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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 27 giugno 2016

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, nella seduta del 1o ottobre 2015 ha approvato la relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse (Doc. XXIII n. 7);
   nella seduta del 31 marzo 2016, il Senato della Repubblica ha discusso la predetta relazione e l'ha fatta propria in una risoluzione impegnando il Governo, per quanto di competenza, a intraprendere ogni iniziativa utile al fine di risolvere le questioni in essa evidenziate;
   si evidenzia che numerose questioni problematiche presenti nella relazione erano da attribuire alla conduzione delle attività di decommissioning degli impianti nucleari (ossia la disattivazione e lo smantellamento degli impianti nucleari), al pari della gestione dei relativi rifiuti radioattivi e della realizzazione e successivo esercizio del deposito nazionale, affidate alla Sogin, società per azioni a capitale interamente pubblico, costituita nel 1999 nell'ambito del processo di liberalizzazione del mercato elettrico, di cui al decreto legislativo n. 79 del 1999;
   nella suddetta relazione è stato sottolineato, tra l'altro, come, sin dal loro inizio, le operazioni di decommissioning procedano molto lentamente e la previsione della loro conclusione, con il rilascio finale dei siti, ha subìto successivi slittamenti, solo in parte giustificati dalla mancanza del deposito nazionale – originariamente programmato per il 2010 – ove trasferire i rifiuti radioattivi già esistenti all'interno dei singoli impianti e quelli generati con il loro smantellamento;
   all'allungamento dei programmi di decommissioning ha fatto inevitabilmente riscontro un aumento delle previsioni di spesa, che sono passate dai complessivi 4,35 miliardi di euro stimati nel 2006 ai 6,7 miliardi di euro stimati nel 2011, al netto dei costi della realizzazione del deposito nazionale, valutati in 1,5 miliardi di euro;
   tali costi sono tutti posti a carico dei clienti finali del sistema elettrico – senza alcun ammontare totale massimo predefinito – attraverso una specifica componente tariffaria (A2), la cui entità è periodicamente determinata dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas ed è oscillata, negli anni, intorno a un valore medio dell'ordine di un decimo di centesimo di euro per chilowattora consumato (circa 295 milioni di euro nel 2015 – Fonte Autorità Energia Elettrica Gas e Sistema Idrico);
   ogni anno, sulla base di uno specifico «sistema regolatorio» deliberato dall'Aeegsi (Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico), vengono approvati sia un preventivo dei costi annuali da sostenere, sia il relativo consuntivo di quelli effettivamente sostenuti. Nel 2013, la «commessa nucleare» affidata a Sogin impegnava circa 366 milioni di euro. Il fabbisogno 2014, inserito nel piano finanziario trasmesso all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico a dicembre 2013, era stimato in 390 milioni di euro;
   con la stessa componente tariffaria verranno coperti anche i costi di realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, costi stimati intorno a 1,5 miliardi di euro, oltre a una cifra fino a un miliardo di euro, diversamente finanziata, per i progetti di ricerca del «parco tecnologico» in cui il deposito stesso dovrebbe essere inserito. Il Ministro dello sviluppo economico ha anche trasmesso i dati sulla composizione dei costi relativi al deposito:
    650 milioni di euro per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione del deposito;
    700 milioni di euro per infrastrutture interne ed esterne;
    150 milioni di euro per la realizzazione del parco tecnologico;
   i programmi generali approvati nel 2013 dai nuovi organi della Sogin presentano, rispetto alla programmazione precedente, uno slittamento del termine degli smantellamenti che va da un minimo di due a un massimo di nove anni, a seconda del sito;
   nell'agosto 2014 la Sogin ha evidenziato che alcune tra le più importanti attività di progettazione e preparazione, che si riflettono, amplificandosi, sugli anni successivi, erano nettamente in ritardo rispetto a quanto programmato e pertanto, nel mese di ottobre, le attività previste per il quadriennio sono state ulteriormente ridotte di 120 milioni di euro complessivi, con un taglio del 42 per cento per il 2015 e del 37 per cento per il 2016;
   i nuovi tagli comportano un ulteriore ritardo sulle operazioni, con un conseguente aumento della spesa complessiva, aumento valutato in 150 milioni di euro;
   nella propria deliberazione del 30 aprile 2015, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico evidenzia come il programma quadriennale predisposto dalla Sogin presenti un quadro peggiorativo rispetto ai programmi precedenti, sia in termini di previsione di avanzamento delle attività di smantellamento, sia in relazione all'aumento dei costi di mantenimento in sicurezza; è inoltre evidenziato come l'Autorità, nell'approvare il programma, abbia pertanto ritenuto opportuno prevedere contestualmente la definizione di nuove misure per rafforzare l'efficacia del meccanismo di premio/penalità previsto nell'ambito dei criteri di efficienza economica definiti dall'Autorità stessa;
   la commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti non ha tuttavia aderito all'impostazione dell'amministratore delegato della Sogin, Casale, tendente ad attribuire a cause esterne, e non anche, se non soprattutto; a cause interne alla Sogin stessa, la lentezza del procedere delle attività e le dilatazioni dei tempi che si sono registrate nelle programmazioni via via succedutesi e che hanno tra l'altro inevitabilmente contribuito alla forte lievitazione dei costi;
   il presidente della Sogin, Giuseppe Zollino, e l'amministratore delegato, Riccardo Casale, separatamente auditi dalla commissione, hanno dato, in merito alle cause all'origine della situazione e alle possibilità di recupero dei ritardi, valutazioni divergenti;
   nell'audizione del 17 novembre 2014, l'amministratore delegato della Sogin aveva trasmesso un'immagine positiva di un'azienda coesa, che aveva corretto le cause di inefficienze derivanti da precedenti gestioni, che per il futuro aveva tracciato programmi seri e sostenibili e che attende alla loro attuazione con razionale, giustificato ottimismo;
   ha costituito un fatto inatteso per la commissione di inchiesta apprendere successivamente, e non senza qualche comprensibile disappunto, che la realtà già in atto nella Sogin era assai più complessa di quella che le era stata presentata. Infatti, in merito alla riprogrammazione, informazioni più dettagliate e ben diverse da quelle fornite alla stessa Commissione erano state date solo sei giorni prima, l'11 novembre 2014, nel corso di un'audizione innanzi alla commissione industria del Senato. In quella occasione, il dottor Casale aveva comunicato, o comunque era emerso nel dibattito, che la riprogrammazione consisteva in una riduzione delle attività di decommissioning programmate per il quadriennio 2014-2017, riduzione complessivamente pari a 250 milioni di euro;
   da parte di alcuni membri della commissione del Senato si fece presente che quelle notizie contraddicevano sia il rendiconto semestrale della Sogin, sia quanto dichiarato pubblicamente dallo stesso dottor Casale solo poco tempo prima. In entrambi i casi era stata infatti evidenziata una rilevante accelerazione delle attività. A questa contestazione, l'amministratore delegato della Sogin rispose di avere preso atto dei gravi ritardi intervenuti solo dopo aver reso le dichiarazioni ottimistiche cui la Commissione faceva riferimento;
   il Presidente Zollino, convocato dalla commissione del Senato il successivo 19 novembre per integrare le informazioni fornite dal dottor Casale, ha indicato in criticità di gestione la principale causa dei ritardi verificatisi;
   alla luce di quanto emerso, il presidente e dodici componenti della commissione industria del Senato hanno inviato, il 22 dicembre 2014, una lettera al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, esponendo le risultanze delle audizioni e chiedendo «rapide ed incisive iniziative per assicurare alla Sogin una gestione in grado di recuperare i ritardi, altrimenti onerosi per i consumatori, e di attuare gli obiettivi industriali nei tempi previsti»;
   a seguito della lettera si sono succedute ripetute voci, riportate dai mezzi di informazione, in merito ad un possibile commissariamento della Sogin;
   di fronte a una situazione sostanzialmente diversa da quella che le era stata prospettata, la commissione di inchiesta ha nuovamente convocato il presidente e l'amministratore delegato della Sogin per due diverse audizioni che si sono svolte rispettivamente il 24 febbraio e il 18 marzo 2015;
   nel corso della sua audizione, il professor Zollino ha pienamente confermato, illustrandone i dettagli, quanto era emerso dalle audizioni innanzi alla commissione industria del Senato precisando che i ritardi che avevano portato all'ulteriore taglio erano imputabili essenzialmente a cause interne alla Sogin: «In consiglio di amministrazione sono state individuate e discusse alcune criticità di gestione che sono la causa prevalente di questi ritardi, poi ci sono anche, in misura minore, cause esogene, legate a una non precisa risposta degli organismi delle autorizzazioni in senso lato (non necessariamente Ispra, posto che a volte basta semplicemente un cambio di una normativa locale per le autorizzazioni). Una quota di questi ritardi è imputabile a ragioni che non dipendono da noi, ma la parte preponderante, come dice la delibera adottata in consiglio di amministrazione, è riconducibile a problemi di gestione tecnica e amministrativa»;
   nel corso del 2015 il consiglio di amministrazione della Sogin ha controllato l'andamento della gestione, rilevando che le attività programmate avanzavano a rilento e richiedeva all'amministratore delegato di predisporre un rapporto tabellare con l'andamento delle attività in corso;
   nel mese di ottobre 2015 veniva presentato tale documento. Esso però mostrava un andamento delle attività di smantellamento privo di una progressione logica ed apparentemente improntato alla casualità. In numerosi parti si evidenziava che le attività eseguite non corrispondessero a quelle programmate facendo sorgere il fondato dubbio che l'obiettivo di bilancio fissato per il 2015 non si potesse raggiungere;
   il 26 ottobre 2015 l'amministratore delegato rassegnava il proprio mandato ed il 28 ottobre 2015 il Governo diramava un comunicato stampa con il quale assicurava che sarebbe stata garantita quanto prima una governance adeguata alle funzioni strategiche della Sogin s.p.a. Nello stesso tempo il consiglio di amministrazione della Sogin revocava all'amministratore delegato le deleghe sulla gestione del personale e sulla struttura organizzativa, nelle more delle annunciate determinazioni del Governo;
   il 12 gennaio 2016, il Ministro dell'economia e delle finanze inviava all'amministratore delegato della Sogin, e per conoscenza al Ministro dello sviluppo economico e al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, una missiva in cui, in considerazione dell'importanza strategica della società e della necessità quindi di assicurare piena operatività alla stessa, ringraziando per il lavoro svolto, in accordo con la Presidenza del Consiglio e con il Ministero dello sviluppo economico, prendeva atto della disponibilità a rimettere il mandato. Di fronte a tale lettera però, lo stesso amministratore delegato ritornava sui propri passi e dichiarava al consiglio di amministrazione di non considerare la lettera del Ministro una dichiarazione di sfiducia e di non avere pertanto intenzione di formalizzare le proprie dimissioni, acuendo di fatto lo stato di grave crisi operativa e gestionale dell'azienda;
   nel mese di aprile 2016, il consiglio di amministrazione approvava il Bilancio consuntivo 2015, prendendo atto che delle attività pianificate per l'anno 2015, corrispondenti a costi esterni commisurati all'avanzamento del decommissioning pari a 77 milioni di euro, ne erano state effettivamente eseguite un quantitativo pari ad un valore di circa 44,5 milioni di euro (circa il 57 per cento). Ma va precisato che, oltre alle non sufficienti attività programmate, ne erano state eseguite altre non programmate per il 2015 o non previste su tutto il quadriennio 2015-18, scelte senza un preciso criterio di priorità, per ulteriori circa euro 24 milioni;
   le criticità emerse e consolidate per il 2015 sembrerebbero riconfermarsi anche per il 2016. Risulterebbe infatti che i consuntivi al 30 aprile 2016 delle attività di decommissioning, abbiano già scontato consistenti ritardi avendo raggiunto solo circa 12 milioni di euro a fronte di attività programmate per un corrispettivo di circa 100 milioni di euro per tutto il 2016;
   per effetto della progressiva riduzione annuale delle attività di decommissioning eseguite, in confronto a quelle programmate, appare assai probabile che nell'anno 2016 non si raggiungano i traguardi intermedi fissati per il 2016 dall'Autorità per l'Energia Elettrica il, Gas ed il sistema idrico e pertanto appare serio il rischio di una chiusura in perdita del bilancio della Sogin per un valore di alcuni milioni di euro;
   ciò, va detto, anche per effetto di una politica del personale attuata dall'amministratore delegato – ad avviso degli interpellanti non correlabile o addirittura sproporzionata rispetto ai risultati del decommissioning – il quale avrebbe deciso di incrementare, in poco più di due anni, di 137 unità (da 833 a 970) il personale diretto in organico, grazie ad un imponente piano di assunzioni (199 persone), a fronte di 62 cessazioni. Per completezza va detto che alle attuali 970 unità di personale diretto vanno aggiunte 57 unità di personale somministrato;
   anche il collegio sindacale della Sogin si è fatto carico delle questioni problematiche sopra descritte, segnalando ai Ministri competenti ed alla Presidenza del Consiglio le numerose criticità riscontrate nella sua azione di controllo e ribadendo più volte l'urgenza di individuare indifferibilmente un'adeguata governance per la Sogin;
   appare urgente rilanciare la Sogin per contenere i costi a carico dell'intera comunità nazionale, per porre definitivamente in sicurezza gli impianti ed i materiali derivanti dal pregresso utilizzo dell'energia nucleare pacifica, ma anche per la risoluzione del tema connesso al deposito nazionale. In tale ambito diventa ineludibile dotare la Sogin di una struttura seria, affidabile ed efficiente e di un vertice competente ed esperto, quale vera condizione di credibilità per affrontare concretamente le problematiche del decommissioning e della realizzazione del suddetto deposito nazionale;
   in tali circostanze, nell'imminenza del rinnovo dei vertici della Società in oggetto, potrebbe risultare utile e necessario, in ragione dell'importante lavoro di accertamento e di chiarezza svolto dall'attuale presidente della Sogin insieme al relativo Consiglio di Amministrazione, riconfermare in capo ai medesimi presidente e componenti del consiglio un nuovo mandato in maniera che possano completare le azioni di trasparenza e di riorganizzazione avviate azioni che – per essere realizzate – richiedono programmazione di medio-lungo periodo e un monitoraggio costante per anticipare e risolvere potenziali blocchi operativi di differente natura –:
   se siano a conoscenza delle questioni problematiche descritte in premessa, nonché delle effettive e progressive condizioni di criticità gestionale in cui versa la Sogin;
   se, nelle circostanze di ipotesi di riconferma della presidenza della Sogin indicata in premessa, non intendano adottare le necessarie iniziative e, se del caso, atti di indirizzo volti a garantire alla Sogin un'immediata ripresa delle attività operative, sia per il decommissioning sia per il deposito nazionale, allo scopo coinvolgendo nella relativa gestione l'attuale presidente per i motivi sopra richiamati.
(2-01406) «Di Gioia, Pisicchio».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cosiddetta «legge di stabilità») ha modificato il regio decreto legge 21 febbraio 1938, n. 246 convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, prevedendo al comma 153 lettera a) che «La detenzione di un apparecchio si presume altresì nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica e al comma 153 lettera b) chiarisce che «Il canone di abbonamento è, in ogni caso, dovuto una sola volta in relazione agli apparecchi di cui al primo comma detenuti, nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora, dallo stesso soggetto e dai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica, come individuata dall'articolo 4 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223»;
   sempre al comma 153, lettera c) si prevede poi che: «Per i titolari di utenza di fornitura di energia elettrica di cui all'articolo 1, secondo comma, secondo periodo, il pagamento del canone avviene in dieci rate mensili, addebitate sulle fatture emesse dall'impresa elettrica aventi scadenza del pagamento successiva alla scadenza delle rate»;
   la legge di stabilità è pertanto chiara nello specificare che il canone verrà riscosso in bolletta esclusivamente per chi è titolare di utenza elettrica nel luogo di propria residenza anagrafica;
   il successivo comma 154 demanda ad un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione di «termini e modalità per il riversamento all'Erario, e per le conseguenze di eventuali ritardi, anche in forma di interessi moratori, dei canoni incassati dalle aziende di vendita dell'energia elettrica [...]»;
   da ultimo, il comma 156 dispone che per l'attuazione di quanto sopra «l'Anagrafe tributaria, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, l'Acquirente Unico Spa, il Ministero dell'interno, i comuni, nonché gli altri soggetti pubblici o privati che ne hanno la disponibilità sono autorizzati allo scambio e all'utilizzo di tutte le informazioni utili, e in particolare dei dati relativi alle famiglie anagrafiche, alle utenze per la fornitura di energia elettrica, ai soggetti tenuti al pagamento del canone di abbonamento alla televisione [...] nonché ai soggetti esenti dal pagamento del canone»;
   in ragione di quanto sopra, pertanto, l'Agenzia delle entrate avrebbe dovuto richiedere ed ottenere — da parte delle anagrafi comunali — i dati relativi alla composizione dei nuclei anagrafici, e ciò al fine di imputare correttamente il canone/imposta Rai in bolletta, evitando duplicazioni illegittime di imposizione a soggetti non tenuti al pagamento del canone Rai perché già pagato da altro componente del nucleo familiare anagrafico;
   tuttavia, l'Agenzia delle entrate non ha utilizzato i pubblici registri anagrafici ma ha, a giudizio degli interpellanti, con con procedure di dubbia legittimità, stabilito che l'intestatario di utenza elettrica residenziale, il cui canone/imposta Rai era già pagato da altro componente del nucleo familiare, avrebbe dovuto inviare apposita dichiarazione sostitutiva nella quale avrebbe dovuto indicare quale componente del proprio nucleo anagrafico già pagava il canone;
   con provvedimento del 24 marzo 2016 (Definizione delle modalità e dei termini di presentazione della dichiarazione sostitutiva relativa al canone di abbonamento alla televisione per uso privato ai sensi dell'articolo 1, comma 153, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e approvazione del relativo modello) è stata infatti prevista la necessità per il contribuente — al fine di evitare doppie imposizioni illegittime di canone Rai in bolletta elettrica — di inviare una dichiarazione sostitutiva che il canone di abbonamento alla televisione per uso privato non deve essere addebitato in alcuna delle utenze elettriche intestate al dichiarante in quanto il canone è dovuto in relazione all'utenza elettrica intestata ad altro componente della stessa famiglia anagrafica, di cui il dichiarante comunica il codice fiscale;
   tale violazione è stata peraltro segnalata da alcune associazioni dei consumatori come Aduc — Associazione per i diritti degli utenti e consumatori — che in particolare ha sottoposto all'attenzione della magistratura penale per mezzo di un esposto/denuncia per il reato di cui all'articolo 323 del codice penale, secondo il quale commette il reato di abuso d'ufficio il pubblico ufficiale che in violazione di norme di legge intenzionalmente procura ad altri (lo Stato) un ingiusto vantaggio patrimoniale (pagamento di imposte non dovute) e arreca ad altri (i contribuenti) un danno ingiusto, consistente o nel pagamento non dovuto di una imposta o alla assunzione di responsabilità penale per dichiarazioni attinenti fatti altrui;
   tale prassi, e i relativi provvedimenti dell'Agenzia delle entrate, sembrano agli interpellanti non conformi con la legge di stabilità, e di fatto sovvertire il criterio di imputazione del canone Rai in bolletta che in questo modo non avviene più nei confronti di chi ha una bolletta intestata nell'abitazione di residenza, ma avviene nei confronti di tutti i cittadini italiani e stranieri residenti in Italia che siano intestatari di utenza elettrica residenziale, a prescindere dal luogo di residenza anagrafica e a prescindere dal fatto che altro componente del nucleo familiare già assolva il pagamento dell'imposta, che così coprirebbe anche gli altri componenti dello stesso nucleo familiare;
   il cittadino che si trovi in tale situazione, per evitare una imposizione illegittima, dovrà allora attivarsi e comunicare con apposita dichiarazione sostitutiva — la cui falsità comporta responsabilità penale anche in caso di erronea compilazione in buona fede — di non essere tenuto al pagamento del canone Rai sull'utenza elettrica residenziale a lui intestata poiché il canone per le tv che detiene è già pagato da altro componente del nucleo familiare;
   tale prassi era stata peraltro criticata dal Garante per la protezione dei dati personali che, nel parere emesso sulla bozza di decreto ministeriale (Registro dei provvedimenti n. 192 del 27 aprile 2016), aveva stigmatizzato una simile decisione: «Suscita perplessità la scelta di individuare i soggetti obbligati al pagamento automaticamente, e in via presuntiva, attraverso i dati relativi alla tipologia di tariffa applicata per l'erogazione di energia D2 (clienti domestici con utenza nel luogo di residenza anagrafica) anche per i contratti stipulati antecedentemente al 2016, senza nemmeno effettuare preventive verifiche con i dati di residenza presenti in anagrafe tributaria. Ciò, in quanto i dati relativi all'indirizzo di fornitura dell'energia elettrica non sono «normalizzati» e, pertanto, non verificabili con quelli relativi alla residenza anagrafica del contribuente presenti anagrafe tributaria»;
   il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 13 maggio 2016, n. 94 pubblicato in Gazzetta ufficiale del 4 giugno 2016 ed in vigore dal 5 giugno 2016, emanato con un ritardo di oltre tre mesi e mezzo rispetto a quanto imposto dalla legge di stabilità, a giudizio degli interpellanti illegittimamente conferma la bontà di tali prassi, così eccedendo la delega ricevuta dalla legge di stabilità;
   la legge di stabilità demandava infatti al successivo decreto esclusivamente l'individuazione delle modalità di riversamento da parte delle società elettriche delle somme incassate in favore dell'erario, e non altro;
   il decreto ministeriale n. 94 del 2016 viola per gli interpellanti altresì la stessa legge di stabilità, confermando quanto stabilito dall'Agenzia delle entrate, e cioè che il canone Rai verrà addebitato su tutte le utenze elettriche residenziali e non — come invece previsto dalla legge — sull'utenza elettrica intestata al contribuente nel luogo di propria residenza;
   così facendo, il nominato decreto ministeriale e i provvedimenti dell'Agenzia delle entrate in materia violano per gli interpellanti inoltre l'articolo 6, comma 4, della legge n. 212 del 2000, cosiddetta «Statuto del Contribuente», poiché onerano il cittadino alla comunicazione di dati (la residenza anagrafica e la composizione del nucleo familiare) già in possesso della pubblica amministrazione;
   prevede, difatti, l'articolo 6 — rubricato «Conoscenza degli atti e semplificazione» — al comma 4: «Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell'articolo 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d'uffici di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa»;
   ancora, il nominato decreto ministeriale e i provvedimenti dell'Agenzia delle entrate in materia sembrano violare per gli interpellanti, per gli stessi motivi, la legge sul procedimento amministrative n. 241 del 1990 che — specularmente allo Statuto del contribuente — all'articolo n. 18 prevede che «i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare»;
   a ciò si aggiunge che le dichiarazioni sostitutive richieste ai cittadini e agli stranieri residenti espongono il dichiarante a responsabilità penale in caso di falsità delle dichiarazioni: la possibilità di aver commesso e commettere in buona fede errori nella compilazione è decisamente elevata tenuto conto che dal mese di marzo fino a fine maggio si sono susseguite diverse indicazioni da parte dell'Agenzia delle entrate, peraltro rese esclusivamente tramite il sito web istituzionale; in questo senso, si riporta quanto evidenziato sul punte dal Garante per la protezione dei dati personali nel proprio parere: «Al fine di assicurare idonee garanzie ai contribuenti in relazione alla correttezza del trattamento dei dati nell'addebito del canone in bolletta, occorre quindi che venga assicurata la maggior consapevolezza possibile dei contribuenti in relazione alla circostanza che i dati acquisiti in sede di stipula del contratto per la scelta della tipologia di tariffa di fornitura dell'energia elettrica sono adesso utilizzati anche ai fini dell'addebito del canone, nonché in ordine alle modalità di aggiornamento/rettifica degli stessi». Tale richiesta del Garante al Ministero dello sviluppo economico è rimasta lettera morta;
   l'Agenzia delle entrate ha pertanto deciso di partire non — come previsto dalla legge di stabilità dal dato anagrafico messo a disposizione dei comuni, ma dall'intestazione di una utenza elettrica residenziale: tale dato tuttavia non necessariamente rispecchia l'effettiva residenza dell'intestatario in quell'immobile, poiché per le più varie ragioni (da un mancato aggiornamento incolpevole ad una consapevole omissione nella comunicazione contrattuale con la società elettrica), è possibile che questi sia titolare di utenza elettrica intestata ma abbia residenza anagrafica altrove, con il proprio nucleo familiare che già paga il canone Rai;
   l'intestatario si trova quindi davanti ad una scelta: da una parte può inviare la dichiarazione sostitutiva per non dover pagare illegittimamente il canone Rai già pagato dal familiare, così esponendosi alla modifica della tariffa elettrica applicata e al ricalcolo degli ultimi 5 anni di consumi con la tariffa non residenziale (dai rapporti AEEGSI, 34/2015/R/EEL, si stima un aumento medio del 50 per cento degli importi per ogni anno); dall'altra si vede costretto ad accettare di pagare una imposta non dovuta di 100,00 euro (importo probabilmente di gran lunga inferiore all'ipotesi di ricalcolo delle tariffe elettriche);
   così facendo, l'Agenzia delle entrate pone secondo gli interpellanti il cittadino nella condizione di pagare una imposta non dovuta, intromettendosi nella gestione di un rapporto contrattuale di tipo privatistico e favorendo indebitamente o l'erario o le casse dei gestori elettrici, quale indiretta remunerazione ulteriore rispetto a quella già cospicua, prevista dal decreto ministeriale;
   di ciò ha dato conferma 12 direttrice dell'Agenzia delle entrate, Rossella Orlando, nel corso di un'audizione presso la commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria della Camera dei deputati dell'8 giugno 2016, durante la quale – secondo fonti di stampa – avrebbe dichiarato in merito: «È solo nell'ipotesi che un cittadino abbia più utenze elettriche intestate con la tariffa agevolata per prima casa, il che vorrebbe dire che è scorretto, che o cambia tariffa oppure paga il canone Rai»;
   sempre nel corso della medesima audizione la direttrice dell'Agenzia delle entrate ha infine reso noti i dati ufficiali relativi alle dichiarazioni di esenzioni ricevute dall'Agenzia delle entrate, ovverosia 817.000 dichiarazioni. Si tratta di un numero particolarmente esiguo, come evidenziato dall'Aduc Associazione per i diritti degli utenti e dei Consumatori (http:// tlc.aduc.it/rai/comunicato/imposta+canone+ rai+polizia+morale+mafia+cioe_24497), poiché non riguarda le sole dichiarazioni di non detenzione di una tv, ma tutte le dichiarazioni pervenute, anche da parte di chi è titolare di utenza elettrica residenziale ma è già coperto dal canone Rai pagato da altro componente del nucleo familiare. L'esiguità delle dichiarazioni pervenute avvalora ancor di più quanto finora evidenziato –:
   quali iniziative intenda il Governo assumere per porre rimedio alle criticità descritte in premessa in ordine ai provvedimenti adottati dall'Agenzia delle entrate e dal Ministero dello sviluppo economico che secondo gli interpellanti risultano di dubbia legittimità;
   se sia intenzione del Governo assumere iniziative normative urgenti al fine di posticipare la riscossione in bolletta elettrica del canone Rai e consentire una corretta e compiuta informazione dei contribuenti.
(2-01404) «Di Battista, Fico, Liuzzi, Caso, Scagliusi, L'Abbate, Manlio Di Stefano».

