Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 24 giugno 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il 26 ottobre 2015, la sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti, con la deliberazione n. 8 del 2015, nell'ambito di un'approfondita disamina del meccanismo del cosiddetto «otto per mille» e in perfetta continuità con il passato, ha replicato il suo pesante «j'accuse» allo Stato italiano per non aver ancora provveduto ad attivare le procedure di revisione, che pure erano previste con cadenza triennale, di un sistema, quello della destinazione della quota inoptata dell'otto per mille dell'IRPEF, che nel solo ultimo trentennio, sempre secondo la magistratura contabile, «ha contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana»;
    la relazione dei magistrati contabili sottolinea, in primis, le problematicità legate alla scelta non manifesta da parte dei contribuenti. Invero, secondo il meccanismo attualmente vigente previsto dall'articolo 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222, recante disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi, una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali, dev'essere destinata, in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica. La destinazione però non avviene solo sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi, ma anche con riferimento a tutte le rimanenti scelte non espresse ed in misura proporzionale a quelle espresse. In sostanza, in forza di tale sistema, tutti i contribuenti che non esprimono alcuna scelta ai fini del riparto della quota dell'otto per mille (e che sono la maggioranza, rappresentando quasi il 60 per cento del totale) contribuiscono, senza volerlo espressamente, con una parte dell'imposta sui redditi versata allo Stato, al sostentamento sia della Chiesa cattolica sia di tutte le confessioni religiose, circa undici, che successivamente all'entrata in vigore della legge n. 222 del 1985 hanno stipulato con lo Stato italiano un'intesa, ai sensi dell'articolo 8, terzo comma della Costituzione;
    in realtà, con il riparto delle scelte non espresse (tra cui, peraltro, rientrano non solo le dichiarazioni non presentate ma anche le scelte irregolari e quelle dei defunti) sono stati avvantaggiati, con un effetto moltiplicativo con fattore pari a 2,5, i maggiori destinatari delle opzioni, prima fra tutti la Chiesa cattolica che, essendo a sua volta la confessione religiosa maggioritaria, riceve aiuti che vanno oltre il suo peso e le sue necessità istituzionali, acquisendo dal riparto più del doppio rispetto a quanto risulterebbe invece dal calcolo operato sulla base delle sole scelte espresse. A titolo esemplificativo, nel solo anno 2014, la Conferenza episcopale italiana ha conseguito l'82 per cento dell'intero ammontare da ripartire, a fronte del 38 per cento delle opzioni espresse sul totale dei contribuenti, ossia oltre un miliardo di euro anziché 485 milioni;
    la suddetta modalità, sempre secondo la Corte dei conti, rischia peraltro di alimentare una forma di «affermazione di un pluralismo confessionale imperfetto» e di disattendere, di contro, il «principio di laicità, quale emerge dagli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, che implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato, per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale» (confronta Corte costituzionale, sentenza n. 203 del 1989);
    di più. Dalla circostanza che la percentuale di preferenza nelle scelte espresse determina l'allocazione della complessiva quota di gettito, deriva che le confessioni religiose destinatarie vengono paradossalmente a ricevere più dalla quota non espressa che da quella espressa: insomma, i soli contribuenti optanti decidono per tutti, un po’ come accade nelle consultazioni elettorali, laddove i seggi vengono ripartiti a prescindere dal numero dei votanti e dalla percentuale di astensione;
    altra considerazione, che dovrebbe destare ulteriore perplessità, è quella che molti dei contribuenti non optanti sono indotti a ritenere, in buona fede, che la loro quota resti nella disponibilità dell'erario, presumendo che il proprio contributo serva ad interventi quali la cooperazione internazionale, la lotta alla fame nel mondo, gli interventi educativi, culturali e artistici nel nostro Paese. A tale proposito, la stessa Corte dei conti ha sostenuto che, proprio sotto il profilo oggettivo, le somme computabili in base alle scelte non espresse dovrebbero essere considerate denaro pubblico a tutti gli effetti e, conseguentemente, riassorbite nel bilancio dello Stato o, al più, computate tra quelle destinate a scopi sociali a diretta gestione statale. Si tratterebbe peraltro di cifre altissime, visto che le somme raccolte sono salite da 290 milioni di euro nel 1990 a 1,2 miliardi di euro nel 2014 (l'82,3 per cento dei quali, come si è visto, rimessi alla Chiesa cattolica);
    nelle sue deliberazioni la Corte dei conti ha addebitato al Governo una culpa in vigilando e rivolto un monito al Ministero dell'economia e delle finanze, responsabile della vigilanza sui fondi e sulla loro erogazione, nonostante che le cifre coinvolte siano importanti: la Conferenza episcopale italiana, ad esempio, nel 2014 ha incassato 1.054.310.702,18 euro, di cui circa 388 milioni utilizzati per il sostentamento del clero, circa 433 milioni per le esigenze di culto e 245 milioni di euro per gli interventi caritativi. Critiche sono state rivolte anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri che, dal canto suo, non ha garantito la dovuta trasparenza, benché i contribuenti siano direttamente coinvolti nelle scelte, sulle erogazioni da parte delle amministrazioni statali, né ha riportato, nell'apposita sezione del sito internet istituzionale, le attribuzioni annuali alle varie confessioni religiose e la destinazione che queste, nella loro discrezionalità e nell'ambito degli impieghi ammessi nei patti stipulati con lo Stato, danno ai contributi ricevuti. Al contrario, la rilevanza degli importi ed il diretto coinvolgimento dei cittadini imporrebbero un'ampia pubblicità e la messa a disposizione dell'archivio completo delle contribuzioni versate negli anni, al fine di favorire forme diffuse di controllo;
    gli stessi magistrati contabili hanno tenuto a stigmatizzare che inoltre lo Stato, «in violazione dei principi di buon andamento, efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione, mostra disinteresse ad incentivare la quota di propria competenza, cosa che ha determinato, nel corso del tempo, la drastica riduzione dei contribuenti a suo favore (scesi nel 2014 a soli 170 milioni di euro) dando l'impressione che l'istituto sia finalizzato – più che a perseguire lo scopo dichiarato – a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni»;
    mentre il sistema era nato originariamente come meccanismo per garantire il sostentamento del clero, tale voce è diventata percentualmente sempre meno rilevante (il 34,1 per cento del totale). Parrebbe infatti che la Chiesa cattolica preferisca destinare il 47 per cento dei fondi ricevuti dallo Stato a mezzo dell'otto per mille alle cosiddette «esigenze di culto» e cioè al finanziamento delle catechesi, dei tribunali ecclesiastici e della costruzione di nuove chiese, alla manutenzione dei propri immobili e alla gestione del proprio patrimonio: tutte finalità alle quali, naturalmente, non sarà mai dedicato alcuno spot televisivo, che sarà piuttosto dedicato agli aiuti al terzo mondo, ai quali invece nella realtà, guarda caso, viene destinato un misero 8 per cento dell'intero gettito garantito dall'otto per mille;
    in conclusione la Corte dei conti ha voluto soprattutto far emergere tutti gli elementi di debolezza intrinseci nella normativa e nella gestione di un istituto, quello dell'otto per mille, definito dalla stessa come opaco, esente dai dovuti controlli e discriminante dal punto di vista della pluralità religiosa, poco rispettoso dei princìpi di proporzionalità, di volontarietà e di eguaglianza, tutti rilievi che impongono valutazioni ed iniziative da parte sia del legislatore che del Governo atte a superare tutte le suddette criticità;
    numerose sono le proposte di rango costituzionale – occorrendo superare mediante un atto unilaterale la tutela costituzionale apprestata dall'articolo 7 della Costituzione alle forme pattizie di regolazione dei rapporti con la Chiesa cattolica e, contestualmente, le intese con le altre confessioni religiose regolate dall'articolo 8 della Costituzione medesima – depositate in Parlamento allo stato attuale e finalizzate alle modifiche al sopracitato meccanismo di attribuzione della quota dell’«8 per mille»;
    l'articolo 7 della Costituzione stabilisce il regime pattizio mediante il quale sono regolati i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica, quali soggetti indipendenti operanti al livello della sovranità, attribuendo speciale tutela costituzionale alle norme dei Patti lateranensi e alle loro modificazioni concordate tra le parti. Invece, a tenore dell'articolo 8, terzo comma, i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diversa dalla cattolica, che agiscono sul piano dell'autonomia garantita ad esse dall'ordinamento interno, «sono regolati, per legge, sulla base di intese con le relative rappresentanze»;
    le leggi di approvazione delle intese successivamente stipulate, ai sensi dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione, tra lo Stato e le varie confessioni religiose hanno riguardato l'Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7o giorno, le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa evangelica valdese – Unione delle chiese valdesi e metodiste, la Chiesa evangelica luterana in Italia, l'Unione delle comunità ebraiche italiane, la Sacra arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa meridionale, la Chiesa apostolica in Italia, l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia, l'Unione buddhista italiana e l'Unione induista italiana;
    l'articolo 7, n. 6, dell'Accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Italiana del 1984, di revisione del Concordato lateranense del 1929, ha previsto la costituzione di un'apposita Commissione paritetica con il compito di predisporre le norme «per la disciplina di tutta la materia degli enti e beni ecclesiastici e per la revisione degli impegni finanziari dello Stato italiano e degli interventi del medesimo nella gestione patrimoniale degli enti ecclesiastici». Il sistema beneficiale di finanziamento alla Chiesa cattolica proposto dalla Commissione, interamente ripreso successivamente dalla legge 20 marzo 1985, n. 222 (Norme sugli enti e i beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico al servizio delle diocesi), trae le sue origini dall'esigenza di rivedere radicalmente gli impegni finanziari dello Stato nei confronti della Chiesa cattolica, nonché dal proporre un sistema che potesse essere esteso anche alle altre confessioni religiose che avessero stipulato un'intesa con lo Stato italiano. Tale legge, essendo il meccanismo in essa previsto riconducibile alla bilaterale negoziazione fra lo Stato e la Chiesa cattolica e collocandosi a pieno titolo nel contesto concordatario, si connota per una particolare forza di resistenza rispetto ad eventuali modificazioni unilaterali;
    le leggi che, sulla base delle rispettive intese, regolano i rapporti con le confessioni religiose che concorrono alla ripartizione dell'8 per mille insieme alla Chiesa cattolica ed allo Stato, prevedono che in occasione della presentazione di disegni di legge relativi a materie che coinvolgano i rapporti tra le confessioni e lo Stato, saranno previamente promosse le intese del caso, in conformità all'articolo 8 della Costituzione;
    nonostante il gettito dell'8 per mille sia cresciuto esponenzialmente nel tempo, arrivando alla cifra abnorme di 1,1 miliardi di euro l'anno, si tratta di uno dei pochi settori usciti indenni dai tagli abbattutisi invece su altri comparti della spesa pubblica,

impegna il Governo:

   ad avviare le suddette intese al fine di modificare l'attuale normativa sulla destinazione dell'importo corrispondente alle scelte non espresse da parte dei contribuenti nella ripartizione della quota dell'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche ed eliminare l'effetto controverso derivante dall'allocazione anche della quota delle scelte non manifestate;
   ad assumere iniziative per prevedere che la suddetta quota, relativa alle scelte non manifestate, rimanga di pertinenza esclusiva dello Stato affinché lo stesso la impieghi per finanziare attività aventi finalità sociale.
(1-01313) «Melilla, Scotto, Paglia, Marcon, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Martelli, Nicchi, Palazzotto, Pannarale, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».

Risoluzioni in Commissione:


   La V Commissione,
   premesso che:
    la dotazione iniziale dei fondi strutturali 2014-2020 assegnata agli Stati membri dell'Unione europea era stata effettuata a suo tempo sulla base delle previsioni di crescita del Pil disponibili nel 2012. Il regolamento in materia prevedeva poi che nel 2016 fosse verificata la crescita effettiva nel biennio 2014-2015 e al termine di tale verifica sarebbe emerso che in tre Paesi, Italia, Spagna e Grecia, la divergenza tra crescita prevista e crescita effettiva sarebbe stata addirittura superiore al 5 per cento;
    lo stesso regolamento prevedeva la costituzione di una sorta di «tesoretto», una somma che l'Unione europea ha tenuto da parte per compensare proprio eventuali divergenze e quindi aiutare, con un ulteriore dotazione aggiuntiva di fondi, i Paesi che, come l'Italia, hanno registrato i tassi di crescita peggiori nell'Unione europea;
    in base alle stime effettuate dalla Commissione europea, all'Italia spetterebbero risorse aggiuntive per 1,4 miliardi di euro (su un totale di 4 miliardi) che si sommano ai 42,4 miliardi di euro (più 31 di cofinanziamento nazionale) assegnati al nostro Paese per il periodo 2014-2020;
    tali risorse la cui destinazione su obiettivi e programmi da privilegiare va stabilita dal Governo d'intesa con la Commissione europea, dovrebbero essere assegnate a fine giugno e potranno essere spese dal 2017 al 2020 per finanziare i programmi operativi regionali e nazionali in corso;
    è evidente che obiettivo dell'Unione europea nel prevedere questo «tesoretto» è quello di sostenere i Paesi che hanno difficoltà a crescere e che, quindi, meritano risorse aggiuntive per essere sostenuti nel processo di superamento del gap. Ed è altrettanto evidente, di conseguenza, che il Governo italiano dovrà perseguire lo stesso obiettivo e, quindi, destinare l'intera somma aggiuntiva di 1,4 miliardi di euro, alle regioni dell'obiettivo 1, quindi alle regioni del Sud;
    la somma di cofinanziamento nazionale prevista non è uguale per tutti i programmi e su alcuni è addirittura pari a zero,

impegna il Governo:

   a rispettare la ratio e gli obiettivi del regolamento dell'Unione europea sui fondi strutturali e, in coerenza con esso, a destinare la somma aggiuntiva di 1,4 miliardi di euro alle regioni dell'obiettivo 1;
   a privilegiare, nell'individuazione dei progetti e dei programmi su cui incrementare i finanziamenti, quelli che richiedono un tasso di cofinanziamento nazionale più basso o pari a zero, onde evitare problemi di copertura;
   ad utilizzare parte delle risorse, a partire dal 2017, per finanziare l'esonero contributivo del 100 per cento per le aziende che assumono a tempo indeterminato, misura prevista nella legge di stabilità per il 2016, ma non attuata;
   ad assumere iniziative per incrementare il fondo di dotazione finanziaria per il credito d'imposta, previsto nella legge di stabilità per il periodo dal 2016 al 2019, ma con risorse risicate;
   ad assumere iniziative per incrementare le somme stanziate per le politiche giovanili che, in coerenza con la grande sensibilità dell'Unione europea su questi temi, sono a cofinanziamento zero, come ad esempio borse di studio, dottorati di ricerca, corsi di specializzazione e altro;
   ad assumere iniziative per prevedere trattandosi di risorse straordinarie, uno stanziamento ad hoc per risolvere un problema straordinario, come quello della diffusione del batterio Xylella, che sta azzerando l'economia oliovicola pugliese, con grave pregiudizio al Pil agricolo meridionale e nazionale.
(7-01031) «Palese».


   La Commissione IX,
   premesso che:
    la città di Matera sita in Basilicata è l'unico capoluogo di provincia italiano isolato dal resto della rete ferroviaria nazionale a scartamento ordinario, ed è raggiungibile su ferro solo da Bari tramite la linea a scartamento ridotto e non elettrificata delle Ferrovie Appulo Lucane (società a responsabilità limitata di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti);
    le Ferrovie dello Stato a Matera, per la prima volta, vennero promesse nel 1902 dal Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli nel suo viaggio in Basilicata. Nel 1915 partì la prima ferrovia a scartamento ridotto da Bari a Matera. Nel 1932 la ferrovia a scartamento ridotto venne prolungata fino a Montalbano Jonico. Alla caduta del fascismo, i cittadini materani ripresero con vigore la battaglia per le FS a Matera. Il dibattito si aprì a svariate ipotesi che andavano dal collegamento Ferrandina-Matera-Bari al collegamento Metaponto-Matera-Casal Sabini-Gioia del Colle. Nel 1973 Matera venne esclusa dal piano ferroviario decennale nazionale e inserita solo nel 1980. Nel 1981 fu avviata la fase di progettazione della Ferrandina-Matera i cui lavori cominciarono nel 1986. Nel mese di gennaio 1997 cadde l'ultimo diaframma della galleria di Miglionico (MT) e da allora, si registrò il fallimento di due consorzi di imprese che avevano assunto i lavori. Inoltre si assistette ad una serie di problemi gestionali che si manifestarono a livello politico fino al 2006, quando sembrò emergere una soluzione definitiva: la regione Basilicata ed il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti avevano concluso un accordo per l'impiego delle risorse provenienti dal Fondo per le aree sottosviluppate. Infatti il progetto Pon 2006-2012 prevedeva lavori di ammodernamento e di costruzione di nuove infrastrutture che comprendevano anche la tratta Ferrandina-Matera L.M. Successivamente l'opera scomparirà dalla pianificazione dei futuri interventi;
    tra le ragioni dell'interruzione dell'opera pare vi siano state anche alcune criticità nella realizzazione della galleria Miglionico (MT), valico di 6 chilometri tra i fiumi Basento e Bradano. Tale galleria sarebbe stata infatti realizzata su un terreno argilloso e franoso soggetto a smottamenti e pieno di gas. L'Uver (Unità di verifica degli investimenti pubblici), che fa capo al Dipartimento nazionale per le politiche di sviluppo, nel parere rilasciato dopo un sopralluogo nel febbraio 2004, scriveva: «La persistenza di gravi criticità, unita alla vetustà delle opere già realizzate, condiziona la conclusione dell'opera e non consente di fugare tutte le perplessità circa l'entrata in funzione della nuova linea ferroviaria»;
    secondo il PON 2006-2012, l'80 per cento dei lavori della tratta Ferrandina-Matera risulta essere stato completato. Tuttavia, a dispetto di quanto riportato nel documento appena citato e nonostante i circa 115 milioni di euro spesi ad oggi per l'opera, l'infrastruttura resta una cattedrale nel deserto. La stazione di Matera è un edificio dalle mura incomplete e pericolanti con adiacente un grande piazzale merci, nessun binario collegato, e sotterranei colmi di rifiuti. Sono state avanzate differenti ipotesi per la conversione dell'opera incompiuta, tra cui una pista ciclabile, mentre nel frattempo il tracciato viene di fatto utilizzato da alcuni pastori come percorso per pascoli di mandrie ovine o bovine. Il caso della stazione di Matera è stato già oggetto di attenzione da parte dei media nazionali e tale infrastruttura è stata annoverata nell'archivio delle opere incompiute italiane pubblicato dal National Geographic;
    dall'inizio della corrente legislatura, il gruppo del M5S si è a più riprese occupato della condizione delle infrastrutture in Basilicata. Durante le audizioni che si sono susseguite con gli amministratori delegati di Ferrovie dello Stato, la prima firmataria del presente atto ha costantemente denunciato l'inadeguata se non scarsa attenzione alle esigenze di mobilità dell'utenza del territorio lucano; le carenti e precarie condizioni igieniche e di decoro dei mezzi, dovute alla scarsa pulizia e alla vetustà delle carrozze in alcuni casi oltre i limiti della decenza; i tempi di percorrenza improponibili, ritardi e continui disservizi a discapito di pendolari esasperati;
    per quanto attiene alla questione relativa alla tratta ferroviaria Ferrandina-Matera, si rileva che, il 24 giugno del 2013, a seguito di un incontro sul territorio avvenuto fra alcuni esponenti del Movimento5Stelle con il Comitato Ciufer, la prima firmataria del presente atto consegnava un documento di denuncia all'allora amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Italiane, l'ingegner Mauro Moretti. La relazione verteva sull'increscioso stato delle FS in Basilicata, sul mancato completamento della tratta Ferrandina-Matera e sulla precaria situazione della stessa stazione di Ferrandina in termini di qualità e servizi offerti ai cittadini. All'interno del documento veniva formulata la proposta di stabilire un collegamento intermodale tra la stazione di Ferrandina e la città di Matera quale soluzione alle criticità sopra evidenziate. Alcuni mesi dopo, FS rispondeva che non era in progettazione il completamento della Ferrandina-Matera dal momento che i fondi (221 milioni di euro) necessari all'ultimazione dell'opera erano già stati stanziati per altre infrastrutture quali la Potenza-Foggia, linea che si sarebbe poi collegata all'AV Napoli-Bari in progettazione. Sulla proposta del collegamento intermodale, avanzata dal M5S, l'azienda si rese disponibile a partecipare ad un tavolo tecnico e a valutare la possibilità di attivarne il servizio. Tuttavia agli impegni presi, non seguì alcun incontro. Il 14 gennaio 2014 il «Rapporto Pendolaria 2013» confermava la disastrosa situazione delle infrastrutture ferroviarie del Sud e nello stesso documento la tratta Potenza-Salerno figurava tra le 10 peggiori linee d'Italia. Elementi del rapporto pendolaria sono divenuti oggetto dell'interrogazione n. 5-01855 presentata dalla prima firmataria del presente atto;
    nel contratto di programma RFI 2012-2016 stipulato tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Rete Ferroviaria Italiana Spa, figura la «Nuova Linea Ferrandina-Matera». La stessa è presente anche nell'aggiornamento del 20 aprile 2016, parte investimenti. In particolare nella Tabella A – Portafoglio investimenti in corso e programmatici, il costo dell'opera risulta essere di 265 milioni di euro (100 milioni di euro in più rispetto al contratto di programma iniziale) e, fermo restando i 45 milioni di euro già stanziati, il fabbisogno complessivo per il completamento dell'infrastruttura è aggiornato a 220 milioni di euro, con la specifica che l'intervento è «sospeso in quanto i finanziamenti residui – al netto delle opere già eseguite – non sono sufficienti per la realizzazione di fasi funzionali dell'investimento»;
    il 17 ottobre 2014, la città di Matera veniva investita del titolo di capitale europea della cultura 2019. In tale occasione si riaccendeva il dibattito del mancato collegamento ferroviario della «Città dei Sassi» alla rete nazionale ferroviaria. All'interno del dossier di candidatura della città, per la parte relativa ai trasporti su ferro si legge che: «Il collegamento con Bari [..] è assicurato anche da un sistema di treni leggeri destinato a un potenziamento e un miglioramento qualitativo. Il progetto prevede un aumento della frequenza delle corse e del carico di passeggeri, una riduzione del numero di fermate e una durata inferiore ai 60 minuti del collegamento tra le stazioni di Matera e la stazione centrale di Bari, già integrata con il nodo aeroportuale di Bari Palese con una partenza circa ogni ora». Nello stesso documento non risulta alcun riferimento ad un possibile ed eventuale collegamento della città di Matera alla rete ferroviaria nazionale e l'incompiuta ferroviaria Matera-Ferrandina non è neanche citata;
    riguardo alla gestione delle Ferrovie Appulo Lucane (FAL), il gruppo del M5S ha presentato numerosi atti di sindacato ispettivo, al fine di fare chiarezza in merito alle denunce dei dipendenti dell'azienda appartenenti al sindacato USB i quali segnalavano la mala gestione dell'attività delle FAL. A seguito di un'inchiesta giornalistica sulla FAL – dalla quale emergeva una gestione dell'azienda familiare e clientelare e l'esistenza di rapporti di amicizia tra i vertici dell'azienda e il mondo politico – con l'interrogazione n. 5-05637, i deputati firmatari del M5S chiedevano al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di far luce sul presunto sistema clientelare delle Ferrovie Appulo Lucane, di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al 100 per cento. Nel mese di maggio 2015 la risposta all'interrogazione fu ritenuta insoddisfacente. Lo stesso mese, la Procura di Bari apriva un'indagine sulle Ferrovie Appulo Lucane;
    successivamente, nel maggio 2016 il Presidente del Consigli dei ministri, Matteo Renzi, siglava insieme al Presidente della regione Basilicata il «Patto per il Sud», un documento che prevede lo stanziamento di 60 milioni di euro per i lavori di ammodernamento delle Ferrovie Appulo Lucane destinati alla riduzione del tempo di percorrenza della tratta Matera-Bari. Si rileva come le FAL già godano di un finanziamento pubblico di circa 21 milioni di euro l'anno, stanziato dalla regione Basilicata, per lo svolgimento del servizio annuale di trasporto pubblico locale;
    tra le ipotesi di soluzione di collegamento di Matera alle linee ferroviarie di Ferrovie dello Stato, figura quello già proposto nel 2005, dall'allora presidente di Confcommercio della città di Gravina Michele Capone, ipotesi che contemplava la prosecuzione di 22 chilometri della linea ferroviaria da Matera-La Martella a Gravina (BA), per consentire, attraverso la linea delle Ferrovie dello Stato, un collegamento tra la città dei Sassi e i comuni posti a nord del territorio;
    negli ultimi anni ha acquisito sempre più credibilità un'ulteriore soluzione, che non esclude quella succitata. L'ipotesi è quella di collegare la città di Matera sia da Ovest (Tirreno) che da Est (Adriatico) con il completamento della tratta Ferrandina-Matera – coinvolgendo l'intero territorio (capoluogo e aree interne comprese) – e allo stesso tempo prevedere la costruzione di un nuovo collegamento ferroviario tra Matera e Gioia del Colle;
    sulla proposta di collegamento Ferrandina-Matera-Gioia del Colle, il presidente dell'Istituto nazionale di Urbanistica, Lorenzo Rota si è espresso favorevolmente e il 30 luglio 2015 a mezzo stampa scrive una lettera nella quale in prima battuta critica duramente «la sciagurata decisione presa nei primi anni del secolo scorso quando si consentì di classificare il collegamento ferroviario adriatico (Salerno-Padula-Matera-Bari) a scartamento ridotto, senza peraltro completarne la realizzazione» e aggiunge che è doveroso «migliorare, potenziare, e ove necessario completare il collegamento ferroviario Salerno-Potenza-Ferrandina-Matera-Gioia del Colle-Bari. Matera deve risultare raggiungibile sia da Ovest (Tirreno) che da Est (Adriatico) con la consapevolezza che l'accesso dal Tirreno (Potenza – Ferrandina – Matera) interessa fortemente la Regione Basilicata coinvolgendo l'intero territorio (Capoluogo e aree interne comprese), mentre l'accesso dall'Adriatico interessa soprattutto l'area metropolitana di Bari e il Capoluogo pugliese. Se è vero che i trasporti costituiscono il principale fattore di collegamento territoriale la Basilicata perderà per un grave ’difetto di accessibilità’ la sua città dei sassi se si investe esclusivamente sul raddoppio Matera-Bari»;
    l'8 agosto 2015, da fonte stampa si apprende che Nicola Pavese, presidente dell'Associazione Cupola Verde di Ferrandina, ha dichiarato pubblicamente: «perché Matera e la sua provincia dovrebbero rinunciare a una possibile e strategica tratta delle Ferrovie dello Stato Ferrandina-Matera-Gioia del Colle-Bari-Taranto? I vantaggi per Matera sarebbero diversi sia per il trasporto passeggeri, sia per le spedizioni delle merci delle aziende delle zone industriali di La Martella e Lesce che potrebbero utilizzare i porti di Bari, Taranto e Salerno. E sarebbe sicuramente da preferire il collegamento diretto FS Potenza-Matera-Bari via Ferrandina che quello a scartamento ridotto interno fra Avigliano, Genzano e Irsina che quando era aperto impiegava almeno 4 ore di viaggio»;
    l'Unione sindacale di base, composta anche da alcuni tecnici delle Ferrovie Appulo Lucane, ha espresso una proposta che verte sulla stessa visione del presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica, Lorenzo Rota. L'idea è stata illustrata durante un convegno che si è svolto a Potenza l'11 giugno 2016 e che ha raccolto diverse posizioni di soggetti istituzionali e associazioni locali sui collegamenti ferroviari in Basilicata, incluso quello materano;
    nel mese di novembre 2015, durante la discussione in Consiglio regionale sul «Patto per la Basilicata», Marcello Pittella, Presidente della regione Basilicata rispetto alla Ferrandina-Matera, dichiarava che «non si completerà perché noi non la vogliamo completare. Punto!»;
    il 9 giugno 2016 il sindaco di Matera, Raffaello De Ruggieri, inaugurava il nuovo servizio «Freccialink» grazie al quale la città veniva collegata mediante un servizio bus navetta all'Alta Velocità di Salerno. A detta della prima firmataria del presente atto, si è trattato dell'ennesima soluzione palliativa che tralascia lo sviluppo viario su ferro e verte, ancora una volta, sul trasporto su gomma;
    il 10 giugno 2016 il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, durante il convegno dei giovani di Confindustria a Santa Margherita del Ligure, ha parlato del Sud e con esplicito riferimento alla città di Matera ha dichiarato: «La strategia del governo è finire ciò che è stato lasciato incompiuto per decenni. Il mezzogiorno può ripartire ? Si ci sono segnali, però penso a Matera, capitale europea della Cultura nel 2019, ma se a Matera non ci si arriva nemmeno con il treno è inutile»;
    lo scartamento ridotto rappresenta un fattore limitante in termini economici, di prestazioni e di discontinuità del servizio ferroviario. Per quanto riguarda la Basilicata, esso rappresenta una soluzione valida per le linee alpine e appenniniche come quelle situate nella Provincia di Potenza ma non trova alcuna ragione tecnica nell'area murgiana e collinare della Puglia, nonché della provincia di Matera. Inoltre, i costi delle infrastrutture ferroviarie e dei rotabili prescindono o sono influenzati solo in minima parte dalla larghezza dello scartamento, e paradossalmente un rotabile a scartamento ridotto, prodotto in piccola serie, potrebbe raggiungere costi perfino superiori a quelli a scartamento ordinario, prodotti in serie maggiore e reperibili su un mercato sicuramente più vasto;
    il traffico delle merci in area materana su ferro, attualmente inesistente, potrebbe essere rilevante se fosse realizzato il collegamento Potenza-Ferrandina-Matera-Gioia del Colle-Bari. Con lo scartamento ridotto, il traffico dei container sarebbe in ogni caso impraticabile per ragioni di standardizzazione e unificazione intermodale del trasporto merci in Basilicata;
    come sopra citato, gli investimenti per collegare Matera alla regione Puglia si concentrano oggi sulle Ferrovie Appulo Lucane (FAL). Tuttavia il costoso raddoppio – così come specificato a mezzo stampa dal Presidente FAL Matteo Colamussi il 2 settembre 2015 – del collegamento FAL Bari-Matera è previsto solo per la parte relativa al tratto Bari-Grumo Appula, mentre da Grumo Appula a Matera è ipotizzato un raddoppio «selettivo», ovvero con lunghe piazzole di sosta per consentire lo scambio dei treni. I convogli resterebbero sempre a scartamento ridotto e alimentati a diesel. Questo tipo di investimento potrebbe essere poco conveniente per la regione Basilicata in quanto non vi sarebbero effetti rilevanti sull'area interna;
    da recenti fonti stampa si apprende che, nonostante le analisi di mercato scoraggianti, lo Stato ha stanziato ingenti finanziamenti per numerose grandi opere. Tra queste ultime, la «Bremi» (Brescia-Bergamo-Milano), una bretella autostradale per la quale lo Stato ha stanziato 320 milioni di euro. La Pedemontana Veneta per la quale i finanziamenti ammontano a 600 milioni di euro. L'Autostrada Teem (tangenziale Est di Milano) su cui sono stati investiti 330 milioni di euro;
    il gruppo del M5S, riguardo il contratto di programma RFI 2012-2016, ha già evidenziato in altre occasioni come esso contenga una serie di progetti e opere sempre più costose e inutili poiché non inserite in una logica di trasporto a basso impatto ambientale, né relative ad un percorso decisionale partecipato e condiviso dalle comunità direttamente interessate, a partire dal TAV Torino-Lione, passando per il Valico dei Giovi. Inoltre, a detta della prima firmataria del presente atto, la riduzione dei finanziamenti per la progettualità di opere nel Sud delinea una controtendenza rispetto agli impegni che l'esecutivo si è detto pronto ad assumersi a seguito delle mozioni per il rilancio del Sud approvate qualche mese fa alla Camera dei Deputati;
    il 15 giugno 2016, la prima firmataria del presente atto indirizzava all'ingegnere Roberto Pagone (della Direzione programmi investimenti direttrice Sud) una richiesta di chiarimenti circa l'incremento di 100 milioni di euro per la realizzazione della tratta Ferrandina-Matera, come indicato nell'aggiornamento di programma RFI. L'ingegner Pagone rispondeva che l'aumento era determinato dalla necessità di adeguare il vecchio progetto sia alla normativa vigente, sia alle nuove esigenze di trasporto richieste dal territorio. In particolare, nella comunicazione veniva specificato che al netto dei 45 milioni di euro già disponibili e quasi completamente realizzati e contabilizzati per l'infrastruttura, a meno di alcune attività di collaudo, la restante somma di 220 milioni di euro per il completamento della Matera-Ferrandina è così ripartita: 180 milioni di euro per l'aggiornamento del vecchio progetto a nuove normative ed adeguamento della sicurezza in galleria; 10 milioni di euro per l'elettrificazione della linea (non prevista nel precedente progetto); 30 milioni di euro per la realizzazione della bretella di collegamento a Ferrandina (direzione Potenza) al fine di rendere l'infrastruttura funzionale anche per collegamenti diretti Matera-Potenza-Battipaglia-Salerno,

impegna il Governo

ad assumere iniziative affinché sia attribuito carattere prioritario al completamento della linea ferroviaria Ferrandina-Matera-La Martella e contestualmente a valutare la possibilità di realizzare un collegamento ferroviario che colleghi la città di Matera anche al versante pugliese, dopo aver valutato i costi/benefici delle possibili alternative.
(7-01032) «Liuzzi, De Lorenzis, Carinelli, Dell'Orco, Nicola Bianchi, Spessotto, Paolo Nicolò Romano, Sibilia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS, DELL'ORCO, MICILLO, LIUZZI, SPESSOTTO e CARINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Fatto Quotidiano con un articolo di Stefano Feltri e Carlo Tecce del 16 giugno 2016, dal titolo «Il G7 di Taormina (del 2017) inizia con un volo di Stato», ha dato la notizia che per l'effettuazione di un sopralluogo da parte di ben 12 funzionari del Governo nella città di Taormina, candidata ad ospitare il prossimo vertice internazionale del G7 in programma il 26 e 27 maggio 2017, è stato impiegato un volo di Stato. Per la precisione il volo di Stato ha riguardato la tratta Roma – Catania ed è stato effettuato sia per l'andata che per il ritorno nell'arco della giornata di giovedì 9 giugno 2016;
   tale notizia ha lasciato perplessi gli interroganti sia in merito alla necessità di impiegare un volo di Stato per un sopralluogo in una nota località turistica che per il numero della delegazione dei funzionari governativi, ben 12 membri. Stupisce infatti, che per un sopralluogo a Taormina siano dovuti andare ben 12 funzionari e questo solo per comprendere, come dichiarato dallo stesso Presidente del Consiglio, se vi fossero «le condizioni logistiche» per realizzare un vertice internazionale. Per tale scopo sarebbe stato, secondo gli interroganti, più che sufficiente il rapporto della prefettura di Messina, in quanto è l'autorità che meglio conosce la configurazione urbanistica del territorio, le aree e le strutture da adibire per gli incontri e l'ospitalità delle delegazioni internazionali, gli itinerari e le strade da controllare e in genere tutti i punti di forza e debolezza di una località come Taormina al fine di garantire la massima sicurezza dell'evento. Sarebbe stato più che sufficiente l'invio in loco con un volo di linea di un paio di funzionari per i contatti e sopralluoghi del caso;
   viceversa il Governo ha deciso di inviare quella che appare agli interroganti una pomposa delegazione impiegando un aeromobile di Stato del 31esimo stormo il cui costo orario si aggira sui 9.000 euro. Questo significa che per un viaggio di andata e ritorno Roma – Catania il costo complessivo per trasportare i 12 funzionari è stato all'incirca di 30 mila euro e questo a fronte della possibilità di impiegare un regolare volo di linea di poche centinaia di euro. Offerte di volo che non mancavano di certo considerando che la tratta Roma Catania è tra quelle più coperte a livello nazionale, con numerosi voli nell'arco della stessa giornata anche con tariffe low cost;
   ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», i voli di Stato «devono essere limitati al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Corte costituzionale. Eccezioni rispetto a questa regola devono essere specificamente autorizzate, soprattutto con riferimento agli impegni internazionali, e rese pubbliche sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, salvi i casi di segreto per ragioni di Stato»;
   questo viaggio, rientrando tra quelli autorizzabili in quanto delegazione di organo costituzionale (Governo), in base a quanto disposto della direttiva di Stato del 23 settembre 2011, «Direttiva in materia di trasporto aereo di Stato», attuativa del sopra riportato articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, era soggetto ad una stringente valutazione di opportunità». Per tali figure il trasporto aereo di Stato si poteva concedere solo ed esclusivamente tenendo conto di stringenti (articolo 7, comma 1) «criteri di economicità e di impiego razionale delle risorse, previa rigorosa valutazione dell'impossibilità, dell'inopportunità o della non convenienza dell'impiego di differenti modalità di trasporto, ovvero previa verifica delle specifiche esigenze di alta rappresentanza connesse alla natura della missione istituzionale supportata»;
   come sopradetto, la tratta Roma Catania è tra le meglio servite a livello nazionale, con numerosi voli nell'arco della stessa giornata, pertanto, è più che evidente che, nell'assegnare un volo di Stato a tale pomposa delegazione, ad avviso degli interroganti non sono stati rispettati i soprarichiamati «criteri di economicità e di impiego razionale delle risorse», poiché non è stata effettuata nessuna «rigorosa valutazione dell'impossibilità, dell'inopportunità o della non convenienza dell'impiego di differenti modalità di trasporto»;
   non è più tollerabile un impiego disinvolto di voli di Stato in un'epoca di spending review dove gli italiani sono chiamati a grandi sacrifici per conseguire l'obiettivo del pareggio di bilancio dei conti pubblici. Risibili risultano, a giudizio degli interroganti, anche le argomentazioni di alcuni esponenti del Governo che hanno giustificato tale volo con il fatto che sia gli aerei che i piloti necessitano di continuo esercizio, poiché è la stessa Aeronautica militare a lamentare l'eccessivo uso di voli di Stato che riducono le risorse umane, strumentali ed economiche da impiegare per la difesa e la sicurezza nazionale. Eloquenti in tal senso le parole dell'ex capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare, generale Leonardo Tricarico, che in occasione di un suo articolo (testata quotidiana online www.formiche.net, «Cosa penso del nuovo aereo blu di palazzo Chigi») è arrivato a sostenere che: «Di fatto più volano gli Airbus di Stato, meno volano Tornado, Eurofighter e persino elicotteri del soccorso» –:
   se il Governo non ritenga doveroso chiarire le ragioni della concessione del volo di Stato per l'invio di una sua pomposa delegazione in una nota località turistica della Sicilia;
   se il Governo non ritenga doveroso fornire ogni elemento di carattere amministrativo, tecnico e finanziario atto a verificare non solo il compiuto rispetto della procedura da parte dell'autorità concedente, appunto la Presidenza del Consiglio dei ministri, ma anche le concrete motivazioni e gli effettivi costi sostenuti per l'effettuazione di tale volo di Stato, tenendo conto anche degli oneri di servizio, relativi alle indennità di trasferta e agli straordinari, riconosciuti alla sua pomposa rappresentanza. (4-13581)


