il 2 luglio 2016 dal quotidiano « il Sole 24 Ore», il Presidente della Consob, dottor Giuseppe Vegas, (avrebbe già inviato una breve lettera, protocollata e dunque non informale, al presidente dell'Lse Group, Donald Brydon, e, per conoscenza, all'amministratore delegato di Borsa italiana Spa, Raffaele Jerusalmi, con la quale chiede che ogni iniziativa strategica del gruppo che riguardi le attività e l'operatività dei mercati e delle strutture di post trading di Piazza Affari, venga appropriatamente e preventivamente definita in stretta cooperazione con la Consob;
   per Vegas il processo di separazione del Regno unito dall'Unione europea e la negoziazione di un nuovo accordo non mancheranno di avere implicazioni sull'attività e l'operatività di tutte le controllate italiane del gruppo: in Piazza Affari, infatti, opera sia il mercato azionario italiano regolamentato, con l'attività in derivati, sia il mercato all'ingrosso dei titoli di Stato, oltre alle strutture di post trading, come la Cassa di compensazione e garanzia, che assicura la compensazione e la conclusione dei contratti stipulati sui mercati dei titoli azionari e derivati di Borsa italiana ed obbligazionari di Mts, così come Montetitoli, che offre servizi di gestione accentrata, di liquidazione, di regolamento titoli e che ha recentemente aderito al sistema integrato europeo T2S per il regolamento delle transazioni finanziarie;
   con la stessa missiva il presidente della Consob precisa che le suddette strutture di trading e post–trading che fanno capo a Borsa italiana Spa, anche se pur privata ed interamente controllata dall'Lse, sono di rilevanza strategica e sistemica per nostro Paese, ai sensi sia della direttiva Mifid sui servizi finanziari ed attualmente in vigore, sia ai sensi della Mifid2 che, già definita, entrerà in vigore a partire dal 1o gennaio 2018; inoltre egli ricorda che, mentre Borsa Italiana Spa, indipendentemente dalla decisione del Governo inglese sull'esito del referendum consultivo, continuerà ad essere sottoposta alla legislazione italiana ed alla vigilanza locale, di contro, il divorzio della Gran Bretagna dall'Unione europea impedirebbe qualsiasi accesso (oggi automatico) degli intermediari aderenti alla Borsa di Londra alle strutture di mercato italiane;
   il commissariamento di cui ai sopracitati articoli 75 e 76 del Testo unico della finanza servirebbe ad assicurare che, nella fase di perfezionamento della cosiddetta Brexit, che potrebbe durare due anni, e per il tempo necessario a rinegoziare tutti gli accordi operativi e di collaborazione tra le autorità di vigilanza tra i due Paesi (Italia e Gran Bretagna), che oggi sono automatici, prevalgano gli interessi del mercato su quelli privatistici, tanto più quando i negoziati si complicano a causa della fuoriuscita di una delle parti dall'Unione europea –:
   se, alla luce di quanto premesso, non ritenga urgente intervenire e con quali iniziative, per quanto di competenze anche a sostegno delle richieste avanzate dal presidente della Consob ai vertici di Lse, con le quali chiede di avviare subito un dialogo sui piani del gruppo e sulle ricadute che potrebbero abbattersi su Borsa italiana spa in caso di fuoriuscita della Gran Bretagna dall'Unione europea e di ridefinire tutti quegli accordi di collaborazione tra le autorità di vigilanza che oggi sono di prassi all'interno dell'Unione europea. (5-09078)


   PESCO, CANCELLERI e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come si legge dai giornali, tra novembre e dicembre 2013, sono intercorse due telefonate al direttore regionale del Lazio di Equitalia da parte di Gabriella Alemanno, vicedirettrice dell'Agenzia delle entrate, azionista di maggioranza di Equitalia («Agenzia delle Entrate, indagata la numero due Gabriella Alemanno: “Cartella fiscale sistemata”, a firma di Antonio Massari, sul Fatto quotidiano del 21 maggio 2016 la vicedirettrice sarebbe intervenuta per fare sospendere cartelle esattoriali ad un'amica ex manager dell'Atac;
   secondo la ricostruzione del nucleo valutario della Guardia di finanza, la telefonata della Alemanno sarebbe stata utile per bloccare due cartelle esattoriali, una da circa 20 mila e l'altra da 47 mila euro, ed evitare il pignoramento degli stipendi, per poi rateizzare e regolamentare la sua posizione con Equitalia il 24 aprile 2014 con la richiesta di rateizzazione dei pagamenti;
   un altro caso, sempre come si legge dai media, è quello di Giovanbattista Sabia, direttore regionale Calabria di Equitalia, già direttore di Equitalia Roma che, in cambio della disponibilità di una Jaguar, avrebbe permesso a un concessionario auto di ottenere una rateizzazione più favorevole; inoltre, per cure di fisioterapia, aveva ridotto la cartella di un imprenditore di 10 mila euro –:
   se, a fronte della deriva giudiziaria ormai evidente, non si ritenga di assumere le iniziative di competenza per l'azzeramento dei vertici del sistema Agenzia delle entrate/Equitalia ovvero perché si pervenga al licenziamento dei funzionari e dei dirigenti implicati in indagini penali per violazione dei doveri d'ufficio, come per esempio è avvenuto recentemente in ANAS con il licenziamento senza indennizzo di otto dipendenti coinvolti nell'indagine «Dama nera». (5-09079)


   SANDRA SAVINO e SECCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella seconda metà del 2015, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza sono state costrette ad azzerare il valore delle proprie azioni poiché non trovavano sottoscrittori disposti ad acquistarle;
   a dicembre 2015, infatti, Veneto Banca aveva fissato il prezzo di recesso delle azioni a 7,30 euro, obbligando, di fatto, gli azionisti che avessero voluto venderle a perdere l'81 per cento del valore di ogni azione (solo ad aprile il valore era 39,50 euro); di seguito la Banca Popolare di Vicenza (i cui vertici risultano indagati per aggiotaggio) ha fissato il prezzo di recesso: 6,30 euro il 90 per cento in meno rispetto ai 62,5 euro a cui le azioni erano state collocate fino all'anno precedente;
   per questi due istituti di credito, l'Esecutivo non ha emanato alcun provvedimento legislativo, né tanto meno ha previsto rimborsi per i clienti e per gli azionisti che, nella maggior parte dei casi, hanno perso i propri risparmi;
   difatti, il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, recante «disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione», che è stato approvato presso la Camera dei deputati in data 29 giugno scorso, con l'ennesimo voto di fiducia, non ha fatto menzione alcuna dei risparmiatori e azionisti dei predetti istituti di credito;
   da notizie in possesso degli interroganti, la direzione per gli aiuti di Stato della Commissione europea, avrebbe avuto un ruolo decisivo nel richiedere che il valore dei crediti esigibili fosse abbattuto a quasi un quinto del valore iniziale, con la conseguenza di una stima sbagliata che ha prodotto severi effetti nel sistema, portando ad una condizione che vedeva «esacerbare la tensione sul settore del credito e innescare crolli in Borsa»;
   tale episodio si configura, secondo gli interroganti, come una ingerenza da parte della stessa direzione della Commissione europea e una perdita di sovranità dello Stato italiano;
   nell'aprile 2014, Vincenzo Consoli, all'ora amministratore delegato di Veneto Banca, ha ceduto la sua abitazione di Vicenza – una villa palladiana nel cuore della città – a un fondo patrimoniale intestato a se stesso e alla moglie. Una scelta volta a proteggere il patrimonio di famiglia da possibili future azioni giudiziarie;
   oltre al dottor Consoli, vi sarebbero circa un centinaio di persone, tra consiglieri di amministrazione, sindaci e revisori dei conti, coinvolte nello scandalo delle banche popolari;
   vi sarebbe, altresì, il dottor Gianni Zonin, ex presidente della popolare di Vicenza, altro grande istituto cooperativo del Nordest, sotto le indagini della magistratura, con decine di migliaia di soci che hanno visto sparire quasi per intero il loro investimento, che ha ceduto le sue proprietà ai figli; verso il Presidente Zonin e gli altri responsabili della «decadenza» non si è potuto procedere legalmente grazie al voto contrario dell'Assemblea che detiene la maggioranza azionaria (gran parte degli amministratori in carica che in teoria dovrebbero gestire il rinnovamento, sono stati nominati ai tempi della Presidenza Zonin e hanno avallato e sostenuto la disastrosa gestione della banca negli anni passati);
   il 7 luglio 2016, l'assemblea dei soci tornerà a riunirsi per rinnovare il consiglio di amministrazione e, forse, l'azione di responsabilità, nei confronti del dottor Zonin verrà posta all'ordine del giorno, creando così una vera rottura con il passato;
   per la sostituzione del consiglio di amministrazione di Veneto Banca, invece, è dovuta intervenire la vigilanza della Banca centrale europea, che nei mesi scorsi ha richiesto un ricambio completo nelle file degli amministratori, con le eccezione di quelli nominati di recente, quale il Presidente Bolla e il consigliere delegato Cristiano Carrus;
   da ulteriori notizie in possesso degli interroganti, la Banca Popolare di Vicenza ha 118.000 soci e ha valore di 62,5 euro per azione, possedendo circa 6 miliardi di capitale dell'Istituto; detta quotazione ha rappresentato la massima raggiunta, ridotta nel 2015 a euro 48, poi nel 2016 euro 6,3 e infine agli attuali 0,10 centesimi: il capitale di 6 miliardi si è ridotto a 10 milioni di euro;
   a giudizio degli interroganti, la situazione in cui versano i correntisti, gli azionisti, i vicentini e gli investitori tutti non è più sostenibile; è notizia della settimana scorsa un pensionato di Montebello Vicentino (VI), Antonio Bedin, si è suicidato, sembra, per aver perso tutti i risparmi (circa 500.000 euro); è dunque improcrastinabile che vengano adottati tutti gli opportuni provvedimenti affinché la situazione sia celermente risolta prima che vi siano altre persone disperate a compiere gesti estremi –:
   quali orientamenti intenda esprimere il Ministro interrogato, in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per risolvere le annose problematiche che hanno colpito l'istituto di credito Vicentino e Trevigiano;
   per quali ragioni il Governo abbia preferito sostenere solo taluni istituti di credito sofferenti a discapito di altri, causando così a giudizio degli interroganti notevole disparità di trattamento tra i cittadini, risparmiatori e azionisti delle une e delle altre banche. (5-09080)


   MARCO DI MAIO e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 23-quater, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha stabilito l'incorporazione dell'amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) nell'Agenzia delle dogane che ha assunto la nuova denominazione di Agenzia delle dogane e dei monopoli;
   in attuazione di quanto disposto, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze dell'8 novembre 2012, sono trasferite all'Agenzia delle dogane e dei monopoli il complesso delle risorse umane, strumentali e finanziarie facenti capo all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
   nell'ambito della complessiva riorganizzazione la direzione interregionale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ci sarebbe l'intenzione di chiudere la sede dell'ufficio decentrato dei Monopoli di Forlì-Cesena attualmente ubicato a Forlì e conseguentemente a trasferire l'intero personale dipendente presso la sede doganale di Cesena;
   dal comunicato sindacale si apprende che il servizio reso dai Monopoli è stato recentemente decentrato nelle sedi provinciali per rendere un servizio di prossimità migliore a tutta l'utenza, formata in massima parte da piccoli gestori (tabaccai, rivendite gratta e vinci, bar tabacchi, e altro), che era fortemente penalizzata dal doversi recare a Bologna per le necessarie autorizzazioni o per tutte le attività amministrative e gestionali;
   la dislocazione presso la sede doganale di Cesena, situata in località Pievesestina, potrebbe comportare gravi ricadute non solo per i lavoratori ma anche per l'utenza stessa, costretta a spostarsi tra la sede dei Monopoli di Cesena e gli uffici statali collocati tutti in centro a Forlì (prefettura, questura uffici giudiziari, ragioneria dello stato, commissione tributaria, e altro);
   il personale dei Monopoli di Forlì che verrebbe ad essere trasferito è composto da otto persone, con una età media ormai prossima alla pensione; tra il personale risulta esserci anche una persona affetta da disabilità;
   da quanto si apprende dal comunicato sindacale, sembrerebbero esservi soluzioni alternative ulteriori allo spostamento presso la sede doganale di Cesana che possano venire incontro alle molteplici esigenze: il trasferimento della sede dei Monopoli presso la sede provinciale delle Dogane a Forlì in via Punta di Ferro permetterebbe di risparmiare sui costi di locazione e di mantenere nel capoluogo l'attività in una sede ben servita dai mezzi pubblici, differentemente da quella di Pievesestina, raggiungibile solo con mezzo privato;
   tra le eventuali sedi sostitutive si annoverano anche due appartamenti nel centro del comune di Forlì, uno di proprietà demaniale sito in via Biondini e l'altro di proprietà ex INPDAP sito in Piazza XX Settembre –:
   quali ulteriori soluzioni riallocative possono essere prese in esame per la sede dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli attualmente ubicata a Forlì, anche considerando la condizione di disagio che si arrecherebbe al personale e all'utenza nel caso di una possibile dislocazione del citato ufficio presso la sede doganale di Cesena, tenuto conto che vi è la (disponibilità di numerosi locali di proprietà pubblica situati all'interno del comune di Forlì. (5-09081)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società per azioni a partecipazione pubblica, il Ministero dell'economia e delle finanze detiene circa il 60 per cento del capitale sociale ed è posta sotto il controllo e la vigilanza del Ministero dello sviluppo economico. È tra le più grandi aziende italiane di servizi operativa nel settore postale; finanziario, assicurativo e nella telefonia mobile;
   Poste Italiane spa, è il fornitore del servizio postale universale in Italia e adempie l'obbligo di servizio universale a norma del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva 97/67/CE2, e del decreto 17 aprile 2000 del Ministero delle comunicazioni che conferma la concessione del servizio postale universale a Poste Italiane;
   nonostante Poste Italiane spa abbia chiuso molto positivamente il primo trimestre del 2016, con un utile netto in crescita del 18 per cento a 367 milioni di euro, un risultato operativo in aumento del 16,1 per cento a 562 milioni di euro e con ricavi in incremento del 14,2 per cento a quasi 9,76 miliardi di euro, e abbia anche ricevuto significativi contributi da parte dello Stato per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione di prestazioni essenziali, l'applicazione del nuovo modello organizzativo del recapito e l'azione di ristrutturazione in atto negli ultimi anni nel settore postale da parte di Poste Italiane spa stanno producendo un profondo mutamento della funzionalità del servizio stesso con una evidente limitazione dei servizi postali essenziali, di fondamentale importanza per cittadini, famiglie e imprese in quanto permettono loro di adempiere a molte incombenze e attività quotidiane, come la spedizione e la ricezione di lettere, bollette, comunicazioni e avvisi soggetti a scadenza, il ritiro del denaro contante, il pagamento delle utenze;
   negli ultimi anni, il settore postale è stato interessato da profondi cambiamenti, a livello sia nazionale che comunitario, che hanno riguardato il contesto normativo e, in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), per effetto del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
   l'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 261 del 1999 prevede la possibilità di adottare un modello di servizio al di sotto dei 5 giorni settimanali, in ambiti territoriali che, oltre ad essere caratterizzati da particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica, abbiano una densità abitativa inferiore a 200 abitanti per chilometro quadrato;
   l'articolo 1, comma 276, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha ampliato a un quarto della popolazione nazionale il limite massimo previsto dall'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 261 del 1999, per l'autorizzazione da parte dell'Autorità della fornitura a giorni alterni dei servizi di raccolta e distribuzione a domicilio degli invii postali ricompresi nell'ambito del servizio universale e il comma 277 ha disposto che il nuovo contratto di programma per il quinquennio 2015-2019 possa prevedere l'introduzione di «misure di rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull'intero territorio nazionale», al fine di adeguare i livelli di servizio alle mutate esigenze degli utenti e di assicurare la sostenibilità dell'onere del servizio universale;
   in applicazione della delibera dell'Agcom n. 395/15/CONS, Poste italiane ha introdotto nel Paese un nuovo modello di recapito a giorni alterni che prevede una graduale implementazione, articolata in 3 fasi successive, in quei comuni (circa 5.295) in cui ricorrano le particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica, secondo uno schema bisettimanale: lunedì, mercoledì, venerdì in una settimana e martedì, giovedì in quella successiva. Nei comuni più densamente popolati, intorno ai 30.000 abitanti e con una densità intorno ai 200 abitanti per chilometro quadro, resterà la consegna giornaliera dei soli oggetti veloci («J+1»), tramite un corriere veloce, la linea plus;
   le analisi sulla distribuzione territoriale e sulle caratteristiche orografiche dei comuni potenzialmente interessati dal recapito a giorni alterni presentate nel documento di consultazione (allegato A alla delibera n. 163/15/CONS) rivelano che, se si considera la popolazione residente in ciascuna regione, le regioni maggiormente coinvolte sono la Basilicata (76 per cento della popolazione regionale) e il Molise (quasi il 67 per cento della popolazione regionale è interessato dal recapito a giorni alterni) mentre si supera il 50 per cento della popolazione regionale in Trentino-Alto Adige, Calabria, Valle d'Aosta e Sardegna;
   nei mesi scorsi Poste Italiane s.p.a. ha inoltrato anche ai cittadini lucani una lettera in cui comunicava che, «a partire dal mese di maggio 2016, in alcune aree del territorio italiano, prosegue l'implementazione graduale, della fase II del modello degli invii postali a giorni lavorativi alterni dal lunedì al venerdì, su base bisettimanale, (lunedì, mercoledì e venerdì nella prima settimana martedì e giovedì nella settimana successiva), già avviato, in altre località, a partire da ottobre 2015;
   in Basilicata, ad eccezione di Matera, Potenza e Rionero in Vulture, il nuovo modello di consegna a giorni alterni messo in atto da Poste Italiane spa, ha interessato 128 comuni su 131 della regione. In particolare in provincia di Matera i comuni sono: Accettura, Aliano, Bernalda, Calciano, Cirigliano, Colobraro, Craco, Ferrandina, Garaguso, Gorgoglione, Grassano, Grottole, Irsina, Miglionico, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Nova Siri, Oliveto Lucano, Pisticci, Policoro, Pomarico, Rotondella, Salandra, San Giorgio Lucano, San Mauro Forte, Scanzano Jonico, Stigliano, Tricarico, Tursi, Valsinni; mentre in provincia di Potenza i comuni sono: Abriola, Acerenza, Albano di Lucania, Anzi, Armento, Atella, Avigliano, Balvano, Banzi, Baragiano, Barile, Bella, Brienza, Brindisi di Montagna, Calvello, Calvera, Campomaggiore, Cancellara, Carbone, Castelgrande, Castelluccio Inferiore, Castelluccio Superiore, Castelmezzano, Castelsaraceno, Castronuovo di Sant'Andrea, Cersosimo, Chiaromonte, Corleto Perticara, Episcopia, Fardella, Filiano, Forenza, Francavilla in Sinni, Gallicchio, Genzano di Lucania, Ginestra, Grumento Nova, Guardia Perticara, Lagonegro, Latronico, Laurenzana, Lauria, Lavello, Maratea, Marisoc Nuovo, Marsicovetere, Maschito, Melfi, Missanello, Moliterno, Montemilone, Montemurro, Muro Lucano, Nemoli, Noepoli, Oppido Lucano, Palazzo San Gervasio, Paterno, Pesco Pagano, Picerno, Pietragalla, Pietrapertosa, Pignola, Rapolla, Rapone, Ripacandida, Rivello, Roccanova, Rotonda, Ruoti, Ruvo del Monte, San Chirico Nuovo, San Chirico Raparo, San Costantino Albanese, San Fele, San Martino d'Agri, San Paolo Albanese, San Severino Lucano, Sant'Angelo Le Fratte, Sant'Arcangelo, Sarconi, Sasso di Castalda, Satriano di Lucania, Savoia di Lucania, Senise, Spinoso, Teana, Terranova di Pollino, Tito, Tolve, Tramutola, Trecchina, Trivigno, Vaglio Basilicata, Venosa, Vietri di Potenza, Viggianello, Viggiano;
   il «servizio postale universale», con i tagli apportati, rischia di non poter più essere inteso in questo senso visto che in molti comuni lucani si stanno già sperimentando, da diversi mesi, forti disservizi a seguito della lentezza con cui la posta viene smistata e distribuita sul territorio, con utenti che da mesi ricevono le bollette o altre comunicazioni in ritardo;
   la decisione di Poste Italiane ha creato evidenti disservizi ai cittadini lucani e la situazione è ancora più critica nei territori montani, situati in aree interne e disagiate dove le distanze dal capoluogo sono maggiori, inserendosi in un contesto già critico e carente del servizio postale, con strumenti di lavoro inadeguati, organici insufficienti e sistemi informatici obsoleti scarsamente coperti dalla rete telematica;
   il piano di razionalizzazione attuato da Poste italiane non sembra tener conto dell'importanza che questi uffici occupano, soprattutto nei piccoli centri già di per sé disagiati, che lottano per contrastare lo spopolamento, dove la posta rappresenta un vero e proprio presidio e soprattutto per i residenti anziani, che si trovano a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti;
   a parere dell'interrogante questo nuovo modello andrebbe ad aggravare i già notevoli disagi causati ai cittadini dalla razionalizzazione di numerosi uffici postali sul territorio nazionale, oltre a provocare un'ulteriore marginalizzazione dei piccoli comuni soprattutto in una regione, come la Basilicata, compromessa dalla carenza di strutture e servizi essenziali. La politica aziendale messa in atto da Poste Italiane spa segue una logica esclusivamente finanziaria tralasciando l'essenziale funzione sociale propria di un servizio pubblico e non tiene affatto conto, a parere dell'interrogante, né della peculiarità dei singoli territori, né delle esigenze e delle criticità delle diverse realtà locali; non risulta inoltre che siano stati coinvolti gli enti locali interessati che vedranno i propri territori privati di un servizio fondamentale;
   il timore è che Poste Italiane possa procedere in seguito alla chiusura degli uffici in Basilicata, penalizzando ulteriormente le comunità che negli ultimi anni hanno visto una drastica riduzione dei servizi essenziali (presidi di carabinieri, sportelli bancari, farmacie e altro). È evidente che nei piccoli comuni e nelle aree interne i servizi non possono essere organizzati nello stesso modo rispetto alle città e ad altre zone con un'alta densità di popolazione –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per assicurare l'erogazione dei servizi pubblici essenziali in quelle aree del Paese che, come le zone interne e i piccoli comuni della Basilicata, sono fortemente penalizzate a causa dell'isolamento, della bassa densità della popolazione e della morfologia del territorio;
   se il Governo non ritenga, per quanto di competenza, con urgenza di farsi promotore di una momentanea sospensione del nuovo modello di gestione e recapito a giorni alterni della posta portato avanti da Poste Italiane nei comuni della Basilicata, in attesa di una concertazione fra la società e le amministrazioni locali, così da poter valutare la portata dei disagi arrecati ai cittadini lucani;
   quali iniziative di competenza il governo intenda assumere per garantire che Poste Italiane continui a svolgere un servizio universale in maniera capillare sul territorio nazionale, ripristinando un efficiente servizio postale tradizionale anche nei territori più svantaggiati del Paese, dimostrando una particolare sensibilità alle esigenze territoriali e dei cittadini.
(5-09059)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione de Il Fatto Quotidiano dell'8 giugno 2016 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Fisco, «vietato rimborsare pure se sbagliamo» in cui si narra la vicenda di un «errore clamoroso» compiuto dall'Agenzia delle entrate del Molise nei confronti di un piccolo imprenditore a cui, nel 2010, la direzione provinciale di Campobasso aveva notificato due accertamenti per rideterminare i redditi del 2005 e del 2006;
   in particolare, per il 2006, la direzione provinciale di Campobasso contestava un reddito di 394 mila euro invece dei 43mila dichiarati: il contribuente, dopo varie proteste, ha versato il dovuto di 56mila euro in «adesione»;
   successivamente, al piccolo imprenditore è arrivato un altro accertamento relativo al 2007 grazie al quale è venuta a galla la verità, ossia l'errore: «A far schizzare all'insù il suo reddito 2006 è stata l'indicazione della potenza della sua autovettura: 320 cavalli, secondo le Entrate, invece dei 32 effettivi. Uno zero in più (...)»;
   il piccolo imprenditore ha presentato ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (Ctp) e denunciato l'accaduto alla Procura della Repubblica, che ha accertato che «l'atto è stato sottoscritto dal funzionario fuori delega», chiedendo e ottenendo, però, l'archiviazione del caso;
   a questo punto, la direzione regionale del Molise ha scritto ad Equitalia per sapere se è possibile agire in autotutela, cioè «annullare l'atto perché sbagliato», poiché «la normativa non consente di riaprire l'adesione, anche se basata su un errore macroscopico», il che, tra l'altro, potrebbe comportare il rischio di una citazione in giudizio per indebito arricchimento, ma la risposta da parte di Equitalia è stata negativa perché «sembra che l'adesione sia intangibile»;
   il 18 giugno la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha annullato gli accertamenti sia del 2005 sia del 2006, sottolineando che «la vicenda è contrassegnata da un errore conclamato e macroscopico che ha viziato l'atto a tal punto da far apparire illegittimo il provvedimento di diniego di autotutela per palese violazione dei principi costituzionali». Tuttavia, contro tale decisione l'Agenzia ha presentato ricorso in appello –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, per risolvere il caso in questione e scongiurare, attraverso iniziative normative che vicende simili possano accadere di nuovo a danno dei cittadini contribuenti. (4-13676)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dell'ennesima denuncia di incarico illegittimo disposto presso l'Agenzia delle entrate, che mette in luce, ancora una volta, ad avviso dell'interrogante, come negli uffici della pubblica amministrazione, e in particolare presso le agenzie fiscali, governi il «caos» più totale e accade, dunque, che persone con meno competenze di altre si vedano riconosciuti incarichi ai quali non potrebbero accedere per legge;
   la Dirstat denuncia quanto avvenuto nella direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate di Taranto, attualmente sede dirigenziale, dove è stata distaccata temporaneamente una funzionaria terza area F/3 proveniente da Bari e conferita alla stessa, con delibera per l'attribuzione delle deleghe di firma per l'anno 2016, prot. 115/RDI del 12 maggio 2016, una delega di firma superiore a quella del proprio «Capo Team», quest'ultimo titolare di posizione organizzativa prevista dai contratti collettivi nazionali, con delega di funzioni e di firma sino a 50.000,00 euro per gli atti di propria competenza. In pratica – ed è questo l'aspetto che si ritiene surreale e sintomo di un incarico riconosciuto in violazione della legge – la funzionaria in questione, mentre per le ferie e per le altre incombenze dipende dal «Capo Team», sul piano «operativo» ha una delega di firma fino a 100.000,00 euro per tutti gli atti, senza però nessuna delega di funzioni, potendo in teoria bloccare i provvedimenti firmati dal suo superiore, e ciò non si comprende a che titolo. Al riguardo, tra l'altro, come dichiara il vicesegretario generale Dirstat, Pietro Paolo Boiano, è assurdo distaccare provvisoriamente un funzionario a 150 chilometri dalla sua sede naturale, quando nel medesimo ufficio ci sono funzionari appartenenti alla stessa area che possono svolgere identiche funzioni –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati sui fatti esposti in premessa;
   se i Ministri intendano adottare iniziative affinché venga riportata la legalità nell'affidamento degli incarichi nelle agenzie fiscali, area della pubblica amministrazione in cui i casi di violazione di legge nell'attribuzione degli incarichi dirigenziali si ripetono da anni in mancanza di idonei interventi del Governo, come denuncia da tempo l'interrogante e come dimostrano le copiose sentenze della giustizia amministrativa nonché della Corte Costituzionale. (4-13685)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 1992 Simest società per azioni è una finanziaria controllata del Ministero dell'economia e delle finanze, finalizzata a supportare le imprese italiane che desiderino espandere all'estero il proprio business;
   a questo fine mette a disposizione linee di liquidità, sia a scopo di credito agevolato che di partecipazione al capitale sociale;
   dal 2012 Cassa depositi e prestiti acquisisce il 76 per cento della società, divenendone l'azionista di controllo;
   nel settembre 2011 Simest garantisce una linea di credito agevolata a Parmacotto società per azioni per un valore di 11 milioni di euro;
   il gruppo parmense poteva allora sembrare una realtà in espansione, ma nel 2014 era già sottoposto a concordato preventivo;
   in data 4 luglio 2016 la Guardia di finanza di Parma, dopo una lunga indagine, dispone il sequestro preventivo di 11 milioni di euro, ovvero dell'equivalente di quanto disposto, da Simest società per azioni, società di diritto pubblico;
   si ipotizza il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, praticata tramite artifici contabili, false attestazioni e conseguente falsificazione di un bilancio annuale d'esercizio;
   si sarebbero, in particolare, occultati costi, imputati ad esercizi futuri al fine di rientrare nei parametri richiesti da Simest società per azioni per attivare le linee di credito;
   Simest società per azioni ha chiuso il 2015 con 100 milioni di partecipazioni societarie acquisite e 5 miliardi di euro di finanziamenti a sostegno dell’export;
   tali attività sono fondamentali per l'internazionalizzazione delle imprese italiane, ma proprio per questo è necessario garantire che siano attivate con il massimo rigore analitico;
   il caso di Parmacotto impone di verificare se le procedure seguite da Simest per stabilire l'opportunità di concessione di liquidità siano corrette;
   visto l'importo rilevante, all'interrogante appare infatti dubitabile che tutto sia andato migliore dei modi, se è stato possibile farsi truffare tramite artifici contabili –:
   quale processo decisionale abbia portato nel 2011 ad attivare la linea di credito a favore di Parmacotto società per azioni e, in particolare, come sia stato motivato l'assenso, da parte di chi, con quali garanzie, a seguito di quale tipo di indagine su dati finanziari e industriali;
   se esistano altri casi significativi di crediti deteriorati e come si siano determinati. (4-13688)