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   della totalità delle servitù militari nazionali, circa il 65 per cento grava sulla Sardegna. In altre parole, su una complessiva superficie territoriale dell'Isola di circa 2.400.000 ettari, oltre 35 mila sono sotto vincolo di servitù militare. In particolare, 13 mila ettari sono soggetti a limitazioni totali in quanto impegnati dal demanio militare, con sottrazione all'uso civile di circa di circa 80 chilometri di costa e dei relativi spazi aerei. L'isola ospita, infatti, strutture ed infrastrutture al servizio delle Forze armate italiane e della Nato, tra cui poligoni missilistici (Perdasdefogu) e per le esercitazioni aeree (Capo Frasca) e a fuoco (Capo Teulada), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi;
   il rapporto tra le Forze armate e la popolazione isolana è stato tradizionalmente controverso. L'esigenza di sicurezza nazionale è infatti generalmente ben compresa dai sardi che, tradizionalmente, vedono nella carriera militare un'importante ipotesi lavorativa, in grado di rappresentare una delle rare opportunità ancora aperte nel contesto della attuale, drammatica crisi economica. Tuttavia, nel contesto di scenari internazionali che si modificano profondamente, cresce anche nei sardi la consapevolezza del mutamento delle esigenze strategiche nazionali, con la conseguente, possibile ridefinizione dell'interesse ai fini istituzionali delle aree precedentemente assoggettate a vincoli;
   tale percezione appare particolarmente forte in alcune zone del sud della Sardegna e dell'area cagliaritana in particolare, in quanto la dismissione di numerosi beni non più utili agli interessi generali del demanio militare potrebbe configurare straordinarie possibilità di sviluppo, in grado di rappresentare un vero e proprio volano di rilancio economico;
   per effetto del disposto dell'articolo 14 dello statuto regionale della Sardegna (legge di valenza costituzionale), tutte le aree demaniali e militari nazionali, non più giudicate strategiche ai fini dell'interesse pubblico, devono essere reimmesse nel patrimonio regionale;
   in sede di interpretazione, il disposto dell'articolo 14 dello Statuto Regionale sardo non sempre ha trovato applicazione incontrovertibile e lineare, al punto che spesso si è resa necessaria un'attività di relazione bilaterale, finalizzata al raggiungimento di accordi che consentissero l'effettiva transizione dei beni in potenziale dismissione, precedentemente detenuti dalla amministrazione militare;
   negli ultimi anni, tale attività sostanzialmente pattizia che coinvolge lo Stato e la Regione avrebbe riguardato numerose strutture militari ricomprese nel territorio del comune di Cagliari configuranti aree e cubature che, transitando dalla amministrazione centrale dello Stato alla regione, potrebbero rappresentare straordinarie opportunità di riqualificazione in assenza di nuovo consumo di suolo, in grado di mettersi al servizio della nuova identità della città di Cagliari, anche attraverso l'intervento di competenze e capitali privati –:
   quale sia l'elenco completo delle aree e delle cubature pertinenti il demanio militare che insistono nel territorio della città di Cagliari e della sua area metropolitana che non sono più giudicate strategiche dall'amministrazione dello Stato;
   quale sia l'elenco delle aree e delle cubature militari che insistono nel territorio metropolitano di Cagliari che sono ancora considerate strategiche per le attività della difesa nazionale e quale sia specificamente il motivo per cui ciascuna di esse rivesta ancora rilevanza strategica;
   quale sia l'attuale stato dell'arte relativo agli iter di dismissione di ciascuna area o cubatura militare ubicata nel territorio metropolitano della città di Cagliari, non più considerata strategica ai fini istituzionali, e quali siano, eventualmente, i motivi che impediscono o rallentano l'immediata acquisizione di ciascun bene militare da parte della regione autonoma della Sardegna. (4-13597)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno della violenza di genere è un dramma che si consuma quotidianamente e ogni due giorni una donna viene uccisa per mano di un uomo;
   le associazioni e gli enti di volontariato che svolgono il proprio operato in supporto di donne maltrattate o soggette a violenza domestica, risultano essere l'unico strumento in grado di aiutare e proteggere le vittime, poiché lo Stato non è in grado di garantire i servizi necessari a contrastare il fenomeno dei femminicidi e della violenza sulle donne;
   è di alcuni giorni la notizia apparsa su numerosi quotidiani e giornali on-line, che il 31 maggio 2016, il comune di Roma – dipartimento comunicazione – ha convocato tre associazioni private – BeFree (Centro Antiviolenza «Donatella Colasanti e Maria Rosaria Lopez»), SOSDONNA H24, Telefono Rosa (Casa internazionale dei diritti umani delle donne) e Ceis-Don Picchi (Casa di Semiautonomia), Il Giardino dei Ciliegi 9 – che offrono sostegno alle donne vittime di violenza per comunicare loro, ma solo verbalmente, che il comune non avrebbe prorogato i servizi in scadenza da esse gestite;
   inoltre, il comune di Roma comunicava in quella sede, che poiché è in vigore da aprile 2016 il decreto legislativo, n. 50 («Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione e sugli appalti pubblici»), il comune aveva stabilito di non emanare nuovi bandi né concedere proroghe in mancanza di direttive attuative del decreto stesso;
   le associazioni, pertanto, facevano presente che i servizi da loro gestiti rientravano nell'ambito di servizi pubblici rivolti al drammatico fenomeno sociale sempre più esteso che coinvolge migliaia di donne vittime di violenza;
   purtroppo, quanto occorso alle associazioni sopra indicate non resta un caso isolato, poiché quasi tutte le strutture presenti nel Paese, che offrono sostegno per le donne vittime di violenza, ai loro figli e alle loro famiglie, risultano avere problemi legati alla mancata o ritardata erogazione di «Fondi destinati» da parte dello Stato, vedendosi costrette a non poter predisporre progetti a lungo termine proprio a causa dell'incertezza dei fondi;
   con la chiusura delle Associazioni nel solo comune di Roma – che si prevede siano circa 9 su un totale di 18 – saranno migliaia le cittadine che non avranno più una struttura di riferimento cui chiedere aiuto, con il rischio conseguente di possibili ulteriori femminicidi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere in merito alla protezione delle vittime e alla prevenzione della violenza sulle donne – così come sancito dalla Convenzione sulla violenza contro le donne del Consiglio d'Europa a Istanbul, 2011 – per favorire e incrementare i servizi di tutela, protezione e accoglimento di donne che vogliono uscire dalla violenza messa in atto per mano di un uomo;
   se non si ritenga doveroso assumere iniziative, per quanto di competenza, per mettere immediatamente in atto una mappatura dei centri anti violenza presenti sul territorio al fine di ottenere un quadro articolato dello status in cui operano gli stessi;
   se non si ritenga di dover intervenire, con la massima urgenza, al fine di mettere in atto maggiori e più approfondite politiche in favore delle donne vittime di violenza e per garantire loro strutture e servizi di protezione sul territorio nazionale;
   come intenda intervenire per evitare la chiusura delle associazioni e degli enti che svolgono attività di sostegno alle donne vittime di violenza;
   se si intendano assumere iniziative normative per trovare strumenti idonei e semplificativi al fine di scongiurare le chiusure dei centri antiviolenza presenti nel Paese con particolare riferimento all'erogazione dei contributi che lo Stato stanzia per gli stessi e che attualmente risultano essere a rischio a causa delle insufficienti risorse messe a disposizione o a causa delle lungaggini di assegnazione dei pochi fondi esistenti. (4-13606)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la recente emergenza relativa agli incendi boschivi che ha interessato l'intera Sicilia, inclusa l'area del parco dei Nebrodi, ha richiamato l'attenzione sulla necessità di intensificare la vigilanza e i controlli sul territorio al fine di prevenire reati e altre violazioni di normative;
   l'attività criminale organizzata degli incendiari che, come denunciato dal presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, il 18 giugno 2016 al Corriere della Sera userebbe anche gatti randagi catturati come esca incendiaria – cosa che tra l'altro integra anche i reati di uccisione e maltrattamento di cui agli articoli 544-bis e ter del codice penale – può essere ostacolata attraverso una più efficace e diffusa vigilanza sul territorio;
   l'opera meritoria degli agenti del corpo di vigilanza del parco dei Nebrodi, che già si caratterizzano per una spiccata ed efficace attività di polizia giudiziaria, potrebbe essere ulteriormente arricchita con l'installazione di apparati per la videosorveglianza ambientale, già diffusi in altri parchi per prevenire crimini come gli incendi boschivi, lo sversamento abusivo di rifiuti, e il bracconaggio –:
   se il Governo non intenda assumere ogni iniziativa di competenza al fine di favorire e supportare i compiti istituzionali di vigilanza e controllo dell'ente parco;
   se il Governo non intenda assumere iniziative affinchè, tramite il Prefetto di Messina, siano attivati gli strumenti previsti dal decreto del Ministro dell'interno 23 marzo 2007 «Individuazione delle modalità di coordinamento delle attività delle Forze di polizia e dei Corpi di polizia municipale e provinciale, allo scopo di prevenire e contrastare gli illeciti penali commessi nei confronti di animali» «anche previa consultazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica», vista la gravità della situazione.
(3-02343)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   anche in Italia si è sviluppata l'attenzione delle imprese verso la produzione elettrica con tecnologia solare termodinamica a sali fusi a scala commerciale;
   tale tecnologia è assolutamente pulita, non inquina acqua, aria, suolo e non danneggia la salute umana con le emissioni tipiche delle centrali a combustibili fossili perché raccoglie la luce del sole attraverso collettori parabolici lineari che la concentrano su tubi posti sul loro fuoco; all'interno dei tubi circolano sali fusi (normale concime di uso agricolo), che raggiungono la temperatura di 550o C e che, producendo vapore ad alta pressione, consentono di attivare i convenzionali processi di produzione elettrica basati sul concetto turbina a vapore-alternatore;
   esperienze ormai consolidate a livello internazionale dimostrano che le aree occupate da centrali con tecnologia solare termodinamica sono in gran parte strutturate con collettori solari posti in file distanziate generalmente fra i 15-20 metri al di sotto dei quali si possono continuare a svolgere tradizionali attività agricole e pastorali nonché mantenere ampie zone di terreno libero a fini della mitigazione ambientale;
   in Italia la tecnologia del solare termodinamico a sali fusi è il risultato di una ricerca decennale effettuata da ENEA che ha comportato un investimento pubblico di oltre 150 milioni di euro;
   sono in corso diversi procedimenti per la realizzazione di impianti di produzione di energia con la suddetta tecnologia ancora nella fase della valutazione di impatto ambientale sia per la complessità tecnico-giuridica dell'istruttoria, sia a fronte di difficoltà interpretative ed applicative delle norme in materia;
   tali criticità creano incertezze per l'attività nelle imprese interessate e per quelle che intendono approcciarsi al mercato delle energie rinnovabili con conseguenti ricadute negative i termini occupazionali sia per le aziende che si occupano di ricerca tecnologica sia per quelle che producono le varie componenti;
   un elemento di criticità tecnica nel sub-procedimento di VIA è la legittimità che la valutazione dell'efficienza dell'impianto si basi sul rapporto fra quantità annuale di energia prodotta ed area occupata (cosiddetto «consumo di suolo»); in particolare non appare chiaro se l'efficienza possa essere calcolata con riferimento a tale rapporto e se, in caso positivo, vada determinata con riferimento all'area complessiva interessata dall'impianto (mera somma delle particelle catastali interessate dal permesso a costruire e comprensiva anche delle aree ove continuano a svolgersi attività agro-silvo-pastorali), oppure con riferimento solo alla superficie «netta», cioè quella occupata unicamente dalle strutture edilizie e tecniche della centrale ma non utilizzata né utilizzabile per altre attività;
   non esiste alcuna norma che preveda per una centrale di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile di valutare l'efficienza dell'impianto sulla base del rapporto fra quantità annuale di energia prodotta ed area occupata né, tanto meno, una che indichi quale superficie (se lorda o netta) vada assunta al denominatore del rapporto di calcolo dell'efficienza –:
   se il Ministro interrogato ritenga di assumere iniziative, anche normative, per fare chiarezza, sull'interpretazione e sull'applicazione delle norme che disciplinano la VIA per puntualizzare che non possono essere assunti criteri e parametri di efficienza non indicati dalla normativa ed in particolare che l'efficienza energetica degli impianti di produzione di energia elettrica con fonti rinnovabili, quali quelli che utilizzano la tecnologia solare termodinamica a sali fusi a scala commerciale, non può essere valutata in termini dirimenti sulla base del rapporto energia prodotta/superficie complessiva dell'impianto. (5-09004)


   TERZONI, DAGA, ZOLEZZI, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Governo, con l'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto «Sblocca Italia», convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, si è attribuito la facoltà di predisporre un Piano nazionale per l'incenerimento dei rifiuti da approvare attraverso un successivo decreto;
   l'articolo 35 del decreto è stato successivamente impugnato davanti alla Corte Costituzionale dalla regione Lombardia; l'udienza è prevista per l'autunno inoltrato;
   lo schema attuato di decreto è stato presentato alla Conferenza Stato-regioni a settembre 2015, ricevendo un parere favorevole il 5 febbraio 2016, con il voto sfavorevole di Campania e Lombardia e la richiesta di alcuni emendamenti da parte di altre regioni, in particolare sui contenuti dei piani regionali sui rifiuti;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato il 15 marzo 2016 la procedura di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica del programma nazionale da approvare con il decreto, pubblicando il Rapporto Preliminare Ambientale relativo al Programma nazionale di impianti di incenerimento per rifiuti urbani ed assimilati;
   nel rapporto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i redattori interpretano la normativa ritenendo che il Piano nazionale sarà sovraordinato ai Piani regionali esistenti e a quelli in fase di redazione, che dovranno adeguarsi al quadro tracciato dal Governo nazionale. Resterà alle regioni, secondo i funzionari ministeriali, il compito di definire la localizzazione e l’iter amministrativo per la costruzione degli impianti che sulla base del decreto assumeranno la classificazione di «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale»;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel rapporto preliminare rivolto alle sole autorità con competenze ambientali, sostiene che il piano debba essere escluso dalla fase pubblica di valutazione ambientale strategica. I redattori del rapporto sostengono, infatti, che non è possibile procedere a valutare gli effetti ambientali del piano poiché la redazione del piano corrisponde ad una fase programmatica;
   se il piano non verrà sottoposto a valutazione ambientale strategica completa verrà meno il confronto con cittadini, associazioni ed enti locali, obbligatorio per la fase completa;
   il piano prevede la costruzione di oltre dieci nuovi impianti per incenerire 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti in più all'anno nel Paese;
   da un punto di vista tecnico basterebbe prendere in considerazione le emissioni (di polveri, diossine, metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici e altro) per tonnellata di rifiuti incenerita in un impianto italiano e moltiplicarlo per le quantità di rifiuti che il Ministero vorrebbe far incenerire per avere un dato certo di inquinamento da cui partire per valutare gli effetti sull'ambiente di questo programma;
   nello scorso inverno l'intero Paese per settimane si è bloccato a causa dell'inquinamento da polveri sottili con gravi conseguenze sanitarie ed economiche;
   l'Italia è altresì sotto procedura d'infrazione proprio perché già ora non rispetta gli standard ambientali per la qualità dell'aria, con conseguenze catastrofiche dal punto di vista della salute dei cittadini e morti a decine di migliaia secondo le massime autorità comunitarie in campo ambientale;
   le ceneri derivanti dall'incenerimento di una così ampia quantità di rifiuti dovranno comunque essere oggetto di smaltimento e di tutto ciò non vi è traccia nel documento ministeriale;
   diverse regioni (Veneto, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio, Campania, Emilia Romagna, Lombardia) nei loro pareri hanno evidenziato la necessità di sottoporre a valutazione ambientale strategica il programma, rilevando importanti criticità sia di carattere procedurale che tecnico; a mero titolo di esempio la regione Veneto ritiene che il documento presentato dal Ministero non soddisfi i criteri previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e che non sia perseguibile la strada indicata dal Ministero e, cioè, ricondurre la problematica a VAS regionali, in quanto stabilendo delle invarianti (il ricorso all'incenerimento) a cui le regioni dovrebbero attenersi strettamente verrebbe meno alla radice l'intento della VAS e, in particolare, il confronto tra alternative per la risoluzione delle problematiche di gestione e smaltimento dei rifiuti;
   in questo senso si ricorda che l'articolo 4 della direttiva 98/2008/CE individua una gerarchia per quanto riguarda le modalità di gestione dei rifiuti, ponendo l'incenerimento al quarto posto su cinque opzioni;
   la stessa Commissione europea (nota E-003288/2016) rispondendo all'interrogazione E003288/2016/riv.1 degli Eurodeputati Marco Affronte (EFDD), Laura Ferrara (EFDD), Marco Zullo (EFDD), David Borrelli (EFDD), Isabella Adinolfi (EFDD), Dario Tamburrano (EFDD) e Eleonora Evi (EFDD) ha chiarito recentemente che un qualora un programma rientri nel campo di applicazione della direttiva 2001/42/CE deve essere sottoposto a Valutazione ambientale –:
   se il rapporto preliminare ambientale di cui in premessa abbia recepito le richieste espresse da diverse regioni in Conferenza Stato-regioni circa la validità dei propri piani, già approvati o in via di aggiornamento, qualora escludano il ricorso all'incenerimento;
   se non si ritenga di recepire immediatamente le indicazioni delle regioni e della Commissione europea attuando la procedura di assoggettabilità alle VAS del piano di cui in premessa che prevede la fase di confronto con i cittadini e le organizzazioni sociali, nonché dagli enti locali come i comuni, tenendo conto che l'impatto sulla qualità dell'aria e sulle altre matrici ambientali nonché sulla salute umana è facilmente desumibile. (5-09008)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   diverse città e regioni italiane avanzano la richiesta di diventare «libere» da pesticidi (sia in contesto agricolo che urbano), al fine della tutela ambientale e della salvaguardia della salute umana;
   al fine di raggiungere questo traguardo le città e le regioni intendono vietare tutte le sostanze attive nei pesticidi permessi dalla Unione europea e tutti i prodotti, permessi dallo Stato membro, basati sulle stesse sostanze;
   l'articolo 15 del decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, sancisce che, per proteggere l'ambiente, la salute e per salvare la biodiversità (comma 1), l'uso dei pesticidi dovrebbe essere limitato o anche vietato (comma 3, punto a) in aree specifiche ad uso della popolazione o di gruppi vulnerabili (comma 2);
   città regioni o villaggi possono diventare liberi da pesticidi o porre limiti al loro uso (sia in contesti agricoli che non agricoli) se sono in grado di provare che condizioni speciali e locali o particolarità regionali giustificano limitazioni nel loro uso o un divieto totale –:
   se non si ritenga necessario assumere iniziative per integrare o specificare le disposizioni del decreto legislativo del 14 agosto 2012, n. 150, e le altre disposizioni in materia indicando a quali condizioni un'intera città, villaggio o regione possa essere ricompresa nella definizione di «area specifica»;
   quali condizioni e presupposti legati alla specificità del territorio possano essere assunte a motivazione del divieto completo d'uso di pesticidi, al fine della tutela dell'interesse pubblico;
   quali ulteriori iniziative concrete una città, regione o cittadina potrebbe attuare per estendere al proprio territorio il divieto/limitazione d'uso di pesticidi, al fine della tutela della salute umana e della biodiversità. (4-13599)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i finanzieri della Compagnia di Agropoli, su delega del sostituto Procuratore Generale della Corte dei Conti dottor Ferruccio Capalbo, al termine di complesse indagini nell'ambito di un'operazione denominata «Nettuno», hanno dato esecuzione ad un provvedimento emesso dallo stesso magistrato per un ipotetico «danno pubblico» di oltre 700.000,00 euro che ha riguardato da vicino i vertici dell'amministrazione comunale di Capaccio, comune della provincia salernitana;
   il provvedimento è stato emesso al termine di un'indagine iniziata nel 2014 dalle Fiamme gialle di Agropoli e finalizzata ad individuare un potenziale danno erariale connesso alla gestione di un complesso immobiliare di grande pregio insistente nell'area archeologica di Paestum, in particolare all'interno della cinta muraria dell'antica città di Paestum con vista diretta sulla Basilica e sul Tempio di Nettuno;
   tale complesso, dal 1998 riconosciuto patrimonio mondiale dall'Unesco, è gestito dall'ente e per le antichità e i monumenti della provincia di Salerno;
   il complesso in questione è condotto in locazione dalla società «Ristorante Nettuno S.r.l.», realtà economica operante nel settore della ristorazione;
   la società «Ristorante Nettuno S.r.l.» ha più volte rinnovato il contratto di locazione: in ultimo ciò è accaduto il 20 aprile 2006, e il rinnovo ha previsto una durata addirittura ventennale;
   il potenziale danno erariale è nei fatti emerso immediatamente, perché il prezzo concordato a contratto è pari a 12.000,00 euro annui, una cifra a giudizio dell'interrogante quasi ridicola considerati il pregio, la posizione e le dimensioni dell'intero complesso turistico-ricettivo locato;
   va peraltro sottolineato come tale complesso immobiliare sia stato affidato in locazione alla «Ristorante Nettuno S.r.l.» in assenza di qualsivoglia gara ad evidenza pubblica e senza valutazione circa la potenziale redditività per l'ente locatore;
   dagli accertamenti compiuti dalla Guardia di finanza è emerso anche che il complesso immobiliare non sarebbe esclusivamente dedicato a struttura ricettiva, ma che invece parte di esso sarebbe stato destinato esclusivamente a residenza della famiglia conduttrice dell'intero complesso immobiliare;
   a quanto risulta dalle indagini il complesso immobiliare fu acquistato, con regolare rogito notarile, dal comune di Capaccio il 12 novembre 1931 dai fratelli Manzi/Forlani e mai più ceduto ad altro ente, ma ciononostante la gestione dello stesso è stata assunta dal già citato ente per le antichità e i monumenti della provincia di Salerno;
   tale ente, eretto in forza del regio decreto n. 409 del 5 febbraio 1934, è stato dotato di capacità giuridica e sottoposto alla vigilanza del prefetto della provincia di Salerno;
   il danno erariale è stato imputato ai vari responsabili del comune a qualsiasi livello e titolo e, al segretario/amministratore dell'ente per le antichità ed i monumenti della provincia di Salerno;
   va sottolineato, peraltro, come, da quanto emerge, risulterebbe coinvolta nella «Ristorante Nettuno S.r.l.» con un ruolo apicale, anche la moglie del sindaco di Capaccio –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di garantire la tutela di un bene culturale di grande valore storico e architettonico. (4-13600)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   ZARATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in molte regioni d'Italia, dalla Toscana alla Sicilia, sempre più eredi di famiglie nobiliari tornano a reclamare diritti reali su terreni derivanti dalla concessione, operata tra l'800 ed inizio del ’900, di un fondo per un certo termine temporale a fronte del corrispettivo di un canone livellario (anche detto censo), da pagarsi in denaro ovvero con una percentuale sul raccolto o diversa prestazione;
   tali diritti, che ha o assunto tradizionalmente denominazioni diverse a seconda della qualificazione del soggetto concedente, in molti casi non sono stati reclamati per decenni;
   tali contratti agrari costituivano il cosiddetto «livello» o contratto di livello. Il livello veniva stipulato spesso in assenza di forma scritta tra il proprietario (spesso un nobile, un monastero, una chiesa) e il livellario che lavorava e coltivava il fondo;
   tale contratto agrario non è contemplato dal codice civile: la forma di contratto vigente più assimilabile alle caratteristiche del contratto di livello è l'enfiteusi. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 46 del 1959, così si è espressa: «L'istituto (del livello) è stato dal legislatore considerato nella sua autonomia e disciplinato con criteri autonomi, che in parte coincidono ed in parte contrastano con la disciplina giuridica dell'enfiteusi e degli altri istituti similari»; successivamente, in considerazione delle caratteristiche che ha assunto il diritto di «livello» nel corso della sua evoluzione storica, la giurisprudenza di legittimità in più occasioni ha peraltro avuto modo di equipararlo ad un diritto di enfiteusi (Cass. Civ. sez. III n. 64/1997, meno recentemente, Cass. n. 1366/1961 e Cass. 1682/1963-E1) e pertanto ad un diritto reale di godimento su fondo altrui;
   nel comune di San Felice Circeo in provincia di Latina nella regione Lazio, tali contratti hanno assunto la denominazione di «livello baronale», in quanto il feudo di San Felice Circeo venne acquistato in data 29 aprile 1898 dal Barone James Aguet Giovanpaolo, poi ereditato dal figlio Aguet James e dalla vedova Elena Blanc;
   tali livelli baronali, eredità di un passato «feudale», sono ancora vigenti secondo quanto sostenuto dagli attuali eredi Aguet e Blanc e risultano comunque ancora trascritti nella conservatoria dell'Agenzia del territorio. Effettuando le visure catastali di alcuni immobili, gli eredi Blanc ed Aguet risultano proprietari dell'area, mentre i privati, anche quelli che sui fondi hanno edificato, risultano titolari solamente di diritto di superficie;
   tali livelli baronali creano notevoli problemi a chi detiene a qualsiasi titolo i fondi gravati, in quanto possono insorgere rilevanti problemi connessi alla sfruttabilità (si pensi ad esempio al Piano Casa) ed alienabilità degli immobili e si incontrano rilevanti difficoltà nel caso si volesse usare come garanzia la proprietà, nell'eventuale accensione di un mutuo bancario o in caso di compravendita, laddove l'acquirente richieda l'estinzione del livello;
   i proprietari delle case costruite su questi terreni, nel caso in cui volessero vendere le abitazioni, dovrebbero corrispondere una somma di denaro agli eredi Aguet al fine di estinguere tramite rinuncia tali livelli baronali (somma variabile fino al 30 per cento del valore dell'immobile);
   gli eredi Aguet al fine di ottimizzare i profitti derivanti dall'estinzione dei livelli hanno ceduto lo sfruttamento di tali presunti diritti sul territorio del comune di San Felice Circeo ad una società costituita in Svizzera, della quale gli stessi eredi sono soci, per il prezzo di euro 220.000, cifra nettamente inferiore ai proventi derivabili dall'estinzione dei livelli su tutto il territorio del comune di San Felice Circeo;
   negli ultimi due anni i cosiddetti livelli baronali sono stati catastalmente trascritti anche su alcuni fondi sui quali in precedenza tale trascrizione era assente;
   gli eredi Aguet-Blanc da metà degli anni ’50, a quanto risulta all'interrogante non hanno più provveduto a richiedere i canoni vantati, quindi da decenni i detentori dei fondi li occupano uti domini esercitando sugli stessi un diritto del tutto identico alla piena proprietà;
   molti degli attuali detentori dei fondi hanno acquistato in buona fede con atto pubblico da proprietari apparenti, e negli atti pubblici di provenienza non vi è nessun riferimento all'esistenza del livello;
   i proprietari del diritto di superficie al fine di svincolare il fondo dal livello ed acquisire la piena proprietà, possono ricorrere all'affrancazione giudiziale ex lege 22 luglio 1966, n. 607, ovvero se ha o acquistato il fondo con atto pubblico nel quale non si fa riferimento all'esistenza del livello, spiegare azione di affrancazione breve ex articolo 1159 del codice civile o spiegare altre azioni civilistiche a seconda del titolo di provenienza, al fine di conseguire giudizialmente la piena proprietà del fondo;
   trattandosi di diritti reali, prima di spiegare l'azione giudiziaria nei confronti degli eredi Aguet, è necessario esperire tentativo di mediazione obbligatoria ex lege 9 agosto 2013, n. 98, che ha convertito con modifiche il decreto-legge n. 69 del 2013, con dilatazione dei tempi e dei costi a carico degli aventi diritto;
   gli attuali eredi Aguet risultano ancora proprietari di numerosi fondi ubicati nel comune di San Felice Circeo presso l'Agenzia del territorio – dipartimento del catasto, solamente a seguito della pubblicazione dei testamenti dei precedenti eredi, ma non hanno mai prodotto copia dei contratti di livello opponibili ai detentori dei fondi anche come eredi degli originari livellari;
   gli attuali eredi convenuti in numerosi giudizi a dimostrazione dei propri diritti si limitano, per provare l'esistenza dei livelli, ad effettuare una generica ricostruzione storico/giuridica avvalendosi della produzione di perizie attestanti l'esistenza dei livelli;
   il contratto di enfiteusi così come regolato dal codice civile è un contratto tra due o più soggetti, dal quale scaturisce un diritto reale di godimento su fondo altrui, ma non comporta alterazione della qualitas soli, come ad esempio l'uso civico o la demanialità, i quali costituiscono la negazione della proprietà privata a favore della collettività;
   tali contratti di livello erano spesso costituiti su accordo verbale delle parti e quindi in assenza di forma scritta non possono essersi rinnovati tacitamente fino ad i nostri giorni;
   tali contratti di livello in assenza di forma scritta non possono aver originato una enfiteusi perpetua ex articolo 958, comma 1, sui fondi originariamente concessi, ma hanno costituito una enfiteusi temporanea che, non essendosi rinnovata, deve essere considerata estinta da decenni;
   a pena di nullità il contratto di enfiteusi, secondo l'attuale ordinamento, deve avere forma scritta ex articolo 1350, primo comma, n. 2, del codice civile e deve quindi essere poi trascritto presso la conservatoria ex articolo 2643 del codice civile;
   in molti casi i detentori dei fondi oggetto di livello vi hanno edificato abitazioni;
   la Corte di Cassazione ha manifestato costantemente che la interversione della detenzione in possesso si può realizzare anche mediante il compimento di attività materiale, ma è necessario che l'attività materiale sia tale da manifestare inequivocabilmente l'intenzione di esercitare il potere esclusivamente nomine proprio, e che la realizzazione di un manufatto edilizio con rilascio di permesso di costruire o con successiva sanatoria, costituisce manifestazione di occupazione uti domini;
   gli occupanti di tali fondi, edificati o meno, si ritengono proprietari degli stessi avendo acquistato in buona fede dai proprietari apparenti o avendo esercitato un godimento assoluto senza pagare alcun canone da almeno 60 anni: appare arduo sostenere con certezza, dopo i passaggi e dopo decine e decine di anni dalla costituzione dell'originario rapporto di enfiteusi/livello, che questo continui ad esistere; nonostante ciò, tali livelli compaiono tuttora nei registri della conservatoria presso l'Agenzia del territorio, equiparando di fatto tali fondi a quelli gravati da uso civico o demanialità;
   tuttavia, tali trascrizioni presso la conservatoria non potevano avere una durata superiore a 20 anni e per procedere alla trascrizione è necessario avere il titolo ex articolo 2657 del codice civile, costituito nel caso in oggetto dal contratto di enfiteusi redatto in forma scritta con atto pubblico o scrittura privata autenticata;
   appare quindi evidente che, al momento, non ricorrano gli estremi di legge per mantenere tali trascrizioni nella conservatoria dell'Agenzia del territorio, considerato anche la tendenza attuale del legislatore nazionale di dare certezza giuridica nella circolazione dei beni, e quindi la eliminazione di tutte quelle situazioni che, non soggette a prescrizione, nel tempo possano creare situazioni incerte ed intralci alla certezza del diritto (cfr. legge n. 80 del 2005 che mira a dare certezza alla commerciabilità di immobili provenienti da donazione, nel rispetto del diritto del legittimario e da ultimo alla legge che dichiara inefficaci e decadute le iscrizioni e trascrizioni dopo venti anni dal loro apparire nei registri immobiliari, se non vengono rinnovate);
   alcune Agenzie del territorio – dipartimento del catasto (cfr. Agenzia del territorio di Catania), procedono alla eliminazione del livello dalle carte catastali su presentazione di un atto unilaterale di affrancazione, o su presentazione di un titolo debitamente trascritto, ove si affermi in modo certo ed inequivocabile da parte dell'alienante che per il fondo trasferito da oltre un ventennio non è mai stato richiesto né tantomeno è mai stato corrisposto dallo stesso o dai suoi danti causa, alcun censo, livello, canone enfiteutico e quant'altro possa costituire un peso a carico del fondo medesimo, avendone avuto sempre il godimento « uti dominus»;
   appare al contrario del tutto probabile che i detentori dei terreni acquistati o meno da non domino trascorsi 10 o 20 anni, ovvero detenuti da generazioni senza pagare canone ad alcuno, abbiano acquisito pieno diritto di proprietà sui fondi, considerata la mancata opposizione da parte dei contro interessati di contratto di enfiteusi in forma scritta;
   l'annoso, anzi secolare, problema dei livelli baronali può quindi essere risolto in via amministrativa tramite la cancellazione delle trascrizioni insistenti presso la conservatoria gestita dall'Agenzia del territorio senza valido titolo di legge ed in assenza di contratto in forma scritta opponibile agli attuali proprietari dei terreni –:
   se il Governo non ritenga di valutare se sussistono i presupposti per promuovere una ispezione presso l'Agenzia del territorio, ufficio di Latina, al fine di verificare se le condizioni di legge per la permanenza delle trascrizioni dei cosiddetti livelli baronali siano state rispettate, avviando se possibile una revisione delle stesse in via amministrativa;
   se non sia possibile la cancellazione di tali trascrizioni catastali pregiudizievoli ex articolo 2668, terzo comma del codice civile tramite la cosiddetta pubblicità sanante, vale a dire attraverso una dichiarazione unilaterale all'Agenzia del territorio, ufficio di Latina, resa ai sensi e per gli effetti dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445 (atto sostitutivo di notorietà), con la quale il soggetto proprietario del terreno sul quale appare il livello, affermi la titolarità della proprietà e la inesistenza di vincoli, censi e livelli, ovvero presentando un atto di provenienza nel quale si affermi chiaramente ed inequivocabilmente che oggetto di contrattazione è la piena proprietà del fondo gravato da trascrizione, oppure in sede di vendita la parte venditrice dichiari e garantisca che su detto fondo rustico, da oltre un ventennio, non è mai stato richiesto né tantomeno corrisposto alcun censo, livello, canone enfiteutico, e quant'altro possa costituire un peso a carico del fondo medesimo, avendone avuto sempre il godimento « uti dominus»;
   se il Governo non ritenga di assumere un auspicabile iniziativa normativa atta a sanare la permanenza di tali situazioni antistoriche con abolizione di questi gravami a fronte della mancata richiesta di pagamento di canone da almeno 60 anni. (4-13603)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   i dati del sistema ferroviario in Basilicata, secondo l'ultimo rapporto Pendolaria di Legambiente, sono estremamente negativi, con un'età media dei treni di quasi 24 a i e il taglio ai servizi è del 19 per cento. Tra Salerno e Potenza circolano convogli con carrozze vetuste, porte guaste e senza aria condizionata e spesso si verificano problemi ai finestrini e ai servizi igienici. Le stesse condizioni si verificano anche sulla tratta Potenza-Foggia, con treni diesel vecchi e che causano ritardi e soppressioni. Disservizi quotidiani anche sulla linea ionica Reggio Calabria — Taranto che, a causa del taglio di 20 milioni di euro della regione Calabria, a partire dalla metà del 2014 ha visto la soppressione di ben 26 treni regionali solo sulla linea Jonica tra Reggio Calabria e Metaponto e tra Catanzaro Lido e Lamezia, con un conseguente enorme disagio per la costa ionica lucana;
   l'indagine conoscitiva dell'Antitrust sul trasporto pubblico locale che si è conclusa il 13 giugno 2016 ha evidenziato dei gravi squilibri strutturali e performance insoddisfacenti rispetto ai principali Paesi europei. Gli investimenti in infrastrutture sono insufficienti, è obsoleto il parco rotabile, sono notevoli i divari territoriali tra Nord e Sud e gli utenti delle regioni meridionali ha o accesso meno servizi di qualità peggiore, senza pagare prezzi inferiori;
   in Italia l'offerta complessiva dei servizi di trasporto pubblico locale è in media sovradimensionata rispetto alla domanda effettiva, che spesso rimane insoddisfatta. Questo paradosso, prodotto dall'eccesso di servizi proprio dove ce n’è meno bisogno, rivela gravi carenze nella programmazione da parte delle regioni e degli enti locali. Il settore del trasporto pubblico locale, nonostante i rilevanti esborsi di denaro pubblico evidenzia che non c’è equità sostanziale nell'accesso ai servizi di trasporto pubblico locale né sono state intraprese politiche efficaci per sviluppare la mobilità sostenibile;
   il trasporto pubblico locale è la seconda voce di spesa per le regioni dopo la sanità e, in questo momento, è indiscutibile che lo stesso abbia gravi criticità. Il settore, tra l'altro, impegna 7 miliardi di euro di fondi statali e ne genera quasi 11 di ricavi, con la vendita dei biglietti che copre appena il 30 per cento dei costi;
   la stessa indagine dell'Antitrust ha rilevato che – anche alla luce delle migliori pratiche internazionali – gestioni efficienti e servizi di qualità non dipendono tanto dalla proprietà, pubblica o privata, delle imprese, ma dalla presenza di meccanismi, come quelli messi in moto dalle gare, che stimolano le imprese a comportarsi in modo virtuoso;
   l'alta velocità riveste un'importanza fondamentale nei piani di sviluppo della ferrovia italiana e per un sistema di trasporti più sostenibile, implementando la quantità e la qualità dell'offerta italiana, migliorando la concorrenza nel settore dei trasporti e incidendo positivamente sulle tariffe applicate agli utenti, contribuendo al riequilibrio dei trasporti nazionali, oggi fortemente squilibrati a favore del trasporto su strada, oltre che all'integrazione con la rete europea;
   il trasporto ferroviario rappresenta una delle modalità di spostamenti più efficiente, più sicura, meno inquinante, e col minore impatto sul territorio, ma in Italia la modalità più diffusa è il trasporto su gomma. Il settore dei trasporti è l'attività che maggio ente incide sul bilancio energetico nazionale: i suoi consumi ontano a un terzo circa del totale. Di questi, alle ferrovie è imputabile, insieme alle vie d'acqua, meno del 2 per cento, contro il 90 per cento del trasporto stradale. Nell'ultimo ventennio in Europa, tuttavia, l'estensione della rete autostradale è aumentata di più dell'8 per cento, mentre per quella ferroviaria l'aumento non ha raggiunto nemmeno il 4 per cento. Nonostante la maggiore efficienza: a parità di tempo, una linea ferroviaria a doppio binario porta un numero di passeggeri o di tonnellate di merci maggiore di una strada a quattro corsie;
   il potenziamento della rete infrastrutturale su rotaia rappresenta una strategia di sviluppo in gran parte dei Paesi europei e in altrettanti del resto del mondo con ricadute positive in termini occupazionali, economici, di coesione sociale, di sicurezza del viaggio e di minori emissioni. La rete infrastrutturale su ferro al Sud rientra nel piano di dimensionamento predisposto da Ferrovie dello Stato italiane con una riduzione dei collegamenti interni e non ci sono progetti che permettano l'accessibilità ai centri del Meridione attraverso il trasporto ferroviario, mentre i nuovi investimenti sono concentrati per la maggiore al Nord del Paese e riguardano pochi assi prioritari. Dal 1991 al 2010 gli investimenti per la Tav in Italia hanno toccato i 98 miliardi di euro, quelli per i servizi regionali solo quattro miliardi. Alla spesa hanno partecipato e continuano a farlo i cittadini, compresi quelli che non possono fruire dei treni comfort e che risultano essere il 95 per cento circa degli utenti. Attualmente, invece, ad accedere al servizio di mobilità veloce è il 5 per cento dei passeggeri;
   negli ultimi giorni la necessità di collegare Matera Capitale europea della cultura, alla rete ferroviaria con i treni veloci sta animando il dibattito politico e sociale a tutti i livelli, anche nazionale. Soprattutto dopo l'ennesimo proclama nelle scorse settimane del Presidente del Consiglio Matteo Renzi a Santa Margherita Ligure, dove davanti alla platea dei giovani imprenditori di Confindustria ha rilanciato il tema della ferrovia a Matera, lasciando intendere come lo sviluppo del Mezzogiorno passa anche dall'allacciamento della città dei Sassi, Capitale della cultura 2019, alla rete ferroviaria nazionale;
   i treni veloci auspicati dal Presidente del Consiglio sono una necessità per la Basilicata, eppure nel patto per la Basilicata siglato il 2 maggio 2016 a Matera con presidente della regione, Pittella, non è stata prevista nessuna spesa per il collegamento ferroviario al sistema nazionale di alta velocità, mentre ci sono 1,83 miliardi di euro per le infrastrutture stradali che saranno investiti sulla viabilità tra la Matera-Ferrandina, il tratto Murgia Pollino; la Potenza-Melfi e la «colonna vertebrale» della viabilità lucana, ovvero la Basentana, compreso il raccordo Sicignano-Potenza;
   in Basilicata i servizi, ferroviari sono affidati direttamente, oltre che a Trenitalia, alle Ferrovie Appulo Lucane e la regione paga a Ferrovie dello Stato italiane 27 milioni di euro all'anno per il contratto di servizio chilometrico. La debolezza delle modalità trasportistiche e l'assenza di servizi ferroviari efficienti non può risolversi con pullman sostitutivi in più per Potenza e Matera per i collegamenti con Salerno ai treni dell'alta velocità;
   Rete ferroviaria italiana aveva manifestato la volontà di procedere al completamento della tratta Matera Ferrandina tanto che l'opera figurava nel contratto di programma RFI 2012-2016 con uno stanziamento previsto di 165 milioni di euro, di cui 45 già in cassa ma con una decurtazione di fondi pari a 80 milioni (in precedenza erano quindi disponibili 120 milioni). Nello schema di aggiornamento del 2015 la stima dei costi dell'infrastruttura è stata portata a 265 milioni, sempre 45 dei quali disponibili, ma questa volta l'opera risulta essere stata sospesa in quanto i finanziamenti residui, al netto delle opere eseguite, non sono sufficienti per realizzazione dell'investimento;
   i cantieri della Matera-Ferrandina, che fino al 1975 sono stati a scartamento ridotto, partirono nel 1986 e per diverse vicissitudini legate anche al fallimento delle aziende appaltanti, si arenarono definitivamente intorno al 2001 lasciando l'opera a buon punto (finita all'80 per cento), perché mancava solo l'armamento e l'elettrificazione, con tanto di manufatto della stazione prevista a La Martella. Il completamento della tratta Ferrandina-Matera serve a dotare l'area vasta che orbita intorno a Matera di una infrastruttura di mobilità che è strategica sia per facilitare i flussi turistici verso la Città dei Sassi, sia perché il sistema della mobilità collega la regione verso l'interno e l'esterno, diventando l'asse intorno al quale riconnettere i fili della coesione economica e sociale irraggiando le ricadute di Matera 2019 a tutta la Basilicata e rendendo più vicini i capoluoghi dal punto di vista economico e sociale;
   la tratta Ferrandina — Matera, costata oltre 500 miliardi di lire, è un'opera infrastrutturale strategica che toglierebbe Matera dal gap infrastrutturale e dall'isolamento e consentirebbe di recuperare un ruolo di forte attrazione per l’hinterland e renderebbe rapido il congiungimento con la Valbasento, area produttiva e industriale qualificando e potenziando la logistica e i rapporti commerciali con la Puglia. Si renderebbe rapido il congiungimento con la stazione di Ferrandina e quindi con l'asse ferroviario per raggiungere Napoli, nonché con l'area del metapontino a forte vocazione turistica e imprenditoriale;
   con l'entrata in vigore del nuovo orario estivo di Trenitalia dal 12 giugno 2016 le città di Potenza e Matera dispongono del nuovo servizio «Freccialink», ovvero un collegamento diretto con i treni ad alta velocità in partenza e in arrivo presso la stazione di Salerno. Il servizio di Trenitalia con bus di 16 posti prevede che quattro corse giornaliere: due corse partiranno da Matera, alle ore 5,55 e alle ore 13,55, e due da Potenza, alle ore 7,30 e 15,30 verso Salerno, e due corse partiranno dal centro campano in direzione Potenza, con arrivo alle 13,30 e alle 22,20 e due per Matera con arrivo nella città dei sassi alle 15,10 e mezzanotte;
   a giudizio degli interpellanti si tratta di una iniziativa che accresce l'offerta di trenitalia per gli utenti, ma non è la soluzione perché non risolve i problemi di collegamento della Basilicata al nodo alta velocità di Salerno e non sono previste fermate intermedie, rischiando di allontanare dalle grandi direttrici nazionali di trasporto ferroviario. Inoltre, non si tiene conto dello stato fatiscente della viabilità, come la principale arteria stradale, la Sicignano-Potenza, che ha un tracciato tortuoso tra salti di carreggiata e deviazioni infinite e il viaggio diventa una vera e propria odissea. Nel Mezzogiorno vanno terminate tutte le opere rimaste incompiute che hanno richiesto costosi investimenti pubblici e la tratta ferrata Ferrandina-Matera è una delle più emblematiche incompiute d'Italia e merita l'attenzione del Governo –:
   quali iniziative il Ministro interpellato intenda adottare al fine di verificare con Trenitalia la realizzazione di un sistema di trasporto ferroviario legato alle reali esigenze del territorio e dei cittadini, fermando i tagli e aumentando il servizio, soprattutto sulle linee più frequentate, in tale contesto procedendo alla sostituzione della flotta dei treni regionali in circolazione;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire un servizio di trasporto pubblico locale che risulti maggiormente efficiente ed efficace, in modo da garantire un servizio di qualità che permetta al cittadino di esercitare in modo effettivo il diritto alla mobilità nel Mezzogiorno;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per farsi promotore di un tavolo tecnico in cui coinvolgere la Rete Ferroviaria italiana, le istituzioni e gli enti locali interessati per completare o per utilizzare i lavori effettuati per la tratta Ferrandina-Matera;
   se non ritenga di attivarsi affinché sia inserito nel prossimo contratto di programma 2017 – 2021 il potenziamento del servizio ferroviario, in particolare al fine di velocizzare la linea Taranto-Potenza-Salerno perché gli autobus non possono rappresentare un sistema di trasporto efficiente per il territorio lucano e il Mezzogiorno.
(2-01405) «Latronico, Distaso, Marti, Chiarelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 giugno 2016 si sono verificati nuovi e gravi disagi lungo la linea ferroviaria Roma-Ancona;
   il treno Intercity 534 partito da Roma alle 9.35 e diretto ad Ancona con arrivo previsto alle ore 13 ha registrato un ritardo di oltre tre ore;
   forte e comprensibile è stata la prostrazione dei passeggeri che hanno persino gridato al sequestro di persona, il tutto sotto un caldo soffocante;
   fino a Terni nessun problema. Poi l'inizio dell'odissea. A Spoleto il treno arriva con mezz'ora circa di ritardo. Il treno si ferma più volte per presunti cali di corrente: un disagio non da poco anche perché si blocca l'aria condizionata. Un'ora di sosta dove — si lamentano i passeggeri — non ci sono comunicazioni se non un laconico altoparlante che parla di «problemi tecnici e di tecnici al lavoro»;
   da Spoleto la situazione precipita: velocità bassissima, aria condizionata che va e che viene. Un'ora e mezzo di ritardo. A Foligno i passeggeri delle carrozze 2 e 3 vengono trasferiti alla 7 e 8 e, nel tempo di fare la manovra, hanno la possibilità di rifocillarsi. Ripartono ma con il treno — ormai con duecento minuti di ritardo, testimoniati anche dal display alla stazione di Ancona — procede a rilento. Poi un altro blocco con conseguente sosta in mezzo alla campagna, con una temperatura insopportabile. Niente bar, nessuna possibilità di ristoro;
   alle 15 l'arrivo a Nocera Umbra dove la corsa finisce ma il tormento no. I passeggeri non vengono fatti scendere subito. Secondo quanto viene riferito alla stampa e da testimonianze dirette, si registrano problemi di sicurezza (la fermata non è prevista) e serve il permesso della centrale operativa. Si registrano, raccontano alcuni passeggeri, scene di panico vere e proprie. Alcuni si dicono pronti a denunciare Trenitalia per sequestro di persona;
   i passeggeri vengono infine fatti ripartire per Ancona tramite il treno regionale 2324 che registra «appena» dieci minuti di ritardo. Arrivo previsto ad Ancona, in un primo momento alle ore 17.46, poi alle ore 17.38, infine «addirittura» con tre minuti di anticipo: per chi è partito alle ore 9.35 si è trattato per l'interrogante di un'autentica beffa –:
   quali siano i motivi di tali continui e insopportabili disservizi e dell'utilizzo di materiale rotabile, con tutta evidenza, così inadeguato; quali iniziative di competenza il Ministro interrogato possa da subito assumere per migliorare il servizio sia per chi utilizza quotidianamente il treno per recarsi al lavoro sia per chi sceglie o vorrebbe scegliere il treno per ragioni turistiche;
   quali iniziative concrete di competenza intenda assumere per la realizzazione del raddoppio Orte-Falconara, arteria fondamentale per il trasporto su ferro di Umbria e Marche. (5-09003)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA, ZARATTI, PALAZZOTTO, FRANCO BORDO e KRONBICHLER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 12 giugno 2016 era la data prevista per un nuovo treno veloce tra Pescara e Roma. Questo collegamento veloce doveva essere la risposta attesa da anni per rilanciare il collegamento ferroviario tra Pescara e Roma: se questo fosse avvenuto, il treno sarebbe tornato un vettore utile non solo per l'area metropolitana Pescara-Chieti ma anche per le aree interne dell'Abruzzo;
   al contrario invece i dati rilevati ci dicono di un ulteriore rallentamento della marcia dei treni: prima del cambio d'orario (12 giugno 2016) il treno 23673 partiva da Pescara alle ore 6.15, per arrivare a Roma alle 9.59; oggi parte alla stessa ora per arrivare alle 10.04 (+ 5’). Il treno 23679 partiva alle ore 9.22 e arrivava a Roma alle ore 12.59; oggi parte alle ore 9.21 per arrivare alle ore 13.06 (+8’). Il treno 23685 partiva da Pescara alle ore 14.06 per arrivare a Roma alle ore 17.59; dopo il cambio dell'orario arriva alle ore 18.04 pur partendo alla stessa ora (+5’);
   l'osservatorio della mobilità della Federconsumatori Abruzzo sottolinea come non sia accettabile che i tempi di percorrenza continuino a dilatarsi penalizzando fortemente i pendolari di tale tratta ferroviaria;
   è necessario ricordare nel 1970 erano necessarie tre ore e tre minuti per collegare Pescara a Roma Termini e oggi occorre usi un'ora in più –:
   se corrisponda al vero la decisione di attivare un treno veloce nella tratta Pescara Roma, come peraltro annunciato, e quali iniziative intenda assumere nei confronti di Trenitalia per evitare che siano compiute scelte di penalizzazione dell'utenza abruzzese. (4-13602)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI, SARTI, DELL'ORCO e NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 6 novembre 2012, n. 190 (articolo 1, commi dal 52 al 57) ha previsto l'istituzione presso ogni prefettura dell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (cosiddette white list – W.L.); tale elenco ha lo scopo di rendere più efficaci i controlli antimafia nei confronti di operatori economici operanti in settori maggiormente esposti a rischi di infiltrazione mafiosa;
   presso la prefettura di Modena, con apposito decreto del prefetto, è stata istituita la cosiddetta White List prevista dall'articolo 5-bis del decreto-legge 6 giugno 2012 n. 74, convertito dalla legge di conversione 1o agosto 2012 n. 122, come modificato dall'articolo 11 del decreto-legge n. 174 del 2012;
   l'operazione denominata «Aemilia» della procura distrettuale antimafia di Bologna, del gennaio 2015, viene considerata la seconda più imponente azione investigativa organizzata in Italia contro la ’Ndrangheta; l'operazione si è concentrata soprattutto nelle province di Modena e Reggio Emilia; sotto inchiesta, tra l'altro, anche gli interessi di un sodalizio mafioso nei lavori di ricostruzione del dopo terremoto che ha interessato l'Emilia Romagna nel maggio del 2012;
   il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso, i due pubblici ministeri della direzione distrettuale antimafia che hanno condotto l'inchiesta «Aemilia» e i vertici dei carabinieri provinciali hanno svolto, tra dicembre e gennaio 2014, indagini anche sull'operato della prefettura di Modena; venne ascoltato come persona informata sui fatti l'ex viceprefetto Mario Ventura; risulta inoltre che la direzione distrettuale antimafia di Bologna, attraverso i pubblici ministeri Marco Mescolini, Enrico Cieri e Beatrice Ronchi, abbia iscritto nel registro degli indagati alcuni funzionari della prefettura di Modena;
   Ventura si è occupato a lungo delle iscrizioni alla white list, facendo da ponte nell'avvicendamento tra l'ex prefetto Benedetto Basile e l'attuale prefetto, Michele Di Bari; a Ventura risulta che gli inquirenti abbiano chiesto delucidazioni soprattutto sui consigli che alcuni dirigenti avrebbero offerto alle imprese escluse dalla white list per poter essere riammesse; emblematici sono i casi di tre grosse aziende della provincia di Modena che hanno creato forte sconcerto e preoccupato allarme nella cittadinanza sui rischi di infiltrazione mafiosa nelle attività economiche locali e non solo: la F.lli Baraldi s.p.a., la Bianchini Costruzioni s.r.l. e la cooperativa CPL Concordia;
   la ditta di costruzioni F.lli Baraldi di San Prospero nel modenese ricevette già nel 2009, a seguito di una indagine su di un cartello di imprese che condizionava gli appalti in Liguria, una informativa «atipica» antimafia; viene esclusa dalla white list a gennaio 2013; il prefetto vicario di Modena, Mario Ventura, a luglio 2013, riammette la F.lli Baraldi alla W.L.;
   a giugno 2013 viene esclusa dalla white list la ditta Bianchini costruzioni di S. Felice (Mo); risulta dalle carte dell'inchiesta «Aemilia» che il Bianchini Augusto acquisiva lavori della ricostruzione nel post terremoto facendoli poi gestire di fatto alle imprese ed al personale di ditte riconducibili al referente emiliano della ‘ndrina di Cutro, Grande Aracri Nicolino; l'imprenditore è finito in carcere per concorso esterno (articoli 110, 416-bis codice penale) in associazione mafiosa, per false fatturazioni, estorsione e reati ambientali con l'aggravante del metodo mafioso;
   la procura della Repubblica di Napoli, nell'ambito di un'inchiesta sulle opere di metanizzazione che hanno interessato i comuni dell'isola di Ischia, nel marzo del 2015, fa arrestare diversi dirigenti della cooperativa CPL Concordia di Modena, tra cui l'ex presidente Roberto Casari;
   ad aprile 2015 la cooperativa CPL viene esclusa dalla white list con provvedimento firmato dal prefetto di Modena, Michele di Bari; a ottobre 2015, dopo un complesso iter, viene riammessa;
   precedentemente, per ottenere la certificazione antimafia la CPL pare avesse una corsia preferenziale; i carabinieri lo scoprono nel marzo del 2014 quando un faccendiere della CPL, scrivono nelle carte dell'indagine, si rivolge a Daniele Lambertucci, stretto collaboratore del prefetto di Modena, perché deve firmare un contratto importante per la rete gas in Sicilia, il Lambertucci si comporterebbe da «spicciafaccende»: fa annullare le multe prese dal presidente Casari, si occupa della nomina dello stesso Casari a «cavaliere» e poi lo rassicura che ha già inserito la Cpl nella white list e in settimana la procedura sarà definita; «Manco a farlo apposta sono io il responsabile delle iscrizioni... insieme al capo di gabinetto... (direbbe il Lambertucci) ... in passato l'iscrizione era stata un po’ rallentata viste alcune vicissitudini ...», dopo qualche giorno comunica in anticipo: «L'iscrizione avviene tra dieci minuti !»;
   risulta inoltre che la società di investigazioni Safi, con sede a Melegnano ed una sede operativa a Modena in via Canaletto, a cui sia la F.lli Baraldi prima e la Bianchini Costruzioni poi si rivolsero per tornare in white list, avesse un particolare libero accesso agli uffici della prefettura di Modena;
   si apprende da un articolo del quotidiano Gazzetta di Modena del 5 maggio 2016, dal titolo: «Bianchini avvisato a tempo di record sulle istanze rigettate e gli “investigatori” della Safi aggiornati sui movimenti interni – White list, c’è una talpa in Prefettura ?» che i magistrati della direzione distrettuale antimafia, che conducono l'inchiesta «Aemilia», confermano come sia la Safi a tenere le fila nei rapporti tra imprese interdette e prefettura, in via esclusiva, arrivando a diffidare i propri clienti dall'avere rapporti diretti, informata dall'interno quando ciò sta per avvenire –:
   se il Ministro dell'interno, in attesa degli sviluppi delle indagini e dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria, non intenda avviare un'ispezione interna alla prefettura di Modena per accertare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare e l'adeguatezza delle procedure e delle figure preposte all'iscrizione delle imprese nella white list;
   se e quali provvedimenti eventualmente siano stati presi o si intendano prendere nei confronti dei funzionari e dirigenti della prefettura di Modena coinvolti nella vicenda di cui in premessa;
   quali iniziative, anche di tipo organizzativo, si ritengano eventualmente di adottare per rendere le iscrizioni alla white list scevre da possibili influenze individuali di personale incaricato in collaborazione a tal fine anche con la Direzione nazionale antimafia e le Direzioni distrettuali antimafia;
   di quali elementi disponga il Ministro dell'interno, per quanto di competenza, circa la società di investigazione Safi e del suo ruolo nei casi esposti in premessa e circa i rapporti intercorsi tra questa e il personale della prefettura di Modena.
(5-09009)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 14 giugno 2016 è stato reso noto lo schema di decreto con il quale il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca determina le modalità di svolgimento delle procedure concorsuali per l'accesso ai ruoli della dirigenza scolastica, la durata del corso e le forme di valutazione dei candidati ammessi al corso, ai sensi dell'articolo 1, comma 217, della legge 28 dicembre 2015, n. 208;
   parte integrante del decreto sono:
    la Tabella A, relativa alla valutazione dei titoli;
    la Tabella B, relativa alle funzioni strumentali;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover assumere iniziative per integrare la tabella A anche con i Master di primo livello e i corsi di perfezionamento universitari conseguiti dai candidati –:
   di dover assumere iniziative per integrare la tabella B con la figura dell'animatore digitale e i membri del team digitale (figure istituite solo a partire da questo a o accademico), visto che le suddette integrazioni non avranno nessuna influenza sullo svolgimento delle prove concorsuali e sulla determinazione degli idonei, ma incideranno solo sul punteggio finale. (5-09002)