   DURANTI, PIRAS e SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 giugno 2016 si è tenuta a Palazzo della Marina a Roma la cerimonia di avvicendamento tra l'ammiraglio di squadra Giuseppe De Giorgi, oramai in pensione, e il nuovo il capo di Stato maggiore della Marina, l'ammiraglio Valter Giradelli;
   all'imponente cerimonia erano presenti il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, il capo di Stato maggiore della difesa, generale Claudio Graziano, il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, ovviamente il nuovo capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Valter Giradelli, le massime autorità militari e dei servizi di intelligence, le autorità civili, i vertici di industrie che lavorano con il mondo della difesa;
   prima dei discorsi e di quanto previsto dal cerimoniale dell'avvicendamento, De Giorgi con fare cameratesco ed anche con allegria si prestava ai numerosi «selfie» chiestigli da ufficiali, sottufficiali e marinai semplici che affollavano già la piazza;
   ad un certo punto, sempre prima che la cerimonia iniziasse c’è stato anche l'intermezzo musicale, grazie alla banda della Marina che ha dato vita ad un medley in cui era inserito anche il tema de «Il Gladiatore», l'ammiraglio in congedo pronunciava le seguenti parole: «Sono l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ultimo comandante della flotta repubblicana, offeso dai media, vilipeso da corvi anonimi: avrò la mia vendetta in un modo o nell'altro. Forza e onore», con tanto di applausi dei militari nel piazzale e non ancora schierati per la cerimonia;
   quanto pronunciato da De Giorgi è inequivocabile, come riportato un video pubblicato su Repubblica.it. A margine della cerimonia e ripreso da più fonti giornalistiche, De Giorgi affermava: «Non affondato, sono qua più combattivo che mai, con tutta la forza armata al mio fianco. Non ci sono più io, vado in pensione, la flotta ci sarà sempre grazie anche agli sforzi importanti fatti dal governo, con nuove navi, belle, moderne che esporteremo in tutto il mondo». Poi continuava: «Rimpianti non ne ho. (...) Vendette ? Spero nella Provvidenza, a volte è l'arma migliore. Chiaramente mi sono avvalso di tutti gli strumenti legali previsti per tutelare il mio prestigio. È stato un massacro ingiustificato, verranno fuori nel tempo anche gli interessi occulti che lo hanno spinto»;
   De Giorgi si riferisce al suo coinvolgimento nell'inchiesta della procura di Potenza per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze e per concorso in abuso d'ufficio, nello stesso procedimento che vede coinvolto l'ex Ministro Federica Guidi, e quindi al dossier anonimo, molto dettagliato presumibilmente inviato da un ex collega dell'ammiraglio, come trapelato alla stampa, che lo ha portato alla ribalta mediatica per accuse che vanno dalle spese milionarie fino a quella di aver ritoccato le carte sul caso dei due marò;
   per quanto appreso dalla stampa, al Ministero della difesa in molti sarebbero stati a conoscenza delle azioni del capo di Stato maggiore della Marina e le questioni sono state oggetto dell'interrogazione a risposta immediata n. 3-02199 tenuta in data 20 aprile 2016, a cui rispondeva nell'aula della Camera la Ministra della difesa Roberta Pinotti;
   ad opinione degli interroganti le parole pronunciate da De Giorgi durante la cerimonia del 22 giugno 2016 rappresentano un fatto di assoluta gravità e destano particolare preoccupazione nel modo in cui sono state pronunciate. In particolare, l'espressione un po’ criptica: «Sono l'ultimo comandante della flotta repubblicana», pronunciata ad un certo punto De Giorgi con in sottofondo la colonna sonora del Gladiatore ad avviso degli interroganti lascia aperto un dubbio; ossia se dopo De Giorgi non ci sarà più una flotta o non ci sarà più la Repubblica –:
   se il Governo non ritenga opportuno e doveroso fornire chiarimenti, per quanto di competenza, circa lo svolgimento della cerimonia con particolare riferimento a quanto accaduto prima dell'inizio della cerimonia istituzionale e se non intenda aprire quindi una inchiesta interna per chiarire le circostanze che hanno portato a quello che gli interroganti giudicano un grave danno d'immagine al Corpo della Marina militare;
   se il Governo sia a conoscenza degli «interessi occulti» citati da De Giorgi e quali iniziative urgenti intenda assumere affinché si faccia luce sulle evidenti eccessive attività di lobbing che si muovono dietro le attività e l'industria della difesa. (4-13588)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   Malek Adly, avvocato egiziano attivista per i diritti umani e impegnato anche sul caso di Giulio Regeni, è stato arrestato il 6 maggio 2016 ed è tuttora in stato di detenzione. Le accuse a suo carico sono: incitamento alla protesta, diffusione di false notizie, minaccia alla pace e all'unità nazionale, colpo di Stato. Il suo mandato d'arresto è scattato all'indomani della protesta del 25 aprile convocata contro l'incostituzionale cessione delle due isole egiziane, Tiran e Sanafir all'Arabia Saudita, che ha portato all'arresto di 270 tra attivisti anti-regime, giornalisti e avvocati dei diritti umani;
   nel lungo articolo che gli dedica, il New York Times descrive il suo arresto come segno evidente della «determinazione del regime nel reprimere le critiche». E questa è la verità, dato che Malek Adly si batteva per il rispetto dei diritti umani, per conoscere la verità e, come raccontato alla rivista Left, continuava da anni a monitorare casi di desaparecidos tra attivisti e oppositori del generale Al Sisi, dichiarando: «siamo l'Argentina, il Cile del Medio Oriente, questo è uno Stato criminale»;
   l'avvocato è stato il primo a denunciare la scomparsa del ricercatore italiano Giulio Regeni, che ha dichiarato di aver conosciuto alla fine del 2015. In seguito al ritrovamento del corpo del giovane, ha pubblicato una sua dichiarazione significativa dove, come cittadino egiziano, ha chiesto scusa alla famiglia di Regeni e a tutte le vittime del regime, offrendosi anche come legale per ogni azione giuridica necessaria a raggiungere la verità sul suo assassinio;
   l'Associazione per il rispetto dei diritti umani COSPE onlus, ha lanciato una petizione indirizzata al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni perché intervenga subito per la scarcerazione immediata del giovane che, per la sua attività in difesa di casi legati alle libertà e ai diritti civili di tanti cittadini e per essersi esposto pubblicamente sulla vicenda di Giulio Regeni, è diventato un bersaglio per le politiche repressive del Governo egiziano;
   le condizioni dell'attivista ingiustamente detenuto sono estremamente critiche, tanto da mettere a rischio la sua stessa incolumità, come da lui stesso dichiarato durante l'ultima udienza del suo processo. Sua moglie Asmaa ha denunciato le condizioni critiche a cui è sottoposto in carcere in particolare ha evidenziato che «Malek è in isolamento». Lo stesso Malek ha dichiarato di essere maltrattato in carcere e che le sue condizioni fisiche sono terribili –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non ritenga urgente attivarsi tempestivamente, attraverso tutti i canali possibili e con il sostegno internazionale, affinché Malek Adly venga scarcerato e possa riabbracciare la propria famiglia;
   se il Governo, alla luce delle omissioni e della scarsa collaborazione nella vicenda Regeni e dei continui e reiterati casi di violazione dei diritti umani da parte del Governo egiziano e in virtù delle costanti e consolidate relazioni diplomatiche e commerciali, non ritenga opportuno chiedere all'Egitto, come condizione vincolante per ogni tipo di rapporto futuro, il rispetto dei diritti umani come stabilito dagli accordi internazionali.
(2-01403) «Andrea Maestri, Civati, Brignone, Matarrelli, Pastorino».

Interrogazione a risposta scritta:


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione di inchiesta delle Nazioni Unite sui diritti umani in Eritrea, facendo seguito al rapporto pubblicato il 26 giugno 2015 a Ginevra, denunciava in data 8 giugno 2016 come la dittatura di Isaias Afewerki si sia resa responsabile, da ben 25 anni e in modo generalizzato e sistematico, di crimini contro l'umanità, quali riduzione in schiavitù, esecuzioni extragiudiziali e omicidi, tortura anche di natura sessuale, stupri, carcerazioni illegali, arruolamento forzato nell'esercito a tempo pressoché indeterminato e lavori forzati coinvolgendo 400 mila persone;
   tali crimini proseguono tuttora in un clima di totale impunità, come ha dichiarato testualmente il presidente della commissione, Mike Smith;
   il regime di Afewerki sarebbe – stando al citato rapporto – responsabile della repressione di ogni forma di libertà, compresa quella di stampa, e baserebbe il proprio potere sul terrore e la detenzione di numerosi prigionieri politici tra cui giornalisti e religiosi. Oltre alla chiusura di organi di stampa e radio, altre forme di tortura vengono perpetrate, insieme a omicidi e sparizioni di persone, al fine di non rendere pubblico il dissenso di chi si ribella a tale regime;
   la drammatica situazione è stata costantemente denunciata da organizzazioni internazionali come Amnesty International, Human Rights Watch o Reporter Senza Frontiere e confermata dalle migliaia di richiedenti asilo che continuano a sbarcare sulle nostre coste;
   è evidente pertanto che sia in atto un processo diplomatico che sembra aprire a una riconsiderazione dell'isolamento cui la comunità internazionale aveva relegato la dittatura di Isaias Afewerki, e che tale processo sia stato inaugurato dalla visita nel Corno d'Africa del viceministro degli affari esteri pro tempore Lapo Pistelli nel luglio 2014 e sia culminato con l'inclusione di Asmara nel processo di Khartoum firmato il 28 novembre 2014 a Roma;
   i finanziamenti destinati all'Eritrea dall'Unione europea, pari a 200 milioni di euro da qui al 2020, stanziati attraverso l'undicesimo Fondo europeo di sviluppo e sui quali è stato siglato un accordo ad Asmara il 28 gennaio 2016 tra il Ministro eritreo dello sviluppo nazionale e il capo della delegazione dell'Unione europea, nonostante il Parlamento europeo abbia adottato una risoluzione contraria, sono un'ulteriore dimostrazione dell'apertura di credito concessa al regime eritreo;
   le scelte politiche di Isaias Afewerki hanno contribuito alla destabilizzazione del Corno d'Africa fin dal 1994, come dimostrano le guerre condotte contro gli Stati confinanti;
   le scelte politiche di Isaias Afewerki, inoltre hanno contribuito a consolidare uno stato di guerra permanente poiché il conflitto scoppiato nel 1998 contro l'Etiopia, che ha portato alla militarizzazione completa della popolazione, è tuttora in atto;
   lo stesso viceministro pro tempore Pistelli, al suo rientro dal viaggio istituzionale nel Corno d'Africa dichiarava: «Occorre rilanciare le relazioni bilaterali e provare a favorire un pieno reinserimento dell'Eritrea quale attore responsabile e fondamentale della comunità internazionale nelle dinamiche di stabilizzazione regionale»;
   don Mussie Zerai, presidente dell'agenzia Habeshia e candidato al Nobel per la Pace nel 2015, sollevando il problema dei finanziamenti concessi dall'Italia all'Eritrea – in particolare quelli legati al Processo di Khartoum –, faceva notare che finanziamenti per centinaia di milioni di euro avrebbero potuto rafforzare la dittatura. Tuttavia, non vi sono state garanzie sul rispetto dei diritti umani;
   il Governo italiano non risulta aver modificato i rapporti con il Governo eritreo, nonostante le proteste e le dure prese di posizione contro il regime di Asmara, sostenute da diversi Stati tra cui numerose manifestazioni e interventi parlamentari occorsi negli ultimi tre anni;
   risulta che diversi cittadini eritrei o di origine eritrea presenti sul territorio italiano siano impegnati ad individuare gli esuli più attivi nelle file dell'opposizione alla dittatura –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se ai Ministri interrogati risulta ancora in vigore – da parte dell'ambasciata e dei Consolati di Asmara –, la riscossione della tassa del 2 per cento sul reddito percepito in Italia dagli immigrati eritrei e, nel caso, se si ritiene opportuno intervenire al fine di impedire tale illecita tassazione;
   se il Governo sia informato del fatto che, presso diverse questure in occasione di rinnovi del permesso di soggiorno o altre pratiche relative alla presenza di eritrei nel nostro Paese, gli stessi siano invitati a rivolgersi presso l'ambasciata o presso i consolati eritrei – con la conseguenza che tale procedura li esporrebbe a possibili ritorsioni anche nei confronti di loro familiari rimasti in patria;
   se risultino essere presenti, in Eritrea, imprese italiane, e in caso affermativo, attraverso quali procedure siano riuscite a delocalizzare le proprie aziende nel paese;
   se risulti che Afewerki sia spesso nel nostro Paese per visitare alcune aziende in Italia con l'obiettivo di stipulare accordi commerciali;
   se il Governo sia a conoscenza del genere di commesse stipulate da Afewerki presso le aziende con sede in Italia;
   se il Ministro degli affari esteri intenda chiarire quali siano le strutture ministeriali incaricate delle relazioni diplomatiche con le autorità eritree e che siano in particolare incaricate di seguire la conclusione di eventuali accordi economico-commerciali tra imprese italiane e Governo eritreo. (4-13589)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALGANO, MATARRESE, MONCHIERO, OLIARO, VEZZALI, CATANIA, VARGIU e FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Umbria, il cuore verde d'Italia, dopo trent'anni di loschi silenzi, scopre all'improvviso di avere la sua «terra dei fuochi»;
   il dato preoccupante è che la terra dei fuochi dell'Umbria non è in un'area circoscritta attorno a un'unica zona, ma è diffusa sul territorio che risulta, così, profondamente sfigurato;
   si trova, infatti, dentro e attorno alle discariche attive e non più attive dalla metà del secolo scorso;
   stando alle dichiarazioni del presidente della commissione di inchiesta sui rifiuti suffragate dai risultati delle analisi compiute dall'Arpa, l'Agenzia regionale di protezione ambientale, in 108 punti dei terreni nelle vicinanze delle discariche è stata accertata la presenza di sostanze altamente inquinanti come fanghi di scarti industriali e trielina;
   nella Valnestore si contano, stando almeno alle dichiarazioni ufficiali, quattro milioni di metri cubi di ceneri sotterrate negli anni;
   una situazione che, nel corso degli ultimi cinquant'anni, sarebbe finita per danneggiare anche molte falde acquifere della regione: nell'area centrale si conta, infatti, per quanto non accessibile e non visibile dalla strada, ma ben conosciuto dagli abitanti della zona, un «lago nero», dalle acque di color antracite e privo di fauna ittica;
   questo è quanto emerge dalla commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che, poco tempo fa, ha fatto tappa nella regione, prima a Terni, poi a Perugia e Orvieto, per fare il punto sulle indagini scattate sulla gestione dei rifiuti in Umbria;
   una gestione, tra l'altro, sulla quale potrebbe aver allungato le mani una criminalità di stampo mafioso;
   aspetto non trascurabile è poi quello relativo all'aumento di tumori e altre gravi patologie registratosi negli ultimi anni nella regione Umbria, altamente imputabile alla presenza di tali sostanze tossiche sul territorio: nella mappa interattiva del Registro tumori umbro di popolazione (Rtup), nel periodo compreso tra il 2004 e il 2011, il territorio compreso tra le frazioni di Pietrafitta e Tavernelle (Panicale) e il capoluogo di Piegaro, per i nuovi casi di tumore, si tinge di rosso;
   si tratta di un dato per il quale è al momento impossibile stabilire una correlazione legata a fattori ambientali ma comunque difficile da smentire, perché parla chiaro e forte e si fa largo tra i tantissimi cittadini che, giustamente preoccupati, chiedono certezze per la loro salute;
   non bisogna infatti dimenticare che nel novembre 2015 è stata inviata una mail al sindaco di Piegaro, Roberto Ferricelli, nella quale era scritto «Pietrafitta è un paese di 800 persone ed ogni anno abbiamo tra uno e due casi di insorgenza tumore. (...) Ricordiamo tutti le pagine inquietanti della vallata che parlano di emissioni o di gestione di rifiuti con operazioni che hanno modificato anche la morfologia del territorio. Perché non chiediamo e promuoviamo un'indagine ? Se poi scopriremo che i dati della vallata sono in linea con la media nazionale staremmo tutti più tranquilli. Se scopriamo che così non è, invece, chiediamo un'indagine sulle possibili fonti nocive»;
   l'indagine è stata fatta, tutto il territorio è sotto inchiesta e coperto da segreto istruttorio, ma trapela un primo allarmante risultato: è stata rilevata una quantità di arsenico di 19,8 microgrammi per litro quando il limite consentito è, invece, pari a 10 ed ecco perché, dopo apposita segnalazione di Arpa e Usl, il comune di Panicale ha vergato l'ordinanza che fissa il divieto di uso potabile del pozzo degli impianti sportivi di Tavernelle, impianti che insistono su un deposito di ceneri da carbone provenienti dalla centrale di La Spezia che furono mischiate a quelle della lignite bruciata nella centrale-Enel di Pietrafitta;
   dell'ex centrale Enel di Pietrafitta, inoltre, non restano che ruderi e degrado: quando è stata dismessa è stata acquistata dalla Valnestore Sviluppo con l'idea di creare un polo di eccellenza sulle energie rinnovabili;
   oggi, di quel progetto, non rimane più nulla: palazzine in crollo, edifici in degrado ed è ancora visibile l'area dove venivano stoccati i rifiuti speciali e pericolosi;
   siamo sicuramente di fronte a chiari indizi di come questo territorio è stato sottoposto a fortissimi rischi ambientali, senza un definitivo riassetto dei luoghi al termine di quelle attività, con potenziali pericolosi effetti sulla salute;
   si moltiplicano, dunque, le sottoscrizioni del comitato «Soltanto la salute» voluto con vigore dai cittadini e pronto a mettere in campo anche analisi private sullo stato dell'ambiente del Valnestore per rivendicare i diritti delle persone colpite da gravi patologie e per evitare il diffondersi del tasso tumorale –:
   quali iniziative di competenza il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda assumere, anche per il tramite del comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente, per avviare, tempestivamente, analisi approfondite al fine di comprendere l'esattezza dei confini di questo grave danno ambientale e, soprattutto, al fine di provvedere alla messa in sicurezza dei siti danneggiati, così da restituire al territorio l'immagine di alto pregio ambientale che le appartiene;
   quali iniziative di competenza intenda assumere affinché siano introdotte, o migliorate, le procedure di controllo e vigilanza sul ciclo del recupero e dello smaltimento dei rifiuti onde evitare il ripetersi di tali spiacevoli e gravissimi episodi così da colmare una situazione di vuoto normativo che si è perpetuato per troppi anni in tema di smaltimento;
   come intendano attivarsi i Ministri interrogati, per quanto di competenza e anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, affinché vengano effettuate accurate ed approfondite analisi al fine di rilevare il grado di tossicità delle falde per il temuto collegamento con l'incidenza dei tumori nella stessa zona, circoscrivendo le aree particolarmente toccate dal fenomeno inquinante, onde evitare che, gli ignari privati, continuino a coltivare terreni al di sotto dei quali si celano gravi pericoli per la salute umana. (5-08982)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 24 gennaio 2006 il Nucleo operativo ecologico (NOE), su disposizione della procura della Repubblica di Napoli, appose i sigilli di sequestro preventivo alla ditta Decoindustria Srl di Santo Stefano a Macerata, comune di Cascina (Pisa), dove erano in esercizio vari impianti per depurazione, anche per conto terzi, di reflui industriali e civili;
   il sequestro fu effettuato nell'ambito di una vasta operazione denominata «Ultimo Atto», avente base ad Acerra (Napoli), che portò a 13 arresti, 100 perquisizioni in tutta Italia e al sequestro di otto impianti industriali di trattamento di rifiuti, per un giro d'affari di oltre 27 milioni di euro derivati dalla gestione illecita di rifiuti;
   nonostante, negli anni, siano stati smantellati e bonificati dalla provincia di Pisa numerosi silos contenenti anche rifiuti pericolosi, l'area sulla quale sorgeva l'ex azienda chimica Decoindustria Srl, fa ancora paura;
   nell'area in questione, da anni, erano attivi diversi impianti chimico-fisici, tra cui alcuni per distillazione e strippaggio, un concentratore a triplice effetto, un'unità di evaporazione ed essiccazione con tecnologia a film sottile, un inceneritore ed un impianto biologico;
   l'impianto lavorava reflui industriali anche pericolosi, quali acque di processo, lavaggio, sviluppo fotografico, emulsioni oleose, acque inquinante da solventi e idrocarburi, soluzioni esauste di base e acidi, reflui dell'industria agro-alimentare, reflui di spurgo pozzi neri e altro;
   le quantità autorizzate corrispondevano a 32 mila tonnellate annue per il trattamento chimico-fisico, di cui 24 mila di rifiuti pericolosi e 36500 per la depurazione biologica. I vari processi di depurazione all'interno dello stabilimento si realizzavano con impianti configurati in maniera da poter operare autonomamente o in modalità seriale, per i diversi processi di trattamento;
   già prima del sequestro l'azienda, in considerazione dell'estrema criticità del sito e delle continue segnalazione da parte dei cittadini, era stata sottoposta a numerose ispezioni da parte dell'ARPAT di Pisa, con conseguenti adozioni di provvedimenti di carattere amministrativo e penale, sia da parte delle autorità giudiziarie, sia delle amministrazioni locali competenti per territorio;
   dal sequestro ad oggi, una volta verificata la cessazione di ogni attività da parte del personale della società, l'azione delle varie amministrazioni competenti è stata sempre improntata alla ricerca di soluzioni atte a fronteggiare tempestivamente le situazioni di potenziale pericolosità presenti nell'area industriale dismessa;
   sulla base delle acquisizioni di ARPAT e del sopralluogo effettuato il 19 luglio 2006 in congiunta con il nucleo NBCR (nucleare, biologico, chimico e radiologico) dei vigili del fuoco, si accertarono diverse situazioni di potenziale pericolosità vista anche la presenza di un numero molto elevato, circa 70, di serbatoi di stoccaggio. Il campionamento si è rilevato estremamente pericoloso per l'incolumità degli operatori a causa della fatiscenza delle strutture. Altro aspetto estremamente critico riguardava la possibile contaminazione del suolo, sottosuolo e acque – superficiali e sotterranee – immediatamente circostanti il sito;
   dopo la dichiarazione di fallimento della società, l'amministrazione provinciale di Pisa, utilizzò la fidejussione accesa da Decoindustria – pari a 1 milione e 400 mila euro – per una prima messa in sicurezza del sito. Ma sin dall'inizio delle operazioni di bonifica fu constatato che il costo dei lavori necessari superava di gran lunga l'ammontare della fidejussione, e pertanto richiedeva una sostanziale integrazione da parte delle istituzioni pubbliche di almeno altri 8 milioni di euro. Di questi, circa 6 milioni sono stati messi subito a disposizione dalla regione Toscana;
   l'impossibilità di garantire una completa copertura finanziaria ha fatto registrare un notevole ritardo nel completamento della messa in sicurezza del sito, che è tuttora in corso;
   i lavori di messa in sicurezza dell'area sarebbero dovuti terminare entro dicembre 2014, ma ad oggi sono stati completati solo quattro lotti, ne manca ancora uno;
   recentemente, dopo numerose proteste dei cittadini e iniziative istituzionali di vari esponenti di forze politiche, sono stati sbloccati, dalla regione Toscana, altri 600 mila euro di risorse integrative per i lavori di bonifica del sito;
   andranno comunque fatti degli studi e dei rilevamenti specifici per approfondire i possibili danni e pericoli sia per l'ambiente circostante, sia per la salute dei cittadini;
   manca ancora del tutto la caratterizzazione del sito e dei rifiuti, cioè la conoscenza della composizione e la natura del rifiuto con l'attribuzione di un idoneo codice CER – catalogo europeo dei rifiuti secondo la direttiva 75/442/CEE  –:
    se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare anche promuovendo una verifica del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di evitare ulteriori possibili danni sia per la salute dei cittadini sia per l'ambiente circostante, visto che ancora insistono resti degli impianti dell'ex Decoindustria;
   se non ritenga di dover, con sollecitudine, assumere ogni iniziativa di competenza per sostenere l'azione delle amministrazioni territoriali impegnate nei progetti di territoriali con riqualificazione che da tanti anni i cittadini di Santo Stefano aspettano. (4-13574)


   MINNUCCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Magliano Romano (Rm), località Monte della Grandine, si trova una discarica per rifiuti inerti gestita dalla Soc. Idea 4 Srl;
   la predetta discarica ha, da un paio di anni a questa parte, destato l'attenzione e, soprattutto, la preoccupazione della popolazione del territorio in cui si trova, allarmata in primo luogo dalla serie di richieste avanzate dalla Idea 4 srl al fine di riclassificare la discarica da inerti a discarica per rifiuti speciali non pericolosi, ed in secondo luogo per le notizie, poco rassicuranti, emerse in merito alla gestione stessa della discarica e alle relative, quanto probabili, conseguenze negative di impatto ambientale sul territorio coinvolto; del tema si sono, peraltro, occupati gli organi di stampa, anche a livello nazionale;
   riguardo alla richiesta di riclassificazione, come accennato, nel 2014 la società gestrice presentava un progetto di riqualificazione della discarica, chiedendo il passaggio da discarica per inerti a discarica per rifiuti speciali non pericolosi;
   iniziava un lungo iter di valutazione del progetto, ad oggi ancora sottoposto al controllo dell'ufficio VIA della regione Lazio, in cui venivano chiamati in causa regione, provincia, comune, la Conferenza dei sindaci, l'Ente di gestione dei Parchi di Veio e del Treja, l'Arpa, il Tar e l'Autorità di bacino del Tevere;
   aspetto più importante, però, è che nello stesso periodo i cittadini interessati davano vita ad un'associazione volta alla tutela dei Monti Sabatini e ad un comitato, che ha intrapreso varie manifestazioni di protesta contro la discarica in questione, coadiuvati da diversi comuni del circondario e dallo stesso comune di Magliano Romano che deliberava, nel settembre 2014, un documento di dissenso nei confronti del progetto;
   venivano anche presentati esposti, quali quello del gennaio 2015 a firma dell'ex senatore Stefano Pedica, presso la Procura della Repubblica di Roma, e venivano presentate anche interrogazioni alla Presidenza del consiglio regionale del Lazio;
   una delle predette interrogazioni, n. 210 del 26 giugno 2015, poneva l'attenzione sulla sorte, e sulla gestione, del percolato e dei 64.000 metri cubi di rifiuti inerti precedentemente abbancati, e ricompresi nella capacità di 890.000 metri cubi autorizzata con la Det. A06398 del 6 agosto 2013;
   in particolare, l'interrogazione riporta le segnalazioni dei cittadini residenti i quali avrebbero, più volte, rilevato la presenza, nelle aree circostanti la discarica, compreso l'alveo del corso d'acqua che costeggia la discarica da sud ad est, denominato il fosso di Monte Pizzo, e dunque al di fuori della proprietà della Idea 4 srl, di materiale proveniente dalla stessa;
   nell'interrogazione, pertanto, si pone il quesito relativo al reinserimento, o meno, nell'invaso dei 64.000 metri cubi di rifiuti inerti precedentemente abbancati e in caso negativo dove effettivamente siano state trasferite tali volumetrie;
   in base a documentazione presentata dalla Società per la riclassificazione della discarica sembrerebbe, peraltro, che anche il dissabbiatore sia stato realizzato al di fuori del perimetro di proprietà della Idea 4 srl;
   ad oggi, tuttavia, non risulta che siano stati effettuati sopralluoghi dagli organi competenti al fine di verificare la fondatezza delle predette denunce;
   i rappresentanti del citato comitato di cittadini, inoltre, ottenevano un'audizione presso la «Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti», che si teneva in data 13 luglio 2015, nel corso della quale illustravano in modo dettagliato la vicenda e invitavano i componenti della commissione a un sopralluogo;
   la stessa conferenza dei sindaci dell'area Tiberina – Cassia – Flaminia, dimostrava la propria contrarietà alla discarica in oggetto nell'ottobre 2014, a cui seguiva, nel dicembre successivo, il deposito presso la regione Lazio di circa 18.000 firme di protesta dei cittadini interessati;
   nonostante le azioni di denuncia sopra descritte, la Idea 4 Srl continuava la sua opera di «ampliamento» dell'attività della discarica avanzando, prima, formale richiesta di conferire in discarica altri 21 codici certificati di rifiuti e, successivamente nel febbraio 2016, richiedendo l'autorizzazione per l'installazione di un impianto di trattamento chimico-fisico del percolato;
   la regione Lazio autorizzava, con proprie determinazioni, entrambe le richieste, peraltro, nel secondo caso senza procedere a sottoporre il progetto a valutazione di impatto ambientale;
   per questi motivi le determinazioni venivano impugnate davanti al Tar del Lazio, sia da cittadini sia dal comune di Magliano Romano e dal Comitato No Discarica. Ad oggi, il Tar si è espresso in riferimento all'autorizzazione per il conferimento in discarica di ulteriori 21 codici certificati di rifiuti (Det. regione Lazio del 22 luglio 2015 n. G9137), accogliendo il ricorso e, soprattutto, censurando l'operato della regione Lazio che si sarebbe limitata ad accogliere le richieste della Idea 4 srl senza alcuna verifica istruttoria;
   in proposito, il Tar ha sottolineato non solo l'evidente vizio di legittimità del provvedimento impugnato, ma ha anche sottolineato l'incapacità della regione di basarsi su di un semplice ragionamento logico per cui se una discarica è per inerti non può accogliere rifiuti che non siano tali o per i quali vi sia, almeno, il dubbio che siano tali (Tar Sezione Prima Ter n. 05274/2016 – Reg. Prov. Coll. N. 12933/2015 Reg. Ric. N. 13784/2015 Reg);
   il Collegio ha, inoltre, affrontato la questione relativa ai risvolti ambientali connessi alle attività della Idea 4 srl e alle sue continue richieste tendenti, evidentemente, a trasformare la discarica in oggetto;
   specificatamente, lo stesso ha rilevato elementi di criticità di natura idrogeologica, affermando che «la Regione ha agito superficialmente, senza considerare che in situ la falda acquifera è ormai emersa, tanto che all'interno della discarica si è formato un lago di ampie dimensioni e di origine del tutto incerta»;
   oltre, infatti, alle questioni di irregolarità formali legate alla serie di richieste inoltrate dalla Idea 4 srl, negli ultimi due anni sono emersi anche dubbi sulla presenza di preoccupanti irregolarità nella gestione pratica della discarica, con rischio di gravi danni ambientali nell'intera area territoriale in cui la stessa è inserita;
   quanto messo in evidenza dal Tar è stato posto all'attenzione dell'opinione pubblica anche dalla trasmissione «Striscia la notizia» che, nel maggio 2016, ha mandato in onda un servizio sulla discarica dal quale si evince la presenza del «lago di origine incerta», costituitosi dall'emersione della falda acquifera, già rilevato e sottolineato dal Tar;
   si sottolinea che l'autorizzazione per l'apertura, o modifica, di una discarica si basa, tra gli altri elementi, proprio sulla valutazione del livello della falda acquifera al fine di evitare, nel caso di inquinamento della stessa, gravi danni alla salute umana, all'economia locale (soprattutto agricola) e agli equilibri dell'intero ecosistema;
   nei primi giorni del corrente mese, inoltre, il comitato ha presentato un secondo ricorso al Tar (il primo è del 18 febbraio 2016), al fine di contestare l'autorizzazione, rilasciata all'Idea 4 srl dalla regione Lazio, per la realizzazione di un impianto chimico-fisico volto al trattamento di percolato prodotto dalla discarica, così come sopra ricordato;
   il percolato (ossia liquido originato essenzialmente dalle infiltrazioni di acqua nella massa dei rifiuti) è esso stesso rifiuto e, come tale, va trattato. Pertanto, i gestori delle discariche sono tenuti, ogni anno, a redigere una relazione nella quale, tra le altre cose, devono essere specificati i volumi di rifiuti smaltiti in discarica e la quantità di percolato, riferiti all'anno precedente;
   secondo le relazioni depositate dalla Idea 4 srl (presso comune, regione, Asl, Arpa, provincia) per gli anni 2013-2014-2015, la discarica in oggetto non avrebbe prodotto percolato, essendo state utilizzate «coperture provvisorie». Ciò, però, ha destato non pochi sospetti proprio con riferimento alla presenza del lago «di origine incerta» sopra citato, in presenza di immagini satellitari che rilevano la presenza di acqua a contatto con i rifiuti in ogni momento dell'anno, e della stessa richiesta di realizzazione dell'impianto chimico-fisico volto al trattamento del solo percolato della discarica. I sospetti riguardano a giudizio degli interroganti proprio l'attendibilità di quanto dichiarato dalla società negli anni sopra indicati, e le possibili conseguenze dannose per l'ambiente qualora il percolato non fosse stato debitamente trattato;
   si ricorda, inoltre, che la discarica si trova in un territorio compreso nel bacino del Torrente Treja, affluente di destra del Fiume Tevere, e ancor più precisamente nel sottobacino del fosso della Mola. Il predetto territorio si trova a monte e nello stesso bacino idrogeologico del Parco del Treja e del SIC/ZPS (siti di interesse comunitario e zone a protezione speciale) denominato «Fosso Cerreto» (ITA010032). Questo significa che, qualsiasi problema si dovesse concretizzare a monte, comporterebbe gravi ripercussioni anche a valle. Il sito è tutelato sulla base delle direttive europee Habitat 92/43/CEE e Uccelli 79/409/CEE la cui applicazione ed il cui rispetto sono di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale deve appunto vigilare sulla tutela dell'intero ecosistema di siti di questo genere;
   a questo si aggiunga che, da un semplice confronto di immagini satellitari delle aree interessate, risulterebbe evidente un disboscamento di diversi ettari di territorio, in favore della funzionalità della discarica, nonostante il vincolo paesistico sulle aree boscate ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   vicino alla discarica, inoltre, vi è un elettrodotto preesistente, che potrebbe comportare il pericolo di inquinamento elettromagnetico per gli stessi operatori della discarica, i cui uffici sono stati realizzati nelle immediate vicinanze;
   è pertanto lecito il dubbio, espresso dai cittadini coinvolti, relativo al fatto che la discarica, così come ad oggi gestita, possa comportare dei danni di carattere ambientale relativamente alle criticità esposte, tenuto conto anche del fatto che il territorio interessato è considerato di elevatissimo pregio paesaggistico ed ambientale, tanto da essere indicato nel PTPR (Piano territoriale paesistico regionale) del 2007 come paesaggio naturale e paesaggio naturale di continuità, considerato che parte del sito si trova all'interno delle Aree di connessione primaria della rete ecologica provinciale e delle aree contigue del Parco di Veio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda relativa alla discarica presente nel comune di Magliano Romano;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda promuovere una verifica da parte del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente in relazione alle criticità e alla anomalie riscontrate nel sito di cui in premessa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di garantire il rispetto dei vincoli paesaggistici e di salvaguardare l'area riconosciuta come sito di interesse comunitario (Sic) e zona di protezione sociale (Zps) di cui in premessa che è immediatamente adiacente a quella su cui insiste la discarica. (4-13586)


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha approvato il 10 giugno 2016 il decreto legge, n. 98, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 giugno 2016 concernente la vendita o l'affitto del gruppo Ilva s.p.a.;
   il decreto suindicato introduce importanti novità, prevedendo anche la restituzione dei 300 milioni di euro – oggetto di investigazione da parte della Commissione europea quali misura di aiuto di Stato – da parte del gruppo Ilva in amministrazione straordinaria, e non più a carico del soggetto acquirente;
   il comma 1, lettera b), del decreto n. 98 del 2016 disciplina il sub-procedimento delle offerte e del piano ambientale con le relative modifiche a quello già approvato;
   tale piano dovrà essere sottoposto ad un comitato di tre esperti nominato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che entro 120 giorni dalla presentazione dovrà formulare le eventuali osservazioni e/o proposte di modifica;
   si profila quindi una fase di vera e propria di interlocuzione tra l'offerente ed il Comitato di esperti in merito alle modifiche da apportarsi al piano ambientale, all'esito della quale il comitato dovrà esprimere il proprio parere;
   il comma 4 – lettera a), del decreto n. 98 del 2016 prevede che il termine per l'ultimazione delle prescrizioni AIA – previsto al 30 giugno 2017 – possa essere prorogato su istanza dell'aggiudicatario già nella richiesta di modifica del piano, fino ad un massimo di 18 mesi;
   il comma 4 – lettera b), estende l'immunità penale già prevista per i commissari anche all'aggiudicatario, qui di anche a privati acquirenti;
   estendere misure di garanzia anche agli acquirenti potrebbe essere molto rischioso e quindi dannoso per la trasparenza della gestione aziendale –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   quali siano stati i criteri che ha adottato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in riferimento ai componenti del Comitato di esperti;
   se non ritengano opportuno – per la trasparenza – rendere pubblici i curricula dei componenti del Comitato di esperti nominati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se non ritengano doveroso attivarsi al fine di far rispettare all'Ilva il diritto alla salute sancito all'articolo 32 della Costituzione italiana e il diritto dei cittadini di Taranto – sancito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 85 del 2013 a un equo rapporto tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute. (4-13590)


