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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 7 giugno 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione italiana prevede il principio di uguaglianza sostanziale, in base al quale «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
    la medesima Costituzione prevede quale specificazione, all'articolo 34, quarto comma, che «La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»;
    tra il 2008 e il 2014, secondo i dati dell’European university association public funding observatory, l'investimento pubblico si è ridotto del 21 per cento in termini reali e tra il 2014 (unico anno in cui il livello di investimenti aveva ripreso a crescere almeno rispetto al 2013) al 2015 si è assistito a una nuova riduzione;
    secondo l’«Education at a glance 2015», l'annuale pubblicazione Ocse che analizza i sistemi di istruzione dei trentaquattro Paesi membri e di altri Stati partner, l'Italia destina soltanto lo 0,9 per cento del prodotto interno lordo all'istruzione terziaria, la seconda quota più bassa tra i Paesi dell'Ocse dopo il Lussemburgo, mentre Paesi come Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti, hanno dedicato quasi il 2 per cento, o una quota superiore, del prodotto interno lordo all'istruzione terziaria;
    in particolare, i fondi destinati alla copertura delle borse di studio, che rappresenterebbero, in diretta attuazione del dettato costituzionale, uno strumento per garantire l'accesso agli studi universitari anche da parte di chi non può permetterselo in base al reddito familiare e alle proprie forze, sono sempre insufficienti e infatti ci sono molti aventi diritto che ne rimangono privi;
    negli ultimi anni, infatti, il diritto allo studio universitario è stato privato di effettività a causa del sempre più frequente fenomeno per cui uno studente risulti idoneo a percepire la borsa di studio ma non possa esserne beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato (tanto da avere fatto notizia la circostanza per cui una regione nel 2016 risulterebbe in grado finalmente di avere la copertura del 100 per cento per l'erogazione delle borse di studio);
    infatti, nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbiano causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
    sullo specifico fondamentale punto del diritto allo studio è in corso una mobilitazione studentesca alla quale anche Alternativa libera-Possibile ha fornito il proprio apporto al fine di presentare una proposta di legge di iniziativa popolare per garantire l'effettività e l'omogeneità delle prestazioni, destinate ad assicurare la copertura totale delle borse di studio, l'efficienza e l'adeguatezza dei servizi e la fascia di esenzione dalle tasse; definire l'ammontare della borsa di studio sulla base di parametri oggettivi e prevedere ulteriori interventi di attuazione del principio di uguaglianza sostanziale ed effettività del diritto allo studio universitario (dall'assistenza sanitaria gratuita nella regione in cui ha sede l'università, anche se non si tratta di quella di residenza, alla tariffa agevolata per la mensa e altro);
    secondo i dati dell'anagrafe del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il numero degli immatricolati è passato da trecentotrentaseimila nell'anno accademico 2003/2004 a duecentosettantamila nel 2014/2015 e dati simili risultano da studi dell'Ocse (dai trecentotrentacinquemila del 2004/2005 a duecentosettantamila del 2014/2015); risulta che siano stati persi circa quattrocentosessantatremila studenti in dieci anni;
    negli ultimi anni c’è stato peraltro anche un sensibile calo delle immatricolazioni: secondo il rapporto Res «Università in declino. Un'indagine sugli atenei da Nord a Sud», a cura di Gianfranco Viesti, «rispetto al momento di massima dimensione (databile, a seconda delle variabili considerate, fra il 2004 e il 2008) al 2014-2015 gli immatricolati si riducono di oltre 66 mila unità, passando da circa 326 mila a meno di 260 mila (con una riduzione del 20 per cento), tanto da portare alla conclusione che «l'Italia ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università»;
    secondo gli obiettivi «Europa 2020» fissati dalla Commissione europea, tra quattro anni dovrebbero esserci, nell'Unione europea, il 40 per cento di giovani laureati, ma l'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento (partendo dal 21,7 per cento del 2012), che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere una maggiore e crescente destinazione di risorse al comparto universitario per portarlo al livello degli altri Paesi dell'Ocse;
   ad assumere iniziative normative a garanzia dell'effettività del diritto allo studio universitario previsto dalla Costituzione, aumentando in particolare le risorse destinate al relativo fondo.
(1-01293) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Matarrelli, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'edizione 2015 del rapporto internazionale Education at a glance prodotto dall'Ocse, solo il 42 per cento degli italiani inizia gli studi universitari, valore che è il più basso in Europa (a parte il Lussemburgo che non ha università) e il penultimo nell'Ocse (davanti solo al Messico), a fronte di una media europea del 63 per cento e di valori massimi che superano l'80 per cento; gli studenti universitari italiani dovrebbero, quindi, aumentare almeno di metà anche solo per raggiungere la media europea, addirittura raddoppiare per raggiungere i Paesi europei più avanzati;
    secondo il medesimo rapporto, l'Italia, per percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni, occupa adesso l'ultimo posto nell'Ocse con il 24 per cento (dopo essere stata a lungo penultima davanti alla Turchia), a fronte di una media europea del 39 per cento; il numero dei laureati italiani dovrebbe, quindi, aumentare di oltre il 60 per cento per raggiungere la media europea, mentre l'obiettivo del 40 per cento fissato da «Europa 2020» è ormai del tutto irraggiungibile per il nostro Paese;
    la percentuale di laureati italiani scende poi al 17 per cento nella fascia 25-64 anni, di nuovo la più bassa nell'Ocse, e, se si analizza il dato su base regionale come ha fatto il gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti nel suo recente rapporto «Università in declino» pubblicato da Donzelli nel 2016, si vede che ai valori più alti (20 per cento) toccati dal Lazio, comunque pur sempre ben lontani dalla media europea, vi sono valori inferiori addirittura al 14 per cento in Puglia e in Sicilia, dello stesso ordine di quelli di Cina, Indonesia o Sudafrica;
    nemmeno l'andamento recente delle immatricolazioni induce a ben sperare poiché, come già evidenziato dal Consiglio universitario nazionale sin dal 2013 e come documentato un mese fa dal XVIII rapporto Almalaurea appena pubblicato, dopo l'aumento registratosi dal 2000 al 2003, legato soprattutto al rientro nel sistema universitario di fasce di popolazione adulta dopo la riforma dell'ordinamento degli studi nel 1999, si è verificato un vistoso calo del 20 per cento dal 2003 al 2015 (in valori assoluti si sono perse circa 70.000 matricole), solo in piccola parte mitigato dal leggero aumento del 2 per cento registrato nell'ultimo anno accademico;
    il dato delle immatricolazioni è anch'esso molto differenziato tra le regioni: infatti il calo di matricole tocca il -30 per cento al Sud, il -22 per cento al Centro ed è pari solo al -3 per cento al Nord; del resto anche il rapporto di Viesti valuta che circa i due terzi delle matricole mancanti abitino nel Meridione e nelle Isole, mentre, in valori assoluti, le università campane e quelle siciliane hanno avuto 6.500 matricole in meno tra il 2009 e il 2013, 5.000 in meno quelle pugliesi;
    tali dati evidenziano, tra l'altro, un accresciuto flusso di giovani meridionali che vanno a studiare nelle università del Centro-Nord – fenomeno di mobilità di per sé non negativo nella misura in cui consente ai giovani di esprimere al meglio il proprio talento e le proprie capacità in sedi e tipologie di studi che ritengono più consone alle loro aspirazioni – ma che si sta trasformando in una vera e propria emigrazione intellettuale;
    a questo proposito il rapporto Almalaurea, relativamente ai laureati magistrali a 5 anni dal conseguimento del titolo, evidenzia che, tra i residenti nel Nord Italia, l'88 per cento ha svolto gli studi universitari e attualmente lavora nella propria area di residenza, mentre l'unico flusso uscente di una certa consistenza (7 per cento) dipende dal trasferimento all'estero; invece, tra i laureati di origine nell'Italia meridionale, il 53 per cento ha trovato lavoro al Nord, mentre solo l'11 per cento di chi si è laureato al Nord rientra dopo gli studi nella propria regione di origine;
    dati sostanzialmente simili riguardo alla mobilità interregionale durante gli studi universitari sono stati ricavati anche da un gruppo di ricerca guidato da Pasqualino Montanaro, ricercatore presso la Banca d'Italia, utilizzando l'Anagrafe nazionale degli studenti universitari nell'ambito del progetto Achab (Affording college with the help of asset building), gestito da un consorzio di enti pubblici o privati senza fini di lucro e finanziato dall'Unione europea;
    il basso numero di studenti e laureati italiani dipende anche da un inefficace sistema di orientamento pre-universitario: il rapporto Anvur 2016 sullo stato del sistema universitario, presentato il 24 maggio 2016, certifica un tasso di abbandoni che tocca il 38,5 per cento a dieci anni dall'immatricolazione e soprattutto che tocca il 19,6 per cento a soli due anni dall'immatricolazione (abbandoni precoci), anche se si registra un piccolo miglioramento rispetto al rapporto 2014;
    lo stesso rapporto evidenzia che il tasso di abbandoni precoci è maggiormente concentrato tra i diplomati degli istituti tecnici e professionali e tra gli studenti del Meridione e delle Isole;
    tra le ragioni che spiegano il basso numero di studenti e di laureati deve sicuramente annoverarsi anche il limitato impegno nazionale nel campo del diritto allo studio universitario, nonostante il recente e molto significativo aumento dello stanziamento statale che è passato dai 162 milioni del 2015 ai 217 del 2016: infatti nel 2014/2015 solo l'8,2 per cento degli studenti italiani ha ottenuto la borsa di studio e solo il 10,3 per cento è stato destinatario di un qualche intervento di diritto allo studio, a fronte di valori superiori al 30 per cento in Francia, Inghilterra e Svezia, superiori addirittura all'80 per cento in Olanda, Danimarca, Finlandia;
    è ancora purtroppo sussistente la categoria degli idonei non beneficiari, cioè studenti valutati come idonei, per ragioni di reddito e di merito, a ottenere la borsa di studio ma che non la ricevono per mancanza di fondi, categoria di cui fa parte circa un quarto degli idonei (oltre 45.000 studenti); anche in questo caso si registrano notevoli differenze a livello regionale: la percentuale di idonei non beneficiari è inferiore al 10 per cento in tutte le regioni del Nord e del Centro, salvo Piemonte e Lazio, mentre è superiore al 40 per cento in Piemonte, Campania, Calabria, Sardegna, con un picco negativo di oltre il 65 per cento in Sicilia;
    eppure la borsa di studio si dimostra strumento abbastanza efficace: come mostra una ricerca condotta dall'Osservatorio regionale del Piemonte sotto la guida di Federica Laudisa, i borsisti abbandonano gli studi universitari il 13 per cento di volte in meno dei non borsisti e conseguono in media 13 crediti formativi in più ogni anno rispetto ai non borsisti;
    anche sul fronte delle contribuzioni alle università da pagare da parte degli studenti (le cosiddette tasse universitarie), le università italiane si dimostrano alquanto esose con i loro studenti: per entità delle tasse pagate dagli studenti, l'Italia è al terzo posto in Europa dopo la Gran Bretagna e l'Olanda, con poco meno di 2.000 euro annui in media, mentre in molti Paesi europei, tra cui la Germania e tutte le nazioni scandinave, l'istruzione universitaria è gratuita o quasi;
    il risultato è che nel nostro Paese le condizioni economiche e culturali delle famiglie di origine pesano molto più che in altri sul successo scolastico e sul reddito dei figli: ad esempio il rapporto annuale dell'Istat valuta che il livello professionale del capo famiglia e la proprietà della casa di abitazione porta ai figli un vantaggio reddituale del 14 per cento in Italia ma dell'8 per cento in Francia, mentre il figlio di un genitore laureato dispone in Italia di un reddito mediamente superiore del 29 per cento al figlio di genitori con la licenza media;
    riguardo, infine, all'efficacia sociale di possedere un titolo di studio universitario, non solo i laureati hanno una speranza di vita maggiore di 3,8 anni rispetto a chi ha raggiunto solo la licenza media, ma, nonostante la lunga crisi economica globale, hanno ancora oggi occasioni di occupazione e livello di reddito ben maggiori dei diplomati; ad esempio il rapporto annuale dell'Istat certifica che nel 2007 la disoccupazione nella fascia 25-34 anni era del 9,5 per cento tra i laureati ma del 13,1 per cento tra i diplomati, mentre nel 2014 (dopo sette anni di crisi) ambedue le percentuali erano molto cresciute attestandosi al 17,7 per cento per i laureati, ma ben al 30 per cento per i diplomati; dati simili sono forniti anche dal XVIII rapporto Almalaurea che indica nel 67 per cento il tasso di occupazione dei laureati magistrali a un anno dal conseguimento del titolo, in piccola ripresa dopo la lunga crisi che lo ha fatto scendere dall'82 per cento del 2008 al 66 per cento del 2014;
    il XXI rapporto sulle retribuzioni, pubblicato recentemente dal gruppo privato OD&M consulting, mostra altresì che il neolaureato in ingresso guadagna di più di un lavoratore senza laurea con alle spalle già 3-5 anni di anzianità; inoltre il titolo di laurea mitiga anche il differenziale retributivo tra uomini e donne rispetto a quello presente tra i non laureati;
    i dati esposti nelle premesse, provenienti da agenzie internazionali e da accurate ricerche, acclarano il fatto che l'Italia soffre di un serio ritardo nella diffusione della formazione universitaria nella popolazione, sia in generale, sia nella fascia più giovane, e che non si registrano purtroppo segnali di inversione di tendenza e di recupero;
    gli stessi dati evidenziano ancora una volta il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane: a pagare il prezzo più elevato di questo depauperamento di capitale umano sono le regioni del Mezzogiorno, continentali e insulari, dove si registra la diminuzione più marcata di immatricolati e i flussi più significativi di mobilità giovanile unidirezionale verso le altre regioni, ma non mancano segni di difficoltà anche nelle aree interne e marginali del Settentrione e del Centro;
    nonostante che la ripresa sia stata finalmente agganciata dopo la lunga crisi globale, grazie alle politiche del Governo sul mercato del lavoro e ad altre specifiche scelte di natura sociale ed economica per incrementare la domanda interna, occorre anche tener conto che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata nel primo decennio del secolo e quindi sembra opportuno realizzare interventi redistributivi che incidano, in particolare, sui meccanismi che conducono alla formazione dei redditi primari e, quindi, aiutino gli individui a dotarsi di capacità meglio remunerate sul mercato del lavoro, come, ad esempio, tutte le politiche dell'istruzione;
    ciò che è stato realizzato nell'ambito scolastico con gli ingenti investimenti e le riforme messe in campo dalla legge n. 107 del 2015, deve ora essere esteso alla formazione post-secondaria, in quanto conseguire un titolo di studio superiore non solo permette di realizzare l'apprezzabile obiettivo di una società forte di competenze di cittadinanza, competitiva e dinamica, ma porta evidenti vantaggi ai singoli cittadini interessati;
    occorre, dunque, rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di quest'obiettivo, agendo sia sul lato del diritto allo studio che su quello della contribuzione universitaria per dare supporto alle famiglie di studenti universitari che devono affrontare i costi degli studi; la gracilità degli attuali sistemi determina una perdita netta di talenti e di opportunità, individuali e per l'intero Paese, e perpetua l'immobilità sociale ed economica, la rigidità delle rendite di posizione e la sclerosi delle corporazioni di cui soffre l'Italia;
    in questo ambito, una particolare attenzione deve essere rivolta alle sperequazioni esistenti tra le diverse aree territoriali del Paese, a danno soprattutto delle regioni meridionali e delle aree interne e marginali, che sono probabilmente tra le cause delle gravi difficoltà economiche e sociali di queste aree e della loro maggiore difficoltà di ripresa;
    a seguito dell'entrata in vigore delle norme del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 adesso si dispone di uno strumento raffinato ed efficace, l'indicatore della situazione economica equivalente o Isee, per valutare il reddito e il patrimonio di chi richiede di accedere alle prestazioni sociali, in particolare delle famiglie degli studenti universitari, ai quali è specificamente destinato l'articolo 8 del sopra citato provvedimento di riforma dell'Isee;
    a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 893 del 2014, è entrato in funzione nel 2015 uno strumento introdotto dalla legge n. 240 del 2010, cioè il costo standard per studente, che è certamente un metodo molto innovativo e trasparente per ripartire una parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, metodo certamente da consolidare e potenziare dopo aver provveduto ad individuare e a correggere gli aspetti che si fossero rivelati più deboli rispetto agli obiettivi e alle prescrizioni della legge;
    tra gli aspetti del costo standard per studente che si sono rivelati più problematici vi sono:
     a) la quantificazione dei costi di studenti in ritardo, perché studenti part-time, rispetto all'attuale sistema on-off (1 gli studenti in corso, 0 gli studenti fuori corso);
     b) l'addendo perequativo, che dovrebbe essere per legge commisurato ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, ma che nel 2015 ha pesato per una percentuale minima sul costo standard totale: meno del 6 per cento per la Sicilia, circa del 3 per cento per la Sardegna, rispetto alla Lombardia;
     c) la dimensione delle classi ottimali, uniforme in tutta Italia in modo indipendente dai territori e quindi dalle diverse densità di popolazione e disponibilità di infrastrutture per la mobilità e l'ospitalità degli studenti, che si riflette pesantemente sul finanziamento assegnato alle università con corsi di studio di dimensioni sub-ottimali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per stabilizzare definitivamente il fondo integrativo per il diritto allo studio al valore stanziato per il 2016 dall'ultima legge di stabilità, come primo passo per consolidare il diritto allo studio universitario e per garantire la borsa di studio a tutti gli idonei, con l'obiettivo di una crescita graduale del fondo per raggiungere almeno i valori medi europei;
   ad emanare quanto prima, superando la normativa pregressa che risale al 2001, il decreto ministeriale previsto dall'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, con un duplice obiettivo: da un lato aggiornare e rendere maggiormente omogenei a livello nazionale i requisiti di merito dello studente e di reddito e patrimonio della famiglia (Isee) per accedere alle prestazioni del diritto allo studio universitario; da un altro lato, stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo sulla base del fabbisogno regionale – come stabilito dall'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 68 del 2012 – rendendo altresì vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie, oltre al gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, in misura pari ad almeno il 40 per cento del fondo integrativo statale ricevuto;
   nel rispetto dell'autonomia delle università e con l'intento di rendere più equa e progressiva l'imposizione, a valutare la possibilità di assumere iniziative per passare dall'attuale sistema di controllo della contribuzione universitaria nelle università statali collegato ad un limite massimo sul gettito totale (articolo 5, commi 1, 1-bis e 1-ter, del decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997) ad un nuovo sistema collegato invece ad un limite massimo della contribuzione che deve essere pagata da ciascuno studente di famiglia con Isee medio-basso, fino anche a pervenire, per Isee bassi, ad annullare tale contribuzione con una specifica no-tax area;
   ad assumere iniziative per disporre che una quota del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, nonché, relativamente alle regioni dell'obiettivo convergenza, una quota del fondo di sviluppo e coesione previsto dal decreto legislativo n. 88 del 2011 sia destinata alle università a parziale compensazione della riduzione di gettito che deriva loro dagli studenti che non pagano contribuzioni o le pagano in misura molto ridotta, anche per diminuire l'effetto finanziario disincentivante dell'immatricolazione di studenti di famiglie poco abbienti;
   a valutare la possibilità di rivedere, dopo il primo anno di applicazione, le modalità di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda:
    a) il calcolo degli studenti part-time, per i quali è ancora mancante una chiara normativa di riferimento;
    b) l'addendo perequativo, per tener meglio conto, come prescrive la legge n. 240 del 2010, dei «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le università;
    c) il calcolo del finanziamento spettante a ciascun ateneo in presenza di corsi di studio con numero di studenti iscritti in corso inferiore alla dimensione ottimale;
    d) una migliore articolazione, rispetto alle diverse classi di corsi di laurea e ai diversi territori di riferimento delle università, delle dimensioni ottimali dei corsi di studio in termini di numero di studenti;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare e pluralizzare l'offerta formativa universitaria e per rafforzare le attività di orientamento pre-universitario per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni e soprattutto degli abbandoni precoci, con particolare riguardo agli studenti del Mezzogiorno e tenendo anche conto delle caratteristiche e delle aspirazioni dei diplomati degli istituti tecnici e professionali.
(1-01294) «Ghizzoni, Coscia, Covello, Dallai, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'ultimo rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR 2016), nonostante la crescita degli ultimi anni, l'Italia rimane tra gli ultimi Paesi in europa per quota di popolazione in possesso di un titolo d'istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane (24 per cento contro 37 per cento della media UE e 41 per cento media OCSE nella popolazione 25-34 anni); così il nostro Paese ha colmato la distanza in termini di giovani che conseguono un diploma di scuola secondaria superiore, ma presenta tassi di accesso all'istruzione terziaria ancora più bassi della media europea e OCSE (42 per cento contro 63 per cento nella media UE, 67 per cento media OCSE);
    nonostante si sia realizzata in un contesto di tagli al diritto allo studio – spesso operati a livello regionale – che intaccano l'uguaglianza delle opportunità richiesta dalla Costituzione, la mobilità degli studenti tra atenei è recentemente aumentata in tutte le aree del Paese, specialmente a livello di lauree magistrali; così la quota di quanti studiano fuori regione è salita dal 18 per cento del 2007-2008 al 22 per cento nel 2015-2016 a beneficio soprattutto degli atenei del Centro-Nord;
    secondo i dati OCSE (Education at a Glance 2015) la spesa in istruzione terziaria in Italia risulta inferiore a quella media OCSE, sia in rapporto al numero degli studenti iscritti sia in rapporto al prodotto interno lordo; così, nel 2015, le somme stanziate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per il finanziamento del sistema universitario e per il sostegno agli studenti e al diritto allo studio ammontano a 7,25 miliardi di euro, mentre nel 2016 l'ammontare previsto è di 7,34 miliardi di euro – valori simili a quelli del 2013 e 2014, ma lontani dal massimo raggiunto nel 2009 di 8,44 miliardi di euro;
    la principale criticità del sistema di diritto allo studio è rappresentata dalla cronica carenza di risorse, dal fatto che quelle disponibili non sempre vengono erogate in maniera tempestiva, e dall'incertezza circa la permanenza del sostegno da un anno all'altro. Inoltre, permane una eterogeneità (tra regioni e, all'interno delle stesse, tra i diversi atenei) nei requisiti di accesso e nei tempi di erogazione dei benefici; il 47,3 per cento della spesa regionale per gli interventi di sostegno agli studenti è così coperto dalla tassa universitaria regionale e, negli ultimi anni, quest'ultima è stata elevata a 140 euro nella maggior parte delle regioni;
    senza un aumento complessivo delle risorse investite nella formazione terziaria e nella ricerca e una maggiore diversificazione dell'offerta appare difficile conseguire gli obiettivi della strategia «Europa 2020» e si rischia di rimanere lontani dagli altri Paesi europei, che si prefiggono di investire il 3 per cento del Pil nella ricerca (a fronte dell'obiettivo nazionale dell'1,5 per cento) e di conseguire una quota pari al 40 per cento di giovani con titolo di formazione terziaria (contro il 26 per cento in Italia),

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a migliorare la ripartizione delle risorse, sostenendo con più decisione aspetti come il diritto allo studio e le prospettive di carriera dei migliori giovani studiosi e delle migliori giovani studiose;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a differenziare il sistema nazionale di istruzione terziaria affinché non solo aumenti l'impegno nella riduzione degli abbandoni e nel recupero dei ritardi, ma si arrivi anche a un ampliamento dell'offerta didattica in direzione tecnico-professionale, e non solo universitaria.
(1-01295) «Marzano, Nesi, Marcolin, Matteo Bragantini, Prataviera, Labriola, Faenzi, Parisi, D'Alessandro, Lainati, Locatelli, Di Lello, Prodani, Pastorelli».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    con la nota sentenza del 21 febbraio 2005 n. 13794, la sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dal comune di Pineto contro la società Eni, riconoscendo il potere impositivo del comune sulle acque territoriali. Secondo la Suprema Corte, «sull'intero territorio dello Stato, ivi compreso il mare territoriale, convivono e si esercitano i poteri dello Stato, contestualmente ai poteri dell'Ente regione e degli Enti locali». Per questo motivo «non è configurabile, quindi, che su una porzione “del territorio inteso in senso lato su cui si esercita la sovranità dello Stato” non convivano i poteri delle autorità regionali e locali». Se infatti, per assurdo, su parte di questo territorio, ricoperto dal mare territoriale, non venissero esercitati i poteri amministrativi della regione e del comune, «ne deriverebbe la necessaria conseguenza che, nell'ipotesi di costruzione su palafitte nel mare territoriale, i Comuni non avrebbero nessuna possibilità di esercitare le funzioni amministrative loro proprie»;
    la sentenza della Suprema Corte è stata poi ripresa anche dai giudici di merito. Nel novembre 2012 la commissione regionale del Molise ha accolto il ricorso presentato dal comune di Termoli condannando l'Edison al pagamento nelle casse del comune molisano di 9 milioni di euro (7,748 a titolo di Ici e 1,2 di interessi). Tuttavia, non sono mancati orientamenti contrari delle commissioni tributarie. Nel dicembre 2009 e 2012, la commissione tributaria regionale d'Abruzzo, ribaltando le sentenze pronunciate dai giudici di primo grado, ha dato ragione all'Eni, secondo il principio che le piattaforme non sarebbero accatastabili e quindi non suscettibili di imposizione;
    evidenziando il contrasto giurisprudenziale e l'incertezza interpretativa sulla questione, con l'interrogazione n. 5-06937 dell'11 novembre 2015, presentata dal primo firmatario del presente atto, è stato richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze di valutare l'opportunità di intervenire normativamente per far chiarezza sull'applicazione dell'ICI/IMU alle piattaforme petrolifere. Nel rispondere all'interrogazione, il Ministero dell'economia e delle finanze ha richiamato l'orientamento espresso dall'Agenzia del territorio con la circolare del 1o dicembre 2008 ed ha precisato che non sussisterebbe alcun obbligo normativo di iscrizione in catasto per le piattaforme petrolifere, non sussistendo peraltro alcuna competenza dei comuni sul mare territoriale (per il quale risulterebbe competente l'Istituto idrografico della marina che, nella legge 2 febbraio 1960, n. 68, è individuato, come uno degli organi cartografici dello Stato, al pari dell'amministrazione catastale). Sempre secondo il Ministero dell'economia e delle finanze, l'orientamento interpretativo espresso dall'Agenzia delle entrate sarebbe stato condiviso da talune commissione tributarie e, pertanto, il quadro ermeneutico in merito alla tassabilità delle piattaforme petrolifere resterebbe incerto. Concludendo, il Ministero dell'economia e delle finanze ha tuttavia precisato che: «si ritiene opportuno attendere che l'orientamento interpretativo della giurisprudenza si consolidi prima di dar seguito ad iniziative, anche normative, nel senso auspicato dagli Onorevoli interroganti. In questo senso, sarà cura di questa amministrazione seguire gli sviluppi della problematica segnalata ed effettuare i necessari approfondimenti tecnici per dare soluzione alla stessa»;
    a conclusione di un analogo contenzioso tra il comune di Pineto (Teramo) e la società Eni spa, con la recente sentenza n. 3618 del 25 febbraio 2016 la Corte di Cassazione ha nuovamente stabilito l'obbligo per le piattaforme petrolifere di pagare l'imposta che, nella fattispecie, trattandosi di competenze fiscali relative all'anno 1999, è risultata essere l'ICI. Uniformandosi alla precedente pronuncia, la S.C. ha ribadito che le quattro piattaforme sono soggette ad ICI e classificabili nella categoria D/7, stante la riconducibilità delle stesse al concetto di immobile ai fini civili e fiscali e la loro suscettibilità di accatastamento e di produrre un reddito proprio in quanto la redditività deve essere riferita allo svolgimento di attività imprenditoriale-industriale e non alla diretta produzione di un reddito da parte della struttura;
    in risposta all'interrogazione 5-08070, presentata dall'onorevole Paglia, con la quale è stato nuovamente richiesto al Ministero dell'economia e delle finanze di intervenire con misure normative di chiarimento, il suddetto Ministro preso atto dell'ennesima sentenza della Suprema Corte, ha ravvisato la necessità di «una via normativa» per risolvere definitivamente la questione, nonché disciplinare aspetti — come quelli dell'individuazione del soggetto attivo del tributo e della determinazione della base imponibile tenendo conto dei valori contabili — che non appaiono risolvibili attraverso la semplice applicazione dei principi della sentenza n. 3618 del 2016. Pertanto, lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze ha così concluso la risposta: «sarà compito degli Uffici tecnici dell'Amministrazione finanziaria approfondire la problematica per proporre al Governo una soluzione normativa... In relazione a quanto esposto, al fine dell'iscrizione in catasto delle piattaforme petrolifere (così come previsto per analoghi impianti situati sulla terraferma), è necessario un approfondimento della problematica, vista la recente emanazione della sentenza di cui trattasi, nonché anche in considerazione delle competenze in materia di inventariazione degli impianti in argomento spettanti al Ministero dello Sviluppo economico, per valutare l'opportunità di un intervento normativo di raccordo che consenta il censimento delle costruzioni (dotate di autonomia funzionale e reddituale) site nel mare territoriale, anche con riferimento alla relativa delimitazione, georeferenziazione e riferibilità ad uno specifico Comune censuario»;
    ad oggi, ancora non risultano avviate iniziative normative in tal senso,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, nel più breve tempo possibile, per far chiarezza in merito alla tassabilità ai fini delle imposte locali delle piattaforme petrolifere, uniformandosi all'orientamento giurisprudenziale da ultimo ribadito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3618 del 25 febbraio 2016, ed in particolare allo scopo di:
    a) stabilire la tassabilità ai fini delle imposte locali delle piattaforme petrolifere, da considerarsi a tal fine come entità immobiliari dotate di autonomia strutturale e reddituale rispetto ai macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo, per i quali resta ferma in ogni caso l'esenzione (a decorrere dal 1o gennaio 2016) di cui all'articolo 1, comma 21, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016);
    b) estendere alle piattaforme petrolifere l'applicazione dell'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 504 del 1992, il quale prevede che per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, il valore è determinato secondo i criteri contabili;
    c) riconoscere, nei limiti sanciti dalle convenzioni territoriali, la potestà impositiva degli enti locali nell'ambito del mare territoriale, fino ad una distanza di 12 miglia marine;
    d) attribuire agli enti locali la soggettività tributaria attiva in merito all'imposizione locale sulle piattaforme petrolifere, con ogni effetto in ordine alla gestione del tributo e all'attribuzione del gettito.
(7-01017) «Alberti, Crippa, Pesco, Villarosa, Pisano, Ruocco, Fico, Cancelleri, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Vallascas, Gallinella».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    nel porto di Taranto è stato aperto nel 2001 il terminal contenitori, uno tra i più moderni nel Mediterraneo con una capacità di movimentazione di oltre 2 milioni di TEU l'anno. Tale terminal è situato sul molo polisettoriale, dotato di un'area operativa di 110 ettari con 25 ettari di piazzale, dove sono disponibili 7062 posizioni a terra per container, pari ad una capacitò di 35.310 TEU. La banchina utilizzata dal terminal ha una lunghezza di 1550 metri ed un fondale di 15,5 metri che consente l'attracco di navi con pescaggio fino a 14,5 metri;
    il terminal fu dato in concessione alla Taranto Container s.p.a. il cui maggiore azionista, insieme alla Evergreen, era la Hutchinson Port Holding, terminal operatore leader mondiale del settore, dal 2001 fino alla fine del 2014, occupando circa 524 lavoratori oggi in cassa integrazione;
    il terminal, attualmente oggetto di interventi infrastrutturali, si presta certamente ad un riutilizzo con il coinvolgimento di più operatori e con maggiori funzioni;
     da un articolo di stampa del 23 maggio 2016, pubblicato dal quotidiano on line tarantobuonasera.it si apprende che presso il prefetto di Taranto, Umberto Guidato, abbia ricevuto in prefettura le rappresentanze sindacali, Cgil, Cisl e Uil, alla presenza del presidente dell'autorità portuale della città, Sergio Prete, per un aggiornamento sulla complessa vicenda relativa alla vertenza occupazionale riguardante la Taranto Container Terminal (Tct);
    infatti, le rappresentanze sindacali avrebbero espresso forte preoccupazione per l'avvio del licenziamento collettivo da parte della TCT, che avrebbe già inviato le comunicazioni di avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro a partire dall'11 settembre;
    l'articolo riporta: «Occorrerà agire adesso su due fronti – spiega il sindacato. Tornare al Ministero dello Sviluppo economico (Mise), anche sollecitando con forza le rappresentanze Istituzionali del territorio ionico, per sostenere la richiesta al Governo di emanazione di un provvedimento straordinario di proroga della cassa integrazione, di almeno ulteriori 12 mesi. Contestualmente vigilare sul rispetto dei tempi per completare le opere infrastrutturali nell'area del Porto di Taranto, assumendo il comune obiettivo di coniugare l'avvio delle nuove attività con l'assorbimento produttivo dei lavoratori, così che non ne sia pregiudicata la continuità di reddito familiare»;
    già in un precedente articolo de larimghiera.it, pubblicato il 26 aprile 2016 si riportava: «tra gli ex lavoratori Tct c’è grande apprensione perché il prossimo 11 settembre scade la cassa integrazione straordinaria e l'azienda non sembra intenzionata a concedere proroghe. Un incontro in tal senso si è svolto negli uffici dell'Agenzia del Lavoro presso la Provincia di Taranto, lo scorso 21 aprile. La riunione si è conclusa con un nulla di fatto e Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno chiesto un aggiornamento».;
    inoltre, i sindacati di categoria avrebbero inviato una richiesta alla Presidenza del Consiglio e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali (oltre che alle autorità locali) per chiedere: «l'attivazione di strumenti ad hoc per la gestione degli esuberi nella prospettiva della piena ripresa delle attività commerciali; un aggiornamento della consultazione in sede amministrativa, prima della chiusura della stessa (11 maggio 2017), presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale». La richiesta sembra non sia stata l'unica, ma segue altre precedenti sollecitazioni del 15 febbraio 2016, del 23 marzo 2016, del 12 aprile 2016; i lavoratori, a parere dei sindacati, corrono il rischio di rimanere senza lavoro e senza sussidio pochi mesi prima del completamento delle opere di potenziamento strutturale del molo polisettoriale, previsto per dicembre, e dell'affidamento delle nuove concessioni;
   nella risposta del Sottosegretario Massimo Cassano, fornita il 12 maggio in Commissione lavoro, ad una precedente interrogazione, la n. 5-08547, con la quale si chiedeva quali iniziative urgenti intendesse adottare il Governo per tutelare i 524 lavoratori coinvolti, non essendoci i presupposti di legge per una proroga della cassa integrazione, si legge che: «...è attualmente in corso la procedura per il rilascio di concessioni sul molo polisettoriale in precedenza occupato da Taranto Container Terminal S.P.A. e che nel bando di gara l'Autorità portuale di Taranto ha previsto una premialità per l'impresa che avesse provveduto all'assunzione dei dipendenti della società medesima. Da ultimo, posso assicurare che la situazione evidenziata dall'interrogante è all'attenzione del Ministero che rappresento il quale – nell'ambito del Tavolo sull'area di crisi complessa di Taranto, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico – continuerà a monitorare i futuri sviluppi della vicenda, anche nella eventuale prospettiva di esaminare le principale criticità»,

impegna il Governo

a farsi promotore della costituzione di un tavolo di lavoro, coinvolgendo la regione Puglia, la prefettura, l'autorità portuale e le rappresentanze sindacali, per monitorare la situazione sopra esposta per la salvaguardia del futuro dei 524 lavoratori, nella prospettiva di un reimpiego presso le imprese che otterranno le nuove concessioni.
(7-01018) «Labriola».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 415, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) prevede che l'ISMEA possa concedere garanzie e aiuti per l'accesso al credito a favore delle imprese della pesca e dell'acquacoltura anche avvalendosi delle risorse del Fondo europeo per gli affari marittimi e per la pesca (FEAMP);
    a tal fine le disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, e all'articolo 1, comma 512, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, si applicano in favore delle imprese della pesca e dell'acquacoltura: l'ISMEA può prestare la propria garanzia a fronte di finanziamenti a breve, a medio ed a lungo termine concessi da banche, intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui all'articolo 107 del TUB resto unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, decreto legislativo n. 385 del 1993 e successive modificazioni), nonché dagli altri soggetti autorizzati all'esercizio del credito agrario e destinati alle imprese operanti nel settore agricolo, agroalimentare e della pesca; la garanzia può altresì essere concessa anche a fronte di transazioni commerciali;
    l'articolo 57 del regolamento (Ue) n. 508/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativo al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca dispone che, per salvaguardare le entrate dei produttori acquicoli, il FEAMP possa contribuire a un'assicurazione degli stock acquicoli che copra le perdite dovute ad almeno uno dei seguenti eventi, riconosciuti ufficialmente – anche in base a criteri prestabiliti – dallo Stato membro interessato:
     a) calamità naturali;
     b) eventi climatici avversi;
     c) improvvisi cambiamenti della qualità e della quantità delle acque per i quali l'operatore non è responsabile;
     d) malattie nel settore acquicolo, mancato funzionamento o distruzione di impianti di produzione per i quali l'operatore non è responsabile; il sostegno del FEAMP è concesso unicamente per contratti assicurativi degli stock acquicoli che coprono le perdite economiche pari a più del 30 per cento del fatturato annuo dell'acquacoltore, calcolato sulla base del fatturato medio dell'operatore dell'acquacoltura nel corso dei tre anni civili precedenti l'anno in cui si sono verificate le perdite economiche;
    le diverse forme di garanzia per favorire l'accesso al credito da parte delle imprese sono rilasciate da ISMEA mediante la Società gestione fondi per l'agroalimentare – società di scopo a responsabilità limitata al 100 per cento di proprietà dell'ISMEA (SGFA), che gestisce gli interventi per il rilascio delle garanzie dirette e delle garanzie sussidiarie, attribuite per legge ad Ismea; la garanzia diretta SGFA è disciplinata dal decreto ministeriale 22 marzo 2011 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, adottato di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze; la garanzia diretta, che favorisce l'accesso al credito delle aziende con quattro differenti tipologie (fideiussione, cogaranzia, controgaranzia, garanzia di portafoglio) non può superare il limite di 1 milione di euro per le micro o piccole imprese e di 2 milioni di euro per le medie imprese; inoltre, la garanzia può essere concessa entro il limite del 70 per cento del finanziamento, o entro il limite dell'80 per cento per i giovani imprenditori, e fino all'importo massimo garantito in essere di euro 1.000.000 per le micro e piccole imprese e di euro 2.000.000 per le medie imprese;
    la garanzia sussidiaria, di cui al decreto ministeriale 14 febbraio 2006; rilasciata in modo automatico dalla SGFA ai sensi dell'articolo 43 del decreto legislativo n. 385 del 1993, è liquidata dalla SGFA alla banca che registri una perdita in seguito alla escussione della garanzia primaria;
    i commi da 659 a 664 della legge di stabilità 2016 hanno disposto l'incorporazione di diritto della società Istituto per lo sviluppo agroalimentare s.p.a. (ISA) e della società Gestione fondi per l'agroalimentare s.r.l. (SFGA) nell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA),

impegna il Governo

per favorire l'accesso al credito delle imprese della pesca e dell'acquacoltura mediante le garanzie accordate da ISMEA, ad assumere iniziative per predisporre un piano finanziario, impiegando fondi ISMEA e risorse del fondo europeo per gli affari marittimi e per la pesca (FEAMP), e un piano assicurativo, a norma dell'articolo 57 del regolamento (Ue) n. 508/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014.
(7-01016) «Venittelli, Pelillo, Sani, Oliverio, Crivellari, Arlotti, Vico, Marco Di Maio, Luciano Agostini, Donati, Lodolini, Mongiello, Morani, Carrescia, Paola Boldrini, Iacono, Minnucci, Romanini, Capozzolo, Zardini, Manzi, Rostellato, Capone, Culotta».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   in data 31 maggio 2016 il consiglio regionale della Campania ha approvato la proposta di legge «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione per la procedura dei direttori delle Aziende Sanitarie e ulteriori misure di razionalizzazione»;
   la succitata legge modifica, in maniera sostanziale, il meccanismo di nomina dei direttori generali delle Asl apportando alcune modifiche all'articolo 18-bis della legge regionale 3 novembre 1994 n. 32, recante «Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modifiche e integrazioni, riordino del servizio sanitario regionale», come da ultimo modificato dall'articolo 3 della legge regionale n. 20 del 23 dicembre 2015 e dall'articolo 22 della legge regionale n. 6 del 5 aprile 2016;
   la legge, in particolare, ha modificato il sistema di nomina dei direttori generali del servizio sanitario regionale della Campania che in conformità alla normativa nazionale, seppur con alcune anomalie, prevedeva un doppio livello o meccanismo di valutazione/selezione ovvero un primo livello per essere inclusi nell'elenco regionale degli idonei attraverso apposita commissione di valutazione ed un secondo livello conseguente all'avviso pubblico, messo entro i sessanta giorni antecedenti la data di scadenza dell'incarico di direttore generale e volto ad acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992 ed iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni, e a tal fine era prevista una seconda commissione che provvedeva alla valutazione dei titoli e dei requisiti posseduti dagli idonei;
   con la legge appena approvata, più nello specifico:
    è stato soppresso il secondo livello di valutazione ovvero la previsione che entro il sessantesimo giorno antecedente la data di scadenza dell'incarico di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), la regione, salva la possibilità del rinnovo per una sola volta del direttore generale uscente in possesso dei requisiti professionali previsti e iscritto nell'elenco degli idonei, emetta un avviso pubblico, pubblicato anche sul proprio sito internet, per acquisire le candidature dei soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni;
    è stata modificata la previsione che il presidente della giunta regionale, su conforme deliberazione della giunta stessa, nominasse il direttore generale all'interno di una rosa di cinque candidati che hanno ottenuto i migliori punteggi, a seguito della valutazione dei titoli e dei requisiti posseduti dagli idonei che hanno partecipato all'avviso, prevedendo che il presidente della giunta nomini il direttore generale direttamente tra i soggetti in possesso dei requisiti professionali di cui all'articolo 3-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, iscritti nell'elenco regionale degli idonei alla nomina di direttore generale, oppure negli analoghi elenchi delle altre regioni. Conseguentemente, è stata soppressa anche la parte in cui si prevedeva la commissione deputata alla valutazione degli interessati all'incarico, costituita secondo i medesimi criteri previsti per la commissione deputata alla formazione degli elenchi regionali;
    è stata modificata, da sei a nove mesi, la durata massima dei commissariamenti delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale;
   la materia è disciplinata a livello nazionale:
    dal decreto legislativo n. 502 del 1992 «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 e specificatamente dall'articolo 3-bis Direttore generale, direttore amministrativo e direttore sanitario»;
    dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 (cosiddetta delega Madia) che all'articolo 11 prevede una delega al Governo in materia di dirigenza pubblica e di valutazione dei rendimenti dei pubblici ufficiali e specificatamente, come indicato alla lettera p) del citato articolo 11, anche con riferimento agli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario e di direttore dei servizi socio-sanitari;
   entrambe le citate norme nazionali recitano che le disposizioni in esse indicate costituiscono principi fondamentali ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione laddove, al terzo comma, prevede che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato; nel caso di specie il principio fondamentale è in materia di tutela della salute;
   la normativa regionale non può quindi porsi in contrasto con le norme sopracitate, altrimenti violando l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, per contrasto col richiamato principio della legislazione statale in materia di tutela della salute, di cui all'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992;
   l'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 riguardo alla nomina dei direttori generali prevede che i provvedimenti di nomina siano adottati attingendo obbligatoriamente all'elenco regionale di idonei, ovvero agli analoghi elenchi delle altre regioni, costituiti previo avviso pubblico e tramite una selezione effettuata, secondo modalità e criteri individuati dalla regione, da parte di una commissione costituita dalla regione medesima in prevalenza tra esperti indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti, di cui uno designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Gli elenchi sono aggiornati, almeno ogni due anni;
   alla selezione, sempre ai sensi del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, si accede con il possesso di laurea magistrale e di adeguata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel campo delle strutture sanitarie o settennale negli altri settori, con autonomia gestionale e con diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, nonché di eventuali ulteriori requisiti stabiliti dalla regione;
   la regione è tenuta ad assicurare, anche mediante il proprio sito internet, adeguata pubblicità e trasparenza ai bandi, alla procedura di selezione, alle nomine e ai curricula e la nomina del direttore generale deve essere effettuata nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di vacanza dell'ufficio;
   l'articolo 11 della legge delega 7 agosto 2015, n. 124 «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», detta criteri e principi direttivi anche riguardo al conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore sanitario, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, di direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando quanto previsto dall'articolo 3-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per quanto attiene ai requisiti, alla trasparenza del procedimento e dei risultati, alla verifica e alla valutazione, definizione dei seguenti principi fondamentali, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione;
   i principi indicati dalla legge delega sono: selezione unica per titoli previo avviso pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei relativi incarichi da effettuare nell'ambito di una rosa di candidati costituita da coloro che, iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse all'incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o provincia autonoma che procede secondo le modalità del citato articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni;
   in data 18 maggio 2016 è stato trasmesso alla Camera e assegnato e alle competenti commissioni (XII affari sociali e V bilancio) lo schema di decreto legislativo recante attuazione della delega di cui all'articolo 11, comma 1, lettera p), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (305), affinché siano emanati i prescritti pareri (da rendersi entro il 17 luglio 2016) e sullo schema di decreto si sono già espressi sia la Conferenza delle regioni e delle province autonome sia il Consiglio di Stato;
   nel testo dello schema di decreto e in entrambi pareri resi dalle citate autorità si conferma la necessità di mantenere un meccanismo di nomina che da un lato preveda la formazione di un elenco (in questo caso nazionale) dal quale le regioni devono attingere e l'altro una procedura selettiva per titoli e colloquio, previo avviso pubblico dell'incarico da ricoprire, volte a determinare una rosa (rectius «terna») di nominativi tra i quali il presidente della regione individua il candidato più idoneo; nella terna proposta non possono essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte, presso la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del Servizio sanitario nazionale;
   il Consiglio di Stato, nel suo parere afferma: «La neutralità amministrativa del direttore generale e la sua indipendenza funzionale sono due degli obiettivi che, come si dirà, la legge di delega e lo schema del decreto attuativo qui in esame, in coerenza con le finali più generali di trasparenza e imparzialità perseguite dalla stessa legge n. 124 del 2015, si prefiggono di raggiungere attraverso un sistema bifasico che prevede un elenco nazionale aggiornato a una apposita Commissione nazionale, di soggetti qualificati elenco al quale la Commissione regionale deve necessariamente attingere per la terna di nomi da sottoporre alla nomina dell'organo politico»;
   è dunque lapalissiano che la legge regionale approvata si pone in netto contrasto con la normativa nazionale violando l'articolo 117 della Costituzione, nella parte in cui non prevede un‘adeguata selezione da attuarsi per il tramite di un sistema bifasico come già presente nel vigente articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 (laddove parla di attingere da un elenco regionale degli idonei e di selezione previo avviso pubblico), novellato dal cosiddetto «Decreto Balduzzi», e ulteriormente rafforzato nello schema di decreto legislativo all'esame delle Camere ed in attuazione della legge delega n. 124 del 2015;
   in particolare, gli interpellanti rilevano una violazione dell'articolo 117 della Costituzione nella parte in cui non assicura, come previsto dall'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, un'adeguata pubblicità e trasparenza ai bandi, alla procedura di selezione, alle nomine e ai curricula;
   parimenti si rileva una violazione dell'articolo 117 della Costituzione nella parte in cui sopprime la previsione che la nomina e il relativo procedimento siano attivati entro il sessantesimo giorno, antecedente la data di scadenza dell'incarico di direttore generale;
   il sistema di nomina dei direttori generali come delineato nella legge regionale citata si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzione che ha diffusamente censurato ogni norma contrastante con il sistema di stabilità gestionale e di indipendenza funzionale del direttore generale (Corte costituzionale, 19 marzo 2007, 104; Corte costituzionale 5 febbraio 2010, n. 34);
   il Consiglio di Stato, proprio nel parere sopra citato reso in merito allo schema di decreto delegato all'esame delle Camere, ha stigmatizzato i diversi tentativi di alcune regioni che «per non incorrere nelle censure della Corte costituzionale, hanno preferito collegare la rimozione dei direttori generali, anche prescindendo dal raggiungimento degli obiettivi assegnati, alla volontà politica di avviare una riforma del Servizio Sanitario regionale»;
   è evidente che tale legge ha il surrettizio scopo di avviare uno spoil system inverso, seppur non riguardo a meccanismi di decadenza ma di nomina, consentendo di fatto al presidente della regione di procedere a nuove e discrezionali nomine svincolate da procedure selettive e pubbliche che permettano a tutti i soggetti idonei di concorrervi in maniera egualitaria, con l'aggravante di procedervi due mesi prima che entri in vigore il nuovo decreto legislativo ed i nuovi meccanismi di nomina;
   la legge, secondo gli interpellanti, viola anche l'articolo 97 della Costituzione compromettendo l'imparzialità della nomina che il procedimento selettivo e bifasico (elenchi regionali e/o nazionali, bandi di selezione e individuazione da una rosa o terna di nomi) è teso a garantire restringendo proprio la discrezionalità del soggetto (il presidente della giunta) chiamato ad effettuare la nomina;
   la legge, ad avviso degli interpellanti, viola infine l'articolo 3 della Costituzione laddove non consente ai direttori generali aspiranti all'incarico, ancorché inseriti negli elenchi regionali e quindi idonei, di partecipare alle procedure selettive perché non bandite;
   riguardo alla violazione dell'articolo 117 della Costituzione si ricorda la sentenza della Corte costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale riguardo a diversi articoli della legge della regione Umbria 12 novembre 2012, n. 18 (ordinamento del servizi sanitario regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri;
   il ricorso è stato dichiarato estinto perché la direzione regionale competente ha manifestato l'intenzione di adeguarsi ai rilievi del Governo;
   in tale sentenza sono quindi evincibili le motivazioni e i rilievi per taluni aspetti analoghi e sussumibili al caso di specie poiché si richiama la violazione dell'articolo 117, comma terzo, della Costituzione proprio laddove la norma regionale non e conforme ai dettami del decreto legislativo n. 502 del 1992 e specificatamente anche all'articolo 3-bis;
   i rilievi di costituzionalità saranno discussi nelle sedi competenti, cui si auspica fin d'ora che la Presidenza del Consiglio dei ministri vorrà rivolgersi, senza alcun indugio; in questa sede si esprime il massimo sconcerto per un agire da parte di un presidente di regione e della sua maggioranza, coincidenti peraltro con la maggioranza che sostiene questo Governo, che a due mesi dall'approvazione dello schema di decreto legislativo che disciplina il meccanismo delle nomine dei direttori generali delle ASL, tramite un vero e proprio «blitz» in seno al consiglio regionale, pensano bene di modificare le norme, secondo una logica chiaramente pretestuosa, ad avviso degli interpellanti per poter nominare discrezionalmente direttori generali, evidentemente graditi, prima che le «regole del gioco» cambino;
   si è dinanzi a quello che gli interpellanti giudicano un atto di scorrettezza istituzionale enorme, con uno spregio delle istituzioni che saranno chiamate a porre rimedio alle evidenti storture costituzionali e con dispendio di risorse pubbliche per un arco temporale che si sa essere peraltro molto lungo;
   una scorrettezza che il presidente della regione e la sua maggioranza, a giudizio degli interpellanti, rivolgono anche al partito cui loro stessi appartengono, il Partito Democratico che sostiene anche questo Governo, che ha firmato lo schema di decreto legislativo con l'auspicio di modificare il sistema di nomine dei direttori generali che si sa essere inquinato, da sempre, dal sistema di lottizzazione politica se non addirittura, da un vero e proprio scambio politico-mafioso;
   è necessario che quanto avvenuto nella regione Campania sia affrontato nei termini consentiti dall'ordinamento ma è necessario altresì che sia pubblicamente e urgentemente stigmatizzato affinché anche altre regioni non seguano l'esempio secondo gli interpellanti indecoroso, correndo ai ripari e sistemando «poltrone» e «amici» prime che le regole del gioco cambino (ammesso e non concesso che cambino –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se il Governo, con l'urgenza richiesta dal caso, intenda assumere iniziative per promuovere la questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'articolo 127 della costituzione, sia per salvaguardare i principi fondamentali della Costituzione che sono stati messi a presidio delle norme nazionali che regolano le nomine dei direttori generali sia per evitare che anche altre regioni perseguano queste strade a giudizio degli interpellanti indecorose con il surrettizio scopo di non adeguarsi a norme dello Stato che sono poste a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e nel caso di specie del diritto alla salute il quale, per poter pienamente esplicarsi, richiede anche che i professionisti del «sistema salute» siano selezionati in base a requisiti di professionalità e competenza, attraverso apposite selezioni e secondo i criteri di evidenza pubblica.
(2-01388) «Colonnese, Silvia Giordano, Grillo, Mantero, Lorefice, Di Vita, Baroni, Corda, Cozzolino, Da Villa, Daga, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella».

Interrogazioni a risposta orale:


   ELVIRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Puglia nei giorni scorsi, in particolare in data 20 maggio 2016, è stata colpita da una violenta grandinata accompagnata da una copiosa pioggia che ha arrecato notevoli danni alle campagne del territorio del sud est barese;
   in particolare, i comuni maggiormente colpiti da questa ondata improvvisa di maltempo sono stati quelli di Putignano, Conversano, Castellana e Turi dove si è stimato un danno complessivo di circa 90 milioni di euro;
   si tratta di un duro colpo per gli imprenditori agricoli che hanno investito migliaia di euro nella raccolta di ciliegie, uva e ortaggi ormai finiti sotto valanghe d'acqua;
   il violento nubifragio ha duramente colpito soprattutto le ciliegie che sono state letteralmente falcidiate e spaccate in quattro: gli effetti di questi danni avranno conseguenze anche il prossimo anno;
   allo stato, si può affermare che per quanto concerne la varietà delle ciliegia «Bigarreau» si è registrato il 70 per cento di prodotto in meno, il 60 per cento in meno per la varietà «Ferrovia» ed il 30 per cento in meno per la «Giorgia»;
   non c’è tregua per questi imprenditori agricoli che anche l'anno scorso si sono dovuti scontrare con il problema della Xylella prima e poi con quello della campagna cerasicola risultata assolutamente insoddisfacente dal punto di vista degli introiti;
   sono pesanti le ripercussioni anche dal punto di vista occupazionale visto che migliaia di famiglie del territorio del sud est barese traggono guadagno per l'intero anno soprattutto dalla coltivazione di ciliegie;
   quello che si prospetta in caso di mancato e celere intervento economico-finanziario è un vero è proprio default di un settore che rappresenta il fiore all'occhiello del settore ortofrutticolo pugliese;
   si tratta, pertanto, di una situazione di assoluta emergenza per le imprese colpite –:
   se e quando il Governo intenda dichiarare lo stato di calamità naturale per i territori colpiti dagli eventi del 20 maggio 2016 in Puglia;
   se il Governo preveda di assumere iniziative per indennizzare anche i piccoli imprenditori o le aziende cerasicole familiari che non hanno potuto far fronte agli elevati premi assicurativi. (3-02286)


   VENTRICELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è notizia attuale, riportata in questi ultimi giorni dalle maggiori testate giornalistiche nazionali, che già da sette anni l'Unione europea solleciterebbe l'Italia a prendere misure finalizzate a risolvere il problema delle discariche abusive, attualmente concentrate soprattutto a sud della Penisola;
   a seguito di una richiesta di condanna della Corte di giustizia europea da parte dell'avvocato generale della Ue per la continua utilizzazione delle discariche abusive, il nostro Paese corre il rischio di pagare una multa giornaliera di 158.200 euro fino alla piena esecuzione della sentenza del 2007, oltre a una sanzione forfettaria di 60 milioni di euro;
   tale richiesta è stata determinata dall'entrata in vigore della direttiva europea del 2006, in base alla quale gli Stati membri dell'Unione avevano l'obbligo di creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento: impegno mai rispettato dall'Italia;
   l'Italia ha violato la direttiva comunitaria in materia di smaltimento di rifiuti e, sempre secondo quanto appreso, la richiesta di Bruxelles avrebbe potuto essere retroattiva con un conto enorme per le casse dello Stato, ma la Commissione Ue ha preferito procedere per gradi: prima la censura, poi il taglio dei fondi e, infine, dopo i solleciti caduti nel vuoto, una multa che scatterà con il passaggio in giudicato della causa avviata a fine marzo, motivo per il quale è essenziale agire con la massima celerità per porre rimedio a tale situazione;
   le norme violate sono la vecchia direttiva in materia di rifiuti, la direttiva relativa ai rifiuti pericolosi e quella sulle discariche, e, a quanto appreso, la Commissione avrebbe inizialmente individuato la presenza di 422 discariche illegali, contestandone in battuta finale solo due, ovvero quella di Matera/Altamura Sgarrane al confine tra Puglia e Basilicata, e un'ex discarica comunale, la Reggio Calabria/Malderiti in Calabria;
   secondo quanto risulta anche nelle conclusioni di Juliane Kokott, avvocato generale della Corte di Giustizia dell'Unione europea, è riportata la controreplica secondo cui l'Italia specificava che nell'area della presunta discarica Matera/Altamura Sgarrane, alla luce di più recenti analisi condotte in situ, non sarebbe stata constatata alcuna ex discarica; mentre nel caso della presunta discarica Reggio Calabria/Malderiti, l'Italia riferiva che in passato vi erano stati abbandonati effettivamente rifiuti, che però già da molto tempo erano stati rimossi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, dopo aver fatto tutte le verifiche del caso soprattutto rispetto alla reale esistenza delle discariche in oggetto, intervenire affinché vengano messe al più presto in atto tutte le specifiche del caso per debellare le due discariche abusive, ed evitare così che la Corte di Giustizia europea accolga le conclusioni dell'accusa, determinando il pagamento richiesto.
(3-02293)


   BIANCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2015 sotto la guida dei Commissari nominati dalla Banca d'Italia, Banca Etruria provvide alla cessione di una parte dei propri crediti in sofferenza per un montante di 284 milioni di euro, per un prezzo pari al 14,7 per cento del valore;
   l'acquirente fu Fonspa e il negozio fu ed è oggetto di polemiche, denunce, campagne di stampa, sia per l'esiguità della valorizzazione, sia per le conseguenze sull'intera valorizzazione dei crediti in sofferenza, sia per altre questioni, non ultima quella relativa alla holding (TAGES) controllante Fonspa, di cui il dottor Lorenzo Bini Smaghi (già membro del board della Banca centrale europea) è consigliere d'amministrazione;
   la société Générale, banca d'affari, di cui lo stesso dottor Bini Smaghi è presidente, è socia di ChiantiBanca;
   ChiantiBanca, istituto di carattere territoriale, opera in Toscana e si è sottratta alla partecipazione alla holding dei crediti cooperativi, avendo, grazie all'incorporazione di altri piccoli istituti, usufruito della norma ad hoc prevista nel provvedimento emanato dal Governo Renzi che prevede l'esonero dalla partecipazione, sopra i 300 milioni di euro;
   il 10 aprile 2016, sempre il dottor Lorenzo Bini Smaghi viene nominato anche Presidente di ChiantiBanca;
   come egli stesso ebbe a dichiarare ai media, ChiantiBanca (già ricettrice del credito cooperativo fiorentino, in liquidazione di cui era presidente il senatore Denis Verdini), si pone, come banca di territorio, che punta a posizione dominante, baricentrica per lo sviluppo del sistema bancario e del credito in quella Toscana, di cui sono originari fra gli altri, il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro Maria Elena Boschi, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti;
   La Société Générale, banca d'affari, di cui è presidente Lorenzo Bini Smaghi, era stata nominata da Banca d'Italia advisor della cessione di Banca Etruria, (cioè sceglierà l'acquirente) come si evince dall'invito a manifestazione di interesse del 19 gennaio 2016;
   tale nomina fu giustificata anche «per assenza di conflitto di interessi»;
   a questa ricostruzione va aggiunto che l'ipovalorizzazione al 14,7 per cento dei crediti ceduti a Fonspa, ha comportato la valutazione europea al 17,9 per cento del monte crediti in sofferenza;
   questa valorizzazione ha comportato la perdita secca agli obbligazionisti subordinati di cui tanto si è parlato e il corrispondente risparmio per il sistema bancario (di cui si è parlato molto meno) di circa 800 milioni di euro;
   va anche aggiunto che in questa specie di incastro il dottor Bini Smaghi, è presente ovunque: nella operazione della cessione dei crediti, nella ChiantiBanca, nel reperimento dell'acquirente di Banca Etruria, consigliere d'amministrazione, presidente advisor;
   in sintesi, tutto il sistema e l'operazione ruota intorno alla persona Bini Smaghi, definito dalla stampa «economista di fiducia del Giglio Magico»;
   se si valuta che la prima operazione (vendita sottocosto dei crediti) ha comportato riserva di provvista al sistema, utile per rilevare la posizione di advisor e risparmio di circa 800 milioni di euro, sempre a favore del sistema bancario e che il dottor Lorenzo Bini Smaghi è protagonista di questa operazione che rende possibile l'altra e cioè l'acquisizione a prezzo concorrenziale della posizione di advisor della Société Générale, banca d'affari, di cui Bini Smaghi è presidente, risulta complicato non rimanere perplessi di fronte all'assenza di «conflitto di interessi» dichiarata da Banca d'Italia al momento del conferimento dell'incarico di advisor a Société Générale, banca d'affari con la presidenza Bini Smaghi;
   se poi si considera ancora che ChiantiBanca, di cui Société Générale è azionista e Bini Smaghi presidente, è naturalmente concorrenziale per territorio ed utenza a Banca Etruria, ancora più complicato per l'interrogante diviene trovare giustificata la dichiarata assenza di conflitto di interesse;
   la semplice narrazione degli eventi e le perplessità che ne conseguono potranno essere oggetto di valutazione dell'ordine giudiziario, risultando da notizie di stampa e dai media, che sono stati inoltrati e esposti e denunce presso le competenti procure;
   ma ciò non toglie che il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei rapporti con il Parlamento, il Ministro dell'economia e delle finanze siano, a giudizio dell'interrogante, debitori di nutrite spiegazioni –:
   se, anche alla luce delle verifiche di competenza in ordine all'efficacia del sistema dei controlli, e in relazione a quanto esposto in premessa, non si ritenga opportuno assumere iniziative normative per ottimizzare il sistema di vigilanza del credito;
   se risponda a verità l'esistenza di una contiguità, se pur legittima, fra il Presidente del Consiglio, e/o il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il parlamento e/o il Ministro dell'economia e delle finanze con il dottor Lorenzo Bini Smaghi, e in caso affermativo come tale contiguità abbia potuto rimanere estranea alle vicende di questa interrogazione.
(3-02305)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante con molteplici atti di sindacato ispettivo ha denunciato la violazione di fondamentali principi, come quelli di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione di cui all'articolo 97 della Carta costituzionale nell'affidamento degli incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione, dettati da scelte del tutto discrezionali e non meritocratiche;
   si tratta di una illegittima prassi che sta diventando addirittura strutturale alla pubblica amministrazione italiana, con le gravi conseguenze che ne derivano se si pensa che la gestione arbitraria della dirigenza pubblica comporta l'attribuzione della direzione di importanti strutture amministrative a soggetti «graditi», per porre in essere quelle che l'interrogante giudica nomine di natura politica, se non clientelare che potrebbero provocare inquinamenti molto gravi dell'attività amministrativa;
   ciò avviene, in particolare, presso le agenzie fiscali come già segnalato, tra i tanti atti, con le interrogazioni nn. 5/06572, 5/06681, 5/06775, 5/07621 che non hanno ancora ottenuto una risposta da parte dell'Esecutivo, il quale, tra l'altro, nonostante le ripetute segnalazioni, continua a non intervenire a fronte di nomine dirigenziali illegittime che, ad oggi, si perpetrano presso le agenzie fiscali. Sul punto, il 26 aprile 2016 il periodico settimanale « Panorama» con un articolo rubricato «Lo strano viavai di ex dirigenti all'agenzia delle entrate» ha denunciato il caso di ben sette ex funzionari interni che sono stati assunti a termine con incarico esterno dall'Agenzie delle entrate, per lo svolgimento di funzioni dirigenziali. Sul punto, oltre a segnalare la palese illegittimità di conferire incarichi dirigenziali esterni a impiegati interni di fascia media, si fa presente che tali funzionari erano decaduti dalle funzioni dirigenziali, il 26 marzo 2015, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale che sancì l'illegittimità delle promozioni senza concorso di oltre 800 dirigenti dell'Agenzia. Pertanto, gli incarichi in questione sono stati affidati anche in contrasto con la predetta pronuncia che aveva fatto decadere le medesime persone dagli incarichi dirigenziali affidati discrezionalmente ed in violazione della normativa in materia;
   il riconoscimento di incarichi attraverso procedure selettive non meritocratiche, sebbene particolarmente radicato nell'area agenzie fiscali, avviene di frequente in tutta l'amministrazione pubblica e tale prassi all'interrogante sembra, di fatto, non contrastata dallo stesso Governo Renzi. Al riguardo, si cita il caso di Rosa De Pasquale, ex parlamentare del Partito Democratico, nominata dal Governo nel mese di giugno 2015, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ossia il dipartimento da cui dipende tutto il sistema scolastico nazionale. Ebbene, l'assenza delle necessarie competenze per svolgere tale incarico dell'ex parlamentare è comprovata da una sentenza della Corte dei Conti del dicembre 2015, che aveva annullato la sua precedente nomina, riconosciuta con apposito decreto del presidente del Consiglio dei ministri, a capo dell'ufficio scolastico regionale della Toscana; l'annullamento è stato pronunciato per la mancanza dei «requisiti di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'amministrazione». È, dunque, paradossale che successivamente all'annullamento della nomina come capo ufficio scolastico regionale, Rosa De Pasquale sia stata nominata, su deliberazione del Consiglio dei ministri, capo dipartimento al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca assumendo un incarico al di sopra di dirigenti che svolgono quelle stesse funzioni per le quali non ha i requisiti, secondo la sentenza della Corte dei Conti;
   oltre alle nomine dirigenziali predette, si mette in evidenza che si è proceduto all'attribuzione di incarichi esterni attraverso quella che appare all'interrogante un'applicazione distorta e di dubbia legittimità dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, applicabile soltanto in carenza di determinate professionalità all'interno della pubblica amministrazione;
   si ribadisce che prediligere nomine fiduciarie significa favorire la scelta di persone che poco hanno a che vedere con le competenze dei dirigenti e che sono connesse ad interessi esterni collegati ai partiti politici e/o alle lobby. Pertanto, anche in prospettiva della riforma della pubblica amministrazione vanno adottati urgenti provvedimenti, al fine di riportare la legalità nell'affidamento degli incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione, garantendo che siano effettuate idonee procedure selettive nel rispetto dei princìpi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione di cui all'articolo 97 della Costituzione. Ciò anche a tutela di coloro che sono legittimati a svolgere incarichi dirigenziali e che vengono esclusi da tali ruoli per favorire persone dai requisiti curriculari inferiori, in base a dinamiche che nulla hanno a che fare con la meritocrazia –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intendano assumere, affinché gli incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione siano conferiti attraverso idonee procedure selettive per assicurare la competenza tecnica della dirigenza, in conformità alla normativa in materia e alle pronunce giurisdizionali, troppo spesso disattese nell'attuale sistema;
   se non ritengano di assumere idonee iniziative normative per procedere all'abrogazione dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, poiché tale disposizione, come hanno rilevato più volte la giurisprudenza amministrativa e quella contabile, viene di frequente utilizzata strumentalmente per conferire incarichi esterni illegittimi. (5-08827)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 178 del 2012 è stato emanato con lo scopo di mutare la Croce rossa italiana (CRI) da ente pubblico non economico ad associazioni private di volontariato, le diverse sezioni territoriali dell'associazione sono divenute autonome e ognuna ha ottenuto la propria indipendenza economica, ma esse sono consociate dal principio di «unità», e sono sostenute in gran parte da finanziamenti privati;
   la privatizzazione della CRI avrebbe dovuto generare un risparmio notevole per il bilancio dello Stato valorizzando, inoltre, l'attività di volontariato puntando altresì ad un risanamento della gestione dell'Ente e parallelamente alla riduzione del contributo pubblico e alla crescita di quello privato, prevedendo ricollocamento di personale in esubero presso altre pubbliche amministrazioni;
   all'interno delle relazioni sullo stato di attuazione del decreto legislativo 178 del 2012 numeri 4-5 e 6, presentate dal Ministero della salute si evince come risulti complesso ridurre il numero del personale (Relazione n. 5 al 30 giugno 2015, sezione «Risorse umane») in quanto CRI è afflitta dalla piaga del precariato e foriera di un contenzioso infinito (ad esempio incentivo – posizione MEF 7336 – stabilizzazione del personale a seguito delle leggi finanziarie 2006-2007). All'interno della relazione n. 5 al 30 giugno 2015, sezione «Aspetti finanziari relativi al personale», si legge inoltre che «è lievitato il costo del personale a seguito del processo di stabilizzazioni in atto (personale civile da 1193 unità il 31.05.2013 a 1388 unità al 30.06.2015)». All'interno della relazione si legge inoltre che «Come già segnalato ampiamente da molto tempo – il contributo statale non è più sufficiente a coprire l'intero costo del personale che, a titolo esemplificativo nel bilancio consuntivo 2014 assorbiva il 108,84 per cento dei contributi erogati dalla Stato»;
   l'affermazione riportata, oltre ad apparire alquanto singolare in quanto a bilancio non risulta presente il personale precario che veniva retribuito esclusivamente attraverso una parte del ricavato derivante dalle attività convenzionali (gran parte provenienti dal circuito emergenziale 118 operando per il quale gli autisti-soccorritori hanno acquisito anche quindicennale esperienza), sottolinea che la totalità dei finanziamenti pubblici serva a coprire le competenze stipendiali del personale «di ruolo», sia esso tecnico, amministrativo e dirigenziale;
   nel corso degli anni 2014-2015 sono risultati vani i tentativi di far transitare il personale dalla CRI pubblica alle neonate associazioni private denominate associazioni di promozione sociale (APS) in quanto, solo una percentuale del 1,7 per cento del personale, di ruolo o in attesa di stabilizzazione, ha rinunciato a tale diritto transitando e mantenendo il contratto privato, come indicato all'interno dell'interrogazione n. 5/06700 presentata in data 16 ottobre 2015;
   in molte regioni italiane il personale tecnico, pur essendo considerato «in sovrannumero» – «interessato da percorsi di mobilità» e non «eccedentario» (Relazione n. 6 al 31 dicembre 2015 – pagina 16) è stato estromesso, dalla metà del 2014, dalle attività di autista soccorritore ed al suo posto sono stati assunti nuovi dipendenti con contratto privatistico (ad esempio in Campania, Emilia Romagna, Lombardia...) mentre tale personale viene usato per attività a costo vivo per l'ente pubblico CRI (ora ESACRI) senza che sia previsto un rimborso (ad esempio per il soccorso di prossimità);
   in altre regioni (ad esempio Piemonte), invece, il personale pubblico della CRI svolge ancora la medesima attività di autista soccorritore presso le neonate associazioni di promozione sociale mantenendo il proprio contratto. Le APS, adoperando il personale in convenzioni che prevedono un rimborso, restituiscono la quota percepita per gli stipendi al Comitato Centrale CRI;
   la scelta di non impiegare questo personale nell'attività da esso sempre espletata, oltre ad aumentare il deficit di bilancio di Croce rossa italiana, permette, inoltre di aprire la strada ad ulteriori contenziosi legali che i lavoratori stanno intentando contro l'ente e, oltre a configurare un mancato ritorno economico ai danni dello Stato; tale scelta comporta inoltre per l'interrogante un aumento dei costi sociali ed indiretti derivanti dalla deflessione nella qualità dei servizi erogati ai cittadini sia per la scarsa esperienza dei neoassunti (ai quali non è concesso potersi affiancare ai colleghi anziani), nonché per il vuoto normativo presente all'interno del circuito dell'urgenza-emergenza che sta generando per l'interrogante situazioni al limite della legalità (vedasi ultimi reportage televisivi e giornalistici); il tutto con conseguenti ricadute sulla cittadinanza;
   la legge 208 del 2015, articolo 1 comma 397, recita che gli autisti-soccorritori della CRI devono essere assorbiti, anche in sovrannumero, all'interno degli enti/aziende sanitarie del Servizio sanitario nazionale e che le spese per il loro trattamento economico deriverà dalla quota di finanziamento del Servizio sanitario nazionale erogato annualmente alla CRI e quindi all'Ente pubblico;
   per lo Stato non si evince alcun risparmio economico in quanto, come emerso dalle relazioni Ministeriali menzionate, la totalità dei fondi pubblici viene utilizzata dalla CRI per la copertura delle competenze stipendiali e questi fondi continueranno ad essere elargiti dallo Stato in quanto, il 1o gennaio 2018 anche le ultime unità di personale rimasto in Cri-Esacri verrà trasferito presso altre amministrazioni con corrispondente trasferimento delle risorse economiche all'ente che accoglierà i lavoratori;
   neppure la componente volontaristica a quanto consta all'interrogante appare entusiasta del processo di privatizzazione della CRI tanto che, oltre a prendere atto delle oggettive osservazioni pervenute, risulta scarsissima la partecipazione della stessa alla vita politica delle associazioni (una sola candidatura alla presidenza nazionale, così come in molte regioni e province e comitati locali che risultano già essere stati commissariati –:
   se, alla luce di quello che appare agli interroganti il palese disattendimento dei principi ispiratori che sono stati alla base del decreto legislativo n. 178 del 2012, non ritenga necessario assumere iniziative urgenti per sospendere gli effetti normativi derivati dall'applicazione del decreto legislativo n. 178 del 2012 e per rivedere il processo di riordino di CRI affinché si possa pervenire ad una reale, efficace ed efficiente riorganizzazione e non a quella che appare una fallimentare privatizzazione che, oltre a non apportare alcun risparmio alle casse dello Stato, priva i dipendenti della dignità e del lavoro ma, soprattutto, crea danni economici, etici, sanitari e sociali ai cittadini. (4-13371)


   BUSIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Hannah Cunliffe, 20 anni, top-sprinter universitaria dell'Oregon ha iniziato insieme alla sua famiglia l’iter burocratico per ottenere la cittadinanza italiana e vestire così la maglia azzurra. I trisnonni di Hannah erano infatti originari della Calabria, anche se bisognerà appurare prima se avevano effettivamente mantenuto la cittadinanza italiana, prima di concedere loro la naturalizzazione;
   l'esito positivo della pratica potrebbe permettere alla Cunliffe di partecipare già ai campionati europei di atletica di Amsterdam del 6-10 luglio 2016 e alle olimpiadi di Rio in agosto;
   Hannah ha un talento innato nella corsa, capacità che sono sfociate in risultati ottimi: 10"99 sui 100 metri e 22"71 sui 200 metri, numeri che superano gli attuali record italiani detenuti da Manuela Levorato con 11"14 sui 100 e 22"60 sui 200;
   cinque anni fa la Cunliffe era considerata tra le under 15 più veloci degli Stati Uniti, indicata come una delle principali risorse dell'atletica americana in vista delle olimpiadi; è per questo che del suo cambio di nazionale si sta parlando anche in Usa;
   le pratiche per la cittadinanza sono state avviate, in occasione del Mondiale Indoor di Portland del marzo 2016 con i primi contatti tra la famiglia Cunliffe, la FIDAL e il Direttore tecnico Massimo Magnani;
   la Cunliffe ha già corso con i colori degli Usa in occasione dei Mondiali Youth del 2013, un precedente che riporta alla memoria la frase pronunciata dal presidente della IAAF, la federazione mondiale d'atletica, Lord Seb Coe: «è necessario affermare il principio che chi inizia una carriera internazionale con un dato Paese, debba concluderla con lo stesso Paese»;
   questa vicenda mette in luce la situazione disastrosa in cui versa l'atletica leggera in Italia, «la regina dello sport» da anni dimenticata; lo Stato infatti non investe in questo sport, evidentemente non ritenendolo sufficientemente remunerativo, anche in termini di sponsor (sé non ad altissimi livelli), i vivai dei giovani sono praticamente inesistenti;
   negli stadi si allenano molti ex atleti « over 40», ma pochissimi sono i giovani che si avvicinano a questo sport, gli impianti sono obsoleti e disastrati, a Roma, nel quartiere dell'Eur, è praticamente pronto il campo di atletica leggera per gli allenamenti degli atleti paraolimpici, ma viene tenuto chiuso per questioni di mancati accordi tra i vari enti coinvolti, con il rischio che un impianto bellissimo e funzionale, dotato di strutture all'avanguardia, possa andare alla malora;
   l'attività sportiva non viene adeguatamente veicolata verso i giovani, che vengono attratti sempre e solo dal calcio; lo stesso servizio pubblico radiotelevisivo dedica pochissimo spazio all'atletica, si trasmette soprattutto il calcio;
   il risultato è che siamo costretti ad acquistare atleti stranieri, invece di risolvere il problema, magari introducendo le due ore di educazione fisica nelle scuole elementari come materia didattica, oppure tornando a svolgere i rimpianti Giochi della gioventù che avvicinavano i ragazzi all'atletica leggera in un'atmosfera di sana competizione –:
   quale sia l'opinione del Governo su questa vicenda e se ritenga opportuno che siano importati talenti da altre nazioni per rappresentare il nostro Paese nelle più importanti manifestazioni sportive quali iniziative intenda adottare al fine di sviluppare i nostri vivai, nei quali esistono atleti di grande talento che magari non hanno le opportunità giuste per emergere, a causa della scarsa attenzione che viene riservata all'atletica leggera in Italia;
   quali iniziative intenda assumere il Governo in accordo con la Fidal, al fine di attrarre i giovani verso le discipline dell'atletica leggera, iniziative che, a giudizio dell'interrogante, passano ovviamente dalla costruzione di nuovi impianti – magari nelle zone più periferiche per riqualificarle e tentare di sottrarre così i giovani alla delinquenza e alla droga e dal miglioramento di quelli già esistenti;
   se il Governo abbia predisposto un piano di rilancio dell'atletica nelle scuole di ogni ordine e grado, attraverso l'introduzione nei programmi didattici di un numero maggiore di ore d'insegnamento dello sport e se e quali iniziative siano state assunte per ripristinare la pratica annuale dei Giochi della gioventù;
   se e in quali modi si intendano aiutare le famiglie in cui ci sono sportivi promettenti, anche assicurando iniziative normative per introdurre agevolazioni fiscali per sostenerle nel loro impegno, anche economico, per la pratica dell'attività agonistica. (4-13372)


   FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 (legge 208 del 2015), grazie all'attenzione sul tema sollevata da associazioni e è tornata sulla questione degli assistenti alla comunicazione e all'autonomia, cioè di quelle figure di supporto all'inclusione scolastica delle persone con disabilità espressamente previste dalla legge 104 del 1992 (articolo 13, comma 3);
   la competenza di assicurare gli assistenti alla comunicazione, che affiancano le persone con disabilità sensoriale nelle scuole di ogni ordine e grado, e gli assistenti all'autonomia e alle relazioni personali per le persone con disabilità fisica o psicofisica nelle scuole di istruzione secondaria e nei corsi di formazione professionale, era affidata alle province fino al riordino delle loro competenze avvenuto nel 2014 (articolo 1, comma 89, della legge n. 56 del 7 aprile 2014);
   il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, come noto, ha ridisegnato le competenze dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni rispetto alle più importanti materie. Fra le competenze anche quella dell'istruzione scolastica;
   l'articolo 139 precisava in modo netto quali siano i compiti e le funzioni attribuiti alle province e quali quelli attribuiti ai comuni. Le province si devono occupare dell'istruzione secondaria superiore, mentre i comuni hanno competenza sulle scuole di grado inferiore;
   fra le funzioni che province e comuni devono svolgere, ci sono anche «i servizi di supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap o in situazione di svantaggio», quindi anche il trasporto scolastico. Peraltro con la decisione n. 2631, depositata il 20 maggio 2008, il Consiglio di Stato ha definitivamente sancito l'obbligo (e la gratuità) del trasporto con assistenza anche alle scuole superiori a carico delle province;
   il comma 947 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 stabilisce, per l'esercizio di quelle funzioni, un contributo di 70 milioni di euro per l'anno 2016. Nell'analisi letterale del nuovo comma, tuttavia, non sono ribadite le competenze relative al trasporto scolastico degli alunni con disabilità, antica questione che si riteneva risolta;
   né la legge n. 56 del 7 aprile 2014, né la più recente legge di stabilità mettono esplicitamente un punto fermo su tale aspetto;
   poiché senza tali fondi statali non si possono remunerare nel 2016 i supporti organizzativi al diritto al lo studio, quando il Governo, ad anno scolastico praticamente concluso, intenda rendere fattiva la legge di stabilità 2016 erogando i 70 milioni di euro necessari a garantire il servizio –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per rendere meno lacunosa e più chiara la materia con riferimento ai soggetti a cui risulta attribuita la competenza in ordine al diritto allo studio degli studenti con disabilità;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per creare un fondo specifico, adeguatamente finanziato, per stabilizzare una situazione che ha creato grandi difficoltà a migliaia di famiglie italiane. (4-13375)


   PALAZZOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella sera del 28 maggio 2016 si è sviluppato nell'isola di Pantelleria un vasto incendio che ha interessato in primo luogo l'area boschiva di Montagna Grande e successivamente si è esteso nelle zone di Rekale, Favare, Cuddia Antalora, fino all'area di Balata dei Turchi;
   le prime stime parlano di oltre 600 ettari di verde devastati dall'incendio sviluppatosi nell'isola;
   il territorio interessato dall'incendio era quello individuato dall'amministrazione pantesca per l'istituzione di un «parco nazionale» in linea con la naturale vocazione turistica dell'isola, anche alla luce del riconoscimento da parte dell'Unesco per la pratica agricola della vite ad Alberello;
   l'ipotesi di una correlazione tra l'incendio e interessi contrari all'istituzione del parco naturale è stata con forza avanzata dal sindaco di Pantelleria che ha rilasciato dichiarazioni in tal senso ai mezzi di informazione;
   lo stesso sindaco di Pantelleria ha parlato chiaramente di natura dolosa dei primi focolai sviluppatisi successivamente grazie al vento che ha contribuito ad estenderne il fronte;
   appare evidente come ai danni materiali ingenti siano da sommarsi quelli derivanti dalla ricaduta negativa sulla prossima stagione turistica nell'isola di Pantelleria;
   la vastità dell'incendio, le infrastrutture danneggiate dallo stesso, i conseguenti rischi per il tessuto idrogeologico dell'isola, le citate ricadute negative per l'economia dell'isola appaiono, con tutta evidenza, di tale natura e vastità da non poter essere affrontate e risolte esclusivamente dal comune di Pantelleria;
   l'ipotesi di interessi criminali correlati all'incendio stesso richiedono misure urgenti e straordinarie, come per altro già evidenziato dal sindaco pantesco Gabriele –:
   quali iniziative di natura economica e infrastrutturale il Governo, per quanto di competenza, abbia intenzione di porre con urgenza in essere;
   se non si ritenga, come per altro chiesto dalle istituzioni locali, di procedere alla dichiarazione dello stato di emergenza per Pantelleria;
   se non si ritenga di accelerare l'iter per l'istituzione del «Parco naturale di Pantelleria» come concreta risposta all'atto criminale che ha interessato l'isola;
   se non si ritenga, ed eventualmente in che tempi e con quali modalità, di assumere iniziative per procedere al potenziamento del sistema di allarme, prevenzione e intervento antincendio presso l'isola di Pantelleria;
   se sia allo studio, anche alla luce dei fatti che hanno interessato l'isola di Pantelleria, un monitoraggio ed eventualmente un potenziamento del sistema antincendio a tutela del territorio e del patrimonio boschivo delle isole minori della Sicilia.
(4-13376)


   AMODDIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la deliberazione n. 60 del 2012 il CIPE stanziava 1 miliardo e 600 milioni di euro per 183 opere urgentissime in reti fognarie e depuratori nel Sud Italia. Di tale somma 1 miliardo e 100 milioni di euro erano stati assegnati alla Sicilia per 93 opere;
   della somma di 1 miliardo e 100 milioni di euro nel mese di febbraio 2015 era stata spesa una quota minima di circa 24 milioni;
   si apprende dalla stampa che nel mese di febbraio 2015 il Presidente del Consiglio Renzi dichiarava: «Ieri ho fatto una riunione sugli impianti di depurazione per la Sicilia: c’è più di un miliardo di euro tecnicamente fermo ed è ingiusto e inaccettabile. Il commissariamento è l'unica strada e ho chiesto di procedere rapidamente senza guardare in faccia nessuno»;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 giugno 2015 trasmesso alla Corte dei Conti il 16 giugno 2015 veniva nominato commissario straordinario Vania Contrafatto per i lavori della depurazione della acque reflue nella regione siciliana e pertanto anche delle opere di depurazione che devono realizzarsi nel comune di Augusta;
   tra i depuratori siciliani quello di Augusta rappresenta una storia infinita; ad oggi il comune di Augusta non ha la depurazione delle acque reflue, pertanto tutto viene scaricato a mare con disastri ambientali notevoli;
   con la delibera n. 93/2015 il CIPE si determinava ad approvare la riprogrammazione delle risorse FSC 2000-2006 e 2007-2013 per un importo complessivo di 901,448 milioni di euro a favore della regione siciliana e 334,619 milioni venivano destinati alla copertura finanziaria del concorso al risanamento della finanza pubblica per il 2015;
   con la delibera n. 94/2015 il CIPE si determinava nell'ambito della programmazione di azione e coesione 2014/2020 di deliberare l'utilizzo delle risorse FSC già programmate dalla regione siciliana, a favore degli interventi così come individuati nell'accordo di programma quadro sulla depurazione delle acque reflue di cui alla delibera n. 60/2012 per un importo di 334,619 milioni di euro;
   nella citata delibera n. 94/2015 è previsto: che la regione avrebbe dovuto presentare al CIPE il programma complementare nella versione definitiva, nel quale dovevano essere definiti nel dettaglio gli obiettivi ed il sistema di indicatori per misurarli; che il dipartimento per le politiche di coesione avrebbe riferito al Comitato sull'attuazione della delibera n. 94/2015;
   da recenti dichiarazioni sulla stampa si apprende che la regione siciliana non avrebbe ancora trasferito i fondi dalla regione nella piena disponibilità del commissario che ha già più volte sollecitato il Governo regionale in tal senso –:
   quale sia lo stato di attuazione degli interventi programmati e quali atti abbia adottato il commissario straordinario Vania Contrafatto per i lavori della depurazione della acque reflue del comune di Augusta;
   se la regione siciliana abbia presentato al CIPE il programma complementare nella versione definitiva, nel quale dovevano essere definiti nel dettaglio gli obiettivi ed il sistema di indicatori per misurarli;
   se siano stati presentati e quali siano i progetti per risolvere il problema della depurazione di Augusta;

se il dipartimento per le politiche di coesione abbia riferito al Comitato sull'attuazione della delibera n. 94/2015. (4-13378)


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2016 è stata pubblicata da un autorevole quotidiano a diffusione nazionale una video inchiesta firmata dal giornalista Antonio Crispino. Nel corso di tale inchiesta numerose testimonianze dei cittadini di Acerra (Napoli) evidenziano la pratica estremamente diffusa della compravendita di voti nel corso delle campagne elettorali per le elezioni comunali. In particolare, più intervistati confermano, con specifico riferimento alle ultime elezioni tenutesi nel 2012, di aver ricevuto offerte in denaro ovvero in buoni spesa in cambio del voto. Nel corso di alcune intercettazioni riportate nell'inchiesta giornalistica, inoltre, si fa riferimento all'offerta di posti di lavoro per brevi periodi, sempre in cambio del voto;
   dall'inchiesta giornalistica emerge come nel corso dell'ultima campagna elettorale si sia sviluppata una sorta di «asta dei voti», con cittadini disposti a concedere la propria preferenza al miglior offerente; diversi intervistati hanno individuato come migliori offerenti (circa 50 euro a voto) l'attuale sindaco Raffaele Lettieri e il consigliere comunale di maggioranza Pino Puopolo: quest'ultimo, in particolare, secondo alcune dichiarazioni di cittadini confermate da un'intervista al gestore del supermercato, avrebbe distribuito buoni spesa da lui preventivamente acquistati;
   a proposito di quanto denunciato dalla citata inchiesta giornalistica, il procuratore aggiunto della direzione antimafia di Napoli, dottor Giuseppe Borrelli, ha dichiarato che «Questi cittadini sono talmente abituati ad essere privati dei loro diritti che non si rendono nemmeno più conto di stare commettendo un reato e la franchezza con cui lo ammettono testimonia come la compravendita del voto sia un fenomeno molto diffuso da queste parti». Il dottor Borrelli ha aggiunto altresì che si tratta di vicende che rimarranno sostanzialmente impunite a causa della scarsa efficacia del contenuto normativo della legge 17 aprile 2014, n. 62 sul voto di scambio politico mafioso, in merito alla quale la Corte di Cassazione in una pronuncia del 2014 ha ribadito che la nuova riforma «rende, rispetto alla versione precedente, penalmente irrilevanti condotte pregresse consistenti in pattuizioni (...) che non abbiano espressamente contemplato concrete modalità mafiose di procacciamento dei voti». Vi è inoltre il problema che il reato, ove anche si riesca ad accertare, ha un tempo di prescrizione di sei anni, quindi molto breve, considerati i tempi del sistema giudiziario italiano e che in questi sei anni sono compresi i tempi per le indagini e per i tre gradi di giudizio. Si tratta di difetti ripetutamente denunciati dai parlamentari del Movimento 5 Stelle nel corso dell’iter parlamentare che ha condotto all'approvazione della citata legge n. 62 del 2014;
   occorre, inoltre, sottolineare che, sempre come riportato dalla citata inchiesta giornalistica, l'attuale sindaco di Acerra Raffaele Lettieri è un geometra che, secondo un'informativa della Polizia di Stato di Acerra, ha curato alcune pratiche edilizie per la nipote di Mario De Sena, camorrista di spicco della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e a suo tempo inserito tra i 500 latitanti più pericolosi (oggi in carcere). Gli stessi inquirenti segnalano come nelle sue liste fossero presenti numerosi pregiudicati;
   il diffondersi di queste notizie ha suscitato un'ondata di indignazione popolare culminata in una manifestazione tenutasi nelle scorse settimane di fronte alla sede del comune di Acerra –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto denunziato dall'inchiesta giornalistica e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   se il Governo non intenda farsi promotore di una iniziativa normativa per modificare la legislazione vigente al fine di perseguire in maniera più efficace il reato di voto di scambio politico-mafioso;
   se il Ministro interrogato non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per avviare la procedura di cui agli articoli 141 e 142 del testo unico degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), laddove si prevede la rimozione degli amministratori locali qualora «compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico», ovvero la procedura di cui all'articolo 143 del medesimo Testo unico, laddove si prevede lo scioglimento del consiglio comunale e la rimozione del sindaco qualora emergano «concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica». (4-13382)


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comunicato stampa relativo alla riunione del CIPE del 1o maggio 2016, presieduta dallo stesso Presidente del Consiglio, dà conto dell'avvenuta deliberazione, da parte del Comitato, di una serie di investimenti a valere sul fondo sviluppo e coesione (FSC);
   il FSC è lo strumento finanziario per le politiche nazionali di coesione che, in coerenza con le analoghe politiche europee, hanno lo scopo di combattere i divari strutturali di sviluppo tra le aree del Paese;
   la regola generale di ripartizione dei finanziamenti del FSC per la corrente stagione di programmazione 2014-2020 prevede che l'80 per cento delle risorse vadano alle regioni meno sviluppate del Sud e il 20 per cento a quelle del Centro nord;
   per principio generale, inoltre, i finanziamenti a carico del FSC devono essere per loro natura aggiuntivi e non sostitutivi della spesa ordinaria definita con leggi e tabelle di finanziaria;
   la delibera in argomento, secondo gli interroganti, ha violato per più versi questi semplici principi, in quanto ha indirizzato, tra gli altri, i seguenti finanziamenti:
    a) 500 milioni di euro a carico del fondo sviluppo e coesione al nuovo piano nazionale della ricerca, il cui finanziamento ordinario nel bilancio del Ministero responsabile era gravemente carente e inferiore al precedente, con ciò utilizzando queste risorse come sostitutive di finanziamenti ordinari e senza alcuna indicazione del vincolo di sistema a favore delle regioni meno sviluppate;
    b) 1 miliardo per finanziare un non meglio precisato «piano turismo e cultura» che, da fonti di stampa, consisterebbe in una sommatoria di microprogettualità territoriali prevalentemente nelle regioni più sviluppate, a giudizio degli interroganti con una palese violazione del principio base di funzionamento del FSC a favore del Mezzogiorno;
    c) 4 milioni di euro all'Istituto italiano per gli studi filosofici e all'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, con quella che gli interroganti giudicano una piccola ma ignobile operazione di favoritismo, in un momento in cui il bilancio del Ministero competente non supporta le attività del settore, nel quale molti istituti di cultura sono sull'orlo del collasso senza poter accedere ad alcun tipo di finanziamento pubblico –:
   se le notizie, tratte dal comunicato stampa presente sul sito del Governo, corrispondano a verità;
   quali ragioni abbiano giustificato quella che gli interroganti ritengano una così evidente lesione dei principi di funzionamento del fondo;
   come si intenda porre riparo alla situazione di dubbia legittimità e di sperequazione in tal modo prodotta;
   se si intenda proseguire con una simile gestione secondo gli interroganti opaca, abborracciata e irragionevole dell'unica fonte finanziaria che consente politiche di investimento materiale e immateriale e riequilibrio strutturale tra le aree del Paese;
   se chi ha proposto quella che appare agli interroganti una somma di tali illegittime decisioni in occasione della deliberazione del CIPE non ritenga di dover rassegnare le proprie dimissioni per rispetto del ruolo e dei potenziali beneficiari delle risorse in argomento. (4-13389)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta immediata:


   BRAMBILLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in molti Paesi asiatici – come la Cina, il Vietnam e la Corea del Sud – è culturalmente accettabile, legale o tollerato consumare carne di cane. In alcuni casi la tradizione risale a 4-5 secoli fa e comunque solo in tempi relativamente recenti i cani sono stati considerati e trattati come animali da compagnia;
   secondo l'organizzazione World dog alliance (Wda), con sede ad Hong Kong, 30 milioni di cani all'anno sono macellati, cotti e mangiati in Asia. Circa 70 su cento sono animali da compagnia sottratti alle famiglie;
   Paesi come le Filippine (già da decenni) e Taiwan (nel 2001) hanno approvato leggi che vietano il commercio e il consumo di carne di cane. Il divieto è in vigore anche ad Hong Kong, mentre è rimasto a livello di proposta (2010) in Cina, tuttavia le numerose organizzazioni protezioniste locali impegnate nella campagna contro questo business fanno notare che, anche laddove esistono divieti, i controlli sono scarsi e la legge frequentemente elusa;
   a Yulin, città-prefettura della regione autonoma di Guangxi, nella Repubblica popolare cinese, si svolge ogni anno, il 21 giugno, il «Festival della carne di cane al solstizio d'estate» – un'iniziativa privata nata in anni recenti ma fondata su vecchie usanze – durante il quale sono macellati, cotti e mangiati oltre 10 mila cani: animali detenuti in gabbie piccolissime e affollatissime, uccisi con metodi crudeli e spesso scuoiati ancora vivi. Per la prima volta nel 2015 sono stati aggiunti al menu anche i gatti. Ciò che avviene a Yulin è ampiamente documentato, con sanguinosa evidenza, dai media di tutto il mondo, da filmati di turisti, da video facilmente reperibili su Youtube o servizi analoghi;
   il festival di Yulin è oggetto di una protesta globale, che coinvolge milioni di persone con numerose petizioni lanciate (o rilanciate) su internet. Tra queste la campagna della Lega italiana per la difesa degli animali e dell'ambiente, rappresentante per l'Italia della Wda. Al presidente della Wda, Genlin, si deve anche uno sconvolgente documentario di 90 minuti sul fenomeno del traffico e del consumo di carne di cane in Asia, «Eating happiness», del 2015;
   secondo il quotidiano inglese Express, nell'edizione del 25 maggio 2016, un gruppo di attivisti cinesi ha intercettato sulla superstrada di Tianjin, nei pressi di Pechino, un camion stracarico di gabbie con cani malati e feriti diretto a Yulin, l'ha bloccato e tenuto «sotto assedio» per tre giorni, finché i cani non sono stati liberati. Gli animali erano allo stremo, disidratati, coperti di ferite e di pustole. Moltissimi portavano collari e medagliette, chiaro segno del fatto che si trattava di animali da compagnia rubati;
   cadono invece tra luglio e agosto in Corea del Sud – Paese che nel 2018 ospiterà i XXIII Giochi olimpici invernali – i cosiddetti Bok Nal, i «giorni del cane». Secondo il calendario lunare sono i più caldi dell'anno. In questo periodo è costume mangiare carne di cane che, stando alla superstizione locale, «rinfresca e rinvigorisce» il corpo. Non si sa esattamente quanti animali perdano la vita, ma stime prudenziali parlano di 1-2 milioni sui 5 consumati ogni anno: cani sottratti alle case, catturati per strada, trasportati dai villaggi o dagli allevamenti in condizioni igieniche spaventose, spesso torturati (alcuni credono che la carne così diventi più tenera), uccisi a mazzate e macellati con metodi crudeli;
   nel novembre 2015 il Governo britannico, su sollecitazione di alcuni membri del Parlamento, ha assunto alla Camera dei Comuni l'impegno di rappresentare ai Governi interessati, anche tramite gli ambasciatori, le preoccupazioni e le istanze emerse durante il dibattito parlamentare sul commercio e il consumo della carne di cane;
   nei giorni scorsi è stata presentata al Congresso degli Stati Uniti d'America una risoluzione che condanna il festival di Yulin e chiede alle autorità cinesi di mettere fine al commercio della carne di cane –:
   se non ritenga di compiere tutti i passi opportuni, possibilmente coinvolgendo i partner europei e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, per sollevare la questione del commercio e del consumo della carne di cane con i Governi dei Paesi dell'Estremo Oriente dov’è diffusa tale pratica, in particolare per chiedere alle autorità cinesi di porre fine al massacro di Yulin e a quelle coreane, anche in relazione agli imminenti Giochi di Pyeongchang, di vietare il consumo e il commercio della carne di cane, causa di abusi ripugnanti e di ingiustificabili sofferenze.
(3-02297)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nell'Ontario, dove si è insediata la maggior parte degli emigrati italiani in Canada nel secondo dopoguerra, ha avuto nei decenni passati una notevole espansione l'insegnamento della lingua e della cultura italiana, in virtù dell'impegno di un ente gestore come il Centro scuola e delle politiche di apertura, ispirate dal multiculturalismo, delle autorità locali;
   l'aspetto più positivo di tale esperienza, che si distingue a livello globale, è che molte centinaia di corsi di italiano sono stati integrati negli ordinamenti scolastici locali ed offerti in tal modo non solo ai discendenti delle famiglie di origine italiana, ma all'intera utenza scolastica, con evidenti benefici di ordine quantitativo per quanto riguarda il numero delle frequenze e di ordine qualitativo per quanto riguarda il carattere interculturale della didattica;
   tale espansione dell'insegnamento dell'italiano è avvenuta anche grazie al sostegno finanziario sia del Governo italiano, tramite il Centro scuola, che di quello dell'Ontario, un sostegno che sul versante italiano è gradualmente diminuito a causa delle note restrizioni finanziarie degli ultimi anni;
   di recente, lo York Catholic District School Board, che organizza corsi di italiano nelle zone di più densa presenza di persone di origine italiana, ha convocato una riunione per il 31 maggio 2016 nella quale l'organismo gestionale di tale ente deciderà se approvare la proposta di ridimensionamento del suo International Languages Program;
   l'eventuale adozione di tale provvedimento restrittivo avrà pesanti conseguenze sull'insegnamento dell'italiano in particolare nell'area di Woodbridge e Maple, dove è molto alta la presenza degli italiani, poiché comporterà la scomparsa di circa 400 corsi integrati in 23 scuole, attualmente frequentati da circa 8.500 studenti di scuola primaria;
   lo York Catholic District School Board motiva questa decisione con l'esigenza di fronteggiare perdite di gestione che annualmente si aggirerebbero tra i 150.000 e i 200.000 dollari;
   il Provveditorato cattolico aveva portato in discussione tale decisione già nell'ottobre dello scorso anno e in tale occasione per un solo ed inaspettato voto non si è raggiunta la maggioranza necessaria ad approvare i tagli prefigurati;
   per la comunità italiana dell'Ontario sarebbe un colpo durissimo sia sotto l'aspetto del suo profilo storico che sotto quello della qualità del servizio linguistico-culturale, dal momento che il programma di insegnamento della lingua italiana risale agli anni Ottanta e con l'andare del tempo i corsi di cui si parla hanno perduto il loro carattere strettamente «etnico» e sono stati integrati nelle lezioni mattutine svolte nelle scuole locali di diverso ordine e grado –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per interloquire con le autorità scolastiche dell'Ontario e con gli stessi responsabili del Provveditorato cattolico sull'opportunità di cercare, in piena autonomia, misure di risanamento alternative rispetto a quelle ipotizzate e per coinvolgere più direttamente, sotto la guida delle autorità diplomatiche e consolari, la comunità italiana al fine di stabilizzare le prospettive dell'insegnamento dell'italiano nell'Ontario; 
   se si intenda valutare l'opportunità dell'intervento diretto del Ministero, tramite il Centro scuola, allo scopo di superare, non solo temporaneamente, la situazione di crisi che si è venuta a creare in un'area così importante per gli interessi italiani in Canada. (5-08805)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazioni a risposta immediata:


   BINETTI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   le recenti notizie, pubblicate anche dalla stampa, forniscono purtroppo un quadro allarmante circa lo stato ed il trend della natalità nel nostro Paese;
   si fa cenno alla discesa continua delle nascite, anche al di sotto di soglie ritenute psicologiche;
   risulta quindi in diminuzione, nonostante il crescente apporto degli stranieri, la popolazione totale e, soprattutto, diminuisce la forza lavoro, la parte attiva della popolazione stessa, considerando anche che sempre più nostri connazionali in fase attiva decidono di trasferirsi all'estero –:
   a fronte di dati così drammatici, nella consapevolezza della gravità del fenomeno, che rischia di determinare un impoverimento ed un'inevitabile involuzione della società italiana, quali siano le linee di azione ed i settori in cui il Governo intende intervenire, al fine di interrompere un trend così stabilmente negativo e sostenere la famiglia nella decisione di procreare. (3-02300)


   GIGLI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali;
   questa autonomia, però, deve essere esercitata entro precisi limiti, ai sensi dell'articolo 4 dello statuto regionale;
   detti limiti riguardano, in particolare i principi sanciti dalla Costituzione, i principi generali dell'ordinamento giuridico, gli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano (una per tutte la Carta europea delle autonomie locali ratificata dall'Italia nel 1989);
   ora, la legge regionale n. 26 del 2014 ha previsto, fra l'altro, l'unione obbligatoria dei comuni, esautorando, a tutti gli effetti, i comuni stessi della loro autonomia costituzionalmente garantita dall'articolo 5 della Costituzione;
   quindi, nessuna concertazione è stata effettuata in tal senso, tanto è vero che gli enti locali non sono stati nemmeno consultati, in palese violazione dell'articolo 114 della Costituzione che sancisce che sono enti costitutivi della Repubblica i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni, equiordinandoli tra loro –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato. (3-02301)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il nostro è un Paese con un territorio estremamente fragile e in crescente pericolo di dissesto idrogeologico;
   l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la forte espansione edilizia soprattutto negli anni ’70 e ’80, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua, la forte antropizzazione e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
   i problemi sono aggravati negli ultimi anni a causa degli eventi meteo-climatici anomali che ripetutamente colpiscono il Paese; gli ultimi eventi alluvionali dell'Europa centrale hanno posto alla ribalta i pericoli cui è esposto il territorio;
   si tratta di un'emergenza nazionale; se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle alluvioni;
   la maggior parte dei problemi sarebbe risolta con una manutenzione costante dei corsi d'acqua, liberandoli dai tronchi d'albero e dal materiale vegetale che ne impediscono il regolare deflusso, e con una pulizia del fondale dei fiumi e dei torrenti dalla deposizione della sabbia e della ghiaia trascinate dalla corrente, che ripristini la storica condizione dell'alveo e la sezione originale di deflusso;
   per raggiungere risultati concreti serve la sinergia tra amministrazioni centrali e locali per il finanziamento degli interventi; gli enti locali, i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei pericoli da rischio, non sono in grado di risolvere da soli i problemi anche per le regole stringenti del patto di stabilità e crescita imposte dalla Commissione europea e per le conseguenti norme nazionali che hanno costituito un vincolo insormontabile alla spesa delle amministrazioni locali, anche nei casi di disponibilità di risorse;
   appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico provocato dallo straripamento dei corsi d'acqua, soprattutto in direzione della semplificazione delle procedure per l'esecuzione degli interventi e l'assegnazione delle risorse, ma anche in direzione dell'eliminazione delle disposizioni che, di fatto, rendono impossibile la spesa;
   la legge di stabilità per il 2016 ha previsto finanziamenti nella tabella E contro il dissesto idrogeologico che, tuttavia, sono realmente insufficienti a far fronte alle esigenze del Paese;
   anche la legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», cosiddetto collegato ambientale alla legge di stabilità per il 2014, prevede una serie di programmi per la definizione del quadro conoscitivo del demanio idrico, ma mancano azioni concrete verso misure gestionali capaci di ripristinare la continuità idromorfologica longitudinale, laterale e verticale degli alvei dei fiumi e dei torrenti ed evitare l'inondazione delle nostre pianure;
   purtroppo, attualmente, la pulizia dei fiumi e dei torrenti è bloccata da una legislazione obsoleta e da una burocrazia insostenibile che mette in situazioni critiche i cittadini;
   si ritiene che la situazione ha raggiunto ormai un tale livello di gravità che solo una norma di carattere straordinario potrà risolvere i problemi; proprio su questi temi la Lega Nord e autonomie, Lega dei popoli, Noi con Salvini ha presentato anche una proposta di legge su questi temi che prevede un programma sperimentale per la massima accelerazione delle procedure per risolvere in tempi rapidi le situazioni di emergenza;
   il Ministro interrogato in più occasioni ha riferito in Assemblea sui programmi del Governo contro il dissesto idrogeologico –:
   quali interventi urgenti il Ministro interrogato intenda adottare per la pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti dai tronchi d'albero, dal materiale vegetale e dalla deposizione della sabbia e della ghiaia trascinate dalla corrente, allo scopo di ripristinare la storica condizione dell'alveo e la sezione originale di deflusso e garantire un'effettiva prevenzione dai pericoli di dissesto idrogeologico da straripamento dei corsi d'acqua. (3-02302)


   MATARRESE, PIEPOLI, VARGIU e DAMBRUOSO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il recente rapporto «Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio (2015)» dell'Ispra ed il rapporto di Legambiente «Ecosistema rischio 2016 – Monitoraggio sulle attività nelle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico» evidenziano un quadro puntuale e preoccupante del pericolo al quale è sottoposta la popolazione italiana che vive in zone a rischio da dissesto idrogeologico;
   la mappatura delle zone a rischio elaborata dall'Ispra risulta di particolare importanza per la prevenzione e la mitigazione del fenomeno del dissesto idrogeologico. Attualmente, sono 7.145 (oltre l'88 per cento del totale) i comuni nei quali sono presenti aree a pericolosità idraulica e 1.640 i comuni nei quali sono state perimetrate aree esposte a pericolo di frana, 1.607 quelli in cui sono presenti aree a pericolosità idraulica. La superficie delle zone perimetrate corrisponde in totale a quasi il 16 per cento dell'intero territorio nazionale;
   il rapporto di Legambiente, invece, al quale si riferisce il seguito della presente interrogazione, riporta dati che, per quanto ancora parziali, evidenziano maggiormente il pericolo evidente al quale sono sottoposti milioni di cittadini italiani che vivono proprio in alcune delle aree perimetrate e rischiose;
   in particolare, i dati del suddetto rapporto sono stati ricavati dalle risposte ai questionari inviati a 6.174 amministrazioni comunali nelle quali sono state perimetrate aree a rischio di dissesto idrogeologico. Allo stato sono 1.444 i comuni che hanno risposto al questionario di «Ecosistema rischio» tra giugno e dicembre 2015 (il 23 per cento dei comuni a rischio d'Italia), evidenziando situazioni di particolare criticità;
   da quanto si evince dai dati del rapporto, 7 milioni di cittadini vivono quotidianamente in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni;
   il dato riferito ai cittadini che vivono in aree a rischio desta particolari preoccupazioni se si considera che «nel 48 per cento dei comuni intervistati sono meno di 100 le persone presenti in aree a rischio; nel 24 per cento dei casi questo numero è compreso fra le 100 e le 1.000 unità e nel 6 per cento delle situazioni sale nella fascia fra 1.000 e 10.000 persone. Per quel che riguarda i comuni più grandi e densamente popolati fra quelli che hanno partecipato all'indagine, sono 15 quelli in cui la popolazione residente in aree a rischio è compresa fra 10.000 e 50.000, 3 quello in cui è compresa fra 50.000 e 100.000: Genova, Ferrara e Reggio Emilia e 3 quelli in cui sono presenti oltre 100.000 persone in zone esposte a pericolo: Roma, Napoli e Rimini (...)»;
   la dimensione del rischio al quale è sottoposto il nostro Paese è data dall'intensa urbanizzazione delle zone soggette a pericolo di frane e alluvioni: in 1.075 comuni (il 77 per cento del totale analizzato dal report) sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana, e nel 29 per cento dei casi (401 comuni) in tali zone sono presenti addirittura interi quartieri. Nel 51 per cento dei comuni campione dell'indagine in aree a rischio sono presenti fabbricati industriali;
   nel 18 per cento dei comuni intervistati, invece, sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili come scuole e ospedali e nel 25 per cento dei casi in aree a rischio sono state costruite strutture ricettive turistiche o strutture commerciali;
   un dato decisamente preoccupante è quello che testimonia l'eccessiva e recente antropizzazione delle aree a rischio, soprattutto negli ultimi dieci anni e nonostante i pericoli evidenti. Infatti, nell'ultimo decennio, sono stati costruiti edifici in aree a rischio nel 10 per cento dei comuni intervistati (146 fra quelli intervistati) e solo il 4 per cento delle amministrazioni ha intrapreso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e l'1 per cento di insediamenti industriali;
   tra i comuni in cui si è costruito in aree a rischio idrogeologico nell'ultimo decennio, nell'88 per cento dei casi sono state urbanizzate aree a rischio di esondazione o a rischio di frana con la costruzione di abitazioni (in 128 comuni su 146), nel 14 per cento dei casi in tali aree sono sorti addirittura interi quartieri (in 20 comuni). Nel 38 per cento dei casi l'edificazione recente ha riguardato fabbricati industriali (55 comuni). Nel 12 per cento dei casi (17 comuni), invece, sono state costruite di recente in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili come scuole e ospedali, nel 18 per cento (26 comuni) strutture ricettive e nel 23 per cento (33 comuni) strutture commerciali;
   il rapporto evidenzia, altresì, il forte ritardo delle attività finalizzate all'informazione dei cittadini sul rischio e i comportamenti da adottare in caso di emergenza. L'84 per cento dei comuni, infatti, ha un piano di emergenza che prende in considerazione il rischio idrogeologico, ma solo il 46 per cento lo ha aggiornato e solo il 30 per cento dei comuni intervistati ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini;
   c’è da evidenziare ancora una volta, purtroppo, che solo nel 2015 frane e alluvioni hanno causato nel nostro Paese 18 vittime, 1 disperso e 25 feriti, con 3.694 persone evacuate o rimaste senzatetto in 19 regioni, 56 province, 115 comuni e 133 località; secondo l'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) del Cnr, nel periodo 2010-2014 le vittime sono state 145 con 44.528 persone evacuate o senzatetto, con eventi che si sono verificati in tutte le regioni italiane, nella quasi totalità delle province (97) e in 625 comuni, per un totale di 880 località colpite;
   la situazione delineata dai due rapporti desta preoccupazione e, malgrado vi sia la percezione da parte dei cittadini di una certa inerzia da parte delle istituzioni nel porre in essere atti concreti alla risoluzione della problematica evidenziata, risulta invece evidente l'impegno del Governo in carica che, nel corso della XVII legislatura e facendo seguito agli impegni assunti in sede di approvazione degli atti di indirizzo del Parlamento, ha individuato risorse da destinare al contrasto del dissesto idrogeologico ed ha adottato misure e provvedimenti che hanno interessato la disciplina della governance, il coordinamento e la gestione degli interventi, nonché le risorse finanziarie da allocare;
   nel documento di economia e finanza 2016 si sottolinea, a supporto ulteriore del contrasto al fenomeno del rischio da dissesto idrogeologico, che «entro il 2017 per completare l'azione di sostegno alla sostenibilità ambientale è in fase di definizione un provvedimento legislativo (green act) contenente misure finalizzate alla decarbonizzazione dell'economia, all'efficienza nell'utilizzo delle risorse, alla protezione e al ripristino degli ecosistemi naturali e alla finanza per lo sviluppo (...)»;
   è altresì evidente, purtroppo, che i processi di individuazione dei rischi e degli interventi da realizzare, di individuazione delle risorse da impiegare e di predisposizione dei provvedimenti normativi da adottare, necessitano tutti di tempi molto lunghi per essere completati e, purtroppo, sempre troppo spesso a questi si aggiungono elementi ostativi all'effettiva esecuzione dei lavori che sembrerebbero attribuibili alla scarsa capacità di gestione e di spesa delle risorse da parte delle regioni e degli enti preposti e che quasi mai risultano immediate per problemi di natura diversa;
   di contro, si verifica spesso che siano le regioni a lamentare carenza di risorse e ritardi nei finanziamenti da parte dello Stato. Singolare, ad esempio, è il caso della regione Puglia che, secondo quanto si evince da propri comunicati stampa, avrebbe invocato più collaborazione da parte del Governo chiedendo 2,3 miliardi di euro a fronte di un fabbisogno evidenziato proprio dal sistema Rendis (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) per interventi di mitigazione del fenomeno del dissesto idrogeologico su progetti immediatamente cantierizzabili;
   compito dello Stato è sicuramente quello di individuare tutti gli elementi ostativi all'effettivo impiego delle risorse al fine di rimuoverli e di consentire l'immediata esecuzione degli interventi più urgenti, così da poter mettere in sicurezza le aree di rischio individuate e dare risposte concrete ai cittadini che richiedono soluzioni immediate a problemi di questa entità –:
   quale sia lo stato di attuazione della programmazione e della pianificazione degli interventi per il contrasto al fenomeno del rischio da dissesto idrogeologico in Italia, quali siano le risorse disponibili e gli elementi maggiormente ostativi all'impiego immediato e concreto delle risorse individuate da parte delle regioni e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di rimuoverli per accelerarne la spesa. (3-02303)


   PETRENGA, TAGLIALATELA, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, RIZZETTO, RAMPELLI, CIRIELLI, MAIETTA, NASTRI e TOTARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo oltre due anni dalla conversione del decreto-legge volto a fronteggiare l'emergenza nel territorio della Terra dei fuochi, che interessa quasi novanta comuni nelle province di Napoli e Caserta e nel quale sono stati scaricati illecitamente oltre dieci milioni di tonnellate di veleni, nulla è stato fatto;
   a dispetto dei proclami della nuova giunta regionale, la quale ha festeggiato proprio due giorni fa la rimozione della prima ecoballa, inizio di un percorso ideato dalla stessa giunta che secondo le associazioni ambientaliste dovrebbe durare quasi tredici anni nelle previsioni più rosee, e del Governo, che aveva annunciato lo stanziamento per il 2016 di duecento milioni di euro poi subito corretto in centocinquanta, la situazione rimane critica;
   il sistema dello smaltimento illecito dei rifiuti e il drammatico fenomeno dei roghi non si sono ancora fermati, le ecoballe sono ancora lì, non sono state completate le analisi sui terreni, le bonifiche non sono neanche iniziate e in molti casi mancano ancora addirittura i progetti, non sono state previste le attività di risanamento delle falde contaminate e nelle zone agricole delle aree potenzialmente inquinate e vicine ad impianti di smaltimento rifiuti, mentre i dati epidemiologici rimangono preoccupanti e continuano a moltiplicarsi le patologie tumorali, soprattutto nei bambini –:
   in che modo intenda intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di realizzare con urgenza le operazioni di bonifica e di risanamento territoriale nei territori della Terra dei fuochi, recuperando la loro valenza ambientale e agricola e tutelando la salute della cittadinanza. (3-02304)

Interrogazioni a risposta orale:


   GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dopo anni in cui il lupo in Italia ha rischiato di estinguersi, numericamente ridotto a pochi branchi insediati prevalentemente in Appennino centrale, oggi è presente dalla Calabria fino a diversi settori delle Alpi, si possono distinguere una popolazione appenninica e una alpina con situazioni ecologiche e dinamiche diverse ma che necessiterebbero comunque una gestione coordinata e a larga scala;
   la direttiva «habitat» (92/43/CEE) recepita dall'Italia con decreto del Presidente della Repubblica dell'8 settembre 1997, n. 357, inserisce il lupo negli allegati B, specie la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione e D, specie prioritaria, di interesse comunitario che richiede una protezione rigorosa, proibendone la cattura, l'uccisione, il disturbo, la detenzione, il trasporto, lo scambio e la commercializzazione;
   la convenzione di Berna inserisce il lupo nell'allegato II (specie strettamente protette), prevedendone quindi una speciale protezione e proibendone in particolare la cattura, l'uccisione, la detenzione ed il commercio;
   l'articolo 1, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» stabilisce che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale». All'articolo 2, comma 1, lettera a), inoltre, si riconosce il lupo tra le specie «particolarmente protette»;
   nel 1995 il WWF internazionale ed il Consiglio d'Europa hanno istituito un gruppo di esperti «Large Carnivore Initiative for Europe» (LCIE) dedicato alla gestione e conservazione dei grandi carnivori del nostro continente. LCIE ha lo scopo di «conservare, in coesistenza con l'uomo, popolazioni vitali di grandi carnivori come parte integrante degli ecosistemi e dei paesaggi europei»;
   la consistente presenza di cani vaganti costituisce un pericolo per il rischio di ibridazione, ed aumenta il conflitto con gli allevatori per i danni che possono essere attribuiti erroneamente al lupo;
   l'attuale quadro normativo, di cui all'articolo 1 della legge 14 agosto 1991 n. 281, in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo prevede: «Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente». Al successivo articolo 2, comma 6, si stabilisce che i cani ricoverati in canili e rifugi per cani «possono essere soppressi, in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità»;
   in Italia il lupo è stato oggetto dello svolgimento di 18 progetti cofinanziati dalla Commissione europea, concentrati su due aspetti principali: la qualità dell’habitat ed il conflitto con le attività umane;
   nei rilievi effettuati nell'ambito del progetto LIFE Medwolf (LIFE11 NAT/IT/069) risulta che sul territorio toscano, per buona parte interessato, le predazioni sono messe in atto da cani mal gestiti e tra le aziende zootecniche che hanno subito predazioni nel 2014 il 98 per cento non è sorvegliata dal pastore, l'85 per cento non ha recinti anti predatore, il 57 per cento non ha cani da guardia, il 41 per cento ha solo 2 cani ogni 500 pecore;
   il medesimo progetto Life Medwolf, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, indica in appena 0,3 per cento la percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalle predazioni nel 2014;
   già nel febbraio 2014 la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione considerando le azioni nei confronti dei lupi «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva Habitat e del primo obiettivo della strategia dell'UE per la biodiversità. È di competenza degli Stati membri assicurare il rispetto delle norme sulla protezione delle specie previste dalla direttiva Habitat»;
   la Commissione garantisce che gli Stati membri si conformino a tale obbligo. Essa ha condotto una serie di attività volte a promuovere un dialogo costruttivo tra le parti interessate nella speranza di ridurre i conflitti sulla questione dei grandi carnivori e ha direttamente sostenuto vari progetti e misure con il medesimo obiettivo. Inoltre, ha finanziato diversi progetti nell'ambito del programma LIFE, mirati specificamente alla conservazione del lupo in Italia» (risposta all'interrogazione parlamentare E-002258-14);
   negli ultimi tempi, come denunciato dall'interrogante nell'interrogazione n. 5-06442 del 28 settembre 2015, ancora in attesa di risposta, si sono registrati un aumento degli atti di bracconaggio che rappresenta probabilmente la principale causa di mortalità del lupo in Italia, dal numero complessivo di lupi rinvenuti morti, e la successiva esposizione intimidatoria delle carcasse;
   manca uno schema di monitoraggio nazionale e quindi un quadro univoco e condiviso della popolazione del lupo, in termini numerici e di distribuzione reale;
   il primo piano quinquennale d'azione nazionale per la conservazione del lupo, redatto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, già scaduto nel 2007, non è stato ancora rinnovato ma è rimasto praticamente inapplicato. E attualmente in corso la revisione del piano di azione su iniziativa del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dove sembra prospettarsi la concessione di deroghe come soluzione alla gestione delle popolazioni di lupi –:
   quali iniziative intenda mettere in atto al fine di prevenire azioni di bracconaggio nei confronti di lupi e ibridi;
   quali iniziative intenda, intraprendere al fine di garantire, anche all'interno della revisione del Piano di azione la tutela dei lupi. (3-02288)


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, ROSSI, BUSTO, CIRACÌ, PESCO, SPESSOTTO, LA MARCA, CARLONI, LOREFICE, COLONNESE, SIBILIA, D'UVA, CRISTIAN IANNUZZI e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno degli attacchi alle greggi da parte di lupi e canidi è recentemente utilizzato come pretesto per richiedere la possibilità di operare abbattimenti delle specie in questione;
   numerose sono le pressioni da parte di rappresentanti del mondo allevatoriale e di politici, in particolare dalla Toscana, ma non solo, per ottenere deroghe alla direttiva «Habitat» al fine di definire quote di abbattimento di lupi o persino modificare la normativa europea in materia di tutela del lupo;
   il bracconaggio nei confronti del lupo e degli ibridi lupo-cane è già di per sé un fenomeno dalla portata certamente maggiore rispetto a quanto evidenziato dai ritrovamenti di carcasse esposte a scopo intimidatorio;
   il fenomeno dei danni da predazione da parte di lupi e ibridi alle attività zootecniche è da inquadrarsi nell'ambito di una presenza naturale della specie lupo sul territorio, tornata a crescere spontaneamente sulla base di misure di tutela e di buona gestione ambientale in tutta Europa come attestato dalla Commissione europea nelle Key actions for Large Carnivore populations in Europe del gennaio 2015 («All populations are the results of natural dynamics as no wolf reintroduction has ever been carried out in Europe»);
   nel medesimo documento la Commissione europea stima in circa 800 animali la popolazione di lupi presente nella penisola italiana includendo la specie nella categoria VU (vulnerabile);
   il lupo (Canis Lupus) è inserito tra le specie particolarmente protette nella legge n. 157 del 1992, specie protetta dalla direttiva 92/43 (direttiva «Habitat») recepita in Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 (modificato e integrato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 2003);
   il cane — e conseguentemente tutti gli «ibridi» successivi fino alla quarta generazione — è tutelato dalla legge nazionale italiana 281/91 e ne è vietata l'uccisione se non per elencati e comprovati motivi, in maniera eutanasica;
   in una lettera ai membri dell'Unione zoologica italiana del 25 febbraio 2015 a firma del professor Luigi Boitani si è fatto riferimento a una richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di valutare eventuali quote di lupi abbattibili;
   nei rilievi effettuati nell'ambito del progetto LIFE Medwolf (LIFE11 NAT/IT/069) risulta che sul territorio toscano interessato una buona parte delle predazioni è messa in atto da cani mal gestiti e tra le aziende zootecniche che hanno subito predazioni nel 2014 il 98 per cento non è sorvegliato dal pastore, l'85 per cento non ha recinti anti predatore, il 57 per cento non ha cani da guardia, il 41 per cento ha solo 2 cani ogni 500 pecore;
   il medesimo progetto Life Medwolf, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, indica in appena 0,3 per cento la percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalle predazioni nel 2014;
   già nel febbraio 2014 la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione considerando le azioni nei confronti dei lupi «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva Habitat e del primo obiettivo della strategia dell'UE per la biodiversità» (in risposta all'interrogazione parlamentare E-002258-14) –:
   quale sia la posizione dei Ministri interrogati sulle proposte di deroghe alla direttiva «Habitat» al fine di determinare eventuali quote di lupi abbattibili;
   quali siano le iniziative messe in atto dai Ministri interrogati per tutelare gli ibridi lupo-cane;
   quali iniziative intendano mettere in atto al fine di prevenire azioni di bracconaggio nei confronti di lupi e ibridi.
(3-02289)


   BENEDETTI e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   all'ordinanza emessa dal sindaco di Verona Flavio Tosi, che consente l'abbattimento dei lupi per 90 giorni a partire dal 25 settembre 2014, è seguita la denuncia del Corpo forestale dello Stato per avere autorizzato l'abbattimento di specie protetta;
   a mezzo stampa il sindaco difende il proprio operato, motivato dalla volontà di dare maggiori garanzie di sicurezza, riconoscendo al cittadino la libertà di difendersi in caso di attacchi o di situazioni di pericolo;
   con protocollo 0019543/PNM del 29 settembre 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare inviava una lettera alla regione Veneto, alla provincia di Verona, al Corpo forestale dello Stato e per conoscenza all'Ispra, chiedendo di «fornire ogni utile elemento informativo, anche in merito alle eventuali iniziative adottate sulla questione dalle Amministrazioni in indirizzo alla luce dei compiti e responsabilità attribuiti dalla normativa vigente»;
   è parere degli interroganti che, nonostante gli avvenimenti siano di competenza regionale e provinciale, in tali gravi casi di emanazione di provvedimenti contrari a qualsiasi normativa vigente, l'autorità ministeriale possa e debba intervenire con risolutezza, anche al fine di evitare epiloghi tragici come la recente uccisione dell'orsa Daniza in Trentino –:
   se siano stati forniti gli elementi richiesti dal Ministro e se non ritenga di dover intervenire, nei limiti di competenza, in modo più incisivo nei confronti della delibera emanata dal primo cittadino di Verona, che appare agli interroganti contraria a qualsiasi normativa vigente per la tutela delle specie protette, al fine di scongiurare la sua attuazione. (3-02290)


   DALLAI e SANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le rilevanti criticità determinate dai danni causati all'agricoltura ed alla zootecnia dagli animali selvatici hanno assunto negli ultimi anni dimensioni notevoli, con ripercussioni allarmanti che incidono negativamente, oltre che sui bilanci economici delle aziende agricole, anche sull'equilibrata coesistenza tra attività umane e specie animali;
   in particolare, da anni, si registrano ormai in tutta Italia attacchi di lupi e di ibridi ad aziende con particolare frequenza in Toscana, con particolare intensità nella provincia di Grosseto, ma con episodi che caratterizzano quasi tutte le province della regione;
   secondo i dati resi noti dal corpo forestale nel «2015, nella provincia di Grosseto, ci sono state 476 denunce di episodi di predazione, con mille e 210 capi morti (pecore e agnelli)»; «le aziende che hanno subito attacchi nel 2015 sono 193 su un totale di mille e trecento registrate». Nei primi quattro mesi del 2016 le denunce sono però dimezzate: «dalle 202 tra gennaio e aprile 2015 alle 101 dei primi quattro mesi di quest'anno»;
   l'incremento della frequenza di attacchi da parte di lupi agli allevamenti, sta causando un inasprimento della tensione sociale, soprattutto tra le imprese e gli addetti interessati. Tale fenomeno assume quindi i connotati di una vera e propria emergenza, che sollecita l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di misure preventive e di contrasto;
   la regione Toscana sta mettendo in campo misure per ricercare un equilibrio tra le esigenze delle attività degli allevatori, che sono parte costitutiva dell'economia e dell'identità territoriale, e la tutela della biodiversità;
   a livello europeo, il lupo (definizione ufficiale canis lupus) è una specie identificata e tutelata dalla direttiva 92/43CE (cosiddetta «Direttiva Habitat»);
   nonostante l'articolo 12 di tale direttiva vieti «qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata sulle specie», è permesso comunque agli Stati membri di mettere in atto delle azioni di gestione in deroga. Azioni già intraprese, peraltro, negli anni scorsi, da Francia e Spagna;
   non esiste in Italia una legge nazionale che regoli la conservazione o la gestione delle specie protette. La legge n. 157 del 1992, infatti, indica solamente che le specie protette non possano essere sottoposte a prelievo venatorio;
   si apprende, da organi di informazione, che «la Conferenza Stato-Regioni» stia «per decidere se autorizzare una quota annuale di abbattimenti di lupi. Nella bozza presentata dal ministero dell'Ambiente del nuovo Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, si parla infatti della possibilità di autorizzarne l'eliminazione del 5 per cento del totale: in tutto, circolano circa 1.500 di lupi nella Penisola (dopo il ripopolamento degli anni ’70), disseminati nelle aree protette dell'Appennino e delle Alpi. Con il via libera si potrebbe arrivare fino a un massimo di 60 esemplari in meno l'anno»;
   tali abbattimenti, sempre secondo la stampa, sarebbero disposti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per attenuare «il conflitto sociale connesso alla coesistenza uomo-lupo: conflitto che in questi anni si è manifestato in molteplici ambiti geografici e che ha concorso all'aumento di episodi di bracconaggio»;
   la presenza di lupi, legata alla crescita del randagismo dei canidi anche nelle campagna e nelle zone boschive sta inoltre causando un notevole aumento del fenomeno dell'ibridazione, che rappresenta inevitabilmente una seria minaccia alla sopravvivenza stessa della specie genetica del lupo;
   uno studio effettuato dall'università La Sapienza di Roma ha infatti accertato la presenza di molti di questi esemplari nei boschi e nelle campagne del nostro Paese;
   in Toscana, esemplari ibridi sono stati confermati nel Mugello, nel Senese, nell'Amiata e nel Parco della Maremma;
   a causa degli incroci con il cane, il lupo rischia di perdere la sua identità genetica. Questo può comportare la perdita degli adattamenti acquisiti dal lupo nel corso di milioni di anni attraverso la selezione naturale. Il comportamento degli ibridi è del tutto simile a quello dei lupi, ma le caratteristiche degli ibridi, spesso simili a quelle di un cane, consentono a questi animali di avvicinarsi a Paesi e animali domestici senza destare allarme. In tal modo, gli ibridi hanno un vantaggio sui lupi nell'attaccare il bestiame, mostrando un comportamento temerario;
   i danni causati dagli ibridi e dai cani vaganti sono del tutto simili a quelli causati dal lupo ed è oggettivamente difficile distinguerli; di conseguenza, la gran parte dei danni viene attribuita al lupo anche quando questo non ne è responsabile;
   gli ibridi non sono chiaramente identificati nell'attuale quadro normativo: non sono protetti dalla legge quadro sulla caccia (legge n. 157 del 1992), non sono contemplati dalla legge sul randagismo canino (legge n. 281 del 1991), né dai regolamenti per l'indennizzo dei danni, e ciò pone quindi seri problemi legali per la gestione sia degli animali ibridi, che dei danni da loro causati;
   è attivo il progetto «Ibriwolf», unico nel continente, le cui attività sono comprese nel piano d'azione per la gestione dei lupi in Europa (pubblicato dal Consiglio d'Europa nel 2000) e sono previste dal piano di gestione del lupo italiano in fase di sviluppo da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il progetto «Ibriwolf» ha i seguenti obiettivi:
    identificare e rimuovere tutti gli ibridi da due aree pilota in Toscana, dove ne è stata riscontrata la presenza;
    diminuire la presenza di cani vaganti attraverso la loro rimozione ove possibile, sterilizzando e custodendo tutti gli individui catturati;
    aumentare nel pubblico la consapevolezza della minaccia rappresentata dagli ibridi – e dai cani vaganti – per i lupi e per la fauna in genere;
    creare una rete per contribuire allo sviluppo delle migliori soluzioni per affrontare il problema dell'ibridazione, anche nel lungo periodo;
    sviluppare linee guida per la gestione di ibridi lupo-cane;
    attrezzare delle aree in cui gli ibridi catturati possano essere tenuti in cattività ed essere visti dal pubblico;
    creare una rete di amministrazioni pubbliche, dove la presenza di ibridi è stata riscontrata, al fine di stimolare la replica di esperienze di successo e il miglioramento di queste attività sperimentali –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere, anche di concerto con gli enti territoriali coinvolti, al fine di introdurre gli strumenti più idonei a garantire un giusto equilibrio tra la presenza del lupo e quella degli allevatori, per salvaguardare al tempo stesso le attività di reddito per le comunità locali e la conservazione e la valorizzazione delle peculiarità faunistiche ed ambientali del territorio;
   se le notizie citate in premessa e relative alle anticipazioni di stampa sul nuovo piano di conservazione e gestione del lupo in Italia corrispondano al vero;
   quali interventi urgenti, sempre in relazione a quanto esposto in premessa, stia promuovendo il Ministro interrogato per prevenire e contrastare il fenomeno dell'ibridazione lupo-cane e quali siano stati, fino ad oggi, i risultati ottenuti.
(3-02291)