   ROSTELLATO, CRIVELLARI e NARDUOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'università degli studi di Padova è una università statale italiana fondata nel 1222, ed è tra le più antiche e prestigiose d'Europa;
   la sede dello storico ateneo è situata nel centro storico di Padova e con diverse sedi dislocate nella regione Veneto. Tra il 2001 e il 2007 l'università di Padova si è confermata per sei volte consecutive come la migliore nella classifica delle università italiana stilata ogni anno dal Censis – La Repubblica, nella categoria degli atenei con più di 40.000 iscritti: la ricerca del Censis prende in considerazione, per stilare questa classifica, la qualità della didattica, secondo i parametri di produttività, ricerca, profilo dei docenti e internazionalizzazione, e altri particolari indicatori quali i servizi agli studenti, le borse di studio e le strutture. Nel corso della sua lunga storia, l'università di Padova fu luogo d'incontro di alcune tra le più importanti personalità europee ed italiane, tra le cui fila si annoverano personaggi del calibro di Leon Battista Alberti, Galileo Galilei, Niccolò Copernico, Melchiorre Cesarotti, Ramiro Rampinelli, Pietro Martire Vermigli e Massimo Lanza de Cristoforis;
   tra le altre fu la prima università al mondo a dare un titolo accademico ad una donna, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, che conseguì la laurea in filosofia il 25 giugno 1678. A seguito dell'attuale statuto, approvato in attuazione della «riforma Gelmini» del 2010, le attività didattiche si svolgono direttamente dai dipartimenti che si raggruppano in strutture denominate scuole. Tra tutte spicca l'antica e prestigiosa scuola di Giurisprudenza, che si intreccia indissolubilmente con la cifra culturale dell'illustre Ateneo, la cui valenza ha consentito – e ancora consente – di annoverare l'università di Padova una tra le più prestigiose università a livello nazionale;
   purtroppo, dalla cronaca locale (Padova Oggi, datato 16 maggio 2016) si apprende la notizia che due laureandi iscritti all'università dei giuristi sarebbero stati denunciati dalle forze dell'ordine in quanto sorpresi ad alterare la prova di un esame di procedura civile;
   nell'articolo si legge che il tutto ha avuto inizio nel dicembre 2015, quando uno dei due studenti era stato sorpreso in aula con degli auricolari durante l'esame. Ne è seguito un esposto in procura con il quale l'università ha voluto segnalare non solo la presenza di studenti che copiano durante le sessioni, ma anche la verosimile esistenza di qualcuno che, previo pagamento, forniva ai laureandi le risposte ai quesiti dei test;
   nel mese di maggio 2016, l'episodio si è ripetuto: questa volta è stata una ragazza. Stando alle informazioni diffuse, pare che sarebbe stata proprio la studentessa protagonista dell'accaduto a tradirsi vantandosi con i colleghi di avere un metodo infallibile per superare l'esame di procedura civile: il metodo prevedeva l'utilizzo di un secondo studente posto all'altro capo del telefono per suggerire le risposte;
   i compagni, indignati, si sono rivolti alla polizia, indicando nome della studentessa truffatrice e sessione d'esame incriminata. Gli agenti della squadra mobile, così, il 13 maggio 2016 si sono presentati in borghese all'appello di procedura civile della facoltà di giurisprudenza del Bo. Una volta terminato l'esame gli agenti l'hanno bloccata e perquisita. Addosso le hanno trovato un auricolare color carne, al collo portava un ricevitore Bluetooth mimetizzato da una collana, e sotto i vestiti il cellulare con il quale era stata in comunicazione per tutta la durata dell'esame con il suo complice, anche lui 25enne. Per l’«aiuto», il giovane avrebbe ricevuto un compenso di 50 euro –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se non intenda, per quanto di competenza, adoperarsi, anche promuovendo iniziative normative, affinché sia favorito il principio meritocratico in ambito universitario e non si ripetano più situazioni di questo genere, che in qualche modo, hanno leso l'immagine della prestigiosa facoltà di giurisprudenza di Padova. (5-09006)


