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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 21 giugno 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il settore dei beni culturali, analogamente ad altri settori pubblici dell'economia, ha ampliato notevolmente i processi di esternalizzazione dei servizi, uno sviluppo che accelera ogni giorno di più in risposta ad una serie di fenomeni complessi;
    l'Unione europea da tempo favorisce il ricorso all'esternalizzazione, anche là dove il servizio era tradizionalmente prodotto dal settore pubblico direttamente o per tramite di agenzie ad hoc;
    il faticoso processo di rientro del debito pubblico ha a sua volta prodotto spinte verso l'esternalizzazione, perché: il blocco del turn-over del personale ha ostacolato la produzione di servizi un tempo offerti direttamente dal settore pubblico sollecitando un processo autonomo di esternalizzazione, la riduzione della spesa pubblica ha spinto i responsabili a cercare la messa in valore di quelle componenti dei servizi che potessero garantire un rendimento economico, favorendo il ricorso alle concessioni in luogo degli appalti, o di una combinazione di entrambi, l'estensione delle norme per l'affidamento di servizi a tutte le stazioni appaltanti, anche sotto soglia, ha prodotto un effetto calmiere sulla spesa pubblica, riducendone temporaneamente il peso sul deficit e dunque sul debito;
    le attività economiche evolvono costantemente nel tempo, come del resto anche la struttura e l'organizzazione del settore pubblico. Se i servizi di mercato si modificano nel tempo è ovvio che anche i servizi esternalizzabili dal pubblico potrebbero differenziarsi ed ampliarsi sia nell'oggetto sia nella dimensione. Ne emerge un'esigenza continua di adeguare, integrare e puntualizzare sempre meglio nel tempo le normative sulle procedure di evidenza pubblica che includono un elenco di «categorie» di servizi specifici, per sua natura molto generale, costruita secondo una logica basata sull'analogia o sull'attinenza, rispetto alle quali le stazioni appaltanti – quando maturano la decisione di richiedere all'esterno un certo tipo di servizio – si ispirano per determinarne di volta in volta le caratteristiche specifiche, adattate alla loro esigenza;
    in questa ottica il Parlamento ha approvato alcuni provvedimenti, anche recentemente, aventi l'obiettivo della riduzione al ricorso alla fornitura di servizi in house, servizi prodotti da società di diritto privato controllate da amministrazioni pubbliche (spesso locali);
    il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante il nuovo codice degli appalti ha introdotto rilevanti novità in materia: il possesso di requisiti specifici per la partecipazione a bandi di gara. Si tratta degli articoli 145 e 147: per l'esecuzione di lavori nel settore sono richieste le qualifiche di cui agli articoli 9-bis e 29 del codice dei beni culturali e del paesaggio ed è imposto al partecipante l'obbligo di non avvalersi di altri;
    le peculiarità che il settore dei beni culturali presenta, in materia di appalti, gli sono state riconosciute da tempo: già con l'emanazione del decreto legislativo n. 42 del 2004 – infatti – si rispondeva all'esigenza, opportunamente manifestata dalla dottrina della predisposizione di un autonomo testo normativo, che disciplinasse unicamente gli appalti nel settore dei beni culturali. In secondo luogo, il decreto legislativo richiamato si proponeva di soddisfare la domanda di specialità che caratterizza il settore dei beni culturali in ragione dei caratteri di originalità e unicità che ne sono propri;
    è vero, altresì, che se in passato l'inserimento di una disciplina speciale degli appalti relativi a beni culturali tra le disposizioni contenute nella normativa in materia di lavori pubblici poteva risultare comprensibile per l'esigenza di arginare e regolamentare le eccezioni alla disciplina generale più rigida e garantista, oggi tale giustificazione non appare rispettosa dello spirito del codice;
    la realizzazione di un complesso normativo unitario in materia di appalti pubblici, imposta dall'adeguamento della normativa all'ordinamento comunitario, implica, infatti, anche il recepimento di una rinnovata concezione dell'interesse pubblico, secondo la quale la materia degli appalti diventa strumento funzionale al mercato inteso quale valore da promuovere e tutelare;
    i ripetuti richiami al valore della concorrenza effettiva, quale principio fondamentale cui dovrebbe ispirarsi il diritto europeo degli appalti pubblici, sembra dunque lasciare in ombra l'affannosa ricerca della trasparenza e dell'imparzialità, che aveva giustificato la sottoposizione degli appalti relativi a beni culturali al complesso normativo della «Merloni»;
    d'altra parte, il codice, con la contestuale rivisitazione della disciplina in materia di contratti relativi a beni culturali, avrebbe potuto forse rappresentare l'occasione per la soluzione di alcune delle questioni più problematiche legate all'applicazione della normativa in questione;
    tale specialità deve essere difesa così come dimostrato con il citato nuovo codice degli appalti e proprio per queste ragioni in tema di appalti di servizi il settore dei beni culturali deve essere sottoposto ad una disciplina normativa ben definita;
    la creazione di ALES spa costituisce un elemento di concorrenzialità importante per i privati che operano nel settore culturale, condizione che può generare dinamiche positive soprattutto in campo occupazionale e garantisce la scelta alle strutture museali fra più opzioni efficaci;
    va sottolineato, altresì, che il campo dei servizi in ambito culturale può rappresentare un volano significativo per nuove iniziative che si avvalgono anche di tecnologie innovative decisive per lo sviluppo economico dei territori,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di dar corso alle procedure di gara per la gestione dei servizi presso i complessi museali italiani, basati su progetti scientifici-culturali predisposti dai singoli musei o dai poli regionali come preannunciato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   a valutare l'opportunità di avviare procedure di gara per l'affidamento dei servizi che:
    a) assicurino il coinvolgimento di più realtà, ciascuna con specifiche e distinte esperienze, limitando l'accorpamento dei vari servizi ai soli casi in cui non vi siano le condizioni economiche convenienti;
    b) prevedano una fase di innovazione nei servizi medesimi e nella modernizzazione delle tecnologie;
    c) prevedano il coinvolgimento di giovani che propongono iniziative di nuove start-up e di lavoratori maturi disoccupati;
    d) garantiscano la massima trasparenza in conformità alla normativa vigente, anche con la pubblicazione dell'andamento delle gare su siti istituzionali degli enti territoriali;
    e) prevedano che il profitto sia destinato al reinvestimento innanzitutto nella struttura museale e nello sviluppo occupazionale legato alla struttura museale stessa;
   a valutare l'opportunità di dare ad ALES spa direttive per definire le varie tipologie di servizi da mettere a disposizione delle strutture museali garantendo così il confronto fra le soluzioni attuabili facendo ricorso a CONSIP o ad ALES spa.
(1-01304) «Baradello, Sberna, Tabacci, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    la promozione del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese rappresenta un importante obiettivo per la sua crescita economica. Pertanto è necessario valorizzarlo per creare opportunità imprenditoriali ed occupazionali soprattutto a favore dei giovani. La rete dei beni culturali italiani è costituita da numerosi musei e da molte aree archeologiche che, se valorizzate, sono in grado di creare, anche con l'indotto, un valore aggiunto in termini di reperimento di risorse economiche fondamentali per la crescita economico-sociale del Paese;
    è opportuno, quindi, attivare tutte le misure necessarie per incrementare i cosiddetti servizi aggiuntivi dei molti complessi museali presenti in Italia secondo idonee procedure;
    la nozione «servizi aggiuntivi» è stata introdotta nel nostro ordinamento dall'articolo 4 del decreto-legge n. 433 del 1992 convertito dalla legge n. 4 del 1993. Essi sono attualmente elencati dall'articolo 117 del codice dei beni culturali e del paesaggio il quale stabilisce che, negli istituti e nei luoghi di cultura, possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico;
    l'articolo 115 dello stesso codice prevede che tali servizi possano essere amministrati sia in gestione diretta che indiretta. La scelta tra le due forme di gestione citate è effettuata a seguito di una valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi definiti;
    in tale contesto, la gestione diretta è svolta tramite strutture organizzative interne alle amministrazioni dotate di autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile e provviste di idoneo personale tecnico;
    in base all'articolo 110 del codice citato, in caso di gestione diretta, i proventi derivanti dalla vendita di biglietti di ingresso agli istituti ed ai luoghi di cultura, nonché dei canoni di concessione e dai corrispettivi per la riproduzione dei beni culturali, sono versati ai soggetti pubblici cui gli istituti, i luoghi o i singoli beni appartengono o sono in consegna;
    la gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione da parte delle amministrazioni cui i beni pertengono, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti;
    in caso di gestione indiretta, le amministrazioni a cui i beni pertengono regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione mediante contratto di servizio;
    in materia è intervenuto l'articolo 16 del decreto-legge n. 78 del 2015 il quale ha previsto che, per accelerare l'avvio e lo svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento in concessione dei servizi negli istituti e nei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, nonché allo scopo di razionalizzare la pubblica spesa, le amministrazioni aggiudicatrici possono avvalersi, sulla base di apposite convenzioni per la disciplina dei relativi rapporti, di CONSIP spa, anche quale centrale di committenza per lo svolgimento delle relative procedure;
    l'obiettivo del Ministero è quello della riduzione e della razionalizzazione dei costi e dell'ottimizzazione dei servizi, ma anche quello di garantire meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi;
    il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha assunto una serie di iniziative per migliorare la gestione dei servizi aggiuntivi nel sistema museale, in quanto alcuni servizi erano attivati mediante proroga degli stessi ovvero con gare risalenti a molto tempo fa;
    lo stesso Ministero ha affidato alla Consip la gestione di tutte le gare dei servizi aggiuntivi dei musei. Il disciplinare per lo svolgimento delle attività di supporto in tema di acquisizione di beni e servizi ed affidamento di concessioni è stato, quindi, stipulato tra il Ministero e la Consip prevedendo che i musei presentino un progetto scientifico alla Consip stessa;
    in data 16 marzo 2016, è stata inoltre effettuata la fusione tra Ales spa la società partecipata al 100 per cento dal Ministero ed ARCUS spa. Questa operazione è la premessa con la quale il Governo si appresta a fare impresa nel settore dei servizi dei beni culturali per ottimizzare i risultati di gestione ed ottenere risorse economiche importanti. Infatti, il Ministero, supportato da Ales ed Arcus avrà modo di entrare in gestione diretta dei servizi aggiuntivi, nel momento in cui i contratti con i concessionari scadranno,

impegna il Governo:

   a procedere sollecitamente alla indizione delle gare per l'affidamento dei servizi di cui in premessa rinunciando alla prassi abusata della proroga delle convenzioni esistenti che è in contrasto sia con le regole europee che con la legislazione nazionale;
   ad avvalersi a tale fine della collaborazione di Consip in modo da facilitare un'applicazione uniforme della normativa ed il massimo di vantaggio per la finanza pubblica;
   a limitare la gestione diretta ai casi nei quali essa risulti di evidente vantaggio per la finanza pubblica;
   a limitare e rendere trasparente l'uso di prestazioni «in conto terzi».
(1-01305) «Buttiglione, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    settore dei servizi di accoglienza per il pubblico presso gli istituti e i luoghi della cultura statali è da sempre considerato tra gli strumenti strategici per aumentare la conoscenza e la fruizione del patrimonio culturale, generando, nel contempo, un flusso di risorse da destinare alla cura, alla tutela e alla conservazione dei beni;
    la disciplina normativa in materia – dopo le innovazioni contenute nelle legge Ronchey n. 4 del 1993, che ha istituito per la prima volta i servizi aggiuntivi offerti al pubblico a pagamento – fa riferimento alle disposizioni contenute dagli articoli 117 e 115 del codice dei beni e delle attività culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, con il quale sono stati disposti ulteriori servizi quali assistenza culturale, servizi di biglietteria, visite guidate, la gestione degli spazi, le mostre e il servizio di caffetteria e il bookshop;
    nonostante le positive intuizioni contenute nella normativa soprarichiamata, solo il 29 per cento dei musei statali e il 24 per cento di quelli non statali hanno servizi aggiuntivi e su poco più di cento musei che hanno affidato all'esterno i loro servizi per i visitatori, ben 69 agiscono in proroga, con contratti scaduti anche da diversi anni, limitandosi così all'ordinaria amministrazione senza investire sul bene e con una significativa perdita di introiti – soprattutto per i siti museali più rilevanti – da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali;
   l'Esecutivo, già con l'approvazione del decreto legge n. 83 del 2014,  cosiddetto Art-bonus, e la successiva riforma del ministero dei beni e delle attività Culturali e del turismo ha avuto tra gli obiettivi strategici quello di consentire allo Stato e ai privati di investire sui servizi museali, garantendo al contempo un servizio pubblico essenziale pienamente fruibile, promuovendo, tra l'altro, l'avvio di un programma operativo con la Consip, denominato «La cultura delle gare nelle gare per la cultura», mirato ad assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi aggiuntivi da svolgere nei musei e nei poli museali regionali, ponendo fine al periodo delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi di cultura e provando a garantire, nell'ottica di una positiva cooperazione tra risorse pubbliche e private, una più ampia ed omogenea azione di fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale nazionale;
    il programma citato si articola secondo tre linee di intervento: la prima per i servizi gestionali, che includono i «servizi operativi» (manutenzione edile e impiantistica, pulizia ed igiene ambientale, guardaroba, facchinaggio, e altro) e i «servizi di governo» (sistema informativo, call center, anagrafica tecnica, e altro), la seconda per la realizzazione di un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita, che sarà usato da tutti i siti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e facoltativamente dagli enti locali; la terza per i «progetti culturali», finalizzati alla migliore fruizione dei siti dal punto di vista culturale (a titolo di esempio: noleggio audioguide; visite guidate; laboratori e didattica; spazi, eventi e mostre e altro). Tali procedure di affidamento si basano sui progetti di valorizzazione e gestione dei siti, predisposti dagli istituti autonomi e dai poli museali regionali, provando in tal modo a garantire l'efficienza della gestione e servizi calibrati sulle progettualità e sulle peculiarità specifiche degli istituti museali coinvolti;
    in attuazione delle linee guida condivise tra Ministero e Consip, nel mese di luglio del 2015 è stata lanciata da Consip la prima fase del programma, con la pubblicazione del bando per l'affidamento di servizi gestionali e operativi (facility management), per gli istituti e i luoghi della cultura pubblici. La gara, del valore complessivo di 640 milioni di euro, suddivisi in nove lotti territoriali, renderà disponibili al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e agli enti locali i servizi gestionali e operativi attraverso una convenzione quadro della durata di 24 mesi (più eventuali 12 di proroga);
    la scelta relativa al numero di procedure di gara da svolgere per ciascun sito sarà demandata alla scelta dei singoli direttori dei musei e dei poli museali in relazione alla specificità dei siti, secondo criteri di efficienza e di efficacia della gestione, garantendo in tal modo, con procedure trasparenti, il coinvolgimento dei principali operatori nazionali ed internazionali al fine di ottenere una elevata qualità dei servizi e condizioni ottimali, anche in termini di profitto, per ammininistrazione;
    nell'ambito di tali procedure sarà necessario ed importante che il Ministero favorisca un'adeguata pubblicità, sui propri siti istituzionali, di tutte le procedure di gara promosse e si attivi al fine di assicurare un'adeguata tutela del personale attualmente impiegato nei servizi aggiuntivi garantiti in regime di proroga, prevedendo l'inserimento nei bandi di gara della «clausola sociale» per i lavoratori attualmente impegnati;
    risulta necessario procedere quanto prima all'emanazione dei bandi di gara relativi alla bigliettazione unica on line e alle ulteriori gare Consip per la fornitura dei servizi aggiuntivi, così da sanare situazioni di proroga non più giustificabili;
    contemporanei ente all'avvio delle procedure richiamate, il Ministero ha promosso la fusione delle proprie società in house Ales e Arcus spa, in attuazione delle disposizioni contenute nella legge di stabilità 2016, con l'obiettivo di «assicurare al meglio l'erogazione di servizi culturali, le attività di valorizzazione del patrimonio e le attività di fundraising», fino ad ora gestite in forma separata dalle due società partecipate, con l'obiettivo di dare vita all'interno di Ales, ad una divisione che si occuperà di servizi aggiuntivi così da consentire al direttore del museo di scegliere – come dichiarato nel marzo 2016 al quotidiano «Il Sole 24 ore» dallo stesso Ministro Franceschini –, in base alle peculiarità ed alle esigenze della propria struttura museale, se affidare parte o la totalità dei servizi ai privati mediante gara o di riservarli alla nuova Ales attraverso affidamento diretto quale società in house del Ministero;
    risulta necessario che le scelte compiute tra l'una e l'altra soluzione (affidamento diretto o assegnazione dei servizi mediante gara pubblica) siano adegua ente e dettagliatamente giustificate, dando adeguata pubblicità alle motivazioni, fondate su costi, tipologia e specificità del servizio richiesto, che hanno condotto la struttura museale a privilegiare una soluzione rispetto all'altra,

impegna il Governo:

   ad avviare e concludere quanto prima le procedure di gara per la gestione dei servizi aggiuntivi presso i principali complessi museali italiani;
   a coinvolgere, con procedure trasparenti, i principali operatori nazionali e internazionali a ottenere un'elevata qualità dei servizi e contestualmente condizioni ottimali, anche in termini di profitto, per l'Amministrazione;
   a garantire che le scelte relative al numero di procedure di gara, da svolgere per ciascun sito, demandate ai singoli direttori dei musei e dei poli museali in relazione alla esigenze e alle peculiarità della struttura e del relativo piano di valorizzazione, siano operate secondo criteri di efficienza e di efficacia della gestione, dando adeguata motivazione delle scelte tecnico discrezionali operate in relazione ai costi, alla tipologia e alla specificità del servizio richiesto;
    ad adoperarsi affinché, in tempi brevi, la società in house Ales spa costituisca la divisione specializzata per la gestione dei servizi aggiuntivi presso i musei e gli istituti culturali pubblici così da consentire ai direttori dei musei di poter operare la scelta migliore e più   funzionale, in termini di valorizzazione del sito e di efficienza  ed efficacia della gestione, per l'affidamento del servizio;
   a pubblicare, sul sito istituzionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e sui siti dei musei e degli istituti culturali oggetto dei bandi, il testo integrale di tutti i bandi relativi alla concessione dei servizi aggiuntivi, il loro esito e gli introiti previsti che derivino dall'aggiudicazione del bando;
   a garantire adeguata, tutela dei lavoratori attualmente impegnati nei servizi aggiuntivi, assicurano che l'affidamento dei servizi aggiuntivi nei musei e negli istituti culturali avvenga nel rispetto della «clausola sociale».
(1-01306) «Manzi, Coscia, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, Dallai, D'Ottavio, Ghizzoni, Iori, Malisani, Malpezzi, Narduolo, Orfini, Pes, Piccoli Nardelli, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli».


   La Camera,
   premesso che:
    sono noti i problemi connessi all'organizzazione dell'amministrazione della cultura in Italia: in particolare il settore dei servizi gestionali, amministrativi e culturali nei principali complessi museali vive da troppi anni una situazione di blocco;
    la gestione di molti monumenti e musei del nostro Paese opera infatti in regime di proroga, in evidente contrasto con quanto stabilito in materia, sia con riferimento alla normativa comunitaria, sia a quella nazionale;
    la stessa Autorità anticorruzione ha avuto modo, recentemente, di interpretare le «proroghe tecniche» dei contratti di appalto come un «ammortizzatore pluriennale di inefficienze» dovuto alla mancanza di una corretta programmazione delle acquisizioni di beni e servizi, affermando che l'uso improprio delle proroghe può assumere profili di illegittimità e di danno erariale, allorquando le amministrazioni interessate non dimostrino di aver attivato tutti quegli strumenti organizzativi-amministrativi necessari ad evitare il generale e tassativo divieto di proroga dei contratti in corso e le correlate distorsioni del mercato;
    per quanto riguarda gli istituti culturali operanti sul territorio, è necessario implementare gli strumenti amministrativi e normativi atti a favorire il coinvolgimento di attività e capitali privati nella gestione del patrimonio culturale, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Si tratta di un obiettivo fondamentale a fronte della riduzione degli investimenti pubblici nel settore della cultura determinata dalla crisi economico-finanziaria;
    a tal proposito, bisogna rilevare che è ancora troppo poco quanto previsto dal nuovo codice degli appalti approvato nel mese di aprile 2016, che semplifica le procedure per le sponsorizzazioni in favore del patrimonio culturale, che ora avverranno a seguito di una nuova e trasparente procedura di segnalazione sui siti web. Sebbene si tratti di un passo verso incentivazione di un sostegno privato alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio italiano; la partecipazione dei privati appare infatti ancora ostacolata, innanzi tutto, dalla scarsa chiarezza della disciplina degli appalti di lavori sui beni culturali, che risulta frammentata tra il codice dei contratti pubblici, il codice dei beni culturali e del paesaggio e il testo unico degli enti locali;
    oltre ad un'esigenza di semplificazione e coordinamento, in questo ambito si avverte la necessità di una normativa che dia effettivo rilievo alle peculiarità del settore della cultura, consentendo una maggiore flessibilità all'amministrazione. Appare inoltre auspicabile un chiarimento in ordine alle norme applicabili alle concessioni di servizi utilizzate per la gestione indiretta dei beni culturali, specialmente in relazione ai casi di gestione integrata di servizi per il pubblico e strumentali e alle modalità di scelta del concessionario;
    la percezione di una diffusa aspettativa di miglioramento della qualità dei bandi pubblici di acquisto/concessione di servizi culturali è degna di attenzione in particolare per due motivi; la consistenza e continuità del flusso dei bandi di servizi per i beni culturali; la platea numerosa e articolata, dei soggetti pubblici committenti che animano questo mercato. In altri termini, la domanda aggregata di valorizzazione dei beni culturali è di tutta importanza sia per lo sviluppo del territorio, sia per l'innovazione tecnologica e organizzativa del sistema, sia per la promozione e diffusione della cultura;
    il tema della gestione dei beni culturali si incrocia poi necessariamente con quello, più generale, del turismo, a maggior ragione in relazione alle competenze attribuite allo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nel medesimo settore; i beni culturali – un elemento di estremo rilievo per la crescita della cultura e della qualità della vita dei cittadini – possono favorire lo sviluppo di alcune iniziative economiche sul territorio; un'adeguata valorizzazione dei beni culturali potrebbe infatti rappresentare un volano per lo sviluppo dell'industria turistica, della ristorazione, dell'intrattenimento e dell'informatica oltre che della industria culturale in senso stretto,

impegna il Governo:

   ad accelerare e concludere quanto prima le procedure di gara per la gestione dei servizi aggiuntivi e dei servizi culturali che attualmente operano in regime di proroga;
   a promuovere ogni opportuna iniziativa volta ad un maggiore livello di integrazione tra la gestione dei servizi legati ai beni culturali e le società/enti di promozione turistica sul territorio, al fine di rendere maggiormente fruibile l'offerta culturale, in un'ottica di implementazione e sviluppo del turismo nel Paese, incidendo a tal proposito anche sulle procedure di gara per la gestione dei servizi aggiuntivi, e, in particolare, dei servizi culturali presso monumenti e musei italiani, garantendo così una più stretta connessione tra appalti di servizi ed enti che hanno una specializzazione più turistica;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta a rafforzare la connessione del turismo con le attività culturali, avviando in particolare un coordinamento interistituzionale sia con le regioni, sia con le amministrazioni interessate, per consentire la programmazione e l'implementazione di un piano di sviluppo del turismo, facendo leva sull'efficacia e la qualità dei servizi legati alla gestione dei beni culturali;
   ad assicurare che le procedure di gara per l'affidamento dei servizi aggiuntivi per la gestione dei beni culturali siano effettuate garantendo la massima trasparenza, nonché tempi certi e prestabiliti per tutto ciò che riguarda lo svolgimento e la chiusura delle stesse;
   a provvedere, nell'ambito dell'affidamento dei servizi aggiuntivi dei beni culturali, ad una limitazione del ricorso ad affidamenti in house a soggetti pubblici, salvaguardando i principi di specializzazione, qualità ed economicità delle prestazioni rese;
   a favorire ogni iniziativa volta ad implementare gli strumenti amministrativi e normativi atti a favorire il coinvolgimento di attività e capitali privati nella gestione del patrimonio culturale;
   a rispondere, attraverso specifiche iniziative, all'esigenza di semplificazione e coordinamento della normativa, in particolare in ordine alle norme applicabili alle concessioni di servizi utilizzate per la gestione indiretta dei beni culturali, offrendo effettivo rilievo alle peculiarità del settore della cultura.
(1-01307) «Secco, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge 14 novembre 1992, n. 433, è stata introdotta nel nostro ordinamento la nozione di servizi aggiuntivi nell'ambito della fruizione dei beni culturali e monumentali, successivamente recepita dal codice del beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
    il codice, all'articolo 117, elenca dettagliatamente le tipologie di servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblica che possono essere istituiti nei siti culturali, e prevede che gli stessi possano essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria;
    in base a quanto disciplinato dal codice la gestione dei servizi può avvenire in via diretta o indiretta, vale a dire attraverso strutture organizzative interne alle amministrazioni, «dotate di autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico», oppure attraverso la concessione a terzi delle attività di valorizzazione da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono mediante procedure di evidenza pubblica;
    in particolare, in base all'articolo 115 del codice «lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali ricorrono alla gestione indiretta al fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni culturali. La scelta tra le due forme di gestione (...) è attuata mediante valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti», e la gestione in forma indiretta dovrà essere attuata nel rispetto dei «livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di pertinenza pubblica»;
    il ricorso alla gestione indiretta avviene attraverso la stipula di un contratto di servizio tra le amministrazioni e i concessionari delle attività di valorizzazione, nel quale sono determinati i contenuti del progetto di gestione e i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da erogare, le professionalità degli addetti, nonché i servizi essenziali che devono essere comunque garantiti per la pubblica fruizione del bene;
    contrariamente a quanto previsto dalla vigente normativa in Italia sono decine i luoghi della cultura per i quali non sono state effettuate le gare per l'affidamento dei servizi alla scadenza dei bandi precedenti, soprattutto nelle regioni della Campania, dell'Emilia-Romagna e del Lazio;
    in merito è recentemente intervenuto l'articolo 16 del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, in materia di enti territoriali, che ha previsto che, per accelerare l'avvio e lo svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento in concessione dei servizi negli istituti e nei luoghi della cultura di appartenenza pubblica le amministrazioni possano avvalersi della Consip;
    il 19 febbraio 2015, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la Consip hanno presentato un progetto per i servizi aggiuntivi nei musei autonomi e nei poli museali regionali, volto a «porre fine al periodo delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura»;
    nel progetto sono previsti tre tipi di gara: quella per i servizi gestionali, necessari all'efficace ed efficiente funzionamento degli istituti e dei luoghi della cultura pubblici e che comprendono sia i «servizi operativi» che quelli cosiddetti di governo, quella per la creazione di un servizio di biglietteria nazionale e quella per i «servizi culturali» che include iniziative volte all'acquisizione dei servizi finalizzati allo sviluppo di specifici «progetti culturali» ed alla migliore fruizione dei siti;
    per tutte e tre le gare era prevista la pubblicazione dei relativi bandi di gara nel primo semestre dell'anno in corso, ma ad oggi risulta essere stato pubblicato unicamente quello della gara per l'affidamento dei servizi gestionali ed operativi;
    nel gennaio 2015, rispondendo ad un'interrogazione in commissione sulla questione della reiterazione delle proroghe dei servizi aggiuntivi, il rappresentante del Governo ha depositato una nota che indica i siti culturali gestiti in regime di proroga dalla quale risulta che la durata media del regime di proroga è di otto/dieci anni;
    nel marzo 2016 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha avviato la fusione delle società Ales e Arcus spa al fine di creare un'unica società in house con la finalità di potenziare le attività di valorizzazione e ricerca fondi e di gestire anche i servizi aggiuntivi;
    questo indirizzo, se da un lato razionalizza le strutture afferenti al Ministero, andando a limitare la spesa pubblica, dall'altro, crea un fenomeno di concorrenza sleale nei confronti del privato;
    è quindi necessario adottare una rigida regolamentazione interna atta a definire i casi in cui i direttori dei musei potranno assegnare i servizi aggiuntivi al soggetto in house, invece di ricorrere all'esternalizzazione mediante gara, al fine di garantire la migliore valorizzazione e offerta di servizio del Museo o del sito;
    il ricorso ai privati per la gestione dei servizi aggiuntivi non è messo in discussione ma, anzi, auspicato in un'ottica di sana sussidiarietà e di proprietà pubblica del bene ma affidata alla gestione e valorizzazione da parte dei privati, fatto che, purtroppo, non si è realizzato negli ultimi anni nella gestione dei principali monumenti e siti statali, tra i quali anche il Colosseo, a tutto svantaggio dello Stato;
    in base ai dati dell'ufficio statistico dei beni culturali italiani nel 2015 il circuito di Colosseo, Foro romano e Palatino è stato visitato da 6.551.046 persone, confermandosi il sito più visitato in Italia, e l'afflusso di turisti, negli ultimi anni, è in continuo aumento;
    proprio il caso del Colosseo è uno dei più clamorosi per quanto riguarda la mancata indizione delle nuove gare per l'affidamento dei servizi, posto che il concessionario opera in regime di proroga da ben tredici anni;
    inoltre, nel caso del Colosseo l'incasso dei privati da servizi aggiuntivi nel 2013 è stato di euro 9.221,247 di cui solo euro 1.210.260, equivalente al 13 per cento, è andato allo Stato;
    in generale come risulta dai dati del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo pubblicati sull’Espresso nel settembre del 2015, dal 2000 al 2013 sui totale degli incassi realizzati per i servizi aggiuntivi, l'85,7 per cento è andato al privati assegnatari per lo più in regime di proroga e solo euro 74.724.099 allo Stato;
    la ricaduta dell'enorme attrattiva turistica del Colosseo e dell'area centrale dei Fori è interamente a carico del Comune di Roma ed è, pertanto, necessario avviare da subito la stipula di un protocollo tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e l'amministrazione comunale affinché una percentuale del ricavato della bigliettazione del Colosseo e dei Fori sia trasferita al bilancio comunale per la gestione e la valorizzazione dei servizi turistici e la sicurezza, al fine di migliorare l'accoglienza dei turisti e l'immagine stessa dell'Italia nel mondo;
    rispondendo ad un question time in Aula presentato dal primo firmatario del presente atto e da altri deputati del Gruppo di Fratelli d'Italia del 25 maggio 2016, con riferimento specificatamente al caso del Colosso il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha affermato che «Nelle indicazioni di priorità che noi abbiamo dato, per una serie di ragioni, non ultima che è il luogo che fa più visitatori in Italia e quindi quello che richiede più efficienza e trasparenza, abbiamo dato indicazioni alla Consip di cominciare le gare dal Colosseo e questo creda che potrà avvenire fra fine dell'estate e l'inizio dell'autunno del 2016»;
    per ottenere servizi migliori e una vera concorrenza a beneficio dei pubblico è necessario che i servizi aggiuntivi siano gestiti da soggetti differenti per evitare situazione di oligopolio come quelle denunciate da FPI AN proprio rispetto alla gestione del Colosseo;
    la tutela e la valorizzazione dei beni culturali dovrebbero costituire un obiettivo prioritario dello Stato italiano,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per procedere speditamente con il piano di gare per il rinnovo dei servizi gestionali, aggiuntivi e di biglietteria in tutti i musei e siti culturali, dando priorità nell'esecuzione a quei luoghi che sono gestiti da più tempo in regime di proroga, tra i quali il Colosseo e l'area centrale dei Fori imperiali;
   ad adottare tutte le iniziative necessarie alla stipula di protocolli d'intesa tra il Ministero dei beni culturali e gli enti locali nei cui territori insistono i siti culturali maggiormente visitati, affinché una percentuale del ricavato dalla bigliettazione di tali siti sia trasferito annualmente sui rispettivi bilanci comunali per impiegarli nel potenziamento dei servizi turistici dell'area;
   a promuovere l'adozione di una severa regolamentazione che disciplini i casi e le modalità del ricorso alla struttura in house frutto della fusione tra le società Ales e Arcus spa, affinché la stessa non divenga un soggetto monopolista che opera in concorrenza sleale con il settore privato dei servizi culturali;
   a favorire il ricorso a gare pubbliche rispetto all'assegnazione in house dei servizi aggiuntivi per promuovere un modello sussidiario virtuoso che prevede la gestione e la tutela pubblica dei beni culturali, ma la gestione privata dei servizi, dei contenuti e della valorizzazione nel rispetto della trasparenza e della libera concorrenza con percentuali di introito maggiori per lo Stato rispetto al passato.
(1-01308) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 45 della Costituzione afferma che «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità»;
    è noto che la cooperazione è nata come «salvagente» per lavoratori senza tutele, oppressi dal potere senza limiti del padronato; la cooperazione ha rappresentato il primo atto con il quale i lavoratori assunsero coscienza di classe;
    oggi il mondo cooperativo ha un ruolo non secondario nella economia italiana: le cooperative di tipo A svolgono servizi socio-sanitari o educativi rivolti alla persona e quelle di tipo B operano in altri settori, come il commerciale, agricolo o nei servizi. Queste ultime sono caratterizzate per impiegare una percentuale fissa di persone svantaggiate;
    secondo il rapporto Euricse del 2015 tra il 2008 e il 2013, in presenza di tassi di variazione del prodotto interno lordo negativi, le oltre 28.000 cooperative analizzate hanno registrato una crescita del 14 per cento del valore della produzione. In termini assoluti, l'incremento è stato di oltre dieci miliardi di euro, dai 72,2 del 2008 agli 82,4 dei 2013;
    l'analisi per settore d'attività evidenzia che, tra le cooperative di primo grado, le attività più dinamiche sono state quelle della sanità e assistenza sociale, con una crescita sull'intero periodo del 31,1 per cento (ossia 1,5 miliardi di euro), e dell'agroalimentare, con un aumento del 22,6 per cento (+3,5 miliardi di euro). Leggermente inferiori, ma comunque oltre la media, sono risultati i tassi di crescita del commercio, con un apprezzabile +16,4 per cento (+4,1 miliardi di euro), e degli altri servizi + 14,6 per cento (+1,3 miliardi di euro);
    tuttavia, l'originario spirito di solidarietà e mutualità è da tempo sempre più sacrificato alla logica del mercato, della competizione e del profitto, alla pari delle imprese di capitale e difatti non accennano a diminuire i fenomeni di sfruttamento del lavoro ad opera di alcune cooperative operanti nell'area industriale e commerciale sul territorio nazionale;
    accade che la forma cooperativa diventa, in molti casi, un paravento per nascondere quella che è una falsa cooperativa, basata su retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali, sulla riduzione delle tutele sociali, sulla precarietà del rapporto di lavoro, senza nessun diritto effettivo in capo ai soci lavoratori di partecipare alle decisioni e al capitale della cooperativa, con la sola possibilità di scegliere tra tale condizione e la disoccupazione;
    infatti, le «false cooperative» sono imprese che, approfittando di vuoti normativi e dell'assenza di controlli, agiscono sul mercato in modo scorretto su due piani: da un lato attraverso il mancato rispetto dei contratti di lavoro e, dall'altro, dal punto di vista contributivo;
    così accade che sempre più spesso la costituzione di cooperative diventa anche veicolo per realizzare operazioni di esternalizzazioni con trasferimento di personale con il quale una azienda decide di dare in appalto o in affidamento un determinato servizio in precedenza internalizzato ad una impresa esterna (spessissimo cooperativa), al fine di ottenere un risparmio in termini di costi oppure allo scopo di ottenere maggiori margini di flessibilità gestionale e di adeguamento dei processi alle esigenze del business;
    il fenomeno ha però assunto caratteri anomali non solo dal punto di vista «privatistico» del trattamento previsto in materia di lavoro e di governance della cooperativa non più rispondente allo spirito mutualistico originario ma anche dal punto di vista del rapporto e legame che nel corso degli anni si è venuto a creare tra il mondo economico che ruota intorno, in particolare modo, alle grandi cooperative e il mondo della politica; dirigenti delle cooperative che entrano in politica o ex politici rimasti senza occupazione che sono diventati dirigenti delle cooperative e/o delle organizzazioni della Lega coop o Confcooperative: il caso più recente e vistoso è, ad esempio, quello dell'attuale presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, assunta come direttore di LegaCoop Umbria nel 2007 dopo aver fatto il sindaco di Todi e la dirigente dell'Anci, prima di essere eletta al Parlamento europeo e attualmente in aspettativa da Legacoop;
    è evidente che questa permeabilità delle classi dirigenti tra due ambiti che dovrebbero rimanere separati rappresenta una questione economica ma anche democratica, di trasparenza ed imparzialità della amministrazione e delle istituzioni assai rilevante poiché tale legame può dar vita, a parere dei sottoscrittori del presente atto di indirizzo, a fenomeni di «conflitto d'interessi» con dirigenti e management che hanno ricoperto e ricoprono tuttora incarichi istituzionali;
    anche nel settore pubblico ed in particolare negli enti locali e ASL, da diversi anni si ricorre all'appalto esterno, principalmente da parte degli enti locali, dove a causa di tagli di bilancio o di vincoli come il patto di stabilità e del blocco del turn over, molti servizi che prima erano svolti da uffici pubblici con proprio personale dipendente, ad esempio i lavori di pulizia, e manutenzione del verde pubblico, ed anche la manutenzione dei sistemi informatici o il lavoro di segreteria o anche i servizi di portierato e vigilanza, sono affidati a personale esterno;
    inoltre, l'attuale normativa riserva, loro particolari trattamenti e agevolazioni senza che, a fronte delle mutazioni in atto, vi sia un conseguente adeguamento nelle tutele e nella verifica delle effettive condizioni mutualistiche;
    proprio sul fronte dei controlli, essi appaiono inadeguati ed insufficienti: basti pensare che la vigilanza sulle stesse cooperative se associate è affidata direttamente alle stesse Legacoop, Aggi, e Confcooperative;
    secondo quanto si apprende da www.ilfattoquotidiano.it del 10 maggio 2016 «Le ispezioni sulle cooperative effettuate dal Mise nel biennio 2015-2016 coprono una percentuale del 63 per cento. Nel 2015, in conseguenza dell'abbattimento delle risorse, sono state effettuate solo 5 mila revisioni, dato che non copre neanche il 10 per cento». A spiegarlo è Simonetta Moleti, direttore generale della Direzione per la vigilanza sugli enti, il sistema cooperativo e le gestioni commissariali del Ministero dello sviluppo economico, in audizione davanti alla commissione industria del Senato. Altro che «ispezioni straordinarie» promesse dall'ex ministro Federica Guidi all'indomani dell'inchiesta Mafia Capitale. Nel dicembre 2014, quando ha emanato il decreto con gli stati di previsione della spesa degli altri ministeri, il Tesoro ha quasi azzerato in un colpo solo le somme a disposizione di Via Veneto per formare e pagare revisori e ispettori e versare il dovuto ai commissari liquidatori delle cooperative rimaste senza denaro in cassa. «Il numero delle ispezioni effettuate dal ministero è passato dalle 20 mila del biennio 2009-2010 alle 33 mila del biennio 2011-2012, alle 36 mila del biennio 2013-2014». Poi il crollo del 2015, con il numero di controlli che è sceso a quota 5 mila. Anche se, riferisce Moleti, «nel 2016 la situazione è un po’ migliorata ritornando ai livelli dei bienni precedenti dal momento che lo stanziamento dovrebbe arrivare intorno a 6,5 milioni e sicuramente non superare il 50 per cento del versato dalle cooperative»;
    inoltre, le grandi cooperative possono avvalersi – di fatto – anche di forme di raccolta di denaro e finanziamento attraverso la possibilità di concedere l'apertura di un «libretto di prestito sociale» da parte degli aderenti che non sempre appaiono adeguatamente informati sui rischi derivanti dal versare i loro risparmi sui libretti delle coop (in particolare, «Le mosse di Bankitalia per tutelare soci Coop» in www.intermediachannel.it del 28 novembre 2015, «Scoppia il caso delle Coop: a rischio 12 miliardi di euro» – Il Giornale 22 dicembre 2015 e da ultimo la trasmissione televisiva di Report «La Banca sei tu ?» – Rai 3, 8 maggio 2016);
    si assiste persino, in alcuni casi, a situazioni poco chiare, come quelle legate a cooperative che dichiarano fallimento alla fine di ogni anno, per poi ricostituirsi cambiando denominazione e sede sociale;
    è nota anche l'inchiesta, e il processo tuttora in corso su iniziativa della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma che ha smascherato un giro di malaffare che coinvolgeva seriamente cooperative sociali che da anni collaboravano con il comune;
    parrebbe pertanto opportuno, a distanza di molti anni dagli ultimi interventi legislativi in materia, soffermarsi su un'attenta analisi rispetto al sistema cooperativistico, ponendo l'attenzione, sulla necessità di garantire la tutela dei diritti dei lavoratori del settore, oltre che un'accurata analisi relativa alle ipotesi di violazione del regime di concorrenza tra le aziende,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative normative volte a prevedere un idoneo regime di incompatibilità tra incarico politico-istituzionale e carica di amministratore e/o dirigente di società cooperativa o consorzio di cooperative al fine di elidere rapporti tra il mondo economico-cooperativo e il mondo politico, in modo tale da evitare conflitti di interesse e garantire che l'assegnazione di servizi, somministrazioni o appalti con le pubbliche amministrazioni risponda a requisiti di trasparenza e piena tutela dell'interesse pubblico;
   ad assumere iniziative normative volte ad eliminare il criterio del massimo ribasso per l'aggiudicazione degli appalti pubblici introducendo un sistema di qualificazione delle imprese cooperative che privilegi le cooperative virtuose che garantiscono il rispetto delle normative contrattuali e trattamenti retributivi, e contributivi dei dipendenti analoghi a quelli previsti per i dipendenti delle altre imprese, al fine di garantire che le società cooperative affidatarie di servizi, opere o prestazioni pubbliche, rispondano ai requisiti di trasparenza contabile e trattamento retributivo dei lavoratori conforme alla Costituzione e che rispondano effettivamente anche ai requisiti della normativa sulla cooperazione;
   a intraprendere iniziative normative volte a limitare drasticamente il ricorso da parte delle cooperative alla raccolta di denaro attraverso il cosiddetto «prestito sociale», prevedendo controlli adeguati e la fissazione di stringenti parametri di liquidità, di solidità finanziaria, di trasparenza, di informazione e di pubblicità dei bilanci e degli investimenti da parte delle cooperative a favore del socio aderente al prestito;
   ad adottare ogni iniziativa normativa diretta a rafforzare la tutela dei lavoratori soci di cooperativa dal punto di vista contrattuale, retributivo e normativo;
   ad assumere ogni iniziativa, anche di natura normativa, affinché siano riconosciuti ai soci lavoratori di cooperativa i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale del medesimo settore, attraverso specifiche determinazioni da inserire ope legis negli statuti delle cooperative medesime;
   ad adottare le opportune iniziative normative finalizzate a rendere «esclusivo» lo spirito mutualistico delle cooperative, anche rafforzando la partecipazione dei soci ai processi decisionali delle loro imprese, fornendo adeguati strumenti di protezione contro gli atti e i comportamenti degli amministratori che danneggiano la cooperativa o i soci stessi violando la finalità mutualistica della società;
   a porre in essere tutte le possibili iniziative, anche normative, finalizzate a rafforzare l'accertamento, la vigilanza e il controllo in ordine al rispetto del requisito della mutualità delle cooperative, ponendo competenze di intervento ed accertamento delle caratteristiche mutualistiche in capo ai competenti servizi territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e non più del Ministero dello sviluppo economico, con la previsione di idonee sanzioni, risorse finanziarie adeguate e sufficienti per le ispezioni e i controlli e provvedimenti di commissariamento o scioglimento a fronte di palesi irregolarità, ed estendendo tale attività di vigilanza e controllo anche nei confronti degli enti cooperativi aderenti alle associazioni nazionali di rappresentanza;
   ad agire sul piano della prevenzione e del contrasto agli abusi della pratica delle «esternalizzazioni» aziendali della manodopera connessi con l'impiego negli appalti nei vari settori (dal sociale alla logistica), assumendo ogni iniziativa utile per equiparare il trattamento contrattuale e retributivo dei lavoratori impiegati negli appalti a quello applicato ai dipendenti dell'impresa committente.
(1-01309) «Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso, Gallinella, Castelli, Frusone, Cozzolino, Terzoni».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    il patrimonio demaniale del Ministero della difesa comprende una vastissima tipologia di siti ed infrastrutture, sparsi su tutto il territorio nazionale, ed è costituito da immobili quali depositi, case e, forti e arsenali, unità abitative e aree verdi;
    la fine della «guerra fredda», l'allargamento dell'Unione europea ai Paesi collocati sul confine nordest dell'Italia la trasformazione da un esercito basato sulla leva obbligatoria ad uno formato da militari volontari, hanno comportato rilevanti modificazioni nell'assetto logistico delle Forze armate e, conseguentemente, una sensibile razionalizzazione della loro presenza sul territorio. Razionalizzazione che è in procinto di proseguire anche in forza di quanto delineato dal libro bianco per la sicurezza e la difesa, con una riduzione degli effettivi che comporterà ulteriore riduzione di impiego di spazi e strutture;
    nel corso delle ultime legislature si è assistito ad una complessa elaborazione normativa in materia di dismissioni del patrimonio immobiliare della difesa. Gran parte della richiamata normativa è attualmente contenuta nel codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, sebbene ulteriori disposizioni relative agli immobili in uso al Ministero della difesa e non più utili per le finalità istituzionali, siano previste anche in altri provvedimenti legislativi, tra i quali da ultimo anche la legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per l'anno 2016). Si è costruito così un quadro giuridico particolarmente complesso;
    l'attuale Governo ha già dimostrato un forte impegno diretto alla dismissione e valorizzazione di beni non più utili alla Difesa individuandone un numero rilevante che ha già trasferito nelle disponibilità dell'Agenzia del demanio;
    nell'ambito del Ministero della difesa è stata costituita una specifica task force che risponde direttamente al Ministro ed è in grado di rapportarsi con i numerosi soggetti e i differenti procedimenti amministrativi che interpellano la varietà di atti necessari a concludere i procedimenti di dismissione e valorizzazione;
    l'obiettivo di recuperare il maggior numero di immobili nel più breve tempo possibile ad usi diversi da quelli per i quali furono assegnati alla Difesa è nell'interesse delle comunità locali, della stessa amministrazione della Difesa e di numerosi soggetti pubblici o privati interessati ad una valorizzazione di tali beni;
    a tal fine, è opportuno concentrare l'iniziativa, sia dal punto di vista amministrativo che dal punto di vista organizzativo e relazionale, su quelle che possono essere individuate come direttrici principali dell'intero procedimento e così definite:
     a) direttrice istituzionale/procedurale, volta a chiarire il quadro legislativo, individuare le competenze diverse dell'amministrazione della Difesa, dell'Agenzia del demanio e degli enti locali con lo scopo di individuare eventuali semplificazioni;
     b) direttrice economico finanziaria, volta a individuare le difficoltà reali dei soggetti pubblici e privati coinvolti nell'eventuale progettazione e realizzazione dei progetti di riqualificazione, nonché a valutare gli strumenti da rendere disponibili, anche da parte dello Stato, per la concreta trasformazione dei beni dismessi a favore delle comunità locali;
     c) direttrice ambientale, con l'obiettivo di censire le modalità e i siti che per essere adeguatamente valorizzati hanno necessità di interventi di salvaguardia e messa in sicurezza ambientale, quali ad esempio le bonifiche;
     d) direttrice urbanistica, finalizzata a chiarire come poter inserire il processo di dismissione dentro operazioni complesse di rigenerazione urbana, valutando anche la possibilità di individuare ulteriori beni demaniali dismissibili;
     e) direttrice della «buone pratiche», volta alla conoscenza di « best practice» o casi di successo in cui il processo di riqualificazione e valorizzazione è stato realizzato ottenendo risultati più che soddisfacenti, con riguardo anche a criteri specifici di analisi, quali la valorizzazione culturale, la valorizzazione economica rivolta all'inclusione e all'imprenditorialità sociale, la gestione collaborativa dei beni comuni, la promozione della green economy e dei nuovi modi di abitare,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza al fine di semplificare l'attuale quadro normativo che regola il trasferimento dei beni demaniali non più utili all'amministrazione della Difesa ad altri soggetti, modificandone la destinazione d'uso in relazione alle diverse esigenze;
   ad assumere iniziative per costituire sul territorio una serie di unità specializzate, dotate di capacità decisionali, in grado di rapportarsi con tutti gli interlocutori eventualmente interessati, fino a portare a compimento l'intero procedimento amministrativo di valorizzazione;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per istituire nel bilancio della difesa di un fondo di compensazione da destinare alla realizzazione di quegli interventi ritenuti indispensabili per rendere lo stato d'uso dell'immobile valorizzabile, quali ad esempio le operazioni di bonifica o di temporanea messa in sicurezza;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per istituire nel bilancio dello Stato uno specifico fondo con dotazione pluriennale, specificamente destinato a rendere possibile il recupero e la valorizzazione pubblica di siti dismessi, compresa la valorizzazione storico-culturale degli stessi, favorendo in tal modo le progettazioni e gli impieghi individuati a vario titolo dai Ministeri, dalle regioni e dagli enti locali.
(7-01026) «Zanin».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    nel corso della legislatura sono stati approvati numerosi interventi fiscali sul settore produttivo volti a rilanciare la competitività delle imprese italiane e a promuovere la crescita del Paese;
    in particolare, l'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, come modificato dall'articolo 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 – legge di stabilità per il 2015 – al fine di promuovere l'innovazione attraverso lo strumento dell'incentivo fiscale ha introdotto un credito di imposta in favore dei soggetti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo;
    il novellato articolo 3 riconosce, per i periodi di imposta a decorrere da quello successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino al periodo in corso al 31 dicembre 2019, a tutte le imprese – senza limiti di fatturato e indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato – che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, un credito di imposta pari al 25 per cento delle spese incrementali sostenute rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015; la misura del credito è elevata al 50 per cento per le spese relative al personale altamente qualificato e per quelle relative a contratti di ricerca cosiddetta « extramuros» ovvero contratti con università, enti di ricerca e altre imprese, comprese le start-up innovative;
    il citato credito di imposta spetta fino a un importo massimo annuale di 5 milioni di euro per ciascun beneficiario, a condizione che siano sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo almeno pari ad euro 30.000;
    la misura non presenta, pertanto, profili di selettività, ma ha una portata applicativa generale che ne assicura la compatibilità con i vincoli in materia di aiuti di Stato;
    con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico del 27 maggio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2015, sono state adottate le disposizioni applicative necessarie al pieno funzionamento dell'incentivo;
    nell'ambito dello specifico settore del tessile e della moda, per la concreta individuazione delle attività da considerare ammissibili, la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 5/E del 16 marzo 2016, ha confermato, in linea generale, le indicazioni fornite dal Ministero dello sviluppo economico con la circolare interpretativa n. 46586 emanata il 16 aprile 2009 recante chiarimenti per l'applicazione, alla attività del tessile e della moda, della agevolazione del credito di imposta ricerca e sviluppo prevista dall'articolo 1, commi da 280 a 284, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007);
    nella citata circolare del 2009 si rileva come in ogni settore di attività industriale si svolgano processi innovativi di prodotto e di processo con proprie caratteristiche e specificità che rendono complesso esprimere, in termini generali ed astratti, una valutazione tecnica di un'attività o di un segmento di essa in ordine alla sua riconducibilità alla categoria dell'attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo: le attività astrattamente riconducibili alla nozione di ricerca industriale ed allo sviluppo sperimentale sono, nel settore del tessile e moda, quelle che precedono la fase realizzativa del campionario o della collezione, e sono collegate alla fase ideativa dello stesso e della realizzazione dei prototipi; sono quindi agevolabili i costi sostenuti per svolgere le attività dirette alla realizzazione del contenuto innovativo di un campionario o delle collezioni e per la realizzazione dei prototipi;
    in considerazione dell'alto tasso di innovazione di prodotto specifico del settore tessile, l'investimento che ogni anno le imprese finali devono sostenere per l'attività di ideazione e realizzazione dei campionari risulta molto significativo;
    secondo le conclusioni dell'Osservatorio del settore tessile abbigliamento nel distretto di Carpi, presentato nel mese di febbraio 2016, esiste una capacità creativa diffusa nel distretto sulla quale investire per alimentare l'innovazione di prodotto; le imprese finali che dimostrano una elevata capacità creativa spendono in media il 6,6 per cento del fatturato in ricerca e sviluppo dei campionari;
    data la peculiarità del settore tessile, abbigliamento e calzature, la patrimonializzazione o capitalizzazione dei costi appare una scelta importante per le imprese impegnate nello sviluppo del campionario; il sostenimento di costi del processo di campionario infatti difficilmente potranno essere capitalizzati per gli esercizi successivi oltre quello in cui verrà effettuata la produzione definitiva e saranno realizzati i relativi ricavi;
    secondo l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori – Isfol – il tessile-abbigliamento e il calzaturiero rappresenta un settore di specializzazione dell'economia italiana che negli ultimi decenni ha conosciuto un notevole ridimensionamento dovuto alla crescente concorrenza proveniente dalle economie emergenti (in particolare, da quelle asiatiche); tale ridimensionamento si è tradotto in una riduzione del peso sul Prodotto interno lordo del settore, che dal 3 per cento di inizio anni novanta è sceso all'1,7 per cento, con la conseguente caduta anche del numero di occupati; nonostante questo ridimensionamento il settore produce comunque quasi il 9 per cento del valore aggiunto industriale complessivo;
    data l'importanza del settore della moda in Italia, al fine di scongiurare un'ulteriore riduzione dell'attività produttiva e la perdita di altri posti di lavoro, risulta urgente porre in essere iniziative volte a valorizzare gli investimenti innovativi che vengono effettuati nel campo della moda per creare i nuovi campionari;
    è di tutta evidenza che l'incentivo fiscale che ha introdotto un credito di imposta in favore dei soggetti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, previsto dalla legge di stabilità per il 2015, nonostante il tentativo da parte dell'Amministrazione finanziaria di estendere quanto più possibile al settore tessile tale agevolazione, proprio per le caratteristiche specifiche degli investimenti, difficilmente capitalizzabili per gli esercizi successivi, si applichi in maniera del tutto residuale per i soggetti impiegati in tali settori risultando in particolar modo penalizzate le imprese di medie e piccole dimensioni e quelle artigiane;
    specifiche agevolazioni fiscali previste per il citato settore tessile e della moda erano previste nelle precedenti legislature a partire dalla citata legge finanziaria 2007 per il periodo dal 31 dicembre 2006 e fino alla chiusura del periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2009, e successivamente, a norma dell'articolo 4, commi da 2 a 4, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2009 e fino al termine del periodo d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2010, che concedeva un'agevolazione, sotto forma di detassazione del valore degli investimenti in attività di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, finalizzate alla realizzazione di campionari, a favore delle imprese che svolgono attività produttive classificabili nelle divisioni 13 o 14 della tabella ATECO 2007,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie iniziative di carattere normativo volte a promuovere una riduzione dell'imposizione fiscale sugli investimenti effettuati nella ricerca industriale e nello sviluppo precompetitivo, per la realizzazione di campionari nell'industria tessile e calzaturiera al fine di sostenere il settore della moda in Italia.
(7-01027) «Petrini, Barbanti, Bonifazi, Capozzolo, Carella, Causi, Colaninno, Currò, De Maria, Marco Di Maio, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pelillo, Ragosta, Ribaudo, Sanga, Zoggia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   DI BENEDETTO, NUTI, MANNINO, LUPO, DI VITA, VILLAROSA, CANCELLERI, BRESCIA, LUIGI GALLO, VACCA, D'UVA, BATTELLI, MARZANA e SIMONE VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Palazzo delle Finanze di Palermo, edificio di carattere storico nonché di notevole pregio architettonico e culturale, così come dichiarato ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004, è una grandissima struttura ottocentesca costruita sui resti delle antiche carceri della Vicaria;
   l'edificio, di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze ed appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, è chiuso da quando gli uffici dell'intendenza furono trasferiti in altra sede e versa oggi in uno stato di abbandono pressoché totale;
   l'immobile risulta attualmente inagibile per le gravi condizioni di degrado che hanno determinato effetti anche sulla stabilità del palazzo; intanto, la custodia è stata affidata al dirigente dell'Agenzia del demanio;
   con nota prot. n. 49461 del 23 settembre 2010, il segretario generale della Corte dei conti di Palermo ha rappresentato l'esigenza di trasferire i propri uffici, attualmente dislocati in immobili condotti in locazione, negli edifici dell'ex Palazzo delle Finanze, di proprietà dello Stato;
   la direzione dell'Agenzia del demanio ha manifestato la propria disponibilità a trasferire l'immobile in questione alla regione siciliana, previo impegno finanziario, per i lavori di ripristino, consolidamento e messa in sicurezza dell'ex Palazzo delle Finanze per gli usi governativi;
   con delibera n. 83 del 23 marzo 2011, la giunta regionale ha disposto di procedere all'acquisizione al patrimonio indisponibile della regione siciliana del suddetto edificio quale sito unico della magistratura contabile dando mandato alla ragioneria generale della regione per l'individuazione delle risorse finanziarie necessarie, pari ad euro 20.000.000,00, per la riqualificazione dell'immobile;
   la Cassa depositi e prestiti, società per azioni controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze che detiene l'80,1 per cento del suo patrimonio azionario, ha manifestato la disponibilità ad erogare il finanziamento attraverso l'accensione di un mutuo per l'importo corrispondente;
   l’iter si trova in una situazione di stallo dovuto alla circostanza che la gestione dell'operazione di trasferimento spetta ad una Commissione paritetica Stato-regione che deve essere nominata, o almeno riconfermata nei suoi componenti, ad ogni cambio di compagine governativa;
   tuttavia, a seguito dell'ultimo avvicendamento alla guida dell'Esecutivo, il nuovo Ministro per gli affari regionali e le autonomie, a quanto consta agli interroganti, non ha provveduto ad emanare il decreto di nomina o riconferma dei componenti della Commissione;
   a fronte di tale mancato adempimento, si sottolinea che il Ministro ha già provveduto ad emanare i decreti relativi alle commissioni paritetiche per il Trentino Alto Adige e per il Friuli Venezia Giulia;
   in mancanza di tale decreto, il trasferimento dell'immobile in questione è al momento bloccato;
   la Commissione paritetica Stato-regione precedente ha esitato un elenco dal quale si evince che sono ben 96 gli immobili che lo Stato dovrebbe trasferire alla regione siciliana, tra i quali l'ex Palazzo delle Finanze;
   il 5 giugno 2012 la stessa ha espresso parere favorevole al trasferimento dallo Stato alla regione siciliana dell'immobile denominato ex Palazzo delle Finanze destinato a sede di tutti gli uffici della Corte dei conti;
   con decreto dell'assessorato generale dell'economia del 25 luglio 2012 è stato istituito un tavolo operativo per l'avvio delle procedure finalizzate alla progettazione, finanziamento e affidamento dei lavori di ristrutturazione dello stesso;
   l’iter di trasferimento al patrimonio della regione siciliana risulta ad oggi fermo, atteso che a seguito del suindicato parere favorevole della precedente Commissione paritetica Stato-regione al trasferimento nessun altro atto è stato compiuto, a causa della mancata emanazione del decreto di nomina sopra ricordato –:
   quali siano le ragioni del ritardo nella emanazione del decreto relativo alla Commissione paritetica Stato-regioni per la Sicilia, considerata anche la circostanza che le commissioni per il Trentino Alto Adige e per il Friuli Venezia Giulia sono già state nominate;
   quali siano i tempi previsti per la emanazione del decreto;
   se la preventiva disponibilità manifesta dalla Cassa depositi e prestiti all'erogazione del mutuo di 20.000.000 euro persista e, nel caso affermativo, quali siano i tempi per l'avvio e la conclusione dell’iter di concessione dello stesso.
(3-02324)