   SANI e FAENZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le rilevanti criticità determinate dai danni causati all'agricoltura ed alla zootecnia dai lupi hanno assunto negli ultimi anni dimensioni notevoli, con ripercussioni allarmanti che incidono negativamente, oltre che sui bilanci economici delle aziende agricole, anche sull'equilibrata coesistenza tra attività umane e specie animali;
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), attraverso l'elaborazione di specifiche ricerche, ha rilevato che nel nostro paese i lupi, dopo aver rischiato l'estinzione, si sono riadattati a sopravvivere in raggruppamenti, localizzabili in alcune aree isolate dell'Appennino centrale e meridionale, riapparendo successivamente in vaste zone lungo l'intera dorsale appenninica e sulle Alpi Marittime, interessando anche aree con grande vocazione rurale e densamente popolate dall'uomo e da attività zootecniche;
   si sono registrati, negli ultimi mesi, attacchi di lupi ad aziende soprattutto nel centro Italia, ultima in ordine di tempo quella che ha colpito nel mese di ottobre 2013 un allevamento ovino nel comune di Scansano (provincia di Grosseto) dove sono state uccise oltre 70 pecore;
   dalla dinamica di tali episodi (verificatisi in strutture protette da appositi recinti rinforzati) e dalle conseguenze spesso drammatiche degli attacchi (interi allevamenti vengono distrutti se ai capi uccisi si aggiungono quelli feriti gravemente ed i conseguenti problemi di riproduzione) risulta evidente che non si tratta di incursioni di lupi isolati ma di veri e propri branchi che potrebbero, se tale fenomeno venisse sottovalutato, rappresentare un problema di sicurezza anche per l'uomo soprattutto nelle zone marginali;
   in alcune aree del territorio nazionale ad alta vocazione agricola, l'incremento della frequenza di attacchi da parte di lupi agli allevamenti, sta quindi causando un inasprimento della tensione sociale, soprattutto tra le imprese e gli addetti interessati;
   tale fenomeno assume quindi i connotati di una vera e propria emergenza, che sollecita l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di misure preventive e di contrasto;
   è utile inoltre ricordare che il fenomeno dei danni causati dalla fauna selvatica alle aziende zootecniche ed agricole ha già indotto la Commissione Agricoltura della Camera dei deputati a svolgere, nel corso della XVI legislatura, una specifica indagine conoscitiva dedicata al fenomeno, alla quale ha fatto seguito l'avvio dell'esame di proposte di legge volte ad adeguare il quadro normativo vigente, che tuttavia non è stato possibile portare a conclusione entro la fine della legislatura;
   il lupo è tutelato, a livello internazionale, dalla Convenzione di Berna («Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa»). L'articolo 9 della Convenzione permette, in presenza di determinati presupposti, alcune deroghe alle rigorose disposizioni contemplate per le specie animali elencate; qualora non vi sia altra soluzione soddisfacente e la deroga non debba nuocere alla sopravvivenza della popolazione interessata, gli animali delle specie in questione possono essere abbattuti per prevenire, tra l'altro, danni significativi al bestiame;
   in base all'articolo 9 sopracitato, la Svizzera ha autorizzato l'abbattimento di alcuni lupi appartenenti alla popolazione presente nell'arco alpino e responsabili di gravi danni ad animali da reddito;
   a livello europeo il lupo (definizione ufficiale canis lupus) è una specie identificata e tutelata dalla Direttiva 92/43CE (cosiddetta «direttiva habitat»);
   nonostante l'articolo 12 di tale Direttiva vieti «qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata sulle specie», permette comunque agli Stati membri di mettere in atto delle azioni di gestione in deroga. L'uso di deroghe dipende interamente dalle autorità competenti degli stati membri (in questo caso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e deve soddisfare tre condizioni:
    dimostrare che la deroga è necessaria;
    dimostrare che non ci sia alternativa soddisfacente all'azione in deroga;
    dimostrare che l'azione in deroga non abbia impatto negativo sullo stato di conservazione della specie;
   in Francia (altra nazione dove sono frequenti attacchi di lupi alle aziende agricole e zootecniche) è stato recentemente presentato dal governo il «Piano per il lupo 2013-17» dove è stata introdotta la possibilità di catturare gli «esemplari» per scopo «educativo». Comunque, sulla base dei parametri stabiliti dalla convenzione di Berna, in Francia non si potranno abbattere più di 11 lupi l'anno;
   non esiste in Italia una legge nazionale che regoli la conservazione o la gestione delle specie protette. La Legge numero 157 del 1992 infatti indica solamente che le specie protette non possono essere sottoposte a prelievo venatorio;
   in Italia «il Piano di azione nazionale per la conservazione dei lupi», redatto dall'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, vigilato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) nel 2012 raccoglie una serie di raccomandazioni per gli enti locali da attuare in maniera sinergica e concordata. La sua validità era di 5 anni ed è quindi quanto mai necessario un aggiornamento capace di analizzare la situazione pregressa, anche al fine di elaborare protocolli di intervento che prevedano un monitoraggio continuo della popolazione ed azioni di prevenzione e salvaguardia capace di promuovere una effettiva e persistente sostenibilità territoriale della presenza del lupo;
   è comunque necessario che ogni politica territoriale sulla gestione dei lupi sia basata su conoscenze scientifiche comprovate, su una pianificazione territoriale ampia e condivisa da tutti gli enti e le istituzioni preposte e su un compromesso sostenibile con l'ambiente, l'insediamento umano e le attività economiche e produttive inerenti;
   la Commissione agricoltura della Camera dei deputati ha approvato il 19 giugno 2013 una risoluzione congiunta (numero 8-00003: «Iniziative in materia di danni causati all'agricoltura dalla fauna selvatica o inselvatichita») che impegna il governo, anche per ciò che concerne le politiche di gestione dei lupi, a proseguire iniziative di monitoraggio, studio e ricerca a livello nazionale coinvolgendo anche le istituzioni territoriali e le associazioni interessate, per promuovere misure efficaci e concordate di prevenzione e sostegno per i danneggiamenti subiti dalle aziende, utilizzando anche fondi europei. La risoluzione impegna inoltre l'esecutivo ad «assumere in sede europea, previa verifica delle misure adottate da altri Paesi europei per fronteggiare problemi analoghi, le iniziative eventualmente necessarie per adeguare il quadro normativo vigente alle esigenze dell'agricoltura italiana, al fine di assicurare la sostenibilità delle attività agricole e zootecniche nel rispetto delle esigenza di tutela delle specie animali» –:
   se, alla luce di quanto espresso in premessa, non sia prioritario dare mandato all'Ispra di aggiornare «il Piano di azione nazionale per la conservazione dei lupi» comprensivo di un censimento dell'attuale presenza in Italia di tale specie animale; quale documento scientifico propedeutico a qualsiasi efficace e corretta politica di gestione di tale fenomeno;
   se non ritenga conseguentemente necessario, coerentemente con la risoluzione numero 8-00003, assumere provvedimenti urgenti al fine di introdurre gli strumenti più idonei a garantire un giusto equilibrio tra la presenza del lupo e quella degli allevatori, per salvaguardare al tempo stesso le attività di reddito per le comunità locali e la conservazione e la valorizzazione delle peculiarità faunistiche ed ambientali del territorio. (3-02292)


   TURCO, ARTINI e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei comuni dell'Alta Lessinia in provincia di Verona viene segnalata sempre più spesso una progressiva presenza di lupi che si avvicinano alle abitazioni in cerca di cibo, attratti dagli allevamenti di bestiame che insistono nella zona;
   sempre più di frequente si assiste ad attacchi ai capi di bestiame portati, specialmente nelle ore notturne, da un branco di lupi che si è insediato nella zona da qualche anno e che a quanto è dato conoscere sarebbe giunto a 13 unità;
   la situazione rischia di divenire via via sempre più preoccupante in quanto nell'ultimo biennio sono stati 102 i capi di bestiame predati sui monti veronesi, numero quadruplicato rispetto alle annate 2012-2013 e gli allevatori sentono la presenza dei lupi come una crescente e concreta minaccia alla propria attività nonché alla propria incolumità;
   il 22 febbraio 2016 si è svolto presso la provincia di Verona un incontro a cui hanno partecipato il presidente della provincia, il Sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare Barbara Degani, oltre a deputati e consiglieri regionali e provinciali, il vicedirettore dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), rappresentanti di molte associazioni ambientaliste e di allevatori nonché i sindaci dei comuni montani veronesi interessati dagli attacchi del branco di lupi;
   l'incontro sicuramente è servito a mettere al corrente anche il Governo centrale della situazione che si sta vivendo nella zona veronese, della specificità della Lessinia e della difficile convivenza con la presenza di un branco di lupi così aggressivo;
   i soggetti coinvolti, tuttavia, non avrebbero manifestato ampia soddisfazione a seguito dell'incontro;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con la consulenza dell'Unione zoologica italiana, sta terminando di predisporre il piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, che, a quanto riportato da alcuni media, sembrerebbe autorizzare l'uccisione di circa 60 esemplari ogni anno;
   la proposta andrà discussa nei prossimi mesi nella Conferenza Stato-regioni ed ha già attirato numerose polemiche e prese di posizione da parte di varie associazioni ambientaliste e associazioni di allevatori;
   i lupi sono tutelati dalla direttiva comunitaria «habitat», del 1992, recepita dall'ordinamento italiano con il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, che contiene norme relative a tutte le specie protette e che non verrebbero modificate;
   il nuovo piano del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, aggiungerebbe una serie di indirizzi per la gestione specifica del lupo sul territorio italiano, e tra questi sarebbe inserita la possibilità di abbattimenti selettivi di esemplari particolarmente problematici;
   questa possibilità è già contemplata dalle leggi comunitarie, che consentono la richiesta di concessione, da parte degli Stati membri, di deroghe al divieto di abbattimento in presenza di quattro requisiti: negli ultimi anni Francia, Spagna e Svezia, se ne sono servite, ma ad oggi, l'Italia non ha ancora applicato questo strumento;
   il piano del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aggiungerebbe tre ulteriori requisiti, prevedendo che ogni singola richiesta venga trattata comunque come un caso speciale, e fissando un limite preciso agli abbattimenti, anche nel caso in cui tutti i presupposti di legge fossero integrati: per ciascun anno il numero non potrebbe superare il 5 per cento della stima più conservativa sulla popolazione dei lupi, e quindi verosimilmente mai più di 50/60 esemplari per anno;
   la popolazione di lupi in Italia, è stato stimato, si concentra principalmente nelle zone appenniniche dove il lupo è sempre stato presente, mentre nella zona alpina dagli anni ’20 non si rilevava più la presenza di questo predatore, riapparso, invece, negli ultimi anni;
   la sua presenza sui monti veronesi della Lessinia è relativamente recente, risale, infatti, al 2012, ma viene ad interferire con l'attività di allevamento che qui è particolarmente sviluppata;
   nella situazione attuale appare, quindi, quanto mai necessario un tentativo di mediazione tra chi vorrebbe arrivare all'eradicazione completa di questi animali dal nostro Paese, e chi, al contrario, chiede che non siano toccati;
   ci si augura che nella Conferenza Stato-regioni possa essere implementato un percorso di mediazione che sia rivolto alla definizione di un accordo tra le parti interessate e ad oggi del tutto contrapposte, attraverso la ricerca di un punto di equilibrio fondato sulle esigenze della cittadinanza ed i valori ambientali, anche facilitando l'accesso ai rimborsi dei capi perduti da parte degli allevatori, per suddividere sulla collettività i costi della presenza di questo animale selvatico sul territorio italiano, al tempo stesso tutelandolo nella sua bio-diversità e garantendo una convivenza pacifica tra lupi ed esseri umani –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e in quali tempi il Ministro interrogato ritenga di poter rendere effettivo il piano di conservazione e gestione del lupo in Italia;
   se ed attraverso quali strumenti intenda facilitare i rimborsi a favore degli allevatori per i capi perduti a seguito della predazione da parte dei lupi;
   se e per mezzo di quali progetti intenda sviluppare azioni di prevenzione da parte dello Stato, con l'investimento di risorse e programmi di informazione che aiutino a garantire la convivenza pacifica tra questi animali e la specie umana.
(3-02294)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, PELLEGRINO, ZARATTI, PLACIDO, AIRAUDO, MARTELLI, PIRAS, QUARANTA, NICCHI, DURANTI e MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 maggio 2016, l'agenzia di stampa ANSA Marche riportava la notizia che a Fano (in provincia di Pesaro Urbino) sono state sequestrate, nelle aree dei cantieri portuali, circa dieci tonnellate di rifiuti pericolosi da parte del locale Comando provinciale dei Carabinieri, insieme ai colleghi del Noe, all'Ispettorato provinciale del lavoro e all'Arpam;
   secondo quanto si è appreso dalle fonti di stampa, alcune delle ditte controllate non rispettano le norme sulla gestione dei rifiuti speciali pericolosi con particolare riferimento al materiale risultante dall'attività di manutenzione e alla riparazione e rimessaggio di yacht e navi da pesca;
   sempre secondo quanto riporta l'ANSA, dagli accertamenti giudiziari effettuati, numerosi dipendenti delle aree portuali sono risultati non in regola con le norme del diritto del lavoro;
   sono risultate inquinate anche alcune aree, successivamente sequestrate, prospicienti la zona demaniale, fatto che, alle porte della stagione balneare, rischia di danneggiare gravemente l'andamento del flusso turistico presso le spiagge fanesi –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, non intenda avviare iniziative, anche a carattere ispettivo, per valutare la persistenza del danno ambientale in un'area così rilevante per il contesto regionale e nazionale;
   quali iniziative il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda avviare per contrastare il lavoro irregolare nella zona di cui in premessa. (5-08814)


   PARENTELA, DIENI, NESCI, MICILLO, ZOLEZZI, DAGA, TERZONI, MANNINO, BUSTO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea, al fine di ridurre le evidenti differenze esistenti tra le regioni più ricche e quelle meno favorite ha elaborato una specifica politica di coesione economica e sociale. Gli strumenti messi a punto per raggiungere tale obiettivo sono i cosiddetti fondi strutturali europei e di investimento europei. La programmazione relativa a tali fondi è attuata attraverso programmi operativi che possono essere regionali, POR (piano operativo regionale), o nazionali, PON (piano operativo nazionale). Ciascun programma copre un arco di tempo di sette anni ed è elaborato dal singolo Stato membro sulla base di procedure trasparenti nei confronti del pubblico e conformi ai rispettivi quadri istituzionali e giuridici;
   il PON «Sicurezza per lo sviluppo – Obiettivo convergenza» 2007-2013 aveva come obiettivo globale «diffondere migliori condizioni di sicurezza, giustizia e legalità per i cittadini e le imprese, contribuendo alla riqualificazione dei contesti caratterizzati da maggiore pervasività e rilevanza dei fenomeni criminali e all'incremento della fiducia da parte della cittadinanza e degli operatori economici». Questo PON, il cui titolare è il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, aveva una dotazione finanziaria di 1.158 milioni di euro di cui il 50 per cento cofinanziato dall'Unione europea, attraverso il fondo europeo di sviluppo regionale, e il restante 50 per cento dallo Stato italiano. Le regioni interessate dal PON Sicurezza erano le regioni obiettivo convergenza: Calabria, Campania, Puglia e Sicilia;
   l'obiettivo globale del PON è stato perseguito attraverso tre assi principali: asse 1 – sicurezza per la libertà economica e d'impresa; asse 2 – diffusione della legalità; asse 3 – assistenza tecnica. In particolare l'asse 1 – sicurezza per la libertà economica e d'impresa aveva come obiettivo specifico quello di «determinare una maggiore sicurezza per la libertà economica e d'impresa». All'interno dell'asse 1, l'obiettivo operativo 1.3 – tutelare il contesto ambientale aveva come scopo il potenziamento delle forme di tutela dell'ambiente dall'aggressione criminale a tutela del benessere sociale ed economico delle regioni obiettivo convergenza anche attraverso la sperimentazione di strumenti innovativi per il controllo, il monitoraggio e la prevenzione degli illeciti riguardanti l'ambiente in genere. Il progetto MIAPI («monitoraggio e l'individuazione di aree potenzialmente inquinate nelle regioni obiettivo convergenza») si colloca proprio in questo particolare obiettivo operativo;
   il progetto MIAPI, ideato nel 2011, nato dalla collaborazione tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il comando carabinieri per la tutela ambientale e finanziato con 10.556.570,00 di euro, ha come obiettivo la localizzazione di possibili fonti di inquinamento attraverso l'individuazione delle anomalie che si riscontrano in alcuni parametri fisici e geofisici (magnetici, spettrometrici e termici) misurati attraverso sensori da piattaforma aerea. Il progetto prevede l'acquisizione di un totale di circa 12.000 chilometri quadrati di rilievi aerei a cui si aggiungono 1.550 chilometri di verifiche a terra. Il progetto MIAPI, il primo in ambito nazionale su vasta scala, ha una connotazione fortemente innovativa, perché, per la prima volta, sono state applicate tecniche normalmente utilizzate nel campo dei rilievi geologici all'ambito della tutela dell'ambiente e della prevenzione di reati ambientali. Per la realizzazione del progetto e il suo svolgimento è stata indetta una gara europea a seguito della quale è risultato aggiudicatario del contratto un raggruppamento temporaneo composto da Telecom Italia spa e Helica srl. Il contratto tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il raggruppamento temporaneo d'imprese (RTI) è stato stipulato il 19 dicembre 2012 e i lavori sono stati avviati nel maggio 2013. Gli obiettivi principali del progetto MIAPI sono:
    a) individuazione di discariche abusive e siti potenzialmente contaminati con l'ausilio di dati telerilevati da piattaforma aerea;
    b) verifica a terra tramite indagini di campo delle anomalie riscontrate dall'analisi dei dati telerilevati;
    c) creazione di sistema informativo multimediale (sistema informativo aree potenzialmente inquinate, SIAPI) delle anomalie riscontrate sul territorio;
   il notevole interesse suscitato dal progetto, anche grazie all'apertura di diverse istruttorie presso alcune procure della Repubblica, sia per l'innovativa tecnica di indagine sia per la sua speditiva applicazione ha portato allo stanziamento di ulteriori fondi per investigare aree inizialmente escluse per la mancanza di capienza economica. A luglio 2014, il Ministero dell'interno – dipartimento della pubblica sicurezza ha approvato «per il soddisfacimento delle esigenze di sicurezza e legalità a carattere sovra regionale nelle 4 Regioni Obiettivo Convergenza» il progetto di estensione del progetto MIAPI originario; a ottobre 2014 è stato firmato il contratto con il RTI che prevede ulteriori 8.000 chilometri quadrati di rilievi da piattaforma aerea e altri 1.700 chilometri circa di rilievi a terra e indagini geognostiche;
   agli interroganti non risulta che il progetto sia stato rifinanziato con i fondi europei della nuova programmazione;
   la forte connessione tra la criminalità organizzata e il degrado ambientale è stato ampiamente dimostrato in sede sia investigativa che giudiziaria –:
   se non si ritenga necessario che, nelle aree ove l'illegalità diffusa è un fenomeno pervasivo, le politiche di sviluppo siano accompagnate da una particolare attenzione alla difesa dell'ambiente e al controllo del territorio, che possono essere raggiunti anche attraverso l'utilizzo della tecnologia più avanzata in grado di garantire una risposta efficace ed efficiente alle aggressioni criminali verso l'ambiente e quali siano le ragioni per cui il progetto MIAPI non sia stato rifinanziato nella nuova programmazione 2014-2020;
   se e in che modo il Governo intenda garantire un monitoraggio ambientale come quello offerto dalle innovative tecniche di indagine del progetto MIAPI e se non ritenga indispensabile assumere iniziative affinché venga esteso nel resto delle regioni, considerato che i fenomeni di ecomafia si sono registrati in tutta Italia e soprattutto al Nord. (5-08822)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   arriveranno a giorni in Calabria, all'indirizzo di due impianti di smaltimento di Lamezia Terme, più di 81 mila tonnellate di rifiuti campani. Fanno parte delle ecoballe sequestrate in Campania nel 2007. Ad aggiudicarseli l'Ecosistem, la ditta lametina coinvolta nell'inchiesta della procura di Potenza Tempa Rossa per il presunto smaltimento di rifiuti pericolosi provenienti dell'Eni di Viggiano come innocui, che è costata la poltrona al Ministro allo sviluppo economico Federica Guidi;
   sulla natura del materiale trattato per formare le ecoballe ci sono stati in passato «numerosissimi verbali di contestazione per rifiuti non conformi, da cui sembrerebbe emergere la presenza al loro interno di «motoscafi interi, autovetture, ordigni bellici, carcasse di animali»;
   l'impresa Ecosistem, in raggruppamento temporaneo con Econet, ha ottenuto dalla regione Campania l'aggiudicazione del lotto numero 4. Riguarda il trasporto e lo smaltimento di 81.525 tonnellate di cubi di immondizia – ciascuno di essi pesa circa una tonnellata – accatastati in due diversi siti: Masseria del Pozzo, a Giugliano, in provincia di Napoli, dove ce ne sono 65.050 tonnellate, e depuratore di Marcianise, in provincia di Caserta, dove giacciono da anni 16.475 tonnellate. Importo complessivo del lotto: 12.228.750 euro. L'azienda di Lamezia Terme ha vinto in virtù di un ribasso del 3,153 per cento, che equivale ad uno sconto di 381.000 euro e ha indicato come siti di destinazione e di smaltimento delle ecoballe due impianti a Lamezia Terme ed uno in Portogallo. Le «ecoballe» – si legge in una nota dell'amministratore delegato di Ecosistem Salvatore Mazzotta – «non possono essere smaltite in Calabria ed in effetti andranno principalmente in Portogallo e solo dopo la loro caratterizzazione e la relativa analisi merceologica, se ritenuti idonei al recupero per la loro valorizzazione, saranno inviati in altri impianti italiani tra cui quelli di Lamezia Terme ma per il recupero e riciclo e non per smaltimento»;
   la regione Campania ha già proceduto, il 4 maggio 2016, anche all'emanazione del decreto dirigenziale di aggiudicazione definitiva dell'appalto. Complessivamente, il bando per lo smaltimento delle ecoballe campane vale 118.469.100 euro. Sono stati assegnati cinque degli otto lotti messi a gara, mentre per tre di essi non sono pervenute offerte. Entro la fine di maggio o, al più tardi, la prima metà di giugno, dovrebbe iniziare lo svuotamento di 200.000 ecoballe depositate a Villa Literno, in provincia di Caserta. Questo appalto è stato assegnato al raggruppamento Vibeco – BM Service – Sirio Ambiente & Consulting e vale complessivamente circa trenta milioni di euro;
   la regione Campania, oltre al Portogallo, ha indicato anche la Romania come luogo destinato ad accogliere le ecoballe; tuttavia, il 27 maggio 2016, in un articolo sul portale online Romania Libera si poteva leggere: «l'Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente non ha ricevuto alcuna notifica o comunicazione da Eco Sud o dalle autorità competenti in Italia, circa la presunta intenzione della società di portare i rifiuti nel nostro paese dall'Italia. In base alle norme europee in materia di trasferimento intracomunitario di rifiuti (regolamento 1013/2006), tale movimento può essere effettuato solo dopo che il paese destinatario è stato informato e c’è stato un accordo in tal senso». «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha affermato, tuttavia, che anche se la Romania avesse ricevuto un tale avviso, tale richiesta sarebbe automaticamente respinta, considerando che l'introduzione in Romania di rifiuti di qualsiasi genere, al fine di eliminarli è proibito dalla legge, dalla legge 195/2005 sulla tutela dell'ambiente e poi modificata dalla legge 265/2006, articolo 32»;
   l'interrogante è seriamente preoccupato del fatto che la Ecosistem possa adottare gli stessi sistemi che l'hanno portata al centro delle indagini sulle vicende legate allo smaltimento illeciti dei reflui di Tempa Rossa –:
   di quali elementi disponga circa il tragitto, la destinazione finale delle ecoballe citate nelle premesse e l'eventuale porto d'imbarco per il Portogallo;
   in virtù di quale accordo transnazionale sia consentito alla Ecosistem di trasferire i rifiuti in Portogallo e in virtù di quale accordo interregionale la Ecosistem possa trasportare rifiuti dalla Campania alla Calabria ovvero dalla Campania al porto di spedizione;
   di quali elementi disponga circa la destinazione di tutte le ecoballe e sul modo in cui verranno smaltite. (5-08829)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   «perdere il passato significa perdere il futuro» – Wang Shu – nessuna espressione può rendere al meglio l'importanza della scoperta a cui si è da poco giunti;
   a Volterra un anfiteatro romano, che gli esperti collocano presumibilmente nel I sec. d.C. e di cui si era persa memoria, è affiorato dalla terra dopo secoli di buio;
   la scoperta a Volterra dove, tra le rovine della porta etrusca Diana, a ovest del cimitero comunale e a sud della necropoli etrusca del Portone, sono emerse file di gradinate del secondo ordine – sotto le quali si celano quelle del primo, ancora in fase di recupero – che fanno pensare alla presenza di un edificio pubblico romano di eccezionale rilevanza, probabilmente a carattere ludico;
   grazie ad un'operazione di bonifica condotta nel mese di luglio 2015, sono dapprima state scoperte delle strutture murarie dallo sviluppo lineare di oltre 20 metri: si trattava di pochi filari, dall'andamento spiccatamente curvilineo, che ricordavano la stessa tecnica costruttiva del teatro romano di Volterra;
   successivamente, lo scavo ha consentito di mettere in evidenza ulteriori resti della medesima muratura, ad andamento curvilineo costante, che orientava la pianta verso uno sviluppo ellittico, ora leggermente più tondeggiante di quanto inizialmente immaginato;
   il ritrovamento, di dichiarata straordinaria levatura e di grandi dimensioni, richiede necessariamente un'accurata opera di restauro e di valorizzazione, nonché di esser collocato in un contesto urbanistico adeguato;
   la scoperta appena citata concorre, infatti, a riscrivere la storia della città di Volterra che fino ad oggi si pensava esser stata certamente uno dei centri più importanti dell'età etrusca ma minore per l'epoca romana: l'anfiteatro dimostra, invece, che all'epoca di Augusto, la cittadina toscana è stata anche un'importante sito romano –:
   se l'urgenza delle attività sopra esposte figuri, tra le idee ed i progetti del Governo, così da riportare adeguatamente alla luce questo importante sito e consegnarlo al patrimonio storico-culturale della comunità presente e delle generazioni future;
   come il Ministro interrogato intenda gestire la necessità di ulteriori fondi per favorire il recupero del sito, reso particolarmente complesso dalla grandezza e dal posizionamento al di sotto di una collina, così da evitare che la scoperta venga archiviata tra le «tante occasioni perdute» di cui l'Italia è, purtroppo, ricca;
   quali iniziative intenda portare avanti al fine di celebrare e valorizzare questa significativa scoperta che rappresenta non solo un importantissimo arricchimento del patrimonio dell'umanità ma costituisce anche una grande opportunità per l'economia del territorio, se resa debitamente fruibile e visitabile. (3-02287)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BATTELLI, VACCA, DI BENEDETTO, D'UVA, LUIGI GALLO e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 71-septies della legge n. 633 del 1941 sulla tutela del diritto di autore stabilisce che: «1. Gli autori ed i produttori di fonogrammi, nonché i produttori originari di opere audiovisive, gli artisti interpreti ed esecutori ed i produttori di videogrammi, e i loro aventi causa, hanno diritto ad un compenso per la riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi di cui all'articolo 71-sexies. Detto compenso è costituito (...) da una quota del prezzo pagato dall'acquirente finale al rivenditore, che per gli apparecchi polifunzionali è calcolata sul prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione, ovvero, qualora ciò non fosse possibile, da un importo fisso per apparecchio. Per i supporti di registrazione audio e video, quali supporti analogici, supporti digitali, memorie fisse o trasferibili destinate alla registrazione di fonogrammi o videogrammi, il compenso è costituito da una somma commisurata alla capacità di registrazione resa dai medesimi supporti. Per i sistemi di videoregistrazione da remoto il compenso di cui al presente comma è dovuto dal soggetto che presta il servizio ed è commisurato alla remunerazione ottenuta per la prestazione del servizio stesso»;
   l'articolo 71-octies dispone che: «1. Il compenso di cui all'articolo 71-septies per apparecchi e supporti di registrazione audio è corrisposto alla Società italiana degli autori ed editori (S.I.A.E.), la quale provvede a ripartirlo al netto delle spese, per il cinquanta per cento agli autori e loro aventi causa e per il cinquanta per cento ai produttori di fonogrammi, anche tramite le loro associazioni di categoria maggiormente rappresentative»;
   il decreto ministeriale 20 giugno 2014 ha rideterminato la misura dei compensi di copia privata, stabilendo l'applicabilità anche ad apparecchi e supporti come i telefoni cellulari, i computer e altre apparecchiature, anche se tali dispositivi non sono specificamente destinati alla riproduzione, alla registrazione e alla conservazione di contenuti;
   la direttiva 2001/29 in materia di armonizzazione di taluni profili relativi al diritto di autore, al considerando 31, consente agli Stati membri di valutare e di bilanciare gli interessi in rilievo, assicurando «un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi delle varie categorie di titolari nonché tra quelli dei vari titolari e quelli degli utenti dei materiali protetti»;
   l'articolo 5 della suddetta direttiva contempla le eccezioni e le limitazioni, rispetto a quanto statuito dall'articolo 2, che stabilisce il diritto di riproduzione, in particolare per quanto riguarda «le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso che tenga conto dell'applicazione o meno delle misure tecnologiche di cui all'articolo 6 all'opera o agli altri materiali interessati»;
   con le sentenze Padawan/SGAE del 21 ottobre 2010, Stichting de Thuiskopie/Opus Supplies Deutschland GmbH e altri del 16 giugno 2011, Martin Luksan/Petrus van der Let del 9 febbraio 2010, VG Wort/Kyocera Mita e altri del 27 giugno 2013 e Austro Mechana dell'11 luglio 2013, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha sottolineato come l'applicazione indiscriminata del prelievo per copia privata nei confronti di apparecchi e supporti di riproduzione digitale, acquistati a fini manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie private non risulta conforme all'articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2001/29 e che, di conseguenza, il prelievo per copia privata non può essere, in primo luogo, legittimamente applicato alla fornitura di apparecchi e supporti di riproduzione ove sia possibile dimostrare che la persona tenuta al pagamento del compenso ha fornito tali apparecchi e supporti a soggetti diversi da persone fisiche a fini manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie private;
   è attualmente pendente dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea la causa C-110/15 (Nokia Italia SpA), sollevata in via pregiudiziale ex articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dal Consiglio di Stato, al fine di verificare la compatibilità del sistema italiano di indennizzo, previsto dalla legge n. 633 del 1941 con la direttiva 2001/29 e di stabilire i limiti della discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri nella previsione dell'equo indennizzo (cosiddetto equo compenso) per la riproduzione ad uso privato e di fornire ulteriori indicazioni sull'interpretazione dell'articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29. In particolare, con riguardo alla questione relativa al diritto di rimborso ex post della quota pagata, l'avvocato generale Nihl Wahl, nelle sue conclusioni del 4 maggio 2016, evidenzia come un sistema di rimborso come quello descritto nell'ordinanza di rinvio non rispetta il giusto equilibrio richiesto dalla direttiva 2001/29 almeno per quattro ragioni interconnesse:
    in primo luogo, per mancanza di disposizioni legislative espresse che precisino le regole che disciplinano il rimborso;
    in secondo luogo, perché in base alle regole applicate dalla SIAE, le persone fisiche sono escluse dall'ambito di applicazione ratione personae del diritto di chiedere il rimborso. Ciò accade anche quando tali persone sono in grado di dimostrare di aver acquistato le attrezzature, gli apparecchi o i supporti in questione per uso professionale;
    in terzo luogo, per la sussistenza di regole procedurali aggiuntive, peraltro rimesse alla discrezionalità della SIAE, che rischiano di dissuadere i fruitori dalla richiesta del rimborso legittimamente spettante;
    in quarto luogo, per la possibilità per la SIAE, in virtù della posizione assunta nell'ordinamento italiano, di decidere liberamente la procedura per richiedere il rimborso, nonché la modificabilità della stessa (punto 66);
   secondo quanto previsto negli altri ordinamenti europei, la determinazione del compenso da corrispondere deve tener conto dell'effettivo impiego degli apparecchi coinvolti, ossia di quanto essi siano mediamente utilizzati per realizzare copie private, prevedendo, peraltro, la verifica effettiva della loro corretta fruizione per scopi personali e non già professionali;
   la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l'uso online nel mercato interno, adottata dal Parlamento e dal Consiglio in data 4 febbraio 2014, chiarisce che nella gestione dei diritti d'autore occorre assicurare processi trasparenti nella remunerazione e nella distruzione dei compensi ai titolari dei diritti da parte di società di gestione collettiva, anche per la copia privata;
   è necessario creare un quadro normativo europeo che garantisca un comune standard di trasparenza per i titolari dei diritti, i fabbricanti e gli importatori di apparecchiature, i consumatori in tutto il territorio dell'Unione europea, adeguando, peraltro, il mercato alle esigenze dettate dalla progressiva digitalizzazione;
   l'importo dei prelievi per copie private — come risultante dalla direttiva 2001/29 e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, nonché dal raffronto in senso comparato con gli altri Stati membri – dovrebbe rispecchiare l'utilizzo effettivo di tali apparecchiature ai fini della realizzazione di copie private di materiale sonoro, visivo e audiovisivo –:
   se il Ministro interrogato intenda modificare la citata disciplina regolamentare relativa alla copia privata, eliminando tale prelievo accessorio o modificandola al fine di renderla conforme con il quadro normativo e giurisprudenziale europeo, nonché con le discipline attuate negli altri ordinamenti nazionali. (5-08815)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il castello di Miramare, sito turistico di primo piano per la città di Trieste e meta tra le più visitate del Friuli Venezia Giulia, già dimora di Massimiliano d'Asburgo, è circondato da un parco storico di 22 ettari da anni in uno stato di abbandono e degrado;
   il castello ed il Parco, essendo beni di interesse pubblico, sono soggetti al regime di tutela dei beni culturali ai sensi degli articoli 10, 11 e 12 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137», in consegna al Polo Museale del Friuli Venezia Giulia;
   le indecorose e preoccupanti condizioni dei giardini sono costantemente oggetto di attenzione da parte dei cittadini attraverso i social network, degli organi di informazione e dell'interrogante che ha presentato numerosi atti di sindacato ispettivo a riguardo;
   in particolare, il 19 gennaio 2016 è stata pubblicata, nell'allegato B della seduta n. 550, la risposta della Sottosegretaria Borletti Buitoni all'interrogazione 4-08760 del 13 aprile 2015, nella quale ha affermato che «il dirigente del polo museale del Friuli Venezia Giulia, congiuntamente al direttore del museo storico del castello di Miramare e al responsabile tecnico del castello e del parco di Miramare, ha provveduto a redigere un masterplan del parco stesso per un importo complessivo di euro 5.000.000,00 articolato per ordine di priorità, consegnato alla direzione centrale cultura sport e solidarietà della regione autonoma Friuli Venezia Giulia con nota 4 settembre 2015, al fine della trasmissione alla società Invitalia-Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, per il suo inserimento nel progetto per la valorizzazione degli attrattori culturali regionali, con finanziamenti a valere sul bilancio dello Stato»;
   il decreto ministeriale 23 dicembre 2014 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo recante «Organizzazione e funzionamento dei musei statali» e successive modifiche, ha previsto, per musei dotati di autonomia speciale, una struttura gestionale particolare, attribuita ad un direttore individuato attraverso un bando internazionale, un consiglio di amministrazione «composto dal direttore del museo, che lo presiede, e da quattro membri designati dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con funzioni programmatiche e strategiche e da un comitato scientifico «composto dal direttore dell'istituto, che lo presiede, e da un membro designato dal Ministro, un membro designato dal Consiglio Superiore «beni culturali e paesaggistici», un membro designato dalla regione e uno dal comune ove ha sede il museo» con funzione consultiva del direttore sulle questioni di carattere scientifico;
   alla luce della nuova riorganizzazione proposta dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per parco e castello di Miramare, risulterebbe quantomeno opportuno per l'interrogante, una volta insediata la nuova governance, che questa riconsiderasse il masterplan elaborato dall'attuale dirigenza, sia alla luce del consistente importo a disposizione, che delle competenze di cui dovrebbe disporre, secondo quanto previsto dalla normativa, il nuovo istituto così come riorganizzato;
   in data 18 agosto 2015, il sito dei Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, attraverso una nota stampa, ha riportato la conclusione della procedura di selezione internazionale per i direttori dei 20 principali musei italiani, avviata l'8 gennaio 2015. Secondo il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, tale procedura avrebbe riscontrato grande apprezzamento tra gli omologhi di altri Paesi e gli addetti ai lavori. Il Ministro al riguardo ha dichiarato: «il sistema museale italiano volta pagina e recupera un ritardo di decenni. Un passo storico per l'Italia e i suoi musei che colma anni di ritardi, che completa il percorso di riforma del ministero e che pone le basi per una modernizzazione del nostro sistema museale. I risultati di questo anno di nuove politiche di apertura dei musei italiani e l'investimento sulla valorizzazione dimostrano che grande contributo si può dare alla crescita del Paese con scelte coraggiose sia per una migliore tutela del patrimonio che per una sua valorizzazione, per la cittadinanza e i turisti di tutto il mondo». Come riportato dal sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo «secondo le procedure previste dal bando, all'interno delle terne indicate e valutate dalla Commissione preposta per ciascun museo, il Ministro ha scelto i direttori dei 7 musei di I fascia, mentre il Direttore Generale dei Musei, Ugo Soragni, ha scelto i Direttori dei 13 musei di II fascia»;
   con successivi decreti ministeriali, sono stati istituiti i rispettivi consigli di amministrazione e le commissioni scientifiche: in particolare, a titolo esemplificativo, occorre segnalare che tali nomine sono decorse dall'11 novembre 2015 per il parco archeologico di Paestum, dal 22 dicembre 2015 per quanto concerne il palazzo ducale di Mantova ed infine dal 23 dicembre 2015 per i musei reali di Torino; nel 2015, quindi, per giungere alla struttura direzionale prevista per i musei autonomi, sono stati necessari quasi 12 mesi complessivi, di cui 7 solo per l'individuazione e la nomina dei direttori;
   il 19 gennaio 2016, il Ministro Franceschini, nel corso di una riunione congiunta delle commissioni cultura di Camera e Senato, ha esposto il progetto di completamento della riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, secondo il quale il Ministero sarebbe stato ridisegnato a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e per semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Oltre alla ridefinizione delle Soprintendenze, è stata prevista l'istituzione di dieci nuovi musei e parchi archeologici autonomi retti da direttori selezionati con bando internazionale tra i quali figura anche il «Museo storico e il Parco del Castello di Miramare» di Trieste;
   in data 24 maggio 2016, il quotidiano Il Piccolo ha riportato della visita a Trieste del Ministro Franceschini; in particolare, per quanto concerne Miramare, avrebbe sostenuto che «dal primo gennaio entrerà in servizio quello che sarà il direttore del nuovo Museo autonomo. Sarà uno dei dieci nuovi siti culturali o archeologici che avranno autonomia gestionale e finanziaria, quindi con un consiglio di amministrazione, un comitato scientifico in cui saranno rappresentati anche regione e comune e un direttore che sarà scelto attraverso una gara internazionale simile a quella che abbiamo già svolto per i primi venti musei italiani»;
   Il 27 maggio 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha pubblicato il bando di selezione pubblica per il conferimento dell'incarico di direttore di nove musei statali (uffici di livello dirigenziale non generale) tra cui il museo storico e il parco del castello di Miramare;
   il sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, a riguardo, ha indicato che: «I candidati alla direzione dei nuovi nove istituti autonomi potranno presentare la domanda sul sito del Ministero, utilizzando il portale dei servizi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (https://www.mibact-online.beniculturali.it) per la registrazione entro le ore 12 GMT del giorno 20 luglio 2016. Ai fini dello svolgimento della selezione sarà istituita entro il 31 luglio 2016, con decreto del Ministro, la commissione di valutazione composta da 5 membri individuati tra esperti di chiara fama nel settore del patrimonio culturale. La procedura si concluderà entro il 31 dicembre 2016»;
   in data 29 maggio 2016, il sito online del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha riportato la seguente nota stampa «Musei Franceschini: altri 9 gioielli del patrimonio italiano avranno direttore selezionato tra i massimi esperti al mondo. Da oggi online nuovo bando internazionale, selezione avverrà entro il 2016» e ha spiegato come: «dal giorno del suo annuncio – ha sottolineato il Ministro Franceschini – questo nuovo bando internazionale sta attirando l'attenzione di tutta la comunità scientifica mondiale. Entro la fine dell'anno, altri nove gioielli del patrimonio italiano avranno un direttore selezionato tra i massimi esperti in materia di gestione museale. Come l'anno scorso, anche in questo caso, le procedure di selezione saranno molto rigide e rigorose: i nuovi direttori saranno valutati da una commissione composta da esperti di chiara fama e elevato livello scientifico»;
   a detta dell'interrogante sarebbe stato necessario che il bando fosse tradotto in più lingue onde permettere ad una platea più ampia possibile di poterne prendere previsione nella lingua madre; alla luce delle tempistiche necessarie per il completamento delle strutture dei 20 musei autonomi nel corso del 2015, risulta evidente che la struttura direzionale complessiva, per quanto concerne i nuovi istituti autonomi, potrebbe essere pienamente operativa entro un anno dalla pubblicazione del bando per l'individuazione del direttore –:
   se intenda fornire una previsione sulle tempistiche necessarie all'insediamento definitivo della struttura gestionale prevista per i musei dotati di autonomia speciale;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, intenda chiarire i motivi della scelta di adottare la pubblicazione del bando internazionale di cui in premessa solo in due lingue (italiano e inglese);
   se, alla luce delle particolari attenzioni di cui necessita il parco di Miramare, tra le competenze richieste per l'individuazione del futuro direttore, intenda tener conto di una specifica preparazione nella gestione e conduzione di parchi storici;
   se intenda chiarire la modalità di gestione finanziaria del museo autonomo di Miramare, tenuto conto delle risorse necessarie al ripristino ed alla manutenzione del parco storico;
   se e quali iniziative di competenza intenda predisporre per la revisione e l'attualizzazione del masterplan elaborato dal polo museale del Fvg affidandone una nuova elaborazione al direttore del museo storico di Miramare con la consulenza del comitato scientifico, una volta che questi siano operativi. (5-08816)


   D'UVA, VACCA, DI BENEDETTO, DAGA e LOMBARDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 febbraio 2016 il quotidiano Il Messaggero pubblicava, sulla propria edizione cartacea, un articolo titolato «Genazzano, outlet su villa romana: scatta la protesta»;
   così come riportato dall'articolo, i cittadini e i comitati del comune di Genazzano (Roma) sono «sul piede di guerra contro la costruzione di un insediamento commerciale sui resti di una villa romana»;
   secondo quanto riferito dallo stesso quotidiano «la soprintendenza ha effettuato dei sondaggi archeologici su un'area molto parziale, mentre sul resto della particella i segni dell'esistenza di una villa sarebbero inconfutabili»;
   in data 27 novembre 2015 i cittadini del comune di Genazzano hanno inteso inviare una lettera di chiarimenti direttamente alla direttrice del museo archeologico di Palestrina, nonché alla soprintendenza archeologica competente, senza ottenere, tuttavia, alcun tipo di riscontro;
   dalla lettura del quotidiano emergono, inoltre, gli stessi contenuti del documento inviato alle autorità citate, all'interno del quale venivano riportati «riferimenti ben dettagliati che avrebbero richiesto, quanto meno, un'immediata verifica su quanto stava accadendo in località Madonnella Formalicchio, in quel terreno sottoposto (solo in parte) ad un sondaggio archeologico preventivo»;
   «dai reperti rinvenuti in loco», continua l'articolo riportando il contenuto della lettera, «ci siamo resi conto che il sottosuolo è ricco, archeologicamente parlando, di tesori inestimabili. Ci risulta che il sondaggio abbia interessato una porzione ridotta dell'area, a fronte dell'estensione della zona»;
   «il dubbio più grande», conclude il quotidiano, «sta nel fatto che la campagna di scavi avrebbe interessato solo la particella numero 95 del foglio 15, dove negli anni non si segnalano rinvenimenti, mentre sono state tralasciate le particelle numero 5, 7, 8 e 185 sulle quali il proprietario ha rinvenuto e consegnato al museo archeologico di Prenestina decine di reperti»;
   gli stessi cittadini dichiarano dalle pagine del giornale di essere «pronti ad andare oltre, chiedendo l'intervento del Ministro Franceschini»;
   dalla lettura dell'articolo, ad avviso degli interroganti, emerge con urgenza la possibilità che le autorità competenti dispongano un'accurata ed estesa verifica presso l'area di cui in premessa, facendo emergere, ove riscontrato, l'eventuale presenza di elementi dall'importantissimo valore archeologico presso il sito, a oggi destinato alla chiusura di un edificio commerciale, sottoponendo lo stesso alle necessarie tutele storico e artistiche previste dalla normativa in materia;
   ad avviso degli interroganti è necessario scongiurare la possibilità che i reperti archeologici eventualmente presenti nel sottosuolo possano andare perduti a causa di una inefficace verifica, anche in considerazione del differente grado di tutela offerto dall'ordinamento ai due possibili interessi, ovvero quello storico-culturale e quello edilizio-commerciale –:
   se intenda, nei limiti delle sue competenze, adoperarsi affinché sia disposta una celere ed accurata verifica archeologica presso il sito attualmente destinato alla costruzione di un insediamento commerciale presso il comune di Genazzano (Roma), con particolare riferimento alle particelle indicate in premessa. (5-08831)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA e SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dal sito del quotidiano la Repubblica, il 27 maggio 2016 uno dei più rinomati studiosi italiani del libro e della cultura, il professor Giovanni Solimine si è clamorosamente dimesso dal Consiglio superiore dei beni culturali;
   nella sua lettera di dimissioni, pubblicata su Repubblica, Solimine riconduce la sua decisione alle scelte fatte dal Governo in occasione del recente bando per il reclutamento di 500 funzionari del Ministero dei beni e delle attività culturali del turismo, che ha previsto l'assunzione di sole 25 unità da inquadrare nel profilo di funzionario bibliotecario;
   per lo stesso motivo si sono dimessi anche Mauro Guerrini, Luca Bellingeri, Paolo Matthiae e Gino Roncagli: e cioè l'intero Comitato tecnico scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali, un fatto assai grave a giudizio degli interroganti;
   la scelta di destinare un numero di personale destinato alle funzioni bibliotecarie così esiguo, oltre a non tener in alcun conto le nuove competenze ed esigenze funzionali derivanti dall'approvazione della legge n. 125 del 2015, che ha nuovamente attribuito allo Stato le funzioni in materia di tutela di beni librari di proprietà non statale, e dal successivo decreto ministeriale 23 gennaio 2016, che ha trasformato le Soprintendenze archivistiche in Soprintendenze archivistiche e bibliografiche, non sembra infatti rispettare nemmeno gli scollamenti ad oggi esistenti fra quanto previsto dalle nuove dotazioni organiche (che pure, come più volte affermato, si sono limitate a «fotografare» la situazione esistente, prescindendo dai reali fabbisogni degli istituti) ed il personale in effettivo servizio nei ruoli di bibliotecario, in base ai quali il reclutamento avrebbe dovuto riguardare almeno una decina di unità in più delle 25 previste;
   in questa situazione, mentre da un lato appare in serio pericolo l'effettivo esercizio da parte dello Stato delle funzioni di tutela sui beni librari, lo stesso futuro di molte delle principali biblioteche del nostro Paese risulta irrimediabilmente compromesso e fortemente pregiudicata la possibilità per esse di continuare a poter svolgere un adeguato servizio al pubblico ed a favore dell'intera comunità nazionale. Basti pensare che, nelle sole regioni di Lazio e Toscana, dove è concentrato il più alto numero di biblioteche pubbliche statali, comprese le due Biblioteche nazionali centrali, chiamate a garantire l'erogazione dei servizi bibliografici nazionali, la carenza in organico di figure di funzionario bibliotecario ammonta a 37 unità, a fronte delle 15 per le quali è prevista l'assunzione –:
   quali iniziative urgenti, anche normative, il Ministro interrogato intenda avviare al fine di salvaguardare le alte professionalità e competenze del sistema bibliotecario nazionale e garantire l'erogazione dei servizi bibliografici nazionali con adeguate risorse pubbliche;
   se s'intendano assumere iniziative volte a raggiungere un immediato accordo con i competenti organi tecnici per alimentare, con un adeguato flusso di personale, le biblioteche italiane promuovendo un ripensamento in merito alle gravi dimissioni per protesta dei soggetti di cui in premessa. (4-13365)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014 noto come «decreto Art Bonus», convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del 2014, all'articolo 10, comma 1, ha previsto disposizioni urgenti per riqualificare e migliorare le strutture ricettive turistico-alberghiere e per favorire l'imprenditorialità nel settore turistico. Il comma 5 ha disposto che «per le medesime finalità di cui al comma 1, nonché per promuovere l'adozione e la diffusione della «progettazione universale» e l'incremento dell'efficienza energetica, Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con proprio decreto da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, previa intesa in sede di Conferenza unificata, aggiorna gli standard minimi, uniformi in tutto il territorio nazionale, dei servizi e delle dotazioni per la classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche, ivi compresi i condhotel e gli alberghi diffusi, tenendo conto delle specifiche esigenze connesse alle capacità ricettiva e di fruizione dei contesti territoriali e dei sistemi di classificazione alberghiera adottati a livello europeo e internazionale»;
   a quasi due anni dalla pubblicazione della legge summenzionata, al contrario dei tre mesi previsti, operatori ed utenti sono ancora in attesa dell'aggiornamento degli standard minimi delle strutture ricettive e della loro uniformità territoriale;
   un articolo del 26 novembre 2014, nell'affrontare fenomeno dell'abusivismo nel ricettivo, ha riportato un intervento di Bernabò Bocca, secondo il quale, in Italia, «gli esercizi ricettivi regolari ospitano ogni anno circa 103 milioni di turisti, tra italiani e stranieri, per 360 milioni di pernottamenti, e danno lavoro a più di 230 mila lavoratori. Non esistono cifre ufficiali che censiscano i flussi in strutture abusive e semiabusive, ma possiamo stimare che il fenomeno valga almeno 100 milioni di pernottamenti all'anno e bruci la possibilità di creare 70 mila nuovi posti di lavoro per i nostri giovani. Per questo motivo, insieme ai sindacati dei lavoratori, Federalberghi ha ufficialmente richiesto che tali attività siano soggette ad un efficace sistema di controlli»;
   sul sito online di Repubblica del 30 novembre, l'articolo «Turismo sommerso. Il lato oscuro della sharing economy» ha analizzato il fenomeno riportando che, secondo Federalberghi, il turismo sommerso in Italia stia dilagando mettendo a rischio i ricavi delle imprese e la sicurezza dei cittadini. «Concorrenza sleale e turismo sommerso – dice presidente di Federalberghi Bernabò Bocca – sono arrivati a un livello insopportabile. (...) Federalberghi ha messo a disposizione il suo database che contiene le strutture ricettive extralberghiere (B&B, case vacanze, affittacamere, case per ferie) per permettere alle autorità controlli incrociati utili a stanare i “furbetti” dell'hotel “in nero” e “fai da te”. I numeri smentiscono la favoletta del gestore che accoglie l'ospite in casa propria – dice Bocca – il consumatore è ingannato due volte: viene tradita la promessa di vivere un'esperienza autentica e vengono eluse le norme poste a tutela della salute e della sicurezza. Né può essere sottaciuta la responsabilità delle piattaforme online, che adottano una posizione pilatesca e fanno finta di non vedere il traffico sospetto che transita attraverso i propri canali (...)»;
   data 18 maggio 2016, il sito Ansa.it ha riportato i risultati dell'operazione « Venice Journey» condotta dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia Municipale di Venezia, che ha individuato la presenza di decine di bed and breakfast e appartamenti abusivi in affitto per turisti nella città lagunare. L'indagine, iniziata nel settembre 2015, ha portato alla scoperta di ricavi non dichiarati per 2 milioni di euro, in aggiunta più di 200 mila euro di Iva e 120 mila euro per mancato versamento dell'imposta di soggiorno. Secondo quanto riferito i titolari dei b&b, italiani e stranieri, potrebbero aver beneficiato della legge Speciale per Venezia ma, soprattutto, avrebbero omesso le segnalazioni di legge alla Questura per l'antimafia e il terrorismo;
   il sito on line Webitmag.it, in un articolo del 22 maggio 2015, ha illustrato come, a livello nazionale, solo 370 strutture su mille risultassero in regola e, a inizio 2015, Federalberghi avrebbe stimato 5000 strutture abusive solo a Roma città. Sempre a Roma, secondo il prefetto Franco Gabrielli, 4 b&b su 5 sarebbero abusivi: «l'annuncio del Giubileo straordinario infatti è un'occasione ghiotta per i proprietari di appartamenti a uso b&b, magari non proprio in regola, dato che nel 2000 l'incremento del turismo dovuto al Giubileo arrivò a 331,43 milioni di presenze, con una crescita del 6 per cento nel numero di arrivi e del 7,4 per cento nel numero di giornate di presenza (...) Secondo i dati del Dipartimento turismo del Comune sono almeno 300 mila all'anno i turisti non regolarmente registrati poiché ospitati in strutture abusive»;
   il fenomeno dell'abusivismo nel ricettivo è stato sollevato dall'interrogante con diversi atti di sindacato ispettivo; in particolare, nell'interrogazione 5-04325 del 18 dicembre 2014, ha chiesto al Ministro quali iniziative intenda adottare per regolarizzare e regolamentare il settore delle nuove strutture ricettive in modo da tutelare gli utenti, oltre agli operatori in regola. Nella risposta del 28 gennaio 2015, la Sottosegretaria di Stato dei beni e delle attività culturali e del turismo Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua, ha espresso particolare attenzione sulla questione menzionata, sottolineando l'intenzione di dare «finalmente uno sbocco positivo e definito a quello dell'uniformità degli standard alberghieri», e ha prospettato «l'ipotesi di aprire un tavolo tra Ministero, regioni e associazioni per affrontare il tema dell'extralberghiero al fine di rendere omogenea la tipizzazione delle imprese turistiche su base nazionale»;
   nell'interrogazione n. 5-04732 dell'11 febbraio 2015, l'interrogante ha già evidenziato come, nel 2014, la crescita del settore alberghiero in Italia sia stata inferiore alla media europea con un conseguente e sensibile calo dell'occupazione nel settore causato anche dalla concorrenza di strutture ricettive abusive o semiabusive. Nella risposta del 21 aprile 2015 all'interrogazione, la Sottosegretaria ai Beni e alle attività culturali e del turismo, Francesca Barracciu, ha ribadito «che è in fase di ultimazione la bozza del decreto di classificazione alberghiera a seguito di un serrato confronto con le Regioni e le categorie interessate, nel corso del quale sono emerse notevoli difficoltà, talune resistenze all'innovazione e al cambiamento ed una significativa diversità di approccio e di punti di vista, anche all'interno delle diverse rappresentanze di categoria e tra le regioni. Il Ministero è dunque impegnato nel tentativo, non facile, di compiere una sintesi (per quanto possibile condivisa) tra le diverse posizioni emerse, al fine di ammodernare il sistema delle classificazioni alberghiere e di metterlo al passo con le migliori pratiche dei Paesi competitori europei e internazionali. Si concorda con la necessità di implementare le attività di controllo per garantire le imprese che quotidianamente lavorano nel rispetto della legalità soprattutto per assicurare la sicurezza ed il benessere della clientela»;
   il problema della classificazione delle strutture ricettive è stato nuovamente affrontato dall'interrogante nell'interrogazione 5-06078 del 16 luglio 2015, ancora senza risposta, con la quale è stato chiesto al Ministero a che punto sia l’iter del decreto di classificazione alberghiera, quali iniziative intenda adottare per contrastare il fenomeno dell'abusivismo alberghiero e per avviare controlli finalizzati alla tutela degli operatori regolari e della clientela;
   la concorrenza sleale da parte delle strutture abusive reca inevitabilmente un danno significativo all'economia italiana, alla qualità dei servizi erogati e a coloro che gestiscono correttamente le proprie strutture. Le segnalazioni del prefetto Gabrielli per quanto concerne Roma e le risultanze delle indagini promosse a Venezia-confermano la necessità di una serie di interventi urgenti che coinvolgano il Ministero, le regioni e gli enti locali, articolati in un'intensificazione dei controlli da parte degli organi deputati e in una campagna informativa che valorizzi le strutture regolari –:
   se intenda fornire gli opportuni chiarimenti sulle tempistiche dell'atteso decreto relativo alla classificazione alberghiera già previsto dalla legge 106 del 2014;
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo, di concerto con le regioni e le amministrazioni locali, per contrastare il fenomeno dell'abusivismo alberghiero e per avviare controlli mirati al fine di tutelare gli operatori regolari e gli utenti;
   quali iniziative siano state individuate e predisposte per migliorare la qualità dell'offerta turistica italiana, in particolare in relazione alle professionalità impiegate, alla classificazione delle strutture ricettive e al contrasto all'abusivismo;
   se siano state valutate e accolte le proposte relative ad un efficiente e verificabile metodo di classificazione e valutazione delle strutture che abbia come obiettivi l'esclusione di recensioni false ed il quotidiano rilevamento in tempo reale delle presenze turistiche e delle motivazioni;
   se ritenga opportuno promuovere una campagna di sensibilizzazione, in accordo con le organizzazioni di settore, che valorizzi le strutture condotte regolarmente e contrasti l'abusivismo. (4-13367)


   PISICCHIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Camerata musicale barese, soggetto dotato di personalità giuridica, è il più antico cenacolo musicale di Bari che può contare su una importante storia culturale e musicale lunga oltre settantacinque anni, durante i quali ogni manifestazione ha suscitato grandi emozioni e riscosso consensi entusiastici di cultori dell'arte e della musica e da un vasto pubblico di cultori, appassionati e soci;
   la sua attività è stata riconosciuta dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con l'assegnazione di recenti riconoscimenti per l'alto contributo dato dalla Camerata alla cultura;
   la Camerata musicale ha ospitato nel teatro Petruzzelli, da 75 anni riconosciuto dal pubblico e dalla critica come «il luogo» in cui tradizionalmente si svolgevano le programmazioni in cartellone, artisti e complessi di eccelso rilievo a cominciare da Arthur Rubistein che inaugurò la stagione 1956-1957, e da prestigiosi musicisti – concertisti quali Uto Ughi, Salvatore Accardo, Aikita Magaloff e Aldo Ciccolini, che ha dato un saggio insuperabile appena prima della sua fine, e da numerosissimi altri, tra i quali di recente Paolo Conte;
   la Camerata, inoltre, ha sempre privilegiato l'incontro tra la musica e le giovani generazioni, offrendosi anche ad una dimensione «pedagogica» che ha consentito a più generazioni di baresi la conoscenza della grande musica;
   la lunga tradizione di ospitalità del cartellone della Camerata nel teatro Petruzzelli viene oggi revocata in dubbio a causa delle difficili condizioni contrattuali avanzate dalla controparte. È pervenuta, infatti, dalla Fondazione Petruzzelli la proposta contrattuale per la stagione 2016-2017 contenente clausole che oggettivamente disincentivano la Camerata dalla possibilità dell'utilizzo del teatro. Si tratta, infatti, della proposta di un contratto per adesione e non certo la risultante di un incontro di volontà di entrambe le parti, contenente clausole eccessivamente onerose che, in alcuni passaggi, possono apparire addirittura vessatorie e comunque non compatibili con la natura di servizio pubblico cui è vocato il Teatro Petruzzelli;
   insieme alla pesante onerosità del contratto, si segnala anche la irrazionale prescrizione delle date concesse per gli spettacoli, diverse da quelle richieste per esigenze elementari, legate alla necessità di allestire per tempo il cartellone degli eventi musicali, molti mesi orsono dalla Camerata;
   tutto questo avviene in un contesto di gravissima difficoltà per l'ente Petruzzelli, già al centro di recenti episodi indagati dalla magistratura penale ed oggi a rischio di dissesto finanziario a causa di passate gestioni della Fondazione, che avrebbero fatto dichiarare all'attuale presidente dottor Gianrico Carofiglio: «siamo sull'orlo del baratro» –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per concorrere, per quanto di competenza, a far sì che non venga depauperato il patrimonio culturale e musicologico barese con la inevitabile rinuncia della Camerata musicale all'utilizzo del palcoscenico del Petruzzelli, a causa dell'oneroso contratto proposto dalla Fondazione. (4-13379)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Kaulonia è un'antica colonia achea identificata nell'odierna località di Monasterace, centro situato sulla costa ionica della Calabria al confine tra le province di Reggio e Catanzaro;
   il sito archeologico che si estende per circa sette ettari dalla costa jonica verso l'interno è stato individuato nei primi decenni del ’900 e negli anni ha restituito importanti dati sull'estensione della cinta muraria e sull'ubicazione delle aree sacre, delle necropoli e di alcuni quartieri destinati all'edilizia privata;
   Kaulonia è ora un importante parco archeologico, sotto la tutela della Soprintendenza per i beni archeologici della Calabria;
   è di alcuni giorni fa la notizia diffusa mezzo stampa che all'interno del parco archeologico di Kaulonia procedono a ritmo serrato alcuni lavori di scavo da parte di privati;
   infatti, sono evidenti sul luogo enormi buche scavate su terreni agricoli per la realizzazione, parrebbe di cisterne o vasche;
   tali manovre compiute nel totale silenzio della soprintendenza della Calabria, del comune di Monasterace e delle forze dell'ordine rischiano, di fatto, di compromettere un'area archeologica di notevole importanza ma soprattutto rischiano di danneggiare gli eventuali reperti ancora non scoperti poiché l'intera zona interessata dal parco archeologico e le aree limitrofe continuano a restituire «primati» archeologici di evidente valore;
   risale, infatti, all'anno 2013 l'ultima scoperta effettuata da un gruppo di archeologi: una tavoletta di bronzo contenente il testo più lungo, redatto in lingua achea, della Magna Grecia;
   qualsiasi richiesta per opere di escavazione da parte di proprietari di terreni agricoli che insistono sull'area archeologica hanno avuto pareri negativi espressi in precedenza dagli stessi organi competenti che hanno denunciato puntualmente tentativi ripetuti d'interventi nell'area;
   inoltre, va segnalata la comunicazione effettuata presso il comando dei carabinieri – Tutela patrimonio culturale di Cosenza il giorno 13 aprile 2016 da parte di una privata cittadina la quale informava che in alcuni terreni della Contrada Castelleone – Zone Faro – di proprietà privata ma soggetti a vincolo archeologico di tipo A – erano state realizzate delle opere di scavo e precisamente due enormi fossi larghi circa 6 metri per 5 metri e profondi almeno 4 metri da destinare probabilmente al contenimento di cisterne d'acqua;
   nella comunicazione si chiedeva d'intervenire tempestivamente sul posto per verificare se le suddette opere fossero conformi ai permessi eventualmente rilasciati dalla soprintendenza archeologica della Calabria e del comune di Monasterace e qualora fossero state riscontrare irregolarità e violazioni di legge di bloccare i lavori in corso;
   a seguito della comunicazione fatta presso il comando dei carabinieri, non si hanno, ad oggi, riscontri in merito –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se i lavori effettuati da privati mediante trivelle e strumenti meccanici in aree comprese nel sito archeologico siano stati autorizzati e in caso affermativo da chi;
   se risulti che i lavori di scavo siano stati eseguiti sotto la stretta sorveglianza di un archeologo incaricato dall'ente parco di Kaulonia o dal comune di Monasterace;
   in caso positivo, quali siano state le eventuali ragioni di tale scelta poiché l'area è di assoluto interesse archeologico e paesaggistico-culturale;
   nel caso in cui risulti un'autorizzazione per i suddetti lavori se siano stati rispettati tutti i vincoli e le norme vigenti riguardo a terreni agricoli di privati che custodiscono beni archeologici;
   quali siano stati i motivi che hanno portato a lavori di escavazione da parte di privati nell'area del sito archeologico e quali siano eventualmente gli intenti finali;
   se non ritengano opportuno e immediato intervenire, per quanto di competenza, per bloccare qualsiasi intervento da parte di privati in caso di mancato rispetto dei vincoli imposti dalla normativa vigenti in materia di tutela dei beni e siti archeologici nell'area del parco Archeologico di Kaulonia. (4-13392)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   i magistrati militari, al pari degli appartenenti all'ordine giudiziario ordinario, possono svolgere incarichi extragiudiziari, previa autorizzazione da parte del relativo organo di autogoverno magistratuale identificato nel Consiglio della magistratura militare;
   in materia, onde assicurare la massima trasparenza circa gli incarichi extragiudiziari autorizzati in favore di magistrati militari in servizio, l'articolo 14 della circolare del Consiglio della magistratura militare sugli incarichi extragiudiziari n. 59 del 23 gennaio 2007, così come aggiornata dalla delibera n. 4136 del 20 dicembre 2011, prevede che: «Nel corso dei mesi di gennaio e di luglio di ogni anno, sul sito Internet del Consiglio, sarà pubblicato, a cura della Segreteria, l'elenco degli incarichi extragiudiziari autorizzati nel semestre precedente, con indicazione, per ciascun incarico, dell'ente che lo ha conferito, del compenso percepito, della natura, della durata e del numero degli incarichi svolti nell'ultimo triennio»;
   alla data attuale risulta all'interrogante che la relativa pagina web del Consiglio della magistratura militare, in cui sono pubblicati gli incarichi extragiudiziari autorizzati a magistrati militari riporti gli incarichi conferiti sino al 30 giugno 2013; da tale data in poi alcun aggiornamento relativamente agli incarichi extragiudiziari risulta eseguito sulla pagina indicata, in aperto contrasto con quanto previsto anche dalla richiamata circolare al fine di garantire una piena trasparenza sugli incarichi extragiudiziari ricoperti dai giudici penali militari;
   risulta agli interroganti che a fronte dei ridotti carichi di lavoro dei magistrati militari, quali da ultimo pubblicati in sede d'inaugurazione dell'anno giudiziario militare 2016, l'attribuzione d'incarichi extragiudiziari appare discutibile, vieppiù laddove, ad oggi, l'Esecutivo non si è fatto ancora latore della tanto auspicata razionalizzazione della giustizia militare, e nello specifico, della soppressione dei tribunali militari e delle procure militari della Repubblica di Verona e di Napoli, nonché del tribunale e dell'ufficio militare di sorveglianza di Roma, con transito integrale del relativo personale magistratuale e di cancelleria agli uffici giudiziari ordinari in carenza organica, il tutto pur a fronte dell'accoglimento di ben cinque ordini del giorno in tema, al Senato in data 9 ottobre 2013 e 17 marzo 2015, nn. 9/01015/002 e 0/1577/21/01, nonché alla Camera in data 24 ottobre 2013, 31 luglio 2014 e 19 dicembre 2015, nn. 9/01682-A/028, 9/02486-AR/121 e 9/03444-A/179 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se il mancato aggiornamento successivo alla data del 30 giugno 2013 della pagina web del Consiglio della magistratura militare deputata alla pubblicazione degli incarichi extragiudiziari conferiti ai magistrati militari sia dovuto all'effettivo mancato conferimento d'incarichi in fase successive ovvero se risultino nuovi incarichi di tale tipologie, e in caso affermativo, se sia a conoscenza di quali siano stati i motivi per cui non si è provveduto alla doverosa pubblicazione dei medesimi;
   se, nella denegata ipotesi di mancata pubblicazione degli incarichi extragiudiziari conferiti successivamente al 30 giugno 2013, quali iniziative di competenza, anche di natura disciplinare, intenda adottare nei confronti dei soggetti responsabili del mancato aggiornamento della pagina web indicata;
   se intenda riferire a quale concreto stadio si trovi l'azione di razionalizzazione della giustizia militare, anche in relazione, all'opportunità della costituzione di un gruppo di lavoro in materia, presso il Ministero della difesa, anche alla luce dei plurimi impegni in questa direzione assunti dal Governo, ad oggi, ancora disattesi. (5-08820)