   NACCARATO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, relativo allo statuto speciale per la regione Trentino Alto Adige ha valenza di legge costituzionale nell'ordinamento giuridico italiano e regola la materia del bilinguismo;
   l'articolo 19 del detto decreto prevede: «Nella provincia di Bolzano l'insegnamento nelle scuole materne, elementari e secondarie è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni da docenti per i quali tale lingua sia ugualmente quella materna. Nelle scuole elementari, con inizio dalla seconda o dalla terza classe, secondo quanto sarà stabilito con legge provinciale su proposta vincolante del gruppo linguistico interessato, e in quelle secondarie è obbligatorio l'insegnamento della seconda lingua che è impartito da docenti per i quali tale lingua è quella materna. La lingua ladina è usata nelle scuole materne ed è insegnata nelle scuole elementari delle località ladine. Tale lingua è altresì usata quale strumento di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado delle località stesse. In tali scuole l'insegnamento è impartito, su base paritetica di ore e di esito finale, in italiano e tedesco»;
   nella provincia di Bolzano, dunque, l'insegnamento nelle scuole è impartito nella lingua materna italiana o tedesca degli alunni;
   la stessa provincia autonoma di Bolzano ha approvato la delibera n. 164 del 6 febbraio 2012, recante «Modelli delle pagelle scolastiche per le scuole secondarie di secondo grado – revoca parziale di deliberazioni della Giunta provinciale – Valutazione delle alunne e degli alunni – modifica di deliberazioni della Giunta provinciale», poi modificata con delibera n. 1819 del 2 dicembre 2013;
   secondo le disposizioni in essa contenute sono stati approvati i modelli delle pagelle scolastiche per i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali in lingua tedesca, italiana e ladina della provincia, e «le stesse devono essere redatte nelle due lingue»;
   il secondo comma della norma dispone specificamente: «A seconda che le pagelle siano rilasciate da un istituto scolastico in lingua, rispettivamente tedesca o italiana, al primo posto figura il testo in lingua, rispettivamente tedesca o italiana. Negli istituti scolastici delle località ladine è riportato anche il testo ladino»;
   nell'ambito di un procedimento di separazione giudiziale, un cittadino residente a Padova ha avanzato al tribunale la richiesta che venga ordinata la traduzione in italiano delle comunicazioni delle scuole e delle pagelle dei figli residenti a Bolzano e iscritti in scuole di lingua tedesca;
   da anni infatti l'uomo riceve le dette comunicazioni redatte soltanto in lingua tedesca;
   secondo i competenti organi provinciali di Bolzano, come emerge dalla nota con protocollo 12.03/P-10550 emessa da un funzionario della provincia altoatesina, essendo il modulo di iscrizione dei figli redatto in lingua tedesca, la scuola «ha l'obbligo di rispondere in tale lingua» e la traduzione «comporterebbe un notevole dispendio amministrativo e ulteriori costi»;
   di conseguenza, si legge ancora nella nota, gli istituti scolastici non sarebbero obbligati a tradurre le comunicazioni ai genitori nella seconda lingua provinciale;
   i fatti descritti, appaiono in contraddizione con il principio relativo al bilinguismo (italiano-tedesco, tedesco-italiano) nelle comunicazioni scritte degli istituti scolastici della provincia di Bolzano e rappresentano, secondo gli interroganti, una violazione degli articoli 3 e 6 della Costituzione italiana;
   casi analoghi avrebbero interessato anche alcune strutture ospedali e della provincia di Bolzano, che avrebbero rilasciato cartelle cliniche redatte soltanto in lingua tedesca accollando le spese per la traduzione ai cittadini;
   a questo proposito la giunta provinciale ha approvato la delibera n. 3793 del 10 ottobre 2005 con la quale viene riconosciuto il diritto del paziente a ricevere la documentazione clinica a lui rivolta nella propria madrelingua;
   sulla base dello Statuto speciale e delle norme attuative dello stesso la giunta provinciale di Bolzano ha disposto che «le comunicazioni e i referti sullo stato di salute del paziente direttamente rivolti a quest'ultimo, devono essere redatte nella lingua presunta del paziente o rispettivamente nella lingua usata; Il paziente ha diritto alla traduzione gratuita della documentazione clinica destinata ai rapporti interni, non redatta nella propria madrelingua, qualora vi abbia un interesse concreto e motivato per la tutela di interessi giuridicamente rilevanti. Il diritto alla traduzione gratuita della documentazione clinica sussiste inoltre in tutti i casi in cui gli organi del servizio sanitario pubblico accertano la necessità di inviare un paziente in un altro ospedale dell'area linguistica tedesca o italiana per motivi terapeutici, non essendo la relativa cura garantita in Alto Adige» –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti sopra esposti;
   se i Ministri, intendano promuovere un monitoraggio volto a verificare che in tutte le amministrazioni pubbliche della provincia autonoma di Bolzano venga rispettato il principio del bilinguismo e quali iniziative di competenza intendano adottare per garantirne l'effettiva tutela. (5-09007)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI SALVO, GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROSTELLATO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con legge 20 maggio 1985, n. 207 «Disciplina transitoria per l'inquadramento diretto nei ruoli nominativi regionali del personale non di ruolo delle unità sanitarie locali», furono sanate, regolarizzandole, una serie di posizioni, fino a quel momento ambigue, in ordine al rapporto tra le allora unità sanitarie locali (USL) ed i molti lavoratori non di ruolo, tecnici e laureati, con il cosiddetto «contratto a convenzione», che svolgevano attività continuativa e subordinata senza, tuttavia, godere delle garanzie previdenziali proprie dei lavoratori con contratto per rapporto di lavoro subordinato;
   la citata legge n. 207 del 1985, mentre procedeva, da un lato, ad un inquadramento di un numero rilevante di lavoratori, che, di fatto, operavano come dipendenti, essendo tuttavia regolamentati dai cosiddetti «contratti a convenzione», non conteneva, d'altro lato, il riconoscimento, al suddetto personale, dell'anzianità di servizio per gli anni pregressi;
   nell'applicazione della legge, tuttavia, si sono verificate situazioni disomogenee su tutto il territorio nazionale, che hanno visto coinvolti un gran numero di enti e di giurisdizioni, determinando condizioni di ingiustizia e disparità di trattamento poiché il problema, nel corso degli anni, è stato risolto in modo diverso da caso a caso. In alcune USL, infatti, vi è stato un immediato riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato regolarizzando anche la parte previdenziale attinente al suddetto periodo, mentre in altre USL tale riconoscimento è stato rifiutato;
   da qui deriva un ampio contenzioso, con casi in cui la magistratura (sia quella ordinaria sia quella amministrativa) ha dato ragione al lavoratore ed altri in cui, al contrario, al lavoratore non è stata riconosciuta la continuità di servizio per il periodo anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 207 del 1985;
   in Toscana i lavoratori che sino al 1985 hanno lavorato con «contratti a convenzione», e che, successivamente, sono stati assunti ed inquadrati nei ruoli nominativi regionali, da una ricognizione effettuata dall'assessorato alla sanità risultano essere cinquecentosettanta-nove casi; molti di loro si trovano ad avere anche sino a 5/7 anni di attività lavorativa non coperta da contribuzione previdenziale;
   tale personale, tecnico e specialistico, ha contribuito, negli anni, a formare la struttura dei servizi più innovativi delle aziende sanitarie locali (ASL), servizi che sono passati dalla sanità ospedaliera alla visione più ampia della sanità intesa anche come prevenzione in tutti i campi (promozione della salute, tutela della stessa in ambito territoriale, diagnosi e cura connessi ai bisogni del bambino, della donna e, più in generale, della famiglia);
   la regione Toscana è stata tra le prime regioni italiane a recepire l'importante ed innovativa tematica riguardante la salute della famiglia e della donna: all'interno dei servizi, quali i consultori familiari, i servizi di salute mentale e disabilità, operavano molte figure professionali (psicologi, assistenti sociali, logopediste, psicomotriciste, audiometriste, educatori professionali, fisioterapisti ed assistenti sanitarie, alcune delle quali entravano per la prima volta a far parte del servizio sanitario nazionale) che furono, inizialmente, assunte con «contratti a convenzione» per poi essere inquadrate, dal 1985, nei ruoli nominativi regionali, purché in possesso dei requisiti richiesti;
   tale situazione registra condizioni di disparità di trattamento, poiché, a parità di prestazione lavorativa, pur in presenza di contratti diversi, corrispondono trattamenti differenti per le stesse categorie di lavoratori;
   la possibilità di ricostruzione della situazione contributiva dell'anzianità ai fini pensionistici, in considerazione del fatto che la maggior parte del personale ha maturato molti anni di servizio, oltre a quelli per i quali si chiede il riconoscimento, potrebbe produrre un turnover che consentirebbe di immettere a ruolo, per mezzo di concorsi, un notevole numero di giovani professionisti;
   in data 8 giugno 2016, la regione Toscana ha approvato una mozione volta ad intervenire, presso le opportune sedi, per il riconoscimento dell'anzianità del personale delle unità sanitarie locali con rapporto convenzionato beneficiario di inquadramento straordinario nei ruoli nominativi regionali;
   data la necessità di costruire un quadro omogeneo a livello nazionale, ferma restando l'espressa volontà della regione di confrontarsi per tutto quello che le compete, occorrono soluzioni precise ed unitarie fornite a livello statale per risolvere un'annosa questione più volte sollevata dagli operatori e dalle organizzazioni sindacali che li rappresentano –:
   quale orientamento il Governo intenda esprimere in riferimento a quanto esposto e se non intenda intervenire al fine di prevedere un'iniziativa normativa o comunque addivenire ad una soluzione finalizzata al riconoscimento dell'anzianità di servizio prestata prima dell'iscrizione al ruolo nominativo regionale dei lavoratori interessati, al fine di sanare definitivamente la situazione di disparità che si è generata in questi anni. (5-08999)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARONI, COLONNESE, LOREFICE, DI VITA, GRILLO, DAGA, RUOCCO, LOMBARDI, FRUSONE e ZOLEZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al Centro unico di prenotazione del servizio sanitario regionale (RECUP Lazio) convergono, attraverso vari canali, le richieste di prenotazione del cittadino per le visite ambulatoriali e le prenotazioni diagnostiche che vengono erogate dal servizio sanitario regionale;
   nella suddivisione degli appalti della regione Lazio relativi ai servizi sanitari la cooperativa sociale Capodarco risulta essere monopolista incontrastata per oltre un decennio nella gestione dei servizi legati alle attività di gestione del servizio Cup (Centro unico di prenotazione);
   l'assetto societario della Capodarco rivela un reticolato che consente di allocare risorse economiche e umane in maniera «diversifica» e in assenza di una coerenza che desta più di qualche sospetto per gli interroganti, infatti, la coop Capodarco è componente del Consorzio sociale Gruppo Darco Coop. Soc assieme alla società cooperativa Darco Servizi e il presidente di Capodarco e il responsabile delle risorse umane, rispettivamente il signor Marotta e il signor Puglisi, ricoprono anche ruoli e altri ruoli: il primo ricopre il ruolo di presidente del gruppo Darco e il secondo opera all'interno della Darco Servizi;
   il 27 luglio del 2015, la Capodarco comunica ai sindacati l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo per 306 dipendenti senza dare il quarto rispetto agli interroganti, alle organizzazioni sindacali informazioni in merito ai motivi determinanti l'esubero e senza fornire l'elenco dei dipendenti aventi contratto in somministrazione e prestanti servizio produttivo per le stesse mansioni assunti da società consorziate o controllate;
   a fine settembre 2015 la Capodarco e le principali sigle sindacali, ad eccezione dei cobas, firmano un accordo, in cui viene stabilito l'uso dei contratti di solidarietà di tipo difensivo ai sensi della legge n. 863 del 1984 e del decreto-legge n. 148 del 93 per ben 1880 dipendenti e per un periodo di 24 mesi;
   l'accordo prevede una decurtazione degli orari di lavoro e della relativa retribuzione dei dipendenti ma in esso non vengono indicati esaustivamente per gli interroganti i motivi che hanno determinato l'esubero, le modalità operative utili ad identificare la corretta e non discrezionale riduzione dell'orario di lavoro da applicare al singolo lavoratore nonché il criterio adottato per l'attribuzione del lavoratori alle relative fasce orarie. Si lascia quindi a parere degli interroganti alla cooperativa una discrezionalità di azione verso i dipendenti meno graditi, contravvenendo quindi alla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 28 del 24 novembre 2014;
   nel frattempo, mentre Capodarco applica questo contratto di solidarietà con decurtazione di orario, contratto peraltro già sottoscritto nei due anni precedenti (dall'agosto 2013 al luglio 2015), la Darco Servizi, con i medesimi amministratori a quanto consta agli interroganti, rinnoverebbe e trasformerebbe contratti di somministrazione in contratti a tempo indeterminato;
   appare contraddittorio, se non incompatibile, per gli interroganti che un servizio quale il front e back office specializzato riferito al servizio CUP e Recup possa essere svolto da personale con contratto di somministrazione o neo assunto dalla consociata Darco Servizi, tramite uso di questi contratti, contestualmente all'uso di contratti di solidarietà presso Capodarco, e la contraddizione è infatti e evincibile dal fatto che i lavoratori adibiti ai servizi citati, con contratti di lavoro diversi e antitetici e formalmente appartenenti ad aziende diverse (pur del medesimo gruppo societario) in realtà fanno riferimento alla medesima direzione;
   in realtà i tagli lineari sui servizi sanitari e l'aumento dei costi diretti di produzione hanno indotto le aziende fornitrici dei servizi sanitari ospedalieri a scaricare l'apparente contrazione della domanda proprio sul costo del lavoro, mediante gli escamotage sopra definiti senza che, a parere degli interroganti le istituzioni e in particolar modo proprio il Ministero del lavoro e delle politiche sociali verificasse puntualmente i requisiti per l'accessibilità agli ammortizzatori sociali e ai correlati benefici nonché un loro uso surrettizio;
   il tema, come noto, risulta avere risvolti anche nella vicenda giudiziaria nota come «Mafia Capitale»; infatti secondo quanto afferma Buzzi, l'imprenditore di Mafia Capitale, i lotti degli ultimi bandi di gara erano chiaro oggetto di spartizione politica il 50 per cento «alla maggioranza» il 50 per cento, «all'opposizione» e proprio nella gestione del Recup, un appalto che copre tutto il Lazio dal valore complessivo pari a 90 milioni di euro e con guadagni per 60 milioni di euro (la cui gara era stata già annullata da Zingaretti), avveniva una scientifica spartizione tra maggioranza e opposizione dei diversi lotti;
   in data 1o dicembre 2015, con l'atto prot. n. 341058 è stato adottato il provvedimento interdittivo antimafia nei confronti della coop Capodarco, provvedimento scaturito dalle complesse indagini sulle gravi e diffuse infiltrazioni nel tessuto imprenditoriale, politico istituzionale di Roma, ed il presidente del consiglio d'amministrazione, Marotta Maurizio, richiamato nell'ordinanza di applicazione di misure cautelari del tribunale di Roma (n. 30546/10 R.G. del 28 novembre 2014 e n. 17508/11 del 29 maggio 2015, proprio in riferimento anche alla gara d'appalto innanzi citata relativa al CUP;
   in data 17 dicembre 2015 con l'atto prot. 357692, il prefetto di Roma ha emesso il provvedimento che ha decretato la sussistenza dei presupposti previsti dall'articolo 32, comma 10, del decreto-legge 2 giugno 2014, n. 90 (convertito dalla legge 11 agosto 2014 n. 114) ovvero i presupposti che ritengono necessaria la straordinaria e temporanea gestisce della coop Capodarco e per la ragione ha provveduto a nominare il dottor Pietro Pennacchi quale commissario cui sono attribuiti ex lege tutti i poteri e le funzioni degli organi di amministrazione, con specifico riferimento dei servizi di supporto alla gestione del C.U.P. ed altri servizi relativi alle farmacie ospedaliere e ai programmi di screening della Asl di Latina, servizio di gestione integrale del CUP della Asl di Roma C e dei servizi di protocollo, del Recup della Asl Roma H e dei servizi di supporto amministrativo della Asl di Avezzano, Sulmona, L'Aquila;
   i presupposti citati sono segnatamente relativi al urgente necessità di assicurare la prosecuzione delle prestazioni previste dal contratto al fine di garantire la continuità delle funzioni e servizi indifferibili per la tutela del diritto fondamentale alla salute e per l'esigenza della salvaguardia dei livelli occupazionali, in considerazione delle particolari criticità sul piano sociale connesse alla immediata interruzione del servizio;
   nel provvedimento prefettizio sono richiamati passaggi fondamentali dell'indagine giudiziaria e si evince che Marotta quale presidente e direttore generale di Capodarco, in concorso con Maurizio Venafro, capo ufficio di gabinetto del presidente della regione Lazio (Zingaretti), Luca Gramazio, consigliere regionale PDL, Angelo Scozzafava, componente la commissione aggiudicatrice della gara CUP, Massimo Carminati, Salvatore Buzzi, Claudio Caldarelli, Emilio Gammuto, Carlo Guarany, Emanuela Bugitti, Paolo Di Ninno, Alessandra Garrone e Michele Nacamulli (collaboratori di Buzzi), Mario Monge, dirigente della Cooperativa Sol.Co, Fabrizio Testa, tutti in concorso tra loro, elaboravano i progetti di partecipazione alla gara, assumevano determinazioni in ordine alla turbativa e utilizzavano il ruolo di Gramazio per rivendicare, nel quadro di un accordo lottizzatorio, una quota dell'appalto (lotti) anche mediante intese, collusioni e accordi fraudolenti tra i partecipanti alla gara e ottenendo proprio da Venafro (capo ufficio di Gabinetto del presidente della regione Lazio (Zingaretti) la garanzia che nella commissione aggiudicatrice della gara venisse nominato Scozzafava;
   nel citato provvedimento prefettizio si legge che il panorama economico e istituzionale che ha caratterizzato la commissione dei fatti innanzi citati è quello consueto in simili casi, costellato da conflitti d'interesse, da connivenze istituzionali, dall'esistenza di cartelli d'imprese che impediscono la crescita di altri soggetti economici, dall'utilizzazione dello strumento classico delle frodi fiscali e dalla curvatura eminentemente criminale che assume l'attività d'impresa, dettata dalla possibilità di trarre immensi e illeciti profitti;
   la gara del 2014, successivamente annullata dalla regione Lazio proprio per i fatti gravissimi innanzi citati, aveva per oggetto le attività di Front-Office (F.O.) e Back-Office (B.0) necessarie alla gestione del servizio CUP (Centro unico di prenotazione) occorrente alle aziende sanitarie della regione Lazio (AS). Le AS destinatarie del servizio CUP erano n. 15, articolate in 4 lotti, 192 sedie e oltre mille postazioni disponibili. Un monte ore pari a 3 milioni in due anni;
   il 10 dicembre del 2014, viene revocata la gara con determina G17725 del 19 dicembre 2014. Con il DCA U00312 del 6 ottobre 2014 viene prevista la consegna del capitolato tecnico da parte del gruppo di lavoro all'area pianificazione e programmazione della direzione centrale acquisti entro il 31 dicembre 2014, viene prevista l'indizione della procedura di gara entro il 1o febbraio 2015 ed infine l'aggiudicazione entro settembre 2015;
   con la nuova gara, gli operatori scenderebbero a circa 2000, di cui soltanto il 20 per cento svantaggiati, e quindi a rischio di mancata riconferma in virtù dell'assenza della clausola di salvaguardia per l'assorbimento del personale esistente, si ritroverebbero coinvolti circa 1600 lavoratori; vengono tagliati 350 posti di lavoro in virtù della diminuzione delle ore di lavoro del bando 2015 che passano da circa 3 milioni a 2,8 milioni, a fronte, tra l'altro, di un aumento di 150 postazioni e 35 sedi (che passano da 192 a 227), e malgrado nella nuova gara siano state aggiunte due aziende sanitarie (Viterbo e Roma G) per un totale di circa 400 mila ore, vengono tagliate complessivamente 110 mila ore rispetto al bando 2014;
   inoltre, l'assenza di requisiti ed indicazioni vincolanti nel capitolato rischia di creare forti disparità di trattamento contrattuale a parità di ruolo e non viene considerato il processo di razionalizzazione del sistema sanitario regionale in corso che prevede l'accorpamento imminente delle Asl Roma A e Roma E oltre a quello programmato delle Asl Roma C e Roma B, inserite nella gara in lotti distinti che potrebbero trovarsi nella condizione di vedere gestito il medesimo servizio da aziende concorrenti e con modalità operative e organizzative differenti;
   diventa lecito chiedersi come sia stato condotto il procedimento soggiacente la definizione del bando di gara precedente, bandito con un numero di ore superiore malgrado l'assenza di ben 2 aziende di non piccola dimensione;
   soprattutto diventa lecito chiedersi quale tipo di coerenza ci sia con il provvedimento prefettizio di straordinaria e temporanea gestione della coop Capodarco, i cui presupposti, con specifico riferimento dei servizi di supporto alla gestione del C.U.P. ed altri servizi, sono correlati anche all'esigenza della salvaguardia dei livelli occupazionali, in considerazione delle particolari criticità sul piano sociale connesse alla immediata interruzione del servizio; invece si rileva che il vero tarlo di questo bando è proprio l'assenza della clausola di salvaguardia per la tutela dei lavoratori che attualmente erogano il servizio e che ha o una professionalità consolidata;
   viene quindi il dubbio a parere degli interroganti, che la misura di straordinaria gestione (ai sensi dell'articolo 32, comma 10, del decreto-legge n. 90 del 2014) introdotta e voluta da questo Governo dopo i fatti dell'Expo serva in realtà non tanto a salvaguardare esigenze indifferibili della comunità, quale ad esempio lo stato occupazionale, quanto piuttosto a non far crollare l'intero sistema degli appalti pubblici di questo Paese ove, nel quadro complessivo di finanziamento e privatizzazione dei servizi essenziali dei cittadini, la fanno da padrone le grandi multinzionali e le grandi «holding del sociale»:
    nella nota del presidente dell'Anac, indirizzata al prefetto di Roma e concernente il procedimento di verifica dei presupposti per l'applicazione delle misure straordinarie di gestione coop Capodarco, è stigmatizzata la realtà del sistema sanitario italiano ove tutti i servizi, anche quelli indispensabili, sono esternalizzati con la conseguente e rilevante conseguenza di vedere messa a rischio proprio la tutela del diritto fondamentale alla salute;
   così infatti riporta la nota citata dell'Anac:
    «il servizio di gestione integrale del CUP è finalizzato a garantire il libero accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie e costituisce, pertanto, un servizio pubblico indifferibile ed essenziale per la tutela del diritto fondamentale alla salute, la cui interruzione recherebbe senza dubbio un grave pregiudizio all'utenza»;
    «l'ulteriore circostanza, rappresentata dalla ASL Roma C, in ordine all'impiego esclusivo di personale dipendente e/o socio della Cooperativa Sociale Capodarco nell'espletamento di tale servizio; circostanza che ha determinato «una vera e propria posizione di interdipendenza funzionale e professionale dell'Azienda nei confronti della Cooperativa Sociale Capodarco» comportando quindi, ad oggi, l'impossibilità per il personale dipendente della ASL Roma C di subentrare tempestivamente nella gestione del servizio, in sostituzione dei 135 operatori della Società Cooperativa Capodarco finora adibiti a tali incombenze –:
   se i Ministri interrogati siano conoscenza dei fatti esposti;
   se non si intendano effettuare verifiche in ordine all'impiego di manodopera nella cooperativa di cui in premessa con particolare riferimento all'uso dei contratti di solidarietà;
   se il Ministro della salute non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di evitare che il sistema di salute italiano sia messo a rischio da questa «selvaggia» esternalizzazione al mondo delle cooperative e del terzo settore anche di servizi indispensabili che lo Stato è invece richiamato a garantire in forza di chiari dettami costituzionali;
   quali ulteriori iniziative il Ministro della salute intenda assumere al riguardo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, per assicurare l'efficienza e la trasparenza del servizio sanitario nella regione Lazio.
(4-13604)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 19 ottobre 2015, n. 173, è in vigore il nuovo ordinamento sulla continuità affettiva che introduce una corsia preferenziale per le adozioni da parte delle famiglie che hanno avuto in affido minore in stato di abbandono e adottabilità;
   pertanto, il tribunale per minorenni ha il dovere di tenere conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria, prima di decidere i genitori adottivi dei minori in stato di abbandono. A tal fine, dovrà essere obbligatoriamente acquisito parere dei servizi sociali;
   è notizia di questi giorni, apparsa su molti quotidiani e giornali on-line, che due bambine, Bianca e Sabrina, in affido da quattro anni a una coppia di genitori aspiranti all'adozione delle stesse, Tiziana Cardile e Mauro Ferri, dovranno separarsi per sempre poiché i servizi sociali di pertinenza hanno comunicato ai genitori affidatari la dichiarazione di adottabilità delle minori;
   entrambe le bambine sono state quindi separate tra loro immediatamente e dai genitori affidatari poiché per loro è stata trovata una nuova famiglia che le ha adottate definitivamente;
   i genitori affidatari – dichiarati idonei all'adozione – dal tribunale per i minorenni di competenza dichiarano di aver appreso dell'adozione all'improvviso, senza essere stati avvertiti, se non attraverso una telefonata dei servizi sociali di competenza territoriale con la motivazione che il tempo a disposizione per procedere all’iter burocratico per la richiesta di adozione definitiva da parte della coppia affidataria è terminato e stabilendo che non potranno più incontrarle;
   la madre adottiva, Tiziana Cardile, ha reso pubblica la situazione con un post su un social network rivolgendosi alle bambine Bianca e Sabrina al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica per quanto incredibilmente successo;
   ci si chiede se – considerata la legge in vigore dal 2015 concernente la continuazione d'affettività – per il caso narrato in premessa sia stata applicata nella sua totale correttezza;
   sarebbe opportuno intervenire urgentemente per evitare la separazione delle due bambine cresciute in uno stesso nucleo famigliare di genitori affidatari, con le conseguenze psicologiche che tale decisione dei servizi sociali provocherà per le minori;
   come prevede la legge n. 173 del 2015, il tribunale dei minori avrebbe dovuto procedere all'l’audizione delle minori nel loro interesse;
   ad avviso degli interroganti sono stati violati i diritti dei genitori affidatari e delle stesse bambine poiché il minore in affido è legittimato a intervenire in tutti i procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, affidamento e adottabilità –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa, se risultino casi analoghi a quello sopra esposto e se sia stato compiuto o si intenda promuovere un monitoraggio in ordine alle più rilevanti criticità che riguardano il sistema delle adozioni;
   se si intendano assumere iniziative normative per evitare che episodi come quello sopra descritto possano ripetersi.
(4-13605)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIULIETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Ismea, Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ex Cassa per la formazione della proprietà contadina) ha tra i propri compiti quelli di promuovere sollecitamente l'ammodernamento ed il potenziamento delle strutture agricole; determinare il miglioramento delle condizioni di produzione, di lavoro e di reddito in agricoltura; la concessione di finanziamenti agevolati per l'attuazione di interventi di miglioramento agrario; contribuire alla trasparenza del mercato fondiario e ridurre i rischi inerenti alle attività produttive;
   l'Ismea in Umbria opera positivamente per il sostegno dell'agricoltura nell'ambito dei programmi regionali, sostenendo l'innovazione tecnologica e l'attuazione di interventi di miglioramento agrario;
   l'Ismea in Umbria nel 1995 ha acquistato un fondo di circa 700 ettari, sito nei comuni di Valfabbrica e Gualdo Tadino poi assegnato con riserva della proprietà ai soci della Azienda Agraria Torre ss;
   il fondo dell'Ismea è utilizzato dagli assegnatari per l'allevamento di bestiame, la produzione di latte e la silvicoltura, impegnando personale tecnico specializzato e collaboratori stagionali;
   gli assegnatari dal 1995 ad oggi hanno effettuato numerosi e costosi interventi che hanno migliorato la viabilità interna, realizzato una nuova e moderna sala mungitura, provveduto alla ristrutturazione di annessi agricoli lesionati dal terremoto del 1997 –:
   per quali ragioni l'Ismea non abbia sostenuto le azioni legali intraprese dagli assegnatari per il riconoscimento dei danni provocati dalla coltivazione della cava;
   per quali ragioni l'Ismea abbia impedito agli assegnatari di percepire i contributi pubblici pari ad euro 1.200.000,00 per ristrutturare le stalle di circa 2.000 metriquadri attualmente site su terreno franoso e gravemente lesionate dal sisma del 1997;
   per quali ragioni l'Ismea non sia intervenuta per evitare lo sfruttamento gratuito e da essa non autorizzato del fondo da parte di terzi attraverso l'esercizio di attività di cava protrattasi dal 1995 al 2014. (5-09005)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, COLONNESE, MANTERO, GRILLO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da uno studio pubblicato su Journal of the American College of Cardiology (JACC) risulta che ad almeno un paziente su tre di quelli con fibrillazione atriale, a rischio medio-elevato di ictus, viene ancora prescritta l'aspirina al posto dell'anticoagulante orale;
   il primo autore dello studio Jonathan C. Hsu, professore di medicina, cardiologia ed elettrofisiologia presso la University of California, sostiene che «I cardiologi forse prescrivono aspirina al posto degli anticoagulanti perché hanno l'errata percezione che l'aspirina abbia la stessa efficacia degli anticoagulanti. Peraltro, agli uomini vengono prescritti anticoagulanti il 6 per cento delle volte più spesso che alle donne, nonostante siano queste ultime a maggior rischio di stroke. La prevenzione dell’ictus è una questione chiave nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale e l'aspirina in questi pazienti ha un effetto protettivo minimo o del tutto assente, a fronte di rischi importanti come un'emorragia intracranica. Questa ricerca evidenzia dunque un importante gap tra il trattamento ideale per la prevenzione dell’ictus tromboembolico e la realtà clinica»;
   in molte professioni, ma soprattutto nelle professioni sanitarie, la formazione continua è un elemento molto importate, in Italia questo anno si esaurisce l'ultimo, in ordine di tempo, Piano sanitario nazionale per la formazione continua in Medicina (2014-2016), che prevede nel triennio un obbligo formativo pari a 150 crediti, per ciascun operatore sanitario, sia libero professionista che dipendente (o parasubordinato). Al riguardo, per incentivare la formazione continua, l'articolo 16-quater del decreto legislativo n. 229 del 1999 prevedeva che «la partecipazione alle attività di formazione continua costituisce un requisito "indispensabile" per svolgere l'attività professionale in qualità di dipendente o di libero professionista, per conto delle aziende ospedaliere, delle università, delle unità sanitarie locali e delle strutture sanitarie private»;
   secondo il presidente della Fnomceo, Roberta Chersevani «la principale criticità emersa è che, a pochi mesi dalla scadenza del triennio formativo, sono ancora tanti i medici che non hanno completato il percorso Ecrn, sembrerebbe almeno il 50 per cento». Dato di calo confermato da Luigi Conte, segretario della Federazione, secondo cui nel 2015 è diminuito il numero di frequenze nei corsi;
   la proposta che emerge dalla tavola rotonda al Ministero della salute tra le associazioni dei pazienti, le istituzioni mediche, le personalità scientifiche e gli stakeholder del settore è quella di dare la possibilità ai pazienti di accedere ai risultati conseguiti nel triennio formativo dal proprio medico, consultandoli direttamente negli studi e negli ambulatori, o migliorando l'accessibilità della formazione attraverso strumenti di formazione multimediale e interattiva –:
   se la prescrizione di farmaci non efficaci per la fibrillazione atriale possa costituire un fenomeno diffuso anche in Italia;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di favorire l'educazione continua in medicina da parte degli operatori sanitari;
   se intenda assumere iniziative volte a realizzare le proposte emerse dalla tavola rotonda descritte in premessa. (5-09001)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OTTOBRE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'intesa raggiunta in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 16 dicembre 2010, relativa alle «linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», ha stabilito la permanenza dei punti nascita con un numero di parti all'anno pari o superiore a 500;
   tale requisito ha tolto, così, almeno il 30 per cento dei punti nascita presenti sul territorio nazionale, secondo i dati del 2013 forniti dalla banca dati SDO del Ministero della salute, senza tenere in considerazione la particolare situazione orografica delle regioni alpine, dove i punti nascita sono raggiungibili con notevole difficoltà, soprattutto nel periodo invernale che, come noto, in quelle zone è notevolmente prolungato, e dove c’è anche il problema della mancanza di bacino di utenza che, con tali scelte politiche, si contribuisce solo che ad alimentarlo;
   in Austria, Germania e Svizzera, invece, sono state fatte scelte diverse, più flessibili e più ragionevoli per le esigenze dei cittadini, nonostante tali Paesi debbano rispettare le medesime linee di indirizzo internazionali, con la «pronta disponibilità sostitutiva» di ginecologi, anestesisti e pediatri che garantisco una rapidità di intervento di 10 minuti;
   tutto ciò ha comportato che le regioni che non hanno il problema della presenza di zone montane o disagiate sono già riuscite a riorganizzare il percorso nascita, con la chiusura di 60 strutture tra il 2010 e il 2013, mentre le regioni dell'arco alpino e quelle che presentano difficili condizioni territoriali quali la distanza, l'orografia, nonché difficoltà a garantire il servizio di trasporto assistito materno (STAM) e il servizio di trasporto d'emergenza neonatale (STEN) ancora non riescono a riorganizzarsi;
   il Sottosegretario per la salute delegato, nella risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione del sottoscritto e dal deputato Borghese, in data 2 luglio 2015, si esprimeva «(...) L'Accordo ha previsto la persistenza di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti/anno, esclusivamente in caso di situazioni orografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti dall'Accordo per le UU.OO. ostetriche e neonatologico/pediatriche di Io livello.» continuando poi «il Ministero della salute verifica che l'erogazione dei LEA avvenga nel rispetto delle condizioni di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse, e accerta la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal SSNN; nonché che le strategie di riorganizzazione dei punti nascita siano coerenti con le politiche convenute nell'Accordo ed opera sulla sicurezza del percorso nascita una costante azione di affiancamento alle Regioni, attestata, tra l'altro, dal rinnovo, con d. m. del 19 dicembre 2014, del Comitato Percorso Nascita Nazionale, che supporta le regioni e le province autonome nell'attuazione delle migliori soluzioni per la qualità e la sicurezza del percorso nascita.» Concludendo con «La questione riguardante l'eventuale aggiornamento dei requisiti e degli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza che i punti nascita con volumi inferiori a 500 parti/anno devono possedere, è stata più volte affrontata e dibattuta nell'ambito del continuo confronto tra il Ministero della salute e regioni sulla sicurezza del percorso nascita. Tuttavia, emerge con ogni evidenza tecnico-scientifica che le modalità organizzative, seppur flessibili ed idonee, in particolare per strutture di zone disagiate con meno di 500 parti/anno, devono garantire gli standard qualitativi, di efficienza ed appropriatezza stabiliti dall'Accordo, che permettano il parto in condizioni di sicurezza»;
   la chiusura del punto nascita di Arco, a seguito della decisione della commissione ministeriale, lascia l'intera comunità perplessa, in quanto punto di riferimento di tutto l'Alto Garda, della Val di Ledro ma anche di comuni confinanti del bresciano e del veronese, da Malcesine a Limone, da Magasa a Tremosine;
   dal documento finale del Comitato precorso nascita nazionale, sembrerebbe che non siano stati minimamente presi in considerazione tutti i dati della Val di Ledro, una realtà di 5.400 residenti stabili che nelle stagioni turistiche aumentano esponenzialmente –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei canoni di valutazione applicati dal Comitato percorso nascita nazionale, per la scelta della chiusura del punto nascita di Arco e se tali valutazioni corrispondano ai dati reali della zona a cui il punto nascita fa riferimento;
   se il Ministro, a fronte degli ultimi dati nazionali da cui si ricava che l'Italia è ormai a numero di nascite negativo, non intenda tutelare, con le eventuali iniziative di salvaguardia di competenza, proprio quelle zone che ancora detengono dei dati di nascita in crescita. (4-13598)