   PAOLO BERNINI e SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli anni ’70 la sottospecie italica – Canis lupus italicus – era giunta sull'orlo dell'estinzione; un censimento effettuato nel 1976 stimò in soli 100 esemplari il numero di lupi presenti sul territorio nazionale. La consistenza numerica nel 2004, dopo oltre trent'anni di protezione legale e nonostante il persistente bracconaggio, era stimabile in circa 1500/1900 esemplari, distribuiti stabilmente dalla Val d'Aosta alla Calabria (fonte professor Carlo Consiglio http://www.abolizionecaccia.it);
   attualmente la Commissione europea nel documento « Carnivore key actions for large populations in Europe» (sezione III, parte I, paragrafo 1.1) del gennaio 2015, stima in circa 800 esemplari la popolazione di lupi presente nel territorio in Italia ed include la specie nella categoria VU (vulnerabile);
   a parere degli interroganti, il precedente piano di gestione e tutela dei lupi non è stato rispettato e non si è dato seguito, soprattutto, ad un sistema armonico e coordinato di ricerca ed indagine su tutto il territorio italiano teso a rilevare l'effettiva consistenza della popolazione della specie con l'utilizzo di metodi efficaci, affidabili e standardizzati di ricerca e monitoraggio della specie;
   la presenza del lupo è favorita dalla scarsa presenza antropica, dalle reintroduzioni degli ungulati e altre specie selvatiche per la caccia che hanno portato all'incremento della presenza del lupo, in particolar modo alcuni distretti della Toscana;
   a partire dalla metà degli anni 2000 in alcuni areali della Toscana c’è stato un incremento dei danni da predatore a carico del bestiame domestico. Come refertato dai medici veterinari forensi, i rilievi necroscopici hanno evidenziato che sono da attribuirsi a cani vaganti, sia padronali che ferali, e a lupi; (fonte: dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio zootecnico» Centro per lo studio e la documentazione sul lupo; dottor Rosario Fico medico veterinario forense, Istituto zooprofilattico Lazio e Toscana);
   ciò ha causato inevitabili conflitti, soprattutto in ambito zootecnico e in zone come quelle della Maremma dove è consuetudine non utilizzare sistemi idonei di deterrenza e si predilige l'allevamento ovino libero e brado, senza la presenza di un pastore né di cani da guardiania ed in prossimità di aree boschive;
   laddove sono state messe in pratica una serie di azioni «con l'uso di appropriati strumenti di prevenzione si riesce a minimizzare il conflitto tra predatori e zootecnia. L'amministrazione provinciale di Firenze è impegnata fin dal 2005 in un progetto di prevenzione che ha portato alla riduzione della predazione del 90 per cento» (fonte dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio-zootecnico», Centro per lo studio e la documentazione sul lupo);
   secondo i dati raccolti nel progetto «LIFE Medwolf» (LIFE11 NAT/IT/069), realizzato in Toscana, tra le aziende che hanno denunciato danni da predazione da canidi nel 2014, il 98 per cento di queste possiede allevamenti e pascoli non vigilati da pastori, il 57 per cento non ha cani da pastore-guardiania e solo il 41 per cento ha due cani ogni 500 pecore, l'85 per cento per cento non ha recinzioni per prevenire l'attacco da parte di predatori;
   il medesimo progetto sopracitato, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, riporta che solo lo 0,3 per cento è la reale percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalle predazioni nel 2014, nell'ambito territoriale preso in considerazione dall'indagine scientifica;
   negli ultimi cinque anni si è assistito ad una inaccettabile recrudescenza degli abbattimenti dei lupi. Si rammenta che il lupo è patrimonio indisponibile dello stato (secondo la ratio della legge n. 968 del 27 dicembre 1977 che ha elevato la fauna selvatica da «res nullius» a «res communitatis», cioè «patrimonio indisponibile dello Stato») e si tratta quindi di una specie particolarmente protetta da numerose normative nazionali ed internazionali quali:
    la Convenzione di Berna (firmata nel 1979 e ratificata dall'Italia con la legge n. 503 del 5 agosto 1981) inserisce il lupo nell'Allegato II che include le specie particolarmente protette e pertanto ne vieta la cattura, l'uccisione, la detenzione ed il commercio;
    la direttiva Habitat (92/43/CEE, recepita dall'Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 8 settembre 1997) inserisce il lupo nell'allegato D IV (protezione rigorosa) e ne proibisce il disturbo, la cattura, l'uccisione, la detenzione ed il commercio. La direttiva protegge il lupo a due livelli: a) gli Stati membri hanno l'obbligo di identificare siti di importanza comunitaria (SIC) nell'ambito della rete Natura 2000 per la protezione delle popolazioni di grandi carnivori di specie incluse nell'Allegato II. Inoltre, b) l'articolo 12 della direttiva obbliga gli Stati membri ad attivare sistemi di protezione per tutte le specie incluse nell'Allegato IV, sia all'interno che al di fuori dei siti di Natura 2000;
    la convenzione di Washington (1973) sul commercio delle specie animali e vegetali minacciate di estinzione (CITES; recepita dal nostro Paese con la legge n. 874 del 19 dicembre 1975) include la popolazione italiana di lupo nell'appendice II (specie potenzialmente minacciate). Il Consiglio d'Europa ha lanciato nel 1995 la Large Carnivore Initiative for Europe (LCIE) allo scopo di «conservare, in coesistenza con l'uomo, popolazioni vitali di grandi carnivori». La LCIE ha prodotto documenti ed un piano d'azione europeo sul lupo (2000) che è stato adottato dal comitato permanente della Convenzione di Berna (raccomandazione n. 72 del 2 dicembre 1999). Più recentemente la LCIE ha prodotto le linee guida per i piani di gestione delle popolazioni di grandi carnivori (2008);
    l'Unione mondiale per la conservazione della natura (IUCN), attraverso l'inserimento nelle liste rosse, le ultime risalgono a dicembre 2008, (www.iucnredlist.org), classifica il lupo in Italia come specie criticamente in pericolo o vulnerabile come l'orso, la lince, la lontra, il camoscio d'Abruzzo;
   Lo status giuridico del lupo prevede che:
    il lupo sia specie protetta dal 23 luglio 1971 con decreto ministeriale che ne proibì la caccia;
    la legge n. 157 del 1992 inserì il lupo tra le specie particolarmente protette (articolo 2, comma 1);
    la «direttiva Habitat» recepita con il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997 inserì il lupo nell'allegato D, tra le specie di interesse comunitario che richiedono una rigorosa protezione;
    quindi è vietato catturare, cacciare, disturbare, possedere, trasportare, scambiare, commercializzare il lupo per il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1992, articolo 8 commi 1-2;
    si prevede richiesta di autorizzazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito l'ISPRA per ogni intervento di immissione in natura (decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1992 articolo 12);
    si prevede la creazione di un fondo regionale per la prevenzione e il risarcimento danni per la legge n. 157 del 1992 articolo 26;
    si prescrive il risarcimento dei danni nelle aree protette a carico dell'ente parco per la legge n. 394 del 1999 e successive modifiche;
    il lupo appartiene quindi al patrimonio indisponibile dello Stato, ed è considerata una specie particolarmente protetta in virtù della legge n. 157 del 1992;
    si prevede il monitoraggio delle popolazioni di lupi da parte delle regioni sulla base di linee guida del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'Ispra e del Mipaf, decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, articolo 7 comma 2;
   riguardo agli «ibridi» il regolamento (UE) 338/97 cosiddetto CITES stabilisce che fino alla quarta generazione (F4) ancorché ibridati con domestici, gli animali quali i Lupi (e le altre specie incluse nella lista) sono da considerarsi protetti e quindi: non catturabili, non detenibili in cattività, cacciabili e altro. Pertanto, i lupi, quanto gli esemplari che esitano dall'accoppiamento di cani e lupi (i quali appartengono alla stessa specie) definiti ibridi, sono tutelati dalla predetta normativa;
   inoltre, a tale riguardo, è chiara anche la pronuncia del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, con nota del 18 ottobre 2012, ha evidenziato che esemplari di ibrido lupo-cane sono «assoggettabili alla disciplina relativa alle specie selvatiche: la categoria dell'ibrido cane-lupo che è nato e vive in stato di libertà naturale»;
   è quindi evidente che tali esemplari, a tutti gli effetti, rientrino nella categoria di fauna selvatica tutelata come previsto dalla legge n. 157 del 1992 che al 1o comma dell'articolo 1 dispone che «la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale»;
   la tutela di ogni specie animale la cui uccisione e maltrattamento sono considerati delitti ai sensi del codice penale dagli articoli: 544-bis e ter nonché l'abbandono secondo il 727 del codice penale, è atto dovuto;
   la presenza di cani vaganti e ferali, ritenuti responsabili del presunto problema della «ibridazione» è chiaramente dovuta non solo alla negligenza dei proprietari, ma soprattutto a quella istituzionale nel mancato rispetto dei doveri previsti dalla normativa vigente che tutela gli animali d'affezione (quindi i cani randagi, i cani vaganti di proprietà e quelli ferali) e interviene per la prevenzione del randagismo a partire dalla legge n. 281 del 1991 «Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo». La legge n. 281 del 1991 sancisce: «lo Stato promuove la disciplina della tutela degli animali d'affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono, favorendo la corretta convivenza tra uomo e animale, tutelando la salute pubblica». Come tutte le leggi quadro prevedono, ogni regione, nell'ambito dei principi cardine della stessa, ha emanato leggi interne;
   le responsabilità ben precise del Ministero della salute, dei sindaci e dei comuni, delle asl e dei proprietari sono descritte e riassunte in un opuscolo del Ministero (http://www.salute.gov.it);
   le norme principali che stabiliscono ruoli e competenze in tale ambito sono:
    legge 14 agosto 1991, n. 281, «Legge quadro in materia di animali d'affezione e prevenzione del randagismo»;
    accordo 6 febbraio 2003 tra il Ministero della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano in materia di «benessere degli animali da compagnia e pet therapy» recepito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 febbraio 2003;
    ordinanza 6 agosto 2008 (reiterata negli anni): «Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l'identificazione e la registrazione della popolazione canina»;
    ordinanza 18 dicembre 2008 e successive modifiche: «Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati»;
    ordinanza 3 marzo 2009 (reiterata negli anni): «Ordinanza contingibile e urgente concernente la tutela dell'incolumità pubblica dall'aggressione dei cani»;
    il cane vagante padronale, è un animale di proprietà secondo le normative vigenti (n. 281 del 1991 e successive modifiche) che invece dovrebbe essere correttamente gestito, avere il microchip, essere inserito in anagrafe canina e altro e invece è anche lasciato libero di vagare e soprattutto nelle ore notturne;
    il cane randagio è il cane abbandonato o presente sul territorio per la mancata applicazione della legge n. 281 del 1991 «Tutela degli animali d'affezione e prevenzione del randagismo». Le responsabilità di tale condizione, non più giustificabile a distanza di ben 25 anni dalla sua emanazione e spesso della sua mancata o scorretta applicazione, sono molteplici: da chi abbandona in primis a quella del sindaco che è il responsabile civile e penale dei cani vaganti sul territorio nonché la massima autorità sanitaria, a quella della asl che ha il compito di cura, sterilizzazione, apposizione del microchip, iscrizione all'anagrafe canina e altro. La persistenza del fenomeno del randagismo esita quindi da una infinita serie di vere e proprie omissioni di atti di ufficio poiché la normativa vigente e i suoi chiari precetti non sono applicati;
    il cane ferale (o inselvatichito) esita dalla scorretta, perpetrata e negligente gestione umana, è frutto dell'abbandono e della mancata applicazione della legge n. 281 del 1991. I cani ferali sono animali che si mantengono in modo autonomo dall'uomo, interagiscono tra loro socialmente e manifestano comportamenti ancestrali;
    in virtù del mancato rispetto delle normative vigenti sopracitate, l'accoppiamento tra cane e lupo è un fenomeno osservato da sempre in tutte le aree di presenza di quest'ultimo. Trattandosi della stessa specie (il cane e il lupo), l'accoppiamento dà esito a prole fertile, pertanto anche definirli «ibridi», sottende a scorrette quanto errate interpretazioni;
    va altresì rammentato che importanti ricercatori ed esperti sostengono che: «dai dati attualmente disponibili sembra che la presenza di “ibridi” nel contesto toscano ed Italiano, sia un fenomeno molto limitato» (fonte Duccio Berzi). «I risultati hanno mostrato che i cani e lupi italiani sono geneticamente ben differenziati, suggerendo che l'introgressione dei geni dei domestici non ha inciso sul patrimonio genetico del lupo» e che «gli ibridi» possono essere non identificabili in base a criteri di osservazione, e la loro rimozione da una popolazione selvatica è un obiettivo probabilmente impossibile. Suggeriamo che la gestione e sforzi di conservazione devono essere concentrati sulle popolazioni di cani randagi, che sono la fonte primaria di ibridazione per il lupo». (fonte: «Wolf—dog crossbreeding: «Smelling a hybrid may not be easy» Rita Lorenzini, Rita Fanelli, Goffredo Grifoni, Francesco Scholl, Rosario Fico);
    nonostante le pubblicazioni e i pareri scientifici sopracitati si è promossa la psicosi «ibrido», causata anche da progetti sostenuti da fondi europei. Ad esempio, il progetto Ibriwolf (Life 10 NAT/IT/000265 IBRIWOLF) tra i suoi obiettivi annovera: «identificare e rimuovere tutti gli ibridi delle due aree pilota del progetto; attrezzare delle aree in cui gli ibridi catturati possano essere tenuti in cattività ed essere visti dal pubblico». Come appare evidente, tale progetto, ignora l'esistenza del sopracitato regolamento (CE) n. 338/97 e dei suoi chiari precetti normativi sopra elencati;
   non solo, il progetto prevede anche di diminuire la presenza di cani vaganti attraverso la loro rimozione ove possibile, sterilizzando e custodendo tutti gli individui catturati. A tal proposito, è d'obbligo rammentare che ancora una volta, tale compito è previsto dalla legge n. 281 del 1991 e dalle relative leggi regionali. Pertanto, la presenza di cani vaganti denuncia una condizione di pregresso e gravissimo inadempimento da parte delle asl e dei sindaci, a fronte di chiari strumenti normativi ed economici poiché si tratta di norma finanziata annualmente. Il compito di diminuire (posto che diminuendo non si risolverebbe il problema di base) la presenza di cani vaganti è preciso compito della asl e dei comuni. Inoltre, come riportato dai media, il predetto progetto non ha portato soluzioni al fenomeno della predazione e ha fomentato conflitti tra le categorie. L'esacerbarsi delle conflittualità ha raggiunto il massimo della sua manifestazione con l'uccisione, sia di lupi che di altri canidi, in particolar modo nella provincia di Grosseto e di Siena esattamente nei distretti in cui era in opera il progetto Ibriwolf, come i media in più occasioni riportano;
   anche in altri distretti territoriali la guerra al lupo non accenna a fermarsi. Si rileva anche nelle zone delle Alpi orientali in cui sono stati ritrovati bocconi avvelenati (fonte – http://www.lifewolfalps.eu) e altri lupi morti; tra la strada provinciale 43 che collega Cagnano Varano al comune di San Giovanni Rotondo è stato rinvenuto un lupo privo di vita appeso a testa in giù al chilometro 5 in località Coste di Manfredonia. Un animale particolarmente protetto che è stato oltraggiato e barbaramente vilipeso. (fonte – http://www.statoquotidiano.it);
   gli interroganti segnalano inoltre che numerosi canidi (lupi, ibridi, cani) sono stati catturati in modo, discutibile e con metodi certamente pericolosi tramite l'uso dei lacci come riportato da diverse fonti di stampa;
   gli interroganti evidenziano che cucciolate di canidi sono stati rimossi e allontanati dalla madre anzitempo (ben prima dei 60 giorni di età) e quindi costretti in cattività, come ad esempio nel caso dei sei cuccioli di ibrido affidati poi al Crase di Semproniano;
   tra le varie fondamentali criticità vi è inoltre da evidenziare che l'accertamento di un caso di predazione sul bestiame domestico è, di fatto, una perizia medico-legale che deve essere effettuata da medico veterinario con comprovata esperienza nel settore. Mentre, di prassi, ciò non avviene e pertanto le segnalazioni sulle predazioni non rappresentano dato scientifico inequivocabile e significativo. Si tratta quindi di dati empirici e che non sono in alcun modo significativi per poter agire sulla prevenzione. Sono dati usati in modo strumentale e spesso impreciso. Spesso la «predazione» stessa non viene descritta per come si dovrebbe, al fine di raccogliere dati collezionabili. Infatti, viene sommariamente descritta senza evidenziare i fondamentali riferimenti qui di seguito elencati:
    predazione: il predatore ha ucciso un capo di bestiame sano;
    pseudo-predazione: il predatore ha ucciso un capo di bestiame il cui precario stato di salute ha facilitato il successo dell'attacco;
    altre cause di morte;
   è altresì possibile, con la perizia medico legale del medico veterinario forense, stabilire quale animale ha effettuato la predazione poiché:
    il lupo quando morde esercita una forza pari a 106,2 Kg per centimetro quadrato. È quindi in grado di troncare un femore;
    il cane (tarata sul pastore tedesco) quando morde esercita una forza di 53 Kg per centimetro quadrato;
    il morso del lupo è molto stretto: distanza massima tra i canini superiori 4,2-4,5 cm, canini inferiori 3-3.5 cm;
    il morso del cane pastore tedesco: misura 5.5 cm;
   nell'attacco del lupo sugli ovi-caprini si registra il numero limitato di morsi, di cui un morso inferto nella regione retro-mandibolare con forza e precisione e che esercita una pressione improvvisa sull'arteria carotidea dove sono presenti i recettori (baro-recettori) che, compressi dal morso, attivano una reazione nervosa che porta a morte quasi immediata dell'animale per collasso cardio-circolatorio;
   il lupo preda nell'85 per cento di notte o nelle primissime ore dopo l'alba (fonte dottor Duccio Berzi);
   nella predazione è necessario distinguere due fasi:
    1) attacco con uccisione;
    2) consumo dell'animale;
   «Non è detto che il responsabile dell'attacco sia poi il responsabile del consumo e non è detto che l'animale consumato dai predatori selvatici o meno, sia effettivamente stato ucciso da questi o non sia magari morto per malattia o altre cause e poi successivamente consumato» (fonte dottor Duccio Berzi);
   oltre alla classificazione ed identificazione della predazione è di fondamentale importanza la modalità di risarcimento del danno causato da predazione. Relativamente al danno economico per esempio la regione Toscana tramite la legge regionale 4 febbraio 2005, n. 26, «Tutela del patrimonio zootecnico soggetto a predazione», concede contributi per la stipula di polizze assicurative contro i danni da predatori selvatici. Ma al momento non sono sufficienti i risarcimenti proposti anche in ragione del fatto che il danno subito non può estinguersi considerando solo il risarcimento del capo;
   il danno economico può essere così suddiviso:
    1) diretto – per la perdita diretta animali;
    2) indiretto – fenomeni di stress sul gregge riduzione/perdita produzione latte, aborti, ferite;
    3) gestionale – aumento di spese per le cure, alimentazione in ovile se gli animali impauriti si rifiutano di recarsi al pascolo e conseguente aumento di infezioni/parassitosi;
   in caso di attacco di predatore il danno economico può essere molto superiore rispetto al semplice risarcimento del valore degli animali predati:
    qui di seguito un esempio: danno stimato: 137,00 euro a capo; danno diretto + indiretto + gestionale: 2,587 euro a capo;
    per la prevenzione dei danni dai predatori, in considerazione del fatto che nel 2013 a Grosseto e provincia ci sono stati circa 600 ovini predati, la regione Toscana con la legge n. 26 del 2005 prevede i contributi per la realizzazione di opere di prevenzione. I contributi sono gestiti dalle amministrazioni provinciali o dalle comunità montane. Molte sarebbero però le soluzioni da pianificare e su cui investire: dissuasori faunistici, elettrificazione delle recinzioni, recinzioni tradizionali miste. Tali interventi, come dimostrato, sono gli unici in grado di garantire efficacia e risultati;
   per prevenire si intende: intervenire prima degli episodi di predazione. Metodo più economico ed efficace. Ad esempio, in più del 95 per cento dei casi documentati, la predazione è avvenuta di notte o in condizioni di tempo perturbato. In circa l'80 per cento dei casi di predazione, a seguito di una prima aggressione se ne verifica una seconda entro le due settimane;
   per protezione si intende: intervento successivo al primo attacco. Azioni dissuasive e di disturbo attivi anche per evitare la cronicizzazione degli attacchi;
   per garantire l'efficacia è necessario agire con azioni sinergiche sul territorio e sugli allevamenti, in grado di mitigare il danno. È imprescindibile studiare ed applicare soluzioni tecnico-gestionali che assicurino il miglior rapporto tra costi-gestione-risultati: determinazione del medico veterinario della tipologia di predazione; analisi delle caratteristiche da tecnici + veterinari; valutazione azienda per azienda; condivisione; sostenibilità; interventi gestionali; indennizzi vincolati alla prevenzione; logo dei prodotti «predator friendly»;
   «nell'ambito di uno studio effettuato con la collaborazione dell'Università degli Studi di Firenze sono stati analizzati i dati relativi all'efficacia di 11 recinzioni elettrificate realizzate nel territorio della provincia di Firenze tra il 2005/2009 per un periodo totale di circa 5000 giorni di funzionamento. La presenza del lupo nelle aree vicine agli impianti studiati è rimasta costante così come le predazioni negli allevamenti non protetti. I risultati indicano che con le recinzioni elettrificate le predazioni si sono ridotte drasticamente, passando da una media di circa 3 capi predati su 100 ad anno a 0.06, con una efficacia superiore al 97 per cento. I casi di violazione delle recinzioni sono da attribuire a casi di errato montaggio dei cavi o ad una progettazione discutibile» (fonte: dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio zootecnico», Centro per lo studio e la documentazione sul lupo);
   esistono altri sistemi per ridurre il conflitto tra i predatori ed attività zootecniche e sono:
    evitare l'incremento delle popolazioni di prede naturali con reintroduzioni: ungulati a fini venatori;
    controllo del randagismo canino, corretta applicazione delle norme vigenti da parte degli enti istituzionalmente preposti come previsto dalla legge n. 281 del 1991;
    finanziamenti agli allevatori per l'adozione di misure volte a prevenire gli attacchi o la concessione gratuita di tali strumenti di prevenzione come già praticato in Toscana, nelle zone appenniniche;
    miglioramento delle misure di prevenzione in un piano sinergico territoriale;
    sensibilizzazione dell'opinione pubblica ed allevatori sul tema della conservazione dei grandi carnivori: la tutela della biodiversità è patrimonio del territorio;
    riconsiderazione dei sistemi di indennizzo, previa valutazione medico veterinaria forense della predazione;
   va rammentato che la presenza del lupo è un inequivocabile segnale positivo per tutto l'ecosistema e per la biodiversità, è quindi un indicatore biologico, in qualità di « top predator», di un ambiente ecologicamente sostenibile;
   anche in considerazione della diffusa sensibilità internazionale, nazionale e quindi dei turisti, come confermano recenti indagini di mercato e indagini scientifiche, un animale selvatico vale più da morto che da vivo poiché è da traino per il turismo stesso, in virtù dei sopracitati valori ambientali che incarna; (fonte: www.ncbi.nlm.nih.gov; http://wilderness-society.org);
   è infatti noto che, a fronte degli inaccettabili e vergognosi episodi di uccisione dei lupi, vi sia stato il giusto coinvolgimento e sollevamento delle associazioni a tutela degli animali quanto dell'ambiente e che queste abbiano richiamato l'esigenza di boicottare il turismo e il prodotto nelle zone in cui si sono realizzati questi crimini contro la natura (fonte: http://www.grossetonotizie.com);
   a fronte di discutibili dichiarazioni pubbliche di politici e responsabili istituzionali che rivestono importanti ruoli, è esecrabile secondo gli interroganti, la scarsa professionalità dimostrata, come nel caso del dirigente della asl di Grosseto dottor Madrucci e del presidente della provincia di Grosseto Marras, i quali richiedono di poter intervenire con modalità di dubbia legittimità su cani, lupi e altro e accusano i cani stessi della loro condizione di randagismo. Facendo ciò ad avviso degli interroganti non accusano, invece, altro che loro stessi in virtù degli obblighi normativi che avrebbero dovuto rispettare e di cui sono responsabili nell'esercizio della loro professione;
   il «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia», da quanto è dato sapere, è stato realizzato a titolo oneroso e senza alcun bando ma con affido diretto all'Unione zoologica italiana (e che per altro per suo statuto è una onlus http://www.uzionlus.it/) su richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Questo dovrebbe essere lo strumento che dovrebbe rappresentare il fondamento per il prossimo quinquennio sulla base del quale applicare la strategia di gestione e conservazione del lupo. Si evidenzia, in primis, l'affido ad una onlus della realizzazione di un progetto a titolo oneroso e che, secondo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997, dovrebbe essere realizzato dall'ISPRA anche in ragione del ruolo e della mission dell'ente che rappresenta il braccio tecnico scientifico ed operativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   in merito all'Ispra gli interroganti evidenziano che il dottor G., funzionario dell'ente del servizio faunistica, che ricopre il ruolo di responsabile di questi procedimenti e pareri fondamentali, è stato impegnato in attività di eradicazione dello scoiattolo grigio che sono state ritenute illegittime da una sentenza della Corte di cassazione, benché tuttavia lo stesso sia stato assolto; (Fonte: http://www.ambientediritto.it); Corte di cassazione, penale sez. III – 31 gennaio 2003 (ud. 11 dicembre 2002) n. 4694;
   «... Sul ricorso proposto da Spagnesi e altro... omissis, avverso la sentenza in data 4.7.2000 della Corte di Appello di Torino, con la quale, in riforma di quella del Tribunale di Saluzzo in data 26 novembre 1999, vennero assolti dai reati: a) di cui all'articolo 30 lettera d) della legge n. 157-92; b) di cui all'articolo 30 lettera h) della legge n. 157-92, in quanto non punibili per aver agito nell'erronea supposizione della sussistenza della causa di giustificazione dell'adempimento di un dovere; nonché dal reato; c) di cui all'articolo 727 c.p., perché il fatto non sussiste (...);
   Diritto: si deve affermare che l'attività posta in essere dagli imputati, diretta alla cattura e successiva eliminazione di numerosi esemplari di scoiattolo grigio, rientra nella nozione di caccia, secondo la definizione della legge n. 157-92, e risulta sanzionata penalmente, ai sensi dell'articolo 30 lettera d) ed h), per inosservanza degli specifici divieti, di cui alla contestazione, imposti dalla medesima legge. Peraltro, va conclusivamente rilevato che la natura stessa del programma di eradicazione dello scoiattolo grigio e la rilevante portata della sua attuazione esclude categoricamente che al fatto accertato possa essere attribuita la natura di attività di sperimentazione, rientrando, invece, nel concetto di controllo della fauna, che è di competenza della Regione. Del tutto inconferente è, infine, il rilievo in ordine alla natura statale dell'Ente cui appartengono gli imputati, non essendo riconducibili all'Ente stesso comportamenti che esorbitano dalle competenze ad esso attribuite dalla legge. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue a carico dei ricorrenti l'onere del pagamento delle spese processuali»;
   il «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» tra l'altro, come si legge, è stato realizzato con dati non ancora pubblicati, pertanto ancora non ammissibili né per modalità né per metodo quindi dati privi di valore e pressoché empirici;
   lo stesso piano riporta una infinita serie di dichiarazioni a giudizio degli interroganti pressapochiste e del tutto prive di riscontro oggettivo: dalla valutazione dei predatori realmente responsabili dei danni sugli ovini (l'accertamento della predazione non è avvenuto, in modo organico e scientificamente rilevate, su tutti gli episodi di predazione considerati, da parte di medico veterinario forense con pregressa esperienza), a presunti piani di mitigazione e di intervento dissuasivo che, soprattutto negli areale della provincia di Grosseto e Siena non hanno mai avuto un coordinamento e una organica applicazione;
   nel «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» si legge:
    «Oggettive condizioni di forte tensione sociale si possono verificare soprattutto in alcune parti dell'areale del lupo dove la specie ha fatto ritorno dopo decenni di assenza e dove si sono sviluppati metodi di allevamento che, per essere compatibili con la presenza del lupo, richiedono onerose misure di prevenzione. In queste condizioni, il prelievo di alcuni esemplari può costituire, presso i gruppi di interesse più colpiti, una forma di gestione che può coadiuvare le altre azioni di prevenzione e mitigazione dei danni. Inoltre, può rappresentare un importante gesto di partecipazione e una dimostrazione di flessibilità che possono aiutare a superare il clima di contrapposizione che a volte sfocia in atti di bracconaggio incontrollabile. Può quindi contribuire ad instaurare quel clima di condivisione necessario ad attuare una più complessa strategia di coesistenza;
    obiettivo primario, quindi, di eventuali deroghe è di contribuire, insieme alla messa in opera, contemporanea ed effettiva, di molte altre azioni di gestione dei conflitti (vedi capitolo 3), alla riduzione a) di eventuali danni ripetuti e massicci su scala ristretta e b) del rischio percepito e alla mitigazione dei Conflitti sociali ed economici connessi alla coesistenza tra uomini e lupo». Tali affermazioni oltre ad essere ad avviso degli interroganti gravi e irricevibili, partono dalla conclusione, anziché considerare che, non solo perché la normativa lo prevede, ma anche per banale logica che prima fossero messi in atto contestualmente e coerentemente tutti i sistemi di dissuasione e tutte le azioni tese a prevenire ogni fenomeno di predazione (inclusa la corretta applicazione della legge n. 281 del 1991 per la prevenzione del randagismo) e che tali deduzioni, così come sono rappresentate, sono da considerarsi del tutto prive di fondamento tecnico scientifico e risultano altresì funzionali e demagogiche;
   si rammenta inoltre che l'avocata deroga per quelli che sono stati definiti eufemisticamente «prelievi» – leggasi abbattimenti – prevista dall'articolo 16 della direttiva Habitat, è concedibile solo quando sia stato dimostrato di aver messo in pratica tutta una serie di azioni preventive e previste dalla direttiva stessa;
   si è inoltre alimentata la fobia del lupo anche quale rischio per le persone, mentre dal Corpo forestale dello Stato, a fronte di tanto inutili quanto infondati allarmismi, presso il tavolo in provincia di Parma la Forestale dichiara: «Mai registrato un solo caso di aggressione all'uomo» (fonte http://www.parmatoday.it/cronaca/lupi-aggressioni-polemiche.html) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della chiara posizione della Commissione europea che nell'aprile 2014, in risposta all'europarlamentare italiano Zanoni alla sua interrogazione (E-002258-14) ha espresso la sua viva preoccupazione nei confronti degli atti di bracconaggio dei lupi come: «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva «Habitat» e del primo obiettivo della strategia dell'UE per la biodiversità»;
   se i Ministri interrogati abbiano contezza tecnico-scientifica di tutti i progetti relativi alla raccolta di dati su studi di popolazione e abbiano richiesto esaustive informazioni sui metodi utilizzati, ovvero se esista uno schema di monitoraggio nazionale e quindi un quadro univoco e condiviso della popolazione del lupo, in termini numerici e di distribuzione reale;
   se i Ministri interrogati considerino accettabili i presupposti operativi del «piano lupo» come quello realizzato, basato su dati non pubblicati, pertanto privi, al momento, di valore scientifico;
   se i Ministri interrogati abbiano acquisito i dettagli relativi a modalità, metodi di indagine, rilievi, esami necroscopici e refertazione/certificazione di medico veterinario forense e altro sui presunti danni causati dai canidi sugli ovini e su tutta l'attività che si ritiene danneggiata dalla presenza dei lupi e/o altri canidi, soprattutto nei territori in cui si sono rilevati i gravi atti di bracconaggio;
   posto che il progetto Ibriwolf (Life 10 NAT/IT/000265 IBRIWOLF) secondo gli interroganti non ha portato i risultati prefissati e ha piuttosto sollecitato l'esacerbarsi delle tensioni con evidenti effetti drammatici ed esecrabili quali gli abbattimenti illegali dei lupi nelle zone in cui il piano è operativo, come il presupposto base del progetto stesso si concili con il regolamento (CE) n. 338/97 che considera gli animali fino all'F4 (ovvero fino alla quarta generazione) come «specie» dal punto di Vista di «tutela Cites», anche in ibridazione, ancorché con domestici;
   se le catture dei canidi (siano essi lupi e ibridi) siano state realizzate con metodi legittimi (quali per esempio il laccio), e con finalità giustificabili;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati ritengano di dover assumere in relazione alle valutazioni, considerazioni e dichiarazioni espresse nei pubblici consessi sopracitati, con particolare riferimento alla dottoressa Zacchia, funzionario del Ministero della salute e al dottor Madrucci, responsabile dell'asl Grosseto, in ragione del codice deontologico dei medici veterinari e del codice di comportamento del Ministero della salute e altro;
   posto che i responsabili dei progetti e i funzionari dei Ministeri debbono in primo luogo agire quali pubblici funzionari ai fini della corretta applicazione delle normative vigenti quale obiettivo della loro attività professionale e tecnica per cui sono remunerati e che, invece, anziché agire in tale direzione, essi hanno manifestato pubblicamente la necessità di sopprimere i cani randagi e hanno richiesto poteri speciali per ricorrere all'abbattimento dei lupi, quali iniziative di competenza i Ministri intendano assumere;
   se i Ministri interrogati intendano agire e con quali modalità per la prevenzione di ulteriori e gravi atti di bracconaggio dei lupi, anche in considerazione della perdita di patrimonio indisponibile dello Stato e se, per questo, abbiano intenzione di richiedere il dovuto risarcimento e abbiano intenzione di costituirsi parte civile negli eventuali procedimenti penali derivanti;
   se i Ministri interrogati abbiano considerato il grave danno causato dall'uccisione del gran numero dei lupi (considerato che gli esemplari rinvenuti rappresentano presumibilmente una minima parte di quelli uccisi realmente) e in che modo abbiano contribuito, per quanto di competenza, ad agevolare le indagini e la ricerca, con ogni mezzo, per identificare i responsabili di tali crimini e assicurarli alla giustizia, proprio in considerazione del grave danno causato al patrimonio indisponibile dello Stato, e quindi il danno alle casse pubbliche, in ragione della protezione speciale di cui gode la specie e anche del grave danno all'immagine – nazionale e internazionale – che ne è determinato;
   se il Ministro della salute abbia intenzione di monitorare, in collaborazione con le regioni e i comuni, l'operatività e i risultati, delle attività di contrasto ai fenomeni di cui in premessa, in particolare con riferimento ad atti di predazione in cui sia stato accertato coerentemente ed in modo scientifico il coinvolgimento di cani padronali senza controllo, di cani randagi o ferali garantendo il rispetto e la corretta applicazione delle normativa vigente nonché i ruoli e le competenze previste che non sono una opzione, ma un chiaro obbligo dato che si assiste alla ridicola manifestazione di denuncia del fenomeno del randagismo proprio da chi avrebbe in carico il compito di occuparsene seguendo rigorosamente i precetti contenuti nelle norme al riguardo;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia valutato e con quale criterio, di affidare il progetto «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» redatto a titolo oneroso e con affido diretto ad una onlus, anche in considerazione di quanto prescritto nel decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 articolo 7, comma 2, che fa riferimento alla previsione di monitoraggio delle popolazioni di lupi da parte delle regioni sulla base di linee guida del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'Ispra e del Mipaf;
   se a quali verifiche intenda operare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che dovrebbe avere il dovere di imparzialità, rigore, rispetto e applicazione delle normative vigenti, nazionali ed internazionali, nella piena attuazione di ogni precetto in esse contenuto, prima di utilizzare gli strumenti suggeriti da tali piani, i quali, per stessa ammissione di chi li ha redatti e da una attenta loro disamina, non contengono dati scientificamente validi e pubblicati, soprattutto in considerazione del fatto che si fa chiaro e specifico riferimento alla possibilità di ottenimento della deroga alla «direttiva Habitat» articolo 16 per ciò che viene definito «prelievo» (abbattimento) e che, certamente, non risponde ai princìpi cardine di tutela della specie in questione;
   se si consideri opportuno mantenere nell'incarico ricoperto il funzionario dell'Ispra sopra indicato nonostante i suoi chiari personali coinvolgimenti nella vicenda richiamata in premessa;
   se i Ministri interrogati siano in possesso dei dati relativi all'applicazione di un piano organico, coordinato e armonico di utilizzo di tutti i sistemi di dissuasione esistenti che, nei distretti territoriali in cui sono stati applicati, hanno prodotto la riduzione della predazione fino ad oltre il 90 per cento;
   se i Ministri interrogati non ritengano che sia opportuno assumere iniziative per vietare i ripopolamenti a fini venatori degli ungulati;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere iniziative per ricondurre ad un livello di ragionevolezza e decenza le informazioni, spesso scorrette e infondate, che sono diffuse sul territorio anche a mezzo stampa tenuto conto che alcune dichiarazioni pubbliche da parte di funzionari dello Stato e responsabili dei progetti Life, hanno inevitabilmente scatenato una vera e propria psicosi dei canidi tutti (cani, lupi). (4-13595)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA e MORETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo pone all'attenzione del Ministero delle attività culturali e del turismo la criticità della situazione statica della Torre Civica Campanaria del Duomo di Sant'Andrea Apostolo di Portogruaro (Ve);
   il manufatto, realizzato a partire dal XII secolo e sopraelevato nel XIX secolo, è alto circa 59 metri ed è interessato da tempo da un progressivo cedimento che ne mette a rischio la staticità;
   il monumento è sottoposto a tutela ai sensi degli articoli 10 e 12 del decreto legislativo 42 del 2004 per effetto del D.D.R. del 24 gennaio 2012, trascritto presso la CC.RR.II. di Venezia il 22 febbraio 2015 ai nn. Rg. 4940, Rp. 3685;
   in, data 8 giugno 20165 vi è stato, su richiesta dell'amministrazione comunale, un sopralluogo effettuato dall'architetto Andrea Alberti, Soprintendente delle belle arti e paesaggio per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso;
   al termine del sopralluogo la Soprintendenza ha espresso la propria preoccupazione per la sicurezza a breve e medio termine minacciata dal progressivo cedimento fondazionale che ne sta compromettendo la stabilità;
   il fenomeno in atto è oggetto da alcuni anni di un sofisticato sistema di monitoraggio effettuato dall'Università di Trento che ha registrato dal 2003 uno spostamento della torre campanaria nella direzione di massima pendenza di 3,2 centimetri con un trend di spostamento che si è accentuato negli ultimi due anni pari a 2,5 millimetri all'anno;
   gli studi condotti e i dati raccolti confermano le preoccupazioni circa i rischi di un possibile cedimento anche per quelle che sono le specificità del manufatto;
   sono pertanto necessari urgenti interventi di rinforzo delle fondazioni mediante particolari tecniche che richiedono importanti investimenti quantificati, in via preventiva, in quasi 2 milioni di euro;
   negli anni le diverse amministrazioni comunali hanno più volte posto all'attenzione dei Ministeri competenti e dell'amministrazione regionale la gravità della situazione;
   recentemente molti cittadini hanno di propria iniziativa segnalato l'intervento all'indirizzo bellezza@governo.it per l'accesso ai fondi messi a disposizione dal Governo per luoghi culturali da recuperare, ristrutturare o reinventare per il bene della collettività;
   sono state sensibilizzate tutte le istituzioni affinché si possa individuare una soluzione operativa in tempi quanto mai rapidi –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare al fine di convocare in tempi rapidi un tavolo tecnico in merito agli interventi e alle risorse da reperire, anche alla luce degli esiti del sopralluogo effettuato dal Soprintendente di cui in premessa, per la messa in sicurezza e la salvaguardia della Torre civica campanaria del Duomo di Sant'Andrea Apostolo di Portogruaro, in considerazione del suo particolare pregio artistico e storico nonché simbolo della città. (5-08983)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nel settore tessile e della moda, l'investimento realizzato dalle imprese finali per lo studio, ideazione e realizzazione delle collezioni (il cosiddetto «Campionario») è rilevante e, per citare alcuni dati dell'Osservatorio del settore tessile abbigliamento nel distretto di Carpi, nel 2013 si è attestato su cifre che arrivano al 6,6 per cento del fatturato delle imprese del distretto;
   sempre secondo l'Osservatorio, l'incidenza di questo costo sarebbe proporzionalmente più elevata nelle imprese di piccole dimensioni, dove supera il 9 per cento del fatturato, mentre nelle imprese finali di maggiori dimensioni si posiziona sul 4,9 per cento;
   l'investimento che ogni anno le imprese finali devono sostenere per l'attività di ideazione e realizzazione dei campionari rappresenta quindi un costo molto significativo, tenendo conto della necessità di progettare sempre nuovi modelli ad ogni stagione di vendita;
   l'articolo 1, commi da 280 a 284, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) ha istituito una misura fiscale, generica, di vantaggio in favore delle imprese per lo svolgimento di attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo: l'intervento di sostegno si sostanzia in un contributo, concesso nella forma di credito d'imposta, pari al 10 per cento dei costi sostenuti elevato al 15 per cento qualora i costi siano riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca. I costi agevolabili non possono superare l'importo di 15 milioni di euro per ciascun periodo d'imposta;
   l'articolo 2, comma 66, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) ha successivamente modificato l'intervento di sostegno, elevando al 40 per cento la misura del credito d'imposta per i costi di ricerca e sviluppo riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca, ed aumentando a 50 milioni di euro per ciascun periodo d'imposta l'importo complessivo massimo dei costi su cui determinare il credito d'imposta;
   l'Agenzia delle entrate, con la circolare 46/E del 13 giugno 2008, in ordine all'individuazione delle attività rientranti nell'agevolazione, con particolare riferimento al campionario del settore tessile, abbigliamento e calzature, ha affermato che: «fermo restando il carattere automatico del credito d'imposta in esame, l'ulteriore indagine riguardante la effettiva riconducibilità di specifiche attività aziendali (quali, ad esempio, la realizzazione di un dato campionario da parte di un'azienda del settore tessile, lo sviluppo di una data molecola da parte di un'azienda nel settore chimico-farmaceutico) od una delle attività di ricerca e sviluppo ammissibili, si ritiene comporti “valutazioni di carattere tecnico” che, come si desume dall'articolo 6 del decreto ricerca, involgono la competenza del Ministero dello sviluppo economico»;
   nell'aprile 2009, il Ministro dello sviluppo economico ha emanato la circolare interpretativa n. 46586 sull'applicazione dell'agevolazione del credito di imposta alla ricerca ed allo sviluppo alla attività del tessile e della moda nella quale si esplicitava, tra l'altro, che il credito d'imposta era previsto nella misura del 15 per cento, elevabile al 20 per cento per i costi riferiti a contratti stipulati con università e enti pubblici di ricerca e che i costi ammissibili erano il lavoro del personale interno (stilisti e tecnici) impiegato nelle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le prestazioni dei professionisti (stilisti, altri consulenti esterni), le materie prime e materiali di consumo connessi alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le lavorazioni esterne connesse alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le attrezzature tecniche specifiche (computer e software dedicato, macchinari), nella misura e per il periodo in cui sono utilizzati per l'attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, i fabbricati ed i terreni esclusivamente per la realizzazione dei laboratori utilizzati, nella misura e per il periodo in cui sono destinati alle fasi di ideazione e realizzazione dei prototipi;
   l'articolo 4, commi da 2 a 4, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, ha previsto un'agevolazione, sotto forma di detassazione del valore degli investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, finalizzate alla realizzazione di campionari (cosiddetto «bonus campionari»), a favore delle imprese che svolgono attività produttive classificabili nelle divisioni 13 o 14 della tabella ATECO 2007;
   l'attività di studio, ideazione e realizzazione delle collezioni da parte delle imprese dell'abbigliamento, è stata riconosciuta anche dall'agenzia delle entrate in occasione del richiamato bonus campionari, attivato nel 2011, come un'attività di ricerca industriale e sviluppo pre-competitivo poiché la funzione di ricerca e sviluppo svolta dalle imprese di abbigliamento si concretizza nell'attività di ricerca e ideazione stilistica dei prodotti e nella realizzazione dei prototipi che ad ogni stagione vede impegnate le risorse creative in tecniche interne alle imprese finali e le risorse esterne, rappresentate dagli stilisti che operano in qualità di consulenti e dalle imprese di subfornitura che collaborano attivamente allo studio e realizzazione dei prototipi: realizzando prodotti legati all'evoluzione della moda, le imprese finali propongono, ad ogni stagione, nuovi modelli. L'attività di ricerca e sviluppo richiede, di conseguenza, notevoli risorse e assume una valenza strategica nel determinare il successo dell'impresa;
   con l'introduzione di un credito di imposta in favore dei soggetti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo nel «decreto destinazione Italia» del dicembre 2013, il legislatore è tornato a promuovere l'innovazione attraverso lo strumento dell'incentivo fiscale: la misura introdotta nel 2013, che, però, non ha trovato attuazione per mancanza di copertura finanziaria, è stata poi modificata dalla legge di stabilità per il 2015 con l'obiettivo di renderla più efficace nell'incentivare sia gli investimenti sia l'occupazione di personale con un profilo professionale qualificato, fermo restando il cambiamento della logica di calcolo dell'agevolazione da volumetrica ad incrementale;
   l'articolo 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha integralmente sostituito l'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, con il quale è stato introdotto il credito di imposta per attività di ricerca in sviluppo, rinviando, nel comma 14, ad un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, l'individuazione delle disposizioni applicative necessarie per poter dare attuazione al credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo;
   tra i costi ammissibili al credito d'imposta, nel rispetto di quanto contenuto nel comma 6 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 145 del dicembre 2013 ed elencati nell'articolo 4 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 maggio 2015 sono elencati:
    a) i costi relativi al personale altamente qualificato in possesso di un titolo di dottore di ricerca, ovvero iscritto ad un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera, ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico secondo la classificazione UNESCO Isced, che sia dipendente dell'impresa, impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, con esclusione del personale con mansioni amministrative, contabili e commerciali o in rapporto di collaborazione con l'impresa, compresi gli esercenti arti e professioni, impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo, a condizione che svolga la propria attività presso le strutture della medesima impresa;
    b) le quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio, nei limiti dell'importo risultante dall'applicazione dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro delle finanze 31 dicembre 1988, in relazione alla misura e al periodo di utilizzo per l'attività di ricerca e sviluppo e comunque con un costo unitario non inferiore a 2.000 euro al netto dell'imposta sul valore aggiunto. Sono agevolabili i costi, di competenza del periodo di imposta, relativi ai beni materiali ammortizzabili, diversi dai terreni e dai fabbricati – sia in proprietà che in uso – abitualmente impiegati dall'impresa nelle attività di ricerca e sviluppo in relazione al tempo di effettivo impiego in tali attività;
    c) le spese relative alla ricerca extra muros ossia spese relative a contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca e organismi equiparati, e con altre imprese, comprese le start-up innovative, diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa. Sono escluse le spese relative alle commesse affidate alle società del gruppo ed i costi derivanti da commesse con imprese controllate dalla medesima persona fisica, tenendo conto a tal fine anche di partecipazioni, titoli o diritti posseduti dai familiari dell'imprenditore;
    d) competenze tecniche e privative industriali relative a un'invenzione industriale o biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale, anche acquisite da fonti esterne;
   nella circolare dell'Agenzia delle entrate n. 5/E del 16 marzo 2016, avente come oggetto il credito di imposta per attività di sviluppo previste dall'articolo 3 dei decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, a pagina 13, si precisa che «per la concreta individuazione, nel contesto delle suddette attività di ricerca e sviluppo, delle attività da considerare ammissibili nell'ambito dello specifico settore del tessile e della moda, sono valide, in linea generale, le indicazioni fornite dal MISE con l'allegata circolare n. 46586 del 16 aprile 2009», che considera agevolabili, i costi sostenuti per svolgere le attività dirette alla realizzazione del contenuto innovativo di un campionario o delle collezioni e per la realizzazione dei prototipi, indicando in via orientativa, ma non esaustiva, come costi ammissibili: il lavoro del personale interno (stilisti e tecnici) impiegato nelle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le prestazioni dei professionisti (stilisti, altri consulenti esterni), le materie prime e materiali di consumo connessi alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi le lavorazioni esterne connesse alle attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, le attrezzature tecniche specifiche (computer e software dedicato, macchinari), nella misura e per il periodo in cui sono utilizzati per l'attività di ideazione e realizzazione dei prototipi, i fabbricati ed i terreni esclusivamente per la realizzazione dei laboratori utilizzati, nella misura e per il periodo in cui sono destinati alle fasi di ideazione e realizzazione dei prototipi –:
   quali siano le attività agevolabili e i relativi costi ammissibili al credito d'imposta per le attività di ricerca e sviluppo per il settore tessile e della moda;
   se il Governo intenda adottare iniziative specifiche per il settore del tessile e della moda, in particolare per le attività, citate in premessa, che sono dirette alla realizzazione del campionario, delle collezioni e dei prototipi.
(2-01401) «Benamati, Montroni, Arlotti, Gnecchi, Vico, Capone, Senaldi, Taranto, Amato, Becattini, La Marca, Bargero, Basso, Bini, Camani, Cani, Donati, Ginefra, Impegno, Martella, Peluffo, Tentori, Bazoli, Dell'Aringa, Borghi, Bergonzi, Cova, De Maria, Antezza, Amoddio, Fanucci, Fabbri, Tartaglione».