   LABRIOLA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'incrociatore lanciamissili Vittorio Veneto è un'ex ammiraglia della Marina militare italiana, costruita dalla Navalmeccanica nel cantiere navale di Castellammare di Stabia; consegnata alla Marina militare il 12 luglio 1969, è rimasta in servizio fino al 2003 quando fu collocato in status di ridotta tabella di disponibilità in attesa di disarmo, avvenuto nel 2006. Da tale data l'incrociatore è ormeggiato a Taranto nel primo bacino del Mar Piccolo, con tutto il suo ingombrante peso di storia, fascino, ruggine e amianto;
   sin dal lontano 2006 si è più volte parlato di trasformare, in seguito ad interventi di bonifica e restauro, l'Incrociatore in museo galleggiante. Infatti, nel 2007 l'allora assessore al turismo della regione Puglia, Massimo Ostillio, a seguito di un incontro a Roma con i Ministeri competenti (beni culturali e difesa) e con Fincantieri in merito alla realizzazione della sua proposta di trasformare la nave Vittorio Veneto in un museo galleggiante, tramite un comunicato stampa, pubblicato sul sito ufficiale della regione Puglia in data 31 ottobre 2007 ed avente ad oggetto: «Nave museo» «Vittorio Veneto», aveva annunciato che con tale incontro si fosse fatto un passo in avanti per il recupero della struttura e che l'opera fosse stata inserita nel programma per la celebrazione del 150o dell'Unità d'Italia. Cosa che però non è avvenuta;
   un articolo del 24 maggio 2016, pubblicato dal quotidiano «il Piccolo», riporta le dichiarazioni, rilasciate a margine di una visita ufficiale a Trieste al porto vecchio ed al museo De Henriquez, del Ministro della difesa, Roberta Pinotti, con cui annuncia il trasferimento nel porto triestino della Vittorio Veneto e la sua trasformazione in museo, specificando che: «è stata verificata la trasportabilità della nave, che si trova a Taranto», aggiungendo poi, relativamente alla tempistica, che «È un aspetto che non è stato ancora studiato, quando giungerà la richiesta dal Comune vedremo. Poi ci sono i tempi per trasformarla in museo»;
   la notizia di un eventuale trasloco della nave Vittorio Veneto a Trieste, desta preoccupazioni, soprattutto a seguito della precedente decisione, da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di accorpare la soprintendenza di Taranto con quella di Lecce, anche perché, con la legge n. 20 del 2015, sono stati investiti fondi ed è stata regolamentata, per mezzo dell'articolo 8 della stessa legge, la riqualificazione delle aree demaniali dell'Arsenale della Marina militare. Inoltre, nella legge si fa esplicitamente riferimento ad un «progetto di valorizzazione culturale e turistica dell'Arsenale». Tale progetto, sempre in base a quanto previsto dalla legge, è di competenza dei Ministeri della difesa e dei beni e delle attività culturali e del turismo, previa intesa con la regione Puglia ed il comune di Taranto nell'ambito del tavolo istituzionale, i cui soggetti aderenti, hanno sottoscritto il noto contratto istituzionale di sviluppo per l'area di Taranto (CIS), secondo il dettame dell'articolo 5;
   è opinione dell'interrogante che la trasformazione dell'incrociatore in museo galleggiante, già in precedenza presa in considerazione dagli stessi dicasteri debba rientrare in quelle opere e progetti di cui al contratto istituzionale per l'area di Taranto –:
   se ritengano, in coerenza con gli sforzi finora fatti dal Governo per risollevare le sorti della città di Taranto e di tutta l'area Ionica, che sia indispensabile, se non vitale, che, a seguito della trasformazione dell'incrociatore Vittorio Veneto in museo galleggiante, questo rimanga a Taranto;
   quali siano i motivi per cui si stia pensando al trasferimento dell'incrociatore in vista della riqualificazione del porto vecchio di Trieste e non al mantenimento dell'attuale sede proprio in ragione dei progetti in itinere di riqualificazione dell'Arsenale militare di Taranto. (5-08821)


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie giornalistiche (La7 e Il Giornale) si apprende che da inchieste della Marina militare e della procura militare condotte in merito alla vicenda che ha coinvolto loro malgrado Massimiliano Latorre e Salvatore Girone emergerebbero gravi responsabilità per il rientro della nave Enrica Lexie nelle acque indiane e la consegna dei fucilieri alle autorità indiane –:
   se corrispondano al vero tali notizie, quali iniziative siano state assunte al riguardo e se non intenda mettere a disposizione del Parlamento tutta la documentazione relativa alle inchieste interne svolte sul caso dei Marò. (5-08828)


   ALBERTI, RIZZO, TOFALO, BASILIO, COMINARDI, FRUSONE e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali sembrerebbe che la Pattuglia acrobatica nazionale delle Frecce Tricolori sia stata impiegata, nelle scorse settimane, per manifestazioni che a giudizio degli interroganti risultano del tutto avulse rispetto al comparto difesa-sicurezza;
   in particolare, come riporta il Corriere.it-Brescia, dieci velivoli Aermacchi delle Frecce Tricolori sono stati utilizzati il giorno 16 maggio 2016 per l'inaugurazione della «Mille Miglia», la storica corsa in partenza da Brescia;
   alcuni giorni dopo, il 26 maggio 2016 i medesimi velivoli acrobati sono stati utilizzati a Reggio Emilia in occasione della finale della Champions League femminile;
   è di tutta evidenza che simili manifestazioni, seppur di livello nazionale, risultano completamente estranee rispetto al comparto difesa-sicurezza, contesto entro cui dovrebbe essere istituzionalmente utilizzata la Pattuglia acrobatica nazionale;
   inoltre, è opportuno ritenere che l'impiego dei velivoli acrobatici, con gli annessi piloti per esibizioni di pochi minuti, comporti un esborso economico ingente e, a parere degli interroganti, ingiustificato per le casse dello Stato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno, per motivi di sobrietà, di spending review e di trasparenza rendere noti i costi di un'esibizione militare, della durata di soli cinque minuti che, a giudizio degli interroganti, è sfarzosa e poco coerente con gli sforzi che sta facendo il Paese di fronte ad una grave crisi economica;
   se i costi delle esibizioni delle Frecce Tricolori vengano sostenuti in tutto o in parte dal Ministero della difesa ed, in caso di risposta affermativa, a quanto ammontino. (5-08830)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LENZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Conferenza Stato-regioni nella seduta del 2 luglio 2015 ha approvato il taglio al vigente finanziamento statale ordinario (FSO) del servizio sanitario nazionale (SSN) per il 2015 di 2,352 miliardi di euro attraverso una serie di misure tra cui la rinegoziazione dei contratti e il payback per i dispositivi medici, meccanismo quest'ultimo già in vigore per il settore del farmaco, dove la sua gestione è a carattere nazionale ed è curata dall'Aifa. Nel caso dei dispositivi medici dovrebbe prevedere, invece, una gestione su base regionale, ma non sono noti ad oggi i criteri di gestione né tantomeno quali siano i dispositivi effettivamente interessati, essendo oltre 760 mila i codici di prodotti registrati presso il Ministero della salute;
   dette misure sono state inserite all'interno del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (cosiddetto enti territoriali), con l'emendamento 9.0.1000 del Governo;
   il citato decreto-legge prevede, nella fattispecie, che, al fine di rispettare il tetto nazionale massimo di spesa sanitaria in dispositivi medici, fissato al 4,4 per cento della spesa sanitaria nazionale, gli enti del servizio sanitario nazionale sono tenuti a proporre ai fornitori di dispositivi medici una rinegoziazione dei relativi contratti, per ridurre i prezzi unitari di fornitura o volumi di acquisto. Inoltre, si prevede che le aziende fornitrici di dispositivi medici siano tenute a ripianare parte del valore eccedente il tetto in ciascuna regione, in proporzione alle vendite effettuate a livello regionale;
   le politiche pubbliche di acquisto dei dispositivi medici da almeno 7 anni mostrano una crescente tendenza ad aggiudicare al massimo ribasso, con valori medi annui che oscillano tra -12 per cento e -18 per cento rispetto alle basi d'asta (cfr Centro studi Assobiomedica, studi n. 30 marzo 2015) spesso a loro volta fissate a livelli inferiori rispetto alle condizioni medie dei mercati di riferimento nei dodici mesi precedenti, con evidenti ripercussioni sui prezzi e sui fatturati delle imprese;
   il livello medio dei prezzi dei dispositivi medici negli ultimi 7 anni ha infatti perso il 25 per cento e a questa caduta verticale dei prezzi si è accompagnata una diminuzione del fatturato delle imprese di circa il 10 per cento dal 2010 al 2013;
   in questi ultimi anni per taluni dispositivi il crollo dei prezzi è stato ancora più pesante, come ad esempio è avvenuto per le siringhe (-34 per cento) e gli stent (-30 per cento); e lo stesso dicasi per la contrazione di taluni mercati specifici che è stata dell'ordine del 40-50 per cento, come ad esempio è avvenuto per i dispositivi per monitoraggio funzionale in ambito cardiologico (-42 per cento), l'elettromedicina (-44 per cento), e soprattutto l’imaging diagnostico (-49 per cento). Tali dinamiche, sia pure con un rallentamento, sono proseguite anche nel 2014, mantenendo nella maggior parte dei casi i valori di fatturato al di sotto dei livelli 2008;
   in parallelo, è altresì diminuita la quota di mercato assorbita dalle strutture sanitarie pubbliche, passata dal 74,9 per cento nel 2010 al 73,4 per cento nel 2013 e al 72,1 per cento nel 2014;
   tutti gli indicatori succitati dimostrano come la spesa pubblica in dispositivi medici e la relativa marginalità delle imprese, soprattutto italiane, del settore siano drasticamente diminuite negli ultimi anni, arrivando oggi a toccare un livello al di sotto del quale non è più possibile parlare, a parere dell'interrogante, di efficienza e razionalizzazione della spesa;
   peraltro, non va dimenticato che senza dispositivi medici all'interno di un ospedale non è possibile erogare nessun tipo di prestazione sanitaria, neppure la più semplice;
   secondo la Federazione di Confindustria che rappresenta i produttori e i distributori di dispositivi medici, Assobiomedica, il payback rischia di provocare un aumento vertiginoso dei contenziosi tra imprese e pubblica amministrazione, e quindi di spese legali a carico di entrambi, una riduzione drastica della qualità dei servizi di assistenza sanitaria per i cittadini ed un impatto negativo per molte aziende stimabile fra i 300 e i 450 milioni, che rappresenterebbero una percentuale fra il 5,5 per cento e l'8 per cento del totale dei ricavi in Italia;
   fra le 3000 aziende del settore vi sono moltissime piccole e medie imprese italiane, i cui margini sono di gran lunga inferiori a queste percentuali e che sarebbero quindi nell'oggettiva impossibilità di concorrere per la loro parte a questa misura, con inevitabile e forzosa chiusura o drastico ridimensionamento dell'attività. Mentre sul fronte delle grandi imprese multinazionali, largamente presente in Italia con importanti attività di ricerca e produzione, si assisterebbe ad una lunga sequenza di disinvestimenti e delocalizzazioni;
   il meccanismo del payback, seppur non ancora esecutivo sta producendo effetti negativi sulle imprese, poiché sono costrette ad accantonare nei loro bilanci previsionali appositi fondi per rischi e oneri pari a circa 1 miliardo di euro nel triennio 2015-2017, fondi che evidentemente potrebbero essere destinati ad investimenti in studi clinici, formazione, ricerca e sviluppo, occupazione qualificata e altro –:
   se sia a conoscenza della situazione e quali iniziative intenda assumere per evitare che l'applicazione del payback per i dispositivi medici produca gli effetti distorsivi citati sia in termini di perdita di posti di lavoro che di produttività del comparto. (5-08806)


   BOCCUZZI, GIORGIO PICCOLO, BARUFFI, PATRIZIA MAESTRI, GRIBAUDO, ZAPPULLA, MICCOLI, DI SALVO, GIACOBBE e GNECCHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2016, nel Paese che negli anni cinquanta ha vissuto l'esperienza aziendale promossa da Adriano Olivetti, finalizzata alla creazione di un ambiente sociale positivo che rafforzi la fedeltà del lavoratore e la sua disponibilità a collaborare attivamente allo sviluppo dell'impresa, o che in questi anni ha visto svilupparsi ed affermarsi sui mercati mondiali l'esperienza della «Impresa sociale» proposta da Brunello Cucinelli, sono state pronunciate le seguenti espressioni: «Per cambiare un'organizzazione ci vuole un gruppo sufficiente di persone convinte di questo cambiamento, non è necessario sia la maggioranza, basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell'organizzazione che si vuole cambiare e bisogna distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando ad essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all'interno dell'organizzazione dei gangli che si vuole distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e la cosa va fatta nella maniera più plateale e manifesta possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell'organizzazione. Questa cosa va fatta in fretta, con decisione e senza nessuna requie, e dopo pochi mesi l'organizzazione capisce perché alla gente non piace soffrire. Quando capiscono che la strada è un'altra, tutto sommato si convincono miracolosamente e vanno tutti lì. È facile»;
   tali espressioni, a parere degli interroganti, grottescamente anacronistiche, non sono state pronunciate, in forma paradossale, nel corso di una trasmissione di satira sociale, bensì all'interno di un'aula universitaria, nel corso dell'incontro tenutosi presso la Luiss – Libera università internazionale Guido Carli di Roma, dall'attuale amministratore delegato di Enel, Francesco Starace;
   l'amministratore delegato si trovava in quel momento in un contesto universitario, in occasione di un incontro organizzato dall'associazione Agol (Associazione giovani opinion leader), al cospetto di giovani studenti, probabile futura classe dirigente, che magari un domani potrà trovarsi a gestire le relazioni aziendali;
   anche a livello internazionale le migliori esperienze di organizzazione aziendale, soprattutto nei settori a più alto tasso di innovazione, sono improntate alla collaborazione, alla condivisione ed al coinvolgimento dei lavoratori nell'ideazione e gestione del processo produttivo, attraverso un processo virtuoso di autodisciplina e motivazione, non certo ad una visione arcaica e autoritaria del comando e del ricatto, da esercitare in clima di paura e di diffidenza reciproca;
   tale ideologia antagonistica delle relazioni aziendali, discutibile in ogni caso, appare ancor più inaccettabile per un'impresa il cui maggior azionista è lo Stato, per il tramite del Ministro dell'economia e delle finanze e, a parere degli interroganti, l'evocato e auspicato clima di paura o di sofferenza che dovrebbe caratterizzarne le dinamiche interne non appare compatibile, con il principio costituzionale del diritto del lavoratore ad un'esistenza libera e dignitosa;
   tali affermazioni ad avviso degli interroganti non sono compatibili con una moderna visione delle relazioni industriali e sono foriere di non auspicabili tensioni e contrapposizioni, proprio in una fase in cui si tenta faticosamente di uscire dalla più grave crisi economica degli ultimi 70 anni –:
   se il Governo non ritengano opportuno, in qualità di azionista, esercitare le opportune iniziative volte a scongiurare che tale visione improvvida possa caratterizzare la gestione di una delle più grosse realtà imprenditoriali del nostro Paese. (5-08807)


   FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 138, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante la legge di stabilità 2013, inserisce, all'articolo 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, i commi da 1-bis a 1-sexies i quali vietano, per l'anno 2013, a tutte le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, nonché alle autorità indipendenti, ivi inclusa la Consob, di acquistare immobili a titolo oneroso e di stipulare contratti di locazione passiva, salvo il caso di rinnovi, ovvero nel caso in cui la locazione sia stipulata, a condizioni più vantaggiose per sostituire immobili dismessi o per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti;
   l'articolo 10-bis del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, reca una norma di interpretazione autentica dell'articolo 12, comma 1-quater, del citato decreto-legge n. 98 del 2011, secondo il quale il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso non si applica alle procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate tramite espropriazioni per pubblica utilità ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327;
   a decorrere dal 1o gennaio 2014, la legge di stabilità per il 2013 prevede, al comma 1-ter del citato articolo 12 che le operazioni di acquisto di immobili, da parte degli enti territoriali e degli enti del servizio sanitario nazionale, possano essere effettuate solo ove ne siano comprovate documentalmente l'indispensabilità e l'indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo deve essere attestata dall'Agenzia del demanio;
   sarebbe pertanto utile un chiarimento volto a superare le incertezze interpretative della norma in merito alle fattispecie di indispensabilità e indilazionabilità delle operazioni di acquisto, che in alcuni casi, proprio per la discrezionalità delle decisioni, hanno impedito al responsabile del procedimento di concludere le operazioni –:
   se il Ministro interrogato non ritenga utile intervenire con un idoneo atto volto a definire parametri oggettivi per superare le incertezze interpretative della norma in merito alle fattispecie di indispensabilità e indilazionabilità delle operazioni di acquisto che, in alcuni casi, hanno impedito al responsabile del procedimento di concludere le operazioni, a tal fine anche esplicitando che, come avvenuto per il 2013, il divieto di acquistare immobili a titolo oneroso non si applica alle procedure relative all'acquisto a titolo oneroso di immobili o terreni effettuate tramite espropriazioni per pubblica utilità;
   se l'inserimento di immobili negli atti di pianificazione urbanistica comunale, in quanto destinati alla funzione pubblica, possa costituire requisito necessario per effettuare le citate operazioni di acquisizione di immobili da parte dei medesimi enti territoriali. (5-08813)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2016, il consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti (Cdp), ha convocato l'assemblea degli azionisti per deliberare un aumento di capitale, comprensivo di sovrapprezzo, per euro 2.930.257.785 riservato al Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) da liberarsi mediante il conferimento di una partecipazione in Poste pari al 35 per cento del capitale sociale;
   secondo quanto si legge nel comunicato stampa di Cassa depositi e prestiti, l'operazione sarà disciplinata e regolata dal decreto ministeriale emanato ai sensi dell'articolo 5, comma 3, lettera b), del decreto-legge n. 269 del 2003, e la partecipazione sarà assegnata alla gestione separata di Cassa depositi e prestiti. Il conferimento sarà realizzato successivamente alla data di stacco del dividendo di Poste prevista per il 20 giugno 2016. A tale partecipazione saranno applicati criteri di indirizzo e di gestione tali da mantenere il controllo in capo al Ministro dell'economia e delle finanze;
   nonostante i reiterati tentativi, a quanto risulta agli interroganti, la Cassa depositi e prestiti continua a sottrarsi a ogni confronto con le organizzazioni sindacali dopo l'approvazione a dicembre 2015 da parte del consiglio di amministrazione del piano industriale per il quinquennio 2016/2020;
   le reiterate richieste d'incontro avanzate dai sindacati di categoria sono state finora inspiegabilmente ignorate, nonostante il fatto che le disposizioni dei contratti nazionali del credito e delle assicurazioni impongano espressamente il confronto;
   al di là del vulnus che questo apporta al buon andamento delle relazioni sindacali nel gruppo, il pervicace silenzio della Cassa depositi e prestiti preoccupa molto, perché segno di una sostanziale e miope sottovalutazione del ruolo e del contributo che le lavoratrici e i lavoratori dovranno e sapranno esprimere nell'attuazione delle strategie industriali delineate nel Piano;
   il ruolo di eccezionale rilevanza dell'intero gruppo di Cassa depositi e prestiti nel sostegno all'economia nazionale in chiave anticongiunturale e nella prospettiva di una ripresa del «sistema Italia» attraverso il rilancio degli investimenti è al centro degli ambiziosi obiettivi che il piano industriale si pone. È impensabile che tutto questo possa prescindere dal determinante apporto dei lavoratori, e dalle qualità professionali che essi dovranno mettere in campo, in una logica di gruppo espressione del valore di ogni specifica competenza –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza e in virtù del suo ruolo di azionista maggioritario del gruppo di cui in premessa, un confronto e un dialogo tra i vertici di Cassa depositi e prestiti e le organizzazioni sindacali interessate, considerato il diritto di queste ultime di esercitare un ruolo di indirizzo all'interno del piano strategico industriale 2016/2020. (4-13347)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   le fondazioni bancarie sono persone giuridiche private senza fini di lucro che perseguono esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, secondo quanto previsto dai rispettivi statuti;
   esse sono sottoposte alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze che esercita i poteri di controllo, ordinari e straordinari, espressamente previsti dal decreto legislativo n. 153 del 1999, e che, in generale, verifica il rispetto della legge e degli statuti, la sana e prudente gestione delle Fondazioni, la redditività dei patrimoni e l'effettiva tutela degli interessi contemplati dagli statuti;
   la fondazione Cassa di risparmio di Bologna si trova da settimane in una situazione di stallo a causa della incapacità di rinnovare il Collegio d'indirizzo della medesima;
   i soci pubblici, espressione di comune, città metropolitana, regione, camera di commercio, curia, università, e di ordini professionali e industriali, non partecipando al voto sulla ratifica di sei nuovi membri designati dalla parte maggioritaria dell'assemblea perché privi, a loro avviso, delle professionalità e competenze necessarie per lo svolgimento del mandato, hanno fatto mancare il numero legale e bloccato il rinnovo dell'organo;
   il 22 aprile 2015 è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Associazione di fondazioni e casse di risparmio SPA – Acri, in base al quale le fondazioni debbono garantire «l'adozione di processi di nomina funzionali a salvaguardare l'indipendenza e la terzietà dell'Ente»;
   l'atteggiamento sin qui tenuto da parte dei soci pubblici con riferimento al rinnovo del collegio d'indirizzo contravviene, a giudizio dell'interrogante, a quest'ultima previsione;
   le fondazioni sono organismi di natura privata e la Consulta ha stabilito che è incostituzionale che nei loro organi di indirizzo la maggioranza sia composta dai rappresentanti di regioni, province, comuni o città metropolitane –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere il ministro interrogato a tutela dell'autonomia della Fondazione Cassa di risparmio di Bologna. (4-13377)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 12 ottobre 2015, in ossequio ai principi della spending review, con riferimento alla riorganizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze e delle agenzie fiscali (articolo 23-quinquies del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135) e alla razionalizzazione della spesa prevista dal Governo attraverso il decreto legge 66 del 2014 articolo 24, l'Agenzia delle entrate ha varato un piano di razionalizzazione che prevede la soppressione di 53 uffici territoriali, di cui 8 in Sicilia: Canicattì, Taormina, Gela, Milazzo, Patti, Modica, Castelvetrano e Noto;
   la spending review applicata in questo ambito, oltre a rappresentare un risparmio irrisorio (circa 5 milioni di euro), provocherebbe l'abbandono del territorio e l'indebolimento della lotta all'evasione, oltre che pesanti ricadute sui dipendenti e i cittadini costretti a costosi trasferimenti;
   la chiusura dell'ufficio territoriale di Noto, ad esempio comporterebbe disagi enormi, dato che la sua sede serve l'intera zona sud della provincia e, in caso di chiusura, gli utenti sarebbero costretti a percorrere altri 40 chilometri per raggiungere il servizio centralizzato di Siracusa. La sua sostituzione, poi, con un semplice sportello di ricezione degli atti, umilia il territorio e i cittadini netini, poiché ogni tipo di contestazione e chiarimento su notifiche o cartelle fiscali andrebbe comunque discussa presso la sede provinciale di Siracusa;
   il 14 gennaio 2016 da notizie di stampa si apprendeva che, anche in virtù delle forti proteste di sindacati e forze politiche, il Governo aveva deciso di far slittare il piano nazionale di razionalizzazione della spesa e la chiusura dei 53 uffici territoriali;
   nonostante la notizia diffusa, il 25 gennaio 2016 è stato soppresso l'ufficio territoriale di Milazzo in provincia di Messina, per le sue «sfavorevoli condizioni di funzionalità operativa e carichi di lavoro esigui, tali da non giustificare gli oneri connessi al suo funzionamento». La chiusura non ha tenuto conto dei quasi due terzi degli abitanti della provincia (quasi 400.000 dei 650.000 circa) che si troverebbero costretti a rivolgersi al già sofferente ufficio territoriale di Messina;
   l'Agenzia delle entrate prosegue quindi nella deleteria programmazione di chiusura degli uffici territoriali siciliani, senza tener conto delle realtà territoriali;
   il 18 febbraio 2016, la Corte dei Conti, nella sua relazione annuale, ha certificato che la spending review è stata una grande operazione di taglio lineare della spesa pubblica e dei servizi per i cittadini che non ha portato nessuna efficienza e anzi con le esternalizzazioni di molti servizi pubblici spesso ha prodotto duplicazioni di spesa e riduzione di efficienza. Il suo presidente, Raffaele Squitieri, all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016 della magistratura contabile, ha dichiarato che è stata finora «un parziale insuccesso», con ricadute negative per i servizi ai cittadini, che il taglio della spesa «non è più solo riconducibile a effettivi interventi di razionalizzazione e di efficientamento di strutture e servizi, quanto piuttosto a operazioni assai meno mirate di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività» –:
   se il Governo, anche in seguito alle considerazioni della Corte dei Conti e alle forti proteste sollevate sul territorio siciliano, non ritenga opportuno assumere iniziative affinché l'Agenzia delle entrate interrompa l'attuazione del piano di razionalizzazione e la soppressione degli uffici territoriali siciliani;
   in particolare, se non si ritenga di rispondere positivamente alle più che legittime richieste di mantenere la presenza di quello di Noto, strategico per la zona sud della provincia di Siracusa. (4-13380)


   FRACCARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge regionale n. 8/2012 del Trentino-Alto Adige/Südtirol (legge finanziaria per l'anno 2013) ha promosso un progetto finalizzato al sostegno di investimenti strategici per lo sviluppo del territorio regionale anche attraverso iniziative promosse in collaborazione con altri enti pubblici, società da essi controllate, fondi pensione territoriali, soggetti autorizzati all'esercizio del credito e altri soggetti istituzionali;
   con la delibera di giunta regionale n. 184 del settembre 2013 sono state definite le linee guida per dare avvio al progetto del Fondo strategico di investimento territoriale e autorizzare lo stanziamento sul bilancio 2013 di 500 milioni di euro da ripartire tra le due province;
   con la deliberazione n. 2396 del 22 novembre 2013 della giunta provinciale di Trento è stata approvata la sigla del protocollo di intesa per individuare un gruppo di lavoro – composto da uno o più rappresentanti della regione Trentino-Alto Adige, della Alto Adige Finance spa, della provincia di Trento, della Cassa del Trentino spa, dell'Agenzia provinciale per gli Appalti e Contratti («APAC») della provincia di Trento e dell'Agenzia per i procedimenti e la vigilanza in materia di contratti pubblici di lavori – con il compito di predisporre la documentazione di gara e fornire assistenza durante tutte le fasi della procedura per l'individuazione della SGR che provvederà a promuovere, istituire, organizzare, amministrare e gestire il Fondo comune di investimento;
   con la deliberazione n. 437 del 28 marzo 2014 di variazione al bilancio di previsione 2014, presentata dal presidente della provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, sono stati stanziati 75 milioni di euro per il Fondo strategico del Trentino-Alto Adige;
   la provincia autonoma di Bolzano, attraverso la propria società Alto Adige Finance spa, ha assunto un impegno finanziario di 75 milioni per il Fondo strategico del Trentino-Alto Adige nonché l'impegno del fondo previdenziale Laborfonds;
   le risorse del Fondo regionale strategico saranno destinate al sostegno di piccole e medie imprese mediante la sottoscrizione di strumenti finanziari (quali, ad esempio, mini-bond, project bond, cambiali finanziarie o cartolarizzazioni) emessi da imprese aventi sede legale e/o operanti nella regione;
   le finalità del Fondo regionale strategico sono quelle di favorire il massimo incremento della dotazione del Fondo convogliando, almeno in parte, i flussi di risparmio generati dal sistema locale – inclusi i fondi pensionistici territoriali – verso progetti promossi sul territorio;
   entro il mese di aprile 2014 è previsto l'avvio di una procedura ad evidenza pubblica da parte della regione per individuare la società di gestione del risparmio (SGR) che assumerà il compito di promuovere, istituire e gestire il Fondo regionale strategico;
   la Ragioneria generale dello Stato con la nota del 5 dicembre 2012 ha espresso un parere sul disegno di legge finanziaria per l'anno 2013. In tale parere, con particolare riferimento all'articolo 1 del disegno di legge, relativo al sostegno di investimenti strategici, si manifestano fortissime perplessità in ordine alla possibilità della regione di concorrere alla promozione e al sostegno di fondi per lo sviluppo del territorio di ciascuna provincia attraverso l'acquisizione di partecipazioni azionarie in organismi che investano direttamente o indirettamente in tali finalità, nonché sulla prevista concessione di credito anche infruttifero in favore delle province autonome o di società controllate dalle .medesime province per la durata massima di 15 anni. Nella medesima nota, per quanto attiene alla concessione di credito alle partecipate, si evidenzia che la stessa potrebbe essere considerata aiuto di Stato ai fini della normativa europea. Inoltre, si esprime parere contrario in relazione all'utilizzo degli avanzi di amministrazione per la copertura degli oneri, per inidoneità della copertura medesima e si richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2012, nella parte in cui ha affermato il principio secondo cui non è conforme ai precetti dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, realizzare il pareggio di bilancio in sede preventiva attraverso la contabilizzazione di un avanzo di amministrazione non accertato e verificato a seguito della procedura di approvazione del bilancio consuntivo dell'esercizio precedente, in quanto il predetto parametro costituzionale esige che l'obbligo di copertura debba essere comunque salvaguardato mediante la previa verifica di disponibilità delle risorse impiegate –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se dagli atti risultino le ragioni per le quali la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol non si sia uniformata alle considerazioni esposte con il parere della ragioneria generale dello Stato. (4-13385)


   FRACCARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa e sindacati denunciano da anni che nel settore «corrieri espressi» è abituale lo sfruttamento e la presenza di lavoro nero (totale o parziale). La stampa ha reso noto che autisti e facchini dei magazzini, quando non lavorano in nero, sono assicurati con part-time fittizi, con corresponsione di indennità di trasferta indebite o con rimborsi spese non giustificati, al fine di «evadere il fisco e la previdenza sociale»;
   il settore occupa centinaia di migliaia di lavoratori «esternalizzati» mediante il ricorso ad appalti di servizi di trasporto e facchinaggio;
   secondo quanto riportato dalla stampa, alcune cooperative appaltatrici di servizi di facchinaggio nei magazzini, di servizi di trasporto con autisti e soggetti appaltatori della gestione di intere filiali farebbero capo alla malavita organizzata. In particolare, sarebbero in corso alcune indagini della procura della Repubblica relativamente alle filiali TNT di Milano per presunta infiltrazione della ‘ndrangheta;
   i principali corrieri espressi quali SDA, BRT, TNT, DHL, GLS o UPS equipaggiano l'autista con un PDA (detto in gergo «pistola elettronica») che consente la tracciabilità tanto della singola spedizione quanto di tutto il lavoro quotidiano dell'autista minuto per minuto. Quindi tutti i dati relativi ad orari di lavoro e spostamenti sono tracciati e reperibili nei computer delle sedi centrali dei corrieri espressi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se ritenga di intervenire procedendo alla quantificazione e al recupero delle ingenti somme di evasione fiscale e contributiva acquisendo i dati presenti nei computer delle aziende committenti relativi alla tracciabilità dei pacchi e dell'autista.
(4-13386)


   SPADONI, FERRARESI, DELL'ORCO e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o maggio 2016 Potito Scalzulli, ex dirigente del catasto di Reggio Emilia e direttore dell'Agenzia del territorio dal 1o marzo 2009 a giugno 2012, intervistato dalla giornalista Sabrina Pignedoli de Il Resto del Carlino dichiara di esser stato attaccato duramente durante il suo mandato per aver svolto correttamente il proprio lavoro in nome del buon andamento dell'ente che dirigeva;
   Scalzulli, nell'intervista, afferma che era sua precisa intenzione voler ridurre i contatti diretti tra dipendenti e professionisti, al fine di ovviare i rischi di corruzione, introducendo l'invio telematico degli atti e riorganizzando gli spazi di front-office e back-office;
   Scalzulli ha presentato esposti, integrandoli più volte con ulteriori elementi, sia alla procura reggiana, sia alla direzione distrettuale antimafia, denunciando comportamenti illegittimi all'interno del catasto e riferendo di lettere anonime a lui dirette;
   Scalzulli dichiara che, nel momento in cui si è rivolto ad un politico gli è stato detto che «non era possibile nessun intervento a riguardo perché il consenso legato alla tenuta del “sistema Catasto” era determinante per l'equilibrio politico locale» e aggiunge «posso dire dell'esistenza di un interesse politico sul Catasto: ne sono stato testimone diretto nel corso di reiterati incontri con politici locali anche di livello nazionale»;
   nell'intervista sopracitata, l'ex dirigente affermando che «nel tentativo di difendermi ho scoperto il sistema che si celava dietro i “taroccamenti” delle rendite catastali che hanno causato un danno erariale molto pesante a Comune e Stato» formula una denuncia gravissima, a parere dell'interrogante, rilevando la presenza di un vero e proprio «sistema»;
   l'indagine sul catasto partita dalle denunce di Scalzulli in cui è stato indagato anche il consigliere comunale Salvatore Scarpino del Partito democratico, per il quale il sindaco di Castelnovo Monti (RE) Enrico Bini ha chiesto le dimissioni, è stata prescritta. Grazie ad Enrico Bini, che ha riaperto il caso ed è stato ascoltato in procura, è ripartita una nuova inchiesta –:
   se il Ministro interrogato, considerati il compito di vigilanza del suo dicastero dell'Agenzia delle entrate, sia a conoscenza di questo caso gravissimo in cui si celerebbe l'ombra dell'intimidazione e della corruzione;
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di prevenire ed eliminare totalmente i rischi in cui possono incorrere dirigenti che ricoprono ruoli strategici come nel caso sopracitato e quali iniziative intenda assumere volte a scongiurare il rischio di falsificazioni delle rendite catastali, causa di ingenti danni erariali ai comuni e allo Stato. (4-13387)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile club Italia (Aci) è una federazione sportiva nazionale a carattere pubblico istituita all'inizio del novecento, riconosciuta dal Coni e dalla Fédération Internationale de l'Automobile (Fia), con il compito di favorire lo sviluppo dello sport automobilistico, del comparto dell'auto, di associare e tutelare gli automobilisti e di organizzare manifestazioni sportive;
   l'Aci, quale ente pubblico non economico, è sottoposto alla vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, mentre, per quanto riguarda la gestione del pubblico registro automobilistico e l'acquisizione dei relativi tributi (la tassa di circolazione), è vigilato dal Ministero della giustizia;
   il decreto del Ministero delle finanze n. 514 del 2 ottobre 1992 disciplina le modalità e le procedure di funzionamento degli uffici del pubblico registro automobilistico, la tenuta degli archivi, la conservazione della documentazione prescritta, l'elaborazione e la fornitura dei dati dei veicoli iscritti, la forma, il contenuto e le modalità di utilizzo della modulistica occorrente per il funzionamento degli uffici medesimi. In particolare, l'articolo 8 istituisce il certificato di proprietà, mentre l'articolo 17, al comma 5, stabilisce che il certificato di proprietà debba essere stampato dal sistema informatico;
   la legge 7 agosto 2015, n. 124, contenente «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (nota come riforma Madia) stabilisce all'articolo 8, lettera d); «con riferimento alle amministrazioni competenti in materia di autoveicoli: la riorganizzazione, ai fini della riduzione dei costi connessi alla gestione dei dati relativi alla proprietà e alla circolazione dei veicoli e della realizzazione di significativi risparmi per l'utenza, anche mediante trasferimento, previa valutazione della sostenibilità organizzativa ed economica, delle funzioni svolte dagli uffici del Pubblico Registro Automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con conseguente introduzione di un'unica modalità di archiviazione finalizzata al rilascio di un documento unico contenente i dati di proprietà e di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, da perseguire anche attraverso l'eventuale istituzione di un'agenzia o altra struttura sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; svolgimento delle relative funzioni con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»;
   con tale provvedimento, il Governo è stato delegato ad adottare, entro dodici mesi, uno o più decreti legislativi al fine di operare il passaggio definitivo delle funzioni svolte dal pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e trasporti;
   come riportato da un articolo de Il Fatto quotidiano, del 30 dicembre 2015, sulla riforma Madia: «la ministra aveva deciso che per semplificare la vita degli automobilisti e anche per far risparmiare un bel po’ di soldi allo Stato andava superato il Pra accorpandolo alla Motorizzazione civile (Ministero dei trasporti). Aveva fatto approvare una legge delega che il governo avrebbe dovuto tradurre in una riforma entro giugno 2016 e che a questo punto è assai probabile si perda nelle nebbie. Agli automobilisti sarebbe stato risparmiato il fastidio di una costosa pratica considerata un doppione, allo Stato sarebbe stato assicurato un risparmio di una sessantina di milioni di euro l'anno, così come aveva calcolato a suo tempo Carlo Cottarelli, il manager incaricato di studiare la spending review, la grande revisione della spesa pubblica che però alla fine è rimasta nel cassetto»;
   il 24 settembre 2015 l'agenzia stampa Ansa ha diramato un comunicato con il quale l'Aci ha annunciato che, «a partire dal 5 ottobre, i proprietari di veicoli, motoveicoli e rimorchi potranno dire addio al certificato di proprietà (Cdp) nella sua versione cartacea» sostituito dal certificato di proprietà dematerializzato introdotto dall'Aci stessa;
   in un articolo del 26 ottobre 2015, pubblicato on line sul sito www.ilfattoquotidiano.it, viene riportata un'intervista a Ottolino Pignoloni, segretario nazionale Studi UNASCA (Unione nazionale, autoscuole e studi di consulenza automobilistica), aderente a Confcommercio, relativa alla digitalizzazione del certificato di proprietà introdotta dall'Aci; il segretario Pignoloni afferma che, a distanza di due settimane dall'avvio del nuovo sistema del certificato di proprietà digitale, gli operatori del settore non avrebbero ancora rilevato i vantaggi, in termini di risparmio di tempo, carta e denaro, derivanti dalla dematerializzazione, asserendo appunto che «l'Aci ha annunciato il risparmio, oltre che di tonnellate di inchiostro, di circa 30 milioni di fogli; tuttavia la realtà è che, da 14 giorni a questa parte, fare un passaggio di proprietà è diventato molto più complesso di prima»;
   il 30 ottobre 2015 lo scrivente ha depositato l'interrogazione 4-10921, rimasta ancora senza risposta, indirizzata ai Ministri interrogati con la quale ha sollevato dei dubbi sulla coerenza tra la circolare emanata dall'Aci e le disposizioni impartite dal decreto del Ministero delle finanze n. 514 del 2 ottobre 1992, sull'effettivo risparmio digitale e sull'opportunità, da parte dell'Aci, di avviare comunque il procedimento nonostante le previsioni del decreto Madia;
   l'Unasca, il 3 dicembre 2015, ha presentato un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio per richiedere l'annullamento della circolare del 28 settembre 2015 con cui l'Automobile Club Italia dettava le «Istruzioni di servizio – Progetto Semplific@uto – Introduzione del 5 ottobre 2015 del Certificato di proprietà digitale CDPD – Nuove istruzioni di servizio, nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale»;
   in data 20 maggio 2016 Unasca, con il comunicato stampa intitolato «Certificato di proprietà digitale, Il Tar del Lazio: accolto ricorso di Unasca e dichiarata illegittima la circolare Aci» spiega che «Unasca aveva sollevato la questione principalmente per due motivi: per il fatto che l'Aci, nel dettare istruzioni a seguito della introduzione del Certificato di Proprietà digitale tentasse in realtà, di “modificare la disciplina sostanziale e la consegna cartacea del certificato, invocando impropriamente l'applicazione del Codice dell'Amministrazione digitale, che però non conferisce ad Aci alcun potere di effettuare la riforma oggetto della circolare”, e per il fatto che, secondo UNASCA, attraverso il progetto Semplific@uto Aci in sostanza tentasse di “precostituire il proprio ruolo prima che la riforma ne svuoti le funzioni trasferendole al Ministero”»;
   il comunicato stampa, inoltre, afferma che: «la sentenza del Tar ha accolto il ricorso, condannando l'ACI al pagamento di 8.000 euro per le spese di giudizio e gli onorari, e quindi ha annullato la circolare ACI N. 005/0007641/15 del 28 settembre 2015 nelle parti in cui sostituiva il rilascio del Certificato di Proprietà (cartaceo) del veicolo con la mera attestazione di avvenuta formalità, senza possibilità di ottenere il certificato in formato cartaceo neppure su richiesta della parte»;
   in riferimento alle istruzioni della circolare sul pdf di ricevuta per le procedure dello Sportello Telematico dell'Automobilista, la sentenza riporta che: «Come sollevato dai ricorrenti la parte ora riportata delle istruzioni è proprio incongruente con il quadro normativo nel corpo del primo motivo riportato cioè con l'articolo 10 del decreto ministeriale n. 514 del 1992 e con gli articoli 93 e 94 del Codice della Strada che tutti prevedono il rilascio del Certificato di proprietà al momento della prima iscrizione o di ogni altra successiva formalità riguardante il veicolo. Né come sostenuto dall'Aci, anche con la memoria per l'udienza odierna, la circostanza che la circolare in realtà vada inquadrata nell'ambito delle iniziative legate al Progetto di semplificazione amministrativa del Pubblico Registro Automobilistico comportante la dematerializzazione/digitalizzazione della documentazione necessaria alla presentazione delle istanze al PRA può validamente giustificare le due disposizioni sopra richiamate recate dalla Circolare in esame (...) Anzi l'articolo 43 del Codice dell'Amministrazione digitale prescrive l'esatto contrario e cioè che i documenti informatici possono essere archiviati anche con modalità cartacee»;
   all'interrogante risulta incomprensibile, alla luce del previsto trasferimento del pubblico registro automobilistico, la conduzione da parte dell'Aci del progetto descritto in premessa, poco chiaro sia nei costi sostenuti per la sua realizzazione, sia in relazione agli effettivi risparmi che ne sarebbero dovuti derivare, sia alla palese non coerenza con la normativa vigente come riconosciuto dal tar del Lazio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del progetto avviato dall'Aci in merito alla dematerializzazione del certificato di proprietà e se abbiano avvallato tale processo;
   quali iniziative di competenza intendano assumere nei confronti dell'Aci alla luce della sentenza del Tar del Lazio;
   se i Ministri interrogati intendano chiarire le tempistiche e le modalità di trasferimento del Pubblico registro automobilistico al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti come previsto dalla legge n. 124 del 2015; (4-13350)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 maggio 2016 l'interrogante ha visitato la casa di reclusione di Vigevano, in provincia di Pavia;
   nel corso del 2014, la struttura è stata trasformata da casa circondariale in casa di reclusione senza apportare alcuna modifica strutturale o intervento di manutenzione straordinaria;
   nel corso del sopralluogo, la situazione è apparsa con forti criticità di natura igienica, di sicurezza e di benessere della popolazione ivi detenuta, con evidenti carenze per quanto concerne gli spazi dedicati alla socializzazione, allo studio, alle attività lavorative;
   la popolazione reclusa risulta essere in grave sovrannumero, a fronte dei 240 posti previsti infatti, ho riscontrato la presenza di 416 detenuti;
   nelle celle, gli impianti elettrici sono privi di interruttori, così da costringere i detenuti a salire sui tavoli, o ad ingegnarsi con altri sistemi, per avvitare e svitare le lampadine per accendere e spegnere la luce, contravvenendo a qualsiasi norma di sicurezza;
   è evidente la carenza di bagni per la pulizia personale, nell'ambito del sopralluogo ho riscontrato che in vari reparti (sia maschili che femminili) vi è una dotazione di sole tre docce ogni 50 detenuti circa;
   gli educatori operativi sono soltanto 5, quando ne sono previsti 8 su un numero di detenuti pari a 240;
   gli agenti di polizia penitenziaria prevista sono 265, mentre quelli in servizio sono soltanto 211;
   nei primi mesi del 2016, cioè dal giorno 1o gennaio al 7 maggio 2016, sono stati registrati: 7 atti di aggressione, tra cui 4 ferimenti e 3 colluttazioni, 32 atti di autolesionismo, 2 incendi dolosi, 45 manifestazioni di protesta, tra le quali 35 scioperi della fame e/o sete, 5 aggressioni e/o ingiurie ai danni della polizia penitenziaria, 2 manifestazioni di protesta collettiva;
   la carente presenza di personale di assistenza psicologica, psichiatrica, sociale, medica e infermieristica fornita dal locale SerT fa presupporre un deficit dovuto ad una convenzione inadeguata tra Ministero della giustizia e ASL, rispetto ai bisogni della struttura e al numero di detenuti presenti –:
   quali iniziative intenda attuare il Ministro interrogato affinché allo casa di reclusione di Vigevano vengano effettuati con urgenza i necessari lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria che superino le problematiche rilevate in merito a sicurezza, igiene, benessere ambientale;
   considerato che la stragrande maggioranza dei detenuti della casa di reclusione di Vigevano sta scontando una pena definitiva, in che modo il Ministro intenda intervenire affinché tale struttura possa offrire adeguate opportunità lavorative con laboratori interni attrezzati e con attività esterne, per i detenuti che si trovano nelle condizioni di goderne.
(4-13357)


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   per quanto risulta all'interrogante il 29 aprile 2016, intorno all'una di notte, si è suicidato il detenuto Maurilio Pio Morabito, 46 anni, di Reggio Calabria, presso la casa circondariale di Paola, in provincia di Cosenza, ove si trovava ristretto da circa un mese, dopo essere stato trasferito dalla casa circondariale «Arghillà» di Reggio Calabria; il Morabito, con problemi di tossicodipendenza, era stato tratto in arresto in data 1o marzo 2016, per espiare una pena detentiva di 4 mesi di reclusione ed infatti, la sua dimissione dall'Istituto, era prevista per il 30 giugno 2016;
   dalle informazioni acquisite, anche grazie ad una visita ispettiva effettuata il 4 maggio 2016 da una delegazione dei Radicali Italiani nei giorni successivi al decesso del Morabito, quest'ultimo avrebbe posto in essere il gesto autosoppressivo mediante impiccagione, utilizzando una coperta, che è stata annodata a forma di cappio alla grata della finestra della cella, nel reparto di isolamento, del predetto, istituto penitenziario che ospita 182 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 182 posti; la delegazione radicale, nell'ambito della suddetta visita, ha potuto verificare che la cella n. 9 in cui si è impiccato il Morabito era «liscia» cioè priva dell'arredo ministeriale, sporca e maleodorante e che il citato detenuto non era stato sottoposto a «sorveglianza a vista» nonostante, già in altre occasioni, avesse manifestato propositi suicidiari e compiuto vari atti autolesionistici, nonché distrutto due celle, una delle quali mediante l'incendio di un materasso posta nel primo reparto detentivo e l'altra nel reparto di isolamento dirimpetto alla cella in cui si è impiccato;
   sul decesso del Morabito, la procura della Repubblica presso il tribunale di Paola, competente per territorio, a seguito della denuncia dei familiari dell'uomo, ha aperto un procedimento penale, al momento nei confronti di ignoti, per il delitto di istigazione o aiuto al suicidio previsto e punito dall'articolo 580 del codice penale al fine di appurare le cause, le circostanze e le modalità del decesso; infine, la predetta autorità giudiziaria, oltre ad aver disposto l'acquisizione dei filmati delle telecamere di sorveglianza presenti nel reparto detentivo, ha anche ordinato l'esame autoptico sulla salma del Morabito (effettuato in data 7 maggio 2016), affidando l'incarico al medico legale Dottore Mario Matarazzo, che relazionerà dettagliatamente in merito entro 90 giorni;
   dall'inizio del 2016 ad oggi, oltre al suicidio di Maurilio Pio Morabito avvenuto presso la casa circondariale di Paola il 29 aprile 2016, si sono verificati altri 12 suicidi e, nello specifico, 1 nella casa circondariale di Genova Marassi, il 22 gennaio 2016, 1 nella casa circondariale di Siracusa il 28 gennaio 2016, 1 nella casa circondariale di Bologna il 10 febbraio 2016, 1 nella casa circondariale di Reggio Emilia il 13 febbraio 2016, 1 nella casa circondariale di Porto Azzurro il 14 febbraio 2016, 1 nella casa circondariale di Bari il 16 febbraio 2016, 1 nella casa circondariale di Verona il 4 febbraio 2016, 3 nella casa circondariale di Napoli Poggioreale il 15 marzo, il 30 marzo ed il 26 aprile 2016; 1 nella casa circondariale di Velletri il 13 aprile 2016 ed 1 nella casa circondariale di Belluno il 8 maggio 2016; suicidi tutti avvenuti per impiccamento tranne uno, quello verificatosi nell'Istituto di Napoli Poggioreale il 15 marzo 2016, causato per avvelenamento (il detenuto è morto, dopo aver ingerito una dose massiccia di medicinali che gli erano stati somministrati nel corse delle settimane precedenti e che invece non aveva mai ingerito) mentre altri 21 detenuti sono morti per malattia, assistenza sanitaria disastrata, overdose o per cause ancora da accertare. Complessivamente, in questi mesi del 2016, i detenuti morti nei penitenziari sono stati 34, di cui 13 per suicidio; dal 2000 ad oggi, invece, i «morti di carcere» sono stati 2.527, 900 dei quali per suicidio; ogni anno, più di 100 detenuti muoiono in cella, di questi 50 o di 60 si suicidano: numeri drammatici che da almeno 15 anni sono pressoché stabili (nel 2000, 165 morti, 61 suicidi; nel 2001, 177 morti, 69 suicidi; nel 2002, 160 morti, 52 suicidi; nel 2003, 157 morti, 57 suicidi; nel 2004, 156 morti, 52 suicidi; nel 2005, 172 morti, 57 suicidi; nel 2006, 134 morti, 50 suicidi; nel 2007, 123 morti, 45 suicidi; nel 2008, 142 morti, 46 suicidi; nel 2009, 177 morti, 72 suicidi; nel 2010, 184 morti, 66 suicidi; nel 2011, 186 morti, 66 suicidi; nel 2012, 154 morti, 60 suicidi; nel 2013, 153 morti, 49 suicidi; nel 2014, 132 morti, 44 suicidi e nel 2015, 122 morti e 43 suicidi);
   la maggior parte dei suicidi che avvengono negli stabilimenti penitenziari si è verificata nei reparti di isolamento e, ancor di più, nelle «celle lisce», cioè celle completamente vuote, (come quella in cui il Morabito è stato collocato, per diversi giorni, in condizioni al limite della tollerabilità, nella casa circondariale di Paola) nonostante, da tempo, tali pratiche (collocazione dei detenuti in isolamento ed in celle lisce), secondo gli esperti, siano ritenute «assolutamente controproducenti» poiché pur togliendo dalla cella tutto ciò che potrebbe essere usato dai detenuti per suicidarsi, il modo di farlo lo trovano lo stesso;
   in tanti istituti penitenziari, come l'interrogante ha già avuto modo di denunciare al Governo, con l'interrogazione a risposta in commissione n. 5/03559 presentata il 16 settembre 2014 nella seduta n. 291 – relativa alla visita ispettiva effettuata alla casa di reclusione di Rossano – rimasta allo stato inevasa, nonostante il decorso dei termini previsti per la risposta dall'articolo 133, comma 3, del regolamento della Camera dei deputati nonché durante l'audizione del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziario, Dottor Santi Consolo davanti alla Commissione bicamerale Antimafia, l'utilizzo del reparto e dell'istituto dell'isolamento in modo difforme dalla normativa vigente in materia ed in particolare modo dall'articolo 33 dell'orientamento penitenziario, che consente tale misura esclusivamente per motivi giudiziari, sanitari o disciplinari. Ed infatti, in proposito, più volte, è intervenuto lo stesso dipartimento dell'amministrazione penitenziaria con delle circolari rivolte ai direttori degli istituti penitenziari per invitarli ad utilizzare il reparto e l'istituto dell'isolamento nei soli casi prefissati dal legislatore, disapprovando, peraltro, la prassi di «assegnare» in tale reparto, detenuti che, come il Morabito, denunciano divieti di incontro con la popolazione detenuta per condizioni personali ovvero per ragioni detentive e/o processuali. In tali occasioni, detti detenuti sono trattenuti presso le sezioni di isolamento anche per molto tempo in condizioni di gravissimo disagio fisico e psicologico e conseguente esposizione a rischio suicida serio ed attuale. Il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, proprio per evitare tali situazioni, ha provveduto ad istituire in ogni regione, uno o più istituti penitenziari, dotati di apposite sezioni senza che alcuna iniziativa di gestione e trattamento sia preclusa anche verso tali detenuti che chiedono di essere «isolati» per giustificate ragioni che consigliano di adottare cautele per la protezione della sua incolumità personale; in tal caso, la direzione dell'istituto, deve disporre l'assegnazione ad una cosiddetta «Sezione Protetta»; nelle vicinanze dell'istituto penitenziario di Paola, una delle predette sezioni esiste ed è attiva presso la casa circondariale «Rosetta Sisca» di Castrovillari;
   risulta all'interrogante che, con alcune missive, il detenuto Morabito, abbia chiesto alla direzione della casa circondariale di Paola, di poter essere trasferito in uno dei predetti reparti «Protetti» poiché aveva fondato timore di essere vittima di aggressioni, avendo ricevuto minacce di morte conseguenti a non meglio precisati fatti occorsi quando era ristretto presso la casa circondariale di Arghillà di Reggio Calabria; inoltre, per come riferito dai familiari dell'uomo, numerose sarebbero state le richieste di colloquio al direttore della casa circondariale di Paola e mai tenute in considerazione dallo stesso in violazione di quanto prescrive al riguardo il regolamento di esecuzione dell'ordinamento penitenziario che, all'articolo 75, comma 1, prevede che, tra gli altri, anche il direttore dell'istituto debba offrire a tutti i detenuti di entrare direttamente in contatto con questi e che ciò debba avvenire con periodici colloqui individuali;
   a giudizio dell'interrogante i fatti esposti nel presente atto di sindacato ispettivo richiedono doverosi accertamenti dal momento che il Signor Maurilio Pio Morabito, detenuto nella casa circondariale di Paola, era affidato alla custodia dello Stato –:
   se e di quali informazioni disponga il Ministro interrogato in ordine ai fatti di cui in premessa rappresentati, anche con riferimento ai casi specifici segnalati, e se questi corrisponda al vero;
   se non ritenga, in via cautelativa, di assumere le iniziative, per quanto di competenza, nel rispetto dell'attività della procura della Repubblica presso il tribunale di Paola, volte ad avviare una indagine amministrativa interna al fine di chiarire la causa, le circostanze e le modalità del decesso del detenuto Morabito ed appurare se nei confronti dello stesso siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza custodiale e sanitaria, previste e necessarie, e quindi se non vi siano responsabilità disciplinarmente rilevanti in capo al personale dell'amministrazione penitenziaria;
   quali siano le motivazioni che hanno condotto all'improvviso trasferimento del Morabito dalla casa circondariale di Arghillà di Reggio Calabria alla casa circondariale di Paola chiarendo, altresì, per quali ragioni, il predetto detenuto non sia stato trasferito, sin da subito o comunque dopo le sue richieste, presso altro istituto penitenziario dotato di reparti «protetti» visto che era stato gravemente minacciato ed aveva fondato timore di essere aggredito invece di essere tenuto a giudizio dell'interrogante, impropriamente, nel reparto di isolamento della casa circondariale di Paola;
   se e quali problemi di salute presenta il detenuto Morabito all'atto della visita obbligatoria di primo ingresso presso la casa circondariale di Arghillà di Reggio Calabria e poi presso quella di Paola, ricavabili dal suo diario clinico e se risulti se lo stesso, durante tutto il periodo detentivo, sia stato adeguatamente assistito dal punto di vista sanitario; se intenda chiarire, infine, se lo stesso fosse sottoposto a particolari trattamenti terapeutici per le sue condizioni personali;
   se risulti veritiero il fatto che il detenuto Morabito abbia chiesto, più volte, di poter avere un colloquio col direttore della casa circondariale di Paola e che le sue istanze siano rimaste tutte inevase;
   se risulti che, il direttore della casa circondariale di Paola offra, con particolare frequenza, ai detenuti la possibilità di poter aver con lo stesso dei periodici colloqui individuali e se e quante volte il predetto si sia recato ad ispezionare i locali ove sono ristretti i medesimi, anche tramite la visione delle annotazioni apposte negli appositi registri previsti dalla normativa;
   per quali motivi, il signor Morabito, sia stato recluso nell'istituto di cui in premessa visto che la pena da espiare era di soli 4 mesi di reclusione e se, in ogni caso, se corrisponde al vero che questi abbia presentato istanza alla competente magistratura di sorveglianza per la concessione di una misura alternativa alla detenzione prevista dall'ordinamento penitenziario (detenzione domiciliare, affidamento, e altro) ed in caso affermativo, per quali ragioni, gli sia stata negata –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per assicurare che l'isolamento nei confronti dei detenuti venga disposto solo ed esclusivamente in circostanze eccezionali e, comunque, nei soli casi tassativi previsti dal legislatore, proibendo all'amministrazione penitenziaria di utilizzare sezioni o reparti di isolamento per altri motivi in applicazione di quanto disposto dall'articolo 73 del regolamento di esecuzione penitenziaria e se non ritenga, altresì, di dover intervenire con urgenza per emanare delle direttive soprattutto per quanto attiene l'esecuzione dell'isolamento, poiché, ancora oggi, come accertato dalla delegazione radicale nella casa circondariale di Paola, esistono delle «celle lisce», prive di ogni suppellettile, in cui vengono collocati i detenuti che, invece, dovrebbero essere posti secondo l'interrogante in «camere ordinarie» che presentino le caratteristiche indicate dall'articolo 6 dell'ordinamento penitenziario. (4-13360)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   con ordinanza del 12 febbraio 2016, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto disponeva il sequestro preventivo dell'impianto di depurazione delle acque reflue civili, posto a servizio dell'agglomerato di Martina Franca, in località Cupa, nonché lo scarico attualmente asservito all'impianto, situato in località Pastore, nel fondo di proprietà Pinto-Minardi;
   disponeva la contestuale nomina, quali amministratori e custodi giudiziari dei beni in sequestro:
    dell'autorità idrica pugliese, nella persona del legale rappresentante, con riferimento all'impianto di depurazione, su cui grava il compito di garantire la continuità del servizio di depurazione delle acque conformemente ai limiti di legge ed alle norme di settore, prevedendo il ripristino immediato dell'efficienza delle componenti dell'impianto attualmente fuori servizio;
    della regione Puglia, nella persona del presidente della giunta regionale p.t., con riferimento allo scarico attualmente in uso, benché privo di autorizzazione, con l'obbligo di individuare, entro 60 giorni una soluzione tecnica alternativa eco-compatibile;
   successivamente, con ordinanza del giorno successivo, il medesimo organo ordinava il sequestro preventivo della strada statale 172, nel tratto Martina Franca-Locorotondo, tra il chilometro 45+300 e il chilometro 45+500, con interdizione assoluta al transito di uomini e mezzi ad eccezione dei frontisti;
   alla data odierna permane il provvedimento di sequestro e la interdizione al traffico del suddetto tratto di strada statale 172;
   la strada statale 172 è l'unica via di comunicazione idonea al traffico veicolare, utilizzata per il trasporto privato e pubblico, per persone e merci;
   rappresenta la principale arteria di collegamento tra l'area jonica e l'adriatica;
   le strade provinciali parallele, allo stato utilizzate in alternativa con una serie di importanti limitazioni, presentano caratteristiche di dimensione e stato di manutenzione non adeguato al volume di traffico;
   l'interruzione intervenuta, di fatto, isola completamente la città di Martina Franca e con essa tutte le aree vicine (tra cui le principali: Locorotondo, Alberobello, Fasano, Monopoli, Cisternino);
   tutta l'area denominata della «Vale d'Itria», notoriamente centro di grande attrazione turistica, vede aggravata una situazione di crisi economica che risente già delle tante criticità che interessano l'intero territorio ionico;
   tutte le azioni finora intraprese dai vari enti preposti non sono state valutate sufficienti, da parte dell'autorità giudiziaria, a ripristinare le necessarie condizioni di sicurezza, tali da consentire il dissequestro;
   con ordinanza del sindaco di Martina Franca n. 15 del 26 marzo 2016, recante «ordinanza per l'accesso e occupazione di urgenza delle aree interessate a lavori di messa in sicurezza del recapito finale e completamento prove geologiche area trincee drenanti», considerata la necessità di tutelare la salute e la sicurezza dei cittadini, si disponeva a favore dell'azienda Acquedotto Pugliese SpA, l'accesso e l'occupazione d'urgenza, non preordinata all'esproprio dei terreni ricadenti in agro del comune di Martina Franca, alle particelle catastali 164, 165, 197, 243, 571, del foglio 44, per eseguire i lavori occorrenti per la messa in sicurezza dell'area circostante la strada statale 172, rimuovendo il terreno accumulato, a seguito degli allagamenti e provvedendo a smaltirlo, recuperarlo, o riutilizzarlo come per legge, nonché per l'esecuzione delle prove di permeabilità e delle altre indagini geognostiche occorrenti alla definizione del progetto di costruzione delle trincee a servizio del depuratore;
   in data 27 aprile 2016, si teneva a Martina Franca «un incontro sulle problematiche del tratto della SS172 sequestrato dalla Magistratura e chiuso al traffico» alla presenza del presidente della regione, Michele Emiliano, dell'assessore per le infrastrutture, Giovanni Giannini, del sindaco Franco Ancona, del sindaco di Locorotondo, Tommaso Scatigna, dei consiglieri comunali e assessori di tutti gli schieramenti, dei consiglieri regionali Donato Pentassuglia e Renato Perrini, nonché dei dirigenti regionali Barbara Valenzano e Luca Limongelli. In tale sede, il presidente Emiliano, a circa tre mesi di distanza dal sequestro, affermava di comprendere solo in quel momento la reale portata del problema, certificando il totale disinteresse dell'ente regione rispetto ad una problematica di assoluta gravità ed urgenza. Individuava, «quale possibile soluzione definitiva della regione il progetto delle trincee drenanti»; soluzione non risolutiva;
   successivi incontri tra i vari enti interessati regione, comune di Martina Franca, Anas non hanno al momento individuato alcuna soluzione realizzabile in tempi brevi –:
   se siano a conoscenza di quanto sopra esposto ed abbiano piena cognizione della gravità della situazione e di quali elementi dispongano circa le cause di quanto venutosi a determinare, ciò anche in relazione ad un quadro generale di obsolescenza della intera rete di depurazione pugliese, da cui derivano le problematiche che hanno prodotto l'intervento della magistratura nel caso di Martina Franca;
   se ritengano di intervenire, per quanto di competenza, in tempi rapidi al fine di ripristinare la funzionalità del sistema viario sottoposto a sequestro;
   se i Ministri interrogati intendano attivarsi, nell'ambito delle rispettive competenze, in collaborazione con la regione Puglia, il comune di Martina Franca e le autorità e gli enti coinvolti, affinché vengano individuate, in riferimento al gravissimo dissesto idrogeologico e ai continui fenomeni di allagamento da acque reflue, immediate soluzioni tecniche a vantaggio dei territori, in un'ottica di concreto contrasto all'allarme ambientale e sanitario in atto.
(2-01385) «Chiarelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Ferrovie del sud-est e servizi automobilistici srl, il cui socio unico è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stata commissariata ai sensi dell'articolo 1, comma 867, della legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), a seguito di un grave dissesto finanziario che ammontava a circa 310 milioni di euro. Al tempo stesso, la norma disponeva il finanziamento straordinario di 70 milioni di euro finalizzati all'adozione di un piano di risanamento dell'azienda;
   secondo quanto disposto dalla citata legge di stabilità, il Ministro interrogato, con decreto 12 gennaio 2016, ha nominato il commissario nella persona di Andra Viero, già a guida del consiglio di amministrazione fino al 30 dicembre 2015. Con lo stesso atto a Viero sono stati aggiunti due subcommissari: Domenico Mariani e Angelo Mautone, anch'essi presenti nel consiglio di amministrazione fino a fine 2015;
   a distanza di un paio di settimane, nel decreto-legge n. 210 del 2015 (Milleproroghe 2016) convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21, si dispone la proroga per ulteriori trenta giorni del termine per la presentazione da parte del commissario delle Ferrovie del Sud-Est del piano industriale di risanamento, facendo così slittare il termine alla fine di aprile del 2016. Nel contempo, al medesimo articolo 7, comma 9-ter, del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, si disponeva che, entro lo stesso termine, i creditori non potessero intraprendere alcuna azione nei confronti dell'azienda;
   nel corso dei primi mesi dell'anno, a seguito di verifiche fiscali e di indagini condotte dalla Guardia di finanza, sarebbero emerse una serie di irregolarità e reati riguardanti l'impiego delle risorse dell'azienda attraverso giri di consulenze, inutili e in taluni casi dagli importi eccessivi, spese legali e evasione fiscale, a carico dell'ex manager Luigi Fiorillo e di altri indagati. Secondo fonti di stampa lo stesso Fiorillo, in carica fino a novembre 2015, avrebbe goduto nel corso degli anni della fiducia dei vari Governi succedutisi dal 2001 in poi;
   tra aprile e maggio 2016 il commissario Viero, per far fronte all'indebitamento della società, avrebbe richiesto al Ministero delle infrastrutture dei trasporti almeno altri 100 milioni di euro;
   nelle ultime settimane risulta che Ferrovie dello Stato italiane spa sarebbe interessata, per il tramite della società Trenitalia, a rilevare le Ferrovie del sud est. Secondo quanto riportato da «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 21 maggio 2016, infatti, si sarebbe già tenuto almeno un incontro formale tra i vertici di Fsi spa e Trenitalia con il commissario Viero al fine di imbastire l'acquisizione che vedrebbe il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti favorevole;
   a giudizio dell'interrogante, in tal modo il Governo avallerebbe un metodo che appare non scevro da criticità e opacità considerando che si sarebbe trattato, alla luce delle disposizioni anche finanziarie contenute nell'ultima legge di stabilità, di un tentativo di salvataggio per mezzo di denaro pubblico di una società che andrebbe poi a finire in un colosso del trasporto ferroviario nonché infrastrutturale, quale è Ferrovie dello Stato italiane spa, in procinto di essere privatizzato;
   da fonti stampa del Quotidiano di Puglia del 24 maggio 2016 si apprende che, dopo un vertice tenuto in data 23 maggio 2016, le possibilità che Ferrovie dello Stato italiane possa assorbire le Ferrovie sud-est è l'ipotesi principale ma vi si sono anche altre due alternative: la creazione di una newco, scaricando i debiti nella bad company; oppure il versamento da parte del Ministero di circa 100 milioni di euro nelle casse di Ferrovie Sud Est, con successivo risanamento e il passaggio di proprietà alla regione Puglia –:
   quali siano le modalità con cui il Governo intende affrontare in maniera definitiva la gestione della società Ferrovie del sud est;
   nel caso di acquisizione da parte di Ferrovie dello Stato italiane, con quali risorse la stessa società intenda ripianare il debito di Ferrovie del sud est e se, al fine di ripianare il debito, il Ministro possa escludere lo spostamento di risorse economiche in principio destinate al servizio universale;
   nel caso della creazione di una newco, a chi verrà affidata la proprietà della stessa e chi dovrà materialmente pagare il debito di Ferrovie sud-est e come si intenda garantire la corretta gestione, la trasparenza e il controllo pubblico in discontinuità con quanto avvenuto finora;
   se la regione Puglia abbia comunicato disponibilità all'acquisizione della proprietà delle Ferrovie sud-est e con quali garanzie finanziarie;
   a fronte della decisione che verrà intrapresa, quali garanzie possano essere fornite sugli attuali livelli di servizio ferroviario della società Ferrovie sud-est, sui chilometri/annui percorsi e sul numero di passeggeri serviti, nonché sugli investimenti previsti per gli ammodernamenti necessari della rete infrastrutturale;
   se il Ministro interrogato abbia valutato la possibilità, e quali ne siano gli esiti, di annettere la rete infrastrutturale delle Ferrovie sud est alla società Rete ferroviaria italiana;
   se il Ministro interrogato possa escludere riduzioni del personale ed intenda fornire garanzie relativamente ai livelli occupazionali;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per evitare la possibilità che la società Ferrovie sud est venga suddivisa in sottoparti che siano vendute a società di diritto privato non controllate da enti pubblici;
   se il Ministro non ritenga doveroso rassegnare le proprie dimissioni in relazione alla nomina della struttura commissariale, in ragione della sua incapacità, dopo i mesi trascorsi e le risorse stanziate, di fornire un futuro credibile alle Ferrovie del sud est. (5-08811)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo un articolo pubblicato in data 31 dicembre 2015 dal sito www.ilfattoquotidiano.it, dal 1o gennaio 2016 si è verificato un rincaro dei pedaggi autostradali medio dello 0,86 per cento;
   l'autostrada che ha subito l'aumento più significativo sarebbe l'A4 Torino-Milano con il 6,5 per cento;
   lo stesso tratto ha avuto un aumento dell'1,5 per cento nell'anno 2015;
   dal sito satapweb.it, all'interno della sezione riferita al tratto autostradale A4 risultano al momento attivi diversi cantieri in entrambe le direzioni;
   tra i lavori più importanti, si cita la quarta corsia nel tratto riferibile all'ex area Expo, annunciata come da concludersi più volte entro l'esposizione mondiale tenutasi nel 2015 e, in realtà, non ancora ultimata;
   è inutile dire che questo gran numero di cantieri aperti crei nelle ore di maggiore congestione diversi ingorghi e disagi per l'utenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per evitare che il pedaggio del tratto A4 possa subire rincari ogni anno, considerando il numero di cantieri aperti e oggettivamente mai chiusi;
   tenendo conto dei perenni cantieri che limitano nettamente la velocità di crociera lungo l'autostrada A4 e che contribuiscono inevitabilmente ad aumentare sensibilmente i tempi di percorrenza, se non si ritenga che gli aumenti citati in premessa siano incompatibili con i continui disagi subiti dall'utenza. (4-13352)