   MELILLA, NICCHI, MARTELLI, MARCON, FERRARA e PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la difficile situazione dei pazienti affetti da cidp, poli-neuropatia cronica infiammatoria demielinizzante, mette in luce una significativa carenza nel nostro sistema sanitario nazionale con particolare riferimento all'ospedale di Chieti (reparto neurologia); la cidp è una grave patologia del sistema nervoso periferico. Con le modalità specifiche di ciascun caso, le crisi arrivano a generare una progressiva paralisi degli arti, a cominciare dagli arti inferiori, con possibilità di evoluzione in tetra-paresi e con rischi di insufficienze respiratorie per paresi delle corde vocali; la gravità di questa patologia dal risvolto doloroso e invalidante, nonché il disagio, sia fisico che psichico, dei pazienti affetti da tale patologia hanno giustamente motivato l'intenzione di una loro maggiore tutela da parte del nostro sistema sanitario nazionale;
   si tratta di un'intenzione legittimata dal fatto che la cidp si trova iscritta nell'elenco delle malattie rare del Ministero della salute – allegato 1 del decreto ministeriale n. 279 del 2001 codice di esenzione RFO180; in merito alla delicata situazione sopra esposta, si manifesta, a parere degli interroganti, una grave discordanza tra intenti e realizzazione effettiva nelle condizioni di assistenza a questi pazienti, discordanza legata, in primo luogo, alle consistenti difficoltà di accesso al trattamento terapeutico più accreditato per tale patologia, la somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa (IVIg);
   l'ampia letteratura in merito, sia sul territorio nazionale, che in ambito internazionale non ultimo un recentissimo contributo, presente su affermate riviste internazionali, dei neurologi dell'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Humanitas, legato all'università di Milano – attestano che il trattamento con IVIg si trova in prima linea nella cura di neuropatologie autoimmuni e, in particolare, della cidp; la somministrazione di immunoglobuline è praticata in day hospital a questi pazienti, con una certa regolarità che varia da caso a caso, presso le strutture ospedaliere di riferimento;
   qualora questo iter incontri ostacoli, i pazienti sono costretti, in caso di crisi in atto, a correre in pronto soccorso, dove vengono sottoposti a ricovero ospedaliero, nel corso del quale viene loro somministrata la terapia già menzionata; la difficoltà di cui sopra si traduce nel fatto che, a dispetto della consistente e accreditata letteratura, nonché della stessa prassi ospedaliera, i pazienti si confrontano da alcuni anni con gravi restrizioni nell'accessibilità o disponibilità del farmaco: è stato evidenziato che le strutture farmaceutiche presso le strutture ospedaliere affermano l'impossibilità di somministrare il farmaco per il trattamento della cidp oppure che, pur in presenza di specifiche richieste mediche e piani terapeutici, autorizzati, non ne hanno la disponibilità, avendo esaurite le rispettive voci previste dal bilancio annuale. Emergono spiacevoli situazioni che attestano mancanza di chiarezza, per non dire gravi carenze, sulle condizioni di assistenza di questi malati e sulle loro possibilità di trovare sul nostro territorio nazionale una sollecita e adeguata tutela; parlare di «difficoltà di reperimento del farmaco» per questi pazienti corrisponde all'oggettivo e sofferto aggravamento di una situazione già di per sé non facile, né indolore: difatti, se la somministrazione non è praticata tempestivamente, il peggioramento delle condizioni del paziente, al manifestarsi della Crisi, si fa rapido e drastico e, conseguentemente, il recupero è più lento e sofferto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa e quali iniziative per quanto di competenza, anche di natura normativa – intenda predisporre al fine di risolvere la sopra indicata situazione di drammatica criticità, e affinché, agli intenti di tutela dei pazienti sopra richiamati corrisponda un effettivo e pieno sostegno per coloro che, insieme alle loro famiglie si trovano o possono trovarsi ad affrontare situazioni di così grave disagio. (4-13601)


   TONINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di una rivelazione anonima suffragata da immagini sono state rilevate criticità igieniche, nonché la scorretta conservazione dei farmaci nella farmacia comunale n. 3 del comune di Lodi, farmacia aperta all'interno dell'Ospedale Maggiore il 21 ottobre 2013 e aperta 24 ore al giorno dal 1o giugno 2014, come riportato anche dalla stampa locale (articolo «Scatoloni della farmacia comunale nell'Ospedale Maggiore collocati in un locale poco igienico», su il Giorno del 18 giugno 2016). La segnalazione è relativa alla presenza di scatoloni contenenti farmaci accatastati in un locale (sulle cui vetrate si legge «prossima apertura») ancora grezzo e in cemento arato, poggiati su bancali o a terra, esposti alla luce del sole, per i quali il timore è che non sia rispettati i requisiti di pulizia e di conservazione in ambienti climatizzati necessari al mantenimento dei farmaci nelle corrette condizioni per la successiva distribuzione al pubblico;
   se confermata, si tratterebbe di una situazione estremamente grave, potenzialmente da i osa per la gestione pubblica della farmacia, in capo all'Azienda farmacie comunali Lodi s.r.l. (A.F.C. Lodi s.r.1.) società il cui socio unico e ASTEM s.p.a., società per azioni a capitale pubblico partecipata da 35 comuni delle province di Lodi e Milano per la gestione dei servizi pubblici locali;
   la pericolosità della situazione è naturalmente molto maggiore non solo per i pur rilevanti motivi strettamente economici ma soprattutto per gli effetti sui fruitori dei servizio, dal momento che esso ha a oggetto la distribuzione e vendita di farmaci che, se non correttamente conservati, potrebbero esporre a pericolo la salute dei cittadini che li assumessero o che li hanno assunti;
   ciò anche in ragione dell'importanza della farmacia comunale in questione, che, come si è detto, è aperta all'interno del più importante ospedale della città e del territorio, 24 ore al giorno, e quindi fornisce un bacino molto elevato di cittadini;
   a questo proposito si segnala che la presenza di magazzini non idonei per la conservazione dei farmaci sarebbe stata già rilevata nel corso degli ultimi tre mesi nell'ambito delle ispezioni della competente ASL – ATS Milano Città Metropolitana, senza successivi interventi, senza dubbio necessari, cosa che giustifica il quesito che si va a formulare –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione di cui alla premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare, anche promuovendo una verifica del comando dei carabinieri per la tutela della salute (Nas), per accertare le condizioni di conservazione dei farmaci di cui in premessa a garanzia della corretta gestione delle risorse pubbliche e della tutela della salute dei cittadini nel caso in questione. (4-13607)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, FOLINO, PLACIDO, AIRAUDO, PIRAS, MELILLA, QUARANTA, DURANTI, SCOTTO e NICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Azimut-Benetti è uno dei maggiori gruppi privati attivi nel settore della nautica. Il Gruppo opera e produce in 6 stabilimenti – attualmente situati ad Avigliana (Torino), Savona, Viareggio, Livorno, Fano (Pesaro), Itajai (Brasile) –, con oltre 40 modelli in produzione;
   lo stabilimento di Fano è specializzato nella realizzazione di gusci in vetroresina e scafi, potendo disporre di personale altamente qualificato ed un sito produttivo in grado di operare con elevati standard di qualità e sicurezza;
   il livello di produzione dello stabilimento negli ultimi tre anni è stato intenso, con produzione a pieno regime sino allo scorso maggio. Tuttavia l'azienda ha avanzato richiesta di cassa integrazione per 40 lavoratori (attualmente lo stabilimento impiega 89 tra operai e impiegati, dei quali 30 già in cassa integrazione) dovuta alla presenza di dieci yacht invenduti;
   in data 23 giugno 2016 i lavoratori dello stabilimento Azimut-Benetti di Fano hanno proclamato lo stato di agitazione a seguito della decisione del vertice aziendale di cedere il ramo di azienda, con il rischio di una prossima chiusura dello stabilimento;
   alla base di tale decisione, secondo quanto sostengono le organizzazioni sindacali prontamente attivatesi sulla vertenza, ci sarebbe la volontà dell'azienda di ridurre il costo del lavoro, esternalizzando la produzione ad altre ditte (Il Resto del Carlino, edizione Pesaro, 24 giugno 2016);
   le organizzazioni sindacali hanno già in prima battuta avanzato delle ipotesi tecnico-produttive per mantenere attivo lo stabilimento, tuttavia respinte dall'azienda (Il Corriere Adriatico, edizione Pesaro, 24 giugno 2016);
   la vicenda dello stabilimento Azimut-Benetti si innesta in una crisi più ampia del settore nautico che ha interessato l'intera area della Val Metauro (in provincia di Pesaro) tempo fiore all'occhiello di questo settore;
   la chiusura di questo stabilimento comporterebbe enormi criticità sia per il numero di lavoratori coinvolti (89) sia per la dispersione di elevate competenze produttive maturate in questo settore –:
   se il Ministro interrogato non intenda convocare tempestivamente un tavolo di confronto tra i vertici aziendali di Azimut-Benetti, le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali, al fine di mettere in atto tutte le iniziative possibili volte a scongiurare la chiusura del sito produttivo di Fano. (5-09000)

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Kronbichler n. 2-01398, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 637 del 14 giugno 2016.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'Accordo di libero scambio e investimento fra il Canada e la Unione europea (Comprehensive Economic and Trade Agreement – CETA) mira alla più ampia liberalizzazione nella storia dei negoziati commerciali dell'Unione europea, e per questo motivo le implicazioni politiche ed economiche sui Paesi membri della Unione europea sono enormi;
   in una risposta scritta a una interrogazione (n. 4-05993) presentata l'11 settembre 2014 dal deputato Plangger il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova ha affermato che il Governo considera il CETA un contratto di natura «mista» e non di esclusiva competenza dell'Unione europea in quanto «tratta in misura rilevante questioni di competenza mista o esclusiva degli stati membri, quali la proprietà intellettuale, i trasporti, la sicurezza sul lavoro, gli investimenti – e sosterrà tale linea nelle sedi competenti»;
   pare che la settimana scorsa il Governo italiano, rappresentato dal Ministro Calenda, in sede di Unione europea abbia sottolineato la sua posizione sulla ratifica del CETA: un accordo «non misto», che non necessita quindi di alcuna verifica da parte dei parlamenti nazionali;
   tale presa di posizione contraddice la posizione del Governo espressa nel 2014 e mira ad escludere dal processo i parlamentari nazionali;
   molti parlamentari, dopo essere entrati per la prima volta nella sala di lettura del TTIP in Italia, di cui il CETA è il naturale preludio, hanno espresso gravi preoccupazioni;
   la posizione del Governo italiano è molto distante da quella di altri Paesi, come Lussemburgo e Francia, e appare come un tentativo di esautorare il ruolo di quanti, democraticamente eletti, fanno parte del Parlamento italiano;
   vantaggi commerciali promessi ma non dimostrabili ammonterebbero a circa 5,8 miliardi di euro l'anno, con un risparmio per gli esportatori europei di 500 milioni di euro annui dovuta all'eliminazione di quasi tutti i dazi all'importazione. Sul mercato del lavoro, poi, uno studio congiunto di Unione europea-Canada ipotizza 80 mila nuovi posti di lavoro;
   i dazi sarebbero aboliti rapidamente. La maggior parte di essi sarebbero soppressi con l'entrata in vigore dell'accordo. Dopo sette anni, non vi sarebbe più alcun dazio doganale tra l'Unione europea e il Canada sui prodotti industriali;
   i dazi verrebbero aboliti in misura considerevole anche nel settore agricolo e alimentare. Quasi il 92 per cento dei prodotti agricoli e alimentari dell'Unione europea verrebbero esportati in Canada in esenzione dai dazi;
   le preoccupazioni, invece vedono l'incedere di scenari più articolati: «Con il via libera al CETA, la maggior parte delle multinazionali americane, già attive sul territorio canadese, potranno citare in giudizio nei tribunali internazionali privati le aziende europee, avvalendosi della clausola Investment court system (Ics, il sistema giudiziario arbitrale per la difesa degli investimenti), omologo dell'Isds inserito nel Ttip, che tanti Paesi Ue stanno osteggiando». Sono già 42 mila le aziende operanti nell'Unione che fanno capo a società statunitensi con filiali in Canada, con l'approvazione del Ceta queste imprese potrebbero intentare cause agli Stati per conto degli Stati Uniti senza che il Ttip sia ancora entrato in vigore, assicurano i promotori. Dopo cinque anni di negoziati, dal 2009 al 2014, per il via libera al Ceta manca solo il voto finale, e quindi la firma. In caso di approvazione entro il 2016, da parte del Consiglio e del Parlamento europeo, il Ceta potrebbe entrare in vigore all'inizio del 2017 previa approvazione dei legislatori, canadesi;
   il trattato di riforma noto come Trattato di Lisbona stabilisce che la politica commerciale dei paesi della Unione europea sia competenza esclusiva dell'Unione europea in materia di investimenti diretti esteri (articoli 207 e 208 TFUE), a condizione che l'accordo non riguardi competenze nazionali;
   i presidenti di 21 Commissioni parlamentari di Parlamenti nazionali hanno indirizzato una lettera il 25 giugno 2014 in cui si sono fatti portavoce dell'opportunità di considerare i relativi accordi (il TTIP ma anche il CETA), una volta conclusi, di natura «mista», con conseguente necessità di sottoporre il testo al processo di ratifica presso i Parlamenti di tutti gli Stati membri sulla base delle norme costituzionali vigenti in ognuno di essi;
   nella lettera viene inoltre richiesto che i parlamenti nazionali esercitino una specifica competenza su un numero maggiore di accordi di libero scambio e che abbiano un ampio accesso alle informazioni sui negoziati in corso al fine di poter meglio esprimere i loro orientamenti. A tal proposito, i 21 presidenti di Commissioni parlamentari di Parlamenti nazionali in seno alla Conferenza dei Presidenti dei parlamenti dell'Unione europea tenutasi a Roma il 20 e 21 aprile 2015, hanno espresso apprezzamento per la decisione del Consiglio di rendere pubblici i mandati negoziali e per l'impegno della Commissione europea a rendere pubblici il maggior numero di testi possibile, fornendo anche l'accesso ai testi relativi al TTIP a tutti i membri del Parlamento europeo all'interno della «sala di lettura». I Presidenti, hanno quindi invitato la Commissione europea a garantire il medesimo accesso anche ai parlamenti nazionali;
   nel mandato negoziale definito nel 2011, i Governi dell'Unione europea hanno sottolineato che il CETA non può essere considerato un accordo su cui la Commissione possa vantare competenza esclusiva. In tema di investimenti, ad esempio, soprattutto per quanto riguarda la temibile clausola ISDS, la competenza dev'essere mista, cioè prevedere la ratifica di tutti i Parlamenti degli Stati membri. Circa 42 mila aziende già operanti nell'Unione fanno capo a società statunitensi con filiali in Canada. Queste imprese potrebbero intentare cause agli Stati per conto degli Stati Uniti senza che il TTIP sia ancora entrato in vigore. Infatti, basterà semplicemente ratificare il CETA per rendere attive queste procedure;
   la discussione è già stata affrontata nei parlamenti nazionali facenti parte dell'Unione europea (Francia, Lussemburgo, Belgio/Vallonia, Paesi Bassi) che hanno recentemente approvato risoluzioni in cui chiedono che il CETA sia ratificato anche a livello nazionale;
    la eventuale scelta di non sottoporre il CETA e il TTIP al passaggio parlamentare, ad avviso degli interpellanti limita proprio le prerogative parlamentari e comprime la sovranità nazionale ben oltre quanto stabilito dal trattato di Lisbona –:
   quale sia la posizione del Governo in merito al necessario passaggio parlamentare viste le differenti posizioni assunte nel tempo dallo stesso;
   se il Governo non intenda rivendicare in sede di Unione europea il ruolo dei parlamenti nazionali a discutere e a votare il CETA;
   se il Governo non ritenga lesiva degli interessi italiani l'adozione di un contratto commerciale che metta in serio pericolo molte aziende italiane impegnate in produzioni di made in Italy di qualità;
   se non ritenga che l'ingresso in Italia di prodotti di largo consumo a basso controllo possa rappresentare un reale pericolo per la salute dei cittadini italiani;
   se non ritenga necessario rivedere più approfonditamente i termini dell'accordo, anche attraverso il passaggio parlamentare per permettere al Parlamento di non essere privato del diritto di approfondire ed esprimersi su temi tanto sensibili;
   quali iniziative intenda adottare al fine di non esporre l'Italia alle cause che le multinazionali potrebbero intentare dopo l'adozione del CETA;
   se il Governo non intenda fornire ulteriori informazioni riguardo alla decisione compreso il quadro giuridico internazionale in cui è maturata, di non consentire al Parlamento italiano di approfondire ed eventualmente ratificare i negoziati sui trattati internazionali, come il TTIP e il CETA;
   se il Governo non intenda adottare tutte le possibili iniziative al fine di rendere trasparente, democratica e partecipata la valutazione di accordi internazionali della portata del TTIP e del CETA, che avranno ricadute enormi sulla economia del Paese e della popolazione.
(2-01398)
«Kronbichler, Scotto, Marcon, Zaccagnini, Gallinella».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Dellai n. 4-13576, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 641 del 24 giugno 2016.

   DELLAI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo stato dei treni «Frecciargento» in servizio sulla tratta Roma-Bolzano è oggetto da tempo di lamentele e di giuste osservazioni dei passeggeri;
   l'inefficienza delle cosiddette «Frecce» in servizio presso la succitata linea ferroviaria Roma-Bolzano, infatti, sta raggiungendo livelli intollerabili;
   mentre su altre tratte, evidentemente considerate più importanti, si annunciano novità e servizi sempre più efficaci, sulla linea del Brennero i viaggiatori devono accontentarsi di mezzi inadeguati;
   appare, quindi all'interrogante quasi beffardo il nuovo spot televisivo (relativo ai treni Frecciarossa) che afferma che se si sorride è perché si è viaggiato bene grazie a Trenitalia. Si può dire, purtroppo, che il viaggiatore che va da Roma a Bolzano (e viceversa) ha, sempre a parere dell'interrogante, poco da sorridere;
   non appare, poi, accettabile, viste le condizioni sopra esposte, la soddisfazione che ad inizio anno Trenitalia ha espresso segnalando l'aumento di viaggiatori sulle tratte da Roma a Bolzano, Rovereto, Trento, visto che questo aumento di viaggiatori non ha avuto un corrispettivo in miglioramenti dei servizi –:
   se ed eventualmente quando sia prevista la sostituzione dei treni Frecciargento in esercizio attualmente sulla tratta Roma-Bolzano per adeguare lo standard di servizio a quello delle altre tratte ad alta velocità, non essendo accettabile il fatto che i passeggeri interessati a tale tragitto abbiano minori diritti rispetto agli altri viaggiatori. (4-13576)

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BRAGA, QUARTAPELLE PROCOPIO e FEDI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la scuola statale italiana di Addis Abeba, dal 2011 riunita sotto un'unica dirigenza con il nome di «Istituto statale italiano omnicomprensivo», è presente in Etiopia fin dagli anni cinquanta del secolo scorso;
   nata nel 1954 come scuola elementare italiana, con sede in un edificio situato nella zona centrale dell'urbanizzazione italiana di Piazza, per offrire ai connazionali espatriati la possibilità di studiare in un contesto identico a quello metropolitano, la scuola ha successivamente conosciuto un'espansione che l'ha portata a spostarsi nell'attuale sede, in un campus progettato e costruito per offrire un completo corso di studi primari e secondari, portando gli studenti alla maturità tecnica per geometri;
   nel corso degli anni, per le note vicende che hanno segnato la storia dell'Etiopia, la presenza di italiani si è progressivamente ridotta e la scuola, da nazionale, si è gradualmente trasformata in una scuola a carattere internazionale, prima, e come scuola straniera cui si rivolge l'utenza locale, poi;
   a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, infatti, la scuola statale italiana ha registrato un costante aumento della presenza di studenti di nazionalità etiopica, dato in aumento che oggi raggiunge il 74 per cento dell'utenza totale e che vede la restante percentuale di studenti di nazionalità italiana che non sono però degli espatriati;
   secondo quanto si apprende da fonti interne all'istituto la scuola statale italiana in Etiopia è oggi appiattita su corsi tecnici, mancando il liceo, e non ha, in questo momento, le risorse per modificare la situazione che porta ad un inevitabile allontanamento dell'utenza italiana e alla dispersione di quella etiopica e che allontana i potenziali utenti della vasta comunità internazionale;
   tale dispersione si caratterizza per una deriva verso il basso, per chi non riesce a sostenere il carico cognitivo richiesto dal curricolo italiano e, quindi, abbandona gli studi o permane per troppo tempo dentro il sistema senza raggiungere risultati soddisfacenti; una deriva verso l'alto, per chi intende proseguire gli studi a livello universitario;
   infine, tutto questo si traduce in una perdita di credibilità e di sostenibilità della offerta formativa italiana e in una sostanziale uscita di studenti dal sistema scolastico italiano con tutte le conseguenze evidenti, non solo a livello di immagine, sia in Italia, sia all'estero, ma anche in ogni settore dell'indotto generato dal completamento degli studi dentro il sistema scolastico e dall'ingresso nel mondo del lavoro;
   l'ipotesi di una riapertura del liceo, non necessariamente scientifico, consentirebbe, nel diversificare l'offerta formativa, di trattenere quella parte di utenza che abbandona oggi la scuola italiana e di rendere la scuola maggiormente attraente anche per la comunità internazionale, se opportunamente potenziata negli insegnamenti in lingua inglese. In una logica di contenimento dei costi e di efficienza ed efficacia dell'azione educativa, appare opportuno rinunciare a un corso di studi tecnici, preferibilmente l'indirizzo, amministrazione, finanza e marketing, a favore del mantenimento del corso «costruzioni, ambiente e territorio», che rappresenta la storia della scuola secondaria italiana ad Addis Abeba e che, per la sua unicità nel panorama degli studi secondari presente sia in Europa, sia tra le scuole internazionali di Addis Abeba, consente: sia un rapido inserimento nel mondo del lavoro, in un settore dove grande è la richiesta di tecnici; sia un'adeguata preparazione per l'eventuale accesso agli studi universitari –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle vicende sovraesposte;
   se intendano valutare l'opportunità di autorizzare una rimodulazione dei corsi di scuola di secondo grado presso l'istituto comprensivo italiano di Addis Abeba in Etiopia, introducendo nuovamente un corso di studi liceali. (4-12285)

  Risposta. — L'offerta formativa delle scuole italiane all'estero viene modulata e adeguata alle esigenze locali per assicurarne il successo e la sostenibilità presso l'utenza. La scuola di Addis Abeba in particolare comprende il livello primario e quello secondario di I e II grado; è annessa alla struttura anche una scuola dell'infanzia paritaria. Con riferimento alla secondaria di II grado, sono operativi due indirizzi tecnici: «Amministrazione, Finanza e Marketing» (ex ragioneria) e «Costruzione, Ambiente e Territorio» (ex (geometri), entrambi di durata quinquennale.
  Fino all'anno scolastico 2013/14 era anche attivo un liceo scientifico, rispetto al quale è stata realizzata una graduale soppressione, a partire dalla prima classe nell'anno scolastico 2010/2011. Tale chiusura è stata effettuata su indicazione dell'ambasciata, in considerazione dell'esiguità del numero degli studenti frequentanti il liceo (37 alunni ripartiti in 5 classi), che denotava una mancanza di interesse da parte dell'utenza verso questo tipo di offerta formativa.
  Recentemente l'ambasciata ha segnalato di avere riscontrato elementi a favore di un ulteriore rinnovamento, in particolare la sede ha chiesto di valutare l'opportunità di stabilire un indirizzo liceale in «Scienze Umane, opzione economico-sociale», in sostituzione dell'indirizzo tecnico «Amministrazione, Finanza e Marketing», che ha un numero ridotto di studenti frequentanti (70 studenti contro i 102 dell'altro indirizzo). Ciò per dare risposta alle mutate esigenze socio-economiche dell'Etiopia e alle richieste del territorio e dell'utenza. Si tratta di un tipo di istruzione secondaria di II grado introdotta in Italia nel 2010 con la riforma degli ordinamenti delle scuole in parola. All'estero è già in vigore in Brasile (Belo Horizonte, presso «l'Istituto Italo-Brasiliano Biculturale Fondazione Torino»), in Svizzera (Lugano, presso l'Istituto Elvetico) e, più di recente, in Argentina (Buenos Aires, presso l'istituto «Cristoforo Colombo») e in Cile (Valparaiso-Viña del Mar, presso l'istituto «Arturo dell'Oro»).
  La Farnesina, concordando con l'esigenza di ampliamento dell'utenza e di contenimento della dispersione scolastica anche attraverso il rinnovamento dell'offerta formativa, sta avviando i contatti con le altre amministrazioni competenti, per poter dare attuazione alla trasformazione già a partire dal 1o settembre 2016, con sostituzione graduale dell'indirizzo tecnico di «Amministrazione, Finanza e Marketing». Tale decisione è stata assunta anche tenendo conto della tendenza – segnalata dalla sede – in cui sta andando il sistema universitario etiopico, che consente oggi ad un numero maggiore di giovani di accedere a livelli di istruzione superiore che, nella maggior parte dei casi, riguardano l'ambito scientifico.
  Quanto alla considerazione della scuola italiana nella realtà etiope, si segnala che l'ambasciata d'Italia in Addis Abeba ha ricevuto negli ultimi tempi numerosi attestati di apprezzamento per la sua attività, l'ammodernamento delle infrastrutture e l'accresciuta interazione con le altre istituzioni (italiane e non), fra cui il nostro istituto di cultura. Si segnala che la scuola italiana di Addis Abeba nel corso dell'anno scolastico 2014/15 è entrata a far parte delle «Scuole associate UNESCO»; quest'anno ha aderito alla VI edizione delle Olimpiadi di italiano, iscrivendo alla competizione 14 studenti; una delegazione di docenti e studenti ha partecipato, in rappresentanza delle scuole italiane all'estero, alla cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico alla presenza del Presidente della Repubblica, a Napoli il 28 settembre 2015.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il primo atto del neo commissario della asl di Salerno Antonio Postiglione rischia di finire nelle aule di tribunale;
   la vicenda riguarda la revoca, del tutto immotivata, dell'incarico a Carmela Rescigno, medico chirurgo da due anni alla guida dell'unità operativa di osservazione breve e intensiva dell'ospedale Umberto I di Nocera Inferiore e il suo trasferimento all'ospedale di Sarno;
   la dirigente era stata assegnata a tempo pieno presso il presidio ospedaliero Nocera-Pagani dove ha sempre garantito il proprio impegno per istituire, organizzare e gestire l'osservazione breve intensiva con l'attivazione di 4 posti letto;
   per questo alla dottoressa Rescigno veniva, altresì, affidata la direzione dell'OBI di Nocera, che sotto la sua guida conseguiva risultati quantitativi e qualitativi degni di nota in termini di miglioramento dei percorsi in emergenza urgenza;
   gli ottimi risultati raggiunti grazie alla professionalità e al serio lavoro della dottoressa Rescigno sono dati acclamati che prescindono dall'appartenenza politica, motivo per cui il provvedimento assunto da Antonio Postiglione presenterebbe evidenti profili di dubbia legittimità;
   tale scelta non può giustificarsi nemmeno con la presunta carenza di organico presso il presidio ospedaliero di Sarno, dove invece risulterebbero operativi i chirurghi trasferiti a seguito della chiusura dell'ospedale di Scafati, posto che una significativa carenza di organico è analogamente registrabile presso l'ospedale di Nocera Inferiore;
   il sistema sanitario campano presenta una tenuta territoriale molto problematica e la sfida dei prossimi anni è uscire dal commissariamento per raggiungere i livelli essenziali di assistenza paragonabili alle regioni migliori;
   solo la fine delle cattive pratiche clientelari e della eccessiva politicizzazione, che hanno messo in ginocchio quello che è un settore fondamentale per la vita dei cittadini, potrà portare a criteri meritocratici e di efficienza gestionale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative intenda adottare, anche per il tramite della struttura commissariale campana, per acquisire elementi sulla legittimità del trasferimento della dottoressa Carmela Rescigno disposto dal neo commissario della asl di Salerno Antonio Postiglione. (4-10382)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame, sulla base delle notizie acquisite per il tramite della prefettura – ufficio territoriale del Governo di Salerno.
  In data 24 giugno 2013, con disposizione del direttore generale dell'azienda sanitaria locale di Salerno, la dottoressa Carmela Rescigno, appartenente al presidio ospedaliero di Sarno, è stata distaccata, temporaneamente, con l'incarico di referente per il coordinamento delle attività di emergenza-urgenza, presso il presidio ospedaliero di Agropoli.
  Successivamente, con nota dirigenziale del 26 marzo 2014, la stessa è stata assegnata al dipartimento di emergenza e accettazione (D.E.A.) di Nocera – Pagani, con l'incarico di elaborare un piano finalizzato alla organizzazione delle attività di osservazione breve intensiva.
  Conseguentemente, in data 11 giugno 2014, l'allora direttore generale dell'azienda sanitaria locale (A.S.L.), con atto di affidamento temporaneo, ha assegnato la dottoressa Rescigno presso il pronto soccorso del presidio ospedaliero di Nocera – Pagani, per l'attivazione e l'organizzazione di quattro posti letto di osservazione breve intensiva (O.B.I).
  In data 31 agosto 2015, il neo commissario straordinario dell'A.S.L. di Salerno, viste le esigenze rappresentate dalla direzione medica del presidio ospedaliero di Sarno circa le carenze di personale dirigente medico, ha disposto il rientro della dottoressa presso il presidio ospedaliero di provenienza.
  Avverso tale provvedimento, l'interessata ha proposto impugnazione dinanzi al tribunale di Nocera Inferiore che, con ordinanza resa in data 14 gennaio 2016, ha rigettato il ricorso sostenendo che dalla lettura della documentazione prodotta è emerso che alla dottoressa Rescigno non è stato conferito «uno stabile incarico dirigenziale, con apposito contratto indirizzato alla direzione dell'U.O. di O.B.I., costituita presso il presidio ospedaliero di Nocera – Pagani, bensì la sola assegnazione temporanea in attesa dell'approvazione da parte della regione Campania dell'atto aziendale e del piano di emergenza territoriale.
  La temporaneità dell'incarico, conferito senza un termine di scadenza, lo rende intrinsecamente revocabile, non consentendo – la precarietà di tale situazione di distacco – di configurare la disposizione di «rientro con effetto immediato» del dirigente medico presso il presidio ospedaliero di provenienza in guisa di un trasferimento in senso tecnico. Restano, pertanto, inapplicabili al caso di specie le disposizioni legali e contrattuali previste in materia di trasferimento o di mobilità interna poste a fondamento del ricorso».
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04203 depositata in data 26 marzo 2014 indirizzata i Ministri dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti, il firmatario del presente atto chiedeva informazioni riguardanti, tra le altre, la rotatoria che sorge lungo la strada statale 32 «Ticinese», all'altezza del bivio con la SP83 e Cascina Rosa, segnalando peraltro come questa risultasse già ai tempi priva della prevista illuminazione (in quanto al centro vi sorge una torre faro) e di qualsiasi tipo di segnaletica temporanea;
   con risposta pervenuta al sottoscritto in data 6 agosto 2014 a firma del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore Lupi, il Governo informava di come, secondo le informazioni da esso raccolte, «[...] il suddetto impianto di illuminazione risulta regolarmente funzionante [...]»;
   come si può leggere dall'articolo pubblicato in data 19 novembre 2015 sul sito www.corrieredinovara.it dal titolo: «Strada statale 32 chiusa parzialmente al traffico», si apprende di come la «Strada statale 32 chiusa nel tratto compreso tra la rotonda della Procos e la rotonda di Cavagliano, che conduce all'aeroporto di Cameri. Qui per cause in fase di ricostruzione da parte della polizia stradale di Novara un'autovettura è andata a sbattere contro la torre faro, danneggiandola gravemente alla base»;
   nell'aggiornamento pubblicato poche ore dopo sullo stesso sito web già citato dal titolo: «Ancora chiusa l'ex statale 32: riapertura probabile nel pomeriggio», si riporta come «Intanto i residenti in zona lamentano l'assenza di illuminazione. «Quella rotonda – riferisce Federico Mazzaron – è sempre spenta. Ovvio che, con la nebbia, diventi pericolosa ! Sono giorni che, con questa forte nebbia, la rotonda non si vede nemmeno e sono anni che i residenti chiedono un immediato intervento» –:
   se si intenda provvedere riguardo all'ormai continua e palese mancanza di fornitura elettrica all'impianto installato presso la rotonda in questione;
   se possano, dopo aver contattato tutti gli enti preposti, indicare una data precisa entro cui tale impianto di illuminazione entrerà definitivamente in funzione;
   una volta in funzione, se si intenda verificare periodicamente che il soggetto competente per la gestione e manutenzione dell'impianto provveda realmente all'erogazione del servizio. (4-11225)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il malfunzionamento degli impianti di illuminazione presenti lungo la strada statale 32 Ticinese deriva da problemi di dispersione elettrica che, generando l'attivazione dei dispositivi di protezione, provoca il conseguente spegnimento dell'impianto stesso.
  L'ANAS informa che sta eseguendo le necessarie verifiche per individuare le cause del malfunzionamento e provvederà ad eseguire gli interventi necessari per la risoluzione del guasto entro la fine del mese di maggio 2016.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tramite gli organi di informazione si è appreso che il presidente delle Ferrovie Sud-est ha inviato una relazione al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nella quale ha evidenziato la disastrosa situazione in cui versa l'azienda che gestisce la più importante rete ferroviaria privata d'Italia –:
   quali iniziative si intendano porre in essere alla luce di quanto appreso tramite la citata relazione. (4-11493)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativo alla grave situazione finanziaria della società Ferrovie del sud est e servizi automobilistici srl, si comunica quanto segue.
  L'articolo 1, comma 867, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016) ha previsto che con decreto Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia disposto il commissariamento della suddetta società e la nomina del commissario ed eventuali sub-commissari.
  Con il successivo decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 12 gennaio 2016 sono stati nominati il commissario e i sub-commissari con il compito di predisporre un piano industriale per il risanamento dell'azienda Ferrovie del sud est e servizi automobilistici che preveda, tra l'altro, la riduzione dei costi di funzionamento dell'azienda stessa.
  Il commissario è incaricato, altresì, di predisporre una dettagliata e documentata relazione in merito allo stato finanziario e patrimoniale della società nonché alle cause che hanno determinato la grave situazione finanziaria della medesima anche ai fini della valutazione dell'esercizio dell'azione di responsabilità ai sensi dell'articolo 2393 del codice civile.
  Tale relazione riassume in sé, con un grado di approfondimento e certificazione ulteriore, i punti già evidenziati nella comunicazione predisposta dal rinnovato Consiglio di amministrazione alla fine del 2015 che è stata trasmessa alle magistrature competenti. La relazione di cui alla legge di stabilità verrà pubblicata, come previsto, dal sito Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Nelle more dell'attuazione del citato piano di risanamento, supportato da un piano industriale da predisporsi da parte del commissario, al fine di assicurare la continuità operativa delle Ferrovie del sud est la citata legge di stabilità 2016 ha autorizzato la spesa di 70 milioni di euro per l'anno 2016.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da diversi organi di stampa risulta che a seguito di incontri svolti alla Presidenza del Consiglio dei ministri il Ministro dell'interno avrebbe manifestato il proprio favore per accorpare le elezioni comunali con le elezioni regionali del Veneto; emergerebbe che tale tornata elettorale dovrebbe svolgersi nel mese di marzo;
   l'articolo 122 della Costituzione stabilisce, tra l'altro, che «Il sistema di elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e incompatibilità del Presidente, dei componenti della Giunta e dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica che ne prevede anche la durata degli organi elettivi»;
   la regione Veneto, ha approvato la legge regionale n. 5 del 16 gennaio 2012, nella quale si stabilisce, all'articolo 11, comma 1, che: «L'elezione del consiglio regionale e del presidente della giunta, fermo restando quanto previsto dalla disciplina statale, hanno luogo nel periodo tra il 15 maggio e 15 giugno»;
   non si comprende in che modo gli accordi dei quali si ha notizia sulla stampa possano conciliarsi con il termine per lo svolgimento delle elezioni regionali, fissato dalla legge regionale n. 5 del 2012 –:
   se il Governo possa confermare la possibilità, emersa sulla stampa, di un election day nel mese di marzo 2015, nel quale si svolgerebbero sia le elezioni amministrative che quelle regionali. (4-05997)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si richiede conferma di notizie emerse sulla stampa di un possibile election day nel mese di marzo 2015, per le elezioni amministrative e regionali.
  Al riguardo, come richiamato dall'interrogante la legge 7 giugno 1991, n. 182, recante «Norme per lo svolgimento delle elezioni dei consigli provinciali, comunali e circoscrizionali», e successive modificazioni, ha stabilito che le elezioni per il rinnovo dei consigli comunali debbano svolgersi in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.
  Per quanto, invece, riguarda la regione Veneto – che, con legge del 16 gennaio 2012, n. 5, ha previsto che le elezioni del consiglio regionale e del presidente della giunta, fermo restando quanto previsto dalla normativa statale, abbiano luogo nel periodo che intercorre tra il 15 maggio e il 5 giugno – con decreto del presidente della giunta regionale n. 44 del 27 marzo 2015, pubblicato nel BUR n. 30 del 27 marzo 2015, sono stati convocati per domenica 31 maggio 2015 i comizi per l'elezione del consiglio regionale e del presidente della giunta regionale, atteso che con decreto del Ministro dell'interno del 19 marzo 2015 erano state indette per la stessa data le elezioni amministrative.
  Le predette elezioni si sono poi, come noto, regolarmente svolte in data 31 maggio 2015.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGianclaudio Bressa.