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Sogin, Società gestione impianti nucleari, è la società dello Stato italiano responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani (decommissioning) e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare. La società svolge anche attività di ricerca, consulenza, assistenza e servizio in campo nucleare, energetico e ambientale, sia in Italia che all'estero;
   Sogin è interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze e opera in base agli indirizzi strategici del Governo italiano. Oltre alle quattro ex centrali nucleari di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta) e all'impianto FN di Bosco Marengo, Sogin gestisce il decommissioning degli ex impianti di ricerca Enea Eurex di Saluggia (Vercelli), Opec e Ipu di Casaccia (Roma) e Itrec di Rotondella (Matera);
   nel settembre 2004 SOGIN diventa gruppo societario con l'acquisizione del 60 per cento delle azioni di Nucleco s.p.a. operatore nazionale qualificato per la raccolta, il trattamento, il condizionamento e lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti e delle sorgenti radioattive provenienti dalle attività di medicina nucleare e di ricerca scientifica e tecnologica, mentre il 40 per cento rimane di proprietà di Enea;
   le oltre 1000 persone del gruppo, tra cui ingegneri nucleari, civili, meccanici, ambientali, fisici, chimici, geologi, esperti di radioprotezione e biologi, rappresentano in Italia il più significativo presidio di competenze professionali nella gestione dei rifiuti radioattivi e nel decommissioning degli impianti nucleari;
   il nostro Paese non è ancora dotato di una struttura centralizzata per la definitiva messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, in contrasto con quanto previsto dalla direttiva 2011/70/Euratom, recepita con il decreto legislativo n. 45 del 2014, ai sensi della quale anche l'Italia deve definire ed attuare una strategia di gestione dei rifiuti radioattivi, dalla fase di generazione a quella di smaltimento. Entro settembre 2015 doveva essere resa pubblica la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito di rifiuti radioattivi, ma da allora non vi è stata ancora notizia della Carta che continua ad essere un documento assolutamente riservato;
   ogni giorno sul territorio italiano ci sono da un lato i rifiuti radioattivi derivanti dallo smantellamento dei vecchi impianti nucleari ormai fermi e, dall'altro, quelli costantemente prodotti dalle attività industriali, di ricerca o di medicina nucleare effettuate. I primi rappresentano complessivamente circa il 60 per cento dei rifiuti che saranno smaltiti nel nuovo deposito mentre i secondi il restante 40 per cento;
   nel deposito italiano saranno smaltiti definitivamente 75.000 metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media attività, ai quali servono 300 anni per perdere la radioattività e decadere. In via provvisoria – finché non sarà individuato e realizzato un deposito geologico europeo – vi saranno anche custoditi 15.000 metri cubi di rifiuti ad alta attività, quelli che per decadere impiegano invece centinaia di migliaia di anni;
   il tema dei rifiuti radioattivi e quello del decommissioning degli impianti nucleari sono connessi, sia perché la gestione dei rifiuti esistenti avviene in gran parte all'interno degli impianti in decommissioning, sia perché dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari deriveranno rifiuti radioattivi in quantità notevoli, superiori a quelle già oggi presenti;
   sin dal loro inizio, le operazioni di decommissioning sono procedute molto lentamente e la previsione della loro conclusione, con il rilascio finale dei siti, ha subìto successivi slittamenti, solo in parte giustificati dalla mancanza del deposito nazionale ove trasferire i rifiuti radioattivi già esistenti all'interno dei singoli impianti e quelli generati con il loro smantellamento;
   ai ritardi e agli slittamenti dei programmi di decommissioning si è aggiunta, da oltre un anno la crisi interna tra il presidente Giuseppe Zollino e l'amministratore delegato Riccardo Casale, sfociata in reciproche denunce politiche e pubbliche. Il conflitto della governance di Sogin ha portato alla revoca dei poteri dell'amministratore delegato da parte del consiglio di amministrazione nell'ottobre 2015;
   il 26 ottobre 2015 Riccardo Casale, amministratore delegato della Sogin spa, ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico con una lettera indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze ed al Ministro dello sviluppo economico mettendo in evidenza una situazione allo sbando all'interno della governance della società, tra inerzia operativa, riduzione dei fondi e ritardi che hanno compromesso l'andamento delle attività e il raggiungimento degli obiettivi previsti;
   la situazione di difficoltà e di crisi nel management della Sogin che è stata resa pubblica sugli organi di stampa ha paralizzato le attività della società e non è stato ancora approvato l'aggiornamento del piano industriale per i prossimi quattro anni. Ogni mese che le attività si fermano, sono opportunità in meno in termini di gare e di processi industriali che impegnano l'industria nazionale, e in termini di attività che riguardano il trattamento dei rifiuti;
   la Sogin avrebbe dovuto presentare entro il 31 ottobre 2015 all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico il piano quadriennale 2016-2019 delle attività di smantellamento e di gestione rifiuti radioattivi oltre al budget 2016. Tali atti sono stati successivamente approvati dall'Autorità stessa e la società non ha rispettato i due termini di proroga concessi del 31 dicembre 2015 e del 31 gennaio 2016. Il 23 febbraio 2016 il budget per l'anno in corso è stato approvato dal consiglio di amministrazione Sogin che aveva previsto la pubblicazione della carta delle aree per il deposito nazionale il 2 marzo 2016 e stimava un valore economico di circa 10,5 milioni di euro;
   oggi l'attività del decommissionamento nucleare nel mondo inizia ad avere una certa importanza, perché in tutta Europa nei Paesi industrializzati sta venendo a maturazione la vita attiva delle centrali che si sono costruite negli anni ‘60 e ‘70 e la Sogin potrebbe partecipare insieme all'industria italiana alla sfida per queste attività di smantellamento che si sta o moltiplicando in tutta Europa –:
   se i Ministri interrogati ritengano necessario intervenire affinché venga fatta chiarezza su quanto esposto in premessa e se non ritengano opportuno assumere iniziative per definire una nuova governance che sia in grado di recuperare i ritardi e di attuare gli obiettivi industriali nei tempi previsti;
   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano intraprendere, in tempi rapidi, per mettere fine alla situazione di paralisi dell'attività e dell'operatività in cui versa la Sogin in un momento in cui l'Italia è impegnata su vari fronti per cercare nuove opportunità per la crescita dell'industria;
   se ritengano opportuno vigilare e assumere iniziative, affinché Sogin possa adempiere alla gestione ordinaria, attuando i programmi prefissati e garantendo la stabilità dell'azienda, valorizzare le competenze professionali e tutelare i lavoratori, considerato il delicato compito che la società svolge per la tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente. (3-02342)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 129 del 6 giugno 2016 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima una parte del decreto-legge n. 95 del 6 luglio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 7 agosto 2012;
   la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 6, del suddetto decreto-legge, nella parte in cui non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun comune nell'anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l'indicazione di un termine per l'adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno;
   con il decreto del Ministero dell'interno del 24 settembre 2013 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 268 del 15 novembre 2013) si provvede alla riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio – determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 – e dei trasferimenti erariali, per un importo complessivo pari a 2.250 milioni di euro, per l'anno 2013;
   per l'anno 2013 il taglio complessivo patito dai comuni sardi ammonta a euro 83.670.906,51;
   la volontà espressa a suo tempo dal Governo pro tempore ha costituito, secondo l'interrogante, un vergognoso e arrogante atto in totale dispregio della Carta Costituzionale e in contraddizione con la stessa;
   il taglio delle risorse ha comportato per gli enti una riduzione dei servizi erogati ai cittadini;
   per i comuni si traduce in paralisi dell'attività amministrativa e penalizzazioni alla cittadinanza intera, in particolare i cittadini più deboli e vulnerabili;
   occorre porre in essere tutte le iniziative utili al recupero delle somme trattenute per l'anno 2013;
   la dinamica del contesto legislativo rivela, dunque, secondo la Corte, come la disposizione censurata operi quale deroga all'ordinario procedimento di riparto dei fondi erariali: una deroga circoscritta al solo anno 2013 per il sopprimendo fondo sperimentale di riequilibrio e funzionale all'avvio del nuovo regime basato sul fondo di solidarietà comunale, già contestualmente istituito con la medesima legge di stabilità per il 2013 abrogativa del primo;
   neppure tali caratteristiche – che inducono a qualificare la deroga disposta dalla norma impugnata come transitoria ed eccezionale – consentono di superare le censure di illegittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente;
   il mancato coinvolgimento della Conferenza Stato-città e autonomie locali nella fase di determinazione delle riduzioni addossate a ciascun Comune, seppur limitatamente all'anno 2013, unitamente alla mancanza di un termine per l'adozione del decreto ministeriale e alla individuazione dei costi intermedi come criterio base per la quantificazione dei tagli finanziari, comporta, infatti, la violazione degli articoli 3, 97 e 119 della Costituzione;
   secondo la Corte Costituzionale niente può giustificare l'esclusione sin dall'inizio di ogni forma di coinvolgimento degli enti interessati, tanto più se il criterio posto alla base del riparto dei sacrifici non è esente da elementi di dubbia razionalità, come è quello delle spese sostenute per i consumi intermedi;
   secondo i giudici dell'Alta Corte non appare destituita di fondamento la considerazione, sviluppata dal giudice rimettente, che nella nozione di «consumi intermedi» possono rientrare non solo le spese di funzionamento dell'apparato amministrativo – ciò che permetterebbe al criterio utilizzato di colpire le inefficienze dell'amministrazione e di innescare virtuosi comportamenti di risparmio –, ma, altresì, le spese sostenute per l'erogazione di servizi ai cittadini. Si tratta, dunque, di un criterio che si presta a far gravare i sacrifici economici in misura maggiore sulle amministrazioni che erogano più servizi, a prescindere dalla loro virtuosità nell'impiego delle risorse finanziarie;
   dati questi elementi di ambiguità – è scritto nella decisione della Corte – si deve ritenere che il ricorso al criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi come parametro per la quantificazione delle riduzioni delle risorse da imputare a ciascun comune possa trovare giustificazione solo se affiancato a procedure idonee a favorire la collaborazione con gli enti coinvolti e a correggerne eventuali effetti irragionevoli. Il criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi non è dunque illegittimo in sé e per sé; la sua illegittimità deriva dall'essere parametro utilizzato in via principale anziché in via sussidiaria, vale a dire solo dopo infruttuosi tentativi di coinvolgimento degli enti interessati attraverso procedure concertate o in ambiti che consentano la realizzazione di altre forme di cooperazione;
   né si deve sottovalutare il fatto che la disposizione impugnata non stabilisce alcun termine per l'adozione del decreto ministeriale che determina il riparto delle risorse e le relative decurtazioni. Un intervento di riduzione dei trasferimenti che avvenisse a uno stadio avanzato dell'esercizio finanziario comprometterebbe un aspetto essenziale dell'autonomia finanziaria degli enti locali, vale a dire la possibilità di elaborare correttamente il bilancio di previsione, attività che richiede la previa e tempestiva conoscenza delle entrate effettivamente a disposizione;
   per tutte queste ragioni, complessivamente considerate, secondo la Corte Costituzionale, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 6, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012;
   è, dunque, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui non prevede, nel procedimento di determinazione delle riduzioni del fondo sperimentale di riequilibrio da applicare a ciascun comune nell'anno 2013, alcuna forma di coinvolgimento degli enti interessati, né l'indicazione di un termine per l'adozione del decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno;
   i tagli richiamati nell'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 sono, dunque, da ritenersi illegittimi e quindi devono essere ripristinati i precedenti trasferimenti con la riassegnazione dei fondi stessi agli enti locali;
   il decreto del Ministero dell'interno, in applicazione dell'articolo 16, comma 6, del decreto-legge n. 95 del 2012, ha disposto i seguenti importi in riduzione:
    Armungia 49.180,67; Assemini 976.294,83; Ballao 63.555,97; Barrali 31.355,82; Burcei 107.939,24; Cagliari 9.885.426,08; Capoterra 881.332,59; Castiadas 134.407,82; Decimomannu 276.384,72; Decimoputzu 124.288,16; Dolianova 281.243,33; Domus De Maria 152.390,15; Donorì 54.603,44; Elmas 489.561,91; Escalaplano 74.514,25; Escolca 52.751,69; Esterzili 22.952,09; Gergei 58.753,63; Gesico 30.495,39; Goni 22.785,60; Guamaggiore 41.335,71; Guasila 66.155,47; Isili 112.855,84; Mandas 84.745,78; Maracalagonis 268.518,79; Monastir 237.791,49; Monserrato 724.690,14; Muravera 337.534,46; Nuragus 32.098,54; Nurallao 42.289,57; Nuraminis 92.783,06; Nurri 85.439,13; Orroli 151.592,40; Ortacesus 64.941,93; Pimentel 49.129,57; Pula 528.326,20; Quartucciu 401.482,40; Quartu Sant'Elena 3.026.651,34; Sadali 49.093,02; Samatzai 57.177,61; San Basilio 42.019,54; San Nicolò Gerrei 45.182,22; San Sperate 223.609,49; Sant'Andrea Frius 65.497,73; San Vito 143.238,77; Sarroch 384.929,72; Selargius 876.192,65; Selegas 73.093,83; Senorbì 206.808,47; Serdiana 63.581,18; Serri 36.993,95; Sestu 653.321,63; Settimo San Pietro 326.597,45; Seulo 36.362,80; Siliqua 137.042,18; Silius 38.419,47; Sinnai 519.367,94; Siurgus Donigala 95.419,40; Soleminis 31.545,27; Suelli 85.013,00; Teulada 255.918,08; Ussana 167.051,22; Uta 343.592,14; Vallermosa 84.768,26; Villanova Tulo 64.322,41; Villaputzu 210.592,61; Villasalto 102.444,09; Villa San Pietro 169.676,09; Villasimius 284.455,05; Villasor 313.571,40; Villaspeciosa 99.269,42;
    Aritzo 95.241,92; Atzara 84.748,66; Austis 37.691,92; Belvi 47.056,01; Birori 36.214,37; Bitti 170.331,17; Bolotana 115.474,22; Borore 81.962,41; Bortigali 40.629,46; Desulo 77.636,19; Dorgali 596.689,20; Dualchi 26.599,50; Fonni 193.711,20; Gadoni 37.414,36; Galtelli 98.848,75; Gavoi 127.472,50; Irgoli 136.297,01; Lei 30.116,37; Loculi 55.052,31; Lodè 82.521,41; Lodine 23.978,10; Lula 56.565,04; Macomer 679.943,24; Mamoiada 94.770,98; Meana Sardo 75.828,64; Noragugume 25.162,71; Nuoro 1.724.786,03; Oliena 220.117,19; Ollolai 50.731,05; Olzai 47.158,34; Onani 34.193,87; Onifai 46.417,13; Oniferi 48.365,51; Orani 112.560,96; Orgosolo 178.710,31; Orosei 399.744,38; Orotelli 65.736,36; Ortueri 48.963,01; Orune 164.699,82; Osidda 32.986,37; Ottana 186.359,86; Ovodda 147.924,17; Posada 164.198,25; Sarule 72.096,86; Silanus 94.044,03; Sindia 84.069,96; Siniscola 622.944,45; Sorgono 45.261,79; Teti 41.684,81; Tiana 56.283,02; Tonara 78.738,72; Torpè 105.256,36;
    Alghero 2.371.500,97; Anela 48.959,57; Ardara 50.887,92; Banari 65.986,99; Benetutti 132.324,38; Bessude 23.338,74; Bonnanaro 57.841,43; Bono 91.306,30; Bonorva 281.781,78; Borutta 34.163,41; Bottidda 49.629,33; Bultei 47.702,64; Bulzi 37.830,73; Burgos 55.124,76; Cargeghe 43.644,10; Castelsardo 381.826,22; Cheremule 32.398,39; Chiaramonti 62.540,03; Codrongianos 65.736,26; Cossoine 49.106,45; Erula 31.372,39; Esporlatu 29.250,07; Florinas 59.002,00; Giave 53.269,87; Illorai 60.289,08; Ittireddu 44.607,58; Ittiri 263.987,59; Laerru 53.183,55; Mara 31.591,11; Martis 34.296,19; Monteleone Rocca Doria 16.564,58; Mores 82.110,99; Muros 45.440,53; Nughedu Di San Nicolò 50.006,14; Nule 57.634,32; Nulvi 87.765,39; Olmedo 179.554,21; Osilo 267.776,36; Ossi 198.166,35; Ozieri 512.297,11; Padria 54.191,91; Pattada 85.154,08; Perfugas 100.001,69; Ploaghe 159.640,65; Porto Torres 877.095,35; Pozzomaggiore 114.025,52; Putifigari 59.496,73; Romana 47.948,43; Santa Maria Coghinas 36.815,97; Sassari 7.189.784,48; Sedini 99.953,15; Semestene 19.654,39; Sennori 290.662,83; Siligo 69.314,42; Sorso 666.390,16; Stintino 136.531,36; Tergu 66.418,28; Thiesi 183.162,15; Tissi 116.673,77; Torralba 76.832,29; Tula 86.058,92; Uri 130.680,03; Usini 122.331,34; Valledoria 245.326,42; Viddalba 86.072,04; Villanova Monteleone 127.585,40;
    Abbasanta 113.653,05; Aidomaggiore 50.529,72; Albagiara 20.438,16; Ales 128.592,52; Allai 35.563,09; Arborea 241.334,70; Ardauli 49.292,56; Assolo 34.901,45; Asuni 13.777,51; Baradili 12.851,83; Baratili San Pietro 61.782,43; Baressa 58.646,28; Bauladu 30.290,14; Bidonì 18.953,23; Bonarcado 72.324,39; Boroneddu 22.990,50; Bosa 488.804,82; Busachi 80.886,11; Cabras 519.128,42; Cuglieri 116.726,33; Curcuris 21.968,98; Flussio 30.614,52; Fordongianus 65.923,29; Genoni 35.226,18; Ghilarza 231.979,55; Gonnoscodina 26.419,20; Gonnosnò 40.454,62; Gonnostramatza 56.542,15; Laconi 105.890,19; Magomadas 32.095,95; Marrubiu 129.159,17; Masullas 49.870,01; Milis 95.801,05; Modolo 23.418,89; Mogorella 25.481,09; Mogoro 165.494,79; Montresta 29.495,19; Morgongiori 72.436,29; Narbolia 101.366,09; Neoneli 37.191,38; Norbello 107.639,21; Nughedu Santa Vittoria 42.726,34; Nurachi 83.093,44; Nureci 29.346,46; Ollastra 66.225,10; Oristano 1.862.170,69; Palmas Arborea 70.759,06; Pau 40.245,88; Paulilatino 166.593,08; Pompu 15.586,18; Riola Sardo 135.633,18; Ruinas 30.312,45; Sagama 19.731,14; Samugheo 124.909,86; San Nicolò D'Arcidano 98.948,66; Santa Giusta 162.517,70; Santu Lussurgiu 146.473,76; San Vero Milis 174.041,77; Scano Di Montiferro 92.079,19; Sedilo 87.380,15; Seneghe 76.482,45; Senis 26.721,12; Sennariolo 21.090,75; Siamaggiore 42.325,97; Siamanna 36.012,74; Siapiccia 17.526,89; Simala 21.488,51; Simaxis 86.638,96; Sini 42.298,69; Siris 16.337,51; Soddi 16.564,58; Solarussa 80.433,37; Sorradile 48.358,84; Suni 73.433,59; Tadasuni 15.428,36; Terralba 374.682,70; Tinnura 27.787,44; Tramatza 56.418,77; Tresnuraghes 49.973,50; Ulà Tirso 31.231,41; Uras 75.409,76; Usellus 36.014,57; Villanova Truschedu 24.962,55; Villa Sant'Antonio 24.712,53; Villaurbana 53.895,89; Villa Verde 25.553,10; Zeddiani 78.381,08; Zerfaliu 49.519,24;
    Buggerru 78.131,73; Calasetta 169.768,14; Carbonia 1.737.768,88; Carloforte 385.206,45; Domusnovas 199.929,90; Fluminimaggiore 147.934,87; Giba 130.168,18; Gonnesa 222.747,45; Iglesias 1.383.833,04; Masainas 31.427,70; Musei 59.127,35; Narcao 187.155,05; Nuxis 70.986,64; Perdaxius 50.139,46; Piscinas 32.008,22; Portoscuso 307.396,86; San Giovanni Suergiu 186.946,44; Santadi 179.242,38; Sant'Anna Arresi 177.368,25; Sant'Antioco 548.995,65; Tratalias 82.821,31; Villamassargia 178.333,62; Villaperuccio 63.360,77;
    Arbus 322.403,15; Barumini 119.578,87; Collinas 46.616,70; Furtei 60.615,56; Genuri 13.052,10; Gesturi 53.883,28; Gonnosfanadiga 290.295,84; Guspini 591.182,58; Las Plassas 36.699,12; Lunamatrona 77.482,45; Pabillonis 103.423,65; Pauli Arbarei 35.557,89; Samassi 179.392,54; San Gavino Monreale 334.216,46; Sanluri 326.557,06; Sardara 136.135,28; Segariu 70.870,52; Serramanna 317.117,21; Serrenti 127.603,69; Setzu 15.252,99; Siddi 39.104,72; Tuili 48.270,44; Turri 24.681,54; Ussaramanna 29.201,24; Villacidro 524.051,81; Villamar 89.077,50; Villanovaforru 66.734,51; Villanovafranca 86.946,81;
    Arzana 109.669,29; Bari Sardo 205.567,28; Baunei 168.854,94; Cardedu 71.356,53; Elini 33.747,67; Gairo 66.442,75; Girasole 86.414,35; Ilbono 94.698,19; Jerzu 94.873,52; Lanusei 286.615,07; Loceri 91.276,38; Lotzorai 79.695,43; Osini 57.531,95; Perdasdefogu 91.026,49; Seui 121.345,45; Talana 70.412,15; Tertenia 156.676,28; Tortolì 672.109,80; Triei 57.875,03; Ulassai 80.631,20; Urzulei 61.958,55; Ussassai 26.201,83; Villagrande Strisaili 225.283,76;
    Aggius 115.717,60; Aglientu 106.272,08; Alà Dei Sardi 92.975,29; Arzachena 874.586,49; Badesi 168.328,14; Berchidda 175.198,30; Bortigiadas 68.687,39; Buddusò 196.481,40; Budoni 377.931,03; Calangianus 179.953,40; Golfo Aranci 192.439,57; La Maddalena 642.717,69; Loiri Porto San Paolo 244.360,08; Luogosanto 70.536,62; Luras 135.828,61; Monti 81.872,60; Olbia 3.277.716,31; Oschiri 252.983,53; Padru 112.275,74; Palau 313.059,00; San Teodoro 379.940,55; Santa Teresa Gallura 371.100,35; Sant'Antonio Di Gallura 73.226,20; Telti 94.320,08; Tempio Pausania 673.585,78; Trinitau D'Agultu e Vignola 181.015,83;
   tali importi in riduzione per complessivi 83.670.906 euro hanno provocato un aggravio rilevante e grave per tutti gli enti locali sardi già gravati da precedenti e rilevanti riduzioni dei trasferimenti mettendo a rischio anche i più elementari servizi pubblici;
   risulta evidente che alla luce della sentenza della Corte Costituzionale richiamata e in virtù dell'incostituzionalità dell'articolo 16 del provvedimento legislativo che ha generato i tagli si rende necessario e obbligatorio restituire le risorse sottratte agli enti locali senza attendere che gli stessi si rivolgano ad altri tribunali per sancire ciò che in maniera inequivocabile ha già sancito la Corte costituzionale –:
   se non si ritenga di dover revocare il decreto richiamato del ministero dell'interno al fine di ripristinare i trasferimenti agli enti locali sardi, anche alla luce delle superiori norme di salvaguardia per le regioni a statuto speciale;
   se non ritenga di dover con immediatezza consentire il riaccredito agli enti locali sardi delle risorse sottratte per effetto di un dispositivo legislativo dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale;
   se non ritenga di assicurare, per ogni provvedimento di natura economica e finanziaria riguardante le regioni a statuto speciale e gli enti locali in esse ricadenti, una stringente applicazione del dettato costituzionale vigente e dello stesso statuto, così come indicato dalla Corte Costituzionale. (5-08988)


   LOREFICE, COLONNESE, MANTERO, DI VITA, GRILLO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni si parla di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e già nel dicembre 2012 la stampa riferiva dell'imminente firma da parte del Ministro Balduzzi, entro l'anno o al massimo entro la fine della legislatura, del decreto che lo avrebbe varato;
   dal dicembre 2014 varie testate giornalistiche riportavano le dichiarazioni del Ministro della salute interrogato secondo cui il tavolo sulla revisione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), a cui sedevano il Ministero della salute, l'Agenas e le regioni, aveva concluso i lavori dopo 9 mesi e che entro il 29 dicembre sarebbe stato emanato il decreto in materia;
   alle esternazioni del Ministro tuttavia non è seguito ad oggi alcuna pubblicazione del decreto;
   mese dopo mese si è arrivati alla scadenza di fine febbraio 2016, indicata dalla legge di stabilità, che ha messo a disposizione 800 milioni di euro l'anno, cifra che pare sia ora al vaglio della Ragioneria generale dello Stato, dove il testo del decreto risulterebbe fermo;
   in sede di interpellanza, svoltasi in aula il 10 giugno 2016 a prima firma del deputato Monchiero, il Sottosegretario di Stato per la salute ha dichiarato che «lo stato dell'iter di approvazione del DPCM di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza è attualmente proprio quello indicato ultimamente dal Ministro della salute» e specifica che «il confronto con il Ministero dell'economia e delle finanze per la valutazione dell'impatto economico del provvedimento è ancora in corso»;
   rassicura inoltre il sottosegretario che «il ministero della salute quotidianamente sta sollecitando e sta incidendo, anche in termini di tempi, nell'approvazione e nella definizione di questa istruttoria finanziaria, che speriamo veramente si concluda nelle prossime settimane»;
   secondo quanto riportato da Il Messaggero del 22 giugno 2016 la Ministra Lorenzin riferisce «Ho chiesto ripetutamente una presa di posizione da parte della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e della Ragioneria Generale dello Stato, ove il provvedimento è da mesi in istruttoria, ma questo tarda ad arrivare»; al contempo, confermando quanto detto dal Sottosegretario De Filippo in sede di interpellanza, il coordinatore degli assessori regionali alla sanità, Antonio Saitta, risponde prontamente alle sollecitazioni del Ministro che «Il tema dello stallo delle nuove cure riguarda il rapporto tra il ministero dell'economia e della salute... Sono stati previsti i nuovi Lea e lo stanziamento per finanziarli, ma per darvi attuazione occorre la bolli natura del ministero dell'economia, che ancora manca. È una questione che riguarda il rapporto tra i due ministeri»;
   da un comunicato del 22 giugno 2016 inoltre pare emergere l'esistenza di una nuova versione della bozza di decreto secondo la stessa dichiarazione di Stefano Bonaccini, presidente della conferenza delle regioni: «La seconda questione riguarda i Livelli Essenziali di Assistenza e il nomenclatore protesico, da ieri, nella ultima versione inviata dal ministero della Salute, all'attenzione degli assessori delle Regioni»;
   alla luce delle ultime dichiarazioni sia del Ministro interrogato che del presidente della conferenza delle regioni non è ben chiaro se il varo del decreto sia rallentato dal mancato parere delle regioni che tardano ad esprimere o dal rapporto tra i ministeri di competenza che dovrebbero meglio e celermente coordinarsi per dare finalmente una risposta ai cittadini italiani che aspettano questo aggiornamento da ben 15 anni, dal lontano 2001 –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza intendano chiarire quali siano le motivazioni che stanno determinando un rallentamento dell’iter per l'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza;
   se corrisponda al vero che esista una nuova versione del decreto concernente i livelli essenziali di assistenza e il nomenclatore protesico inviata dalla Ministra della salute alle regioni e se si intenda renderla nota;
   se i Ministri interrogati intendano riferire con certezza entro quanto tempo verrà concluso l’iter di approvazione del decreto, in considerazione del fatto che l'espressione «nelle prossime settimane» indica un arco temporale indeterminato. (5-08989)