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio comunale di Paderno Dugnano è interessato dal cantiere relativo al progetto di ammodernamento della strada provinciale 46 «Rho Monza» del concessionario società Milano Serravalle;
   il comune di Paderno Dugnano ha presentato ricorso contro tale progetto e, nelle more dell'udienza di merito fissata il 12 marzo 2015, ha partecipato ai tavoli tecnici attivati con decreto ministeriale n. 2 del 7 gennaio 2014 finalizzati a migliorare il progetto medesimo;
   con decreto ministeriale n. 274 del 17 novembre 2014 sono state date prescrizioni alla società Milano Serravalle per migliorare ulteriormente il progetto nel territorio di Paderno Dugnano;
   le valutazioni espresse dall'amministrazione comunale confermano la necessità di migliorare il progetto dell'ammodernamento della strada provinciale n. 46 Rho Monza, non prestando acquiescenza rispetto ai rilievi svolti e al contenzioso promosso, nella consapevolezza che è di rilevante interesse per la comunità locale rappresentata proseguire nell'azione per il contenimento degli impatti dell'infrastruttura, conseguendo il miglioramento dei lavori avviati con il cantiere;
   il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 2 del 7 gennaio 2014 inerente alla procedura di valutazione di impatto ambientale relativa al progetto di riqualificazione con caratteristiche autostradali della strada provinciale 46 Rho Monza, ha decretato la compatibilità ambientale del progetto stesso, presentato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti — provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Lombardia e la Liguria ed appaltato dal concessionario società Milano Serravalle, facendo salvo l'esito del tavolo tecnico di consultazione, allargato alle istituzioni interessate, per l'individuazione di ipotesi progettuali migliorative dal punto di vista ambientale nel tratto compreso nel comune di Paderno Dugnano;
   il tavolo tecnico, istituito dal provveditorato in esecuzione del decreto ministeriale suddetto, ha approfondito l'entità e la qualità delle opere di mitigazione, esaminando in data 3 luglio 2014 le problematiche evidenziate dal comune di Paderno Dugnano con proprio documento prot. n. 34299 del 30 giugno 2014, individuando, pertanto, nuove specifiche opere ambientali da eseguire durante le singole fasi di cantiere, oltre alla necessità di realizzare specifici interventi di contenimento degli impatti, di mitigazione acustica e visiva dell'opera, e indicando nuove compensazioni ambientali aggiuntive, da eseguire su aree di proprietà o messe a disposizione dal comune, rispetto al progetto esaminato con decreto ministeriale n. 2 del 2014;
   la conclusione del tavolo tecnico formulata dal provveditorato interregionale alle opere pubbliche con decreto n. 8598 in data 3 ottobre 2014, individua il fabbisogno di nuove mitigazioni e compensazioni emerse dal documento proposto dal comune di Paderno Dugnano, che si sostanziano in ulteriori misure integrative di mitigazione ambientale, di interventi paesaggistici e di estensione del verde, nonché di compensazioni ambientali e sociali aggiuntive da introdurre nel territorio del comune di Paderno Dugnano, con particolare riguardo agli edifici residenziali di via Colzani/San Michele e l'edificio scolastico Curiel di via Trieste, maggiormente esposti all'opera infrastrutturale di ammodernamento della strada provinciale 46 Rho Monza, richiedendo al concessionario società Milano Serravalle di elaborare la progettazione delle opere compensative entro 40 giorni dall'emissione del decreto interministeriale di attuazione del decreto n. 8598;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha preso atto delle risultanze del tavolo tecnico e del decreto del provveditorato n. 8598 in data 3 ottobre 2014, facendo proprie le considerazioni svolte, recepite nel decreto n. 274 del 17 novembre 2014 che ratifica le prescrizioni del decreto del provveditorato di Milano sopra richiamato;
   per dare adempimento al decreto ministeriale n. 274 del 2014, la società Milano Serravalle ha chiesto al comune di Paderno Dugnano di condividere la sintesi dei primi interventi da avviare per la mitigazione e compensazione ambientale aggiuntiva di quella prevista nel progetto sottoposto al citato decreto ministeriale n. 2 del 7 gennaio 2014, che indica le priorità degli interventi eseguibili su aree di proprietà comunale già disponibili;
   l'amministrazione comunale ha svolto un confronto tecnico con la società Milano Serravalle per esaminare le puntuali specifiche opere di mitigazione e di compensazione integrative, di cui è stata chiesta la progettazione e l'attuazione con il documento comunale del 30 giugno 2014 ed il decreto ministeriale n. 274 del 2014 in base ai contenuti della relazione tecnica;
   la commissione giudicatrice presso il provveditorato interregionale alle opere pubbliche, ha aggiudicato provvisoriamente la vittoria all'A.T.I., guidata da Fincosit, con un punteggio derivante dalla somma dei risultati: offerta tecnica, offerta tempo e offerta economica. Per quest'ultima Fincosit ha offerto un ribasso pari al 26,1 per cento e con un prezzo corrispondente quindi a euro 113.338.805;
   a pagina 45 dell'appalto concorso «Progetto esecutivo di offerta», con cui Fincosit si è aggiudicata la gara, al numero d'ordine progressivo 306, si trova il capitolo riguardante la previsione di costruzione di un ponte ad arco per una spesa prevista pari a euro 12.205.404,31;
   successivamente, la redazione del progetto esecutivo di Serravalle accoglie le prescrizioni e le indicazioni ricevute ai vari livelli, tra cui l'eliminazione del ponte ad arco sulla strada statale 35, che viene riprogettato come risulta dagli elaborati classificati 09.01.02. PO 01 – ponte su strada stradale 35, inseriti nel progetto avente cod. 5017 (aggiornamento ottobre 2013);
   al momento non è dato conoscere il costo di questa variante, presumibilmente inferiore al progetto originario, e la destinazione che questo risparmio ha avuto;
   una istanza di accesso civico, presentata il 25 gennaio 2016 dal CCIRM che, tra altri vari capitoli, riguardava anche questo aspetto, è stata respinta dalla presidenza della regione Lombardia, sistema dei controlli, prevenzione della corruzione, trasparenza –:
   se il Governo possa indicare l'ammontare del costo della variante che modifica il progetto originario del ponte ad arco;
   se e come si intendano utilizzare eventuali risparmi generati dalla variante succitata. (4-13354)


   CRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 settembre 2014 l'interrogante ha presentato l'atto di sindacato ispettivo a risposta scritta n. 4-06032 (ad oggi ancora senza risposta) avente come oggetto la ripetuta chiusura di diverse carrozze dei treni sui tragitti Torino – Milano e Milano – Torino causando spesso, vista l'alta concentrazione di pendolari che utilizzano la linea, un sovraffollamento inaccettabile;
   da diverse fonti stampa si apprende come parrebbe che le chiusure delle carrozze siano dovute alla mancanza di organico attivo sui treni;
   tali situazioni, come facilmente riscontrabile da diverse testate online locali, non solo si ripetono sul tratto ferroviario citato con una frequenza preoccupante, ma pare stiano vedendo protagoniste anche linee considerate minori (più che per l'importanza, per numero di treni attivi);
   si parla in particolar modo delle linee da e per la stazione ferroviaria di Domodossola (VCO), che negli ultimi mesi stanno vedendo ritardi dovuti a maltempo, inspiegabili chiusure di carrozze e guasti;
   credendo ancora che il trasporto pubblico ferroviario possa essere una delle soluzioni più sostenibili, l'interrogante ritiene che l'utente debba essere incentivato all'utilizzo del mezzo pubblico, senza essere costretto ad optare per soluzioni di trasporto alternative sicuramente più impattanti su traffico e ambiente al fine di evitare disagi e stress a causa dei numerosi disservizi –:
   se trovino conferma le motivazioni citate secondo cui Trenitalia e Trenord chiuderebbero indiscriminatamente diverse carrozze passeggeri su una tratta particolarmente utilizzata quotidianamente da pendolari abbonati con una frequenza allarmante per mancanza di personale attivo sui treni;
   come si pensi di risolvere tale situazione al fine di incentivare quanto più possibile l'utilizzo dei mezzi a rotaie per i pendolari a discapito degli autoveicoli.
(4-13355)


   FRACCARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   negli anni 1993-1995, in Germania è stato emanato un pacchetto di disposizioni, fra cui la fondamentale direttiva «Condizioni speciali per la circolazione di veicoli ferroviari leggeri (LNT) in promiscuità con veicoli ferroviari», per disciplinare la circolazione delle automotrici leggere e dei tram-treno sulle ferrovie tedesche;
   in Olanda è stata svolta un'attività da ProRail (il gestore dell'infrastruttura ferroviaria di quel Paese, ovvero la «RFI olandese») e dagli altri enti coinvolti relativamente alla valutazione dell'applicabilità del sistema tram-treno in Olanda con lo sviluppo di un progetto pilota: il «RijnGouweLijn» Gouda-Alphen, attuato nel 2003;
   con provvedimento del dipartimento per i trasporti, la navigazione e i sistemi informativi e statistici, è stato istituito un gruppo di lavoro composto da rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, ASSTRA, CONFINDUSTRIA, Rete ferroviaria italiana e UNIFER, incaricato di predisporre le «Linee guida per i sistemi tram treno». Questo gruppo di lavoro, già nel luglio 2012, ha concluso le proprie attività, emanando delle linee guida;
   il sistema tram treno è stato studiato in diverse regioni italiane e considerato alla base del sistema di mobilità sostenibile per ridurre i costi sociali dovuti ad esternalità, quali incidentalità, inquinamento atmosferico e acustico o impatto sul paesaggio;
   in materia sono stati emanati: il regolamento (CE) n. 352/2009, relativo all'adozione di un metodo comune di determinazione e di valutazione dei rischi di cui all'articolo 6, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio; la norma CEI EN 50126 relativa alle applicazioni ferroviarie, tranviarie, filotranviarie, metropolitane, specificazione e la dimostrazione di affidabilità, disponibilità, manutenibilità e sicurezza (RAMS), pubblicata nel marzo 2000; le linee guida ANSF del 12 maggio 2011 per l'applicazione del regolamento (CE) n. 352 del 2009 della Commissione europea del 24 aprile 2009 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se ritenga opportuno approvare le «Linee guida per i sistemi tram treno» predisposte dal predetto gruppo di lavoro, nonché adottare disposizioni ministeriali che potrebbero costituire il riferimento ufficiale per la promozione della progettazione e realizzazione del sistema tram treno in diverse regioni italiane, promuovendo, di concerto con gli altri Ministeri competenti, sistemi di mobilità sostenibili, basati sul tram treno. (4-13384)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   FIANO, PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dalla stampa locale, nei giorni scorsi, su iniziativa del Blocco studentesco e di Casa Pound, sulle cancellate di alcuni istituti superiori di Parma sono stati appesi striscioni contro la Resistenza che riportavano la scritta «la Resistenza è una c... pazzesca»;
   lo scorso 6 maggio sulla pagina facebook del gruppo Blocco Studentesco è stato pubblicato il seguente post: «Parma Medaglia d'Oro della Resistenza? Noi ribadiamo che “la Resistenza è una c... pazzesca”, a distanza di due settimane dal 25 aprile, a tutti quei professori e non, che per giorni e giorni hanno riempito scuole e piazze con la solita pantomima sulla liberazione dell'Italia. Liberazione da cosa? Le conseguenze del vostro 25 aprile sono le condizioni in cui versa ora la nostra nazione. Le conseguenze del vostro 25 aprile sono i vostri stupri e violenze. Da allora, come oggi. Blocco Studentesco Parma»;
   queste gravi iniziative hanno suscitato lo sconcerto e la ferma reazione di condanna dei parlamentari locali, del sindaco di Parma, dei consiglieri comunali del PD e di altri gruppi consiliari, della CGIL provinciale oltre che della sezione ANPI cittadina e provinciale;
   forte preoccupazione aveva già suscitato, in città, l'apertura della nuova sede di Casa Pound avvenuta nelle scorse settimane e subito accompagnata da una manifestazione di ferma opposizione dei movimenti antifascisti di Parma –:
   se il Ministro interrogato non intenda condannare e censurare con assoluta fermezza l'episodio e se non ritenga necessario farsi promotore di ogni necessaria iniziativa finalizzata ad evitare che episodi di degenerazione antistorica e revisionista di chiara ispirazione fascista possano ripetersi a Parma e su tutto il territorio nazionale. (5-08823)


   NUTI, TONINELLI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO e DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini facenti parte di vari comitati promotori dei referendum attualmente in corso (il referendum costituzionale e i due referendum abrogativi recanti quesiti sulla legge 6 maggio 2015, n. 52) hanno segnalato una grave difficoltà che è emersa nell'ambito della raccolta delle sottoscrizioni necessarie per l'avvio delle consultazioni popolari, che rappresenta come noto un diritto politico dei cittadini di primaria rilevanza nel nostro ordinamento;
    in passato per ottenere i certificati elettorali dei firmatari, da allegare alle firme raccolte negli appositi moduli per il deposito presso l'ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione in base alle disposizioni di legge vigenti in materia, per raggiungere piccoli comuni lontani dalle sedi dei comitati promotori si è fatto sovente ricorso all'utilizzo di mezzi più celeri ed economici della tradizionale posta cartacea, quali il fax. Attualmente la legge impone quale mezzo per le comunicazioni con le pubbliche amministrazioni la posta elettronica certificata (P.E.C.);
   tuttavia in diversi comuni, in risposta alle mail inviate via P.E.C. e contenenti richieste di certificati elettorali per l'allegazione alle firme per i referendum, è stato comunicato ai comitati promotori che, pur essendo l'istanza recepita attraverso lo strumento della P.E.C., per l'invio dei certificati sarebbe necessario l'invio del materiale di affrancatura all'amministrazione, per il successivo della tradizionale posta cartacea ai riceventi;
   tali richieste fanno riferimento a una modalità di trasmissione anacronistica, che per giunta risulterebbe ancora meno immediata, oltre che fortemente antieconomica, rispetto all'utilizzo del fax. Essa infatti oltre a richiedere un impiego di tempo e di mezzi notevolmente più lungo per le amministrazioni comunali per evadere le richieste che potrebbero essere riscontrate per via telematica, comporterebbe un costo difficilmente sostenibile i cittadini che si attivano per la promozione del referendum anticipando tutte le spese e senza alcuna garanzia di eventuali rimborsi per l'esercizio di un fondamentale diritto politico;
   si chiede pertanto al Ministro interrogato di procedere all'emanazione di circolari, o di qualsiasi altro atto ritenga più idoneo, che autorizzano la amministrazioni a rispondere alle richieste di certificati elettorali da parte dei comitati promotori di referendum attraverso la P.E.C., nonché di definire le modalità attraverso le quali è possibile dimostrare l'autenticità dei certificati ottenuti in questo modo (ad esempio, attraverso l'allegazione della copia stampata della mail di risposta inviata via P.E.C.);
   è d'obbligo evidenziare che il problema che qui si pone ha valenza del tutto generale, per tutte le raccolte per qualsivoglia richiesta referendaria, ma sono evidenti la sua attualità e urgenza in connessione con le richieste referendarie di cui si è detto date dall'approssimarsi del termine di scadenza; il problema potrebbe essere risolto in modo semplice e rapido, come indicato –:
   quali iniziative di competenza il ministro interrogato intenda assumere, ove ne sussistano i presupposti anche mediante l'emanazione di circolari o altri atti ritenuti idonei, allo scopo di favorire l'esercizio del fondamentale diritto politico dei cittadini di ricorrere agli istituti referendari previsti dalla Costituzione, in particolare specificando la possibilità dell'invio, ai comitati promotori referendari istanti, delle certificazioni elettorali da parte delle amministrazioni comunali attraverso i mezzi telematici all'uopo previsti della legge. (5-08824)


   SISTO e GULLO. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione Italiana dei ciechi (U.I.C.I.), fondata a Genova il 26 ottobre 1920, eretta in ente morale, con regio decreto 29 luglio 1923, n. 1789, è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale (O.n.l.u.s.), dotata di personalità giuridica di diritto privato per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978;
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti – O.n.l.u.s., è iscritta nel registro delle persone giuridiche, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 e al registro nazionale delle associazioni di promozione sociale, di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383;
    l'Unione è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, esercita le funzioni di rappresentanza e di tutela degli interessi morali e materiali dei ciechi e degli, ipovedenti ad essa riconosciute con decreto legislativo del capo provvisorio dello stato 26 settembre 1947, n. 1047 e confermate con decreto del Presidente 23 dicembre 1978;
   il direttivo centrale di Roma del Unione italiana ciechi, in data 3 marzo 2016 ha commissariato la sua articolazione territoriale regionale che ha sede ed opera in Sicilia. Dalle motivazione che si riscontrano dagli atti di adozione e del provvedimento, appare anzitutto esserci, a quanto consta agli interroganti, una sproporzione fra le contestazioni sollevate e la consistenza del provvedimento adottato;
   i dubbi sulla legittimità del provvedimento, dunque, hanno inevitabilmente finito col provocare ferme denunce da parte di quanti lo hanno subito; denunce che si sono tradotte nella necessità di un ricorso giudiziario attualmente pendente davanti al foro competente di Roma –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché siano rispettati ed assicurati all'interno dell'Unione italiana ciechi i principi costituzionali e di leggi in tema di democraticità, libertà, uguaglianza e pari opportunità e se il nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, attualmente depositato presso la prefettura di Roma ed al vaglio della stessa, sia conforme alla normativa vigente, atteso che, a giudizio degli interroganti, questo potrebbe presentare profili tali da mettere a rischio gli interessi morali e materiali della categoria e da compromettere nel contempo la struttura democratica dell'associazione. (5-08825)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 21 maggio 2016 alle ore 8,57 come riporta la stampa locale, davanti all'ingresso dell'abitazione di Antonio Sicilia, sindaco ricandidato alle amministrative del 5 giugno al comune di Corleto Monforte, è stata trovata una testa di maiale mozzata;
   a dare l'allarme è stata la mamma del primo cittadino la quale, appena aperta la porta di casa, ha notato la testa mozzata del maiale ancora grondante di sangue;
   ignoti avrebbero agito di notte, a piedi, in quanto il sindaco abita nel centro storico dove è vietato circolare in auto;
   subito dopo l'atto intimidatorio, il primo cittadino si è recato presso la stazione dei carabinieri di Bellosguardo per depositare la denuncia. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco e i carabinieri della compagnia di Battipaglia, che al momento non escludono alcuna ipotesi;
   le indagini, ora, sono indirizzate all'individuazione del gesto riprovevole che ha lasciato sconcertata l'intera comunità di Corleto Monforte, un piccolo paese dell'entroterra salernitano abitato da persone miti e civili, come è nella tradizione delle comunità degli Alburni;
   Antonio Sicilia si ricandida per dare continuità alla sua azione amministrativa, all'insegna della difesa della legalità in una piccola comunità che ha una grande tradizione democratica e di rispetto delle diverse posizioni politiche;
   è oggi davvero preoccupante in Provincia di Salerno, il susseguirsi di minacce agli amministratori locali che da sempre operano nella massima trasparenza e nella difesa dei propri territori. Quello che è successo al candidato sindaco Antonio Sicilia è un episodio che suscita rabbia e amarezza;
   è necessario, quindi, che le istituzioni siano al fianco degli amministratori locali, sempre in prima linea nell'amministrare la cosa pubblica –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere a tutela della persona del sindaco alla luce di quanto sopra descritto e se intenda avviare un'azione incisiva, che non può essere elusa, al fine di attivare misure urgenti ed efficaci di contrasto delle forze criminali. (5-08808)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 6 giugno 2016 una circolare urgente riservata delle 12,20 del direttore del presidio ospedaliero di Sassari disponeva di dimettere i pazienti anche nel pomeriggio, perché stavano arrivando i migranti;
   il documento è ufficiale ma riservato: accelerare le procedure di dimissione dei pazienti, per quanto possibile, provvedendo, nel caso non si potesse in mattinata, a dimettere anche nel tardo pomeriggio;
   la firma in calce è del direttore del presidio ospedaliero di Sassari, il protocollo dispone una procedura urgente;
   il motivo è nell'oggetto: sbarco migranti a Porto Torres;
   una comunicazione secondo l'interrogante tra l'irrazionalità e la totale spregiudicatezza di una regione allo sbando che arriva a pianificare lo sfollamento degli ospedali, mandando anzitempo i pazienti ricoverati a casa, per far posto ai possibili pazienti in arrivo;
   una gestione scandalosa che conferma la totale incapacità a governare tali emergenze e soprattutto l'inadeguatezza della struttura;
   è semplicemente inaccettabile aver pianificato la dimissione dell'ultim'ora dei pazienti ricoverati, che non saranno certo ricoverati per gioco, per far spazio all'emergenza immigrati;
   una gestione seria avrebbe individuato i posti liberi e disponibili nelle strutture ospedaliere, ma mai e poi mai avrebbe disposto le dimissioni dei pazienti ricoverati anche nel tardo pomeriggio;
   sarebbe bastato fare una verifica in tutte le strutture ospedaliere per avere contezza delle disponibilità, ma nessuno avrebbe mai dovuto disporre le dimissioni dei pazienti ricoverati;
   un atto che, a giudizio dell'interrogante, rasenta l'assurdo e che evidenzia la degenerazione gestionale di questa partita dell'immigrazione: nessuna seria pianificazione con prefetture che danno l'assenso senza aver in alcun modo la certezza della più elementare logistica;
   si è nelle mani di amministratori che non esitano a pensare queste cose e anche a metterle nero su bianco;
   è semplicemente incredibile che una nota ufficiale interna abbia disposto questa assurdità sanitaria di sfollamento per circolare dei pazienti dagli ospedale;
   il direttore di presidio con questa nota ha sostanzialmente ammesso ad avviso dell'interrogante, che i pazienti vengono trattenuti senza fondate ragioni in ospedale;
   si è dinanzi a provvedimenti che lasciano esterrefatti e sollevano dubbi seri sulla capacità di governo della sanità;
   l'organizzazione dell'accoglienza non può essere in mano a quelli che l'interrogante giudica soggetti poco preparati a tale funzione e soprattutto deve essere seria e non approssimativa;
   è grave che si dia l'assenso al trasferimento in Sardegna di tanti migranti senza aver verificato le più elementari esigenze dell'accoglienza a partire da quella sanitaria;
   tutto questo fa parte di quello che appare all'interrogante un atteggiamento vergognoso da parte della regione e dello stesso Governo che continuano a fare conferenze stampa sull'accoglienza, ma poi arrivano ad avallare le dimissioni dei pazienti per far spazio ad eventuali emergenze dei migranti che sbarcano in Sardegna;
   se si devono dimettere i pazienti sardi per far spazio ai migranti significa che non esistono le strutture idonee e i numeri sufficienti per garantire una seria accoglienza;
   chiunque voglia derubricare tale situazione a scarsa attenzione per i migranti sbaglia di grosso;
   si tratta di un dato oggettivo ed elementare: non si può propagandare accoglienza se poi questa avviene senza disporre delle misure minime, ricoveri ospedalieri prima di tutto;
   a bordo della nave c'erano 198 uomini, 126 donne e ben 68 bambini e nessuno conosceva preventivamente quanti posti letto in ospedale sarebbero serviti;
   tutto questo la dice lunga sul pressappochismo con cui, secondo l'interrogante, sta operando il Governo e soprattutto con quale atteggiamento succube operano le prefetture che insistono a non rappresentare al Ministero dell'interno la reale situazione della Sardegna;
   è impensabile che Ministro e regione non siano a conoscenza di questa circolare della AUO Sassari considerando che tutti i vertici sanitari sono di diretta emanazione proprio della regione –:
   se non si intenda effettuare un'attenta analisi dell'accaduto e quale sia l'orientamento del Governo, per quanto di competenza, rispetto a provvedimenti che hanno di fatto minato l'autonomia gestionale dei medici e dei singoli reparti;
   se risulti al Governo che si siano verificati casi di dimissione anticipata rispetto alla prognosi;
   se non si intenda promuovere la preventiva verifica dei posti di degenza disponibili sul territorio prima di dislocare nuovi migranti sull'area interessata.
(5-08826)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia, il precariato nel settore pubblico, pur avendo raggiunto livelli di insostenibilità, ad avviso dell'interrogante, vede il governo regionale con la complicità di quello nazionale, immobile e privo di ogni iniziativa legislativa seria e strutturale. La «strutturalità» del fenomeno del precariato pubblico negli enti locali ed istituzionali della regione, rappresenta una costante unica nel panorama legislativo europeo;
   circa 120 dipendenti pubblici a tempo determinato lavorano presso il comune di Carini (Palermo), garantendo l'espletamento di importanti funzioni pubbliche e l'erogazione di servizi, altrimenti impossibili per l'ente;
   per un folto numero di questi lavoratori l'immissione nella pubblica amministrazione è avvenuta, attraverso la selezione per collocamento presso gli uffici pubblici, nel lontano 1988 con l'articolo 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67;
   a seguito dell'assunzione nella pubblica amministrazione con i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, sono stati esclusi dalle liste dei lavoratori appartenenti al regime transitorio dei LSU-ASU, in applicazione delle disposizioni statali previste dal decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, come integrate in Sicilia, dalla legge regionale 26 novembre 2000, n. 24;
   in seguito dell'introduzione del regime di austerity imposto dal Governo nazionale seguito dal pareggio di bilancio, dal fiscal compact, dalla spending review e dai continui tagli nel trasferimento di risorse agli enti locali, pur di garantire il regolare pagamento degli stipendi, tutelare i livelli occupazionali, vista la pianta organica già insufficiente, ed assicurare il normale svolgimento dell'azione amministrativa garantendo ai cittadini tutti i servizi comunali, l'ente adotta proroghe diverse da quelle previste dalla legislazione vigente, facendo leva sulla legislazione regionale;
   il 30 aprile 2016 l'ente dichiara il dissesto di bilancio e di conseguenza l'impossibilità a rinnovare i contratti di 105 lavoratori con contratto a tempo determinato in scadenza;
   l'interruzione contrattuale dei 105 lavoratori a tempo determinato, vista la pianta organica già per sé stessa insufficiente, potrebbe mettere a rischio il corretto funzionamento della macchina amministrativa per l'assenza di personale, oltre che per la perdita di competenze, professionalità e conoscenza di cui a pagare il prezzo saranno i cittadini che vedranno venir meno servizi ed efficienza –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza si intendano assumere, anche per il tramite dell'organo straordinario di liquidazione, con particolare riguardo alla posizione dei lavoratori precari dell'ente;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per modificare la normativa riguardante la gestione commissariale dei comuni rendendole più snella e flessibile;
   se il Ministro non ritenga di dover assumere ogni iniziative di competenza, anche normativa, per avviare processi di stabilizzazione dei precari degli enti locali. (4-13348)


   QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da ormai più di un anno Ventimiglia è a centro della questione migranti;
   un anno fa il caso di Ventimiglia era stato al centro dell'attenzione dei media nazionali quando circa 100 migranti avevano occupato gli scogli davanti alla frontiera con la Francia che era stata chiusa;
   la situazione è rimasta sostanzialmente immutata e solo l'apertura di un centro di accoglienza temporaneo gestito dalla Croce Rossa Italiana aveva permesso di gestire la situazione;
   nel corso della sua recente visita a Ventimiglia il Ministro Alfano ha affermato: «vengo qui non per sapere cose che già so, ma per risolvere: abbiamo piano concreti per affrontare a risolvere questa situazione, siamo qui per dire che abbiamo già inviato 60 poliziotti e altrettanti uomini dell'esercito» [fonte: Il SecoloXIX 16 maggio 2016];
   il Ministro ha inoltre spiegato che «c'era una situazione di grave emergenza, ma ora [il centro di accoglienza temporaneo] dev'essere chiuso»;
   il centro di accoglienza è stato chiuso il 10 maggio 2016, da un giorno all'altro, nonostante fornisse assistenza, secondo le stesse dichiarazioni del ministro Alfano, a circa 200 migranti al giorno;
   nessuna misura alternativa è stata messa in atto e il sistema dei centri Sprar non è ancora operativo e in grado di fronteggiare l'emergenza;
   prima e dopo la visita del Ministro Alfano la prefettura di Imperia ha disposto il trasferimento di centinaia di migranti presso altre strutture;
   la CRI di Ventimiglia dichiara inoltre che i migranti sparsi in città sarebbero ancora, ad oggi, tra i 250 e i 300 e che l'emergenza non è finita;
   lungo il torrente Roja nei pressi di via Tenda circa 100 migranti vivono accampati in tende di fortuna, senza nessun tipo di assistenza fornita dallo Stato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della reale situazione di Ventimiglia e quali misure intenda a questo punto mettere in atto per gestire la situazione, quanto siano costate le operazioni di trasferimento dei migrati di Ventimiglia presso altre strutture e se il Ministro abbia a disposizione numeri precisi dell'emergenza, stime per i prossimi mesi e un quadro completo e dettagliato di quanto è stato fatto finora. (4-13349)


   CRIPPA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 20 maggio, presso il palazzo di giustizia di Novara è stata ritrovata da una cancelliera in servizio una busta contenente un proiettile, un bossolo e due cartucce;
   nei giorni successivi si sono susseguite dichiarazioni dei sindacati di categoria e articoli pubblicati dalle testate locali e nazionali che hanno inseguito la pista dell'intimidazione, senza escludere quella di stampo mafioso;
   come riscontrabile dall'articolo pubblicato dal sito www.lastampa.it del 25 maggio 2016 dal titolo «I proiettili trovati in tribunale sono della parente di un imputato», sarebbe stato ormai constatato come tali oggetti siano in realtà prove che avrebbero dovuto essere utilizzate in un processo in corso per una sparatoria avvenuta presso il Comune di Trecate (NO);
   nel dettaglio, pare che proiettile, bossolo e cartucce siano stati portati come prova dalla parente di una delle parti in causa del processo sopracitato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa;
   quand'anche la vicenda si sia rivelata di fatto una «dimenticanza», come dei reperti utili ad un processo in corso possano rimanere incustoditi e sensibili ad ogni tipo di manomissione, oltre che di fraintendimento, considerando che i proiettili sono sicuramente passati al vaglio dei presidi di sicurezza al momento dell'entrata al Palazzo di giustizia.
(4-13356)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 27 aprile 2016 un gruppo di circa 50 richiedenti asilo di origine pachistana senza alcun preavviso ha inscenato una protesta davanti alla questura di Reggio Emilia fino a farsi ricevere dal questore;
   alla base della protesta vi erano lamentele concernenti la pasta servita dalla cooperativa sociale Dimora d'Abramo che li ospita, scotta ad avviso dei dimostranti;
   la cooperativa sociale Dimora d'Abramo fa parte di un consorzio denominato Oscar Romero, che riunisce più cooperative;
   nei giorni successivi alla protesta, nell'intento di venire incontro ai dimostranti, la cooperativa ospitante ha proceduto a fornire una cuoca di origine pachistana;
   subito dopo, tuttavia, gli stessi profughi richiedenti asilo, sempre da quanto risulta dagli organi di stampa, hanno rigettato tale offerta, chiedendo una buona cucina italiana con spaghetti;
   è noto come nei bandi per l'accoglienza dei richiedenti asilo sia richiesto il soddisfacimento di particolari requisiti igienico-sanitari per gli ambienti destinati ad ospitarli;
   è noto altresì come i comuni contribuiscano al mantenimento dei richiedenti asilo previsti sul proprio territorio con l'erogazione di denaro proprio –:
   quale sia il numero dei richiedenti asilo presenti nelle singole province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna e Ferrara;
   quale sia il numero dei richiedenti asilo che nel corso del 2015 abbiano abbandonato in queste province i luoghi ove erano ospitati, facendo perdere le loro tracce e come siano stati accertati gli abbandoni;
   se risulti al Governo che siano stati effettuati controlli preventivi circa l'effettiva permanenza dei soggetti presso le strutture di cui in premessa per verificare la corrispondenza numerica al denaro da versare ed eventualmente come e da chi;
   se ci siano norme o direttive di qualsiasi tipo che stabiliscano quali siano le modalità di preparazione del cibo previste dai bandi di cui in premessa e se, in particolare, i cibi debbano essere monodose o confezionati;
   se sia richiesta agli aggiudicatari od assegnatari del servizio di accoglienza una rendicontazione delle spese effettuate per il cibo;
   a quanto siano pari, infine, i finanziamenti statali complessivamente stanziati per l'accoglienza in ognuna delle sei province citate nell'anno 2015. (4-13361)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   era prevista per il 25 maggio 2016 l'inaugurazione della Casa degli Islamici della Bassa Lodigiana realizzata con i contributi provenienti dal Qatar e con la raccolta della comunità musulmana locale, un centro culturale situato nel comune di Casalpusterlengo, a via Crema;
   alla manifestazione avrebbero dovuto presenziare rappresentanti dell'UCOII, l'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia, di una delegazione diplomatica del consolato del Qatar e di rappresentanti dell'ente benefico qatariota che ha finanziato l'opera, il Munazzamat;
   la costruzione del nuovo centro culturale islamico è stata travagliata e ne sono sconosciuti i costi complessivi;
   è però noto che la ripartizione delle spese da sostenere è stata all'origine di un contenzioso che nel 2014 ha contrapposto tra loro alcuni dei finanziatori del centro, successivamente ricomposto;
   tali contenziosi sembrerebbero non esser rari;
   si ha in effetti notizia di un contenzioso simile sulle risorse della comunità islamica, sorto tra i musulmani di Piacenza nell'aprile 2016;
   in quest'ultima circostanza emerse ufficialmente come il centro culturale islamico di Casalpusterlengo avesse ottenuto finanziamenti da un ente benefico qatariota, il Munazzamat;
   il contributo versato dal Munazzamat sarebbe una donazione in piena regola, veicolata tramite l'UCOII e pari a 150 mila euro;
   la comunità islamica locale di Casalpusterlengo avrebbe messo di suo a disposizione altri 60 mila euro;
   l'inaugurazione è saltata proprio per l'assenza del rappresentante del Munazzamat –:
   di quali informazioni il Governo disponga in merito agli investimenti della fondazione qatariota nota come Munazzamat;
   se il Governo non ritenga un fattore di rischio per la sicurezza nazionale la circostanza che un fondo qatariota finanzi l'apertura in Italia di centri culturali islamici come quello di Casalpusterlengo.
(4-13362)


   FAVA e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 20 maggio 2016 alle ore 14 uomini armati a bordo di uno scooter esplodevano diversi colpi di pistola calibro 9 contro l'automobile del responsabile del Tecnologico del comune di Aprilia, Corrado Costantino;
   gli spari – uditi perfettamente dai residenti della zona e dagli altri dipendenti comunali del Palazzo comunale – hanno raggiunto e disintegrato il finestrino laterale posteriore della vettura del funzionario; giova sottolineare che la sede degli uffici comunali in questione si trova ad un chilometro in linea d'area con il locale reparto territoriale dell'arma dei carabinieri e l'attentato è stato commesso nel primo pomeriggio come gesto di sfida e di intimidazione plateale;
   la città di Aprilia (LT) registra un solido e crescente radicamento della criminalità organizzata, come ha ricorda, questore di Latina Giuseppe De Matteis una settimana fa innanzi alla commissione parlamentare antimafia;
   le intimidazioni e gli attentati rappresentano una costante in questi anni ad Aprilia, il 16 settembre 2011 veniva data alle fiamme la vettura del direttore generale della Multiservizi di Aprilia Fabio Biolcati Rinaldi e il garage del direttore del personale della stessa azienda Ilvo Silvi; la notte del 30 marzo del 2012 veniva lanciata una bottiglia incendiaria contro il pub Beautiful Monster in via Nettunense; il 19 agosto 2012 venivano esplosi diversi colpi di fucile contro l'abitazione dell'imprenditore Tesei e nel mese di luglio dello stesso anno veniva colpita da numerosi colpì di arma da fuoco l'auto del costruttore Pieralisi; nel gennaio del 2013 venivano date alle fiamme alcune auto della concessionaria Citroen Prezioso sita in via Nettunense; il 6 novembre del 2013 veniva aggredito a colpi di spranga il consigliere comunale Pasquale De Maio, davanti alla sede municipale in piazza dei Bersaglieri ed il 23 dello stesso mese venivano esplosi diversi colpi d'arma da fuoco verso un bar gestito dal figlio del consigliere comunale Giorgio Nardin; il 20 dicembre del 2013 venivano rinvenuti 10 proiettili calibro 9 x 19 mm innanzi all'abitazione dell'assessore alle finanze del comune d'Aprilia Antonio Chiusolo, la cui autovettura era stata fatta oggetto già 26 agosto dello stesso anno, insieme a quella del coordinatore provinciale di Libera, di incendio doloso; nella notte del 20 gennaio 2015 ignoti incendiava il Punto shop del di un distributore di benzina nel centro di Aprilia; li 12 marzo del 2015 alle 14 un soggetto non meglio identificato lanciava una molotov contro il negozio in via Inghilterra, il 17 marzo dello stesso anno veniva lanciata nella notte tra il 16 e il 17 marzo una bottiglia molotov contro un diverso negozio in via Rossetti ad Aprilia –:
   quali iniziative siano state avviate o si intendano intraprendere per contrastare lo sviluppo e il radicamento delle organizzazioni criminali di tipo mafioso presenti nel territorio del comune di Aprilia e più in generale nella provincia di Latina;
   se il Governo non ritenga opportuno prendere provvedimenti atti a potenziare gli organici, le capacità e gli strumenti degli organi inquirenti e delle forze dell'ordine nella città di Aprilia e più in generale nella provincia di Latina con l'obiettivo di aumentare il controllo del territorio e implementare le attività di contrasto delle organizzazioni criminali. (4-13363)


   MARCHETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   Vallefoglia è un comune della provincia di Pesaro e Urbino nato il 1o gennaio 2014 dalla fusione dei comuni di Colbordolo e Sant'Angelo in Lizzola, si estende su una superficie complessiva di circa 40 chilometri quadrati, al crocevia tra Marche, Romagna, Umbria e Toscana;
   con oltre 15.000 abitanti, Vallefoglia è il terzo comune della provincia e tra i venti più popolosi delle Marche;
   è la città capofila di una area di 32.000 abitanti e di 4.000 imprese, delle quali oltre 2.000 ubicate a Vallefoglia;
   in questo bacino si è sviluppato uno dei principali distretti produttivi delle Marche con attività specializzate nei settori dell'industria, dell'artigianato, dei servizi, del commercio e dell'agricoltura;
    in tale contesto sociale ed economico risulta fondamentale il costante monitoraggio del territorio con un adeguato presidio delle istituzioni statali, in particolare delle forze di sicurezza, a tutela dell'ordine pubblico, elemento caratterizzante di una società ben strutturata e funzionante;
   nella notte tra il 26 e il 27 maggio nel comune di Vallefoglia, sede di Colbordolo, c’è stato un grave atto di intrusione da parte di ignoti che hanno manomesso le casseforti presenti all'interno del comune, mettendo a soqquadro gli uffici;
   gli organi di stampa riferiscono di quattro casseforti aperte con una smerigliatrice, suddivise tra una principale al primo piano dello stabile e altre scassinate all'interno dell'edificio;
   il solo computo dei danni, al netto delle cifre sottratte, viene stimato al di sopra dei diecimila euro;
   già questo inverno passato si era verificato un episodio analogo, seppure di minore entità, quando è avvenuta un'altra intrusione, questa volta nella sede civica di Morciola presso l'ex ufficio dei tributi, oggi spostato altrove;
   se il Governo, visti i precedenti, non ravvisi la necessità di intervenire ponendo in essere un maggior presidio delle forze di sicurezza a tutela dell'ordine pubblico, attraverso l'assegnazione di ulteriori risorse umane presso la stazione dei carabinieri di Vallefoglia;
   se il Governo non ritenga altresì di promuovere un investimento per la sicurezza attraverso l'aggiunta di una struttura logistica in cui siano presenti, oltre ai carabinieri, la polizia di Stato e la guardia di finanza, come peraltro avvenuto in altre città con una popolazione similare, come ad esempio Urbino, ma che a differenza di questa non hanno il quantitativo di imprese che insistono nel territorio di Vallefoglia. (4-13373)


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dai media, il Conapo Sindacato Autonomo dei vigili del fuoco ha posto in essere una serie di mobilitazioni su tutto il territorio nazionale per denunciare la disparità di trattamento retributivo e pensionistico esistente tra i vigili del fuoco ed il personale degli altri Corpi dello Stato a ordinamento civile;
   il sindacato Conapo chiede di pervenire alla parità di trattamento mediante l'estensione anche ai vigili del fuoco di taluni istituti retributivi e pensionistici da tempo riservati alle Forze armate e di polizia in virtù del particolare servizio cui questo personale è sottoposto;
   gli esponenti del sindacato chiedono specifici provvedimenti legislativi di attuazione dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 (specificità lavorativa);
   in particolare, gli esponenti del sindacato Conapo chiedono di istituire per i vigili del fuoco (compresi i funzionari direttivi) lo scatto dell'assegno funzionale ai 17, 27 e 32 anni di servizio, già dal 1987 in godimento agli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile (articolo 6 del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni dalla legge n. 472 del 1987), di perequare tutti gli importi dell'indennità di rischio agli importi dell'indennità pensionabile attualmente corrisposta alle analoghe qualifiche degli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile, di istituire i 6 scatti aggiuntivi utili sull'importo della pensione nella misura già corrisposta, sin dal 1987, agli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile (articolo 6-bis del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni dalla legge n. 472 del 1987), di istituire per il personale in uniforme dei vigili del fuoco l'aumento di servizio ai fini pensionistici di un anno ogni cinque così come già corrisposto, sin dal 1977, agli appartenenti alle forze di polizia a ordinamento civile (articolo 3, comma 5, della legge n. 284 del 1977) e di istituire per il personale in uniforme dei vigili del fuoco direttivo e dirigente gli aumenti retributivi ai 13 e 23 e ai 15 e 25 anni di servizio, come attualmente già corrisposti (sin dal 1981) alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti delle forze di polizia a ordinamento civile (articolo 43, commi 22 e 23, e articolo 43-ter della legge n. 121 del 1981);
   il sindacato, al fine del reperimento delle risorse finanziarie occorrenti, chiede di valutare anche la possibilità di utilizzare i risparmi di spesa derivanti dall'attuazione della legge n. 124 del 2015 relativa alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ad eccezione di quelli già vincolati per il riordino delle carriere delle forze di polizia;
   si fa presente che l'interrogante sull'argomento ha già presentato interrogazione n. 4-12021, in data 9 febbraio 2016, tutt'ora rimasta senza risposta –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di equiparare il trattamento retributivo e pensionistico dei vigili del fuoco con quello degli altri Corpi dello Stato a ordinamento civile mediante l'estensione dell'ambito di applicazione delle norme esplicitate in premessa. (4-13381)


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta n. 90 del 18 novembre 2008 – IV serie speciale concorsi ed esami veniva indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco del ruolo dei vigili del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   a seguito delle prove preselettive, fisico/motorie, pratica e, infine, a quella orale venne pubblicata, sul bollettino ufficiale del personale del Ministero dell'interno n. 1/25 del 16 luglio 2010, la graduatoria finale del concorso;
   in essa, figuravano, oltre ai vincitori, poi regolarmente assorbiti, 7599 candidati classificati come idonei;
   ad oggi, nella graduatoria tuttora vigente, restano 4120 idonei da assorbire;
   il viceministro dell'interno, Filippo Bubbico, rispondendo all'interrogazione a risposta immediata n. 5-08430 presentata dalla sottoscritta, affermava che «l'Amministrazione dell'interno ha appena avviato un percorso legislativo volto a consentire un ulteriore potenziamento di 400 unità di personale operativo dei vigili del fuoco da attingere alle due graduatorie vigenti fino al 31 dicembre 2016», come risulta nell'allegato 2 in bollettino della Commissione I di mercoledì 20 aprile 2016;
   egli aggiungeva che «un'altra misura significativa è costituita dall'autorizzazione, contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2015, all'assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo Nazionale di 250 vigili del fuoco per le esigenze di soccorso pubblico connesse allo svolgimento del Giubileo straordinario, da attingere, in parti uguali, dalle graduatorie della stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari e del concorso a 814 posti di vigile del fuoco»;
   le due immissioni non esauriscono il numero degli idonei presenti nella graduatoria relativa al concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 90 del 18 novembre 2008 né nella graduatoria relativa alla procedura selettiva, per titoli ed accertamento della idoneità motoria, indetta con decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 72 dell'11 settembre 2007, che sono le due graduatorie vigenti fino al 31 dicembre 2016;
   va inoltre rilevato che nella graduatoria del concorso pubblico per 814 posti di vigile del fuoco, il 25 per cento dei posti venivano riservati dal bando al personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che, alla data di indizione del bando stesso, fossero iscritti negli appositi elenchi da almeno tre anni ed avessero effettuato non meno di 120 giorni di servizio: tale quota, ad oggi, non risulta ancora completamente assorbita, vanificando per diversi vigili del fuoco discontinui, che prestano il loro servizio a beneficio della collettività da un lungo periodo di tempo, la possibilità di ottenere l'inquadramento;
   il viceministro, nella risposta all'atto dell'interrogante, aggiungeva inoltre che «poiché l'ultimo provvedimento di proroga di tali graduatorie scadrà il prossimo 31 dicembre, informo che, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per vigile del fuoco, questa Amministrazione è stata autorizzata, nello scorso mese di dicembre, a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica»;
   al di là delle valutazioni di merito sull'opportunità di consentire la scadenza delle graduatorie attualmente vigenti nella presenza di un numero tanto consistente di idonei, che peraltro risulterebbero rientrare in una media d'età inferiore ai 30 anni, è opportuno rilevare che la fase concorsuale impiega tempistiche rilevanti a fronte delle quali, senza ulteriori interventi normativi, è prevedibile ipotizzare che, dopo il 31 dicembre 2016, si andrà incontro ad un considerevole periodo di tempo in cui, in attesa di una nuova graduatoria, non sarà possibile attingere alle precedenti –:
   se, alla luce di quanto sopra considerato, abbia intenzione di mettere in atto iniziative di carattere normativo per consentire la proroga della graduatoria relativa al concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 90 del 18 novembre 2008 e della graduatoria relativa alla procedura selettiva, per titoli ed accertamento della idoneità motoria, indetta con decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 72 dell'11 settembre 2007, almeno fino alla pubblicazione della nuova graduatoria derivante dalla prossima selezione per 250 posti di vigili del fuoco.
(4-13383)


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano online Vvox pubblica in data 25 maggio 2016 un articolo del giornalista Marco Milioni dal titolo «Inchiesta nel Trapanese, nell'appalto la Coveco (non indagata)», evidenziando il collegamento tra «La nota coop veneziana, già nota per la vicenda Mose» e l'inchiesta della magistratura trapanese che ha portato all'arresto di 6 persone, tra cui – quello di Pasquale Perricone, noto imprenditore locale nonché ex vicesindaco di Alcamo;
   Coveco, una delle coop rosse più importanti di Venezia già finita nello scandalo Mose, pur senza essere coinvolta in alcun procedimento penale, è infatti presente nella cordata vincitrice di un appalto fra i cui aggiudicatari si annoverano nomi finiti nell'inchiesta trapanese; Il lavoro degli inquirenti ruota attorno ad una serie di malversazioni le quali si sarebbero concretizzate nella gestione opaca del comune in provincia di Trapani;
   come riportato dal quotidiano La Repubblica «l'indagine è scaturita dal fallimento di una società, la Nettuno, incaricata dei lavori di riqualificazione del porto di Castellammare» sulla cui amministrazione la procura «ha svelato la natura fraudolenta della bancarotta, che ha provocato la distrazione di circa quattro milioni di euro, e ha accertato il ruolo occulto di Perricone nell'amministrazione della società fallita e della Cea, aggiudicataria dell'appalto insieme alla Coveco, società veneta nota per lo scandalo del Mose di Venezia»;
   continua l'articolo di Vvox: «l'inchiesta, ripresa sui media isolani, è delicata: «Un comitato d'affari in odore di mafia capace di influire prepotentemente sulla gestione politico-amministrativa del Comune di Alcamo»; ma lo è anche perché l'indagine che ha portato all'arresto di Perricone è appunto strettamente collegata ad un altro distinto fronte d'accertamento: quello sulla presunta mala gestio nell'ambito delle realizzazione del porto di Castellammare del Golfo che ha visto magistratura e inquirenti puntare l'indice, tra le altre, su un presunto uso di materiali non conformi alla norma»;
   «per questo filone, precedente a quello che ha condotto ai recentissimi arresti eccellenti, i giudici la settimana scorsa hanno portato alla sbarra una serie di indagati. In questo caso il coinvolgimento della impresa della città lagunare è di ben altro peso. Tra coloro che dovranno presentarsi davanti alla Corte spicca giustappunto Domenico Parisi, rappresentante dell'associazione temporanea composta dalle imprese Coveco, Comesi e Cogem. In particolare, secondo la tesi della procura di Trapani, sarebbe stato utilizzato calcestruzzo di qualità differente, poiché inferiore a quanto prescritto dalla legislazione tecnica sulle costruzioni all'epoca vigente: gli eventi infatti sono risalenti all'anno 2010. Oltre a Parisi le toghe siciliane hanno deciso il rinvio a giudizio per Mario Giardina, direttore del cantiere del porto; Rosario Agnello, legale rappresentante della società consortile Nettuno e Leonardo Tallo, direttore dei lavori. Ed è la figura di quest'ultimo ad avere acceso l'interesse della stampa isolana giacché la nomina del tecnico è avvenuta su designazione dell'assessorato regionale ai lavori pubblici» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se ritenga sussistano i presupposti per disporre l'interdittiva antimafia nei confronti della cooperativa veneziana.
(4-13390)


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riportato nelle pagine della cronaca di Roma di un noto quotidiano nazionale, sessanta inquilini residenti nel condominio di via dei Quattro Venti 86, situato nel cuore del quartiere di Monteverde della capitale, hanno denunciato per antisemitismo e mobbing una loro vicina che abita in un alloggio dell'ente ecclesiastico denominato Pia Unione Cristiana Opera di Riconforto, o COR;
   la denunciata, tal Andrea Piroska Barkany, detta Andreina, secondo alcune fonti internet, un tempo vice-direttrice de Il Popolo, quotidiano di partito della disciolta Democrazia cristiana, sarebbe da anni in lite con tutto il suo vicinato;
   tra le altre cose, la Piroska Barkany sarebbe proprietaria di 5 cani di grossa taglia, che avrebbe aizzato sistematicamente contro i vicini, usando altresì le deiezioni dei suoi animali per imbrattare muri e porte del condominio;
   la situazione aveva già costretto l'amministratore dello stabile, Marco Dosa, ad installare un sistema interno di videosorveglianza allo scopo di ottenere le prove delle intemperanze della Piroska Barkany;
   ad aggravare la situazione ha concorso anche la circostanza che due famiglie di confessione ebraica residenti nel condominio siano state oggetto di pesanti provocazioni antisemite;
   ai citofoni delle abitazioni in cui queste famiglie risiedono sono state tra l'altro disegnate delle svastiche;
   a dispetto dell'esposto sporto nei confronti della signora Piroska Barkany, nulla sarebbe tuttavia ancora accaduto;
   impotente si è rivelato altresì Angelino Mafera, Commissario del COR nella Diocesi di Roma, per quanto informato da tempo della vicenda, anche perché a quanto pare Papa Francesco avrebbe bloccato tutti gli sfratti in atto da abitazioni di proprietà del Vaticano;
   i cani della signora Piroska Barkany avrebbero inoltre recentemente aggredito a morsi alcuni dei condomini e sarebbero comunque causa di diffusi timori, girando senza museruola e privi di guinzaglio;
   alcune azioni vandaliche intraprese dalla signora Piroska Barkany – rottura di vetri, infrazione delle cassette postali, utilizzo delle deiezioni dei cani per sporcare le pareti dell'immobile – sono state documentate dai video registrati con i sistemi di videosorveglianza installati nel condominio –:
   quali misure il Governo ritenga possibile adottare, nell'ambito delle sue competenze, in relazione alla vicenda segnalata in premessa. (4-13394)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 maggio 2016, a Lovere, in provincia di Bergamo, esponenti fascisti e nostalgici della Repubblica di Salò si sono radunati sul lungolago, come ogni anno, per commemorare la figura dei repubblichini Emilio Le Pera e Francesco De Vecchi;
   contro la commemorazione è stata organizzata la protesta di un presidio antifascista, finalizzato a disturbare l'evento. Il Comitato onoranze Caduti di Rovetta ha cercato di impedire l'accesso al cimitero da parte dei fascisti per raggiungere la lapide in ricordo dei due repubblichini, militi della Legione Tagliamento gettati nel Sebino dai partigiani;
   nel cimitero di Lovere si trova il Sacrario dedicato ai partigiani – i «Tredici Martiri di Lovere» – massacrati dai fascisti e proprio per tale motivo i comitati antifascisti ritengono inaccettabile che sia permesso ai nostalgici fascisti di celebrare i due repubblichini in quel luogo;
   come riportato dall'Eco di Bergamo, nel cimitero di Rovetta per ben 45 volte i partecipanti al raduno, dopo essere sfilati scortati dalle forze dell'ordine, hanno esibito il saluto fascista, commettendo il reato di apologia di fascismo;
   come riportato da un comunicato congiunto dell'Anpi provinciale di Bergamo e dalla Camera del Lavoro della Vallecamonica, le forze di polizia presenti, pur di garantire lo svolgimento della manifestazione fascista, hanno usato violenza contro il presidio antifascista;
   nell'ambito di tale attività repressiva, vari cittadini sono stati colpiti, tra cui il segretario provinciale di Rifondazione comunista Francesco «Coco» Macario, che è stato colpito alla testa da una manganellata inferta dalle forze di polizia, così come un altro militante antifascista, di 70 anni. Nello scontro sono rimasti contusi anche due poliziotti –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per ricostruire i fatti che hanno visto forze di polizia di fatto impegnate a permettere ai neofascisti di manifestare protetti, e nel contempo ad aggredire i manifestanti antifascisti;
   quali iniziative intenda assumere affinché le prefetture impediscano a fascisti e nazifascisti lo svolgimento di manifestazioni espressamente vietate dalla norme contenute nella legge Scelba n. 645 del 1952 e recentemente confermate dalla Corte di Cassazione. (4-13395)