   D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 settembre 2015, lungo l'arteria della strada statale 114, la corretta viabilità è stata interrotta, in entrambi i sensi di marcia, in località Capo Alì, a causa di alcuni cedimenti del costone di montagna adiacente, provocando l'invasione di numerosi frammenti di massi e di terriccio lungo la carreggiata, rendendone inevitabilmente necessaria la chiusura;
   tale tratto stradale, compreso nella «Strada Statale 114 — Orientale Sicula», risulta compreso tra quelli di diretta competenza Anas, gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale, la quale risulta essere una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze, e sottoposta al controllo ed alla vigilanza tecnica ed operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   per tali motivi sono accorsi sul luogo gli stessi uomini della società Anas, per verificare e quantificare tempestivamente i danni occorsi al tratto di strada soggetto all'evento franoso, i quali, di concerto con le autorità di polizia competenti, hanno disposto la chiusura dell'arteria fino alla sua completa messa in sicurezza;
   già in data 9 settembre 2015 il quotidiano consultabile online «Tempostretto» riportava alcune dichiarazioni di esponenti del consiglio Comunale, i quali riconducevano l'evento «all'ennesimo problema a causa dei ritardi di interventi risolutori e definitivi», e affermavano che «si rende necessario il cambio delle rete di protezione con reti più moderne ed efficienti che in altri luoghi hanno dato ottimi risultati», evidenziando una frequenza preoccupante nei disagi di simile natura avvenuti nello stesso tratto stradale;
   allo stesso tempo il quotidiano annunciava che, ancora una volta, per i cittadini residenti, o comunque fruitori del tratto di strada in oggetto, si sarebbero verificati, nei giorni a seguire, gravi disagi per l'interruzione totale di tutti i servizi di collegamento lungo l'arteria statale jonica;
   in data 11 settembre 2015, lo stesso quotidiano pubblicava un altro articolo, in cui si riportavano alcune importanti dichiarazioni rilasciate da esponenti del Comitato «No Frane» della riviera jonica messinese, che, evidenziando la ripetitività degli eventi franosi nella località considerata, sottolineavano come «la mancata adozione di provvedimenti definitivi in merito prospetta un autunno-inverno difficile e pieno di pericoli fisici per i lavoratori e cittadini che si devono spostare verso Taormina o verso Messina, senza che le autorità competenti abbiano risolto in maniera strutturale e definitiva un problema vitale per la circolazione, che si trascina da decenni, mettendo a rischio la vita delle persone»;
   gli stessi esponenti hanno dichiarato come sia ormai da diverso tempo «che si mettono e rimettono reti più o meno efficienti con gli stessi risultati, nuove e continue frane ad ogni temporale», considerando come piuttosto «non sia mai stata realizzata una galleria para massi», così come invece creata in altre zone del tratto di strada stradale, denunciando possibili speculazioni «sulla manutenzione di quel tratto stradale fragile che durante l'autunno e l'inverno fa da cassa per molte ditte che curano per così dire la zona»;
   in data 21 settembre 2015 il sito di informazione locale «blogTaormina», consultabile online, riportava circa l'importante manifestazione di protesta che ha visto protagonisti i cittadini delle località coinvolte dai disagi, affermando come quello di Alì sia «un problema che si ripresenta alle prime piogge. Una vicenda che si trascina negli anni»; sottolineando inoltre «chi non ricorda, da piccolo, quelle reti piazzate lungo la strada statale di Capo Alì ? Qualche masso, purtroppo, rotola giù con troppa facilità e allora, come successo dopo il nubifragio del 9 settembre, anche in questa occasione il percorso è stato chiuso provocando disagi agli abitanti della riviera jonica del messinese e in particolar modo ai cittadini di Alì Terme, Itala e Scaletta Zanclea»;
   dalla stessa fonte si apprende come sia nato «un comitato spontaneo di cittadini dopo la frana che si è verificata in seguito al nubifragio del 9 settembre. Al momento l'Anas ha chiuso la strada statale, ma venerdì sono iniziati i lavori e, a quanto pare apriranno una corsia già da mercoledì. Noi, però, chiediamo altro. Vogliamo una soluzione definiva al problema, perché subiamo tutto ciò da anni»;
   soltanto in data 21 settembre 2015 i blocchi per impedire il passaggio anche ai pedoni, oltre che alle auto, sono stati rimossi, così come riportato in data 22 settembre 2015 dal quotidiano «Tempostretto», secondo cui sarebbero stati sì «eliminati gli ostacoli la Statale 114, all'altezza di Capo Alì, chiusa per frana in seguito al maltempo dello scorso 9 settembre», ma soltanto a senso unico alternato;
   la «Strada Statale 114 — Orientale Sicula», unico collegamento della riviera jonica siciliana, è risultata essere l'ottava strada più pericolosa d'Italia secondo uno studio condotto dall'Automobile Club d'Italia (ACI), evidenziando così, ancora una volta, la necessità di provvedere urgentemente alla messa in sicurezza del tratto stradale considerato per garantire sia la regolarità del traffico locale, sia l'incolumità degli automobilisti che sono costretti a percorrerlo in assenza di alternative autostradali –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda, per quanto di competenza e nel rispetto delle prerogative dell'amministrazione regionale, adoperarsi affinché, di concerto con l'Anas, società competente nel tratto di strada considerato, vengano assunte tutte le misure necessarie per garantire la messa in sicurezza della strada statale 114, in località Capo Alì, nel lungo periodo, anche attraverso l'installazione di sistemi di protezione che garantiscano la sicurezza degli automobilisti e, contestualmente, scongiurino la possibilità di periodiche speculazioni nelle operazioni di messa in sicurezza dei costoni adiacenti il tratto stradale. (4-10499)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Le intense precipitazioni piovose del 9 settembre 2015 che si sono abbattute sulla Sicilia orientale hanno provocato numerosi dissesti franosi con caduta di massi sulla strada statale 114.
  In particolare, a seguito di un consistente distacco di materiale terroso che ha invaso il piano stradale al chilometro 22+750 in località Capo Alì, l'Anas ha comunicato di aver provveduto alle operazioni di disgaggio dei massi pericolanti e al rafforzamento corticale del pendio in frana interrompendo anche il transito veicolare fino alla data del 22 settembre 2015.
  Anas evidenzia, inoltre, che il territorio nel quale si sono verificati i fenomeni franosi presenta pendii con inclinazione elevata, fino a 90 gradi e con altezza superiore ai 100 metri rispetto al piano stradale della strada statale 114.
  Tali caratteristiche geomorfologiche hanno comportato per la suddetta società la necessità di intervenire in maniera specifica sui diversi fronti in frana e sui punti di distacco del materiale roccioso per una lunghezza di circa 30 chilometri, nell'area compresa tra i comuni di Scaletta Zanclea (ME), Sant'Alessio Siculo (ME) e Forza d'Agrò (ME).
  Peraltro, detti territori risultano inseriti nella Carta del rischio idrogeologico – Pai, tra le aree classificate ad elevato pericolo di frane.
  Anas informa anche che il comune di Alì Terme ha recentemente rappresentato la possibilità di ottenere un finanziamento regionale finalizzato al consolidamento dei costoni rocciosi che interessano gran parte della viabilità lungo la SS 114, sulla base di un progetto redatto a seguito di un tavolo tecnico promosso dalla prefettura di Messina nel 2004, cui hanno partecipato provincia, genio civile, comune di Capo d'Alì Terme e la stessa Anas.
  In tale sede Anas si è fatta parte attiva per la progettazione di tale intervento.
  Sono attualmente in corso contatti con il comune di Capo D'Alì al fine di individuare, anche con atto convenzionale, i soggetti che dovranno sviluppare i successivi livelli di progettazione, indispensabili affinché la regione provveda a fornire, al suddetto comune, i necessari finanziamenti per mettere in sicurezza il vasto fronte di strada.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea n. 2003/88/CE del 4 novembre 2003 recante «norme sull'organizzazione dell'orario di lavoro» stabilisce i seguenti limiti nell'orario di lavoro:
    rispetto del limite massimo di 12 ore e 50 minuti di lavoro giornaliero;
    rispetto del limite massimo di 48 ore di durata media dell'orario di lavoro settimanale, compreso lo straordinario;
    rispetto del limite minimo di 11 ore continuative di riposo nell'arco di un giorno;
   la direttiva avrebbe dovuto essere recepita dall'Italia entro il 20144, ma ciò non è avvento. Per questo la Commissione europea ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea in quanto «diversi diritti fondamentali come il limite di 48 ore stabilito per l'orario lavorativo settimanale medio e il diritto a periodi minimi giornalieri di riposo di 11 ore consecutive, non si applicano ai dirigenti operanti nel Ssn»;
   la direttiva non consente agli Stati membri di escludere «i dirigenti o le altre persone aventi potere di decisione autonomo» dal godimento di tali diritti;
   in Italia, i medici che lavorano per la sanità pubblica italiana sono classificati ufficialmente come «amministratori», senza godere necessariamente di prerogative dirigenziali o di autonomia rispetto al proprio orario di lavoro. Ne consegue un'ingiusta privazione secondo l'interrogante dei diritti garantiti loro dalla direttiva sull'orario di lavoro;
   la legge n. 161 del 2014 (legge europea 2014) ha dato mandato alle regioni, entro il 25 novembre 2015, di adottare provvedimenti organizzativi per allinearsi alla normativa europea sull'orario di lavoro del personale del Servizio sanitario nazionale;
   in ottemperanza alla legge n. 161 del 2014, il 4 novembre 2015 la Conferenza delle regioni ha discusso una bozza di provvedimento;
   tuttavia la scadenza del 25 novembre 2015 è ormai passata senza che siano nel frattempo stati adottati provvedimenti in merito;
   a fronte della situazione descritta, sembra profilarsi la possibilità di iniziative volte a pervenire a una deroga o a un rinvio del termine per la piena attuazione della direttiva;
   il 9 novembre 2015 il Ministro della salute ha dichiarato: «La normativa deve entrare in vigore. Se dobbiamo prendere l'aeroplano vogliamo che il comandante e il pilota siano freschi e riposati o che vengano da 72 ore senza aver dormito ? Credo che nessuno vuole entrare su un aereo guidato da un pilota stanco. Non vedo perché debba essere così per chi lavora in sanità» –:
   quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda assumere per dare piena attuazione, senza ricorrere a deroghe o proroghe, alla direttiva di cui in premessa. (4-11434)

  Risposta. — La direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ha inteso disciplinare l'organizzazione dell'orario di lavoro, coordinando le disposizioni contenute nella direttiva 1993/104/CE con quelle della direttiva 2000/34/CE.
  Il nostro Paese ha recepito tale disciplina normativa con il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, entrato in vigore il 29 aprile 2003, il quale, nel regolamentare l'articolazione dell'orario di lavoro, detta prìncipi in materia di riposi, ferie, lavoro notturno e straordinario.
  Tali disposizioni trovano applicazione sia per i dipendenti privati che per quelli pubblici, quindi anche per il personale del comparto sanità.
  In particolare, l'articolo 7 del decreto legislativo n. 66 del 2003, garantisce ai lavoratori il diritto ad undici ore di riposo consecutivo nel corso di ogni periodo di 24 ore; mentre l'articolo fissa in 48 ore, comprese le prestazioni straordinarie, la durata massima settimanale dell'orario di lavoro.
  La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), ha introdotto una prima deroga al decreto legislativo n. 66 del 2003, riguardante il riposo del personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale.
  L'articolo 41, comma 13, del decreto legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133/2008, ha apportato una seconda deroga relativamente al limite massimo dell'orario di lavoro settimanale.
  Dette deroghe hanno determinato, nel 2012, l'avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, per contrasto della normativa italiana concernente l'orario di lavoro dei medici e del personale del ruolo sanitario del servizio sanitario Nazionale con la normativa comunitaria.
  Le giustificazioni presentate nelle sedi comunitarie dal Governo italiano non sono state ritenute sufficienti per porre termine alla procedura di infrazione; per cui, negli ambiti della legge 30 ottobre 2014, n. 161 (legge europea 2013-bis), si è resa necessaria l'introduzione dell'articolo 14, norma finalizzata ad abrogare le disposizioni oggetto dell'attenzione della Commissione europea.
  Peraltro, al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l'abrogazione di tali disposizioni è stata differita di un anno, con l'obiettivo di consentire alle regioni di avviare specifiche procedure di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi, anche tenendo conto della riorganizzazione della rete ospedaliera prevista dall'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012.
  Inoltre, è stata rinviata ai contratti collettivi nazionali di lavoro del settore la disciplina delle eventuali deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero del personale del servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei limiti previsti dalle norme europee.
  A tal riguardo, il Comitato di settore in data 4 novembre 2015 ha approvato un apposito atto di indirizzo, al fine di individuare, nell'ambito della contrattazione collettiva, le eventuali deroghe e le connesse misure rivolte a consentire il pieno recupero psicofisico del personale interessato.
  Nel contempo, per consentire alle aziende sanitarie di superare le difficoltà nell'organizzazione dei servizi e nell'erogazione delle prestazioni ai pazienti, tenuto conto che le limitazioni al « turn over» introdotte negli ultimi anni hanno comportato disagi nel servizio sanitario nazionale, la legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) all'articolo 1, commi 541 e seguenti, ha previsto uno specifico percorso di programmazione regionale dei fabbisogni del personale, allo scopo di consentire l'indizione di procedure concorsuali straordinarie nel periodo 2016-2017, onde far fronte alle esigenze emerse.
  Dette procedure verranno in parte riservate ai lavoratori precari già operanti nel settore della sanità.
  Nelle more della predisposizione e della verifica dei piani inerenti al fabbisogno del personale, le regioni, dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 luglio 2016, laddove emergano criticità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possono ricorrere a forme di lavoro flessibile, nel rispetto della normativa vigente in materia sanitaria, e quindi anche delle disposizioni che contemplano il contenimento del costo del personale ed i piani di rientro.
  Se al termine di detto periodo dovessero permanere condizioni di criticità, i contratti di lavoro attivati potranno essere prorogati fino al termine massimo del 31 ottobre 2016.
  Queste misure consentiranno alle regioni di verificare i reali fabbisogni del personale, nonché di fronteggiare le criticità derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro.
  In effetti, una nuova, ulteriore deroga alla disciplina comunitaria, anche se parziale o temporanea, avrebbe generato contenzioso sia a livello comunitario, con la probabile apertura di una seconda procedura di infrazione, sia a livello nazionale, dal momento che molti professionisti sanitari hanno già avviato azioni legali nei confronti dello Stato italiano per i danni lamentati a causa della violazione della disciplina europea sull'orario di lavoro.
  Per completezza, rammento anche la misura introdotta ai sensi dell'articolo 4-bis del decreto legge n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, per fronteggiare le carenze delle figure professionali sanitarie segnalate dalle regioni in piano di rientro.
  In tali regioni, infatti, il blocco del « turn-over» del personale «può essere disapplicato, nel limite del 15 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, qualora i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino (...) il raggiungimento, anche parziale, degli obiettivi previsti nei piani medesimi.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni ormai la ex ferrovia centrale umbra, attiva da oltre un secolo, versa in condizioni disastrose a causa della scarsa manutenzione effettuata nel tempo;
   il malfunzionamento della tratta è ormai insostenibile per i pendolari che ogni giorno si muovono su questa linea, che attraversa tutta la regione Umbria, in quanto spesso essa è interrotta, non elettrificata (ad esempio la tratta che va da Sant'Anna a Città di Castello), nonostante i diversi investimenti effettuati nel tempo, nonché dotata di vetture vecchie che, oltre alla normale manutenzione, avrebbero bisogno di una revisione straordinaria;
   alcuni tratti, come quello di Pallotta, sono inoltre dotati di un doppio binario che non funziona e la cui utilità è quindi dubbia; nonostante la realizzazione, inaugurata nel 2004, sia costata diversi milioni di euro ma non è mai stata completata;
   anche le stazioni necessitano di una evidente manutenzione, poiché spesso si trovano, come quella di Ponte San Giovanni, in stato di abbandono, con lavori di riqualificazione fermi da tempo, cosa che danneggia sia i cittadini pendolari, sia l'immagine del servizio ferroviario regionale;
   a tutto questo si aggiunge, nella stazione di Umbertide, dove si trova l'officina di riparazione dei treni della ex ferrovia centrale umbra, il completo abbandono di alcuni convogli, costati oltre 18 milioni di euro e che potrebbero funzionare ed essere efficienti; tali convogli sono, infatti, progettati per raggiungere una velocità massima di 160 chilometri orari, ben al di sopra dei 90 chilometri orari imposti dai limiti strutturali dei binari regionali, ma, come già sottolineato, la rete non è elettrificata;
   l'USTIF (Ufficio trasporti e impianti fissi del MIT che controlla le ex ferrovie a gestione commissariale), inoltre, ha deciso un lungo rallentamento, che non permette ai convogli di superare i 50 chilometri orari, poiché si viaggia su un tratto dell'infrastruttura ferroviaria non sicuro e nel quale due anni fa c’è stato un deragliamento;
   da quanto fin qui esposto risulta evidente la disastrosa condizione in cui versa questa linea, utilizzata ogni giorno a rischio e pericolo degli stessi pendolari umbri;
   oggi la proprietà della ex ferrovia centrale umbra, ora Umbria Mobilità, ricade sulla Busitalia Spa, mentre l'infrastruttura ferroviaria è in mano ad una società ad hoc della regione Umbria, ma è evidente che le responsabilità ricadono in epoche precedenti, in cui la gestione era interamente regionale e poi comunale, con la famosa «Azienda Unica» che vedeva soci oltre la stessa regione, i comuni di Perugia, Terni, Spoleto, Città di Castello e le due province di Terni e Perugia –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, pur essendo la questione della ex ferrovia centrale umbra di evidente competenza regionale e privata, non ritenga che la situazione attuale della linea che attraversa tutta l'Umbria, collegandola anche ad alcune zone della Toscana, non rappresenti un'evidente lesione del diritto di mobilità dei cittadini e se non ritenga opportuno intervenire per quanto di propria competenza. (4-10414)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si premette, come peraltro già noto all'interrogante, che le funzioni e i compiti di amministrazione e programmazione in materia di servizi ferroviari regionali sono stati conferiti alle Regioni in applicazione del disposto di cui all'articolo 9, del decreto legislativo n. 422 del 1997, rimanendo in capo a questa amministrazione i compiti di vigilanza riguardo la sicurezza ferroviaria, espletata secondo le rispettive attribuzioni dagli uffici centrali ministeriali e dagli uffici periferici territorialmente competenti (Ustif).
  Ad ogni modo, sulla base delle informazioni pervenute dalla società Umbria mobilità e dall'Ustif, si riferisce quanto segue.
  La Ferrovia centrale umbra si estende da Sansepolcro-Umbertide-Terni per circa 153 chilometri, con una diramazione Perugia Ponte San Giovanni-Perugia Sant'Anna di circa 5 chilometri. La linea è interamente elettrificata ad eccezione della diramazione suindicata, per la quale sono previsti interventi di raddoppio e di elettrificazione finanziati con risorse della legge n. 211 del 1992 (finanziamenti assegnati dallo Stato e successivamente trasferiti alla regione Umbria per effetto del citato decreto legislativo n. 422 del 1997). Per quest'ultimi lavori sono in corso le procedure di gara ed affidamento e l'inizio lavori è previsto entro il primo semestre del 2016.
  Per quanto concerne la stazione di Ponte San Giovanni, si precisa che tale stazione è un punto di intercommissione con l'infrastruttura nazionale, la cui gestione ricade nella competenza di rete ferroviaria italiana, ed è oggetto di lavori di adeguamento e riqualificazione. Al riguardo, Ferrovie dello Stato ha fatto presente che l'intervento, inserito nel più ampio progetto di velocizzazione della linea Foligno-Terontola, prevede la realizzazione di nuovo apparato centrale computerizzato di stazione e la razionalizzazione del piano del ferro al fine di velocizzare i movimenti di ingresso e uscita dalla stazione. Inoltre, saranno adeguati i marciapiedi allo
standard previsto per il servizio regionale e sarà realizzato un nuovo sottopasso di stazione con eliminazione delle barriere architettoniche. La conclusione dei lavori è prevista per il primo semestre 2017.
  In merito, poi, al materiale rotabile, la società Umbria mobilità ha comunicato che dall'anno 2008 sono in esercizio quattro complessi di treni, denominati Minuetto, tre dei quali impiegati nell'esercizio, affidato da Trenitalia all'impresa ferroviaria Umbria mobilità esercizio, sull'infrastruttura ferroviaria nazionale sulla tratta Foligno-Terontola.
  Infine, in merito agli aspetti relativi alla sicurezza l'Ustif ha comunicato che, a seguito di sopralluoghi effettuati il 2 aprile e il 2 settembre 2015 dal medesimo ufficio territoriale con il direttore di esercizio di Umbria mobilità, è stata disposta dal 10 settembre 2015, per evidenti motivi di sicurezza, la chiusura della tratta ferroviaria tra Umbertide e Città di Castello. Tale decisione è stata ritenuta improcrastinabile, in quanto la tratta necessita di un intervento risolutivo di rinnovo e di risanamento dell'armamento ferroviario. La continuità del servizio ferroviario sulla predetta tratta è assicurata con corse automobilistiche sostitutive.
  Per la restante tratta Città di Castello-Sansepolcro, il medesimo Ustif parimenti ha prescritto la necessità di un monitoraggio dello stato della linea per eventuali successivi provvedimenti utili ad assicurare la sicurezza di circolazione.
  Pertanto, su detta tratta, come riferito dal direttore di esercizio di Umbria mobilità, sono costantemente effettuate visite in linea da parte del personale per monitorare lo stato dell'infrastruttura in tutta la sua estensione per verificare la conservazione dei parametri di sicurezza. Al riguardo, sono stati ultimamente introdotti alcuni rallentamenti in brevi tratte e pianificati i necessari interventi per eliminare le soggezioni all'esercizio ferroviario.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   GREGORI e FASSINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane SpA ha recentemente presentato il nuovo piano industriale che, tra l'altro, prevede la chiusura di 450 uffici postali e la riduzione del servizio a giorni alterni per 609 uffici postali;
   il taglio lineare, così come previsto dal nuovo piano, avrà pesanti ripercussioni sulle comunità interessate che non disporranno più di quei servizi essenziali da sempre offerti dagli uffici postali;
   la razionalizzazione riguarderebbe in particolare nel Lazio 35 uffici postali con particolare incidenza nell'area della città metropolitana della capitale;
   in particolare è prevista la chiusura, in provincia di Rieti, degli uffici presenti nei comuni di Petrella Salto, Tarano, Rocca Sinibalda e nel Comune di Rieti, la posta del Monte Terminillo. Inoltre, nell'area metropolitana di Roma, chiuderanno gli uffici di Cretone, nel comune di Palombara Sabina e San Vittorino, nell'ambito del VI Municipio, di Agosta, Arcinazzo Romano, Casape, Cineto Romano, Jenne, Licenza, Mandela, Pisoniano, Riofreddo, Rocca Santo Stefano, Rocca Canterano e Roiate. Vedranno poi riduzioni importanti, nella provincia di Rieti, gli uffici di Fara Sabina, Configni, Famignano, Orvinio, Pozzaglia Sabina e Longone Sabina;
   il disagio, ancora una volta, riguarderà maggiormente le fasce deboli (anziani e meno abbienti), che avranno maggiori difficoltà a raggiungere i Comuni vicini che dispongono dell'ufficio postale; inoltre il piano non prevede aperture di nuovi punti di accesso al servizio «bancoposta» che potrebbero in qualche modo surrogare la scomparsa degli uffici, o limitare i disagi conseguenti alle riduzioni previste negli orari e nei giorni di funzionamento degli uffici postali –:
   quali interventi il Ministro in indirizzo intenda assumere per una diversa razionalizzazione del settore rispetto a quella prevista dal piano di Poste italiane;
   se intenda aprire con Poste italiane e con i rappresentanti delle associazioni degli enti locali un tavolo di concertazione per limitare al massimo le conseguenze di detto piano;
   se intenda intervenire per quanto di competenza per sollecitare Poste italiane a dotare ogni singolo ufficio postale di uno sportello di «bancoposta»;
   a valutare la sospensione della riorganizzazione degli uffici prevista nel suddetto piano fino allo svolgimento di un confronto con gli enti locali. (4-10251)