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA, D'UVA, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Gazzetta Del Sud in data 23 giugno 2016 riporta la notizia dell'imminente chiusura dell'Agenzia delle entrate di Patti, in provincia di Messina;
   il bacino di utenti coinvolge ben 13 comuni e la mole di lavoro conta circa 50.000 dichiarazioni dei redditi ed oltre 4.000 partite Iva;
   nell'ottica della cosiddetta spending review, ancora una volta, a danno totale dei poveri cittadini/utenti, l'Agenzia delle entrate di Patti potrebbe avere i giorni contati, ipotizzandosi una probabile chiusura entro la fine di questa estate;
   «A quanto pare, mesi di interlocuzioni e tavoli di confronto non hanno potuto nulla contro la politica perseguita dai massimi vertici dell'Agenzia delle Entrate. E dopo la fumata nera delle due opzioni di trasferimento presso la vecchia sede del consorzio Tindari-Nebrodi e all'interno dei locali di proprietà dell'ENEL non rimane altro che incrociare le dita e auspicare un ripensamenti dell'ultimo momento». Questo è quanto si può apprendere dalla notizia della Gazzetta Del Sud;
   è condivisibile la posizione del sindaco di Patti, il quale annuncia che continuerà a provare a salvare il servizio offerto al bacino di utenti dei 13 comuni coinvolti prevedendo incontri con il direttore regionale per avere rassicurazioni su un iter già iniziato e, cosa più importante, offrire uno stabile a costo quasi-zero, comprensivo di tutte le utenze eccetto quelle telefoniche. Un impegno dal punto di vista economico che gli altri sindaci del territorio sarebbero disposti ad assumersi;
   è da aggiungere che recentemente, a inizio gennaio 2016, è stata chiusa in via definitiva anche l'Agenzia delle entrate di Milazzo, creando non pochi disagi al bacino di utenti dirottati su Barcellona Pozzo di Gotto con un conseguente aumento dei costi a carico dei cittadini/utenti che devono raggiungere una sede territoriale più distante a spese loro e, elemento abbastanza rilevante, utilizzando anche molto più tempo per espletare le varie operazioni, sottraendo questo tempo alla produttività e quindi accollandosi un ulteriore costo aggiuntivo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda, nell'ambito delle sue competenze, valutare tutte le soluzioni possibili al fine di garantire un degno servizio all'enorme bacino di utenza coinvolto, considerando il fatto, per nulla secondario, che il servizio offerto è finalizzato al pagamento di imposte e tributi a favore dello Stato e che quest'ultimo, lo Stato, dovrebbe almeno agevolare l'intera procedura e non creare quelli che gli interroganti ritengono degli ostacoli, soprattutto se inutili e se facilmente eliminabili con pochissimo sforzo. (4-13584)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO, ROMANINI, AMATO, PRINA e OLIVERIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la struttura che ospita la casa circondariale Giuseppe Montalto di Alba, com’è noto, dal mese di gennaio 2016, è stata chiusa in seguito ad un'epidemia di legionellosi che ha causato il ricovero di alcune persone detenute;
   in quel frangente, l'amministrazione penitenziaria ha agito tempestivamente per consentire un intervento risolutore: nel giro di pochi giorni oltre 120 detenuti della struttura sono stati trasferiti in altri istituti, sulla base della territorialità della pena;
   il sindaco di Alba, con il preciso obiettivo di tutelare la salute pubblica, considerato che a quanto pare il carcere non è attrezzato per produrre uno shock termico nelle tubature dell'impianto idrico, aveva disposto «la sospensione immediata dell'erogazione di acqua calda sanitaria e la bonifica dell'impianto idrico con prodotti disinfettanti o trattamento termico in attesa della modifica radicale»;
   questi mesi di chiusura dell'istituto però, stanno purtroppo rischiando di generare l'avvio di un processo di erosione del capitale sociale e umano che la comunità albese aveva saputo costruire intorno al «suo» carcere: i volontari attivi all'interno dell'istituto albese in azioni a favore dei detenuti hanno dovuto sospendere le attività, benché abbiano continuato a mantenere vivi i contatti con molti di loro, anche tramite visita presso gli attuali luoghi di reclusione, ma risulta evidente che il collante tra città e casa circondariale da loro rappresentato, è sottoposto ad un inevitabile processo di indebolimento;
   dato altrettanto critico, è venuta meno al momento la disponibilità espressa da soggetti privati e del terzo settore di investire in eventuali percorsi lavorativi e di formazione: le stesse coltivazioni agricole, tra le quali un vigneto che produce il rosso da tavola «Vale la Pena», rischiano di essere compromesse, per quanto siano attive le cure di un piccolo gruppo di detenuti applicati ad Alba dal carcere di Fossano ai sensi dell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario;
   grazie all'ausilio della rete dei garanti piemontesi, è inoltre emerso che ben poche delle persone detenute ad Alba sta proseguendo i percorsi formativi, scolastici e lavorativi di norma seguiti, benché, in una lettera del 7 gennaio 2016 sottoscritta dal garante comunale dei diritti dei detenuti di Alba, insieme al garante regionale, fosse stata espressamente richiesta una particolare tutela per quei percorsi, in quanto parte fondante del percorso di rieducazione volto al reinserimento sociale dei detenuti;
   allo stesso modo, parrebbe caduto nel vuoto l'auspicio formulato a suo tempo di non sottovalutare eventuali profili di responsabilità nella vicenda, per altro non nuova per il carcere albese, che ha messo a repentaglio in modo grave la salute di detenuti e lavoratori;
   si aggiunga a ciò l'inevitabile deterioramento che rischia di subire una struttura ormai da tempo «disabitata»;
   si unisce, inoltre, la difficile situazione e il disagio vissuto da buona parte del personale in riferimento alle incertezze sul loro luogo di lavoro, sommato alle voci preoccupanti che giungono da ambienti sindacali della polizia penitenziaria;
   a febbraio 2016 in occasione del question time in Assemblea il Governo ha rassicurato gli interroganti specificando: «è stato demandato alle competenti articolazioni ministeriali lo studio e l'elaborazione di progetti di ristrutturazione e adeguamento e sono già state formulate soluzioni di intervento. In particolare, considerata la priorità delle opere di sanificazione, l'amministrazione penitenziaria ha inserito i relativi interventi nel programma triennale 2016-2018»; e inoltre: «Nella consapevolezza della necessità di garantire nel modo più opportuno l'utilizzazione delle risorse necessarie, l'amministrazione ha avviato valutazioni tecniche di fattibilità per la predisposizione del progetto preliminare e l'individuazione delle modalità più utili a garantire la maggiore celerità nelle successive fasi di progettazione esecutiva, appalto, esecuzione e collaudo dei lavori affinché il carcere di Alba possa essere restituito in condizioni di assoluta sicurezza all'uso penitenziario il più presto possibile»;
   nel mese di marzo 2016 si è parlato di uno stanziamento per i lavori da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di circa 2 milioni di euro, ma, nonostante le numerose interlocuzioni verbali intraprese a vari livelli, non si avrebbero informazioni concrete e corrette sulla reale entità dell'investimento e soprattutto, sulle modalità e sui tempi dell'intervento;
   ad oggi il protrarsi della situazione insieme alla mancanza di informazioni dettagliate e comunicazioni puntuali, e l'assenza di una prospettiva, né ufficiale né informale, sullo sviluppo del progetto accennato, nonché sulle valutazioni delle risorse e sui tempi, hanno comprensibilmente generato apprensione in tutti i soggetti coinvolti, oltreché innescato un processo di erosione del percorso comunitario costruito negli anni dalla comunità albese intorno al proprio carcere –:
   se il Ministro interrogato sia conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno valutare iniziative volte a chiarire nel dettaglio la vicenda, così da poter dare, possibilmente in modo tempestivo, risposte concrete ai soggetti coinvolti, dai detenuti, agli agenti, agli educatori e ai volontari con specifiche informazioni su quale sia il progetto citato, sulle risorse da stanziare, sulle modalità di attuazione, sulle tempistiche di realizzazione e così via, in un dettaglio che permetta di inquadrare una situazione che risulta preoccupante, in quanto ad oggi priva di chiarezza;
   se non ritenga altresì opportuno agire con sollecitudine perché questo progetto si avvii, così che la città di Alba possa vedere riaperto e riattivato in tempi brevi un carcere moderno e sicuro per tutti gli operatori, riannodando così il filo di attività e percorsi messi in atto negli anni, che tanto di buono hanno generato sul territorio e per la comunità locale. (5-08984)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso
   da notizia di stampa (Repubblica del 20 giugno 2016) la regione Toscana ha manifestato l'intenzione di aprire una struttura (Rems, residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) per malati psichiatrici ritenuti socialmente pericolosi a Empoli, al posto della locale casa circondariale femminile, conosciuta come «il Pozzale»;
   se richiamano la legge n. 9 del 2012, la legge n. 57 del 2013, la legge n. 81 del 2014, con le quali si è stabilito la capienza massima di ogni Rems in 20 posti letto, le delibere della regione Toscana n. 231 del 2015, n. 380 del 2015, n. 565 del 2015 e n. 666 del 2015;
   già nell'aprile 2015 la regione Toscana tentò di trasformare la casa circondariale «Mario Gozzini» di Firenze in Rems sollevando le perplessità e le proteste di numerosi organizzazioni e degli stessi detenuti del Gozzini;
   la regione Toscana è una delle sei regioni commissariate dal Governo ai sensi della legge n. 81 del 2014, in quanto non in regola sulla dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari e la conseguente attivazione delle Rems, gestite dalla sanità territoriale;
   il Governo ha nominato nel febbraio 2015 Franco Corleone, garante toscano per i diritti dei detenuti, commissario unico nelle sei regioni (Calabria, Piemonte, Abruzzo, Veneto, Toscana e Puglia) ancora non in regola per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   dal 31 marzo 2015 e cioè dall'entrata in vigore della legge n. 81 del 2014 per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, sono trascorsi 15 mesi e in Toscana è ancora attivo l'Ospedale psichiatrico giudiziario sito a Montelupo Fiorentino, in provincia di Firenze (al 1o maggio risultano internati diciotto toscani, due umbri e uno senza fissa dimora);
   si segnala il ricorso di 47 internati dell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo alla magistratura di sorveglianza di Firenze del luglio 2015; «Una situazione di fatto – spiega il tribunale di sorveglianza – a dir poco anomala e certamente illegittima che viola l'articolo 13 della costituzione» che sancisce il principio per cui la libertà individuale può essere ristretta solo nei casi e nei modi previsti dalla legge;
   la regione Toscana ha attivato, in forma provvisoria una rems a Volterra per 22/24 posti letto presso il Padiglione Morel dell'ospedale di Volterra, e dovranno essere svolti i lavori per la costruzione della rems definitiva, da 40 posti letto, sull'area attualmente occupata dal Padiglione Livi dello stesso ospedale volterrano che è attualmente inagibile e dovrà essere demolito (delibera della regione Toscana n. 666 del 2015);
   la legge n. 81 del 2014 configura le rems come strutture sanitarie con finalità di cura, riabilitazione e reinserimento sociale con lo scopo di aiutare il paziente nel recupero della capacità relazionali e dei rapporti affettivi con la propria famiglia e l'ambiente sociale, nonché con i servizi psichiatrici che continueranno a prendersi cura di lui;
   si valuta come assolutamente non idonea alle finalità sopra descritte, l'attivazione di una struttura sanitaria per malati psichici socialmente pericolosi in un ex carcere;
   si richiamano i pareri negativi espressi dall'unione delle camere penali, da Psichiatria democratica e da altre organizzazioni, tra cui Radicali fiorentini, allor quando la regione Toscana, nell'aprile 2015, tentò senza riuscirvi di attivare la rems nella casa circondariale «Mario Gozzini» di Firenze;
   si valuta come critica l'interpretazione della legge n. 81 del 2014 che riguarda l'attuale trasferimento in rems da parte della magistratura e che sta producendo il fenomeno inatteso delle «liste di attesa»; è essenziale chiarire a questo proposito che gli ospedali psichiatrici giudiziari non sono stati sostituiti dalle rems, ma dall'insieme dei servizi sociali e sanitari della comunità e che dunque la magistratura non dovrebbe rivolgersi soltanto alla rems quando ritiene opportuno comminare una misura di sicurezza, ma ai servizi sociali territoriali (dei quali fanno parte anche i dipartimenti di salute mentale dipendenze patologiche che hanno tra le strutture specialistiche anche le rems);
   il nuovo sistema previsto in luogo degli ospedali psichiatrici giudiziari dovrebbero soddisfare alcune caratteristiche di base, come privilegiare l'aspetto medico e riservare le misure di sicurezza detentive a quei casi residuali che non sia possibile prendere in carico altrimenti, trattando gli altri in strutture territoriali dei dipartimenti di salute mentale e in strutture intermedie tra queste e le rems –:
   se la notizia riportata dalla stampa locale sull'ipotesi di un rems presso il carcere femminile di Empoli corrisponda al vero;
   in caso di risposta affermativa, se i Ministeri interrogati condividano l'ipotesi oggetto della presente interrogazione prospettata dalla regione Toscana, regione commissariata ai sensi della legge n. 81 del 2014, per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   se sia prevista, in tempi brevi e certi, la dismissione degli ospedali psichiatrici giudiziari di Montelupo Fiorentino.
(4-13585)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
   la strada statale 47 della Valsugana (SS 47), che diviene strada provinciale nel tratto da Padova a Cittadella (SP 47), è un'arteria stradale statale e provinciale italiana, il cui percorso si sviluppa tra le regioni Veneto e Trentino-Alto Adige, avendo origine a Padova e terminando a Trento, dopo avere percorso parte della pianura padana e attraversato la Valsugana;
   il tracciato Veneto lungo il quale si sviluppa l'infrastruttura è il seguente: lascia la città di Padova dirigendosi verso nord-ovest. All'estrema periferia nord-occidentale del Capoluogo, si innesta con la tangenziale di Limena. Il tratto iniziale è a quattro corsie, poi la strada si riduce ad una normale arteria extraurbana, con sede ampia, a carreggiata singola e alcuni (brevi) attraversamenti urbani;
   da Cittadella, ove assurge al rango di strada statale, si dirige verso nord, in direzione Bassano del Grappa (Vi), la cui bretella urbana è dotata di una tangenziale, a doppia carreggiata per senso di marcia. Dopo tale centro iniziano i primi rilievi alpini, e la SS 47 percorre la valle del fiume Brenta, ove si alternano tratti a quattro corsie con più lunghi tratti a carreggiata unica. Risultano frequenti attraversamenti di piccoli centri abitati, ove la velocità si riduce improvvisamente e la pericolosità di incidenti aumenta drasticamente, sino a Valsatagna. Successivamente, si sviluppa un lungo tratto di strada a carreggiate separate e quattro corsie, simile come caratteristiche ad una superstrada, sostanzialmente privo di incroci a raso;
   poco oltre Primolano (Vi), la strada lascia il territorio Veneto ed entra nella regione autonoma del Trentino Alto Adige: il primo centro di rilievo attraversato dall'arteria è Grigno (Tn), dove termina il troncone di superstrada (lungo 25 chilometri) e l'infrastruttura ritorna a carreggiata unica. Infine, l'ultimo tratto che inizia a Pergine Valsugana (Tn) e si dirige verso Trento è nuovamente in forma di superstrada a doppia carreggiata, senza intersezioni a raso. Al termine del percorso, la SS 47 si innesta nella strada statale 12 del Brennero e dell'Abetone a nord del capoluogo alpino;
   la summenzionata arteria, nel tratto ricompreso fra le località trentine, è gestita dalla provincia autonoma di Trento sulla base di quanto disposto dal decreto legislativo del 2 settembre 1997, n. 320, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, e delega alle province autonome di Trento e Bolzano di funzioni amministrative dello Stato in materia di viabilità»; nel tratto da Padova a Cittadella è sotto la giurisdizione della provincia di Padova, mentre nel restante – tra Cittadella e il confine col Trentino – è sotto il controllo dell'Anas;
   da notizie in possesso del primo firmatario del presente atto e da verifiche esperite dallo stesso, il tratto veneto gestito da Anas versa in uno stato di totale incuria ed abbandono al punto che, quest'ultima è stata costretta, nel mese di febbraio del 2015, ad emettere un'ordinanza volta alla riduzione della velocità per garantire la sicurezza nella percorribilità della medesima, nel tratto compreso tra Carpané e Primolano, abbassando il limite di 90 chilometri orari a 70 chilometri orari sostenendo che il piano viabile in entrambi i sensi di marcia presentasse in tratti saltuari diffusi ammaloramenti, anche con distacco di parti di materiale bituminoso;
   a tal proposito, sono oramai parecchi anni che gli automobilisti pendolari, i residenti e i turisti, che attraversano per svariate ragioni l'infrastruttura, ne lamentano il dissesto (rimanendo però inascoltati), a causa delle numerose buche pericolose e dei pezzi di bitume che si staccano e, volando, provocano danni alle carrozzerie e ai cristalli della auto ma Anas, oltre all'emanazione di predetta ordinanza, null'altro avrebbe fatto;
   negli ultimi tempi, il malcontento è aumentato in considerazione del fatto che, al contrario di quanto accadde dal lato vicentino in questione, nel limitrofo territorio trentino la manutenzione viene ottemperata regolarmente;
   inoltre, nel tratto veneto la manutenzione straordinaria viene svolta con gravi ritardi rispetto alle richieste d'intervento. L'asfalto risulta deteriorato in molte zone, le buche raggiungono dimensioni pericolose e il falcio dell'erba viene eseguito soltanto quando questa raggiunge il metro d'altezza. Il viadotto di San Marino riporta molti giunti deteriorati e la loro manutenzione non avviene da anni. L'installazione di barriere new jersey al centro della carreggiata volte ad evitare collisioni fra gli automezzi, più volte richieste e promesse, non è mai avvenuta. Inoltre, la rumorosità in centro a Carpané ha raggiunto dei limiti intollerabili e, sebbene la situazione sia chiara e conosciuta all'ente gestore dell'infrastruttura, gli interventi non sono mai stati posti in essere;
   infine, sono state inoltrate numerose segnalazioni per la rimozione della discariche abusive e l'incivile abbandono dei rifiuti lungo la succitata arteria stradale;
   da ulteriori notizie in possesso degli interpellanti, la regione del Veneto, al fine di aumentare la capacità dell'arteria e di ridurre i tempi di collegamento con il Trentino e quindi col nord Europa avrebbe individuato, in comitato paritetico con la provincia autonoma di Trento, uno scenario di comune interesse riguardante i collegamenti trasportistici tra Veneto e Trentino, così articolato: un corridoio di collegamento viario tra la Valle dell'Astico, Valsugana e Valle dell'Adige; un'ottimizzazione dei collegamenti tra la SS 47 della Valsugana e la SS 12 del Brennero in provincia di Trento ed un efficientamento dei collegamenti che percorrono la Valsugana in territorio veneto, che prevedano interventi sulla SS 47 per risolvere le criticità presenti e sovra rappresentate;
   a giudizio degli interpellanti, la situazione in cui oggi versa la SS 47 della Valsugana è grave, indecente e pericolosa e rappresenta, da un lato un pessimo biglietto da visita per i turisti che dal Nord Europa la percorrono per raggiungere le località balneari e cittadine venete e viceversa per quelli che vogliono recarsi nei territori del Feltrino e della valle del Primiero, e dall'altro un vero e proprio rischio costante per la sicurezza della viabilità –:
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere data l'urgenza della circostanza, in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per porre rimedio all'annosa questione che vede coinvolta l'arteria stradale SS 47 Valsugana, nel tratto di competenza dell'Anas ricompreso fra Cittadella (Pd) e il confine nord con la regione Trentino Alto Adige;
   se non si ritenga necessario utilizzare i «fondi Odi» – per lo sviluppo dei comuni di confine – allo scopo di mettere in sicurezza l'infrastruttura, in attesa di ulteriori sviluppi del progetto di potenziamento, vista l'interconnessione esistente con gli interessi dei comuni confinanti bellunesi, vicentini e dell'intera valle del Primiero;
   se si intenda assumere urgenti iniziative, alternative all'utilizzo dei «Fondi Odi», per garantire la massima fruibilità dell'arteria infrastrutturale SS 47 della Valsugana ai residenti, pendolari e turisti in essa circolanti.
(2-01402) «Secco, Brunetta, Milanato».

Interrogazione a risposta orale:


   AIELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con atto n. 117 del 27 ottobre 2006, l'autorità portuale di Livorno ha rinnovato la concessione in uso di aree, banchine, piazzali e fabbricati insistenti nel porto di Livorno alla Porto di Livorno 2000 srl, allo scopo di gestire un terminal dedicato ai passeggeri;
   la delibera del comitato portuale n. 45 del 17 dicembre 2004 ha riconosciuto alla società concessionaria la possibilità di consentire l'utilizzazione degli accosti alle navi commerciali impiegata per il traffico cabotiero e lo « short sea shipping», compatibilmente con le esigenze delle navi passeggeri, ai fini dell'ottimizzazione l'uso delle banchine, limitatamente al periodo di minor affluenza delle navi passeggeri, dal 1o ottobre al 31 maggio di ogni anno;
   la Porto di Livorno 2000 srl ha stipulato un accordo con la Grimaldi Group per accogliere nel porto passeggeri, a far dato dal 10 marzo 2016, una linea mista commerciale e passeggeri sulla tratta Livorno/Olbia;
   nell'accordo siglato, si stabiliva che, con l'avvio della stagione turistica le navi avrebbero trasportato unicamente camion guida e veicoli al seguito dei passeggeri;
   nonostante questo, in questi giorni la Grimaldi Group sta gestendo una media tra i 40 e i 50 semirimorchi di sbarco ed imbarco su ciascuna nave;
   la Porto di Livorno srl e l'autorità portuale di Livorno hanno più volte chiesto alla Grimaldi Group di bloccare almeno fino a ottobre il traffico semirimorchi nel porto passeggeri;
   nonostante la grave situazione e per venire incontro alle esigenze della compagnia, su determinazione dell'autorità portuale, la Porto di Livorno srl ha comunque concesso fino al giovedì 23 giugno 2016 il traffico a un numero limitato di semirimorchi stabilendo alcuni limiti;
   il traffico di semirimorchi, soprattutto nell'alta stagione, è diventato un fattore di rischio per i passeggeri, oltre che essere superiore a quanto indicato nella concessione del porto –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere, per quanto di competenza, per risolvere la situazione dello scalo passeggeri del porto di Livorno ed evitare che sia ulteriormente consentito il traffico di semirimorchi. (3-02341)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SECCO, BRUNETTA e MILANATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la regione Veneto da anni è sul podio quale prima regione turistica d'Italia. Un particolare apprezzamento è riservato alle città d'arte che si dimostrano forti poli attrattori e accolgono poco più della metà dei turisti che arrivano in regione. Il numero di arrivi e presenze nel corso degli anni si è dimostrato in costante crescita: per l'anno 2014 si sono registrati 8,6 milioni di arrivi e 18,8 milioni di presenze;
   non tutte le città d'arte, però, godono di collegamenti ferroviari diretti con la Capitale d'Italia e con le più importanti città d'arte del Centro-nord quali Bologna e Firenze;
   dal 2004 ad oggi, la rete ferroviaria italiana ha subito numerose trasformazioni quali il raddoppio della linea fra Verona e Bologna a partire dal 1o ottobre 2009, l'affiancamento alla linea direttissima fra Bologna-Prato-Firenze della linea alta velocità/alta capacità diretta Bologna-Firenze a decorrere dal 4 dicembre del medesimo anno, nonché l'acquisto di nuovi convogli ferroviari all'avanguardia in grado di ricoprire le medesime distanze in tempi decisamente inferiori;
   Vicenza, come si può evincere da linee programmatiche (2013-2018) dell'attuale amministrazione, grazie alla valorizzazione del patrimonio artistico ed in particolare grazie a 3 grandi eventi organizzati di recente nella restaurata basilica Palladiana, dichiarata monumento nazionale con la legge 14 aprile 2014, n. 64, è entrata a far parte dei circuiti turistici nazionali ed internazionali, come non era mai accaduto in passato;
   nei prossimi anni l'obiettivo è quello di continuare a promuovere Vicenza come capitale dell'arte, della cultura e della bellezza, attraverso l'organizzazione di grandi eventi in basilica, nei vari monumenti storico-architettonici nonché nel nuovo padiglione della fiera, con lo scopo di mettere in luce le eccellenze locali e incentivare lo stesso circuito virtuoso, capace di attirare investimenti e spettatori da fuori città;
   il quotidiano inglese The Sun, in data 2 aprile 2016 ha pubblicato un articolo dal titolo « Venice is very nice but check out Vicenza», a cura di Matthew Hampton, responsabile del settore viaggi del giornale britannico, a dimostrazione del fatto che la città palladiana gode di fama internazionale ed è apprezzata a tutti i livelli;
   per parte sua il sindaco ha ribadito di aver parlato ai più alti livelli istituzionali non solo delle bellezze architettoniche di Vicenza, facendo presente i tanti investimenti in cultura e turismo realizzati negli ultimi anni per promuovere Vicenza come città d'arte, ma anche delle infrastrutture necessarie per la città e il territorio provinciale e regionale, per cui c’è bisogno della determinazione del Governo per poter procedere senza rallentamenti;
   in data 29 giugno 2015, il Governatore del Veneto, dottor Luca Zaia, durante l'esposizione delle linee programmatiche per il quinquennio 2015-2020 ha posto come caposaldo l'obiettivo di consolidare la leadership nazionale del turismo Veneto, considerata la più grande industria della regione;
   a giudizio dell'interrogante, alla luce delle dichiarazioni, del sindaco Variati e del Governatore Zaia, è di vitale importanza che il Ministro interrogato si attivi presso Trenitalia al fine di prevedere le predisposizioni di un collegamento diretto alta velocità tra Vicenza e Roma e viceversa, magari instradando sino a Vicenza un collegamento già esistente tra Roma e Verona, che attualmente termina la propria corsa nella città Scaligera –:
   se intenda attivarsi presso Trenitalia affinché venga previsto l'instradamento di un convoglio alta velocità diretto a Verona Porta Nuova e ivi terminante la sua corsa, sino alla città di Vicenza, e in caso contrario, per quali ragioni non si intenda prevederlo;
   in virtù di quali parametri economici si possa parlare di regime di fallimento di mercato per il collegamento Roma-Vicenza, visto che, alla luce dei collegamenti già esistenti con la città di Verona, si prevedrebbe il solo prolungamento della tratta Verona Porta Nuova-Vicenza distanti tra loro meno di 50 chilometri per una durata di soli 25 minuti;
   se e quali iniziative di competenza intenda avviare affinché, nel caso Trenitalia non intenda attivare un collegamento «Frecciargento» via Verona, sia attivato un collegamento tra Vicenza, Rovigo o Ferrara, Bologna, Firenze, Roma e viceversa, ad esempio prevedendo la deviazione di uno dei 18 collegamenti già esistenti con Padova e Venezia;
   se sia ancora al vaglio di Trenitalia l'instradamento verso Vicenza, Rovigo e Ferrara, della coppia di Intercity Notte 763-764 (Roma-Bolzano) e, in caso affermativo, entro quali tempi saranno operativi;
   se non ritenga, nel caso in cui Trenitalia non manifesti il proprio interesse per il prolungamento o l'instradamento di un convoglio verso la città Palladiana, di valutare se sussistano i presupposti per avviare contatti con il concorrente privato Nuovo trasporto viaggiatori affinché Vicenza non rimanga per l'ennesima volta sprovvista di un collegamento ferroviario da tempo necessario. (5-08986)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 70 del 17 aprile 2014 «disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1371/2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario», entrato in vigore il 21 maggio 2014, riporta che: «le imprese ferroviarie consentono ai passeggeri di portare sul treno, se del caso dietro pagamento, le biciclette se sorto facili da maneggiare, se ciò non pregiudica il servizio ferroviario specifico e se il materiale rotabile lo consente (articolo 5 Reg. CE 1371/2007). In caso di inosservanza la sanzione sarà da 200 euro a 1.000 euro (...)»;
   la Federazione italiana amici della bicicletta (FIAB) dal 1987 è impegnata a migliorare in Italia il servizio di trasporto della bicicletta in treno;
   il sito Fiab-onlus.it, nella sezione attività, illustra come: «in molti stati Europei il trasporto della bicicletta insieme al viaggiatore è possibile, su gran parte dei treni in vagoni appositi, i vantaggi consentiti dall'integrazione fra questi due mezzi di trasporto sono essenzialmente tre: 1) creare un interscambio ideale negli spostamenti quotidiani; 2) favorire il cicloturismo a breve e media distanza; 3) favorire il cicloturismo a lunga distanza. Il primo punto si riferisce soprattutto alla possibilità di alternare i percorsi da compiere in bicicletta con i trasferimenti in treno. In sostanza una sorta di uso quotidiano anche entro il perimetro urbano; ad esempio il percorso casa-stazione in alternativa all'automobile. Il secondo punto prevede (...) le escursioni di un giorno, visto che appena si scende dal treno è possibile pedalare subito in zone interessanti. Il terzo obiettivo riguarda la possibilità di trasportare le bici lontano dal luogo di partenza, direttamente nelle località dalle quali si intende iniziare il proprio viaggio cicloturistico;
   «la FIAB ha iniziato nel 1987 la prima campagna a favore del binomio “bici+treno”, facendo stampare e firmare 8.000 cartoline indirizzate al Ministero dei trasporti. Quindi nel 1991 furono spedite 116.000 cartoline in un'altra campagna. In quegli anni si ottenne l'istituzionalizzazione del servizio e importanti miglioramenti»;
   «negli ultimi anni però, pur avendo migliorato il materiale rotabile, scarsa attenzione è stata dedicata da Trenitalia all'intermodalità. La regionalizzazione diffusa dei servizi, che avrebbe dovuto favorire l'utilizzo del treno come mezzo di trasporto alternativo all'auto, non ha portato grandi benefici per la maggior parte degli utenti del servizio treno+bici per la mancanza di lungimiranza di molte Amministrazioni locali che si ostinano a non credere che tale servizio potrebbe dare slancio all'economia dei territori;
   la FIAB è costantemente impegnata nel richiedere il potenziamento del servizio sui treni regionali e l'estensione anche ai treni a lunga percorrenza per i quali ancora è previsto lo smontaggio delle bici e la loro sistemazione in apposite sacche che ne limitano l'utilizzo da parte dei cicloturisti»;
   il 26 maggio 2016, l'articolo de Il Giornale di Vicenza dal titolo «In treno solo due bici. Decine di turisti a terra e scoppia la protesta» racconta di «Decine di ciclisti stranieri lasciati a piedi da Trenitalia, comprensibilmente infuriati per un disservizio che per loro risulta assolutamente incomprensibile». La giornalista, Francesca Cavedagna, nella nota stampa riporta la vicenda spiegando come: «a Bassano del Grappa, sulla ciclabile della Valbrenta passano ogni anno ben 300 mila cicloturisti ma i treni di andata o ritorno da Trento possono caricare al massimo due bici, tranne nei mesi di luglio e agosto quando ne ospitano invece 32 (...)». Dall'articolo emerge come i cicloturisti tedeschi non si siano lasciati intimorire e, forti di aver pagato il biglietto, siano saliti ugualmente sul treno;
   l'articolo, inoltre, riporta la dichiarazione di Roberto Astuni, Presidente degli albergatori bassanesi, che afferma: «È un problema che va risolto in fretta perché le perdite sul fronte economico e promozionale per il territorio sono immense. È la politica che deve intervenire. Noi siamo pronti da un pezzo e lo stiamo dimostrando. Non potenziare e mettere in sinergia tutti gli enti che possono sostenere il cicloturismo sarebbe un autogol clamoroso – spiega Astuni Basti pensare che nel 2010 i cicloturisti a Bassano erano 30 mila e ora siamo a quota 300 mila. Un turista tedesco spende in media 500 euro alla settimana in prodotti enogastronomici e di artigianato. Non è pensabile che il servizio ferroviario sia così carente. Bisogna fare qualcosa subito e la politica deve darci una mano, altrimenti perderemo un'occasione importantissima per il rilancio anche economico del territorio. L'esperienza vissuta dai cicloturisti rimasti bloccati a Bassano» conclude Astuni «è una cartolina pericolosissima. Il messaggio che passerà ai turisti stranieri è che possono venire a Bassano in bici solo nei mesi estivi e il danno che questo potrebbe provocare è incalcolabile e, ovviamente, inaccettabile»;
   in data 1o settembre 2 15 il sito online sportindustry.com spiega che: «Il cicloturismo, in Europa, ha un indotto economico di 44 miliardi i euro, con oltre 2 milioni di viaggi e 20 milioni di pernottamenti. In Italia il valore potenziale del cicloturismo è di circa 3,2 miliardi di euro.» Il CISET – Centro internazionale di studi sull'economia turistica, in un articolo del 12 giugno 2016 in relazione al settore menzionato, riporta come tra le mete europee scelte dai visitatori l'Italia occupi l'ottava posizione grazie alla forte attrattività di Trentino Alto Adige, del Lungo Po Ferrarese, del Lago di Garda e della Toscana;
   il Sole 24 Ore, in un articolo del 31 luglio 2015, illustra che: «con 2.728.600 esemplari prodotti nel 2014, in crescita del 2,1 per cento sull'anno precedente, l'Italia si conferma primo produttore di biciclette in Europa (fonte Ancma) (...)» e sottolinea come, per la promozione e valorizzazione del cicloturismo, l'offerta territoriale in molte regioni italiane si stia ampliando;
   un team di tecnici denominato Dastu del Politecnico di Milano ha ideato, nel 2009, «VenTo», il progetto di fattibilità della dorsale cicloturistica più lunga d'Italia che attraversa le regioni Veneto, Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna su un percorso di 679 chilometri. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, al «Vento Bici Tour 2015» ha dichiarato che: «il progetto genera un indotto enorme, fosse solo per l'aspetto economico non possiamo farci sfuggire quest'occasione che genera ricchezza e lavoro»;
   in data 30 luglio 2015 il sito online Ansa.it informa di un tavolo di confronto sul progetto «VenTo» tra il presidente del Veneto, Luca Zaia, il presidente della Lombardia, Roberto Maroni, gli assessori regionali al turismo dell'Emilia Romagna e del Piemonte, Maurizio Melucci e Antonella Parigi e i rappresentanti delle altre istituzioni coinvolte nel progetto, dall'autorità di bacino del Po all'Enit (Agenzia nazionale del turismo). Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, presente all'incontro ha affermato: «Sono molto felice di riscontrare una così ampia condivisione. Il Mibact lavorerà per facilitare tutte le fasi della realizzazione lasciando autonomia alle amministrazioni locali. Per questo, già nei prossimi giorni invieremo a tutte le istituzioni coinvolte una bozza di protocollo d'intesa per permettere al tavolo tecnico di lavorare sin da settembre nelle operazioni di censimento delle strutture esistenti e nell'elaborazione dei progetti da presentare in ambito comunitario»;
   l'articolo, in ultimo, riporta di un secondo incontro tra i rappresentanti delle regioni coinvolte nel progetto «Via Francigena» e spiega che: «anche su questo, il Mibact ha annunciato l'istituzione di un tavolo tecnico permanente per arrivare ad una governance unica del progetto. Sulla via Francigena – ha detto Franceschini agli assessori regionali al turismo di Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Molise, Puglia dobbiamo fare un salto di qualità: il progetto ha tutte le caratteristiche per diventare un formidabile modello culturale ed una best practice comunitaria da riprodurre in altri territori»;
   il 27 dicembre 2015 il sito online Ansa.it, in merito alla legge 28 dicembre 2015, n. 208 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016) annuncia che, in relazione al settore della mobilità e del turismo sostenibile, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha stanziato «50 milioni di euro per la progettazione e la realizzazione di un sistema nazionale di ciclovie turistiche e ciclostazioni e di interventi per la sicurezza della ciclabilità cittadina: e 3 milioni di euro per la progettazione e realizzazione di itinerari turistici a piedi»;
   in data 13 giugno 2016, la Fiab sul sito istituzionale, illustra che: «Ferrovie dello Stato si appresta ad investire 4,5 miliardi di euro per rinnovare la flotta di treni regionali. Se si farà come in passato, avremo treni inadeguati per il trasporto bici ancora per qualche decennio a fronte di un servizio sempre più richiesto sia dai pendolari che da un cicloturismo in crescita. Insomma avremmo perso anche questo treno.»;
   nella stessa giornata, Giulietta Pagliaccio, Presidente di Fiab Onlus, ha inoltrato una missiva al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, per chiedere un «preciso indirizzo politico da parte dell'Autorità di Governo Nazionale perché tutte le Regioni adottino una stessa tipologia di carrozza ferroviaria – uniforme su tutto il territorio nazionale – adatta anche ad un utente con bicicletta al seguito –:
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati, per quanto di competenza, al fine di garantire, in tutte regioni italiane e nelle stesse modalità la possibilità per i passeggeri di trasportare le biciclette sui treni;
   come intenda il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti dar seguito alla richiesta contenuta nella missiva inoltrata da FIAB, il 13 giugno 2016 alla luce del forte sviluppo e del potenziale economico che il cicloturismo rappresenta. (5-08994)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   «Ferrovie del Sud Est e Servizi Automobilistici srl» (Fse) è una società a responsabilità limitata, con socio unico il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che ha la titolarità della relativa funzione di vigilanza e che ne ha disposto il Commissariamento, per cui con decreto del gennaio 2016 sono stati nominati il commissario, dottor Andrea Viero, e i commissari, dottor Angelo Mautone e avvocato Domenico Mariani;
   detta società, in base al decreto legislativo n. 33 del 14 marzo 2013, è tenuta a garantire la trasparenza dell'attività amministrativa che costituisce il livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all'articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e successive modificazioni;
   il sito web delle Fse, tuttavia, non risulta all'interrogante conforme alle prescrizioni normative richiamate, non essendo pubblicati in esso né bilanci, né conti consuntivi, né i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini;
   detta situazione è stata già rappresentata dall'interrogante con l'interrogazione a risposta in commissione 5-07814 del 17 febbraio 2016, cui non è stata ancora data risposta;
   attualmente diviene ancor più grave la situazione in considerazione dei gravi scandali venuti alla luce e alle relative indagini, che impongono un particolare rigore nell'attuazione della disciplina della trasparenza quale strumento per contrastare i fenomeni di corruzione;
   ad avviso dell'interrogante diviene urgente la pubblicazione delle informazioni in merito all'intero organigramma dei dirigenti, al numero degli amministrativi il numero del personale tecnico, operativo e viaggiante, le liquidazioni dei dirigenti degli ultimi 10 anni, i premi produzione dirigenziali degli ultimi 10 anni, i bilanci degli ultimi 10 anni, la relazione del nuovo consiglio di amministrazione;
   con particolare riferimento all'organigramma, infatti, deve emergere se vi siano dirigenti e altro personale, già presente nell'organizzazione precedente al commissariamento, attualmente riconfermati nel nuovo assetto. In particolare, sarebbe opportuno verificare se i seguenti nominativi ricoprono i medesimi ruoli: Maria Elena Raso, Resina Lorusso e Giancarlo Fontana –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire che sul sito web delle Fse sia garantita la trasparenza stabilita dalla normativa nazionale;
   se il Ministro intenda verificare se vi siano dirigenti o altro personale già presente nell'organigramma di Fse prima del commissariamento che siano stati riconfermati nel nuovo assetto, e, in caso di riscontro positivo, se intenda accertare i criteri adottati dal commissario nel riconfermare la carica e i ruoli di dirigenti e personale;
   se il Ministro interrogato possa chiarire chi sia il responsabile dell'approvazione dei passati bilanci dell'azienda e se per costui o per altri siano state assunte iniziative disciplinari o siano stati oggetto di indagini interne;
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato abbia attuato per vigilare su altre società di trasporto pubblico regionale partecipate dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per accertare che quanto accadeva in Fse non sia accaduto anche in altre aziende di proprietà del Mit e per evitare che ciò accadrà in futuro;
   se il Ministro interrogato possa fornire i nominativi di coloro che hanno avuto ruoli di dirigenza nell'azienda Fse negli ultimi 10 anni. (5-08997)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A19 è un'autostrada italiana che collega le città siciliane di Palermo e Catania, attraversando la Sicilia centrale con un percorso di oltre 191 chilometri, passando per Caltanissetta ed Enna;
   la A19, è gestita da Anas Spa, è priva di pedaggio e il tratto di autostrada Buonfornello-Catania è anche classificato come strada europea E932;
   le tre gallerie principali dell'autostrada sono Tremonzelli (1.784 metri), Fortolese (1.613 metri) e San Nicola (1.487 metri), come si evince al sito dell'Anas;
   in particolare, la galleria Fortolese è sempre soggetta a chiusure producendo disagi per chi viaggia;
   a oggi la galleria Fortolese risulta chiusa e non si comprende se i lavori stiano andando avanti;
   dal sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nell'aggiornamento CdP ANAS-RFI al 12 febbraio 2016 la galleria risulta tra gli interventi previsti: si legge infatti «A 19 Autostrada Palermo-Catania *territorio comunale *rifacimento e adeguamento a norme CEI impianto di illuminazione al KM 104+135, galleria Fortolese» –:
   se il Ministro interrogato, che è tenuto alla vigilanza tecnica e operativa su ANAS, sia a conoscenza dello stato dei lavori nella galleria di cui in premessa e quando avverrà la riapertura della stessa. (4-13572)