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso delle operazioni di voto per il rinnovo del consiglio comunale nella città di Massafra, in provincia di Taranto, due cittadini recatisi alle urne in diverse sezioni hanno riscontrato che la scheda elettorale che era stata loro consegnata risultava già votata;
   del grave episodio i cittadini davano immediata comunicazione ai componenti il seggio, restituendo la scheda e chiedendo che fosse registrato a verbale;
   non è escluso che altri analoghi episodi di manomissione delle schede possano essersi verificati o che potessero far parte di un disegno volto a determinare l'alterazione del risultato elettorale –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda assumere per rassicurare i cittadini di Massafra che il processo democratico per il rinnovo degli organi di rappresentanza e di governo della città non abbia subito alterazioni, così come, invece, i gravissimi episodi denunciati, starebbero a testimoniare.
(4-13397)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 20 aprile 2001, n. 66 «Procedure di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili», all'articolo 2, ha previsto la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa in favore di circa 970 lavoratori socialmente utili negli istituti scolastici come individuati nel decreto n. 81 del 2000 e, all'articolo 4, ne fissa il percorso di stabilizzazione entro cinque anni, in prosieguo agli impegni di legge sulla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili di cui alla legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria 2001);
   dal 10 luglio 2001 quindi questi lavoratori socialmente utili sono diventati collaboratori coordinati continuativi per decreto del Ministro della pubblica istruzione, dell'università e della ricerca adottato di concerto con il Ministro del bilancio e della programmazione economica e il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, Il decreto ha visto una proroga nel novembre 2006 e negli anni successivi si è avuta la proroga dei contratti anno per anno con apposita voce di bilancio in finanziaria;
   ad oggi i suddetti lavoratori assicurano il funzionamento delle segreterie didattiche ricoprendo posti vacanti nell'organico delle scuole, per altro appositamente accantonati con le modalità previste dallo decreto istitutivo del 2001. Inoltre i compensi da dieci anni non sono mai cambiati, né sono stati adeguati;
   numerose sentenze pronunciate dai tribunali del lavoro di diverse regioni d'Italia hanno riconosciuto il diritto ai lavoratori con contratto di lavoro parasubordinato alla trasformazione in contratto di lavoro dipendente, nonché le differenze di retribuzioni e di relativa posizione assicurativa nel regime «obg»;
   la Corte di giustizia europea si è pronunziata con sentenza del 26 novembre 2014 contro l'abuso da parte del Governo italiano nella reiterazione dei contratti a termine oltre i 36 mesi, in violazione della direttiva comunitaria 1999/70/Ce, ritenendo sostanzialmente arbitrario e vessatorio il comportamento dell'Amministrazione Pubblica italiana nei confronti del personale da anni in attesa di stabilizzazione, mentre in Italia è in pendenza la questione di legittimità costituzionale dell'abuso dei contratti a termine del personale della scuola;
   molti dei suddetti lavoratori hanno adito le vie legali per il riconoscimento dello status di lavoratori dipendenti, nonché alla relativa stabilizzazione nei posti vacanti di organico. In caso di condanna per questo Ministero il costo per l'erario sarebbe molto oneroso;
   il Jobs Act (decreto legislativo n. 81 del 2015) ha previsto che a partire dal 1o gennaio 2016 non ci sarà più spazio per i contratti a progetto aboliti dal nostro ordinamento già dal giugno del 2015 e comunque, alla naturale scadenza non potranno essere prorogati o riproposti;
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ancora oggi mantiene (a parere degli interpellanti, illegittimamente) tale tipologia contrattuale per i suddetti lavoratori. Le relative mansioni, la natura e le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa non lasciano dubbi che si tratti di lavoro dipendente subordinato;
   i suddetti contratti scadono il prossimo 31 dicembre 2016 –:
   quali siano gli intendimenti del Governo sulla questione del personale ATA con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (Co.co.co);
   se non sia il caso di assumere iniziative per trasformare tali contratti in rapporti di lavoro dipendente, avviando altresì il processo di immissione nei ruoli degli organici delle scuole, prima dell'applicazione della suddetta sentenza che aggraverebbe l'onere per la stessa pubblica amministrazione.
(2-01386) «Ribaudo, Culotta, Minnucci, Zappulla, Piccione, Preziosi, Verini, Rampi, Rocchi, Iacono, Bruno Bossio, Lattuca, Tino Iannuzzi, Lauricella, Currò, Malpezzi, Paola Boldrini, Patrizia Maestri, Petrini, Rotta, Giovanna Sanna, Rubinato, Sanga, Scuvera, Marchi, Sbrollini, Fragomeli, Ventricelli, Albanella, Raciti, Barbanti, Burtone, Moscatt, Censore».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'UVA, LUIGI DI MAIO, SIBILIA, FICO, DE LORENZIS, DIENI, NESCI, LOREFICE, PARENTELA, LUPO, TOFALO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, CANCELLERI, D'AMBROSIO, PISANO, RIZZO, MANNINO, LIUZZI, VILLAROSA, MICILLO e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur) sovraintende al sistema pubblico nazionale di valutazione della qualità delle università e degli enti di ricerca, cura la valutazione esterna della qualità delle attività delle Università e degli Enti di Ricerca destinatari di finanziamenti pubblici e indirizza le attività dei Nuclei di valutazione e, infine, valuta l'efficacia e l'efficienza dei programmi pubblici di finanziamento e di incentivazione alle attività di ricerca e innovazione;
   tra i compiti essenziali dell'agenzia figurano la valutazione della qualità dei processi», i risultati e i prodotti delle attività di gestione, formazione, ricerca, trasferimento tecnologico delle attività delle università e degli enti di ricerca, nonché la definisce i criteri e le metodologie per la valutazione delle sedi e dei corsi di studio, ivi compresi i dottorati di ricerca, i master e le scuole di specializzazione, ai fini dell'accreditamento periodico delle strutture da parte del Ministro interrogato;
   tra le funzioni di fondamentale rilievo vi è l'elaborazione, su richiesta del Ministro, dei parametri di riferimento per l'allocazione dei finanziamenti statali, ivi inclusa la determinazione dei livelli essenziali di prestazione e dei costi unitari riferiti a specifiche tipologie di servizi, compito che negli ultimi anni risulta essere essenziale per la determinazione dei finanziamenti da erogare all'università italiane per assicurarne il corretto funzionamento;
   l'importanza dell'Agenzia di valutazione viene determinata con maggiore chiarezza dall'articolo 1, comma 4, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, la cosiddetta «riforma Gelmini», secondo il quale «il Ministero, nel rispetto della libertà di insegnamento e dell'autonomia delle università, indica obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti e, tramite l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) per quanto di sua competenza, ne verifica e valuta i risultati secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito»
   la stessa norma dispone che tale valutazione dovrà essere effettuata, inoltre, «anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale, garantendo una distribuzione delle risorse pubbliche coerente con gli obiettivi, gli indirizzi e le attività svolte da ciascun ateneo, nel rispetto del principio della coesione nazionale, nonché con la valutazione dei risultati conseguiti»;
   per il raggiungimento di tali fini andranno utilizzati criteri specifici, quali l'introduzione «di un sistema di valutazione periodica basato su criteri e indicatori stabiliti ex ante, da parte dell'Anvur, dell'efficienza e dei risultati conseguiti nell'ambito della didattica e della ricerca dalle singole università e dalle loro articolazioni interne, il potenziamento del sistema di autovalutazione della qualità e dell'efficacia delle proprie attività da parte delle università, anche avvalendosi dei propri nuclei di valutazione e dei contributi provenienti dalle commissioni paritetiche»;
   con l'approvazione della legge 30 dicembre 2010, n. 240, nonché dei successivi decreti attuativi, il legislatore ha così inteso introdurre per il sistema universitario e della ricerca italiano un modello di valutazioni periodiche affidato alla gestione dell'agenzia;
   tuttavia, a oggi, risultano rilevanti ed evidenti le distorsioni derivate dall'applicazione materiale di tali precetti normativi, i quali hanno condotto ad uno svilimento della funzione formativa universitaria, nonché ad un progressivo allontanamento qualitativo e funzionale tra gli atenei italiani, i quali beneficiano di finanziamenti «premiali» basati su criteri non evidentemente adeguati a valorizzare il merito, ovvero su attribuzioni economiche direttamente sottratte all'ordinario finanziamento delle università italiane, in quanto parte integrante del Fondo di finanziamento ordinario (FFO);
   in data 27 luglio 2015 il quotidiano consultabile online il Sole 24 ore, riportava alcuni dati che ben evidenziavano come i maggiori effetti di tali distorsioni si siano prodotti a danno degli atenei meridionali, dal momento che «accanto a università che si sono viste ridurre l'assegno di quasi un terzo, ci sono (pochi) atenei che addirittura poggiano su fondi più robusti del passato. Ai due capi della classifica si incontrano da un lato Messina e Palermo, che nel 2015 hanno ricevuto il 30 per cento abbondante in meno rispetto ai fondi statali su cui avevano potuto contare sette anni prima, e dall'altro Bergamo e il Politecnico di Torino, che possono contare rispettivamente su un +11,4 per cento e su un +7,3 per cento»;
   la bontà di tali dati, anche se indirettamente, veniva confermata dallo stesso Anvur, il quale in data 18 marzo 2014 presentava il «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia», dal quale emergeva l'allarmante condizione del sistema universitario nazionale, con significative differenze territoriali e, soprattutto, con un numero degli immatricolati, «in calo del 10 per cento nelle regioni del Nord Italia, del 25 per cento nelle regioni del Sud e, infine, del 30 per cento nel Mezzogiorno»;
   in data 25 aprile 2015 il comitato di selezione dell'Agenzia emanava il relativo bando, attuando le disposizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 1o febbraio 2010, n. 76, in merito alla raccolta delle candidature a membro del consiglio direttivo dell'Anvur, nel quale veniva richiesta ai candidati la produzione di un elaborato scritto in cui illustrare sinteticamente le principali linee d'intervento, indirizzi di gestione, strategie di sviluppo, criteri e metodi di valutazione dell'Agenzia in base ai quali lo stesso candidato intendeva orientare la propria funzione, nel caso in cui avesse assunto il ruolo di componente del consiglio direttivo dell'Anvur;
   l'importanza e l'incidenza dell'Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca in relazione al funzionamento del sistema universitario italiano appaiono, quindi, in tutta la loro evidenza, e sono confermate dallo stesso Ministero, dal momento che lo stesso ha inteso selezionare i candidati al Consiglio dell'Anvur attraverso un elaborato che rendesse conoscibili ex ante le principali «linee d'intervento, indirizzi di gestione, strategie di sviluppo» dei consiglieri candidati, così da poter effettuare una selezione che garantisse una parziale conoscenza delle future scelte poste in essere dall'Anvur;
   nel corso delle procedure venivano selezionati per la nomina 15 candidati: Fabio Beltram, Daniele Checchi, Raffaele Di Raimo, Mario Diani, Maria Cristina Marcuzzo, Guido Martinelli, Maria Luisa Meneghetti, Paolo Miccoli, Luigina Mortari, Paolo Rossi, Raffaella Rumiati, Guido Saracco, Giorgio Sesti, Susanna Terracini, Maurizio Vichi;
   in data 6 agosto 2015, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini, approvava l'avvio della procedura per la nomina di Daniele Checchi, Paolo Miccoli, Raffaella Rumiati e Susanna Terracini quali componenti del Consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca;
   il 16 settembre la VII Commissione del Senato esprimeva parere favorevole sulla nomina di tutti i candidati, evidenziando, tuttavia, un'insufficiente trasparenza in merito ai criteri di scelta dei candidati, non conoscendosi, infatti, le motivazioni che hanno portato alla selezione di queste personalità a fronte di 121 candidati;
   tra questi, in particolare, figurava il professor Paolo Miccoli, indicato dal Ministro Giannini come uno dei quattro nuovi membri del consiglio direttivo dell'Anvur, e risultato al centro di numerose polemiche, dal momento che alcune linee programmatiche esposte nell'elaborato propedeutico alla sua selezione, apparivano identiche a passaggi di alcuni testi facilmente reperibili sul sito diritto.it, alimentando ulteriormente i dubbi sui metodi e sui criteri di valutazione dell'agenzia;
   in data 24 settembre 2015 veniva presentata dal primo firmatario del presente atto l'interrogazione a risposta in commissione n. 5-06483, attraverso la quale si richiedeva al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di «assicurare al consiglio direttivo dell'ANVUR», anche in considerazione del fondamentale ruolo ricoperto dall'Agenzia, «una maggior rappresentatività di tutte le università italiane, assicurando l'adozione di politiche idonee ad arginare il progressivo allontanamento degli atenei»;
   nello stesso atto si richiedeva, in particolare, adeguata trasparenza nella procedura di nomina di quattro consiglieri dell'Agenzia, selezionati a seguito di regolare bando di concorso ma i cui relativi verbali ed elaborati non venivano resi pubblici, e quindi conoscibili, né dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, né dall'Anvur;
   già all'interno della citata interrogazione veniva rilevato «come dei tre consiglieri dell'Anvur già eletti, solo uno risulti essere un possibile riferimento di Atenei del meridione, comportando, per tali motivi, un evidente squilibrio territoriale nella rappresentanza dell'Agenzia, essendo ben 6 i consiglieri certamente legati, per propria estrazione, ad università situate nel settentrione d'Italia»;
   ad avviso degli interroganti la condizione del sistema universitario italiano, all'interno del quale si determinava, e si determina ancora oggi, una evidente sofferenza funzionale degli atenei meridionali, strettamente connessa sia ai progressivi tagli di spesa relativi al fondo di finanziamento ordinario, nonché alla sottrazione delle risorse da destinare per fini premiali così come evidenziata, avrebbe dovuto condurre ad una maggiore rappresentanza all'interno del consiglio dell'agenzia;
   in data 24 novembre 2015 l'Anvur annunciava l'entrata in carica dei quattro nuovi componenti del consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, il professor Daniele Checchi, ordinario presso l'Università Statale di Milano, il professor Paolo Miccoli, ordinario presso l'Università di Pisa, la professoressa Raffaella Rumiati, ordinario presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e la professoressa Susanna Terracini, ordinario presso l'Università di Torino;
   i consiglieri sono stati nominati con Decreto del Presidente della Repubblica del 19 ottobre 2015, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e sentite le competenti commissioni parlamentari. A partire da tale data decorrono i quattro anni dei rispettivi mandati, ai sensi dell'articolo 22, comma 1, lettera a), dei decreto-legge del 12 settembre 2013, n. 104, convertito con modificazioni dalla legge dell'8 novembre 2013, n. 128;
   in data 2 maggio 2015 il sito internet Roars.it pubblicava alcune dichiarazioni di uno dei quattro neo consiglieri dell'Anvur citati in premessa, il professor Daniele Checchi, il quale, pur evidenziando le note difficoltà degli atenei meridionali, proponeva una visione delle possibili cause, nonché delle eventuali soluzioni, certamente preoccupanti per il futuro delle università del Sud Italia;
   in tale sede il consigliere dell'Anvur affermò come «il Sud, come ho scritto nel titolo, a mio parere, si è suicidato, non è stato ucciso, allora il problema è che per poter creare una base di discussione che sia, tra virgolette, «accettabile» al resto del paese, occorre chiarire i meccanismi di accountability», affermando, inoltre, «al Sud basta facoltà di Giurisprudenza con rispetto ai colleghi eventualmente presenti che siano laureati in Giurisprudenza in università del Sud. Perché è un input produttivo che non serve, non serve a quella regione lì. E quindi uno dice: chiudo dei corsi, li chiudo d'autorità, sposto il personale da altre parti perché invece voglio promuovere degli altri corsi»;
   nel corso della sua analisi il membro del consiglio ha quindi chiarito che «le università del Sud, a finanziamenti attuali, non ce la faranno mai a ridiventare competitive con le università del Nord. Però, questo è un problema da discutere politicamente: cioè se il paese vuole o non vuole avere un sistema universitario degno di questo nome al Sud»;
   tuttavia dalle parole apprese dal docente si rileva l'attuale condizione degli atenei meridionali sostenendo come prendendo quale «punto di riferimento, il 2008, per cui andiamo a vedere nel corso dei tre anni, qui vedete che sostanzialmente le università del Sud perdono circa due o tre punti percentuali sia su tutto il versante delle entrate sia sul versante delle iscrizioni sia sul versante dei docenti – leggermente meno sul versante dei docenti. Il che ci dice, fondamentalmente, che il fenomeno è un fenomeno di ridimensionamento, di cui è difficile dire che cosa parta per primo: calano i docenti, calano gli iscritti, calano i finanziamenti»;
   «Quando si sentono ogni tanto in CRUI i rettori delle università del Sud», concludeva il consigliere «loro invocano la loro funzione sociale nel contenimento del tasso di disoccupazione giovanile. È una terza missione anche questa, se si vuole. Però, diciamolo esplicitamente: allora diciamo che un pezzo della necessità di mantenere alcune università in alcune aree problematiche del paese è svolgere questa cosa qui»;
   dall'analisi del professor Daniele Checchi viene confermato un preoccupante quadro dell'attuale condizione meridionale, con valutazioni che, tuttavia, sollevano forti perplessità sia sotto il profilo del merito, anche in considerazione del fondamentale ruolo ricoperto dallo stesso docente, sia per l'aspetto dei possibili profili discriminatori a cui queste potrebbero condurre;
   è bene ricordare come già in data 18 febbraio 2015 il quotidiano consultabile on-line Il Corriere della Sera riportava le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il quale, pur sostenendo l'idea della «presenza di università di serie A e di serie B», dichiarava di non voler adoperarsi affinché a tutti gli atenei italiani venisse data la possibilità di risultare competitive;
   tali dichiarazioni, ad avviso degli interroganti, in considerazione del ruolo ricoperto dal professor Daniele Checchi, richiedono una urgente valutazione di merito da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dal momento che l'Anvur svolge un ruolo determinante sia nell'assegnazione dei finanziamenti agli atenei, sia nel sistema di accreditamento e di valutazione dei corsi universitari –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito alla possibilità di sopprimere alcuni corsi universitari presso gli atenei meridionali, così come proposta dal consigliere dell'Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca, professor Daniele Checchi, e, in caso di parere difforme, quali iniziative intenda assumere per garantire l'imparzialità del sistema di valutazione del sistema universitario, in considerazione del fondamentale ruolo ricoperto dal docente. (5-08817)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015 all'articolo 1, comma 94, prevede che «... per il triennio 2016-2018 possono essere attribuiti incarichi temporanei di livello dirigenziale non generale di durata non superiore a tre anni per le funzioni ispettive. Tali incarichi possono essere conferiti, nell'ambito della dotazione organica dei dirigenti tecnici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ai sensi dell'articolo 19, commi 5-bis e 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni»;
   con il decreto ministeriale n. 882 del 12 novembre 2015 del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato individuato un contingente di n. 48 incarichi di livello dirigenziale non generale con funzioni ispettive, a tempo determinato della durata di tre anni, ripartiti tra l'Amministrazione centrale (n. 3 incarichi) e periferica (n. 45 incarichi) del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da conferire ai sensi dell'articolo 19, comma 5-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 (n. 31 incarichi) e ai sensi dell'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (n. 17 incarichi);
   l'articolo 1, comma 94, della legge n. 107 del 2015, dispone che «Gli incarichi per le funzioni ispettive di cui ai periodi precedenti sono conferiti in base alla procedura pubblica di cui all'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, mediante valutazione comparativa dei curricula e previo avviso pubblico, da pubblicare nel sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che renda conoscibili il numero dei posti e la loro ripartizione tra amministrazione centrale e uffici scolastici regionali, nonché i criteri di scelta da adottare per la valutazione comparativa.»;
   l'articolo 2 del decreto ministeriale n. 882 del 12 novembre 2015 dispone espressamente che il conferimento degli incarichi dovrà avvenire «mediante procedura comparativa di selezione dei curricula e nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, previa pubblicazione dell'avviso sui siti istituzionali dell'Amministrazione centrale e periferica del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca»;
   l'articolo 19, al comma 1-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 dispone che «L'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta.»;
   l'articolo 2 del decreto ministeriale n. 882 del 12 novembre 2015 espressamente richiama, nelle procedure di conferimento degli incarichi, il rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che, come detto, pongono in capo all'Amministrazione procedente di rendere noti, contestualmente all'avvio della procedura di selezione, i criteri di scelta dei candidati (comma 1-bis);
   negli avvisi dell'Amministrazione centrale e di quelli degli uffici scolastici regionali, è presente solo un generico richiamo al disposto dell'articolo 19 del decreto legislativo 165 del 2001; non vi sono riferimenti ad alcun criterio di scelta, né sono richieste notizie dettagliate nel modello di domanda di partecipazione allegato all'avviso pubblico di selezione. Nel modello di domanda, infatti, sono richiesti solo i dati anagrafici, il codice fiscale e il curriculum vitae aggiornato;
   la ratio della norma richiamata dal comma 94 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 cui si dispone che «...gli incarichi per le funzioni ispettive... sono conferiti in base alla procedura pubblica di cui all'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni... che renda conoscibili il numero dei posti e la loro ripartizione tra amministrazione centrale e uffici scolastici regionali, nonché i criteri di scelta da adottare per la valutazione comparative» è quella, data anche la rilevanza della funzione ispettiva attribuita ai dirigenti tecnici (figura che ha sostituito quella degli ispettori scolastici), di una procedura valutativa ispirata a criteri certi di trasparenza e di imparzialità della pubblica amministrazione al quale il legislatore, nel richiamare espressamente il comma 1-bis, ha inteso ancorare la selezione per gli incarichi di dirigente tecnico;
   i criteri di valutazione dei candidati, per come richiesto dalla stessa legge (legge 107 del 2015, articolo 1, comma 94) che ha previsto e disciplinato il conferimento dei predetti incarichi di dirigente tecnico, secondo i principi di buon andamento, di imparzialità e di trasparenza che devono guidare l'azione amministrativa, sanciti dalla Costituzione, non risultano essere stati definiti e resi noti, a quanto consta all'interrogante, prima della presentazione delle domande, come avviene in ogni procedimento di tipo concorsuale o para-concorsuale, ma risulterebbe che siano stati definiti dalle Commissioni in via postuma e a curricula già noti e comunque conoscibili dalle commissioni che avrebbero potuto così definire i criteri di valutazione più disparati e con un'ampia discrezionalità e che detti criteri non siano stati resi noti ai candidati anche dopo l'assegnazione degli incarichi, se non esercitando il diritto di accesso agli atti ai sensi della legge n. 241 del 1990;
   l'assenza dei criteri di scelta nei bandi per l'interrogante non risulta conforme al dettato legislativo richiamato ed ha dato luogo a comportamenti differenziati da parte delle diverse commissioni, appositamente costituite presso gli uffici dell'Amministrazione centrale e periferica. Tant’è che gli stessi candidati che hanno concorso per tutti o più incarichi messi a disposizione dall'amministrazione periferica e dagli uffici scolastici regionali, pur trattandosi di una valutazione che ha interessato lo stesso profilo professionale e basata su soli titoli, hanno ricevuto valutazioni assai differenti;
   si segnala inoltre la circostanza che, a quanto consta all'interrogante, la gran parte dei candidati destinatari dell'incarico già presterebbero servizio presso l'Amministrazione centrale o presso gli uffici scolastici regionali, in qualità di «comandati» e «distaccati»;
   la scelta dei candidati sulla base di quanto sopra indicato potrebbe aver dato vita a disparità di trattamento da parte delle diverse commissioni, che potrebbero tradursi nell'apertura di un contenzioso tra l'Amministrazione e alcuni candidati per il mancato rispetto delle procedure prescritte dalla legge –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa accertato che la predeterminazione e la pubblicazione preventiva dei criteri di valutazione è cogente nella selezione dei 48 dirigenti tecnici con funzione ispettiva, quali iniziative intenda adottare, anche per quello che appare all'interrogante una quantomeno dubbia legittimità degli incarichi già conferiti o in via di conferimento, per assicurare una selezione rispettosa del principio di trasparenza e degli altri principi fondanti del nostro ordinamento giuridico e per garantire la scelta dei candidati nel rispetto delle disposizioni legislative richiamate. (4-13345)


   BORGHESI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nonostante sia stato indetto il nuovo concorso per il reclutamento cui docenti, di cui all'articolo 1, comma 114, della legge 13 luglio 2015, n. 107, sono rimaste in sospeso molte situazioni di incertezza derivanti da concorsi precedenti, come ad esempio quella riguardante coloro che avevano sperato le prove del penultimo concorso, indetto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel 2012 (decreto del direttore generale 82 del 2012);
   il risultato minimo per passare a prova preselettiva allora era stato fissato in 35/50 ed era stato considerato eccessivo dai partecipanti, perché rappresentava comunque 7 decimi e non la semplice sufficienza, rappresentata invece da 30/50;
   perciò molti degli esclusi, con punteggio compreso fra 30/50 e 34/50, scelsero la via del ricorso al Tar del Lazio, che consentì loro di partecipare, in via cautelare, alle restanti prove del concorso stesso, quelle utili alla formazione del punteggio finale, da cui attingere successivamente per effettuare le assunzioni, qualificandoli però con il termine «riservisti sotto soglia 35»; nonostante i titoli dei partecipanti ed il superamento delle prove, a pesare era quella specifica dicitura;
   poi con la sentenza di primo grado tale riserva è stata sciolta, questi docenti sono potuti entrare in ruolo e alcuni di essi stanno terminando quest'anno l'anno di prova;
   il 20 maggio, però, è stata depositata un'ordinanza cautelare del Consiglio di Stato che sospende l'efficacia della sentenza del TAR del Lazio. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione sesta), in merito al ricorso RG 8886 del 2015 proposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca contro: «la riforma della sentenza breve del T.a.r. Lazio – Roma: sezione III bis n. 10515/2015, concernente il concorso per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente della scuola – scioglimento della riserva e inserimento nella graduatoria finale», ha disposto che: «la soglia di 21/30 prevista ai fini del superamento della prova preselettiva, non appare irragionevole, rilevato che, in questa fase, prevale l'esigenza di evitare il consolidamento di posizioni che potrebbero essere poi travolte dalla sentenza di merito, anche tenendo conto della pari dignità dell'interesse dei controinteressati;
   il Consiglio di Stato, dunque, in sede giurisdizionale ha accolto l'istanza cautelare e, per effetto, ha sospeso l'esecutività della sentenza impugnata, fissando, per il merito, l'udienza pubblica al 20 dicembre 2016;
   siamo in presenza del verificarsi di una situazione paradossale, dove diversi docenti immessi in ruolo, che hanno svolto uno o due anni di servizio che, comunque, non hanno partecipato al nuovo concorso a cattedra, bandito con decreto del direttore generale n. 105 del 23 febbraio 2016, perché già assunti in ruolo dalle graduatorie di merito del concorso 2012, si ritrovano cancellati dal ruolo;
   come se non bastasse, la sospensione dell'efficacia riguarda solo determinati docenti, cioè quelli cui si riferisce il ricorso, mentre per molti altri ciò non ha prodotto effetti, con il risultato che si sta verificando una situazione paradossale per cui alcuni rischiano l'estromissione dal ruolo nel frattempo conseguito, mentre altri, a meno di nuove impugnazioni, potranno continuare ad insegnare –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito all'intera vicenda;
   se intenda valutare ogni iniziativa utile, anche di natura normativa, che preveda un superamento, in tempi certi e rapidi, della situazione di incertezza che detti docenti stanno vivendo con riguardo al loro futuro professionale. (4-13369)


   SGAMBATO, D'OTTAVIO, DALLAI, MANZI e CAROCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 30 maggio 2016 con circolare n. 193 firmata dalla preside del liceo statale Nicolò Jommelli di Aversa, presso l'Aula Magna dell'istituto è stata celebrata la cerimonia di benedizione delle penne, un momento di preghiera per tutte le quinte classi in vista della preparazione all'esame di Stato;
   il tratto distintivo della scuola pubblica italiana è che essa è laica e plurale: è una scuola di tutti e per tutti, senza distinzione di razza, di sesso, di genere, di religione;
   questa sua natura deriva direttamente dal dettato costituzionale e, pertanto, la sua organizzazione didattica ed il suo contenuto pedagogico si devono richiamare a questo principio –:
   se il Ministro interrogato non consideri l'iniziativa dell'istituto statale Nicolò Jommelli di Aversa in contrasto con l'indirizzo educativo e, in tal caso, se non intenda farsi promotore di iniziative volte a tutelare il principio di educazione laica in tutte le scuole. (4-13391)


   AIRAUDO, FRATOIANNI, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO e MARCON. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Il 18 dicembre 2015 sulla bacheca Facebook del corso di comunicazione pubblica e politica dell'università di Torino è stato pubblicato un annuncio che recitava: Stiamo organizzando occasioni di stage, ricerca sul campo per tesi di laurea e attività di laboratorio su community management, grassroots campaigning «alla Obama», analisi dati, sociali media management, storytelling politico»;
   nell'ambito della campagna elettorale per le amministrative della città di Torino, a sostegno della candidatura di Piero Fassino, sindaco uscente, sono stati mobilitati oltre trecento volontari, che in gran parte si erano proposti tramite il portale del citato candidato a sindaco;
   tra gli oltre trecento volontari vi erano circa una ventina di studenti o neo laureati del corso di Corso di Comunicazione pubblica e politica dell'Università di Torino, che avevano risposto positivamente all'annuncio pubblicato sulla bacheca Facebook del corso di comunicazione pubblica e politica dell'Università di Torino;
   i giovani volontari, tra i quali figurano coloro che avevano risposto all'annuncio pubblicato sulla bacheca del corso di comunicazione pubblica, per svolgere l'attività a favore del candidato a sindaco Piero Fassino hanno svolto questionari e porta a porta con borse a tracolla rossa con scritto «Piero Fassino candidato Sindaco di Torino» per conto del comitato «Noi siamo Torino» nell'ambito del quale opera il Prof. Cristopher Cepernic, esperto di campagne elettorali;
   il Prof. Cristopher Cepernic, è il docente che ha reclutato i giovani studenti del Corso di Comunicazione pubblica e politica dell'Università di Torino, utilizzando i canali del corso di laurea e svolgendo le prime riunioni in aule universitarie;
   gli stessi volontari tra i quali figurano i circa venti studenti e neolaureati del corso di comunicazione pubblica e politica dell'Università di Torino, sono stati utilizzati anche per presenziare a eventi del candidato a sindaco Fassino, per fare numero;
   il Professor Cristopher Cepernic, ha dichiarato a «Il Fatto Quotidiano» del 1o giugno 2016 che il progetto non era relativo ad un corso di laurea, ma si trattava di un suo progetto scientifico al quale gli studenti hanno aderito volontariamente;
   atteso che «l'occasione di stage» come dichiarato dal Professor Cristopher Cepernic era un suo progetto scientifico, non si comprende per quali motivi gli sia stato consentito di utilizzare pagine Facebook dell'Università di Torino e aule della stessa e non abbia utilizzato la sede del Comitato «Noi siamo Torino» a sostegno del candidato a sindaco Piero Fassino;
   alcuni dei circa venti studenti reclutati dal Professor Cristopher Cepernic, hanno inoltre lamentato il fatto che ad alcuni di loro, non si sa con quale criteri scelti, siano stati fatti formare contratti di prestazione occasionale retribuiti con circa 2000 euro netti;
   appare davvero bizzarro che a Torino studenti e un progetto dell'ateneo locale siano stati utilizzati per fare propaganda a sostegno del sindaco uscente Piero Fassino, e, anche se apparentemente tutto fosse avvenuto nella completa legalità, resta a parere degli interroganti un'iniziativa discutibile e dal carattere strumentale che doveva essere evitata dalle autorità accademiche, almeno nell'utilizzo di aule e siti ufficiale dell'università di Torino;
   sarebbe opportuno conoscere chi ha autorizzato l'utilizzo della bacheca Facebook del corso di comunicazione pubblica e politica dell'università di Torino e delle aule della stessa per le prime riunioni con gli studenti interessati per un progetto che non figura nel corso di laurea ma un progetto scientifico personale del Professor Cristopher Cepernic;
   agli interroganti non appare corretto che studenti svolgano nell'ambito del loro percorso formativo curriculare più o meno riconosciuto, volontariato per la campagna elettorale del sindaco uscente Piero Fassino, rispondendo ad un avviso su un sito ufficiale dell'università di Torino;
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto sopra esposto e quali iniziative intenda intraprendere, anche sul piano normativo, affinché fatti come quelli citati in premessa non abbiano più a verificarsi, garantendo agli atenei italiani quella terzietà nei confronti della politica come prerogativa sulla quale non si può transigere. (4-13398)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   il 26 febbraio 2016 il consiglio di amministrazione dell'istituto comunale musicale Giorgio Balmas Città di Rivoli ha approvato una delibera che prevede la realizzazione di un bando per dare in affidamento a terzi tramite concessione la parte dell'istituto relativa alla didattica;
   questo cambiamento non tutelerà il corpo docente, composto da trentadue insegnanti (alcuni in servizio dal 1988, tutti vincitori della graduatoria realizzata nel 2012 e valida fino a giugno 2017) e cinque impiegati come personale di segreteria;
   così concepito ed esternalizzato l'insegnamento musicale non manterrà la sua natura di servizio rivolto ai cittadini e alle loro famiglie trasformandosi in mero prodotto commerciale ed in ogni caso perdendo quelle caratteristiche date fino ad oggi dall'istituzionalità della scuola. Le ricadute nei confronti di famiglie e studenti sono chiaramente intuibili: crescita dei prezzi di frequenza oltre alla evidente discontinuità occupazionale di docenti e personale della struttura;
   risulta altresì agli interpellanti che, alla base di questa decisione da parte dell'amministrazione, sia stata addotta una motivazione rispetto alla quale emergono palesi criticità, in quanto essa è stata dichiaratamente fondata sull'impossibilità di prorogare i contratti degli insegnanti precedentemente assunti con contratti co.co.co e/o co.co.pro;
   v’è da dire che i contratti degli insegnanti dell'istituto sono in scadenza proprio in questi giorni e che la graduatoria in cui questi ultimi sono inseriti scadrà invece nel giugno 2017;
   non v’è dubbio alcuno che l'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, specifichi a chiare lettere come «fino al completo riordino della disciplina dell'utilizzo dei contratti di lavoro flessibile da parte delle pubbliche amministrazioni, la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione nei confronti delle medesime. Dal 1o gennaio 2017 è comunque fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di stipulare i contratti di collaborazione di cui al comma 1.»;
   in virtù di quanto sopra e in ossequio al chiarissimo disposto di cui l'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, parrebbe che l'amministrazione possa prorogare i contratti dei lavoratori in quanto alle pubbliche amministrazioni è data questa facoltà fino al 1o gennaio 2017. Detta facoltà è proprio diretta a garantire la continuità occupazionale fino al completo riordino della disciplina dei contratti di lavoro flessibile;
   tenuto conto di quanto sopra e ferma restando la libera facoltà di indirizzo politico per la pubblica amministrazione del comune di Rivoli e per le altre che si trovassero davanti alla medesima scelta da operare, resta fermo il dovere per le amministrazioni di garantire la massima trasparenza rispetto ad ogni scelta o processo decisionale;
   va altresì tenuto conto di casi analoghi su tutto il territorio nazionale che evidenziano ambiguità interpretative rispetto all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e se sia loro intenzione, nell'ambito delle proprie competenze, assumere iniziative al fine di ulteriormente ribadire e/o chiarire il portato di cui all'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e di elidere ogni ambiguità interpretativa della norma medesima.
(2-01387) «Della Valle, Chimienti, Castelli, Busto, Crippa, Dadone, Paolo Nicolò Romano, Ciprini, Cominardi, Lombardi, Tripiedi, Dall'Osso, Agostinelli, Alberti, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Cecconi, Colletti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato UGL, sede di Catania, il 4 maggio 2016 ha denunciato, con un esposto alla procura della Repubblica di Catania alcune inosservanze sul lavoro nell'ambito delle attività della CARBOIL srl, società operante nelle attività della movimentazione del carburante aeronautico ed attiva anche all'aeroporto «Fontanarossa» di Catania;
   l'esposto dell'UGL descrive quanto segue:
    «in data 11/02/2016 un'autobotte della CARBOIL srl carica di carburante "avio", utilizzata per il rifornimento degli aeromobili recante matricola identificativa: 4213, intorno le ore 07:00 lasciata in sosta dall'operatore in turno all'interno del deposito aeroportuale di Catania della CARBOIL srl, improvvisamente ed inavvertitamente inizia una sua corsa, sfruttando le pendenze presenti al suolo, priva di qualsiasi forma di controllo, sfondando il cancello di accesso del deposito "lato est" e finendo rovinosamente la propria corsa sulla recinzione perimetrale aeroportuale, interessando anche un'autovettura in sosta nella confinante area destinata al parcheggio degli enti di stato presenti all'interno dello scalo aeroportuale; all'evento unico nello specifico per lo scalo aeroportuale di Catania, sono prontamente intervenuti le autorità aeroportuali»;
    «i provvedimenti intrapresi da parte della CARBOIL srl a seguito di tale evento sono stati: un procedimento disciplinare a carico dell'operatore che quella mattina aveva in carico l'autobotte 4213 con conseguente provvedimento disciplinare pur avendo dichiarato quest'ultimo, di non avere alcuna responsabilità soggettiva a quanto occorso ed imputatogli da parte di Carboil srl;
    «(...) carico di lavoro sugli operatori, ritenuto eccessivo e spesso al di fuori delle competenze dell'inquadramento professionale e del CCNL applicato al lavoratore che la gestione aziendale fa principalmente gravare sugli operatori a tempo determinato a carattere di "stagionalità"»;
    «attrezzature, ritenute inidonee ed insufficienti per potere svolgere in sicurezza le prestazioni richieste dalla CARBOIL srl e dalle vigenti norme in materia»;
   l'esposto della UGL, inoltre, denuncia una forte differenziazione salariale a seguito dell'attuazione di due aree contrattuali (CCNL Energia & Petrolio e CCNL Assoaeroporti) applicate ai lavoratori dello scalo di Catania e in tutti gli aeroporti italiani dove opera la CARBOIL srl. Tali lavoratori svolgono pari mansioni (autista aviorifornitore), pari responsabilità e carichi di lavoro; la differenziazione salariale causerebbe una diversità reddituale di circa 900,00 euro mensili netti in busta paga, tra i lavoratori, a secondo del CCNL applicato;
   il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 emanato in attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro all'articolo 15 recante misure generali di tutela, comma b), – prevede: «la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro» –:
   se i Ministri interrogati per quanto di competenza, non ritengano di attivare un'ispezione ministeriale per appurare se la CARBOIL srl rispetti le misure generali di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, previste dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 in attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123 e in particolare quanto previsto nella prevenzione a riguardo delle condizioni tecniche dell'azienda e dell'organizzazione del lavoro, tenuto conto, anche, del recente incidente accaduto all'aeroporto di Catania e sopra menzionato;
   se i Ministri interrogati non ritengano di volere assumere iniziative per quanto di competenza, per porre rimedio alla differenziazione salariale che riguarderebbe lavoratori che svolgono mansioni simili, pari responsabilità e carichi di lavoro all'interno della società CARBOIL srl, nell'ambito della movimentazione del carburante aeronautico in tutti gli aeroporti italiani dove la CARBOIL srl svolge le sue attività. (5-08812)


   PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la stampa locale di Parma ha diffuso la notizia dell'imminente chiusura, fissata al 30 giugno 2016 dei punti vendita Simply SMA (di proprietà della SMA s.p.a. afferente al gruppo Auchan) di Salsomaggiore Terme e Fidenza (PR);
   nei due supermercati sono impiegati 38 lavoratori, in gran parte donne con contratto part time. A fronte delle due chiusure la SMA ha proposto ai propri dipendenti (20 a Fidenza e 18 a Salsomaggiore Terme) il trasferimento presso altri punti vendita nell’hinterland milanese;
   il 6 giugno 2016 si è svolto presso la sede della provincia di Parma un incontro tra una rappresentanza delle lavoratrici, le organizzazioni sindacali di categoria, il sindaco di Fidenza e il sindaco di Salsomaggiore Terme anche in qualità presidente della provincia. Dall'incontro è emersa la necessità di avviare un confronto con la proprietà dei supermercati per individuare una soluzione che salvaguardi principalmente i livelli occupazionali;
   il 9 giugno 2016 si terrà, a Fidenza, una manifestazione unitaria delle lavoratrici con le organizzazioni sindacali di categoria e le amministrazioni comunali a sostegno della vertenza in atto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vertenza in atto nei punti vendita Simply SMA di Salsomaggiore Terme e Fidenza (PR) e se non intenda farsi parte attiva nei confronti della proprietà al fine di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali sul territorio, considerata l'inaccettabile opzione del trasferimento della forza lavoro nell’hinterland milanese. (5-08818)


   COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, LOMBARDI e ALBERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Bormioli Rocco Spa con sede a Fidenza (PR), produce contenitori in vetro e plastica per l'industria alimentare, farmaceutica e della profumeria. Il Gruppo conta un organico di poco più di 2.000 dipendenti distribuiti in 8 stabilimenti produttivi dislocati in Europa, 6 dei quali in Italia, 2 atelier di decorazione, 7 filiali commerciali e 8 negozi monomarca nei più importanti outlet italiani. I prodotti dell'azienda sono esportati in oltre 100 Paesi al mondo;
   in data 29 dicembre 2015, con verbale di accordo sindacale veniva stabilito che, con decorrenza 7 gennaio 2016, la Bormioli Rocco Spa affidava alla Cal Srl la gestione e l'esecuzione delle attività di logistica integrata relative allo stabilimento di Fidenza, assorbendo dalla precedente cooperativa di facchinaggio Linkel in appalto per la movimentazione merci nella stessa Bormioli Rocco di Fidenza, tutti i lavoratori che quindi risultavano già perfettamente preparati per mansioni e tipo di impiego da svolgere. Cal Srl, sempre in data 7 gennaio 2016, assegnava le medesime attività alla Feynman, società cooperativa che fa capo alla stessa Cal Srl;
   tale manovra di licenziamento e riassunzione dei dipendenti presso altre società del medesimo settore, rappresenterebbe per gli interroganti l'espediente già sin troppe volte utilizzato dalle aziende per usufruire degli sgravi fiscali di 8.060 euro/anno a dipendente assunto, introdotti con la legge n. 183 del 2014. Detta situazione è stata più volte denunciata dagli interroganti in diversi atti parlamentari da loro presentati ed in ogni sede opportuna;
   come riportato in data 14 luglio 2014 dal sito di informazione «ilgiorno.it», le cooperative Cimabue e Gest Service facenti parte del consorzio a cui fa capo la Cal Srl, risultano essere indagate per presunta truffa e pagamenti in nero per 1.108 lavoratori, secondo cui la Guardia di Finanza ipotizza una maxi evasione di 4,5 milioni di euro;
   in data 4 maggio 2016, gli interroganti ricevevano un documento dalla O.S. Sindacato Intercategoriale Cobas, il sindacato maggiormente rappresentativo all'interno della cooperativa Feynman, dove si affermava che nel verbale del 29 dicembre 2015, la cooperativa Cal ha stipulato un accordo con i sindacati FILT-CGIL e FIT-CISL che prevedeva per i lavoratori, pur mantenendo le cifre corrispondenti in busta paga, l'azzeramento degli scatti di anzianità, la facoltà per il datore di lavoro di spostare a propria discrezione i lavoratori da un appalto all'altro, l'inquadramento occupazionale al livello minimo 6o anziché 4o come previsto per le mansioni dei carellisti e l'utilizzo della legge c.d. Jobs Act come potenziale arma per tagliare i rapporti di lavoro nei confronti dei dipendenti più scomodi all'azienda per le lotte sindacali da loro svolte. Proprio queste condizioni ritenute inaccettabili da parte dei S.I. Cobas, hanno portato gli stessi a non accettare di siglare l'accordo e alla decisione di entrare in sciopero permanente poco prima di Natale 2015;
   nella situazione indicata, gli interroganti rilevano un problema da loro già portato all'attenzione del Governo tramite altre interrogazioni parlamentari, ossia quello della mancanza di una seria legge sulla rappresentatività sindacale all'interno delle aziende o delle cooperative di lavoratori;
   la modalità con cui manifestano i lavoratori appartenenti al sindacato S.I. Cobas da sempre si limita a sit-in di tipo passivo, ossia il manifestare sedendosi od occupando fisicamente un punto considerato strategico nel tentativo di ottenere dei risultati, senza comunque rispondere alle numerose provocazioni e aggressioni fisiche sistematicamente perpetrate nei confronti dei lavoratori da parte delle forze dell'ordine, aggressioni aumentate nel corso degli ultimi mesi;
   sempre nel documento consegnato dai rappresentanti S.I. Cobas agli interroganti, veniva riportato che il cambio di appalto delle cooperative avviene sistematicamente perché queste possano liberamente licenziare i dipendenti scomodi e per apportare modifiche alle buste paga dei lavoratori in maniera tale da favorire i bilanci delle cooperative. Tali manovre sono legittimate dall'articolo 42 bis del CCNL di trasporto, spedizioni merci e logistica, che non impone al nuovo appaltatore la conservazione dei livelli occupazionali e la garanzia di assunzione di tutti i lavoratori già impiegati presso il medesimo appalto o luogo, bensì lascia facoltà al subentrante di preferire le assunzioni dei lavoratori già dipendenti della gestione uscente. L'articolo in oggetto non si concilia per gli interroganti con l'articolo 2112 del codice civile riguardante il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda. In detto articolo, infatti, viene citato che «in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano» ed inoltre stabilisce che, «ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento»;
   il documento suindicato dei S.I. Cobas, proseguiva riferendo che ai rappresentanti sindacali del medesimo sindacato sia da sempre negato il diritto di partecipare a qualsiasi genere di ispezione all'interno della Bormioli Rocco Spa, alle quali vorrebbero prendere parte per appurare l'esistenza o meno di presunte irregolarità all'interno dell'azienda stessa;
   in data 19 febbraio 2016, sul quotidiano «La Gazzetta di Parma», veniva pubblicato un articolo riguardante i disordini scoppiati tra forze dell'ordine e lavoratori della Feynman, dinnanzi allo stabilimento della Bormioli Rocco Spa di Fidenza;
   nell'articolo veniva riportata la notizia che dopo una lunga giornata di blocco dei cancelli da parte dei facchini appartenenti al sindacato S.I. Cobas che avevano impedito l'accesso dei camion in entrata ed uscita dallo stabilimento, verso le ore 22 la tensione era esplosa con cariche da parte delle presenti forze dell'ordine nei confronti dei circa 100 manifestanti, molti dei quali non appartenenti alla Feynman ma, a quanto sembra, a gruppi di anarchici ed autonomi arrivati da fuori provincia a supporto dei lavoratori. Intervenuti in assetto antisommossa, i circa 30 celerini avevano disperso i manifestanti con diverse cariche e l'utilizzo di lacrimogeni. Nei disordini, alcuni manifestanti avevano accerchiato un'auto della polizia spintonandola e sputandovi sopra, altri avevano cercato di incendiare alcuni camion;
   i capigruppo di minoranza del consiglio comunale di Fidenza, nelle stesse ore avevano chiesto la convocazione in forma congiunta delle commissioni competenti per ascoltare i rappresentanti del sindacato S.I. Cobas, ma i presidenti delle commissioni competenti hanno deciso, poiché contrari alle forme di lotta facinorose e avulse alla normale tradizione sindacale, di non autorizzare la convocazione richiesta;
   nel documento dei S.I. Cobas sopraindicato, veniva specificato che la pubblicazione dell'articolo in questione, risultava non coincidere con nessuna delle dichiarazioni dei lavoratori della Feynman che hanno partecipato alla manifestazione indicata. I lavoratori infatti dichiarano di non aver partecipato a nessun atto di violenza nei confronti di chicchessia. Oltretutto negli scontri, seppur non indicato nell'articolo ma come dichiarato da alcuni manifestanti, vi sono stati diversi feriti tra i manifestanti stessi;
   sempre nel documento, a seguito dei disordini sopraindicati, alcuni lavoratori della Feynman hanno dichiarato che vi sia l'intenzione da parte dell'azienda di licenziare tutti i lavoratori che da tempo manifestano il loro dissenso;
   è necessario ricordare che, per i lavoratori subordinati, lo sciopero si sostanzia in una astensione collettiva dal lavoro e, di regola, viene indetto dai sindacati. Esso ha di solito lo scopo di sollecitare migliori condizioni di lavoro ma può anche tendere a fini diversi, come quello di evitare licenziamenti, di contestare le autorità o di sostenere le richieste di altri. Lo sciopero costituisce un diritto garantito cioè un diritto il cui esercizio non può essere limitato né può comportare alcuna sanzione da parte dell'ordinamento;
   con sentenza della Corte di Cassazione n. 711 del 30 gennaio 1980, sono ritenute legittime le cosiddette forme anomale di sciopero, anche nel caso in cui comportino un sacrificio maggiore per il datore di lavoro. Ciò deriva dal fatto che il legislatore italiano non ha ancora dato attuazione all'articolo 40 della Costituzione e di conseguenza non ha previsto le modalità con cui lo sciopero può essere attuato (limiti interni). In conseguenza di ciò, qualsiasi modalità che non costituisca reato è ritenuta legittima. Gli unici limiti al diritto di sciopero riconosciuti dalla giurisprudenza, sono limiti esterni. Questi sono costituiti dagli altri diritti parimenti tutelati dalla Costituzione, come ad esempio il diritto alla vita e all'integrità fisica, ma anche altri come la libertà di iniziativa economica sancita dall'articolo 41 della Costituzione. Conciliare il diritto di sciopero con questa libertà imprenditoriale è risultato essere giuridicamente più complicato, ma il confine tra legittimità e illegittimità dell'azione sindacale è stato individuato dalla giurisprudenza nel cosiddetto danno alla produttività. Esso è costituito da un danno tale, alle persone o ai macchinari o ai locali aziendali, che non consenta di riprendere l'attività lavorativa una volta che sia cessato lo sciopero. La giurisprudenza, invece, ritiene che sia sempre insito nello sciopero e che sia legittimo il danno alla produzione, che è la perdita economica sopportata dal datore di lavoro durante lo sciopero, come sancito dalla sopraindicata sentenza della Corte di Cassazione n. 711 del 30 gennaio 1980;
   limitandosi a citare solo alcune leggi a riguardo, il diritto di sciopero dei lavoratori subordinati è sancito dall'articolo 1, legge 15 luglio 1966, n. 604; dagli articoli 15, 16 e 28, legge 20 maggio 1970, n. 300; dall'articolo 3, legge 11 maggio 1990, n. 108 nonché dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (cosiddetto Jobs Act). A livello comunitario, lo sciopero è disciplinato dall'articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
   a giudizio degli interroganti, nella citata vicenda potrebbero profilarsi azioni che si pongono in contrasto con gli articoli 1, 4 e 36 della Costituzione italiana, riguardanti il diritto al lavoro ed a una retribuzione pari alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, con l'articolo 3, della Costituzione riguardante la prevenzione e il contrasto di qualsiasi forma di discriminazione nei confronti dei lavoratori e con l'articolo 21 che riconosce il diritto di opinione sul posto di lavoro e tutela e garantisce la piena e incomprimibile libertà di espressione e manifestazione del pensiero e il diritto all'informazione di tutti i cittadini, senza dover per questo rischiare la sospensione o il licenziamento;
   i rappresentanti S.I. Cobas, nel loro documento sottolineano che il ricorso della forza va sempre condannato. Nel caso specifico delle vicende sopraindicate e testimoniato dai numerosi filmati prodotti da manifestanti e giornalisti alla luce degli appena citati richiami legislativi, sarebbe evidente per gli interroganti l'abuso di potere commesso dalle forze dell'ordine nei confronti di manifestanti che nella stragrande maggioranza dei casi oppongono resistenza passiva nei riguardi degli affronti fisici ricevuti. Sempre a giudizio degli interroganti, si sarebbe palesato un abuso sin troppo gratuito ed inutile di violenza nei confronti di persone che rivendicano il loro diritto al lavoro che talvolta porta, nelle logiche delle violenze ricevute, inevitabili atti di reazione anche da parte di chi manifesta seppur in maniera passiva e non violenta. L'operazione di organizzare sit-in di protesta dinnanzi agli ingressi dell'azienda in oggetto al fine di bloccare i mezzi in entrata ed uscita, rientra nelle logiche delle situazioni di disperazione vissute dai lavoratori. Tali comportamenti, sono però da considerarsi come conseguenza di discussioni improduttive con la direzione dell'azienda da cui dipendono, il più delle volte non portata ad un dialogo serio e costruttivo con i lavoratori. Ed è proprio il necessario e produttivo dialogo tra lavoratori ed azienda a rendere illogico l'uso della forza da parte del personale intervenuto che, nella maniera corretta, dovrebbe per gli interroganti semplicemente vigilare senza produrre alcun intervento, peggio ancora se di tipo violento. In un contesto critico come quello appena esposto, ancor più grave risulta essere per gli interroganti la totale assenza del Governo che dovrebbe avere la funzione di mediare per la risoluzione definitiva del problema, riconoscendo i diritti dei lavoratori, compreso il loro non sfruttamento, e quelli di sciopero, così come sanciti dalla legge –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano assumere iniziative per quanto di competenza, al fine di interrompere quelle che, come indicato in premessa dai sindacati S.I. Cobas, risulterebbe per gli interroganti essere un uso eccessivo della forza pubblica nei confronti dei lavoratori della Cooperativa Feynman che, in funzione del diritto di sciopero così come sancito dalla legge e ancor più opponendo reazioni passive e non violente, non avrebbero ragione alcuna di intervenire sugli scioperanti;
   se non intendano, per quanto di competenza, promuovere un tavolo istituzionale che possa coinvolgere i dirigenti rappresentanti della Bormioli Rocco Spa e della Cooperativa Feynman, e i lavoratori della medesima azienda e tutte le rappresentanze sindacali interessate, al fine di chiarire le posizioni di tutte le parti e stabilire il giusto compromesso tra azienda e lavoratori che rivendicano i loro diritti;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali alla luce di quanto indicato in premessa, intenda valutare i presupposti per promuovere accurate ispezioni, coordinate dall'ispettorato del lavoro, nella sopraindicata sede di Fidenza della Bormioli Rocco Spa, assicurando che almeno un rappresentante per ogni sindacato presente nell'azienda accompagni gli ispettori per tutta la durata dell'ispezione in questione;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere per pervenire a un chiarimento sui criteri di rappresentatività aziendale e di settore, con riferimento alle organizzazioni sindacali;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere, per quanto di competenza, iniziative di carattere normativo al fine di introdurre una clausola sociale che rafforzi le garanzie di cui all'articolo 2112 del codice civile, allo scopo di tutelare i posti di lavoro e i diritti sanciti dall'ordinamento costituzionale italiano. (5-08819)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 ha disposto la soppressione di INPDAP ed ENPALS, con contestuale subentro dell'INPS in tutti i rapporti attivi e passivi;
   in seguito al trasferimento presso l'INPS delle risorse umane, strumentali e finanziarie dei soppressi enti, l'Istituto nazionale di previdenza sociale ha provveduto al proprio riassetto organizzativo;
   con la circolare n. 31 del 25 febbraio 2013 l'INPS ha avviato una sperimentazione su scala nazionale del nuovo modello organizzativo;
   ciononostante, perché si passasse alla riorganizzazione dell'area metropolitana di Napoli si è dovuta attendere la circolare n. 170 del 16 dicembre 2014;
   nonostante il nuovo assetto organizzativo per l'Area metropolitana di Napoli sia stato lanciato con quasi due anni di ritardo dalla circolare con cui si avviava nazionalmente la sperimentazione, l'INPS locale sembra essere ancora in seria difficoltà nel gestire il complesso processo d'integrazione scaturito dalla soppressione di INPDAP ed ENPALS;
   verrà infatti completato solo nel giugno di quest'anno (un anno e mezzo dopo l'uscita della circolare n. 170 del 2014) il trasferimento della sede di via Ferraris a via De Gasperi, dove sono peraltro in corso ancora lavori abbastanza invasivi;
   altri uffici, tra cui il fondamentale centro medico legale, verranno spostati ai Camaldoli, in una zona estremamente difficile da raggiungere con i mezzi pubblici e che dovrebbe occuparsi di un'utenza enorme, che comprenderebbe finanche gli abitanti delle isole della provincia napoletana;
   peraltro, i lavori di ristrutturazione dello stabile ai Camaldoli sono attualmente fermi;
   intanto, nello stabile di via Ferraris, ormai ceduto ma in cui i dipendenti attualmente continuano a lavorare, a quanto risulta all'interrogante sarebbero in corso lavori finalizzati alla messa a norma dello stabile: ciò pone, secondo l'interrogante, seri dubbi sul rispetto delle norme di sicurezza da parte dell'INPS in questi anni;
   sono comunque evidenti le conseguenze negative che l'evidente disorganizzazione ed il ritardo con cui l'INPS dell'area metropolitana di Napoli sta facendo fronte al percorso di riorganizzazione avviato nel 2013 nazionalmente stanno provocando a dipendenti ed utenza;
   le organizzazioni sindacali avevano, più volte negli scorsi mesi segnalato le disfunzioni a cui si sarebbe andati incontro e che a mano a mano emergevano, ma le scelte della dirigenza sembrano all'interrogante essere dettate dalla sola volontà di contenere i costi, senza alcuna attenzione alle necessità di dipendenti ed utenza –:
   quali iniziative intenda assumere per risolvere una situazione locale che sta riversando i suoi problemi su dipendenti ed utenza impedendo a migliaia di persone un agevole accesso ai servizi forniti dall'INPS. (4-13353)


   ATTAGUILE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori degli enti di formazione professionale in Sicilia stanno attraversando un grave momento di crisi a causa dell'incertezza occupazionale connessa ad una gestione amministrativa, contabile e finanziaria della formazione professionale siciliana che, di fatto, ha determinato la perdita del proprio posto di lavoro;
   con una lettera al Presidente della Repubblica, una al Premier ed al Ministro del lavoro e delle politiche sociali ed un esposto alla Corte dei Conti i suddetti lavoratori denunciano i procedimenti di mobilità collettiva «dai profili procedurali altamente censurabili» che hanno portato alla perdita dell'occupazione;
   la formazione professionale viene cofinanziata dal fondo sociale europeo, dalle regioni e dalle province, per cui la regione siciliana, per l'attuazione di formazione professionale, ha ricevuto ed utilizzato i finanziamenti regionali, nazionali e comunitari;
   attraverso i finanziamenti del Fondo sociale europeo, a parere dell'interrogante, si sarebbe dovuta garantire la continuità occupazionale dei lavoratori in questione ed invece le garanzie occupazionali di cui alla normativa sopra richiamata, non sono state applicate per mancanza di fondi;
   la poca chiarezza nell'utilizzo delle risorse per la formazione professionale è stata oggetto anche di un servizio televisivo nella trasmissione Report del 9 dicembre 2012;
   dal polverone mediatico è emerso l'erroneo utilizzo della cassa integrazione in deroga e di altre similari soluzioni, giacché si sarebbe dovuto provvedere a tutelare i lavoratori del sistema formativo attraverso il fondo di garanzia espressamente previsto e non implementato per mancanza di fondi –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo in relazione a quanto esposto in premessa a tutela dei lavoratori del settore colpiti da procedure di licenziamento che hanno lasciato per strada migliaia di famiglie. (4-13358)


   CARUSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie in possesso dell'interrogante l'azienda Poste Italiane spa, come noto partecipata dallo Stato, ha revocato a partire dal 17 marzo 2016 i permessi sindacali retribuiti – dapprima attribuiti e goduti e poi di seguito revocati – alla «Federazione nazionale comunicazioni UGL comunicazioni» con sede legale in Roma in via Volturno n. 40 firmataria del contratto collettivo Poste Italiane spa e dotata di rappresentatività oltre il 5 per cento come documentalmente risultante alla stessa azienda dalle deleghe sindacali in possesso della medesima;
   i lavoratori dipendenti di Poste Italiane spa hanno conferito espresso mandato di rappresentanza e delega esclusivamente alla «Federazione nazionale comunicazioni UGL comunicazioni» con sede legale in Roma in via Volturno n. 40;
   la revoca dei permessi sindacali retribuiti sarebbe stata giustificata da Poste Italiane spa sulla base di una presunta situazione di incertezza in ordine all'identificazione del legale rappresentante della «Federazione nazionale comunicazioni UGL comunicazioni» e dei legittimi fruitori dei permessi sindacali retribuiti, e ciò sulla base di quanto comunicato dalla Confederazione Ugl che attribuisce alla propria e diversa associazione sindacale denominata «Federazione nazionale Ugl comunicazioni» la rappresentatività sindacale pur essendo quest'ultima sprovvista di qualsivoglia iscritto, delega sindacale e/o rappresentante con esclusione del «reggente», signor Ermenegildo Rossi nominato dalla medesima Confederazione Ugl e dipendente della società Alitalia;
   in realtà tale sospensione dei permessi sindacali retribuiti operata dalla società Poste Italiane spa sta arrecando un gravissimo pregiudizio unicamente alla «Federazione nazionale comunicazioni UGL comunicazioni» con sede legale in Roma in via Volturno n. 40 – da non confondere lessicalmente per una pseudo parziale omonimia con la «Federazione nazionale Ugl comunicazioni» – atteso che la prima è l'unica organizzazione sindacale ad avere una diffusione capillare su tutto il territorio nazionale, ad essere presente in 82 province italiane con i propri rappresentanti ed oltre ad avere 1.000 fruitori di permessi sindacali a questo punto sospesi, con un provvedimento di dubbia legittimità dal responsabile delle relazioni industriali di Poste Italiane spa;
   sempre secondo notizie in possesso dell'interrogante, i predetti fatti sarebbero oggetto di un esposto all'Autorità nazionale anticorruzione, nonché di giudizi pendenti dinanzi ai tribunali competenti stante, secondo l'interrogante la dubbia legittimità della condotta di Poste Italiane spa;
   ciò che turba e che lascia perplessi in questa sede è la condotta disinvolta di Poste Italiane spa, partecipata dallo Stato, la quale, ad avviso dell'interrogante, senza alcun valido motivo omette di verificare – nonostante a ciò più volte diffidata – a chi competa l'effettiva rappresentatività sindacale sulla base delle deleghe in suo possesso, favorendo così di fatto ingiustificatamente una diversa organizzazione sindacale che, seppur priva di rappresentanti e rappresentatività, ha ottenuto la sospensione dei permessi sindacali a danno della «Federazione nazionale comunicazioni UGL comunicazioni» alla quale è di fatto impedito l'esercizio dell'attività sindacale;
   tale condotta – che espone la società a partecipazione pubblica al rischio di essere condannata ad un risarcimento nei confronti della danneggiata «Federazione nazionale comunicazioni UGL comunicazioni» – appare assolutamente ingiustificata e ci si chiede come sia possibile che ciò sia avvenuto in una vicenda che vede contrapposta una Confederazione sprovvista di qualsivoglia rappresentanza e rappresentatività all'interno dell'azienda Poste Italiane spa ad una organizzazione sindacale, autonoma associazione di diritto privato, i cui requisiti di rappresentatività sono documentati e in possesso e a disposizione della medesima Poste Italiane spa –:
   quali tempestive iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intendano intraprendere al fine di accertare se – in relazione alla vicenda sopradescritta – Poste Italiane spa, abbia tenuto una condotta corretta, con particolare riferimento alla verifica della rappresentatività sindacale sulla base della documentazione in suo possesso, prima di procedere a revocare i permessi sindacali retribuiti alla «Federazione nazionale comunicazioni UGL comunicazioni». (4-13359)


   ARLOTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica di San Marino non ha aderito al regolamento (CE) n.1606/98 e la normativa vigente in quello Stato non prevede l'applicazione di Convenzioni bilaterali per la totalizzazione dei contributi dei dipendenti pubblici versati all'ISS (Istituto per la sicurezza sociale) di San Marino con quelli versati alla cassa dipendenti pubblici (ex INPDAP ora INPS) della Repubblica Italiana;
   i dipendenti pubblici italiani che hanno svolto attività lavorativa nel Servizio pubblico della Repubblica di San Marino e volesse rendere utile a pensione il servizio prestato a San Marino, possono farlo solo a mezzo di riscatto oneroso in qualità di lavoro all'estero;
   nella nota dell'Inps del 10 luglio 2015 si riferisce che i rappresentanti dell'Istituto di sicurezza sociale di San Marino ed alcuni dirigenti dell'area Servizi dell'Inps per le prestazioni in regime internazionale si sono incontrati per un'eventuale estensione ai dipendenti pubblici del campo d'applicazione soggettivo della convenzione bilaterale; alle dichiarazioni d'intenti o però, non e stato ad oggi dato un seguito, e dalle informazioni ricevute, non sembra essere in programma un percorso finalizzato all'applicazione di tali misure;
   va evidenziato inoltre che anche alla luce della «riforma Fornero» che ha allungato il tempo di permanenza al lavoro, coloro che desiderassero accedere alla pensione rischiano di trovarsi doppiamente penalizzati, data anche la possibile difficoltà di sostenere l'onere di riscatto eventualmente richiesto –:
   da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali realmente esista una volontà concreta di intraprendere tale percorso finalizzato all'applicazione della convenzione bilaterale per la totalizzazione dei contributi dei dipendenti pubblici versati all'ISS di San Marino con quelli versati alla cassa dipendenti pubblici (ex INPDAP ora INPS) della Repubblica Italiana. (4-13374)


   CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Nuova Siet, con sede a Taranto, è una società d trasporti che si occupava, dal 1971, di lavori di movimentazione stradale e dei trasporti per conto dell'Italsider;
   nel febbraio del 1999, il gruppo Riva proprietaria dell'Ilva di Taranto acquisì tutti i beni aziendali e il trasferimento di circa 300 lavoratori della società Nuova Siet;
   contestualmente, il gruppo Riva toglieva alla Nuova Siet tutti gli appalti, costringendola quindi a cedere all'Ilva stessa tutti i beni aziendali e i macchinari;
   inoltre, procedeva con i licenziamenti di tutti i 300 lavoratori per riassumerli il giorno successivo nella nuova azienda, che nel frattempo diventava «interna» all'Ilva;
   il gruppo Riva proponeva ai lavoratori della Nuova Siet di rientrare azienda sulla base di nuovi contratti al ribasso rispetto a quelli precedenti fino a riduzione di salari del 50 per cento costringendoli ad accettare condizioni estremamente inique, dequalificando le mansioni esercitate sino all'acquisizione dell'azienda, richiedendo comunque che svolgessero le stesse attività svolte prima dell'assorbimento e quindi non riconoscendo loro lo status giuridico che avevano maturato fino a quel momento;
   di fatto, anche secondo accordi sindacali, i lavoratori dovevano passare direttamente alla nuova azienda, continuando a percepire lo stesso compenso che percepivano prima dell'assorbimento nel gruppo Ilva;
   considerate le condizioni prospettate dal gruppo Riva ai lavoratori della Nuova Siet, veniva presentato un esposto da parte dello SLAI Cobas presso la procura della Repubblica di Taranto;
   la procura di Taranto pertanto a seguito delle indagini rinviava a giudizio – accusati di truffa ai danni dell'Inps, estorsione e tentata estorsione nei confronti dei dipendenti dell'azienda che nel 1999 passò al gruppo siderurgico – il gruppo Riva e il 20 marzo 2007 in primo grado il tribunale di Taranto, giudice Annamaria La Stella, condannava a quattro anni di reclusione il presidente del gruppo Riva, Emilio Riva, e suo figlio Claudio, a tre anni;
   i condannati nell'anno 2009 ricorrevano poi in corte d'appello ottenendo la sentenza di assoluzione;
   nell'anno 2011, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione di Roma annullava senza rinvio la sentenza di assoluzione della corte d'appello nei confronti di Emilio e Claudio Riva, accusati di truffa ai danni dell'Inps, estorsione e tentata estorsione nei confronti dei dipendenti dell'ex azienda Nuova Siet;
   i giudici, decretando la prescrizione del reato (riqualificato in truffa aggravata e continuata), hanno al contempo riconosciuto il diritto dei lavoratori al risarcimento del danno e hanno rimesso gli atti al giudice del lavoro;
   poiché il gruppo Riva si faceva riconoscere i benefici contributivi previsti per le aziende che assumono lavoratori in lista di mobilità e contrariamente otteneva dai lavoratori le stesse prestazioni pagandole di meno, l'Inps si costituiva parte civile;
   per effetto della sentenza della Corte di Cassazione all'Inps veniva riconosciuto il danno della mancata contribuzione previdenziale e di conseguenza l'istituto avrebbe emesso cartelle esattoriali per diversi milioni di euro nei confronti del gruppo Ilva –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se sia possibile adottare iniziative per quanto di competenza, affinché l'INPS – nelle more del recupero dei contributi previdenziali richiesti mediante le cartelle esattoriali nei confronti del gruppo Riva – possa imputare e riconoscere, ai lavoratori della Nuova Siet coinvolti, i contributi previdenziali mai versati dal gruppo Riva;
   se non ritengano necessario e urgente adottare opportune iniziative, per quanto di competenza, affinché i lavoratori della Nuova Siet possano vedersi garantita l'indennità di pensione – anche con eventuali deroghe all'attuale normativa vigente, la cosiddetta «legge Fornero» – consentendo così agli stessi una condizione migliorativa dopo anni di battaglie giudiziarie, ancora non concluse, per vedersi riconosciuti i propri diritti dopo aver adempiuto i propri doveri con una vita dedicata al lavoro.
(4-13388)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da fonti di stampa, in data 2 giugno 2016, che la procura di Novara ha chiesto ventisette rinvii a giudizio per il «caso Est Sesia». Al vaglio del giudice ci sarebbero 41 capi di imputazione per reati dall'associazione per delinquere alla truffa, dal peculato al falso in atto pubblico, dalla turbativa d'asta all'abuso d'ufficio;
   tra i personaggi rinviati a giudizio risulta esserci anche il comandante nazionale del Corpo forestale dello Stato, Cesare Anselmo Patrone, che nel 2012 nel ruolo di componente di una commissione di collaudo per lavori ai ponti sul canale Quintino Sella avrebbe redatto un verbale falso; nell'ambito del procedimento penale il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha manifestato l'intenzione di costituirsi parte civile;
   già dal 2015 erano stati presentati diversi atti di sindacato ispettivo nei quali si evidenziavano le criticità connesse alla modalità della sua nomina a capo del Corpo forestale dello Stato, alla permanenza al vertice della struttura per oltre 12 anni a partire dal 2004, alla circostanza che durante tale arco temporale sia risultato coinvolto in inchieste e procedimenti giudiziari dai quali emergono molteplici profili che avrebbero reso consigliabile un suo avvicendamento;
   il 27 settembre 2015 il Fatto quotidiano ha pubblicato un'intercettazione telefonica risalente al 24 agosto 1994, che vedrebbe coinvolti l'avvocato Cipriano Chianese, considerato dalla procura di Napoli il presunto inventore dell'ecomafia in Campania, e l'attuale capo del Corpo forestale dello Stato, Cesare Patrone, da cui emergerebbe una certa familiarità tra i due; familiarità denunciata per la prima volta in un'informativa depositata nel 2013 dal poliziotto Roberto Mancini, ammalatosi di tumore per aver fronteggiato la criminalità ambientale e morto nell'aprile 2014. Nel gennaio 2015, il Ministero dell'interno lo ha riconosciuto vittima del dovere;
   nel 1994 Cesare Patrone era già un funzionario del Corpo forestale dello Stato e Cipriano Chianese era un avvocato imprenditore della provincia di Caserta, che, seppur prosciolto dal giudice dell'udienza preliminare, nonostante «il contributo causale reso dallo stesso fosse stato pacificamente ammesso», era già stato arrestato per associazione mafiosa, perché coinvolto nel traffico illecito dei rifiuti campani;
   ad una richiesta di chiarimenti in Commissione d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, da parte del deputato del MoVimento 5 Stelle, Francesco D'Uva, in merito ai suoi rapporti con Chianese, a luglio 2015 Cesare Patrone rispose «non ricordo assolutamente chi sia Chianese, non ricordo di averlo incontrato venti o trent'anni fa». Un'affermazione che, alla luce di quanto documentato da il Fatto quotidiano, parrebbe essere del tutto falsa;
   oltre a quanto sopra esposto, si ricorda che in data 13 agosto 2015, sulla Gazzetta Ufficiale n. 187, è stata pubblicata la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», il cui articolo 8, comma 1, lettera a), prevede, tra l'altro, l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia;
   il Consiglio dei ministri, nel corso della riunione n. 101 del 20 gennaio 2016, ha approvato, in esame preliminare, uno schema di decreto legislativo recante l'assorbimento di parte del personale del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri. L'articolo 12, comma 2, di tale schema di decreto stabilisce che: «Il Capo del Corpo forestale dello Stato, con proprio provvedimento (...) individua, sulla base dello stato matricolare, l'Amministrazione, tra quelle indicate al comma 1, presso la quale ciascuna unità di personale è destinata a transitare (...)»; questo significa che l'ingegner Cesare Patrone deciderà autonomamente il destino di circa 7.000 uomini e donne del Corpo forestale dello Stato;
   tutte le sigle sindacali rappresentanti gli uomini e le donne del Corpo forestale dello Stato, per quanto sopra citato, hanno espresso forti perplessità sul ruolo di Cesare Anselmo Patrone quale comandante nazionale del Corpo forestale dello Stato e sulla sua responsabilità nella gestione della fase di transizione;
   il citato schema di decreto legislativo è stato annunciato all'Assemblea della Camera dei deputati il 26 maggio 2016 (atto n. 306) ed assegnato alle Commissioni I affari costituzionali e IV difesa, V bilancio, Commissione parlamentare per la semplificazione e il termine dell’iter è stato fissato al 25 luglio 2016 –:
   se, anche alla luce degli ultimi eventi giudiziari di cui in premessa, non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per procedere all'immediata sostituzione dell'ingegnere Cesare Patrone nell'incarico di comandante nazionale del Corpo forestale dello Stato in tempo utile per lo svolgimento degli adempimenti del decreto sopra citato e alla revoca immediata dell'incarico dell'ingegner Cesare Patrone quale coordinatore del gruppo di lavoro sulla «Terra dei fuochi». (3-02298)


   COVA, CARRA, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, CAPOZZOLO, CUOMO, DAL MORO, FALCONE, FIORIO, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, SANI, TARICCO, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la filiera nazionale suinicola, con circa 4.000 allevamenti, 70 macelli e 200 prosciuttifici è un settore di forte rilevanza economica, ma sta vivendo negli ultimi anni un periodo di grande difficoltà con continue chiusure di allevamenti; si è assistito anche ad una contrazione della consistenza delle scrofe attive nel circuito tutelato, dovuta in parte all'adeguamento alle normative europee in materia di protezione e benessere animale introdotte dalla direttiva 2008/120/CE;
   ad un aumento complessivo dei capi macellati, ad un peso vivo superiore a 160 chilogrammi, ha corrisposto un andamento in controtendenza delle macellazioni di suini pesanti certificati per la produzione dei salumi dop. Infatti, le macellazioni dei dop sono diminuite nel 2014 del 3 per cento;
   il valore della produzione suinicola è stata superiore ai 2 miliardi di euro e nell'anno 2014 l’export di salumi ha raggiunto un valore di circa 1,2 miliardi di euro, con un bilancio attivo di circa 1 miliardo di euro; in Italia, nel 2014, sono stati allevati, macellati circa 8.700.000 suini e di questi sono stati certificati 7.930.000 suini del circuito dop;
   risulta evidente la rilevanza economica e numerica della filiera dop e la conseguente necessità di migliorare la gestione aziendale attraverso una diffusa consulenza agronomica e veterinaria per consentire agli allevatori dei suini di migliorare le proprie produzioni, valorizzare gli investimenti, aumentare le produzioni, ridurre i costi di gestione e contemporaneamente migliorare la riproduzione delle scrofe, il contenimento della mortalità neonatale dei suinetti, garantire il loro accrescimento secondo i disciplinari per evitare scarti;
   il prosciutto dop arriva a coprire poco più del 50 per cento dell'intera carcassa suina macella, è necessario valorizzare anche i tagli differenti dai prosciutti nella filiera delle dop, poiché, se anche i prosciutti cotti, pancette, salumi e mortadelle acquistassero un valore aggiunto come prodotti provenienti da una filiera dop o inseriti come igp, il valore finale della carcassa dei suini sarebbe maggiore e gli allevatori avrebbero un maggiore ritorno economico;
   è necessario promuovere anche una filiera suinicola che non si basi solamente sul «suino pesante italiano» e che offra al consumatore dei tagli, salumi, insaccati o prosciutti di qualità provenienti da allevamenti italiani e trasformati in Italia;
   l'istituzione della Commissione unica nazionale suini non sta dando i risultati attesi e il prezzo viene fissato in modo unilaterale da parte degli allevatori e non viene poi rispettato, soprattutto da parte dei macellatori e dei trasformatori –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di adottare le iniziative di competenza volte alla revisione del sistema di funzionamento della Commissione unica nazionale suini per ridare slancio alla filiera, attraverso soprattutto un rafforzamento delle gestioni aziendali e la valorizzazione dell'intero animale sul mercato di qualità.
(3-02299)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PANNARALE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Puglia è la prima regione produttrice di ciliegie in Italia con una media di circa 400-500 mila quintali l'anno, su una superficie coltivata di circa 20 mila ettari (circa il 40 per cento della produzione cerasicola italiana);
   la produzione regionale pugliese, risulta concentrata nella provincia di Bari che da sola concorre per il 96 per cento circa alla produzione totale regionale con le sue 47 mila tonnellate prodotte ogni anno; infatti, quella di Bari è la prima provincia italiana per la produzione di ciliegie, raccogliendo oltre il 34 per cento della produzione nazionale, questa è concentrata in circa 17 mila ettari;
   circa il 70 per cento della produzione provinciale di ciliegie, si realizza nella zona del sud-est barese che interessa i comuni di Conversano, Turi, Sammichele, Castellana Grotte, Putignano, Noci, Alberobello, Casamassima, Acquaviva delle Fonti e Gioia del Colle;
   in molti di questi comuni, l'economia agricola si basa proprio sulla coltura del ciliegia che rappresenta una voce rilevante del prodotto interno lordo di questo territorio infatti ben oltre il 40 per cento del territorio agricolo di questo comprensorio è rappresentato da impianti cerasicoli (ISTAT 2010);
   le temperature verificatesi questo inverno, classificato come il più caldo di sempre a livello climatologico, facendo registrare una temperatura media sulla superficie della terra e degli oceani, addirittura superiore di 1,13 gradi rispetto alla media del ventesimo secolo, hanno fatto sentire i loro effetti anche nella zona del sud-est barese, privando le piante di ciliegio di quei valori bassi (freddi invernali) indispensabili per la successiva formazione dei frutti, condizione necessaria per tutte le Drupacee (pesco, susino, albicocco, ciliegio e mandorlo) al cui gruppo la coltura del ciliegio appartiene, condizione naturale che quando non è rispettata a causa di temperature elevate nei mesi invernali (gennaio-febbraio) ha come conseguenza un calo drastico della produzione;
   questo fenomeno climatologico eccezionale (alte temperature invernali) abbinato al calo del 22 per cento delle precipitazioni registrate nei mesi da gennaio ad aprile del 2016 ha sconvolto le coltivazioni di ciliegio, riducendo in modo significativo (anche oltre il 60 per cento) la produzione delle varietà precoci di ciliegio nel comprensorio del sud-est barese, questo sia per mancata allegagione (formazione) dei frutti sia per la mancata invaiatura (crescita e colorazione) e successiva maturazione degli stessi, rendendoli così non commerciabili;
   a questo fenomeno si sono aggiunti i gravi danni provocati dagli eventi calamitosi quali piogge torrenziali e grandinate di portata eccezionale associate ai cali repentini delle temperature sino a toccare valori invernali, verificatesi nel mese di maggio che non hanno lasciato scampo «all'oro rosso» di Puglia, azzerando quasi del tutto la futura maturazione e commercializzazione delle varietà medio-tardive, tra cui la pregiata «Ferrovia di Turi», produzione tipica e di alta qualità della provincia di Bari, un frutto molto delicato destinato esclusivamente al consumo fresco in Italia e, principalmente all'estero; per questa destinazione le drupe devono essere mantenute integre nella pezzatura, nella compattezza e nel sapore, tutte caratteristiche compromesse da questa ondata di clima anomalo che ha reso i frutti deformi, piccoli, insipidi, spaccandoli ed esponendoli così a successivi attacchi da parte di patogeni vegetali, tutte cause queste che rischiano di mettere sul lastrico l'intera economia di un comprensorio, oltre a compromettere in modo definitivo la produzione futura di quella che viene definita una eccellenza del made in Italy;
   risulta all'interrogante che il 13 maggio 2016, a firma del sindaco del comune di Turi, è stata recapitata all'assessorato regionale all'agricoltura, la richiesta di attivazione dello stato di calamità per i mancati freddi invernali e la conseguente mancata allegagione dei ciliegi e delle drupacee in generale. È importante sottolineare come nel documento non sia stato menzionato nessun altro tipo di evento calamitoso (come, per esempio, le piogge prolungate ed il conseguente cracking) che avrebbero meglio descritto la serie di eventi climatici che ha coinvolto il comprensorio del sud-est barese e i reali da i provocati e sofferti dagli operatori del settore;
   il 17 maggio 2016 l'assessorato alla agricoltura ha inviato il suo perito il quale ha riscontrato la mancata allegagione di ben oltre il 60 per cento del prodotto cerasicolo –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere per far fronte alla drammatica situazione del comparto cerasicolo del sud-est barese illustrata in premessa;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo non intenda assumere iniziative per procedere alla dichiarazione dello stato di calamità naturale per il territorio interessato verificando con maggiore certezza e puntualità la reale portata dei danni subiti dagli operatori del settore. (4-13351)


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 11 febbraio 1992, n. 157 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» si prevede, all'articolo 3, il divieto di uccellagione: «È vietata in tutto il territorio nazionale ogni forma di uccellagione e di cattura di uccelli e di mammiferi selvatici, nonché il prelievo di uova, nidi e piccoli nati.». Inoltre, l'articolo 4, «Cattura temporanea e inanellamento», detta disposizioni particolari al comma 3, così come sostituito dall'articolo 21, comma 1, legge 29 luglio 2015, n. 115, per l'attività di cattura per l'inanellamento è per la cessione ai fini di richiamo; mentre il comma 4, così come modificato dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116, dispone che la cattura per la cessione a fini di richiamo è consentita solo per esemplari appartenenti alle seguenti specie e, dunque, gli esemplari appartenenti ad altre specie eventualmente catturati devono essere inanellati ed immediatamente liberati;
   il fenomeno del bracconaggio è, comunque, pressoché diffuso in modo abbastanza uniforme su tutto il territorio nazionale anche se, nel sud Italia, il prelievo di piccola avifauna sembra caratterizzato dalla destinazione a «canori in gabbia»;
   diversi sono stati e continuano ad essere gli interventi delle forze dell'ordine per reprimere tali pratiche ma sembra vi siano alcuni luoghi dove la vendita per strada di questi uccelli avviene con regolarità ed in sfregio alle legge;
   uno di questi luoghi è proprio il mercato storico di Ballarò a Palermo dove, ogni settimana si assiste alla vendita, da parte di bracconieri di centinaia di uccelli, prevalentemente appartenenti alla fauna selvatica, quindi protetti dalle legislazione nazionale e comunitaria;
   di tale pratica illegale parlano ciclicamente sia la stampa che i network televisivi soprattutto in occasione degli interventi delle forze dell'ordine che, però, non sembrano sortire alcun effetto visto che, come nel caso di Palermo, la settimana successiva il fenomeno di ripresenta tale e quale;
   l'entità dei traffici abusivi di uccelli riscontrati su tutto il territorio evidenzia la scarsa attenzione del nostro Paese nei confronti della tutela della fauna selvatica e la costante violazione delle norme –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fenomeno sopra esposto e quali iniziative intendano intraprendere per porre fine a tali pratiche illegali assicurando la tutela della fauna selvatica. (4-13368)


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   fra le varie specializzazioni del Corpo Forestale dello Stato, spicca il servizio a cavallo, con tre sedi istituzionali di riferimento: per l'Italia del Sud in località Galeone, presso la riserva naturale delle Murge Orientali (ufficio territoriale per la biodiversità di Martina Franca – (TA); per il Centro Italia, presso la sede staccata della scuola CFS della Marsiliana (GR); per il Nord, presso la riserva naturale di popolamento animale «Vincheto di Celarda» (ufficio territoriale per la biodiversità di Belluno), dove ha sede il reparto a cavallo del Veneto;
   nel 2002 il Corpo forestale dello Stato ha riorganizzato, disciplinato e reso più operativo il servizio a cavallo che vede 20 reparti distribuiti nei parchi nazionali italiani. Per lo svolgimento del servizio a cavallo, il personale deve conseguire la specializzazione di cavaliere dopo aver superato un apposito corso di addestramento;
   le pattuglie forestali a cavallo assicurano il controllo del territorio soprattutto nelle aree rurali e montane del Paese, con il compito prioritario di gestire e salvaguardare il patrimonio boschivo nazionale. Tra i compiti principali ci sono: la sorveglianza dei boschi e delle aree di interesse naturalistico; la conservazione e il controllo delle aree protette di rilevanza nazionale ed internazionale; il contrasto alle violazioni delle norme di tutela della fauna e della flora; l'attività di polizia ambientale finalizzata alla pubblica sicurezza; la prevenzione degli incendi boschivi; la salvaguardia dei luoghi ad alta fruizione turistica; i servizi antibracconaggio e la ricerca dei dispersi nelle situazioni ambientali tra le più difficili e su terreni accidentati;
   in collaborazione con la polizia di Stato, nell'ambito del progetto «Parchi sicuri», viene svolto inoltre il servizio a cavallo nei principali parchi urbani e periurbani nelle città di Roma, Firenze, Napoli, Pisa, Grosseto, Asiago, Cortina e Bibione;
   con il proprio «Reparto d'onore» a cavallo, il Corpo forestale dello Stato interviene inoltre alle celebrazioni annuali per la fondazione della Repubblica e nelle più importanti cerimonie e manifestazioni, civili, militari e religiose;
   per l'allevamento e la preparazione dei cavalli in servizio, il Corpo forestale dello Stato si avvale dei propri centri di selezione (istituiti presso le strutture degli uffici territoriali per la biodiversità di Follonica (GR), Pieve S. Stefano (AR), Siena e Belluno per la razza maremmana e di Martina Franca (TA), Potenza e Cosenza per la razza murgese), che hanno consentito la conservazione del germoplasma delle razze equine autoctone, in particolare delle razze «maremmana» e «murgese»;
   con decreto ministeriale 4 aprile 2013 c’è stato il riordino del servizio a cavallo del Corpo forestale dello Stato, con cui sono stati previsti:
    a) la riduzione delle sedi di reparto, con la soppressione di 11 sedi. Delle 17 sedi di reparto a regime rimaste, 12 sono presso UTB, 3 presso CTA con oneri a carico di enti parco, 2 presso comandi stazione forestali;
    b) la riduzione del 52,5 per cento degli specializzati in servizio e del 61,4 per cento rispetto al totale dei cavalieri formati: il servizio a cavallo è diventato non esclusivo ma prioritario e continuativo, con conseguente possibilità di impiego del personale anche in altre attività;
    c) la riduzione da 7 a 3 dei centri di selezione equestre per la produzione di puledri per il servizio d'istituto a cavallo;
   presso il centro equestre del Corpo forestale dello Stato «Il Galeone», il metodo di addestramento del cavallo murgese della «doma dolce», esportato presso tutti gli altri centri di addestramento della Forestale, ha portato al raggiungimento di importanti risultati: il cavallo salta in maneggio senza testiera, morso e redini; passa senza timore su piattaforme instabili, passa in tranquillità anche in presenza di elementi di disturbo come il contatto con fasce multicolori sventolanti e cordoni di plastica multicolore. Il metodo della «doma dolce» o metodo «naturale» di addestramento, è stato possibile in quanto praticato su puledri nati, allevati, selezionati e addestrati nell'ambito della stessa struttura nella quale è stata realizzata l'intera «filiera» produttiva e di utilizzo, unico esempio tra i Corpi dello Stato. La filiera, partendo dalla selezione degli accoppiamenti, passa attraverso fasi di imprinting, post imprinting, pre addestramento e addestramento, mirati alla valorizzazione delle caratteristiche della razza e alla selezione attitudinale mirata ai servizi di polizia. Una parte dei cavalli riceve un ulteriore addestramento per i servizi di rappresentanza o per servizi di ordine pubblico;
   il centro ippico di Salet a Sedico (BL) è il centro di selezione della razza maremmana e di primo addestramento dei cavalli, poi inviati al reparto a cavallo di Celarda (BL) che effettua il secondo addestramento, con raggiungimento di ottimi livelli di standard comportamentale e caratteriale del cavallo, e per l'addestramento dei cavalieri;
   fino al 2014 il reparto a cavallo del Corpo forestale dello Stato di Celarda (BL), nel quale si concentrano tutte le attività del reparto a cavallo del Veneto, era costituito da 8 persone in pianta stabile: 4 guardie forestali e 4 cavalieri, quest'ultimi poi trasferiti ad altri reparti o andati in pensione. Da qualche tempo il reparto a cavallo di Celarda è privo di personale specialistico presso quella sede, tanto che il comando regionale Corpo forestale dello Stato del Veneto è costretto ad inviare saltuariamente del personale con la specializzazione di cavaliere, proveniente da altri reparti, per fare movimentazione e addestramento dei 12 cavalli presenti, fare addestramento personale e organizzare i servizi di rappresentanza;
   i cavalli maremmani addestrati a Celarda vengono assegnati ai reparti temporanei istituiti durante la stagione turistica estiva per il controllo di un vasto territorio prevalentemente montuoso ma molto frequentato dai turisti: altipiano di Asiago (VI), Cortina e Cadore (BL), la zona del Tarvisio (UD), e servizio in spiaggia a Bibione e S. Michele in Tagliamento (VE), 2 cavalli restano a Celarda per l'addestramento di cavaliere e animale;
   al reparto a cavallo di Celarda sarebbe necessaria la presenza in pianta stabile di personale con la qualifica di cavaliere – ormai del tutto assente – per mantenere efficiente questo servizio specialistico di riferimento per il Nord Italia e per il Veneto: basterebbe integrare in pianta stabile, soprattutto nel periodo da aprile a novembre, un numero minimo di personale con la specializzazione di cavaliere per non disperdere un servizio utile ed apprezzato sul territorio e mantenere efficienti delle strutture, mezzi, maestranze e cavalli presenti e attivi da molti anni con un ottimo standard di qualità –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti su esposti e quali iniziative si intendano assumere in merito, considerando il ruolo importante che ricopre il servizio di reparto a cavallo del Corpo Forestale dello Stato, soprattutto nel presidio e la tutela di territori impervi e molto vasti, dove altri mezzi avrebbero difficoltà o sarebbero impossibilitati a muoversi;
   se intendano assumere iniziative, anche di carattere normativo, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, per tutelare e incentivare l'allevamento e l'addestramento di cavalli di razza pura, selezionati appositamente per svolgere servizi di polizia, rappresentanza e ordine pubblico;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per rivedere l'attuale normativa del Corpo forestale dello Stato per quanto riguarda il sistema della piante organiche, che impedisce la possibilità di integrare il personale nelle sedi di posti fissi. (4-13396)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazioni a risposta immediata:


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   il fondo per le politiche della famiglia istituito nel 2007 prevedeva inizialmente anche il sostegno alle adozioni internazionali, mentre adesso tale sostegno dovrebbe essere coperto dal fondo per le adozioni internazionali istituito appositamente assieme alla relativa Commissione;
   attualmente la Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è l'autorità centrale in materia di adozioni internazionali nel nostro Paese e garantisce che le adozioni dei bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione dell'Aja del 1993;
   il fondo per le adozioni internazionali aveva come unica finalità il rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione del minore straniero e, come ribadito dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in audizione in Commissione giustizia alla Camera dei deputati, è necessario «valutare con attenzione la necessità di sostenere lo sforzo delle famiglie per giungere alle adozioni rafforzando le specifiche agevolazioni fiscali già previste per le spese sostenute nei casi di adozioni internazionali (...) come occorrerebbe garantire sul piano ordinamentale la rimozione di ogni ostacolo economico e sociale che possa rendersi d'impedimento all'accesso all'adozione, in armonia con il disposto dell'articolo 3, secondo comma, della Costituzione»;
   nel corso dell'audizione di cui in premessa si è inoltre sottolineata «la necessità di un efficientamento delle procedure di adozione, in una prospettiva di semplificazione e di riduzione delle tempistiche e di contenimento della spesa»;
   essendo stato costituita la Commissione per le adozioni internazionali, il fondo per le adozioni internazionali si sarebbe dovuto utilizzare per lo scopo per il quale è stato istituito e già nel 2013 le famiglie che hanno adottato minori nell'anno 2011 – che hanno regolarmente depositato nei tempi previsti dalla legge la documentazione necessaria al fine di vedersi corrisposta la quota parziale di rimborso – hanno chiesto alla Commissione per le adozioni internazionali informazioni circa i tempi e le modalità previsti per il rimborso delle spese per le adozioni internazionali sostenute, ricevendo in risposta dalla Commissione per le adozioni internazionali che era stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il «fondo per il sostegno delle adozioni internazionali», finalizzato al rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione;
   tuttavia i genitori adottivi sono dovuti spesso ricorrere ad altre forme di finanziamento vista la farraginosità e il costo elevato del percorso adottivo –:
   se il Ministro interrogato possa garantire che il fondo per le adozioni internazionali mantenga la finalità di rimborsare le spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione del minore straniero. (3-02295)


   SCOTTO, QUARANTA, D'ATTORRE, COSTANTINO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 ottobre 2014, quando la I Commissione della Camera dei deputati stava ancora esaminando il testo della riforma costituzionale in sede referente, il Ministero dell'economia e delle finanze (dipartimento della Ragioneria generale dello Stato) ha ricevuto una nota da parte del gabinetto del Ministro interrogato relativa all'atto Camera n. 2613, «Disposizioni per superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della seconda parte della Costituzione», nell'ambito della quale venivano richiesti elementi informativi relativi all'impatto economico del provvedimento in termini di risparmi per la finanza pubblica;
   il successivo 28 ottobre 2014, il Ragioniere generale dello Stato, con nota protocollo n.83572, ha rappresentato una serie di informazioni dalle quali si desume che, in termini di risparmi diretti e accertati, l'impatto economico del testo di riforma costituzionale poteva essere stimato in soli 57,7 milioni di euro;
   in particolare, il Ragioniere generale dello Stato ha evidenziato che, con riferimento alle modifiche derivanti dalla riduzione del numero dei componenti del Senato (esclusi quelli nominati dal Presidente della Repubblica) da 315 a 95 e dalla limitazione dell'attribuzione delle indennità solo ai componenti della Camera dei deputati, la minore spesa conseguente è stimabile in circa 49 milioni di euro;
   con riguardo alla prevista soppressione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel) si legge che essa produrrebbe risparmi ulteriori pari a 8,7 milioni di euro, rispetto a quelli già previsti ed indicati nella relazione tecnica del disegno di legge di stabilità per il 2015 pari a euro 10.019.227 annui;
   circa la stima dei risparmi di spesa che deriverebbero alla finanza pubblica dalla soppressione delle province prevista dall'articolo 28, il Ragioniere generale dello Stato segnalava che gli stessi non erano allo stato quantificabili e che i risparmi di spesa in questione potranno essere quantificati solo a completa attuazione della legge n. 56 del 2014 con cui si prevede il riordino del comparto;
   e anche con riferimento ai possibili risparmi derivanti dalle disposizioni che intendono fissare l'indennità dei consiglieri regionali pari a quella prevista per i sindaci dei comuni capoluogo di regione e l'abolizione di rimborsi o analoghi trasferimenti monetari in favore dei gruppi politici presenti nei consigli regionali, ha rappresentato di non disporre di elementi utili da fornire in merito;
   nella Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2016 è stato pubblicato il testo della legge costituzionale (C. 2613-D) approvato da entrambe le Camere, in seconda deliberazione, a maggioranza assoluta dei componenti –:
   se il Ministro interrogato confermi quanto descritto in premessa e sia in grado di fornire con la massima sollecitudine al Parlamento una nota evidentemente successiva ma in ogni caso asseverata dal Ragioniere generale dello Stato, dalla quale emerga in modo inconfutabile il dato, ribadito in più di una occasione alla stampa nazionale dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, di 1 miliardo di euro di risparmi ottenuti dalla riforma costituzionale.
(3-02296)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, il Ministro della giustizia, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, per sapere – premesso che:
   esiste una legge dello Stato spesso criticata per un suo presunto «proibizionismo» e per questo attaccata con l'obiettivo di smontarne i divieti e lo stesso impianto;
   si tratta della legge n. 40, al centro di decine di ricorsi e di alcune sentenze della Corte Costituzionale che ne hanno alterato vari punti qualificanti; eppure non è mai stata tanto citata positivamente come negli ultimi mesi;
   per stornare, infatti, il sospetto che la disciplina delle unioni di fatto consentisse, tra le complicate pieghe dei suoi commi, di ottenere figli tramite utero in affitto è stato infatti ripetutamente evocato il divieto contenuto propri nella legge sulla procreazione medicalmente assistita del 2004;
   il comma 6 dell'articolo 12 della legge 40 afferma: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»);
   ebbene in questi giorni la violazione di questo comma è sotto gli occhi di tutti: alcune redazioni giornalistiche riferiscono infatti dell'arrivo in Italia di rappresentanti della clinica californiana dove Nicola VENDOLA e il suo compagno Ed TESTA hanno ottenuto una gravidanza con surroga da parte di una donna, pagata per questo;
   sembra che l'obiettivo del viaggio dagli Usa nel nostro Paese sia strettamente commerciale, per proporre quegli stessi servizi vietati dalla legge n. 40 nel comma in questione; a conferma di ciò tanto sul sito della clinica, la « Extraordinary Conceptions», si annuncia un calendario di incontri in Italia ed Europa per «consulti gratuiti e appuntamenti privati», probabilmente in alcuni alberghi delle diverse città toccate dal tour; la Extraordinary Conceptions si definisce azienda leader di maternità surrogata e si mette a disposizione delle coppie italiane andandole a trovare a Firenze, Milano, Roma, ecc. pronta a fornire non solo le madri in affitto ma anche tutti i servizi accessori (venditrici di ovuli incluse);
   il catalogo viene proposto dall'amministratore delegato in persona, Mario CABALLERO, che già l'anno scorso era stato in Italia per un tour analogo; dopo l'Italia, andrà a Ginevra, Zurigo e Barcellona;
   per contattarlo e prendere un appuntamento basta inviare un’email e attendere di essere contattato, riceverà anche il catalogo che mostra in modo spietato come la vita umana sia stata trasformata in merce, con l'angosciante tristezza dei prezzi accanto ai bambini –:
   in che modo si intenda far rispettare la legge n. 40 nel citato passaggio in cui vieta la pubblicità della maternità surrogata e se, come alcuni sostengono il divieto della stepchild adoption, ancorato alla legge n. 40, sia solo in attesa di un ulteriore cambiamento della legge, fino a farle includere anche questa violazione dei diritti della donna e del bambini.
(2-01389) «Binetti, Bosco».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, DI VITA, COLONNESE e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sindrome fibromialgica è una malattia reumatica riconosciuta dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) dal 1992, anno in cui venne inclusa nella decima revisione dell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD-10, codice M79-7), entrata in vigore il 1o gennaio 1993;
   i due principali criteri diagnostici relativi a tale sindrome, fissati dall’American College of Rheumatology (ACR) nel 1990, sono il dolore diffuso perdurante per almeno tre mesi e la concomitante presenza di almeno 11 dei 18 tender point specifici;
   nella Dichiarazione di Copenhagen del 1992 sono stati ampliati i criteri diagnostici, includendo «affaticamento perdurante, rigidità generalizzata, sonno non ristoratore, mal di testa, vescica iperattiva, dismenorrea, ipersensibilità al freddo, fenomeno di Raynoud, sindrome delle gambe senza riposo, quadro atipico di intorpidimento e formicolio, scarsa resistenza all'esercizio fisico e sensazione di debolezza»;
   la fibriomialgia è stata definita la «malattia invisibile» perché i pazienti hanno un aspetto sano e difficilmente ricevono una diagnosi, in quanto molto spesso non è correttamente riconosciuta. Eppure è una delle malattie reumatiche in assoluto più diffuse, solo in Italia si stima che ne siano affetti dai 3 ai 4 milioni di individui, per la maggior parte donne;
   l'Oms la classifica tra le patologie da dolore cronico diffuso, la disabilità si associa al dolore cronico, è definita dall'Oms come «una limitazione o una perdita – derivante da un'alterazione – della capacità di eseguire un'attività nella maniera o nel range considerato normale per un essere umano». Il riferimento al termine «attività» è inteso, nella maggior parte dei casi, come capacità lavorativa, ma è necessario comprendere nel termine anche la restrizione allo svolgimento delle varie attività della vita che sono proprie degli individui di quell'età e quindi le restrizioni allo svolgimento delle varie attività degli individui anche anziani;
   sebbene la fibromialgia non abbia dirette implicazioni sull'aspettativa di vita, la persistente limitazione che da essa deriva conduce ad un intervento per controllare il dolore che garantisca almeno una parziale autonomia del paziente, con un miglioramento anche minimo della qualità di vita e con possibilità realistiche di autosufficienza. Devono quindi essere fornite al malato terapie volte sia a ridurre il dolore a un livello di accettabilità sia dirette al miglioramento della propria autonomia quotidiana attraverso la riduzione della disabilità;
   il mancato riconoscimento del dolore, e delle conseguenze che questo causa nella persona è uno dei principali motivi di isolamento e di ulteriore sofferenza. È necessario, quindi, riconoscere alle persone colpite da fibromialgia la condizione di malato e garantirne la credibilità;
   sebbene l'Oms, come ricordato, abbia riconosciuto già dal 1992 l'esistenza della fibromialgia, definendola come una malattia inserendola nel Manuale di classificazione internazionale delle malattie, e sebbene altre organizzazioni mediche di carattere internazionale l'abbiano anch'esse considerata una malattia cronica, solo una parte dei Paesi europei hanno condiviso tale posizione e tra questi non figura l'Italia;
   il Parlamento europeo ha approvato nel 2008 una dichiarazione che, partendo dalla considerazione che la fibromialgia non risulta ancora inserita nel Registro ufficiale delle malattie nell'Unione europea e che i soggetti che ne sono colpiti eseguono più visite generiche e specialistiche, ottenendo un maggior numero di certificati di malattia e ricorrendo più spesso ai servizi di degenza, rappresentano un notevole onere economico per l'Europa, ha invitato la Commissione europea e il Consiglio a mettere a punto una strategia per la fibromialgia in modo da riconoscere questa sindrome come una malattia e incoraggiare gli Stati membri a migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti;
   nel corso degli ultimi due decenni, le principali associazioni mediche, tra cui le società di reumatologia e di studio del dolore degli Stati Uniti d'America, del Canada, della Germania e di Israele, hanno redatto linee guida per la diagnosi e il trattamento del disturbo;
   tali linee guida e recenti esperimenti controllati concordano sulla necessità di applicare un trattamento integrato e multidisciplinare, che mostra superiorità di efficacia rispetto ai singoli trattamenti. In particolare, recenti meta-analisi e reviews sistematiche hanno concluso che i farmaci antidepressivi, ancora ampiamente usati, sia di vecchia che di più recente generazione, mostrano una debole, se non nulla, efficacia nella riduzione della sintomatologia. Al contrario, interventi nella gestione dello stress, come meditazione e psicoterapia, interventi antidolorifici come l'agopuntura e l'idroterapia, mostrano una loro efficacia, anche se sono necessari più studi per giungere a evidenze definitive;
   la ricerca di base, la sperimentazione clinica e la cura della fibromialgia nel nostro Paese sono tra i più arretrati a livello europeo e internazionale. Nessuna associazione medica italiana ha redatto linee guida sulla patologia e, ad oggi, rarissimi sono i centri dedicati alla cura della fibromialgia. Conseguentemente, i cittadini che soffrono della patologia incontrano operatori sanitari, dal medico di base ai diversi specialisti, del tutto impreparati a riconoscere e a trattare adeguatamente le loro sofferenze;
   il Ministero della salute, ad oggi, non ritiene che vi siano le condizioni per l'inserimento della fibromialgia nell'elenco delle malattie croniche soggette ad esenzione (allegato al decreto ministeriale n. 329 del 1999). Questo perché non sono stati ancora definiti i cut-off (valori necessari a definire una data situazione clinica) per definire la gravità della malattia attraverso studi idonei;
   la regione Toscana in data 29 luglio 2014 e 24 settembre 2014 ha approvato le mozioni, n. 844 e n. 911 aventi per oggetto «percorso di riconoscimento, individuazione e cura, per la sindrome fibromialgica» – con relative note di attuazione della giunta regionale del 9 ottobre 2014 e successiva risposta dell'assessore al diritto alla salute;
   la regione autonoma Valle d'Aosta, a seguito dell'approvazione da parte del consiglio regionale in data 15 gennaio 2015 della mozione 964/XIV, con delibera della giunta regionale n. 445 del 27 marzo 2015 ha approvato provvedimenti per il riconoscimento della fibromialgia come patologia sottoposta a particolare attenzione e approvazione delle relative direttive all'Azienda U.S.L. della Valle d'Aosta;
   l'azienda U.s.l. di Empoli ha emanato in data 5 ottobre 2014 una procedura operativa per la fibromialgia;
   la regione Veneto, nel piano socio-sanitario regionale 2012-2016, si è posta come obiettivo di considerare la fibromialgia come una malattia ad elevato impatto sociale e sanitario per la quale è necessario un percorso di informazione, educazione e divulgazione nei confronti dei cittadini veneti e degli enti preposti (legge regionale n. 23 del 29 giugno 2012);
   ulteriori mozioni sono in via di calendarizzazione presso diversi consigli regionali;
   va considerato il rilevante numero di cittadini colpiti dalla patologia, che, se non adeguatamente trattata, può esitare in invalidità grave –:
   se il Ministro interrogato disponga di dati epidemiologici aggiornati sulla diffusione della sindrome fibromialgica Italia;
   se e quali siano gli studi avviati, idonei al fine di definire i cut-off della malattia;
   se non ritenga opportuno fissare e rendere note le scadenze per la definizione dei cut-off per definire la gravità della malattia attraverso studi idonei;
   se intenda assumere iniziative per definire criteri, modelli e indicatori al fine di individuare centri di riferimento in ogni regione italiana, dedicati alla ricerca o all'attività clinico-assistenziale della sindrome fibromialgica;
   se intenda promuovere la sperimentazione di cure integrate della fibromialgia che abbiano alla base le terapie che mostrano la maggiore validità scientifica e quindi tecniche di gestione dello stress, agopuntura, idroterapia, integrate con un uso transitorio e sapiente della farmacologia;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere affinché tutti coloro che soffrono di tale patologia possano usufruire di identici trattamenti ed esenzioni indipendentemente dalle regioni di residenza;
   quali iniziative intenda adottare affinché sia garantito il diritto alla salute ai cittadini colpiti dalla patologia;
   se intenda avviare un percorso di riconoscimento, individuazione e cura, della sindrome fibromialgica;
   se intenda assumere iniziative per riconoscere la fibromialgia o sindrome fibromialgica come malattia invalidante ed inserirla tra le patologie che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa per le correlate prestazioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124;
   se il Ministro interrogato, per uniformare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in tutte le regioni nell'interesse di tutti i pazienti affetti da suddetta patologia, intenda assumere iniziative per includere la sindrome fibromialgica nell'elenco delle malattie croniche di cui al «piano nazionale delle cronicità» previsto all'articolo 5, comma 21, dell'intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 10 luglio 2014 concernente il patto per la salute per gli anni 2014-2016. (5-08809)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sensibilità chimica multipla è una sindrome caratterizzata dalla impossibilità da parte di una persona di tollerare un certo ambiente chimico o una classe di sostanze;
   durante la trasmissione televisiva Tagadà del 30 maggio 2016 su La7, è stato mandato in onda un servizio sul caso della signora M. una donna di 64 anni residente a Lecce, affetta da questa malattia e non in grado di affrontare un viaggio all'estero per curarsi;
   la figlia della signora in questione ha denunciato che nessuno la vuole prendere in cura e che gli operatori del 118, pur arrivando tempestivamente su richiesta a casa sua, preferiscono non intervenire materialmente perché temono che anche un elettrocardiogramma con strumenti non idonei le scateni una reazione allergica;
   il direttore sanitario dell'Asl locale ha convocato una riunione tecnica per trovare una soluzione al caso ma, dopo un breve ricovero, la signora è stata dimessa a causa dell'assenza di un luogo idoneo con le condizioni di sterilità necessarie che garantisse le cure di specie;
   quattro anni fa è stato chiuso in Puglia l'unico reparto specializzato nel trattamento di queste patologie –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in campo per garantire il diritto alla salute alle persone colpite dalla sensibilità chimica multipla e, nel caso di specie, nell'ambito delle proprie competenze, quali siano le iniziative urgenti che intenda intraprendere per offrire la possibilità alla paziente citata in premessa, e ad altri che si trovino in analoghe condizioni, di ricevere le cure necessarie.
(4-13366)


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   direttamente dalla regione Puglia si apprende che il piano di riordino della sanità regionale salva l'ospedale «Umberto I», ma elimina il punto nascita;
   nel dettaglio della distribuzione dei posti letto e della classificazione assistenziale e di rete di ciascun presidio, all'Umberto I, classificato come «ospedale di base», spettano 80 posti letto divisi in 32 di medicina generale, 24 di chirurgia generale e 24 di ortopedia e traumatologia;
   nulla, viene previsto per il reparto di ostetricia e ginecologia da sempre fiore all'occhiello del presidio coratino, e nessun posto letto anche per pediatria e cardiologia;
   al momento non è dato sapere quali saranno i tempi della chiusura di questi reparti che rappresenta una forte contrazione della capacità assistenziale per l'Umberto I;
   per quelle che all'interrogante appaiono mere convenienze politiche si gioca ancora una volta sulla salute della gente, decidendo il depotenziamento e, praticamente la chiusura, dell'ospedale civile di Corato: d'ora in poi un infartuato del nord barese dovrà fare 40 chilometri prima di ricevere assistenza; lo stesso accadrà ad una partoriente d'urgenza;
   la predisposizione del reparto di cardiologia ha richiesto un ingente impiego di risorse, oggi ne viene disposta la chiusura ancor prima dell'inaugurazione con uno spreco di denaro pubblico a cui nessuno oggi dovrebbe più assistere;
   la popolazione lancia un grido di allarme soprattutto relativo alla pediatria e al punto nascita di Corato, da sempre fiore all'occhiello dell'Ospedale coratino, e l'ambulatorio che, dopo il potenziamento, ha registrato 1200 accessi ed effettuato 321 consulenze per il pronto soccorso. Chiude insieme alla unità operativa di pediatria di Corato, da cui da tempo dipende, togliendo garanzie di assistenza ai bambini di Molfetta, Ruvo, Terlizzi, Giovinazzo. L'ambulatorio li segue per la pneumologia, le allergie, la dietologia. Con un afflusso importante e una consulenza pediatrica indispensabile al pronto soccorso. Chiudendo anche la pediatria di Corato, insieme al punto nascita, i bambini di Molfetta dovranno dividersi tra i 10 posti letto di Bisceglie e i 12 del San Paolo di Bari. Senza poter più accedere allo SCAP (ambulatorio di consulenza pediatrica) di Bisceglie e senza nemmeno una OBI (osservazione breve intensiva) pediatrica in zona –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza si intendano assumere, anche nell'ambito della verifica del programma operativo per la prosecuzione del piano di rientro, al fine di tutelare il diritto costituzionale alla salute e i livelli essenziali di assistenza, assicurando che il territorio di Corato mantenga la giusta offerta sanitaria e non venga penalizzato, considerato che a tal fine vi sono tutti i presupposti e le condizioni con i numeri, i reparti, le professionalità, la logistica e i collegamenti.
(4-13393)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   a seguito dell'accordo siglato a dicembre 2015, la Cementir Holding, multinazionale romana attiva nella produzione e distribuzione di cemento, calcestruzzo e aggregati naturali, ha acquistato, per circa 125 milioni di euro, il capitale della Sacci spa, gruppo che, con i suoi stabilimenti in Italia, da circa 70 anni opera nel settore;
   l'offerta di acquisto presentata prevede l'acquisizione dei cinque stabilimenti per la produzione di cemento di proprietà del gruppo Sacci spa: Tavernola Bergamasca, Castelraimondo, Cagnano Amiterno, Greve in Chianti e Livorno nonché dei tre terminali di Manfredonia, Chieti e Vasto, il settore trasporti, gli impianti di betonaggio, le partecipazioni nelle società consortili Energy For Growht, San Paolo e la società di diritto svizzero Fenicem. Come comunicato dal gruppo Cementir, il trasferimento di attività e passività sarà limitato ad alcune poste operative senza accollo di alcun debito finanziario o nei confronti dei fornitori;
   l'Autorità antitrust ha espresso parere favorevole all'acquisizione così come favorevole è anche il voto espresso dalle banche e dai creditori del gruppo Sacci; questi ultimi, nell'anno 2015 per l'analoga offerta presentata dal gruppo Buzzi Uncem avevano espresso parere contrario; si è in attesa dell'omologazione da parte del tribunale di Roma, a seguito dell'udienza del 18 maggio 2016;
   attraverso l'acquisizione della Sacci spa, la Cementir acquisirà sinergie per 10 milioni di euro a partire dal 2018, quando queste saranno operative, aumentando la quota di mercato in Italia, portandola dal 7 al 13 per cento, con ricavi pari a circa 90 milioni di euro;
   la situazione aziendale della Cementir e gli attesi ricavi lasciano presuppone per il gruppo la possibilità di investire nella nuova proprietà e rilanciare l'attività produttiva degli stabilimenti Sacci che, già da tempo, in alcuni casi, lavorano a singhiozzo e rispetto ad alcuni dei quali, come lo stabilimento di Castelraimondo, la cassa integrazione straordinaria cesserà nel prossimo mese di settembre, con conseguenze gravi per i lavoratori attualmente impiegati;
   di fronte ad un così complesso ed importante piano di acquisizione è opportuno conoscere concretamente il contenuto e gli indirizzi del piano industriale del gruppo Cementir;
   già nel 2015, in occasione della proposta di acquisizione avanzata dal gruppo Buzzi Uncem, i sindacati avevano unitariamente indetto lo stato di agitazione in tutti i siti produttivi della Sacci spa, a sostegno delle posizioni dei lavoratori, chiedendo l'apertura di un tavolo nazionale, finalizzato alla ricerca di soluzioni utili ad evitare le chiusure degli stabilimenti e, più in generale, ad accertare la natura e le caratteristiche del piano industriale del gruppo Buzzi;
   in risposta all'interpellanza n. 2-00926 l'allora Viceministro allo sviluppo economico aveva dato la propria disponibilità all'apertura di un imminente tavolo di confronto, precisando che lo stesso avrebbe avuto l'obiettivo di verificare, all'esito dei pareri degli attori coinvolti, la fattibilità del piano industriale di Buzzi Unicem, accertando, altresì, che il medesimo non comportasse penalizzazioni, sotto il profilo economico, produttivo e occupazionale;
   tale esigenza resta confermata anche per la nuova proposta di acquisto avanzata dal gruppo Cementir, al fine di tutelare e salvaguardare le posizioni dei lavoratori degli stabilimenti coinvolti –:
   quali siano le intenzioni del Governo a riguardo e le iniziative in itinere intraprese per verificare il contenuto e gli obiettivi del piano industriale del gruppo Cementir, al fine di tutelare la piena occupazione dei siti produttivi, scongiurando la chiusura di stabilimenti in grado di dare anche ai nuovi acquirenti solidi elementi di continuità produttiva se non addirittura di espansione.
(2-01390) «Manzi, Carrescia, Lodolini, Morani, Petrini, Mauri, Albini, Fossati, Giuseppe Guerini, Rampi, Cominelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 aprile 2015, il Ministero dello sviluppo economico ha ammesso le società M. Estate s.p.a., Mercatone Uno Services s.p.a., M. Business s.r.l., Mercatone Uno Finance s.r.l., Mercatone Uno Logistics s.r.l. e M. Uno Trading s.r.l. alla procedura di amministrazione straordinaria a norma dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, ed ha nominato quali commissari straordinari l'avvocato Stefano Coen, il dottor Ermanno Sgaravato ed il professor dottor Vincenzo Tassinari;
   in data 8-10 aprile 2015, il tribunale di Bologna ha dichiarato lo stato di insolvenza delle società ex articolo 2, comma 2, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39;
   in data 30 giugno 2015 viene pubblicato da parte dei commissari già citati l'invito a manifestare interesse per la cessione del complesso aziendale e delle attività del gruppo Mercatone Uno in amministrazione straordinaria;
   da tale pubblicazione di fatto non vi è alcuna informazione riguardo alla prosecuzione delle analisi delle manifestazioni di interesse potenzialmente arrivate ai commissari né della gestione generale portata avanti dai commissari stessi –:
   quale sia la situazione del gruppo ad oggi, sia da un punto di vista economico che da uno societario;
   quante e quali dichiarazioni di interesse siano giunte ai commissari;
   se il Ministro interrogato possa fornire un cronoprogramma da cui si possa evincere il termine del lavoro di analisi delle dichiarazioni di interesse per il gruppo Mercatone Uno. (5-08810)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAGA e GUERRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane — spa, derivante dalla trasformazione dell'ente pubblico economico «Poste Italiane», è un società per azioni interamente controllata dallo Stato. Essa è il fornitore del servizio postale universale in Italia e adempie l'obbligo di servizio universale a norma del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva 97/67/CE2, e del decreto 17 aprile 2000 del Ministero delle comunicazioni che conferma la concessione del servizio postale universale a Poste Italiane;
   l'articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 — «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio» — stabilisce, tra le altre cose, che:
    la fornitura del servizio universale e delle prestazioni in esso ricomprese deve essere fornita permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, a prezzi accessibili a tutti gli utenti (comma 1);
    il servizio universale è caratterizzato dalle seguenti connotazioni: a) la qualità è definita nell'ambito di ciascun servizio e trova riferimento nella normativa europea; b) il servizio è prestato in via continuativa per tutta la durata dell'anno (comma 3);
    il fornitore del servizio universale garantisce tutti i giorni lavorativi, e come minimo cinque giorni a settimana, salvo circostanze eccezionali valutate dall'autorità di regolamentazione: a) una raccolta; b) una distribuzione al domicilio di ogni persona fisica o giuridica o in via di deroga, alle condizioni stabilite dal Ministero delle comunicazioni in installazioni appropriate (comma 4);
   nel corso degli ultimi anni Poste Italiane spa ha avviato, presentando un apposito piano all'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, un processo di riorganizzazione, razionalizzazione e taglio degli uffici postali che ha di fatto mutato sensibilmente la capillarità, la fruibilità e la qualità del servizio postale su tutto il territorio nazionale causando, in molti casi difficoltà notevoli agli utenti residenti;
   negli scorsi mesi si è avuta notizia dell'intenzione di Poste Italiane spa di proseguire a partire dal 30 maggio 2016, in alcune aree del territorio italiano, l'implementazione graduale della fase II del modello degli invii postali a giorni lavorativi alterni dal lunedì al venerdì, su base bisettimanale (lunedì, mercoledì e venerdì nella prima settimana; martedì e giovedì nella settimana successiva), già avviato, in altre località, a partire da ottobre 2015. Mentre sembrerebbe garantita attraverso l'utilizzo della figura del «postino plus» la consegna giornaliera della sola posta prioritaria, delle raccomandate da firmare, delle assicurate, degli atti giudiziari, degli avvisi di Equitalia;
   ad eccezione delle grandi città, il nuovo modello di consegna a giorni alterni messo in atto da Poste Italiane spa, che ad oggi è già realtà in un numero ristretto di città come Forlì, Piacenza, Parma, Bergamo, Pavia ma anche in alcuni centri della Sicilia e della Calabria, verrà esteso gradualmente entro il 2017 a 5627 Comuni italiani con una densità di popolazione inferiore ai 200 abitanti per chilometro quadrato;
   il previsto taglio del servizio di recapito postale colpirebbe in modo significativo anche la provincia di Como dove il recapito a giorni alterni, oltre ad essere stato già attivato in via sperimentale in Val d'Intelvi, diverrà effettivo a Como città, Asso, Lomazzo e Olgiate Comasco a partire dal 30 maggio 2016, a Inverigo, Erba e Menaggio a partire dal 13 giugno 2016 e infine, a Cantù, Mariano Comense e Turate dal 27 giugno 2016;
   il nuovo modello di recapito, laddove applicato, non tenendo conto né della peculiarità dei singoli territori come certamente è il lago di Como, né delle esigenze e delle criticità delle diverse realtà locali soprattutto nel periodo estivo dove in particolar modo nelle zone rivierasche molti turisti scelgono di farsi consegnare la corrispondenza nelle località di villeggiatura, ha già arrecato forti disagi in termini di utilizzo e di qualità del servizio fornito ai cittadini che si sono trovati a non poter usufruire di servizi essenziali;
   secondo stime sindacali la forte riduzione del servizio di recapito della corrispondenza sulla provincia di Como si tradurrebbe in circa 92 addetti da ricollocare su circa 380 portalettere complessivi. Situazione che inevitabilmente determinerà un ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti postali dovuto agli aumenti dei carichi di lavoro da gestire in tempi più stringenti a causa della riduzione degli addetti alle consegne;
   l'applicazione del nuovo modello organizzativo del recapito e, più in generale, il compimento della rilevantissima azione di ristrutturazione in atto negli ultimi anni nel settore postale da parte di Poste Italiane spa stanno producendo un profondo mutamento del radicamento e della funzionalità del servizio stesso con una evidente limitazione dei servizi postali essenziali, di fondamentale importanza per cittadini, famiglie e imprese in quanto permettono loro di adempiere a molte incombenze e attività quotidiane, come la spedizione e la ricezione di lettere, bollette, comunicazioni e avvisi soggetti a scadenza, il ritiro del denaro contante, il pagamento delle utenze; servizi la cui erogazione e qualità dovrebbe invece essere garantita a tutti gli utenti sull'intero territorio nazionale, con maggiore riguardo per quelle particolari specificità periferiche che non permettano un corretto collegamento con altre sedi postali;
   nonostante Poste Italiane spa abbia chiuso molto positivamente il primo trimestre del 2016 con un utile netto in crescita del 18 per cento a 367 milioni di euro, un risultato operativo in aumento del 16,1 per cento a 562 milioni di euro e con ricavi in incremento del 14,2 per cento a quasi 9,76 miliardi di euro, e abbia anche ricevuto significativi contributi da parte dello Stato per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione di prestazioni essenziali, la recente politica aziendale adottata da Poste Italiane spa attraverso l'attuazione di misure di razionalizzazione del servizio e di rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull'intero territorio nazionale sembrerebbe orientata a seguire una logica esclusivamente finanziaria ponendo in secondo piano la funzione che le è propria di garantire un servizio di posta universale, impegnandosi a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   numerose sono le iniziative di contrarietà a tale politica aziendale messa in atto da Poste Italiane spa, fatta di tagli e di riorganizzazione del comparto del recapito. Si registrano, infatti, forme di protesta da parte delle sigle sindacali di Slc-Cgil, Slp-Cisl, e Uil Poste di Como che il 23 maggio 2016 hanno indetto uno sciopero del comparto postale ottenendo una massiccia adesione dei lavoratori con la chiusura di circa 82 uffici postali della provincia lariana. Nei prossimi giorni, sempre nel comasco, è prevista una raccolta di firme tra i lavoratori del settore postale da inviare alle autorità competenti, mentre è già stato fissato un incontro con il prefetto di Como per discutere dell'attuale piano di riorganizzazione aziendale –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle criticità riportate in premessa e non ritenga che le scelte di razionalizzazione del servizio postale e, in particolar modo, di taglio del servizio di recapito della corrispondenza attuato attraverso il nuovo modello di consegna a giorni alterni ad opera di Poste Italiane spa, rispondenti principalmente a criteri di economicità, non rischino di pregiudicare il principio di universalità del servizio postale;
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, affinché alle comunità interessate dalla politica di riorganizzazione del servizio di consegna della posta da parte di Poste Italiane spa, venga garantito il diritto ad un effettivo e puntale servizio di recapito della corrispondenza. (4-13346)


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati Istat diffusi dall'Ufficio studi Confartigianato, in Italia, il passaggio generazionale nella gestione di un'impresa familiare riguarda 128.366 microimprese, il 18,2 per cento del totale (quasi 706 la realtà);
   in Liguria sono ben 4.397 le microimprese a conduzione familiare (con un numero compreso tra i 3 e 9 addetti) interessate da un passaggio generazionale negli ultimi quattro anni, pari al 20 per cento delle imprese familiari totali nella regione (21.951), percentuale che è superiore alla media del Paese;
   esaminando proprio la classifica nazionale, la regione ligure si posiziona al quarto posto, preceduta da Basilicata con il 21 per cento di microimprese interessate dal passaggio generazionale (1.065), Sicilia con il 20,8 per cento (8.771) e Molise che registra il 20,2 per cento (663). Agli ultimi posti si collocano Valle d'Aosta (15,8 per cento), Puglia (16 per cento) e Toscana (16,1 per cento);
   in termini di valori assoluti, in Liguria, il settore più interessato al passaggio generazionale è quello dei servizi con 2.918 microimprese liguri sul totale di 16.310 a conduzione familiare (il 17,9 per cento). Tra 2012 e 2016 le incidenze maggiori si registrano in Molise (21,3 per cento), in Umbria e in Provincia Autonoma di Trento (entrambe al 21 per cento);
   per quanto riguarda il settore manifatturiero, le realtà artigiane liguri coinvolte dal passaggio generazionale sono 446, che rappresentano il 19,6 per cento del totale, pari a 2.273 microimprese a conduzione familiare. Considerando la classifica del settore, ai primi posti si posizionano Valle d'Aosta (38,2 per cento delle microimprese attive nel manifatturiero), Sardegna (27 per cento) e Molise (26,8 per cento);
   per quanto concerne, infine, le costruzioni, con 999 imprese interessate in Liguria, rappresentano il settore in cui l'incidenza di realtà coinvolte nel passaggio generazionale è tra le più alte d'Italia, pari al 33,4 per cento: oltre un'impresa su tre. Questa percentuale è seconda solo a quella della Valle d'Aosta, che registra un'incidenza del 33,9 per cento;
   considerando un arco temporale più ampio (2002-2016), la regione ligure si colloca al primo posto in classifica: in questo caso il dato è di 1.141 microimprese interessate, il 38,2 per cento del totale, pari a 2.989 unità;
   si è di fronte a un fenomeno che ha importanti ricadute sul sistema economico e sull'intera società perché si tratta sia di nuove opportunità occupazionali, sia di salvaguardia di un grande patrimonio, quello artigiano, fatto di competenze, esperienze e professionalità, che non deve andare perduto –:
   se, alla luce degli ultimi dati Istat diffusi, non ritenga opportuno assumere iniziative per favorire il passaggio generazionale tra le nuove azioni del Fondo sociale europeo, individuando meccanismi di sostegno e accompagnamento delle microimprese italiane, e in particolare quelle liguri, al fine di non perdere professionalità e competenze. (4-13364)


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 4 maggio 2016 a Roma la CNA (Confederazione nazionale dell'artigianato e delle piccola e media impresa) ha presentato l'edizione 2016 di «Paese che vai fisco che trovi», l'Osservatorio permanente sulla tassazione delle piccole e medie imprese realizzato dall'ufficio politiche fiscali e societarie della CNA;
   secondo il rapporto, nonostante il 2015 abbia segnato una discontinuità effettiva nelle politiche fiscali, con benefici che hanno riguardato anche artigiani, micro e piccole imprese che ha o visto il calo del peso complessivo del fisco (Total tax rate o Ttr) al 60,9 per cento, il livello della pressione fiscale in Italia rimane intollerabile: 19,4 punti percentuali più della media europea. Facendo una media nazionale, dall'inizio dell'anno, il titolare di una piccola impresa solo dal 9 agosto può finalmente cominciare a destinare i guadagni aziendali all'impresa e alla sua famiglia;
   Reggio Calabria è la città italiana con la fiscalità più elevata: il Total tax rate tocca il 73,2 per cento. Seconda è Bologna (con il Ttr al 71,9 per cento), terza Roma con il 69,8 per cento, quarta Catania e quinta Firenze. A Reggio Calabria l'imprenditore lavora per il fisco fino al 24 settembre, giorno della liberazione fiscale, il tax free day; a Bologna fino al 19 settembre, a Roma fino all'Il settembre. Al capo opposto la città meno onerosa è Gorizia (con il Ttr al 54,4 per cento e Tax free day il 17 luglio), seguita da Cuneo, Belluno, Sondrio e Udine;
   per la CNA è possibile migliorare il sistema tributario, operando su tre indirizzi precisi: una più consistente riduzione della pressione fiscale; invertire la tendenza a trasferire sulle imprese gli oneri dei controlli; l'uso intelligente della leva fiscale per aumentare la domanda interna;
   a questo scopo la CNA ha elaborato un elenco di dieci proposte:
    1. rendere l'Imu sugli immobili strumentali completamente deducibile dal reddito d'impresa;
    2. utilizzare le risorse provenienti dalla spending review e dalla lotta all'evasione per ridurre la tassazione sul reddito delle imprese personali e sul lavoro autonomo;
    3. introdurre una misura premiale che riduca l'imposizione sul reddito incrementale rispetto al reddito «ideale» stimato dagli studi di settore;
    4. definire il concetto di autonoma organizzazione ai fini del non assoggettamento all'Irap;
    5. Introdurre l'Iri (imposta sul reddito delle imprese) per consentire alle imprese personali di allineare l'imposizione sui redditi re-investiti in azienda a quella applicata alle società di capitali;
    6. redistribuire il gettito derivante dalla tassazione sugli immobili adeguando i valori catastali ai valori commerciali;
    7. trasformare le detrazioni relative a spese per lavori edili in crediti d'imposta cedibili agli intermediari finanziari;
    8. introdurre il principio di cassa nella determinazione del reddito delle imprese personali in regime di contabilità semplificata;
    9. eliminare lo split payment e ridurre la ritenuta sui bonifici, relativi a spese per le quali sono riconosciute le detrazioni fiscali, dall'8 perlomeno al 4 per cento, come in precedenza; evitare di spostare sulle imprese gli oneri dei controlli attraverso un uso intelligente della fatturazione elettronica B2B;
    10. agevolare il passaggio generazionale delle imprese individuali tramite la completa neutralità fiscale delle cessioni d'azienda, al pari di quanto previsto in caso di conferimenti;
   secondo i calcoli del centro studi degli artigiani di Mestre, pagare più tasse quando l'economia ristagna, non aiuta, anzi aggrava la crisi e questo è purtroppo ciò che è accaduto in Italia. Secondo il centro studi, negli ultimi sei anni, tra tasse nazionali e locali, le famiglie hanno dovuto subire un aggravio fiscale di ben 29,3 miliardi. Il conteggio è il seguente: tra il 2010 e il 2015, le imposte nazionali sono aumentate di 21,6 miliardi (+ 6,1 per cento), quelle locali (imu, irap, addizionali comunali e regionali irpef) sono salite di 7,7 miliardi (+ 8 per cento);
   il Ministro dell'economia e delle finanze da oltre due anni ripete come un mantra che: il taglio delle tasse è il pilastro dell'azione del Governo, ma i risultati sono assolutamente insufficienti;
   il 18 aprile 2016, durante l'audizione in Commissioni riunite bilancio di Camera e Senato, sul def 2016 (documento di economia e finanza), anche il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Federico Signorini, ha messo nel mirino proprio il capitolo tasse, sottolineando che sono ancora troppo alte, precisando che tra il 2014 e il 2015 vi è stata certamente una leggera diminuzione della pressione fiscale (dal 43,2 al 42,9 per cento del Pil), che però «è rimasta superiore, per circa 2,5 punti percentuali, alla media del decennio che ha preceduto la crisi dei debiti sovrani». Per questo, ha aggiunto, «andrà considerata con attenzione l'opportunità di prevedere riduzioni permanenti del cuneo fiscale, a beneficio della crescita e dell'occupazione» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e quali iniziative intenda assumere, anche alla luce delle indicazioni della Banca d'Italia, per abbattere in modo incisivo la pressione fiscale in Italia a vantaggio della ripresa economica;
   se il Governo non ritenga altresì opportuno valutare con attenzione le proposte avanzate dalla CNA per riformare il sistema tributario così da ridurre la pressione fiscale e rilanciare il settore dell'artigianato e della piccola e media impresa. (4-13370)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Mazziotti Di Celso e Monchiero n. 1-01234, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vezzali.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Ghizzoni e altri n. 1-01294, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Vezzali e Molea e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: Ghizzoni, Coscia, Vezzali, Covello, Dallai, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, Molea.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza Latronico n. 2-01384, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Ciracì, Chiarelli.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e altri n. 5-06442, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Terzoni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Businarolo n. 5-07070, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Liuzzi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e altri n. 5-07599, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Terzoni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente n. 5-08615, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Vacca, Luigi Gallo, D'Uva, Brescia.

  L'interrogazione a risposta scritta Giuditta Pini, e altri n. 4-13161, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Dall'Osso n. 5-08757, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sibilia.

  L'interrogazione a risposta scritta Fantinati n. 4-13296, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Nicoletti e Quartapelle Procopio n. 5-08784, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bonomo, Tentori, Narduolo, Cominelli, Sbrollini, Bruno Bossio, Binetti, Giuliani, Bini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Sanga n. 5-08799, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zampa, Nicoletti.

Pubblicazione di un testo riformulato e apposizione di nuove firme.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Turco n. 5-06498, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 490 del 25 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Matarrelli, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino.