  Risposta. — Occorre premettere che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare, il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
  Si sono, inoltre, verificati notevoli mutamenti concernenti la concorrenza e l'evoluzione delle esigenze dell'utenza verso una significativa differenziazione dell'offerta dei servizi.
  In tale ambito, la fornitura del servizio universale presenta problematiche relative a particolari condizioni demografiche e territoriali, caratterizzate da vaste zone di difficile accessibilità ed a scarsa densità abitativa.
  Inoltre il contratto di programma vigente tra il Ministero e Poste italiane prescrive all'articolo 2, comma 6, che quest'ultima trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e, contestualmente, il piano di intervento per la progressiva razionalizzazione della loro gestione.
  L'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Su tale aspetto, si evidenzia che l'Agcom con delibera 342/14/CONS, ha introdotto specifiche garanzie a tutela degli utenti, in particolare per coloro che si avvalgono degli uffici postali ubicati in comunità montane e nelle isole minori.
  Il contratto di programma, inoltre, consente a Poste italiane, previo accordo con le autorità locali, di garantire una presenza più articolata nelle aree territoriali disagiate.
  Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuto e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale».
  La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità della presenza di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un
asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5 comma 5 del Contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come extrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative.
  Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale.
  La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'autorità entro il 1o luglio 2016.
  Al fine di seguire direttamente il nuovo processo di interazione tra gli enti locali e Poste italiane, il Ministero ha inviato, all'inizio del mese di marzo, una lettera a tutti i residenti delle regioni italiane, cui è demandato il compito di promuovere le suddette iniziative, invitando ad attivarsi, con sollecitudine, affinché siano tutelati i diritti dei cittadini soprattutto nelle zone maggiormente svantaggiate.
  Per completezza di informazione si rappresenta che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha, altresì, assicurato che proseguirà nell'attività di vigilanza provvedendo a verificare la legittimità, sotto il profilo della coerenza con la normativa vigente, delle chiusure o delle rimodulazioni orarie degli uffici postali contenute nel piano comunicato da Poste italiane s.p.a., compresi gli eventuali interventi sulle sedi a cui si riferisce la presente interrogazione.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 novembre 2015 sulla tratta ferroviaria Ravenna – Senigallia si è verificata un'aggressione al capotreno sul treno regionale 11599 Ravenna-Ancona. La donna, dipendente delle ferrovie, è dovuta ricorrere alle cure del pronto soccorso dopo l'aggressione da parte di un uomo di nazionalità tunisina: questi si era dapprima innervosito al controllo perentorio da parte della 38enne anconetana che l'aveva visto salire sul treno con destinazione Ancona, per poi afferrarla per il collo sostenendo che nel suo Paese le donne sono «schiave». L'uomo è stato poi individuato e arrestato, mercoledì 11 novembre, grazie alla polizia ferroviaria di Ancona che ha effettuato degli appostamenti alla stazione dorica: oltre alla denuncia per lesioni e violenza a pubblico ufficiale, per lui è scattato l'arresto in quanto irregolare sul territorio nazionale;
   l'aggressione di cui sopra, è tuttavia l'ultima di un’escalation di violenza contro i dipendenti di Ferrovie. La Filt Cgil ha denunciato prontamente l'azione debole dell'azienda Trenitalia ma anche delle istituzioni a tutela dei ferrovieri: «Basta, i capi treno non sono sceriffi né poliziotti»;
   la violenza contro capitreno e controllori è un fenomeno che i lavoratori denunciano da tempo: botte, insulti, spintoni. In tutto il 2014 i casi di dipendenti di Ferrovie dello Stato italiane aggrediti sono stati più di 309, oltre 80 in più dei 227 del 2013. Nei primi 5 mesi del 2015 sono oltre 140, 117 di Trenitalia e 23 di Rfi. Per quanto riguarda gli aggressori, il numero degli stranieri (54) è di poco superiore agli italiani (41). I casi rimanenti hanno come protagonisti coloro che eseguono attività abusive a bordo dei treni. Un vero e proprio far west, dal nord al sud dell'Italia, che interessa i grandi scali ma soprattutto le piccole stazioni di periferia negli orali serali. Il capotreno e il macchinista sono sottoposti a uno stress quando viaggiano sui treni più difficili e lo shock, quando subiscono una aggressione, a detta stessa dei ferrovieri «quello non passa». Così come la paura di tornare al lavoro –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per garantire le regolari condizioni di sicurezza e l'incolumità del personale di Ferrovie dello Stato italiane; se sia intenzione del Governo attivare quanto prima un confronto con i sindacati. (4-11159)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Si premette che la sicurezza a bordo treno è una problematica di ordine pubblico e, come tale, rientra tra i compiti istituzionali della polizia ferroviaria. Al riguardo, si informa che, per quanto riferisce il Ministero dell'interno, la polizia ferroviaria, anche in coordinamento con le altre forze di polizia territorialmente presenti e in continua sinergia con il gruppo Ferrovie dello Stato italiane (FS), effettua servizi giornalieri in stazione, a bordo treno e lungo linea, per garantire la sicurezza sia dei viaggiatori che del personale ferroviario. Tale attività è anche orientata verso la sicurezza della circolazione e dell'infrastruttura ferroviaria, in considerazione della natura strategica del settore mobilità per il Paese.
  Sono, infatti, più di 3 milioni e mezzo le persone che quotidianamente transitano nelle oltre 2.500 stazioni italiane e oltre 8 mila i convogli giornalmente circolanti sulle linee ferroviarie nazionali.
  La maggior parte degli episodi di aggressione è costituita da ingiurie e minacce nei confronti degli operatori FS durante le operazioni di controllo dei titoli di viaggio a bordo dei treni; talvolta tali situazioni degenerano in percosse che possono causare lesioni di gravità variabile.
  Nei casi più eclatanti, l'aggressività si riversa anche sul personale di polizia che interviene per prestare tempestiva assistenza al personale FS aggredito. Nella quasi totalità degli episodi in parola, i responsabili vengono tratti in arresto e deferiti all'Autorità giudiziaria sia dagli operatori della specialità ferroviaria che da quelli di altre Forze di polizia.
  Poiché la problematica in esame risulta in aumento a livello nazionale, ne è conseguito un potenziamento dei servizi, soprattutto su quei convogli e in quelle tratte ove si sono rilevate maggiori criticità.
  Inoltre, con cadenza mensile o all'insorgere di improvvise recrudescenze del fenomeno, vengono individuati, congiuntamente alle componenti di Ferrovie dello Stato, i convogli ritenuti critici sulla base della frequenza degli episodi criminosi accertati. Detta analisi, ovviamente, viene effettuata allo scopo di programmare servizi mirati volti a contrastare il fenomeno laddove esso risulti più frequente.
  In relazione agli elementi di conoscenza così acquisiti, la polizia ferroviaria provvede ad effettuare scorte mirate sui convogli segnalati, nonché servizi negli scali ferroviari interessati dal loro transito, realizzando, in tal modo, un efficace dispositivo di filtraggio già all'atto della partenza.
  Nel contesto delineato risultano essenziali sia le sinergie informative e operative con le imprese ferroviarie, così come le tecnologie a disposizione tanto come fattore deterrente quanto per l'individuazione di eventuali responsabili di atti illeciti.
  Al riguardo, si segnala che è attivo il numero telefonico di emergenza 1600 che mette in contatto diretto il personale ferroviario con la sala operativa della Polizia ferroviaria più vicina per garantire un intervento più immediato delle pattuglie e che taluni treni e molte stazioni ferroviarie sono dotate di impianti di video sorveglianza.
  Ciò premesso, si evidenzia che, nel corso del 2015, la polizia ferroviaria, con i suoi 4.412 operatori, ha effettuato a livello nazionale 200.209 servizi di vigilanza in stazione, ha scortato 107.141 treni, ha espletato 15.824 servizi antiborseggio in abiti civili; ha inoltre effettuato 30.164 pattugliamenti lungo linea e 1.179 servizi straordinari di controllo del territorio; ha complessivamente tratto in arresto 1.468 persone, indagate 14.133 in stato di libertà e 828.006 sottoposte a controllo.
  Grazie al dispositivo di sicurezza approntato e all'attività complessivamente espletata dalla specialità in ambito ferroviario, nel 2015 si è registrata una riduzione degli episodi di criminalità predatoria, con un calo dei furti totali del 15 per cento.
  Gli altri dati della delittuosità, relativi al medesimo periodo, lasciano emergere una diminuzione di alcuni fenomeni (furti rame -31 per cento, danneggiamenti -7 per cento, lancio oggetti contro i treni -13 per cento, frodi ai danni delle imprese ferroviarie -18 per cento) con un aumento delle aggressioni al personale ferroviario (mentre si riducono le aggressioni ai danni dei viaggiatori -14 per cento).
  Tra le specifiche misure disposte dal gruppo FS, a mero titolo esemplificativo, si segnala:
   formazione del personale di bordo con corsi antiaggressione;
   presenza di agenti Polfer in uniforme sui treni regionali e notturni ritenuti critici per la sicurezza di passeggeri e ferrovieri;
   creazione di squadre antievasione che effettuano il controllo dei biglietti prima dell'accesso ai treni;
   realizzazione di varchi nelle principali stazioni per filtrare l'accesso ai treni e consentendolo esclusivamente ai possessori di biglietto;
   azioni di contrasto dell'abusivismo in stazione, un ambito nel quale si consumano molte delle aggressioni registrate.

  Infine, giova precisare che più recentemente sui treni a rischio segnalati da FS, scortati con continuità dalla polizia ferroviaria, non si sono rilevate criticità o episodi delittuosi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   MANNINO, LOREFICE, DE ROSA, BECHIS, CRISTIAN IANNUZZI, NUTI, LUPO, DE LORENZIS, BUSINAROLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, è stata data attuazione alla direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa che ha abrogato, a partire dall'11 giugno 2010, le direttive 96/62/CE, 1999/30/CE, 2000/69/CE e 2002/3/CE;
   con il citato decreto legislativo n. 155 del 2010 sono state abrogate le norme con le quali l'Italia aveva recepito e dato attuazione alle citate direttive europee – in special modo i decreti legislativi n. 351 del 1999, n. 183 del 2004 e n. 152 del 2007 – stabilendo, all'articolo 19, apposite norme transitorie e prevedendo l'obbligo, a carico delle regioni e delle province autonome e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di provvedere al riesame e all'aggiornamento degli atti adottati in base alla normativa previgente;
   con interrogazione a risposta scritta n. 4/02066, depositata il 3 ottobre 2013 è stato interrogato il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare per conoscere le informazioni che lo stesso Ministero dispone in ordine all'attuazione, da parte della regione Siciliana, del decreto legislativo n. 155 del 2010 recante norme di attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa;
   i contenuti dell'interrogazione a risposta scritta n. 4/02066, ad oggi ancora senza riscontro, sono qui da intendersi integralmente richiamati;
   dalla risposta all'interrogazione del deputato Claudia La Rocca (atto assemblea regionale Siciliana n. 51), indirizzata all'assessore per il territorio e per l'ambiente della regione siciliana, si apprende che con determinazione assessoriale del 25 giugno 2012, la regione siciliana ha provveduto ad approvare la zonizzazione e classificazione del territorio regionale, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 155 del 2010, e che «il progetto di Razionalizzazione del monitoraggio della qualità dell'aria in Sicilia e relativo Programma di Valutazione, elaborato da ARPA Sicilia, è in attesa della valutazione del MATTM ai sensi dell'articolo 5, comma 6, dello stesso decreto legislativo 155/2010» –:
   se il progetto di zonizzazione e classificazione del territorio regionale, approvato con determinazione assessoriale del 25 giugno 2012, in base all'articolo 3 del decreto legislativo n. 155 del 2010, sia stato trasmesso al Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare e sia stato giudicato conforme alle disposizioni dello stesso decreto legislativo ed agli indirizzi espressi dal coordinamento tra Ministero, regioni ed autorità competenti in materia di aria ambiente e dunque sia stato adottato;
   se e quali variazioni e integrazioni rispetto al progetto di zonizzazione e classificazione del territorio regionale, il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, ai sensi all'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 155 del 2010, abbia trasmesso alla regione siciliana;
   se il progetto di razionalizzazione del monitoraggio della qualità dell'aria in Sicilia, elaborato dall'ARPA Sicilia, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 155 del 2010, sia stato istruito e giudicato conforme alle disposizioni dello stesso decreto legislativo ed agli indirizzi espressi dal coordinamento tra Ministero, regioni ed autorità competenti in materia di aria ambiente;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia indicato, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, del decreto legislativo n. 155 del 2010, le variazioni e le integrazioni da effettuare ai fini dell'attuazione del progetto di razionalizzazione del monitoraggio trasmesso dalla regione siciliana. (4-02311)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante la regione siciliana per gli adempimenti connessi al decreto legislativo n. 155 del 13 agosto 2010 di attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché dagli enti territoriali interessati, si rappresenta quanto segue.
  La regione siciliana, ai sensi dell'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 155 del 2010, ha trasmesso formalmente il progetto di zonizzazione e classificazione del territorio regionale al Ministero dell'ambiente.
  In data 5 agosto 2011 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto alla regione alcune integrazioni al progetto presentato, riscontrate dalla Regione siciliana.
  In data 6 marzo 2012 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha formulato ulteriori osservazioni al progetto di zonizzazione, alle quali la Regione siciliana ha risposto con nota n. 18985 del 26 marzo 2012.
  In data 13 aprile 2012, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato alla Regione siciliana la conformità del progetto di zonizzazione alle disposizioni del citato decreto legislativo n. 155 del 2010 relativamente alla protezione della salute umana.
  Infine, la regione siciliana con decreto assessoriale n. 97 del 25 giugno 2012 ha approvato la nuova zonizzazione e classificazione del territorio regionale.
  Relativamente alla rete di monitoraggio della qualità dell'aria, la Regione siciliana, ai sensi dell'articolo 5, comma 6 del citato decreto legislativo n. 155 del 2010, ha trasmesso formalmente il progetto di adeguamento della rete di misura al Ministero dell'ambiente.
  Il Ministero ha avviato un'approfondita istruttoria tecnica della documentazione trasmessa, avvalendosi del supporto tecnico dell'ISPRA e dell'ENEA, ai fini della valutazione del progetto inoltrato dalla Regione siciliana.
  A seguito dell'invio di alcune osservazioni circa il progetto di rete da parte degli enti sopra menzionati, il Ministero ha evidenziato una serie di aspetti meritevoli di approfondimento, in assenza del quale non è stato possibile esprimere una condivisione del progetto; la regione ha risposto con la nota prot. 34769 del 12 agosto 2013, trasmettendo il progetto aggiornato alla luce delle osservazioni formulate.
  In data 23 dicembre 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha formulato ulteriori osservazioni al progetto di adeguamento della rete, a cui la regione ha risposto con la nota del 24 marzo 2014, integrata con successiva nota del 16 aprile 2014.
  Infine, con nota del 2 maggio 2014, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunicato alla regione siciliana l'assenza di rilievi in merito al progetto di rete relativamente alla protezione della salute umana.
  La regione siciliana, con decreto del dirigente generale del dipartimento dell'ambiente n. 449 del 10 giugno 2014, ha approvato il progetto definitivo di razionalizzazione del monitoraggio della qualità dell'aria in Sicilia ed il relativo programma di valutazione.
  Infine, il 21 dicembre 2015 con decreto del dirigente generale del dipartimento dell'ambiente n. 1299 è stato approvato il progetto «Sistema di Rilevamento Regionale della Qualità dell'Aria della Regione Sicilia» e il relativo cronoprogramma delle attività fisiche e finanziarie.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea 2008/98/CE all'articolo 28, paragrafi 1 e 2, riporta quanto segue: «1. Gli Stati membri provvedono affinché le rispettive autorità competenti predispongano, a norma degli articoli 1, 4, 13 e 16, uno o più piani di gestione dei rifiuti. Tali piani coprono, singolarmente o in combinazione tra loro, l'intero territorio geografico dello Stato membro interessato.». «2. I piani di gestione dei rifiuti comprendono un'analisi della situazione della gestione dei rifiuti esistente nell'ambito geografico interessato nonché le misure da adottare per migliorare una preparazione per il riutilizzo, un riciclaggio, un recupero e uno smaltimento dei rifiuti corretti dal punto vista ambientale e una valutazione del modo in cui i piani contribuiranno all'attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della presente direttiva»;
   la direttiva europea 2008/98/CE all'articolo 30 riporta quanto segue: «1. Gli Stati membri provvedono affinché i piani di gestione e i programmi di prevenzione dei rifiuti siano valutati almeno ogni sei anni e, se opportuno, riesaminati ai sensi degli articoli 9 e 11. 2. L'Agenzia europea per l'ambiente è invitata a includere nella sua relazione annuale un riesame dei progressi compiuti nel completamento e nell'attuazione dei programmi di prevenzione dei rifiuti»;
   la Commissione europea, a ottobre 2015, ha avviato contro l'Italia la procedura di infrazione 2015–2165 avente come oggetto: piani regionali di gestione dei rifiuti. Attuazione degli articoli 28 e 30 della Direttiva 2008/98/CE. La Commissione, che ha inviato una lettera di messa in mora, ha verificato l'attività di aggiornamento, riscontrando inadempienze per tutte le regioni e province autonome italiane ad eccezione del Lazio, messosi in regola nel 2012, delle Marche, regolarizzatesi nel corso di quest'anno, della Puglia e dell'Umbria, non ancora in ordine ma che hanno tempo sino a fine anno per farlo;
   le procedure di infrazione possono comportare degli oneri diretti a carico degli Stati inadempienti, a seguito di una condanna da parte della Corte di giustizia al pagamento di sanzioni, in esito ai ricorsi ex articolo 60 TFUE. Tuttavia, anche a prescindere dalla comminazione di sanzioni, le procedure di infrazione possono comportare oneri finanziari per lo Stato membro interessato, derivanti dall'adozione delle misure finalizzate al superamento del contenzioso con l'Unione europea;
   il regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 riguarda le disposizioni generali sui fondi strutturali, in particolare l'articolo 32 prevede le norme per i pagamenti;
   la lettera f) del paragrafo 3 del suddetto articolo riporta tra le condizioni che devono essere rispettate: «l'assenza di sospensione di pagamenti, a norma dell'articolo 39, paragrafo 2, primo comma, e assenza di decisione della Commissione di avviare un procedimento d'infrazione in forza dell'articolo 226 del trattato, riguardo alla misura o alle misure oggetto della domanda di cui trattasi.»;
   se una delle condizioni riportate dal summenzionato paragrafo non è rispetta, la domanda di pagamento non è ammissibile;
   la Commissione europea, in data 8 agosto 2000, approvò il programma operativo FESR relativo alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti della regione Campania. Le azioni effettuate e destinate a migliorare ed a promuovere il sistema di raccolta e di smaltimento diedero luogo ad esborsi pari a circa 93 milioni di euro, il cui 50 per cento — ovvero circa 46,5 milioni — erano stati cofinanziati dai fondi strutturali. La stessa Commissione europea — dopo diversi anni e più precisamente il 29 giugno 2007 — inviò alle autorità italiane una lettera di costituzione in mora che aprì il procedimento d'infrazione 2007/2195 per non aver adottato, in relazione alla regione Campania, tutte le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti venissero smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e in particolare, per non aver creato una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento. Il 31 marzo del 2008, la Commissione informò le autorità italiane delle conseguenze che intendeva trarre dal procedimento d'infrazione citato, rispetto al finanziamento per l'attuazione del programma operativo della Campania, dichiarando esplicitamente che — conformemente all'articolo 32, paragrafo 3, del regolamento n. 1260/1999 — non poteva ulteriormente procedere ai pagamenti intermedi, poiché tale misura ha ad oggetto il sistema regionale di gestione e smaltimento dei rifiuti a cui si riferisce proprio la procedura d'infrazione 2007/2195, che evidenzia appunto l'inefficacia nella messa in opera di una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento. La Commissione, in più, precisò che la data a partire dalla quale considerava inammissibili le spese relative al programma operativo FESR era il 29 giugno 2007 coincidente con l'invio della lettera di costituzione di messa in mora. Alla luce di queste decisioni, gli organi competenti dichiararono inammissibili due domande di pagamento delle autorità italiane. La prima era quella del 18 novembre 2008 per un importo di circa 12 milioni di euro, la seconda era datata 22 dicembre 2008 per un ammontare di circa 18,5 milioni di euro –:
   quali siano le motivazioni puntuali che hanno portato la Commissione europea ad aprire il procedimento di infrazione 2015–2165;
   se le regioni oggetto della procedura di infrazione 2015–2165 corrano il rischio — ai sensi dell'articolo 32 del regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 — di vedersi bloccati i pagamenti dei fondi strutturali programmati (2014-2020) aventi per materia la gestione dei rifiuti;
   se si intenda rendere pubblica la lettera di messa in mora inviata dalla Commissione europea all'Italia in merito alla procedura di infrazione 2015–2165. (4-10994)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si evidenzia che la Commissione europea ha avviato la procedura di infrazione 2015-2165 – Piani di gestione dei rifiuti, ritenendo che alcune regioni italiane abbiano violato gli articoli 28 p. 1, 30 p. 1 e 33 p. 1 della direttiva 2008/98/CE che prevedono, rispettivamente, l'adozione di piani di gestione dei rifiuti, la loro valutazione almeno ogni sei anni al fine di un riesame se ritenuto opportuno e infine, la comunicazione alla Commissione circa la loro adozione.
  Tanto premesso, è opportuno precisare che la procedura di infrazione in oggetto è relativa all'adozione sia dei piani di gestione dei rifiuti urbani, che dei rifiuti speciali.
  A tal proposito, si evidenzia che le regioni e le province autonome hanno facoltà di scegliere se adottare un piano unico che disciplini la gestione dei rifiuti urbani e speciali, o se invece adottare più piani, ognuno dei quali specifico per tipologia di rifiuto (urbano o speciale).
  Per tale motivo, la posizione di ogni singola regione o provincia autonoma coinvolta nella procedura in oggetto risulta essere differente. Infatti, alcune regioni e province risultano inadempienti a causa del mancato aggiornamento della pianificazione sia dei rifiuti urbani che di quelli speciali, altre lo sono per mancato aggiornamento di uno solo dei flussi di rifiuti.
  Peraltro, per quanto attiene l’
iter di aggiornamento ed i tempi previsti per la definitiva approvazione dei nuovi piani da parte delle regioni coinvolte, si fa presente che questo Ministero ha fornito le opportune risposte alla Commissione europea, nei modi e nei tempi previsti, indicando per ogni regione lo stato attuale del suddetto iter, secondo le informazioni fornite dalle regioni stesse.
  Inoltre, si evidenzia altresì che, sempre nell'ambito della risposta fornita alla commissione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha anche segnalato inesattezze circa i rilievi mossi, relativi ad alcuni piani regionali ritenuti «datati», in ordine ai quali la Commissione europea non ha tenuto conto delle comunicazioni relative all'adozione degli stessi, che questo Ministero aveva inviato prima della lettera di messa in mora. Peraltro, altre inesattezze segnalate derivano dal fatto che la Commissione europea ha ritenuto non ancora adeguati alcuni dei suddetti piani a causa della mancata approvazione degli stessi da parte dei rispettivi consigli regionali, atto che non tutte le normative regionali prevedono ai fini dell'approvazione stessa.
  Tanto premesso, per quanto riguarda le regioni che di fatto hanno piani approvati da oltre sei anni, e che per tale motivo sono state coinvolte nella sopra citata procedura di infrazione, si precisa che tutte hanno in corso l’
iter avanzato di aggiornamento degli stessi ed il Ministero ne sta monitorando costantemente gli sviluppi, anche con ripetuti solleciti.
  Inoltre, per quanto concerne i pagamenti dei fondi strutturali programmati aventi ad oggetto la gestione dei rifiuti si precisa che, ai sensi dell'articolo 32, comma 3, lettera
f) del regolamento CE n. 1260 del 1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 recante disposizioni generali sui fondi strutturali, i pagamenti, da parte della Commissione europea, dei rimborsi delle spese effettivamente sostenute a valere sui suddetti fondi sono condizionati dall'assenza di decisione della Commissione stessa di avviare un procedimento di infrazione, in forza dell'articolo 226 del TCE (258 del TFUE), riguardo alla misura o alle misure oggetto della domanda di rimborso. Tuttavia, nel caso in oggetto, non si ravvisano, a parere di questo Ministero, le condizioni ostative all'effettuazione di questi pagamenti.
  Si segnala inoltre che l'accesso del pubblico agli atti della Commissione europea, e nel caso di specie, alla suddetta lettera di messa in mora, è disciplinato dal Regolamento CE n. 1049 del 2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all'accesso al pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Tale atto prevede che qualora un Paese dell'Unione europea riceva una domanda di accesso ad un documento in suo possesso adottato da una istituzione europea, quest'ultimo consulti l'istituzione in questione per assicurarsi che la divulgazione sia in linea con gli obiettivi comunitari. In alternativa, il Paese della dell'Unione europea coinvolto può deferire all'istituzione comunitaria competente la domanda di accesso.
  Le istituzioni europee possono rifiutare il documento richiesto qualora ciò sia giustificato da un interesse pubblico rilevante.
  Il Ministero continuerà comunque a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
  Al riguardo si fa presente altresì che, secondo quanto disposto dall'articolo 199 del Testo unico ambientale, nel caso in cui le regioni non approvino i piani entro il termine previsto dalla normativa vigente, potrà essere esercitato il potere sostitutivo di cui alla medesima norma.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35, del decreto-legge 12 settembre 2014, n.133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n.164, ha come intestazione: «misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio. Misure urgenti per la gestione e per la tracciabilità dei rifiuti nonché per il recupero dei beni in polietilene»;
   l'articolo 35, comma 1, del citato decreto-legge prevede che: «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha predisposto uno schema di decreto che è stato redatto sulla scorta delle previsioni di legge sopra riportate e conseguentemente all'esito dell'analisi istruttoria compiuta dai competenti Uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; in particolare, per quanto riguarda l'articolo 5, si individuano gli impianti di incenerimento da realizzare o da potenziare per soddisfare il fabbisogno residuo nazionale di incenerimento con recupero energetico dei rifiuti urbani ed assimilati;
   nella seduta del 4 febbraio 2016 è stato espresso il parere rep.15/CSR della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni le province autonome di Trento e di Bolzano sul suddetto schema di decreto;
   una nuova stesura dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri redatto dalla direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento del suddetto Ministero, tiene conto delle proposte emendative avanzate dalle regioni e province autonome, è stato sottoposto alla valutazione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota Prot. 2829/RIN del 24 febbraio 2016;
   l'articolo 5 dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri predispone la necessità di attivare la procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica delle misure di pianificazione contenute nello schema di decreto;
   sul sito del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare sono stati inseriti documenti relativi alla procedura di verifica di assoggettabilità a VAS avviata in data 16 marzo 2016;
   tra questi c’è il rapporto preliminare sul programma recante: «individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché l'individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili» di cui allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanarsi ai sensi dell'articolo 35 comma 1 della legge 11 novembre 2014, n. 164 (verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica, ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 152 del 2006);
   il rapporto preliminare per quanto riguarda l'attuazione dello schema di decreto ovvero per quanto attiene alla localizzazione dei nuovi impianti, tra le altre cose, riporta: A) che, a norma dell'articolo 196 del decreto legislativo n. 152 del 2006, rimane incardinato in capo alle regioni il compito di declinare ulteriormente a livello territoriale, in tutte le loro specificazioni localizzative e operative, le scelte strategiche che il legislatore nazionale ha effettuato nell'articolo 35 comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, di cui allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta, come sopradetto, solo un primo strumento di attuazione operativa; B) che la concreta realizzazione delle nuove infrastrutture di incenerimento sarà pertanto il risultato delle attività di verifica e coordinamento a livello regionale, provinciale e locale svolte dalle regioni competenti in sede di aggiornamento degli strumenti di pianificazione esistenti e sarà soggetta alle ulteriori, puntuali, valutazioni ambientali di cui alla parte II del decreto legislativo n. 52 del 2006, C) che la natura programmatoria delle disposizioni dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri costituisce il quadro di riferimento per i piani regionali di gestione dei rifiuti e dei relativi adeguamenti ai sensi dell'articolo 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativamente agli interventi di infrastrutturazione di impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati; D) che l'ubicazione puntuale dell'impiantistica e delle infrastrutture ad essa connessa è dunque formulata esclusivamente in ambito regionale ed è demandata alle singole regioni oggetto di intervento, attraverso l'attuazione dei relativi strumenti programmatori e di pianificazione, ovvero mediante le procedure tecniche ed amministrative necessarie per l'autorizzazione di tali interventi –:
   quali iniziative di competenza a normativa vigente siano da attendersi nel caso in cui le regioni ovvero gli enti locali non si adoperino alla realizzazione delle nuove infrastrutture di incenerimento individuate dallo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014. (4-12863)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla realizzazione di impianti di incenerimento ex articolo 35 del disegno di legge n. 133 del 2014, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si fa presente che la finalità del decreto in questione è quella di ridurre il conferimento dei rifiuti in discarica (calcolato ad una percentuale massima del 10 per cento) e di sfruttare al meglio la rete impiantistica nazionale già esistente, delineando una potenziale linea strategica nazionale di medio lungo termine sulla gestione dei rifiuti per gli anni avvenire, in ottemperanza all'obiettivo di ottimizzazione della rete infrastrutturale dedicata al recupero energetico su scala nazionale previsto nell'ambito del «pacchetto economia circolare», presentato il 2 dicembre 2015 e in fase di consultazione.
  Anche al fine di tenere conto delle azioni volte alla riconversione di tali impianti preliminari, sono state previste specifiche disposizioni (articolo 6 dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) che consentono di definire e aggiornare con cadenza annuale, anche su richiesta delle regioni interessate, il fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati, individuato sulla base degli obiettivi di riduzione della produzione di rifiuti urbani e assimilati, di raccolta differenziata, di riciclaggio e di pianificazione regionale.
  Con particolare riferimento alla strategia nazionale delineata dalle disposizioni dei decreti attuativi dello «Sblocca Italia», si rappresenta, inoltre, che il Ministro dell'ambiente ha accolto la richiesta della Conferenza Stato-regioni di istituire un comitato, presso la Conferenza stessa, per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti.
  Tale comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l'efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti e assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l'attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti.
  Si ritiene pertanto che le disposizioni introdotte dall'emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, finalizzate a garantire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza della gestione dei rifiuti, oltre a dare piena attuazione a quanto previsto dal legislatore nazionale, rappresentino altresì una concreta attuazione della normativa europea in tema di gestione degli stessi, perfettamente coerente con i criteri stabiliti nell'articolo 4 della direttiva quadro.
  Si fa presente, altresì, che lo schema di decreto in questione, anche in ottemperanza alle richieste formulate dalle regioni, è attualmente oggetto della procedura di verifica di assoggettabilità a VAS, secondo la disciplina di cui all'articolo 12 del Testo unico ambientale.
  Tale normativa prevede la conclusione del relativo procedimento entro 90 giorni dall'acquisizione dell'istanza di assoggettabilità da parte dell'autorità competente avvenuta in data 17 marzo 2016.
  Tanto premesso, occorre comunque evidenziare che, così come stabilito dal Testo unico ambientale, rimane incardinata in capo alle regioni l'attuazione e la concreta implementazione sul territorio delle scelte strategiche che il legislatore nazionale ha affidato al Governo con l'articolo 35, comma 1, del cosiddetto «Sblocca Italia».
  Pertanto, le amministrazioni territoriali (regioni, province e comuni) sono le autorità competenti anche a rilasciare le necessarie autorizzazioni per la realizzazione e gestione degli impianti suddetti.
  Il ruolo strategico degli enti territoriali, dunque, viene solamente orientato dai contenuti programmatici generali di livello nazionale che dovrà recare il decreto attuativo della citata disposizione legislativa.
  Per quanto attiene allo specifico contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, si evidenzia inoltre che lo stesso, nel determinare il fabbisogno residuo di incenerimento, ottempera rigorosamente alle vigenti previsioni di legge, individuando puntualmente la capacità attuale di trattamento nazionale degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati e, conseguentemente, quantificando il fabbisogno residuo di incenerimento nazionale da soddisfare e la successiva ripartizione della capacità impiantistica necessaria, per macroaree e per regioni, nel rispetto degli obiettivi di legge di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale.
  Per quanto concerne la pianificazione regionale, si evidenzia che, in ogni caso, l'individuazione del fabbisogno nazionale di incenerimento è stata effettuata tenendo in specifica considerazione ogni singola pianificazione regionale vigente, nonché tutti i dati aggiornati specificamente forniti dalle regioni nel corso delle riunioni a livello tecnico e politico della conferenza Stato-regioni, in ordine agli obiettivi di riduzione della produzione dei rifiuti in termini quantitativi, agli obiettivi di raccolta differenziata più ambiziosi rispetto all'obiettivo minimo di legge del 65 per cento alle attuali forme di gestione dei rifiuti urbani raccolti in modo indifferenziato, nonché gli aggiornamenti delle autorizzazioni di cui ai commi 3 e 5 del citato articolo 35, da parte delle autorità competenti.
  Si evidenzia inoltre, che l'individuazione della capacità attuale di trattamento degli impianti di incenerimento, di rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati è stata effettuata anche sulla scorta dei dati ISPRA e FederAmbiente, nonché, come detto, dei dati forniti dalle stesse regioni e province autonome.
  Com’è noto, infatti, l'ISPRA ogni anno pubblica il proprio rapporto sulla gestione dei rifiuti urbani e, con cadenza pluriennale, quello relativo ai rifiuti speciali. Tali rapporti contengono gli opportuni riferimenti ai dati relativi al flusso dei rifiuti, cartografia con l'indicazione dell'ubicazione di tali impianti su scala nazionale, e dei dati economici. Inoltre, si rappresenta che ogni pianificazione regionale in materia contiene il dettaglio di tali informazioni calate sul proprio contesto di riferimento.
  Tale attività ricognitiva e di approfondimento ha portato all'acquisizione puntuale dei dati riferiti a tutta l'impiantistica di incenerimento in esercizio presente sul territorio nazionale e a quella autorizzata, ma non in esercizio.
  Pertanto, attesa la competenza degli enti territoriali in tale ambito, il Ministero dell'ambiente può solo svolgere una funzione di raccordo di tutte le informazioni già disponibili e pubblicate.
  Ferma restando l'attuazione dell'articolo 35 nei termini sopra indicati, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, il Ministero dell'ambiente valuterà anche il potenziamento di tutti gli strumenti necessari finalizzati a rafforzare, in termini di efficacia, efficienza ed economicità, il sistema di gestione dei rifiuti, nell'ambito dell'istituendo Comitato.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia è sempre più isolata dal resto del Paese per il carente sistema dei trasporti aggravato dal notevole incremento del costo dei biglietti aerei soprattutto nei periodi festivi e durante la stagione estiva;
   i collegamenti aerei sono indispensabili ed indifferibili per chi vive nelle isole non solo dal punto di vista turistico ed economico, ma anche per la qualità di vita degli abitanti della regione siciliana;
   la Sicilia, tra l'altro, è particolarmente svantaggiata rispetto al resto del Paese per un divario notevole in termini di infrastrutture e di servizi che comporta un notevole aggravio per la mobilità dei suoi cittadini;
   è necessario, pertanto, assicurare condizioni favorevoli per gli abitanti della Sicilia che non possono subire un'ingiustificata discriminazione che li mette in condizione di emarginazione non solo rispetto agli scali nazionali, ma anche rispetto all'Europa;
   è necessario, pertanto, favorire, proprio in virtù della situazione di marginalità socio-economica della Sicilia, interventi diretti a favorire la realizzazione di un servizio con tariffe sostenibili per i cittadini siciliani tali da ottenere condizioni paritarie alle altre regioni del nostro Paese;
   il diritto alla mobilità costituisce un servizio di interesse economico generale e quindi deve essere tale da dovere essere assicurato a tutti i cittadini indipendentemente dalla loro dislocazione geografica;
   da notizie riportate dalla stampa sembra che la regione Sardegna abbia ricevuto un contributo da parte dello Stato di 30 milioni di euro per la continuità territoriale –:
   quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare ai cittadini della regione Sicilia il superamento, in virtù della loro insularità, di svantaggi strutturali il cui perdurare ne ostacola lo sviluppo economico-sociale.
(4-11171)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si comunica quanto segue.
  Come è noto, per garantire la continuità territoriale delle piccole isole della Sicilia, dal 2003, sono attivi servizi aerei in oneri di servizio pubblico che collegano le isole di Pantelleria e Lampedusa con l'isola principale.
  Quelli attuali, disposti con decreto ministeriale del 15 gennaio 2014 e obbligatori dal 1o luglio 2014, sono stati previsti proprio con la finalità di assicurare il diritto alla mobilità della popolazione delle isole minori siciliane e garantire, così, l'effettiva continuità territoriale per tutto il territorio della regione, ai sensi del regolamento (CE) n. 1008 del 2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008 (che ha modificato il Regolamento (CEE) n. 2408 del 1992).
  Riguardo, poi, ai collegamenti da e per gli aeroporti siciliani, si sottolinea che i tre maggiori scali Catania, Palermo e Trapani nel 2014 hanno prodotto il 9 per cento del traffico nazionale con 13 milioni e mezzo di passeggeri e che il solo aeroporto di Catania ha toccato i 7,2 milioni di passeggeri. Di questi, una quota considerevole è costituita da utenti delle tratte Catania e Palermo con Roma e conseguentemente, attraverso lo scalo di Roma, gli stessi hanno opportunità di collegamenti con il resto del mondo, il che garantisce la continuità territoriale dei cittadini siciliani.
  Quanto alle tariffe applicate, occorre evidenziare che la questione del costo dei biglietti va inquadrata nel contesto del regime liberalizzato del trasporto aereo europeo. Infatti, i vettori titolari di licenza di trasporto aereo rilasciata da uno Stato membro dell'Unione europea hanno la possibilità di scegliere in piena autonomia le rotte sulle quali operare e di fissare liberamente le tariffe aeree dei loro servizi, come stabilito nel citato regolamento n. 1008/2008. Le scelte operate in tal senso dai vettori, rispondenti a logiche imprenditoriali e di mercato, non sono in alcun modo influenzabili dall'amministrazione dello Stato.
  Per quanto attiene alla Sardegna si ricorda che, in forza dell'articolo 1, comma 840, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), la regione finanzia con proprie risorse gli oneri di servizio pubblico sui collegamenti aerei attualmente in essere.
  Tuttavia, come l'onorevole interrogante ha correttamente rilevato, il contributo statale di 30 milioni di euro per la continuità territoriale della Sardegna è stato effettivamente previsto dall'articolo 10, del decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015 e relativa legge di conversione. Si segnala che tale contributo è stato previsto per la sola annualità 2015 ed è volto a garantire un completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sardegna, che consenta la riduzione dei disagi derivanti dalla condizione di insularità, e per assicurare la continuità del diritto alla mobilità anche ai passeggeri non residenti. Infatti, secondo il vigente sistema impositivo, allo stato attuale limitato alle cosiddette rotte storiche CTI, per il periodo 15 giugno/15 settembre, i non residenti non usufruiscono della tariffa agevolata che è riservata ai residenti e alle categorie equiparate.
  Da ultimo si ricorda che in tema di mobilità aerea l'articolo 1, comma 486, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 attribuisce alla regione Sicilia 20 milioni di euro per il 2016 per i collegamenti aerei da e per la Sicilia.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   MINARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda sanitaria provinciale di Ragusa sta procedendo al riordino delle proprie strutture sanitarie, a giudizio dell'interrogante, ridimensionando incomprensibilmente diversi servizi sanitari che sono considerati essenziali per la collettività, creando disagi e disservizi all'utenza, mettendo seriamente a rischio la salute per moltissimi cittadini;
   in nome di un «illusorio» risparmio, infatti, l'Asp sta procedendo alla riduzione preoccupante dell'assistenza domiciliare e alla riduzione delle prestazioni erogate dalla farmacia ospedaliera di Modica, centralizzando nella farmacia distrettuale di Ragusa le attività di assistenza farmaceutica territoriale di Modica, come detto, – che ha il comprensorio più vasto della provincia – costringendo gli utenti a recarsi a Ragusa (25 chilometri di distanza), con aggravio di costi e sacrifici per gli stessi. A completare il quadro dei disagi, delle difficoltà e dei fastidi, vanno aggiunte le chiusure di altre farmacie territoriali come quelle di Comiso e Scicli che pur trovandosi nei PTA (presidi territoriali di assistenza) vengono considerate farmacie ospedaliere;
   la proposta di centralizzare le attività di assistenza farmaceutica territoriale (assistenza farmaceutica malattie rare, assistenza domiciliare integrata, assistenza pazienti stomizzati e tracheostomizzati, e altro) nella farmacia distrettuale di Ragusa, comporta gravi disagi agli utenti e un'intollerabile violazione del diritto alla salute dei cittadini;
   queste decisioni disposte dalla direzione generale dell'ASP in maniera, a parere dell'interrogante, avventata ed irrazionale compromettono il rispetto del diritto alla salute di molti cittadini iblei, non generano alcun tipo di risparmio reale, ma solo fittizio, provocando di converso, costi aggiuntivi ed oneri sia a carico degli utenti sia a carico della stessa ASP (si veda, ad esempio, il costo del personale conseguente allo smembramento, l'adeguamento dei locali e altro). Ciò determina, inoltre, gravi disagi per i cittadini che sono costretti, qualora fossero in grado di muoversi autonomamente, ad usufruire dei servizi della farmacia di Ragusa che risulta distante dal loro luogo di residenza e priva di adeguati mezzi di comunicazione;
   la prova dell'inefficace gestione del direttore generale è data dai disagi gravi che si registrano quotidianamente al pronto soccorso dell'ospedale Maggiore di Modica che hanno portato ad eclatanti proteste non solo dei cittadini ma anche da parte del sindaco. A parere dell'interrogante è da rilevare la gravità della situazione nel presidio di emergenza-urgenza che non soddisfa assolutamente gli oltre 30 mila accessi l'anno provenienti da un comprensorio molto vasto. Un alto numero di ingressi al quale non corrisponde il numero del personale medico, paramedico e ausiliario sottodimensionato che non può coprire e gestire le emergenze-urgenze di quello che viene definito «il cuore di un ospedale». Sono fortissime le lamentele dell'utenza costretta ad attese anche oltre le 5 ore, situazione non degna di un Paese civile, dalla quale scaturiscono disagi che non possono essere giustificati da mancanza di personale o strutture inadeguate senza che si agisca concretamente sul problema;
   senza una seria pianificazione preventiva, ogni azione della direzione generale dell'Asp non rispondente ad oggettivi criteri organizzativi è destinata a fallire miseramente;
   è da considerare, altresì, a parere dell'interrogante, come la gestione del direttore generale che, tra l'altro, avrebbe fatto sfumare l'acquisizione di una donazione all'ASP iblea di 2 milioni di dollari, appaia inefficace. Infatti, anziché ridurre i servizi necessari per i cittadini potrebbe indirizzare i suoi progetti di risparmio verso l'eliminazione dei costi superflui scaturenti dal reclutamento continuo di personale dirigenziale a tempo determinato senza che ce ne sia un effettivo bisogno;
   sarebbe opportuno verificare la legittimità delle procedure adottate per il conferimento di alcuni incarichi presso la suddetta azienda sanitaria provinciale.
(4-11789)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata nell'interrogazione in esame, stante il preminente rilievo degli aspetti di natura amministrativa aziendale, la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Ragusa ha acquisito le seguenti notizie dalla stessa azienda sanitaria provinciale – Asp di Ragusa.
  In merito all'assistenza farmaceutica, l'Asp ha precisato che l'esigenza di procedere ad una riorganizzazione dei servizi aziendali di farmacia, lungi dall'essere finalizzata al conseguimento di risparmi, è discesa dalla pregressa articolazione degli stessi servizi, in base alla quale determinate tipologie di attività sono state, di fatto, svolte sia nell'ambito della farmaceutica ospedaliera che territoriale.
  Lungi dal costituire una modalità di offerta di servizi aggiuntivi ai pazienti, questa situazione ha, piuttosto, determinato una difformità nelle prestazioni offerte ed una mancanza di chiarezza nelle responsabilità, compromettendo il livello quali quantitativo delle prestazioni erogate.
  Nell'intento di addivenire alla risoluzione delle criticità sopra indicate, l'ASP ha avviato, di concerto con i responsabili delle strutture interessate, una riorganizzazione delle attività, tendente ad eliminare le problematiche riscontrate.
  Nell'ambito di tale riorganizzazione, l'Asp ha avviato un processo di centralizzazione del magazzino farmaceutico, a fronte, comunque, della individuazione di più unità organizzative periferiche, con personale all'uopo dedicato e depositi locali nel medesimo territorio.
  La criticità rilevata in fase di avvio della riorganizzazione non è dipesa, in alcun modo, dal processo di rimodulazione posto in essere ma, piuttosto, dalla mancata incisiva attività di coordinamento da parte del personale responsabile.
  In ordine a tale circostanza, l'Asp è tempestivamente intervenuta, ponendo in essere ogni utile intervento correttivo volto al superamento delle problematiche iniziali riscontrate.
  Ad oggi, superata la fase di assestamento, si è addivenuti ad un recupero ottimale del funzionamento del servizio.
  L'Asp dichiara di poter garantire che l'erogazione di farmaci e presidi viene mantenuta inalterata, nelle tradizionali sedi di distribuzione vicine all'utenza.
  Per quanto concerne il pronto soccorso del presidio ospedaliero «Maggiore» di Modica, relativamente alla dotazione di personale, per la stessa, nell'ambito della nuova dotazione organica aziendale, è stato previsto un incremento dalle attuali n. 43 unità a n. 50 unità. Nello specifico, sono state conseguite significative implementazioni di personale sanitario e, segnatamente, infermieristico (dalle attuali n. 18 unità a n. 25 unità) e medico (dalle attuali n. 8 unità a n. 13 unità).
  Quanto alle condizioni strutturali è, ad oggi, in corso di indizione la gara per l'affidamento dei lavori di ristrutturazione ed adeguamento a norma della medesima struttura di pronto soccorso del P.O. di Modica: gli interventi previsti riguardano la ridistribuzione interna degli ambienti, al fine di razionalizzare le percorrenze dei malati, barellati e deambulanti, in modo da diversificare gli ingressi, le attese e i loro tragitti; oltre all'osservazione breve, verranno realizzati anche quattro posti di degenza, più uno isolato con percorrenza dedicata per la gestione di eventuali casi epidemici; è prevista una sala di diagnostica e la realizzazione di spogliatoi e percorsi esclusivi per il personale, ed ogni altro servizio necessario a rendere la struttura accreditabile.
  L'intervento in questione, inoltre, prevede la realizzazione di nuovi ampliamenti da destinare all'attesa dei deambulanti, nuovi collegamenti, un ambulatorio «codice bianco», e la camera calda; quest'ultima, in particolare, consentirà lo sbarellamento dei pazienti dalle ambulanze in ambiente riscaldato e coperto.
  La superficie in ampliamento è pari a metri quadri 270 circa, che si aggiungono ai metri quadri 650 esistenti, per un totale di metri quadri 920.
  In ordine alle considerazioni sul reclutamento di personale dirigenziale a tempo determinato, l'Asp di Ragusa ha precisato che ogni procedura posta in essere è discesa da specifiche esigenze, al fine di sostituire personale cessato dal servizio nell'anno 2015, nelle more di avviare le relative procedure concorsuali per l'assunzione a tempo indeterminato.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 22 aprile 2015 sono terminati gli interventi di riqualificazione della stazione di Erba, dopo oltre un anno di lavori e un investimento pari a 2,5 milioni di euro, coperti per il 60 per cento da parte di regione Lombardia e Ferrovienord, per il resto da fondi europei;
   complessivamente sono stati investiti 75 milioni di euro per riqualificare le stazioni e le infrastrutture della Milano-Asso nell'anno di Expo, intervenendo sulla sicurezza delle banchine, sulle pensiline, sulla videosorveglianza e anche dotando la stazione di due ascensori;
   la presenza di ascensori è assolutamente fondamentale per rendere fruibile il trasporto ferroviario ai viaggiatori con bagagli pesanti, alle famiglie con passeggini, alle persone anziane e soprattutto alle persone che hanno difficoltà a camminare e ovviamente ancor più a fare le scale;
   i due ascensori presenti in stazione sono inagibili perché ancora in attesa di collaudo, da sei mesi ormai, da parte dell'Ustif, l'organo preposto che fa capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonostante Ferrovienord, ad una prima formale richiesta di chiarimenti a giugno 2015, avesse reso noto che il collaudo sarebbe arrivato nel giro di qualche giorno;
   già in passato si sono creati altri problemi per le lunghe tempistiche dei collaudi degli ascensori e dei montacarichi, anche all'interno delle scuole e altri luoghi pubblici e di nuovo si assiste ad un intollerabile ritardo, questa volta alla stazione di Erba;
   è inaccettabile che vengano fatti degli investimenti e vengano riqualificate strutture che non possono essere utilizzate appieno solo per problemi burocratici, a scapito ovviamente dei cittadini che assistono inermi a questi inspiegabili ritardi –:
   se il Ministro non reputi opportuno intervenire tempestivamente per accertare le cause dell'intollerabile ritardo nei tempi di collaudo degli ascensori della stazione di Erba e come intenda porre immediatamente rimedio a questa mancanza.
(4-10841)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si premette che l'impianto della stazione ferroviaria di Erba è gestito da Ferrovienord spa, (prima del 2006, Ferrovie Nord Milano Esercizio spa), società appartenente al Gruppo FNM che opera come gestore dell'infrastruttura della rete delle ferrovie di proprietà regionale affidate in concessione al gruppo.
  In merito agli interventi di riqualificazione della stazione in argomento, Ferrovienord ha riferito quanto segue.
  Gli impianti sono stati attivati con apertura al pubblico in data 16 novembre 2015 e il ritardo per l'attivazione degli ascensori è stato determinato dalla necessità di intervenire per adeguare l'esistente ascensore a servizio del binario 1 alla tipologia dei nuovi ascensori dei binari 2 e 3, peraltro già appaltati.
  In particolare, per l'ascensore del binario 1 la società Ferrovienord aveva inizialmente previsto solo interventi di manutenzione, poi rivelatisi più complessi del previsto in fase di esecuzione, richiedendo da parte dell'esercente la sostituzione dell'intero impianto. I lavori per quest'ultimo impianto si sono conclusi solo in data 21 ottobre 2015, anche a seguito di ulteriori prescrizioni all'appaltatore da parte della stessa Ferrovienord.
  Successivamente, ottenuto il prescritto nulla osta da parte dell'USTIF di Milano in data 13 novembre 2015, la Società Ferrovienord ha ritenuto di attivare in un'unica soluzione tutti gli ascensori a servizio della stazione di Erba.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal mese di maggio 2015, gli abitanti di via Fausto Gullo, in località Vallo, nel comune di Borgia (Catanzaro), vivono il solito disagio della mancanza d'acqua che, a periodi alterni, oramai, si protrae da anni. Inoltre, quelle poche volte che il servizio viene fornito è insufficiente, poiché la quantità d'acqua che arriva dai rubinetti è così esigua da non consentire l'utilizzazione degli elettrodomestici quali, ad esempio, lo scaldabagno e la lavatrice;
   questa situazione si protrae da anni ed innumerevoli sono le volte in cui gli abitanti hanno fatto presente la situazione agli amministratori comunali, i quali hanno sempre «promesso» interventi e soluzioni definitive – mai messe in atto – trovando soluzioni provvisorie e per brevi periodi, insufficienti a porre fine all'emergenza;
   l'interrogante ha appreso da notizie a mezzo stampa che, per quest'anno, «c’è il rischio che dal 18 agosto prossimo venga addirittura ridotta la portata della fornitura dell'acqua: il comune di Borgia, infatti, compare nell'elenco degli oltre 60 comuni che risultano morosi nei confronti della Sorical, la società che gestisce gli acquedotti calabresi»;
   sempre dalla stampa locale si apprende che «la fornitura idrica sarà garantita ogni giorno da un'autobotte con una capacità di circa 50 quintali», quindi va da sé che potrà rifornirsi solo chi possiede un serbatoio;
   questa situazione di disagio si presenta solo nei periodi estivi, periodi in cui l'acqua è utilizzata maggiormente, creando gravi disagi soprattutto igienico-sanitari, si pensi ai bambini, agli anziani e agli ammalati;
   l'amministrazione comunale, circa sette anni fa, per porre rimedio a tale problema ha eseguito dei lavori sulla rete idrica – lavori finanziati dalla regione Calabria per un ammontare di euro 258.000,00 – che hanno interessato tutta la via con l'installazione di nuove tubature che avrebbero dovuto, non solo sostituire le vecchie, ma porre fine anche al problema della mancanza d'acqua;
   a distanza di sette anni non si comprende perché le tubature nuove non siano state allacciate alle abitazioni, creando la situazione paradossale dell'esistenza di due reti idriche, una nuova mai messa in funzione ed una vecchia che porta spesso nelle case acqua sporca, piena di ruggine e che emana cattivo odore, con un grave pericolo per la salute degli abitanti;
   per l'erogazione della sopracitata acqua sporca il comune di Borgia, a giudizio dell'interrogante ingiustificatamente, ha preteso negli anni compresi tra il 2009 e il 2013 una «quota per la depurazione delle acque reflue»;
   l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari è indissolubilmente legato al diritto alla vita e alla dignità umana nonché alla necessità di beneficiare di adeguate condizioni di vita. Il Consiglio d'Europa ha dichiarato che l'accesso all'acqua deve essere riconosciuto quale diritto umano fondamentale essendo l'acqua una risorsa essenziale per la vita;
   la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998 prevede che in caso di inosservanza dei valori di parametro, lo Stato membro interessato provvede affinché vengano tempestivamente adottati i provvedimenti correttivi necessari per ripristinare la qualità delle acque. Indipendentemente dal rispetto o meno dei valori di parametro, gli Stati membri provvedono affinché la fornitura di acque destinate al consumo umano, che rappresentano un potenziale pericolo per la salute umana, sia vietata o ne sia limitato l'uso e prendono qualsiasi altro provvedimento necessario. I consumatori vengono informati di tali misure;
   il prezzo della fornitura deve essere commisurato all'effettivo consumo e non può essere fissato secondo criteri meramente presuntivi che prescindano dalla situazione reale –:
   quali iniziative di competenza intendano assumere al fine di assicurare che non sia compromesso il fondamentale diritto all'acqua nel caso di Borgia e in quelli analoghi;
   se non ritengano urgente, ai sensi della direttiva 98/83/CE del Consiglio, adottare opportune iniziative per limitare l'utilizzo delle acque, ripristinarne la qualità ed informare i cittadini fruitori del servizio in merito ai rischi connessi, anche alla luce dell'esigenza di non disattendere impegni derivanti dalla partecipazione all'Unione europea. (4-09945)