   DELLAI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo stato dei treni «Frecciargento» in servizio sulla tratta Roma-Bolzano è oggetto da tempo di lamentele e di giuste osservazioni dei passeggeri;
   l'inefficienza delle cosiddette «Frecce» in servizio presso la succitata linea ferroviaria Roma-Bolzano, infatti, sta raggiungendo livelli intollerabili;
   mentre su altre tratte, evidentemente considerate più importanti, si annunciano grandi miglioramenti e servizi sempre più efficaci, sulla linea del Brennero i viaggiatori devono accontentarsi di mezzi inadeguati;
   in particolare, il degrado complessivo dei servizi igienici risulta evidente in confronto con i treni in esercizio su tutte le altre tratte alta velocità;
   appare, quindi all'interrogante quasi beffardo il nuovo spot televisivo (relativo ai treni Frecciarossa) che afferma che se si sorride è perché si è viaggiato bene grazie a Trenitalia. Si può dire, purtroppo, che il viaggiatore che va da Roma a Bolzano (e viceversa) ha, a parere dell'interrogante, poco da sorridere;
   non appare, poi, accettabile, viste le condizioni sopra esposte, la soddisfazione che ad inizio anno Trenitalia ha espresso segnalando l'aumento di viaggiatori sulle tratte da Roma a Bolzano, Rovereto, Trento, visto che questo aumento di viaggiatori non ha avuto un corrispettivo in miglioramenti dei servizi –:
   se ed eventualmente quando sia prevista la sostituzione dei treni Frecciargento in esercizio attualmente sulla tratta Roma-Bolzano per adeguare lo standard di servizio a quello delle altre tratte ad alta velocità, non essendo accettabile il fatto che i passeggeri interessati a tale tragitto abbiano minori diritti rispetto agli altri viaggiatori. (4-13576)


   NARDI e MASSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle giornate del 5 e 6 giugno 2016 si è tenuto lo sciopero dei lavoratori di Autostrade per l'Italia del quarto tronco indetto dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Sla-Cisa, registrandosi, da ormai cinque mesi la scadenza del contratto nazionale non ancora rinnovato a fronte di una florida situazione aziendale;
   all'astensione dal lavoro hanno aderito, secondo le stesse sigle sindacali, circa l'85 per cento dei lavoratori su territorio nazionale con punte del 100 per cento in alcune località;
   per l'autostrada A11 sono stati i caselli di Montecatini Terme, Pistoia, Prato ovest e Prato est e per la A1 i caselli di Firenze Scandicci, Firenze Impruneta e Valdichiana quelli in cui si sono verificati i disservizi;
   Autostrade per l'Italia aveva dichiarato, nell'imminenza dello sciopero, che sarebbero stati garantiti i servizi di assistenza al cliente, con la presenza di personale sulle tratte maggiormente trafficate e il funzionamento degli impianti automatici per il pagamento del pedaggio e che in caso di necessità gli automobilisti avrebbero potuto rivolgersi al personale di viabilità;
   questi comportamenti sono stati disattesi con numerosi disagi per gli utenti;
   la Filt Cgil ha denunciato con lettere alla stampa l'irresponsabilità della direzione aziendale che, contravvenendo ad accordi nazionali e a elementari criteri di sicurezza, ha chiuso le sbarre delle piste manuali imbottigliando gli utenti in uscita dai caselli nelle ore di sciopero creando notevoli disagi e situazioni di pericolo;
   la Filt Cgil Toscana ha tenuto a precisare che la responsabilità delle code e del caos ai caselli non è da attribuire ai lavoratori che hanno legittimamente esercitato il loro diritto di sciopero bensì al comportamento scorretto dell'azienda che gestisce il servizio  –:
   se non ritenga opportuno verificare quanto accaduto nelle giornate di sciopero e, nel caso siano stati omessi i normali servizi legati alla sicurezza, quali conseguenti iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-13583)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   risulta da vari articoli di stampa che la società titolare dell'incarico della valutazione di impatto ambientale (VIA) per la TAV nel tratto Verona-Bivio di Montebello (VI), la Lande Spa, società di capitali, con sede a Napoli, recentemente trasformata in società per azioni, ha visto il proprio amministratore (poi allontanato proprio per queste inchieste) indagato per corruzione e turbativa d'asta dal luglio 2015 in un'inchiesta denominata «Medea» diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli che ha portato all'arresto di 13 persone tra politici ed imprenditori, all'iscrizione sul registro degli indagati complessivamente di 18 persone oltre al sequestro di documentazione ed atti in vari comuni del Casertano;
   peraltro nei primi giorni di giugno 2016 è arrivata la notizia che il prefetto di Napoli abbia emesso l'interdittiva antimafia nei confronti di questa società, in quanto sussisterebbe il pericolo di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata;
   l'interdittiva è stata emessa a seguito dell'istanza dell'amministrazione di Portici per la stessa società citata che sta eseguendo lavori di rifacimento in detto comune. Agli inizi del mese di maggio 2016, la stazione appaltante aveva fatto richiesta dell'informativa antimafia, la quale, peraltro ai sensi del decreto legislativo n. 159 del 2011, articoli 83, comma 1 e 93 comma 1, avrebbe dovuto essere consegnata già prima dell'aggiudicazione dell'appalto;
   nell'interdittiva il prefetto di Napoli ricostruisce una rete di relazioni che attraverso la società Lande, passando da Caserta porterebbero al clan dei Casalesi, anche in relazione all'appalto per i lavori di ristrutturazione di Palazzo Teti Maffuccini in Santa Maria Capua Vetere, finanche a lambire la malavita calabrese;
   nella stessa inchiesta si ipotizza che altre otto persone, imputate a vario titolo fra cui associazione a delinquere di stampo camorristico, avrebbero agevolato il clan dei Casalesi, in particolare l'organizzazione che fa capo a Michele Zagaria;
   Lande srl, prima di trasformarsi in società per azioni, a quanto riportato  su Il Fatto Quotidiano del 28 aprile 2016 è un nome ricorrente in diverse inchieste della magistratura che riguardano i lavori pubblici: è presente nelle indagini di Potenza e in quelle relative ai lavori per i 150 anni dell'Unità d'Italia, così come viene citata nei documenti relativi all'inchiesta degli scavi di Pompei (l'inchiesta «Medea» appunto), e dell'Alta velocità tra Liguria e Piemonte;
   la stessa società ha ottenuto numerosi appalti dalla pubblica amministrazione: alcuni relativi al Grande Progetto Pompei, il taglio degli alberi sulla linea Metro «4» di Milano, Villa Adriana a Tivoli, il Bosco di Capodimonte, l'ex-Villa Borbonica di Portici, il Mattatoio di Roma, alcuni appalti per bonifica dei terreni insaturi nelle aree interne del polo Petrolchimico di Porto Marghera a Venezia, il Passante di Mestre (VE) e anche il monitoraggio ambientale per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina;
   questa società, quindi, svolge la propria attività diffusamente su tutto il territorio nazionale essendo aggiudicataria, ora come nel passato, di numerosissimi appalti per opere pubbliche di rilievo, pur tuttavia, è stata coinvolta, tramite il suo ex amministratore (per quanto a oggi non vi siano decisioni definitive) in numerose inchieste della magistratura e appare, quindi, agli interroganti che possa essere venuta meno la trasparenza necessaria a consentire un efficiente ed efficace esercizio dell'azione amministrativa della pubblica amministrazione;
   le richiamate evidenze delle indagini penali di cui sopra, ad avviso degli interroganti, potrebbero far pensare che alcuni degli appalti interessati possano provocare l'occultamento degli interessi reali, ovvero lo sviamento dell'attività amministrativa, adombrando l'eventualità del perseguimento di scopi non coincidenti con il fine pubblico;
   potrebbe essere considerato che l'esercizio della discrezionalità amministrativa, garantendo alle amministrazioni lo spazio necessario per compiere le scelte gestionali in base a obiettivi chiari ed espliciti, dovrebbe, in ogni caso, svolgersi in un contesto che assicuri la massima trasparenza dei processi decisionali ed una successiva rigorosa valutazione del risultato fondata su indicatori di performance predefiniti e misurabili –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se e attraverso quali strumenti intendano urgentemente verificare il corretto svolgersi del procedimento amministrativo in relazione alle scelte discrezionali dell'amministrazione sugli appalti statali affidati alla società Lande spa;
   se si intendano informare della situazione venutasi a creare, a seguito dell'emissione dell'interdittiva antimafia da parte del prefetto di Napoli, le autorità territorialmente competenti, tra le quali il prefetto di Verona, il prefetto di Vicenza, nonché la direzione nazionale antimafia e l'Autorità nazionale anticorruzione;
   se il Governo ritenga di valutare l'opportunità dell'invio degli ispettori ministeriali in relazione all'appalto per la valutazione di impatto ambientale per la TAV, nel tratto Verona-Bivio di Montebello (VI) per l'esercizio dei poteri di competenza. (5-08993)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 giugno 2016, presso i giardini del grattacielo di Ferrara, nel quartiere GAD, si è verificato un gravissimo episodio di intimidazione da parte di un gruppo di extracomunitari, notoriamente dediti all'attività di spaccio di sostanze stupefacenti, a danno di due agenti di polizia municipale tanto da indurre entrambe ad abbandonare la zona;
   l'episodio è Stato reso noto da un cittadino che ha assistito all'episodio ed ha informato la stampa;
   risulterebbe anche che le due agenti di polizia municipale non abbiano provveduto ad identificare gli autori dell'episodio né abbiano richiesto l'intervento di rinforzi delle forze dell'Ordine per procedervi in sicurezza e per contrastare efficacemente la situazione;
   quanto accaduto rappresenta uno dei tanti atti di forza utilizzati costantemente da parte di un gruppo di extracomunitari nigeriani per rivendicare la supremazia sul territorio, evidentemente per nulla intimoriti dalla presenza di forze dell'ordine che, nel caso della polizia municipale, non dispone di strumenti di difesa che in qualche modo possano fungere da deterrente;
   in riferimento a detto episodio, il comandante della polizia municipale di Ferrara ha rilasciato alla stampa la seguente dichiarazione: «Piuttosto che fomentare reazioni ancora più accese a volte è meglio lasciare perdere, soprattutto in un caso come questo di palese sproporzione tra due agenti e un gruppo numeroso di persone»;
   questa sconcertante dichiarazione di impotenza è stata interpretata dai cittadini come un vero e proprio «atto di resa» da parte delle istituzioni di fronte a palesi situazioni di illegalità diffusa;
   infatti, l'intera zona si sta contraddistinguendo per quotidiani atti di violenza, tra risse tafferugli e accoltellamenti, che vedono coinvolti folti gruppi di extracomunitari che si contendono «la piazza di spaccio», dando vita ad una continua guerriglia urbana;
   il giorno dopo la pubblicazione sulla stampa della notizia, venerdì 17 giugno, un'operazione interforze, impiegando un numero adeguato di agenti, procedeva ad un controllo capillare di ampie zone del quartiere GAD, suscitando reazioni violente da parte degli extracomunitari, che rispondevano anche con lancio di pietre;
   l'operazione si concludeva con la denuncia di alcuni responsabili di resistenza a pubblico ufficiale e con l'identificazione complessiva di trentasette persone, trentasei delle quali risultavano avere la cittadinanza nigeriana, tutti in possesso di permesso per ragioni umanitarie o richiedenti asilo, mentre il trentasettesimo era invece un algerino irregolare;
   nonostante questa encomiabile, ma purtroppo isolata, reazione delle forze dell'ordine, il giorno dopo la situazione tornava esattamente la stessa, con il controllo del territorio da parte di bande rivali per la gestione dello spaccio di droga, che agiscono con una tattica molto simile a quella di tipo mafioso, e con i cittadini che sono costretti ad abbandonare gli spazi pubblici e che si sentono abbandonati a se stessi;
   appare ancora più allarmante che, come dimostrato dalle identificazioni eseguite nel corso dell'operazione interforze suddetta, all'interno di queste bande si ritrovino moltissimi soggetti tutelati per finalità umanitarie, in quanto appartenenti al progetto SPRAR;
   la situazione descritta imporrebbe una forte ed univoca reazione delle istituzioni per dare risposta alle istanze di sicurezza provenienti dalla popolazione, mentre purtroppo fino ad ora le risposte messe in campo si sono rivelate poco più che episodici palliativi, nonostante l'impeccabile e insostituibile lavoro svolto da parte delle forze dell'ordine in condizioni sempre più precarie;
   il decreto ministeriale 5 agosto 2008 definisce la sicurezza del cittadino come «un bene pubblico da tutelare attraverso attività poste a difesa... del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale»;
   tali attività, di natura preventiva e repressiva, sono da realizzarsi «nell'ambito delle comunità locali» e sono dirette a contrastare sia problematiche di ordine pubblico locale, legate alla vivibilità dei centri urbani e al concreto esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini, sia fenomeni criminosi che si sviluppano nell'ambito cittadino –:
   quali iniziative intenda assumere per restituire immediatamente alla legalità le zone di Ferrara interessate dai gravi fenomeni di turbamento dell'ordine pubblico sopra illustrati;
   quali siano le ragioni che impediscono l'attivazione a Ferrara dell'operazione «strade sicure»;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per assicurare la più rapida espulsione di quanti, presenti sul territorio nazionale grazie allo status di richiedenti asilo e nonostante benefici che ciò comporta loro, sono tuttavia risultati coinvolti in attività illecite. (4-13578)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   venerdì 24 giugno 2016, presso l'area feste del Parco dell'oratorio di Maccio si terrà la «Festa dei popoli», in collaborazione con il comune e le due parrocchie di Maccio e Civello, dove verrà offerta a tutti i partecipanti una cena gratuita con degustazione di piatti di cucina tipica pakistana, nigeriana, bengalese, maliana e senegalese;
   secondo quanto riportato dalla stampa locale, in particolare da il Giornale di Olgiate, e come precisato anche dall'assessore ai servizi sociali Roberta Briccola sul sito www.villaguardiaviva.it, i costi della cena saranno totalmente a carico della Cooperativa Intesa Sociale;
   tale iniziativa ha suscitato pareri contrastanti e numerosi interrogativi relativamente alle risorse impiegate dalla Cooperativa Intesa Sociale per poter offrire ad ogni partecipante una cena gratuita, come riportato anche dal quotidiano citato in premessa;
   la Cooperativa Intesa Sociale gestisce a Maccio il servizio di accoglienza, pare, di 40 immigrati alloggiati a Villa Guardia;
   la Cooperativa Intesa Sociale è presieduta da Luigi Capiaghi e con 28 lavoratori gestisce ormai l'accoglienza di ben 317 immigrati nella sola provincia di Como;
   nel mese di maggio 2016 tale Cooperativa ha approvato il proprio bilancio per l'anno 2015 registrando un utile di circa 150 mila euro;
   già precedentemente la Cooperativa Intesa Sociale è stata oggetto di attenzione da parte della stampa locale e di inchieste giornalistiche in particolare per i guadagni che la stessa percepirebbe grazie al servizio di accoglienza degli immigrati;
   secondo quanto emerge dagli articoli più recenti pare che la Cooperativa Intesa Sociale, passata dai 70 immigrati ospitati nel 2015 agli attuali 317, abbia un potenziale annuo di guadagno di poco inferiore ai 4 milioni di euro;
   sempre da quanto riportato dai quotidiani locali, si ipotizza che i fondi garantiti dallo Stato permettano non solo l'erogazione di tutti i servizi previsti dalla Convenzione co la prefettura ma anche che garantiscano ai gestori un discreto guadagno al netto delle spese sostenute;
   i controlli dovrebbero essere effettuati dalle prefetture che assegnano gli appalti, tuttavia nella pratica il monitoraggio e il controllo dell'affidamento, dell'erogazione e della tracciabilità dei servizi di accoglienza, ma anche delle effettive presenze onde evitare indebite erogazioni di denaro, presenta a quanto costa all'interrogante elevate criticità per l'assenza di controlli strutturati non esistendo idonei organismi di sorveglianza ed uniformi procedure;
   a fronte dei dati e dei fatti sopra esposti l'accoglienza pare sia diventata un vero e proprio business –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se ciò corrisponda al vero;
   di quali elementi disponga circa l'iniziativa della festa di cui in premessa ed in particolare, circa la cena offerta in tale occasione;
   se risulti che questa sia stata finanziata dalla Coperativa Intesa Sociale con fondi pubblici;
   quali siano le somme finora erogate per il servizio di accoglienza degli immigrati alla Cooperativa Intesa Sociale complessivamente ed in particolare nella provincia di Como e quali le procedure di assegnazione adottate dalla prefettura, di quale nazionalità siano le persone ospitate presso Villa Guardia;
   se gli ospiti presentati nelle strutture abbiano presentato domanda di asilo, e, in caso affermativo, a quale punto sia la procedura per l'esame della domanda ed eventualmente se vi siano stati rigetti o riconoscimenti di protezione internazionale;
   a fronte dei dati e dei fatti sopra esposti e della rilevanza finanziaria per il considerevole esborso di denaro pubblico, quali controlli intenda avviare e quali siano stati finora effettuati, per il tramite della prefettura competente, per accertare che la Cooperativa Intesa Sociale di cui in premessa disponga dei requisiti previsti per il servizio di accoglienza degli immigrati; di quali elementi disponga il Ministro interrogato circa l'utilizzo dei fondi pubblici erogati dalla suddetta Coperativa per lo svolgimento di tale servizio.
(4-13580)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa Il Faggio con sede a Savona pare gestisca, oltre a numerose strutture e servizi per la salute mentale, per l'assistenza agli anziani, per minori e per disabili, anche il servizio di accoglienza per immigrati in numerosi comuni tra Savona e Imperia;
   la medesima cooperativa che conta quasi 900 lavoratori e un debito di circa 4 milioni di euro nel mese di gennaio 2016 avrebbe scongiurato il fallimento mediante la decisione di ricapitalizzazione e riduzione del costo del personale;
   come riportato in un articolo su La Stampa edizione di Savona in data 10 agosto 2015, pare che il servizio di assistenza per disabili, sito in un appartamento in via Paleocapa 14 dotato di ascensore e aria condizionata e gestito dalla cooperativa Il Faggio, nel luglio 2015 sia stato trasferito in altra struttura annessa alla chiesa di San Dalmazio, a Lavagnola;
   la struttura a Lavagnola risulterebbe priva degli adeguati requisiti per l'assistenza dei disabili presentando barriere architettoniche, assistenza inadeguata, poca sicurezza e carenza di supporti e in particolare, come risulta dall'esposto in procura della madre di uno dei ragazzi seguiti, che «Per avere accesso alla struttura occorreva percorrere una scala ripidissima interna ed esterna e ho riscontrato quindi la mancanza di un accesso idoneo ai disabili. Nella circostanza, mio malgrado, ho appurato che i vari locali della palazzina erano occupati dai mobili accatastati e mancavano tutti gli effetti personali di mio figlio»;
   dalla stampa locale sopra citata si apprende, altresì, che secondo alcune indiscrezioni, smentite dalla direzione del Faggio, il trasferimento sarebbe stato deciso in seguito all'arrivo di alcuni immigrati da alloggiare nella struttura di via Paleocapa;
   in seguito alla denuncia di cui sopra e come risulta dal medesimo articolo, la Cooperativa Il Faggio invece avrebbe replicato che il trasferimento non sarebbe stato disposto a causa dell'arrivo di immigrati e che «La stessa Asl ha approvato le caratteristiche della struttura di via San Dalmazio ritenendola adatta per la tipologia di assistenza e i servizi che il giovane richiede» e che il problema della scala sarebbe stato risolto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato sopra e se ciò corrisponda al vero;
   quali controlli intenda avviare e quali siano stati finora effettuati, per il tramite della prefettura relativamente alla verifica in capo alla cooperativa Il Faggio dei requisiti previsti e dell'idoneità alla erogazione dei servizi di accoglienza degli immigrati, in particolare come siano state impiegate le risorse derivanti dalle convenzioni con la prefettura;
   quale sia la destinazione attuale dell'appartamento in via Paleocapa 14 a Savona, se vi siano ospitati immigrati e quale sia la loro nazionalità, se abbiano presentato domanda di asilo, a quale punto sia la procedura per l'esame della domanda e se vi siano eventualmente rigetti o riconoscimenti di protezione internazionale;
   se qualcuno degli immigrati ospitati abbia precedenti penali o denunce a carico, quale sia stata la procedura adottata dalla prefettura per l'assegnazione dei servizi di accoglienza alla cooperativa il Faggio nel caso specifico, quali siano le somme finora complessivamente erogate alla cooperativa medesima, se tale cooperativa sia stata coinvolta in accertamenti da parte dell'Agenzia delle entrate o di altre autorità in merito ai servizi erogati. (4-13582)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 4-12688 del 30 marzo 2016, che si intende qui integralmente richiamata, l'interrogante ha chiesto chiarimenti sulla correttezza dell'attività amministrativa del comune di Siderno durante la gestione della commissione straordinaria inviata dal Ministero dell'interno;
   in particolare, è stato evidenziato come la commissione straordinaria, che ha amministrato il comune fino a maggio 2015, ha fatto ricorso a n. 2 anticipazioni di liquidità concesse dalla Cassa depositi e prestiti, ai sensi del decreto-legge 8 aprile 2013 n. 35, per l'importo complessivo di euro 8.991.275,66, sottoscrivendo n. 2 contratti di prestito (il primo in data 5 giugno 2013 ed il secondo in data 21 ottobre 2013), sapendo bene di violare le condizioni stabilite dallo stesso decreto, in quanto dopo due mesi dalla sottoscrizione dell'ultimo contratto, in data 20 dicembre 2013, ha dichiarato il dissesto finanziario dell'ente;
   il danno creato all'ente con la tardiva dichiarazione di dissesto e con gli atti successivamente adottati dalla stessa commissione straordinaria è cosa già nota, in quanto dettagliatamente esposta nell'interrogazione n. 4-12688 su citata;
   le anticipazioni di liquidità comportano la restituzione, in trenta annualità, della quota capitale e degli interessi di ammortamento, onere quest'ultimo pari a euro 5.129.311,39, graverà sui bilanci futuri dell'ente;
   l'importo concesso dalla Cassa depositi e prestiti, per anticipazione di liquidità di euro 8.991.275,66 è stato utilizzato, tra gli altri, per pagare debiti ammontanti ad euro 5.028.991,18 per fornitura idrica, di cui euro 3.264.165,00 alla Sorical Spa (Società Pubblico-Privata a maggioranza di capitale pubblico), ed euro 1.764.226,18 alla regione Calabria;
   tutti i comuni della Calabria, per il servizio idrico potabile, si trovavano e continuano a trovarsi in una posizione debitoria, nei confronti dei fornitori su individuati, che si trascina da anni;
   a prescindere dalla «contestabilità del credito» vantato dai summenzionati fornitori del servizio, in riferimento alla quantità dell'acqua erogata (contatori guasti) e alla possibile intervenuta prescrizione, dopo espressi e ripetuti deliberati della Corte dei Conti – sezione controllo per la Calabria – la giunta regionale della Calabria, con delibera n. 337 del 17 settembre 2015, ha autorizzato il dirigente generale del dipartimento infrastrutture lavori pubblici e mobilità «ad aderire, in presenza dei presupposti di cui all'articolo 258, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, alla definizione dei crediti (con abbattimento di una percentuale che varia dal 40 al 60 per cento) verso i comuni in stato di dissesto che hanno fatto ricorso alla procedura semplificata;
   sebbene l'attuale amministrazione comunale del comune di Siderno abbia adottato, con delibera n. 96 del 20 novembre 2015, la «procedura semplificata» con riconoscimento a tutti i creditori del 50 per cento dell'importo ammesso alla massa passiva del dissesto finanziario, allo stato attuale, l'organo straordinario di liquidazione a quanto consta all'interrogante, non potrebbe far più ricorso alle agevolazioni concesse dalla regione Calabria, in quanto il debito sarebbe stato, erroneamente pagato, tra l'altro indebitando l'ente, dalla commissione straordinaria con i fondi di cui al decreto-legge n. 35 del 2013, di cui in precedenza;
   alla luce della delibera della giunta regionale della Calabria n. 337 del 17 settembre 2015, appare evidente che questo ente ha subìto danno dalla gestione della commissione straordinaria, per la seguente motivazione: la dichiarazione di dissesto finanziario, senza ricorso all'anticipazione di liquidità, avrebbe consentito all'organo straordinario di liquidazione di poter godere delle agevolazioni previste dalla regione Calabria e pagare il debito, con l'abbattimento del 50 per cento dell'importo, con un risparmio di euro 884.613,09;
   dai motivi suesposti e da quanto in precedenza segnalato al Ministro interrogato e riportato nell'interrogazione sopra richiamata, si evidenzia una gestione della commissione straordinaria, sicuramente non improntata a una politica di risparmio per l'ente, che ha, in generale, determinato un grave danno alla comunità di Siderno dovuto a:
   1. non adeguata gestione dei debiti dell'ente che ha causato un aggravio economico di euro 10.000.100,84 e nel dettaglio:
    l'ammontare complessivo dei debiti pagati e da pagare a carico dell'ente nell'attuale situazione si riassumono in: debiti pagati con ricorso al decreto-legge n. 35 del 2013, pari a euro 8.991.275,66, gli interessi di ammortamento su anticipazioni di liquidità di cui al decreto-legge n. 35 del 2013 pari a euro 5.129.311,39, il fabbisogno O.S.L. per pagamenti di debiti con procedura semplificata pari a euro 9.178.211,36 per un totale debiti pagati e da pagare di euro 23.298.798,41;
    l'ammontare complessivo del debito a carico dell'ente nel caso di ricorso da parte della commissione straordinaria, al dissesto finanziario senza anticipazioni di liquidità si riparte in: debito pagato dalla commissione straordinaria con i fondi di cui al decreto-legge n. 35 del 2013 pari a euro 8.991.275,66, i debiti massa passiva dissesto censiti dall'organo straordinario di liquidazione pari a euro 17.606.111,49, debito dell'ente pari a euro 26.597.387,15, l'importo del fabbisogno dell'organo straordinario di liquidazione per pagamento debiti con procedura semplificata al 50 per cento pari a euro 13.298.693,57;
    il riepilogo consta di: totale debiti pagati e da pagare pari a euro 23.298.798,41, l'importo del fabbisogno dell'organo straordinario di liquidazione per pagamento debiti con procedura semplificata al 50 per cento pari a euro 13.298.693,57, che porta a una differenza di euro 10.000.104,84;
   2. errato accertamento nel conto del bilancio 2014, approvato dalla commissione straordinaria, con deliberazione n. 130 del 29 maggio 2015, di un'entrata prevista per euro 5.283.862,83, quale credito del comune per pagamenti, di competenza dell'organo straordinario di liquidazione effettuati nella gestione commissariale, la cui successiva eliminazione «per insussistenza», in sede di riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi, effettuata con deliberazione della giunta comunale n. 93 del 23 novembre 2015, adottata ai sensi del decreto legislativo n. 118 del 2011 – allegato 4/2 – punto 9.3, ha determinato, un disavanzo di amministrazione pari ad euro 6.514.756,09 da finanziare in 30 annualità –:
   quali iniziative compensative intenda promuovere il Ministro interrogato per quanto di competenza, alla luce dei gravi danni subiti dalla comunità di Siderno, a seguito della gestione della commissione straordinaria, in dettaglio riportati in premessa;
   quali iniziative di competenza si intendano adottare nei confronti dei commissari straordinari in relazione a quelle che l'interrogante giudica loro gravi responsabilità. (4-13587)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   numerose fonti di stampa locali e nazionali hanno riportato la notizia che a Rossano (Cosenza), dove si sono svolte le elezioni amministrative per il rinnovo dei consiglio comunale nel mese di giugno 2016, a poche ore dal ballottaggio, uno dei candidati a sindaco, Flavio Stasi, della lista «Rossano pulita», presentava un esposto presso la procura della Repubblica al fine di segnalare irregolarità nelle operazioni di scrutinio ai seggi;
   dalla stampa si legge che Stasi, nell'esposto denunciava che alcuni presidenti di seggio probabilmente perché inesperti, omettevano nell'ambito dello svolgimento della propria funzione di segnalare alle forze dell'ordine che ai seggi confluivano persone pagate – presumibilmente in difficoltà economiche – condotte a bordo di furgoni per farle votare;
   lo Stasi dichiarava alla stampa: «Abbiamo chiesto agli inquirenti di indagare sulle tante anomalie rilevate durante le operazioni di scrutinio, alcune delle quali molto gravi e tali da modificare potenzialmente l'esito del voto. Nel migliore dei casi, si tratta di anomalie causate dalla clamorosa improvvisazione di qualche presidente di seggio, ma visto il contesto profondamente torbido in cui ci troviamo a lavorare da anni, riteniamo sia necessario che la Procura della Repubblica indaghi e individui omissioni, interessi e responsabilità. Nello stesso esposto è stato altresì denunciato lo squallido fenomeno del voto comprato e delle persone meno abbienti portate in massa a votare con furgoni o modalità simili»  –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché irregolarità ed anomalie come quelle sopra descritte non abbiano più a ripetersi. (4-13591)


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'azione di vigilanza e soccorso prestata dall'Italia nei confronti dei profughi in fuga da teatri di guerra come la Siria è meritoria;
   è fondamentale l'azione di prevenzione che l'intelligence attua per prevenire possibili infiltrazioni terroristiche;
   in data 23 marzo 2016, sul quotidiano «La Repubblica» e in data 25 marzo 2016 sul quotidiano «La Sicilia» è apparsa la notizia del ritrovamento di un presunto passaporto di affiliazione all'Isis, riconducibile ad un giovane siriano, il cui nome è Mourad El Ghazzaoui, all'epoca dei fatti ospitato in una struttura di accoglienza a Pozzallo;
   in data 26 marzo e in data 19 aprile 2016 sul giornale on-line «Meridionews» un'inchiesta a firma di Dario De Luca ha sostenuto l'inattendibilità del documento sopracitato;
   a seguito dell'inchiesta giudiziaria El Ghazzaoui è detenuto in Calabria, nel carcere di Rossano Calabro, in quella che è stata definita la «Guantanamo Italiana» nel corso del programma «speciale giustizia» andato in onda su Radio Radicale in data 31 marzo 2016 –:
   di quali elementi disponga il governo circa il grado di pericolosità del giovane siriano detenuto in Calabria;
   quali iniziative intenda intraprendere per verificare le condizioni del suddetto detenuto e, più in generale, le condizioni, di detenzione nel carcere di Rossano. (4-13593)