   MATARRESE, DAMBRUOSO, VARGIU, PIEPOLI e MONCHIERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 maggio 2014, la Puglia è stata colpita da intense precipitazioni, forti venti e grandine che hanno causato ingenti danni alle colture cerasicole che nelle graduatorie relative al settore ortofrutticolo pugliese sono al primo posto con il 39,8 per cento del totale della produzione nazionale di ciliegie;
   in particolare, la graduatoria dei prodotti agricoli pugliesi nel contesto nazionale vede al primo posto proprio le ciliegie con una media di 529.802 quintali per una superficie di oltre 16.600 ettari, di cui 16.188 della sola provincia di Bari, la quale copre il 97,7 per cento della superficie investita ed il 96,6 per cento dei quantitativi prodotti rispetto al totale regionale;
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, pare che le anomale temperature registratesi nel mese di maggio 2014 rischino di far precipitare l'andamento del settore ortofrutticolo pugliese, già in seria difficoltà per le temperature anomale che hanno caratterizzato la stagione primaverile. La produzione delle ciliegie sta pagando lo scotto più alto causato da un anomalo andamento climatico;
   la stampa riporta notizie relative al maltempo che ha interessato le aree a più intensa produzione cerasicola della provincia di Bari; in particolare, il maltempo sembrerebbe aver colpito «... interi campi di ciliegie della tipologia Bigarreau, Moreau e Burlat, e Giorgia. Anche per le coltivazioni di ciliegie del tipo Ferrovia, che hanno rispetto alle altre specie un fisiologico ritardo di maturazione e che si trovano più a monte e nell'agro di Turi e Casamassima hanno subito danni che ne pregiudicano la qualità finale sul mercato. Al Centro provinciale di cerasicoltura (il campo sperimentale, gestito dalla provincia di Bari, che ospita 100 diverse coltivazioni di ciliegio) di via Mola, a Conversano, i dati relativi ai danni confermano la difficile situazione determinatasi. Sono stati constatati danni certi alle produzioni di Burlat e Moreau, le cui drupe hanno sofferto soprattutto per l'eccessiva umidità, causa principale del cracking. Anche le produzioni di Forlì, ciliegie destinate all'industria ma apprezzate anche per il consumo da tavola, hanno subito notevoli danni...»;
   a rendere la situazione ancor più grave e complessa vi è l'importazione di ciliegie dalla Spagna e dalla Turchia che mette a serio rischio il lavoro dei produttori pugliesi. Infatti, sono prodotti, questi, caratterizzati da qualità e da prezzi concorrenziali dovuti al minor costo della mano d'opera;
   sul fronte opposto invece, i prezzi delle ciliegie prodotte in Puglia sono già in forte calo e produrranno un minor guadagno per i produttori che sono già costretti, in queste ore, a dover sostenere i danni causati dal maltempo;
   secondo quanto affermato dal Presidente della Confederazione italiana agricoltori di Bari sugli organi di stampa, pare sussista anche il rischio «... di un'invasione di prodotto estero... commercializzato come italiano...», situazione, questa, che gli organi competenti sarebbero tenuti a monitorare;
   uno dei problemi che rende ancor più difficile la situazione è il mancato riconoscimento dei danni per quei produttori che non hanno attivato le polizze assicurative e ai quali andrebbero riconosciuti i danni attraverso contributi a valere sulle provvidenze previste dal decreto legislativo n. 102 del 2004, in materia di «Interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera i), della legge 7 marzo 2003, n. 38»;
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, pare che nella zona del sud-est barese sia andato distrutto il 50 per cento delle colture cerasicole e che le prime stime sui danni economici dovrebbero aggirarsi intorno ai 5 milioni di euro;
   da quanto riportato dalla stampa, sembrerebbe che l'allarme sia «... scattato soprattutto per le ciliegie di Casamassima, Turi, Castellana, Sammichele, Acquaviva, Gioia, Putignano e Conversano, dove è già tempo di raccolta e le ciliegie non sono state risparmiate dal cracking. Tra i comuni interessati (quelli in cui si produce il 70 per cento delle ciliegie pugliesi) Conversano e Turi hanno patito le conseguenze peggiori del maltempo...»;
   di grande importanza per i produttori di ciliegie baresi è l'aspetto occupazionale: secondo le prime stime, sembrerebbero migliaia i nuclei familiari cui la produzione delle ciliegie offre una consistente fonte di reddito. Il fabbisogno di lavoro per ettaro di ciliegeto specializzato, infatti, è pari a circa 600 ore, di cui l'85 per cento riguarda le operazioni di raccolta. Pertanto, in poche ore, pare sia stato distrutto il lavoro di tante persone –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, se il Governo non intenda assumere iniziative per attivare misure specifiche dirette ad indennizzare gli agricoltori che hanno subito la distruzione delle colture;
   se non si intenda dichiarare lo stato di calamità naturale per i terreni agricoli pugliesi colpiti dai violenti nubifragi di questi giorni;
   se non si intendano assumere iniziative per concedere, ai sensi della normativa vigente, a favore delle aziende agricole danneggiate i seguenti aiuti: contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria; prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo; proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento atmosferico calamitoso. (3-02326)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sono già 55 le vittime di femminicidio nei primi cinque mesi del 2016. Le ultime vittime in ordine di tempo sono una maestra di Verona accoltellata a Verona dall'ex, convivente, una donna con il figlio uccisa dal marito a Taranto che non accettava la separazione; Sara Di Pietrantonio, la ventiduenne romana uccisa e data alle fiamme dall'ex fidanzato. Poi c’è il caso della giovane bolognese incinta ricoverata per ustioni perché il fidanzato le aveva fatto bere della soda caustica, aggiunta ad una bevanda, con l'intento di farla abortire;
   quarantatré di questi omicidi, secondo l'istituto di ricerche economiche e sociali Eures, sono avvenuti all'interno del nucleo familiare, e la metà (27) all'interno della coppia;
   analizzando i dati dell'ultimo decennio, le donne uccise sono 1740: 1251 all'interno della famiglia, 846 per mano di un fidanzato e 224 assassinate da un ex. Nel 40,9 per cento dei casi, a muovere la mano dell'assassino è il movente passionale, mentre nel 21,6 per cento l'omicida ha agito dopo una lite o per un dissapore;
   è importante ricordare le violenze le aggressioni subite dalla vittima prima di essere uccisa: verificatesi nel 16,7 per cento dei casi, ma solo l'8,7 per cento delle quali denunciate alle forze dell'ordine;
   l'articolo 3 della Costituzione reca: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
   il comma 16 della legge 3 luglio 2015, n. 107 (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti) reca: «Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei princìpi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all'articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013»;
   all'inizio della XVII legislatura il Parlamento ha approvato la legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione di Istanbul, a cui ha fatto seguito l'approvazione della legge n. 119 del 2013, la cosiddetta legge contro il femminicidio, nonché della legge n. 119 del 15 ottobre 2013 che, all'articolo 5, prevede l'elaborazione di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere da parte del Ministro delegato per le pari opportunità;
   a parere dell'interrogante è necessario che le nuove generazioni, sia a scuola che in famiglia, imparino a gestire i conflitti e i fallimenti, dal momento che la nostra società, tramite i media, tende ad esaltare i vincenti e le persone di successo, contribuendo così ad alimentare una sottocultura per cui dalla sconfitta non ci si possa rialzare e ripartire –:
   quale sia lo stato dell'arte del piano d'azione previsto dalla legge n. 119 del 2013 nonché del piano formativo previsto dalla riforma della «buona scuola» e cosa il Governo intenda fare per sensibilizzare le donne e gli uomini del nostro Paese al valore della persona, affinché si protenda verso il raggiungimento della parità, il superamento delle discriminazioni sessuali, nonché delle varie forme di violenza di cui le donne e le ragazze sono vittime. (5-08923)


   MARCO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il CONI è l'ente pubblico incaricato a gestire l'ordinamento sportivo italiano ed a vigilare sulle federazioni sportive e su tutti i soggetti che svolgono attività sportiva;
   il CONI servizi è la società operativa delle attività del Comitato olimpico nazionale italiano e come tale determina tempi e modalità di perseguimento ed esecuzione delle decisioni del CONI e delle richieste da parte delle federazioni sportive delle quali, di fatto, è ugualmente riferimento;
   in tale condizione CONI servizi decide priorità e merito delle richieste e proposte dei soggetti sportivi in piena autonomia anche rispetto al CONI;
   in quanto società per azioni i titolari degli organi di CONI servizi ricevono un giusto compenso per l'attività svolta, in particolare lo ricevono i destinatari di deleghe operative al pari di qualsiasi altro amministratore di società privata;
   ci si chiede se e per quale ragione non valgano, per la nomina dei vertici di CONI servizi, le stesse ragioni di opportunità in vigore per ogni altro ente o società pubblica in termini di conflitto/sovrapposizione di interessi; in particolare ci si riferisce alla possibilità che gli incarichi di vertice di CONI servizi (società operativa strumentale delle attività del CONI) possano essere affidati anche ai presidenti delle federazioni (che compongono il consiglio nazionale del CONI) o di altri enti sportivi sottoposti alla stessa vigilanza del CONI; tale scelta difatti realizza un elevato rischio di potenziale conflitto di interesse. In primo luogo, il doppio incarico privilegia economicamente il presidente di una singola federazione rispetto a tutti i colleghi i quali ricevono un semplice rimborso per un'attività spesso svolta a scapito della propria attività professionale o lavorativa. In secondo luogo, si squilibra l'uguaglianza dei componenti il consiglio nazionale del CONI consentendo al prescelto di svolgere una attività quanto meno di moral suasion sui colleghi; CONI servizi è difatti riferimento di tutte le federazioni sportive (al pari delle autorità locali) sui temi più disparati, dalla consulenza alla realizzazione degli impianti e altro. Infine, si espone il prescelto al rischio di critiche che possono assumere veste di vere contestazioni per l'attività che CONI servizi dovesse prestare a favore della disciplina sportiva che fa riferimento alle federazione di provenienza del Presidente (e peggio del consigliere delegato) di CONI servizi –:
   se e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere il Governo per affrontare le criticità esposte in premessa, con particolare riferimento alla necessità di evitare possibili conflitti o sovrapposizioni di interessi relativamente alla nomina dei vertici di CONI servizi. (5-08929)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e MUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il porto vecchio di Trieste (punto franco nord), realizzato nell'ultimo trentennio dell'800 su una superficie di 67 ettari prospicienti il centro città e comprendente cinque moli, banchine di carico e scarico e raccordi ferroviari, è riconosciuto quale uno tra gli ambiti di archeologia industriale marittima più rilevanti del Mediterraneo: i magazzini, posti al suo interno, che contano una cubatura di oltre un milione di metri, appartengono alla classificazione disciplinata dalle regole costruttive specifiche dei lagerhauser dei porti del Nord Europa;
   negli ultimi decenni, il porto vecchio ha subito, da un punto di vista produttivo, un parziale e progressivo abbandono. Sono stati, comunque, recuperati i varchi doganali, il magazzino 1 sul molo IV e, quali esempi di archeologia industriale-portuale, il magazzino 26, l'edificio della centrale idrodinamica e l'edificio della sottostazione elettrica;
   la situazione riguardante il porto vecchio è stata esaminata e sollevata dall'interrogante in diversi atti di sindacato ispettivo depositati e pubblicati, in particolare le interrogazioni n. 4-13166 del 12 maggio 2016 e n. 4-13414 dell'8 giugno 2016, ancora senza risposta;
   il 28 maggio 2016, il Piccolo di Trieste riporta la notizia della firma del protocollo per la valorizzazione del porto vecchio tra il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, la presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e il commissario del porto Zeno d'Agostino. L'articolo illustra come il patto «sblocca 50 milioni di investimenti per l'infrastrutturazione dell'antico scalo» e che «le parti firmatarie s'impegnano in particolare a realizzare le opere per l'infrastrutturazione e l'inserimento dell'area del porto vecchio nel tessuto cittadino e a elaborare il Piano strategico di valorizzazione predisponendo gli strumenti urbanistici necessari. Altro aspetto fondamentale dell'intesa è la costituzione entro trenta giorni di un Tavolo coordinato dalla Regione»;
   nella medesima giornata, il sito Retecivica del comune di Trieste ha diffuso, attraverso una nota stampa, la notizia della firma del protocollo per la «valorizzazione delle aree già facenti parte del compendio del Porto Vecchio» tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, la regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, il comune di Trieste e l'autorità portuale di Trieste;
   in particolare, l'articolo 3, comma 1, afferma che: «le azioni, che di volta in volta saranno concordate tra le Parti, saranno dirette, secondo le Linee dettate dal presente Protocollo, a individuare modalità e percorsi operativi condivisi per: realizzare le opere per l'infrastrutturazione e l'inserimento dell'area nel tessuto cittadino; individuare le soluzioni relative alle tematiche delle aree soggette a usi governativi; adempiere agli obblighi in materia tavolare; definire le tematiche fiscali; elaborare il Piano strategico di valorizzazione e predisporre gli strumenti urbanistici; effettuare il monitoraggio e l'eventuale revisione dei vincoli insistenti sull'area; ricercare le risorse e acquisire finanziamenti per provvedere alla progettazione e realizzazione delle opere di urbanizzazione ed infrastrutturazione sopra indicate nel porto vecchio di Trieste; individuare idonee forme di ristoro delle spese sostenute del comune di Trieste; esaminare e definire ogni altra tematica che dovesse manifestarsi, necessaria per la realizzazione del programma di interventi»; l'articolo 5, comma 1, del protocollo istituisce, entro 30 giorni dalla stipula, «il Tavolo dei sottoscrittori composto da un rappresentante di ciascuna Parte, coordinato dal rappresentante della Regione» –:
   se si intenda chiarire secondo quali modalità si procederà alla valutazione della prospettata revisione dei vincoli presenti nel compendio di porto vecchio assicurando la tutela culturale e paesaggistica dei beni e salvaguardando le esigenze di valorizzazione dell'area, della messa in sicurezza e del loro restauro;
   se, alla luce di quanto esposto all'interno del protocollo d'intesa, si intendano definire in maniera chiara le linee programmatiche su cui si dovrebbe fondare l'elaborazione del piano strategico di valorizzazione assegnato al tavolo dei sottoscrittori e se si intenda coinvolgere anche l'associazione Italia Nostra che da anni segue puntualmente con impegno tutte le vicende legate alla riqualificazione del distretto storico portuale triestino. (4-13520)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge su  Il Corriere della Calabria, «una donna di 43 anni è morta nell'ospedale di Reggio Calabria a causa di complicazioni avvenute in seguito a un parto cesareo gemellare. La neomamma, Mirella Lombardo, è deceduta nel reparto rianimazione dopo essere stata operata d'urgenza a causa di una vasta emorragia, riscontrata diversi giorni dopo il parto. Il decesso della donna è stato confermato dal direttore sanitario dell'Azienda ospedaliera, Italia Rosa Albanese. «Al momento – ha spiegato – stiamo raccogliendo tutte le informazioni del caso»;
   stando a quanto si legge nell'articolo a firma Pietro Bellantoni, l'autorità giudiziaria ha già sequestrato le cartelle cliniche per cercare di fare luce su un nuovo possibile caso di malasanità ai Riuniti;
   preme ricordare che la donna aveva dato alla luce i suoi due bimbi nel reparto di ginecologia e ostetricia, di recente finito al centro delle cronache in seguito all'inchiesta «Mala sanitas», che ha portato all'arresto e alla sospensione di diversi medici dell'ospedale accusati di falsificare le cartelle cliniche per coprire gli errori avvenuti in sala operatoria;
   secondo quanto raccontato ancora da Bellantoni, «la donna, originaria della Piana di Gioia Tauro, è stata ricoverata il 3 giugno scorso. Dopo il parto cesareo e una degenza di cinque/sei giorni, era tornata a casa con i suoi due bambini. Poco tempo dopo, però, avrebbe accusato dei forti dolori che l'avrebbero convinta a svolgere altri accertamenti nello stesso ospedale dove era avvenuto il parto. Dopo un consulto medico, la quarantatreenne avrebbe però deciso di non essere ricoverata. La situazione precipita il 12 giugno, quando la donna viene riportata in ospedale in ambulanza e operata d'urgenza per rimuovere una diffusa emorragia. A intervento ultimato, sarebbe stata trasferita nel reparto Rianimazione, dove è morta la notte scorsa» –:
   se siano conoscenza dei fatti suesposti;
   se non si ritenga doveroso, per quanto di competenza e come avvenuto in casi analoghi, inviare ispettori all'ospedale di Reggio Calabria, affinché vengano accertate le cause e le eventuali criticità organizzative e gestionali che sono alla base della drammatica vicenda. (4-13527)


   TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in corso di svolgimento il concorso interno per 1400 vice ispettori della polizia di Stato, concorso bandito nel mese di settembre 2013, per il quale sono state presentate circa 22.000 domande;
   sembrerebbe che l'analisi dei compiti non sia stata uniforme, alla luce di quanto emerso dai candidati esclusi che hanno acquisito tutti gli atti del procedimento amministrativo, compresi tutti gli elaborati che la commissione ha giudicato idonei;
   sembrerebbe che ci siano anomalie anche nella composizione della commissione che ha corretto i compiti –:
   se sia stato e sarà garantito il precetto costituzionale di cui all'articolo 97, comma 1, secondo il quale «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati secondo il quale il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione»;
   quali determinazioni ed iniziative intendano intraprendere in merito al prossimo corso di formazione per vice ispettore della polizia di Stato visto che, da quanto emerge, sembrerebbero essere state disattese le norme sulla trasparenza nei concorsi pubblici e sulla formazione della commissione;
   quali determinazioni ed iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, atteso che nel ruolo degli ispettori della polizia di Stato vi è una carenza organica di oltre 11.000 posti, ossia oltre il 50 per cento della pianta organica.
(4-13538)


   FAVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 15 giugno 2016, durante il collegamento in diretta televisiva, l'inviata di Agorà Sara Mariani stava cercando di intervistare le persone presenti in una delle piazze di spaccio di Tor Bella Monaca in cui pochi giorni prima erano avvenuti numerosi arresti nell'ambito dell'operazione dei carabinieri del 14 giugno denominata «Torri», con l'intento di smantellare lo spaccio di droga;
   l'inviata del programma di Rai 3 veniva raggiunta, dopo pochi minuti, da un soggetto (non identificato) che la minacciava di morte e la costringeva ad abbandonare il collegamento;
   dagli inizi del 2016 ben tre operazioni dell'Arma dei carabinieri hanno colpito su quel territorio altrettante organizzazioni criminali dedite allo spaccio di stupefacenti con l'utilizzo di vedette mobili e fisse. Risulta che queste organizzazioni, a più riprese, abbiano realizzato vere e proprie piazze di spaccio chiuse sul modello di quelle realizzate a Secondigliano e Scampia e grazie al lavoro delle forze dell'ordine, in sei mesi, risultano eseguiti non meno di 70 arresti per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga;
   nei primi mesi del 2016 due soggetti sono stati colpiti da colpi d'arma da fuoco nell'ambito di regolamenti di conti nel quartiere;
   in quel territorio opera solo una stazione dei carabinieri e a livello superiore risulta competente per tale territorio il gruppo carabinieri di Frascati che è competente su tutta l'area dei Castelli romani e sul litorale che va da Ardea a Nettuno nonché sulla zona Romanina. Su tutte queste aree insistono numerose consorterie criminali;
   nell'area in questione sono molte le iniziative positive portate avanti dalle scuole per l'educazione alla legalità e per togliere i ragazzi dalla strada come riportato anche in un recente articolo del Fatto Quotidiano –:
   se il Governo sia al corrente di questi gravi fatti e se non intenda rafforzare la presenza dell'Arma dei carabinieri nel quartiere in questione elevando la stazione dei carabinieri a reparto territoriale dell'Arma, al fine di garantire un più completo ed adeguato contrasto alle organizzazioni criminali ivi radicate;
   se non si intenda avviare un piano straordinario per rafforzare il ruolo dei presidi scolastici in questa zona. (4-13539)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», ha disposto la trasformazione dell'Ente nazionale italiano per il turismo (Enit) in ente pubblico economico e la liquidazione di Promuovi Italia s.p.a., prevedendo che non ne derivassero nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
   il citato articolo 16 ha assegnato ad Enit nuove e maggiori attività promozionali e commerciali, sia in Italia che all'estero, nonché la gestione del portale italia.it;
   la riforma, sebbene adottata con decreto-legge del 2014 per questioni di urgenza legate al semestre italiano di Presidenza europea e ad Expo 2015, prevedeva che il processo di trasformazione di Enit si sarebbe dovuto concludere in 6 mesi, e che – al contrario – dopo due anni ed a 7 mesi dall'insediamento della nuova governance nulla di nuovo è stato realmente compiuto, se non gli annunci – a mezzo stampa – dei componenti del consiglio di amministrazione rispetto a future azioni da intraprendere;
   il direttore generale del turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dottor Francesco Palumbo, ha affermato in data 24 maggio 2016: «L'intenzione di riformare l'Enit veramente c’è, ma ci vuole il tempo necessario. Si sta cambiando il personale e i dirigenti e pensare di farlo in pochi mesi è un errore», preannunciando un ulteriore necessario slittamento per il completamento della riforma;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo invece di affidarsi al nuovo Enit ha incaricato Invitalia della stesura del piano strategico del turismo per un importo pari a euro 1.5000.000,00;
   la convenzione triennale da stipularsi – entro dicembre 2015 – tra Enit e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il finanziamento di attività promozionali specifiche, come previsto sia dalla legge che dallo statuto dell'Enit, non è stata ad oggi finalizzata, pur essendo ormai trascorso quasi metà anno 2016, non permettendo così una programmazione delle azioni da intraprendere in Italia e all'estero per supportare ed incrementare la presenza dei turisti stranieri nel Belpaese;
   a quanto risulta all'interrogante, la mancata stipula della convenzione è dovuta ad una lamentata «rigidità» nelle modalità operative e di rendicontazione richieste dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo alla nuova Enit;
   la volontà del Governo in ordine alle politiche di attrazione turistica verso l'Italia, a giudizio dell'interrogante, contrastano con la realtà dei fatti descritti nel presente atto di sindacato ispettivo;
   con decreto ministeriale del 3 luglio 2015 sono stati nominati consiglieri di amministrazione dell'Enit il dottor Antonio Nicola Preiti ed il dottor Fabio Maria Lazzerini e con decreto ministeriale del 24 luglio 2015 la dottoressa Evelina Christillin è stata nominata presidente dell'Enit, ma la nomina dei consiglieri di amministrazione non risulterebbe all'interrogante essere stata registrata alla Corte dei conti, né si conoscono gli estremi dell'invio alla stessa;
   sul sito istituzionale dell'Enit, area amministrazione trasparente, sono state inserite le dichiarazioni di non sussistenza delle cause di incompatibilità di cui al decreto-legge n. 39 del 2013 dei tre membri del consiglio di amministrazione dell'Enit: il dottor Fabio Maria Lazzerini ha dichiarato a mezzo stampa che lo stesso è stato nominato consigliere delegato in occasione del consiglio di amministrazione del 15 ottobre, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, dello statuto dell'Enit approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 maggio 2015 ma risulta, ad oggi, dipendente della compagnia aerea straniera Emirates con la qualifica di Country Manager Italia; il consigliere Antonio Nicola Preiti è proprietario al 77 per cento di una società, Sociometrica, che si occupa della «organizzazione, promozione e realizzazione di iniziative nel campo della promozione turistica», lo stesso identico lavoro che svolge l'Enit;
   secondo quanto affermato dal Sottosegretario di Stato ai beni e alle attività culturali e al turismo in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-07731 in merito all'incompatibilità dei due consiglieri di amministrazione: «la competente Direzione del MIBACT ha investito della questione per un'indagine approfondita il responsabile della prevenzione della corruzione dell'Ente»;
   alla data della risposta, l'Enit non aveva nominato alcun responsabile della prevenzione della corruzione e solo successivamente è stato designato per tale ruolo il direttore esecutivo Giovanni Bastianelli, selezionato da una Commissione presieduta dal dottor Lazzerini e approvata in sede di consiglio di amministrazione, del quale due componenti su tre sono i soggetti coinvolti in attività che per l'interrogante potrebbero determinare un potenziale conflitto di interessi;
   sempre da quanto si ricava dal sito istituzionale dell'Enit, area amministrazione trasparente, risulta uno schema organizzativo dell'agenzia che non rispecchia a quanto consta all'interrogante quello deliberato dal commissario straordinario Radaelli, appositamente nominato in osservanza della legge n. 106 del 2014;
   il personale, pur essendo dichiarato idoneo a lavorare presso il nuovo ente pubblico economico, ha interamente optato per il trasferimento presso un'altra pubblica amministrazione, ritenendo irricevibile la proposta di inquadramento nella nuova Enit avanzata dal commissario straordinario. Una parte del personale ha proposto ricorso dapprima dinanzi al Tar contro il contratto individuato nello statuto della nuova Enit e successivamente dinanzi al giudice del lavoro contro la delibera con la quale veniva richiesta l'opzione;
   per quanto a conoscenza dell'interrogante, in Enit sono stati assunti due nuovi direttori, uno esecutivo ed uno finanziario, ed entro la fine del mese dovrebbe essere inquadrato in Enit una parte del personale di Promuovi Italia spa, tutti assunti in base ai contratti collettivi individuati nello statuto e oggetto di ricorso;
   le due figure dirigenziali sopra richiamate non sono presenti nello schema di riorganizzazione di cui alla deliberazione commissariale 19/2015, in attuazione della legge n. 106 del 2014 e non risulta all'interrogante che il Ministero vigilante abbia approvato una nuova organizzazione che modifichi quella del commissario straordinario e pertanto, ogni nomina non conforme all'organizzazione commissariale vigente è da considerarsi per l'interrogante illegittima;
   le funzioni del direttore esecutivo, individuato nel dottor Giovanni Bastianelli, in base alle deleghe allo stesso assegnate dal consiglio di amministrazione di Enit, risultano di fatto per l'interrogante quelle del direttore generale della vecchia Enit; per l'interrogante non risulta corrispondente ai dettami della legge la possibilità che un direttore esecutivo/generale di un ente pubblico economico possa avere un contratto a tempo indeterminato, come quello stipulato dall'Enit con il dottor Bastianelli, invece che triennale, e a quanto consta all'interrogante il decreto di nomina non sarebbe stato neppure inviato alla Corte dei conti per la registrazione;
   risulta all'interrogante che lo stesso Ministero vigilante abbia sollevato alcune perplessità sulle modalità ed i termini di individuazione del direttore esecutivo;
   peraltro, la nomina è scaturita da una procedura selettiva alquanto carente in termini di pubblicità e trasparenza (basti pensare che l'avviso di selezione è stato pubblicato soltanto sul sito www.enit.it) e che non sono stati resi noti, né prima né dopo, i criteri utilizzati per la selezione e l'attribuzione dei punteggi ai singoli candidati;
   oltretutto, il direttore Bastianelli non risulta essere il candidato «ideale» (come indicato nell'apposito avviso di selezione), avendo superato l'età anagrafica massima di 50 anni indicata dalla stessa Agenzia –:
   quale sia la motivazione della mancata sottoscrizione della convenzione triennale Enit/Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e come il Governo intenda agire relativamente ai profili di responsabilità per il mancato compimento delle azioni promozionali speciali almeno per l'anno 2016;
   quali siano i tempi ritenuti congrui dalla direzione generale del turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la conclusione dell’iter di trasformazione di Enit in ente pubblico economico;
   quali siano le motivazioni che hanno spinto il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ad assegnare ad Invitalia l'incarico della stesura del piano strategico nazionale, e per quali ragioni non siano state utilizzate le professionalità interne in accordo con Enit;
   se siano state effettuate le valutazioni di imparzialità e insussistenza delle cause di incompatibilità al momento delle nomine dei componenti del consiglio di amministrazione dei dottori Fabio Maria Lazzerini e Antonio Nicola Preiti;
   se siano state effettuate le dovute verifiche relativamente ai contratti individuati nello statuto da applicare al personale della nuova Enit;
   se siano state presentate memorie difensive relativamente ai ricorsi proposti dai dipendenti dell'Enit dinanzi al tribunale del lavoro, ed in caso positivo quali ne siano i contenuti;
   se corrisponda al vero che si sia proceduto all'assunzione del personale «Promuovi Italia s.p.a.», presso l'Enit e, in caso affermativo, in base a quali motivazioni, considerato che – ad oggi – sussistono due giudizi pendenti in merito al contratto da applicare ai dipendenti di Enit e che, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, nessun obbligo insiste in capo ad Enit relativamente all'assunzione del personale della società posta in liquidazione;
   se il Ministro interrogato abbia approvato una nuova organizzazione dell'ente, non presente sul sito istituzionale dell'Enit, che giustifichi le due nuove figure dirigenziali assunte;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno che la figura di direttore esecutivo coincida con quella di direttore generale, circostanza che secondo l'interrogante non dovrebbe verificarsi, e – nel caso – come intenda procedere relativamente a tale questione nei confronti dell'agenzia.
(4-13541)


   MURER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con il Consiglio dei ministri n. 116, del 10 maggio 2016, il Presidente Renzi ha comunicato la sua intenzione di attribuire la delega in materia di pari opportunità al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi;
   l'attribuzione della delega alle pari opportunità ad un Ministro era chiesta da tempo da associazioni e forze politiche in ragione della necessità di una svolta sulle politiche di genere, soprattutto rispetto al drammatico tema del contrasto alla violenza sulle donne;
   il fenomeno continua a registrare numeri da vero e proprio allarme sociale; i casi di femminicidio che nelle ultime settimane sono esplosi riportano l'attenzione su un dramma costante;
   dall'inizio dell'anno sono già 50 le donne uccise da uomini – mariti, fidanzati o compagni – che rientrano nella tipologia del femminicidio, mentre sono 155 i casi accertati di violenza ai danni delle donne;
   nel 2015, in Italia, sono state 128 le donne uccise secondo la tipologia del femminicidio, vittime prevalentemente di mariti o ex mariti, di compagni o ex compagni; nello stesso anno – secondo i dati del Ministero dell'interno, in Italia si sono consumati 6.945 atti persecutori a danno delle donne, 3.086 casi di violenza sessuale e ben 6.154 casi di percosse;
   l'ultima ricerca dell'Istituto nazionale di statistica commissionata dal dipartimento delle pari opportunità sulla violenza contro le donne in Italia relativa al quinquennio 2009/2014 documenta che una donna su tre (circa 6 milioni e 788 mila persone) ha subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nel corso della vita; la percentuale è del 31,5 per cento delle donne italiane fra i 16 e i 70 anni; Il 20,2 per cento a subìto violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale;
   le donne che subiscono più violenze fisiche o sessuali sono le separate e le divorziate; i casi più gravi di violenze vengono perpetrati dai partner attuali o ex compagni. Il 62,7 per cento degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente. Gli sconosciuti sono nella maggior parte dei casi autori di molestie sessuali (76,8 per cento);
   la durezza delle violenze è sempre più grave: aumentano quelle che hanno causato ferite (dal 26,3 per cento al 40,2 per cento da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014); anche le violenze da parte dei non partner sono più gravi. Il 16,1 per cento delle donne ha subìto stalking nel corso della vita;
   il 19 giugno 2013 il Parlamento italiano ha approvato, in via definitiva, la ratifica e l'esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa, nota come Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne e la violenza domestica;
   la Convenzione era stata approvata ad Istanbul l'11 maggio 2011 ed è il primo strumento giuridicamente vincolante di livello europeo contro la violenza, per la prevenzione, la tutela e il supporto alle vittime;
   nel testo della Convenzione – che definisce la violenza sulle donne come violazione dei diritti umani fondamentali – sono indicate una serie di misure che gli Stati devono adottare;
   l'11 ottobre 2013 il Senato della Repubblica ha approvato, in via definitiva, la legge 15 ottobre 2013, n. 119, di conversione del decreto 14 agosto 2013, n. 93 recante nuove «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere»; la legge ha raccolto gran parte delle indicazioni contenute nella convenzione di Istanbul;
   l'articolo 5 del citato decreto, convertito in legge parla dell'adozione di un «Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere», che il «Ministro delegato per le pari opportunità, anche avvalendosi del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità» elabora, con il contributo delle amministrazioni interessate, delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza, e adotta, previa intesa in sede di Conferenza unificata e in sinergia con la nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020;
   il piano definito all'articolo 5 del suddetto decreto persegue le seguenti finalità: a) prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività; b) sensibilizzare gli operatori dei settori dei media per la realizzazione di una comunicazione e informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere; c) promuovere un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere; d) potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza; e) garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con fatti di violenza di genere o di stalking; f) accrescere la protezione delle vittime attraverso il rafforzamento della collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte; g) promuovere lo sviluppo e l'attivazione, in tutto il territorio nazionale, di azioni basate su metodologie consolidate e coerenti con linee guida appositamente predisposte, di recupero e di accompagnamento dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive, al fine di favorirne il recupero e di limitare i casi di recidiva; h) prevedere una raccolta strutturata e periodicamente aggiornata, con cadenza almeno annuale, dei dati del fenomeno; i) prevedere specifiche azioni positive che tengano anche conto delle competenze delle amministrazioni impegnate nella prevenzione, nel contrasto e nel sostegno delle vittime di violenza di genere e di stalking e delle esperienze delle associazioni che svolgono assistenza nel settore; l) definire un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di Governo, che si basi anche sulle diverse esperienze e sulle buone pratiche già realizzate nelle reti locali e sul territorio;
   secondo lo stesso articolo, il Ministro delegato per le pari opportunità trasmette annualmente alle Camere una relazione sull'attuazione del piano;
   la legge ha previsto una dotazione economica incrementata di 10 milioni di euro sul Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per l'anno 2013, di 7 milioni di euro per l'anno 2014 e di 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015; la normativa stessa ha affidato al Ministro delegato per le pari opportunità, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il compito di provvedere annualmente a ripartire tra le regioni le risorse;
   le regioni destinatarie delle risorse oggetto di riparto presentano al Ministro delegato per le pari opportunità, entro il 30 marzo di ogni anno, una relazione concernente le iniziative adottate nell'anno precedente a valere sulle risorse medesime; sulla base delle informazioni fornite dalle regioni, il Ministro delegato per le pari opportunità presenta alle Camere, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sullo stato di utilizzo delle risorse stanziate;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato alla Corte dei Conti il 25 agosto 2015 è stato adottato il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2103, convertito nella legge n. 119/2013);
   il piano ha previsto una « governance multilivello» della questione, articolando tre livelli di intervento con tre soggetti, due centrali e uno multiplo, espressione del sistema dei territori; sono previsti: una Cabina di regia presieduta dal Dipartimento Pari Opportunità e composta da rappresentanti di vari Ministeri (Interno, Giustizia, Salute, Istruzione, Esteri, Sviluppo, Economico, Difesa, Economia, Lavoro), delle Regioni e degli enti locali; poi l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di un apposito Osservatorio nazionale sul fenomeno della violenza, con il compito di supportare il Tavolo interistituzionale; infine, a livello territoriale, un Tavolo di coordinamento degli interventi per il contrasto, il trattamento della violenza maschile contro le donne e il loro reinserimento lavorativo con Prefettura, Forze dell'Ordine, Procura, comuni, associazioni e organismi del privato sociale e ASL;
   il piano prevede anche alcune linee guida tematiche, un sistema di monitoraggio nazionale e di raccolta dati, e uno stanziamento complessivo di 30 milioni di euro in tre anni; è previsto infine, un meccanismo di revisione del piano ogni due anni;
   sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 marzo 2016 è stato pubblicato un avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per le pari opportunità, che prevede lo stanziamento di 12 milioni di euro finalizzati al «finanziamento di progetti volti a sviluppare la rete di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso il rafforzamento dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza, delle case rifugio e dei servizi di assistenza, prevenzione e contrasto che, a diverso titolo, entrano in relazione con le donne vittime di violenza –:
   a che punto sia l'attuazione, nei suoi vari livelli, del piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, di cui all'articolo 5 della legge n. 93 del 2013; quando si ritenga, come previsto dalla stessa legge, di trasmettere in Parlamento la relazione sullo stato di attuazione, e rispetto al riparto regionale; se il Governo ritenga di relazionare in tale sede sugli altri adempimenti del piano e con riferimento al programma di intervento sul tema; quali siano gli orientamenti del Governo sulla questione del femminicidio e se e quali iniziative il Governo intenda assumere per contrastare tale fenomeno che appare come una vera e propria emergenza sociale. (4-13545)


   NICCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 maggio 2016 il Comitato di Agliana per il No alla riforma costituzionale, Renzi-Boschi, ha presentato all'ufficio protocollo del comune di Agliana due richieste di occupazione del suolo pubblico per la raccolta delle firme a sostegno del referendum costituzionale; la prima relativa a piazza Bellucci per alcuni sabato mattina, durante il mercato, e la seconda relativa a piazza Gramsci per le sere del mese di giugno dalle ore 21,00 alle 23,00, durante gli eventi del giugno aglianese;
   dopo alcuni giorni al Comitato per il No di Agliana viene richiesto telefonicamente dalla polizia municipale di Agliana di andare a ritirare la concessione del suolo pubblico relativa alla sola piazza Bellucci, e lo si informa che di piazza Gramsci se ne sta occupando il sindaco in persona;
   in data 8 giugno 2016 non avendo ancora ricevuto alcuna risposta, il Comitato per il No di Agliana invia una mail di sollecito risposta;
   in data 10 giugno 2016 il Comitato per il No di Agliana invia una email tramite pec di ulteriore sollecito;
   in data 15 giugno 2016, quasi un mese dopo la richiesta, quando ormai sono quasi giunti a termine i tre mesi concessi per la campagna di raccolta firme, iniziata i primi di aprile 2016, viene rifiutata la richiesta per piazza Gramsci tramite lettera del sindaco Giacomo Mangoni, e non dal comandante della polizia municipale come consuetudine e per norma, come del resto è avvenuto per la richiesta di occupazione del suolo pubblico in piazza Bellucci, presentata nella stessa data;
   nella risposta di diniego il sindaco afferma che è stata ritenuta «inopportuna la concessione di suolo pubblico per un'iniziativa politica “di parte” tendenzialmente divisiva» durante le manifestazioni del giugno aglianese volte a «incentivare le relazioni personali e rinsaldare l'identità territoriale dei cittadini»;
   la raccolta firme è attività funzionale all'esercizio di un diritto politico di alto rilievo costituzionale: esprime non solo la libera opinione di chi desidera che il procedimento di revisione costituzionale venga sottoposto al vaglio della volontà popolare, dopo l'approvazione parlamentare, come consente l'articolo 138 della Costituzione, ma suggella il procedimento stesso come garanzia di rigidità della Costituzione e superiorità rispetto alla produzione legislativa ordinaria, per cui rappresenta un vincolo di forma e di contenuto che non si può rimuovere se non raccogliendo ampio consenso nel Parlamento e nella popolazione, attraverso il referendum, quando si realizzano le condizioni per indirlo;
   il diritto di raccogliere firme deve esercitarsi in forme legittime, ma l'ordinanza di un sindaco deve rispettare la legge, anzitutto la Costituzione e le leggi ordinarie dello Stato. Un limite che invochi la tutela di una festa e stigmatizzi attività «divisive» e «di parte» è secondo l'interrogante del tutto estraneo all'ordinamento, perché introduce un limite a un diritto fondamentale ad opera di una fonte amministrativa (l'ordinanza del sindaco) che in uno Stato di diritto deve essere sottoposta alla legge; si consideri inoltre che il decreto legislativo n. 267 del 2000 riserva il potere di rilasciare queste autorizzazioni, all'articolo 107, in relazione all'articolo 50, ai funzionari preposti, escludendo che possa intervenire direttamente il sindaco –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda assumere iniziative per implementare la disciplina di cui al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali al fine di chiarire, in modo inequivoco, che provvedimenti amministrativi come quelli sopra indicati devono essere adottati dalla dirigenza dell'ente secondo criteri oggettivi e non dagli organi politici, in modo da garantire il rispetto del fondamentale e indisponibile esercizio del diritto politico dei cittadini e delle cittadine, che, ad avviso dell'interrogante, è stato leso ad Agliana, stante l'inaccettabile comportamento assunto dal sindaco Giacomo Mangoni;
   se il Governo non intenda adottare ogni ulteriore iniziativa di competenza, anche di carattere informativo, rivolta a cittadini e amministratori sulle garanzie previste dall'ordinamento per il pieno esercizio dei diritti e dei doveri politici, con particolare riferimento alle campagne di raccolta di firme e referendarie.
(4-13548)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in merito alla crisi di diverse banche italiane, come Banca Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti, che hanno bruciato 2,6 miliardi di euro di azionisti e obbligazionisti, il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, rivendica numerose ispezioni fatte negli ultimi anni dai suoi impiegati, ispezioni che, ad avviso dell'interrogante, evidentemente non sono state sufficienti a evitare questi dissesti, anche se la Banca d'Italia ha il compito di gestire la stabilità del sistema;
   secondo un recente articolo del quotidiano Libero, il governatore Visco sarebbe «digiuno in materia di vigilanza, e a ben vedere anche di politica monetaria, alla quale pure dovrebbe contribuire, visto il suo incarico nel consiglio della Bce»;
   il governatore Visco, in nome dell'autonomia non applica il tetto agli stipendi, valido per il resto della pubblica amministrazione: lui stesso continua a guadagnare 450 mila euro lordi l'anno, trentamila in più del presidente della Bundesbank, e nel 2015 il monte stipendi della Banca d'Italia è aumentato di 6,4 milioni di euro, mentre il resto delle istituzioni, Presidenza della Repubblica inclusa, era intenta a realizzare la doverosa spending review;
   gli emolumenti dei dipendenti sono molto alti secondo la motivazione, sottoscritta da tutto il direttorio, che «l'Istituto debba mantenere la capacità di attrarre i migliori giovani che si affacciano al mondo del lavoro, anche offrendo retribuzioni competitive su scala internazionale, pena una perdita di autorevolezza all'interno dell'Eurosistema» –:
   se il Governo non intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, in riferimento a quanto esposto, per individuare gli strumenti più appropriati affinché i principi alla base della spending review possano operare anche con riferimento alla Banca d'Italia;
   se non si intendano assumere iniziative normative, per quanto di competenza, per promuovere un efficace sistema sanzionatorio anche con riguardo all'operato degli ispettori della Banca d'Italia;
   se non si intendano assumere iniziative normative per rafforzare e rendere più efficaci le funzioni di vigilanza della Banca d'Italia nei confronti degli istituti di credito;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere al fine di tutelare risparmiatori e azionisti rispetto a situazioni del genere e, più in generale, di provvedere al pieno ristoro di coloro che hanno perduto i propri risparmi. (4-13552)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MALISANI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la stampa nazionale e locale è tornata ad occuparsi dello stato di degrado della villa Italia a Tarabya, Istanbul, più volte oggetto di interesse a partire dal 1995 quando ci fu un primo appello per la sua salvaguardia da parte di Italia Nostra e Bruno Zevi;
   è in fase conclusiva il bando promosso dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'Ambasciata di Italia ad Ankara per una «indagine esplorativa finalizzata all'acquisizione di manifestazioni di interesse per il recupero e la valorizzazione dell'immobile ubicato a Istanbul denominato «Villa Tarabya»;
   l'immobile – realizzato dal grande architetto friulano Raimondo D'Aronco, all'epoca progettista al servizio del sultano Abdullhamid II – costituisce forse il capolavoro più straordinario tra le eccellenze architettoniche ancora presenti a Istanbul, in quanto coniuga la tradizione locale della carpenteria lignea con gli stilemi italiani e ottomani realizzando un unicum nella storia dell'architettura Art Nouveau internazionale;
   il degrado è cominciato negli anni Ottanta e numerosi sono stati i tentativi di salvataggio naufragati a causa di impedimenti burocratici e finanziari e indecisioni sulla nuova destinazione;
   oggi lo stato di degrado è talmente avanzato che più che di restauro si dovrebbe parlare, almeno per alcune parti, di ricostruzione, fortunatamente possibile grazie all'archivio D'Aronco di Udine che conserva i disegni originali del progetto –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quale attenzione sia stata posta nella valutazione delle proposte di interesse presentate al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale affinché una rigorosa selezione possa garantire:
    a) una destinazione adeguata al valore storico-ambientale dell'edificio;
    b) che questo patrimonio unico al mondo non venga svenduto;
    c) un adeguato restauro-ricostruzione, secondo le norme di tutela del codice dei beni culturali, che consenta di salvare questo capolavoro architettonico. (5-08921)


   MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, SPADONI, SCAGLIUSI, GRANDE, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da diverse fonti di stampa, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha motivato la sua decisione di rimuovere la coalizione guidata dall'Arabia Saudita in Yemen dalla «lista nera» dei Paesi e delle organizzazioni che commettono crimini contro i bambini in virtù del minacciato taglio dei fondi all'organizzazione da parte dei sauditi;
   «È stata una decisione dolorosa. Ma milioni di altri bambini avrebbero sofferto molto con il taglio dei fondi», queste le prime dichiarazioni del Segretario Generale dell'ONU, definendo poi come inaccettabile, per gli Stati membri, «esercitare indebite pressioni»; quindi, il timore di dover rinunciare a quei fondi avrebbe convinto Ban Ki-moon ad accogliere, tra le perplessità di molti attori, la richiesta saudita di uscire dalla black list;
   questa decisione ha suscitato l'indignazione delle organizzazioni per i diritti umani. «Dato che questo elenco è frutto di manipolazione politica, perde credibilità e macchia l'eredità del Segretario generale sui diritti umani», ha commentato Human Rights Watch;
   l'ONU aveva inserito il nome della coalizione a guida saudita (impegnata nel radere al suolo intere città dello Yemen) in una black-list di organizzazioni che violano i diritti dei bambini del mondo; secondo un rapporto Onu almeno 785 bambini sono stati uccisi e 1.168 feriti in Yemen solo lo scorso anno, il 60 per cento da attacchi aerei della coalizione contro scuole e ospedali yemeniti;
   dopo la reazione del Regno arabo, l'Onu ha annunciato che ha accettato «la proposta dall'Arabia Saudita che le Nazioni Unite e la coalizione rivedano insieme i casi e le cifre citate nel testo» e «ha rimosso dalla lista la coalizione». Tuttavia, l'ambasciatore saudita ha osservato che il cambiamento nella lista è «definitivo e incondizionato»;
   l'UNICEF, in un rapporto di marzo 2016 sullo Yemen, ha potuto verificare 1.560 gravi violazioni dei diritti umani dei bambini. Secondo il rapporto, solo nel 2015, oltre 900 bambini sono stati uccisi e oltre 1.300 sono rimasti feriti: cifre quasi 7 volte superiori rispetto a quelle dell'anno precedente;
   tra l'altro, incredibilmente a parere degli interroganti, all'Arabia Saudita, nonostante un numero record di decapitazioni, è toccata la presidenza del comitato consultivo del Consiglio Onu dei diritti umani, una decisione che ha suscitato l'indignazione internazionale, ma che gli Stati Uniti hanno ben accolto;
   in Arabia Saudita che, come ampiamente documentato, massacra la popolazione yemenita e fomenta e foraggia il terrorismo jihadista nel mondo, tuttavia, secondo il noto Ministro interrogato, «Abbiamo chance straordinarie...», affermazione pronunciata proprio pochi giorni fa al festival dell'economia di Trento, tacendo però che secondo la relazione annuale 2015 sull’export militare italiano appena trasmessa al Parlamento, l'Italia ha aumentato in modo esponenziale la vendita d'armi all'Arabia Saudita, a giudizio degli interroganti in contrasto con la legge n. 185 del 1990, utilizzando diversi escamotage –:
   quale sia la posizione dell'Italia in ordine a quanto denunciato dal segretario generale delle Nazioni unite e quali iniziative intenda adottare, anche di concerto con l'Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, perché la tutela dei bambini non venga ritenuta negoziabile, come pretenderebbe l'Arabia Saudita. (5-08939)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, VIGNAROLI, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto dirigenziale n. PD/944 del 23 giugno 2014 del dirigente settore ambiente, programmazione territoriale, Autorità portuale della provincia di Mantova, è stato rilasciato, alla ditta Burgo Group di Altavilla Vicentina (Vicenza), il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) già rilasciata con decreto regionale n. 6764 del 23 giugno 2008 e AD 21/168 del 6 dicembre 2011 per il complesso di impianti per la « Integrated Pollution Prevention and Control» (IPPC) sito nel comune di Mantova in via Poggio Reale n. 9 ed adibito all'esercizio delle attività di cui ai punti 6.1 b), 1.1, 5.4 dell'Allegato VIII alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni;
   con l'avviso al pubblico ex articolo 29-quater, comma 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni del 15 gennaio 2016 l'amministrazione provinciale di Mantova comunica che:
    a) con istanza del 31 dicembre 2015, la società Cartiere Villa Lagarina ha richiesto il riesame e la voltura dell'autorizzazione integrata ambientale precedentemente rilasciata a Burgo Group per la Cartiera di Mantova.
    b) la provincia di Mantova in data 15 gennaio 2016 ha avviato il procedimento amministrativo per il riesame e la contestuale voltura dell'autorizzazione integrata ambientale ai sensi dell'articolo 29-octies, comma 3 lettera a) su Decisione di esecuzione della C.E del 26 settembre 2014 [C(2014) 6750] e comma 4 lettera d) del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni relativamente all'installazione IPPC localizzata in Viale Poggio Reale n. 9 nel comune di Mantova in cui sono svolte le attività IPPC di cui ai punti 1.1, 5.2, 5.4 e 6.1 b) dell'allegato VIII alla parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e attività non IPPC tecnicamente connesse;
   in sostanza la nuova cartiera vuole dotarsi di un nuovo inceneritore per rifiuti speciali, di un impianto turbogas, incrementare i volumi di carta prodotta passando dalla carta per quotidiani al cartoncino ondulato. L'inceneritore, a differenza dell'autorizzazione AIA del 2014, dovrebbe incenerire i fanghi di cartiera provenienti anche dagli altri stabilimenti del gruppo Progest;
   da notizie riportate sulla stampa, in merito alle osservazioni presentate in provincia al progetto dall'ingegnere Paolo Rabitti, e dalla sintesi non tecnica depositata in provincia dalla società proponente, si apprende dell'opinabile procedura di AIA nel 2014 per quanto concerne l'inceneritore, non inserito nel decreto di AIA ma inserito nell'elenco delle attività IPPC a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 46 del 2014; anche la produzione di carta prevista da Progest necessiterebbe di una nuova procedura AIA;
   il comune di Mantova, ai tempi dell'amministrazione Sodano, quando (giugno 2014) venne concessa l'autorizzazione all'inceneritore Burgo, non ritenne necessario sottoporre l'impianto ad Aia, non tenendo conto che era cambiata la legislazione; in particolare l'allegato VIII del decreto legislativo n. 152 del 2006 che introduce delle soglie delle quantità di materiale trattato (3 tonnellate all'ora) anche per i rifiuti non urbani. Per la verità il consulente del comune, l'ingegner Umberto Maffezzoli, lo segnalò nel suo parere dell'8 maggio 2014, ma nel parere finale dei comune, firmato dall'allora segretario Vareschi e presentato alla conferenza dei servizi del 12 maggio 2014, non se ne parla. La quantità di carta prodotta dal nuovo impianto, inoltre, passerebbe 575 t/g a 1159 t/g, con un aumento di 584 t/g, quasi 30 volte la soglia di 20 t/g per una nuova Aia;
   altri dati suggeriscono la necessità di uno studio di valutazione d'impatto ambientale per il turbogas che sostituirà la centrale della vecchia Burgo, un impianto nuovo appunto. Il nuovo turbogas avrà una potenza termica di oltre 68 MWt, molto superiore alla soglia di 50 oltre alla quale il progetto deve essere sottoposto a verifica di assoggettabilità a VIA;
   in sostanza, non è vero che si tratti di modifica non sostanziale: l'impianto ha potenzialità doppie per la produzione di carta e triple per la potenza elettrica dell'inceneritore. Le prestazioni del nuovo inceneritore triplicheranno rispetto all'attuale sia per la potenza termica sia per la potenza elettrica. La quantità di rifiuti da incenerire prevista dal proponente (10 t/h) di sostanza secca comporta un aumento di 5 t/h di sostanza secca, rispetto a quelle autorizzate e superiore alla soglia Ippc di 3 t/h;
   in data 26 febbraio 2016 la Gazzetta di Mantova riporta la notizia secondo cui Francesco Zago, direttore delle cartiere del gruppo «Progest» fra le quali la ditta cartiera Villa Lagarina s.p.a., era sicuro che non sarebbe stata richiesta la VIA in base ad accordi con la provincia di Mantova precedenti all'inizio della conferenza dei servizi (convocata il 25 febbraio 2016), si legge sullo stesso quotidiano che «il dialogo con la provincia è iniziato un anno fa, quindi ancora prima dell'acquisizione (della ex cartiera Burgo, n.d.r.) e già informalmente avevamo convenuto sulla non sostanzialità delle modifiche da noi richieste, parere poi formalizzato in una PEC di novembre 2015». Tramite accesso agli atti si è potuto accedere a tale PEC in cui l'architetto Giancarlo Leoni, Autorità Competente e Responsabile del procedimento, nonché dirigente del settore ambiente, pianificazione territoriale, autorità portuale, servizio rifiuti ed inquinamento della provincia di Mantova, su richiesta della nuova proprietà scrive così: «Le comunico pertanto che è parere dello Scrivente ritenere corretto che l'Azienda (ditta cartiere Lagarina S.p.a. n.d.r.) per quanto in progetto illustrato nella documentazione richiamata, non dovrà espletare preventivamente alcun procedimento di verifica di assoggettabilità alla V.I.A. in quanto gli interventi da attuare non determineranno incrementi in relazione alle soglie previste dalla legge regionale n. 5 del 2 ottobre 2010 o modifiche valutate tali da determinare notevoli ripercussioni sull'ambiente, rispettivamente sui progetti [..omissis...] si valutano chiari e sufficienti gli elementi illustrati circa il processo di revamping proposto nell'istanza su richiamata e pertanto per lo scrivente è possibile comunicare che i procedimenti amministrativi e le relative istanze di competenza della provincia di Mantova sono le seguenti:
    istanza di voltura, aggiornamento normativo e modifica non sostanziale dell'Autorizzazione Integrata Ambientale già rilasciata con AD n. PD/849 del 23 giugno 2014;
    istanza di Autorizzazione Unica ai sensi del decreto legislativo 20/07 e del decreto legislativo 115/2008»;
   tale modus operandi precedente la valutazione in conferenza di servizi ha portato alla segnalazione dei fatti all'Autorità nazionale anticorruzione del 25 marzo 2016 da parte dei consiglieri comunali di Mantova Giuliano Longfils, Pier-Luigi Baschieri, Michele Annaloro, Tommaso Tonelli, affinché venga valutata l'esistenza di eventuali conflitti di interessi e venga verificata l'imparzialità dell'azione amministrativa;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997 (articolo 5) e successive modificazioni e integrazioni e la deliberazione della giunta regionale n. 7/14106 dell'8 agosto 2003 per quanto attiene i siti «Natura 2000» comprende la zona di protezione speciale (Zps) «Valli del Mincio», identificata dal codice IT20B0009, confinante con l'area dello stabilimento; in relazione all'assoggettamento a VIA dovrebbe essere valutata la possibile interferenza del nuovo stabilimento con tale zona;
   la legge n. 179 del 2002 ha istituito il «sito di bonifica di interesse nazionale» (SIN) «Laghi di Mantova e Polo chimico», perimetrato con decreto ministeriale del 7 febbraio 2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 86 del 12 aprile 2003;
   l'ultima campagna di monitoraggio coordinata dall'ARPA a partire dal giugno 2015 ha dimostrato che vi è una persistenza dell'inquinamento, con una riduzione approssimativa del 5 per cento rispetto alla campagna 2013 e picchi di inquinamento da benzene di 177.000 microgrammi/litro (la soglia è 1 microgrammo/litro); è stata dimostrata la persistenza del passaggio di idrocarburi e solventi nei corpi idrici (le valli e il fiume Mincio). La relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali ad esso correlate, sul Quadrilatero delle bonifiche, seppur preesistente alla pubblicazione dei dati ARPA 2015, evidenzia notevoli criticità;
   lo studio epidemiologico «Sentieri» pubblicato su «epidemiologia e prevenzione», la rivista dell'Associazione italiana di epidemiologia, Anno 38 (2) Marzo-Aprile 2014 documenta 73 casi di patologia tumorale in più fra il 1996 e il 2005 fra i residenti nei comuni del SIN «Laghi di Mantova e Polo chimico» rispetto all'atteso nella popolazione media residente in regione Lombardia. Dati che impongono una grande attenzione sui futuri impatti sulla popolazione e sull'ambiente della nostra provincia in relazione a nuove autorizzazioni;
   la legge regionale 2 febbraio 2010, n. 5 – regione Lombardia;
   ai sensi del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (decreto IPPC); con il rilascio della autorizzazione integrata ambientale (AIA), l'autorità pubblica di fatto certifica che le soluzioni gestionali, impiantistiche e di controllo individuate dal gestore dell'impianto:
    corrispondano effettivamente alle migliori tecniche disponibili;
    rispettino comunque i limiti previsti da normative ambientali di settore;
    siano adeguate allo specifico contesto territoriale:
   ne consegue quindi la necessità dell'attenzione al contesto territoriale in cui è inserito l'impatto, difatti l'ambiente della provincia di Mantova sta presentando aspetti di sofferenza ecosistemica che potrebbero potenzialmente impattare sulla salute umana, delle specie animali e degli organismi vegetali presenti; questo si può evincere dalla presenza di nitrati in elevate concentrazioni nelle falde acquifere superficiali dell'Alto Mantovano (studio Plume) in particolare a Medole e Guidizzolo, nella presenza di nitrati nelle acque potabili in concentrazioni superiori a 10 mg/L, in particolare a Ponti sul Mincio e Cavriana, a Poggio Rusco, parametri rilevabili online sui siti web dei gestori idrici; si tratta di parametri ritenuti dal rapporto delle Nazioni Unite sulle risorse idriche del 2015 potenzialmente pericolosi in categorie suscettibili come le donne in gravidanza o allattamento, la primissima infanzia, deficit enzimatici (G6PD per esempio); tutto questo va considerato indipendentemente dai limiti di legge nazionali (che impongono il limite massimo di 50 mg/L per i nitrati), che suggeriscono agli amministratori locali, custodi della salute dei cittadini, ulteriori attenzioni seguendo il «principio di precauzione» e valutando tali dati in prospettiva temporale futura; in tale contesto va valutato il business dei rifiuti speciali che prevede l'importazione di fanghi di depurazione civile dal Veneto nella provincia (dati ARPAV), sparsi al suolo, potenzialmente contaminati da sostanze perfluoroalchiliche; vanno inoltre considerate l'importazione di scarti derivati dall'industria conciaria trattati come fertilizzanti, l'importazione di fanghi industriali dall'Ilva di Taranto (compostati e spandibili anch'essi al suolo), la prevista importazione da fuori regione di 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali verso la discarica di servizio provinciale di Mariana e ora l'importazione dei fanghi di cartiera prodotti negli altri stabilimenti del gruppo Progest che, secondo la voltura richiesta, delineano a parere degli interroganti un potenziale disastro ambientale per la mancata valutazione degli impatti cumulativi di questi fattori di pressione;
   vanno considerate inoltre: la deliberazione della giunta regionale della regione Lombardia n. IX /2970 del 2 febbraio 2012 vanno considerati inoltre: recante «Determinazioni in merito alle procedure e modalità di rinnovo e dei criteri per la caratterizzazione delle modifiche per esercizio uniforme e coordinato dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) (articolo 8, comma 2, legge regionale n. 24 del 2006);
   la procedura di infrazione UE 2015-2043 per la cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria in Italia;
   il manuale e le linee guida 133/2016 per la valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (VIIAS) nelle procedure di autorizzazione ambientale (VAS, VIA, AIA) del consiglio federale dell'ISPRA;
   la delibera del consiglio federale. Seduta del 22 aprile 2015. Doc. 49/15-Cf;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 221, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 13 del 18 gennaio 2016, che contiene misure in materia di tutela della natura e sviluppo sostenibile, valutazioni ambientali, energia, acquisti verdi, gestione dei rifiuti e bonifiche, difesa del suolo e risorse idriche (cosiddetto collegato ambientale);
   il manuale e le linee guida 133/2016 dell'Istituto superiore per la ricerca ambientale (Ispra) riporta le linee guida per la valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario (VIIAS) nelle procedure di autorizzazione ambientale (VAS, VIA, AIA) delibera del consiglio federale. Seduta del 22 aprile 2015. Doc. 49/15-Cf. La VIIAS può essere eseguita secondo le linee guida, Ispra non solo in caso di VIA ma anche in caso di VAS o AIA. In particolare il paragrafo 4.8 definisce la check list per la redazione dello studio d'impatto ambientale e sanitario;
   le indicazioni dell'Ispra, pur non avendo al momento valore normativo, costituiscono uno strumento di buon senso e di adeguata gestione ambientale integrata all'eventuale impatto sanitario;
   nei documenti delle società proponente mancano riferimenti a istanze già rese pubbliche dalla cittadinanza, come quelle relative al collegamento in teleriscaldamento (TR) con l'impianto turbogas esistente a Mantova (Enipower) per la fornitura dell'energia termica ed elettrica, allo scopo di limitare le emissioni a causa della costruzione di una centrale di cogenerazione dedicata alla nuova cartiera;
   si ritiene necessario presentare un'analisi dettagliata di tale soluzione in termini tecnici ed economici; si segnala che il teleriscaldamento potrebbe garantire la totalità dell'energia termica ed elettrica per il progetto proposto; in subordine si segnala come sarebbe ancor più praticabile il teleriscaldamento per vicariare l'energia prodotta dall'inceneritore, che, a livello energetico, appare rappresentare circa il 20 per cento dell'energia termica necessaria; in tal modo si eviterebbe l'odiosa gestione dei fanghi provenienti da fuori regione;
   nella documentazione non sembra esserci adeguato riferimento alla bonifica o allo svuotamento progressivo delle discariche, procedura che si ritiene auspicabile in un'ottica di compensazione e di tutela ambientale;
   per quanto concerne la gestione dei rifiuti speciali prodotti e in particolar modo dei fanghi, secondo l'Ispra nel 2006 i fanghi di cartiera in Italia (1,5 milioni di tonnellate) erano gestiti come recupero ambientale al 26 per cento, per la produzione di cemento e laterizi al 14 per cento, inviati in discarica al 22 per cento e recuperati energeticamente al 29 per cento;
   le cartiere del gruppo Lukart nel 2012 dichiarano di gestire il 47 per cento dei fanghi per la produzione di laterizi, il 31,4 per cento per ripristino ambientale, il 14,8 per cento come compostaggio, non viene più citato il recupero energetico;
   nel caso di Mantova, seppure si tratti di una realtà pesantemente impattata, a quanto risulta agli interroganti il gruppo Progest non ha proposto alcun tentativo, neppure sperimentale, di gestione più sostenibile dei fanghi di depurazione, chiedendo anzi di chiudere il ciclo con l'incenerimento anche per i rifiuti degli altri stabilimenti del gruppo, prodotti anche in epoche precedenti;
   si segnala che sarà discussa a breve la mozione in consiglio regionale lombardo per l'istituzione di un'area di crisi industriale complessa per Mantova, che potrebbe garantire maggiori risorse per gli investitori se perseguono la sostenibilità ambientale; in tale visuale, l'esistenza del turbogas come punto di fornitura energetica del nuovo polo avrebbe un valore ancora più strategico. Dopo lo stop della raffinazione (IES-MOL), la chiusura della cartiera Burgo stessa, la paventata vendita di Versalis, di Belleli da parte della proprietà Exterran, dopo la chiusura di molteplici attività provinciali in particolare nel settore tessile, con la scomparsa di oltre 14.000 posti di lavoro in 7 anni, il tessuto economico e sociale della città di Mantova e della provincia è allo stremo –:
   se sia stata verificata, per quanto di competenza, la compatibilità del nuovo impianto di cui in premessa con le peculiarità e i vincoli di un'area nella quale esiste un sito da bonificare di interesse nazionale, nonché con le esigenze di tutela derivanti dalla presenza di importanti siti Natura 2000;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ritenga di assumere iniziative normative per incentivare le forme di gestione più sostenibile dei rifiuti speciali e la ricerca sulla sicurezza e sul life cycle assessment degli stessi procedimenti, in particolar modo riducendo il ricorso all'incenerimento;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda assumere iniziative normative per disciplinare il trasporto interregionale dei rifiuti speciali funzione dell'impatto ambientale preesistente nelle aree di destinazione e dell'inquinamento prodotto dal trasporto stesso;
   se il Ministro dello sviluppo economico intenda promuovere l'istituzione di un'area di crisi industriale complessa per il territorio di Mantova. (4-13522)


   VACCA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 luglio 2016 la Seastock s.r.l. presenta alla regione Abruzzo un progetto di costruzione di un deposito costiero di Gpl da 25.000 metri cubi con annessa banchina di scarico navi gasiere, pubblicato nel Bura, ordinario n. 29 del 23 luglio 2014 e da realizzarsi nel porto di Ortona, in provincia di Chieti;
   in merito a tale progetto, il Comitato di coordinamento regionale per la valutazione di impatto ambientale della regione Abruzzo chiamato a verificare l'assoggettabilità ambientale, ai sensi del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, ha espresso parere favorevole all'esclusione del progetto alla procedura di valutazione dell'impatto ambientale;
   dalla stampa locale abruzzese si apprende che, secondo il Forum dei Movimenti per l'acqua, la regione ha commesso clamorosi errori in quanto il progetto doveva essere sottoposto a procedura di valutazione dell'impatto ambientale nazionale, poiché, l'installazione dei serbatoi di Gpl comprende modifiche all'assetto portuale, quali la costruzione di un attracco per lo scarico di Gpl e la colmata per ampliamento della banchina. Secondo la normativa vigente tali opere sono di competenza statale –:
   se il progetto di cui in premessa sia di competenza statale e quindi debba essere sottoposto a Valutazione di impatto ambientale nazionale. (4-13531)


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il recente rapporto «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2013-2014» dell'ISPRA, i cui risultati hanno avuto grande eco nel Paese, evidenziano una grave situazione di contaminazione diffusa delle acque, sia superficiali che sotterranee;
   in molti casi, soprattutto nelle regioni del Centro-nord, sono superati gli Standard di Qualità Ambientale fissati dalle normative comunitarie, a partire dalla Direttiva 60/2000/CE «acque»;
   il rapporto evidenzia che «Le regioni cercano in media 73 sostanze nelle acque superficiali e 72 in quelle sotterranee.» quando sono posti in commercio nel paese circa 400 principi attivi;
   la stragrande maggioranza delle regioni non ricerca sostanze ampiamente utilizzate: è il caso del glifosato e dei sui metaboliti che è stato cercato solo in Lombardia e Toscana dove, peraltro, è stato riscontrato con alta frequenza e in quantità superiori agli standard di qualità ambientale;
   l'ISPRA sostiene che «L'analisi dell'evoluzione, inoltre, indica, che il fenomeno è ancora probabilmente in una fase crescente, sia in termini territoriali, sia in termini di frequenze di rilevamento e di sostanze trovate. La contaminazione è, pertanto, sottostimata, in primo luogo per il fatto che in vaste aree del centro-sud, il monitoraggio non è ancora adeguato. Un fattore finora non sufficientemente considerato è la reale persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende l'inquinamento ambientale difficilmente reversibile»;
   una buona parte delle acque monitorate è utilizzata anche per l'approvvigionamento idro-potabile e per l'irrigazione per la produzione di derrate alimentari. Recenti inchieste giornalistiche hanno evidenziato la presenza di glifosato in quantità rilevanti anche in acque destinate all'alimentazione umana e che, per stessa ammissione delle autorità preposte, questa ed altre sostanze correlate non vengono finora cercate;
   il piano d'azione nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, adottato con decreto del 22 gennaio 2014, contiene una serie di raccomandazioni per le regioni che dovrebbero essere chiamate ad applicarlo ma ai fini di una esaustiva valutazione dell'efficacia delle varie azioni previste è fondamentale un monitoraggio attendibile sia per quanto riguarda la qualità dei dati sia per estensione;
   molte acque sotterranee e superficiali italiane sono sottoposte a plurime forme di pressione antropica. Oltre ai pesticidi sono ampiamente diffuse, spesso oltre i limiti di legge, altre sostanze pericolose come i solventi clorurati e i metalli pesanti;
   per alcune sostanze, più di altre, la contaminazione per frequenza, diffusione territoriale e superamento dei limiti di legge, costituisce un vero e proprio problema, in alcuni casi di dimensione nazionale. Tali evidenze indicano la necessità di un'analisi critica delle attuali procedure di autorizzazione delle sostanze, e richiedono che una corretta valutazione del rischio dovrebbe considerare in modo retrospettivo anche i dati di monitoraggio ambientale;
   un fattore finora non sufficientemente considerato è la reale persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende l'inquinamento ambientale difficilmente reversibile;
   per quanto riguarda la situazione della Lombardia, una delle regioni più inquinate d'Europa, la rete di monitoraggio 2014 comprende 303 punti delle acque superficiali e 521 di quelle sotterranee. Le indagini hanno riguardato 3.209 campioni per un totale di 80.857 misure analitiche;
   la Lombardia, con il 55,4 per cento dei punti monitorati che violano gli standard di qualità ambientale (Sqa), ha il livello più elevato di non conformità. Segno, scrive l'Ispra, di «un'ampia diffusione della contaminazione» che nella pianura padano-veneta è più accentuata. In Lombardia nelle acque superficiali ci sono residui nel 78,5 per cento dei punti e nel 38,6 per cento dei campioni analizzati, mentre nelle acque sotterranee è stata riscontrata la presenza di pesticidi nel 41,3 per cento dei punti e nel 32,0 per cento dei campioni analizzati. Nelle acque sotterranee la contaminazione è superiore agli SQA nel 13,2 per cento dei punti;
   fra le sostanze maggiormente responsabili della non conformità ci sono il glifosato e il suo metabolita AMPA. Si fa presente che il glifosato è una delle sostanze maggiormente usate a livello nazionale e risulta essere, anche sulla base di dati internazionali, uno dei principali contaminanti delle acque –:
   se il Governo, in considerazione della particolare concentrazione di inquinanti presenti nella Pianura Padana, non intenda promuovere, per quanto di competenza, l'immediata esecuzione di specifiche ricerche degli agrofarmaci nelle acque potabili, con particolare riferimento al glifosato e ai suoi metaboliti;
   se il Governo non ritenga di dover promuovere immediatamente un piano di finanziamento straordinario delle agenzie affinché siano dotate della strumentazione adeguata per un monitoraggio completo ed efficace degli agrofarmaci nelle acque;
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative per modificare il piano nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari introducendo vincoli più stringenti per la riduzione dell'uso degli agrofarmaci;
   se il Governo, con particolare riferimento alla preoccupante condizione della Pianura Padana, non ritenga di assumere iniziative per prevedere una moratoria nell'autorizzazione di nuovi progetti sottoposti alla valutazione di impatto ambientale nazionale che aumentano la pressione antropica sulle acque nelle aree che già mostrano superamenti degli standard di qualità ambientale, come pozzi per idrocarburi e inceneritori. (4-13533)


   BENEDETTI e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione del progetto MOSE, sistema di dighe mobili contro le acque alte a difesa di Venezia e della sua laguna, in questi anni è avvenuto in uno scenario inquietante, tra forti criticità da parte del mondo ambientalista e di ampli settori del mondo scientifico che hanno avanzato forti dubbi sulla sua reale efficacia e sul rischio di danni ulteriori che tale progetto avrebbe provocato a livello idrogeologico, e un gravissimo livello di degenerazione del rapporto tra istituzioni e imprese con pesanti conseguenze sul piano giudiziario;
   i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche, Luigi Tosi Pietro Teatini e Tazio Strozzi, nel recente studio Subsidenza naturale contro quella antropogenica nella Laguna di Venezia evidenziano l'aggravarsi del fenomeno nella laguna di Venezia, in particolare in quelle aree interessate dalla presenza delle tonnellate di cemento del Mose. Dai recenti rilevamenti affidati a sofisticati sistemi di gps da satellite (approccio multi-banda integrato) risulterebbe infatti che la velocità di sprofondamento in alcune zone lagunari sia aumentata. «Mentre in quasi tutta la laguna e nelle isole di Burano e Sant'Erasmo il terreno si è abbassato di pochi millimetri, confermando il trend degli ultimi due decenni», scrivono i ricercatori, «nelle tre bocche di porto interessate dai lavori del Mose l'abbassamento registrato è nell'ordine di molti centimetri». Addirittura 7-8 centimetri secondo altri rilievi geologici in possesso del Consorzio Venezia Nuova, come riportato da fonti stampa. Un dato che preoccupa, perché nel progetto originario del Mose l'eventualità di uno sprofondamento era prevista, ma limitata a 8 centimetri nel prossimo secolo. L'enorme peso delle strutture in calcestruzzo destinate a sostenere le 78 paratoie avrebbe invece prodotto degli effetti sull'equilibrio dei fondali lagunari maggiore a quelli previsti, tanto che gli 8 centimetri che si dovevano perdere in un secolo sono già stati persi in poco più di due anni. Secondo gli interroganti questo dato, aggiunto a quello relativo alla subsidenza naturale (circa 2 millimetri nell'area regionale) e all'eustatismo, cioè l'aumento del livello dei mari già evidente, potrebbe rappresentare un serio problema –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se non ritengano opportuno attivarsi per una verifica delle cause dell'aggravarsi della subsidenza in particolare nell'area lagunare interessata dai lavori del Mose, nonché per un controllo serrato sull'efficacia del progetto;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere per contrastare tale preoccupante fenomeno. (4-13537)


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   recentemente il giudice delle indagini preliminari di Potenza, su richiesta della locale procura, ha ordinato una serie di misure cautelari (ordinanza del giudice per le indagini preliminari del 29 marzo 2016) collegate a un'inchiesta sulla gestione dei rifiuti del Centro Oli dell'ENI di Viggiano (COVA). L'ordinanza si riferisce al procedimento n. 4542/2010 R.G.N.R. – n. 3154/2011 R.G.G.I.P;
   il cuore dell'inchiesta riguarda la classificazione dei rifiuti: ENI dichiara gli stessi «non pericolosi» (codice CER 16 10 02) mentre la procura di Potenza, tramite una perizia, li ritiene «pericolosi». Il codice rifiuto da applicare sarebbe (dovuto essere) il 19 02 04* «Miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuto pericoloso» e 13 05 08* «Miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio», a seconda delle vasche dalle quali provenivano;
   i rifiuti, classificati, come detto, «non pericolosi» sono stati successivamente trasportati in numerosi centri di smaltimento della penisola fuori dalla Basilicata; nello specifico, sull'ordinanza ci sono precisi riferimenti (a pagina 734) al coinvolgimento della ditta CO.GE.R (Signa, Firenze) e, in particolare, alle attività di smaltimento dei rifiuti presso il loro centro di Signa in via Amendola, dove nel 2014 sarebbero state gestite 3383,03 tonnellate di rifiuti provenienti dal COVA di Viggiano;
   leggendo l'ordinanza appare evidente che gli inquirenti lucani abbiano verificato, tramite controlli sulle autorizzazioni in loro possesso, se le aziende coinvolte nello smaltimento fossero o meno autorizzate a smaltire i due codici CER a cui secondo la procura dovevano essere ricondotti i rifiuti prodotti dall'impianto di Viggiano; l'azienda in questione era in possesso delle autorizzazioni;
   i responsabili delle aziende che, invece, non avevano neanche l'autorizzazione per smaltire i rifiuti classificati con i due codici CER, risultano sottoposti all'indagine di cui al procedimento sopra segnalato;
   affinché la procedura fosse svolta correttamente, al momento dell'accettazione del rifiuto con un determinato codice CER, le aziende riceventi avrebbero dovuto loro stesse procedere alla sua riclassificazione, in quanto le procedure tecniche di smaltimento di un rifiuto pericoloso sono differenti da uno non pericoloso, sia riguardo ai costi, che alle soluzioni tecnologiche da adottare;
   pertanto, appare fondamentale verificare se presso l'azienda CO.GE.R il rifiuto pervenuto dalla Basilicata sia stato o meno trattato adeguatamente secondo i codici CER per rifiuti «pericolosi» –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato sulla reale gestione dei rifiuti di cui in premessa all'interno delle aziende coinvolte, in particolare con riferimento agli esami sulla loro natura, alle procedure di accettazione previste dall'AIA/VIA, alla loro riclassificazione ed al trattamento a cui sono stati eventualmente sottoposti e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-13544)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Italia ci sono 28 teatri di tradizione, rappresentati dall'ATIT;
   queste istituzioni sono fortemente radicate nel territorio e si qualificano a livello nazionale ed internazionale per una produzione lirica intorno 350 recite all'anno, puntando soprattutto alla promozione di giovani artisti;
   svolgono anche un'attività di spettacolo multidisciplinare di danza, di prosa, di concerti sinfonici e da camera;
   i teatri di tradizione coprono un bacino d'utenza esteso all'intera provincia (in realtà che spesso non superano i 50 mila abitanti come nel caso delle Marche) e servono complessivamente, con riferimento ai soli comuni, una popolazione di tre milioni di abitanti circa;
   in alcune aree del Paese, sono le uniche istituzioni a fare promozione della musica, a offrire una opportunità ai giovani artisti, a favorire il perfezionamento anche grazie all'organizzazione di corsi e concorsi;
   rappresentano centri di inclusione sociale e favoriscono il potenziamento dell'offerta scolastica grazie al coinvolgimento di professionisti che, a partire dalla scuola primaria, avvicinano le nuove generazioni alle diverse espressioni artistiche;
   per alcune realtà rappresentano l'unica occasione per assistere a spettacoli dal vivo –:
   se non ritenga di assumere iniziative per accompagnare le sovvenzioni del Fondo unico per lo spettacolo con interventi di tipo indiretto quali l’« art bonus», estendendo gli incentivi fiscali agli investimenti nei settori della lirica e della musica (tax credit);
   se non ritenga di assumere iniziative per sostenere i teatri di tradizione, anche per la funzione sociale che svolgono sul territorio, ripristinando per loro, almeno, le risorse venute meno a causa dei tagli subiti dal Fondo unico per lo spettacolo nell'ultimo anno che sono stati dell'ordine del 15 per cento. (5-08936)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   PALMIZIO e VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nell'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano, che ospita il 50o stormo, operano circa 800 lavoratori, tra civili e militari e l'indotto che deriva dallo svolgimento delle attività connesse ai servizi di addestramento, di sicurezza e vigilanza;
   negli ultimi anni sono stati investiti 900 mila euro per il rifacimento parziale della pista di atterraggio, per la sistemazione del deposito carburanti e per l'impianto di sicurezza per i voli notturni;
   l'Aeronautica militare ha proposto allo Stato maggiore della difesa di posticipare la chiusura di tale struttura aeroportuale a settembre del 2016, in quanto ciò permetterebbe di completare le opere infrastrutturali necessarie a soddisfare le esigenze del personale coinvolto nel processo riordinativo presso la nuova sede di Ghedi a Brescia;
   il Governo, in data 26 febbraio 2015, rispondendo ad una precedente interrogazione (n. 5-04612) del primo firmatario del presente atto, ha dichiarato che la «soppressione del 50o Stormo implicherà inoltre la riconfigurazione delle capacità espresse dalla flotta Tornado ma non la paventata chiusura dell'Aeroporto San Damiano di Piacenza. Tale processo di razionalizzazione non comporterà, tra l'altro, alcun provvedimento di esonero del personale, sarà condotto in stretta aderenza ai dettami della citata legge delega n. 244 del 2012 e non risulterà, pertanto, penalizzante sotto il profilo occupazionale»;
   invece per la maggior parte dei dipendenti si prefigura un destino da pendolari fra Piacenza e la base di Ghedi a Brescia con ricadute inevitabili sui costi di trasferimento giornalieri e per i rimborsi di cui l'Aeronautica dovrà farsi carico;
   sempre in sede di risposta alla summenzionata interrogazione, il Governo ha riportato le conclusioni alle quali, dopo una riunione tenutasi presso la prefettura di Piacenza il 2 febbraio 2015, sono addivenuti i rappresentanti dell'Aeronautica militare, specificando come lo spostamento del personale operativo del 50o stormo fosse previsto a partire dalla fine dell'estate del 2016, mentre il restante personale avrebbe continuato a lavorare a Piacenza per un periodo medio-lungo, al fine di assicurare il mantenimento dell'aeroporto come distaccamento logistico e aeroporto alternato in caso di avverse condizioni meteorologiche. In quell'occasione, è stato altresì ribadito che sarebbe stato mantenuto dalla Forza armata il patrimonio alloggiativo di San Giorgio e San Polo senza, quindi, dismettere gli alloggi;
   l'Aeronautica militare si è impegnata, inoltre, a svolgere un approfondito studio di Forza armata ed ha avviato contatti con le autorità locali interessate (provincia e comuni limitrofi) per esplorare congiuntamente possibili soluzioni per il successivo impiego dell'aeroporto stesso;
   notizie di stampa riportano invece la disponibilità dell'Unione europea a finanziare il progetto di realizzazione di un centro di accoglienza profughi nel citato aeroporto –:
   se trovi conferma l'ipotesi di convertire l'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano in un centro di smistamento per cittadini stranieri e profughi, utilizzando l'aeroporto stesso per il rimpatrio di cittadini stranieri espulsi dall'Italia, considerata la difficoltà ad imbarcare su voli civili i cittadini stranieri espulsi. (5-08943)


   DURANTI, PIRAS e MARCON. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 20 dicembre 2014 il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, e il Ministro della difesa della Repubblica Araba d'Egitto, generale Sedki Sobhi, hanno siglato una dichiarazione congiunta in materia di cooperazione tecnico-militare;
   tale dichiarazione che ha avviato concrete attività di cooperazione nel campo militare come l'addestramento delle forze militari egiziane e il rifornimento dei componenti dei sistemi d'arma non risulta ancora aver seguito la stipula del previsto accordo intergovernativo nel campo della difesa e dell’import-export dei sistemi d'arma;
   secondo la relazione annuale del Governo sull’export militare italiano da poco trasmessa al Parlamento nel 2015 risultano autorizzate vendite all'Egitto per più di 37 milioni di euro;
   tale cifra segna un incremento di 5 milioni di euro rispetto all'ammontare autorizzato per l'anno 2014 e per lo più si riferisce ad armi di piccolo calibro, armi e sistemi d'arma di grosso calibro, munizioni, bombe, siluri, razzi, missili, agenti tossici, chimici, biologici, gas lacrimogeni, materiali radioattivi e aeromobili;
   sono numerosi i rapporti delle organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch che evidenziano la violazione sistematica dei diritti umani in Egitto così come è comprovata la partecipazione dell'Egitto all'operazione «tempesta decisiva» lanciata dall'Arabia Saudita nel marzo del 2015 per contrastare l'avanzata delle milizie del gruppo sciita Houti in Yemen;
   tale campagna ha provocato danni devastanti a 26 milioni di yemeniti, che faticano a sopravvivere in un Paese già di per sé povero, causando più di 6 mila morti. Secondo i dati dell'ONU 320 mila bambini di meno di cinque anni sono gravemente malnutriti e gli sfollati risultano essere oltre 2,4 milioni;
   le forze aeree egiziane sono intervenute a più riprese in Libia nel corso del 2014 e del 2015 per colpire le forze della fazione di Tripoli, schierandosi a supporto della fazione che faceva capo al Governo di Tobruk;
   nei primi due mesi del 2016 in Egitto sono stati accertati 88 casi di tortura; tra questi 8, tra cui il caso del connazionale Giulio Regeni, si sono conclusi con la morte della persona sottoposta a sevizie;
   tutti questi casi avvengono in conseguenza dell'applicazione della «legge anti proteste» entrata in vigore nel 2013 e che concede, di fatto, poteri illimitati alle forze di polizia e di sicurezza;
   complessivamente nel 2015 sono stati 464 i casi di sparizione e 1676 quelli di tortura accertati in Egitto;
   la legge n. 185 del 1990, recante «Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento», all'articolo 1, comma 1, sancisce che «L'esportazione, l'importazione ed il transito di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia»;
   in particolare, il comma 6, lettera a), della citata legge, vieta espressamente l'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento in relazione a Paesi in stato di conflitto e i cui Governi siano responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani;
   sostanzialmente, quindi, ad avviso dell'interrogante le autorizzazioni rilasciate per la vendita di materiale bellico all'Egitto si pongono in contrasto con la legge n. 185 del 1990 e avvengono per quello che agli interroganti appare un escamotage individuato nella dichiarazione congiunta del 2014, per cui addirittura, a differenza di quanto avvenuto con altri Paesi, non si è arrivati neppure ad un vero e proprio accordo nel campo della cooperazione militare;
   alla luce delle ripetute violazioni dei diritti umani da parte dell'Egitto e dell'assassinio di Giulio Regeni, secondo gli interroganti non ci può essere con il regime di Al Sisi alcuna cooperazione militare;
   non si può aiutare militarmente un regime che viola i diritti umani e che di fatto si oppone alla ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni. Ogni assistenza militare e qualsiasi fornitura di armi al regime egiziano deve essere sospesa immediatamente;
   un appello dal titolo «Verità per Giulio Regeni – Stop alla cooperazione militare dell'Italia con l'Egitto» è stato lanciato nei giorni scorsi, tra gli altri, dagli scrittori Stefano Benni e Roberto Saviano, dagli attori Valerio Mastrandrea e Alice Rohrwacher, dal regista Andrea Segre e dal sottoscrittore del presente atto, Giulio Marcon, ed ha ricevuto già migliaia di sottoscrizioni –:
   quali siano precisamente e in che cosa consistano le attività di cooperazione, l'addestramento delle forze armate egiziane e l'assistenza per i sistemi d'arma, previste dalla dichiarazione congiunta del 20 dicembre 2014 e, in particolare, se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda assumere iniziative per la revoca di tale dichiarazione congiunta e, quindi, per la sospensione immediata di ogni assistenza militare e di qualsiasi fornitura di armi all'Egitto. (5-08944)


   CAPARINI e BUSIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in occasione del 70o anniversario della fine della seconda guerra mondiale è stata istituita una nuova onorificenza, la cosiddetta «Medaglia della liberazione», dedicata agli eroi della Resistenza;
   tra i premiati di quest'anno, è stato inserito Valentino Bortoloso, il cui nome risulta legato ad uno dei fatti più drammatici della storia di Schio, un eccidio compiuto tra il 6 ed il 7 luglio del 1945, a conflitto finito, nelle carceri mandamentali locali;
   nella notte tra il 6 ed il 7 luglio del 1945, in effetti, un commando partigiano entrò nelle carceri di Schio, uccidendo a sventagliate di mitra ben 54 persone, tra le quali 14 donne e 7 minorenni;
   di quel commando emanazione della brigata garibaldina denominata «Martiri Valleogra», Bortoloso, oggi 93enne, è l'unico superstite;
   nome di battaglia di Bortoloso era Teppa;
   Bortoloso, proprio in ragione della sua partecipazione all'eccidio di Schio, venne condannato a morte da tribunali alleati, pena successivamente decaduta;
   Valentino Bortoloso ha già ricevuto la Medaglia della Liberazione dalle mani del prefetto di Vicenza, Eugenio Soldà, e da quelle dell'assessore allo sviluppo del comune di Schio, Anna Donà, in rappresentanza del sindaco Valter Orsi;
   a quanto pare, alla concessione della «Medaglia della liberazione» si accede previa presentazione di apposita domanda da parte degli interessati, direttamente o tramite delle associazioni che il Ministero della difesa riconosce come proprie interlocutrici;
   non è chiaro quali tipi di valutazioni il Ministero della difesa conduca sulle domande di concessione dell'onorificenza –:
   per quale motivo il Ministero della difesa abbia accettato di concedere a Valentino Bortoloso, corresponsabile di un eccidio che gli alleati avevano giudicato passibile della pena capitale, la Medaglia della liberazione, contribuendo in questo modo a ravvivare antichi risentimenti ed allontanando nuovamente la prospettiva della riconciliazione tra le parti che combatterono la guerra civile. (5-08945)