  Risposta. — In relazione alle problematiche relative alla fornitura idrica della località Vallo di Borgia, si risponde, a seguito di delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base dei dati acquisiti dalla prefettura – ufficio territoriale del Governo di Catanzaro.
  Il sindaco del comune di Borgia ha fatto presente che la località interessata è situata in una porzione di territorio comunale, costituita da una striscia di terreno che dalla strada statale 106 Jonica si addentra verso l'interno per circa due chilometri, servita da una viabilità centrale a cavallo della quale sono ripartite quote di terreno, ex Opera Valorizzazione Sila, affidate a suo tempo a coloni a sostegno dell'economia dei nuclei familiari.
  La stessa ex Opera valorizzazione Sila, negli anni 60, ha realizzato anche una rete di distribuzione idrica collegata ad un serbatoio sito su di una altura del versante collinare, che doveva alimentare le poche case coloniche realizzate nei vari poderi.
  Nel tempo detta località è stata interessata da interventi edificatori, che hanno comportato un incremento della popolazione residente.
  Sempre a detta del sindaco, le problematiche di approvvigionamento idrico lamentate riguardano solo la zona di Vallo Alto, dove le abitazioni hanno una differenza di quota minima rispetto al livello del serbatoio che li alimenta, il quale è incrementato da un impianto di sollevamento che attinge l'acqua dalla condotta della So. Ri. Cal. (Società che gestisce le risorse idriche calabresi).
  Il comune di Borgia, così come confermato anche dal comando provinciale dei Carabinieri di Catanzaro, al fine di alleviare le difficoltà e il disagio dei cittadini di Vallo Alto, ha per alcuni periodi fornito l'acqua con l'ausilio di cisterne mobili o mediante collegamenti temporanei sulle rete idrica di distribuzione.
  In merito ai pagamenti insoluti con la società che fornisce l'acqua lungo la fascia costiera, lo stesso, sindaco di Borgia dichiara di avere saldato gli arretrati con la So.Ri.Cal. fino al 2013 e di avere già liquidato quasi tutto il dovuto per l'anno 2014, pertanto non sarebbe intervenuta alcuna riduzione di fornitura idrica.
  Il comando provinciale dei Carabinieri ha confermato che anni addietro, al fine di risolvere la problematica dell'approvvigionamento idrico di località Vallo di Borgia, l'attuale amministrazione comunale aveva approvato un progetto che prevedeva il potenziamento della stazione di pompaggio, realizzando una nuova rete idrica di distribuzione comprendente anche il collegamento con il serbatoio centrale.
  La scarsità delle risorse economiche non ha consentito di completare il lavoro con gli allacci delle utenze private a detta rete, che a tutt'oggi non risulta ancora entrata in funzione. Per la realizzazione di dette opere il comune di Borgia ha ricevuto dalla regione Calabria un finanziamento di 150.000,00 euro a fronte di una spesa complessiva di 258.000,00 euro.
  Relativamente alla potabilità dell'acqua destinata al consumo umano, anche il comando provinciale dei Carabinieri ha confermato che il dato connesso alle ordinanze temporanee di non potabilità della stessa non è più attuale, tant’è che le ultime analisi ne confermano la possibilità di uso.
  Da ultimo, il sindaco di Borgia ha affermato che l'acqua della località Vallo di Borgia è regolarmente controllata sia dall'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro che dal comune di Borgia con le analisi autocontrollo.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PRATAVIERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ennesima vile e brutale aggressione, questa volta a colpi di machete, al personale viaggiante delle Ferrovie dello Stato avvenuta su un treno alla stazione di Villapizzone, a Milano, ha suscitato grande preoccupazione tra l'opinione pubblica, il personale delle imprese del trasporto pubblico e i viaggiatori;
   l'episodio, dopo un vertice tra FS e sindacati, ha prodotto il rischio concreto di sospensione di 15 tratte ferroviarie in 7 regioni se, il gruppo Ferrovie dello Stato, entro il 26 giugno non garantirà un'adeguata sicurezza sui treni maggiormente a rischio;
   è stata, tra l'altro, avanzata la richiesta di istituire un tavolo di lavoro presso il Ministero dell'interno, con la partecipazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, delle imprese ferroviarie (FS e NTV) e dei sindacati per effettuare un costante monitoraggio sulle tratte più pericolose al fine di garantire la sicurezza del personale viaggiante e dei viaggiatori;
   tra la lunga lista di treni da sopprimere già da questo mese, se a bordo non verrà garantita la presenza di forze dell'ordine, sono menzionati anche due tratte che interessano, tra l'altro, la regione Veneto e cioè le tratte Bologna-Venezia SL Rovigo-Venezia SL (2248) e Venezia-SL Trieste Mestre-Latisana (2203);
   la Venezia-Bologna è una tratta dove da tempo capita di tutto e se una volta salta la presenza della polizia ferroviaria le carrozze si trasformano in un mercatino con gente che chiede denaro, cerca di vendere improbabile mercanzia anche di dubbia provenienza o ruba «tout court» approfittando della scarsissima presenza di personale FS, magari impegnato a redigere un verbale di contravvenzione per i molti senza biglietto;
   molto frequentata anche la linea Venezia-Trieste con la stazione di Mestre che oramai è diventata un vero e proprio hub della «criminalità su rotaia»;
   nel terminal della terraferma veneziana si concentra un numero incredibile di malviventi di ogni genere, suddivisi in gruppi organizzati sempre in agguato specialmente ai binari, dove si fermano i «Freccia» delle FS e «Italo» di NTV;
   tutto ciò è noto purtroppo da anni, ma la decisione di sospendere le tratte ritenute pericolose per il personale viaggiante perché non adeguatamente controllate dalle forze dell'ordine rappresenta la sconfitta dello Stato di fronte alla criminalità;
   sarebbe un pericoloso precedente, un evidente abbandono di campo in un settore strategico come quello dei trasporti di fronte alla criminalità, sempre più aggressiva, quando la risposta deve essere di tutt'altro tenore, impiegando risorse e personale qualificato che certamente non manca –:
   quali misure urgenti i Ministri interrogati intendano adottare, ognuno per proprie competenze, al fine di garantire sia la sicurezza del personale viaggiante che degli utenti dei treni, in maniera particolare sulle tratte più pericolose, e se non ritengano di dover attivare un tavolo tecnico anche con i rappresentanti delle regioni, degli enti locali e degli utenti interessati ai tagli al fine di trovare le soluzioni più adeguate, scongiurando nel contempo il suddetto ridimensionamento di esercizio. (4-09536)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Si premette che la sicurezza a bordo treno è una problematica di ordine pubblico e, come tale, rientra tra i compiti istituzionali della Polizia ferroviaria. Al riguardo, si informa che, per quanto riferisce il Ministero degli interni, la Polizia ferroviaria, anche in coordinamento con le altre Forze di polizia territorialmente presenti e in continua sinergia con il gruppo Ferrovie dello Stato italiane (FS), effettua servizi giornalieri in stazione, a bordo treno e lungo linea, per garantire la sicurezza sia dei viaggiatori che del personale ferroviario. Tale attività è anche orientata verso la sicurezza della circolazione e dell'infrastruttura ferroviaria, in considerazione della natura strategica del settore mobilità per il Paese.
  Sono, infatti, più di 3 milioni e mezzo le persone che quotidianamente transitano nelle oltre 2.500 stazioni italiane e oltre 8 mila i convogli giornalmente circolanti sulle linee ferroviarie nazionali.
  La maggior parte degli episodi di aggressione è costituita da ingiurie e minacce nei confronti degli operatori FS durante le operazioni di controllo dei titoli di viaggio a bordo dei treni; talvolta tali situazioni degenerano in percosse che possono causare lesioni di gravità variabile.
  Nei casi più eclatanti, l'aggressività si riversa anche sul personale di polizia che interviene per prestare tempestiva assistenza al personale FS aggredito. Nella quasi totalità degli episodi in parola, i responsabili vengono tratti in arresto e deferiti all'Autorità giudiziaria sia dagli operatori della specialità ferroviaria che da quelli di altre forze di polizia.
  Poiché la problematica in esame risulta in aumento a livello nazionale, ne è conseguito un potenziamento dei servizi, soprattutto su quei convogli e in quelle tratte ove si sono rilevate maggiori criticità.
  Inoltre, con cadenza mensile o all'insorgere di improvvise recrudescenze del fenomeno, vengono individuati, congiuntamente alle componenti di Ferrovie dello Stato, i convogli ritenuti critici sulla base della frequenza degli episodi criminosi accertati. Detta analisi, ovviamente, viene effettuata allo scopo di programmare servizi mirati volti a contrastare il fenomeno laddove esso risulti più frequente.
  In relazione agli elementi di conoscenza così acquisiti, la polizia ferroviaria provvede ad effettuare scorte mirate sui convogli segnalati, nonché servizi negli scali ferroviari interessati dal loro transito, realizzando, in tal modo, un efficace dispositivo di filtraggio già all'atto della partenza.
  Nel contesto delineato risultano essenziali sia le sinergie informative e operative con le imprese ferroviarie, così come le tecnologie a disposizione tanto come fattore deterrente quanto per l'individuazione di eventuali responsabili di atti illeciti.
  Al riguardo, si segnala che è attivo il numero telefonico di emergenza 1600 che mette in contatto diretto il personale ferroviario con la sala operativa della Polizia ferroviaria più vicina per garantire un intervento più immediato delle pattuglie e che taluni treni e molte stazioni ferroviarie sono dotate di impianti di video sorveglianza.
  Ciò premesso, si evidenzia che, nel corso del 2015, la polizia ferroviaria, con i suoi 4.412 operatori, ha effettuato a livello nazionale 200.209 servizi di vigilanza in stazione, ha scortato 107.141 treni, ha espletato 15.824 servizi antiborseggio in abiti civili; ha inoltre effettuato 30.164 pattugliamenti lungo linea e 1.179 servizi straordinari di controllo del territorio; ha complessivamente tratto in arresto 1.468 persone, indagate 14.133 in stato di libertà e 828.006 sottoposte a controllo.
  Grazie al dispositivo di sicurezza approntato e all'attività complessivamente espletata dalla specialità in ambito ferroviario, nel 2015 si è registrata una riduzione degli episodi di criminalità predatoria, con un calo dei furti totali del 15 per cento.
  Gli altri dati della delittuosità, relativi al medesimo periodo, lasciano emergere una diminuzione di alcuni fenomeni (furti rame –31 per cento, danneggiamenti –7 per cento, lancio oggetti contro i treni –13 per cento, frodi ai danni delle imprese ferroviarie –18 per cento) con un aumento delle aggressioni al personale ferroviario (mentre si riducono le aggressioni ai danni dei viaggiatori –14 per cento).
  Tra le specifiche misure disposte dal gruppo FS, a mero titolo esemplificativo, si segnala:
   formazione del personale di bordo con corsi antiaggressione;
   presenza di agenti Polfer in uniforme sui treni regionali e notturni ritenuti critici per la sicurezza di passeggeri e ferrovieri;
   creazione di squadre antievasione che effettuano il controllo dei biglietti prima dell'accesso ai treni;
   realizzazione di varchi nelle principali stazioni per filtrare l'accesso ai treni e consentendolo esclusivamente ai possessori di biglietto;
   azioni di contrasto dell'abusivismo in stazione, un ambito nel quale si consumano molte delle aggressioni registrate.

  Infine, giova precisare che più recentemente sui treni a rischio segnalati da FS, scortati con continuità dalla polizia ferroviaria, non si sono rilevate criticità o episodi delittuosi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.