   GRILLO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 1976 l'organizzazione neofascista Avanguardia nazionale fu disciolta dal Ministro dell'interno a seguito di numerosissime informative e segnalazioni delle forze dell'ordine e della magistratura per la sua pericolosità per l'ordinamento democratico della Repubblica italiana;
   si apprende dagli organi di stampa che a Roma si terrà il 25 e 26 giugno 2016 un raduno commemorativo di Avanguardia nazionale ad opera di una rediviva Avanguardia nazionale;
   in particolare, il blog Fascinazione, vicino agli ambienti delle estreme destre, scrive così il 18 giugno 2016: «In occasione del cinquantaseiesimo anniversario Avanguardia nazionale ha organizzato, a Roma, presso la sala convegni del ristorante La Fraschetta nel Campo, sita in via Tiburtina 949 una due giorni di dibattiti, incontri e conferenze. All'evento saranno presenti delegazioni di ex militanti di Avanguardia nazionale da tutta Italia, da Trieste alla Calabria» –:
   se il Ministro interrogato sia informato dell'evento di cui in premessa;
   quali elementi abbia acquisito o intenda acquisire al riguardo, posto che detto evento, a giudizio degli interroganti, pare assumere una connotazione di esaltazione di una organizzazione neofascista posta fuorilegge da anni in connessione con la sigla Avanguardia nazionale che sembra rediviva malgrado sia stata disciolta. (4-13594)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, VACCA, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, CHIMIENTI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 5 febbraio 1992, n. 104, tutela i diritti delle persone con disabilità riducendone i disagi e garantendo loro la massima integrazione sociale nonché scolastica. Spesso, però, tale finalità non viene rispettata ma, al contrario, abusata;
   come è noto, legge n. 104 del 1992, concede dei benefici non solo ai soggetti con disabilità (articoli 21 e 33, comma 6, disabilità personale), ma anche al personale scolastico che si occupa di una persona con disabilità in situazione di gravità (articolo 33, commi 5 e 7);
   tra i vari benefici di cui gode sia il personale docente che il personale ATA (fruizione di 3 giorni retribuiti di permesso, superamento del blocco dei tre anni di permanenza nella provincia di assunzione) rientrano agevolazioni nella mobilità e, cioè, la precedenza nell'attribuzione della sede sia per l'assegnazione provvisoria che per il trasferimento;
   quest'anno le operazioni di mobilità del personale scolastico si svolgono secondo nuovi criteri previsti in sede di contrattazione collettiva (CCNI 2016/17) che, di fatto, hanno stravolto il previgente sistema di mobilità, introducendo per ciascun docente un'articolata distinzione in fasi e sottofasi;
   tale sistema incide in maniera rilevante anche sul sistema di precedenze previsto a tutela dei soggetti beneficiari della legge n. 104 del 1992;
   nelle maglie larghe della legge possono inserirsi docenti che non hanno diritto ai benefici della legge n. 104 del 1992 e in maniera illegittima ottengono vantaggi nelle graduatorie per la mobilità provinciale e interprovinciale, andando di conseguenza ad inficiare la formazione degli elenchi dei soggetti beneficiari dei trasferimenti;
   ciò è accaduto in modo particolare nella provincia di Agrigento dove la procura della Repubblica ha avviato l'operazione denominata «la carica delle 104» (22 settembre 2014) che ha portato a una ventina di provvedimenti cautelari e circa cento indagati, fra i quali diversi medici;
   per tale motivo l'ufficio scolastico di Agrigento ha avviato un'attività di verifica smascherando circa trecento soggetti, tra docenti e personale Ata, che non avevano diritto né alla legge n. 104 del 1992 né all'invalidità civile;
   nel frattempo l'Inps sta procedendo, su tutto il territorio nazionale, alle verifiche per vagliare il riconoscimento dei benefici e sono già centinaia le revoche delle sedi ottenute grazie alla cosiddetta «precedenza» prevista dalla legge n. 104;
   ci sono casi in cui il personale convocato non si è presentato alla visita di controllo; casi per i quali sono stati predisposti ulteriori accertamenti di verifica di carattere sanitario e casi in cui, dopo le visite, il beneficio non è stato confermato e per i quali si è proceduto a ricorsi presso il giudice del lavoro;
   ancora oggi il quadro è in continuo mutamento e ciò non consente la chiarezza necessaria per espletare le procedure di mobilità e garantire il pieno diritto a chi ne è effettivamente beneficiario;
   attualmente, permangono numerosi dubbi circa il numero complessivo dei beneficiari, i criteri adottati nell'eseguire il monitoraggio, l'inserimento tra di essi dei dirigenti scolastici, il periodo temporale oggetto del controllo (se sia stato esteso all'anno scolastico 2015-2016 ed agli insegnati assunti con la cosiddetta Buona Scuola), il numero dei soggetti che non si sono presentati alle visite dell'INPS, le modalità della verifica effettuata;
   per tale motivo l'associazione «Insegnanti in movimento» costituita allo scopo di denunciare gli abusi e le distorsioni connesse all'applicazione della legge n. 104 del 1992 e di tutelare il diritto alla corretta mobilità provinciale ed interprovinciale ha intrapreso un'attività di monitoraggio presentando una richiesta di accesso agli atti all'Ufficio scolastico provinciale per conoscere e accertare i provvedimenti adottati nei confronti dei soggetti revocati in conseguenza dell'illecita condotta;
   la pubblicazione dei dati è rilevante per verificare la correttezza delle procedure, affinché un beneficio concesso illegittimamente ad alcuni non si trasformi nel mancato riconoscimento di un diritto per altri che versino effettivamente in uno stato di necessità;
   tra l'altro, la pubblica amministrazione ha l'obbligo di pubblicità, trasparenza, e diffusione di informazioni attinenti ad attività di interesse generale, ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 14 marzo 2013;
   l'articolo 24 della legge n. 183 del 2010 ha introdotto l'obbligo della comunicazione al dipartimento della funzione pubblica, entrò il 31 marzo di ogni anno, dei dati relativi ai permessi fruiti, in base alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, dai dipendenti pubblici, ivi compreso il personale scolastico;
   Agrigento non è la sola delle province che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca tiene sotto la lente di ingrandimento per il fenomeno degli abusi della legge n. 104: dal recente monitoraggio emergono anche altre regioni dove le cifre sono più allarmanti, come l'Umbria che figura al secondo posto per docenti che hanno fatto ricorso alla legge n. 104 ed al primo per gli Ata. Anche Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna sono tra le prime;
   per poter beneficiare di quanto previsto dalla legge n. 104 e quindi ottenere il riconoscimento dello stato di disabilità, il soggetto interessato deve seguire un iter specifico e produrre accertamenti sanitari da sottoporre all'apposita commissione operante presso la Usl territorialmente competente;
   la commissione operante presso ogni azienda Usl è composta da un medico specialista in medicina legale, da un medico dell'INPS, da un medico rappresentante delle associazioni di categoria, Unione italiana ciechi (UIC), l'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza ai sordomuti (ENS) e l'Associazione nazionale delle famiglie dei fanciulli ed adulti subnormali (ANFFAS), e da un medico specialista della patologia oggetto di valutazione;
   considerata la specifica professionalità dei componenti della commissione risulta inverosimile una incidenza così sorprendente nel rilascio erroneo delle certificazioni e, una volta palesati i tanti casi d'abuso, è chiaro che è ravvisabile una illegittima dichiarazione da parte dei medesimi –:
   se i Ministri interrogati intendano adottare iniziative, per quanto di competenza, in relazione agli abusi e alle distorsioni connesse all'applicazione della legge n. 104 del 1992;
   se si intendano assumere iniziative per stabilire un termine perentorio entro cui ogni anno l'amministrazione scolastica debba pubblicare i dati in suo possesso relativamente al numero complessivo dei beneficiari della legge n. 104 del 1992 così da procedere per tempo alle eventuali rettifiche e consentire l'espletamento delle procedure di mobilità in maniera corretta;
   se il Governo abbia espletato i poteri di vigilanza e controllo sugli uffici scolastici regionali in relazione all'elenco di soggetti beneficiari presentato all'Inps e quindi sulle revoche, rettifiche e conferme dei benefici ex lege n. 104 del 1992;
   quali iniziative di competenza, anche normative, intendano assumere per definire un meccanismo di verifica e sanzionatorio in relazione alla responsabilità che ricade sulla commissione operante presso un'azienda Usl competente che «firma la certificazione di invalidità». (5-08998)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, LOREFICE, DI VITA e GRILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Garante dell'Infanzia e dell'adolescenza della regione Campania Cesare Romano ha presentato 21 giugno 2016 a Napoli il primo rapporto sugli abusi interfamiliari in Campania: sono stati registrati più di 200 casi di maltrattamenti e violenza «sommersa» fra le mura di casa ai danni di bambini da parte di familiari. Le vittime sono nell'80 per cento dei casi minori in età preadolescenziale, bambine tra i 6 e i 10 anni nell'87 per cento dei casi. Fra i quartieri più colpiti dal fenomeno, Romano cita Salicelle ad Afragola, Madonnelle ad Acerra, Caivano e alcuni quartieri di Napoli;
   la ricerca della regione Campania sugli abusi interfamiliari è iniziata nel novembre 2013 ed è proseguita per tutto il 2014, ha interessato 45 Comuni (il 12 per cento delle amministrazioni locali) e 31 ambiti territoriali (il 60 per cento di tutti gli ambiti). Lo studio si è svolto su due piani: la raccolta qualitativa e quantitativa dei dati attraverso la somministrazione di questionari anonimi;
   nella suddetta ricerca è evidenziato che i dati sugli abusi interfamiliari sono solo una stima, perché si tratta di violenze sommerse, di maltrattamenti spesso invisibili, dal momento che una violenza interfamiliare è molto più difficilmente comunicabile dalle vittime, confuse dai vincoli di parentela con i responsabili;
   il dottor Romano ha affermato: «La nostra ricerca, che è a campione, fatta sugli ambiti territoriali e su alcuni comuni, evidenzia oltre 200 casi e abbiamo testimonianze dirette e indirette, anche se non compaiono nella ricerca, che ci sono intere zone in cui l'abuso sessuale, l'incesto, è elevato a normalità»;
   il presidente di telefono azzurro, Ernesto Caffo, ha dichiarato al Fatto Quotidiano che «Il Garante Romano ha segnalato i dati relativi alla sua regione, ma il fenomeno non riguarda solo la Campania. Riscontriamo situazioni simili in diverse aree del Mezzogiorno, come la Calabria, la Sicilia, meno la Puglia ma sono a rischio anche quartieri più degradati di grandi aree urbane dove manca il senso di comunità. In queste aree la denuncia è rara e l'intervento già tardivo viene spesso messo in atto dalla macchina giudiziaria, più che dalla società e dalle istituzioni. Le situazioni difficili vengono coperte, nascono subculture che contribuiscono a proteggere gli autori degli abusi. Tra il 2014 e il 2015 le richieste di aiuto per casi di abusi sessuali su bambini e adolescenti arrivate al Telefono Azzurro sono aumentate. In particolare, quelle arrivate al 114 Emergenza infanzia sono passate dal 5,4 per cento del 2014 al 6,7 per cento del 2015 e quelle alle linee di ascolto dal 2,3 per cento del 2014 al 3,8 per cento del 2015. La maggior parte degli abusi sessuali segnalati — rileva un recente dossier — vengono messi in atto da persone conosciute (oltre il 76 per cento dei casi della linea 19696 e oltre il 54,3 per cento dei casi per la linea 114), per lo più appartenenti al nucleo familiare. Se in una famiglia vi sono dei dubbi nessuno segnala a volte perché non si crede al fatto che qualcuno possa aiutare» –:
   se ritengano opportuno avviare un'indagine sul piano nazionale per rilevare l'entità del fenomeno della pedofilia;
   se i Ministri interrogati non ritengano, alla luce di quanto esposto in premessa, indispensabile e urgente assumere iniziative dirette alla prevenzione e al contrasto degli abusi sui minori;
   se non si intendano promuovere delle campagne di sensibilizzazione e formazione dei pediatri e degli insegnanti per riconoscere i segnali di eventuali abusi sui minori. (5-08990)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI e MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Aifo, l'Associazione Italiana Frantoiani Oleari, ha appena raggiunto un accordo con la grande distribuzione affinché l'olio di frantoio arrivi sugli scaffali dei supermercati con una precisa etichetta distintiva;
   in data 20 maggio 2016 il quotidiano «La Repubblica» pubblicava un articolo a firma di Rosaria Amato, dal titolo «L'olio di frantoio arriva al supermercato» nel quale si descriveva come: «[...]Siamo noi il vero made in Italy» «Dalla prossima campagna accanto ai vari oli “da olive europee” debutterà dunque l'etichetta dell'olio extravergine artigianale di frantoio, pensata per rendere chiaro sugli scaffali dei supermercati le caratteristiche del prodotto. Del progetto si discute il 20 e il 21 a Montefiascone (Viterbo), in occasione del Congresso che celebra i 20 anni dell'Aifo. “Abbiamo una tavola rotonda con i rappresentanti della Gdo (grande distribuzione organizzata, ndr.) per definire meglio le condizioni. Non vogliamo scontrarci con i produttori industriali, vogliamo soltanto che le differenze siano chiare e che il consumatore sia libero di scegliere consapevolmente”, dice il presidente di Aifo Piero Gonnelli. La definizione di olio extravergine d'oliva è davvero troppo poco, afferma l'Aifo. “Le condizioni igienico sanitarie, il sistema di controlli e i costi di produzione in molti Paesi dai quali importiamo olio – osserva Gonnelli – sono profondamente diverse rispetto a quanto avviene in Italia”. E di quest'olio importato in Italia ne arriva molto: nel 2015, 599.600 tonnellate per un valore di 1,8 milioni di euro, il 22,6 per cento in più rispetto al 2014, con un aumento del 245 per cento rispetto all’import dalla Tunisia, seguita da Marocco e Grecia. “Noi frantoiani – conclude Gonnelli – siamo il baluardo dell'olio Made in Italy, siamo gli unici a produrlo utilizzando soltanto materia prima nazionale e metodi tradizionali che assicurano un alimento buono e sano. Chiediamo pertanto una normativa che riconosca la centralità dei frantoi nella filiera produttiva dell'olio, che faccia chiarezza sulla provenienza e consenta ai consumatori di distinguere il prodotto artigiano dei nostri frantoi rispetto al resto della produzione”»;
   l'olio artigianale vale il 26 per cento del mercato, ma la distribuzione in effetti rappresenta il punto debole della produzione dei frantoi, che stenta ad arrivare in modo comodo al consumatore. E un'etichetta dettagliata certo giustificherebbe ampiamente le differenze di prezzo: un olio extravergine con olive di provenienza straniere al supermercato può costare anche 5 euro, ma un olio extravergine di frantoio, assicurano i produttori, non può costare meno di 8 euro al litro. In Italia esistono quasi 5000 frantoi, con 43 marchi dop e igp. La maggioranza si trova in Puglia, seguita da Calabria, Sicilia, Toscana e Campania. I produttori aspirano a uscire definitivamente dalla «nicchia», sottolinea il direttore Aifo Giampaolo Sodano: «Non solo non funziona, ma crea un indebito vantaggio ai prodotti speculativi dell'industria che, sfruttando le virtù e le qualità dei prodotti artigianali, ne hanno capitalizzato gli aspetti qualitativi, assumendone spesso i connotati, e vincendo la partita sul piano economico»;
   la presenza dell'annata di produzione o campagna olearia, è garanzia che l'olio che stanno consumando proviene solo da olive spremute quell'anno, escludendo quindi olio vecchio. Inoltre, non applicandosi l'obbligatorietà alle miscele di oli comunitari, l'anno di produzioni sarà probabilmente molto più legato al mondo della produzione che non a quello dell'imbottigliamento e dell'industria olearia –:
   se il Ministro interrogato reputi opportuno fare proprie richieste dell'Aifo, l'Associazione italiane frantoiani oleari, affinché l'olio di frantoio arrivi sugli scaffali dei supermercati con una precisa etichetta distintiva e trasparente per evitare inganni e frodi a danno dei consumatori e delle aziende;
   se il Ministro interrogato non reputi opportuno farsi portavoce, in sede europea dell'esigenza che la legislazione, per quel che concerne l'etichetta degli alimenti, si orienti verso modifiche che siano il più possibile chiare ed esplicative, sia per tutelare i prodotti artigianali made in Italy, sia per incentivare un consumo consapevole rispettando il diritto dei cittadini ad essere informati. (5-08995)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, LOREFICE, DI VITA, MANTERO e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, «le liste di attesa rappresentano un fenomeno percepito dai cittadini e dai pazienti come una forte criticità dei moderni sistemi sanitari, in quanto compromette l'accessibilità e la fruibilità delle prestazioni da erogare. L'abbattimento dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie è uno degli obiettivi prioritari del SSN e l'erogazione dei servizi entro tempi appropriati, rispetto alla patologia e alle necessità di cura, rappresenta una componente strutturale dei LEA, così come previsto dal DPCM del 29 novembre 2001»;
   il 21 giugno 2016 i carabinieri del Nucleo antisofisticazione e sanità di Salerno hanno sequestrato registri, cartelle cliniche e altri documenti del reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno su disposizione del pubblico ministero Elena Guarino a seguito dell'inchiesta aperta dalla procura della Repubblica. Secondo quanto pubblicato dal quotidiano «La città» la procura ipotizza una presunta vendita dei posti letto, dal momento che i carabinieri sono entrati in possesso dei faldoni che riguardano le liste d'attesa, le prenotazioni e l'ordine di accesso agli interventi. I militari del Nas cercano eventuali prove sul mercato nero dei ricoveri, cioè sul presunto pagamento di mazzette per occupare un letto, scavalcando l'ordine di accesso in reparto o per anticipare i tempi di un intervento. Un'attività, quella dei carabinieri, svolta a 360 gradi, per raccogliere eventuali prove incrociando dati, orari e informazioni sul personale medico, e non solo, e soprattutto sull'iter svolto dall'utenza prima di occupare un posto letto;
   il 5 aprile 2016 i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Salerno, nell'ambito di un'altra indagine avente ad oggetto sempre il nosocomio salernitano e le liste d'attesa, avevano eseguito 3 arresti domiciliari e 1 sospensione dall'esercizio di pubblico. Le indagini che hanno portato all'emissione del provvedimento cautelare sono state avviate a seguito di elementi informativi acquisiti che indicavano come prassi diffusa nel reparto di neurochirurgia dell'ospedale «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona» di Salerno il fatto che alcuni medici effettuassero interventi chirurgici in apparente regime di «intramoenia», ricorrendo però solo formalmente alla normale procedura di prenotazione e pianificazione dell'intervento chirurgico, modificando invece le liste di attesa per gli interventi e costringendo i pazienti a versare loro un cospicuo corrispettivo in denaro, che veniva trattenuto senza versamenti nelle casse dell'azienda ospedaliera. Le prestazioni oggetto di indagine riguardavano esclusivamente pazienti in condizioni di salute particolarmente gravi, spesso con una breve aspettativa di vita, i quali, posti di fronte all'alternativa di dover pagare per essere immediatamente operati da medici di grande esperienza o attendere lo scorrimento della lista di attesa per essere operati da uno qualsiasi dei chirurghi del reparto, hanno aderito all'invito di pagare;
   in tutti i 9 casi documentati è stato riscontrato che i costi di ricovero e degenza erano comunque imputati al servizio sanitario nazionale, che gli interventi chirurgici venivano effettuati durante le ore di servizio ordinario presso il nosocomio, diversamente da quanto previsto dalla legge, e che il corrispettivo in denaro richiesto (da un minimo di 1500 a un massimo di 60.000 euro), mai dichiarato percepito dai medici indagati, veniva interamente trattenuto dagli stessi, senza versare la percentuale prescritta dal tariffario autorizzato;
   dal 2015 a seguito di un'ulteriore indagine della procura di Salerno, definita «Just in Time», sono circa 200 gli avvisi di conclusione indagini notificati ai dipendenti del ospedale «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona» di Salerno, che sono accusati di essersi allontanati dal servizio dopo aver timbrato il cartellino. Pochi giorni fa procuratore capo, Corrado Lembo, ha dichiarato che dovranno essere recapitati ancora diverse centinaia di avvisi ai dipendenti dell'Azienda ospedaliera universitaria. Nella prima fase della stessa inchiesta « Just in time» dei quattordici indagati alcuni sono stati sospesi dalla procura dal servizio per un anno, mentre sette sono stati licenziati dall'Azienda –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario e opportuno promuovere un'apposita verifica, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, date le continue irregolarità rilevate presso il nosocomio salernitano dalla procura della Repubblica;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intenda adottare al fine di garantire la massima trasparenza delle liste d'attesa;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al di fine di scongiurare che si ripetano in futuro questo tipo di situazioni che limitano di fatto il diritto alla salute dei cittadini. (5-08991)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI e SIBILIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 3 luglio del 2014, a seguito di una visita del primo firmatario del presente atto presso lo stabulario dell'università di Modena, ottanta deputati e senatori del movimento Cinque Stelle, portavoce della volontà di milioni di cittadini hanno sottoscritto una lettera inviata al rettore dell'università di Modena per richiedere la liberazione dei 17 macachi dalla sperimentazione animale;
   la lettera dei parlamentari pentastellati scaturiva anche a seguito di un documento redatto e firmato da 73 scienziati – tra questi la dottoressa Susanna Penco, ricercatrice dell'università di Genova – che evidenzia la fallacità della sperimentazione e l'impossibilità che i test sugli animali possano essere predittivi per l'uomo;
   nello specifico, le richieste del parlamentari dirette al rettore dell'università di Modena erano quelle di affidare gli animali alle associazioni animaliste per poterli ricollocare in ambienti idonei e pronti all'accoglienza di creature così gravemente violate e deprivate. Le strutture disponibili per gli animali sono in grado di restituire loro la dignità e il rispetto dovuti, con una gestione professionale e specifica. Come è già successo per Yuri, macaco che, nel 2012, fu ceduto dallo stabulario dell'università di Modena ed ospitato presso il centro di recupero, tutela e ricerca fauna esotica e selvatica di Monte Adone (Bologna), (www.centrotelafauna.org) e che ha da tempo potuto assaporare il piacere di una vita libera dal dolore, dalla paura e dalla sperimentazione;
   il Movimento cinque stelle, dopo aver preso atto della situazione dello stabulario dell'università di Modena – a seguito delle visite ispettive e tra queste quella effettuata dal primo firmatario del presente atto nel giugno 2014 con Piercarlo Paderno (Animai Amnesty) e Yuri Bautta (Lav Modena) durante la quale è stato realizzato il video che mostra le reali ed inaccettabili condizioni di detenzione dei macachi – denunciò anche l'approvazione di un ordine del giorno del PD al consiglio comunale di Modena, in data 11 settembre 2014, dall'oggetto «Sostegno alle attività di sperimentazione presso il ”Centro Servizi Stabulario Interdipartimentale” dell'Università di Modena e Reggio Emilia». In tale ordine del giorno sono state scritte a giudizio degli interroganti inesattezze chiaramente in contrasto con i termini di legge;
   a seguito dei fatti sopra descritti fu presentata una interrogazione parlamentare del Movimento cinque stelle a prima firma del deputato Matteo Dall'Osso che cristallizzava una situazione che non sarebbe potuta andare avanti a lungo. Il movimento di opinione pubblica ha sostenuto le iniziative dei parlamentari del Movimento Cinque Stelle e delle associazioni;
   il 1o agosto 2012 l'Ufficio diritti animali del comune di Modena ha coadiuvato l'incontro fra i ricercatori dello stabulario e il centro tutela e ricerca fauna esotica e selvatica del Monte Adone (www.centrotutelafauna.org) da cui è scaturito un primo accordo che ha visto la dismissione di un esemplare di macaca fascicularis che reca un vistoso «210» tatuato sul petto, cedendolo al Santuario del Monte Adone di Sasso Marconi;
   in occasione dell'accordo, lo stabulario interdipartimentale dell'università di Modena e Reggio Emilia, con sede a Modena in via del Pozzo 71, si impegnò alla riduzione del numero di animali e quindi a non sostituire l'esemplare con un nuovo acquisto (fatto salve le nascite, essendo nella colonia la riproduzione, nel 2012, ancora possibile);
   in virtù della normativa vigente e nello specifico dell'articolo 10, comma 5, del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 26, non è più possibile allevare scimmie e primati non umani con la finalità della sperimentazione animale. L'università viene pertanto a trovarsi in una situazione difficilmente gestibile e secondo l'interrogante in contrasto con la legge, non potendo più né allevare, né acquisire primati;
   nel 2014 e nel 2015 in due convegni tenutisi al Senato e alla Camera dei deputati, il Movimento cinque stelle, grazie alla senatrice Paola Taverna e al primo firmatario del presente atto, coadiuvati da eminenti scienziati internazionali tra cui il professor Claude Reiss, il dottor Andre Menache, la professoressa Costanza Rovida, il professor Bruno Fedi, la professoressa Candida Nastrucci, la professoressa Susanna Penco, il professor Luigi Campanella, il professor Marco Mamone Capria, il professor Thomas Hartung, ha dimostrato la totale inaffidabilità della sperimentazione animale. Per questo il Movimento cinque stelle ha presentato al Senato un emendamento nella recente legge di stabilità, per pervenire all'aumento dei fondi destinati ai metodi sostitutivi, in considerazione degli esigui impegni economici stabiliti dal Governo, del tutto insufficienti e nemmeno paragonabili a quanto si investe nel resto dell'Europa;
   eminenti ricercatori in campo scientifico ed etologico, uno tra tutti il professor Marc Bekoff (zoologo ed etologo dell'università di Boulder, Colorado) ha dichiarato che: «L'importazione di animali per la ricerca invasiva durante la quale si soffre un dolore intenso e il probabile destino è quello di essere ucciso è un atto ripugnante e deve essere fermato»;
   il gruppo consiliare del Movimento cinque stelle di Modena il 2 luglio 2014 ha presentato la mozione per il sostegno alle associazioni e ai cittadini per patrocinare l'intesa con l'università di Modena e Reggio Emilia per la dismissione della colonia dei primati allevati presso lo stabulario interdipartimentale Modena;
   finalmente, nell'aprile 2015, grazie agli interventi dei parlamentari sopracitati e delle associazioni, il comune di Modena firmò un protocollo d'intesa con il rettore dell'università definendo non solo il blocco delle sperimentazioni così invasive, ma anche il ricollocamento dei 16 esemplari di macachi presso centri di riabilitazione e cura con la finalità del recupero psico-fisico degli animali –:
   se risulti quali siano le attuali condizioni degli animali e per quale motivazione i 16 macachi non siano stati ancora ricollocati presso idonee strutture autorizzate dai Ministeri competenti ed adibite all'accoglienza di animali che necessitano di cure e riabilitazione;
   se non si ritenga necessario, anche per quanto prevede la direttiva europea in attuazione della quale è stato emanato il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 26, assumere ogni iniziativa di competenza affinché si possa pervenire alla immediata chiusura dello stabulario interdipartimentale dell'università di Modena e Reggio Emilia con sede a Modena in via del Pozzo, 71 e di quelli analoghi;
   se non si ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza affinché, nella città di Modena e in ogni altra parte del territorio nazionale, si risponda, oltre che alla normativa vigente, anche alla volontà dei cittadini italiani che secondo i dati Eurispes 2015 sono per l'87 per cento contrari alla sperimentazione animale, dando così inizio alla necessaria rivoluzione verso l'abolizione della sperimentazione animale a favore di una ricerca con metodi sicuri ed affidabili. (4-13596)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 190 del 2012, cosiddetta legge anticorruzione, ha introdotto all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, recante il testo unico del pubblico impiego, l'istituto anglosassone del cosiddetto whistleblowing, quale disciplina della tutela per il pubblico dipendente che segnala illeciti di cui venga a conoscenza nell'esercizio dell'attività svolta;
   la norma prevede che il dipendente che segnala condotte illecite è tenuto indenne da conseguenze pregiudizievoli in ambito disciplinare con la possibilità, in caso di adozione di «misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia», di inoltrare segnalazioni al dipartimento della funzione pubblica per i provvedimenti di competenza, nonché con l'esclusione dal novero dell'accesso agli atti per le dette segnalazioni; tuttavia, il disposto di cui all'articolo 54-bis lascia aperto il problema della disparità di tutela tra i soggetti in materia di segnalazione di illeciti;
   la disparità di trattamento s'individua tra il soggetto segnalante ed il soggetto segnalato; infatti, l'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 non prevede alcuna diretta tutela per i soggetti interessati da segnalazioni che riportino informazioni false rese con dolo o colpa, limitandosi la norma a stabilire un limite alla tutela del dipendente che ha segnalato l'illecito, specificando che la stessa tutela non si attiva «nei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione o per lo stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile»;
   tale lacuna è stata evidenziata anche dall'Anac nella determinazione n. 6 del 28 aprile 2015, recante le linee guida in materia di whistleblowing, che ha definito la norma «lacunosa» osservando in proposito che il «generico riferimento alle responsabilità penali per calunnia o diffamazione o a quella civile extracontrattuale, presuppone che tali responsabilità vengano accertate in sede giudiziale»; per queste ragioni l'Anac ha ritenuto che, allo stato attuale della normativa, «solo in presenza di una sentenza di primo grado sfavorevole al segnalante cessino le condizioni di tutela dello stesso»;
   per recepire il richiamo dell'Anac risulterebbe, quanto mai, opportuna una modifica legislativa che escludesse la tutela per il pubblico dipendente che abbia effettuato segnalazioni infondate, con dolo o colpa, qualora dalle medesime non sia derivato procedimento disciplinare a carico del soggetto segnalato, ovvero il medesimo si sia concluso con l'archiviazione, senza la necessità di attendere un giudicato di primo grado che attesti la falsità della segnalazione, anche in forza della considerazione che, da ultimo, il decreto delegato in materia di trasparenza ed anticorruzione, in attuazione dell'articolo 7 della legge n. 124 del 2015, cosiddetta riforma Madia della pubblica amministrazione, non ha previsto alcuna modifica del testo attuale dell'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se e quali iniziative di competenza intenda assumere onde pervenire alla modifica della normativa in materia di tutela del pubblico dipendente che segnala illeciti di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, circa la particolare posizione del dipendente oggetto di segnalazioni infondate, effettuate con dolo o colpa, anche in conformità a quanto indicato nelle linee guida in materia di cui alla determinazione dell'Anac n. 6 del 20 aprile 2015. (5-08987)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, DE ROSA, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, LOMBARDI, ALBERTI, PESCO e VILLAROSA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Direct Line è una compagnia di assicurazioni online con sede a Cologno Monzese (Milano). Nata nel Regno Unito nel 1985, ha aperto la sua prima filiale estera nel 1995 in Spagna a cui ha fatto seguito, nel 2001, l'apertura in Germania. Nel 2002 ha iniziato ad essere operativa anche in Italia. Nel 2015, MAPFRE, compagnia di assicurazione globale presente in 49 Paesi nel mondo, ha acquisito la divisione International di Direct Line di Italia e Germania;
   in data 11 giugno 2016, veniva pubblicato sul quotidiano di informazione online ilgiorno.it, la notizia riguardante l'annuncio di 200 esuberi su poco più di 800 dipendenti nella sede Direct Line di Cologno Monzese. La decisione comunicata dall'azienda intorno a mezzogiorno del 10 giugno 2016, ha portato i lavoratori, subito dopo essere arrivati a conoscenza della notizia, ad occupare il cortile interno della ditta e a proclamare uno sciopero ad oltranza;
   Direct Line ha motivato la sua scelta addossando le colpe alla crisi del mercato dei premi Rc auto in flessione del 20 per cento negli ultimi quattro anni, che ha portato ad una contrazione di quote di mercato, numero di clienti e redditività. Per tale motivo, l'impresa, a suo dire, è stata costretta ad annunciare i tagli del personale. Ha comunque specificato che, a breve, arriverà a stipulare un accordo con i sindacati, senza però dare alcuna indicazione riguardo a quale sia il genere di accordo inteso;
   le rappresentanze sindacali unitarie dell'azienda hanno commentato con sorpresa la decisione presa dai loro dirigenti dato che seppur gli stessi continuassero a negare, i dipendenti erano a conoscenza del momento di difficoltà che si stava attraversando. Proprio per tale motivo, i lavoratori hanno proposto strumenti alternativi come il part-time, i congedi temporanei e altro. Tutte le proposte sono state respinte dall'azienda, con la motivazione che il problema sarebbe di tipo strutturale;
   a giudizio delle rappresentanze sindacali unitarie, le procedure adottate nei confronti dei dipendenti risultano essere non regolari dato che, come indicato dal contratto nazionale di categoria Ania, prima degli esuberi l'azienda ha il dovere di riorganizzare il lavoro. Direct Line sostiene che un tentativo di ristrutturazione complessiva era stato fatto a ottobre 2015, ma le rappresentanze sindacali unitarie smentiscono tale dichiarazione, aggiungendo anzi che da mesi stanno chiedendo un nuovo piano industriale, senza però ricevere alcuna risposta;
   i manager dell'azienda, in maniera unilaterale, avrebbero dato disdetta del contratto integrativo dei lavoratori, non prevedendo una serie di benefit come i ticket, i permessi retribuiti, la polizza sanitaria e altro ancora. Queste privazioni, come denunciato dalle rappresentanze sindacali unitarie, porteranno ad un crollo della qualità della vita anche per chi non verrà licenziato;
   dai dirigenti è stata inoltre presa la decisione di non corrispondere più ai dipendenti le provvigioni per le polizze assicurative da loro stipulate. Ciò comporterà un nuovo stipendio al minimo tabellare, corrispettivo di 700 euro al mese contro le precedenti retribuzioni che, con le provvigioni, potevano variare dai 2.000 fino ai 1.500 euro;
   i dipendenti di Direct Line denunciano anche il rischio di subire pesanti modifiche dei turni di lavoro. Grazie a quanto ottenuto con il contratto integrativo, attualmente i lavoratori hanno una programmazione stabilita con sei mesi di anticipo. Se si arrivasse a disdire gli accordi pregressi, i turni potrebbero essere modulati giorno per giorno. Tale programmazione andrebbe a complicare drasticamente l'aspetto dell'organizzazione quotidiana di ogni singolo dipendente come può essere, per esempio, quella delle molte madri presenti nell'azienda;
   va tenuta in considerazione l'età media dei lavoratori della sede Direct Line di Cologno Monzese, corrispondente a 38 anni, che nel caso vi fosse la conferma degli esuberi annunciati, avrebbero oggettive difficoltà di ricollocazione nel mondo del lavoro –:
   se i Ministri interrogati non intendano istituire, qualora non l'abbiano già previsto, un tavolo nazionale di confronto con la società Direct Line e le rappresentanze sindacali, al fine di poter garantire la continuità aziendale e il mantenimento dei livelli occupazionali stipendiali e produttivi di tutti i lavoratori dell'azienda in questione;
   nel caso non si raggiunga un esito positivo per la vicenda non riuscendo ad evitare il licenziamento dei lavoratori della sopraindicata Direct Line, se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non possano assumere iniziative volte a favorire un piano di ricollocamento per i dipendenti stessi. (5-08985)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, LOMBARDI, PESCO, ALBERTI, DE ROSA e VILLAROSA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   General Electric Company è una multinazionale statunitense fondata nel 1892, leader nei settori di tecnologia, finanza, del manifatturiero e dei media;
   nel 1988, la General Electric ha acquisito Alsthom, che nel 1998 ha cambiato nome in Alstom, al fine di rendere la pronuncia senza la « h» più facile nei vari paesi ove è presente. Alstom, sin dal 1928, anno della sua fondazione, è specializzata nella costruzione di locomotive ed equipaggiamenti a trazione elettrica. Nel 1999 Alstom ha creato una joint venture con la multinazionale ABB, denominata ABB Alstom Power, nel campo dei sistemi di produzione di energia, della quale ha poi assunto il completo controllo. Il 2 novembre 2015, General Electric ha acquisto i settori di produzione e distribuzione di energia Power e Grid di Alstom;
   in data 13 gennaio 2016, veniva pubblicata sui più importanti quotidiani italiani la notizia riguardante la decisione della General Electric di sopprimere nelle divisioni europee della ex Alstom, 6.500 posti di lavoro sui 35 mila esistenti nel continente;
   un portavoce della General Electric, ha spiegato che la scelta è stata necessaria a causa del netto calo della domanda di turbine a gas registrata negli ultimi anni;
   in Europa, verranno eliminate 1.700 posizioni negli impianti situati in Germania, 765 in Francia e fino a 1.300 in Svizzera;
   nel nostro Paese, i tagli riguardano esclusivamente l'impianto di Sesto San Giovanni (MI) e non le sedi di Lecco e della provincia di Padova. Nella sede di Sesto San Giovanni, dove a lavorare attualmente sono 370 dipendenti, sono previsti 223 licenziamenti nell'anno 2016 e 26 nell'anno 2017, per un totale di 249. Nel dettaglio, in data 13 gennaio 2016 la direzione aziendale ha convocato in Assolombarda i rappresentanti dei lavoratori dichiarando i 249 esuberi (circa 40 dirigenti, 90 operai e i restanti, impiegati) e la totale dismissione del sito di Sesto San Giovanni con successiva completa chiusura della fabbrica;
   le organizzazioni sindacali nazionali, le istituzioni locali, il comune di Sesto San Giovanni con delega di 46 comuni, regione Lombardia e, con l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07477, il deputato del M5S Davide Tripiedi, hanno chiesto l'intervento del Ministero dello sviluppo economico che, in data 26 febbraio 2016, ha convocato il primo di una serie di tavoli nazionali di confronto con l'azienda e le parti sociali. In tale occasione, GENERAL ELECTRIC ha ribadito la necessità di aprire la procedura di mobilità per tutti i 249 esuberi. Manifestazioni di contrarietà alla decisione presa dall'azienda sono state espresse dalle organizzazioni sindacali, dalle istituzioni e dai rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico che, nel tavolo tenutosi, ha dichiarato che nei prossimi 20 anni il fabbisogno energetico del paese non potrà reggersi solo sulle fonti di energia rinnovabile e che, considerando il patrimonio attuale delle centrali energetiche obsoleto, vi è la necessità di renderle innovative ed al passo con il progresso. In tale contesto, Alstom Power deve continuare a produrre senza perdere professionalità e, anzi, dovrebbe affrontare un piano per il suo rilancio. Il Ministero dello sviluppo economico invitato quindi GENERAL ELETTRIC a trovare una soluzione atta a salvaguardare l'intera occupazione e produzione di Sesto San Giovanni, ricercandola all'interno del Gruppo GENERAL ELETTRIC Italia o, in alternativa, all'esterno dello stesso. Un ulteriore appunto sollevato dai rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico è che l'azienda avrebbe dovuto impegnarsi a riportare il lavoro in fabbrica, cosa che invece già da tempo non faceva, dislocandolo all'estero;
   in data 13 aprile 2016, si è tenuto il secondo tavolo al Ministero dello sviluppo economico. Anche in questa occasione, GENERAL ELETTRIC ha ribadito la sua posizione rispetto agli esuberi, dichiarando che esistono alcune commesse che possono essere fatte rientrare in fabbrica ma che, nonostante tutto, ha necessità di aprire al più presto la procedura di mobilità;
   in data 21 aprile 2016, nel terzo incontro, GENERAL ELETTRIC ha rassicurato che non avrebbe aperto la procedura di mobilità, comunicando la presenza di un possibile acquirente, senza rivelarne tuttavia il nome;
   in data 31 maggio 2016, si è svolto il quarto tavolo di confronto. Contrariamente a quanto affermato nel precedente incontro, GENERAL ELETTRIC ha aperto, il 16 maggio 2016, la procedura per il licenziamento collettivo, bloccando tutte le commesse acquisite dallo stabilimento di Sesto San Giovanni, mandandone una addirittura alla Franco Tosi, diretta concorrente della Alstom Power;
   come previsto per legge, in data 7 giugno 2016 si è svolto il primo incontro in Assolombarda per l'apertura della procedura di mobilità. Le organizzazioni sindacali, come già espresso nell'ultimo incontro in sede ministeriale, hanno richiesto il congelamento di tale procedura al fine di valutare al meglio il percorso con il probabile acquirente, ma l'azienda ha mantenuto la propria posizione;
   in data 8 e 9 giugno 2016, in risposta alla presa di posizione dell'azienda, sono state organizzate due giornate di blocco totale dello stabilimento di Sesto San Giovanni. Il martedì successivo, 14 giugno 2016, dall'inizio dell'orario di lavoro e per tutta la giornata, dall'azienda è stato assoldato un gruppo di una decina di vigilanti armati di manganello telescopico con la disposizione di pattugliare all'interno della fabbrica e degli uffici. I vigilanti hanno seguito i dipendenti durante i loro abituali lavori e i loro spostamenti. Tale situazione ha portato i lavoratori ad un elevato livello di frustrazione, con le guardie che di fatto li avrebbero pedinati passo dopo passo e avrebbero ascoltato i loro discorsi, proiettandoli dallo stato di drammaticità dovuto alla situazione di precarietà occupazionale che stanno vivendo a quello di esasperazione, di fatto innescato dai loro dirigenti;
   gli interroganti ritengono gravissima la decisione presa dai dirigenti della GENERAL ELETTRIC, di affiancare delle guardie ai lavoratori all'interno dell'azienda. Gravissima perché le norme vigenti vietano il comportamento adottato dai datori di lavoro nei confronti dei propri dipendenti. Infatti, l'articolo 2 della legge n. 300 del 1970, stabilisce che il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale e che le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. Inoltre, cosa ancora più grave per i dirigenti dell'azienda, è fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull'attività lavorativa le guardie che non possono accedere nei locali dove si svolge la stessa attività, proprio durante lo svolgimento della stessa se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di tutela del patrimonio aziendale. In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni del presente articolo, l'ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi –:
   se i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, abbiano previsto ulteriori iniziative, differenti da quelle sin qui adottate, al fine di evitare i licenziamenti dei lavoratori della Alstom Power della sede di Sesto San Giovanni e di garantire, nell'imminente futuro, un serio piano industriale atto al mantenimento dell'occupazione;
   se il Governo anche alla luce di quanto sancito dall'articolo 2 della legge n. 300 del 1970 indicato in premessa, non ritenga di promuovere controlli presso l'azienda indicata, anche tramite l'ispettorato del lavoro, al fine di verificare per quanto di competenza, eventuali responsabilità dei soggetti che hanno autorizzato e che hanno fisicamente svolto i controlli all'interno dello stabilimento nei normali orari di lavoro, adottando qualora siano riscontrate irregolarità, adeguate iniziative al riguardo. (5-08992)