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Governo, prima con il decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, e, successivamente, con il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, ha previsto misure urgenti per l'estinzione dei debiti della pubblica amministrazione;
   tuttavia, gli strumenti di attuazione delle disposizioni, anche a causa della farraginosità della normativa vigente, ricadono spesso a determinazioni contraddittorie per stabilire quali amministrazioni ne hanno diritto, penalizzando le imprese nel recupero dei propri crediti;
   in particolare, nel caso delle ATO della Sicilia, alcune scelte decisionali hanno penalizzato le imprese di tutto il Paese che hanno lavorato nel settore dei rifiuti della regione;
   nel maggio 2014, l'Ispettorato generale del bilancio della ragioneria generale dello Stato, in merito alla questione «debiti comuni ATO 2» ha inviato una nota agli uffici legislativi di economia e finanze, segnalando che non era necessario obbligare i comuni soci dell'ATO ad iscriversi in piattaforma in quanto le ATO, come già previsto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 226 del 2012, erano da considerarsi già ricomprese tra le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, evidenziando, tuttavia, che la certificazione da parte dei comuni dei debiti contratti dalle ATO determinava il rischio per i comuni medesimi di porre a carico dei propri bilanci anche i debiti di tali enti;
   a parere dell'interrogante, anche a fronte di tale nota, non è stato previsto nel decreto-legge n. 66 del 2014 l'obbligo per i comuni di certificare i debiti verso le ATO;
   tuttavia, a novembre dello stesso anno, esattamente sei mesi dopo, il MEF comunicava ad un ATO siciliana di non iscriversi sulla piattaforma per la certificazione dei crediti in quanto la stessa non era ricompresa nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   su tale linea, le ragionerie territoriali dello Stato negavano a tutti i richiedenti la nomina dei commissari ad acta per la certificazione;
   nel marzo 2015 si è espressa sull'argomento anche la Commissione europea, in risposta ad un'interrogazione dell'onorevole Buonanno, dichiarando le ATO siciliane sono «organismi di diritto pubblico»;
   nel contempo il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia – Sezione di Catania si esprimeva con sentenze dell'aprile 2015 e maggio 2015, e dichiarava che le i ATO «devono pacificamente ricondursi alle pubbliche amministrazioni di cui all'all'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001»;
   a seguito a tali sentenze sono stati finalmente nominati i commissari ad acta ma la situazione non è stata risolta;
   l'operato dei commissari risulta infatti difforme; alcuni hanno certificato tutti i crediti, alcuni ne hanno certificato solo una parte, alcuni non hanno certificato nulla, addirittura per alcune aziende richiedenti non è stato nemmeno nominato il Commissario. Ciò ha creato gravi discriminazioni tra le imprese creditrici;
   le motivazioni delle certificazioni parziali o mancanti risultano quantomeno anomale. Sembrerebbe che un commissario non ha certificato perché il credito non risultava esigibile da verifica « ex ante», a dispetto della direttiva ministeriale che prevede la verifica «al momento del riscontro», mentre un altro commissario ha ritenuto che il credito fosse certo, liquido, correttamente riportato nei bilanci ma non esigibile, poiché il bilancio non risultava approvato; ciò è avvenuto, nonostante l'esigibilità fosse pacificamente ricondotta al termine di pagamento previsto contrattualmente;
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha anche proposto ricorso al Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia contro le sentenze del TAR della Sicilia – sezione di Catania chiedendo la sospensiva dell'ordinanza, ma il Consiglio di giustizia amministrativa ha negato la sospensiva, sostenendo la posizione del Tribunale amministrativo della Sicilia – sezione di Catania;
   ciò non è stato tuttavia sufficiente a risolvere la situazione; moltissime aziende non hanno ancora ottenuto la certificazione dei crediti e molte altre, «stranamente», non hanno trovato alcuna banca disposta alla cessione pro soluto, come stabilito dall'accordo siglato tra Governo, ABI e Banca d'Italia, dei crediti certificati, nonostante si tratti esclusivamente di crediti assistiti da garanzia dello Stato;
   esiste anche un altro elemento che pone perplessità all'interrogante; recentemente, l'avvocatura dello Stato ha inoltrato a tutte le ragionerie territoriali dello Stato un parere del Consiglio di Stato, no affare 2341/2015, emesso a seguito di un ricorso al Presidente della Repubblica che peraltro non è stato ancora formalmente definito pregando le ragionerie medesime di non procedere alla certificazione dei crediti in quanto lo stesso parere definiva le ATO enti pubblici economici non ricompresi tra le pubbliche amministrazioni garantite dallo Stato;
   la ragioneria territoriale di Messina ha prontamente utilizzato tale parere identificandolo come «sentenza» e negando ad un'azienda la nomina del commissario ad acta; l'interrogante intende evidenziare che la richiesta è stata avanzata ad ottobre 2014 e la risposta è arrivata a giugno 2016, quasi due anni dopo, sebbene per legge si dovesse procedere entro 90 giorni e nel frattempo fossero intervenute le sentenze del TAR;
   anche tale parere solleva perplessità, in quanto esattamente un anno prima, stavolta con sentenza n. 1842 del 2015, il Consiglio di Stato ha affermato che gli enti pubblici, se ricevono contributi pubblici devono di fatto essere considerati come enti pubblici non economici; è da tenere conto che gli statuti delle ATO siciliane tutti prevedono la ripartizione dei costi in parte sulle utenze e in parte sui comuni soci; inoltre, l'articolo 10 dello statuto, a prescindere dal fatto che la società svolga o meno servizi per il comune, prevede che: «l'ente che aderisce alla Società è comunque obbligato a partecipare alle spese generali di amministrazione, proporzionalmente alla propria partecipazione azionaria, indipendentemente dall'attivazione specifica di servizi da parte della società». Si tratta di elementi che chiaramente riconducono l'ATO ad un ente pubblico non economico e perciò incluso nella disciplina del decreto-legge n. 66 del 2014;
   le aziende che hanno operato nei confronti delle ATO vantano tutte crediti milionari e ora, dallo svolgimento dell'intera vicenda, sembrerebbe all'interrogante che il Ministero dell'economia e delle finanze abbia l'intenzione di non intervenire e di non assumersene le responsabilità, nonostante si tratti di aziende obbligate a svolgere servizi pubblici essenziali che, addirittura, qualora inadempienti, vengono denunciate per interruzione di pubblico servizio;
   l'eventuale volontà del Governo di cancellare con un colpo di spugna i debiti delle pubbliche amministrazioni, a danno delle aziende, comporterebbe il rischio di fallimento con gravi ripercussioni sulle stesse aziende e sull'economia dell'intero Paese –:
   se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per risolvere la questione,  evitare discriminazioni e rimuovere il rischio di fallimento di molte delle imprese che vantano crediti nei confronti delle ATO della regione Sicilia.
(4-13689)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   come già segnalato in occasione del question time del febbraio 2016 al Governo, la struttura che ospita la casa circondariale Giuseppe Montalto di Alba, è stata chiusa dal mese di gennaio 2016 per consentire le operazioni di bonifica dell'impianto idrico, delle condotte e dell'impianto di condizionamento dei locali, a seguito dell'accertamento – dalla fine del 2015 – di tre casi di legionella;
   grazie alla risolutezza del sindaco e dell'asl nel tutelare la salute pubblica, nonché alla tempestività di intervento dell'amministrazione penitenziaria nell'organizzare il trasferimento, le 122 persone detenute sono state trasferite in altre strutture;
   in risposta all'interrogazione, il Governo ha rassicurato gli interroganti specificando quanto segue: «è stato demandato alle competenti articolazioni ministeriali lo studio e l'elaborazione di progetti di ristrutturazione e adeguamento e sono già state formulate soluzioni di intervento. In particolare, considerata la priorità delle opere di sanificazione, l'amministrazione penitenziaria ha inserito i relativi interventi nel programma triennale 2016-2018 (...) nella consapevolezza della necessità di garantire nel modo più opportuno l'utilizzazione delle risorse necessarie, l'amministrazione ha avviato valutazioni tecniche di fattibilità per la predisposizione del progetto preliminare e l'individuazione delle modalità più utili a garantire la maggiore celerità nelle successive fasi di progettazione esecutiva, appalto, esecuzione e collaudo dei lavori affinché il carcere di Alba possa essere restituito in condizioni di assoluta sicurezza all'uso penitenziario il più presto possibile»;
   ad oggi, tuttavia, nonostante i grandi impegni profusi e gli sforzi iniziali, gli interpellanti sentono il dovere di tornare nuovamente sulla vicenda albese, in quanto nulla di certo si sa sull'entità degli stanziamenti dei lavori e, soprattutto, circa le modalità ed i tempi di intervento ai fini dell'efficiente e rapido ripristino del sito in oggetto;
   la struttura, infatti, ancora chiusa e disabitata, è destinata ad un inarrestabile deterioramento a causa del degrado e dell'abbandono che sta subendo: tutto ciò non favorisce certo la prospettiva di una imminente riapertura;
   quel che preoccupa maggiormente è che nel corso dei mesi, dopo la sospensione delle attività a favore dei detenuti per conto dei volontari, è venuta meno anche la disponibilità di terzi e privati di investire nei percorsi formativi e professionali utili ai detenuti stessi;
   anche il vigneto, seguito ora da un gruppo di detenuti del carcere di Fossano, rischia di esser compromesso per la carenza di cure ed attenzioni necessarie –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza della mancata risoluzione al problema in precedenza evidenziato e come ritenga di procedere, al fine di favorire la ripresa dei percorsi lavorativi, scolastici e di formazione dei detenuti, fondamentali nel loro percorso rieducativo per una migliore riuscita del processo di reinserimento sociale;
   come intenda intervenire per salvaguardare la struttura carceraria e per ripristinarne la funzionalità, in modo da restituirla quanto prima, sicura e risanata alla collettività, nonché evitare le negative ripercussioni sul futuro lavorativo dei soggetti coinvolti;
   quali siano gli interventi posti in essere al fine di far emergere le responsabilità dell'accaduto, vicenda peraltro non nuova per il carcere albese, che ha messo in serio pericolo il fondamentale ed inalienabile diritto alla salute dei detenuti e dei lavoratori.
(2-01420) «Rabino, Monchiero».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:


   CHIARELLI e DI LELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i decreti legislativi 15 gennaio 2016, n. 7 e n. 8, attuano le previsioni in materia di abrogazione di reati e depenalizzazione contenute nell'articolo 2 della legge n. 67 del 2014, che delega il Governo alla riforma della disciplina sanzionatoria;
   in particolare, con il decreto legislativo n. 7 del 2016 vengono abrogati alcuni reati e sono introdotte le sanzioni pecuniarie civili, ritenute più efficaci nei confronti di illeciti di scarsa offensività;
   l'articolo 2, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, a decorrere dal 6 febbraio 2016, ha poi sostituito l'articolo 635 del codice penale sul danneggiamento, con la abrogazione del primo comma e con il mantenimento della disposizioni residuali: l'unica differenza è data dal fatto che l'ipotesi aggravata del secondo comma diventa una fattispecie autonoma;
   ai sensi della disciplina vigente, commettere atti vandalici sulle auto parcheggiate sulla pubblica via costituisce reato ai sensi del nuovo articolo 635 del codice penale; tale tipologia di danneggiamento andrebbe infatti a colpire «le cose indicate nel numero 7) dell'articolo 625», in quanto tra tali «cose» sono senza dubbio ricompresi anche i veicoli parcheggiati, in quanto «cose esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede»;
   su questo punto è infatti opportuno rilevare che il secondo comma, n. 1), del novellato articolo 635 del codice penale è sostanzialmente rimasto identico al secondo comma, n. 3), del vecchio testo, dove lo specifico richiamo alle «cose indicate nel numero 7) dell'articolo 625» (tra cui quelle «esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede») costituiva una circostanza aggravante del reato di danneggiamento che determinava la procedibilità d'ufficio;
   inoltre, la medesima disciplina di cui al decreto legislativo n. 7 del 2016, esclude il reato di cui all'articolo 635 del codice penale da quelli sottoposti a sanzione pecuniaria, ed è quindi tuttora sottoposto a sanzione penale; l'articolo 4 del medesimo decreto legislativo n. 7 del 2016, al comma 1, lettera c), nell'elencare i soggetti sottoposti a sanzione pecuniaria civile, comprende infatti «chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui, al di fuori dei casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies del codice penale». Tale principio ha trovato conferma anche in recenti pronunce della Corte di Cassazione (Cassazione penale sezione V n. 21727 dep. 24 maggio 2016 e Cassazione penale Sez. II n. 17057 dep. 26 aprile 2016);
   tuttavia, dall'entrata in vigore delle suddette disposizioni, diverse stazioni di polizia e carabinieri rifiutano di ricevere querele sporte dalle vittime di atti vandalici e danneggiamenti aggravati sulle proprie autovetture esposte per consuetudine alla pubblica fede, recando un notevole disagio ai cittadini;
   risulta infatti con certezza agli interroganti che diverse autorità a Torino, Alba, Milano, Monza, Olbia, Matera, Pistoia, Ragusa, Matera – solo per citarne alcune – non ricevono più dai cittadini assicurati le denunce relative ad atti vandalici su autoveicoli;
   risulta altresì che alcuni comandi dei Carabinieri, hanno giustificato tali dinieghi fornendo agli assicurati una circolare a giudizio degli interroganti destituita di ogni fondamento;
   è quindi necessario intervenire, a tutela delle vittime di tale tipo di reato, per far rispettare quanto previsto dalla normativa vigente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione esposta in premessa, e se e quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere per tutelare le vittime di reato di danneggiamento per atti vandalici sulle auto parcheggiate sulla pubblica via, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 635 del codice penale, garantendo la possibilità, su tutto il territorio nazionale, di presentare querela e di vedere riconosciuti i propri diritti. (5-09082)


   MOLTENI e BUSIN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dopo numerose sollecitazioni, sono stati assegnati di recente, da parte del Consiglio superiore della magistratura, presso il tribunale di Vicenza, nuovi magistrati, e precisamente 6, di cui 2 con funzioni inquirenti e 4 con funzioni requirenti. Tale nuove nomine consentiranno sicuramente di poter dare un aiuto fattivo alla drammatica situazione in cui versa detto tribunale;
   purtroppo, seppur si stia cercando di sopperire alla carenza strutturale del tribunale di Vicenza con dette nuove nomine, al contrario, come ha ben ricordato il procuratore capo dottor Antonino Cappelleri, durante la cerimonia di insediamento, e come risulta da notizie apparse su quotidiani locali e su diversi siti web, «La giustizia non procede solo con i magistrati, (ho dovuto pescare) anche fra la polizia giudiziaria, per assegnare ai nuovi Pubblici Ministeri del personale di cancelleria. Tutti gli uffici scontano una pesante carenza di organico, che rende complessa l'attività quotidiana. E la coperta, da qualunque parte la si tiri, resta sempre molto corta», mentre, come sempre segnala il procuratore capo, i servizi di cancelleria sono al collasso;
   se i servizi di cancelleria, necessari e prodromici al lavoro dei magistrati, rimanessero nelle condizioni prospettate, tenuto conto anche delle indagini in corso sulla Banca Popolare di Vicenza che probabilmente sfoceranno in un ulteriore carico per le cancellerie, si creerebbe un disservizio tale che le nuove nomine di magistrati a poco servirebbero, e un utile nomina e il rafforzamento dell'organico dei magistrati verrebbero immediatamente sviliti e sarebbe privi, de facto, di effetti utili –:
   se il Ministro interrogato intenda porre rimedio urgente alla situazione anche con iniziative normative emergenziali, favorendo l'immediata ricostituzione dell'organico degli operatori giudiziari e consentendo alle cancellerie del tribunale di Vicenza di funzionare in modo efficiente ed efficace affinché possa essere svolto in tempi ragionevoli il ruolo che costituzionalmente è assegnato a detti uffici giudiziari. (5-09083)


   MATTIELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli Emirati Arabi Uniti sono tra i principali partner commerciali dell'Italia;
   il Ministro interrogato ha efficacemente e tempestivamente operato nel 2015, arrivando alla firma del pre-trattato il 15 settembre del 2015);
   il pre-trattato, dopo avere ottenuto i pareri favorevoli dei Ministeri coinvolti ed essere stato licenziato dal pre-Consiglio, venne messo all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri del 3 marzo 2016, salvo essere rinviato per approfondimenti;
   diverse delicate inchieste giudiziarie hanno confermato che gli Emirati Arabi Uniti sono la destinazione privilegiata di alcuni importanti latitanti italiani e di grandi attività di riciclaggio di denaro sporco;
   per investigatori e magistrati italiani riveste una grande importanza la possibilità di normalizzare i rapporti di cooperazione giudiziaria con gli Emirati Arabi Uniti –:
   come il Governo intenda muoversi per perfezionare e rendere operativo il Trattato di cui in premessa. (5-09084)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 29 febbraio 2016 è stato inaugurato il nuovo complesso penitenziario di Rovigo alla presenza del Ministro delle infrastrutture Graziano Delrio, e del Ministro della giustizia, Andrea Orlando, il quale nell'occasione ha dichiarato «Dobbiamo ancora finire una serie di interventi che consentano l'utilizzo della struttura e, una volta che questi saranno terminati, avremo la possibilità di coprire esigenze di organico per l'effettiva apertura»;
   successivamente, il 22 aprile 2016, si è proceduto al trasferimento di tutti i detenuti, nonché del personale di polizia penitenziaria dal vecchio istituto penitenziario al nuovo complesso;
   tuttavia, oltre a una moltitudine di criticità organizzative riscontrate nella nuova struttura penitenziaria, è stata segnalata una grave carenza di organico rispetto alle previsioni, con gli ovvi rischi di sicurezza che ne conseguono e la violazione dei diritti dello stesso personale penitenziario rispetto al godimento di: ferie, permessi, riposi, congedi; al riguardo, si segnala, infatti, che attualmente queste persone svolgono turni di 8 ore anziché 6 ore;
   è necessario assumere urgenti provvedimenti, affinché il nuovo complesso penitenziario, iniziato nell'anno 2007 e costato ben 29 milioni di euro, sia adeguatamente funzionante, provvedendo, in particolare, in relazione alla carenza di organico di polizia penitenziaria;
   pertanto, deve essere emanato un interpello straordinario nazionale, affinché si possano ottenere nuove unità di polizia penitenziaria per garantire un servizio programmato come per legge e il rispetto dei diritti del personale di polizia penitenziaria –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato su quanto esposto in premessa e se e quali iniziative intenda assumere;
   per quali motivi, non sia stato previsto e decretato l'organico della nuova casa circondariale di Rovigo, considerando che è dal mese di ottobre del 2015 che sono state avviate tutte le procedure per il completamento della struttura e l'avvio della stessa;
   per quali motivi, nonostante il continuo aumento della popolazione detenuta, che, date le difficoltà oggettive legate al non completamento definitivo della struttura, doveva essere contenuta in un numero minimo, non si sia provveduto ad incrementare il personale di polizia penitenziaria;
   per quali motivi sia stato emanato un solo interpello regionale su base volontaria per 10 unità, al quale hanno aderito solo quattro unità, e non sia stato emanato un interpello nazionale straordinario così come si è proceduto per molti altri istituti penitenziari di nuova apertura. (5-09061)


   CHIARELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16-bis, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, ha introdotto l'obbligo di deposito telematico di atti e documenti a partire dal 30 giugno 2014. Infatti, l'articolo 16-bis, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012 dispone «Nei processi esecutivi di cui al libro III del codice di procedura civile la disposizione di cui al comma 1 si applica successivamente al deposito dell'atto con cui inizia l'esecuzione. A decorrere dal 31 marzo 2015, il deposito nei procedimenti di espropriazione forzata della nota di iscrizione a ruolo ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici (...)»;
   anche l'atto di intervento nelle procedure esecutive soggiace alle regola della obbligatorietà del deposito telematico;
   il Ministero della giustizia proprio in considerazione della necessità della modalità telematica, ha emanato varie circolari in cui ha raccomandato alle cancellerie di provvedere con la massima urgenza alla accettazione degli atti e documenti depositati dalle parti;
   invece, continua a verificarsi puntualmente che le cancellerie provvedano all'accettazione degli atti depositati telematicamente con svariati giorni di ritardo;
   tale modalità si risolve in un evidente vulnus per le parti, che hanno il diritto di fare affidamento sulla tempestiva registrazione dei dati da parte della cancelleria ed anche sulla correttezza dei dati pubblicati sul sistema, avendo tale funzione la finalità di rendere visibili e certi i dati ivi riportati al fine di evitare manipolazioni;
   in particolare, si è verificato un caso in cui il creditore procedente in una espropriazione mobiliare presso il tribunale di Catania n.r.g. 5122/2014, dovendo far fronte ad alcuni impegni nei confronti di propri creditori, provvedesse a cedere a questi ultimi il credito azionato nella predetta procedura esecutiva;
   consultati i registri di cancelleria nonché il portale PST — giustizia, alla data della cessione del credito, non risultava alcun intervento né alcun evento pregiudizievole per il credito azionato dal procedente nella ivi promossa procedura espropriativa;
   più precisamente, la cessione del credito favore dei propri creditori veniva assentita con atti pubblici dei 20 gennaio 2015 (che comportavano a loro volta onerose spese notarili ed imposte);
   diversi giorni dopo la citata cessione del 20 gennaio 2015, nella medesima procedura, e precisamente in data 27 gennaio 2015 (sia come data evento che come data registrazione) veniva annotato nel relativo fascicolo telematico un intervento ex articolo 511 del codice di procedura civile, cosiddetto intervento sostitutivo, da parte di altro soggetto;
   nel corso del 2015, dopo varie udienze in cui il dato di cancelleria del 27 gennaio 2015 non era stato contestato e dopo oltre sette mesi di attesa dei provvedimento di assegnazione, rimasto riservato dal 12 novembre 2015, il giudice con l'ordinanza del 31 maggio 2016, resa visibile il 13 giugno 2016, ritenuta la posteriorità (27 gennaio 2015) dell'intervento ex articolo 511 del codice di procedura civile rispetto alle cessioni di credito (20 gennaio 2015), assegnava le somme ricavate dal pignoramento in favore dei cessionari del credito e non dell'intervenuto ex articolo 511 del codice di procedura civile, facendo (ovviamente) anch'egli affidamento sulle registrazione di cancelleria;
   avverso la predetta ordinanza veniva proposta opposizione da parte dell'intervenuto ex articolo 511 del codice di procedura civile, quest'ultimo sostenendo di aver depositato il proprio intervento in data 12 gennaio 2015, benché il sistema a tutt'oggi visualizzi sia come «data evento» che come «data registrazione» la data del 27 gennaio 2015 quale data del predetto deposito intervento e benché la procedura fosse stata anche lavorata a sistema il giorno 13 gennaio 2015 (data in cui risulta l'annotazione relativa al deposito CU) senza — però — riportare l'esistenza di alcun precedente intervento;
   a seguito di detta opposizione, il giudice sospendeva l'esecuzione dell'ordinanza di assegnazione in favore dei cessionari;
   è quindi necessario intervenire a tutela dei terzi interessati, nonché della certezza e della regolarità delle evidenze telematiche dei processi giurisdizionali –:
   se intenda assumere le iniziative di competenza per chiarire:
    a) se, rispetto al cessionario del credito, faccia fede la data dell'intervento ex articolo 511 del codice di procedura civile riportata nello storico telematico della cancelleria (ossia le voci «data evento e data registrazione» come ivi riportate) ovvero la data (non riconoscibile ai terzi) in cui l'interveniente ex articolo 511 del codice di procedura civile assuma di aver provveduto al deposito mediante consegna della busta al sistema;
    b) se rispetto ai terzi, nel conflitto con altri controinteressati, assuma rilievo dirimente, la data dell'atto come pubblicata a sistema;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle situazioni di conflitto sostanziale, oltre che del pregiudizio, che possono derivare da omissioni, inesattezze e/o ritardi di cancelleria, se e come il Governo intenda intervenire per tutelare l'affidamento riposto nella veridicità e nella correttezza dei registri telematici e quali iniziative di competenza intenda adottare per renderne effettiva la tutela, anche sotto l'eventuale profilo di un rimedio risarcitorio e/o sanzionatorio. (5-09070)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal sito online «newsrimini.it» il 28 giugno 2016, alcuni esponenti di associazioni riminesi si sono incontrate col nuovo garante delle persone private della libertà del comune di Rimini, Ilaria Pruccoli. All'incontro erano presenti Ivan Innocenti (Associazione Iniziativa Radicale), Anna Papa (Associazione Luca Coscioni), Sara Visintin (Associazione Rimini in Comune – Diritti a Sinistra), Anna Maria Stabile (Comitato parenti detenuti), Francesco Bragagni (Segretario provinciale PSI Lista Futura) e Alice Casa (Giovani Democratici Lista Futura);
   tra i problemi principali riguardanti il carcere di Rimini viene segnalato in primo luogo quello dei rapporti con il magistrato di sorveglianza, dottor Franco Raffa, che raramente risponde alle istanze dei detenuti perché incaricato di seguire tre istituti penitenziari: Rimini, Ravenna e Forlì;
   altro problema serio segnalato dalle associazioni riguarda la presenza saltuaria del direttore, dottor Paolo Madonna (dirige contemporaneamente anche l'istituto di Reggio Emilia) che «fa mancare una visione d'insieme delegando di fatto agli ispettori del carcere le decisioni sulle attività interne e sulla gestione quotidiana»;
   secondo le associazioni, la sezione 1 andrebbe ristrutturata completamente, oltre al fatto che andrebbero recuperati spazi per le attività trattamentali, spazi che spesso vengono usati come magazzini del carcere, come nel caso della vecchia cucina, oggi destinata a magazzino per suppellettili e che invece potrebbe ottimamente essere usata per corsi per cuochi;
   grave – si legge nel resoconto giornalistico – è lo stato della sezione 6 dedicata ai transessuali. Si tratta di 6 posti ove sono presenti attualmente 4 detenuti. La garante ha confermato la situazione che le associazioni hanno riscontrato a marzo: pessima condizione della struttura; isolamento sostanziale dei detenuti presenti vittime di una socializzazione ridotta e di una quasi completa esclusione da corsi e percorsi riabilitativi; un'emergenza umanitaria che secondo le associazioni «non può essere ulteriormente tollerata»;
   altra emergenza denunciata è quella relativa ai trasferimenti: secondo la rappresentante delle famiglie dei detenuti Maria Luisa Stabile «nelle ultime due settimane sono stati trasferiti dal carcere di Rimini 30 detenuti senza alcuna comunicazione e motivazione fornita sia alle famiglie che ai detenuti»; la garante, che non era a conoscenza dell'accaduto, si è impegnata a richiedere spiegazioni in merito a tale scelta;
   infine, secondo quanto riferito dall'esponente radicale riminese Ivan Innocenti all'ex deputata Rita Bernardini, nel carcere di Rimini non ci sarebbe il «regolamento di istituto» previsto dall'articolo 16 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354) –:
   se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se intenda assumere iniziative ispettive anche in relazione all'operato della magistratura di sorveglianza e se intenda rafforzare l'organico dell'ufficio di sorveglianza sopra richiamato;
   quale sia attualmente la copertura dell'organico della magistratura di sorveglianza in Emilia Romagna; se lo ritenga adeguato e se ritenga altrettanto adeguata la copertura dell'organico delle altre figure professionali facenti parte dell'ufficio;
   se intenda verificare l'operato del direttore dell'istituto e se corrisponda al vero che, a causa della sua saltuaria presenza, le decisioni sulle attività interne e sulla gestione quotidiana del carcere siano delegate agli ispettori del carcere;
   se non ritenga di dover evitare, anche allo scopo di perseguire effettivamente il principio costituzionale del valore rieducativo della pena che un direttore sia chiamato a dirigere due o addirittura tre istituti penitenziari, come sovente avviene in tutta Italia;
   se intenda assumere iniziative in merito alla mancanza di spazi interni da dedicare alle attività trattamentali nell'istituto di cui in premessa e se intenda adoperarsi per sollecitare la ristrutturazione della sezione 1;
   in che modo intenda intervenire per scongiurare il sostanziale isolamento e la quasi completa esclusione dalle attività trattamentali dei detenuti transessuali confinati nella sesta sezione;
   se e quali iniziative intenda assumere per evitare che abbiano luogo ulteriori trasferimenti nell'Istituto riminese, considerato che quelli avvenuti richiamati in premessa sarebbero stati operati tenendo all'oscuro delle decisioni irrevocabili dell'amministrazione tanto i detenuti quanto i loro familiari;
   se corrisponda al vero che nell'istituto riminese non esista il regolamento d'istituto previsto dalla normativa penitenziaria in vigore e se non ritenga che questa violazione esponga la popolazione detenuta all'arbitrio dell'amministrazione senza che il detenuto possa appellarsi a norme scritte regolatrici della vita in istituto. (4-13687)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:


   OLIARO, MATARRESE, D'AGOSTINO, DAMBRUOSO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'11 febbraio 2016 è stato presentato l'aggiornamento 2015 del contratto i programma 2012-2016 tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana;
   nel corso della presentazione è stata delineata la strategia di investimenti sulla rete ferroviaria italiana che dovrebbe non solo soddisfare le esigenze degli utenti in termini di miglioramento dell'efficienza e della qualità dei trasporti, ma anche raggiungere obiettivi relativi ad una serie di macro aree ben definite quali il trasporto pubblico locale, lo sviluppo dei corridoi TEN-T, il trasporto viaggiatori e merci, i collegamenti con gli aeroporti e i porti, lo sviluppo delle nuove tecnologie l'incremento della sicurezza;
   secondo quanto si evince dai documenti pubblicati da Rete ferroviaria italiana, gli obiettivi dell'aggiornamento 2015 al contratto di programma 2012-2016 saranno raggiunti tramite l'investimento di circa 9 miliardi di euro;
   per il trasporto pubblico locale sono previsti investimenti in ambito regionale per oltre 3,5 miliardi di euro, con interventi per migliorare gli standard di sicurezza e la regolarità, con upgrade tecnologici, con un miglioramento della qualità offerta e con lo sviluppo di nuovi modelli di integrazione modale nel trasporto regionale e metropolitano;
   per quanto riguarda lo sviluppo dei corridoi europei TEN-T che attraversano l'Italia (Scandinavo-Mediterraneo, Baltico-Adriatico, Reno-Alpi e Mediterraneo), sono previsti investimenti pari a circa 5,4 miliardi di euro. Per questo capitolo gli interventi pianificati prevedono il potenziamento dei collegamenti ferroviari (nuove infrastrutture e tecnologie di ultima generazione), l'adeguamento della prestazione delle linee per sviluppare il traffico merci (peso assiale, sagome, lunghezza modulo), l'efficientamento dei collegamenti con i porti e il potenziamento dei collegamenti con gli aeroporti;
   in particolare, per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, sono previsti interventi di ammodernamento infrastrutturale e tecnologico delle linee ferroviarie regionali, di raddoppio delle linee a semplice binario e di velocizzazioni di linee convenzionali delle direttrici verticali di collegamento con il Sud Italia, interventi per migliorare l'accessibilità, il comfort e il sistema di informazione al pubblico nelle stazioni ferroviarie e lo sviluppo di elementi relativi alla mobilità sostenibile;
   per quanto riguarda, invece, lo sviluppo dei corridoi TEN-T, sono previste nuove risorse per circa 5,2 miliardi di euro, di cui oltre 4,4 per completare gli interventi in corso per avviare i nuovi lotti costruttivi delle grandi opere sulle linee ferroviarie inserite nei corridoi che attraversano l'Italia. In particolare, le risorse saranno destinate alle nuove infrastrutture ferroviarie previste fra Brescia e Padova, asse orizzontale del sistema AV/AC italiano, al terzo valico e alla galleria di base del Brennero;
   dal documento pubblicato da Rete ferroviaria italiana, si evince che saranno potenziate le linee convenzionali che rientrano nei corridoi europei TEN-T ovvero Venezia-Trieste, asse orizzontale Torino-Padova, Bologna-Padova, Direttissima Firenze-Roma e Napoli-Salerno- Battipaglia-Reggio Calabria;
   le strategie delineate prevedono finanziamenti per circa 500 milioni di euro per i collegamenti con gli aeroporti Milano Malpensa, Roma Fiumicino, Venezia Marco Polo, Bergamo Orio al Serio, Genova e Catania Fontanarossa, nonché il miglioramento della connessione con i principali porti italiani, i poli retroportuali e logistici e i raccordi ferroviari dei più importanti stabilimenti produttivi;
   per quanto riguarda lo sviluppo dell'area «tecnologie e sicurezza», l'aggiornamento 2015 del contratto di programma 2012-2016 prevede fondi per 1,7 miliardi di euro di cui 1,2 per la messa in sicurezza delle infrastrutture allo scopo di prevenire danni causati da fenomeni di dissesto idrogeologico e rischio sismico, per la soppressione dei passaggi a livello e per l'accessibilità alle stazioni, nonché circa 500 milioni di euro per l’upgrading tecnologico;
   da quanto si evince dagli organi di informazione e dall'elaborazione dei dati forniti da Rete ferroviaria italiana contenuta in un rapporto redatto dal quotidiano Il Mattino, però, sembrerebbe che gli interventi programmati per il Sud Italia siano minimi ed in particolare Il Mattino li definisce «meno di un decimo di quelli previsti nel resto della penisola» e in particolare evidenzia che sul totale dei fondi previsti solo 474 milioni di euro sarebbero destinati allo sviluppo di opere nel Sud Italia;
   secondo gli organi di stampa, le grandi opere assorbirebbero 4.469 milioni di euro suddivisi su quattro interventi tutti previsti nel Nord Italia: 1.500 milioni di euro per l'alta velocità Brescia-Verona, 1.500 milioni di euro per la tratta Verona-Vicenza, 869 milioni di euro per il valico del Brennero e 600 milioni di euro per quello dei Giovi;
   secondo il rapporto del Mattino, gli investimenti per migliorare l'accesso dei treni nelle aree metropolitane, con l'obiettivo di consentire l'ingresso e la partenza di un convoglio ogni tre minuti, senza più colli di bottiglia e sovrapposizioni tra linee ad alta velocità e linee pendolari, riguarderebbero solo «Roma (172 milioni), Firenze (70 milioni), Milano (45 milioni), Torino (30 milioni) e Bologna (30 milioni)» ovvero tutte le città metropolitane del Centro Nord, escluse Genova e la lagunare Venezia. Nulla sarebbe invece programmato nelle sei città metropolitane del Mezzogiorno: Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Messina e Catania;
   la disparità negli investimenti sarebbe evidente anche per i collegamenti ferroviari diretti con gli aeroporti e dal rapporto si evince che gli aeroporti interessati sarebbero solo Genova, Milano Malpensa, Bergamo, Venezia, Roma Fiumicino e Catania Fontanarossa;
   per quanto riguarda il trasporto regionale, il documento evidenzia «solo 100 milioni per interventi in Calabria, 100 milioni per la Sardegna e 96 milioni da ripartire tra Campania, Puglia, Calabria e Sicilia per un totale di 296 milioni», ma li paragona ai 415 milioni di euro investiti «solo» per la Pistoia-Lucca;
   per quanto riguarda la sicurezza, invece, sull'investimento totale di 1200 milioni di euro, «solo» alcuni interventi (260 milioni di euro per fattori idrogeologici e 80 milioni di euro per rispettare norme antisismiche) sarebbero destinati alla messa in sicurezza delle linee ferroviarie del Mezzogiorno e della Liguria. Interventi, questi, che però non migliorano la qualità del servizio benché siano assolutamente necessari;
   per ciò che concerne la linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria è in programma un adeguamento della velocità a 200 chilometri orari, ma nell'aggiornamento del contratto di programma sarebbero previste solo alcune decine di milioni di euro per un adeguamento tecnologico tra Napoli e Battipaglia;
   allo scopo di intercettare il traffico merci del Mediterraneo (aumentato dopo il raddoppio del Canale di Suez), la strategia delineata da Rete ferroviaria italiana sarebbe quella di integrare il sistema portuale con la rete ferroviaria favorendo interventi prioritari che riguardano i porti di Trieste nell'Adriatico e di Genova nel mar Ligure, cui si aggiunge «l'eliminazione di interferenze» con le linee ferroviarie che arrivano allo scalo portuale di Ravenna. Di contro, il documento elaborato dal Mattino evidenzia che non sarebbero previsti interventi per Gioia Tauro, per Napoli e per Taranto ovvero proprio per i porti meglio posizionati sulla linea Gibilterra-Suez;
   il 14 aprile 2015, il 29 settembre 2015 ed il 26 gennaio 2016 sono state discusse ed approvate tre distinte mozioni del gruppo parlamentare di Scelta Civica riguardanti lo stato di crisi del Mezzogiorno d'Italia e le possibili soluzioni e la Camera dei deputati, nel prendere atto dell'importanza delle infrastrutture del Sud come elemento strategico per lo sviluppo dell'economia italiana, ha inteso indirizzare le politiche dell'Esecutivo verso l'adozione di misure volte al miglioramento delle infrastrutture stesse e alla graduale riduzione del divario esistente tra le regioni del Sud e quelle del Nord;
   secondo i documenti pubblicati da Rete ferroviaria italiana, la prossima legge di stabilità dovrà prevedere investimenti per ulteriori 8,2 miliardi di euro che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Rete ferroviaria italiana dovrebbero destinare a specifiche opere, nell'elaborazione dell'aggiornamento 2016 del contratto di programma 2012-2016 parte investimenti –:
   quali siano le linee politiche che il Governo intende adottare al fine del concreto sviluppo delle infrastrutture del Sud Italia e, con particolare riferimento al citato ed ulteriore investimento di 8,2 miliardi di euro, quali siano le opere che intende finanziare e porre in essere nel Mezzogiorno. (5-09051)


   CATALANO e BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto ispettivo n. 5-06111, del luglio 2015, il primo firmatario del presente atto ha interrogato il Governo circa la vigenza delle disposizioni in materia di noleggio con conducente introdotte dall'articolo 29, comma 1-quater del decreto-legge n. 207 del 2008;
   nella sua risposta il Governo, dopo aver ricostruito dettagliatamente la vicenda e ricordato che «già in sede di conversione del predetto decreto-legge n. 207 proprio questa Commissione aveva espresso parere favorevole alla conversione dello stesso ma solo a condizione che venisse soppresso il comma 1-quater dell'articolo 29» ha ribadito che l'efficacia delle norme è sospesa e ha evidenziato che tale conclusione è pienamente supportata dall'esame dei lavori;
   tuttavia, malgrado questa presa di posizione, nuovamente confermata dal Governo con accoglimento dell'ordine del giorno n. 9/3513-A/64, nel febbraio 2016, si moltiplicano i provvedimenti giurisdizionali che, smentendo il Ministero, applicano le disposizioni «sospese», da ultimo, ed ex pluribus, dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2806/2016, emessa nel procedimento n. 9095/2015 Reg. Ric.;
   l'interpretazione alla base di queste decisioni, di crescente pregiudizio per l'intero settore del noleggio con conducente, non contrasta con la lettera – strettamente intesa – delle ultime proroghe, ma ne svaluta totalmente l'esplicita ratio legis;
   già in occasione dell'approvazione dell'ultimo decreto-legge cosiddetto «Milleproroghe», si sarebbe potuto, con un intervento correttivo minimo, e senza abrogare le disposizioni di cui sopra, agevolmente risolvere il dubbio interpretativo rispetto alla portata della sospensione;
   infatti, in sede di conversione del predetto decreto (A.C. 3513), il primo firmatario del presente atto aveva proposto una riformulazione idonea a tale scopo, con l'emendamento 7.71, che, pur avendo ricevuto nulla osta tecnico era stata però oggetto di parere politico contrario di Governo e relatori, e quindi respinto;
   se il Governo non ritenga di assumere al più presto iniziative normative al fine di assicurare certezza normativa rispetto alla non vigenza dell'articolo 29, comma 1-quater, eventualmente valutando anche l'introduzione di una norma quale quella proposta con il citato emendamento 7.71 o di una norma di interpretazione autentica. (5-09052)


   BIASOTTI e GIAMMANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo anno la zona portuale di Palermo è stata oggetto di numerose inchieste giudiziarie riguardanti, in particolar modo, il molo Vittorio Veneto. A seguito di un sopralluogo di forze dell'ordine, inquirenti e funzionari dell'agenzia regionale per l'ambiente (Arpa), il molo è stato posto sotto sequestro prima per quel che riguarda il settore sud e successivamente, per le medesime motivazioni, anche per il settore nord;
   il porto di Palermo registra un flusso di merci e di passeggeri che è certificato come tra i più alti del Mar Mediterraneo: solo nel 2014 è stato registrato il passaggio di 6,2 milioni di tonnellate di merci e poco meno di 2 milioni di passeggeri;
   il molo Vittorio Veneto è sovente utilizzato anche per lo sbarco e l'imbarco da navi da crociera, che normalmente si attestano su un peso di decine di migliaia di tonnellate;
   la manutenzione del molo Vittorio Veneto è stata giudicata totalmente inadeguata da parte della magistratura e dei tecnici, giunti a tali conclusioni dopo intense indagini ed accertamenti che hanno riscontrato una situazione davvero preoccupante: «ingrottature» estese e presenti lungo tutto la struttura subacquea, gravissime criticità strutturali presenti anche nei piloni di sostegno con un conseguente altissimo rischio di cedimento;
   la situazione è il risultato della pessima gestione, dell'insufficiente manutenzione e del mancato monitoraggio protratti nel tempo; è necessario accertare, pertanto, nomi e cognomi di coloro che si sono resi responsabili di un simile stato di abbandono della struttura del molo e della totale inosservanza delle elementari regole di sicurezza;
   per quanto avvenuto, ad oggi, risultano indagati il Presidente dell'Autorità Portuale, Vincenzo Cannatella, e un funzionario quadro dell'ufficio tecnico della stessa, autorità, portuale, per «Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina» articolo 677 del codice penale, così come disposto dal decreto di sequestro preventivo del 25 gennaio 2016 emesso dal tribunale di Palermo;
   nel decreto del tribunale di Palermo si legge, tra le altre cose, che nella relazione relativa allo stato di salute della banchina del molo Vittorio Veneto si riscontra il distacco del calcestruzzo copri ferro e la corrosione dei ferri nelle strutture in cemento armato, nonché la forte presenza di «ingrottature» nel muro di contenimento costituito dai massi ciclopici;
   il molo Vittorio Veneto, soprattutto nel settore nord, dimostra avanzati stati di degrado, visibili già da precedenti ispezioni, che avrebbero potuto portare al cedimento dell'intera struttura;
   l'autorità portuale di Palermo era a conoscenza del pessimo stato della struttura già dal 2014, come certificato da documenti acquisiti, nella stessa autorità, da personale in servizio presso la capitaneria di porto di Palermo;
   in particolare due relazioni tecniche, datate rispettivamente aprile e luglio 2014, non lasciano spazio ad interpretazioni e confermano che «gli indagati hanno omesso di realizzare, pur avendone l'obbligo per le cariche ricoperte, gli interventi di risanamento reputati necessari nelle relazioni redatte [...] in tal modo determinando una situazione di pericolo per le persone» e creando altresì evidenti disagi e danni economici per le successive misure di sequestro, potenziale collasso della struttura e quindi altissimo rischio di mettere a repentaglio centinaia di vite umane;
   il decreto del 25 gennaio 2016 recita ancora: «sussiste altresì il pericolo che la libera disponibilità della banchina lato nord del molo Vittorio Veneto del porto di Palermo [...] comporti la protrazione o l'aggravamento delle conseguenze del reato e, in particolare, un concreto ed attuale pericolo per la sicurezza ed incolumità degli utenti del servizio portuale, avuto riguardo alle ravvisate criticità di ordine statico-strutturale, potenzialmente suscettibili di ulteriore peggioramento in considerazione delle notevoli sollecitazioni prodotte dall'attracco di navi anche di notevole stazza» –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere specifiche iniziative, per quanto di propria competenza, al fine di individuare le responsabilità, presenti e passate, della mancata manutenzione, del mancato monitoraggio e del diffuso degrado della zona portuale del molo Vittorio Veneto di Palermo, anche per il tramite di ispettori ministeriali per accertare eventuali, ulteriori responsabilità di dirigenti e funzionari, cui sarebbe spettata l'organizzazione della manutenzione ordinaria e della messa in sicurezza della zona. (5-09053)


   FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   per il rapporto Pendolaria di Legambiente, la linea ferroviaria Milano-Codogno-Cremona-Mantova è una delle peggiori della Lombardia. Si tratta di 151 chilometri, di cui 60 a doppio binario e 91 a semplice binario. La linea collega i due capoluoghi di provincia della bassa Lombardia;
   questa tratta, che conta oltre 10 mila pendolari giornalieri, collega le due città a Milano con pochissimi treni diretti giornalieri, quasi sempre in ritardo. I treni sono spesso sporchi e sovraffollati. Da Mantova per Milano i tempi di percorrenza sono di 2 ore e 10 minuti, mentre da Cremona i tempi sono di un'ora e 10 minuti, come 40 anni fa. Il materiale rotabile utilizzato è tra i più vecchi in circolazione ed è una delle principali cause dei ritardi. Ma a complicare le cose ci sono le decine di passaggi a livello, che minano la sicurezza di circolazione dei treni e rendono assai critica e difficoltosa la marcia degli stessi. La tratta di rete a semplice binario, tra Codogno, Cremona e Mantova, scarseggia di manutenzione, mentre l'insufficienza del numero di carrozze riduce notevolmente la capacità dei posti, lasciando molti passeggeri in piedi, al freddo d'inverno e al caldo torrido d'estate;
   secondo quanto si apprende da fonti stampa locale, recentemente il sottosegretario ai rapporti con il parlamento, Luciano Pizzetti, dopo un incontro con il Ministro Delrio, avrebbe comunicato il via libera per uno stanziamento del Governo di 6 milioni di euro volto alla progettazione del raddoppio della tratta ferroviaria Milano-Codogno-Cremona-Mantova. Un impegno che avviene al di fuori di ogni accordo concreto con le istituzioni locali coinvolte e che appare, a quanto consta agli interroganti, come una mossa propagandistica più che realmente operativa;
   non sono stati infatti forniti dettagli in merito alle modalità e ai tempi legati al presunto stanziamento di 6 milioni di euro, peraltro non si capisce a cosa serva tale somma in presenza di una stima dei costi per il progetto pari a 320 milioni di euro. Si tratta sostanzialmente di un progetto che ancora allo stato attuale non viene finanziato con i flussi economici effettivamente necessari anche solo al suo avvio concreto;
   il contratto di programma 2012-2016 – parte investimenti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la società Rete ferroviaria italiana Spa –, che è il principale documento programmatico relativo agli investimenti sulla rete ferroviaria italiana, per la tratta in oggetto, non prevede alcun lavoro di raddoppio ma solo lavori di manutenzione;
   ancora di recente la regione Lombardia, nel suo piano regionale della mobilità e dei trasporti, ha solo indicativamente individuato la possibilità, tra vari progetti finanziabili, del raddoppio di tale linea;
   seppur legittimo il dibattito politico sul tema dei trasporti locali della zona, andrebbe tuttavia recuperata una piena correttezza istituzionale nei confronti dei cittadini per informarli, con trasparenza ed esattezza, circa le reali possibilità che i lavori sulla linea vengano effettivamente completati –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire informazioni e assicurazioni urgenti circa l'effettivo impegno del Governo – e la sua eventuale tempistica – relativamente al raddoppio e al potenziamento della tratta ferroviaria Milano-Codogno-Cremona-Mantova, con particolare riferimento alla possibilità concreta dell'avvio dell'accordo quadro tra Governo e regione Lombardia, senza il quale non sarebbe possibile avviare i lavori di raddoppio. (5-09054)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DELL'ORCO, LIUZZI e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tratta ferroviaria Alba-Asti è chiusa da quasi sei anni, precisamente dal 30 aprile 2010, a causa dell'inagibilità della galleria Ghersi per il cui ripristino e consolidamento la società Rete Ferroviaria Italiana (RFI) ha quantificato oneri per 12 milioni di euro. Secondo quanto descritto nell'analisi del dissesto e programmazione degli interventi presentato da RFI il 15 giugno 2010: «l'evoluzione del dissesto e le risultanze delle prime verifiche tecniche effettuate hanno evidenziato rilevanti problematiche di natura idrogeologica la cui risoluzione implica la necessità di realizzare un intervento manutentivo complesso, economicamente oneroso ed incompatibile con il mantenimento in esercizio della tratta Castagnole delle Lanze Alba durante l'esecuzione dei lavori.»;
   in virtù della impossibilità di far fronte all'onerosità di tale ripristino e consolidamento della suddetta galleria la regione Piemonte, nel piano di riorganizzazione del trasporto pubblico ferroviario piemontese, ha inserito la linea Alba-Asti tra le 12 linee ferroviarie (Alba-Asti; Alba-Alessandria; Asti-CasaleMortara; Cuneo-Mondovì; Cuneo-Saluzzo-Savigliano; Novi Ligure-Tortona; Alessandria-Ovada; Casale-Vercelli; Santhià-Arona; Pinerolo-Torre Pellice; Chivasso-Asti; Ceva-Ormea) da sopprimere e sostituire con collegamenti autobus a causa della loro non remuneratività;
   tale decisione ha scatenato forti lamentele dei rappresentanti istituzionali dei comuni interessati e degli esponenti del mondo dell'associazionismo — in primis il Movimento Stop al Consumo di Territorio, il Forum Salviamo il Paesaggio e AFP-Associazione Ferrovie Piemontesi in rappresentanza di oltre mille organizzazioni ambientaliste, agricole, delle professioni, della ricerca e della cultura — e comitati di cittadini e di pendolari che hanno chiesto in molteplici occasioni, anche con manifestazioni pubbliche e raccolte di firme, l'immediata riapertura di tale tratta ferroviaria da Alba ad Asti, rimarcandone l'utilità per studenti e lavoratori ma anche per i turisti, sempre più numerosi in seguito al riconoscimento delle colline del vino di Langhe-Roero e Monferrato quale patrimonio mondiale dell'umanità attribuito dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco);
   infatti, nella riunione del Comitato del patrimonio mondiale dell'Unesco, che si è tenuto a Doha in Quatar dal 15 al 25 giugno 2014, i paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato sono stati riconosciuti come parte integrante del patrimonio mondiale per l'eccezionale valore universale del paesaggio e della cultura vitivinicola piemontese. Pertanto, oltre alle manifeste necessità trasportistiche dei residenti vi sono sempre più evidenti ragioni turistiche a rendere imprescindibile la disponibilità di una tratta ferroviaria locale e questo a maggior ragione se si tiene conto che nella presentazione della candidatura all'Unesco era indicato con chiarezza la presenza di una articolata linea ferroviaria in grado di agevolare la mobilità di residenti e turisti. Linea che inopinatamente è stata viceversa soppressa;
   anche la proposta di conversione della rete ferroviaria in una ciclovia è stata dalla cittadinanza bocciata poiché la linea, ancora armata, è in buono stato di conservazione, è immediatamente attivabile con costi sicuramente minori della sua trasformazione in pista ciclabile. Inoltre, esistono già delle valide alternative ciclabili che collegano i territori interessati, in particolare lungo il fiume Tanaro, e in più è possibile realizzare eventualmente un tracciato ciclabile parallelo ai binari, dunque non sostitutivo, che avrebbe costi decisamente minori di una totale rimozione dei binari;
   nel 2015 l'assessorato ai trasporti della regione Piemonte e i sindaci della tratta Asti-Alba avevano convenuto sulla necessità di restituire la linea ferroviaria al territorio ipotizzando anche il transito di un treno speciale Torino-Asti-Castagnole delle Lanze per il periodo contemporaneo al semestre dell'Expo di Milano, progetto poi non avviato per probabile insussistenza finanziaria dell'ente regionale;
   il ripristino della galleria Ghersi comporta oneri non proibitivi, appena 12 milioni di euro, a fronte dei miliardi di euro previsti per progetti contestati quali l'AV/AC Milano-Genova — Terzo Valico dei Giovi, la cui strategicità è stata compromessa dalla decisione della Commissione Europea del 29 giugno 2015 di non inserirla più nella lista dei progetti del CEF — Connecting Europe Facilities e, quindi, non più finanziabile con risorse europee;
   nel novembre 2015 il nostro Paese ha acquistato quote di CO2 dalla Polonia per regolarizzare la sua posizione in merito ai livelli di emissione consentiti a dimostrazione del totale fallimento delle politiche di riduzione dell'anidride carbonica adottate dall'attuale Governo. Pertanto, incentivare il trasporto su ferro rappresenta l'unica reale risposta non solo ai problemi di mobilità e di congestione del traffico, che ormai attanagliano tutti i contesti urbani del nostro Paese, ma soprattutto per consentire il conseguimento degli impegni di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030 imposti dall'Unione europea e dagli accordi internazionali;
   le amministrazioni locali e i residenti dei territori interessati reclamano il ritorno del servizio ferroviario della tratta Asti-Alba non solo per dare risposta al bisogno di mobilità di studenti e lavoratori ma anche per le molteplici prospettive economiche che si aprirebbero con lo sviluppo turistico, come insegnano i «trenini» panoramici della vicina Svizzera o del Trentino, di una delle zone più suggestive del Paese –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere — anche a sostegno della regione Piemonte — per l'immediata riattivazione della linea ferroviaria Asti-Alba e delle altre insistenti nel perimetro dei paesaggi vitivinicoli del Piemonte delle Langhe-Roero e Monferrato, patrimonio mondiale Unesco, quali l'altrettanto storica e strategica linea ferroviaria Alessandria-Nizza Monferrato-Castagnole delle Lanze-Alba. (5-09055)


   ATTAGUILE, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la decisione del Governo di privatizzare il 49 per cento dell'Enav, l'ente che controlla il traffico aereo negli aeroporti e nei cieli italiani è divenuta oggetto di vertenza;
   secondo quanto pubblicato nell'edizione de Il Tempo del 24 aprile 2016, l'operazione «battezzata dal Governo di Enrico Letta e benedetta dall'esecutivo di Matteo Renzi con la nomina di Roberta Neri ad amministratore delegato dell'azienda», è lo strumento con la quale «Palazzo Chigi e Ministero dell'economia e delle finanze contano di incassare 8-900 milioni di euro»;
   l'obiettivo sembrerebbe dunque quello di voler fare cassa e abbassare il debito pubblico dello 0,019 per cento, tramite IPO e quotazioni in borsa;
   a parere degli interroganti è un palese salto nel buio, specie dopo il risultato del referendum sul Brexit;
   i rischi derivanti dalla privatizzazione e dalla quotazione in borsa sono stati, peraltro, evidenziati anche dalla Uiltrasporti, che ha ricordato come «L'Enav svolge la propria attività per garantire ai cieli italiani l'assoluta sicurezza del traffico aereo, attività sensibile per la quale sarebbe utile rimanesse interamente di proprietà dello Stato italiano»;
   ad alimentare i dubbi e le incertezze sull'operazione è anche la totale mancanza di qualsivoglia modalità di partecipazione dei lavoratori alla governance aziendale ovvero l'assenza di alcuna forma di incentivazione al fine di favorire la partecipazione all'offerta da parte dei dipendenti Enav, la totale esclusione dei sindacati dalla trattativa e l'essere all'oscuro del piano industriale e della politica aziendale, anche per meglio comprendere il futuro occupazionale dei tanti lavoratori coinvolti;
   si contesta altresì la mancata informazione sugli sviluppi e le tempistiche della quotazione in borsa della società e la mancata informazione sulle recenti iniziative riguardo la politica di distribuzione dei dividendi, che sembrerebbe contenga la promessa ai futuri investitori di un dividendo annuo pari al doppio di quello guadagnato dall'azienda;
   per i motivi suesposti, con lettera del 15 giugno 2016 indirizzata anche al Ministro interrogato è stata aperta formale vertenza e proclamato lo sciopero nazionale per il 5 luglio 2016 di tutto il personale Enav SpA –:
   se e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro interrogato intenda adottare per addivenire ad una rapida conclusione della vertenza, anche aprendo un tavolo interministeriale con il Ministero dell'economia e delle finanze ed il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, considerato che lo sciopero mette a repentaglio la sicurezza stessa del trasporto aereo. (5-09056)


   TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Porto di Genova è uno dei principali scali europei ed è il primo tra i porti italiani nel settore container (oltre 2,2 milioni di TEU nei 2015); con oltre 6.000 accosti movimenta 51,3 milioni di tonnellate di merce all'anno;
   uno studio curato da Nomisma-Prometeia-Tema per conto dell'Autorità «Portuale di Genova presentato il 31 maggio 2016 ha analizzato i rilevanti effetti economici e sociali della filiera portuale genovese sulla città metropolitana di Genova, sulla Liguria e sul Paese intero: a livello nazionale il porto di Genova determina effetti diretti, indiretti e indotti per oltre 9,5 miliardi di euro di valore aggiunto, generando 122.200 unità di lavoro; per la regione Liguria, attiva una produzione di 10,9 miliardi di euro, per 4,6 miliardi di euro di valore aggiunto, impiegando 54.000 unità di lavoro; la filiera portuale di Genova per l'economia regionale vale il 10,8 per cento del valore aggiunto e l'8,3 per cento dell'occupazione totale; per il territorio della Città metropolitana di Genova, genera 3,2 miliardi di euro di valore aggiunto e 37.000 occupati;
   l'elaborazione proposta dal medesimo studio, che misura per la prima volta (mediante un modello input-output multi regionale) l'impatto diretto/indiretto/indotto della filiera portuale, sia a livello regionale che nazionale, dimostra la valenza strategica nazionale del porto di Genova: si stima che a fronte delle 54.000 unità di lavoro liguri, siano attivate dal porto di Genova anche 22.500 unità di lavoro in Lombardia, 13.000 in Piemonte, 7.600 in Emilia Romagna, 5.600 in Toscana, 5.100 in Veneto e 14.100, complessivamente, nelle altre regioni;
   il programma di investimenti, per circa 2 miliardi di euro, previsto dal nuovo piano regolatore portuale è in grado di generare un aumento della produzione di circa 6,1 miliardi di euro e un valore aggiunto di 1,9 miliardi di euro, con un incremento di occupazione per circa 42.000 unità;
   il 1o giugno 2016 è stato inaugurato il tunnel del San Gottardo, che con i suoi 57,1 chilometri è la galleria ferroviaria più lunga del mondo; a partire dall'11 dicembre sarà possibile raggiungere Milano da Zurigo in meno di tre ore; oltre ai 65 treni viaggiatori, sono previsti 250 treni merci, 70 in più rispetto ai 180 attuali;
   il nuovo tunnel rende pertanto più rapido e più frequente il collegamento fra il Nord e il Sud dell'Europa; in particolare, potenzia il collegamento ferroviario per grandi flussi di merci verso i porti di Rotterdam e Anversa, e, tramite le linee svizzere, con i mercati della Baviera e della Svizzera, migliorando l'accesso alle aree europee più produttive delle merci prodotte nell'area piemontese/padana che oggi rappresentano per il porto di Genova il 72 per cento del traffico totale;
   le merci da e per il mercato italiano potrebbero trovare conveniente il passaggio attraverso il S.Gottardo piuttosto che mediante il porto di Genova; il previsto potenziamento del porto offre a Genova l'opportunità di intercettare i traffici merci che dall'area italiana oggi raggiungono i porti del Nord Europa stimati in non meno di 6/700 mila teu – e consente di attrarre traffico merci dalla Germania, in particolare dalla Baviera;
   per evitare il possibile «spiazzamento» del porto di Genova e cogliere, al contrario, le opportunità offerte dal più rapido e agevole collegamento fra i porti di Rotterdam e Anversa e quello di Genova – l'apertura delle gallerie di base del Gottardo e del Ceneri crea le condizioni per indirizzare verso gli scali sud europei il traffico oggi appannaggio degli scali del nord Europa, rendendo potenzialmente più competitivo il sistema portuale ligure – appare essenziale nell'immediato ottimizzare l'utilizzo delle tracce esistenti e rafforzare l'armamento ferroviario necessario ad incrementare il numero e la frequenza dei treni da e per il porto di Genova aumentando in misura significativa la percentuale di merce trasportata via ferrovia;
   nelle more del completamento delle grandi infrastrutture che entreranno in funzione nel corso dei prossimi anni, in particolare del nuovo collegamento ferroviario del 3o Valico dei Giovi, e della realizzazione di tutti gli interventi previsti dal Protocollo d'intesa per l'attuazione delle iniziative strategiche del sistema logistico del Nord-Ovest, compreso l'indispensabile 2o binario di Voltri/VTE, è necessario realizzare nell'immediato interventi sulle linee ferroviarie esistenti con due priorità: garantire il coordinamento tra RFI e Imprese su arrivi e partenze, evitando che siano impegnate «tracce» oggi non utilizzate; utilizzare i parchi esistenti in prossimità del porto (Campasso, e altro come aree di coordinamento traffico e i parchi di Novi S. Bovo ed Alessandria (con ampia capacità) come «polmoni» per il traffico da/per il porto di Genova;
   appare essenziale anche effettuare le verifiche dentro i parchi portuali, per diminuire sensibilmente i tempi di attesa tra manovra ed aggancio del treno per andare in linea –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire la realizzazione, nell'immediato, degli interventi e delle priorità descritte sulle linee ferroviarie esistenti, e per dare, nel contempo, significativo impulso all'accelerazione dei lavori necessari per il completamento del 2o binario di Voltri. (5-09057)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 25 giugno 2016 nella città di Palermo hanno avuto luogo due distinti omicidi;
   tra le ore 13 e le ore 14 nella zona di Borgo Nuovo un uomo di 68 anni, Vincenzo Barbagallo, è rimasto ucciso e figlio di 48 anni, Domenico, ferito da alcuni proiettili fatti esplodere, secondo la ricostruzione fornita dai Carabinieri, da un vicino di casa, Francesco Lo Monaco, 49 anni;
   all'origine di questa prima tragedia ci sarebbe una lite domestica, le mogli di Lo Monaco e Barbagallo avrebbero litigato intorno alle 13 e quando la situazione sembrava essere tornata alla normalità sarebbe nata una discussione ben più animata tra i mariti, poi sfociata nel delitto;
   intorno alle ore 23, nella zona di Cruillas, in piazza Lampada della Fraternità, un giovane di 27 anni, Roberto Frisco, ha perso la vita per una coltellata all'addome;
   questa seconda tragedia che ha portato anche al ferimento di 4 persone, avrebbe avuto origini in una maxi rissa scoppiata tra le famiglie «rivali» dei Frisco e dei Lo Piccolo, combattuta con martelli ed un coltello;
   sono risultati feriti anche il padre della vittima, Giuseppe, di 54 anni, e il fratello Francesco di 31 anni oltre a due componenti della famiglia Lo Piccolo, Salvatore, 19 anni, e il fratello Nunzio, 23;
   come ricordato anche dai rappresentanti del sindacato di polizia Consap, il bilancio di sangue è pesantissimo e deve portare ad una attenta riflessione, almeno in uno dei due casi è sicuramente da escludere che il delitto possa considerarsi di tipo mafioso;
   si segnala, nell'ultimo periodo un aumento della violenza in città, con particolare riguardo ai crimini violenti;
   la città di Palermo, secondo i dati forniti dai sindacati di polizia, è la terza in Italia, dopo Napoli e Bari, per numero di omicidi e tentati omicidi –:
   se non ritenga di doversi attivare celermente affinché sia predisposto un accurato piano di sicurezza pubblica destinato alla città di Palermo, volto a prevenire e reprimere la criminalità.
(2-01417) «Francesco Saverio Romano, Pisicchio».

Interrogazione a risposta immediata:


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, TOTARO, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO e TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   mercoledì 29 giugno 2016, in seguito ad un'ispezione condotta dall'azienda sanitaria locale e da alcuni reparti delle forze dell'ordine in un'azienda cinese a Sesto Fiorentino, alla contestazione di alcune irregolarità sono scoppiati dei tafferugli, dapprima all'interno della medesima azienda poi degenerati in una vera e propria rivolta da parte di alcune centinaia di cittadini cinesi;
   la rivolta, iniziata con un fitto lancio di pietre, bottiglie e lattine, ha determinato la reazione delle forze dell'ordine e si è conclusa con almeno sette feriti lievi tra la comunità cinese, due dei quali arrestati per resistenza a pubblico ufficiale, e qualche conseguenza anche per quattro appartenenti a polizia e carabinieri;
   un consigliere regionale di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale, protagonista di un video su Facebook nel quale torna nei luoghi della rivolta il giorno successivo ai fatti, è stato pesantemente insultato e minacciato di morte sulla sua pagina da parte di alcune persone con account dal nome cinese;
   in più di un'occasione il gruppo di Fratelli d'Italia-Alleanza nazionale ha presentato atti di sindacato ispettivo per chiedere chiarimenti in ordine alla regolarità dell'operato delle aziende cinesi in Italia, per denunciare la concorrenza sleale operata dalle stesse a danno soprattutto delle piccole e medie imprese italiane dei settori tessile e calzaturiero, nonché per sollecitare l'adozione di iniziative per contrastare i trasferimenti irregolari di milioni di euro da parte di cittadini cinesi attraverso i money transfer;
   quello che è accaduto la scorsa settimana a Sesto Fiorentino dimostra non soltanto come le aziende cinesi continuino a operare in situazioni di eclatante illegalità, nelle quali la competitività è ottenuta con lo sfruttamento dei connazionali, con nessun diritto riconosciuto e con la violazione pressoché sistematica delle norme di sicurezza, ma anche come ormai gli appartenenti a quelle comunità manifestino apertamente il disprezzo per la nazione che li ospita e le sue regole –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere rispetto alla gravissima situazione di illegalità nella quale operano la stragrande maggioranza delle aziende cinesi, per garantire l'applicazione di regole uniformi per tutte le imprese a tutela della competitività delle aziende italiane e per contrastare tutte le attività illegali collegate a tali aziende, tra le quali le irregolarità messe in atto nei trasferimenti di denaro e i legami con la criminalità organizzata, se del caso applicando alla stessa la normativa antimafia. (3-02360)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
I Commissione:


   FIANO, TULLO, FIORIO, FERRARI, FERRO, ALBINI, BARGERO, BAZOLI, BLAZINA, BOLOGNESI, CARELLA, CARRA, CARROZZA, CIMBRO, COPPOLA, COVA, FEDI, GARAVINI, GHIZZONI, GRIBAUDO, IACONO, LA MARCA, LENZI, LODOLINI, PATRIZIA MAESTRI, MALISANI, MALPEZZI, MARCHI, MASSA, MINNUCCI, MONTRONI, NACCARATO, ROMANINI, SANI, SCHIRÒ, SCUVERA e SGAMBATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si è appreso che il 25 e il 26 giugno 2016 a Roma, i fascisti di Avanguardia Nazionale hanno tenuto un raduno commemorativo, ufficialmente per il cinquantaseiesimo anniversario dalla loro fondazione, presso la sala convegni del ristorante La Fraschetta nel Campo, sita in via Tiburtina 949, che ha sancito di fatto la ripresa dell'attività politica e la ricostituzione della formazione un tempo capeggiata da Stefano Delle Chiaie;
   sempre da notizie a mezzo stampa sembrerebbe che al raduno neofascista fossero presenti delegazioni di ex militanti di Avanguardia Nazionale provenienti da tutta Italia, da Trieste alla Calabria, mentre risulterebbe esservi stata la presenza di capi fascisti storici di Avanguardia Nazionale come Bruno Di Luia, l'infiltrato Mario Merlino, il fascista pugliese Vincenzo Nardulli, e, lo stesso Stefano Delle Chiaie, forse il più noto dirigente di Avanguardia Nazionale;
   come è noto nel giugno del 1976 il tribunale di Roma condannò gran parte dei dirigenti e degli attivisti di Avanguardia Nazionale per ricostituzione del disciolto partito fascista e pochi giorni dopo il Ministero dell'interno pose fuori legge il movimento in quanto ritenuta pericoloso per l'ordinamento democratico della Repubblica italiana;
   trascorsi quarant'anni, in mancanza di nuove disposizioni da parte del Ministero dell'interno, non si comprende neppure se tale raduno organizzato dalla medesima sigla posta all'epoca fuori legge, sia dunque da ritenersi giuridicamente legittimo;
   proprio recentemente l'Osservatorio democratico sulle nuove destre ha diffuso il documento del memoriale che Guido Paglia, ex presidente di Avanguardia, consegnò nel 1972 al Sid, il servizio segreto italiano dal 1966 al 1977, nel quale l'organizzazione interna del movimento viene descritta come un'organizzazione che «annovera nelle sue fila anche “commandos terroristici”»;
   tali notizie hanno destato viva preoccupazione e allarme sociale, alla luce non solo dei numerosi e spesso oscuri episodi sanguinosi attribuiti storicamente ad esponenti di Avanguardia Nazionale, ma anche di alcune dichiarazioni apparse sulla stampa che manifesterebbero la volontà degli organizzatori di dar vita ad un vero e proprio movimento politico –:
   quale sia l'orientamento del Governo sui fatti riportati in premessa, con particolare riguardo alla legittimità sul piano dell'ordinamento giuridico di un raduno organizzato da un movimento che si avvale di una sigla già posta fuori legge per ricostituzione del disciolto partito fascista, nonché quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di scongiurare la ricostituzione di organizzazioni fasciste, che vedono la partecipazione di persone già note e spesso coinvolte in indagini sull'eversione nera e sulla strage di piazza Fontana. (5-09074)


   DIENI, SARTI, LOMBARDI, FERRARESI, NESCI, SPADONI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, NUTI e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   tra il 1994 e il 1995 è stato approvato il nuovo piano regolatore del comune di Rimini e, a dicembre del 1995, l'amministrazione comunale pubblicava un bando per le proposte sui «Programmi integrati di Intervento ex articolo 16 della legge n. 179 del 1992 ed ex articolo 20 e 21 legge regionale n. 6 del 1995» (pianificazione territoriale e modifiche e integrazioni alla legislazione urbanistica ed edilizia);
   la società Da.Ma. di Gian Franco Damerini proponeva un programma integrato in cui era prevista la realizzazione della nuova sede della questura e della polizia stradale. Con delibera del 5 agosto 1998 veniva approvato l'atto di impegno per la stipula di una convenzione che regolasse tali lavori da parte della Da.Ma. e, l'11 marzo 1999, la relativa variante urbanistica necessaria a far partire quanto previsto nel piano integrato. I lavori sono iniziati nel 1999 e, a metà del 2000, si cominciava a vedere la nuova questura: una struttura enorme, con anche un poligono sotterraneo. I lavori sono terminati nel 2005 e tra il proprietario dei terreni Gianfranco Damerini, titolare della società Da.Ma., e il comune di Rimini, è cominciata una causa legale che ha impedito alle forze di polizia di poter entrare nella nuova sede nonostante fosse ormai pronta. A causa del contenzioso ancora oggi inconcluso, dal 2005 l'immobile in via Ugo Bassi è rimasto abbandonato e attualmente versa in un grave stato di degrado e deterioramento;
   ciò che più preoccupa dunque è che, in questi ultimi undici anni, non si è arrivati a nessuna soluzione anzi, l'immobile di via Ugo Bassi è una vera e propria «cattedrale nel deserto», oramai diventata un rudere; contemporaneamente, la città di Rimini continua a non avere una questura e i poliziotti sono costretti ad operare in cinque sedi diverse;
   proprio per tali ragioni, il comune di Rimini, come riportato da notizie del quotidiano locale – LaVoce, in data 22 ottobre 2015 – ha erogato una somma pari a 15.920 euro per ottemperare ad obblighi di risanamento che il proprietario Gianfranco Damerini non ha mai adempiuto. Nello specifico, 8.220 euro sono stati versati per il prosciugamento dei ristagni di acqua e la bonifica interna e 7.700 per lo sfalcio dell'erba. Tali dati sono stati resi noti dall'assessore alla sicurezza Jamil Sadegholvaad, in risposta ad un'interrogazione del consigliere comunale del Movimento Cinque Stelle, Marco Fonti. L'assessore, oltre a ricordare le cifre degli interventi di cui il comune si è fatto carico la scorsa estate, ha dichiarato di non aver ricevuto nessuna comunicazione sulla disponibilità della proprietà a riattivare le pompe in seguito alla rinnovazione del contratto con l'Enel da parte dell'amministrazione comunale;
   ad oggi la situazione non è migliorata, lo testimonia un articolo del quotidiano online «Rimini 2.0» che in data 20 febbraio 2016 dichiara: «Uno stagno che rappresenta l'habitat ideale per alcune coppie di germani reali, un campo di guerriglia urbano dove si esercitano i “Guerrieri per gioco”, associazione dedita al soft air». Ecco a cosa è ridotta oggi la «nuova questura» di Rimini;
   si segnala che trattasi di una «struttura di oltre 23.000 metri quadri, costata oltre 30 milioni di euro e che ne vale circa 50 con il terreno, ora in abbandono e disfacimento, alle mercé dei vandali»;
   alla luce di tale situazione, le forze di polizia non hanno mancato di dialogare con le istituzioni, infatti ci sono stati numerosi incontri con il vice capo della polizia, prefetto Matteo Piantedosi e la direzione centrale dei servizi tecnico logistici e della gestione patrimoniale, prefetto Renato Franceschelli, unitamente agli interventi dei questori e prefetti di Rimini che si sono succeduti in questi anni. Si era garantito che, entro la fine del 2015, sarebbe stato acquisito e adattato alle esigenze della polizia di Rimini lo stabile ex Inpdap che si trova nei pressi del tribunale, con la conseguente dismissione dell'attuale plesso denominato «Caserma Mosca» ed anche il complesso di via Bonsi (sede degli uffici amministrativi e immigrazione). Veniva aggiunto che nel frattempo sarebbero state esplorate altre opzioni possibili per fare in modo, quanto prima, di poter unificare in un unico stabile anche la sede di corso D'Augusto;
   al momento, l'ipotesi prospettata è quella relativa all'immobile sito in piazzale Bornaccini che, unitamente allo stabile ex Inpdap, sarebbe in grado di ospitare tutti gli uffici della questura;
   il prefetto Franceschelli ha comunque tenuto a precisare che, qualora in futuro dovesse pervenire al Ministero un'offerta concreta e percorribile per poter dislocare tutta la polizia di Rimini nello stabile di via Ugo Bassi sarà comunque presa in considerazione anche quella soluzione essendo stato quello stabile costruito con le caratteristiche per ospitare uffici di polizia. Ha rilevato però, che questa possibilità non inficerà comunque l'azione di ricerca di soluzioni alternative e concretamente percorribili;
   l'immobile sito in piazzale Bornaccini ospita attualmente alcuni uffici della provincia che il sindaco a breve dovrebbe provvedere a spostare;
   la mensa e alcuni alloggi della polizia sono ubicati presso la «Caserma Mosca», sita in via Toscanelli 98/100 a Rivabella, frazione di Rimini. L'immobile risulterebbe essere di proprietà della società Hotel Vasco s.r.l., composta dai membri della famiglia Paesani: Luciano Paesani è proprietario al 37,41 per cento, la moglie Laura Raboni al 32,59 per cento, i figli Fabio Paesani, Claudio Paesani e Lucio Paesani detengono ciascuno il 10 per cento. La società Hotel Vasco s.r.l. è altresì proprietaria, del noto locale notturno riminese Coconuts, oltre ad altre società incorporate quali «Immobiliare del Colle s.n.c.» e «Adriapalace s.r.l.», Laura Raboni risulta inoltre essere amministratore unico della società TintoriCinque s.r.l.;
   il Coconuts è una storica discoteca romagnola che, a giugno 2015, è stata chiusa in seguito ad un blitz antidroga nell'ambito della cosiddetta «Operazione Titano» della questura di Rimini, nella quale sono stati sequestrati un chilo di cocaina e ventitremila euro di banconote false, ventinove le misure cautelari emesse e quaranta gli indagati. Nell'indagine è coinvolto il Coconuts, poiché considerato luogo privilegiato per attività di spaccio. Fra gli indagati figurano i gestori Lucio Paesani e il fratello Fabio, che è già agli arresti domiciliari per agevolazione dell'uso di sostanze stupefacenti (Claudio, fratello maggiore di Lucio e Fabio, invece, è titolare del ristorante «Chi Burdlaz», indagato anche lui nel 2011 per aver favorito lo spaccio di droga nel suo ristorante. Nel 2014 è stato prosciolto);
   il locale Coconuts, dunque, a giugno 2015 era stato posto sotto sequestro con provvedimento emesso dal questore di Rimini Maurizio Improta per la durata di 1 mese e consequenzialmente era stata emessa ordinanza di chiusura. Le motivazioni dell'ordinanza del questore descrivevano il Coconuts, come risultava dalle informative della polizia di Stato, il luogo di ritrovo abituale di pregiudicati e persone dedite a traffici illeciti legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il tutto, come rilevato dal Gip, con la connivenza dei titolari, i quali tolleravano e favorivano la presenza di tali persone consapevoli che il locale veniva usato come un luogo sicuro per le transazioni e l'assunzione di stupefacenti. Il tribunale amministrativo regionale di Bologna, poi, ha accolto il ricorso presentato dagli avvocati del Coconuts Paolo Righi e Franco Fiorenza, dichiarando illegittimo il decreto per la parte in cui diffidava la proprietà all'utilizzo del marchio Coconuts per altri eventi al di fuori del locale. Tale provvedimento ha suscitato diverso scalpore, poiché riformulava anche la durata della chiusura del locale in quindici giorni;
   tra i gestori del Coconuts e il sindaco di Rimini Andrea Gnassi, c’è un rapporto amicale tale per cui fu Gnassi a scrivere la prefazione del libro pubblicato in occasione del quindicesimo compleanno della discoteca. Nonostante gli evidenti e continuativi problemi legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, è proprio il sindaco a promuovere ogni anno iniziative che coinvolgono direttamente i gestori del locale, come la Notte rosa e la Molo Street Parade –:
   quali iniziative intenda adottare per dirimere le questioni esposte in premessa, che appaiono tutte intrecciate fra di loro, al fine di offrire una sede per la questura di Rimini, affinché questa possa operare con efficacia ed efficienza e si possa porre fine al degrado e allo sperpero consumatosi in ordine alla struttura costruita e mai utilizzata e al fatto che alloggi e mense della polizia siano situati in un immobile, la caserma Mosca, di proprietà dei soggetti indicati in premessa, l'uno indagato, l'altro attualmente agli arresti domiciliari, ai quali la questura stessa paga un canone di locazione mensile. (5-09075)


   PLANGGER, BIANCONI e ARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alle modifiche apportate allo Statuto speciale della regione Friuli Venezia Giulia con la cosiddetta riforma delle autonomie locali, contenuta nella legge regionale n. 26 del 2014, è stata prevista la creazione di 18 micro province, che sostituiranno le attuali 4 province in cui la regione è divisa;
   la riforma amministrativa contiene, come detto, l'abolizione delle province e l'introduzione delle «Unioni territoriali intercomunali» (Uti), che saranno 18, con il compito di gestire funzioni amministrative in forma coordinata;
   a causa di ciò, ad avviso degli interroganti, potranno sorgere delle difficoltà come una riduzione dei servizi sin ora offerti, facendo diminuire l'efficienza delle amministrazioni locali;
   in particolare, la riforma comporterà anche una diversa collocazione degli uffici e del personale di prefetture e questure. Nel caso specifico di Pordenone, si segnala la cancellazione della prefettura. Ciò comporterà una riduzione dei quadri direttivi della questura e dei vigili del fuoco, ma soprattutto un ridimensionamento degli organici;
   la liquidazione della provincia e la conseguente chiusura dell'ufficio territoriale del governo, entro il 31 dicembre 2016, comporteranno una riorganizzazione della pubblica sicurezza. Il prefetto, quale responsabile a livello politico e il questore, a livello tecnico, cesseranno dalle loro funzioni. Il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica verrà collocato nella sua sede istituzionale, cioè a Udine;
   la questura verrà declassata a distretto o a commissariato e non potrà più avvalersi della propria autonomia gestionale e sarà destinata a fare da riserva e bacino a cui attingere per le superiori esigenze della provincia di Udine. Considerando le già precarie condizioni di controllo del territorio dovute al mancato turn over, all'innalzamento dell'età media del personale, la prevista mobilità verso Udine e i trasferimenti in entrata non più diretti potrebbero ridurre drasticamente la garanzia del livello di sicurezza attuale;
   come in un effetto domino, infatti, tutti gli uffici di polizia verranno declassati da sezioni a sottosezioni, con perdita di personale e possibile abbassamento del livello di sicurezza e controllo del territorio;
   si specifica che per perdita di personale si intende non tanto il trasferimento dello stesso, ma il mancato reintegro di quello collocato in pensione;
   il declassamento non riguarderà solo la questura, ma anche i comandi provinciali delle altre forze di polizia civili e militari. Ciò appare grave in un territorio caratterizzato anche da forti flussi migratori, che è dieci volte più ampio della provincia di Gorizia, venti quella di Trieste e che produce il 40 per cento del prodotto interno lordo regionale –:
   relativamente alle forze di polizia operanti nel territorio dell'attuale provincia di Pordenone quale sia l'età media attuale, al fine di comprendere, relativamente all'introduzione delle Unioni territoriali intercomunali, quale sarà la loro redistribuzione sul territorio e quali le risorse di cui saranno dotate per svolgere il servizio. (5-09076)