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 5 giugno 2016 una batteria del sistema missilistico da difesa aerea SAMP/T (Sol-Air Moyenne Portée/Terrestre) del 4o reggimento artiglieria contraerei «Peschiera» dell'Esercito italiano è giunta via nave al porto turco di İskenderun; la notizia è stata diffusa il giorno stesso da fonti di stampa turche, le quali hanno specificato che i vari elementi della batteria sono stati trasportati da İskenderun alla zona militare di Gazi Barracks, nella provincia meridionale di Kahramanmaraş con 36 camion civili;
   come riportato dal sito della NATO, il dispiegamento di batterie missilistiche da difesa aerea dell'Alleanza Atlantica è stato deciso in seguito alle discussioni tenute sulla base dell'invocazione da parte della Turchia dell'articolo 4 del Trattato NATO in seguito all'abbattimento da parte delle forze siriane di un aereo turco da ricognizione RF-4 Phantom avvenuto a giugno 2012 e alla morte di cinque civili turchi a causa della caduta in territorio turco di colpi sparati dall'artiglieria siriana a ottobre 2013;
   la batteria SAMP/T dell'Esercito italiano è stata posizionata nella stessa zona dove da gennaio 2013 al 22 dicembre 2015 sono state schierate le due batterie del sistema antiaereo Patriot PAC-3 inviate dalla Germania;
   il 15 agosto 2015 il Governo tedesco rese noto che le due batterie antiaeree Patriot tedesche sarebbero state ritirate dalla Turchia il 31 gennaio 2016; in quell'occasione il Ministro della difesa Ursula von der Leyen motivò la scelta dichiarando «il focus della minaccia in questa regione devastata dalla guerra si è spostato. Ora deriva dalla organizzazione terroristica Stato islamico. Pertanto rimaniamo impegnati nella regione al fine di stabilizzarla. Sia con la formazione e il supporto delle forze di sicurezza kurde e irachene a Erbil, ma anche con le nostre navi in Unifil prima Libano o Active Endeavour nel Mediterraneo orientale.»;
   l'annuncio arrivò dopo un acceso dibattito nella società tedesca relativo alla fedeltà della Turchia alla NATO e alla ripresa da parte di Ankara delle operazioni militari contro le postazioni curde nel Kurdistan turco;
   il 24 novembre 2015 un cacciabombardiere Su-24 delle forze aeree russe schierate in Siria fu abbattuto da un caccia F-16 turco mentre volava sul confine turco-siriano e meno di un mese dopo le batterie Patriot tedesche furono ritirate con 40 giorni di anticipo rispetto a quanto precedentemente annunciato dal governo tedesco;
   il 9 giugno 2016 la società Eurosam, produttrice del sistema SAMP/T, ha rilasciato un comunicato stampa in cui si legge che sarebbero due le batterie SAMP/T che l'Esercito italiano dovrebbe complessivamente schierare in Turchia;
   nel documento NATO «Augmentation of Turkey's Air Defece», del giugno 2016, viene spiegato che la funzione delle batterie missilistiche installate in Turchia è di difendere la Turchia dalla minaccia posta dai missili balistici siriani;
   il sistema SAMP/T dispone sia di capacità antiaeree, sia ATBM (Anti-Theater Ballistic Missile) per l'intercettazione di missili balistici a corto raggio delle tipologie a disposizione delle forze armate siriane;
   non risultano nella disponibilità dell'ISIS missili delle tipologie intercettabili con il sistema SAMP/T –:
   quali siano le «regole d'ingaggio» assegnate alla batteria SAMP/T del 4o Reggimento «Peschiera» schierata in Turchia, a fronte di una presenza dimezzata rispetto al precedente dispiegamento tedesco, con particolare riferimento alla possibilità che la suddetta batteria venga impegnata nell'ingaggio di velivoli militari che dovessero violare lo spazio aereo della Turchia. (5-08946)


   BASILIO, FRUSONE, CORDA, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   i quotidiani Il Sole24ore e ll Giornale di Brescia del 16 aprile 2016 riportano le affermazioni di Franco Gussalli Beretta, vice presidente della ditta Beretta di Gardone Val Trompia, secondo il quale la Beretta fornirà all'Esercito italiano «un equipaggiamento completo: arma, nuovo sistema di puntamento, indumenti tecnici»;
   secondo lo stesso industriale «la commessa è in corso di finalizzazione ed è una parte importante del fatturato atteso l'anno scorso»;
   di tale commessa verosimilmente molto onerosa considerando che viene definita una «parte importante del fatturato» dell'azienda, il cui giro d'affari nel 2013 è stato di circa 680 milioni di euro, non risulterebbe traccia nei bandi o negli avvisi di forniture del Ministero della difesa, né essa sembra rientrare nei programmi relativi al rinnovamento e all'ammodernamento dei sistemi d'arma, delle opere, dei mezzi e dei beni destinati alla difesa nazionale; tali programmi devono essere approvati con legge se richiedano finanziamenti di natura straordinaria; ai sensi della lettera a) del comma 1, dell'articolo 536, del codice dell'ordinamento militare, o con decreto del Ministro della difesa, se si tratta di programmi finanziati attraverso gli ordinari stanziamenti di bilancio, ai sensi della lettera b) del comma 1 del suddetto articolo. Nel suddetto articolo è specificato che «In tal caso, salvo quanto disposto al comma 2 e sempre che i programmi non si riferiscano al mantenimento delle dotazioni o al ripianamento delle scorte, prima dell'emanazione del decreto ministeriale deve essere acquisito il parere delle competenti commissioni parlamentari»;
   agli interroganti non risulta che sia stato richiesto alle commissioni parlamentari competenti un parere in merito ad un decreto siffatto che riguardasse anche il progetto di fornitura di equipaggiamento da parte della ditta Beretta –:
   quali siano la consistenza della commessa, la data di pubblicazione del bando di gara e il numero del decreto ministeriale di cui alla citata lettera b) dell'articolo 536 del codice dell'ordinamento militare e per quale ragione non sia stato chiesto il parere previsto alle commissioni parlamentari competenti. (5-08947)


   MOSCATT e BURTONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella zona del metapontino si registrano nuovamente boati improvvisi che provocano non poca paura tra gli abitanti colti di sorpresa;
   gli ultimi in ordine di tempo nella mattinata del 10 marzo 2016;
   queste esplosioni improvvise non nuove nella zona determinano apprensione e non sono seguite da risposte ufficiali, cosa che alimenta dubbi e inquietudini;
   già nel 2013 il secondo firmatario del presente atto aveva presentato una serie di atti di sindacato ispettivo a cui è venuta risposta nell'autunno del 2015 quando il sottosegretario alla difesa pro tempore Domenico Rossi rispose testualmente che in considerazione del luogo, del giorno e dell'ora degli eventi richiamati era possibile solo precisare che, nello spazio aereo sovrastante le località richiamate nell'atto, è stato, a suo tempo, individuato un settore di superficie aerea da adibire alle accelerazioni supersoniche di velivoli militari e, successivamente è stata istituita un'apposita «zona di lavoro», denominata LITSA-76 «COSENZA»;
   all'interno di tale area si svolge regolarmente attività di volo a quote superiori ai 35.000 ft (circa 12.000 metri) che sono, generalmente, sufficienti ad evitare le conseguenze connesse a «bang sonici» ed è possibile, che tali fenomeni possano essere percepiti fino al suolo, in presenza di particolari condizioni meteorologiche di venti e di temperature;
   il ripetersi di tali boati evidenzia una sistematicità che necessiterebbe di adeguate informazioni alle amministrazioni e alla cittadinanza evitando l'ingenerarsi di preoccupazioni –:
   se anche i boati avvertiti nelle circostanze richiamate in premessa siano da attribuire allo svolgimento di esercitazioni militari e, in considerazione del ripetersi di tali fenomeni, quali iniziative intendano adottare le autorità militari al fine di informare preventivamente le popolazioni locali dello svolgimento di tali attività, evitando di creare paura e preoccupazione tra gli abitanti. (5-08948)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, BASILIO, CORDA, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 16 giugno 2016, alla presenza del Ministro della difesa Roberta Pinotti e del Ministro della difesa del Qatar, è stato firmato a Roma un contratto del valore di 4 miliardi di euro per la realizzazione di sette unità navali militari (quattro corvette, una nave anfibia, e due pattugliatori) costruite in Italia da Fincantieri in collaborazione con aziende del gruppo Leonardo;
   l'accordo prevedrebbe anche la fornitura di servizi di assistenza tecnica post vendita per 15 anni nonché l'addestramento degli equipaggi;
   le organizzazioni internazionali dei diritti umani come Human Rights Watch e Amnesty International e le stesse Nazioni Unite hanno più volte condannato le politiche qatariote nei confronti dei propri cittadini, soggetti alla legge della Sharia, e le condizioni di vita e lavoro dei moltissimi migranti che costituiscono oggi la maggioranza della popolazione residente nello Stato, molto spesso tenuti in situazioni di quasi schiavitù;
   il Qatar è stato più volte associato dalla stampa internazionale al sedicente califfato, che sarebbe stato generosamente finanziato da questo Paese che avrebbe anche direttamente fornito armi alle formazioni del Daesh in Libia, secondo quanto riportato in particolare dal quotidiano britannico The Telegraph del 20 settembre 2014;
   nell'agosto 2014 il Ministro tedesco dell'aiuto allo sviluppo, Gerd Müller, in un'intervista alla televisione tedesca ZDF, ha esplicitamente accusato il Qatar di essere uno dei finanziatori del sedicente Stato islamico:
   truppe del Qatar sono dal settembre 2015 nello Yemen con la coalizione guidata dall'Arabia Saudita per combattere le forze ribelli degli Huthi e le incursioni aeree della coalizione, alle quali partecipano anche velivoli del Qatar, hanno già provocato oltre ottomila morti in prevalenza tra la popolazione civile –:
   sulla base di quali considerazioni il Governo abbia autorizzato le trattative tra le aziende italiane e il Governo del Qatar considerando che la legge n. 185 del 1990 vieta l'esportazione di materiale di armamento verso Paesi coinvolti in conflitti armati;
   quale sia stato il ruolo del Ministero della difesa e degli addetti militari italiani in Qatar nella conclusione di tale accordo a cui, a giudizio degli interroganti, evidentemente non è estraneo l'attivismo del Ministro stesso, che si è recato nello Stato del Golfo in almeno due occasioni in tempi recentissimi, il 26 luglio 2015 e il 31 marzo 2016;
   come giustifichi il Governo le proprie preferenze verso un Paese da più parti accusato di essere finanziatore delle attività del cosiddetto Stato islamico. (5-08942)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAPELLI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   con delibera del commissario n. 2 del 6 maggio 2016, il commissario straordinario dell'Automobil Club di Sassari deliberava di rinviare l'approvazione del bilancio di esercizio dalla prevista data del 30 aprile 2016 al 30 giugno 2016;
   con successiva delibera (n. 9 del 27 maggio 2016), il commissario straordinario ha approvato lo schema di bilancio di esercizio 2015, «comprensivo di tutta la documentazione di sua competenza»;
   in data 14 giugno 2016 si è riunita l'assemblea dei soci dell'Automobil Club Sassari per discutere, tra l'altro, dell'approvazione del bilancio di esercizio 2015;
   nella suddetta riunione, il commissario straordinario ha ritenuto di non poter far procedere all'approvazione del bilancio di esercizio 2015, mancando la relazione del consiglio dei revisori dei conti;
   a detta del commissario, infatti, questo adempimento non era stato compiuto, stante la decadenza dei revisori eletti e la richiesta del revisore indicato dal Ministero dell'economia e delle finanze di essere sostituito;
   si starebbe, quindi, procedendo alla nomina di un collegio di revisori straordinario;
   ora, all'interrogante non risulta che vi sia alcuna richiesta da parte del revisore indicato dal Ministero di essere sostituito;
   inoltre, a parere dell'interrogante non esiste decadenza dei revisori eletti, i quali restano in carica sin quando non si procede alla nomina dei nuovi revisori;
   infine, come risulta anche dall'atto di sindacato ispettivo n. 4-13151 indirizzato al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il commissario straordinario era stato nominato per espletare «i necessari adempimenti procedurali per il rinnovo degli organi di ordinaria amministrazione dell'ente» (articolo 1, punto 2, del decreto ministeriale n. 227 del 29 aprile 2016), non apparendo, quindi, chiara l'eventuale competenza del commissario stesso relativamente al bilancio di esercizio 2015 –:
   se al Ministro interrogato risulti la richiesta di sostituzione da parte del revisore indicato dal Ministero dell'economia e delle finanze e quali tempi siano previsti per la nomina del collegio dei revisori straordinario. (3-02333)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, CAON e MARCOLIN. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   la situazione debitoria è stata da tutti avvertita come una vera e propria emergenza sociale che ha indotto il legislatore ad introdurre la possibilità di rateizzare le somme iscritte a ruolo fino a un massimo di dieci anni (la rateizzazione ordinaria prevede un massimo di 72 rate mensili, mentre la rateizzazione straordinaria estende il numero delle rate fino ad un massimo di 120 mensili), dando così respiro a famiglie ed imprese;
   attualmente, secondo i dati forniti dall'amministratore delegato di Equitalia nel corso dell'audizione presso la Commissione di vigilanza sull'anagrafe tributaria del 9 marzo 2016, le dilazioni di pagamento hanno rappresentato, negli ultimi anni, un fenomeno in costante crescita: attualmente, sono attive circa 30 milioni di rateizzazioni per un controvalore di circa 38 miliardi di euro;
   si tratta, quindi, di un valido strumento adatto a sostenere la ripresa: il legislatore, non a caso, invero, è già più volte intervenuto sull'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, con la finalità di snellire il procedimento di accesso alla rateizzazione del debito e di rendere maggiormente fruibile la ripartizione del pagamento in rate;
   in particolare, per ben due volte, nel corso dell'anno 2014, il legislatore ha emanato, peraltro, disposizioni di carattere eccezionale per consentire ai soggetti decaduti da un piano di dilazione di riprendere nuovamente a pagare a rate (l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 cosiddetto milleproroghe e l'articolo 10 del decreto-legge n. 192 del 2014): in base a tali disposizioni, i debitori decaduti dal beneficio della rateazione entro e non oltre il 31 dicembre 2014 sono stati riammessi, a richiesta, al pagamento rateale;
   con l'articolo 15, comma 7, del decreto legislativo, n. 159 del 2015 («Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, in attuazione dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23»), il legislatore ha ulteriormente esteso la possibilità di riprendere la rateizzazione a beneficio dei decaduti. In particolare, è stato disposto che, su semplice richiesta del debitore, da presentare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui sopra, cioè dal 22 ottobre 2015, potessero essere ripartite, fino ad un massimo di 72 rate mensili, le somme iscritte a ruolo non ancora versate, oggetto di piani di rateizzazione concessi dagli agenti della riscossione e decaduti nei 24 mesi antecedenti alla suddetta data;
   sempre con il decreto legislativo n. 159 del 2015 è stato, inoltre, previsto che, in caso di decadenza dai piani di ammortamento concessi a decorrere dal 22 ottobre 2015, i debitori in difficoltà possano ottenere, a differenza di quanto accadeva in precedenza, un nuovo piano di rateizzazione, a condizione che, al momento della presentazione della relativa istanza, le rate del precedente piano – già scadute a tale data – venissero integralmente saldate;
   i debitori che hanno ottenuto un piano di rateizzazione prima del 22 ottobre 2015, per i quali la decadenza continuerà a verificarsi solo in caso di mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive, anziché 5 (previste per i piani accordati dal 22 ottobre 2015), una volta decaduti, non potranno, invece, essere più riammessi al beneficio;
   coloro che non hanno presentato istanza entro il 21 novembre 2015, data di scadenza per chiedere la «riammissione» alla rateizzazione si trovano ora esposti a gravi conseguenze economiche;
   le imprese che dovranno fronteggiare tale situazione, non potendo ottemperare ai propri debiti, saranno esposte al rischio del fallimento;
   un'ultima possibilità, in termini temporali, viene data con la legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, commi da 134 a 138, della legge n. 208 del 2015) che consente anche ai contribuenti decaduti dal beneficio della rateizzazione di somme dovute a seguito di accertamenti con adesione di essere riammessi, a specifiche condizioni, al piano originario di dilazione; in particolare, il predetto beneficio spetta ai contribuenti decaduti nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015, per i quali la riammissione è effettuata al piano di rateizzazione inizialmente concesso, riguarda il solo versamento delle imposte dirette ed è condizionata alla ripresa, entro il 31 maggio 2016, del versamento della prima rata scaduta;
   in ogni caso quest'ultima disposizione normativa, che peraltro è limitata, non risolve il problema di tutte quelle imprese e famiglie che ancora hanno una situazione debitoria in essere;
   la raccomandazione a trovare soluzioni adeguate deriva dalle parole dello stesso amministratore delegato di Equitalia il quale, nel corso dell'audizione di cui sopra, ha sottolineato che, grazie ai pagamenti a rate, infatti, le famiglie e le imprese in difficoltà economica riescono, nel tempo, a regolarizzare il loro debito con l'erario e, di conseguenza, a Equitalia di riscuotere le somme che gli enti creditori le affidano, nel modo meno invasivo possibile, facilitando il rapporto con i debitori interessati e favorendo, al contempo, un clima di minor tensione sociale e di maggiore fiducia nelle istituzioni. Sulla stessa materia si ricorda anche la recente risoluzione n. 7-00976 approvata il 24 maggio 2016 in Commissione finanze della Camera dei deputati –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare al fine di prevedere che i contribuenti decaduti dai piani di rateizzazione concessi, ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, in data precedente o successiva a quella di entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, possano ottenere, a semplice richiesta, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione ai sensi dello stesso articolo 19, superando in tal modo le limitazioni rappresentate dalla presentazione di un'apposita istanza entro un termine perentorio già stabilito. (3-02334)


   GALGANO, MATARRESE, VECCHIO, LIBRANDI, BOMBASSEI, OLIARO, CATANIA, SOTTANELLI, MOLEA, VARGIU, DAMBRUOSO, VEZZALI, CAPUA e D'AGOSTINO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   nonostante il crollo del costo del petrolio registrato negli ultimi tempi, i prezzi della benzina in Italia non sono diminuiti in proporzione in quanto a gravare in maniera decisiva sui prezzi alla pompa sono soprattutto le imposte;
   considerate le quotazioni attuali del greggio, il cui costo è sceso del 19 per cento rispetto al 2008, il prezzo del carburante alla pompa non dovrebbe superare i 44 centesimi, se si escludessero le imposte che gravano sul costo totale;
   negli ultimi anni il peso fiscale sui carburanti è cresciuto in modo vertiginoso ed inarrestabile, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui le imposte (accise ed Iva) rappresentano ben oltre i due terzi del costo di un litro di benzina alla pompa;
   facendo qualche calcolo, si potrebbe dire che, neanche se il prezzo del petrolio dovesse raggiungere il suo minimo storico, che fu toccato il 10 dicembre 1998 quando le quotazioni del greggio calarono a 9 dollari e 55 centesimi, la benzina costerà meno di un euro al litro, in quanto attualmente circa il 70 per cento del prezzo totale del carburante è destinato all'erario;
   la pervicacia del fisco sui carburanti emerge da un confronto fatto dall'ufficio studi della Confartigianato fra i prezzi attuali e quelli di sette anni fa, quando il costo del greggio sui mercati internazionali era pressoché agli stessi livelli;
   nel dicembre 2008, tenendo conto che la moneta europea era decisamente più forte di oggi sul dollaro, le quotazioni del brent si attestavano intorno ai 29 euro e il prezzo medio alla pompa del gasolio per autotrazione era di un euro e 111. Oggi, con un costo medio del petrolio a circa 30 euro, il prezzo medio della nafta è invece di un euro e 251, con un aumento complessivo del 12,6 per cento. E questo nonostante il prezzo al netto delle imposte sia sceso del 18,8 per cento;
   questo significa che nel corso degli ultimi sette anni si è verificato un rincaro del gasolio del 31,4 per cento esclusivamente attribuibile alle imposte: nel dettaglio, in questo arco di tempo le accise sono aumentate del 46 per cento e il peso dell'Iva è cresciuto del 21,8 per cento. Va poi rilevato che l'Iva non si calcola sul prezzo netto del carburante, ma anche sulle accise, con il risultato surreale che sulle imposte grava un'altra imposta;
   proseguendo nel confronto, alla fine del 2008 le imposte toccavano 60,82 centesimi, rappresentando il 54,7 per cento del prezzo finale del gasolio, mentre ad inizio 2016 si è arrivati a 84,31 centesimi e la percentuale è salita al 67,4 per cento del totale. Si tratta di una differenza di oltre 23 centesimi al litro che, considerando i 22 milioni di tonnellate di gasolio che ogni anno vengono consumate in Italia, determina per il fisco un maggiore introito di quali 5,2 miliardi di euro ogni dodici mesi. Il solo effetto delle imposte sulle imposte è di quasi 14 centesimi al litro, pari a circa 3 miliardi di euro sui consumi totali di gasolio;
   se si considerano i prezzi della benzina le cose non vanno meglio: su ogni litro le accise gravano per quasi 73 centesimi e, se si aggiunge anche l'Iva (con il solito meccanismo dell'imposta sulle imposte), il prelievo fiscale è praticamente di un euro su un costo alla pompa di 1,421 euro. Dato che, escludendo le imposte e con le quotazioni attuali del greggio, un litro di benzina non dovrebbe costare più di 44 centesimi, se ne deduce che poco meno del 70 per cento del prezzo finale va al fisco;
   l'analisi dell'ufficio studi della Confartigianato dimostra che i consumatori italiani pagano il gasolio più caro in Europa, con le uniche eccezioni di Svezia e Regno Unito, nonostante il prezzo netto italiano sia appena al ventesimo posto nel continente. Anche il prezzo italiano della benzina è il più alto in Europa (solo nei Paesi Bassi è maggiore). Nel nostro Paese un litro costa 1,421 euro, mentre la media europea è di 1,273 (tralasciando i prezzi negli Stati Uniti, 47 centesimi, e Arabia Saudita, 23 centesimi) e la differenza è interamente dovuta al meccanismo dell'imposta sull'imposta, ovvero dell'Iva anche sulle accise. Negli Stati Uniti un litro costa solo 47 centesimi di euro, in Arabia Saudita 23 centesimi;
   come denunciato dalle associazioni dei consumatori, le attuali imposte applicate sui carburanti in Italia si traducono in un pesante aggravio per i cittadini «pari a ben +72 euro annui in termini diretti (vale a dire per i pieni di carburante) e a +59 euro annui in termini indiretti (a causa all'impatto del costo dei carburanti sui prezzi dei beni di prima necessità che, nel nostro Paese, sono distribuiti per l'86 per cento su gomma)». Un totale che ammonta a 131 euro annui –:
 alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative il Governo intenda intraprendere per evitare che in Italia il prezzo totale del carburante, sia in termini di benzina che di gasolio, nonostante il costo del greggio sia negli ultimi tempi notevolmente diminuito, continui ad essere tra i più cari in Europa, nonché quali iniziative intenda adottare affinché le imposte non gravino in maniera così pesante sui prezzi alla pompa e, soprattutto, si eviti quel meccanismo perverso dell'imposta sulle imposte, ossia dell'Iva calcolata anche sulle accise. (3-02335)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il canone di abbonamento Rai è un'imposta dovuta per la semplice detenzione di un apparecchio televisivo, indipendentemente da quanto lo si usa o dalla possibilità di ricevere i canali nazionali;
   viene, quindi, chiamato canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo pubblico, quello che in realtà si configura come un'imposta sul possesso della tv, dichiarata tale anche dalla Corte costituzionale;
   la stessa Corte costituzionale ha inoltre chiarito come non sussista alcuna relazione diretta tra le entrate che derivano dal canone e quelle che poi vengono effettivamente destinate alle reti Rai, dal momento che il maggiore beneficiario dell'imposta non è la Rai, bensì lo Stato;
   per i portatori di handicap indicati all'articolo 3 della legge n. 104 del 1992 lo Stato prevede giustamente numerose agevolazioni fiscali, fra cui quelle sugli acquisti degli ausili tecnici e informatici che possono facilitare le attività giornaliere migliorando le condizioni di vita;
   con l'avanzare del progresso tecnologico, oggi in commercio ci sono molte apparecchiature elettroniche di consumo che possono essere utilizzate come ausilio per le persone diversamente abili, come ad esempio gli apparecchi che hanno come principale caratteristica l'integrazione di funzioni e di servizi legati a internet all'interno di apparecchi televisivi;
   per le persone con grave disabilità, che non sono nelle condizioni di poter utilizzare strumenti informatici, la televisione rappresenta spesso il principale mezzo di informazione e di compagnia, pertanto gli interventi e i programmi relativi ai servizi pubblici, che la legge n. 104 del 1992 prevede vengano determinati con priorità per le situazioni riconosciute gravi, dovrebbero prevedere anche la gratuità dell'accesso al servizio radiotelevisivo;
   è doveroso sviluppare progetti a sostegno delle persone diversamente abili con l'obiettivo prioritario di migliorare il più possibile la loro qualità di vita e quella delle loro famiglie: è necessario pensare alle persone non autosufficienti in termini di centralità del bisogno per fornire risposte efficaci –:
   in virtù del ruolo che l'apparecchio televisivo riveste nella vita delle persone diversamente abili sia come strumento tecnologico in grado di facilitare le comunicazioni col mondo esterno sia come strumento ricreativo, se il Governo non ritenga doveroso assumere iniziative per prevedere specifiche esenzioni dal pagamento del canone di abbonamento alla concessionaria radiotelevisiva pubblica per i portatori di handicap indicati all'articolo 3 della legge n. 104 del 1992. (3-02336)


   MARCHI, BOCCADUTRI, PAOLA BRAGANTINI, CAPODICASA, CENNI, DELL'ARINGA, FANUCCI, CINZIA MARIA FONTANA, FREGOLENT, GIAMPAOLO GALLI, GINATO, GIULIETTI, GUERRA, LAFORGIA, LOSACCO, MARCHETTI, MELILLI, MISIANI, PARRINI, PILOZZI, PREZIOSI, RUBINATO, MARTELLA e BINI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il 23 giugno 2016 gli elettori britannici sono chiamati ad esprimersi sulla cruciale possibilità che il loro Paese possa o meno continuare a far parte dell'Unione europea; al termine di una campagna elettorale intensa e tesa, caratterizzata perfino da drammatici risvolti, l'esito della consultazione popolare pare assai incerto;
   all'esterno della Gran Bretagna la campagna referendaria è stata seguita con altrettanta partecipazione e l'andamento dei mercati finanziari dell'intera Europa è stato caratterizzato da una significativa volatilità dei titoli, con perdite fortemente correlate al rischio di una crisi politica dovuta alla vittoria del voto favorevole all'uscita;
   una eventuale Brexit richiederà la messa in atto di un complesso processo di negoziazione che sia funzionale alla continuità dei rapporti economici, nonché delle alleanze politiche e militari di comune interesse; tale scenario avrebbe sicuramente conseguenze finanziarie, anche se è difficile prevederne la durata e la gravità;
   se invece vincesse il remain, lo scenario risulterebbe meno critico, ma le scelte dei leader europei ancor più delicate per quanto concerne le prospettive future dell'Unione europea, che si trova nella fase più delicata dalla sua fondazione;
   in ogni caso, i vertici della Banca centrale europea dichiarano con fermezza di essere preparati a fronteggiare, con efficaci misure, le turbolenze finanziarie cui saranno sottoposti i Paesi dell'Unione europea;
   oltre agli strumenti di politica monetaria e indipendentemente dall'esito del referendum, appare più che mai ad oggi necessario rilanciare con forza il processo di integrazione, attraverso meccanismi concreti per un coordinamento, una convergenza e una solidarietà più solidi tra le politiche economiche di tutti Paesi membri, anche al fine di promuovere una dimensione maggiormente democratica dell'Unione europea che contrasti la diffusa disaffezione verso il progetto europeo –:
   nell'auspicata ipotesi che prevalga la volontà britannica di continuare a far parte dell'Unione europea, quali iniziative intenda promuovere il Governo per rafforzare gli obiettivi di rilancio della crescita e dell'occupazione a livello comunitario, anche in relazione alle proposte italiane contenute nell'ampia agenda strategica presentata nel mese di febbraio 2016, così da far recuperare lo spirito di progresso sociale ed economico per l'intero continente proprio dell'originario progetto europeo. (3-02337)


   PESCO, GRILLO, ALBERTI, FICO, PISANO, RUOCCO e VILLAROSA. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   il Corpo della Guardia di finanza, che fa parte delle Forze armate della Repubblica italiana, dipende dal Ministero dell'economia e delle finanze; la Guardia di finanza opera in molti settori delicati quali polizia tributaria, polizia economico-finanziaria, contrasto al traffico di sostanze stupefacenti, repressione dei reati di criminalità organizzata, riciclaggio del denaro;
   tutti gli appartenenti alla Guardia di finanza sono tenuti ad attenersi in maniera rigorosa al principio della neutralità della pubblica amministrazione; tali principi si applicano vieppiù anche alle strutture apicali del Corpo per ovvie ragioni etiche, anche per stimolare nell'istituzione lo spirito dell'ammirazione verso i superiori gerarchici; pertanto, è tanto più tenuto al rigore nel proprio curriculum e nella propria azione quotidiana chi assume la carica di comandante della Guardia di finanza;
   su Il Fatto quotidiano del 18 giugno 2016 (articolo intitolato «Inchiesta Sopaf, la mail di Toschi: “Mio fratello comanderà a Roma. Quanto di più utile per noi”», a firma di Giorgio Mielettie e Valeria Pacelli) si legge testualmente: «La famiglia Toschi ottimizzava le sinergie, come direbbe un bravo manager. C’è Giorgio, il fratello maggiore, pezzo grosso della Guardia di finanza, lanciato in una carriera che lo porterà nella primavera 2016, anno III dell'era renziana, sulla poltrona di comandante generale. C’è Andrea, il più giovane, impegnato nella finanza milanese, nel gruppo Sopaf dei numerosi e attivissimi fratelli Magnoni, figli di Giuliano, socio e consuocero di Michele Sindona. A capo della Adenium Sgr (società di gestione del risparmio), Toschi junior è particolarmente attivo nei rapporti con le casse previdenziali, in particolare con Enpam (medici) e Inpgi (giornalisti). Il 18 giugno 2011 Andrea Toschi scrive un'ispirata mail a uno dei suoi capi, Giorgio Magnoni: “Ho appena appreso da ’familiari’ che dal prox anno la Guardia di finanza avrà anche il compito di sorvegliare e verificare la documentazione relativa agli investimenti finanziari e ai processi organizzativi relativi a tutte le casse di previdenza. La Guardia di finanza collaborerà con la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione). (...) Meglio di così!! (...) Saluti” (...). Andrea Toschi è stato arrestato nel maggio 2014 e oggi è a processo con Aldo Magnoni e altri per associazione a delinquere: «Si associavano tra loro allo scopo di commettere più delitti di bancarotta fraudolenta, truffa aggravata, appropriazione indebita, frode fiscale, trasferimento fraudolento di valori finalizzato ad agevolarne il riciclaggio». Andrea Toschi è accusato dal giudice per le indagini preliminari di aver sfruttato «la propria rete di relazioni esterne per agevolare la realizzazione di operazioni illecite e conseguire i relativi guadagni». (...) Ma i magistrati hanno in mano un rapporto della Banca d'Italia, precisamente dell'Uif (Unità d'informazione finanziaria). C’è scritto che alla Banca di credito cooperativo di Anagni, che aveva fatto una «segnalazione di operazione sospetta», Toschi «si sarebbe presentato in banca affermando di essere il fratello del comandante generale della Guardia di finanza Giorgio Toschi». Barbara Rossato, responsabile del controllo rischi e funzione antiriciclaggio della Banca di credito cooperativo di Anagni, ha raccontato ai magistrati che Fabrizio Carracoi (anche lui a processo) chiese alla banca una fidejussione a garanzia di un progetto finanziario. L'operazione apparve «anomala». «A parere della banca – racconta Rossato – l'anomalia era dettata dal fatto che era risaputo che il Carracoi non era una persona che finanziariamente potesse sostenere una operazione del genere. La cosa che più ha insospettito la banca è stato il fatto che spendessero il nome di Andrea Toschi, presentato come fratello di un generale della Guardia di finanza». Su questo insieme di impressioni e mezze frasi deve fare chiarezza il tribunale di Milano. Ma il sospetto che Toschi junior usasse il nome del fratello per aggirare gli ostacoli sul suo cammino è confermato da un'altra mail privata che Il Fatto quotidiano ha potuto leggere. Il 21 febbraio 2010 Toschi scrive al collega e amico Alberto Ciaperoni, oggi a giudizio con lui. All'interno di un lungo sfogo sui rapporti con la famiglia Magnoni, che non sembrano andare per il meglio, parte la cannonata: «Desidero anche informarti (mi raccomando la max riservatezza...) che proprio ieri ho avuto notizia (la notizia era già nell'aria da un po’...) che il mio fratellone con greca e stelle d'argento, verrà a Roma (entro giugno) a comandare quanto di più importante e utile per noi. Ti dico solo che tutti gli organi di vigilanza, gli istituzionali, il gotha romano, faranno la fila per essere da lui ricevuti ed invitati (...) Camporese e Falconi si sono già proposti per incontrarlo quanto prima. Secondo te io posso sbagliare? Possiamo sbagliare?». Puntualmente la notizia in anteprima trova conferma. A giugno Giorgio Toschi lascia il comando regionale della Toscana per approdare alla capitale come comandante della scuola di polizia tributaria della Guardia di finanza. Posizione prestigiosa: prende il posto di Saverio Capolupo, che in breve tempo diventerà comandante generale. E subito incontra Camporese, come il giornalista riferisce ai magistrati.»;
   d'altronde, come si riscontra su Rainews 24 in merito a Camporese, «il giudice per l'udienza preliminare di Milano rinvia a giudizio altre nove persone per il crack della Sopaf Inpgi: rinvio a giudizio per il presidente Camporese. Accusato di truffa e corruzione. Il giudice per l'udienza preliminare di Milano ha rinviato a giudizio il presidente dell'Inpgi Andrea Camporese e altre nove persone coinvolte in un filone dell'inchiesta sul crack della holding Sopaf dei fratelli Magnoni»;
   sempre dall'articolo riportato su Il Fatto quotidiano, si apprende poi delle «perplessità» sulla nomina di Toschi, manifestate da altre cariche istituzionali: «La resistenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a firmare la nomina di Toschi è stata piegata dal Premier Matteo Renzi, lasciando interdetti gli esponenti politici di peso che «per le vie brevi» avevano segnalato al Quirinale il sospetto che Andrea usasse il nome del fratello per mettere il turbo agli affari. Dopo l'arresto, Toschi ha respinto con vigore l'accusa. Nel primo interrogatorio, il 12 maggio 2014, i pubblici ministeri di Milano gli contestano il fatto: «Lei va in banca e dice “sono il fratello di un grosso generale della Guardia di finanza”». Lui reagisce: «E allora mi devono dire quali sono queste banche. Io non mi sono mai vantato. Mai nella mia vita, mai, di una situazione familiare. Mai» –:
   se non sia il caso di riconsiderare la recente nomina del generale Toschi al vertice della Guardia di finanza, in considerazione dell'inopportunità della sua posizione in ordine ai fatti descritti in premessa, che può nuocere all'onore e portare disdoro all'istituzione del Corpo della Guardia di finanza. (3-02338)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FREGOLENT e MICCOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Electron Italia srl è un'azienda controllata al 100 per cento GJ Gruppo Leonardo – Finmeccanica, a sua volta partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   Electron Italia è una società che opera in un settore riconosciuto strategico da Leonardo-Finmeccanica (essenziale per il core business dell'azienda): si occupa infatti di progettazione e realizzazione di sistemi integrati del comparto denominato «sicurezza fisica» fornendo, al tempo stesso, supporto ingegneristico ad altre società del gruppo;
    Electron Italia ha collaborato, in questi anni, con numerose istituzioni civili e militari, acquisendo conseguentemente dati sensibili di notevole valenza per la sicurezza nazionale;
   sono 68 gli attuali dipendenti di Electron Italia, suddivisi in numerose e diversificate professionalità: ingegneri, progettisti, esperti di rete, sviluppatori software, impiegati e tecnici specializzati;
   risulta agli interroganti che da circa un anno Leonardo – Finmeccanica stia cercando di vendere Electron Italia; orientamento che è stato confermato dagli stessi vertici del Gruppo;
   questa decisione ha allarmato da subito i lavoratori e le associazioni sindacali di categoria che hanno organizzato scioperi ed attività di protesta per salvaguardare gli attuali livelli occupazionali;
   appare evidente che tale trattativa di vendita di Electron Italia, oltre a mettere a rischio la continuità delle posizioni lavorative e le professionalità presenti, potrebbe non tutelare tutte quelle informazioni sensibili che l'impresa detiene, avendo lavorato in questi anni con committenti istituzionali di primo piano –:
   se il Governo abbia ulteriori informazioni rispetto alla vendita di Electron Italia srl e se non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti al fine di tutelare un settore strategico del Gruppo Leonardo Finmeccanica, di preservare gli attuali livelli occupazionali e le professionalità presenti e di impedire la diffusione di dati sensibili che l'azienda stessa detiene a seguito delle sue collaborazioni con istituzioni civili e militari nazionali. (5-08930)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ERMINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   su la Stampa del 15 giugno 2016 è stato pubblicato un articolo a firma di Giuseppe Salvaggiulo, che riguarda la drammatica situazione della giustizia in Calabria;
   in particolare, si fa riferimento al caso concernente il processo denominato «Cosa Mia»;
   tale processo si sviluppa sulla base di una indagine del 2010 promossa dalla procura della Repubblica di Reggio Calabria e riguardante una sanguinosa guerra di mafia che nel corso degli anni ’80-90 fa registrare ben 52 omicidi;
   un'inchiesta che fa luce anche sul «controllo» dei lavori concernenti l'ammodernamento della autostrada A3 Salerno-Reggio, con una tangente del 3 per cento richiesta alle imprese e mascherata dalla voce «tassa ambientale» o «costo sicurezza»;
   si celebra il processo, che mobilita rilevanti risorse materiali e umane per la complessità e delicatezza della materia, e nel 2013 giungono 42 sentenze di condanna per un totale di 300 anni di carcere;
   nel luglio 2015 tali sentenze vengono confermate anche in sede di processo d'appello;
   si attendeva il passaggio in Cassazione, ma si apprende dall'articolo che una settimana fa sarebbero scaduti i termini senza che dalla Corte di cassazione fossero arrivate le carte del processo, poiché il giudice, dopo 11 mesi, non aveva ancora depositato le motivazioni;
   il risultato di tale assurda vicenda è che tre imputati con doppia sentenza di condanna per associazione mafiosa sono tornati in libertà, così come altri dieci erano già usciti per scadenza dei termini di custodia cautelare;
   il servizio giornalistico, inoltre fa riferimento anche ad un altro processo denominato «Revenge», per il quale in questi giorni si celebra l'appello presso il tribunale di Catanzaro con 7 imputati per mafia;
   tale processo avrebbe dovuto prendere il via nel 2011 e, invece, sembrerebbero essere stati necessari ben 5 anni per costituire un collegio di giudici;
   quanto rappresentato in premessa, richiamando la ricostruzione giornalistica, evidenzia una drammatica criticità del sistema giudiziario operante in Calabria –:
   quali iniziative di competenza intenda promuovere per verificare se corrisponda a verità quanto riportato in premessa sulla base della ricostruzione riportata dal servizio giornalistico e quali ulteriori iniziative, ove fossero confermate tali gravissime anomalie, intenda assumere di conseguenza. (5-08940)


   FRACCARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da notizie di stampa, in data 16 marzo 2016, il giudice ha ammesso la richiesta di Gerhard Brandstätter e Domenico Ajello, avvocati difensori dell'ex presidente della giunta provinciale di Bolzano Luis Durnwalder, accusato di peculato per l'uso dei fondo riservati, di ascoltare come testimone l'ex procuratore generale di Bolzano Cuno Tarfusser nell'ambito del processo penale sui cosiddetti «Sonderfonds» condotto dal procuratore generale in carica Guido Rispoli («Processo a Durnwalder. Tarfusser sarà testimone» di Mario Bertoldi – Alto Adige, 16 marzo 2016);
   in data 30 marzo 2016, l'ex procuratore Cuno Tarfusser, ha affermato di non aver aperto un'inchiesta sull'uso dei cosiddetti fondi riservati da parte dell'allora presidente della provincia di Bolzano Durnwalder, ma di aver indagato sull'utilizzo dei fondi a disposizione del gruppo consigliare dell'SVP. Tarfusser ha chiarito che, nel periodo in cui ricopriva il ruolo di procuratore generale della Repubblica, non vi fu mai un'inchiesta specifica sui fondi riservati in quanto nell'ambito del procedimento aperto non vi fu la percezione di una situazione di illiceità. A specifica domanda del dottor Rispoli, l'ex procuratore Tarfusser ha anche puntualizzato di non aver mai approfondito, sotto il profilo della legittimità giuridica, il tema dell'uso dei fondi riservati ma ha detto di condividere il pronunciamento della Corte di cassazione, la quale ha ribadito la necessità di rispetto delle norme generali sull'uso dei fondi pubblici, al di là di specifiche leggi di riferimento. L'ex procuratore Tarfusser ha infine puntualizzato di ritenere giuridicamente valide le autocertificazioni con cui Durnwalder attestò l'uso di alcuni fondi («Processo Durnwalder sui fondi riservati. La testimonianza di Tarfusser non incide» – Radio NBC, 30 marzo 2016);
   in data 13 maggio 2016, nell'ambito del processo contabile collegato al procedimento penale per l'utilizzo improprio dei fondi di rappresentanza provinciali, la Corte dei Conti di Bolzano ha condannato l'ex presidente della Provincia Luis Durnwalder a restituire 385.890,36 euro al bilancio pubblico per danno erariale. I giudici contabili hanno rilevato l'illegittima utilizzazione dei fondi riservati per attività non strettamente collegate ai compiti istituzionali dell'ex governatore ma senza riconoscere l'aggravante del dolo («Durnwalder condannato: dovrà restituire 385 mila euro» – Alto Adige, 13 maggio 2015);
   il 14 giugno 2016, pochi attimi dopo la lettura del dispositivo della sentenza e comunque prima della pubblicazione delle motivazioni da parte del giudice Busato nell'ambito del processo «Sonderfonds» nei confronti di Durnwalder, ha fatto scalpore la presenza dell'ex procuratore generale Cuno Tarfusser, presso il bar Alan di Bolzano, luogo in cui è stata celebrata, con l'apertura di una bottiglia di spumante, l'assoluzione dagli avvocati difensori Brandstätter e Aiello e dal medesimo imputato Durnwalder. Tale notizia ha avuto risonanza sui media nazionali («Bolzano, la foto delle polemiche: Durnwalder festeggia l'assoluzione con Tarfusser. Il magistrato: “Lì per caso”» di Giuseppe Pietrobelli – Il Fatto Quotidiano online, 14 giugno 2016);
   in data 15 giugno 2016 la presenza dell'ex procuratore Tarfusser presso il bar Alan è stata oggetto di cronaca sulla stampa locale. Da un lato sono state pubblicate le critiche espresse dall'ex procuratore Guido Rispoli (nel frattempo trasferito presso la procura del Molise), che ha evidenziato l'inopportunità della presenza di Tarfusser alle celebrazioni e ha richiamato all'attenzione gli illeciti disciplinari dei magistrati. In particolare, il procuratore generale Rispoli, protagonista delle principali inchieste mani pulite in Alto Adige insieme a Tarfusser, avrebbe dichiarato «A tutti ricordo l'esistenza di una norma, l'articolo 2 della legge 106 del 2009 che prevede come illecito disciplinare dei magistrati in servizio, fuori ruolo e in pensione esercitare interferenze sui magistrati che debbono prendere una decisione. Parimenti – ricorda ancora Rispoli – è un illecito disciplinare per i magistrati che subiscono queste interferenze non segnalarle al loro capo ufficio». Dall'altro, l'ex procuratore Tarfusser si è giustificato sostenendo di essersi trovato al bar Alan di Bolzano per caso, non essendo nemmeno informato della pronuncia della sentenza, e di aver consumato «un solo bicchiere di vino» («Processo Durnwalder i tre dubbi di Rispoli» di Mario Bertoldi – Alto Adige, 15 giugno 2016);
   si sottolinea come nel gennaio 2009 l'ex procuratore di Bolzano Cuno Tarfusser sia stato eletto giudice della Corte penale internazionale per un mandato di nove anni su proposta del Ministro della giustizia pro tempore Angelino Alfano e Ministro degli affari esteri pro tempore Franco Frattini in qualità di esperto nel diritto penale e nella procedura penale e che, nel 2012, sia stato eletto vice presidente della Corte stessa;
   in ogni caso, è opinione dell'interrogante che l'esercizio della funzione magistratuale debba essere connotato dal rispetto dei principi di imparzialità e correttezza per assicurare al meglio il perseguimento del rilevante interesse pubblico proprio della funzione giurisdizionale, fugando anche il minimo dubbio circa la sussistenza di ragioni di «inopportunità» anche solo eventuali nella condotta del magistrato;
   dalla lettura dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 109 del 2006 si evince che l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati è promossa dal Ministro della giustizia e dal procuratore generale presso la Corte di cassazione e che il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare mediante richiesta di indagini al Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Dell'iniziativa il Ministro dà comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere, in particolare valutando la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive anche ai fini di eventuali azioni disciplinari nei confronti del magistrato Cuno Tarfusser attualmente in carica presso la Corte Internazionale di giustizia. (5-08941)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a partire da un'indagine della procura di Reggio Calabria, diretta dall'allora procuratore Giuseppe Pignatone, ora capo della procura di Roma, nel 2010 si avviava processo «Cosa Mia»;
   il processo coinvolgeva alcune famiglie della piana di Gioia Tauro (RC), protagoniste di sanguinose guerre di mafia tra gli anni ‘80 e ’90; una terra che ha visto circa 52 omicidi e altri 34 tentati omicidi;
   da fonti di stampa si apprende che, a causa della pericolosità degli imputati, la polizia penitenziaria intimorita degli stessi imputati, si rifiutava di trasportarli nell'aula del processo e, al fine di garantire il regolare svolgimento del processo, il Ministero della giustizia è stato costretto a mobilitare i reparti speciali;
   il processo si è concluso sia nel primo che nel secondo grado. Ciò è avvenuto in un lasso di tempo relativamente celere, pur se il numero di imputati era elevato e si svolgeva nelle condizioni di rilevanti difficoltà logistiche descritte;
   infatti, nel 2013, la Corte d'assise emetteva la sentenza definitiva comminando 42 condanne, per un totale di trecento anni di carcere. La stessa pena veniva confermato in sede di appello a luglio del 2015;
   la Corte d'appello avrebbe dovuto depositare le motivazioni entro novanta giorni dalla sentenza del luglio 2015, quindi entro fine ottobre 2015;
   il rispetto del termine avrebbe consentito alla magistratura di disporre di ulteriori sei mesi di tempo per portare a conclusione il processo, con sentenza definitiva, prima dello scadere del termine finale previsto per i casi di carcerazione preventiva degli imputati;
   di fatto, il processo non è mai arrivato in Cassazione, poiché il giudice Stefania Di Rienzo, della Corte d'assise di Reggio Calabria, non ha mai provveduto ad inviare le motivazioni della sentenza;
   scaduto il primo termine per il deposito delle motivazioni pari a 90 giorni, veniva chiesta una proroga di altri tre mesi a fine di consentire il proseguo del processo;
   il ritardo ha causato la scadenza dei termini per la carcerazione preventiva, quindi tutti gli imputati sono stati rilasciati poiché arrestati nel giugno 2010 e, come detto, la durata massima della custodia cautelare è pari a sei anni;
   è prassi velocizzare i processi in Cassazione per i quali sta maturando la prescrizione oppure perché stanno per scadere i termini di carcerazione degli imputati. In questo caso ciò non è stato possibile a causa di quella che si configurerebbe come una grave mancanza ad avviso degli interroganti imputabile ai magistrati della Corte d'assise di Reggio Calabria;
   con la scarcerazione di persone legate alla ’ndrangheta, i condannati in primo grado e in appello, sono fatto liberi perché il giudice dopo ben 11 mesi dalla pronuncia della sentenza, non ha ancora depositato le motivazioni;
   il Ministro della giustizia Andrea Orlando, ha reso noto di avere chiesto agli ispettori del suo Dicastero «di acquisire notizie» e ha attribuito agli ispettori il compito, nel caso la vicenda fosse confermata, e di «assumere le conseguenti iniziative –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero;
   se il Ministro interrogato abbia inviato gli ispettori presso la Corte d'assise di Reggio Calabria e in caso affermativo, quale sia il contenuto della relazione eventualmente già elaborata dagli ispettori relativa al mancato deposito delle motivazioni da parte del giudice competente;
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, ai sensi dell'articolo 107 della Costituzione, per promuovere l'azione disciplinare nei confronti del giudice sopra richiamato, considerato il ritardo nel deposito delle motivazioni della sentenza richiamata in premessa, da cui deriva il fatto della scarcerazione degli imputati legati alle cosche di Rosarno. (4-13549)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è notizia è pubblicata su Il Corriere-Cronaca di Ravenna del 16 giugno 2016 quella relativa alle dichiarazioni in chiave anti destra del giudice Roberto Riverso, per anni in forza presso il tribunale di Ravenna e ora consigliere della Corte di cassazione;
   l'articolo, dal titolo «Il giudice Riverso scuote la sinistra “Questa Lega bisogna fermarla”», riporta che il togato, sulla propria pagina di facebook, entra nel merito dei ballottaggi per le amministrative a Ravenna esprimendo la propria riflessione palesemente di parte: «la sinistra di Ravenna in Comune non si è schierata per dare indicazioni di voto rimettendo la scelta alla responsabilità dei singoli. Va però chiarito con franchezza quale scenario si presenta all'elettore di sinistra chiamato a sciogliere il proprio orientamento domenica prossima nella nostra città. Salvo che intenda rimanere alla finestra a godersi lo spettacolo, ma non penso che questa possa considerarsi una prospettiva politicamente appagante e consapevole. Da noi l'alternativa al Pd è il vecchio leghismo, dei duri e puri, una forza sostanzialmente razzista, e non solo a parole (basterebbe ricordare i numerosi provvedimenti discriminatori emessi dove ha amministrato proprio contro i più deboli e persino contro i bambini); una forza opportunista tanto da essere stata a parole federalista e separatista e al tempo stesso la migliore alleata dei nostalgici nazionalisti.(...)»;
   al di là dei profili penali per calunnia e diffamazione che tale dichiarazione, a giudizio dell'interrogante, potrebbe implicare, è indubbia e manifesta la volontà del giudice di influenzare il voto al ballottaggio di Ravenna, ben conscio dell'autorevolezza acquisita come magistrato che gli conferisce, direttamente o indirettamente, potere di condizionare e impressionare l'opinione pubblica –:
   se non ritenga, nell'ambito delle competenze ex articolo 107 della Costituzione, di dovere promuovere con urgenza l'opportuna azione disciplinare nei confronti del giudice Riverso. (4-13550)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   H.M.E.M., nato a Kafr El Sheikh (Egitto) il 22 aprile 1999, è stato affidato dal giudice tutelare del tribunale di Messina, in data 3 maggio 2016, all'Avvocato Carmelo Picciotto nella qualità di tutore del ragazzo. La raccolta delle generalità della tutela sono quelle effettuate al momento dello sbarco, in una situazione di caos e di stress per il migrante;
   il suddetto H.M.E.M. è stato indagato per il reato di cui all'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (Capo A), 416, comma IV c.p.(capo B);
   in data 4 maggio 2016 si teneva l'udienza di convalida del procedimento n. 66 del 20/16 RGIP N. 113/16 RGNR che vede H.M.E.M. indagato e il giudice per le indagini preliminari del tribunale dei minorenni stabiliva che dal referto redatto dal radiologo dell'unità operativa di radiologia dell'azienda ospedale Papardo di Messina in data 2 maggio 2016 risulta che ha una «... età ossea corrispondente a circa 19 anni secondo Gaskin (Skeletal Development 2011) (esame radiologico);
   nella stessa udienza, tenuto conto del suddetto referto, veniva stabilito che deve dichiararsi l'incompetenza del giudice per le indagini preliminari, con conseguente restituzione degli atti al pubblico ministero in sede per l'ulteriore corso; veniva applicata la misura della custodia cautelare in carcere da eseguirsi in un istituto di pena per maggiorenni;
   la suddetta decisione si pone in contrasto con la normativa a tutela dei minori;
   l'articolo 28 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, al comma 3, stabilisce che nei procedimenti riguardanti i minori stranieri deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176. Pertanto a norma dell'articolo 8 del decreto legislativo 448 del 1998 stante la ripetuta dichiarazione da parte del minore di essere nato il 22 aprile 1999 la minore età doveva essere presunta almeno fino a più approfonditi esami;
   che la minore età debba essere accertata attraverso esami più approfonditi si desume sia dalla letteratura scientifica in materia che esclude che i soli accertamenti radiologici possano determinare con certezza l'età del minore sia dall'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24, attuativo della direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, rubricato «Minori non accompagnati vittime di tratta»; quest'ultima disposizione prescrive che con decreto interministeriale da emanarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore del suddetto decreto legislativo, «sono definiti i meccanismi attraverso i quali, nei casi in cui sussistano fondati dubbi sulla minore età della vittima e l'età non sia accertabile da documenti identificativi, nel rispetto del superiore interesse del minore, si procede alla determinazione dell'età (...) attraverso una procedura multidisciplinare di determinazione dell'età condotta da personale specializzato e secondo procedure appropriate che tengano conto delle specificità relative all'origine etnica e culturale del minore (...) nelle more della determinazione dell'età (...) la vittima di tratta è considerata minore (...)»;
   valutato lo stato d'incertezza anagrafica del minore, occorrerebbe assumere se siano state osservate le relative procedure giudiziarie e le prescrizioni di legge;
   non pare all'interrogante opportuno che ad un minore non accompagnato, già provato dalla lunga traversata in mare, dagli stenti, impaurito, sotto stress e con evidenti difficoltà comunicative, venga applicata la misura della custodia cautelare in carcere da eseguirsi in un istituto di pena per maggiorenni –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di colmare le lacune esistenti, nel supremo interesse del minore. (4-13551)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MINNUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2012 Aeroporti di Roma (ADR) decideva di vendere 3 asset quali: i negozi duty free, i parcheggi, e la manutenzione mezzi;
   mentre per il settore parcheggi la trattativa non andava in porto, per il settore manutenzione mezzi, si optava per una cessione del ramo di azienda alla società Simav spa, garantendo 71 posti di lavoro su 104;
   la società Simav, del gruppo Siram, però, era già in gravi difficoltà economiche e di gestione a causa soprattutto delle vicende Finmeccanica, di cui era una costola, e per cui lavorava in via esclusiva;
   effettivamente, nel giro di tre anni, la società si trovava ben presto senza commesse in aeroporto fino ad arrivare a dichiarare la mobilità dei suoi lavoratori;
   ad oggi la situazione dei predetti lavoratori è sempre più critica e legata ad una profonda incertezza, a causa non solo della crisi aziendale in atto, ma anche a seguito del susseguirsi di info azioni contrastanti relativamente alle scelte imprenditoriali di Aeroporti di Roma per risolvere la situazione; con il conseguente abbassamento del livello di professionalità che, peraltro, riguarda anche il pronto intervento in caso di incidente aereo che, pertanto, ad oggi rischia di non essere adeguatamente garantito –:
   se siano a conoscenza della grave situazione vissuta dai lavoratori della Simav spa e quali siano le iniziative che ritengono di poter intraprendere al fine di salvaguardare le predette posizioni professionali e garantire, soprattutto, in aeroporto i servizi da loro resi. (5-08922)