   OLIARO e BORGHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della direttiva comunitaria 97/67/CE (recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 261 del 1999), si è aperta per la prima volta in Italia la concorrenza in ambito postale;
   con la direttiva europea n. 2008/6/CE ÌUE ha previsto che gli Stati membri aboliscano qualunque forma di monopolio, di riserva e di diritti speciali nel settore postale e adottino tutte le misure necessarie alla completa apertura del mercato (regolamentazione del servizio universale, accesso alle infrastrutture postali, determinazione dei prezzi e delle tariffe dei servizi postali);
   nella consultazione pubblica «Regolamento in materia di titoli abilitativi per l'offerta al pubblico di servizi postali» (indetta dall'Autorità AgCom con delibera n. 485/14/CONS), è stato rilevato che «l'attuale scenario di mercato è caratterizzato da un numero elevatissimo di soggetti abilitati all'offerta di servizi postali» e che «sotto tale profilo, la situazione italiana è assolutamente anomala se confrontata con quella esistente a livello europeo», non risultando ancora regolamentato il servizio universale e l'accesso all'infrastruttura postale;
   l'elenco rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico non prevede una sostanziale categorizzazione degli operatori postali operanti in Italia; da tale elenco si può evincere solamente che la maggior parte degli operatori si dedica al trasporto e consegna della corrispondenza in città (cosiddetti recapitisti con modalità non meglio specificate), mentre non risulta essere assolutamente specificato quali siano gli operatori retail che operano nel mercato postale nazionale attraverso la vendita di speciali etichette ed attraverso una propria rete di cassette di impostazione alternativa a quelle di poste italiane;
   è stato registrato, in particolare, un aumento considerevole dei titoli abilitativi (licenze e autorizzazioni) rilasciati (quasi 900 sia nel 2012 che nel 2013) per un totale ad oggi di circa 4.000 titoli, ammonta a 2.516 il numero totale delle imprese che risultano in possesso di un titolo abilitativo e, in assenza di ulteriori informazioni sulla tipologia di attività postale concretamente svolta dai soggetti abilitati, si può ragionevolmente presumere che la maggior parte dei soggetti abilitati a diverso titolo ad operare nel settore postale svolgano un ruolo di intermediazione o siano attivi solo in alcune specifiche fasi della catena logistica dei servizi postali e operino in ambito locale;
   la stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ammette una difficoltà nell'individuare l'attività concretamente svolta dai soggetti abilitati e la loro esatta collocazione nella catena logistica dei servizi postali e del loro ambito d'azione (locale o nazionale), così come gli stessi operatori sottolineano la necessità di ottenere una chiara distinzione, attraverso una categorizzazione che tenga conto dell'attività prevalentemente erogata: attorno a questa infatti, ciascun operatore struttura la propria società considerando il mercato di riferimento, il grado di incidenza nella catena logistica dei servizi postali e l'area di operatività (locale, regionale o nazionale);
   con riferimento alla consultazione pubblica dell'Agcom sullo «Schema di regolamento licenze e autorizzazioni» tenutasi 17 novembre 2014, la stessa Autorità afferma che in ambito retail «la differenziazione territoriale costituisce una proposta interessante sebbene non sia stata espressamente prevista dalla normativa nazionale». «L'autorità si appresta a sostituire una regolamentazione che è in vigore dal 2000 e che vede oggi un numero di titoli abilitativi che non ha eguali in Europa»;
   a differenza di molti altri Stati europei Regno Unito, Spagna, Polonia, Germania, Norvegia e Belgio), l'adeguamento richiesto dall'Unione europea e avvenuto tanto lentamente da non essere stato completato del tutto e così, a distanza di 16 anni, gli operatori postali che intendono offrire un servizio di tipo retail, ovvero basato su un concetto di vendita di servizio postale con business model basato sull'efficacia di raccolta dalla propria rete, si imbattono in una regolamentazione per certi aspetti limitante in quanto ancora in via di definizione;
   infatti, mentre altrove gli operatori postali privati intenzionati ad entrare nel mercato nazionale possono limitare il rischio d'impresa in quanto la normativa vigente gli consente di poter stipulare con l'ex monopolista accordi commerciali individuali e non discriminatori, differenti tra di loro per via delle caratteristiche del servizio offerto, in Italia, il rischio di impresa è elevatissimo perché, anche a fronte di un elevato investimento iniziale già sostenuto, gli operatori postali entranti non sono sufficientemente tutelati ed hanno poche possibilità di raggiungere nuovi accordi commerciali adeguati e ragionevoli con l'ex monopolista di Stato, in grado di consentire la nascita e lo sviluppo di un libero mercato;
   il Regno Unito, ad esempio, è tra i Paesi che hanno regolato il fenomeno attraverso l'adozione di uno specifico codice di condotta, tramite il quale l'autorità di regolamentazione ha inteso definire alcune «procedure postali operative comuni». Tali disposizioni stabiliscono le modalità di restituzione della posta di altri operatori, introducendo anche dei criteri per la valutazione dei costi applicabili alle operazioni connesse. Il codice funge da accordo di «default», volto ad assicurare che, in assenza di accordi sottoscritti tra i fornitori di servizi postali e l'operatore designato di fornire il servizio universale postale, siano comunque applicate delle disposizioni in grado di assicurare agli utenti la corretta fornitura del servizio;
   anche la Spagna, nel recepire la normativa europea sulla liberalizzazione del comparto postale, ha previsto una forte tutela della concorrenza in ambito postale, tra l'altro obbligando l'ex incumbent ad accettare accordi differenti con i nuovi operatori postali e a mettere a disposizione la propria rete postale presente sul territorio, nonché istituendo una commissione di sorveglianza e risoluzione di conflitti entro tempi certi –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per regolamentare e gestire la comprovata nascita di una sana concorrenza in questo settore che ha già attirato investimenti e creato nuova occupazione, in considerazione del fatto che, alle attuali condizioni di mercato, alcuni operatori postali privati eroganti servizio retail si sono dimostrati addirittura capaci di ripristinare il tradizionale servizio postale nei territori montani e morfologicamente più svantaggiati del Paese;
   se non ritenga, per poter raggiungere questo obiettivo, di dover assumere iniziative per procedere ad un riconoscimento della categoria di operatori postali privati di tipo retail capace di tutelare la qualità offerta al consumatore finale e di assoggettare tutti questi operatori al rispetto di una medesima normativa infrastrutturale, fiscale e di reciprocità contrattuale orientata al costo di mercato ed ai costi emergenti, che consenta di stipulare specifici accordi con l'ex monopolista o altri operatori postali di tipo privato appartenenti alla medesima categoria. (5-08996)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI e BRATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da numerosi articoli apparsi sulla stampa nazionale e sui social media si apprende che le associazioni ambientale Legambiente, WWF e Greenpeace hanno presentato nel maggio 2016 una diffida al Ministero per lo sviluppo economico e, per quanto di competenza, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per chiedere lo smantellamento a rigore di legge delle piattaforme la cui attività estrattiva in mare sia esaurita prima dell'entrata in vigore della legge 28 dicembre 2015 n. 208, ovvero legge di stabilità 2016;
   tale disposizione fa salvi, come sopraddetto, solo ed esclusivamente i titoli abilitativi già rilasciati e non le istanze di ricerca e/o coltivazione o le istanze di proroga avanzate nel frattempo fino a tutto il 2015. Ora risulta che i seguenti 10 titoli abilitativi scaduti tra il 2014, in cui ne è scaduto 1, e il 2015, in cui ne sono scaduti 9, relativi a piattaforme offshore localizzate nella fascia di interdizione delle 12 miglia, siano da considerarsi decaduti, pur in presenza nella maggior parte dei casi di istanze di proroga. Più precisamente:
   risulta scaduta nel 2014 con istanza di proroga:
    B.C 5.AS: Titolo vigente da 41 anni e 6 mesi – Inizio 12 novembre 1974 – I proroga (30+10) – ADRIATICAI. 100 per cento;
   risultano scadute nel 2015 con istanza di proroga:
    A.C1.AG: Titolo vigente da 45 anni e 8 mesi – Inizio 13 settembre 1970 – II Proroga (30+10+5) – ENI 100 per cento;
    A.C2.AS: Titolo vigente da 45 anni e 5 mesi – Inizio 3 dicembre 1970 – II Proroga (30+10+5) – ENI 100 per cento;
    A.C3.AS: Titolo vigente da 45 anni e 5 mesi – Inizio 3 dicembre 1970 – II Proroga (30+10+5) – ENI 100 per cento;
    A.C8.ME: Titolo vigente da 40 anni e 6 mesi – Inizio 5 novembre 1975 – II Proroga (30+10+5) – ENI 100 per cento;
    A.C9.AG: Titolo vigente da 36 anni e 6 mesi – Inizio 23 ottobre 1979 – Termine 25 ottobre 2009 – II proroga (30) – ENI 100 per cento;
    A.C14.AS: Titolo vigente da 35 anni e 1 mese – Inizio 18 marzo 1981 – I periodo (30) ENI 51 per cento – EDISON 49 per cento;
    B.C1.LF: Titolo vigente da 45 anni e 8 mesi – Inizio 27 agosto 1970 – II proroga (30+10+5) – ENI 95 per cento/Gas Plus 5 per cento;
    B.C2.LF: Titolo vigente da 45 anni e 5 mesi – Inizio 27 luglio 1970 – II proroga (30+10+5) – ENI 95 per cento/Gas Plus 5 per cento;
   risulta scaduta nel 2015 senza istanza di proroga:
    D.C3.AG: Titolo vigente da 35 anni e 4 mesi – Inizio 6 dicembre 1980 – Termine 16 dicembre 2010 – I periodo (30) – ENI 100 per cento.
   a quanto si apprende dalla stampa e sulla base dei dati forniti da Unmig – Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse si sarebbe dovuto dichiarare la decadenza dei titoli abilitativi e rigettare le istanze delle concessioni offshore classificate come «non operative». Decadenza peraltro prevista dal nostro ordinamento da circa 90 anni, ex regio-decreto n. 1447 del 1927;
   inoltre, secondo dati Unmig aggiornati al 2016, 42 delle 88 piattaforme o strutture emerse localizzate nella fascia offlimits delle 12 miglia (il 47,7 per cento del totale) sono state costruite prima del 1986 e quindi non sono stata mai sottoposte a valutazione di impatto ambientale. Si aggiunga che il mantenimento delle concessioni per tali strutture emerse, se non più produttive e non rimosse, impedisce l'accesso per altri usi ad aree demaniali marine localizzate nelle acque territoriali italiane e che le piattaforme offshore, facenti capo a dette concessioni, costituiscono un ostacolo e un rischio per la sicurezza e per la navigazione;
   il Decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 145 – «Attuazione della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE», all'articolo 25, comma 3, prevede poi che: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche avvalendosi dell'ISPRA, trasmetta annualmente alle Commissioni parlamentari competenti un rapporto sugli effetti per l'ecosistema marino della tecnica dell'airgun» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopraesposti e come intendano rispondere alla sopracitata diffida promossa dalle associazioni Legambiente, WWF e Greenpeace;
   se non intendano, per quanto di competenza, redigere l'elenco delle piattaforme «esauste» e non soggette a proroga di attività ex lege 28 dicembre 2015, n. 208, affinché se ne provveda da parte del concessionario allo smantellamento e alla bonifica;
   se il rapporto sugli effetti per l'ecosistema marino della tecnica dell'Airgun sia in fase di redazione, posto che lo stesso, ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 145 del 2015, deve essere presentato annualmente alle Commissioni parlamentari competenti. (4-13573)


   MURA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane garantisce l'espletamento del «servizio universale» sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, grazie al quale riceve importanti contributi;
   il contratto medesimo impegna Poste Italiane a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   tra le finalità dichiarate dalla società ci sono, come confermato anche dalla nuova governance, l'attenzione all'innovazione e alle persone e la «vicinanza territoriale»;
   il nuovo piano industriale punta a riorganizzare il servizio sull'intero territorio nazionale in base alla effettiva domanda dei cittadini;
   il piano prevede un totale di 1064 interventi, 455 sportelli postali da chiudere, i più piccoli, e la riduzione degli orari di apertura in 609 uffici;
   il piano del gruppo prevede la possibilità che la posta venga consegnata a giorni alterni nel 25 per cento del territorio nazionale e ritocchi sulle tariffe, sui quali l'Agcom ha chiesto delle correzioni e aperto due consultazioni pubbliche;
   il piano industriale non prevede, inoltre, nuove aperture di sportelli bancomat «bancoposta»;
   tale piano, come osservato da più parti, rischia di penalizzare le fasce più deboli della popolazione e non è stato concordato con gli enti locali interessati, che vedranno i propri territori privati di un servizio fondamentale;
   particolarmente penalizzate sono le comunità che abitano nei piccoli comuni, nelle aree rurali in zone montane o marginali o quei territori dove forte è la presenza degli anziani che non hanno la possibilità di spostarsi da un centro abitato all'altro se non con l'ausilio di terze persone;
   più che a una razionalizzazione si assiste quindi a un vero e proprio taglio di un servizio pubblico essenziale, con la chiusura di uffici in aree del Paese fortemente disagiate e penalizzate;
   in Sardegna è prevista la chiusura di due uffici, mentre per altri 14 è stata prevista la riduzione di orario che rischia di produrre gravi effetti in territori isolati e colpiti dal fenomeno dello spopolamento abitativo;
   tale ridimensionamento è soltanto l'ultimo di una serie che hanno già portato alla chiusura di numerosi sportelli postali nell'isola: il timore è che Poste Italiane possa procedere alla chiusura di altri uffici in Sardegna, penalizzando ulteriormente comunità che negli ultimi anni hanno visto una drastica riduzione dei servizi essenziali (presidi di carabinieri, sportelli bancari, farmacie e altri);
   è di tutta evidenza che nei piccoli comuni, nelle aree interne – e in particolare in quelle in via di spopolamento – i servizi non possono essere organizzati nello stesso modo rispetto alle città e ad altre zone ad alta densità di popolazione;
   è incomprensibile, anche per gli effetti che è destinata a produrre, la decisione di chiudere la filiale di Cortoghiana, centro sardo di tremila abitanti che non può rinunciare a un servizio indispensabile;
   nel comune di Ardara l'attività degli sportelli passerà da 6 a 3 giorni alla settimana, orari dimezzati anche per l'ufficio di Ballao, mentre a Borutta gli impiegati riceveranno gli utenti soltanto due giorni alla settimana invece di tre. La filiale di Cheremule passerà al part-time chiudendo per tre giorni a settimana. A Esporlatu l'orario accorciato sarà ulteriormente ridotto, le tre aperture settimanali scenderanno a due. Identico ridimensionamento interesserà gli uffici di Genuri, Modolo e Turri. A Ozieri e Pauli Arbarei le saracinesche si alzeranno per tre giorni ogni settimana, un giorno in meno rispetto a ora. A Tuili e Nurallao si passerà da 6 giorni a 3 giorni. Infine a Nughedu San Nicolò e Romana da 6 a 4 giorni;
   è tutt'altro che infondato il timore che alla riduzione di orario possa seguire la chiusura dei 14 uffici postali tutti situati in piccoli comuni della Sardegna;
   il servizio postale rappresenta, soprattutto per la popolazione anziana, l'unico presidio in termini di servizio finanziario accessibile localmente;
   Poste Italiane oltre a molteplici servizi tradizionali offre anche importanti servizi bancari: conti correnti, libretti di risparmio, carte di credito, carte prepagate, investimenti obbligazionari, oltre ai pagamenti delle pensioni;
   a oggi non è chiaro come Poste Italiane intenda mantenere il livello di servizi ai cittadini in quei comuni dove è prevista la chiusura degli uffici postali;
   non convincono le rassicurazioni di Poste che, come si legge in un documento presentato in Parlamento, afferma: «Il 90 per cento dei Comuni coinvolti nel piano chiusura ha già oggi il postino telematico. Il progetto Postino telematico in corso di realizzazione, raggiungerà un livello di copertura del 100 per cento del territorio nel 2016» –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, in particolare, per impedire la chiusura e la riduzione di operatività di diversi e ulteriori uffici postali della Sardegna;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per assicurare l'erogazione dei servizi pubblici essenziali in quelle aree del Paese che, come le zone interne e i piccoli comuni della Sardegna, sono fortemente penalizzate a causa dell'isolamento, della bassa densità della popolazione, dell'ampiezza e morfologia del territorio, della cronica inadeguatezza del sistema dei trasporti e della viabilità.
(4-13575)


   QUARANTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   ai primi di giugno 2016 Ericsson annuncia il nuovo piano industriale che prevede a livello nazionale 385 esuberi su quattromila dipendenti, mentre per Genova gli esuberi sono calcolati in 147 unità entro il 2016 e 44 per il 2017, operazioni che coinvolgeranno i dipartimenti di ricerca e sviluppo. Questa decisione è l'ultima di una serie che ha portato i dipendenti genovesi della multinazionale, colosso nel campo di ricerca e sviluppo nelle telecomunicazioni e gestore delle reti mobili di H3G e Vodafone da circa 1100 a circa 600 unità;
   negli ultimi nove anni la multinazionale ha compiuto ben 13 operazioni di «snellimento» del personale, causando il dimezzamento della sua forza lavoro su Genova, la sede più penalizzata in Italia: si concentra, infatti, a Genova il 30 per cento degli esuberi di Ericsson Italia. Eppure l'acquisizione di Marconi da parte della multinazionale svedese nel 2006 per 2,10 milioni di euro sembrava nascere sotto i migliori auspici: insieme al marchio rilevava la maggioranza delle attività relative alle reti di accesso, agli apparati e servizi Data Networks con base in Nord America, i servizi internazionali che includono le attività di telecomunicazioni (installazione, commissioning e manutenzione) non stanziate nel Regno Unito, le attività nei servizi a valore aggiunto (VAS) nel Medio Oriente e le attività relative ai servizi Wireless Software. I dipendenti erano 3228 complessivamente nelle sedi di Genova, Roma, Napoli, Assago (Mi), Mestre, Caserta e Torino per quanto attiene al contratto delle Telecomunicazioni;
   la sede genovese viene inaugurata il 24 maggio 2012 e si sviluppa su 18 mila metri quadri su 7 piani nel villaggio scientifico degli Erzelli. Qualche giorno prima, il 19 maggio 2012 regione Liguria, comune e provincia di Genova, insieme con i Ministeri dello sviluppo economico e dell'istruzione, dell'università e della ricerca firmano con Ericsson Telecomunicazioni spa l'accordo di programma. L'accordo prevede un finanziamento complessivo di 41,9 milioni di euro (24 milioni del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, di cui circa 5 milioni a titolo di contributo e circa 19 milioni come credito agevolato; 6,9 milioni del Ministero dello sviluppo economico, di cui 4,6 milioni quale contributo alla spesa e 2,3 milioni come contributo in conto, interessi e 11 milioni di regione Liguria di cui 5,3 quale contributo alla spesa e 5,7 in forma di credito agevolato a valere sull'Asse 1 – Misura 1.1 del POR-FESR 2007-2013) per la realizzazione del nuovo centro di ricerca e sviluppo di apparati e sistemi di telecomunicazione dell'azienda all'interno del Parco scientifico e tecnologico di Erzelli del costo complessivo previsto pari a 73,3 milioni di euro;
   il «contributo» pubblico viene chiesto dall'azienda con lo scopo di incentivare nuovi progetti di ricerca da sviluppare nell'ambito delle telecomunicazioni con la prospettiva di una crescita occupazionale sul territorio. A fronte vanno però presentati, come da accordo di programma, dei progetti di ricerca che l'azienda prevede a partire dalla seconda metà del 2012 con l'obiettivo di ultimarli entro il 2014; diversamente Ericsson, nei primi mesi del 2014 decide di non portare avanti i progetti e, contemporaneamente, la regione Liguria decide di detrarre 9 degli 11 milioni previsti dall'accordo sopracitato. Meno chiaro è invece l'esito della richiesta circa i fondi riferiti al Ministero dello sviluppo economico, questo a quanto riferiscono le stesse organizzazioni sindacali;
   nel nuovo piano industriale, presentato alle organizzazioni sindacali nel mese di giugno, Ericsson oltre ad annunciare il piano esuberi, manifesta un forte interesse al progetto del Governo riguardante la banda ultra larga che prevede un importante investimento futuro da parte del Ministero dello sviluppo economico. Ad oggi la multinazionale svedese sembra essere il giusto player viste le competenze che potrebbe mettere in campo: tecnologie di rete ottica, tecnologia IP routing ed i sistemi di gestione e controllo di rete, ambiti tecnologici dove le sedi di ricerca e sviluppo di Genova e Pisa erano da sempre fra i leader mondiali e, oggi nonostante tutto, ancora potrebbero esserlo;
   va tenuto conto dell'importanza strategica della multinazionale nel settore delle telecomunicazioni e il forte impatto che avrà il piano esuberi appena annunciato che certamente potrebbe essere il prodromo di un possibile disimpegno sia a livello nazionale che locale, e va considerato l'impegno che il Governo dovrebbe profondere nel vigilare su come vengono investiti i fondi da esso erogati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno chiarire se i contributi di competenza del Ministero dello sviluppo economico siano stati erogati nel corso di questi anni e, nel caso, se gli investimenti abbiano rispettato l'accordo di programma siglato;
   considerate le alte competenze presenti della sede genovese e alla luce delle penalizzazioni già subite, se non ritenga necessario assumere iniziative di competenza affinché siano revocati gli esuberi nelle sedi di Genova e Pisa, facendo sì che l'azienda utilizzi proprio queste stesse competenze presenti in Italia per competere proficuamente nelle future gare di assegnazione della banda ultra larga.
(4-13577)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2011 la compagnia aerea MeridianaFly ha ottenuto dallo Stato un accordo di cassa integrazione per i suoi dipendenti;
   tre mesi più tardi la stessa compagnia ha acquistato Air Italy, compagnia aerea fondata nel 2005 e già all'epoca dell'acquisizione in grande difficoltà economica, cui sta progressivamente trasferendo la quasi totalità delle sue attività;
   a causa di questi trasferimenti oggi 1353 lavoratori della MeridianaFly sono fermi in cassa integrazione e alla sua scadenza, il 26 giugno 2016, l'attuale dirigenza ha intenzione di licenziarne circa 845, nonostante la crescita costante del mercato del trasporto aereo, attualmente attestata sul sei per cento annuo, e l'interesse di grossi investitori internazionali finalizzato al suo sviluppo;
   la scelta commerciale di puntare sul più noto marchio MeridianaFly piuttosto che Air Italy ha fatto sì che gli aerei della seconda siano stati dipinti con i colori sociali della prima, rendendo di fatto impossibile agli utenti riconoscere se stanno volando con aerei ed equipaggi MeridianaFly, che vantano oltre cinquanta anni di attività ed esperienza, o Air Italy, attiva da appena dieci anni;
   l'assetto societario, invece, viene mantenuto separato, nonostante il personale di Meridiana, anche al fine di scongiurare l'ipotesi dei licenziamenti, stia chiedendo da almeno cinque anni l'unificazione delle due aziende per porre termine alla concorrenza interna e alla distruzione dei diritti fondamentali dei lavoratori operata attraverso la cessione di attività verso la compagnia Air Italy;
   tale unificazione, peraltro, è stata già realizzata tra il personale tecnico di Meridiana e quello di Air Italy;
   sembra che la flotta MeridianaFly sarà ridotta a sei aerei, sui quali opererà un equipaggio di circa centoventi/centocinquanta persone, determinando l'esubero di cinquecentosessanta assistenti di volo;
   di tale contingente appena centocinquanta unità potrebbero essere ricollocate in Air Italy nelle basi operative di Milano e Napoli per il fabbisogno previsto dall'impiego dei quattro aerei 767 e tredici B737 previsti dal piano del Presidente Rigotti fino al 2019, attestando il numero definitivo degli esuberi su circa quattrocentodieci persone;
   l'unificazione del personale di MeridianaFly e Air Italy consentirebbe di scongiurare tali licenziamenti attraverso l'attivazione dei contratti di solidarietà a carico di tutti i dipendenti;
   tale soluzione potrebbe ripristinare condizioni minime di giustizia, di equità e di legalità, posto che il trasferimento delle attività di MeridianaFly alla controllata Air Italy mentre i dipendenti Meridiana sono in regime di cassa integrazione è oggetto di un'indagine della procura di Tempio Pausania per truffa aggravata ai danni dello Stato che ha portato al recapito di avvisi di garanzia per quattro dirigenti della compagnia;
   inoltre, lo svuotamento di Meridiana a favore di Air Italy sta realizzando un modello di «riorganizzazione industriale» di dubbia legittimità che, qualora fosse portato a termine, potrebbe essere riprodotto in qualunque altra realtà lavorativa, mettendo in pericolo ogni singolo posto di lavoro e azzerando i diritti maturi dai lavoratori –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda porre in essere al fine di mantenere i livelli occupazionali della, società MeridianaFly, se del caso attraverso gli interessi di cui in premessa, tutelando tutti i dipendenti e le loro famiglie. (4-13579)


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dello sviluppo economico, in ossequio alla legge n. 9 del 1991, è deputato al rilascio di titoli minerari a società italiane o estere aventi idonei requisiti dal punto di vista tecnico-finanziario;
   tali requisiti sono volti esclusivamente ad accertare le capacità dell'istante o del concessionario ai fini dell'esercizio degli impianti e dell'eventuale gestione di scenari incidentali secondo quanto previsto dall'articolo 4 del decreto ministeriale 25 marzo 2015 recante misure di aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell'articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164;
   lo stesso dicasi delle informazioni richieste sulla base dell'articolo 6 del decreto direttoriale 15 luglio 2015 «Procedure operative di attuazione del decreto ministeriale 25 marzo 2015 e modalità di svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e dei relativi controlli»;
   esistono, però, requisiti più generali da cui scaturiscono stringenti obblighi inerenti alla trasparenza nella composizione societaria dei contraenti con la pubblica amministrazione previsti dall'articolo 17 della legge 55 del 1990 recante «Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale». Nella categoria dei contraenti ricadono anche i «concessionari». Tali regole vietano la stipula di atti di concessione pubblica con soggetti di cui sia ignota l'esatta composizione societaria e/o per le quali vi sia la possibilità di interposizione tra Stato e soggetti che rimarrebbero ignoti pur traendo in tutto o in parte i benefici derivanti dall'atto di concessione e non consentendo inoltre la cessione di contratti da parte degli originari contraenti/concessionari in favore di società fiduciarie e/o con compagine nascosta;
   il successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 maggio 1991, n. 187 «Regolamento per il controllo delle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatari di opere pubbliche e per il divieto delle intestazioni fiduciarie, previsto dall'articolo 17, comma 3, della legge 19 marzo 1990, n. 55, sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso», specifica nel dettaglio gli obblighi di trasparenza, che si estendono – come accennato – anche agli accordi che possano comportare conseguenze sul controllo della società «1. Le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, le società cooperative per azioni o a responsabilità limitata, le società consortili per azioni o a responsabilità limitata aggiudicatarie di opere pubbliche, ivi comprese le concessionarie e le subappaltatrici, devono comunicare all'amministrazione committente o concedente, prima della stipula del contratto o della convenzione, la propria composizione societaria, l'esistenza di diritti reali di godimento o di garanzia sulle azioni «con diritto di voto» sulla base delle risultanze del libro dei soci, delle comunicazioni ricevute e di qualsiasi altro dato a propria disposizione, nonché l'indicazione dei soggetti muniti di procura irrevocabile che abbiano esercitato il voto nelle assemblee societarie nell'ultimo anno o che ne abbiano comunque diritto»;
   lo stesso codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006) richiama espressamente tale norma, proprio a significare la sua generale applicabilità alle attività che prevedono accordi tra Stato e privati. Lo stesso Consiglio di Stato, Sez. V, 22/7/2002, con la sentenza n. 4010 ha evidenziato la portata generale della legge 55 del 1990: «15 Le regole della trasparenza societaria contenute nella legge n. 55/90 mirano a prevenire gravi pericoli di infiltrazione della criminalità organizzata e presidiano la salvaguardia di interessi essenziali dell'ordinamento»;
   le concessioni di coltivazione riguardano lo sfruttamento di un patrimonio pubblico quale un giacimento, parte del quale verrebbe sfruttato con il regime delle franchigie fino ad una quota di produzione (quindi sostanzialmente senza introiti di royalty per lo Stato). Appare pertanto evidente che la procedura di individuazione del contraente debba essere sottoposta agli obblighi generali della legge n. 55 del 1990. A mero titolo di esempio, recentemente il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, assieme al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il 15 giugno 2016 ha emanato il decreto di compatibilità ambientale favorevole per lo scavo del pozzo «Armonia 1 dir» a Solarolo, in provincia di Ravenna;
   il beneficiario del provvedimento è la società AleAnna Resources LLC avente sede principale nello Stato statunitense del Delaware; l'azienda è assegnataria del permesso di ricerca «Ponte dei grilli», conferito dal Ministero dello sviluppo economico il 30 marzo 2009 su un'estensione di 25.845 ettari nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna;
   questa società è concessionaria unica di otto permessi di ricerca, contitolare di un altro; sul proprio sito Web si sostiene che «AleAnna Energy, LLC è una società del Delaware, controllata e operata dalla joint venture fra BRS Resources, Ltd., società per azioni canadese, e Bluescape Resources, società indipendente che opera nel settore gas e petrolio. Kerns/Aleanna, LP è una società del Delaware. I finanziamenti per i progetti in Italia provengono da una società privata di investimenti basata a New York»;
   il Delaware è notoriamente uno Stato dove vige un regime di fiscalità particolarmente vantaggioso che permette inoltre la schermatura della reale proprietà delle società;
   anche per altri operatori che hanno concessioni in Italia vi sono riferimenti a passaggi societari in Stati in cui vigono normative fiscali particolarmente favorevoli a chi voglia nascondere la reale proprietà delle società. Ad esempio, in relazione alla procedura di rilascio di titoli minerari alla Società Rockhopper (già Medoilgas), a seguito di notizie comparse sulla testata «Il Resto del Carlino» (articolo del 12 luglio 2008), fu presentata un'interrogazione parlamentare (interrogazione n. 4-01191), da cui risultava che i titoli in esame sarebbero stati trasferiti più volte tra società; nell'articolo de Il Resto Quotidiano si menziona anche «la disponibilità di terze parti ad entrare nell'affare attraverso l'emissione di «bond convertibili» e spuntano la Med Oil ltd e la Transcontinental Investment Pty ltd»;
   la conseguente risposta del Ministero dello sviluppo economico relativa alle competenze dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse non aveva ad avviso degli interroganti colto nel segno delle implicazioni legali ed amministrative. Si limitava a richiamare, infatti, gli obblighi relativi alla capacità tecnico-finanziaria del richiedente, ma questo attiene esclusivamente all'affidabilità dello stesso per l'effettuazione dei lavori e per eventuali interventi in caso di incidente. La Rockhopper ha in concessione numerosi titoli minerari in Italia come risulta dal sito dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse;
   sempre a mero titolo di esempio, secondo notizie divulgate alla stampa (https://www.energyvoice.com) l'intero controllo della società irlandese Petroceltic è oggi riconducibile ad un hdge Fund chiamato Worldview Capital con sede presso le Isole Cayman; anche questa società ha diversi titoli minerari come risulta sul sito dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse –:
   se l'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, prima di procedere al rilascio dei titoli minerari e, più in generale, nelle ordinarie attività di sorveglianza e vigilanza relative all'applicazione della normativa che impedisce le intestazioni fiduciarie, abbia provveduto, negli ultimi cinque anni, a svolgere le dovute verifiche circa la sussistenza dei requisiti di cui alla legge n. 55 del 1991 per le varie società di cui all'elenco degli operatori petroliferi pubblicato sul sito dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse;
   quali siano i risultati di queste verifiche, non solo per rilevare l'esatta composizione sociale ma anche per valutare l'eventuale esistenza di accordi, patti, condizioni che incidano e/o influenzino il contraente e che possano sostanziarsi nel divieto generale delle intestazioni fiduciarie;
   se risulti a quali soggetti possa essere ricondotta la proprietà delle società citate, in toto e per i principali pacchetti azionari. (4-13592)

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-13451, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Massimiliano Bernini.

  L'interrogazione a risposta scritta Gagnarli n. 4-13544, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Terzoni, Zolezzi, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta orale Paolo Nicolò Romano n. 3-02340, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 640 del 22 giugno 2016.

   PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, PESCO, CARINELLI, LIUZZI, SPESSOTTO e TRIPIEDI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   il 13 aprile 2016 l'organizzazione sindacale, Fata Cisal ha indetto per il 17 giugno 2016 uno sciopero nazionale del personale non dirigente della Società Enav, Alitalia SAI e Aeroporti di Roma della durata di 24 ore. A tale sciopero hanno successivamente aderito, anche se con modalità e motivazioni diverse, altre sigle sindacali quali Licta, Filt Cgil, Fit Cisl, Ultratrasporti, Cub Trasporti, Unica, Confael Assovolo Trasporto Aereo, Ugl Techno Sky e USB del Gruppo Meridiana Fly;
   tale suddetto sciopero è stato proclamato in primis per criticare la decisione del Governo di alienare, per una ipotetica e opinabile riduzione del debito pubblico, il 49 per cento del capitale sociale di Enav spa e in secundis, in particolare le organizzazioni sindacali non firmatarie degli accordi sottoscritti il 2 agosto 2013, per ridiscutere il contratto collettivo nazionale di lavoro del settore del trasporto aereo il cui attuale regime, in particolare per i servizi ATM diretti e complementari, non garantisce più i livelli di tutela normativa e retributiva dei controllori di volo, creando di fatto forti disparità tra vecchi e nuovi lavoratori in servizio dando origine a vere e proprie forme di dumping sociale all'interno delle società del gruppo Enav; in tertiis lo sciopero è stato proclamato contro la «legge Fornero» che comportando l'innalzamento dell'età pensionabile per i controllori di volo Enav a 67 anni quando agli stessi viene ritirato, al compimento del sessantesimo anno di età, il titolo abilitante per lo svolgimento dell'attività professionale, ha creato un limbo dove all'impossibilità di esercitare la propria professione si aggiunge l'assenza di qualsiasi forma di trattamento pensionistico;
   contro tale sciopero si sono subito attivate le società direttamente interessate all'erogazione dei servizi del trasporto aereo. In particolare, la stessa Enav che, con nota del 31 maggio 2016, ha comunicato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le gravi ripercussioni per il traffico aereo di tale sciopero, considerando che nella fascia oraria di 24 ore attraversano lo spazio aereo nazionale all'incirca 5300 voli tra nazionali, internazionali e sorvoli. Anche Meridiana Fly e Alitalia Sai, con distinte comunicazioni del 7 e 8 giugno 2016, hanno rappresentato al Ministero le implicazioni negative di tale sciopero per le loro società. In particolare, Alitalia avrebbe dovuto cancellare ben 330 voli con un impatto sulla mobilità di all'incirca 37 mila passeggeri ai quali, considerando l'elevato coefficiente di riempimento tipico delle giornate di inizio estate, non era possibile garantire una riprotezione in giornata;
   in virtù di tali pressioni lo stesso 8 giugno 2016 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota prot. 22660, rivolgerà l'invito alle organizzazioni sindacali di valutare l'opportunità di sospendere le azioni di sciopero onde consentire il superamento delle sopracitate criticità. Invito che verrà reiterato in occasione del tentativo di conciliazione tra le parti, promosso presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 10 giugno 2016, che però avrà esito negativo;
   la mancata positiva conciliazione tra le parti ha spinto il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad emanare il 13 giugno 2016 l'ordinanza ministeriale n. 185T per imporre il differimento dello sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali per il 17 giugno 2016 al fine di evitare un grave e irreparabile pregiudizio al diritto alla libera circolazione delle persone costituzionalmente garantito;
   contro la sopracitata ordinanza ministeriale le sigle sindacali Unica e Licta, relativamente al solo differimento dello sciopero nazionale dei controllori di volo dell'Enav, programmato per sole 4 ore (dalle ore 13:00 alle ore 17:00) del 17 giugno, hanno proposto ricorso al Tar del Lazio che con decreto n. 3302 del 2016 ha accolto l'istanza cautelare sospendendo l'ordinanza in quanto non sono «... ravvisabili nella situazione in esame i presupposti applicativi dell'articolo 8 della citata legge n. 146 del 1990, per quanto riguarda l'iniziativa autonoma del Presidente del Consiglio dei ministri o di un Ministro dallo stesso delegato (nella fattispecie: Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti) sotto il profilo della necessità ed urgenza di provvedere per fondato pericolo di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti e della necessaria previa informativa alla Commissione di Garanzia»;
   oltre alle argomentazioni della sentenza del Tar Lazio va anche evidenziato che in questa vicenda il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha agito, secondo gli interroganti, in palese conflitto di interessi, considerando che la rappresentante del Governo nel tentativo di conciliazione tra le parti datoriali e sindacali era la vice capo di gabinetto del Ministro, Dottoressa Maria Teresa di Matteo, attuale membro del consiglio di amministrazione di Enav Spa oltre ad esserne stata presidente nel recente passato. Praticamente è venuto meno, ad avviso degli interroganti, il ruolo super partes del Governo in una delicata vicenda che vede contrapposti personale non dirigente e management non solo direttivo ma anche azionario della stessa Enav che per legge è sottoposta alla vigilanza dello stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere per evitare in futuro il ripetersi di episodi lesivi del diritto costituzionale (articolo 40 della Costituzione) dei lavoratori di esercitare lo strumento dello sciopero nell'ambito delle leggi che lo regolano e per evitare che il Governo possa perdere il suo ruolo di imparzialità e neutralità nelle circostanze in cui tale diritto costituzionalmente garantito riguardi società direttamente controllate. (3-02340)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Gagnarli  n. 4-13544, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 639 del 21 giugno 2016.

   GAGNARLI, TERZONI, ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, e MICILLO. – Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   recentemente il giudice delle indagini preliminari di Potenza, su richiesta della locale procura, ha ordinato una serie di misure cautelari (ordinanza del giudice per le indagini preliminari del 29 marzo 2016) collegate a un'inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Centro Oli dell'ENI di Viggiano (COVA). L'ordinanza si riferisce al procedimento n. 4542/2010 R.G.N.R. e n. 3154/2011 R.G.G.I.P;
   il cuore dell'inchiesta riguarda la classificazione dei rifiuti: ENI dichiara gli stessi «non pericolosi» (codice CER 16 10 02) mentre la procura di Potenza, tramite una perizia, li ritiene «pericolosi». Il codice rifiuto da applicare sarebbe (dovuto essere) il 19 02 04* «Miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuto pericoloso» e 13 05 08* «Miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio», a seconda delle vasche dalle quali provenivano;
   i rifiuti, classificati, come detto, «non pericolosi» sono stati successivamente trasportati in numerosi centri di smaltimento della penisola fuori dalla Basilicata; nello specifico, sull'ordinanza ci sono precisi riferimenti (a pagina 734) al coinvolgimento della ditta CO.GE.R (Signa, Firenze) e, in particolare, alle attività di smaltimento dei rifiuti presso il loro centro di Signa in via Amendola, dove nel 2014 sarebbero state gestite 3383,03 tonnellate di rifiuti provenienti dal COVA di Viggiano;
   leggendo l'ordinanza appare evidente che, ai fini dell'individuazione di eventuali soggetti che avrebbero operato illecitamente, gli inquirenti lucani abbiano verificato, tramite controlli sulle autorizzazioni in loro possesso, se le aziende coinvolte nello smaltimento fossero o meno autorizzate a smaltire i due codici CER a cui secondo la procura dovevano essere ricondotti i rifiuti prodotti dall'impianto di Viggiano; la CO.GE.R. era in possesso delle autorizzazioni;
   i responsabili delle altre aziende che, invece, non avevano neanche sulla carta l'autorizzazione per smaltire i rifiuti classificati con i due codici CER, risultano sottoposti all'indagine di cui al procedimento sopra segnalato;
   in realtà, affinché la procedura di smaltimento fosse svolta correttamente, al momento dell'accettazione del rifiuto presentato con un determinato codice CER, «non pericoloso», la CO.GE.R. avrebbe dovuto procedere alla sua riclassificazione in «pericoloso», in quanto le procedure tecniche di smaltimento di un rifiuto «pericoloso» sono differenti da uno «non pericoloso», sia riguardo ai costi che alle soluzioni tecnologiche da adottare; non basta, quindi, possedere sulla carta le autorizzazioni sui codici CER «pericolosi», ma bisogna esercitarle correttamente trattando i rifiuti con le specifiche operazioni e trattamenti necessari e specifici diversi da quelli sui rifiuti «non pericolosi»;
   tra l'altro, leggendo l'ordinanza, si può notare che per diversi trasporti questi rifiuti classificati «non pericolosi» da ENI presentavano proprietà organolettiche che avevano destato la preoccupazione di un'azienda del chietino che li aveva ricevuti, a testimonianza del fatto che le aziende riceventi potevano avere legittimi dubbi su quanto trasportato dall'ENI, anche solo per questa caratteristica, fermi restando, ovviamente, gli obblighi relativi alla verifica previo accertamento analitico della correttezza del codice CER attribuito secondo quanto previsto dalle procedure A.I.A. e V.I.A. dell'impianto in questione (modalità di gestione dei rifiuti indicate dall'azienda negli elaborati progettuali nonché eventuali ulteriori prescrizioni aggiunte dagli enti in fase di rilascio dei pareri e delle autorizzazioni);
   pertanto, appare fondamentale verificare se presso l'azienda CO.GE.R il rifiuto pervenuto dalla Basilicata sia stato o meno trattato adeguatamente secondo i codici CER per rifiuti «pericolosi»; i costi di trattamento e smaltimento dei rifiuti «non pericolosi» sono completamente diversi da quelli dei rifiuti «pericolosi»; pertanto, ad avviso degli interroganti è facile supporre che, controllando le fatture della CO.GE.R., sia possibile risalire al tipo di gestione a cui sono stati effettivamente sottoposti i rifiuti –:
   quali elementi disponga il Ministro interrogato sulla reale gestione dei rifiuti di cui in premessa all'interno delle aziende coinvolte, in particolare con riferimento agli esami sulla loro natura compiuti al momento dell'accettazione, sull'avvenuta riclassificazione dei codici CER da «non pericolosi» a «pericolosi» all'interno della CO.GE.R., all'attuazione delle procedure di accettazione previste dall'AIA/VIA della CO.GE.R., se il costo sostenuto per lo smaltimento fosse quello per rifiuti «pericolosi» o per rifiuti «non pericolosi», all'adeguatezza del tipo di trattamento a cui sono stati eventualmente sottoposti per lo smaltimento, e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-13544)

Trasformazione di documenti
del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Mura n. 5-06473 del 24 settembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13575;
   interrogazione a risposta orale Galgano e altri n. 3-02272 del 20 maggio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08982.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-13562 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 640 del 22 giugno 2016.
  Alla pagina 38894, prima colonna, alla riga quindicesima deve leggersi: «controversie in essere con alcune delle», e non come stampato.
  Alla pagina 38894, seconda colonna, dalla riga ottava alla riga decima deve leggersi: «difficoltà in merito all'operazione su Manifattura Tabacchi Modena e come si intenda operare per affrontarle con volontà di», e non come stampato.
  Alla pagina 38894, seconda colonna, dalla riga diciottesima alla riga diciannovesima deve leggersi: «se non si ritenga di sospendere eventuali iniziative simili in altre città in un», e non come stampato.