   QUARANTA, COSTANTINO, SCOTTO, MARTELLI, D'ATTORRE, FASSINA, MARCON, PALAZZOTTO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da circa un anno Ventimiglia è, al centro della questione migranti: da quando circa 100 migranti avevano occupato gli scogli davanti alla frontiera con la Francia che era stata chiusa. Fino a maggio 2016 la situazione era critica e solo l'apertura di un centro di accoglienza temporaneo, gestito dalla Croce Rossa Italiana, aveva permesso un miglioramento della situazione;
   tuttavia, nel corso di una visita a Ventimiglia del Ministro Alfano, questi affermava: «vengo qui non per sapere cose che già so, ma per risolvere: abbiamo piano concreti per affrontare a risolvere questa situazione, siamo qui per dire che abbiamo già inviato 60 poliziotti e altrettanti uomini dell'esercito»; «c'era una situazione di grave emergenza, ma ora [il centro di accoglienza temporaneo] dev'essere chiuso» [fonte: Il Secolo XIX 16 maggio 2016];
   il centro di accoglienza è stato chiuso il 10 maggio 2016, nonostante fornisse assistenza, secondo le stesse dichiarazioni del ministro Alfano, a circa 200 migranti al giorno; nessuna misura alternativa è stata messa in atto e il sistema dei centri Sprar non è ancora operativo. Inoltre prima e dopo la visita del Ministro Alfano la prefettura di Imperia ha disposto il trasferimento di centinaia di migranti presso altre strutture, al solo fine per gli interroganti di mostrare una città «in ordine», senza migranti per le strade;
   i migranti, circa un centinaio, si erano accampati lungo il fiume Roya. Caritas e Croce Rossa distribuivano circa 200 pasti per il pranzo e altrettanti per la cena. Dopo pochi giorni è stato deciso, tuttavia, da parte del sindaco, loculano, su impulso della prefettura, lo sgombero dei migranti dal fiume Roya. Il comune di Ventimiglia ha cercato soluzioni provvisorie, come la collocazione temporanea delle persone migranti presso la tensostruttura «Palaroya» a Roverino, scontrandosi tuttavia con la resistenza attiva della popolazione residente nel quartiere;
   a seguito dello sgombero, le persone migranti sono ospitate, in condizioni precarie, (dato il numero dei presenti, stimati, all'incirca in 700 – 800 persone richiedenti un pasto al giorno, fonte Caritas) presso la parrocchia di Sant'Antonio in Ventimiglia. Il tutto è gestito dalla Caritas Diocesana, dal momento che a Ventimiglia non è presente una struttura statale di accoglienza;
   i numeri del flusso migratorio sono costantemente in aumento: trattasi di circa 700 presenze nell'ultima settimana di giugno-prima di luglio (fonte Caritas), tutto ciò nonostante da mesi ci siano controlli da parte delle forze dell'ordine su treni con destinazione Ventimiglia e il confine dove i migranti vengono fermati e molto spesso portati negli hot spot. Il 10 maggio 2016 il caso più eclatante quando circa 50 migranti sono stati bloccati tra la stazione e le strade di Ventimiglia e respinti via aereo, un cargo di Poste Italiane, con destinazione Trapani o Cara di Mineo;
   da tempo si parla della prevista apertura di un campo di accoglienza presso il parco merci ferroviario «Roya», distante una decina di chilometri dal centro città, del quale però, ad oggi, non si conoscono informazioni concrete e precise in merito alla gestione dello stesso;
   nei giorni 2-3 di luglio 2016 è svolta una manifestazione dei migranti che ha bloccato una delle due strade che congiungono la città con la strada statale diretta al Confine di Stato e che ha richiamato l'attenzione sulla grave situazione in cui versa la città di Ventimiglia. Lo stesso Monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia, insieme alle diocesi di Monaco e Nizza, qualche giorno fa ha diffuso un comunicato che invita i cattolici a sostenere l'emergenza di Ventimiglia, ormai allo stremo delle forze visto che tutta l'assistenza che da aprile ad oggi stanno fornendo è frutto di offerte libere e di un impegno economico della Caritas stessa;
   da alcuni giorni, peraltro, è di nuovo emergenza transitanti anche a Roma, dove diverse centinaia di migranti, soprattutto provenienti dal Corno d'Africa, affollano le strade adiacenti quello che fu il centro di prima accoglienza «Boabab», sgomberato su ordine del prefetto Tronca il 6 dicembre 2016;
   al momento, l'accoglienza e il supporto ai migranti, stremati dalla lunga traversata in mare, è garantita esclusivamente dal lavoro dei volontari e dagli attivisti, tra i quali, i Medici per i diritti umani (MEDU);
   il centro, nei mesi precedenti lo sgombero, è stato in grado di sopperire alle perenni e gravi mancanze dell'amministrazione pubblica nell'accoglienza di migranti e richiedenti asilo, offrendo vitto, alloggio e informazioni sulle modalità di proseguimento del percorso verso condizioni di vita migliori a decine di migliaia di persone; la risposta delle istituzioni è stata l'apertura di un centro della Croce Rossa con appena 50 posti a disposizione dei transitanti;
   risulta quindi incomprensibile e grave, ad opinione degli interroganti il silenzio della prefettura di Roma, di Roma Capitale, e quindi del Governo, circa la vicenda dell'accoglienza dei migranti presso il Baobab di via Cupa;
   per far fronte agli arrivi – che erano noti con l'arrivo della stagione estiva – la regione Lazio aveva individuato nell'ex Centro Ittiogenico alla stazione Tiburtina un possibile punto di prima accoglienza per i migranti che transitano per Roma;
   i lavori da eseguire per metterlo in sicurezza e renderlo agibile, anche con l'aiuto e il supporto di diverse organizzazioni umanitarie (Medici Senza Frontiere, Save the Children, Medu, Intersos, Arci, Amnesty, Cir, A buon diritto, Emergency), sarebbero minimi, e questo permetterebbe di approntate in tempi brevissimi un servizio di accoglienza, di prime cure mediche e di presa in carico di queste persone –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, sulla delicatissima questione dei transitanti e, con particolare riguardo rispettivamente a Ventimiglia e Roma, se non ritenga di favorire l'apertura immediata del centro di accoglienza presso il parco merci ferroviario «Roya», non lontano dal centro di Ventimiglia, nonché dell'ex Centro Ittiogenico, a Roma, adiacente alla Stazione Tiburtina.
(5-09077)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco svolge un prezioso ed importante servizio, sull'intero territorio nazionale, a tutela della sicurezza dei cittadini;
   nello specifico, per quanto concerne la provincia di Verona, le sedi di servizio dei vigili del fuoco, operative sul territorio, sono soltanto tre a fronte di una media di sei sedi di servizio per ogni provincia della regione;
   la provincia di Verona possiede infatti soltanto tre distaccamenti permanenti dei vigili del fuoco, più o meno la metà di quanti ne hanno le altre province venete (5 a Padova, 6 a Treviso e a Vicenza e 11 a Venezia). La copertura, del territorio per le sedi di servizio è la seguente: una sede di servizio ogni 1032 chilometri quadrati; mentre la media regionale è di una sede ogni 472 chilometri quadrati una sede di servizio ogni 307.888 abitanti, contro una media regionale di una sede ogni 126.348 abitanti; la presenza di agili del fuoco operativi sul territorio risulta essere pari ad i unità ogni 4016 abitanti, contro una media regionale di 1 unità ogni 2548 abitanti;
   le rappresentanze sindacali locali dei vigili del fuoco di Verona, nel corso di alcuni incontri, hanno posto l'accento sulle gravi carenze con le quali gli stessi si trovano ad operare, con notevole penuria di personale e di sedi;
   è opportuno sottolineare, inoltre, che si tratta di lavoratori con un contratto scaduto da quasi dieci anni e che attendono, tuttora, un adeguamento stipendiale e previdenziale, e dunque il riconoscimento della specificità del lavoro svolto dai vigili del fuoco operativi;
   il 24 giugno 2016 una delegazione dei vigili del fuoco di Verona è stata ricevuta dal prefetto del capoluogo scaligero, a cui è stata consegnata la petizione «Verona sicura. Vigili del fuoco professionisti sul territorio», con la quale sono state raccolte oltre 1000 firme e, in tale occasione, è stata richiesta l'apertura di due distaccamenti permanenti, uno nella zona est e uno nel villafranchese, con contestuale aumento di organico di 60 unità;
   esiste inoltre un piano nazionale per l'assunzione di 1000 nuovi vigili del fuoco –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire, con iniziative di carattere normativo ed in maniera tempestiva, al fine di provvedere al potenziamento all'ammodernamento del soccorso tecnico urgente a Verona e provincia, con l'apertura di due nuovi distaccamenti destinandovi almeno 60 nuovi vigili del fuoco e consentendo così ai vigili del fuoco veronesi di operare, con nuovi mezzi ed attrezzature e un ampliamento dell'organico, soprattutto al fine di garantire un adeguato servizio di salvaguardia 24 ore su 24 e di tutela effettiva per la popolazione. (5-09064)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del 30 giugno 2016 si è registrata presso la struttura di accoglienza di Cona una rissa tra una decina, come riportano le cronache, di profughi;
   a seguito di tale circostanza sarebbero finiti al pronto soccorso dell'ospedale di Chioggia 5 persone con vistose ferite;
   l'allarme è stato lanciato dal personale della cooperativa che gestisce la struttura;
   in pochi minuti sono arrivate sul posto due ambulanze del 118 che hanno portato via i feriti, nonché polizia e carabinieri per accertare gli accadimenti;
   non è purtroppo la prima volta che si verificano episodi del genere le cui cause sembrerebbero concentrarsi sul sovraffollamento e sulle tensioni per le differenze religiose e culturali tra le diverse etnie;
   attualmente ospitate vi sarebbero circa 650 persone con un incremento avvenuto nel corso degli ultimi giorni;
   tale situazione precaria alimenta, inoltre, un clima di incertezza e preoccupazione tra i residenti –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa, quali iniziative intenda conseguentemente attivare al fine di verificare quanto accaduto e rafforzare le misure di sicurezza relativamente al centro in questione e se non ritenga di valutare l'opportunità di una diminuzione del numero di ospiti al fine di prevenire situazioni di tensione. (5-09065)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Florina Simion è una donna di Cazzago di Pianniga di cui non si hanno più notizie dal 25 febbraio 2016;
   la giovane che si trovava nella sua abitazione in via Ariosto avrebbe lasciato casa all'improvviso e forse non volontariamente;
   le ricerchi fino ad oggi hanno dato esiti negativi, con casolari, canali e fiumi scandagliati alla ricerca della ragazzo;
   la famiglia si è anche rivolta alla nota trasmissione televisiva del servizio pubblico «Chi l'ha visto ?» per avere notizie;
   in Veneto negli ultimi 30 anni, in base ai dati del Ministero dell'interno, sono scomparse quasi 1200 persone ponendola all'ottavo posto nel Paese, di questa triste classifica –:
   quali siano le iniziative di competenza che il Ministro interrogato intende adottare per rafforzare l'azione di ricerca in merito al caso in questione, nonché per rafforzare i dispositivi e le risorse, in termini di uomini e mezzi, per quanto concerne la ricerca delle persone scomparse in Veneto. (5-09071)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in seguito all'effettuazione di uno sfratto, per insolvenza prolungata, nella notte tra il 27 ed il 28 giugno 2016 il sindaco, Amilcare Ziglioli, e gli amministratori locali del comune di Prevalle, in provincia di Brescia, sono stati praticamente presi in ostaggio nel municipio da alcuni facinorosi appartenenti ad un'associazione antagonista, denominata «Diritti per Tutti»;
   «Diritti per Tutti» aveva già in precedenza più volte ostacolato il tentativo dell'amministrazione comunale di Prevalle di sgomberare l'appartamento dagli affittuari insolventi;
   successivamente agli eventi, il 29 giugno 2016, il sindaco di Prevalle ha sporto una dettagliata querela dalla quale è agevole verificare come abbia temuto per la propria incolumità, come proprietà comunali siano state danneggiate e come si sia persino provveduto a sbarrare l'accesso al municipio spostando un armadio davanti alla porta;
   l'episodio occorso a Prevalle appare all'interrogante di una gravità straordinaria, richiamando alla memoria le intimidazioni e le violenze che prepararono i cosiddetti «anni di piombo»;
   sarebbe della più grande importanza, secondo l'interrogante, che all'associazione antagonista «Diritti per Tutti» si riservasse maggior attenzione, assumendo se del caso provvedimenti adeguati ad interromperne le attività contrarie alla legge –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per rassicurare il sindaco e gli amministratori locali del comune di Prevalle, dopo il sequestro cui sono stati di fatto sottoposti nella notte tra il 27 ed il 28 giugno 2016 nella sede del loro municipio. (4-13673)


   PALAZZOTTO, SCOTTO, COSTANTINO, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI e MARCON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del rigetto di istanza presentata dai legali di Luca Casarini, con la quale si richiedeva l'affidamento ai servizi sociali per lo stesso, come pena sostitutiva per scontare una condanna pronunciata dalla procura della Repubblica di Venezia, concernente l'occupazione a fini abitativi di uno stabile, Luca Casarini è attualmente agli arresti domiciliari presso la sua abitazione di Palermo;
   oltre alla misura detentiva, veniva fatto obbligo a Luca Casarini di divieto assoluto di comunicazione con l'esterno;
   in data 10 giugno 2016 i legali di Luca Casarini presentavano, al tribunale di Palermo-ufficio di sorveglianza, istanza per consentire a Casarini di poter svolgere attività, lavorativa e di poter eludere l'obbligo di divieto di comunicazione con l'esterno; tali richieste venivano, in data 18 giugno 2016, rigettate dall'ufficio di sorveglianza Palermo;
   in tale decisione, si legge esplicitamente nella comunicazione di respingimento della domanda, peso decisivo ha avuto la nota redatta dalla questura di Palermo;
   in tale relazione veniva riportato come, riferendosi a Luca Casarini, «non si possono escludere a priori collegamenti con la criminalità organizzata e non»;
   tale affermazione, grave di per se e, a parere degli interroganti, priva di ogni riscontro, assume ulteriore gravità in relazione al contesto siciliano e palermitano ove, da anni, Casarini vive e lavora. Un contesto dove il termine «criminalità organizzata», contenuto nella relazione della questura, significa «mafia»;
   come già evidenziato in un precedente atto ispettivo n. 4-13419 presentato in data 8 giugno 2016, seduta n. 634 dagli interroganti l'ipotesi di contatti tra Casarini e la criminalità organizzata appare in evidente contrasto con quanto riportato nella stessa nota informativa redatta dalla questura di Palermo, che ricostruisce l'attività politica di Luca Casarini, nonché, a parere degli interroganti, eccessiva e in evidente conflitto con la storia politica dello stesso Casarini;
   il mantenimento del divieto di comunicazione, deriva e dalle ipotesi avanzate e citate dalla nota della questura di Palermo, rappresenta ad avviso dagli interroganti una preoccupante modalità di equiparazione tra le iniziative di dissenso, anche duro ed esplicito, e le azioni criminali propriamente dette;
   la natura stessa del reato per cui Luca Casarini è stato condannato evidenzia un'attività politica che, come tale, è rivolta anche alla denuncia sociale di una condizione di profondo disagio abitativo nel nostro Paese. Appare, pertanto, agli interroganti grave oltremodo, l'impossibilità e il divieto per lo stesso Casarini a relazionarsi con soggetti esterni al suo nucleo familiare;
   dall'operato della questura sembra agli interroganti emergere il rischio di favorire un processo di criminalizzazione del dissenso e di preoccupante equiparazione con fenomeni propriamente criminali –:
    se il Governo non intenda intervenire per chiarire quali siano gli elementi alla base dell'individuazione, da parte della questura di Palermo, di possibili relazioni tra la criminalità organizzata e l'attività di Luca Casarini, tenendo anche conto del significato che assume tale affermazione nel territorio siciliano e palermitano in particolare;
   se il Governo non intenda acquisire informazioni dalla questura di Palermo in merito alle modalità di redazione dell'informativa stessa. (4-13674)


   TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la definizione di GpG cioè guardia particolare giurata, a distanza di tanti anni dalla sua nascita ancora non trova una collocazione legislativa contrattuale adeguata; ciò significa che i dipendenti di un Istituto di vigilanza privata, risultano essere iscritti alle liste di collocamento come «operai generici»;
   un passo in avanti era avvenuto nel 2008 con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 59 del 2008, convertito dalla legge n. 101 del 2008, la quale si riconosce alle guardie giurate lo status giuridico di incaricati di pubblico servizio;
   le problematiche della categoria restano un vero e proprio ostacolo insuperabile, basti pensare che il testo unico a cui fa riferimento la fattispecie risale all'anno 1931 –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per tutelare e riconoscere tale categoria. (4-13678)


   FRUSONE e RIZZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 novembre 2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 303 del 31 dicembre 2015, per il Ministero dell'interno – relativamente all'incremento della disponibilità del fondo unico di amministrazione destinato al personale dell'amministrazione civile dell'interno per l'anno 2015 – erano stati assegnati 7.704.121,00 euro;
   a quanto risulta all'interrogante nel corso di una riunione sindacale con il Sottosegretario Bocci svoltasi in data 2 marzo 2016 è stato confermato che l'originario importo di 7.704.121,00 euro è stato ridotto di 3.660.000,00 euro con conseguente assegnazione del restante importo di 4.044.121,00 euro;
   non sono state fornite spiegazioni scritte o verbali ed il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri pubblicato in Gazzetta Ufficiale non è stato modificato;
   il personale dell'amministrazione civile dell'interno contribuisce alla costituzione delle risorse del fondo unico di amministrazione, mediante importi pro capite, fissi e in misura uguale;
   l'incremento del fondo unico di amministrazione sarebbe necessario per riavviare un processo di modernizzazione del Ministero dell'interno e favorirebbe un miglioramento dei servizi organizzativi interni nell'interesse della stessa amministrazione –:
   come sia stata diversamente utilizzata la somma di 3.660.000,00 euro nonché i motivi per i quali sia stata effettuata una riduzione di risorse economiche senza formalizzare spiegazioni trasparenti che abbiano consentito di informare il personale dell'amministrazione civile dell'interno circa la consistente riduzione di risorse già destinate, in Gazzetta Ufficiale, alla propria retribuzione accessoria quale reddito da lavoro dipendente. (4-13682)


   TOFALO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 30 dicembre 2015 è stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale, il decreto 23 dicembre 2015 del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione relativo alle «modalità tecniche di emissione della Carta di identità elettronica (CIE)»;
   desta particolare perplessità che tutte le gare per l'acquisto di beni e servizi necessari alla realizzazione ed emissione della carta d'identità elettronica siano state bandite dal Poligrafico dello Stato, anziché alla Consip;
   sembrerebbe che la pubblicazione dei bandi ha fatto emergere importanti lacune informative del citato decreto contenente le caratteristiche tecniche della nuova carta d'identità elettronica;
   inoltre, sembrerebbe che i siti secondari del sistema di sicurezza del circuito di emissione saranno collocati presso il sistema di disaster recovery di Bari della polizia di Stato;
   sembrerebbe che, per consentire la piena interoperabilità delle CIE con i passaporti elettronici, sarà necessario che le informazioni in essa presenti vengano firmate digitalmente dal sistema di certificazione gestito a Napoli dalla stessa polizia di Stato. Preoccupa, nel caso in cui queste informazioni corrispondessero al vero, che il decreto non ne faccia cenno. Tutto ciò potrebbe raffigurare, secondo l'interrogante, una grave omissione in atti pubblici;
   tra le gare fino ad oggi pubblicate dal Poligrafico, infine, non c’è evidenza del software applicativo deputato alla gestione e interscambio delle informazioni tra tutti i sistemi. Preoccuperebbe se lo stesso Poligrafico, che gestisce tutte le attività, compresa la personalizzazione, fosse anche il detentore di tutte le conoscenze tecniche, in quanto contrario al dettato dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) e dal relativo regolamento di attuazione;
   sembrerebbe anche anomala la decisione di affidare la consegna del documento ai servizi di postalizzazione, anziché mantenere il rilascio, come previsto dal TULPS, nelle competenze del sindaco in quanto il processo di identificazione, che inizia al momento della richiesta, può correttamente concludersi solo con il confronto, tra le informazioni inserite nel documento e quelle del ricevente, al momento del rilascio. La conseguenza potrebbe concretizzarsi in furti di identità. Solo dopo il rilascio la responsabilità del documento rimane esclusiva del titolare;
   inoltre, il decreto 23 dicembre 2015 per la emissione in Italia della CIE ha, secondo l'interrogante, eliminato gli elementi di sicurezza più robusti sostituendoli con tecnologie facilmente replicabili e poco verificabili senza l'ausilio di strumenti elettronici –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire dove il centro di personalizzazione della carta d'identità elettronica sia collocato;
   se nel processo di emissione della suddetta carta siano presenti anche sistemi informativi della polizia di Stato e se il software di gestione e interscambio di dati sia realizzato direttamente dall'Istituto poligrafico e zecca dello Stato;
   quali siano le procedure selettive adottate per la scelta da parte dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per modificare il decreto richiamato in premessa affinché si tenga conto in misura maggiore dell'aspetto della sicurezza e della maggiore protezione dei dati da facili contraffazioni e si utilizzi la CIE limitandola all'identificazione, diminuendo costi ed evitando duplicazioni. (4-13690)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI e PARRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dagli organi di informazione del licenziamento di un lavoratore di Empoli della società «Coin Service Spa», malato oncologico, con tre figli a carico, invalido al 50 per cento per aver superato di quattro giorni il limite di malattia dal contratto nazionale;
   ove dovesse corrispondere al vero l'informazione secondo cui l'azienda si è resa disponibile a riassumere il lavoratore con l'inserimento di una clausola che prevede 20 giorni prova, nei quali il dipendente non potrà ammalarsi, si tratterebbe secondo gli interroganti di un vero e proprio insulto;
   il caso ha suscitato nella comunità di riferimento particolare sconcerto e ha avuto ampia eco sugli organi di stampa;
   purtroppo, sempre in più circostanze si verificano episodi simili con lavoratori, con patologie gravi, licenziati a causa del superamento dei giorni di assenza per malattia;
   alcuni Paesi europei, come la Francia, anche a seguito di episodi eclatanti hanno provveduto a modificare l'impianto legislativo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e, in considerazione della particolare rilevanza e delicatezza della questione, se non si ritenga quanto mai opportuno valutare un'iniziativa normativa al fine di adeguare la disciplina vigente, di fronte a simili fattispecie, a tutela della dignità del lavoratore e della presa in carico della persona. (5-09072)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:


   CIRACÌ e PALESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Xylella fastidiosa è il batterio responsabile di un quadro sintomatologico fitosanitario che vede, almeno per il momento, colpire gli alberi di ulivo. Infatti, questo agente patogeno è il principale responsabile del «complesso del disseccamento rapido dell'olivo» (co.di.ro), che da oltre cinque anni è presente nell'area geografica a sud della regione Puglia, ovvero nel Salento, territorio vasto comprendente le province di Lecce, Brindisi e Taranto e che si caratterizza per la peculiarità di essere culla millenaria di alberi di olivo monumentali capaci di incantare sia i turisti che i numerosi enogastronauti di tutto il mondo. Questi territori rientrano a diverso titolo fra le diverse aree definite come zona infetta, zona di radicazione, zona cuscinetto e zona di profilassi, dal piano di controllo e contenimento elaborato dal commissario delegato all'emergenza connessa alla fitopatia (ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile n. 225 del 2015);
   in natura, sono note diverse specie di Xylella ed il ceppo «Codiro» è una sottospecie della «Pauca» che normalmente attacca gli agrumi o altre colture come i vitigni; pertanto, se si osserva il contesto produttivo agronomico della Salento e dell'intera regione Puglia, significa che la Xylella potrebbe, nelle sue diverse evoluzioni genetiche, causare una vera e propria «calamità» di proporzioni inaudite sulle colture agricole che caratterizzano il territorio pugliese, ma anche ambientale e territoriale, senza contare le gravi ripercussioni che il settore turistico potrebbe accusare. Il ceppo salentino dell'agente patogeno in questione ha come ospite primario gli alberi di olivo, i quali, subendo l'inoculazione da parte di un insetto vettore «la sputacchina» (una cicalina), del batterio che si localizza nel sistema retro boccale del parassita, contamina l'albero attraverso una colonizzazione dello xilema (il sistema di vasi mediante i quali la linfa si irradia nella pianta), causandone il blocco dei vasi e quindi della nutrizione della pianta: in pratica la Xylella, con la produzione di una sorta di gel, finisce con l'ostruire i vasi provocando la morte progressiva dell'albero. Da tenere presente che l'agente patogeno ha la caratteristica non comune di muoversi e compiere la propria azione devastante, migrando contro corrente linfatica, ovvero è capace di raggiungere l'apparato radicale delle piante e quindi distante dal punto d'inoculazione;
   un anno fa il piano messo in atto dal commissario per l'emergenza Xylella, recependo la direttiva comunitaria in materia, prevedeva una serie di misure di contrasto alla fitopatia, che andavano dalle buone pratiche agricole (aratura, erpicatura, trinciatura, trattamenti fitosanitari mirati), volte a distruggere sia le larve che i vettori ovvero le cicaline, all'abbattimento degli alberi colpiti dal terribile patogeno. Attualmente l'Alta Corte di Bruxelles ha confermato in toto le disposizioni previste dalla direttiva e dal piano di cui sopra. Va da sé che l'opzione dell'abbattimento sarà attuata solo nelle zone «geografiche» di eradicazione, aree già individuate e comunque in continua evoluzione per via della propagazione della malattia. Ultimamente la malattia, infatti, è progredita verso nord, modificando la riperimetrazione delle aree di sorveglianza (zona rossa). Gli stanziamenti messi a disposizione del commissario da parte del Governo ammontano a circa euro 13.600.000, mentre l'Unione europea ha impegnato la «modica» cifra di euro 1.050.000, di cui euro 750.000 per i controlli ed euro 300.000 per i monitoraggi, e, a distanza di un anno dall'inizio dell'emergenza, sono rimasti invariati;
   l'Unione europea spinge e costringe lo Stato italiano a compiere ogni sforzo per contrastare la propagazione della fitopatia, dimenticando però che questo batterio, benché fosse noto in altri continenti da circa 130 anni, in Europa non era mai approdato, tant’è vero che a tutti gli effetti è considerato un patogeno «alieno» ovvero sconosciuto all'ecosistema del territorio comunitario. L'ingresso del batterio sul suolo europeo pare sia avvenuto attraverso il porto di Rotterdam, notoriamente porto principale nell'approdo di merci provenienti da tutto il mondo, e, nello specifico, si presume che il patogeno fosse presente in piante «portatrici sane» del batterio provenienti dalla Costa Rica. È evidente che la Xylella fastidiosa non è giunta direttamente in Italia e, quindi, il sistema doganale italiano non è stato interessato e/o coinvolto nell'applicare quelle norme basilari di «quarantena» che abitualmente ed obbligatoriamente si devono osservare: pertanto, è palese che lo Stato italiano e gli agricoltori/olivicoltori del Salento sono vittime di una grave negligenza, ovvero del mancata controllo e monitoraggio fitosanitario da eseguire nel porto di approdo;
   alla luce di ciò, l'Unione europea, a giudizio degli interroganti, deve ritenersi a tutti gli effetti responsabile di tale mancanza, anche dal punto di vista legislativo e regolamentare. Infatti, al momento non esiste alcuna norma che obblighi, nella fase d'importazione di piante vivaistiche (provenienza extra Unione europea), la presenza di opportuna certificazione fitosanitaria, così come avviene normalmente nelle movimentazioni comunitarie;
   di conseguenza, l'Unione europea deve essere coinvolta in prima battuta nella risoluzione della fitopatia che colpisce le province di Lecce, Brindisi e Taranto, con il reale e serio pericolo che l'agente patogeno possa sconfinare e progredire colpendo altri territori. L'aiuto dell'Unione europea deve concretizzarsi in diverse azioni di supporto all'Italia: innanzitutto economico, mediante sussidi agli olivicoltori che saranno costretti a sostenere oltre ai costi elevati dovuti alle intensificate operazioni di buone pratiche agricole, anche per i mancati redditi dovuti alle perdite di piante oggetto di disseccamento ed abbattute, considerando anche che l'eventuale ripristino del territorio agricolo e colturale olivicolo non potrebbe avvenire nell'immediato, in quanto dopo l'espianto degli alberi sarà necessario osservare un lungo periodo di «quarantena sanitaria dei terreni» di almeno 12/18 mesi, periodo questo assolutamente improduttivo in termini economici, così come lunghi saranno i termini di «entrata in produzione» dei nuovi impianti olivicoli. Oltre all'azione di sostegno agli agricoltori, l'Unione europea deve farsi carico economicamente di promuovere e stimolare la ricerca scientifica per contrastare la fitopatia e nel contempo deve programmare un vero e proprio piano generale olivicolo per il ripristino, in termini ambientali, delle colture olivicole nei territori oggetto della «calamità» Xylella fastidiosa;
   a detta degli interroganti, sarebbe opportuno:
    a) prevedere la sospensione dei pagamenti dell'imu agricola e dei contributi Inps nel settore agricolo della moratoria sui pagamenti dei prestiti agrari stipulati con gli istituti di credito, relativamente alle aree definite come zone infetta, zona di eradicazione, zona cuscinetto e zona di profilassi dal piano di controllo e contenimento elaborato dal commissario delegato all'emergenza connessa alla fitopatia. Tali interventi di aiuto devono essere estesi indiscriminatamente a tutti i proprietari dei terreni agricoli che presentano colture olivicole, indipendentemente dall'essere coltivatori diretti e/o imprenditori agricoli professionali;
    b) provvedere nell'individuare e/o promuovere, soprattutto in sede comunitaria, ogni forma di indennizzo per il settore agricolo/olivicolo, parimenti a quanto è previsto in ambito zootecnico (si vedano i fondi della legge n. 218 del 1988 destinati agli abbattimenti o per le epizoozie come previsto dalle norme comunitarie), al fine di lenire le difficoltà degli operatori agricoli a seguito delle gravi perdite in termini di piante e produzioni olearie;
    c) promuovere ogni azione di sostegno per tutte le colture biologiche del territorio del Salento che, obbligate allo specifico regime di conduzione colturale, sarebbero maggiormente esposte e sensibili agli attacchi della fitopatia con il drammatico rischio che le stesse diventino «bacino» di cultura dell'agente patogeno e, pertanto, prevedere modalità e deroghe mirate per la conduzione agronomica dei terreni in biologico senza incappare in gravose multe per i conduttori;
    d) provvedere ad istituire a livello comunitario una commissione d'inchiesta specifica sull'emergenza Xylella; promuovere ogni azione politica ed istituzionale affinché il Parlamento europeo disponga un sostegno economico diretto nei confronti degli olivicoltori del Salento (Lecce, Brindisi e Taranto), vittime di una grave negligenza che vede l'istituzione europea come principale colpevole. Tale sostegno economico non deve considerarsi una tantum, ma prevedere ristoro nelle operazioni di reimpianto e compensazioni per il danno subito ed il mancato profitto provenienti dalle attività colturali; promuovere la ricerca scientifica attraverso la creazione di un ben definito network consortile di unità di ricerca a «cabina di regia unica» composta dalle stesse unità. In questo modo gli stanziamenti economici nazionali e, soprattutto, comunitari saranno indirizzati e convogliati in un'unica struttura che sarà responsabile nel monitorare sia i costi della ricerca che gli inevitabili stadi di avanzamento ed i risultati degli studi applicativi per il contenimento e risoluzione della fitopatia;
   inoltre, si rappresenta che nello stesso territorio agricolo (ovvero quelle delle province di Brindisi, Lecce e Taranto), per la particolare struttura colturale delle aziende in cui convivono agricoltura, olivicoltura e zootecnia, si registrano in molti allevamenti focolai di una malattia infettiva di natura virale tipica dei ruminanti, nota come «blue tongue – bt» (lingua blu) e che tutto ciò deprime ulteriormente i redditi delle aziende stesse –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, intenda adottare iniziative normative sia di natura economica, a sostegno della ricerca e di programmi di reimpianto olivicolo nelle zone desertificate o in procinto di esserlo, utilizzando in tali programmi piante resistenti alla fitopatia o innesti terapeutici fitoresistenti alla Xylella, sia di carattere fiscale per il ristoro degli operatori agrozootecnici del Salento. (3-02361)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la riforma dell'organizzazione comune di mercato (OCM) zucchero, approvata dall'Unione europea in data 24 novembre 2005, ha mirato a realizzare una elevata riduzione del prezzo di mercato ed una forte compressione delle quantità prodotte in Europa, nel duplice intento di avvicinare il prezzo comunitario a quello internazionale e di conformarsi ai vincoli ed alle condizioni degli accodi commerciali di libero scambio (EBA ed altri);
   i progetti di riconversione degli zuccherifici italiani sono la conseguenza della restrittiva riforma comunitaria dell'OCM zucchero approvata dall'Unione europea in data 24 novembre 2005, e sono frutto di un accordo per la produzione di energia da fonti rinnovabili siglato tra Actelios Spa, Società del Gruppo Falck, e SECI, holding a cui fanno capo le partecipazioni del Gruppo Maccaferri;
   a Castiglion Fiorentino, in data 10 dicembre 2007, le società PowerCrop srl ed Eridania Sadam spa (in qualità di soggetti proponenti), la regione Toscana, la provincia di Arezzo, il comune di Castiglion Fiorentino e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, con l'obiettivo di governare il processo di riconversione di un settore che, per la regione Toscana, ha rappresentato una importante risorsa economica ed occupazionale, sottoscrivono un accordo di riconversione produttiva di un vecchio zuccherificio ivi allocato;
   tale accordo, approvato dal comitato interministeriale del 31 gennaio 2007, prevedeva la realizzazione e la gestione di una centrale di produzione di energia elettrica alimentata da olio vegetale, estratto da colture oleaginose e da biomasse di origine agroforestale, derivanti dallo sviluppo di una filiera agricola « no food», nonché l'agevolazione agli insediamenti di iniziative produttive, preferibilmente agroindustriali, denominato «Polo delle energie rinnovabili di Castiglion Fiorentino»;
   in data 15 aprile 2013 la giunta provinciale di Arezzo, con delibera n. 204 istituisce sul progetto PowerCrop il comitato di inchiesta pubblica sulla valutazione di impatto ambientale prevista dall'articolo 53 della legge della regione Toscana n. 10 del 2010. Nell'ambito della VIA giungono numerose osservazioni di svariate associazioni e comitati presenti sul territorio, tra cui il Comitato Tutela Valdichiana, mentre 8 sindaci di altrettanti comuni della Valdichiana aretina, con un documento congiunto, esprimono totale dissenso rispetto al «polo delle energie rinnovabili di Castiglion Fiorentino», e alle sue ricadute negative sul territorio;
   in data 29 aprile 2014, con deliberazione n. 204, la giunta provinciale di Arezzo pronuncia la non compatibilità ambientale del progetto di PowerCrop s.r.l., in linea con la relazione finale del comitato di inchiesta pubblica;
   in data 17 luglio 2014 PowerCrop s.r.l. impugna presso il TAR della Toscana la deliberazione n. 204 della giunta provinciale di Arezzo, ma il tribunale amministrativo toscano, in data 10 febbraio 2015, respinge il ricorso di PowerCrop;
   in data 5 febbraio 2015 il comitato interministeriale di cui alla legge n. 1 del 2006 nomina nuovamente il prefetto di Arezzo Commissario ad acta per il «progetto di riconversione di Castiglion Fiorentino»;
   in data 30 marzo 2016, tuttavia, anche il Consiglio di Stato respinge il ricorso dei legali della PowerCrop contro la provincia del Tar Toscana, ritenendo corretti i pareri negativi resi dalla regione Toscana e dalla sovrintendenza, confermando l'inidoneità dell'area di Cà bittoni alla realizzazione di questa centrale;
   la stessa delibera della giunta provinciale sopra citata prevede che, agli impianti di produzione elettrica alimentati da fonti rinnovabili, inseriti nei progetti di riconversione del settore bieticolo-saccarifero approvati dallo stesso Comitato, già autorizzati alla suddetta data e la cui costruzione risulti ultimata entro il 31 dicembre 2018 sia assicurata la permanenza del medesimo regime di incentivazioni alle fonti rinnovabili come definito dalle leggi n. 296 del 2006 e n. 244 del 2007, nonché dal relativo decreto ministeriale attuativo del 18 dicembre 2008;
   il decreto 23 giugno 2016 «Incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico» in epigrafe afferma che sulla base di approfondimenti effettuati sui progetti di riconversione del settore bieticolo-saccarifero, è emerso che i predetti progetti ammissibili agli incentivi, comprensivi di quelli già ammessi o qualificati, corrispondono a una potenza complessiva di 83 megawatt, ridotta rispetto alla precedente configurazione;
   da articoli di stampa si apprende quindi che il decreto, di fatto, fa tramontare l'ipotesi della costruzione di un impianto a biomasse in Valdichiana e di altri impianti (http://www.arezzonotizie.it) –:
   se il Governo possa confermare, alla luce di quanto disposto dal decreto 23 giugno 2016 «Incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico», l'abbandono del progetto di realizzazione dell'impianto di Castiglion fiorentino di cui in premessa;
   quali siano gli impianti che non saranno più riconvertiti in centrali energetiche alimentate a biomassa e quale sia il loro futuro utilizzo. (4-13686)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRACCARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'intesa raggiunta nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 16 dicembre 2010 concernente le linee di indirizzo per la sicurezza del percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo è stata avviata una riorganizzazione della rete dei punti nascita su tutto il territorio nazionale;
   nella Conferenza Stato-regioni è stato stabilito che i presidi con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno non possono garantire la sicurezza per la madre e per il neonato ed è stata prevista l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1000 parti/anno quale parametro a cui tendere, al fine di garantire alla donna ed al neonato un'assistenza di livello elevato. L'Accordo ha tuttavia previsto la persistenza di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti/anno, in caso di situazioni orografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti dall'accordo medesimo;
   con decreto del Ministero della salute dell'11 novembre 2015, è stato previsto che il Comitato percorso nascita nazionale esprima un parere consultivo motivato su eventuali richieste di mantenere in attività punti nascita con volumi di attività inferiori ai 500 parti annui in deroga al citato accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010;
   con successivo protocollo metodologico sono stati dettati i criteri per la richiesta e il rilascio del parere prevedendo una fase di monitoraggio regionale e nazionale sui punti nascita autorizzati in deroga, fase nella quale devono essere rispettati determinati standard a pena di decadenza dal parere;
   il comitato Percorso nascita nazionale, con nota del 22 giugno 2016, ha formulato un parere di «non accoglibilità della richiesta di deroga per i punti nascita di Tione ed Arco». Con particolare riferimento al punto nascita presso l'ospedale di Arco, il diniego è stato motivato «tenendo conto dei costi e delle complessità organizzative non sostenuti da condizioni orografiche particolarmente disagiate come in altri punti nascita della provincia autonoma»;
   nel parere elaborato dal Comitato percorso nascita nazionale le valutazioni si basano su dati caratterizzati, a giudizio dell'interrogante e di numerosi amministratori dei comuni interessati, da un margine di errore significativo;
   1) quanto al punto nascite di Arco si segnala quanto segue:
    a) il comune di Ledro non viene considerato come area disagiata. Il collegamento con Ledro viene invece descritto come «facilmente percorribile». È una valutazione che non trova riscontro nella realtà sia per la tortuosità della strada sia per le condizioni meteorologiche che nei mesi invernali possono essere particolarmente intense essendo il comune insinuato in una stretta valle circondata dalle Alpi Ledrensi;
    b) il bacino d'utenza rappresentato nel parere non tiene conto delle comunità locali residenti nelle aree limitrofe all'Alto Garda, le quali, storicamente, hanno fatto riferimento ai punti nascite del Basso Sarca e per i quali, oggigiorno, Arco sarebbe ancora più conveniente da raggiungere rispetto ad altri punti nascita. In particolare, non sono state considerati:
      i comuni della Valle del Chiese, Storo (4700 ab.), Bondone (700 ab.), Borgo Chiese (2000 ab.), Castel Condino (250 ab.), Pieve di Bono-Prezzo (1.500 ab.), Valdaone (1.200 ab.) e dell'altopiano del Bleggio e del Lomaso (Bleggio Superiore 1500 ab., e Fiavè 1100 ab.), i quali sono tutti ubicati nella più vasta comunità delle Valli Giudicarie e fino ad oggi hanno fatto riferimento al punto nascite di Tione di Trento. Storo dista 73 chilometri da Trento e 44 chilometri da Arco;
      il comune turistico di Malcesine sul Garda (3.700 ab.) localizzato in provincia di Verona a 20 chilometri da Arco. Con la chiusura del punto nascite di Bussolengo il riferimento più vicino è ora Verona a 65 chilometri;
      i comuni turistici della provincia di Brescia, Limone sul Garda (1.200 ab.), e Tremosine (2.100 ab.), localizzati rispettivamente a 17 e 27 chilometri da Arco. Con la chiusura del punto nascite di Salò ora dovrebbero percorrere un lungo tratto della SS Gardesana occidentale per rivolgersi al punto nascite di Gavardo (Bs) a 43 chilometri;
     assommando i comuni limitrofi delle province di Brescia e di Verona e i comuni più prossimi delle Giudicarie il bacino d'utenza può essere esteso di almeno 17.000 abitanti determinando così un bacino totale di quasi 70 mila abitanti rispetto ai 50 mila indicati nel parere. Per tutti i comuni localizzati in tale bacino il punto nascite di Arco risulterebbe in ogni caso il più vicino e il più facile da raggiungere. Se invece si volesse ritenere (ragionevolmente) Arco come punto di riferimento di tutti i comuni delle Giudicarie e della Valle dei Laghi il bacino d'utenza potrebbe essere incrementato fino a 100 mila abitanti;
    c) il parere non tiene conto delle presenze turistiche. L'ospedale potrebbe attrarre partorienti dall'esterno se opportunamente gestito visti l'amenità del territorio e i servizi sanitari che hanno storicamente caratterizzato l'area. Le presenze giornaliere nel solo Garda trentino nel 2014 hanno raggiunto il picco di 3,1 milioni. A questo dato si potrebbero aggiungere le presenze turistiche dei comuni di Malcesine (1 milione), Limone sul Garda e Tremosine;
    d) si giudica negativamente l'assenza 24H di specialisti (ginecologi, anestesisti e pediatri). Questa situazione però è frutto di una mancanza transitoria che potrebbe determinare un giudizio positivo in caso di completamento dell'organico. Una dotazione completa di specialisti garantirebbe la sicurezza e aumenterebbe indubbiamente l'attrattività del punto nascite;
    e) non si considerano «le opportune azioni di reclutamento delle donne» prospettate invece per l'ospedale di Cles per aumentare il tasso di fidelizzazione;
    f) il tasso di fidelizzazione calcolato sull'attività del punto nascite nel 2014 non è attendibile, visto che le azioni messe in campo dalla provincia autonoma di Trento a partire dal 2010 hanno determinato un clima di sfiducia diffuso. A dimostrazione di tale affermazione è sufficiente richiamare alla memoria il panico e le proteste popolari generate nel 2013 dalle dichiarazioni dell'allora assessora alla salute Borgonovo Re sulle prospettive di chiusura del centro e che portarono alla presentazione di una petizione popolare depositata in consiglio provinciale nella primavera 2014 (petizione 1/XV consiglio provinciale);
    g) l'ospedale di Arco è rinomato anche per il centro che offre il servizio di procreazione medicalmente assistita. Questa caratteristica è un punto di forza non considerato nel parere. Le valutazioni del comitato non tengono in considerazione la collaborazione dello staff del centro con lo staff medico delle unità operative di ostetricia e ginecologia e l'interazione reciproca per qualificare e rendere più attrattiva l'area materno-infantile presso l'ospedale di Arco. La chiusura del centro potrebbe compromettere tale interazione virtuosa;
   2) quanto al punto nascite di Tione di Trento si fa presente quanto segue:
    a) l'affermazione che dalle Giudicarie si possano raggiungere con «facilità gli altri punti nascite» non è da ritenersi verosimile se si tengono in considerazione la conformazione orografica, le condizioni meteo invernali e le caratteristiche dell'infrastruttura stradale. La comunità delle Giudicarie, caratterizzata dalla presenza dei gruppi montuosi dell'Adamello – Presanella e delle Dolomiti del Brenta, è la più estesa del Trentino e sotto il profilo viabilitistico non è certo meno accidentata delle altre;
    b) i 73 chilometri che separano Storo dall'ospedale di Trento (69 chilometri nel parere) non possono essere considerati di agevole percorrenza dovendo passare dalle zone critiche di Sella di Bondo, gallerie di Ponte Pià e tratto del Limarò prima di innestarsi nell'ultimo e trafficato tratto della strada statale della Gardesana Occidentale per raggiungere il capoluogo. Le stessa difficoltà dovrebbe essere tenute in considerazione per gli altri comuni della Valle del Chiese e della Val Rendena;
    c) nel parere si stima che il tempo di percorrenza tra Storo (periferia sudoccidentale della provincia di Trento) e l'ospedale di Trento è di 73 minuti (1h13m). È certamente una stima ottimistica che non tiene in considerazione le condizioni meteo e di traffico (vedi punti a) e b)) che nella zona possono influire significativamente. Risultano essere molto più verosimili le stime dei tempi di percorrenza indicate dai siti di ViaMichelin e da GoogleMap che indicano rispettivamente i tempi di percorrenza tra Storo e l'ospedale di Trento in 100 min (1h40m), e 80 minuti (1h20m). Una rivalutazione dei tempi di percorrenza dovrebbe essere riconsiderata per tutti i comuni delle Giudicarie;
    d) le statistiche di fidelizzazione di Tione non sono attendibili. Si motiva il tasso del 40 per cento «per la facilità di raggiungere gli altri punti nascita» senza menzionare che la minaccia di chiusura del punto nascite si è prospettata ben prima del 2012, quando le nascite superavano le 200 unità. Si segnala inoltre che prima di quella data si rivolgevano al punto nascita anche partorienti provenienti dai comuni della provincia di Brescia, come ad esempio Anfo e Bagolino;
    e) le tabelle riportate nel parere sul numero dei nati non sembrano essere attendibili. Basti pensare che le statistiche prodotte dall'ufficio anagrafe del comune di Storo per l'anno 2014 indicano 45 nati, un numero maggiore del 28 per cento rispetto al dato utilizzato nel parere. Un errore prossimo al 30 per cento applicato agli altri comuni compresi nel bacino d'utenza di Tione di Trento potrebbe mettere in luce una situazione ben diversa –:
   al fine di scongiurare effetti gravemente pregiudizievoli per la collettività dovuti alla disattivazione simultanea dei punti nascita di Tione di Trento e di Arco e all'impossibilità di soddisfare la relativa domanda con nocumento alla salute della madre e del neonato, se si intenda rivedere con urgenza la valutazione espressa nel predetto parere in risposta alla richiesta di deroga per i punti nascita di Tione ed Arco. (5-09066)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   PESCO, ALBERTI, FICO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   dalle agenzie di stampa del giorno 4 luglio 2016 si apprende che almeno due dipendenti infedeli dell'Agenzia delle entrate sono stati arrestati per il presunto pesante coinvolgimento in reati gravi accertati nel corso dell'operazione «labirinto» condotta della Guardia di finanza di Roma, che ha portato al momento all'emanazione di 24 ordinanze di custodia cautelare (12 in carcere e 12 ai domiciliari), 5 misure interdittive, nonché al sequestro di più di 1,2 milioni di euro tra immobili, conti correnti e quote societarie;
   sono anni ormai che si assiste a indagini penali e continui arresti di esponenti della pubblica amministrazione, tra cui dipendenti di Equitalia e dell'Agenzia delle entrate, senza avere tuttavia alcuna notizia di un loro licenziamento, sospensione o adozione di minimi provvedimenti disciplinari;
   solo poche settimane fa si è appreso del coinvolgimento della stessa Gabriella Alemanno, vicedirettrice dell'Agenzia delle entrate, azionista di maggioranza di Equitalia. La vicedirettrice sarebbe intervenuta per fare sospendere cartelle esattoriali ad un'amica ex manager dell'Atac; nonché del caso di Giovanbattista Sabia, direttore regionale Calabria di Equitalia, già direttore di Equitalia Roma, che, in cambio della disponibilità di una Jaguar, avrebbe permesso a un concessionario auto di ottenere una rateizzazione più favorevole; inoltre, per cure di fisioterapia, aveva ridotto la cartella di un imprenditore di 10 mila euro;
   è di oggi invece la notizia riportata dai quotidiani nazionali che vede coinvolto addirittura il Ministro Alfano (menzionato ripetutamente in un'intercettazione acquisita nel corso della citata operazione «labirinto») quale beneficiario «di un favore» conclusosi con l'assunzione del fratello in una società delle Poste;
   l'attenzione governativa in materia di licenziamento sembra essersi tutta concentrata sui dipendenti pubblici cosiddetti «furbetti del cartellino», mentre alcuna reazione di contrasto si assume in relazione a condotte che, a parere degli interroganti, sono ancor più gravi e disonorevoli all'opinione pubblica in quanto poste in essere da «colletti bianchi» che distolgono somme rilevanti all'erario attraverso indebiti «favoritismi» nell'ambito di procedure di accertamento e riscossione –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere con riguardo ai funzionari e ai dirigenti della pubblica amministrazione e di soggetti comunque pubblici, tra cui dipendenti di Equitalia e di Agenzia delle entrate, implicati in indagini penali per violazione dei doveri d'ufficio, come per esempio è avvenuto recentemente in Anas con il licenziamento senza indennizzo di otto dipendenti coinvolti nell'indagine «Dama nera». (3-02362)


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, nel marzo 2014 la regione Puglia, avvalendosi di Formez Pa, ha bandito il concorso pubblico per titoli ed esami «Ripam Puglia» finalizzato all'assunzione di 200 funzionari a tempo indeterminato di categoria D, posizione economica D1, di cui 130 funzionari amministrativi (codice AG8/P) e 70 funzionari tecnici (codice TC8/P);
   la giunta regionale, con deliberazione n. 2693/2014, ha in seguito approvato il programma triennale di fabbisogno di personale, prevedendo la possibilità di nuovi impieghi per n. 902 posti di categoria D e C;
   il 16 ottobre 2015 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale la graduatoria dei vincitori e degli idonei: la commissione interministeriale Ripam, preso atto di quanto segnalato dalla regione Puglia in merito alle proprie capacità assunzionali e alle procedure di mobilità espletate, ha infatti approvato le graduatorie finali di merito e autorizzato la loro pubblicazione sul sito Ripam, con inoltro del relativo avviso in Gazzetta Ufficiale;
   tuttavia, detto concorso, aperto alla partecipazione dei concorrenti esterni in applicazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, sembra, con tutta evidenza, sia stato «trasformato», ad avviso dell'interrogante, in strumento di stabilizzazione dei precari in servizio presso la regione;
   infatti, la regione ha previsto, per i partecipanti assunti a tempo determinato, premialità nella definizione della graduatoria finale rispetto agli aspiranti disoccupati esterni così abnormi da divenire distorsive e senza alcun dubbio penalizzanti per i candidati esterni, sconosciute in qualunque altra analoga procedura concorsuale;
   in particolare, i cosiddetti «precari» non solo sono stati esonerati dalla prova preselettiva (alla quale parteciparono complessivamente circa 20.000 candidati dei quali solo poco più di mille furono ammessi alle prove scritte), ma hanno goduto, altresì, di due punti aggiuntivi in graduatoria per ogni anno di servizio;
   come se non bastasse, la maggior parte di detti «precari» non ha mai superato alcun concorso, bensì solo prove ad evidenza pubblica. Nel novembre 2014, la regione Puglia ha affiancato al concorso - mentre lo stesso era in corso - un'ulteriore procedura di stabilizzazione. Ed infatti, con legge regionale n. 47 del 2014, la regione ha deciso di avvalersi della facoltà (non obbligo) di cui al comma 529 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), che riconosce alle regioni la facoltà di stabilizzare «a domanda» (cioè senza concorso) il personale impiegato a tempo determinato che possegga determinati requisiti di anzianità di servizio (36 mesi), senza previa verifica che avessero mai superato un concorso a monte;
   va sottolineato che lo stesso comma 529 presuppone, per la stabilizzazione, che le regioni che intenderanno avvalersene abbiano assolto alla carenza della dotazione organica attraverso l'impiego di personale a termine e che, invece, la regione Puglia abbia reclutato detto personale, nella maggior parte dei casi, «a supporto» delle strutture di gestione dei Po Fesr (fondi comunitari dell'Unione europea);
   come è noto, nel frattempo, nel dicembre 2014 il Governo ha promosso ricorso di legittimità costituzionale in via principale avverso la legge regionale n. 47 del 2014, censurando l'illegittimo ampliamento degli aventi diritto alla stabilizzazione;
   nel dicembre 2015 poi, come se non bastasse, con l'obiettivo di «neutralizzare» qualsivoglia pronuncia negativa per la regione Puglia e per il personale via via entrato, negli anni dei due Governi Vendola, con contratti flessibili, è stato approvato il comma 776 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016, che, ampliando l'arco temporale di applicazione del suddetto comma 529, consente di stabilizzare il personale che abbia maturato tre anni di anzianità di servizio al 31 dicembre 2015 (non più al 31 dicembre 2012, come sancito dalla vecchia formulazione);
   la Corte costituzionale, tuttavia, con sentenza n. 37 del 2015, ha dichiarato parzialmente inammissibile il citato ricorso del Governo «per carenza di motivazione», senza però nulla aggiungere in merito alla conformità della legge pugliese ai parametri di costituzionalità denunciati, né tantomeno in merito alla conformità all'articolo 97 della Costituzione, che sancisce che «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge»;
   la normativa nazionale vigente («riforma D'Alia») e l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ribadiscono il concetto secondo cui in caso di fabbisogno di personale le assunzioni devono essere effettuate tenendo conto, oltre che dei vincitori, anche degli idonei nelle graduatorie concorsuali in vigore;
   nonostante si stesse espletando un pubblico concorso, la regione Puglia contemporaneamente dava inizio ad un procedimento di stabilizzazione del personale precario in servizio, senza attendere che si concludesse il concorso Ripam e la relativa formazione delle graduatorie pubbliche;
   inoltre, l'articolo 13 «Assunzioni in servizio» della deliberazione del 6 marzo 2014 della Commissione per l'attuazione del progetto Ripam stabilisce che «in caso di rinuncia all'assunzione da parte dei vincitori o di dichiarazioni di decadenza dei medesimi subentreranno i primi idonei in ordine di graduatoria»;
   in sostanza, visto quanto sta accadendo per questo concorso, risulta che la regione Puglia voglia ritagliare le proprie misure in tema di reclutamento del personale a pieno ed esclusivo vantaggio dei titolati dei rapporti a termine, ben oltre ogni ragionevole e plausibile volontà di «smaltire» la platea dei «precari cosiddetti storici» e di combattere la precarizzazione, bensì attuando di fatto una forma privilegiata, non selettiva e «a ciclo continuo» di accesso alla pubblica amministrazione a danno di persone che si sono sottoposte a dure procedure concorsuali ed in violazione delle disposizioni legislative, ponendosi, tra l'altro, in maniera assolutamente contraria ad ogni criterio di meritocrazia;
   ed infatti, a quasi un anno dalla conclusione della procedura, nessun vincitore è stato ancora assunto, né è dato conoscere tempi e ordine di assunzioni relativi all'anno in corso nonché al prossimo triennio, in assenza a luglio 2016 addirittura del piano occupazionale 2016 e con la scadenza nel mese di dicembre 2016 del fabbisogno del personale attualmente vigente (triennio 2014-2016), circostanza che lascia in assoluta incertezza le sorti dei vincitori e degli idonei;
   di contro, gli unici atti concreti concernono l'approvazione della graduatoria degli stabilizzandi e, malgrado la vigenza della graduatoria del concorso, la proroga di centinaia di contratti a termine, in violazione di quelle norme di legge che stabiliscono di attingere dalle graduatorie di concorso vigenti anche per le assunzioni a tempo determinato;
   la questione esposta pone una problematica di indiscutibile rilevanza generale, che esige soluzioni omogenee sul territorio nazionale –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire che le assunzioni nella pubblica amministrazione avvengano nel pieno rispetto della legalità ed in conformità ai principi costituzionali, in particolare in considerazione della vicenda esposta in premessa. (3-02363)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   FERRARA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 28 giugno 2016 si apprende che il Ministero dello sviluppo economico, tramite la direzione generale per la politica commerciale internazionale (autorità per l'esportazione beni a duplice uso), avrebbe concesso alla società Area s.p.a. di Vizzola Ticino (Varese) l'autorizzazione all'esportazione di un sistema di monitoraggio delle comunicazioni all'Egitto e l'utilizzatore finale sarebbe il Consiglio nazionale di difesa egiziano, balzato agli onori delle cronache durante la vicenda del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, ucciso in Egitto, in circostanze ancora da accertare, tra la fine di gennaio e gli inizi di febbraio 2016;
   la decisione del Ministero dello sviluppo economico avverrebbe dopo che il 31 marzo 2016 è stata revocata per «mutate situazioni politiche» la commercializzazione in 46 Paesi, tra i quali proprio l'Egitto, del programma Galileo realizzato dall'azienda milanese Hacking team. Si tratterebbe, quindi, di prodotti diversi ma assimilabili per funzioni;
   a parere degli interroganti, dopo l'omicidio di Giulio Regeni, la non collaborazione e la reticenza delle autorità egiziane nello svolgere indagini congiunte con le autorità italiane nell'accertamento dei fatti che hanno portato alla morte di Regeni, il richiamo dell'ambasciatore italiano e la promessa di azioni ferme contro l'Egitto fino al raggiungimento della verità, sarebbe incredibile che oggi il Governo italiano autorizzi la vendita di software spia che monitorano le comunicazioni ad un Paese come l'Egitto, dove vi è un Governo dittatoriale che nega sistematicamente i diritti umani e reprime ogni forma di dissenso con la violenza;
   stando ai dati di Amnesty international, solo nel 2015 in Egitto sono stati riscontrati 1.176 casi di tortura, 500 dei quali con esito mortale;
   nei mesi scorsi il Governo italiano, con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, aveva utilizzato espressioni chiare contro l'atteggiamento assunto dal Governo egiziano sulla vicenda Regeni e aveva dichiarato: «Il Governo è pronto a reagire adottando misure immediate e proporzionate»; accusando di «generica e insufficiente» collaborazione le autorità de Il Cairo nelle indagini. Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri aveva dichiarato: «L'Italia si fermerà solo davanti alla verità»;
   stando invece ai documenti che ilfattoquotidiano.it sostiene di aver visionato, il 13 giugno 2016 la direzione generale per la politica commerciale internazionale del Ministero dello sviluppo economico ha concesso alla società Area s.p.a. un'autorizzazione specifica e valida, quindi per una singola operazione, ad esportare, proprio in Egitto, un sistema di monitoraggio delle comunicazioni su rete funzionante con protocollo internet;
   il via libera all’export per Area s.p.a. e quindi alla vendita per 3,1 milioni di dollari, sarebbe arrivato dopo la sospensione dei termini di conclusione del procedimento di 30 giorni, decisa il 14 maggio 2016 dopo ben quattro rinvii del comitato consultivo per l'esportazione dei beni a duplice uso (utilizzabili, cioè, sia in applicazioni civili che militari), chiamato ad esprimere un parere sull'istanza presentata il 16 novembre 2015 dall'azienda lombarda. Sospensione che, pare, si era resa necessaria proprio per consentire ai componenti del comitato stesso (tra i quali i rappresentanti dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che lo presiede, della difesa, dell'interno, dell'economia e delle finanze, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e della salute, oltre che dello stesso Ministero dello sviluppo economico) un'ulteriore valutazione dello stato dei rapporti bilaterali tra Italia ed Egitto e dei possibili sviluppi eventualmente intervenuti;
   a parere degli interroganti, quindi, appare evidente che qualcosa sia cambiato rispetto all'atteggiamento del Governo italiano nei confronti di quello egiziano, visto che due mesi e mezzo fa, dopo il blocco dell’export imposto ad Hacking team, il Ministero dello sviluppo economico avrebbe autorizzato un'altra società, Area s.p.a., a vendere all'Egitto una tecnologia software diversa, ma che sostanzialmente risponde alle stesse esigenze;
   ad oggi appaiono completamente sconosciuti i motivi per i quali è stata concessa tale autorizzazione e si sia verificato un così radicale cambio di indirizzo da parte della direzione generale per la politica commerciale internazionale (autorità per l'esportazione beni a duplice uso), che, come si ricorderà, inizialmente ha revocato alla società Hacking team la vendita del programma Galileo, ma ora procede, per quanto risulta, al via libera alla vendita da parte della società Area s.p.a. di un programma diverso ma assimilabile al Galileo per funzionalità e sempre nei confronti dell'Egitto, in un lasso di tempo particolarmente ristretto e senza che siano intervenute nel frattempo sostanziali novità sul caso Regeni;
   ad avviso degli interroganti, inoltre, il Governo dovrebbe attivarsi per assumere, per quanto di competenza, ogni iniziativa volta a contribuire a fare luce sull'omicidio di Giulio Regeni, sui depistaggi e, in definitiva, alla verità e alla giustizia che tutto il Paese pretende –:
   quali elementi il Ministro interrogato intenda fornire alla luce dei fatti descritti in premessa, specificando quali iniziative di competenza intenda assumere per revocare immediatamente l'autorizzazione concessa alla società Area s.p.a. per la vendita di un software spia al Governo egiziano, come di ogni altra autorizzazione alla vendita di prodotti legati ai sistemi di sicurezza e controllo delle informazioni di Paesi che, al pari dell'Egitto, violano sistematicamente i diritti umani, sindacali e democratici. (3-02364)


   VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 novembre 2011, n. 180, «Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese», è stata salutata come «una rivoluzione copernicana nei rapporti tra Stato e piccole e medie imprese» e prevede che l'intervento pubblico e l'attività della pubblica amministrazione debbano conformarsi alle esigenze delle micro, piccole e medie imprese, in particolare a quelle giovanili, femminili e innovative;
   a questo scopo lo statuto, in perfetta aderenza con lo Small business act comunitario, introduce il principio della progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, la «reciprocità dei diritti e dei doveri nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione», la garanzia di un sostegno pubblico «attraverso misure di semplificazione amministrativa da definire in appositi provvedimenti legislativi»;
   l'articolo 18 della legge prevede che, entro il 30 giugno di ciascun anno, il Governo debba presentare al Parlamento una «legge annuale per le micro, piccole e medie imprese», volta a definire gli interventi per la tutela e lo sviluppo di queste, le norme per l'immediata riduzione degli oneri burocratici a loro carico, misure di semplificazione amministrativa, deleghe al Governo in materia di tutela e di sviluppo delle micro, piccole e medie imprese. Oltre a questo, al disegno di legge deve essere allegata una relazione:
    a) sullo stato di conformità della normativa vigente in materia di imprese rispetto ai principi e agli obiettivi dello Small business act;
    b) sull'attuazione degli interventi programmati;
    c) sulle ulteriori specifiche misure da adottare per favorire la competitività delle micro, piccole e medie imprese, al fine di garantire l'equo sviluppo delle aree sottoutilizzate;
   per la definizione delle legge annuale per le micro, piccole e medie imprese, ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 180 del 2011, il Governo è tenuto a consultare il tavolo di consultazione permanente delle associazioni di categoria, costituito presso il Garante delle micro, piccole e medie imprese;
   nonostante diverse interrogazioni presentate ai Ministri pro tempore dello sviluppo economico Passera, Zanonato e Guidi negli anni scorsi, Ministri tutti pienamente consapevoli dell'importanza dell'approvazione della legge per le micro, piccole e medie imprese, così come facilmente riscontrabile dai resoconti di Assemblea, la legge per le micro, piccole e medie imprese non è ancora stata presentata;
   il 1o ottobre 2014, l'allora Ministro dello sviluppo economico Guidi ha addirittura rassicurato l'Assemblea in merito all'avvenuta predisposizione del disegno di legge annuale per la tutela delle piccole e medie imprese, oltre che all'invio della stessa legge alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   il 10 maggio 2016 anche il presidente di Rete imprese Italia, nelle sei proposte concrete al fine di riportare le piccole e medie imprese al centro dell'agenda del Governo, come prima proposta ha esplicitamente affermato che «non è più rimandabile l'attuazione reale e completa dello statuto delle imprese, in tutte le sue parti, rendendolo finalmente uno strumento operativo»;
   sempre Rete imprese Italia, associazione di categoria che raccoglie tutte le principali associazioni di categoria rappresentative delle piccole e medie imprese, ha affermato come necessaria l'attuazione della legge annuale delle piccole e medie imprese, considerando che negli ultimi dodici mesi hanno chiuso in Italia ogni giorno oltre 390 imprese; piccole imprese che nonostante la crisi sono state capaci di continuare a svolgere il proprio ruolo, specie nei centri minori, dove spesso rappresentano l'unica presenza imprenditoriale;
   il disegno di legge annuale citato in premessa, ad oggi, non è stato ancora presentato –:
   se ed entro quale data il Governo intenda presentare la legge annuale sulle micro, piccole e medie imprese, di cui all'articolo 18 della legge 11 novembre 2011, n. 180. (3-02365)


   ALLASIA, BUSIN, FEDRIGA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati Istat sui prezzi al consumo di giugno 2016 confermano un quadro economico assolutamente instabile, con un sostanziale fermo dei consumi interni, a fronte di un generalizzato calo dei prezzi che, in questa fase, risulta dipendere dal calo dei prezzi dei prodotti energetici;
   da mesi si assiste ad un andamento anomalo dei prezzi della bolletta energetica che, per ignoti meccanismi, continuano ad aumentare nonostante il Paese si trovi in una fase di deflazione; l'ultimo aggiornamento dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico parla di un aumento del 4,3 per cento per l'elettricità e dell'1,9 per cento per il gas nelle fatture mensili di una famiglia-tipo, a partire dal mese di luglio 2016;
   la causa è nella crescita dei costi di dispacciamento, ossia dei costi sostenuti per mantenimento in equilibrio del sistema elettrico, i quali, secondo quanto emerge dall'attività di monitoraggio dei mercati condotta dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, sono verosimilmente riconducibili a strategie anomale adottate dai produttori nel mercato all'ingrosso dell'energia elettrica, con la conseguente alterazione del normale meccanismo di formazione dei prezzi nei mercati;
   si è di fronte ad una situazione assurda, dettata probabilmente da atteggiamenti di tipo speculativo, che ha l'effetto di produrre un pesante ed ingiustificato aggravio dei costi a danno dei consumatori, coincidendo, tra l'altro, con l'ingresso della stagione estiva, in cui sono massimi i picchi nella domanda di energia elettrica ed evidentemente più alti i costi energetici sostenuti dagli utenti stessi;
   da un articolo, pubblicato il 20 giugno 2016 su Il Sole 24 ore, si apprende come le condotte anomale dei produttori abilitati al servizio di dispacciamento abbiano generato extra-costi per circa 300 milioni di euro al mese sulla bolletta elettrica di aprile 2016, facendo ipotizzare, a chiusura del trimestre, un onere per circa un miliardo di euro;
   per i suddetti motivi, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico ha avviato un procedimento (delibera 342/2016/E/eel) intimando la cessazione immediata delle condotte anomale in corso, prevedendo l'eventuale adozione di altre misure regolatorie e, nel caso, di procedimenti sanzionatori per l'accertamento di eventuali violazioni del regolamento europeo sull'integrità e sulla trasparenza dei mercati energetici all'ingrosso –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e in coordinamento con l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, affinché si pervenga a soluzioni efficaci e immediate per quanto denunciato in premessa, impedendo che il recupero degli eventuali, indebiti e maggiori costi comporti un aumento delle bollette energetiche a carico dei consumatori. (3-02366)


   LAURICELLA, LATTUCA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il negoziato tra l'Unione europea e gli Stati Uniti sull'accordo di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, noto come Ttip, potrebbe rappresentare un punto di svolta nelle relazioni economiche internazionali;
   l'Europa ha intrapreso da anni la strada degli accordi di libero scambio per governare gli effetti della globalizzazione, contrastando le distorsioni dovute ad un'internazionalizzazione squilibrata dell'economia, e per aprire nuovi mercati alle imprese, con vantaggi rilevanti in termini di crescita e occupazione per tutti i Paesi membri;
   i dazi e le barriere non tariffarie oggi presenti negli Stati Uniti colpiscono, in particolare, i settori di specializzazione del nostro Paese: in questo senso il Ttip – segnatamente il capitolo relativo alla convergenza regolamentare – è soprattutto un accordo a favore delle piccole e medie imprese italiane, che a seguito della sua approvazione potranno operare in una grande area di libero scambio tra Paesi che accettano regole equilibrate e standard elevati;
   in diverse occasioni il Ministro interrogato, nel fornire chiarimenti sulla natura, sulla struttura e sulle finalità del Ttip, ha infatti sottolineato che in nessun caso il trattato potrà portare a un abbassamento degli standard e che la convergenza avverrà «verso l'alto»;
   il rischio che un equilibrio negoziale non venga infine raggiunto è però più che concreto, poiché molti sono i punti controversi nel perimetro, dai temi assai vari, del Ttip e appare dunque opportuno che il complesso iter di approvazione sia condiviso a livello nazionale, oltre che europeo;
   per il buon fine del negoziato, nel Ttip dovrà inoltre trovare piena applicazione la proposta presentata a settembre 2015 dalla Commissione europea sull’International court system (Ics), che garantirà nell'ambito del trattato protezione agli investitori prevenendo le degenerazioni del precedente sistema basato sulle clausole Isds, di cui le aziende hanno talvolta tentato di abusare: si passerebbe da un sistema di tipo arbitrale, con i suoi limiti e rischi di interferenze, ad un sistema giurisdizionale internazionale, composto da due gradi di giudizio e che tutela l'indipendenza dei giudici;
   il sistema Ics impone che lo Stato riservi agli investitori un trattamento giusto ed equo, evitando la manifesta arbitrarietà, e garantisce il pieno diritto degli Stati a regolamentare, senza subire interferenze, nell'ambito della protezione dei diritti in materie come la salute, l'ambiente, la sicurezza; quest'ultima previsione, seppur posta a tutela della sovranità nazionale su materie cruciali, potrebbe però aprire indefiniti orizzonti alla rivendicazione del risarcimento dei danni da parte degli investitori –:
   quali siano, nell'ambito del Ttip e della proposta relativa al sistema Ics sulla protezione degli investimenti, i limiti nelle controversie applicabili alla pretesa di un investitore straniero nei confronti delle autorità pubbliche nazionali qualora dovesse ritenersi leso da una norma nazionale, o, in particolare, da una legge approvata in Parlamento, posta a tutela dei diritti in materie come la salute, l'ambiente, la sicurezza. (3-02367)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARGERO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il buono pasto si configura come uno strumento estremamente flessibile per i lavoratori, in tutte le ipotesi in cui le imprese o gli enti pubblici e privati con i quali collaborano non ritengono opportuno o conveniente dotarsi di una mensa aziendale;
   i soggetti che sono coinvolti nel processo di utilizzo di questo mezzo di pagamento sono i datori di lavoro, le società emettitrici, gli esercizi erogatori dei servizi di ristorazione e i lavoratori: le società emettitrici, che si avvalgono di una più o meno vasta rete di affiliati/convenzionati, promuovono e vendono i buoni pasto ai datori di lavoro che provvedono a somministrare gli stessi ai propri lavoratori. I lavoratori-utilizzatori ricevono la prestazione di servizi sostitutivi di mensa dietro semplice presentazione del titolo, che viene ritirato dal locale convenzionato e successivamente restituito alla originaria società emettitrice con contestuale emissione di fattura volta al riconoscimento di un corrispettivo;
   il valore del buono pasto, fino all'ammontare di euro 5,29 e di euro 7,00 dal primo luglio 2015 per i buoni pasto in forma elettronica, è esente da oneri contributivi e previdenziali per il datore di lavoro e da trattenute fiscali per il dipendente;
   secondo i dati forniti da associazioni di settore, in Italia, oltre il 40 per cento dei lavoratori che pranzano fuori casa per motivi attinenti all'attività lavorativa, usufruirebbero del buono pasto quale strumento di pagamento: le statistiche parlano di 2,5 milioni di lavoratori circa, suddivisi tra settore privato (1,6 milioni) e pubblico (900.000); gli esercizi convenzionati sono circa 120.000 e nella quasi totalità si tratta di piccole e medie imprese. Le aziende e le pubbliche amministrazioni clienti sono circa 80.000;
   a fronte di tale consenso e diffusione, si rilevano forti criticità segnalate soprattutto dagli esercenti che segnalano principalmente le problematiche relative ai contratti di appalto con la pubblica amministrazione e con le grandi società a partecipazione pubblica e privata che, essendo gestiti attraverso gare con la logica del massimo ribasso, avvantaggerebbero esclusivamente chi presenta lo sconto maggiore sul valore facciale del buono e questo a discapito degli esercenti, costretti a riconoscere commissioni sempre più alte, situazione che riguarda anche molti grandi clienti privati, ad esempio i gruppi bancari, con ribassi per l'aggiudicazione che sfiorano il 20 per cento del valore nominale del buono pasto: secondo la Fipe-Confcommercio, lo sconto che i committenti pubblici e privati ricevono ogni anno sul valore dei buoni pasto immessi sul mercato, ammonterebbe a circa 500 milioni di euro e sarebbe stato possibile grazie al sacrificio dei margini degli esercenti, tra l'altro ulteriormente penalizzati dalla lungaggine del processo di rimborso dei buoni pasto incassati da parte delle società emettitrici;
   altra criticità segnalata, in questo caso solo per i buoni pasto elettronici, riguarda la mancata previsione di un «pos» universale capace di leggere tutte le tessere in circolazione, costringendo gli esercenti a tenere più di un pos (uno per ciascun circuito di pagamento dei ticket) e ad affrontare così spese di gestione moltiplicate per il numero dei pos, sotto forma di affitto annuale e di spese operative in quanto ogni terminale necessita di connessione dati ed alimentazione elettrica –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati ritengano di porre in essere in relazione alle problematiche esposte in premessa. (5-09058)


   BENAMATI, DE MARIA, FABBRI e LENZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Paritel S.p.a è una holding finanziaria presieduta dall'Ingegnere Luca Peli;
   tale gruppo comprende aziende operanti nel settore della manifattura metalmeccanica ed è composto da: Demm Spa di Alto Reno Terme (231 dipendenti), Officine Cevolani di San Lazzaro (50 dipendenti a Bologna), Govoni di Ferrara (25 dipendenti), IMT di Casalecchio di Reno (287 dipendenti, di cui 80 a Bologna e il resto a Torino e Alessandria) e Titan di San Marino;
   il gruppo è attualmente in amministrazione straordinaria ai sensi della cosiddetta «legge Marzano» per i grandi complessi industriali strategici in situazione di dissesto finanziario, con il Professor Tombari come commissario straordinario;
   il commissario avrebbe ritenuto, a quanto consta agli interroganti, di coinvolgere l'ingegnere Peli nella gestione aziendale;
   da notizie stampa si evince che la situazione economica e finanziaria di Paritel è iniziata a precipitare a fine 2014, quando la IMT Spa (partecipata da Paritel Spa al 44,49 per cento, dal Fondo Italiano di Investimento Sgr Spa al 30,3 per cento, da OBT International Licensing all'11,34 per cento, da FMT Immobiliare Srl al 6,67 per cento, da Tachella Alberto al 3,33 per cento e da Immobiliare GT Srl al 3,33 per cento), ha presentato alle organizzazioni sindacali un piano di riorganizzazione che prevedeva la specializzazione dei tre stabilimenti ed un esubero di 90 addetti (30 per stabilimento). A novembre 2014 è stato siglato un accordo dove venivano privilegiati gli ammortizzatori conservativi e veniva congelato per un anno il piano di riorganizzazione;
   il 31 dicembre 2014 l'azienda è stata dichiarata insolvente dal tribunale di Bologna: questa situazione di insolvenza di IMT Spa ha provocato successivamente una crisi finanziaria per tutte le aziende del gruppo Paritel;
   il risultato della crisi finanziaria si è palesato il 26 giugno 2015, con la presentazione delle domande di concordato in bianco per le aziende di gruppo;
   l'ipotesi di concordato non ha avuto però l'auspicato riscontro, determinando così l'avvio della procedura di amministrazione straordinaria – già in essere per IMT Spa – per tutte le altre aziende del gruppo;
   all'inizio di ottobre 2015 si evince che tutte le cinque società posseggono i requisiti per accedere alla procedura di amministrazione straordinaria;
   il 30 ottobre 2015 il ministero dello sviluppo economico ha fornito parere positivo e il 20 novembre 2015 il tribunale ha dato l'approvazione, quindi tutte le aziende del gruppo sono state ufficialmente ammesse alla procedura cosiddetta «Prodi-Marzano»;
   il 16 marzo 2016 si è svolto al Ministero dello sviluppo economico l'incontro di verifica della situazione relativa al Gruppo Paritel; in quella occasione, il commissario ha illustrato lo stato delle aziende e in particolare, con riferimento ad IMT Spa, ha comunicato l'esistenza di un possibile soggetto acquirente;
   sempre durante l'incontro del 16 marzo 2016, con riferimento alle procedure Cevolani, Govoni e DEMM, il commissario ha comunicato che i relativi programmi di cessione dovranno essere approvati dal Ministero dello sviluppo economico, dopo che quest'ultimo avrà a sua volta ricevuto il parere da parte del comitato di sorveglianza;
   a valle di ciò si potrà procedere ad istruire il bando per la vendita, a cui seguirà il decreto di approvazione da parte del Ministero dello sviluppo economico per l'avvio della procedura di vendita stessa;
   per IMT il commissario ha inoltre confermato che la procedura notifica degli aiuti di Stato, di cui è stata presentata domanda per 17 milioni di euro, finalizzato alle garanzie per recuperare la liquidità atta al finanziamento dell'attività corrente, è in via di definizione: a questo proposito ha confermato che è in via di attivazione l'iter per il finanziamento anche per le altre aziende del gruppo;
   è chiaro da quanto esposto finora che il grave dissesto finanziario del gruppo Paritel abbia provocato un rallentamento delle attività delle aziende coinvolte che si trovano in crisi di liquidità; sussiste dunque il concreto rischio di perdita di ordinativi poiché queste aziende dispongono di commesse, ma non della liquidità atta a garantire il regolare processo produttivo;
   questo appare particolarmente vero per DEMM di Alto Reno Terme la cui crisi va a colpire un territorio già martoriato dalla vicenda Saeco;
   sarebbe in ogni modo auspicabile che la procedura di vendita riesca a proporre agli acquirenti aziende pienamente operanti e che ne consenta la cessione preservandone l'occupazione e le competenze, evitando inoltre la perdita o il ridimensionamento di realtà industriali così importanti e storiche per i territori interessati –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e quali iniziative di competenza il Governo stia mettendo in atto per accelerare la conclusione della procedura di vendita, nonché quale sia l'orizzonte degli ammortizzatori sociali operanti e, con specifico riferimento a DEMM, quale sia lo stato della procedura per le garanzie per l'accesso al mercato del credito. (5-09062)


   SIBILIA e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Irisbus di Flumeri (AV) era un'azienda produttrice di autobus di proprietà dell'Iveco, acquisita nel 2003 dal Gruppo Fiat. Per la sua realizzazione sono stati concessi finanziamenti pubblici con un contributo in conto capitale complessivo di lire 14.912.513.000, erogato in base alla legge n. 183 del 1976 in tre franche dal 1981 al 1986. A questo si è aggiunto, in base alla stessa legge, un contributo in conto interessi di lire 1.277.530.000 per un finanziamento agevolato di lire 4.800.000.000. A seguito dei danni provocati dal sisma del 1980, l'Iveco ha ottenuto, in base alla legge n. 219 del 1981, la somma di lire 9.834.500.000 in quattro franche dal 1983 al 1991;
   nonostante l'impegno costante sul fronte degli incentivi economici da parte dello Stato italiano, l'insediamento di Valle Ufita è stato oggetto di un progressivo smantellamento, conclusosi con la delocalizzazione delle attività produttive nello stabilimento francese di Annonay. Nel 2011, infatti, la Fiat ha attivato le procedure di messa in mobilità e cassa integrazione per tutti i lavoratori per chiudere definitivamente l'azienda di Flumeri, motivando tale decisione con la crisi del mercato degli autobus urbani in Italia;
   in seguito agli incontri organizzati al Ministero dello sviluppo economico allo scopo di trovare una soluzione per lo stabilimento di valle Ufita e i circa 300 lavoratori, nel novembre del 2014 è nata l'Industria Italiana Autobus, partecipata all'80 per cento dalla King Long Italia, con Stefano Del Rosso amministratore delegato, e al 20 per cento da Finmeccanica, il cui principale azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze;
   a partire da questa data si sono moltiplicati gli incontri presso il Ministero dello Sviluppo Economico finalizzati a cercare il percorso più breve per la riapertura della fabbrica di Valle Ufita e il ritorno al lavoro degli operai;
   ad aprile 2015 per la ripresa delle attività l'amministratore delegato Del Rosso ha presentato ad Invitalia un piano di rilancio industriale con una richiesta di investimento per 31 milioni di euro, di cui circa 25 milioni andranno restituiti;
   soltanto di recente il consiglio di amministrazione di Invitalia ha approvato l'erogazione di 21 milioni di euro per i lavori di ristrutturazione dello stabilimento chiuso dal 2011;
   nelle ultime settimane si è temuto di nuovo per il futuro dell'ex Irisbus a causa di un ritardo nell'erogazione del finanziamento, che ha fatto ripiombare in uno stato di preoccupazione tutti i lavoratori. Poi è arrivata la conferma e nei prossimi giorni è stata programmata l'accensione simbolica della nuova insegna ILA dello stabilimento di Flumeri –:
   quale sia nel dettaglio il piano industriale, la capacità produttiva della nuova azienda irpina che ha ricevuto, per il tramite di Invitalia, finanziamenti pubblici e il ruolo che assumerà insieme all'ex Bredamenarini di Bologna, anch'essa facente parte dell'Industria Italiana Autobus (IIA), per il settore della produzione degli autobus per il trasporto pubblico locale. (5-09068)


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Tempa Rossa è uno dei due grandi giacimenti di petrolio e di metano della Basilicata situato nella Valle del Sauro nei territori di Corleto Perticara, Gorgoglione e Guardia Perticara. Il giacimento fu scoperto nel 1989 ed è gestito dal colosso francese Total in associazione con le compagnie Mitsui e Shell;
   il giacimento Tempa Rossa è particolare sia per la natura degli idrocarburi presenti (olii pesanti da 10 a 22 API e presenza di zolfo), sia per il suo contesto ambientale e storico, perché è situato tra il parco regionale di Gallipoli Cognato e il parco nazionale del Pollino, con un alto valore turistico per la bellezza dei suoi paesaggi e un patrimonio archeologico di preminente pregio culturale;
   sono previsti 1,6 miliardi di euro di investimenti internazionali nel giacimento e quando l'impianto sarà a regime Tempa Rossa avrà una capacità produttiva giornaliera di circa 50.000 barili di petrolio, 230.000 metri cubi di gas naturale, 240 tonnellate di Gpl e 80 tonnellate di zolfo e rappresenterà circa il 40 per cento della produzione di petrolio in Italia;
   nelle ultime settimane ha suscitato particolare inquietudine e agitazione la protesta dei lavoratori dell'indotto del centro oli che la Total sta realizzando a Corleto Perticara (Potenza) perché agli operai italiani non vengono rinnovati i contratti di somministrazione, non per mancanza di posti di lavoro, ma perché costoro vengono sostituiti da maestranze provenienti prevalentemente dalla Polonia e dall'est Europa;
   su 1.300 addetti, solo il 24 per cento della manodopera e lucana e quasi l'80 per cento è composta da lavoratori provenienti da altre regioni. Nell'apposita sezione sul sito della compagnia petrolifera, dedicata all'occupazione, si distingue unicamente fra lucani e non: a maggio 2016 erano poco più di un terzo su 2.409 unità occupate fra imprese appaltatrici e subappaltatrici;
   sono almeno 70 i contratti di lavoratori italiani che non sono stati rinnovati e che sono stati sostituiti con contratti a lavoratori stranieri, con le medesime mansioni, ma con salari inferiori: mentre gli italiani percepiscono circa 9 euro all'ora, risulta che il personale straniero è retribuito con 5 euro;
   gli operai stranieri sono relegati in «campi base» e ha o orari di entrata e uscita dall'azienda che raramente coincidono con quelli degli altri operai; oltre tutto, dato che non parlano l'italiano, lavorano con i traduttori, impedendo di fatto contatti con i lavoratori italiani e con le rappresentanze sindacali;
   anche la situazione igienico-sanitaria è discutibile visto che per gli oltre mille operai sono disponibili solo bagni chimici, peraltro puliti soltanto alcuni giorni della settimana. Inoltre, non c’è acqua potabile corrente e il personale, che viene accompagnato all'interno di container per mangiare, deve farlo su più turni, perché non c’è spazio per tutti;
   tale situazione sta creando forti preoccupazioni tra i lavoratori della Total e nel contesto sociale di una delle zone in cui la disoccupazione raggiunge uno dei più alti tassi d'Italia; le scelte della Total secondo l'interrogante finiscono di fatto assecondare la logica di utilizzare lavoratori stranieri per imporre condizioni di lavoro e salari al ribasso, negando i diritti e le tutele dei lavoratori lucani –:
   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di competenza, di dover convocare la dirigenza della Total per accertare gli obiettivi dell'azienda;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere per verificare le condizioni di lavoro e il rispetto dei diritti di tutti i lavoratori ed esercitare controlli sull'operato delle società appaltatrici e delle agenzie interinali. (5-09073)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, COLONNESE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DI VITA e GRILLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Scicli, in contrada Cuturi, l'Acif Servizi srl ha svolto per anni attività agricole ed in regola con la destinazione urbanistica dei luoghi, fino a quando, nel 2009, è stata autorizzata al cambio di destinazione d'uso dell'edificio adibito a pollaio in impianto produttivo di riduzione volumetrica di manufatti in pet e polistirolo, nonché ad eseguire in detto edificio lavori di manutenzione;
   successivamente, la ditta Acif ha chiesto di essere autorizzata ad eseguire lavori di «ampliamento dell'impianto di trattamento e riduzione reflui in C.da Cuturi». L'impianto viene autorizzato con provvedimento 01/SUAP, ma l'U.T.C., settore urbanistica, esprime per due volte parere di «Non conformità urbanistica» in quanto le attività assentibili nei luoghi escludono la conservazione di rifiuti pericolosi se estranei all'agricoltura, quali potrebbero essere invece i pesticidi e i carburanti agricoli;
   secondo fonti giornalistiche pare che la ditta Acif svolgesse da gran tempo attività di trattamento di rifiuti pericolosi e non, e ciò lo si evincerebbe dal fatto che la stessa azienda ha fatto riferimento nelle sue richieste, ad un «ampliamento» e non ad una nuova attività;
   nonostante i pareri negativi ripetutamente espressi dall'UTC, lo sportello unico per le attività produttive rilascia la propria autorizzazione (n. 40/SUAP del 4 agosto 2011), affermando che le opere in progetto costituiscono ampliamento dell'attività già autorizzata (dunque pet e polistirolo, autorizzazione 1/SUAP/2009) e che le stesse riguardano esclusivamente l'installazione e l'impiego di nuovi macchinari su una superficie esterna, in aggiunta al ciclo produttivo già in essere;
   conseguentemente, la ditta presenta istanza alla provincia regionale di Ragusa in data 9 agosto 2011, protocollo n. 41646, avente ad oggetto «Comunicazione di inizio attività per l'esercizio delle operazioni di recupero rifiuti non pericolosi» e, con nota protocollo n. 53863 del 28 ottobre 2011, la provincia regionale di Ragusa autorizza l'inizio dell'attività;
   tuttavia, accade che, mentre nell'oggetto della richiesta inviata dall'Acif si legge l'espressione «rifiuti non pericolosi», nel corpo dell'autorizzazione si legge che «la ditta chiede il recupero e messa in riserva di rifiuti pericolosi», e nell'autorizzazione rilasciata dalla ora ex provincia di Ragusa si legge «Considerato che la presente comunicazione di inizio attività produce modifica sostanziale delle operazioni di recupero della comunicazione di inizio attività precedente del 16 aprile 2009»;
   successivamente con decreto assessoriale della regione siciliana n. 218 del 3 marzo 2016 viene rilasciata all'Acif Servizi srl l'autorizzazione integrata ambientale (AIA), oggi sospesa in quanto non era stato espresso il parere favorevole dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) Sicilia;
   il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 29 luglio 2013, recante norme concernenti le modalità per la concessione delle agevolazioni in favore di programmi di investimento innovativi da realizzare nei territori delle regioni dell'obiettivo «convergenza» (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), all'articolo 4, lettera e), stabilisce che possono usufruire di tali agevolazioni le imprese che, alla data di presentazione della domanda, si trovino in regola con le disposizioni vigenti in materia di normativa edilizia ed urbanistica, del lavoro, della prevenzione degli infortuni e della salvaguardia dell'ambiente e con gli obblighi contributivi;
   sono stati emanati più decreti ministeriali che hanno incrementato le risorse destinate alla concessione delle agevolazioni di cui sopra anche riguardanti la società Acif Servizi srl;
   con decreto ministeriale del 7 febbraio 2014 sono state integrate le procedure previste relativamente alle domande di agevolazione inerenti alla realizzazione di programmi di investimento relativi a unità produttive localizzate nei «Siti di bonifica di interesse nazionale (SIN)» ricadenti nelle regioni dell'obiettivo «convergenza», ai fini dell'accesso a risorse aggiuntive –:
   se risulti che alla data di presentazione della domanda finalizzata alla concessione delle agevolazioni l'Acif Servizi srl si trovasse in regola con le disposizioni vigenti in materia di normativa edilizia e urbanistica, secondo quanto disposto dall'articolo 4, lettera e), del decreto del 29 luglio 2013;
   quale sia il motivo che ha determinato l'emanazione di più decreti ministeriali volti all'incremento delle risorse finanziarie che risulterebbero destinate anche all'opera di ampliamento dell'unità produttiva della società Acif Servizi srl – collocatasi in graduatoria al 516o posto su 649 – e se possa indicare con precisione a quanto ammonti complessivamente oggi il finanziamento pubblico alla suddetta società;
   se, nel caso specifico, le risorse destinate ai siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) siano state utilizzate per l'ampliamento dell'impianto di cui sopra. (4-13672)


   TONINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Cremona è da tempo vittima di continui disservizi del servizio postale; nelle ultime settimane, come riferiscono notizie di stampa, continue sono state le lamentele giunte non solo dal capoluogo cremonese, ma anche dai principali comuni della provincia, da Crema a Casalmaggiore (si veda «Poste, esplode la rabbia. Tagliati otto portalettere», articolo a firma di Giacomo Guglielmone su La Provincia di Cremona di lunedì 4 luglio 2016);
   questi disservizi saranno fatalmente destinati a degenerare, sfociando nella paralisi dell'essenziale servizio postale se sarà confermato quanto riportato dalle stesse fonti, ovvero che degli undici portalettere attivi in città a ben otto non sarebbe stato rinnovato il contratto di lavoro, facendo precipitare di oltre l'ottanta percento le unità lavorative operative in provincia, che sarebbero quindi state improvvisamente ridotte addirittura a tre;
   com’è noto, la grave situazione che si è manifestata a Cremona e nel cremonese è sintomatica di uno stato di malessere diffuso in tutta Italia;
   il 31 maggio 2016 il Consiglio dei ministri ha approvato in esame preliminare, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che definisce i criteri di privatizzazione e le modalità di dismissione di una ulteriore quota della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Poste Italiane s.p.a. nell'ambito del piano per la privatizzazione di Poste Italiane s.p.a. Il pericolo che poteva derivare dalla privatizzazione in questione, per le sue ricadute sul servizio pubblico essenziale che è il servizio postale, era stato peraltro evidenziato in tutte le sedi competenti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione illustrata in premessa e quali iniziative intendano assumere per garantire i livelli essenziali del servizio universale postale nella provincia di Cremona e su tutto il territorio nazionale. (4-13675)


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina dell'attività di estetista è regolamentata dalla legge n. 1 del 1990. Con questo provvedimento sono stati definiti i requisiti, l'ambito e le modalità di svolgimento dell'attività. La legge affida alle regioni il compito di emanare norme di programmazione relative all'esercizio e di dettare disposizioni ai comuni per l'adozione dei regolamenti che si uniformino alla presente legge;
   il sito www.i-dome.com nell'articolo del 17 maggio 2013, di Roberta Barbiero, dal titolo «Mercato del benessere: quale crisi ?» nell'analizzare il settore dell'estetica in Italia, afferma che sono «oltre 70 mila gli impiegati nel settore e più di 35 mila imprese, per un giro d'affari annuo pari a 21 miliardi. (...) Il moltiplicarsi degli esercizi nasconde l'allarme abusivismo (...) che, oltre a mettere in difficoltà gli operatori del settore, rischia di trasformare quelli che, in apparenza, potrebbero sembrare degli ottimi affari in rischiosi interventi per gli utenti. A lanciare l'allarme è, tra le altre, anche l'Unione Nazionale CNA (Confederazione dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa) Benessere e Sanità, che ha di recente diffuso alcuni dati dell'illegalità a Roma: dei 4 mila nuovi centri di estetisti e acconciatori che annualmente spuntano, ben 2 mila sono abusivi e il giro d'affari generato dal nero è di 15 milioni di euro di evasione fiscale e contributiva»;
   la problematica menzionata e la crescente domanda di qualità delineano l'importanza di una tutela maggiore nei confronti degli operatori del settore e dei consumatori nonché, evidenziano le misure utili a consolidare sul mercato le aziende regolari;
   il sito della CGIA (Associazione artigiani piccole imprese) di Mestre, in un comunicato stampa del 14 marzo 2016 dal titolo «CGIA – l'abusivismo nuoce alla bellezza e alla salute» illustra il lancio di una campagna di sensibilizzazione finalizzata a contrastare l'abusivismo nel settore del benessere. In particolare, riporta che: «estetisti e acconciatori della CGIA di Mestre hanno presentato, in compartecipazione con Adico (Associazione in difesa dei consumatori) (...), un'iniziativa pubblicitaria contro l'abusivismo presente nel settore, per ricordare ai consumatori che affidarsi a coloro che si improvvisano operatori del settore non mette a rischio solo la bellezza, ma la stessa salute dei clienti». I presidenti della CGIA Sergio Gnan e Giorgio Rado hanno dichiarato: «vogliamo ribadire l'importanza della qualificazione professionale come strumento per contrastare la piaga dell'abusivismo che penalizza gli addetti ai lavori, ma soprattutto, si ripercuote pesantemente sul benessere del consumatore»,
   la nota stampa, inoltre, delinea: «l'utilizzo dei prodotti selezionati, di tecniche all'avanguardia e certificate, di attrezzature sterili e sanificate sono condizioni essenziali per tutelare gli utenti, caratteristiche garantite unicamente dai professionisti della bellezza e, di certo, non da coloro che operano nel sommerso. I rigidi controlli sanitari, a cui sono sottoposti i centri estetici e i saloni di bellezza, sono una garanzia per i clienti; rivolgersi a chi si improvvisa costituisce un autentico azzardo, a fronte di un eventuale risparmio in termini economici ci si espone al rischio di danni permanenti»;
   nell'articolo, i presidenti della categoria benessere della CGIA, spiegano che la campagna mira ad evidenziare quali siano i vantaggi per l'utenza di avvalersi di una impresa regolare poiché si ha la certezza di affidare la cura della propria bellezza a personale qualificato grazie ad anni di studio, di apprendistato e di aggiornamenti. È possibile, inoltre, usufruire di centri e luoghi in cui vengono rispettate le leggi sull'ambiente, sull'igiene e sulla sicurezza fidandosi di imprenditori in regola col fisco e con i contratti di lavoro;
   l'abusivismo nel settore dell'estetica è stato oggetto di differenti campagne organizzate in difesa del comparto. In data 5 aprile 2016 sul sito della CNA nell'articolo «Stop Abusivismo, con la salute non si scherza !» è stata annunciata ad Arezzo una campagna di sensibilizzazione. Antonio Stocchi, Presidente Nazionale CNA Benessere, ha affermato in merito che: «È necessario un intervento urgente delle autorità competenti per ristabilire la legalità. È questo l'obiettivo della petizione (presente sul sito http://www.cna.it/petizione-operatori-del-benessere) che punta ad una raccolta significativa di firme da portare all'attenzione dei parlamentari con proposte finalizzate a rendere più efficace il sistema dei controlli e i percorsi di qualificazione degli operatori»;
   Luca Bichi, presidente Benessere CNA di Arezzo, ha denunciato: «La crisi economica ha accentuato il fenomeno (...) e genera un'insostenibile concorrenza sleale nei confronti delle imprese regolari. È inaccettabile, oltre che pericoloso, che persone senza titoli e qualifiche offrano servizi legati al benessere della persona, senza il rispetto di alcuna norma, con rischi gravi per la salute. (...)». Simona Giusti, rappresentante delle estetiste del CNA di Arezzo, ha dichiarato: «L'abusivismo altera il mercato e impedisce la concorrenza leale, quindi comporta un danno anche economico. In gioco c’è la pelle delle persone. E le 3000 adesioni alla campagna testimoniano l'urgenza e la diffusione del fenomeno che richiede controlli più efficaci sugli irregolari e un sistema efficiente di qualifica e di aggiornamento per chi vuole diventare operatore del benessere.» (...);
   in data 2 luglio 2016 il Piccolo di Trieste in un articolo dal titolo «Blitz smaschera l'estetista fai da te in nero» informa dell'attività abusiva praticata da un'estetista e una manicure «fai da te» che esercitavano l'attività a casa propria da circa tre anni e a «prezzi scontati, tra il 40 e il 50 %», con una media di 6-8 clienti al giorno. L'articolo riporta come: «(...) ottenuta l'autorizzazione dalla procura di Gorizia, i finanzieri sono scesi in campo. Locali come veri e propri negozi, attrezzati di tutto punto. Le due donne, una 45enne operante a Fogliano Redipuglia, e una 47enne a Ronchi dei Legionari, completamente sconosciute al Fisco, avevano “bypassato” l'erario a fronte di un ammanco complessivo di oltre 100 mila euro di ricavi non dichiarati e di 25mila euro di Iva non versata. Il tutto nell'arco di circa 3 anni di attività per entrambe. L'una dedita alla cura della persona, tra cerette, peeling e massaggi localizzati, l'altra nella ricostruzione e decorazione delle unghie. (...) Un mercato sommerso che va a incidere sia sulle casse dello Stato, sia sull'alterazione sleale dei listini, ma anche sulla stessa garanzia di tutela della salute. Il fenomeno è diffuso a Monfalcone e nel mandamento, ma non è facilmente “aggredibile” (...)» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano valutare la possibilità di promuovere delle campagne di sensibilizzazione sul territorio nazionale finalizzate al contrasto dell'abusivismo nel settore ed a difesa degli utenti;
   quali iniziative di competenza intendano adottare per garantire un adeguato sistema di controllo sui centri estetici e attraverso quali forme e modalità intendano tutelare le imprese contrastando la concorrenza sleale degli operatori abusivi;
   quali iniziative intendano adottare per un sistema più efficiente caratterizzato da operatori professionali qualificati e aggiornati. (4-13677)


   BATTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in dieci anni si è verificato, ad opera della Ericsson, quasi un dimezzamento della sede di Genova (da circa 1150 a poco più di 600 posti di lavoro, senza contare questi nuovi 147 esuberi dichiarati), a seguito di tredici procedure di licenziamento collettivo. La più pesante, prima di questa ultima, è iniziata nel 2012, quaranta giorni appena dopo l'inaugurazione agli Erzelli e la firma dell'accordo di programma che prevedeva lo stanziamento 41,9 milioni di euro di fondi pubblici ad Ericsson per il Centro di Ricerca e di Sviluppo nell'area degli Erzelli;
   si è verificata la chiusura dei centri di R&S di Roma (nel 2008 sono stati licenziati circa 300 lavoratori, di cui la metà è stata reimpiegata presso le sedi di Genova, Pisa, Milano e Pagani, Milano, Vimodrone, sempre in R&D);
   la sede di Pisa, centro di eccellenza assoluta legato al polo dell'università di Pisa, è ormai prossima alla chiusura dopo quanto previsto da questa ultima procedura di licenziamento collettivo; analoga procedura si è di recente registrata a Genova, con 147 esuberi di cui 137 nei Centri di Ricerca e Sviluppo;
   il piano presentato dall'azienda prevede, per il 2016-2017, esuberi in Italia per 385 persone (30 dirigenti e 355 impiegati), di cui 31 di Pride ripartiti in 230 centri RMED e 155 nei Centri di Ricerca e Sviluppo, in particolare, per gli RMED non sono state previste divisioni per sito e, al contrario, per i Centri di Ricerca e Sviluppo, per gli anni 2016/2017, sono state previste distribuzioni per un totale di 137 per Genova e di 9 per Pisa;
   si prevede per la sede di Pisa, dopo la riduzione da 49 a 40 unità di lavoro (con conseguenti 9 esuberi dichiarati), che rimangano esclusivamente 14 persone e, per le restanti 26, è previsto il trasferimento nella sede di Genova;
   la sede genovese di Ericsson a Erzelli è stata inaugurata il 24 maggio 2012 e, qualche giorno prima, il 19 maggio 2012, la regione Liguria, il comune e la provincia di Genova, insieme con i Ministeri dello sviluppo economico e dell'istruzione dell'università e della ricerca, hanno siglato con la Ericsson Telecomunicazioni Spa un accordo di programma;
   tale accordo prevede un finanziamento complessivo di 41,9 milioni di euro (24 milioni da parte del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di cui circa 5 milioni a titolo di contributo e circa 19 milioni come credito agevolato; 6,9 milioni da parte del Ministro dello sviluppo economico, di cui 4,6 milioni quale contributo alla spesa e 2,3 milioni come contributo in conto interessi e, infine, 11 milioni da parte della regione Liguria, di cui 5,3 quale contributo alla spesa e 5,7 in forma di credito agevolato) per la realizzazione del nuovo centro di ricerca e sviluppo di apparati e sistemi di telecomunicazione dell'azienda all'interno del Parco scientifico e tecnologico di Erzelli, per un costo complessivo previsto pari a 73,3 milioni di euro;
   in realtà, quei fondi erano legati a tre progetti di Ricerca e Sviluppo, da effettuarsi nella sede di Erzelli, la cui realizzazione era prevista a partire dalla seconda metà del 2012 e la cui conclusione sarebbe dovuta avvenire entro il 2014. Ad ogni modo, tali progetti sono stati effettivamente conclusi dall'azienda all'inizio del 2014 e, pertanto, nella primavera dello stesso 2014, anche la regione Liguria ha deciso di detrarre 9 degli 11 milioni di euro previsti dall'accordo siglato;
   la conclusione dei progetti in questione è la ovvia causa dei licenziamenti di cui oggi si tratta, giacché tale misura si poneva quale presupposto per la chiusura di tutti gli apparati predisposti e nei quali erano impiegati i lavoratori poi licenziati perché in esubero;
   non è ben nota la destinazione concreta dei fondi stanziati dal Ministro dello sviluppo economico e dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la realizzazione degli stessi progetti, poiché, nel corso del 2015, alcuni lavoratori sono stati richiamati per allestire nuovamente gli apparati dismessi nel 2014, in vista del sopralluogo dei funzionari ministeriali che dovevano venire a verificarne lo stato di avanzamento;
   proprio il progetto del Governo sulla ultra-banda larga lungo tutto il territorio nazionale prevede lo stanziamento di fondi ingenti e costituisce l'obiettivo fondamentale del piano industriale presentato dalla Ericsson, che richiede la messa in campo di tecnologie di rete ottica, la tecnologia IP routing ed i sistemi di gestione e controllo di rete, ossia di ambiti tecnologici per i quali centri di ricerca e sviluppo Ericsson di Genova e Pisa sono da sempre stati considerati fra i leader mondiali. Un progetto, questo, che potrebbe essere promosso nuovamente, mettendo di nuovo a disposizione quei prodotti e quegli apparati chiusi dall'azienda nel 2014;
   la Ericsson, per realizzare il progetto concordato con il Governo, potrebbe ancora usufruire delle tecnologie e degli apparati dei centri di ricerca di alto livello siti a Pisa e a Genova –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione anomala che ha visto chiudere le sedi della Ericsson ovvero mettere in opera vere e proprie procedure di licenziamento collettivo, nonostante sia stato previsto, in virtù dell'accordo siglato tra l'azienda, la regione Liguria e i suddetti Ministeri, lo stanziamento di fondi per la realizzazione di progetti a livello nazionale;
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative affinché, innanzitutto, si accerti la effettiva destinazione dei fondi previsti e lo stato di avanzamento dei lavori rispetto ai quali tali risorse finanziarie sono state elargite;
   se i Ministri interrogati non ritengano di verificare quali siano le motivazioni che hanno portato all'azienda in questione a chiudere gli apparati predisposti per la realizzazione dei progetti, non solo comportando, di fatto, la loro chiusura, ma anche, e soprattutto, il licenziamento dei lavoratori impiegati dichiarati in esubero e con quello che appare all'interrogante un irrisorio riassorbimento di alcuni di essi nelle altri sedi. (4-13681)


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Direct Line è una compagnia assicurativa fondata nel 1985 nel Regno Unito, specializzata nella vendita di polizze su beni mobili e immobili via telefonia e online, che dal 2002 è operativa anche in Italia, con una propria sede sita a Cologno Monzese (Milano), in via Volta, 16;
   MAPFRE S.A., società multinazionale che opera in 46 Paesi, leader del mercato assicurativo in Spagna e in Europa, nel 2015 ha acquisito la divisione International di Direct Line di Italia e Germania;
   contestualmente alle trattative finalizzate all'acquisizione di Direct Line da parte di MAPFRE, nel settembre 2014, il CEO di MAPFRE, Antonio Huertas, dichiarava «Mapfre non taglierà posti di lavoro dopo l'operazione, puntiamo a crescere»;
   da fonti di stampa si apprende che nel 2015 MAPFRE ha conseguito un utile pari a 709 milioni di euro e che Direct Line Italia e Germania, nei sette mesi del 2015 in cui hanno fatto parte del gruppo, hanno raccolto un totale di 374 milioni di premi, di cui 340 provenienti dall'Italia, e che il 2015 si è chiuso con un utile pari a 5,1 milioni di euro;
   Direct Line risulta avere un portafoglio di circa 1 milione di clienti, che ne fa la terza compagnia assicurativa online su scala nazionale;
   da recenti notizie di stampa si apprende che nell'anno corrente è prevista la sostituzione del marchio Direct Line con il marchio «Verti»;
   i lavoratori dipendenti in capo a Direct Line in Italia ammontano attualmente a 847, con un'età media pari a 38 anni, e sono in larga maggioranza donne. Tutto il personale ha un contratto a tempo indeterminato, con anzianità di servizio che arriva fino a 15 anni;
   il 10 giugno 2016, Direct Line ha comunicato ai lavoratori esuberi per 200 unità, annunciando da subito la volontà dell'azienda di procedere a licenziamenti e in risposta a tale comunicazione i lavoratori hanno da dichiarato immediatamente sciopero a oltranza;
   secondo l'azienda gli esuberi sarebbero giustificati dal fatto che nel 2015 si è verificata una contrazione della raccolta di premi sulle assicurazioni auto pari al 20 per cento e in tre anni si sarebbe verificata una perdita di 45.000 polizze, dati che avrebbero portato a un calo dell'utile da 17 milioni di euro a 3 milioni di euro tra il 2014 e il 2015;
   i lavoratori, al contrario, lamentano una totale mancanza di trasparenza e informazione da parte dell'azienda dato che «sino ad aprile l'azienda ha proseguito con i premi di produzione e non c'era nessuna avvisaglia nell'aria al business meeting di febbraio. Inoltre, non ci hanno parlato di una situazione di tale portata, ma solo di un meno 3 per cento rispetto agli obiettivi prefissati»;
   Direct Line ha dichiarato di auspicare il raggiungimento di un accordo con lavoratori e sindacati, tuttavia in modo unilaterale ha dato disdetta del contratto integrativo, vale a dire polizza sanitaria, ticket, permessi studio, permessi retribuiti, provvigioni in base alle procedure assicurative chiuse;
   inoltre, dal 15 settembre 2016 decadranno tutti gli accordi e i contratti collettivi aziendali, mentre dal 30 ottobre 2016 verrà ufficialmente disdetto anche il CIA (contratto integrativo al contratto collettivo nazionale del lavoro), con riferimento al quale Massimiliano Laganà, rappresentante della RSA Direct Line per la Fisac CGI, ha dichiarato: «sono contenute regolamentazioni relative al 30 per cento degli stipendi oggi percepiti. Ci sono norme per la tutela dei turni, del piano ferie, del premio di produzione, della polizza sanitaria ad esempio. Così anche chi resta si troverà penalizzato e con uno stipendio ridotto all'osso. Il contratto integrativo fa la differenza per chi lavora qui, perché maggior fattore distribuzione ricchezza prodotta. Dal punto di vista sindacale ci troviamo seduti ad un tavolo con una controparte che unendo discussione normativa ed economica, ci mette sotto ricatto occupazionale»;
   secondo quanto previsto dal contratto nazionale ANIA (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici), prima di procedere con l'individuazione di esuberi, l'azienda ha il dovere di tentare una ristrutturazione dell'organizzazione lavorativa, che l'azienda sostiene di aver proposto nell'ottobre 2015; i lavoratori, al contrario, sostengono di non aver visto alcun piano industriale di riorganizzazione;
   le rappresentanze sindacali denunciano di non aver accesso agli strumenti informativi necessari ad affrontare il confronto nel merito della dichiarazione aziendale di eccedenza del personale;
   in data 30 giugno 2016, secondo quanto riportato dal quotidiano Avvenire, in occasione di un confronto tra Direct Line e i rappresentanti sindacali di Cgil, Cisl e Uil, l'azienda avrebbe confermato la scelta di ridurre il proprio organico di 200 posti di lavoro nello spazio di poche settimane. I sindacati, nella medesima occasione, hanno ribadito che «ad essere interessati dal licenziamento sono le fasce più deboli, le donne con i bambini, lavoratori con disabilità»;
   alla data odierna risultano aperte posizioni lavorative sul sito di Direct Line, in particolare nella sezione «Vuoi lavorare con noi ?», accessibile tramite il link «Chi siamo» presente in home page del sito www.directline.it  –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se sia previsto un confronto in sede ministeriale con i vertici di Direct Line Italia e le rappresentanze delle sigle sindacali e, in caso negativo, se non si intenda istituire un tavolo istituzionale, a livello nazionale, al fine di trovare soluzioni in tempi brevi e scongiurare i licenziamenti annunciati;
   se, nel 2015, i Ministri interrogati abbiano avuto modo di acquisire dall'azienda il piano industriale di ristrutturazione organizzativa e, in caso positivo, quali orientamenti siano maturati in merito;
   di quali elementi dispongano circa le motivazioni del comportamento dell'azienda che procede con i licenziamenti collettivi del personale in esubero e contestualmente con la pubblicazione mediante il sito di ricerca di posizioni lavorative. (4-13683)


   PALESE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 giugno 2016 il Ministero dello sviluppo economico trasmetteva alla Cassa depositi e prestiti l'autorizzazione all'erogazione di un finanziamento di oltre 6 milioni di euro in favore della provincia di Lecce, a valere sul patto territoriale «Per l'agricoltura e il turismo rurale della provincia di Lecce», allegando copia del decreto di approvazione datato 24 aprile 2016 e relativa sottoscrizione da parte della provincia beneficiaria del finanziamento;
   tale finanziamento riguarda un progetto regolarmente approvato dal ministero dello sviluppo economico volto alla realizzazione di un centro per la valorizzazione dei prodotti agricoli e il trasferimento delle innovazioni e delle conoscenze nel settore agroalimentare, nell'ambito del suddetto patto territoriale;
   in data 21 giugno 2016, quindi ben dopo l'approvazione del progetto da parte del Ministero e oltre 15 giorni dopo l'autorizzazione all'erogazione del finanziamento inviata dal Ministero alla Cassa depositi e prestiti, il settore agricoltura della regione Puglia, inviava una nota allo stesso ministero, in cui «osservava» pesantemente il progetto definitivo presentato dalla provincia, scriveva di averlo acquisito solo alla data del 21 giugno, ma in realtà faceva riferimento al dettaglio del progetto stesso, richiamando un allegato datato 1o febbraio 2016. Detta nota della regione Puglia definiva il progetto presentato dalla provincia di Lecce (e nel frattempo approvato dal Ministero) non coerente con gli obiettivi del patto territoriale, in quanto l'intera entità del finanziamento, a detta della regione, sarebbe stata destinata al recupero dell'immobile liberty di proprietà della provincia di Lecce ed individuato come sede delle attività del centro studi per la valorizzazione delle produzioni agricole. In conclusione, la nota della regione, definendo il progetto in contraddizione con le scelte strategiche del patto, chiedeva al Ministero la sospensione del procedimento di approvazione definitiva degli interventi proposti dalla provincia di Lecce e la costituzione di un tavolo istituzionale con il Ministero e con la stessa provincia di Lecce;
   la provincia, in data 30 giugno 2016, scriveva al Ministero contestando la nota della regione Puglia, laddove le osservazioni in essa contenute risultano formulate ben oltre i termini previsti dal decreto ministeriale che erogava il finanziamento. Nella stessa nota la provincia ricordava che lo stesso ministero aveva approvato il progetto, evidentemente ritenendolo tanto coerente con l'obiettivo del patto, da poter essere approvato e finanziato. Quindi, pur respingendo al mittente le contestazioni della regione e chiedendo al ministero di non tenerne conto, la provincia si diceva disponibile ad un confronto congiunto con regione e Ministero stesso;
   in data 1o luglio 2016, il Ministero convocava, con modalità da concordare un tavolo tecnico istituzionale, ma, nel contempo, in considerazione delle intervenute osservazioni della regione, sospendeva l'iter amministrativo relativo al finanziamento dell'intervento infrastrutturale in oggetto –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in relazione alla nota, secondo l'interrogante inammissibile e tardiva, con cui la regione Puglia esprime parere negativo sul progetto ben dopo i tempi previsti e anche dopo che il Ministero dello sviluppo economico ha addirittura emanato il decreto di finanziamento inviando alla Cassa depositi e prestiti la relativa autorizzazione;
   se il ministro interrogato non ritenga di dover nell'immediato riprendere l'iter di erogazione del finanziamento, posto che esso era stato già autorizzato con decreto dello stesso Ministero ed è stato poi sospeso solo in virtù di un parere negativo della regione Puglia inviato fuori tempo massimo;
   se il ministro non ritenga di dover ristabilire trasparenza e legittimità nell'intero procedimento, disponendo l'erogazione del finanziamento a cui la provincia aveva acquisito il diritto proprio in virtù di un decreto ministeriale e, in caso contrario, se non ritenga inopportuno da un lato privare la provincia del finanziamento cui ha diritto, dall'altro dare origine all'ennesimo contenzioso amministrativo che certamente verrebbe avviato, e quasi certamente vinto dalla provincia, a spese, e a doppio danno, dei cittadini. (4-13684)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Di Battista e altri n. 2-01404, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rizzo e altri n. 5-09028, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mannino.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Carnevali n. 5-08571 del 4 maggio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Ciracì n. 4-08670 dell'8 aprile 2015;
   interrogazione a risposta scritta Cancelleri n. 4-13310 del 25 maggio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Busin n. 4-13422 dell'8 giugno 2016;
   interrogazione a risposta scritta Daga n. 4-13663 del 1o luglio 2016.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi e altri n. 5-08985 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 641 del 24 giugno 2016:
   alla pagina 39004, seconda colonna, alla riga venticinquesima, deve leggersi: «online “ilgiorno.it”, la notizia riguardante», e non come stampato;
   alla pagina 39005, prima colonna, alla riga settima, deve leggersi: «dato che, seppur gli stessi continuassero a», e non come stampato;
   alla pagina 39005, prima colonna, alla riga quarantottesima, deve leggersi: «le provvigioni, potevano variare dai 1.200», e non come stampato;
   alla pagina 39005, seconda colonna, dalla riga ventottesima alla riga trentesima, deve leggersi: «dei livelli occupazionali, stipendiali e produttivi di tutti i lavoratori dell'azienda in oggetto;», e non come stampato.

  Interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi e altri n. 5-08992 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 641 del 24 giugno 2016:
   le parole: «GENERAL ELETTRIC» sono sostituite dalle parole: «General Electric»;
   alla pagina 39006, seconda colonna, alla riga ventottesima deve leggersi: «dello sviluppo economico ha invitato quindi», e non come stampato.