   D'UVA, DE LORENZIS, VILLAROSA, NUTI, LOREFICE, DIENI, MANNINO, RIZZO, LIUZZI, SPESSOTTO, NESCI, PARENTELA, LUPO e CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la determinazione n. 71 del 2014, così come rilasciata dalla Corte dei Conti, concernente la relazione della Sezione del controllo sugli enti sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., stabilisce l'assetto organizzativo societario del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane quale gruppo industriale, con holding capogruppo Ferrovie dello Stato Italiane Spa;
   dalla stessa determinazione si rileva come le azioni della Società Ferrovie dello Stato Italiane S.p.a. appartengano, a oggi, interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze;
   oggetto sociale di Ferrovie dello Stato Italiane risulta essere la realizzazione e la gestione di reti di infrastrutture per il trasporto ferroviario, lo svolgimento dell'attività di trasporto, prevalentemente su rotaia, di merci e di persone, ivi compresa la promozione, l'attuazione e la gestione di iniziative e servizi nel campo dei trasporti;
   in data 31 ottobre 2000 il Ministero dei trasporti e della navigazione, con proprio atto, decretava la concessione gestoria dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, in via esclusiva e per un limite temporale pari ad anni 60 in favore della Società di Trasporti e Servizi per Azioni «Ferrovie dello Stato» e successivamente trasferita alla società «Rete Ferroviaria Italiana S.p.a.»;
   attraverso tale decreto ministeriale, il Ministero affidava, quale oggetto della concessione, il collegamento ferroviario via mare fra la penisola e la regione siciliana, garantendo, a tal fine, la sola continuità territoriale ferroviaria, senza tuttavia prevedere alcun obbligo in merito al servizio di trasporto passeggeri lungo le coste dello stretto di Messina;
   così come disposto dall'articolo 4 del decreto ministeriale n. 138 del 31 ottobre 2000 concessionario (Rete Ferroviaria Italiana Spa) e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stipulano contratti di programma, di durata non inferiore ai 5 anni, aggiornabili anche annualmente, per meglio definire obiettivi e finanziamenti Statali relativi a infrastrutture e servizi offerti dal concessionario;
   la società «Rete Ferroviaria Italiana S.p.a.» opera oggi nell'area dello stretto di Messina anche mediante la propria controllata, la «Bluferries S.r.l.», istituita nel 2010, la quale ha come oggetto sociale il trasporto marittimo, anche con mezzi veloci, di persone, automezzi e merci, nonché lo svolgimento e la fornitura di tutte le operazioni e i servizi portuali ai mezzi navali sugli approdi, senza, tuttavia, alcun obbligo specifico, né alcuna concessione esclusiva;
   in particolare, il 19 novembre 2010 la società «Rete Ferroviaria Italiana S.p.a.» ha informato l'Autorità della costituzione della società «Bluferries S.r.l.», avvenuta in data 4 novembre 2010, al fine di operare nell'offerta di servizi di trasporto marittimo di persone, automezzi e merci sullo stretto di Messina, ottemperando agli obblighi comunitari che impongono la separazione fra i servizi di interesse generale e i servizi aperti al mercato di libera concorrenza, non essendovi, a oggi, alcuno specifico affidamento di pubblico servizio per il collegamento dei passeggeri;
   allegati a tale comunicazione risultano, in particolare, le delibere del 14 marzo 2008 e del 31 marzo 2010, con cui il consiglio di amministrazione di «Rete Ferroviaria Italiana S.p.a.», nell'approvare il «progetto di societarizzazione del Ramo Navigazione», ha deliberato «la costituzione di un veicolo societario per il trasporto marittimo di persone, automezzi e merci, anche con mezzi veloci», nonché l'atto costitutivo della società Bluferries del 4 novembre 2010;
   a livello nazionale la normativa di riferimento in materia di abilitazione delle navi al trasporto, nonché di sicurezza della navigazione e del personale marittimo, è rappresentata dalle disposizioni contenute nel codice della navigazione di cui al regio decreto n. 327 del 30 marzo 1942 e successive modifiche e integrazioni;
   in particolare, secondo quanto disposto dall'articolo 225 del codice della navigazione, «i servizi pubblici di linea per il trasporto marittimo di persone e/o di cose sono esercitati per concessione dello Stato»;
   il servizio di trasporto veloce di passeggeri, essenziale per garantire la continuità territoriale tra le due sponde dell'area dello stretto è stato garantito a partire dall'anno 2008 dal «Consorzio Metromare dello Stretto», costituitosi grazie all'accordo di due società, la «Rete Ferroviaria Italiana Spa», del Gruppo delle Ferrovie dello Stato e la «Ustica Lines Spa»;
   a decorrere dal 28 giugno 2013 Bluferries S.r.l. e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno stipulato un contratto avente ad oggetto l'effettuazione di un servizio semestrale di trasporto marittimo veloce passeggeri nello Stretto di Messina, tra le città di Messina e Villa San Giovanni, con scadenza 31 dicembre 2013, a seguito dello scioglimento del Consorzio Metromare;
   attraverso una serie di proroghe contrattuali il servizio di trasporto veloce di passeggeri è stato garantito, alle stesse modalità dell'originario contratto di proroga del servizio stipulato tra la società Bluferries e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 30 gennaio 2014, fino alla data del 31 dicembre 2014, comportando così l'attuale decadenza nell'erogazione del servizio;
   il 2 luglio 2013, veniva presentata dal primo firmatario del presente atto ed altri un'interrogazione in Commissione n. 5-00475 nella quale venivano richieste informazioni riguardo le misure che il Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti intendesse assumere per garantire il collegamento nell'area dello Stretto all'indomani della naturale scadenza dell'accordo tra lo stesso Ministero e l'ex Consorzio Metromare dello Stretto;
   in data 11 luglio 2013, con apprezzabile celerità, il Ministero dava risposta ai quesiti posti nell'atto n. 5-00475, sottolineando l'importanza rivestita dal servizio di collegamento giornaliero tra la Sicilia e la Calabria, prospettando la necessità e l'urgenza di un rifinanziamento di tale servizio, stimando il circa 26 milioni di euro la cifra da destinare a tale fine;
   il 29 ottobre 2014, durante la seduta n. 320, veniva presentato l'ordine del giorno 9/02629-7AR/210, a prima firma D'Uva, il quale impegnava lo stesso ad intervenire urgentemente, attraverso lo stanziamento di nuovi fondi, al fine di garantire, almeno per il prossimo triennio, il servizio diretto di collegamento marittimo veloce dei passeggeri sullo stretto di Messina, necessario a tutelare la continuità territoriale tra la regione Calabria e la regione siciliana;
   tale ordine del giorno veniva accolto dal Governo senza proposte di riformulazione ne limitazioni durante la seduta del 29 ottobre 2014, ma l'impegno risulta, a oggi, attuato esclusivamente attraverso proroghe a scadenza semestrale, e senza un programma strutturale che garantisca con efficacia la continuità territoriale tra le sponde dello stretto, così come più volte richiesto all'esecutivo;
   la continuità territoriale, è «la capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti, si inserisce nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso anche in sede europea»;
   il trasporto, infatti, «se da un lato, si configura come attività di tipo economico, dall'altro, come elemento essenziale del diritto alla mobilità», così come sancito dall'articolo 16 della Costituzione italiana, rappresenta essenzialmente un servizio di interesse economico generale e, quindi, garantito a tutti i cittadini;
   a maggior tutela di tale diritto in data 5 febbraio 2015 veniva presentata dal primo firmatario del presente atto l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04655, attraverso la quale si chiedeva al Ministro «di ottemperare agli impegni politici più volte assunti sul tema dei trasporti nell'area dello Stretto di Messina, impedendo che tale servizio debba essere sospeso e prorogato a cadenza ormai semestrale, al fine di garantire in via ordinaria un servizio di interesse economico generale e, quindi, tale da dover essere garantito a tutti i cittadini»;
   in data 31 marzo 2015 il Governo rispondeva che «i competenti uffici del MIT hanno indetto una gara europea, tramite pubblicazione del relativo bando sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 31 gennaio 2015», sottolineando come la stessa gara preveda «un importo di euro 7.000.000,00 annui per tre anni: 2015-2016-2017; termine per la presentazione delle offerte è stato fissato al 30 marzo 2015»;
   così come riportato dal quotidiano consultabile online Tempostretto in data 10 giugno 2016, «fu decisione del Ministero conferire il servizio di traghettamento veloce da Messina a Villa come continuità territoriale interamente a carico di Rete Ferroviaria Italiana senza oneri per lo Stato, condizione che oggi determina la minaccia di interruzione del servizio da parte del vettore pubblico laddove il Ministero non ponesse adeguati correttivi organizzativi ed economici»;
   nello stesso articolo veniva riportata la volontà di Rete Ferroviaria Italiana di sospendere il servizio ex Metromare in mancanza di risposte e risorse adeguate da parte del Governo centrale, dal momento che il «Gruppo Fs si dice pronto a sospendere a partire dal prossimo 1o luglio il servizio di traghettamento veloce da Messina a Villa San Giovanni gestito dalla controllata Bluferries se il Ministero non troverà le soluzioni organizzative e le risorse necessarie già richieste da tempo dal Gruppo Fs»;
   «in pratica dal primo gennaio 2015», continua l'articolo, “Bluferries, società di Rfi, gestisce il servizio ex Metromare nella tratta da Messina a Villa con due aliscafi senza ricevere alcun finanziamento del Governo centrale impegnando circa 3 milioni di euro all'anno del proprio bilancio”;
   tale possibilità viene confermata dalla nota inviata dalla società «Rete Ferroviaria Italiana» al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, avente ad oggetto il servizio di traghettamento sullo Stretto di Messina;
   attraverso la nota si segnala «l'urgenza di acquisire un pronto riscontro in merito al documento sottoposto alla Vostra attenzione con nota del 19 aprile 2016. In particolare si ritiene necessario addivenire ad una definitiva valutazione di fattibilità, sotto il profilo regolamentare ed operativo»;
   qualora non fosse possibile pervenire ad una validazione del progetto proposto, si procederà in coerenza con la tempistica delineata nelle vostre precedenti note – all'interruzione del servizio di collegamento offerto per il tramite di mezzi veloci a far data dal 1o luglio 2016»;
   ad avviso degli interroganti, nonostante numerose sollecitazioni e pubblici impegni assunti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, risulta in tutta la sua evidenza l'assenza di un piano organico che abbia ad oggetto la mobilità dei passeggeri sullo Stretto di Messina, attraverso un efficiente sistema di trasporto marittimo che garantisca la necessaria continuità territoriale, e scongiurino i ciclici rischi di interruzione del servizio di collegamento –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per scongiurare l'interruzione del servizio di collegamento offerto per il tramite di mezzi veloci a far data dal 1o luglio 2016, così come prospettato al Ministero dell'infrastrutture e dei trasporti dalla società affidataria «Rete Ferroviaria Italiana S.p.a.»;
   se intenda ottemperare ai numerosi impegni assunti attraverso la predisposizione di un piano organico e strutturale in materia di organizzazione e finanziamento del sistema di trasporti nello stretto di Messina, scongiurando che l'attuale condizione di instabilità impedisca di garantire in via ordinaria un servizio di interesse economico generale e, allo stesso tempo si che, sia assicurata la necessaria continuità territoriale ai cittadini siciliani e calabresi; (5-08935)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione della Repubblica italiana, all'articolo 16, garantisce il diritto alla mobilità di ogni cittadino; la concreta fruizione di questo diritto per le persone affette da disabilità, sancita dal principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, costituisce lo strumento e la precondizione indispensabile per ciascun individuo per potere esercitare tutta un serie di diritti, nonché per integrarsi nell'ambiente sociale;
   l'articolo 3, secondo comma, della Costituzione demanda al legislatore il compito di rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che possono ostacolare l'attuarsi in concreto del principio di eguaglianza. È proprio sulla base di questa specifica previsione costituzionale che va inquadrata tutta la legislazione ordinaria in tema di disabilità, ivi compreso l'aspetto della mobilità, ed il correlato obbligo per la pubblica amministrazione di eliminare le barriere architettoniche;
   con l'entrata in vigore in Italia della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, con la legge n. 18 del 3 marzo 2009, il predetto diritto alla mobilità si è qualificato ulteriormente come diritto all'accessibilità. Tale diritto è strettamente correlato alla realizzazione di alcuni dei più rilevanti princìpi cui è finalizzata la Convenzione stessa, vale a dire il diritto per le persone con disabilità alla vita indipendente ed all'inclusione sociale;
   le leggi italiane prevedono l'adozione da parte dei comuni di piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche (PEBA). Il PEBA è uno strumento di gestione urbanistica per pianificare gli interventi per rendere accessibili gli edifici e spazi pubblici, previsti dalla legge n. 41 del 1986, articolo 32, commi 21 e 22, e dalle legge quadro sull’handicap del 1992, articolo 24, comma 9;
   questi piani avrebbero dovuto essere adottati, fin dal febbraio 1987, dagli enti centrali e locali in base alle rispettive competenze sull'edificio o sullo spazio pubblico da adeguare, pena, per i piani di pertinenza dei comuni e province, la nomina di un commissario ad hoc da parte della regione;
   il 6 maggio 2016 l'interrogante e l'onorevole Salvatore Lentini, membro dell'Assemblea regionale siciliana, accompagnati dalla signora Ada Orsatti, della presidenza di AILA – Associazione italiana lotta abusi, dal signor Salvatore Bravo, referente regionale di AILA e dalla signora M.B. madre di un minore disabile costretto in carrozzina, hanno svolto una verifica circa l'esistenza di barriere architettoniche nella città di Palermo;
   la verifica era tesa ad accertare le condizioni di accesso riservate ai disabili sul servizio ferroviario metropolitano che, gestito da Trenitalia, si articola su tre linee che utilizzano le infrastrutture ferroviarie RFI e sul servizio tramviario, gestito da AMAT Palermo spa;
   la verifica ha avuto inizio alle ore 11,00 in via Imperatore Federico presso la stazione ferroviaria Imperatore Federico-Stadio, posta sulla linea per il porto. La fermata fu attivata nel 1990 nell'ambito del progetto del servizio metropolitano ferroviario della città di Palermo;
   la stazione Imperatore Federico-Stadio si fa notare per quello che l'interrogante ritiene il mancato rispetto anche delle più basilari norme sull'abbattimento delle barriere architettoniche:
    non è presente la biglietteria;
    la macchinetta obliteratrice risulta essere sprovvista di diciture in alfabeto Braille ed è posta ad altezza non accessibile per una persona disabile costretta in carrozzina;
    gli scivoli che consentono l'accesso al piano interrato e sono privi dei percorsi tattilo-plantari necessari ad una persona non vedente;
    l'ascensore non ha comandi in alfabeto Braille né voce automatica per la segnalazione dei piani;
    l'intervallo di apertura delle porte dell'ascensore è brevissimo e le carrozzine per i disabili rimangono incastrate nelle guide;
    al piano interrato non è presente né il percorso tattilo-plantare che porta ai treni né la linea di sicurezza che indica l'avvicinamento alle rotaie. È presente una sola linea gialla non percettibile ai non vedenti;
   oltre ai problemi rilevati nella stazione sono da sottolineare quelli presenti sul convoglio ferroviario, a partire dal mancato allineamento tra gli accessi allevetture ed il marciapiede che rende impossibile ad una carrozzina salire autonomamente. Sono, inoltre, del tutto assenti i dispositivi utili a fissare in sicurezza le carrozzine al convoglio;
   la verifica è proseguita con il raggiungimento della stazione ferroviaria Palermo Notarbartolo, operativa dal giugno 1974. I percorsi tattilo-plantari della stazione risultano essere inidonei, non conducendo all'uscita della stazione. È inoltre da segnalare l'assenza di un semaforo necessario a consentire il raggiungimento della vicina zona tram;
   la vettura del tram risulta essere a norma, ma alcune fermate non hanno gli spazi di manovra necessari ad una carrozzina in quanto prospicienti muri o inferriate. Inadeguatezze sono riscontrabili anche al terminal-CEP – raggiunto tramite la linea 3 del servizio tramviario cittadino – dove il percorso tattilo-plantare porta i non vedenti contro una cabina in muratura ed una inferriata;
   al terminal-CEP, inoltre, il dislivello tra il marciapiede e la vettura – in questo caso sprovvista di pedana – rende impossibile, se non con un aiuto terzo, l'accesso al mezzo pubblico da parte di una persona disabile costretta in carrozzina;
   nel corso della verifica sono emerse problematiche relative al pagamento dei biglietti per i mezzi pubblici da parte delle persone disabili. Una dipendente di Trenitalia, durante la verifica, ha affermato che il pagamento del biglietto è dovuto da parte del disabile, ma non dall'accompagnatore. Un dipendente di Amat ha invece affermato che anche i disabili sono tenuti al pagamento del biglietto –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere perché nelle stazioni ferroviarie e lungo le linee tramviarie italiane venga garantito l'accesso alla mobilità e la fruibilità da parte di persone con abilità differenti, con particolare riferimento alle infrastrutture della città di Palermo.
(4-13519)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, SCOTTO, FOLINO, FERRARA, FRATOIANNI, PELLEGRINO, ZARATTI, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, SANNICANDRO e DURANTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la legge regionale delle Marche n. 57 del 2 settembre 1997, è stato istituito il parco regionale della gola della Rossa e di Frasassi che si estende per un'area di 10.026 ettari, ricadenti nei territori dei comuni di Arcevia, Cerreto d'Esi, Fabriano, Genga e Serra S. Quirico;
   con una nota stampa del 10 giugno 2016 l'associazione ambientalista Italia Nostra ed il Comitato Civico Riprendiamocilastrada hanno segnalato come all'interno dell'area del parco, sottoposta ai vincoli di tutela richiamati, siano comparsi il 16 giugno 2016 cartelli della società Anas-Quadrilatero, che segnalano «l'imminente apertura di un nuovo cantiere per la realizzazione di una nuova strada con un nuovo ponte sul fiume, quale via di fuga dalla galleria Serra S. Quirico-Valtreara in costruzione, con probabile sradicamento delle sentierazioni naturalistiche, il tutto in area protetta ed anche abitata, in un ecosistema geomorfologico fluviale fragilissimo» (Il Resto del Carlino, ed. Ancona, 14 giugno 2016);
   il nuovo cantiere dovrebbe svilupparsi lungo la Strada Clementina, fatta costruire da Papa Clemente XII nel 1733 per collegare il porto di Ancona con la Via Flaminia e quindi con Roma, e che collega i comuni di Genga e Serra San Quirico;
   la società, posizionando i cartelli relativi all'inizio dell'opera, avrebbe chiuso l'accesso a percorsi escursionistici e naturalistici che si snodano nell'area del parco;
   la notizia ha suscitato comprensibili e legittimi allarmi, considerato l'alto valore storico e ambientale e paesaggistico della strada, e per la totale assenza di informazioni a riguardo;
   a quanto si apprende dalla nota stampa citata, l'inizio dei lavori non sarebbe stato comunicato al Comune di Genga;
   risulta all'interrogante che anche il comune di Fabriano non sia stato informato dell'imminente apertura del cantiere;
   oltre alla decisione relativa all'inizio dei lavori non si hanno informazioni di alcun tipo in merito alle strade che saranno interessate dal conseguente passaggio dei mezzi pesanti per la realizzazione dell'opera. Circostanza di primaria importanza considerato che alcuni centri abitati come quelli di Falcioni e Pontechiaradovo, attraverso i quali quei mezzi potrebbero passare, sono sottoposti a restrizioni per il traffico dei mezzi pesanti per ragioni di sicurezza e di staticità –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire maggiori informazioni in merito alla situazione illustrata in premessa;
   se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché la società Quadrilatero fornisca, anche alle competenti istituzioni territoriali, tutte le informazioni necessarie in modo che ogni iniziativa si svolga nel pieno rispetto dei princìpi di trasparenza, anche nei confronti dei cittadini. (4-13523)


   D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Verona è nodo ferroviario strategico nella rete nazionale, oltre al fatto che migliaia di turisti utilizzano il treno per recarsi nella quarta città italiana per numero di visitatori;
   nonostante questo, a quanto risulta all'interrogante, pare proprio che presso la stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova il proprietario Rete ferroviaria italiana non faccia compiutamente il proprio dovere;
   sono diversi, infatti i disservizi, con particolare riferimento alle scale mobili che non funzionano da mesi, agli ascensori che spesso non sono funzionanti, alle pensiline sui binari vetuste e non in grado di riparare dagli eventi atmosferici più vigorosi;
   anche con la buona volontà dei lavoratori impiegati in stazione, seppur importante, alcuni limiti e disservizi non possono essere superati;
   nell'area antistante la stazione, la situazione non è migliore, a cominciare dall'insufficiente numero dei parcheggi gratuiti a disposizione degli accompagnatori e dalla pericolosa e non adeguatamente segnalata promiscuità pedoni/mezzi viaggianti;
   vengono segnalate anche criticità esterne alla stazione che, pur di competenza di Rete ferroviaria italiana, possono creare un nocumento all'immagine della città e delle ferrovie italiane, in particolare sporcizia e diffuso degrado;
   l'insieme dei fatti osservati è il peggior biglietto da visita della città di Verona –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative affinché Rete affronti e risolva finalmente le criticità esistenti presso la stazione ferroviaria;
   se siano già previsti investimenti a soluzione dei disservizi segnalati;
   se non intenda assumere iniziative per favorire la definizione, urgentemente, di un protocollo tra Rete ferroviaria italiana e il comune di Verona per stabilire chi fa cosa, ovvero le modalità per evitare che l'antistante piazzale continui ad essere la «terra di nessuno». (4-13524)


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano economico « Il Sole 24 ore», il 18 giugno 2016, le condizioni economiche generali della regione Piemonte, dal punto di vista delle infrastrutture e del settore industriale, in particolare quello manifatturiero, sono considerate, dall'associazione territoriale delle imprese, in uno stato di declino;
   al riguardo, il presidente di Confindustria Cuneo Biraghi richiama l'attenzione su quelli che un tempo erano valutati come primati della regione suindicata, ovvero quelli connessi alle infrastrutture, che rappresentano una parte degli interventi organici di politica economica e del settore delle manifatture e che attualmente sono considerati dimenticati dal Governo in carica;
   il territorio piemontese ed in particolare l'area cuneese, evidenzia l'articolo di stampa citato, rappresentano una variabile importante sotto il profilo infrastrutturale, in considerazione del fatto che la provincia più a sud del territorio, in cui la manifattura occupa oltre 55 mila addetti, (quasi un terzo del totale) con una forte vocazione internazionale, necessita di essere sostenuta attraverso l'insediamento di aeroporti e autostrade, che finiscono per diventare temi chiave per la competitività di un'area che ha resistito alla crisi, investendo su qualità e valore aggiunto dei prodotti;
   l'associazione industriali di Cuneo rileva, inoltre, come, nonostante l'area interessata sia caratterizzata da tassi di disoccupazione fisiologici 5,3 per cento (terza provincia in Italia dopo Bolzano e Vicenza), e abbia affrontato la crisi economica meglio di altri territori del Piemonte e del Nord Italia, necessiti di una reazione, al fine di rimettersi in corsa per recuperare i primati economici e produttivi del passato;
   al riguardo, secondo le elaborazioni dell'Istituto di ricerche economico-sociali del Piemonte, nel periodo 2007-2015, evidenzia ancora « Il Sole 24 ore», la regione ha perso 12,6 punti di prodotto interno lordo come il Mezzogiorno, il doppio rispetto all'area del Nord-ovest un dato comunque più alto della media italiana: –8,4 punti; si tratta di una contrazione del valore aggiunto che ha colpito la manifattura e ancora di più, i servizi;
   a giudizio dell'interrogante, le osservazioni che emergono dall'associazione degli industriali di Cuneo, evidenziano la necessità di incrementare le misure di politica economica e produttiva in favore dell'area territoriale piemontese, in considerazione dell'importanza che la medesima porzione della regione riveste, anche in ambito nazionale, in termini di contributo al prodotto interno lordo in particolare nell'ambito industriale e del manifatturiero;
   porre al centro dell'azione del Governo, interventi volti a potenziare le dotazioni infrastrutturali e le attività d'impresa rappresenta, a giudizio dell'interrogante, un'esigenza indifferibile al fine di porre un freno al rischio di decadenza industriale ed economica dell'intera regione Piemonte –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se condividano le criticità rilevate dal presidente dell'associazione territoriale in precedenza richiamata, nell'ambito dei ritardi esistenti nella regione Piemonte e più specificatamente nell'area cuneese, sotto il profilo infrastrutturale ed industriale, in particolare per il settore manifatturiero, un settore ad alta tradizione locale che, come evidenzia il quotidiano economico suindicato, attraversa un periodo economico e produttivo sfavorevole;
   in caso affermativo, quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di sostenere il settore manifatturiero piemontese, anche nell'ambito delle dotazioni infrastrutturali, indispensabili per consentire la crescita e la competitività non solo della regione interessata, ma, a giudizio dell'interrogante, dell'intero Paese. (4-13542)


   ARLOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 12 giugno 2016 è entrato in vigore l'orario estivo Trenitalia 2016;
   con esso è attivo il nuovo collegamento Frecciarossa Milano-Bari-Lecce, con corse il sabato e la domenica;
   come paventato dall'interrogante in un precedente atto di sindacato ispettivo, gli orari del collegamento risultano lontani dalle reali necessità della clientela, in quanto il prolungamento in Salento è stato ottenuto anticipando di quasi 2 ore la partenza da Milano la mattina (alle 6.00) e posticipando di circa un'ora l'arrivo serale a Milano (alle 23.50);
   sulla riviera romagnola, in particolare, fino alla scorsa estate esisteva un servizio dedicato alla clientela turistica milanese (in partenza da Milano alle 7.50 e ripartenza da Rimini alle 18.38), mentre gli attuali orari del sabato e della domenica (partenze alle 6.00 da Milano senza alcuna possibile adduzione dal trasporto regionale e dal trasporto locale e alle 21.42 da Rimini con arrivo a Milano troppo tardi per trasporto regionale e locale) non consentono un reale utilizzo del treno da parte dei turisti;
   inoltre, con l'attuale orario, il sabato e la domenica vengono a mancare tutte le coincidenze tra Frecciarossa e trasporto regionale nei nodi di Rimini, Ancona, Pescara, Foggia e Bari, togliendo passeggeri alla sostenibilità economica del treno;
   è evidente pertanto la necessità di riprogrammare l'attuale servizio Frecciarossa Milano Adriatica per evitare che l'attuale servizio Milano-Lecce venga soppresso definitivamente a dicembre per scarso utilizzo;
   tra le ipotesi vi potrebbero essere ad esempio: 1) ripristinare il sabato e la domenica il servizio Milano-Bari-Milano 9593-9594 come nei giorni feriali (lun/ven), 2) potenziare la tratta Milano-Rimini-Ancona dal 25 giugno al 10 settembre, con una coppia di Frecciarossa periodico estivo Milano – Ancona che venga in supporto alle necessità turistiche della riviera romagnola e marchigiana il sabato e la domenica ad un orario coerente alle necessità della clientela turistica milanese verso la riviera romagnola; 3) sostituire l'attuale servizio Frecciabianca 9813 (Milano 12.35 – Lecce 21.48) e 9818 (Lecce 8.03 – Milano 17.25) con una coppia di treni Milano – Lecce – Milano, con possibili orari Milano 13.45 – 21.55 Lecce e Lecce 09.05 – 17.15 Milano, da effettuare tutti i giorni (un collegamento in partenza da Milano alle ore 13.45 sarebbe perfetto per la clientela in partenza subito dopo pranzo in una fascia oraria al momento non soddisfatta verso l'adriatica, ricordando che il treno Italo 9995 Milano-Ancona alla stessa ora era il treno con il maggior riempimento dell'offerta adriatica di NTV, mentre il ritorno verso nord con il transito a Rimini alle ore 20 consentirebbe di intercettare anche i turisti ed i visitatori della Fiera); 4) garantire in tutte le fermate del Frecciarossa orari sincronizzati per le coincidenze con il trasporto regionale verso altre direttrici –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, per rispondere alla domanda di mobilità turistica e non, assumere iniziative affinché sia riprogrammato l'attuale servizio Frecciarossa Milano-Adriatica sia potenziata la tratta Milano-Rimini-Ancona almeno dal 25 giugno;
   se il Ministro interrogato non ritenga di sensibilizzare Trenitalia affinché sia effettuata, con gli uffici turistici una campagna di comarketing per far conoscere e incentivare l'utilizzo dei servizi di cui in premessa. (4-13546)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11, il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
   nel rispetto dei principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, nonché dei principi e criteri direttivi specifici delineati dalla sopra richiamata legge delega, è stato emanato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti – acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.28, udito il parere del Consiglio di Stato espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza della Commissione speciale del 21 marzo 2016 ed acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica – il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 91 del 19 aprile 2016 supplemento ordinario n. 10;
   con l'entrata in vigore del citato provvedimento – ed al fine di introdurre immediatamente nell'ordinamento un sistema di regolazione nella materia degli appalti di lavori, forniture e servizi, coerente, semplificato, unitario, trasparente ed armonizzato alla disciplina europea – è stata disposta l'abrogazione del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, del regolamento di attuazione n. 207 del 2010 e di altre disposizioni incompatibili e sono state previste opportune disposizioni di coordinamento, transitorie e finali per assicurare, in ogni caso, l'ordinata transizione tra la previgente disciplina e la nuova, al fine di evitare incertezze interpretative ed applicative;
   l'attuale disciplina – ispirata a rendere più efficiente l'uso dei fondi pubblici nell'ottica di una maggiore semplificazione e flessibilità delle procedure, a garantire parità di accesso a condizioni eque e non discriminatorie per tutte le imprese europee dell'Unione, in particolare alle piccole e medie imprese, a promuovere l'uso strategico degli appalti, per favorire l'innovazione, l'uso più efficace e responsabile delle risorse naturali, la tutela ambientale e la responsabilità sociale nonché a favorire la lotta alla corruzione attraverso procedure più trasparenti ed una maggiore partecipazione – presenta diversi elementi di novità per pubbliche amministrazioni ed operatori economici;
   ciononostante, affinché il suddetto processo di riforma possa considerarsi definitivamente completato occorrerà attendere l'approvazione e la successiva emanazione degli oltre cinquanta provvedimenti attuativi (decreti governativi, ministeriali ed atti dell'Autorità nazionale anticorruzione) previsti dal nuovo codice i quali – così come espressamente stabilito dalla legge 28 gennaio 2016, n. 11 – dovranno essere trasmessi alle competenti Commissioni parlamentari per il parere prima della loro adozione;
   nelle more dell'attuazione – pur non avendo a disposizione in questa prima fase sufficienti elementi tali da consentire la formulazione di precise valutazioni circa la tenuta complessiva e l'effettivo impatto della nuova disciplina nel nostro ordinamento – è di chiara evidenza come l'entrata in vigore delle nuove disposizioni stia provocando l'emergere di numerose difficoltà, sia di carattere applicativo che interpretativo, in particolare per le stazioni appaltanti, spesso impreparate a servirsi dei nuovi strumenti normativi nella predisposizione degli atti e dei documenti per le procedure di affidamento;
   la poca chiarezza in ordine all'alveo di applicazione di determinate norme, le criticità derivanti dalle asimmetrie tra le disposizioni del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 ed altre disposizioni di legge e la, seppur temporanea, incompiutezza e carenza del nuovo impianto normativo relativamente ad alcune specifiche materie – nonostante la tempestiva attività svolta dall'ANAC propedeutica all'emanazione dei cosiddetti strumenti di regolamentazione flessibile – ha generato, così come confermato dalla direzione affari economici e centro studi dell'associazione nazionale costruttori edili, una non trascurabile riduzione del valore e del numero dei bandi di gara pubblicati e, più in generale, pesanti ripercussioni di natura economica sul mercato degli appalti, già da tempo in sofferenza nel nostro Paese;
   in considerazione del fatto che il Governo non provvederà, nel breve periodo, a modificare nel merito le nuove disposizioni presenti nel codice – in quanto attività che si esplicherà soltanto a seguito di una attenta verifica sull'impatto delle nuove norme – si ritiene, perlomeno, necessario durante questa fase di assestamento – ed in attesa che vengano licenziati, ognuno nel rispetto dei termini di scadenza espressamente indicati, i vari provvedimenti attuativi previsti dal Codice – prevedere un puntuale intervento normativo di aggiustamento della nuova disciplina finalizzato a rettificare gli errori ed i richiami non corretti presenti nel testo del nuovo decreto legislativo e, conseguentemente, a ridurre e limitare, ove possibile, gli effetti di distorsione del mercato generati dall'entrata in vigore della nuova normativa di settore, attualmente, parzialmente incompleta –:
   se e in che tempi intenda provvedere ad assumere iniziative per le necessarie correzioni, ove ne sussistano i presupposti anche attraverso l'emanazione di un avviso di rettifica e/o di una errata corrige, in ordine alle disposizioni del nuovo codice dei contratti pubblici e delle concessioni di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. (4-13547)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dai media, il Conapo Sindacato autonomo dei vigili del fuoco ha messo in atto una serie di mobilitazioni su tutto il territorio nazionale per denunciare la disparità di trattamento retributivo e pensionistico esistente tra i vigili del fuoco ed il personale degli altri Corpi dello Stato ad ordinamento civile;
   il sindacato Conapo chiede di pervenire alla parità di trattamento mediante l'inserimento dei vigili del fuoco nel cosiddetto «comparto sicurezza» (con relative norme di perequazione previste dagli articoli 43 e 43-ter della legge n. 121 del 1981) o, in subordine, mediante l'estensione anche ai vigili del fuoco in applicazione dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 (specificità lavorativa) di tali istituti retributivi e pensionistici da tempo riservati alle forze armate e di polizia in virtù del particolare servizio cui questo personale è sottoposto;
   in particolare, gli esponenti del sindacato Conapo chiedono di istituire per i vigili del fuoco (compresi i funzionari direttivi) lo scatto dell'assegno funzionale ai 17,27 e 32 anni di servizio, già dal 1987 in godimento agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6 del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni, alla legge n. 472 del 1987), di perequare tutti gli importi della indennità di rischio agli importi della indennità pensionabile attualmente corrisposta alle analoghe qualifiche degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, di istituire i 6 scatti aggiuntivi utili sull'importo della pensione nella misura già corrisposta, sin dal 1987, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6-bis del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni, dalla legge 472/1987), di istituire per il personale in uniforme dei vigili del fuoco l'aumento di servizio ai fini pensionistici di un anno ogni cinque così come già corrisposto, sin dal 1977, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 3, comma 5 della legge n. 284 del 1977) e di istituire per il personale in uniforme vigili del fuoco direttivo e dirigente gli aumenti retributivi ai 13 e 23 e ai 15 e 25 anni di servizio, come attualmente già corrisposti (sin dal 1981) alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 43, commi 22 e 23 e articolo 43-ter della legge n. 121 del 1981);
   al fine del reperimento delle risorse finanziarie occorrenti, il sindacato chiede di valutare anche la possibilità di utilizzare i risparmi di spesa derivanti dalla attuazione della legge n. 124 del 2015 relativa alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione di quelli già vincolati per il riordino delle carriere delle forze di polizia –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di equiparare il trattamento retributivo e pensionistico dei vigili del fuoco con quello degli altri Corpi dello Stato ad ordinamento civile mediante l'estensione delle norme esplicitate in premessa o l'introduzione di norme di analoga portata;
   se ritengano opportuno affrontare sin da subito tale problematica visto che la sperequazione retributiva e pensionistica denunciata perdura ormai da troppi anni.
(2-01399) «Marti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dagli organi di informazione che negli ultimi giorni si sono registrate numerose segnalazioni in particolare sulla città di Potenza da parte di utenti di telefonia mobile, raggirati da un perverso meccanismo truffaldino, i quali rispondendo semplicemente ad una telefonata, vedono il proprio credito esaurirsi repentinamente;
   in tutti i casi segnalati la telefonata giungerebbe da un numero fisso 02-80886927;
   alla risposta c’è un operatore che spaccia una presunta offerta promozionale per servizi di utenze elettriche o telefoniche;
   i malcapitati utenti ignorano che più tempo rimangono in ascolto e più credito viene sottratto;
   la polizia postale starebbe indagando per reprimere un fenomeno purtroppo diffuso su tutto il territorio nazionale;
   non sono previste modalità di rimborso per tale sottrazione di credito;
   sarebbe opportuna una maggiore informazione e una sensibilizzazione degli utenti anche da parte delle stesse compagnie telefoniche –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di tale questione e quali iniziative di competenza intendano porre in essere per contrastare radicalmente tale fenomeno e per rafforzare l'informazione nei confronti dei cittadini circa i rischi di possibili truffe, come quella riportata in premessa, nonché se intendano valutare, d'intesa con le compagnie telefoniche e le associazioni dei consumatori, la possibilità di assumere iniziative per prevedere un fondo per il risarcimento del credito telefonico sottratto a causa di simili frodi. (5-08927)


   VALIANTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 giugno 2016 il quotidiano « La Città di Salerno» nella versione on-line a firma del giornalista Vincenzo Rubano riferiva la notizia che a Vallo della Lucania, un uomo è stato sorpreso dal presidente della terza sezione presso l'istituto Aldo Moro nell'atto di fotografare la scheda elettorale e denunciato all'autorità giudiziaria;
   il decreto-legge 1o aprile 2008, n. 49, convertito, senza modificazioni, dalla legge 30 maggio 2008, n. 96, all'articolo 1, comma 1, ha fatto divieto di introdurre all'interno delle cabine elettorali «telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini»;
   ai sensi del decreto-legge citato (articolo 1, commi 2 e 3), il presidente dell'ufficio di sezione dovrà invitare l'elettore, all'atto della presentazione da parte di quest'ultimo del documento di identificazione e della tessera elettorale, a depositare le anzidette apparecchiature delle quali sia in possesso; tali apparecchiature saranno prese in consegna dal presidente medesimo per essere restituite all'elettore, unitamente al documento di identificazione e alla tessera elettorale, dopo l'espressione del voto;
   in Italia hanno avuto luogo sperimentazioni sia delle procedure per l'espressione elettronica del voto, sia delle procedure con modalità elettroniche dello scrutinio, che, pur avendo dato dei buoni risultati, non hanno avuto seguito –:
   quali elementi si intendano fornire sui fatti descritti in premessa, con particolare riguardo alle motivazioni del gesto, e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere per garantire la regolarità delle procedure e il rispetto delle norme in occasione delle consultazioni elettorali e referendarie non ritenga di assumere le iniziative normative necessarie per l'introduzione del voto elettronico. (5-08928)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel sud Italia e più precisamente in Sicilia, si registra un aumento del tasso di criminalità. Le statistiche parlano chiaro: le famiglie più a rischio per i furti in abitazione sono al Nord, mentre è nel Nord-ovest che sono più comuni i borseggi. Per le rapine vale l'opposto: esse tendono a verificarsi più spesso al Sud. Calabria, Campania, Sicilia e Puglia sono invece le regioni con il più alto tasso di omicidi;
   un tasso che fa riflettere è anche quello della criminalità minorile, infatti è ormai noto come si evince da molte sentenze definitive, come le cosche mafiose da sempre prediligono l'utilizzo di adolescenti di 15-16 anni per la commissione di omicidi, e, anzi, hanno fatto di questa opzione una precisa strategia militare, contando sull'effetto sorpresa del ragazzino che apparentemente sta bighellonando sulla strada, mentre, in realtà, è armato e sta per portare a compimento una missione di morte; alla base dell'utilizzo dei minori vi è anche una cinica strategia processuale, informata delle meno gravi sanzioni previste dall'ordinamento penale nei confronti dell'imputato minorenne;
   a questo vanno aggiunti i problemi che comporterà il programma del Ministero volto alla revisione degli uffici giudiziari delle corti di appello, secondo cui alcune verranno accorpate come nel caso di quella di Caltanissetta, che è l'unica in Italia ad occuparsi di processi di mafia a carico di minori;
   indubbiamente la criminalità aumenta con il perdurare della crisi, ma ciò non toglie che buona parte di responsabilità sia dovuta ad un mancato controllo del territorio legato a diversi fattori, in primis alla mancanza di mezzi e di risorse umane. A questo si aggiunga che buona parte del personale di polizia ha superato l'età media dei 45 anni ed è demotivato per mancanza di incentivi remunerativi e di carriera e che i Governi che si sono succeduti negli ultimi 10 anni hanno effettuato tagli alla sicurezza per svariati miliardi di euro senza ridurre privilegi e sprechi. Le forze dell'ordine, infine, sono ancora in attesa di un auspicato riordino delle carriere: negli uffici di polizia, per esempio, mancano gli uomini per effettuare regolari turni nell'arco delle 24 ore;
   i presidi di legalità vivono ogni giorno disagi, come ad esempio il commissariato di polizia di Niscemi che in questi giorni è a rischio, sfratto; è necessaria la presenza dello Stato in un territorio nel quale va garantita la sicurezza e la serenità del cittadino e delle imprese che vi operano –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda mettere in atto al fine di affrontare una situazione emergenziale quale quella descritta in premessa. (4-13517)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riporta un comunicato della segreteria provinciale della Confsal Vigili del fuoco di Catania, le condizioni di normale emergenza che il personale del Corpo a Catania cerca di gestire quotidianamente andando incontro a grosse difficoltà, saranno ulteriormente acuite in conseguenza della prossima, imminente, chiusura del distaccamento di Catania sud;
   tale paventata chiusura cagionerà ulteriori gravi disagi alla popolazione già provata dal sottodimensionamento degli organici, dal depotenziamento del nucleo sommozzatori che può garantire l'operatività due giorni su quattro, oltre che dalla cronica vetustà di mezzi e attrezzature;
   il distaccamento di Catania sud, prossimo alla chiusura per carenze igienico sanitarie ed altre gravi criticità, ha garantito fino ad oggi l'immediatezza dei soccorsi nella zona a sud della città, dalla zona industriale fino ai confini della provincia di Siracusa, dalla tangenziale di Catania fino all'autostrada A19 CT/PA;
   numerose sono state le segnalazioni e gli appelli lanciati nel tempo agli organi competenti e agli enti locali, ma a questi sono seguiti solo assordanti silenzi;
   le rappresentanze sindacali dei vigili del fuoco hanno provato a contattare, l'amministrazione comunale di Catania nel tentativo di coinvolgere il sindaco, che in passato ha ricoperto la carica di Ministro dell'interno, nella ricerca di un altro sito che potesse essere utilizzato dal distaccamento di Catania sud, ma il sindaco, a quanto risulta all'interrogante, ha ritenuto opportuno non rispondere ai sindacati;
   la Confsal vigili del fuoco di Catania e l'interrogante hanno stigmatizzato la leggerezza con la quale il primo cittadino ha trattato l'appello a lui rivolto in varie occasioni e la mancata messa in campo di soluzioni alternative;
   i vigili del fuoco, comunque, proseguiranno nella loro eroica professione cercando di non far mancare alla collettività la presenza sul territorio ed il servizio di prevenzione, sicurezza e soccorso che la categoria è deputata a garantite 24 ore al giorno 365 giorno l'anno;
   l'interrogante ritiene che si debba evitare che in provincia di Catania venga abbassata ulteriormente la sicurezza, soprattutto oggi con l'avvio della campagna boschiva che impegnerà ancora di più i vigili del fuoco nell'estinzione degli incendi;
   i vigili del fuoco rappresentano e sono un'importante risorsa per la collettività da aiutare e sostenere proprio in questi momenti di difficoltà ed ognuno dei soggetti pubblici competenti e coinvolti nella vicenda deve assumersi le proprie responsabilità ed agire in coerenza con le peculiarità ad esso attribuite;
   l'interrogante e la Confsal vigili del fuoco di Catania auspicano e chiedono al Ministro interrogato la costituzione immediata di un tavolo tecnico per mettere in campo ogni possibile soluzione o alternativa per superare le criticità denunciate e garantire al meglio le tutele alla popolazione e agli operatori vigili fuoco –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per risolvere la problematica esposta in premessa. (4-13518)


   BERGAMINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la voragine di 200 metri che si è aperta il 25 maggio 2016 a Firenze sul Lungarno Torrigiani ha colpito il cuore del capoluogo toscano, lasciando per ore senza acqua decine di migliaia di famiglie e causando un danno complessivo di circa cinque milioni di euro;
   secondo le ricostruzioni finora effettuate dai tecnici competenti, il crollo si è verificato a causa della rottura di una tubatura dell'acqua;
   nelle ore precedenti al crollo, alcuni abitanti del Lungarno avevano segnalato ai vigili urbani la presenza di acqua in strada, comportando l'intervento di Publiacqua, la società che gestisce la rete idrica fiorentina, la quale dopo aver ravvisato una falla che aveva prodotto una buca profonda quaranta centimetri sulla carreggiata, si è limitata a fasciare la tubatura danneggiata e a chiudere il flusso della stessa;
   la chiusura della tubatura danneggiata potrebbe aver causato una maggiore pressurizzazione di altri due tubi più grandi nelle estreme vicinanze, creando un cosiddetto «vuoto», per di più in una zona che già ospita il «canalone», ovvero una struttura fognaria risalente ai tempi di Firenze capitale, in disuso da decenni e in concessione al comune;
   la tubatura del primo guasto e quella del secondo risalgono al 1950, nonostante il valore medio, riconosciuto anche per legge, della «vita utile» di queste strutture sia fissato in massimo quarant'anni;
   l'Italia è il Paese europeo che spende meno per la manutenzione ordinaria e straordinaria della sua rete idrica;
   nella città di Firenze, per i 1.200 chilometri del suo acquedotto, che vanta anche tubature del primo ottocento, era prevista una sostituzione dei tubi, tra questi anche quelli sotto il Lungarno Torrigiani, per il 2017-2018, evidentemente troppo tardi;
   con queste tempistiche sarebbero necessari circa quattro miliardi di euro e ottantacinque anni di tempo per poter rifare tutto il sistema idrico della sola città di Firenze;
   un tale disastro non può essere altro che il frutto di anni di malagestione della condotta idrica;
   nonostante gli argini costruiti dopo l'alluvione del 1966 abbiano retto, il rigonfiamento esterno che è ad oggi visibile sul muro di cinta fa temere seri da i strutturali;
   Publiacqua, azienda partecipata sia da Acea che dai comuni di Firenze, Prato e Pistoia, nonostante nel 2015 abbia ottenuto 29 milioni di euro di utili, non sembra averne destinato alcuno, visti i risultati, alla manutenzione necessaria;
   è necessario portare a termine tutti i lavori di riparazione e manutenzione prima dell'arrivo dell'autunno e quindi delle piogge, che ingrosseranno il corso dell'Arno –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per contribuire a chiarire le cause di quanto accaduto, in attesa che l'amministrazione comunale ripristini al più presto la condotta idrica e fognaria e predisponga un piano efficace e solerte per la ricostruzione del muro di sponda. (4-13526)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   viene chiamato knockout game ed è un fenomeno allarmante partito dagli Stati Uniti e che nelle ultime settimane ha fatto registrare alcuni episodi inquietanti anche in Italia;
   episodi, infatti sono stati segnalati a Roma, Venezia, Genova, Torino, Brescia e si teme che anche il ragazzo bengalese, Zakir Hoassin, morto a Pisa dopo 24 ore di agonia per l'aggressione a pugni da parte di ignoti, possa essere stato vittima di tale fenomeno;
   il «gioco» che tale non è consiste nella aggressione da parte di gruppi di ragazzi di ignari passanti, senza alcun preavviso, provando a «stenderli» con un solo pugno e in questo considererebbe il divertimento;
   negli Usa si registrano già diverse vittime e il fenomeno è diventato materia per l'FBI ed ora il contagio ha attraversato l'Atlantico raggiungendo Inghilterra e Italia;
   destano molta preoccupazione questi fenomeni emulativi che trovano nella rete un micidiale strumento di diffusione;
   occorre una capillare sensibilizzazione delle fasce giovanili, a partire dalle scuole medie, per evitare il diffondersi di pratiche pericolose come appunto quella del knockout game –:
   se e quali iniziative il Governo intenda promuovere, di fronte al diffondersi di simili episodi, al fine di attivare misure, in sinergia tra forze dell'ordine e scuole, destinate ad informare i ragazzi circa l'assoluta pericolosità di tali pseudo «giochi» e ad arginarne il «contagio».
(4-13528)


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il prefetto di Roma, con proprio atto (prot. 9808 2015/URPG del 14 gennaio 2015), ha disposto il commissariamento, ai sensi dell'articolo 25 del codice civile, della Fondazione accademia nazionale di danza (FAND), istituto privato fondato da Eugenia Borissenko (in arte Jia Ruskaja) ed eretto ad ente morale con il 14 gennaio 1963 n. 925, nominando al tempo stesso commissario straordinario la dottoressa Giovanna Cassese, la quale è già commissario straordinario dell'Accademia nazionale di danza (AND);
   il commissariamento è stato disposto sulla base dei seguenti presupposti, esplicitati nel documento prefettizio:
    a) la Fondazione è tenuta a realizzare, in coordinamento con l'Accademia nazionale della danza (AND), concorsi, manifestazioni, rassegne ed altre iniziative di produzione artistica; istituisce borse di studio, di specializzazione e di avviamento all'attività professionale di giovani danzatori, riservandone una parte agli studenti più meritevoli dell'Accademia nazionale della danza. Viceversa nel corso degli ultimi anni la Fondazione accademia nazionale di danza ha adottato iniziative autonome e non più d'intesa con l'Accademia nazionale della danza, tanto che il prefetto provvedeva, in data 3 aprile 2014, ad inoltrare un richiamo formale all'osservanza degli scopi statutari;
    b) il mancato rispetto degli scopi statutari è stato segnalato più volte anche dal commissario straordinario dell'Accademia nazionale della danza, dottor Bruno Cariofi, con diverse note, da ultimo quella del 6 ottobre 2014. Il commissario Carioti ha evidenziato la recente adozione, da parte della fondazione, di (asserite) azioni contrarie allo statuto operate a danno dell'Accademia, concretizzatesi nella esecuzione di una sentenza di sfratto relativa al villino Munoz, di proprietà della Fondazione, ma utilizzato da sempre per svolgere attività didattiche per gli alunni dell'Accademia stessa;
    c) la sussistenza di un rapporto di servizio della Fondazione accademia nazionale di danza nei confronti dell'Accademia nazionale della danza si vuole provata da una sentenza della Corte dei conti, nella quale si dà atto dell'esistenza di «un imprescindibile rapporto di servizio e della sussistenza tra i fini della fondazione di un nesso di strumentalità con il fine pubblico, perseguito dall'Accademia»;
    d) in data 12 settembre 2014 la presidente della Fondazione, ha chiesto alla prefettura di Siracusa l'iscrizione nel relativo registro, dichiarando di aver provveduto ad effettuare uno spostamento della sede a Solarino (SR). Le dichiarazioni rese in ordine al suddetto spostamento di sede sono risultate totalmente false, come accertato dalla questura di Siracusa;
    e) il suddetto trasferimento, che configura di per sé una modifica statutaria, e intervenuto senza l'inoltro della richiesta di previa approvazione della modifica statutaria, ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 360 del 2000, ma con l'adozione di un semplice verbale del consiglio di amministrazione in data 11 settembre 2014;
    f) lo spostamento della sede legale a Solarino, veniva giustificato con la sottoscrizione di un accordo con la sovraintendenza ai beni culturali di Siracusa, e di una presunta convenzione di concessione demaniale (peraltro mai sottoscritta) con l'autorità portuale di Augusta, per l'utilizzazione del Forte Vittoria, sito nella rada del porto di Augusta, come sede di un «Polo» di formazione della danza, in «presunta» collaborazione con varie scuole di danza, ma non con l'unica prevista dallo statuto e cioè l'Accademia nazionale della danza;
    g) la più volte lamentata gravissima situazione economica, in cui versa la Fondazione, è aggravata dai costi altissimi di gestione del suddetto forte contribuendo ad impedire la persecuzione delle finalità fissate nello statuto;
    h) non sono mai stati prodotti, altresì, a decorrere dall'anno 2011, i bilanci e le relazioni economico-patrimoniali, sottoscritte dagli organi contabili, dalle quali si potesse evincere la puntuale attuazione delle finalità statutarie oltre che la corretta gestione del patrimonio, la destinazione dello stesso, da parte degli amministratori in carica;
    i) il comportamento del consiglio di amministrazione è stato improntato al mancato rispetto degli obblighi e dei fini statutari oltre che a principi gestionali non cauti, in totale dispregio, anche delle prescrizioni imposte alla Fondazione accademia nazionale di danza con la citata nota prefettizia 18 aprile 2011;
    l) in data 19 dicembre 2014 con nota PROT.PR/141219/ng305, la suddetta Fondazione accademia nazionale di danza ha comunicato le dimissioni dell'intero Consiglio d'amministrazione e avviato la procedura per la ricomposizione dello stesso; tale atto e illegittimo in quanto è di straordinaria amministrazione e pertanto non adottabile, avendo il Consiglio d'amministrazione perso la rappresentanza legale dell'ente, in considerazione delle dimissioni presentate;
   su quanto riportato nell'atto di commissariamento in linea generale si osserva:
    a) che l'attribuzione dell'incarico di commissario della Fondazione accademia nazionale di danza alla stessa persona che riveste il ruolo di commissario dell'Accademia nazionale della danza, genera ad avviso dell'interpellante un conflitto d'interesse, essendo anche la stessa persona parte agente e parte chiamata in causa nel vasto contenzioso esistente tra le due istituzioni; a meno che non si voglia prefigurare una chiusura dei procedimenti in corso mediante incorporazione della Fondazione accademia nazionale di danza nell'Accademia nazionale di danza (come traspare dal documento prefettizio); un atto nel quale una istituzione pubblica, incorporerebbe una Fondazione privata, che può essere certamente sciolta (ove ne ricorrano i presupposti di legge), ma non certo «assorbita» ad avviso dell'interpellante in contrasto con le volontà testamentarie espresse dalla fondatrice;
    b) il prefetto di Roma, prossimo al pensionamento, commissaria una Fondazione la cui amministrazione è già sciolta da un mese, per essersi dimesso l'intero consiglio di amministrazione. Qualora ci si intendesse opporre all'atto emanato, tra pochi mesi il prefetto sarà sostituito, mentre il Consiglio d'amministrazione dimissionario non è nella pienezza dei poteri, tale da poter rispondere adeguatamente all'atto di commissariamento;
   quanto ai singoli «capi d'accusa» riportati dall'atto di commissariamento si osserva quanto segue:
    a) in base al vigente statuto (approvato dallo stesso prefetto di Roma Pecoraro, il 17 dicembre 2013), la Fondazione «promuove lo sviluppo delle discipline coreutiche, contribuisce alla diffusione della cultura della danza in ambito nazionale e internazionale, sostiene l'attività formativa, didattica e di produzione artistica, musicale e coreutica». Tale statuto abilita la Fondazione accademia nazionale di danza (ed i suoi organi) ad operare in piena autonomia dall'Accademia nazionale della danza. Dallo statuto vigente, non risulta che la Fondazione debba agire in accordo e secondo i dettami dell'Accademia; prova ne sono anche le convenzioni tra Accademia nazionale della danza e Fondazione accademia nazionale di danza (da ultimo quella del 29 gennaio 2009), approvate dall'AFAM, nelle quali si prevedono contributi dell'Accademia nazionale della danza alla Fondazione accademia nazionale di danza per il sostegno delle attività dell'Accademia nazionale della danza medesima;
    b) lo statuto vigente non contempla alcun rapporto di servizio della Fondazione accademia nazionale di danza con l'Accademia nazionale della danza la sentenza n. 657 del 2 settembre 2014 della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, richiamata dal prefetto Pecoraro afferma secondo l'interpellante esatto contrario; in tale sentenza (pag. 15) si legge testualmente che «Il progressivo distacco del patrimonio dell'ex Opera (oggi Fondazione accademia nazionale di danza) dalle attività delle Accademia di Danza è un fatto che la stessa difesa dei convenuti [id est, degli ex presidente ed ex direttore dell'Accademia nazionale della danza] assume come certo, e che anzi prospetta quale elemento che determinerebbe, ad oggi, l'insussistenza di alcun rapporto di servizio della Fondazione accademia nazionale di danza con la Accademia nazionale della danza, essendo la prima svincolata (nelle proprie finalità, e dunque nella destinazione dei propri proventi ed elargizioni) alle finalità (...) perseguite dall'Accademia»; la medesima sentenza, inoltre, prosegue rilevando che il «nuovo statuto del 2013 [approvato sempre dal prefetto di Roma] addirittura rafforza tale scissione»;
    c) la decisione adottata dal Consiglio d'amministrazione della Fondazione accademia nazionale di danza nell'adunanza dell'11 settembre 2014, fa capo all'impossibilità di utilizzare quale sede uno degli immobili di proprietà della Fondazione in quanto detenuti da terzi per effetto di atti di disposizione posti in essere dalla precedente gestione della Fondazione accademia nazionale di danza composta dagli ex vertici dell'Accademia nazionale della danza; l'appartamento della Ruskaja, che doveva divenire il museo e la biblioteca della Fondazione, risulta all'interpellante essere tutt'ora l'appartamento privato dell'ex-direttore dell'Accademia nazionale della danza, Margherita Parrilla, ora pensionata; il villino di via delle Terme Deciane n. 15/a è interamente occupato dall'Accademia, senza che a quanto consta all'interpellante sia corrisposto un canone di locazione. A ciò deve aggiungersi che la sede romana della Fondazione non risulta individuata (né è altrimenti individuabile) persino nel registro delle persone giuridiche della prefettura di Roma, atteso che in tale registro è indicato soltanto l'indirizzo di via delle Terme Deciane n. 15/a, civico al quale corrispondono più immobili e locali e che costituisce anche accesso all'Accademia nazionale della danza. Peraltro l'asserita irregolarità del trasferimento di sede contestata dal prefetto Pecoraro, secondo il quale sarebbe stato disposto con un semplice verbale, è contraddetta dall'articolo 7 dello statuto Fondazione accademia nazionale di danza (approvato sempre dal prefetto di Roma Pecoraro, il 17 dicembre 2013) che abilita il Consiglio d'amministrazione con propria deliberazione, a disporre i trasferimenti di sede (si veda la lettera m) del comma 1), nonché dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000, che sottopone il trasferimento di sede delle persone giuridiche private ad una mera comunicazione. Non appartiene secondo l'interpellante al prefetto, inoltre, il potere di sindacare nel merito il trasferimento di sede deliberato dal Consiglio d'amministrazione della fondazione nell'esercizio di un potere ad esso attribuito dallo statuto; se poi, come argomenta il prefetto, il trasferimento di sede dovesse dare luogo ad una modifica statuaria soggetta a preventiva autorizzazione prefettizia, quello disposto dal Consiglio d'amministrazione della fondazione sarebbe improduttivo di effetti giuridici e, pertanto, esso non può giustificare il commissariamento disposto dallo stesso prefetto;
    d) il Consiglio d'amministrazione della Fondazione ha disposto il trasferimento di sede per la realizzazione di un ampio progetto di valenza internazionale presso il Forte Vittoria, sito nella rada del Porto di Augusta (SR), che ha comportato un articolato percorso preliminare all'avvio del procedimento amministrativo di concessione; il progetto, che è tuttora in tale fase preliminare, è coerente con gli scopi statutari e la Fondazione non ha assunto alcun onere economico per l'utilizzo del predetto bene demaniale; i «costi altissimi di gestione» propalati nell'atto di commissariamento, pertanto, rappresentano una mera congettura; non sembra corretta l'affermazione prefettizia che vorrebbe mai sottoscritti accordi o convenzioni inerenti al Forte Vittoria, laddove la Fondazione in nessun atto ha mai dichiarato di averne sottoscritti; contrariamente a quanto asserito dal prefetto Pecoraro, inoltre, la documentazione agli atti attesta l'esistenza dell’iter amministrativo finalizzato all'avvio della procedura per la realizzazione da parte della Fondazione di un Centro internazionale di danza presso il Forte Vittoria;
    e) per anni, tra il 1996 e il 2009, come evidenziato da innumerevoli atti di sindacato ispettivo distribuiti su più legislature, uno stesso gruppo di persone si è scambiato le cariche tra Accademia nazionale della danza e Fondazione accademia nazionale di danza, disponendo dei beni di quest'ultimo e utilizzando la Fondazione come una sorta di bad company. La gravissima situazione economica della Fondazione è stata determinata dall'Accademia e dai suoi vertici amministrativi, come emerge dalla relazione del collegio ispettivo della prefettura di Roma del 17 febbraio 2011 e dall'atto di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla procura della Repubblica di Roma in data 28 ottobre 2014 a carico degli ex presidente ed ex direttore dell'Accademia. Il citato atto della procura della Repubblica dà conto della stipula di un finanziamento di euro 400.000 da parte dell'ex presidente dell'Accademia, i cui oneri economici, sono stati posti a carico della Fondazione; tale situazione è stata ripetutamente rappresentata (e documentata) al prefetto di Roma sin dal 2010 dagli amministratori uscenti della Fondazione e, ciò nonostante, il prefetto Pecoraro nessun atto ha adottato per porvi rimedio;
    f) l'esecuzione di una sentenza dell'autorità giudiziaria non può essere considerato un atto contrario allo statuto. Lo sfratto dell'Accademia nazionale della danza dal villino Munoz, non è un «atto ostile», ma l'applicazione della sentenza 25 settembre – 21 ottobre 2014 della Corte d'appello di Roma, con la quale l'Accademia nazionale della danza è stata condannata al rilascio del villino per morosità; semmai è un atto ostile dell'Accademia nazionale della danza, ente pubblico che riceve annualmente una dotazione finanziaria dal bilancio dello Stato non pagare l'affitto ad una Fondazione privata;
    g) né lo statuto, né la legge prevedono il deposito dei bilanci della Fondazione (che non ha scopo di lucro) presso la prefettura, né questi sono mai stati richiesti da essa; i bilanci sono stati depositati presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine di ottenere i finanziamenti destinati alle istituzioni culturali; il richiamo nell'atto di commissariamento della nota prefettizia del 18 aprile 2011 si profila secondo l'interpellante errato e, in quanto in tale nota si dà atto della inefficacia della «revoca» della nomina del presidente della fondazione da parte del Consiglio d'amministrazione dell'Accademia nazionale della danza, disposta per iniziativa dei suoi ex vertici amministrativi ora inquisiti; nessuna prescrizione la nota prefettizia del 18 aprile 2011 contiene riguardo al deposito dei bilanci della fondazione;
    h) non appare all'interpellante condivisibile l'affermazione contenuta nell'atto di commissariamento, secondo cui il comportamento del consiglio di amministrazione sarebbe stato improntato «a principi gestionali non cauti», anche considerato che il prefetto Pecoraro dichiara di non conoscere i bilanci della Fondazione e risultando che la Fondazione accademia nazionale di danza non ha assunto alcun onere economico per l'uso del Forte Vittoria di Augusta (SR);
    i) la sentenza n. 657 del 2014 della Corte dei conti citata dal documento di commissariamento, riconosce la validità del debito di cui il giudice contabile era stato chiamato a giudicare, ma si dichiara incompetente all'azione contro gli ex presidente e direttore dell'Accademia nazionale della danza, in quanto la Fondazione Accademia nazionale di danza è un organismo privato; la sentenza stessa costituisce un pesante atto di accusa nei confronti dell'Accademia nazionale di danza ed elenca le innumerevoli irregolarità compiute a danno della Fondazione accademia nazionale di danza ma non di meno viene utilizzata nell'atto di commissariamento per sostenere l'esistenza di un «imprescindibile rapporto di servizio»;
    l) quanto alla ricognizione sul patrimonio e i beni della Fondazione accademia nazionale di danza, basterà l'elenco dei beni mobili e immobili concessi e a quanto consta all'interpellante, ancora nella disponibilità dall'Accademia nazionale della danza nel corso degli anni grazie alla coincidenza dei rispettivi gruppi dirigenti, beni di cui a più riprese la Fondazione Accademia nazionale della danza ha chiesto la restituzione, nonché dei crediti sempre verso l'Accademia nazionale della danza per i quali sono in corso le procedure di recupero. Quanto ai bilanci dal 2011 in poi essi mostrano un progressivo e significativo miglioramento. Gli atti della gestione rivelano una complessiva opera di risanamento intrapresa dalla governance della Fondazione Accademia nazionale della danza che ha operato sino al dicembre 2014, nonché un rinnovato slancio delle attività istituzionali e uno sviluppo di iniziative di livello elevatissimo di caratura internazionale, anche attraverso stabili rapporti con le maggiori istituzioni mondiali del campo della danza. Quanto allo sviluppo delle attività statutarie, nell'interrogazione 3-01236 del 19 dicembre 2014, cui integralmente ci si richiama, si fa presente l'anomalia di un possibile commissariamento di un'istituzione che in quei giorni aveva ricevuto non solo i complimenti del Ministro dei beni e delle attività culturali, unitamente agli auguri per la prosecuzione della sua meritoria attività (che peraltro ha riguardato, come da statuto, gli studenti più meritevoli dell'Accademia nazionale della danza), ma anche insignita di una medaglia al valore per i rapporti con la società civile dal Presidente della Repubblica; istituzione che ha dato significativo lustro al nostro Paese e altro ne può dare;
    m) secondo l'atto di commissariamento l'adozione della procedura di ricostituzione del consiglio di amministrazione della Fondazione da parte del presidente sarebbe illegittima perché attivata dopo le sue dimissioni; a contra si osserva che l'articolo 4 dello statuto vigente (approvato dallo stesso prefetto di Roma Pecoraro, il 17 dicembre 2013), prevede espressamente che, fino all'insediamento del nuovo consiglio d'amministrazione, restano in carica gli organi scaduti per il compimento degli atti dovuti. L'avvio della procedura di ricostituzione degli organi della Fondazione da parte del Presidente del Consiglio d'amministrazione uscente non integra «un atto di straordinaria amministrazione», ma costituisce puntuale applicazione dell'articolo 4 dello statuto vigente. In base all'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 25 del codice civile, non può essere disposto lo scioglimento dell'amministrazione della fondazione (e la nomina di un commissario) dopo che l'amministrazione è già sciolta (nella specie, per dimissioni dei componenti dei suoi organi) ed è in corso la procedura statutaria di ricostituzione, procedura che esclude qualsiasi possibilità di influenza da parte del precedente gruppo dirigente, essendo i consiglieri nominati da enti esterni quali l'Accademia nazionale della danza stessa, il Ministero dell'istruzione e dei beni culturali e gli enti territoriali competenti;
    n) il commissariamento sembra ad avviso dell'interpellante evidenziare anomalie ed irregolarità –:
   quali provvedimenti intendano adottare, anche di concerto, i Ministri interrogati in merito al commissariamento della fondazione accademia nazionale di danza;
   se non ritengano di valutare la sussistenza dei presupposti per annullare il provvedimento del prefetto di Roma, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per la sua evidente illogicità ed illegittimità, o se non intendano sollecitarne la rimozione in via di autotutela da parte dello stesso prefetto di Roma, consentendo la ricostituzione a norma di statuto degli organi di governo della Fondazione, già in corso all'atto del commissariamento. (4-13529)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il professor Fabio Ditto, residente a Vibo Valentia docente a tempo indeterminato di violino presso l'istituto comprensivo di Briatico (Vibo Valentia), in data 10 febbraio 2012 ha presentato istanza di accesso agli atti ai sensi della legge n. 241 del 1990 presso l'istituto comprensivo statale sito in San Costantino Calabro (Vibo Valentia) per prendere visione dei provvedimenti di aspettativa/congedo formulate dalla professoressa Candida Durante per gli anni scolastici 2009/10, 2010/11 e 2011/12, docente, di ruolo di violino, presso quell'Istituto scolastico;
   secondo quanto raccontato dal Ditto in una segnalazione inviata al Ministero interrogato il 17 gennaio 2013, «tali richieste avanzate dalla professoressa Durante erano finalizzate allo svolgimento di attività di docenza presso altre Istituzioni (di grado superiore) al fine di consentirle di acquisire un titolo di servizio molto importante ed ambito. Ed infatti, in virtù dell'adozione dei predetti provvedimenti di concessione di aspettativa/congedo, la professoressa Durante ha potuto essere destinataria di contratti di lavoro a tempo determinato per l'insegnamento di “violino” presso l'Istituto Musicale Pareggiato “Tchaikovsky” sito in Nocera Terinese (Catanzaro)»;
   va precisato, tuttavia, che, in virtù di quanto disposto dalla legge n. 508 del 1999, tale tipologia di istituti musicali sono pienamente equiparati ai conservatori di musica e, dunque, sono considerati quali istituzioni di alta formazione alla stregua delle università;
   il sistema dell'alta formazione artistica e musicale (Afam) rappresenta un autonomo comparto di contrattazione (denominato, per l'appunto, Afam), differente dal comparto della scuola e dell'università, ed è disciplinato da apposito contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl Afam);
   tale contratto collettivo nazionale di lavoro attualmente vigente del comparto scuola, applicabile al rapporto di lavoro fra la professoressa Durante e l'istituto comprensivo sito in San Costantino Calabro, specifica chiaramente, all'articolo 18, comma 3, che «il dipendente è inoltre collocato in aspettativa per un anno scolastico senza assegni per realizzare una diversa esperienza lavorativa o superare un periodo di prova»; nonché, all'articolo 36 che «il personale docente può accettare, nell'ambito del comparto scuola (e dunque non Afam, nda) rapporti di lavoro a tempo determinato in un diverso ordine o grado d'istruzione, o per altra classe di concorso, purché di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della sede»;
   con tutta evidenza, pertanto, l'amministrazione (nella persona del dirigente scolastico, dottoressa Maria Luisa Ioppolo che, scrive Ditto, «da informazioni assunte per le vie brevi sembrerebbe essere legata da rapporti di amicizia e/o profonda conoscenza con la professoressa Candida Durante») avrebbe, con modalità non conformi alla legge, adottato i predetti provvedimenti di concessione di aspettativa/congedo, reiterandoli per diversi anni scolastici, allorquando, tutt'al più, si sarebbe potuto procedere in tal senso esclusivamente per anno scolastico;
   se così stessero i fatti, sembrerebbe all'interrogante che il dirigente scolastico, dottoressa Maria Luisa Ioppolo, abbia favorito la propria amica/conoscente, professoressa Candida Durante, adottando i descritti provvedimenti affetti da vizi di legittimità; provvedimenti, questi, che hanno consentito alla predetta professoressa Candida Durante di conseguire un ingiusto vantaggio (e, cioè, svolgere per più di un anno attività di insegnamento presso un'Istituzione di ordine e grado superiore e, quindi, di rango universitario);
   al riguardo, desta all'interrogante legittimo sospetto la circostanza che l'istanza di accesso agli atti ritualmente avanzata dal professor Ditto, sia stata, sempre dalla citata dottoresse Ioppolo, respinta con argomentazioni assai inusuali. In buona sostanza, anziché limitarsi ad applicare quanto disposto dalla legge n. 241 del 1990, il dirigente scolastico ha argomentato il proprio rifiuto sostenendo che la documentazione richiesta non sarebbe stata comunque idonea a farmi ottenere alcun vantaggio. Scrive Ditto nella segnalazione summenzionata inviata al Ministero: «Tali motivazioni, che peraltro sembrano essere adottate con la finalità di “coprire” il proprio discutibile operato, sono infondate non solo nel merito (è evidente che se, in ipotesi, la professoressa Durante fosse esclusa dalla graduatoria da cui attinge l'Istituto Musicale Pareggiato di Nocera Terinese ne trarrei comunque, vantaggio dal momento che ella si trovava collocata in posizione poziore rispetto alla mia), ma anche nel metodo (l'Amministrazione non può peritarsi di formulare un giudizio sugli ipotetici effetti che una mia eventuale azione giudiziaria avrebbe potuto sortire)»;
   in virtù del diniego della dirigente scolastica Maria Luisa Ioppolo, è stato necessario presentare ricorso alla commissione per l'accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha accolto il ricorso nell'adunanza del 17 aprile 2012, intimando alla dirigente di «riesaminare la questione sulla base delle considerazioni svolte»;
   dopo aver visionato finalmente gli atti, in data 8 giugno 2012 il professor Ditto inviava comunicazione scritta all'istituto comprensivo di San Costantino Calabro e per conoscenza al dirigente dell'ambito territoriale provinciale di Vibo Valentia, dottoressa Giacomo Cartella, affinché si procedesse, vista la concessione di dubbia legittimità, al ritiro dell'aspettativa, nei confronti della docente Candida Durante;
   in data 22 giugno 2012 è stata disposta la revoca dell'aspettativa alla docente Durante Candida ed il rientro immediato in servizio presso l'istituto comprensivo di San Costantino Calabro, ma secondo quanto denunciato dal Ditto il rientro della Durante sarebbe avvenuto solo ad anno scolastico concluso, ben 18 giorni dopo dal termine fissato dalla revoca dell'aspettativa, cioè alla scadenza del contratto con l'istituto musicale di Nocera Terinese;
   le illegittimità commesse e illustrate sin qui sarebbero diventate un usus a Vibo Valentia. Secondo quanto riportato da  La Gazzetta del Sud, il dirigente dell'ambito territoriale della provincia di Vibo Valentia ed ex provveditore agli studi di Vibo, dottor Giacomo Cartella, è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio;
   secondo l'accusa, l'ex provveditore nel conferimento di un incarico a un'insegnante — ancora Candida Durante — avrebbe scavalcato un collega già in servizio (Gregorio Lagadari, parte offesa nel processo);
   nel summenzionato articolo si legge: «al centro della contesa l'assegnazione di quattro ore di insegnamento della materia “Esecuzione e interpretazione di violino” al Liceo Musicale ‘Vito Capialbi’. L'ex provveditore avrebbe affidato l'incarico alla docente, violando un'ordinanza ministeriale sulle assegnazioni provvisorie del personale docente e Ata per l'anno scolastico 2011/2012»;
   tale summenzionata ordinanza prevedeva il possesso di tutti i diplomi accademici di composizione, direttore di orchestra, coro, organo e strumentazione per banda oppure aver già insegnato strumento musicale (nella fattispecie, violino) in una scuola secondaria di secondo grado;
   di tali requisiti l'insegnante «sponsorizzata» dall'ex provveditore non sarebbe stata in possesso; l'ex provveditore, come se non bastasse, avrebbe valutato positivamente le domande della docente Candida Durante, nonostante fosse stata presentata con un ritardo di quasi tre mesi sul termine di scadenza perentorio (1o agosto 2011) fissato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con un'ordinanza ministeriale;
   già solo per questo la domanda, essendo palesemente tardiva, doveva essere cestinata. Quanto ai contenuti della domanda, denuncia ancora Ditto nella sua segnalazione, la docente giustificava il ritardo (di cui quindi la stessa era pienamente consapevole) con l'incredibile motivazione che «l'ordinanza ministeriale non è stata portata a sua conoscenza, e che quando è stata emessa, lei era in ferie»;
   come se non bastasse vicenda simile è accaduta anche nell'ultimo periodo, per quanto si legge su  Il Quotidiano del Sud del 17 marzo 2016;
   nel suddetto articolo si legge che «da circa un anno la Procura della Repubblica di Vibo ha aperto un fascicolo d'indagine sulla vicenda di una nomina di una docente in servizio al Conservatorio di Vibo Valentia, in posizione di comando, autorizzata dal Vicario dell'Ufficio scolastico regionale. Si mira a capire (anche in questo caso, nda) se vi siano state o meno condotte dolose su un incarico che rende esenti dalle attività di insegnamento in quanto relativo ad attività di ricerca o legato all'autonomia scolastica»;
   la genesi della storia, per quanto precisato nel summenzionato articolo, risale al dicembre 2014 quando l'interessata avrebbe presentato istanza al direttore del conservatorio per l'inoltro della richiesta di comando all'ufficio scolastico regionale. E già da qui emergono le prime stranezze: secondo la legge n. 448 del 1998, articolo 26, comma 10, i conservatori o le università – e non i singoli docenti, come nel fatto di specie – possono chiedere all'ufficio scolastico regionale il distacco di un insegnante, il quale deve essere comunque pagato dalla stessa istituzione (conservatorio o università);
   tale delibera dell'istituzione, secondo quanto si legge nell'articolo, mancherebbe, dato che il conservatorio, anziché valutare l'applicabilità dell'istanza della docente, avrebbe trasmesso tutto all'ufficio scolastico regionale che, per suo conto, avrebbe concesso comando all'interessata il 15 gennaio 2015;
   gli interrogativi su tale vicenda, peraltro, non finirebbero qui, dato che – si legge ancora – «la docente in questione risulta “comandata” quando invece starebbe insegnando a tutti gli effetti presso lo stesso conservatorio vibonese»;
   come se non bastasse, nonostante l'intera vicenda sia arrivata sul tavolo del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale, dottor Giuseppe Mirarchi, la cosa non pare aver sortito effetti sul «comando», dato che lo stesso «sembra essere stato rinnovato per ulteriori 12 mesi, cioè fino all'agosto di quest'anno»;
   anche in questo caso non c’è, tuttavia, da sorprendersi, dato che anche in razione a quanto accaduto – e illustrato sopra – con l'istituto comprensivo di San Costantino Calabro, nonostante nel luglio 2012 la professoressa Assunta De Felice, vicaria dello stesso istituto, avesse inviato all'ufficio procedimenti disciplinari dell'ufficio scolastico regionale per la Calabria tutto il «materiale» riguardante la vicenda della docente Candida Durante, da parte dell'ufficio preposto ai procedimenti disciplinari non risulta scattata alcuna sanzione, né per la dirigente, dottoressa Maria Luisa Ioppolo, né per il dirigente dottor Cartella, né tantomeno per la docente Candida Durante;
   per quanto sin qui illustrato, è evidente che tra ufficio scolastico regionale, ambito territoriale provinciale e conservatorio di Vibo Valentia, siano stati posti in essere atti in contrasto con le norme vigenti reiterati nel tempo, per cui sono in corso anche procedimenti penali, senza tuttavia che gli interessati siano stati sollevati dal proprio incarico o, perlomeno, soggetti a procedimenti disciplinari –:
   se sia a conoscenza di quanto suesposto;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere, anche promuovendo l'invio in Calabria e, più precisamente, a Catanzaro Lido, di ispettori ministeriali. (4-13525)


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   numerosi atti di sindacato ispettivo (interpellanza n. 2-00840, interrogazioni n. 3-01236, 4-06541, 4-10704 e 4-10170), cui integralmente ci si richiama, sono state segnalate le numerose anomalie del commissariamento della Fondazione accademia nazionale di danza (FAND);
   gli atti di sindacato ispettivo sopra citati, tutti regolarmente privi di risposta nonostante alcuni risalgano al 2014, evidenziano anche il rischio che sia in corso un tentativo di chiudere le partite pregresse tra AND e FAND, mediante scioglimento e incorporazione di quest'ultima nella prima;
   ciò costituisce, a giudizio dell'interrogante, oltre che un atto di dubbia legittimità, anche un atto in contrasto con il legato testamentario della fondatrice di entrambe gli organismi, Jia Ruskaja, che non mancherebbe di sortire effetti;
   il commissariamento perdura ormai da oltre 12 mesi determinando l'azzeramento di ogni attività istituzionale della Fondazione; è legittimo il sospetto che il commissario incaricato, Giovanna Cassese, stia lavorando alla cancellazione di fatto della Fondazione; ad avallare la possibilità che questo rischio si concretizzi, giunge la notizia che il sito della FAND risulterebbe in manutenzione –:
   quali attività per il ripristino del buon andamento della FAND abbia posto in essere il commissario incaricato Giovanna Cassese e quali siano le intenzioni del Governo sul futuro dell'attività della Fondazione;
   se si non ritenga opportuno, al fine di evitare gravi ripercussioni sulla funzionalità della FAND, dare mandato al commissario di avviare le procedure per il rinnovo del consiglio di amministrazione della FAND, i cui componenti sono nominati dall'Accademia nazionale di danza, dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dalla regione Lazio, dalla provincia e dal comune di Roma. (4-13530)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO, MANTERO e COLONNESE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2015 è nata ufficialmente la Fondazione italiana per l'autismo, promossa dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dall'Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici), che si propone come punto di riferimento per la ricerca biomedica e psicopedagogica, oltre che per la formazione personale, sanitaria, educativa e sociale dei lavoratori che hanno relazioni con persone con autismo (insegnanti, medici, e altro) e dei genitori;
   la Fondazione, il cui presidente è il sottosegretario Davide Faraone, riunisce in un'unica figura le associazioni e le società scientifiche presenti in Italia, tra le quali la Siped (Società italiana di pedagogia), la Sinpia (Società italiana di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza), la Fand (Federazione associazioni nazionali disabili), l'Anmic (Associazione nazionale mutilati e invalidi civili) e la Fish (Federazione per superamento dell’handicap);
   tra le finalità della Fondazione italiana per, l'autismo vi sono la promozione e sostegno delle attività di ricerca, di cura, abilitazione e sostegno, di ricerca per la didattica speciale e la scuola inclusiva e a favore delle famiglie –:
   a più di un anno dalla nascita della fondazione quali attività e progetti siano stati promossi e realizzati concretamente;
   di quanti fondi sia dotata allo stato attuale la fondazione e se la provenienza degli stessi sia anche solo in parte di natura pubblica. (4-13532)


   SILVIA GIORDANO, LUIGI GALLO, MANTERO, DI VITA, COLONNESE, GRILLO, LOREFICE e BARONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la procura di Nocera Inferiore (Salerno) ha aperto un'indagine su alcune assunzioni sospette che si sarebbero verificate nell'università di Salerno; il primo dei filoni d'indagine sull'ateneo salernitano riguarda la gara d'appalto indetta nel 2014 per la scelta di una società per la somministrazione di lavoro interinale. La gara d'appalto, per un valore di 660 mila euro, è stata vinta dalla società milanese Lavorint spa, con il compito di scegliere quindici addetti-amministrativi con mansioni di bibliotecari, per consentire l'apertura degli uffici nelle ore pomeridiane;
   dall'esame della documentazione acquisita presso l'ateneo dagli uomini della polizia giudiziaria sono state riscontrate alcune anomalie. I sospetti ricadono sui tempi di affidamento della gara d'appalto; infatti, poco prima che i vertici dell'università affidassero alla Lavorint spa l'incarico di ricercare personale, alcuni giovani disoccupati dell'area salernitana e napoletana inviarono i propri dati e la propria esperienza alla società milanese. Oggetto dell'indagine sono anche le parentele degli assunti. Gli inquirenti sospettano che gli assunti avrebbero avuto segnalazioni preventive ad iscriversi presso la società interinale la Lavorint spa di Milano per poter accedere alle selezioni;
   dei 15 assunti dalla Lavorint spa per conto dell'università di Salerno solo alcuni furono delegati alle biblioteche nelle ore pomeridiane, altri furono assegnati ad incarichi presso l'ufficio di presidenza e della direzione generale. Il sospetto è che attraverso la società interinale, e pensando di aggirare un concorso pubblico, i vertici dell'università di Salerno abbiano favorito, o quanto meno segnalato, a conoscenti e amici la possibilità di lavorare;
   la carenza di personale per le biblioteche dell'ateneo ha spinto poi la direzione generale – il 23 dicembre 2015 – ad avviare lo scorrimento di graduatorie di concorsi indetti a partire dal 2006 per l'assunzione a tempo indeterminato di 16 persone, anche in questo caso da adibire a mansioni di bibliotecari;
   dopo l'acquisizione dei documenti amministrativi presso la direzione generale dell'università di Salerno, sono stati iscritti nel registro degli indagati quanti fecero parte della commissione propedeutica per l'aggiudicazione dell'appalto: il rettore Aurelio Tommasetti, il direttore generale Attilio Bianchi e il sindacalista Pasquale Passamano, il pro rettore Antonio Piccolo, Pasquale Talarico funzionario di Unisa e presidente della commissione per la scelta della società, Vincenzo Addesso componente della Commissione, Mirella Pecoraro addetto amministrativo che avrebbe mantenuto i contatti con la società milanese, Monica D'Auria componente della commissione aggiudicatrice. Tutti sono accusati di abuso d'ufficio e falso in concorso. I documenti acquisiti nel corso di numerosi accessi presso gli uffici della direzione generale dell'università sono ora al vaglio degli inquirenti, così come le testimonianze rese dai 15 beneficiari dell'incarico a tempo determinato scelti dalla Lavorint e quella di sindacalisti e persone informate;
   al vaglio della procura della Repubblica di Nocera ci sono anche altre quattro gare d'appalto indette dall'università riguardanti la gestione della mensa, per la pulizia e l'igiene ambientale, il servizio di vigilanza. Quattro settori, affidati attraverso un apposito bando di gara, che risulterebbero oggetto di una serie di esposti giunti in passato e di recente ai carabinieri, sui quali gli inquirenti intendono fare luce –:
   se il Governo sia a conoscenza degli atti esposti in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda intraprendere, anche promuovendo un accertamento da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica e dell'ispettorato per la funzione pubblica ai sensi dell'articolo 60, commi 5 e 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, al fine di verificare il rispetto delle normative vigenti;
   quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda promuovere per garantire la massima trasparenza e correttezza nelle gare d'appalto e nei concorsi indetti dalle università, a partire da quella di Salerno, che ha visto il coinvolgimento nell'inchiesta dei propri organismi di vertice. (4-13553)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori dipendenti che svolgono le funzioni di amministratori locali hanno diritto a permessi mensili, retribuiti e non, per l'espletamento del proprio mandato, ai sensi dell'articolo 79, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   si tratta di lavoratori che sono componenti di uno dei seguenti organi: consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni e dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti;
   ai fini dell'anzianità contributiva, anche secondo un recente parere dell'Inps, i permessi ex articolo 79, in quanto non costituenti «prestazione effettiva di lavoro», parrebbero attualmente non rientrare tra le casistiche per cui è stata esclusa la riduzione percentuale (legge n. 92 del 2012 cosiddetta «Riforma Fornero») –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per rimediare alla situazione segnalata in premessa, situazione che se confermata rischia di produrre – tra le altre cose – una oggettiva penalizzazione per molti amministratori di enti locali. (5-08920)


   MOLTENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi Holcim ed il braccio di ferro tra i vertici aziendali e i rappresentati sindacali ha portato alla proclamazione di otto ore di sciopero, contemporaneamente ad una manifestazione tra le vie del paese con partenza dallo stabilimento di Merone, per lunedì 20 giugno 2016;
   la manifestazione di protesta, hanno spiegato le rappresentanze in una nota, è la conseguenza della rigida posizione tenuta dall'azienda, «che non prevede per i prossimi anni investimenti nel processo e nella ricerca di prodotti nuovi, salvo quelli ordinari, e nessun ammortizzatore sociale per attenuare l'impatto sociale creato dai 73 esuberi»;
   il gruppo Holcim, infatti, aveva annunciato di recente una rilevante riduzione del personale: a decorrere dall'8 agosto 2016, su 317 addetti tra Holcim Italia e Holcim Aggregati e Calcestruzzi srl 73 licenziamenti, 22 dei quali sono lavoratori dello stabilimento di Merone;
   tale ferma volontà di procedere ad una immediata permanente riduzione di personale senza valutare alcuna opzione alternativa suona, ai lavoratori interessati, come il preludio alla chiusura definitiva della Cementeria, nonostante l'azienda, per bocca dell'amministratore delegato di Holcim Italia, ha smentito ogni voce su una eventuale ipotesi di uscita dall'Italia dell'azienda –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, i Ministri interrogati intendano adottare tempestivamente per salvaguardare i livelli occupazionali dei 73 lavoratori coinvolti;
   se i Ministri interrogati non ritengano di avviare un tavolo interministeriale che coinvolga tutte le parti interessate, vertici aziendali, rappresentanze sindacali dei lavoratori, rappresentanze istituzionali locali, al fine di addivenire ad una conclusione positiva della vertenza, a tutela dell'occupazione e del futuro industriale del territorio. (5-08932)


   BARUFFI, GHIZZONI e PATRIARCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni operano a Carpi (Modena) le aziende Coan e Arb2, afferenti alla stessa proprietà e attive nel settore dello stiro, ripasso e imbusto e della collegata logistica; nella difficile congiuntura economica e del settore, le aziende hanno fatto ricorso anche di recente agli ammortizzatori sociali per preservare la produzione e l'occupazione di complessivamente 80/90 addetti, prevalentemente donne; da notizie di stampa e da denuncia delle organizzazioni sindacali si è appreso in questi giorni che nella mattina del 13 giugno 2016 i lavoratori e le lavoratrici hanno trovato chiusi gli stabilimenti; senza che alcuna comunicazione fosse pervenuta loro o alle organizzazioni sindacali;
   sempre senza comunicazione alcuna, nei giorni immediatamente precedenti la proprietà avrebbe trasferito fuori dagli stabilimenti della strada ex statale romana 413, in cui operavano le due aziende, tutti i macchinari e gli strumenti della produzione; le stesse fonti riportano come macchinari e materiali sarebbero stati trasferiti presso un altro stabilimento di Carpi, in via Liguria, dove sarebbe intanto ripresa l'attività all'insaputa dei lavoratori dipendenti delle due società e dei loro rappresentanti; alla luce di queste notizie alcuni lavoratori hanno tempestivamente sporto formale denuncia alla Guardia di finanza; solo successivamente si è appreso, sempre a mezzo stampa e senza alcuna comunicazione preventiva ai lavoratori e ai loro rappresentanti, che nelle stesse ore in cui la situazione veniva segnalata alle autorità la proprietà si era attivata per «portare libri in tribunale»; la situazione è costantemente monitorata dall'amministrazione comunale di Car avendo il sindaco preso immediato contatto con le lavoratrici e lavoratori, anche per fornire un supporto sociale alle famiglie maggiormente in difficoltà –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga di assumere in proposito affinché sia assicurato il pieno rispetto delle regole e siano tempestivamente tutelati i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori operanti presso le due aziende. (5-08934)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante con precedenti atti di sindacato ispettivo ha denunciato le gravi criticità che governano il sistema di gestione dei fondi interprofessionali per il finanziamento dei piani formativi aziendali e ha sollecitato l'urgente adozione di interventi normativi che escludano abusi e prevedano: un adeguato sistema di controllo sull'utilizzo delle risorse finanziarie che provengono dalle società iscritte al fondo; la stipula di contratti ad enti ed imprese per regolare il rapporto con i fondi; un sistema più trasparente, che, tra l'altro, stabilisca la possibilità per tutti gli attori coinvolti, aziende comprese, di accedere ai dati; inoltre, l'interrogante, il 3 ottobre 2014, ha presentato un esposto all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, segnalando le condotte illegittime e distorsive che dominano la disciplina e l'operatività dei fondi interprofessionali. L'Antitrust ha esaminato la predetta denuncia e dopo un'istruttoria, nella sua adunanza del 13 aprile 2016, ha ritenuto di inviare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e all'Inps un parere – pubblicato nel bollettino n. 15 del 9 maggio 2016 ai sensi dell'articolo n. 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, richiedendo in sostanza misure che comportino maggiore trasparenza nel sistema di gestione dei fondi;
   il parere dell'Antitrust contiene una serie di misure per eliminare le criticità riscontrate dal punto di vista delle dinamiche concorrenziali, nel mercato dei servizi formativi finanziati dai fondi. Dalle analisi che il Garante ha effettuato è infatti emerso che non tutti i fondi provvedano ad esternalizzare attività di propria pertinenza attraverso meccanismi ad evidenza pubblica in linea con la normativa in materia di appalti pubblici. Al riguardo, è stato evidenziato nel parere che i fondi sono da considerarsi alla stregua di organismi di diritto pubblico, in conformità alla normativa in materia di appalti pubblici; pertanto, ogni rapporto negoziale che vige a titolo oneroso e in regime di esternalizzazione con soggetti terzi, deve essere regolamentato da un contratto scritto di diritto pubblico stipulato a fronte di un'idonea e regolare procedura selettiva ad evidenza pubblica;
   l'Antitrust ha riscontrato una serie di lacune nelle procedure dei fondi ai fini dell'approvazione dei piani formativi da finanziare, rilevando che tali criticità hanno un impatto negativo sul complessivo funzionamento del sistema e impediscono un utilizzo efficiente delle risorse destinate alla formazione. A parere del Garante, quindi, i fondi devono prestabilire dettagliatamente: tutti i presupposti richiesti per ottenere l'approvazione dei piani formativi; le modalità e le tempistiche entro cui i fondi si impegnano ad approvare i piani formativi; le modalità e le tempistiche entro cui si impegnano a richiedere eventuali integrazioni e/o a esaminare i riscontri alle integrazioni richieste; le modalità per rendicontare l'esecuzione dei piani formativi autorizzati per la liquidazione dei finanziamenti;
   l'Autorità ha rilevato, dunque, l'eccessiva discrezionalità da parte dei fondi in sede di valutazione dei piani proposti che determina disparità e svantaggi competitivi, in mancanza di procedure e tempi certi agli interlocutori negoziali;
   in considerazione delle conclusioni dell'Antitrust, è evidente l'urgente necessità di provvedere ad eliminare le carenze e le procedure distorte del sistema che troppo spesso comportano abusi e pratiche illegittime da parte dei fondi, che pregiudicano spesso aziende ed enti di formazione, e danno luogo ad un utilizzo irregolare, quando non illegittimo, delle risorse destinate alla formazione –:
   se e quali iniziative di competenza abbia adottato e/o debba ancora adottare il Ministero per porre in essere le misure richieste dall'Antitrust, con il parere pubblicato nel bollettino n. 15 del 9 maggio 2016, per rimuovere le segnalate criticità dal sistema di gestione dei fondi interprofessionali per il finanziamento dei piani formativi aziendali. (5-08937)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le ultime violente precipitazioni atmosferiche cadute sulla Puglia hanno inferto un durissimo colpo al settore agricolo;
   ortaggi e verdure sono state flagellate e l'improvviso calo delle temperature rischia di compromettere definitivamente colture importanti come carciofi, fave, patate, insalate che si trovano in uno stato avanzato di crescita;
   inoltre, le ultime perturbazioni atmosferiche hanno creato serissimi problemi alle ciliegie, le qualità «Bigarreau Moreau», «Burlat» e «Francia» hanno subito il cracking, il cosiddetto spacco;
   anche la qualità «Ferrovia» ha subito ingenti danni fino al 30 per cento delle piante anche se maturando più tardi hanno tempo di recuperare;
   nella zona di Conversano, una delle più importanti in Italia per la produzione di ciliegie i danni raggiungono anche il 40 per cento delle piante;
   un colpo mortale per un settore che vive sulla «primizia»;
   le rese più basse si tradurranno in un prezzo più basso con conseguenze negative per tutto il comparto che in Puglia riveste una rilevanza molto incidente per l'agricoltura –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per sostenere il comparto in difficoltà e per incentivare la copertura dei ciliegeti al fine di proteggerli da eventi calamitosi come appunto quelli accaduti negli ultimi giorni cavallo di aprile e maggio 2014. (3-02325)


   GINEFRA, MONGIELLO, MICHELE BORDO, BOCCIA, VENTRICELLI, GRASSI, LOSACCO, CAPONE, MARIANO, PELILLO, VICO e DI GIOIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della seconda decade del mese di maggio 2016 si sono avuti in Puglia ed in maniera particolare sul territorio della provincia di Bari, eventi meteorici particolarmente intensi con presenza di avversità atmosferiche eccezionali;
   gli effetti della pioggia insistente degli ultimi giorni, dei continui sbalzi termici e delle violente raffiche di vento, che la Puglia ha subito nel predetto periodo di tempo hanno avuto impatti nefasti soprattutto sul settore cerasicolo regionale;
   tali problematiche si vanno ad aggiungere ad un inverno particolarmente mite e quindi con il mancato freddo si è avuta anche una scarsa produzione di frutti;
   l'organizzazione professionale agricola della Coldiretti pugliese ha stimato che a causa delle piogge torrenziali e delle ulteriori calamità ambientali si sono avuti danni su circa il 60 per cento della produzione di ciliegia Bigarreaux (varietà più precoce e già quantitativamente scarsa nel 2016 a causa degli sbalzi termici che hanno preceduto la raccolta) e sul 40 per cento della produzione di ciliegie Georgia;
   la stessa Coldiretti ha stimato un danno per il mancato raccolto di ciliegie per circa 90 milioni di euro;
   in provincia di Bari trovano occupazione nel settore cerasicolo migliaia di nuclei familiari, cui la produzione di ciliegie offre una consistente fonte di reddito. Il fabbisogno di lavoro per ettaro di ciliegeto specializzato è pari a circa 600 ore, l'85 per cento delle quali assorbite nelle operazioni di raccolta;
   la crisi che si sta aprendo per il mancato raccolto di ciliegie negherà agli imprenditori agricoli baresi la possibilità di recuperare gli investimenti effettuati per questa coltura e di garantirsi gran parte del reddito agricolo della presente annata agraria;
   è anche da fare presente che la scomparsa dal mercato pugliese delle polizze assicurative multirischio, divenute troppo care, ma che coprono simultaneamente dal danno di pioggia, gelo e grandine, ha indotto la stragrande maggioranza dei frutticoltori pugliesi a non assicurarsi, determinandosi così una perdita certa di reddito senza ristoro;
   resta ad ogni modo il fatto che i premi assicurativi per le piccole e le piccolissime aziende sono eccessivamente onerosi;
   vale la pena ricordare che con oltre 47 mila tonnellate di prodotto cerasicolo la provincia di Bari è la prima provincia italiana per produzione di ciliegie raccogliendo il 34 per cento della produzione nazionale, mentre la produzione di ciliegie in Puglia è pari a quasi il 40 per cento del totale nazionale;
   in Puglia sono investiti a cerasicoltura quasi ventimila ettari di superficie agricola (prima regione italiana), di cui oltre diciassettemila ettari fanno capo alla sola provincia di Bari, che in tal senso copre più dell'85 per cento della superficie investita;
   i danni al comparto cerasicolo barese, grande risorsa economica e occupazionale, incideranno pesantemente sulla economia delle comunità interessate e, in particolare, sui settori della commercializzazione e della trasformazione del prodotto –:
   quali iniziative intenda adottare, in raccordo con la regione Puglia, in favore del comparto cerasicolo barese colpito dalle avversità climatiche di cui in premessa ed, in particolare, se non intenda attivare le procedure per il riconoscimento della calamità naturale per il predetto settore e far superare al comparto l'attuale grave emergenza;
   se non ritenga necessario valutare l'opportunità di adottare iniziative straordinarie con la consequenziale concessione di benefici di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, anche per rendere convenienti e fattibili le polizze assicurative, concedendo specifici contributi sui premi assicurativi atti a coprire i danni da calamità naturali sulle colture cerasicole;
   se, in accordo con la regione Puglia, non intenda definire un percorso comune e unitario di interventi urgenti e strutturali accompagnati da misure a sostegno degli agricoltori cerasicoli danneggiati ed in grado di evitare che si arrechino pregiudizi al proseguimento della coltivazione locale delle ciliegie, coltura fondamentale per l'economia e l'occupazione dei territori interessati della provincia di Bari.
(3-02327)


   GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la stagione venatoria 2015/2016 si è chiusa il 31 gennaio 2016 con un bilancio di 17 morti e 67 feriti per armi da caccia in ambito venatorio;
   proprio di pochi giorni fa l'ennesima tragedia in provincia di Padova, dove un ragazzo di 15 anni ha perso la vita al termine di una battuta di caccia;
   questi episodi riaprono la riflessione sull'esercizio dell'attività venatoria, distanze e accorgimenti obbligatori che non sembrano essere rispettati; inoltre è oramai noto che chi esercita oggi in Italia l'attività venatoria ha spesso un'età compresa tra i 65 e i 75 anni, ma la normativa attuale non prevede alcun obbligo di accertamenti per l'idoneità psicofisica all'utilizzo delle armi che sarebbe invece necessario almeno dopo aver oltrepassato una determinata soglia di età;
   l'articolo 842 del codice civile consente ai cacciatori, e soltanto a loro, di entrare nella proprietà privata altrui. Una peculiarità giuridica pressoché unica in Europa, una sorta di abdicazione del diritto di proprietà privata costituzionalmente protetto. Il comma 1 dell'articolo suddetto recita: «Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno»;
   altro aspetto importante da segnalare è sul fronte del bracconaggio, dove per Cabs (Committee Against Bird Slaughter), il 78 per cento reati venatori sono commessi da persone munite di licenza di caccia o che l'hanno posseduta in passato;
   in Italia fino a 8 milioni di uccelli selvatici protetti cadono ogni anno vittime illegali di trappole e fucili, è quello emerso dalla Lipu nel corso della conferenza internazionale sull'antibracconaggio nell'Europa mediterranea, svoltasi a maggio 2015 a Roma. Dallo studio si evince che le 5 specie più «bracconate» in Italia risultano il fringuello, la pispola, il pettirosso, il frosone e lo storno;
   è preoccupante inoltre il dato sul bracconaggio ai danni di specie fortemente minacciate: sono abbattuti ogni anno 50-150 individui di nibbio reale, che equivalgono al 30 per cento della popolazione nidificante in Italia, tra 1 e 5 individui di capovaccaio (20 per cento della popolazione nidificante), tra 1 e 5 individui di anatra marmorizzata, che corrispondono addirittura al 50 per cento circa della popolazione nidificante;
   in questo scenario preoccupa la scelta di sopprimere il corpo forestale dello Stato come forza di polizia autonoma e la soppressione delle province, che di fatto ha cancellato la polizia provinciale, e che hanno generato una situazione di quasi totale impossibilità di effettuare controlli in campo venatorio, ormai limitati alle guardie volontarie e a poco altro –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei gravi incidenti che ogni anno colpiscono il nostro Paese durante la stagione venatoria, non ritenga opportuno adottare tutte le iniziative volte a prevenire i rischi connessi all'uso di armi da caccia, al fine di garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini;
   se non intenda assumere iniziative per prevedere l'introduzione di accertamenti di idoneità psicofisica, all'utilizzo delle armi nel caso in cui si sia oltrepassata una determinata soglia di età;
   se non si ritenga altresì di prendere in seria considerazione l'opportunità di assumere iniziative per l'abrogazione dell'articolo 842 del codice civile al fine di tutelare al contempo il diritto alla proprietà privata e la sicurezza dei cittadini;
   se, visto l'evidente incremento dei reati contro gli animali, non ritenga opportuno, per quanto di competenza, intervenire in maniera più stringente sul fenomeno del bracconaggio in Italia. (3-02328)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso
   a fronte della crescente richiesta estera di prodotti agroalimentari nazionali, specialmente di quelli certificati Dop e Igp, di cui il nostro Paese è leader mondiale, la realizzazione di azioni finalizzate alla salvaguardia e alla tutela delle denominazioni risulta quanto mai indispensabile al fine di garantire l'autenticità, nell'interesse non solo di produttori ma anche e soprattutto dei consumatori, del made in Italy rispetto a imitazioni e contraffazioni;
   è noto che i consorzi di tutela assicurano lo svolgimento delle suddette attività con una spesa complessiva che supera abbondantemente i 100 milioni di euro l'anno, 20 dei quali destinati al controllo, alla tutela e alla vigilanza con esclusione del comparto del vino, anche al fine di valorizzare l'immagine e la conoscenza dei prodotti di qualità certificata;
   nel contesto degli interventi di contenimento della spesa pubblica, risulta agli interroganti che la dotazione finanziaria che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali intende riservare alle attività di tutela potrebbe essere interessata da consistenti variazioni in diminuzione;
   tale previsione, che se fosse confermata metterebbe, di fatto, a rischio il patrimonio di eccellenze agroalimentari nazionale, desta la preoccupazione dei soggetti impegnati nella valorizzazione e nella tutela all'estero di tali prodotti i quali ad oggi possono contare, seppur in una percentuale che non supera il 10 per cento della spesa sostenuta, in un sostegno finanziario sicuro oltre che sul riconoscimento della loro attività;
   fatta salva la necessità di contenere la spesa pubblica e considerato il valore della specificità legata alle Dop e Igp, specificità che va tutelata perché spesso il mercato non la percepisce, sarebbe più opportuno ridurre le risorse da assegnare alle attività di promozione piuttosto che a quelle di vigilanza e controllo –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto espresso in premessa, come intenda assicurare la realizzazione delle attività di tutela dei prodotti Dop e Igp sui mercati esteri e se non ritenga di dover sostenere i consorzi di tutela nello svolgimento del complesso e costoso sistema dei controlli. (5-08919)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i malati hanno diritto alla migliore terapia farmacologica disponibile e pertanto hanno anche diritto all'accesso ai nuovi farmaci anche sperimentali; la legge 9 agosto 2013, n. 98, cosiddetta «legge dei 100 giorni», per il completamento dell'iter autorizzativo dei farmaci va rispettata da parte dell'AIFA;
   molti nuovi farmaci vengono assunti in combinazione a quelli già esistenti per aumentare l'efficacia complessiva con conseguente miglioramento delle patologie; esistono molte malattie rare per le quali non sono disponibili terapie farmacologiche adeguate ed efficaci ed esistono molte tipologie di tumori considerati rari per incidenza ed epidemiologia clinica;
   le sperimentazioni cliniche in questi settori sono di modesta entità, specie se raffrontate agli studi su patologie più rappresentative e diffuse e la normativa vigente relativa all'uso terapeutico dei medicinali (decreto ministeriale 8 maggio 2003) limita enormemente l'utilizzo di farmaci (anche sperimentali) in combinazione con farmaci già registrati; la stessa normativa non fa nessuna specifica distinzione tra patologie di larga diffusione e condizioni patologiche rare (o ultra rare), in particolar modo nei tumori rari;
   il regolamento europeo n. 736 del 2004 (successivo al decreto ministeriale 8 maggio 2003) stabilisce che gli Stati membri mettano a disposizione per uso compassionevole medicinali per uso umano; l'attuale limitazione della disponibilità di studi di fase II completati (con risultati positivi) rappresenta un elemento critico nell'utilizzo di nuovi farmaci per uso cosiddetto «compassionevole» soprattutto per quanto concerne le malattie rare e i tumori rari;
   l'uso «compassionevole» dei farmaci oncologici rappresenta un salvavita per malati affetti da tumori rari che si interrompe quando un farmaco ottiene l'autorizzazione all'immissione in commercio, anche se questa, di fatto, non si traduce in una effettiva disponibilità del farmaco ai malati;
   nel corso di un'audizione pubblica (Open AIFA), la Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO) ha manifestato l'esigenza di rivedere il testo del decreto ministeriale 8 maggio 2003 e il direttore generale di AIFA in quella occasione, a quanto consta agli interpellanti ha affermato che tale provvedimento era nel Febbraio 2014 in fase di ultimazione e stava per essere trasmesso all'ufficio legislativo del Ministero della salute;
   la mozione n. 1-01063 presentata dalla prima firmataria del presente atto il 12 novembre 2015, nella seduta n. 520 e approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati, impegna il Governo «ad assicurare un più agevole accesso per i malati di tumore raro all'uso compassionevole dei farmaci attraverso l'aggiornamento del decreto ministeriale 8 maggio 2003 («Uso terapeutico di medicinale sottoposto a sperimentazione clinica») –:
   quali siano i risultati prodotti dal gruppo di lavoro «Monitoraggio per l'accesso ai farmaci» insediato presso l'AIFA e i dati, compresa la valutazione specifica, dei farmaci autorizzati al rimborso nei sei mesi successivi alla loro approvazione da parte dell'EMA, per verificarne la reale disponibilità per i malati, precisando quali siano gli ostacoli che non la rendono possibile, nel rispetto delle leggi vigenti;
   se sia stato aggiornato il decreto ministeriale 8 maggio 2003 al fine di assicurare a persone affette da malattie rare e tumori rari il diritto all'accesso precoce all'uso compassionevole dei farmaci, come indicato nella mozione sopra citata ed in linea con la normativa comunitaria indicata in premessa;
   se, nell'ambito dell'aggiornamento dello stesso decreto, sia stato o si intenda considerare e risolvere, ai fini dell'accesso all'uso «compassionevole», il problema delle combinazioni tra farmaci non ancora registrati e farmaci già in commercio.
(2-01400) «Binetti, Bosco».

Interrogazioni a risposta immediata:


   CALABRÒ e BINETTI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 593, della legge n. 190 del 2014 stanziava un fondo per i farmaci innovativi per la cura dell'epatite C pari a 500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016;
   l'articolo 1, comma 570, della legge n. 208 del 2015, al fine di consentire l'accesso ai trattamenti innovativi stabiliva che il Ministero della salute, sentita l'Agenzia italiana del farmaco, doveva predisporre ogni anno un programma strategico diretto a definire le priorità di intervento, le condizioni di accesso ai trattamenti, i parametri di rimborsabilità sulla base di risultati clinici significativi, il numero dei pazienti potenzialmente trattabili e le relative previsioni di spesa, le condizioni d'acquisto, gli schemi di prezzo condizionati al risultato e gli indicatori di performance degli stessi, gli strumenti a garanzia e trasparenza di tutte le procedure, le modalità di monitoraggio e valutazione degli interventi in tutto il territorio nazionale;
   l'Agenzia italiana del farmaco ha annunciato l'arrivo sul mercato di oltre 25 farmaci innovativi che hanno già ottenuto la revisione prioritaria per la cura di patologia altamente diffuse, quali: il cancro al seno, l'ipercolesterolemia e l'insufficienza cardiaca;
   le regioni hanno elaborato una proposta di governance farmaceutica che prevede una relazione tra prezzi e volumi di vendita nonché una maggiore concorrenza dell'intero settore;
   il Ministro interrogato ha recentemente annunciato la necessità di rifinanziare per gli anni a venire il fondo per i farmaci innovativi includendo anche quelli oncologici;
   il direttore dell'Agenzia italiana del farmaco, Luca Pani, ha evidenziato la necessità di nuova governance del farmaco basata sul payment by results, la rimborsabilità dei farmaci dal Servizio sanitario nazionale all'industria solo per quei pazienti che rispondono alla terapia;
   molte regioni hanno riscontrato notevoli difficoltà nell'erogazione dei farmaci innovativi, non avendo ricevuto i fondi ma ottenuto un rimborso attraverso note di credito farmaceutiche;
   è urgente dare risposta ai pazienti oncologici che si sono visti sospesa la somministrazione di terapie innovative non più considerate in regime d'uso compassionevole e, quindi, non più disponibili nelle aziende sanitarie, con grave danno per i pazienti stessi –:
   come si intenda garantire un equo, uniforme e immediato accesso alle terapie innovative, considerando l'urgenza e la necessità di definire i criteri di utilizzo e le fonti di finanziamento. (3-02330)


   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro della salute – Per sapere – premesso che:
   la crisi economica non è finita e il peso dei costi che le famiglie devono sostenere nella sanità per le cure e per la prevenzione diventano sempre più gravose per le famiglie;
   l'8 giugno 2016 è stata presentata una ricerca Censis-Rbm relativa agli anni 2013-2015, dalla quale si evince drammaticamente che è aumentato il numero degli italiani che rinunciano alle cure mediche a causa di difficoltà economiche;
   rispetto al 2012, anno nel quale le persone che risultavano costrette alla rinuncia o al rinvio delle prestazioni sanitarie erano 9 milioni, queste nel 2015 sono diventate 11 milioni;
   in particolare, il problema riguarda 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di millennials, ovvero i nati tra il 1980 e il 2000. Non a caso, secondo il report presentato in occasione del Welfare day, nell'ultimo anno è inoltre aumentata la spesa sanitaria privata nel 2015 pari 34,5 miliardi di euro, ovvero +3,2 per cento negli ultimi due anni;
   secondo gli esperti che hanno curato la ricerca del Censis-Rbm, l'universo della sanità negata tende a dilatarsi, tra nuovi confini e difficoltà nell'accesso al pubblico, e, di fatto, l'obbligo di comprare o compartecipare alla spesa per accedere alle prestazioni sanitarie. In tale contesto meno sanità significa meno salute per chi ha difficoltà economiche o comunque non riesce a pagare di tasca propria le prestazioni nel privato o in intramoenia;
   il Censis rivela che in Italia nel 41,7 per cento delle famiglie almeno una persona in un anno ha dovuto rinunciare ad una prestazione sanitaria, le cause sarebbero le lunghe liste di attesa nella sanità pubblica e i costi proibitivi di quella privata. L'istituto di ricerca ha inoltre aggiunto che sono tre milioni gli italiani non autosufficienti, con una spesa annua per le famiglie di circa dieci miliardi di euro;
   i dati dell'indagine «Bilancio di sostenibilità del welfare italiano» del Censis rivelano che gli italiani pagano di tasca propria oltre 500 euro pro capite all'anno. Una cifra pari al 18 per cento della spesa sanitaria totale contro il 7 per cento della Francia e il 9 per cento dell'Inghilterra. Lo stesso studio afferma inoltre che «il 53,6 per cento degli italiani dichiara che la copertura dello stato sociale si è ridotta e paga di tasca propria molte delle spese che un tempo venivano coperte dal sistema di welfare nazionale»;
   dalla ricerca Censis-Rbm è emerso che, nell'ultimo anno, più di 5 milioni di italiani hanno ricevuto prescrizioni di farmaci, visite o accertamenti diagnostici che si sono rivelati inutili. Tuttavia, oltre il 51,3 per cento si dichiara contrario a sanzionare i medici protagonisti di condotte del genere. Le liste d'attesa rimangono un vero incubo e la conseguenza è che 10 milioni di italiani ricorrono di più al privato e 7 milioni all’intramoenia perché non possono permettersi di aspettare mesi e mesi a volte per accertamenti necessari e improcrastinabili;
   nel commentare i dati della ricerca del Censis-Rbm la Ministra interrogata ha dichiarato: «È chiaro che il sistema sanitario deve fare i conti con la grave crisi economica che le famiglie stanno vivendo e che questa indagine Censis ci conferma la necessità di difendere l'aumento previsto del fondo sanitario per il 2017-18», ma ha anche dichiarato che «deve essere chiaro a tutti che non si possono fare le nozze con i fichi secchi»;
   la questione rilevante è che, di fatto, i Governi che si sono succeduti hanno piegato il diritto alla salute dei cittadini alle compatibilità economiche e di bilancio, in questo modo il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, è stato reso subalterno alle risorse disponibili, oltretutto continuamente ridotte, aprendo un'autostrada al privato come evidenziato dall'aumento considerevole della spesa sanitaria privata, questo proprio a scapito, ad esempio, dello sblocco del turn over nella sanità, dello sviluppo dei servizi territoriali, per le non autosufficienze ed altro;
   è di tutta evidenza che chi ne ha fatto le spese sono gli italiani, che non solo devono far fronte alla crisi economica, ma che, proprio a causa di questo e dell'affermarsi che la salute la curi solo se paghi, sono stati anche costretti a ridurre o addirittura a rinunciare alle cure e alle prestazioni;
   mentre il patto per la salute 2014-2016 fissava per il 2015 un finanziamento pari a poco oltre 112 miliardi di euro e per il 2016 pari a 115,4 miliardi di euro, la legge di stabilità per il 2016 ha fissato il finanziamento a 111 miliardi di euro con un taglio rispetto al patto firmato con le regioni da parte del Governo di oltre 5 miliardi di euro, con pesantissime ricadute sociali rese esplicite dalla ricerca del Censis-Rbm;
   si considera, infine, che il gruppo parlamentare Sinistra italiana-SEL si è sempre battuto in Parlamento per l'affermazione della piena funzionalità del servizio sanitario pubblico universale, nonché per la drastica riduzione dei ticket e delle liste di attesa e, quindi, per una risposta non privatistica, bensì pubblica alla tutela del diritto fondamentale alla salute ex articolo 32 della Costituzione –:
   se il Governo non ritenga necessario abbandonare le politiche di tutela della salute dei cittadini subalterne alle compatibilità di bilancio ed ottemperare agli impegni presi a partire da quelli previsti dal patto per la salute 2014-2016 per dotare il Servizio sanitario nazionale di risorse congrue, al fine di evitare che i cittadini, in particolare quelli maggiormente colpiti dalla crisi economica, siano costretti a rinunciare al diritto costituzionale alle cure e alle prestazioni senza che questo dipenda dalle risorse disponibili, ma garantendo ciò attraverso l'individuazione delle risorse necessarie. (3-02331)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COLONNESE, LOREFICE, GRILLO, NESCI, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il mercato mondiale dei vaccini ha un valore di 20 miliardi di euro ed è dominato da un oligopolio di quattro imprese multinazionali. L'Antitrust ha avviato un'indagine conoscitiva su «I mercati dei vaccini a uso umano», che ha acceso i riflettori sulle forti carenze delle informazioni, sui costi e sui prezzi dei prodotti, delle quali c’è necessità per scelte mediche univoche e trasparenti e per orientare correttamente la domanda;
   l'indagine conoscitiva sui principali mercati dei vaccini somministrati tramite il Sistema sanitario nazionale è stata avviata il 5 maggio 2015 e si è conclusa nel maggio del 2016. Tra le conclusioni addotte dall'Autorità vi è «la percezione di una pluralità di criticità concorrenziali». Oltre a queste, l'Autorità ne ha individuate altre riconducibili alla struttura dell'industria dei vaccini in generale e al settore farmaceutico nel suo complesso, altre proprie della situazione italiana;
   secondo le stime dell'Autorità, il fatturato dell'industria globale dei vaccini potrebbe superare i 35 miliardi di euro entro il 2020. A livello mondiale nel 2014 ha registrato 23 miliardi di euro e il suo fatturato è in crescita forte e costante. In Italia l'industria dei vaccini genera un fatturato di oltre 500 milioni di euro l'anno con saldo export positivo;
   l'indagine dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha accertato l'esistenza di un oligopolio molto concentrato su base mondiale, con quattro imprese multinazionali – GlaxoSmithKline, Sanofi Pasteur, MerckSharpDohme e Pfizer – che detengono oltre l'80 per cento delle vendite complessive dei vaccini;
   tra le criticità individuate dall'Autorità vi è inoltre il fatto che lo sviluppo di prodotti innovativi, che hanno prezzi ben più elevati di quelli tradizionali e sono coperti da esclusive di brevetto particolarmente complesse, ostacola quello di versioni generiche dei vaccini, rendendone più difficile la sostituibilità;
   in relazione alle peculiarità italiane, l'Antitrust ha analizzato le dinamiche di offerta e domanda dei vaccini qualificati come essenziali nel periodo 2010-2015, considerato che i costi per l'acquisto di questi prodotti da parte del Servizio sanitario nazionale sono stati mediamente di 300 milioni di euro all'anno e che, nel biennio 2016-2018, la spesa annua per i vaccini raddoppierà, passando a 600 milioni di euro, un aumento legato al crescente numero di vaccinazioni raccomandate agli italiani, come il Rotavirus per i bambini, l'Herpes Zoster per gli anziani, la varicella, Meningococco B e lo pneumococco;
   secondo i dati pubblicati dall'Antitrust in Italia quasi tutti i vaccini rientrano tra i farmaci di fascia C con prezzo al pubblico liberamente determinato dalle imprese. La normativa vigente vincola poi le offerte di prezzo a sconti obbligati al Servizio sanitario nazionale, ma – sottolinea l'Antitrust – il sistema trasparente;
   le criticità sollevate dall'Antitrust riguardano anche i dati relativi agli appalti pubblici, difficili da reperire. Le stazioni appaltanti, infatti, non sono dotate di strumenti informativi affidabili, aperti e aggiornati e gli accordi sui prezzi praticati sono riservati;
   in generale, è innegabile l'effetto positivo della concorrenza sull'andamento dei prezzi nell'interesse dei consumatori: quando si verifica un confronto commerciale tra prodotti diversi, infatti, i prezzi tendono a scendere in misura sensibile, anche in assenza, nella fattispecie dei vaccini, di versioni cosiddette generiche. Questa semplice regola della domanda e dell'offerta, non deve però, ad avviso degli interroganti, fare in modo che, pur di garantire alle società farmaceutiche un volume maggiore di acquisto di vaccini a carico del Servizio sanitario nazionale per «spuntare» un prezzo migliore, si inseriscano nel piano vaccinale, vaccini non indispensabili;
   in assenza di decisioni ufficiali sull'eventuale equivalenza terapeutica (da cui dipende la sostituibilità commerciale) di vaccini con coperture sierotipiche diverse, si è così assistito al perdurante monopolio di un prodotto, che, pur a fronte di volumi di vendita crescenti o garantiti nei confronti del Servizio sanitario nazionale, ha aumentato negli armi i propri prezzi. Negli ultimi cinque anni ad esempio, quelli del Prevenar 13 (13-valente di Pfizer), vaccino anti-pneumococcico coniugato (prima voce di spesa vaccinale pubblica con 84 milioni di euro), scelto dalla quasi totalità delle stazioni appaltanti, sono cresciuti del sei per cento, fino a 45 euro per dose;
   in Italia la domanda di vaccini del Servizio sanitario nazionale è determinata dai piani nazionali di prevenzione vaccinale (Pnpv), con l'inclusione dei vaccini obbligatori/raccomandati nei Livelli essenziali di assistenza (LEA);
   nella risoluzione in Commissione a prima firma Colonnese n. 8-166, approvata in data 21 gennaio 2016, si impegna il Governo: «ad avviare tutte le iniziative di competenza necessarie a determinare una prassi uniforme su tutto il territorio nazionale che fornisca una dettagliata informazione ai cittadini per una scelta consapevole e condivisa e, in tale ambito, oltre a segnalare i benefici dei vaccini, a promuovere anche: a) la lettura integrale del foglio illustrativo, presente in ogni confezione, ovvero la guida all'uso del farmaco che contiene tutte le informazioni relative a composizione, alle modalità di somministrazione e di conservazione, ai rischi che potrebbero verificarsi, facendo sì che durante un precolloquio con il medico di base possibile approfondire eventuali perplessità recate dalle controindicazioni o dagli effetti collaterali; b) l'inserimento di esami pre-vaccinali – ad esempio esami ematochimici nei soggetti a rischio e in particolare nei bambini piccoli che dovrebbero ricevere i vaccini pediatrici in modo da capire se essi siano nella condizione di sopportare lo stress immunitario derivante dalle vaccinazioni, senza gravi rischi per la salute;
   ad assumere iniziative per prevedere cime, prima di effettuare ciascuna vaccinazione, il pediatra raccolga una dettagliata anamnesi dei genitori, dei parenti prossimi e del bambino stesso, considerando tutti i fattori che influenzano la salute di quest'ultimo nella sua globalità, perché su di lui si ripercuotono le condizioni socio-ambientali del territorio in cui vive e quelle lavorative, economiche, nutrizionali, tossicologiche e psico-comportamentali dei componenti della sua famiglia;
   ad assumere iniziative per prevedere che, prima della vaccinazione, il pediatra escluda prudenzialmente eventuali controindicazioni alle vaccinazioni e, a tale scopo, nel caso lo ritenga opportuno, eventualmente sottoponga il bambino a d accertamenti laboratoristico-strumentali volti a valutare le sue condizioni immunitarie e nutrizionali, ricercando in particolare presenza dei marker di flogosi;
   ad assumere iniziative per prevenire che, al momento della vaccinazione, il bambino sia sempre in perfetta salute, sia fisica che psichica;
   ad assumere iniziative per prevedere che i genitori abbiano il dovere e il diritto di essere informati sull'esistenza della legge n. 210 del 1992, inerente alle modalità per ottenere l'indennizzo per i danni vaccinali, una legge che, ad avviso dei firmatari del presente atto, deve essere reperibile, esposta e ben consultabile presso la sede dei servizi di igiene e di immunoprofilassi» –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   come intendano attivarsi, ciascuno per le proprie competenze, affinché i vaccini ricompresi nei livelli essenziali di assistenza del piano nazionale prevenzione vaccinali vengano assoggettati a meccanismi di contrattazione dei prezzi di fornitura aventi una base efficiente e trasparente valida per l'intero territorio nazionale, in discontinuità con gli attuali opachi criteri di scontistica applicati sui prezzi al pubblico stabiliti liberamente dalle imprese;
   se non ritengano opportuno promuovere controlli mirati, affinché le decisioni di inclusione/mantenimento di un prodotto vaccinale in un programma pubblico di prevenzione e/o la sua qualifica in termini di essenzialità avvengano sempre con le massime garanzie di scientificità, trasparenza e indipendenza;
   se non intendano informare sull'evoluzione della profilassi avvenuta nei confronti dei soggetti a cui l'offerta vaccinale viene destinato, al fine di determinare una miglior consapevolezza da parte dei consumatori finali dei prodotti vaccinali, che potrebbe avvenire, ad esempio, attraverso appositi piani di comunicazione come indicato nella risoluzione in Commissione n. 7-00864 di cui in premessa;
   se non ritengano necessaria una maggiore trasparenza informativa, e come intendano ottenerla, a partire dalla più agevole disponibilità dei dati di aggiudicazione delle gare di appalto;
   quali iniziative intendano mettere in atto, secondo le proprie competenze, affinché le amministrazioni e gli enti preposti predispongano strumenti Informativi affidabili, omogenei, aperti e costantemente aggiornati, in maniera da consentire alla domanda pubblica di definire con appropriatezza la propria posizione contrattuale nell'acquisto di prodotti farmaceutici e/o vaccini e all'offerta di poter operare in presenza delle dovute garanzie di trasparenza amministrativa, e di programmare al meglio le proprie attività operative. (5-08924)


   VALIANTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Campania – con deliberazione di giunta regionale n. 600 del 1o dicembre 2014 ha individuato i comuni lontani dai servizi essenziali (scuola, sanità, mobilità), aggregandoli in 4 aree cosiddette interne della regione, tra cui quella denominata Cilento interno, che ricomprende 29 comuni, tra cui il comune di Roccadaspide;
   con decreto del commissario ad acta n. 33/16 del 17 maggio 2016, ai sensi del decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2016 è stato approvato il nuovo piano ospedaliero della regione Campania;
   il nuovo piano regionale di programmazione della rete ospedaliera di cui sopra risulta fortemente penalizzante, contraddittorio e foriero di disparità tra i comuni della regione;
   il nuovo piano ospedaliero nega al presidio ospedaliero di Roccadaspide la classificazione di ospedale di base sede di pronto soccorso, pur rispettando lo stesso tutti gli standard previsti dalla legge e godendo dei requisiti necessari per la relativa classificazione e riduce i posti letto dall'attuale numero di 70 a soli 20 comprensivi del pronto soccorso;
   il presidio ospedaliero di Roccadaspide dispone attualmente di 70 posti letto, e dei seguenti reparti: pronto soccorso, anestesia e rianimazione, medicina generale, lungodegenza, chirurgia generale e d'urgenza, ortopedia e traumatologia, cardiologia-Utic, oltre ai servizi di endoscopia chirurgica (colonscopia – rettoscopia e gastroscopia), patologia clinica, radiodiagnostica, tac, unità raccolta sangue, farmacia e postazione 118;
   il presidio ospedaliero di Roccadaspide insiste nella realtà territoriale comprendente (la Valle del Calore, degli Alburni, del Cilento e dell'Alento) in un territorio interamente montano con caratteristiche geomorfologiche difficilissime ed estremamente disagiate, una rete viaria del tutto fatiscente ed una popolazione prevalentemente anziana;
   l'ospedale garantisce assistenza ed adeguata risposta sanitaria ad una popolazione di oltre 22 comuni su oltre 770 chilometri quadrati;
   il presidio ospedaliero di Roccadaspide non ha alcuna incidenza sulla formazione del disavanzo, in quanto serve un territorio completamente privo di strutture sanitarie pubbliche e private;
   la rete viaria locale risulta assolutamente deficitaria comportando l'impossibilità per i cittadini di rapidi collegamenti con altri presidi ospedalieri (il più vicino dista circa 52 chilometri);
   la Conferenza Stato-regioni del 16 dicembre 2010 ha disposto la razionalizzazione e la chiusura dei punti nascita con meno di 1.000 nascite entro il 31 dicembre 2013;
   a tutt'oggi esistono presidi ospedalieri che vengono mantenuti come sede di punti nascita sebbene non aventi i requisiti di legge per essere mantenuti, in quanto collocati in zone con caratteristiche geomorfologiche tali da non garantire rapidi accessi ad altri punti nascita;
   in un contesto come quello dianzi descritto la necessità di inserire il presidio ospedaliero di Roccadaspide nella tipologia dei presidi ospedalieri di base sede di pronto soccorso è indispensabile anche in virtù della delega prevista dal decreto ministeriale n. 70 del 2016 in relazione alle zone montane e alle isole –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti al fine di garantire adeguati livelli di assistenza sanitaria, tutelando così il diritto alla salute come sancito dall'articolo 32 della Costituzione. (5-08926)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   L'Arpam, Agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche – dipartimento di Ancona – servizio di epidemiologia ambientale – ha pubblicato uno studio del maggio 2016 intitolato «aborto spontaneo ed inquinamento atmosferico: i dati nella Regione Marche»;
   lo scopo dello studio epidemiologico, pubblicato sul sito dell'Arpam, è quello di «descrivere la distribuzione e l'andamento temporale dell'evento sanitario “aborto spontaneo” nei comuni della Regione Marche e, più in particolare, di effettuare valutazioni analitiche sul rapporto della sua incidenza con la qualità stimata dell'aria outdoor attraverso la concentrazione del particolato sottile (PM2, 5)»;
    è noto infatti che, se la madre è esposta ad inquinanti ambientali, il prodotto del concepimento, sia nella fase embrionale che in quella fetale, può subire dei danni in ragione della sua particolare vulnerabilità;
   recentemente si assiste ad un crescente interesse della ricerca per lo studio dei possibili effetti nocivi sulla salute riproduttiva da parte dei cosiddetti contaminanti diffusi in aria. Nella letteratura scientifica non mancano studi in cui è stata identificata un'associazione significativa tra l'aborto spontaneo ed i contaminanti atmosferici; tra questi «una recente indagine ha valutato l'associazione tra l'abortività spontanea e l'inquinamento atmosferico rilevando una correlazione positiva tra le concentrazioni in aria di PM10 e Ozono (non di biossido di azoto (NO2) ai valori misurati) e l'occorrenza degli aborti spontanei, anche a livelli di concentrazione al di sotto dei limiti indicati dalle norme sulla qualità dell'aria» (cfr. studio Arpam 2016);
    è in questo filone di ricerca che si colloca lo studio dell'Arpam 2016 che, appunto, si propone di descrivere la distribuzione spaziale e temporale dell'evento «aborto spontaneo» nei comuni della regione Marche nel periodo preso in considerazione. Lo scopo del predetto studio è, quindi, «quello di individuare l'influenza di alcuni fattori di rischio sull'occorrenza dell'evento sanitario e, più nello specifico, di effettuare valutazioni analitiche sull'incidenza della qualità dell'aria ed, in particolare, dell'impatto del particolato sottile (PM2,5)»;
    esso si articola in una prima fase descrittiva del fenomeno dei ricoveri ospedalieri per abortività spontanea a livello comunale ed in una seconda fase, di tipo analitico, che tenta di indagare gli eventuali fattori di rischio associati (studio Arpam 2016). I dati dell'indagine epidemiologica de quo sono stati ricavati dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) fornite dall'Agenzia regionale sanitaria della regione Marche per il periodo che va dal 2006 al 2012; sono stati analizzati i ricoveri, ordinari e day hospital, delle donne in età fertile (15-49 anni) residenti nelle Marche, selezionate sulla base della diagnosi principale e delle diagnosi secondarie della SDO, codificata secondo la IX revisione della classificazione internazionale delle malattie (cfr studio Arpam 2016);
    il campione oggetto di analisi riguarda i ricoveri ospedalieri per aborto spontaneo delle donne fertili (15-49 anni) residenti nei 236 comuni delle Marche nel periodo 2006-2012; gli aborti spontanei per l'intero periodo considerato in tutta la regione sono risultati 15.319, con un rapporto di abortività percentuale pari a 12,2;
   conclusivamente dall'indagine emergono «alcune anomalie del fenomeno abortivo che si manifestano in determinate aree geografiche della Regione, portando altresì all'individuazione di associazioni causali tra l'abortività spontanea e i fattori di rischio indagati, tra i quali trova un ruolo determinante soprattutto il particolato atmosferico. I risultati dell'analisi multivariata mostrano un'associazione statisticamente significativa con la classe di età 35-49 anni, la cittadinanza, i precedenti aborti e l'esposizione al particolato sottile. In particolare un'esposizione a PM2,5 compresa tra 10 e 14 μg/m3 incrementa il rischio di aborto spontaneo del 9 per cento rispetto a esposizioni inferiori a 10 μg/m3, mentre un'esposizione a PM2,5 superiore a 14 μg/m3 lo incrementa del 13 per cento»; nello studio sono quindi elencati i comuni della regione Marche per i quali emerge una situazione di criticità rispetto al riferimento regionale e che, pertanto, necessitano di particolare attenzione;
   Jesi è il comune dove è stata registrata la significatività statistica di quasi tutti gli indicatori epidemiologici utilizzati. Lo studio evidenzia criticità importanti anche con riguardo ad altri comuni delle Marche quali, in particolare, Castel di Lama, Falconara Marittima, Osimo, Macerata e Spinetoli — «che hanno fatto rilevare eccessi significativi di abortività spontanea e l'appartenenza del comune ad aggregati spaziali dell'evento in questione (cluster)»;
    anche il comune di Monteprandone è tra i comuni elencati, «tuttavia esso si differenzia per il fatto di non far rilevare una significatività statistica dell'eccesso del rapporto di abortività standardizzato (SIR), mostrando, di contro, un trend dell'esito sanitario in ascesa e, quindi, opposto rispetto al trend regionale –:
   il Ministro interrogato non ritenga necessario, per quanto di competenza:
    a) adottare iniziative con riferimento alle criticità riscontrate nei comuni delle Marche indicati in premessa ed eventualmente quali;
    b) avviare indagini ulteriori con riguardo a quelle realtà territoriali segnalate nello studio Arpam per le quali l'evento sanitario considerato (aborto spontaneo) è risultato, sulla base di un approccio descrittivo, più frequente della media regionale o in incremento, in modo da approfondire l'eziologia del fenomeno riscontrato. (4-13521)


   SBERNA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal Rapporto 2016 sul coordinamento, della finanza pubblica della Corte dei conti emerge un notevole definanziamento del sistema sanitario in controtendenza rispetto ai principali Paesi europei;
   in Italia, infatti, tra il 2009 e il 2013 si è assistito a una riduzione dei trasferimenti alla sanità pari all'1,6 per cento all'anno, mentre in Germania e Francia l'investimento in sanità è aumentato, rispettivamente, del 2 per cento e dell'1 per cento;
   stessa tendenza si è registrata nella comparazione tra spesa sanitaria e prodotto interno lordo: 7,1 per cento in Italia contro 8.7 per cento e 9 per cento rispettivamente in Germania e Francia;
   inoltre, secondo i dati riportati dal rapporto Osservasalute per la prima volta in Italia si registra un'inversione di tendenza rispetto alla speranza di vita, che scende da 80,3 anni per gli uomini e 85 per le donne del 2014 rispettivamente ad 80,1 e ad 84,7 del 2015;
   il citato rapporto Osservasalute, inoltre, evidenzia l'aumento del divario tra Nord e Sud nella speranza di vita. Di fatto, se si nasce al sud si hanno meno possibilità di vivere più a lungo;
   si tratta di dati che fanno emergere un Paese che accentua le disuguaglianze anche sul piano della garanzia delle cure, con territori periferici che non riescono a garantire un sistema sanitario sufficientemente efficace;
   ne è conferma il fatto che la spesa sanitaria sostenuta di tasca propria dai cittadini italiani è arrivata a 34,5 miliardi di euro, con un incremento del 3,2 per cento nel 2013-2015. Praticamente 84 euro a testa in più;
   stando all'indagine effettuata dall'Osservatorio civico sul federalismo in sanità di Cittadinanzattiva, la spesa sostenuta privatamente dai cittadini per prestazioni sanitarie in Italia è causata in particolare dalle difficoltà di accesso alle cure e dalle lunghe liste di attesa, al di sopra della media Ocse (3,2 per cento a fronte di una media di 2,8 per cento);
   sempre secondo tale indagine, a causa delle difficoltà economiche ben un cittadino su dieci rinuncia a curarsi;
   è, certamente, vero che si ricorre alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti anche di sera e nei weekend. Ma a pesare è soprattutto lo scadimento della qualità del servizio sanitario pubblico;
   paradossale rovescio della medaglia, rispetto alle tante storie di sanità negata, è, l'aumentare delle cure solo per chi può pagarsele;
   la crisi economica è sicuramente la situazione che ha determinato le maggiori difficoltà. Sono noti infatti i dati relativi al forte aumento nel numero di famiglie e di persone in condizione di povertà assoluta;
   secondo molti dati, infatti, le famiglie assolutamente povere in Italia sono quasi raddoppiate nei sette anni di ciclo recessivo, con un'incidenza sul totale passata dal 3,5 per cento pre-crisi al 5,7 per cento del 2014. Gli individui poveri assoluti hanno superato nel 2014 i 4 milioni, con un incremento di quasi il 130 per cento rispetto al 2007, arrivando a sfiorare quasi il 7 per cento della popolazione;
   aumenta così il rischio di vulnerabilità, sociale che è solitamente collegato allo svantaggio economico dovuto di norma al basso reddito e alla marginalità o all'esclusione sociale; ciò rischia di pregiudicare gravemente il diritto alla salute dei cittadini ed in particolare delle persone già gravate da difficoltà economiche, anziani e rientranti nelle cosiddette fasce deboli della nostra società;
   stando ai dati diffusi dalla ricerca Censis-Rbm Assicurazione Salute, sono 11 milioni le persone che quest'anno non hanno potuto sostenere la spesa necessaria per la loro salute. Il fenomeno riguarda, in particolare, 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di millenials come vengono definiti i giovani nati tra gli anni ‘80 e il 2000;
   si tratta una situazione non accettabile, come testimonia anche l'articolo pubblicato sul Corriere della sera l'8 giugno 2016, dove si dice confermata dal Ministro della salute Lorenzin la necessità di difendere l'aumento previsto del fondo sanitario per il 2017-18;
   è necessario ridare speranza ai cittadini che già risultano nutrire un'ampia sfiducia nei confronti delle istituzioni, come dimostra il fatto che la stessa finalità della cosiddetta «operazione appropriatezza», ossia eliminare le prescrizioni inutili, è invece stata interpretata come uno strumento per accelerare i tagli alla sanità e trasferire sui cittadini il costo delle prestazioni;
   a parere dell'interrogante ciò che più urge è evitare che le persone più povere rinuncino a curarsi o tardino a farlo per i costi, le lunghe liste di attesa e le deficienze del sistema sanitario pubblico –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere perché sia garantito il diritto alla salute di tutti i cittadini come prevede l'articolo 32 della Costituzione e per evitare che chi non ha mezzi economici trascuri la sua salute e riceva le cure in ritardo. (4-13535)


   NICCHI e PALAZZOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche (« Il Fatto Quotidiano» del 18 giugno 2016) che dall'11 maggio 2016 all'ospedale Sant'Antonio Abate di Trapani (unica struttura pubblica della città) le donne non possono più ricorrere a aborti chirurgici e ad aborti dopo i 90 giorni perché l'unico medico non obiettore dei sette dottori del reparto di ginecologia è andato in pensione. Restano così altri sei colleghi, che però sono tutti obiettori;
   si tratta di una situazione che preoccupa molto le rappresentanti sindacali di Cgil e Uil, al punto di avere chiesto un incontro urgente al direttore generale per aprire un confronto «sul problema dell'interruzione volontaria di gravidanza e sul potenziamento dei consultori»;
   c’è il rischio che col venir meno della possibilità di rivolgersi all'ospedale pubblico aumentino gli aborti clandestini: in media, affermano i sindacati, a Trapani si registrano circa 600 richieste di interruzione volontaria di gravidanza ogni anno e, «considerato che da oltre un mese il servizio non viene più garantito, si chiedono “quale risposte sono state date alle donne che si sono rivolte al servizio pubblico per effettuare l'interruzione volontaria della gravidanza”»;
   l'unica soluzione che sarebbe stata ventilata dal direttore sanitario dell'ospedale di quella di ricorrere a una convenzione esterna con privati, o di rivolgersi ad altre strutture pubbliche: quella più vicina è l'ospedale di Castelvetrano, che dista da Trapani ben 80 chilometri;
   l'azienda sanitaria è tenuta a garantire alle donne che ne fanno richiesta il diritto all'interruzione volontaria della gravidanza stabilito dalla legge n. 194. Ciò che sta venendo meno a Trapani è il principio di autodeterminazione delle donne a cui deve essere garantito il diritto libero e gratuito affinché possano scegliere autonomamente di diventare madri senza discriminazioni e a seconda delle condizioni personali di ognuna –:
   se non reputi indispensabile adoperarsi affinché fin da subito ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) applichi la legge, e fare in modo che solo a fronte del rispetto di questo impegno possa essere concesso l'accreditamento;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, si intendano avviare, al fine di assicurare, come prevede la legge n. 194 del 1978, il reale ed efficiente espletamento da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologia;
   quali iniziative immediate intenda mettere in atto al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 nel rispetto del principio di libertà delle donne in materia di maternità responsabile e del riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, agevolando nell'ambito delle proprie competenze, anche l'assunzione di personale non obiettore al fine di garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza. (4-13536)


   MINARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi due mesi, presso l'ospedale Maggiore di Modica (Ragusa) si sono verificati tre decessi sospetti che inevitabilmente secondo l'interrogante richiedono un intervento del Ministero della salute, al fine di accertarne le cause e le responsabilità;
   nello specifico, ci si riferisce al caso di una donna di 50 anni deceduta poco prima del suo arrivo presso il nosocomio oggetto dell'interrogazione, da cui era già stata dimessa una prima volta dal pronto soccorso con una diagnosi di colica renale;
   una volta uscita dall'ospedale, la donna ha continuato a soffrire di dolori all'altezza dei reni, richiedendo così necessario l'intervento dell'ambulanza a bordo della quale la donna è morta prima di giungere nuovamente in ospedale;
   i familiari della donna hanno sporto denuncia presso i carabinieri al fine di accertare le responsabilità della morte della loro congiunta;
   due mesi orsono, sempre presso il pronto soccorso dell'ospedale Maggiore di Modica, un uomo di 67 anni è deceduto dopo che per più volte vi si era recato e da dove era sempre stato dimesso;
   in occasione del suo ultimo ricovero, i medici decisero di intervenire chirurgicamente, ma tale operazione non ebbe luogo a causa della sopravvenuta morte del paziente;
   un ulteriore caso di morte sospetta ha riguardato un uomo di 65 anni affetto da disturbi cardiaci a causa dei quali era già stato sottoposto ad interventi chirurgici;
   a causa di un suo nuovo malore, l'uomo era stato dapprima ricoverato presso l'ospedale Maggiore di Modica per poi essere trasferito qualche giorno dopo a Ragusa;
   dopo pochi giorni ricovero presso l'ospedale di Ragusa, l'uomo è stato dimesso: il 9 giugno 2016, l'uomo è morto per un infarto;
   quanto finora rappresentato non è altro che il triste epilogo di numerose denunce di malasanità che riguardano l'ospedale Maggiore di Modica: un presidio sanitario importante che serve un bacino di 250 mila utenti;
   la situazione generale è divenuta ormai insostenibile e rispecchia un quadro desolante che oltraggia il diritto alla salute dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno, come avvenuto in casi analoghi, inviare ispettori ministeriali presso l'ospedale «Maggiore» di Modica, al fine di verificarne le attività di coordinamento (ovvero la direzione sanitaria), del pronto soccorso (primario) e della cardiologia (primario facente funzioni), e la situazione complessiva relativa al personale proprio alla luce dei numerosi e recenti episodi di malasanità e morti sospette. (4-13543)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   RAMPELLI, GIORGIA MELONI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. – Per sapere – premesso che:
   Roma capitale ha la rete di servizi all'infanzia per bambini di età compresa tra tre mesi e sei anni più ampia d'Europa, ma ciononostante non riesce a soddisfare appieno le necessità delle famiglie;
   per tali servizi il corretto funzionamento e il rispetto degli standard di qualità sono caratteristiche imprescindibili anche in un momento storico come quello attuale, segnato dalle esigenze di contenimento della spesa;
   il riconoscimento dei diritti dell'infanzia e la tutela dei minori si misurano anche nelle opportunità di cura e di educazione garantite all'interno dei nidi e delle scuole dell'infanzia pubbliche, sia a gestione diretta sia indiretta, e sono aspetti che passano attraverso la continuità e la stabilità delle figure di riferimento dei bambini, educatrici e maestre;
   è da molto tempo che il comune di Roma non garantisce più queste condizioni e ha, anzi, creato un vero problema di precariato, aggravato dalla recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito al divieto di reiterazione dei contratti a tempo determinato;
   la legge n. 107 del 2015 di riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione ha affrontato il problema del precariato scolastico negli istituti statali, ma ha tralasciato la questione delle strutture educative e scolastiche degli enti locali;
   l'attuale commissario dell'amministrazione capitolina ha deliberato un piano straordinario di assunzioni che sarà, tuttavia, insufficiente a risolvere la problematica in esame a causa dei vincoli imposti dalle norme sul turn-over negli enti locali;
   in un'intervista rilasciata nei primi giorni di giugno 2016 il Ministro interrogato ha affermato che sarebbe in itinere un provvedimento volto a permettere le stabilizzazioni del personale precario del settore educativo e scolastico all'interno degli enti locali, dichiarando espressamente che «la norma sblocca il turnover e consente di attingere alle graduatorie comunali per assumere personale in base a un piano triennale; nelle more si può continuare a reclutare i precari con contratto a tempo determinato»;
   un siffatto provvedimento è indispensabile al fine, da un lato, di rassicurare le famiglie in ordine alla continuità educativa nelle strutture frequentate dai propri figli e, dall'altro, per porre fine alla incertezza lavorativa delle educatrici e insegnanti, che svolgono un ruolo di fondamentale importanza –:
   quando sarà adottato il provvedimento di cui in premessa. (3-02329)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:


   BALDELLI, BRUNETTA, POLIDORI e OCCHIUTO. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha concluso quattro procedimenti, avviati a luglio 2015 sulla base di numerose segnalazioni giunte da singoli consumatori e da diverse associazioni, ed emesso sanzioni per oltre 14 milioni di euro nei confronti di cinque aziende che operano nel settore dell'energia: Acea, Edison, Eni, Enel energia ed Enel servizio elettrico;
   i provvedimenti riguardano i meccanismi di fatturazione, i conguagli pluriennali, le ripetute richieste di pagamento per bollette non corrispondenti a consumi effettivi, gli ostacoli frapposti alla restituzione dei rimborsi e altre pratiche considerate scorrette;
   dopo che sono state presentate diverse interrogazioni da parte di Forza Italia alla Camera dei deputati sul tema delle maxi-bollette e dei megaconguagli per sollecitare il Governo ad intervenire a tutela dei consumatori, ad ottobre 2015 è stata approvata alla Camera dei deputati la mozione 1-00967 che ha impegnato il Governo ad intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, affinché venisse assicurato dagli operatori del settore una moratoria sulle recenti maxi-bollette derivanti da conguagli superiori a due anni, finché le autorità non avessero completato gli accertamenti circa eventuali violazioni del codice del consumo, e «ad intervenire, per quanto di competenza, anche eventualmente a livello legislativo, stabilendo che, nel caso in cui le autorità competenti ravvisino comportamenti illegittimi da parte dei gestori dei servizi, i consumatori coinvolti non siano obbligati al pagamento dei conguagli considerati errati o delle fatture basate su consumi stimati per le quali il cliente abbia già comunicato i dati sull'autolettura o questi siano stati teleletti, ovvero ricevano tempestivamente il rimborso delle somme eventualmente già versate ma non dovute»;
   le multe elevate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno giustamente sanzionato le pratiche commerciali delle aziende operanti nel settore dell'energia ritenute aggressive e scorrette, ma solo un intervento legislativo può sollevare i cittadini dal pagamento di fatture frutto di comportamenti sanzionati dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato –:
   se il Governo non intenda intervenire al più presto a livello legislativo stabilendo che i consumatori che, secondo quanto stabilito dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, abbiano subito pratiche commerciali ritenute scorrette ed aggressive siano esentati dal pagamento degli importi richiesti dalle aziende citate in premessa, ovvero che ricevano tempestivamente il rimborso delle somme già eventualmente versate. (3-02332)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il contratto di sviluppo «ricettività alberghiera» – Sicilia, Perla Jonica, ubicato ad Acireale prevedeva che la società ITEM investisse un totale di 48.410.000 euro, di cui agevolazioni pubbliche per 24.205.000 euro;
   nel marzo 2015, la società ITEM ha richiesto l'anticipazione del 30 per cento delle agevolazioni, pari ad euro 7.227.649,00, erogata previa presentazione di apposita fidejussione assicurativa incondizionata ed escutibile a prima richiesta con scadenza 31 dicembre 2017, di importo pari all'anticipazione medesima, rilasciata da Reale mutua Assicurazioni;
   nella risposta del 20 aprile 2016, ad una interrogazione (n. 5/07844) della prima firmataria del presente atto, in merito a finanziamenti agevolati erogati alla società ITEM il Sottosegretario delegato per lo sviluppo economico scriveva quanto segue: «Occorre evidenziare che qualora entro il 2 giugno 2016, termine finale del periodo di sospensione previsto, non dovessero ricorrere le condizioni tecniche e procedurali per il seguito dell'iter agevolativo, l'Agenzia, tenendo conto sia del termine di rendicontabilità delle risorse finanziarie pubbliche di cui si avvale il progetto in parola (il PON-SIL 2000-2006 prevede un termine di rendicontabilità al 31 luglio 2018) sia dell'opportunità di salvaguardare l'impatto atteso, verificherà se concedere un ulteriore periodo di sospensione dell’iter o se revocare le agevolazioni concesse, ai sensi dell'articolo 8 del Contratto di sviluppo, ed escutere la garanzia fideiussoria per recuperare l'anticipazione erogata» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per verificare se ancora permangono le condizioni tecniche e procedurali per dar seguito all’iter agevolativo per il contratto di sviluppo «ricettività alberghiera» – Sicilia, «Perla Jonica», promosso dalla società ITEM;
   se la società ITEM abbia presentato la documentazione richiesta da Invitalia riguardante le condizioni per la concessione dell’iter del finanziamento agevolitivo del contratto di sviluppo «ricettività alberghiera» – Sicilia, «Perla Jonica». (5-08925)


   TULLO, BASSO e CAROCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 10 giugno 2016 è stato presentato un nuovo piano industriale di Ericsson Telecomunicazioni in cui sono stati annunciati quasi 400 esuberi sui 4000 dipendenti di cui 137 nello stabilimento di Genova, esuberi che si aggiungono a quelli già effettuati da parte dell'azienda negli ultimi dieci anni;
   già nel febbraio 2015 con l'interrogazione 5-04630 si poneva all'attenzione del Governo per quanto di competenza, per assumere iniziative nei confronti di Ericsson, per fare chiarezza su quali strategia il gruppo voleva attuare in Italia, manifestando preoccupazioni per i tagli annunciati, preoccupazione che oggi si rafforza per i nuovi tagli che colpiscono principalmente gli strategici settori della ricerca e dello sviluppo;
   la risposta all'interrogazione sottolineò «che il Governo ha convocato i vertici della multinazionale Ericsson sia per definire le linee che stavano seguendo sullo stabilimento di Marcianise, sia più in generale per verificare le intenzioni strategiche degli stabilimenti italiani. La multinazionale ha chiarito che la cessione dello stabilimento non vuole essere in alcun modo un segnale di disimpegno dal nostro Paese, ma rientra all'interno di una focalizzazione complessiva delle attività della multinazionale, non solo in Italia, ma a livello europeo e globale volta a ridurre il manifatturiero per concentrarsi sulla ricerca e lo sviluppo. All'interno di questa strategia l'Italia rappresenterà uno dei punti di forza nelle strategia medio-lungo periodo della multinazionale»;
   gli esuberi annunciati hanno creato legittime preoccupazioni per i lavoratori del gruppo, in particolare a Genova alle prospettive industriali negative per Ericsson si aggiunge la preoccupazione per il futuro complessivo del parco tecnologico degli Erzelli, progetto per il quale Ericsson ha sottoscritto un accordo di programma e ricevuto finanziamenti pubblici –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per conoscere le strategie organizzative e di mercato che la multinazionale svedese ha intenzione di attuare nel nostro Paese, definendo quale destinazione e missione dovrà esercitare ciascuno degli stabilimenti presenti sul territorio, a partire da quello genovese degli Erzelli e per cui era stato sottoscritto un accordo di programma. (5-08931)


   FABBRI, LENZI e DE MARIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in queste ore oltre il 90 per cento dei 100 mila lavoratori del settore dell'igiene ambientale ha aderito allo sciopero indetto dai sindacati di categoria per i rinnovi dei contratti Utilitalia e Assoambiente scaduti da quasi tre anni;
   c’è stata un'adesione molto alta sull'intero territorio nazionale che ha visto anche una partecipazione molto forte ai presidi e alle manifestazioni in programma in tutti i territori;
   si tratta della seconda giornata di agitazione dopo quella proclamata il 30 maggio 2016 poiché, secondo fonti sindacali, le Multiutility del settore ambientale che aderiscono ad Utilitalia, si oppongono ad un nuovo contratto a livello nazionale del settore ambientale. Nonostante si discuta tra le parti da 30 mesi ad oggi non si è arrivati ad alcun esito, a meno che, a detta dei sindacati, non si accettino gravi ripercussioni sia salariali, sia sulla sicurezza, in termini occupazionali;
   le questioni aperte non riguardano soltanto il tema salariale ma anche l'introduzione della clausola sociale dell'orario di lavoro straordinario, appalti al massimo ribasso;
   alcuni giorni fa, il presidente dell'A.N.C.I. nonché sindaco di Torino, Piero Fassino, con una lettera aperta invitava le Multiutility a sedersi al tavolo e firmare il contratto collettivo nazionale di lavoro, ma l'invito non è andato a buon fine;
   il profilo dell'operatore ecologico pur non essendo particolarmente ambito per la scarsa qualità delle condizioni di lavoro, è molto importante per garantire qualità nella raccolta dei rifiuti da destinare a recupero, condizioni igienico-sanitarie adeguate e decoro delle città;
   a parere degli interroganti condizioni di lavoro inadeguate o di precariato non creano le condizioni minime necessarie per creare un rapporto di fedeltà e adesione alla mission aziendale, con il rischio di produrre effetti negativi nonché disagi sia per le nostre città che non verrebbero pulite in maniera adeguata, con grande danno d'immagine per il settore turistico, che per i cittadini residenti, costretti a vivere, fianco a fianco con cumuli di immondizia o peggio ancora con ratti e altri tipi di animali –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative intenda assumere per quanto di competenza, per agevolare la ripresa della trattativa al fine di salvaguardare la dignità e i diritti dei lavoratori, nonché il decoro del nostro Paese che intende fare del turismo uno degli asset economici nazionali. (5-08933)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 18 aprile 2013 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per i beni e le attività culturali hanno sospeso per sei mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale (rilasciata il 17 luglio 2009) sul progetto presentato dalla società Gas Natural Italia per un impianto di rigassificazione di metano liquido (Gnl) a Zaule, nel porto di Trieste;
   il provvedimento ha accolto il parere della Commissione VIA dei dicastero che, e sua volta, aveva recepito i pareri negativi dell'autorità portuale di Trieste e della regione Friuli-Venezia Giulia, prendendo atto delle mutate situazioni dei traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste dal piano regionale portuale di Trieste;
   il riferimento a Zaule quale luogo per la realizzazione del terminale Gnl, nella stesura iniziale dei cosiddetti «progetti di interesse comune» (projects of common interest, Pci) della Commissione europea, nell'ambito delle infrastrutture energetiche, è stato sostituito,  successivamente alla riunione del gruppo decisionale sui Pci il 24 luglio 2013, con l'indicazione generica di «una località nell'Alto Adriatico che verrà determinata dall'Italia in accordo con la Slovenia»;
   il 18 ottobre 2013 è scaduta la sospensione di sei mesi della valutazione di impatto ambientale per Zaule, senza che si sia verificata nessuna delle due condizioni indicate dal summenzionato decreto per un esito positivo della valutazione: la multinazionale spagnola Gas Natura! non ha presentato proposte di localizzazioni alternative e l'autorità portuale di Trieste non ha rivisto al ribasso le stime di traffico marittimo che, già a fine 2012, avevano portato a sostenere l'incompatibilità dell'infrastruttura con le prospettive di sviluppo dello scalo;
   la realizzazione del terminale di ricezione e rigassificazione GNL nel comune di Trieste è stata oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo depositati dall'interrogante e pubblicati agli atti della Camera dei deputati;
   l'interrogante, tuttavia, ha ricevuto dai rappresentanti del Governo le risposte ad alcune interrogazioni presentate in materia, in particolare nella replica scritta del sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico Gaudio De Vincenti all'atto n. 4-00914 è stato comunicato che: «(...) non compete alle amministrazioni specificare i siti dove ubicare i terminali di rigassificazione, essendo queste infrastrutture realizzate in regime di mercato libero da operatori privati che presentano direttamente istanze di autorizzazione, sulle quali, poi, si pronunciano le amministrazioni competenti, locali e centrali, sulla base dei rapporto ambientale e dei piani territoriali interessati (...)»;
   il sito internet del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – valutazioni ambientali VAS-VIA – riporta come, in relazione al «Metanodotto Trieste-Grado-Villesse: Sealine Trieste-Grado DN 800 (32”) + Tratto Grado-Villesse DN 1050 (42”) – 75 bar», il parere CTVIA sia stato emesso e che il provvedimento sia «in predisposizione». Il progetto, finalizzato al collegamento del terminale GNL con il nodo della rete nazionale dei gasdotti Snam Rete Gas di Villesse, è considerata opera indispensabile e funzionale alla realizzazione del rigassificatore di Zaule proposto da Gas Natural;
   in data 30 maggio 2016, la procedura di verifica di ottemperanza delle prescrizioni A.2, A.3, A.6, A.8, A.15, D.1, D.2 del decreto VIA n. 808 del 17 luglio 2009 inerente al Terminale di ricezione e rigassificazione GNL nel comune di Trieste, zona industriale di Zaule (determinazione DVA-DEC-2016-0000222), ha ricevuto un esito positivo; in merito ai contenuti del decreto, un articolo de il Piccolo di Trieste del 10 giugno 2016, ha riportato che: «in sede di Conferenza dei Servizi conclusiva ai fini dei rilascio dell'autorizzazione alla realizzazione ed esercizio dell'impianto verrà verificata: la reale potenzialità di trasporto sulla rete nazionale del gas metano prodotto dall'impianto nonché la positiva conclusione della procedura di Via del metanodotto di collegamento alla rete nazionale gas»;
   l'articolo, inoltre, spiega come: «dal documento emergono anche sinergie con lo stabilimento di Servola e in particolare si apprende che la prescrizione A.6 prevedeva l'obbligo di “un progetto di integrazione industriale con la vicina centrale Elettra di Servola per un più efficiente e meno impattante uso delle frigorie e di antifouling prodotti in seguito al processo di rigassificazione”. Di conseguenza il progetto di interconnessione ha previsto “come presupposto l'utilizzo dell'acqua fredda proveniente dagli Orv del terminale Gnl per il condensatore dell'unità di cogenerazione”, mentre “per portare l'acqua di mare da un impianto all'altro è previsto un sistema di pompaggio che, a pieno carico degli impianti, garantisce una quantità di 21 mila metri cubi all'ora”»;
   un articolo dell’Ansa del 10 giugno 2016 dal titolo «Rigassificatore Trieste: Calenda, opera non è strategica», riporta che: «per il Ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda “il progettato rigassificatore di Trieste non è un'opera strategica per il Paese, essendoci altri progetti già autorizzati che, se realizzati, potranno coprire le ulteriori necessità di capacità di rigassificazione. La realizzazione di questa infrastruttura esce dall'agenda del Governo”. Serracchiani e Cosolini – informa una nota della regione – avevano chiesto un colloquio urgente con Calenda, dopo che dal Ministero dell'ambiente era stato emesso il decreto che considera ottemperate una serie di prescrizioni annesse al decreto di compatibilità ambientale, emesso nel 2009, favorevole all'infrastruttura energetica»;
   in data 15 giugno 2016, il sito online Trieste All News riporta, la notizia di una lettera inviata dalle associazioni ambientaliste Wwf, Legambiente, FareAmbiente, No Smog e il Comitato per la salvaguardia del Golfo di Trieste alla presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani, chiedendo di attivarsi con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «per la riapertura del procedimento di Via per l'impianto di rigassificazione Gnl di Zaule, alla luce dei nuovi elementi e delle conseguenti richieste presentate dall'autorità portuale il 24 dicembre 2015 relativamente alla messa in sicurezza dell'area dell'ex discarica a mare di via Errera e alle conclusioni della Conferenza dei servizi istruttoria sul Sin del 25 novembre 2015». «Le associazioni in toto chiedono inoltre che la regione, in sede di Conferenza dei servizi, “neghi l'intesa al Mise e faccia valere il potere di veto assieme all'autorità portuale”, esprimendo parere negativo anche sul progetto del metanodotto Trieste-Grado-Villesse (attualmente in firma al Ministro Galletti)»;
   durante lo svolgimento dei question time del 15 giugno 2016 presso la X Commissione della Camera dei deputati, l'interrogante ha chiesto chiarimenti circa le dichiarazioni in merito alla valutazione dell'impianto di rigassificazione da parte del Ministro Calenda pubblicate sulla stampa e ha sollecitato il Governo a indicare attraverso quali atti formali e con quali tempistiche intenda dare seguito alle parole pronunciate dal Ministro Calenda in merito alla realizzazione del rigassificatore di Zaule;
   il Viceministro Bellanova, nella risposta, ha ribadito che: «prima che il Ministero dello sviluppo economico possa convocare la Conferenza dei servizi decisoria nell'ambito del procedimento autorizzativo di sua competenza» deve «essere acquisita anche la valutazione di impatto ambientale relativa al metanodotto di collegamento del rigassificatore alla rete di trasporto nazionale del gas». Il Ministero dello sviluppo economico «provvederà a convocare la riunione di Conferenza dei servizi decisoria nell'ambito del procedimento di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio del rigassificatore, entro i termini che consentano alla regione Friuli Venezia Giulia di esprimersi in merito all'intesa, necessaria in base alle norme vigenti per il rilascio dell'autorizzazione stessa. Infatti, la regione Friuli Venezia Giulia non si è ancora espressa, in via ufficiale, con propria delibera di Giunta sull'opera in oggetto. Nel l'ipotesi in cui la regione dovesse esprimere intesa negativa sull'opera verranno adottate le conseguenti valutazioni previste dalla normativa vigente sulla base delle posizioni prevalenti che emergeranno in Conferenza dei servizi»;
   nella medesima giornata, il Piccolo di Trieste, in un articolo riferisce che: «(...) per chiudere e archiviare il dossier, è necessario un passaggio tecnico-amministrativo formale, definitivo. Ed è fondamentale che i due percorsi finora paralleli, battuti dai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente, trovino un luogo decisionale all'insegna della convergenza e della chiarezza. La Conferenza dei servizi presso lo sviluppo economico, che era stata congelata e rinviata giovedì 11 giugno dello scorso anno, è la sede adeguata per porre una pietra sepolcrale sopra i 12 anni dell’iter, che ha accompagnato il progetto di Gas Natural. Da qui ad allora, viste le esperienze precedenti, sono consigliate prudenza e vigilanza, soprattutto in merito alla documentazione prodotta dal Ministero dell'ambiente. È questo il messaggio uscito dalla riunione di lunedì pomeriggio, chiesta dall'assessore comunale all'ambiente Umberto Laureni. (...) La nota, diramata ieri mattina dal comune, si chiude con l'impegno dei partecipanti a “un'attenta analisi del documento trasmesso il 30 maggio scorso dalla direzione generale del Ministero dell'ambiente”. Proprio quel documento che sulla base del sì pronunciato dalla commissione Via/Vas aveva dichiarato ottemperate una serie di prescrizioni indicate del decreto di compatibilità risalente al luglio 2009. Il “nulla osta” dell'ambiente aveva motivato la reazione del governatore Serracchiani, che ha incontrato due volte il neo-titolare dello sviluppo economico Carlo Calenda. Il quale ha ufficialmente – ma verbalmente – garantito che l'impianto di rigassificazione è stato “derubricato” dai desiderata dell'esecutivo Renzi (...)» –:
   se si intenda accogliere la richiesta delle associazioni ambientaliste di riapertura del procedimento di Via per l'impianto di rigassificazione Gnl di Zaule, alla luce dei nuovi elementi e delle conseguenti richieste presentate dall'autorità portuale il 24 dicembre 2015 relativamente alla messa in sicurezza dell'area dell'ex discarica a mare di via Errera e alle conclusioni delle conferenze di servizi istruttorie sul sito di interesse nazionale di Trieste del 25 novembre 2015, dell'11 e 28 aprile 2016;
   come si intenda formalizzare la non strategicità dell'impianto di Zaule, dando così seguito alle dichiarazioni pubbliche del Ministro Calenda. (5-08938)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi della legge n. 580 del 1993 il consiglio della camera di commercio di Avellino si è riunito in quattro assemblee, con all'ordine del giorno l'elezione del nuovo presidente della giunta camerale;
   il 2 maggio 2016, data nella quale si è tenuta l'ultima seduta, il segretario generale ha verbalizzato l'esito della quarta ed ultima votazione, rilevando il mancato raggiungimento del quorum necessario per la elezione del presidente della giunta camerale;
   la citata legge n. 580 del 1993 prescrive che l'elezione del presidente debba avvenire solamente con quattro votazioni;
   ciononostante ai consiglieri di Confindustria in carica è pervenuta la convocazione del consiglio camerale a firma del vicepresidente avente ad oggetto il riesame dell'esito della seduta precedente, la convalida della elezione con proclamazione del presidente eletto e la nomina della nuova giunta camerale;
   detta convocazione ad avviso dell'interrogante è del tutto illegittima;
   alla quarta assemblea del Consiglio, che si è tenuta il 2 maggio del 2016, erano presenti tutti e 27 i consiglieri in carica;
   ne consegue, pertanto, il raggiungimento del quorum costitutivo dell'assemblea consiliare durante la quale non si è raggiunto il quorum deliberativo necessario all'elezione del nuovo presidente;
   la deliberazione che dà atto del mancato raggiungimento di detto quorum è valida ed efficace;
   ne consegue che, ad avviso dell'interrogante ai sensi della citata legge 580 del 93, la quinta convocazione del consiglio camerale è del tutto illegittima e nulle sono le decisioni assunte in quella sede;
   l'elezione del nuovo presidente secondo l'interrogante è «nulla», in quanto avvenuta durante un consiglio camerale la cui convocazione è «del tutto illegittima» –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere in relazione alla controversa elezione del presidente della giunta camerale della camera di commercio di Avellino. (4-13534)


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel febbraio 2016 è stato presentato il progetto di riconversione degli spazi dell'Expo nel polo di ricerca Human Technopole (HT). Il processo di realizzazione di HT parte da premesse sbagliate: nella scienza come per gli appalti pubblici, ogni assegnazione politico-economica di fondi pubblici non può prescindere da una competizione per finanziare le migliori proposte e i proponenti. La gestione del nuovo ente di ricerca, invece, è stata affidata dal Governo all'Istituto italiano di tecnologia (IIT);
   tale decisione ha scatenato molte critiche nell'ambiente scientifico e accademico, soprattutto dell'IIT. La scarsa disponibilità di dati e informazioni sull'IIT, riguarda molti aspetti della struttura, tra cui la pubblicazione dei bilanci, le modalità selezione del personale, dai dirigenti ai collaboratori, le procedure valutative;
   la decisione, del tutto discrezionale e unilaterale, di coinvolgere nella realizzazione del progetto Human Technopole solo alcuni enti entra in contrasto per gli interroganti con molte esperienze e analisi, che dimostrano invece quanto sia inefficace concentrare il denaro pubblico in poche mani;
   il nascente polo milanese beneficerà, stando agli annunci fatti a mezzo stampa, di finanziamenti pubblici per un totale di 1,5 miliardi di euro in dieci anni, cui vanno aggiunti gli 80 milioni già assegnati a IIT per l'avvio del progetto. Una cifra simile, in un momento storico in cui le attività accademiche e di ricerca sono quasi paralizzate da politiche recessive, richiede un dibattito il più possibile approfondito e partecipato, dentro le aule parlamentari nonché fuori dalle stesse –:
   se, come e in che tempi s'intenda avviare un dibattito sulla gestione dell'Istituto italiano di tecnologia;
   come il Governo ritenga che le modalità di assegnazione delle risorse per il progetto Human Technopole ad un solo ente senza alcun bando pubblico si concilino con la normativa sugli appalti pubblici;
   se s'intendano fornire informazioni circa i finanziamenti pubblici erogati all'Istituto italiano di tecnologia la loro destinazione finale rispetto agli usi scientifici e la loro modalità di accantonamento presso l'Istituto italiano di tecnologia. (4-13540)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Ghizzoni e altri n. 1-01294, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Boldrini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Matarresse n. 4-04909, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Dambruoso, Vargiu, Piepoli.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Matarresse e altri n. 5-08917, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mazziotti Di Celso.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Labriola n. 2-01394, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 635 del 10 giugno 2016.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   da articoli di stampa locale pubblicati nei giorni scorsi si apprende che è stato pubblicato da poco l'aggiornamento del registro tumori di Taranto, per quanto riguarda il periodo 2006-2011;
   la nuova pubblicazione segue il primo report di incidenza dei tumori maligni della provincia di Taranto presentato nel 2014, che comprendeva i casi incidenti nell'intero territorio provinciale per gli anni 2006-2008. Nella presentazione del lavoro si legge: «La sempre più importante necessità di condividere i dati e i risultati degli studi che approfondiscono la situazione dello stato di salute della popolazione residente con la cittadinanza ci spinge a presentare oggi un ampliamento dei risultati dell'incidenza neoplastica comprendente gli anni 2009-2011, dati che nei prossimi mesi saranno pubblicati in modo più approfondito e tecnico»;
   la pubblicazione del primo report del registro tumori di Taranto tramite la valutazione dell'incidenza degli anni 2006-2008, aveva già presentato alcune criticità dello stato di salute nella provincia di Taranto rispetto al pool Sud dei registri tumori, soprattutto per quel che riguarda l'eccesso di rischio per carcinoma della mammella, del collo dell'utero e dell'ovaio nelle donne; nei maschi il rischio di carcinoma del polmone e della vescica, oltre ad essere in eccesso rispetto a quanto rilevato dal pool Sud, risultava in eccesso anche rispetto a quanto rilevato dal pool nazionale; inoltre, soprattutto nei comuni dell'area orientale nello stesso confronto con il pool nazionale si riscontrava un eccesso di carcinoma della tiroide nel sesso femminile;
   nella recente pubblicazione il quadro generale emerso dall'elaborazione dei dati registrati negli anni 2006-2011 conferma il maggior interessamento del sesso maschile per gran parte delle sedi esaminate. Si evidenziano, infatti, tassi standardizzati più elevati in provincia di Taranto rispetto al pool nazionale e al pool sud per mesotelioma, carcinoma epatico, vescicale e polmonare nel sesso maschile, a conferma della probabile responsabilità di esposizioni professionali;
   inoltre, i dati provinciali presentano tassi più elevati rispetto al Pool sud anche per carcinoma di fegato, rene, linfoma non hodgkin, prostata e stomaco nei maschi, mammella nelle donne e colon, melanoma, tiroide, encefalo in entrambi i sessi;
   è stato evidenziato il maggior interessamento del SIN (comuni di Taranto e Statte) rispetto all'intera provincia per quel che riguarda carcinoma dello stomaco, del colon, del fegato, del polmone, melanoma, mesotelioma, tumore del rene, della vescica, della tiroide nei maschi, linfoma non hodgkin, tumore della mammella, della cervice uterina e della prostata attestando la necessità di porre particolare attenzione in termini di assistenza e sorveglianza ai residenti nell'area a rischio ambientale;
   è confermata anche la problematica del carcinoma tiroideo nel sesso femminile che presenta tassi più elevati nei comuni dell'ala orientale della provincia;
   inoltre, nelle parti conclusive del report si legge: «occorre sottolineare che indipendentemente dall'eventuale riduzione dell'esposizione all'inquinamento ambientale, risulterà evidente ancora per molti anni l'eccesso delle patologie oncologiche nell'area a rischio richiedendo un miglioramento della rete assistenziale già in essere attraverso il potenziamento dell'assistenza oncologica grazie ai fondi (progettuali e quindi temporanei) del Centro Salute e Ambiente e della Terra dei Fuochi. Tali misure non possono che essere perseguite nel tempo dovendosi prevedere la stabilizzazione del personale impegnato in queste attività come in quelle di sorveglianza e valutazione epidemiologica e il potenziamento delle strutture di assistenza»;
   l'istituto Superiore di sanità ha condotto, con il progetto «Sentieri Kids», uno studio specifico e di lungo periodo centrato sui bambini e sui ragazzi e relativo alla mortalità ad alcune malattie nella fascia d'età compresa tra 0 e 19 anni e per il periodo compreso tra il 1995 e il 2009 nei 44 siti già finalizzati da «Sentieri»; nei dintorni di questi siti abita circa un milione di bambini e ragazzi ed i ricercatori hanno rilevato che la mortalità per tutte le cause – insomma, la mortalità generale – è superiore del 4 per cento alla media nazionale per i neonati fino a un anno. Un'analisi dettagliata ha dimostrato che le condizioni cambiano, da sito a sito. Nei siti vicino ad ambienti industriali complessi, per esempio, la mortalità e l'ospedalizzazione per le malattie respiratorie acute, oltre ad un eccesso di incidenza di tumori ha un picco. A Taranto la mortalità è più alta del 21 per cento nella fascia di età 0-1 e del 24 per cento nella fascia 0-14 –:
   se e quali iniziative di competenza, alla luce di quanto espresso in premessa, intenda assumere il Governo per garantire maggiori livelli di assistenza per la popolazione interessata dall'alta incidenza tumorale e gestire l'emergenza sanitaria;
   se, a fronte della forte incidenza di tumori nei bambini tarantini per la fascia d'età 0-14 anni, ritenga opportuno assumere per quanto di competenza, d'intesa con la regione Puglia, iniziative volte all'attivazione di corsi di aggiornamento e informazione per i pediatri e all'ammodernamento e potenziamento dei reparti di pediatria;
   se reputi opportuno, in accordo con la regione Puglia, assumere iniziative per conferire un assetto speciale alla ASL di Taranto, garantendo assistenza e cura presso le strutture locali.
(2-01394) «Labriola, Pisicchio».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Prodani n. 4-13350, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 633 del 7 giugno 2016.

   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile club Italia (Aci) è una federazione sportiva nazionale a carattere pubblico istituita all'inizio del novecento, riconosciuta dal Coni e dalla Fédération Internationale de l'Automobile (Fia), con il compito di favorire lo sviluppo dello sport automobilistico, del comparto dell'auto, di associare e tutelare gli automobilisti e di organizzare manifestazioni sportive;
   l'Aci, quale ente pubblico non economico, è sottoposto alla vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, mentre, per quanto riguarda la gestione del pubblico registro automobilistico e l'acquisizione dei relativi tributi (la tassa di circolazione), è vigilato dal Ministero della giustizia;
   il decreto del Ministero delle finanze n. 514 del 2 ottobre 1992 disciplina le modalità e le procedure di funzionamento degli uffici del pubblico registro automobilistico, la tenuta degli archivi, la conservazione della documentazione prescritta, l'elaborazione e la fornitura dei dati dei veicoli iscritti, la forma, il contenuto e le modalità di utilizzo della modulistica occorrente per il funzionamento degli uffici medesimi. In particolare, l'articolo 8 istituisce il certificato di proprietà, mentre l'articolo 17, al comma 5, stabilisce che il certificato di proprietà debba essere stampato dal sistema informatico;
   la legge 7 agosto 2015, n. 124, contenente «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (nota come riforma Madia) stabilisce all'articolo 8, lettera d); «con riferimento alle amministrazioni competenti in materia di autoveicoli: la riorganizzazione, ai fini della riduzione dei costi connessi alla gestione dei dati relativi alla proprietà e alla circolazione dei veicoli e della realizzazione di significativi risparmi per l'utenza, anche mediante trasferimento, previa valutazione della sostenibilità organizzativa ed economica, delle funzioni svolte dagli uffici del Pubblico Registro Automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con conseguente introduzione di un'unica modalità di archiviazione finalizzata al rilascio di un documento unico contenente i dati di proprietà e di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, da perseguire anche attraverso l'eventuale istituzione di un'agenzia o altra struttura sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; svolgimento delle relative funzioni con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»;
   con tale provvedimento, il Governo è stato delegato ad adottare, entro dodici mesi, uno o più decreti legislativi al fine di operare il passaggio definitivo delle funzioni svolte dal pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e trasporti;
   come riportato da un articolo de Il Fatto quotidiano, del 30 dicembre 2015, sulla riforma Madia: «la ministra aveva deciso che per semplificare la vita degli automobilisti e anche per far risparmiare un bel po’ di soldi allo Stato andava superato il Pra accorpandolo alla Motorizzazione civile (Ministero dei trasporti). Aveva fatto approvare una legge delega che il governo avrebbe dovuto tradurre in una riforma entro giugno 2016 e che a questo punto è assai probabile si perda nelle nebbie. Agli automobilisti sarebbe stato risparmiato il fastidio di una costosa pratica considerata un doppione, allo Stato sarebbe stato assicurato un risparmio di una sessantina di milioni di euro l'anno, così come aveva calcolato a suo tempo Carlo Cottarelli, il manager incaricato di studiare la spending review, la grande revisione della spesa pubblica che però alla fine è rimasta nel cassetto»;
   il 24 settembre 2015 l'agenzia stampa Ansa ha diramato un comunicato con il quale l'Aci ha annunciato che, «a partire dal 5 ottobre, i proprietari di veicoli, motoveicoli e rimorchi potranno dire addio al certificato di proprietà (Cdp) nella sua versione cartacea» sostituito dal certificato di proprietà dematerializzato introdotto dall'Aci stessa;
   in un articolo del 26 ottobre 2015, pubblicato on line sul sito www.ilfattoquotidiano.it, viene riportata un'intervista a Ottolino Pignoloni, segretario nazionale Studi UNASCA (Unione nazionale, autoscuole e studi di consulenza automobilistica), aderente a Confcommercio, relativa alla digitalizzazione del certificato di proprietà introdotta dall'Aci; il segretario Pignoloni afferma che, a distanza di due settimane dall'avvio del nuovo sistema del certificato di proprietà digitale, gli operatori del settore non avrebbero ancora rilevato i vantaggi, in termini di risparmio di tempo, carta e denaro, derivanti dalla dematerializzazione, asserendo appunto che «l'Aci ha annunciato il risparmio, oltre che di tonnellate di inchiostro, di circa 30 milioni di fogli; tuttavia la realtà è che, da 14 giorni a questa parte, fare un passaggio di proprietà è diventato molto più complesso di prima»;
   il 30 ottobre 2015 lo scrivente ha depositato l'interrogazione 4-10921, rimasta ancora senza risposta, indirizzata ai Ministri interrogati con la quale ha sollevato dei dubbi sulla coerenza tra la circolare emanata dall'Aci e le disposizioni impartite dal decreto del Ministero delle finanze n. 514 del 2 ottobre 1992, sull'effettivo risparmio digitale e sull'opportunità, da parte dell'Aci, di avviare comunque il procedimento nonostante le previsioni del decreto Madia;
   l'Unasca, il 3 dicembre 2015, ha presentato un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio per richiedere l'annullamento della circolare del 28 settembre 2015 con cui l'Automobile Club Italia dettava le «Istruzioni di servizio – Progetto Semplific@uto – Introduzione del 5 ottobre 2015 del Certificato di proprietà digitale CDPD – Nuove istruzioni di servizio, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale»;
   in data 20 maggio 2016 Unasca, con il comunicato stampa intitolato «Certificato di proprietà digitale, Il Tar del Lazio: accolto ricorso di Unasca e dichiarata illegittima la circolare Aci» spiega che «Unasca aveva sollevato la questione principalmente per due motivi: per il fatto che l'Aci, nel dettare istruzioni a seguito della introduzione del Certificato di Proprietà digitale tentasse in realtà, di “modificare la disciplina sostanziale e la consegna cartacea del certificato, invocando impropriamente l'applicazione del Codice dell'Amministrazione digitale, che però non conferisce ad Aci alcun potere di effettuare la riforma oggetto della circolare”, e per il fatto che, secondo UNASCA, attraverso il progetto Semplific@uto Aci in sostanza tentasse di “precostituire il proprio ruolo prima che la riforma ne svuoti le funzioni trasferendole al Ministero”»;
   il comunicato stampa, inoltre, afferma che: «la sentenza del Tar ha accolto il ricorso, condannando l'ACI al pagamento di 8.000 euro per le spese di giudizio e gli onorari, e quindi ha annullato la circolare ACI N. 005/0007641/15 del 28 settembre 2015 nelle parti in cui sostituiva il rilascio del Certificato di Proprietà (cartaceo) del veicolo con la mera attestazione di avvenuta formalità, senza possibilità di ottenere il certificato in formato cartaceo neppure su richiesta della parte»;
   in riferimento alle istruzioni della circolare sul pdf di ricevuta per le procedure dello Sportello Telematico dell'Automobilista, la sentenza riporta che: «Come sollevato dai ricorrenti la parte ora riportata delle istruzioni è proprio incongruente con il quadro normativo nel corpo del primo motivo riportato cioè con l'articolo 10 del decreto ministeriale n. 514 del 1992 e con gli articoli 93 e 94 del Codice della Strada che tutti prevedono il rilascio del Certificato di proprietà al momento della prima iscrizione o di ogni altra successiva formalità riguardante il veicolo. Né come sostenuto dall'Aci, anche con la memoria per l'udienza odierna, la circostanza che la circolare in realtà vada inquadrata nell'ambito delle iniziative legate al Progetto di semplificazione amministrativa del Pubblico Registro Automobilistico comportante la dematerializzazione/digitalizzazione della documentazione necessaria alla presentazione delle istanze al PRA può validamente giustificare le due disposizioni sopra richiamate recate dalla Circolare in esame (...) Anzi l'articolo 43 del Codice dell'Amministrazione digitale prescrive l'esatto contrario e cioè che i documenti informatici possono essere archiviati anche con modalità cartacee»;
   all'interrogante risulta incomprensibile, alla luce del previsto trasferimento del pubblico registro automobilistico, la conduzione da parte dell'Aci del progetto descritto in premessa, poco chiaro sia nei costi sostenuti per la sua realizzazione, sia in relazione agli effettivi risparmi che ne sarebbero dovuti derivare, sia alla palese non coerenza con la normativa vigente come riconosciuto dal tar del Lazio;
   l'8 giugno 2016, l'ACI attraverso una lettera circolare avente come oggetto «Digitalizzazione Processi PRA, avvio della FASE 2», ha dato inizio alla seconda fase del processo medesimo che: prevede il rilascio in esercizio di nuove funzioni e servizi online che ottimizzeranno ulteriormente gli aspetti operativi sia a beneficio degli Uffici periferici, che degli operatori professionali, oltre che di altri soggetti. In particolare, la FASE 2 intende conseguire l'obiettivo di «allargare» la funzione dei processi di digitalizzazione PRA ad una pluralità di ulteriori soggetti che, nella fase di avvio, dovendo procedere ovviamente per step progressivi, non disponevano di tutte le funzioni necessarie allo svolgimento della loro attività in caso di operazioni basate su un Certificato di Proprietà Digitale (...). Il documento specifica che i nuovi servizi/applicazioni saranno tutti rilasciati in esercizio il 4 luglio 2016;
   in data 9 giugno 2016, un articolo pubblicato sul sito Ansa.it, sezione motori, illustra come: dopo il certificato di proprietà dell'auto digitale (CDPD), l'ACI si avvia ad introdurre l'atto di vendita dell'auto in forma digitale. Una «svolta» 2.0 che arriva nell'ambito del processo di dematerializzazione e che è stata annunciata da Giorgio Brandi, direttore ACI servizio gestione PRA. «Recentemente due sentenze del Tar, che fanno seguito a due ricorsi contro il CDPD hanno confermato la resistenza del Paese all'innovazione. In realtà – afferma Brandi – con le due sentenze del 17 e del 18 maggio 2016, il giudice ha riconosciuto la piena legittimità del certificato digitale in quanto conforme alle norme dettate dal Codice dell'amministrazione digitale (Cad) ma, a richiesta di parte, deve essere consegnato anche il certificato in forma cartacea. Una chiave di lettura miope – commenta Brandi – e in controtendenza. Per questo motivo abbiamo presentato ricorso al Consiglio di Stato. Il certificato di proprietà, oggi, non viene più consegnato all'utente, ma viene rilasciata una semplice ricevuta che consente la visione del certificato vero e proprio sull'archivio PRA. La ricevuta contiene un codice di accesso, attraverso il quale è possibile avere la certezza dell'autenticità del documento e visualizzare la stessa immagine del CDP digitale» (...);
   il Sole 24 Ore, nell'articolo del 14 giugno 2016 dal titolo il certificato di proprietà «torna cartaceo», in merito alla diatriba tra gli studi di consulenza automobilistica e il PRA sulle formalità accessorie alla compravendita di veicoli, afferma che: la controversia è stata decisa mantenendo la dematerializzazione (tesi dell'ACI), ma ammettendo la possibilità di una documentazione fisica (tesi delle agenzie), sulla base di un ragionamento ispirato alla tolleranza. Afferma infatti il Tar che nessuna norma impedisce che taluni dati vengano riportati anche su carta, nemmeno quando, nel Codice dell'Amministrazione digitale (decreto legislativo 82 del 2005, articoli 20 e 23), si afferma la validità, rilevanza e piena efficacia sostitutiva del documento informatico. Anzi, il fatto che il CDP sia digitale «non può a priori escludere il rilascio in formato cartaceo a chi lo richiede» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del progetto avviato dall'Aci in merito alla dematerializzazione del certificato di proprietà e se abbiano avvallato tale processo;
   quali iniziative di competenza intendano assumere nei confronti dell'Aci alla luce della prima sentenza del Tar del Lazio e se in particolare intendano assumere iniziative per sospendere ogni ulteriore processo di digitalizzazione del PRA;
   se i Ministri interrogati intendano chiarire, per quanto di competenza, l’iter del processo in esame con riferimento alla seconda circolare sul processo di digitalizzazione del PRA diffusa dall'Automobile club Italia;
   se i Ministri interrogati intendano chiarire le tempistiche e le modalità di trasferimento del Pubblico registro automobilistico al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti come previsto dalla legge n. 124 del 2015. (4-13350)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Laffranco n. 4-13502, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 638 del 15 giugno 2016.

   LAFFRANCO e GARNERO SANTANCHÈ. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è circostanza ormai nota la criticità che verte da tempo sull'organizzazione dell'attività dei medici che svolgono gli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute del dipendente assente per malattia. Nello specifico, la revisione di spesa sui controlli, motivata dai tagli imposti dalla spending review, ha generato una serie di scompensi, facendo degenerare la situazione lavorativa dei medici fiscali dell'INPS da stabile a totale precarietà;
   l'articolo 17 della legge n. 124 del 7 agosto 2015, sul riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, al comma 1, lettera l), stabilisce la riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di garantire l'effettività del controllo, con attribuzione esclusiva all'INPS della relativa competenza e con la previsione del prioritario ricorso alle liste speciali ad esaurimento;
   per porre rimedio alla mancata stabilizzazione dei medico-legali, il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante «disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, all'articolo 4, comma 10-bis, ha disposto la trasformazione delle liste speciali costituite dall'INPS, ai sensi dell'articolo 5, comma 12, della legge n. 638 del 1983, in liste speciali ad esaurimento;
   l'articolo 1, comma 340, legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) stabiliva altresì che l'INPS per l'effettuazione degli accertamenti medico-legali sui lavoratori assenti per malattia si avvalesse, in via prioritaria, dei medici di controllo inseriti nelle liste speciali ad esaurimento;
   alla luce di tale normativa sarebbe opportuno ribadire la priorità assoluta dei medici delle liste ad esaurimento per le funzioni in materia di accertamento medico-legale domiciliare ed ambulatoriale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici fino ad esaurimento delle liste stesse. È altresì opportuno stabilire che analogamente ai medici fiscali dell'INPS di cui al comma 10-bis, articolo 4, del decreto-legge n. 101 del 2013, come modificato dal comma 34 della legge di stabilità 2014, vengono inseriti nelle liste speciali ad esaurimento quei medici ASL che attualmente svolgono l'esclusiva funzione di medico legale fiscale ASL e che erano già in attività al 31 dicembre 2007;
   sarebbe opportuno prevedere che in caso di necessità di ulteriore personale medico, al fine di rispondere alle esigenze territoriali delle varie sedi dell'INPS, si ricorrerà all'integrazione delle sole liste speciali, di cui all'articolo 5, comma 12, del decreto-legge n. 463 del 1983, sentito il parere della commissione mista di cui al comma 1 dell'articolo 12 del decreto ministeriale 18 aprile 1996 come modificato dall'articolo 11 del decreto ministeriale 12 ottobre 2000, attraverso le graduatorie provinciali di cui all'articolo 4 del decreto ministeriale 18 aprile 1996;
   l'Istituto nazionale della previdenza sociale, attraverso l'applicativo Savio, dovrebbe effettuare un'unica selezione dei certificati per le visite della giornata e senza alcuna previsione di obbligo di fascia per le richieste d'ufficio e dai datori di lavoro pubblici e privati (articolo 3, comma 1 del decreto ministeriale del 1986). Le fasce di reperibilità dovranno essere unificate (dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00) e le visite della giornata dovranno essere comunicate al medico fiscale entro le ore 9:00. Il medico, in piena autonomia e secondo le problematiche logistiche territoriali, stabilisce la suddivisione delle visite nelle fasce orarie;
   sarebbe opportuno riconoscere ai medici fiscali iscritti alle liste ad esaurimento di cui all'articolo 4, comma 10-bis del decreto-legge n. 101 del 2013, come modificato dal comma 340 della legge di stabilità 2014, il diritto al riconoscimento di una stabilità lavorativa, come già indicato nell'indagine della Commissione affari sociali della Camera dei deputati svoltasi nel 2014 e come previsto dal decreto ministeriale 8 maggio 2008;
   l'articolo 17 della legge n. 124 del 7 agosto 2015, al comma 1, lettera l), stabilisce altresì il trasferimento delle risorse attualmente impiegate dalle pubbliche amministrazioni che, ai sensi dell'articolo 17, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stabilito, a decorrere dal 2013, in un importo non superiore a 70 milioni di euro l'anno a fronte degli oneri da sostenere per gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia;
   a fronte di tale previsione ad avviso degli interroganti è opportuno stabilire di destinare all'INPS per l'esercizio 2017 i 70 milioni di euro previsti dall'articolo 17, comma 5, del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e che per gli esercizi successivi al 2017 il Ministro dell'economia e delle finanze autorizzi a trasferire all'INPS stanziamenti, pari o superiori a quelli erogati nel 2017, al fine di garantire l'effettività del controllo e l'efficacia del servizio;
   come stabilito dal comma 339 dell'articolo 1 della legge n. 147 del dicembre 2013, è opportuno ribadire che tali risorse non possono essere destinate a finalità diverse dagli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti dal servizio per malattia, nonché stabilire controlli annuali per la verifica del rispetto della finalità obbligatoria e del reale utilizzo degli stanziamenti assegnati all'INPS –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione lavorativa di estrema criticità in cui versano i medici fiscali dell'INPS e se non intenda assumere iniziative normative per recepire all'interno del testo unico del pubblico impiego le indicazioni, così come esplicitate in premessa, in merito alla riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici. (4-13502)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-07595 del 2 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Carrescia n. 5-08438 del 20 aprile 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Basilio n. 5-08491 del 22 aprile 2016;
   interrogazione a risposta orale n. 3-02271 del 20 maggio 2016;
   interpellanza urgente Prataviera n. 2-01380 del 24 maggio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-13515 del 15 giugno 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Martella n. 3-00779 del 17 aprile 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13528;
   interrogazione a risposta in Commissione Losacco n. 5-02734 del 6 maggio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-02325;
   interrogazione a risposta scritta Matarrese e altri n. 4-04909 del 20 maggio 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-02326;
   interrogazione a risposta in Commissione Di Benedetto e altri n. 5-06743 del 21 ottobre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02324;
   interrogazione a risposta orale Sammarco n. 3-01893 del 16 dicembre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13530;
   interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e altri n. 5-07600 del 2 febbraio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02328;
   interpellanza Sammarco n. 2-00840 dell'11 febbraio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13529;
   interrogazione a risposta in Commissione Ginefra e altri n. 5-08778 del 25 maggio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02327.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Massimiliano Bernini e altri n. 5-08498 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta n. 613 del 26 aprile 2016. Alla pagina 36970, seconda colonna, dalla riga trentaseiesima alla riga trentottesima, deve leggersi: «altre tipologie». Nello specifico, gli importi spettanti al Vice ispettore Mazzi possono essere così ripartiti: «, e non come stampato.

  Interrogazione a risposta in Commissione D'Uva e altri n. 5-07885 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della Seduta n. 576 del 24 febbraio 2016. Alla pagina 34610, seconda colonna, alla riga quarantacinquesima deve leggersi: «comma 5 del decreto legislativo n. 165 del» e non come stampato.