   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la recente cronaca della provincia di Trento segnala che il Tribunale di Rovereto ha emesso una sentenza basandosi sulla relazione di uno psichiatra trentino, che ha fatto molto parlare di sé, e del quale si era già occupata in precedenza la stampa;
   il tribunale si è servito dello stesso, già segnalato dalla stampa per aver leso la dignità del tribunale:
    1) essendosi presentato presso un periziando, in sede di CTU, in pantaloncini e ciabatte;
    2) essendo stato incalzato da alcune domande di un avvocato non riusciva a rispondere perché completamente all'oscuro dei fatti (sembrava non avesse nemmeno letto i rapporti della denuncia);
    3) essendo stato segnalato dai media per aver partecipato a una perizia in cui, in soli 45 minuti e con un bambino di 9 mesi in braccio, a una mamma era stato ravvisato un «vero e proprio disturbo psichiatrico (disturbo di personalità) con tratti personologici di tipo narcisistico»;
    4) omette di riferire l'avvio di un percorso di visite libere di una delle parti con il figlio finalizzato alla liberalizzazione degli incontri (come chiesto dai servizi stessi al tribunale dei minori in base a indicazioni della psicoterapeuta incaricata). Percorso interrotto per la negazione degli accordi da parte della parte avversa, cosa inaspettatamente recepita dal servizio sociale;
    5) espleta perizie soggettive e discriminanti nei confronti di una delle parti;
   il tribunale sembra all'interrogante appiattirsi sulle valutazioni di questo perito:
    1) accettando e sentenziando sulla base di queste perizie (in gran parte virgolettate in sentenza);
    2) ordinando ad una delle parti di seguire un percorso di sostegno psichiatrico a giudizio dell'interrogante non potendolo nemmeno fare (da ultimo la Corte di Cassazione sent. 13506/2015);
    3) disponendo di prolungare incontri protetti in spazio neutro di una delle parti con il figlio, sapendo:
     a) che duravano già da ben 5 anni;
     b) come risulterebbe da documentazione depositata agli atti, che studi internazionali abbiano accertato che bambini deprivati dei/del genitore troppo a lungo avranno da grandi importanti problemi psicofisici («Ruolo del pediatra nell'assistenza a minori in affido etero o intra familiare», Pediatrics in review, vol. 22, n. 11 novembre 2012, Moira Szilagyi e ancora l'articolo del dottor Vittorio Vezzetti, Scientific Responsible European platform for joint custody and childhood Colibrì, and Founder International Council on shared parenting in «I danni da deprivazione genitoriale e da stress nell'infanzia» cfr. http://affidamentiminorili.blogspot.it/p/i-quaderni.html Terzo Quaderno, «Conseguenze nella qualità di vita del minore allontanato dai genitori» di Massimo Rosselli del Turco, direttore dell'ISPA, Istituto di studi parlamentari dell'Associazione nazionale avvocati familiaristi);
     c) che gli stessi servizi sociali avevano inoltrato pochi mesi prima al tribunale stesso una relazione della cooperativa sociale presso la quale si svolgevano questi incontri secondo la quale il bambino aveva espresso il desiderio di continuare a vedere il genitore oltre gli incontri protetti e che questi (testuale) «è parso un genitore che tiene molto affinché il figlio cresca in maniera educata rispettando gli altri e gli ambienti in cui si trova. (...) che trasmette (al figlio) gratificazione e incoraggiamento quando mette in atto comportamenti positivi»;
   il tribunale sentenzia senza motivazioni ad avviso dell'interrogante accettabili l'affidamento esclusivo alla parte avversa di fatto non rispettando le disposizioni della legge n. 54 del 2006 che prevede tale disposizione solamente in casi di reale pericolo per il minore;
   il tribunale ha incaricato in sentenza i servizi sociali nonostante questi abbiano un contenzioso penale con la parte in oggetto;
   tale situazione ad avviso degli interroganti, preclude a tale parte la possibilità di avere giustizia senza essere condizionata;
   il tribunale non ha usato la normale prudenza nello scegliere tale perito; a detta del quotidiano La Voce del Trentino.it «sono decine le e-mail che arrivano nella nostra redazione che testimoniano casi incredibili di cui questo professionista si è reso protagonista, e purtroppo alcuni tragici»;
   il tribunale ha nominato questo perito che, a quanto consta all'interrogante, non risulterebbe iscritto nell'albo dei periti del tribunale stesso senza dare motivato parere sul punto;
   si ritiene che alcuni di questi comportamenti non siano stati assunti nella piena consapevolezza della tutela dei diritti e della salute dei minori;
   di recente si è appreso che la corte d'appello di Trento, alla quale la parte che si riteneva lesa dalla sentenza di primo grado si era rivolta, avvalorando i forti e documentati dubbi sulla regolarità procedurale del processo di primo grado, oggetto dell'interrogazione citata, ha deciso di valutare nuovamente il caso, propendendo per la rinnovazione della perizia e disponendo, quindi, una nuova consulenza tecnica d'ufficio, al fine di verificare se sussistano i presupposti per un affidamento condiviso del minore, e quindi chiarire l'operato del tribunale nel corso del giudizio di primo grado e della precedente perizia –:
   se ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per avviare iniziative ispettive presso il tribunale di Rovereto ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza in merito ai fatti di cui sopra. (5-06498)

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Businarolo n. 4-03079, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 147 dell'8 gennaio 2014.

   BUSINAROLO, AGOSTINELLI, NICOLA BIANCHI, TACCONI, DE LORENZIS, MANNINO, DA VILLA, COLLETTI, PARENTELA e GALLINELLA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 maggio 2008, n. 126), in attuazione dell'articolo 2, comma 283, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha disciplinato il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria, prima di allora in capo al Ministero della giustizia;
   tale decreto ha completato il trasferimento di competenze iniziato con il decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, recante norme per il riordino della medicina penitenziaria, a norma dell'articolo 5 della legge 30 novembre 1998, n. 419, attraverso il quale era stata decisa la riconduzione della sanità penitenziaria nel Servizio sanitario nazionale;
   tale passaggio costituisce una pietra miliare per la tutela della salute dei detenuti nell'ordinamento penitenziario, considerato che la situazione sanitaria nelle carceri è abbastanza grave: ci sono malati gravissimi che hanno bisogno di interventi urgenti ma che non riescono a curarsi adeguatamente per mancanza di personale, di specialisti, di medicinali, di ambienti adeguati, igienici e attrezzati. La responsabilità della gestione e l'organizzazione dei servizi sanitari interni alle carceri è rimasta per tanti anni incardinata nel Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   l'Amministrazione penitenziaria chiamata a perseguire i fini istituzionali, rivolti cioè ad assicurare l'ordine, la sicurezza, la disciplina e al contempo a favorire, attraverso il trattamento rieducativo, il reinserimento sociale della persona reclusa, deve anche a garantire la tutela della salute della popolazione detenuta;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008 stabiliva il passaggio di tutte le professionalità sanitarie (compreso lo psicologo, figura regolamentata da legge nazionale, legge n. 56 del 18 febbraio 1989) dal Ministero della giustizia al Ministero della salute. Il decreto trasferiva solo il personale di ruolo e per quello convenzionato prevedeva solo la possibilità di stipulare convenzioni con il Ministero della Giustizia, senza prevedere l'automatico passaggio delle convenzioni al servizio sanitario nazionale;
   tale passaggio nella pratica non è avvenuto per gli psicologi penitenziari, esperti ex articolo 80 legge n. 354/75, in servizio di Osservazione e trattamento, operanti da molti anni negli Istituti penitenziari in condizioni di stabile precarietà, che sono rimasti in carico di detto Ministero equiparati in base all'articolo 80, nei compiti e nelle funzioni, ai criminologi, con disparità di trattamento rispetto agli addetti al presidio delle tossicodipendenze, anch'essi convenzionati ex articolo 80;
   gli psicologi penitenziari si trovano nella difficoltà di svolgere il loro compito istituzionale, continuamente modificato nel corso degli anni, e recentemente ridotto a pochissime ore mensili (retribuite cosiddetto ad euro 17,63 lorde), non pienamente rispettose del diritto all'assistenza erogata a favore dei detenuti e lesive della dignità professionale. Gli stessi vengono infatti contrattualizzati come «liberi professionisti», «consulenti incaricati» con tracciabilità di un cartellino segnatempo, in una condizione di estrema precarietà, con una convenzione atipica che nega ogni fondamentale tutela-diritto del lavoratore, persino quella dell'indennità di rischio concessa agli altri operatori penitenziari. A titolo esemplificativo, nel carcere di Rebibbia sono previste circa 20 ore/mese per circa 130 detenuti, ossia 9 minuti al mese per ogni detenuto. Tale categoria è stata inoltre discriminata in termini di valutazione dei titoli per accedere alle graduatorie di attività specialistiche (Psicologia e Psicoterapia);
   che si tratti di disagio psichico, disturbo della condotta, della personalità o di psicopatologie conclamate; di trattamento di prevenzione, diagnosi, sostegno e cura, lo psicologo stabilisce per sua competenza una relazione terapeutica con la persona detenuta per tutelarne l'integrità psicofisica secondo il concetto olistico di salute espresso dall'O.M.S., nonché dagli articoli 27 e 32 della Costituzione;
   è opportuno ricordare, al fine di chiarire ancora meglio la difficile situazione in cui si trova la categoria degli psicologi penitenziari, che viene loro richiesta, ad inizio incarico, per il pagamento del servizio effettuato, apertura di partita IVA, con fatturazione esente in base all'articolo 120, comma 1, punto 18, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
   in data 15 settembre 2008 il Ministero della giustizia precisava con una comunicazione che gli esperti ex articolo 80 non transitano al Servizio Sanitario Nazionale, restando in capo all'amministrazione Penitenziaria l'esercizio della essenziale funzione rieducativa, costituzionalmente garantita, esercitata anche per il tramite degli esperti in argomento;
   sul ricorso in appello n. 258 del 2010 del Consiglio nazionale degli Psicologi per annullamento della sentenza del TAR Lazio, sezione terza quater, n. 7094 del 19 luglio 2009, per annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o aprile 2008, il Consiglio di Stato con sentenza in data 15 settembre 2010 ha ribadito che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri va ricollegato alla legge 244/2007, la quale conferisce al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di definire il trasferimento al SSN di tutte le funzioni sanitarie e distintamente le modalità e le procedure per il trasferimento dei rapporti di lavoro. Ribadisce inoltre che l'attività di supporto a favore di detenuti non può essere considerata attività a favore di malati;
   la sentenza della Corte di Cassazione, su ricorso del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi, n. 6237 del 24 gennaio 2012, ha disconosciuto l'attività sanitaria e l'anzianità del servizio prestato dagli psicologi esperti ex articolo 80 (dal 1978), comprese quelle verso detenuti psichiatrici e tossicodipendenti, mentre, con medesime qualifica e funzioni lo ha riconosciuto a coloro che sono transitati al SSN e solo dal 1992-93 operativi. La Cassazione ha definito lo psicologo esperto ex articolo 80 come «professionista non avente identità sanitaria, [...] ma operatore funzionale alla sicurezza dell'istituto»;
   il 19 maggio 2015 il Ministro della giustizia ha avviato, dal carcere di Bollate, gli stati generali dell'esecuzione penale, dando il via ad un lungo percorso di riflessione e approfondimento durante il quale 18 tavoli di lavoro, composti da personalità esperte del sistema penitenziario e di diverse discipline, hanno dibattuto e prodotto riflessioni e proposte circa l'esecuzione della pena;
   tra gli obiettivi di questo percorso durato un anno vi è quello di definire un nuovo modello di esecuzione penale e una migliore fisionomia del carcere, più dignitosa per chi lavora e per chi è ristretto;
   anche alla luce di questo importante percorso sarebbe opportuno inserire una soluzione concreta ed adeguata per contrastare la precarietà in cui opera la categoria degli psicologi penitenziari, ridando dignità a coloro che hanno servito con impegno e professionalità lo Stato –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa in merito al trattamento della professione di psicologo penitenziario esperto ex articolo 80 in servizio di osservazione e trattamento;
   se e quali iniziative i Ministri intendano assumere al fine di risolvere tale annosa problematica, prevedendo il transito nel Servizio sanitario nazionale con utilizzazione, ad esaurimento del ruolo, degli psicologi già in servizio presso il Ministero della giustizia promuovendo l'uniformità applicativa a livello nazionale delle normative sull'assistenza psicologica rivolta alle persone detenute per garantire i LEA, così come richiamato dall'articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 230 del 1999;
   se e come i Ministri intendano intervenire per equiparare il trattamento degli psicologi rimasti presso il Ministero della giustizia con i loro colleghi ex-penitenziari transitati al servizio sanitario nazionale riconoscendone la funzione sanitaria;
   se e quando i Ministri intendano effettuare una ricognizione dei rapporti di lavoro degli esperti ex articolo 80, con regolamentazione del rapporto lavorativo e riconoscimento dell'anzianità del servizio continuativo prestato. (4-03079)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Massimiliano Bernini n. 4-12340, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 582 del 3 marzo 2016.

   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Solsonica s.p.a. è un importante produttore italiano facente parte del gruppo EEMS, spin-off di Texas Instruments, da sempre leader nel mercato dei semiconduttori;
   data 9 aprile 2010 si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un incontro riguardante la EEMS Solsonica durante il quale «L'Azienda ha comunicato i recenti avvenimenti. La crisi che ha colpito il mercato del fotovoltaico a livello globale con l'uscita dal mercato di importanti operatori (tra cui clienti Solsonica). La difficoltà di operare in un settore in cui i margini si sono assottigliati, in particolare per quelle aziende che non integrano tutto il processo produttivo. Tutto ciò ha portato alla recente ristrutturazione del debito; allo stato attuale l'azienda ha quindi difficoltà nel sostenere nuovi progetti di sviluppo. È stato anche comunicato che la compagine azionaria è cambiata (con l'uscita del Fondo Palmira) e a tale fine per la fine di aprile si riunirà l'Assemblea dei Soci»;
   il 30 luglio 2012 si è tenuta presso il Ministero dello sviluppo economico una riunione relativa alla società SOLSONICA, durante la quale i rappresentanti dell'azienda hanno illustrato le criticità della SOLSONICA, legate anche alle difficoltà che stava vivendo il settore nel suo complesso, e durante la quale si dichiarava che per far fronte allo scarico di lavoro l'azienda intendeva ricorrere allo strumento della cassa integrazione guadagni ordinaria impegnandosi nel corso del medesimo periodo ad elaborare un piano di rilancio che doveva essere discusso, anche in sede ministeriale, entro il mese di novembre 2012;
   secondo quanto riportato in un articolo de « Il Messaggero.it» del 20 maggio 2014, allo scopo di evitare il fallimento «Eems e Solsonica verso il concordato preventivo con riserva. È questa la decisione assunta a cascata dal cda della Eems e poi della controllata Solsonica lunedì sera a Milano e rimbalzata in città dalla cronaca de Il Messaggero»;
   in data 9 settembre 2014, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è tenuto un incontro relativo alla situazione di Solsonica durante il quale il dottor Castano (responsabile dell'unità gestione vertenze del Ministero dello sviluppo economico), ha confermato l'impegno del Ministero ad interloquire con i soggetti interessati a compiere operazioni di salvataggio nei confronti della società Solsonica e ha comunicato di essere già entrato in contatto con due soggetti industriali interessati alla vicenda;
   con una nota del 21 novembre 2014 il Ministero dello sviluppo economico comunica che: «Con riferimento alla situazione della Società Solsonica s.p.a. di Rieti e alle voci che sono circolate nei giorni scorsi, il Ministero dello sviluppo economico precisa che sono stati individuati tre soggetti economici che hanno manifestato interesse all'eventuale acquisto della suddetta società. Il Ministero sottolinea inoltre che ad oggi nessuna società ha illustrato in modo compiuto i propri progetti industriali e pertanto si riserva di esprimere una valutazione – se richiesto dai soggetti interessati – solo nel momento in cui sarà messo in condizione di disporre dell'adeguata documentazione»;
   il 14 ottobre 2015 – GALA s.p.a. («GALA») rende noto che il tribunale di Rieti «ha pubblicato in data odierna il decreto di omologa del concordato preventivo della società Solsonica s.p.a. («Solsonica»). Ai sensi dell'articolo 180 comma 3 della legge Fallimentare, il tribunale, ha verificato la regolarità della procedura e l'esito della votazione ed ha omologato il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame. L'esecuzione del piano di concordato, sotto la continua sorveglianza del Commissario Giudiziale, dovrà concludersi non oltre il 31 luglio 2016, e prevede da parte di GALA (o da società da questa designata) l'impegno a:
    perfezionare l'acquisto del ramo d'azienda Solsonica, attraverso il versamento secondo i termini e modalità previsti nell'offerta vincolante, di complessivi euro 2.725.000,00, che verrà corrisposto, al netto dei canoni già versati a titolo di affitto del ramo stesso e mediante accollo liberatorio del TFR accettato dai dipendenti trasferiti, con versamento di un acconto al momento dell'acquisto, che avverrà entro il 29 ottobre 2015, pari a euro 600.000,00 (tenuto conto dell'ammontare del TFR relativo ai dipendenti trasferiti e/o mediante versamento della differenza) e del relativo saldo finale entro il 31 luglio 2016 (sempre tramite accollo del TFR dei dipendenti trasferiti e/o mediante versamento della differenza);
    sottoscrivere e versare un aumento di capitale a pagamento deliberato dall'assemblea straordinaria di Solsonica, con esclusione del diritto di opzione ai sensi dell'articolo 2441, commi 5 e 6, codice civile, scindibile ai sensi dell'articolo 2439, comma 2, codice civile, fino all'ammontare massimo di euro 2.850.000,00, comprensivo di eventuale sovraprezzo e riservato all'esclusiva sottoscrizione di GALA (o di una o più società controllate e designate da quest'ultima), divenendo per tal via azionista unico di Solsonica»;
   il giorno 11 febbraio 2016 si è tenuta una riunione riguardante la situazione di Solsonica s.p.a. durante la quale i rappresentanti di Galatech srl hanno comunicato che la cessione da Solsonica a Galatech è stata perfezionata in data 1o febbraio 2016, a seguito di un periodo di 6 mesi di affitto di ramo d'azienda. Hanno illustrato le prospettive e gli obiettivi aziendali sottolineando come i ritardi nel verificarsi delle condizioni sospensive per l'affitto del ramo d'azienda e per il successivo acquisto (e, segnatamente: il ritardo nell'autorizzazione della riduzione del canone di locazione dell'immobile di proprietà di EEMS e affittato a Solsonica e la mancata autorizzazione da parte del tribunale di Rieti a sottoscrivere un contratto di affitto del ramo d'azienda che rendesse certo il successivo acquisto) si sono riflesse sulle tempistiche dell'operazione e sull'avvio del piano di investimenti. I medesimi hanno comunque confermato che l'impegno di Gala Tech prosegue secondo quanto da essa pianificato nel pieno rispetto degli impegni previsti dall'accordo e che ad oggi le assunzioni hanno già fortemente ridotto il bacino dei lavoratori Solsonica;
   i rappresentanti aziendali hanno anche evidenziato che, con riferimento agli ammortizzatori disponibili al momento della presentazione dell'offerta vincolante di Gala e della sottoscrizione dell'accordo sindacale, la normativa di riferimento è cambiata restringendone l'applicazione, come a tutti noto e che tale evento è ovviamente indipendente ed esogeno;
   il dottor Calvetti ha chiarito che sarà importante, per il futuro sviluppo di Gala Tech e per l'incremento dei livelli occupazioni, che i prodotti di Gala Tech trovino un mercato di sbocco, posto che Gala non ha fino ad ora né richiesto né ottenuto alcun tipo di sovvenzione o finanziamento pubblico e che pertanto si può sostenere soltanto grazie a risorse proprie e allo sviluppo dell'attività. Le organizzazioni sindacali, pur prendendo positivamente atto della cessione avvenuta e dei passi avanti nella esecuzione del piano, hanno chiesto chiarimenti sulla tempistica delle assunzioni di tutti i lavoratori chiedendo che le medesime vengano completate da Gala Tech srl entro la fine della scadenza degli attuali ammortizzatori prevista per il 30 marzo 2016. Hanno quindi chiesto all'azienda acquirente di esaminare la possibilità di attivare ammortizzatori disponibili per permettere l'assunzione e quindi l'inserimento in Galatech di tutti i lavoratori del bacino (attualmente pari a 122 inclusi quelli già assunti dalla stessa). L'azienda si è riservata di fare una verifica al proprio interno e le parti hanno concordato che il confronto su questa tematica venga portato avanti con le organizzazioni sindacali a livello locale. Ha anche richiamato i termini dell'accordo che non costituiscono un vincolo bensì una «precedenza» nell'assunzione dal bacino Solsonica fino a giugno 2017. Il dottor Castano in conclusione ha proposto che, se la trattativa a livello locale non dovesse dare gli esiti sperati, darà la disponibilità a riaprire il tavolo di vertenza a livello nazionale, ricordando comunque che la trattativa si è conclusa con un accordo sottoscritto in data 10 aprile 2015 tra le aziende (Galatech e Solsonica) ed i sindacati presso la sede locale di Unindustria, su decisione delle stesse parti firmatarie;
   da quanto si apprende da organi di stampa, dopo la notizia secondo la quale 124 dipendenti della Solsonica s.p.a. su 154 verranno licenziati il 3 aprile perché finirà la cassa integrazione, il segretario della Fim-Cisl di Rieti ha richiesto «un intervento urgente da parte del Mise e la riconvocazione del tavolo annunciato dallo stesso ministero l'11 febbraio 2016» affermando che «Il mancato rispetto degli accordi da parte di Galatech espone 124 lavoratori al rischio concreto di perdere il posto il 3 aprile»;
   da una nota pubblica della società GALA Tech s.r.l. la società stessa specifica che l'accordo firmato con le organizzazioni sindacali preveda la «...graduale ripresa delle attività produttive dell'azienda affittata (Solsonica), che riguarderà i moduli fotovoltaici, oltre alla eventuale ripresa, successiva all'acquisizione e qualora ne sussistano le condizioni economiche delle attività relative alle celle subordinatamente alla realizzazione dei relativi investimenti. Al momento dell'affitto di azienda verrà effettuato il trasferimento di 10 dipendenti alla società cessionaria (Gala Tech s.r.l.) alle condizioni economiche di cui ai punti che seguono [...]. I restanti dipendenti rimarranno in carico alla società cedente (Solsonica) fatto salvo il diritto di precedenza in caso di assunzioni con professionalità compatibili alle esigenze della cessionaria, che permarrà fino al mese di giugno 2017, secondo le modalità che seguono. Fermo quanto previsto al punto che precede, la graduale ripresa delle attività produttive comporterà un altrettanto graduale necessità di incrementare l'organico della cessionaria. [...] il passaggio progressivo dei restanti dipendenti avverrà successivamente all'acquisizione dell'azienda ceduta, che avrà luogo al momento dell'omologa del concordato preventivo, presumibilmente entro il 31 dicembre 2015. In ogni caso, il trasferimento dei lavoratori avverrà se compatibile allo sviluppo del piano industriale e secondo le esigenze tecnico organizzative e produttive della società cessionaria»;
   la suddetta nota prosegue specificando che nel «testo dell'accordo sindacale sottoscritto dalle organizzazione sindacali, non vi è alcun obbligo di assunzione immediata di tutti i dipendenti, anzi è più volte precisato che il trasferimento avverrà solo se compatibile con sviluppo del piano industriale e secondo le esigenze tecnico organizzative e produttive della società. Occorre altresì precisare che attualmente Gala Tech s.r.l. occupa mediamente 70 dipendenti – 30 già a tempo indeterminato e i restanti a rotazione tra i dipendenti Solsonica per integrare le indennità previste dagli ammortizzatori sociali e non disperdere le competenze – ed ha in programma (come da accordi) un graduale incremento di organico, che sia compatibile con lo sviluppo commerciale e industriale della società»;
   le cause del malessere di aziende un tempo solide e di prestigio come la Solsonica sono da ricercare, oltre che nella crisi economico-finanziaria generale che sta colpendo il nostro Paese, anche nelle scelte fatte dell'Esecutivo nel cosiddetto decreto-legge competitività del 2014 che di fatto ha rimodulato retroattivamente le tariffe incentivanti al fotovoltaico;
   da notizie di stampa del 31 marzo 2016 risulta che non sarà concessa la cassa integrazione in deroga per ulteriori tre mesi –:
   se sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se intenda, al fine di salvaguardare i dipendenti a rischio di licenziamento e come dichiarato dal responsabile dell'unità gestione vertenze del Ministero dello sviluppo economico, riaprire il tavolo di vertenza a livello nazionale qualora la trattativa a livello locale non dovesse dare gli esiti sperati. (4-12340)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-02026 del 19 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-02058 del 26 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta orale Terzoni n. 3-02099 del 10 marzo 2016;
   interrogazione a risposta scritta Patrizia Maestri n. 4-13241 del 18 maggio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Bechis n. 4-13260 del 20 maggio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-13290 del 24 maggio 2016;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Sani e Faenzi n. 5-01212 del 15 ottobre 2013 in interrogazione a risposta orale n. 3-02292;
   interrogazione a risposta in Commissione Fraccaro n. 5-02250 del 4 marzo 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13384;
   interrogazione a risposta in Commissione Fraccaro n. 5-02628 del 14 aprile 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13385;
   interrogazione a risposta in Commissione Fraccaro n. 5-02913 del 30 maggio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13386;
   interrogazione a risposta in Commissione Ventricelli n. 5-03508 del 10 settembre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-02293;
   interrogazione a risposta in Commissione Benedetti e Gagnarli n. 5-03716 del 6 ottobre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-02290;
   interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e altri n. 5-06442 del 23 settembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02289;
   interrogazione a risposta in Commissione Gagnarli e altri n. 5-07599 del 2 febbraio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02288;
   interrogazione a risposta scritta D'Uva e altri n. 4-12342 del 3 marzo 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08831;
   interrogazione a risposta in Commissione Turco e altri n. 5-08192 del 21 marzo 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02294;
   interrogazione a risposta in Commissione Dallai e Sani n. 5-08686 del 16 maggio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02291;
   interrogazione a risposta scritta La Marca n. 4-13312 del 25 maggio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08805.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da notizia di stampa pubblicata sul quotidiano online La Repubblica in data 13 gennaio 2016 si apprende che le indagini condotte dalla Procura di Bari e dalla Digos relativamente alle poco trasparenti procedure per l'appalto di forniture e servizi messe in atto dalla Fondazione lirico sinfonica del teatro Petruzzelli di Bari hanno portato all'emanazione di un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti di Vito Longo, direttore amministrativo della Fondazione, e di quattro titolari di imprese fornitrici, Franco Mele, Giacomo Delle Noci, Nicola Losito e Vito Armenise;
   le indagini, tuttora in corso e riguardanti il periodo tra il 29 ottobre e il 4 dicembre 2015, hanno come oggetto tre appalti sospetti, destinati all'assegnazione di contratti per la fornitura di luci e di servizi di pulizia e facchinaggio nel politeama barese. Secondo le accuse rivolte agli imputati, i contratti sarebbero stati stipulati in cambio di tangenti e altre utilità;
   come riporta l'articolo sopracitato, dalle intercettazioni telefoniche e dalle riprese video effettuate con apparecchiature installate proprio nell'ufficio di Vito Longo si è infatti scoperto che, per aggiudicarsi l'appalto di servizi e forniture di tre spettacoli di balletto, gli imprenditori coinvolti avrebbero pagato una tangente al direttore amministrativo attraverso un sistema di sovrafatturazione delle prestazioni offerte o di fatturazione di prestazioni inesistenti;
   nel periodo dell'indagine, Longo avrebbe complessivamente ricevuto dai titolari della imprese fornitrici coinvolti nelle indagini tangenti per 20 mila euro, all'incirca il 10 per cento dell'importo degli appalti;
   la sistematicità dei pagamenti da parte degli imprenditori al direttore amministrativo rivelerebbe un sistema corrotto e con consolidato di appalti fatti su misura in cambio di tangenti che potrebbe generare l'ipotesi di un utilizzo di procedure di dubbia legittimità nell'affidamento degli appalti anche negli anni precedenti di attività del teatro Petruzzelli, motivo per cui le forze dell'ordine continueranno ad indagare;
   l'interrogante, in data 30 novembre 2015, aveva depositato un'interrogazione al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine di sollecitarne un intervento sia in merito a presunte irregolarità riscontrate nelle procedure di affidamento di appalti per le forniture di materiale illuminotecnico, sia con lo scopo di approfondire quelle voci dei bilanci a consuntivo pubblicati sul sito della Fondazione Petruzzelli, che dimostrano come un'ingente somma di denaro, proveniente da fondi pubblici, fin dalla riapertura del teatro nel 2009, sarebbe stata utilizzata nella maggior parte dei casi per il noleggio, piuttosto che per l'acquisto di impianti e apparecchiature;
   dalle dichiarazioni del presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, riportate nell'articolo di giornale pubblicato in data 15 gennaio 2015 sul quotidiano Il Corriere del Mezzogiorno, si apprende che la nomina di Vito Longo a direttore amministrativo della Fondazione Petruzzelli risale a quando la carica di presidente della Fondazione era affidata al sindaco Simeone Di Cagno Abbrescia;
   dallo stesso articolo si apprende che Vito Longo ha continuato ad operare come direttore amministrativo della Fondazione Petruzzelli anche nell'arco temporale in cui Michele Emiliano era sindaco della città di Bari e, di conseguenza, presidente della Fondazione lirico sinfonica del teatro barese, e che a quel tempo sua moglie, Antonella Rinella, era capo di gabinetto dell'amministrazione Emiliano;
   qualora le indagini della procura di Bari e della Digos confermassero la presenza di irregolarità nell'affidamento di appalti per forniture e servizi anche negli anni precedenti di attività della Fondazione, sotto la direzione amministrativa di Vito Longo, un contributo prezioso alle indagini potrebbe essere fornito proprio da chi, negli scorsi anni, ha ricoperto cariche importanti all'interno della Fondazione lirico sinfonica Petruzzelli, come quella di presidente, di sovrintendente, di membro del consiglio d'indirizzo e del collegio di revisore dei conti;
   come da statuto, documento pubblico consultabile sul sito www.fondazionepetruzzelli.it, il presidente della Fondazione, oltre ad esserne il rappresentante legale, ha difatti il compito di vigilare sull'esecuzione delle deliberazioni del consiglio d'indirizzo e di firmarne gli atti ed ogni altro documento necessario (articolo 15, comma 1 e 2); tra i compiti del consiglio d'indirizzo vi è l'obbligo di assicurare il pareggio di bilancio, (articolo 20, comma 1); il sovrintendente, unico organo di gestione della Fondazione, provvede all'organizzazione delle attività teatrali (articolo 21, comma 2) e svolge tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, predisponendo anche il bilancio preventivo e il bilancio di esercizio annuale da sottoporre al consiglio di indirizzo (articolo 21, comma 6); il collegio dei revisori dei conti a cui è affidato il controllo contabile della Fondazione (articolo 22). Si tratta di ruoli pienamente attivi nella vita della Fondazione Petruzzelli, pertanto possibili fonti di sostegno nello svolgimento e risoluzione delle indagini –:
   se non intenda verificare i fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative ritenga opportuno assumere, per quanto di competenza, al fine di verificare che nel corso della gestione amministrativa di Vito Longo non vi siano stati, anche in precedenza, casi simili a quelli portati alla luce dalle indagini sopracitate;
   se intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di chiarire quali dinamiche abbiano portato Longo a ricoprire la carica di direttore amministrativo;
   se intenda intervenire al fine di verificare, per quanto di competenza, altre eventuali responsabilità di coloro che a vario titolo hanno collaborato con Longo nel periodo del suo mandato, ricoprendo un ruolo attivo all'interno della Fondazione, e di accertare che non ci siano state omissioni di controllo da parte degli organi statutari della Fondazione. (4-11704)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, l'interrogante, a seguito di notizie di stampa on line su indagini in corso della procura di Bari e della Digos, riguardanti «poco trasparenti procedure per l'appalto di forniture e servizi messe in atto dalla Fondazione lirico sinfonica del teatro Petruzzelli di Bari», con emissione di ordinanze di custodia cautelari nei confronti del direttore amministrativo della Fondazione, Vito Longo, e di alcuni imprenditori, chiede quali iniziative si ritenga opportuno assumere, per quanto di competenza, al fine di verificare che nel corso della gestione amministrativa di Vito Longo non vi siano stati, anche in precedenza, casi simili a quelli portati alla luce dalle indagini sopracitate; se si intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di chiarire quali dinamiche abbiano portato Longo a ricoprire la carica di direttore amministrativo; se si intenda, infine, intervenire al fine di accertare se ci siano state altre eventuali responsabilità all'interno della Fondazione od omissioni di controllo da parte degli organi statutari della Fondazione.
  Riguardo alle questioni oggetto dell'interrogazione, si riporta di seguito quanto la direzione generale spettacolo di questo Ministero ha comunicato, raccolti i dovuti elementi dalla fondazione interessata.
  L'interrogante pone un quesito in ordine ad un presunto omesso controllo in atti ed azioni, da parte degli organi della Fondazione Petruzzelli, nei confronti dell'operato del direttore amministrativo della Fondazione, signor Vito Longo, attualmente inquisito, chiedendosi se l'architettura istituzionale della Fondazione Petruzzelli e delle relative funzioni di controllo, gestione e responsabilità sulla base dello Statuto, abbia ben operato.
  «Al riguardo gli organi della Fondazione ricordano «che con le leggi di riforma volute dall'allora ministro onorevole Massimo Bray e dall'attuale ministro onorevole Dario Franceschini, e approvate dal Parlamento della Repubblica, a far data dal 1o gennaio 2015 sono entrate in vigore nuove disposizioni che hanno portato ad una radicale trasformazione delle funzioni e dei poteri di indirizzo, gestione e controllo delle Fondazioni lirico sinfoniche» e sottolineano che «primo elemento di novità è rappresentato dalla trasformazione del consiglio di amministrazione, (organo a cui erano conferiti i poteri di amministrazione e indirizzo delle Fondazioni), in consiglio di indirizzo, che risponde a pieno a quanto affermato dall'interrogante.
  Secondo elemento è il ruolo del sovrintendente (a cui in precedenza venivano delegati dal consiglio di amministrazione quei poteri di amministrazione e gestione che gli erano concessi), che si trasforma in unico ed esclusivo organo di gestione della Fondazione, così come affermato dall'interrogante.
  Terzo elemento relativo al ruolo del collegio dei revisori dei conti che mantiene le stesse funzioni di controllo, ma la cui composizione viene effettuata secondo nuove e stringenti norme volute e approvate dal legislatore (il presidente è un magistrato della Corte dei Conti).
  I responsabili della Fondazione dichiarano, pure, che l'assunzione a tempo indeterminato del rag. Vito Longo in qualità di direttore amministrativo della Fondazione Petrazzelli risponde ai criteri di legge all'epoca vigenti, ripercorrendo l'iter procedurale relativo alla stessa:
   «Con l'autorizzazione del 24 luglio 2008 ad assunzioni a tempo indeterminato per personale tecnico e amministrativo con cui il Direttore generale del Mibac, Servizio I – Attività liriche e musicali, dottor Salvo Nastasi, autorizza codesta Fondazione Petruzzelli, ai sensi dell'articolo 2, comma 392, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, a procedere alla assunzione a tempo indeterminato di n. 22 unità lavorative, così come di seguito specificato... si conclude l’
iter procedurale con cui viene “stabilizzato” nella funzione e ruolo di direttore amministrativo il signor Vito Longo, come da pianta organica approvata in data 10 aprile 2008 con decreto ministeriale a firma del ministro Francesco Rutelli, e comunicato alla Fondazione Petruzzelli in data 7 luglio 2008 dal dirigente dell'ufficio Servizio I attività liriche e musicali, dottor Enrico Graziano, con Prot. 11166 S. 22.11.04.9 in cui nell'area amministrativa è collocata la presenza di n. 1 unità con la qualifica di direttore amministrativo inquadrato al livello di CCNL di Funzionario A.».

  «Precisano ancora che il signor Vito Longo ha prestato servizio “fin dal primo giorno di vita amministrativa della Fondazione Petruzzelli, istituita con la legge 310 del 2003, prima con contratto di collaborazione in qualità di responsabile amministrativo, poi nel 2007 con contratto a tempo determinato e infine assunto con contratto a tempo indeterminato nel 2008”, come sopra esposto».
  « Le procedure di assunzione subiscono un cambiamento di rotta con il decreto-legge 30 aprile 2010, n. 64, convertito con modificazioni dalla legge 29 giugno 2010, n. 100 ed in particolare l'articolo 3, comma 8-bis, dispone che “esclusivamente nei limiti delle risorse assegnate alla Fondazione per le proprie attività e senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, la Fondazione di cui alla legge 11 novembre 2003, n. 310, in deroga alle disposizioni di cui al comma 5, può effettuare assunzioni di personale con rapporto di lavoro a tempo determinato e indeterminato, selezionato esclusivamente a seguito dello svolgimento di procedure ad evidenza pubblica, nei limiti della pianta organica approvata, preventivamente autorizzata dal Ministero per i beni e le attività culturali”».
  « Il Presidente e il Sovrintendente sostengono nella risposta in esame di aver ottenuto, in quanto parte offesa nel procedimento, dalla Procura di Bari, l'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 5 persone, tra cui il signor Vito Longo e che procederanno nella costituzione di parte civile della Fondazione Petrazzelli per il risarcimento del danno, qualora al termine dell’iter processuale, fossero confermate tutte le accuse verso gli indagati».
  « Gli organi della Fondazione ritengono importante sottoporre all'attenzione dell'interrogante un articolo di stampa pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno il 6 dicembre 2015, quindi più di un mese prima dell'esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare di cui sopra, a firma del giornalista Giovanni Longo» nel quale, a proposito dell'inchiesta della Procura di Bari, si riferisce, tra l'altro, che gli inquirenti hanno ascoltato, prima dell'estate, anche Massimo Biscardi, sovrintendente della Fondazione, le cui dichiarazioni avrebbero aperto nuovi scenari nelle indagini.»
  «A sostegno del loro operato, nella loro risposta alla Direzione generale, «poiché l'interrogante insinua un probabile omesso controllo degli organi della Fondazione Petruzzelli, almeno per quelli insediati da meno di un anno e in particolare Presidente, Consiglio di Indirizzo e Sovrintendente», gli attuali amministratori della Fondazione riportano alcuni stralci di un articolo di stampa del quotidiano La Repubblica Bari del 22 dicembre 2015 a firma della giornalista Francesca Russi. In esso si riferisce che il presidente della Fondazione Petruzzelli di Bari, Gianrico Carofiglio, presentatosi di sua iniziativa negli uffici giudiziari con un faldone contenente contratti e fatture, è stato sentito a verbale come testimone dal sostituto procuratore Fabio Buquicchio, che coordina le indagini sugli appalti; il medesimo articolo riporta, tra virgolette, dichiarazioni dello stesso Presidente relative alle iniziative da lui intraprese in materia di ristrutturazione organizzativa interna dell'ente, al fine di prevenire il rischio di condotte illecite.
  « Infine il Sovrintendente ed il Presidente del Teatro Petruzzelli» prosegue la relazione della Direzione «per fugare ogni minimo dubbio dell'interrogante circa eventuali «omissioni di controllo da parte degli organi statutari della Fondazione», trasmettono uno stralcio di una ampia ed esaustiva Relazione Programmatica del Sovrintendente», nella quale si riferisce, con esplicito riferimento a specifici settori di attività, di una razionalizzazione di tutta la gestione delle concessioni a terzi, sia da un punto di vista produttivo che amministrativo.»
  Dato conto testualmente di quanto riferito dalla direzione generale spettacolo, si aggiunge che questa, non appena avuta notizia dell'indagine intrapresa dall'autorità giudiziaria, ha richiesto all'Avvocatura generale dello Stato l'avvio della procedura per la costituzione di parte civile nel procedimento penale in corso.
  La stessa direzione ha preso atto delle comunicazioni degli organi della Fondazione (sopra riportate), ma ha richiesto, al contempo, ai competenti uffici del Ministero di valutare l'opportunità dell'effettuazione di ulteriori accertamenti, per accertare quali carenze nella struttura gestionale e di controllo abbiano concorso, o possano ancora concorrere, ad agevolare comportamenti illeciti; conseguentemente, in data 4 marzo il segretario generale del Ministero ha deliberato lo svolgimento di una ispezione, che potrà comunque svolgersi nei limiti consentiti nei confronti di un soggetto di diritto privato.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 novembre 2015 sono stati pubblicati su sito www.fondazionepetruzzelli.it della Fondazione lirico sinfonica del Teatro Petruzzelli di Bari tre, bandi di selezione pubblica per esami volti all'individuazione delle figure di macchinista, fonico ed elettricista, con lo scopo di costituire una graduatoria di idonei da cui attingere per eventuali esigenze nel corso della stagione 2016;
   i bandi per la selezione di fonici ed elettricisti riportano entrambi alla lettera e) dell'articolo 1 «Requisiti richiesti per l'ammissione alla selezione», l'essere in possesso di un diploma di istituto superiore tecnico con indirizzo in elettronica ed elettrotecnica (perito elettrico) o di un'attestazione di qualifica professionale, oppure di vantare un'esperienza lavorativa di almeno 200 giorni nell'ultimo triennio presso enti e organismi teatrali, pubblici e privati, finanziati dal Fondo unico per lo spettacolo o presso Fondazioni lirico sinfoniche;
   all'articolo 1, lettera e), del bando per l'individuazione di macchinisti, invece, tra i requisiti per l'ammissione alla selezione non è richiesto alcun titolo d'accesso specifico, ma si tiene unicamente conto dell'esperienza lavorativa;
   in tutti e tre i bandi viene richiesto che i 200 giorni di esperienza lavorativa siano stati svolti unicamente presso quegli enti e organismi teatrali pubblici e privati che godono dei finanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo o presso Fondazioni lirico sinfoniche, il che costituisce un criterio di selezione che riduce notevolmente la platea dei candidati alla selezione;
   tale criterio, infatti, esclude automaticamente dal bando quei macchinisti, fonici ed elettricisti che non hanno prestato servizio presso Fondazioni lirico sinfoniche ma che hanno invece lavorato presso teatri stabili, teatri di tradizione, RAI, compagnie private, ovvero enti e organismi teatrali non sovvenzionate dal Fondo unico per lo spettacolo;
   esistono, però, diversi esempi di procedure selettive pubbliche per il personale tecnico messe in atto da diversi teatri italiani che dimostrano come tale prerequisito, non sia assolutamente imprescindibile per la partecipazione alla selezione di questo tipo;
   un esempio in tal senso è rappresentato dal bando per macchinista teatrale indetto dalla Fondazione Teatro Regio di Torino in data 12 novembre 2015 in cui all'articolo 1, lettera d), si legge chiaramente che il candidato può aver prestato servizio sia presso, Fondazioni lirico sinfoniche che presso teatri stabili, teatri di tradizione e RAI. In tale bando, inoltre, non è richiesta ai candidati esperienza lavorativa presso enti o teatri pubblici e privati finanziati dal Fondo unico per lo spettacolo;
   come ravvisabile dai bilanci a consuntivo consultabili sul sito web, del Teatro Petruzzelli, alla Fondazione lirico sinfonica è stato destinato il contributo del Fondo unico per lo spettacolo fin dalla ripresa dell'attività teatrale nel 2009;
   pertanto, poiché il politeama barese è gestito da una Fondazione lirico sinfonica ed è anche un ente sovvenzionato dal Fondo unico per lo spettacolo, è evidente che chi ha già collaborato nell'ultimo triennio come macchinista, elettricista e fonico presso il Teatro Petruzzelli godrebbe certamente di una corsia preferenziale rispetto ad altri candidati, essendo in possesso proprio di quella esperienza lavorativa di cui all'articolo 1, lettera e) dei tre bandi di selezione –:
   se non intenda verificare i fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative ritenga opportuno assumere, per quanto di competenza al fine di accertare la validità dei tre bandi esposti in premessa e del criterio di selezione di cui all'articolo 1, lettera e), dato che una selezione pubblica per esami dovrebbe essere accessibile a tutti o, quantomeno, ad una platea di candidati più vasta rispetto a quella prospettata dai tre bandi in questione;
   se intenda verificare, per quanto di competenza, i nominativi dei vincitori dei bandi per la selezione di macchinisti, fonici e ed elettricisti indetti negli scorsi anni dalla fondazione Petruzzelli con lo scopo di accertare la trasparenza dei processi di individuazione del personale tecnico e di escludere l'eventualità che la selezione per esami abbia ripetutamente portato all'assunzione delle stesse persone nel corso del tempo. (4-11708)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, l'interrogante con riferimento ai requisiti di ammissione indicati nei bandi di selezione, pubblicati on line in data 12 novembre 2015, al fine di costituire una graduatoria di idonei cui la Fondazione lirico sinfonica Petruzzelli di Bari possa attingere per eventuali assunzioni nella stagione teatrale 2016, ritenendo che detti requisiti escluderebbero automaticamente chi non ha già avuto precedenti esperienze presso fondazioni lirico-sinfoniche, chiede, verificati i fatti esposti in premessa, quali iniziative si ritenga opportuno assumere, per quanto di competenza, al fine di accertare la validità dei bandi stessi.
  Riguardo alle questioni oggetto dell'interrogazione, la direzione generale Spettacolo di questo Ministero, raccolti i dovuti elementi dalla Fondazione interessata, ha comunicato quanto di seguito si riporta testualmente.
  «Gli organi della Fondazione, con riferimento ai quesiti relativi all'articolo 1 lettera e) del Bando per le Selezioni del personale tecnico a tempo determinato bandite dalla Fondazione Petruzzelli per la stagione 2016, specificano che il bando in questione è stato pubblicato in data 12 novembre 2015, con scadenza della presentazione delle domande il 12 dicembre 2015, al fine di consentire la massima divulgazione e la maggiore partecipazione possibile di candidati, e che il bando di selezione prevede all'articolo 1, lettera e): «esperienza lavorativa con la qualifica di macchinista di almeno 200 giorni nell'ultimo triennio (attestato da estratto contributivo) presso Enti e organismi teatrali, pubblici e privati, che sono stati finanziati dal FUS o Fondazioni Lirico Sinfoniche»».
  «Tale criterio, oggetto di confronto e discussione con le Organizzazioni Sindacali, è stato asseritamente voluto dalla Fondazione in quanto ritenuto fortemente “espansivo” riguardo alla partecipazione di soggetti potenzialmente e professionalmente validi».
  «I criteri guida che hanno determinato l'approvazione dei bandi in oggetto sono stati ispirati dal decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) 1o luglio 2014, Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, ove all'articolo 2, vengono enunciati gli obiettivi strategici del sostegno allo spettacolo dal vivo, disponendosi che “ai fini dell'intervento finanziario dell'Amministrazione, le attività di spettacolo dal vivo considerate sono quelle a carattere professionale relative alla produzione, programmazione e promozione”».
  «Ne consegue che la platea di potenziali candidati a “carattere professionale”, e non “amatoriale”, è stata individuata con un criterio più ampio poiché il bando ha ampliato la platea dei candidati ammettendo quanti abbiano lavorato oltre che presso le quattordici fondazioni lirico sinfoniche, anche preso gli organismi di cui agli articoli 10), 11), 14), 16), 17), 18), 19), 21), 26) del citato decreto ministeriale 1o luglio 2014. Infatti, tutti i teatri stabili o teatri di tradizione sono riconosciuti dal MIBACT, e nel bando in questione, si riconoscono quali datori di lavoro anche tutti quegli organismi, diverse centinaia, che ricevono finanziamenti dal MIBACT».
  «In merito alla richiesta di specifico diploma di perito elettrico o elettronico inserito nei bandi per elettricisti e fonici, la Fondazione Petruzzelli ha inteso garantire due aspetti:
   «1. Ulteriore estensione del livello di partecipazione per quei candidati che non hanno mai lavorato in enti ed organismi teatrali come da articolo 1) lettera e) del suddetto bando ma in possesso di conoscenze specifiche (...).
   2. Garanzia di sicurezza per la Fondazione e il lavoratore che, pur non avendo mai avuto modo di lavorare in un teatro «professionale», è a conoscenza dei rischi che comporta lavorare nell'ambito dei sistemi elettrici.

  « Poiché l'interrogante cita quale esempio positivo il bando per macchinista teatrale indetto dalla Fondazione Teatro Regio di Torino, gli amministratori del Petruzzelli sottolineano: «Lo stesso criterio non poteva essere adottato nel bando dei macchinisti in quanto non vi è un indirizzo scolastico pubblico specifico in grado di rilasciare diplomi di Stato di scuola superiore per macchinisti teatrali.
  Infatti dall'analisi del citato bando della Fondazione Teatro Regio di Torino è necessario sottoporre all'attenzione dell'interrogante alcune riflessioni:
   il bando del Regio di Torino – Concorso per eventuale assunzione a tempo indeterminato full time (e non una semplice Selezione per chiamate a termine come nel caso della Fondazione Petruzzelli) – cita testualmente: ... Procedura selettiva pubblica, per titoli ed esami, per l'eventuale assunzione a tempo indeterminato full time (n. 1 posto) da assegnare al profilo professionale Tecnico di Palcoscenico – Macchinista Teatrale’ inquadramento nel livello 5o dell'area tecnico-amministrativa...».

  Al contrario, invece, il bando della Fondazione Petruzzelli cita testualmente:

BANDO DI SELEZIONE PER MACCHINISTI.
  La Fondazione lirico sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari indice una Selezione pubblica per esami, preordinata alla costituzione di una graduatoria di idonei da cui attingere per eventuali esigenze che dovessero presentarsi nell'ambito delle Stagione 2016, anche in riferimento ad una singola produzione per il seguente ruolo:

MACCHINISTI.
  La Fondazione Teatro Regio di Torino all'articolo 1 lettera d) prevede testualmente:
   d) soddisfino almeno una delle seguenti condizioni:
    1. siano in possesso di qualifica di istruzione professionale o certificato equivalente asseverato per diplomi perseguiti all'estero ed abbiano prestato servizio effettivo esclusivamente con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato presso Fondazioni Lirico Sinfoniche, teatri stabili, teatri di tradizione, Rai, in qualifica e profilo equivalente alla posizione di cui alla presente procedura selettiva pubblica per almeno 24 mesi;
   ovvero:
    2. siano in possesso di diploma di istituto superiore o laurea triennale/magistrale/titolo equivalente del vecchio ordinamento o certificato equivalente asseverato per titoli conseguiti all'estero ed abbiano prestato servizio effettivo esclusivamente con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato presso Fondazioni Lirico Sinfoniche, teatri stabili, teatri di tradizione, rai, in qualifica e profilo equivalente alla posizione di cui alla presente procedura selettiva pubblica per almeno 12 mesi».
  «Nel prosieguo (...) gli organi della Fondazione continuano a riferire nel dettaglio le motivazioni che hanno indirizzato le procedure selettive del personale, ponendo l'attenzione sui requisiti di cui sopra, i quali «al contrario di quanto affermato dall'interrogante», sono «meno inclusivi di quelli presenti nel bando di Selezione della Fondazione Petruzzelli, in quanto un generico diploma di istruzione professionale o certificato equivalente vincolano in ogni caso il candidato al secondo, imprescindibile, requisito dell'aver prestato servizio effettivo esclusivamente con contratto a T.D. o T.I. presso Fondazioni lirico sinfoniche, teatri stabili e teatri di tradizione (...) e Rai, in qualifica e profilo equivalente a quella di Macchinista Teatrale, per una durata non inferiore a 24 mesi, o di 12 mesi se il candidato è in possesso di diploma di istituto superiore o laurea triennale/magistrale.
  Nel bando di Selezione pubblicato dalla Fondazione Petruzzelli si estende il livello di partecipazione a tutti quei candidati che abbiano maturato, nel triennio precedente, almeno 200 giornate lavorative presso Fondazioni lirico sinfoniche e tutti i soggetti riconosciuti dal D.M. 1o luglio 2014, e non, come per il Regio di Torino, solo presso Fondazioni lirico sinfoniche, Teatri Stabili, Teatri di Tradizione e Rai.
  Altro particolare non indifferente è quanto previsto all'articolo 4 del Bando di Concorso del Teatro Regio di Torino, dove i titoli di servizio vengono valutati, nel limite massimo di 10 punti, calcolando 0,20 punti per ogni mese lavorato presso la Fondazione Teatro Regio di Torino con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato, e di 0,10 punti, nel limite massimo di 10 punti per ogni mese lavorato solo presso Teatri Stabili, Teatri di Tradizione e Rai con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato.
  La Fondazione Petruzzelli ha optato, invece, per una prova selettiva per soli esami, (eliminatoria e finale), garantendo ai candidati che hanno prestato servizio presso la Fondazione lirico sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari per almeno 450 giorni nell'ultimo triennio di essere dispensati dalla prova eliminatoria, accedendo direttamente alla prova finale, composta di una prova orale ed una pratica specifica.
  Giova, inoltre, segnalare che in data 15 aprile 2015 il Teatro dell'Opera di Roma indice un Bando di Selezione, per eventuali assunzioni a tempo determinato per le Stagioni 2014/2015 e 2015/2016 per Macchinisti, Elettricisti e Falegnami i cui requisiti di partecipazione sono divisi in due tipologie:
   Generici: cittadinanza italiana o di un Paese della UE; cittadini non UE in possesso di regolare permesso di soggiorno che ne consenta l'assunzione senza ulteriori formalità.
   Età non inferiore ai 18 anni.
   Specifici: solo per gli Elettricisti viene richiesto attestato di elettricista o in alternativa diploma di perito eletronico/elettrotecnico e precedente esperienza lavorativa preferibilmente nel settore dello spettacolo (teatro, cinema, televisione) o nel settore elettrico (industriale, cantieristico)».
  « Nella concreta applicazione del bando di selezione, dopo 1 mese di pubblicazione dello stesso, si è rilevato che per i macchinisti lo stesso ha prodotto il risultato di n. 20 domande complessive, di cui n. 9 corrispondono a candidati tenuti alla prova eliminatoria: di questi nove candidati, quattro già a vario titolo erano stati dipendenti a termine della Fondazione, ma non aventi le 450 giornate nel triennio valide per l'accesso diretto alla prova finale, e cinque sono risultati candidati «nuovi», nel senso che non hanno mai avuto rapporti di lavoro con la Fondazione Petruzzelli, e le cui città d'origine sono Verona, Imperia, Pescara, Napoli e Palermo. Inoltre, a seguito di riscontri amministrativi circa la dichiarazione dei candidati, un candidato che dichiarava di possedere il requisito per accedere direttamente alla prova finale (450 giorni) è stato reinserito d'ufficio nella prova eliminatoria. Pertanto per la prova eliminatoria erano stati registrati dieci candidati, e non più nove (dato consultabile sul sito www.fondazionepetruzzelli.it – Sezione Info – Bandi e Gare)».
  «Per la prova finale altri dieci candidati di venti vantavano il requisito richiesto delle 450 giornate».
  « Ma il giorno della prova eliminatoria su dieci candidati previsti erano presenti solo in tre, a fronte di sette candidati che non si sono presentati».
  «I tre candidati che si sono sottoposti alla prova eliminatoria, test più prova pratica, sono stati ritenuti idonei dalla commissione giudicatrice e il giorno dopo hanno affrontato la prova finale con gli altri dieci aventi comunque diritto, vantando il requisito dei 450 giorni».
  « L'esito finale ha visto dodici idonei e un non idoneo. Si constata che il bando in questione, come gli altri bandi per l'area tecnica, ha visto, nonostante la pubblicità datane e la massima possibilità di accesso, una scarsa partecipazione. In particolare, nel caso del bando dei macchinisti, dei cinque candidati esterni, nel senso di non previamente alle dipendenze del Petruzzelli e residenti in città del centro e nord Italia, non si è presentato nessuno, per un totale di sette rinunce a partecipare».
  «L'ultimo specifico quesito dell'interrogazione è rivolto al Ministro Franceschini affinché “possa verificare, per quanto di competenza, i nominativi dei vincitori dei bandi per la selezione di macchinisti, fonici ed elettricisti indetti negli scorsi anni dalla Fondazione Petruzzelli, con lo scopo di accertare la trasparenza dei processi di individuazione del personale tecnico e di escludere l'eventualità che la selezione per esami abbia ripetutamente portato all'assunzione delle stesse persone nel corso del tempo”».
  «Al riguardo viene rammentato dal Teatro che anteriormente alla legge n. 100/2010 le Fondazioni lirico sinfoniche erano tenute al rispetto delle disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro, che non imponevano procedure di selezione pubblica per le assunzioni di personale tecnico ed amministrativo.
  « La Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari, già soggetta a gestione commissariale straordinaria ai sensi dell'articolo 21, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 367 del 29 giugno 1996, dal 1o marzo 2012 al 15 ottobre 2013, al cambio della governance, come prescritto dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, ha registrato la nomina del Mo Massimo Biscardi con decreto ministeriale 27 marzo 2015 quale sovrintendente del Teatro di Bari, a conferma della precedente nomina effettuata dall'allora Consiglio di Amministrazione il 7 febbraio 2014».
  « La nuova normativa ha trasformato il consiglio di amministrazione in consiglio di indirizzo, riconoscendo al sovrintendente tutti i poteri di gestione, il quale ha predisposto per la prima volta bandi di selezione di personale attraverso procedure di evidenza pubblica, così come previsto dalle norme vigenti e viene precisato dagli amministratori che i bandi di selezione sopra descritti sono stati adottati nell'ambito degli accordi stabiliti nel Piano di risanamento approvato il 27 luglio 2015 e, a quanto dichiarato dagli organi stessi della Fondazione, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali presenti in teatro, secondo quanto previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro.».
  A quanto sopra riportato, si può ora aggiungere che la direzione generale ha preso atto delle comunicazioni degli organi della Fondazione, ma ha, al contempo, richiesto ai competenti uffici del Ministero di valutare l'opportunità dell'effettuazione di ulteriori accertamenti, per accertare la regolarità delle procedure concorsuali per la selezione di personale per la stagione 2016. Conseguentemente, in data 4 marzo 2016 il segretario generale del Ministero ha deliberato lo svolgimento di una ispezione, che potrà comunque svolgersi nei limiti consentiti nei confronti di un soggetto di diritto privato.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   CAPARINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171 (cosiddetta riforma Franceschini) prevede una nuova organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. La riforma, secondo quanto dichiarato dal Ministro interrogato, avrebbe dovuto essere ispirata ai principi di economicità, appropriatezza e risparmio delle risorse pubbliche (spending review) e pensata per integrare i comparti cultura e turismo, semplificare l'amministrazione periferica, ammodernare la struttura centrale, rilanciare le politiche di innovazione e formazione, valorizzare le arti e l'architettura contemporanee e dare maggiore autonomia ai musei statali italiani, finora grandemente limitati nelle loro potenzialità;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha radicalmente modificato il sistema della tutela in Italia. Dopo una prima fase che ha visto la netta e innaturale separazione tra tutela e valorizzazione mediante la creazione di poli e musei autonomi e distinti dall'attività sul territorio, il Ministero sembra procedere verso la costituzione di soprintendenze uniche miste che confluiranno in uffici territoriali governativi;
   è indubbio che la riforma ha inciso particolarmente sul settore archeologia, snodo nevralgico quanto fondamentale per la tutela e la valorizzazione dell'immenso patrimonio culturale del Paese. Dopo 110 anni di esistenza vengono smantellate le soprintendenze archeologiche adottando un nuovo modello organizzativo del sistema di tutela del patrimonio culturale italiano che non prevede più l'esistenza, nelle diverse regioni, di soprintendenze specificamente dedicate all'archeologia, bensì unificate di «archeologia, belle arti e paesaggio», distribuite sul territorio su base inter-provinciale;
   con questa riforma si assiste al ritorno a una concezione antiquaria del museo, derivante dalla separazione del museo dal contesto territoriale di riferimento che privilegia un approccio estetico del bene, piuttosto che la complessità dei contenuti storico-culturali di cui esso è documento;
   la riforma ha carattere centralistico che, di contro all'annunciata presenza più capillare sul territorio con la nascita di nuove sedi, accentra competenze come quelle nell'ambito di ricerca e scavi archeologici presso l'istituto centrale dell'archeologia;
   la riforma induce alla perdita della specificità tecnico-scientifica della tutela, con l'accorpamento degli uffici sotto un dirigente non specialista chiamato a svolgere una funzione di coordinamento amministrativo;
   le procedure di tutela da decenni si sono sviluppate separatamente nei diversi settori di competenza tecnica (archeologia, architettura e arti) esaltandone le peculiarità. Demandare le decisioni strategiche in questa materia a dirigenti – anche se coadiuvati da funzionari specialisti – che non abbiano una specifica padronanza della disciplina archeologica può comportare il rischio di una sottovalutazione delle problematiche di conservazione, con conseguente impatto sui tempi e sui costi degli interventi di archeologia preventiva;
   la frammentazione delle funzioni di tutela tra più uffici territoriali di dimensioni ridotte, rischia di privilegiare un atteggiamento che non consente una visione di carattere generale delle problematiche storiche;
   in contrapposizione al principio ispiratore di economicità e appropriatezza della riforma, la creazione delle nuove soprintendenze uniche comporterà la previsione di nuovi costi, dovendosi individuare in molti casi nuove sedi, oppure adeguare quelle esistenti e trasferire strutture, depositi, archivi e personale;
   questi nuovi orientamenti organizzativi svalutano il carattere tecnico-specialistico delle soprintendenze e ne riducono la portata territoriale alla dimensione provinciale e non più regionale;
   il territorio è il vero museo e le opere nei musei italiani raccontano la storia dei territori da cui provengono. Separare i musei dal territorio vuol dire non tenere conto della straordinaria specificità del nostro Paese e applicare un modello che concentra nei musei collezioni che in genere non hanno un rapporto con il territorio;
   il materiale archeologico (in maggioranza, proveniente da scavi non completamente studiati né ancora catalogati) non inventariato, non necessariamente è conservato solo nei musei e non sempre è distribuito per province; quindi, a seguito di questa riforma, alcuni uffici si troveranno a detenere materiale proveniente da altri territori, con tutte le responsabilità e le spese connesse per la gestione degli stessi;
   lo spostamento del personale dalla sede di attuale appartenenza costituirà un problema cruciale e richiederà probabilmente tempi lunghi; il rischio è che nelle regioni di maggiore estensione alcuni ruoli (specie archeologi e restauratori specializzati, ma anche quadri intermedi, ormai in grave insufficienza ovunque) rimangano carenti in alcune sedi e sovrabbondanti in altre;
   il dibattito accesosi nel nostro Paese su questa riforma dimostra che è necessario un suo ripensamento –:
   se intenda assumere iniziative per riconsiderare la possibilità di un «opzione regionale», rispetto alla dimensione inter-provinciale degli enti, peraltro in corso di ridimensionamento a livello amministrativo generale;
   quale sia la tempistica per il completamento del passaggio dei musei e aree archeologiche ai poli museali e quali iniziative si intendano mettere in atto per quelle situazioni territoriali per le quali sono già state evidenziate criticità, visto che la situazione di provvisorietà rischia di avere pesanti ripercussioni sulla tutela e sul funzionamento;
   come intenda salvaguardare in maniera adeguata, nel nuovo progetto organizzativo posto in essere dal Ministero, l'interesse alla tutela del patrimonio archeologico e del paesaggio culturale e la continuità dell'azione amministrativa, onde evitare che nel lasso di tempo necessario per organizzare la nuova articolazione, il territorio, già fragile e sottoposto a numerosi interventi, abbia a risentire in modo irrecuperabile della trasformazione delle articolazioni territoriali del Ministero;
   se si intenda assicurare ad ogni soprintendenza la dotazione organica necessaria per far fronte ai numerosi compiti derivanti dal nuovo assetto organizzativo, integrando gli organici anche con personale competente nel settore informatico, visti i nuovi obblighi imposti dall'amministrazione digitale del patrimonio culturale e paesaggistico del Paese;
   se non intenda, in alternativa, assumere iniziative per prevedere una moratoria nell'attuazione della riforma in tutte le sue fasi, al fine di attivare, anche in tempi brevi, un tavolo tecnico di coordinamento, tra il Ministero e gli operatori del settore e i loro organismi rappresentativi – figure coinvolte dalla riforma – che porti ad un'approfondita riflessione sull'intera materia e sulle ricadute, sulle problematiche generali e specifiche che si sono profilate e sulle opportune misure di rilancio e potenziamento delle strutture preposte alla tutela. (4-12279)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame fa riferimento alla riforma del Ministero disposta col decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89» (di seguito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014), al nuovo assetto organizzativo che essa prevede, ai processi, anche complessi, di attuazione della riforma e, da ultimo, al fatto che, secondo l'interrogante, «dopo una prima fase... il Ministero sembra procedere verso la costituzione di soprintendenze uniche miste che confluiranno in uffici territoriali governativi».
  In relazione a ciò, nell'atto ispettivo si chiede: «se intenda assumere iniziative per riconsiderare la possibilità di un’«opzione regionale», rispetto alla dimensione inter-provinciale degli enti, peraltro in corso di ridimensionamento a livello amministrativo generale; quale sia la tempistica per il completamento del passaggio dei musei e aree archeologiche ai poli museali e quali iniziative si intendano mettere in atto per quelle situazioni territoriali per le quali sono già state evidenziate criticità, visto che la situazione di provvisorietà rischia di avere pesanti ripercussioni sulla tutela e sul funzionamento; come intenda salvaguardare in maniera adeguata, nel nuovo progetto organizzativo posto in essere dal Ministero, l'interesse alla tutela del patrimonio archeologico e del paesaggio culturale e la continuità dell'azione amministrativa, onde evitare che nel lasso di tempo necessario per organizzare la nuova articolazione, il territorio, già fragile e sottoposto a numerosi interventi, abbia a risentire in modo irrecuperabile della trasformazione delle articolazioni territoriali del Ministero; se si intenda assicurare ad ogni soprintendenza la dotazione organica necessaria per far fronte ai numerosi compiti derivanti dal nuovo assetto organizzativo, integrando gli organici anche con personale competente nel settore informatico, visti i nuovi obblighi imposti dall'amministrazione digitale del patrimonio culturale e paesaggistico del Paese; se non intenda, in alternativa, assumere iniziative per prevedere una moratoria nell'attuazione della riforma in tutte le sue fasi, al fine di attivare, anche in tempi brevi, un tavolo tecnico di coordinamento, tra il Ministero e gli operatori del settore e i loro organismi rappresentativi — figure coinvolte dalla riforma — che porti ad un'approfondita riflessione sull'intera materia e sulle ricadute, sulle problematiche generali e specifiche che si sono profilate e sulle opportune misure di rilancio e potenziamento delle strutture preposte alla tutela».
  Come è noto all'interrogante, anche questa Amministrazione ha dovuto dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni alle piante organiche imposte dalle politiche di revisione della spesa pubblica (spending review), contenute in numerosi provvedimenti normativi finalizzati, tra l'altro, al contenimento e alla riduzione dei costi delle pubbliche amministrazioni. Questo Ministero vi ha provveduto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, sopra citato cui è seguito, successivamente, il decreto ministeriale del 27 novembre 2014, Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera a) che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale e le relative dotazioni organiche, in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 cento di quelle esistenti. Nel complesso, la riorganizzazione ha imposto il taglio di 37 dirigenti (6 di prima fascia e 31 di seconda fascia). Nonostante che l'indicazione normativa mirasse soprattutto alla riduzione della spesa, l'Amministrazione ne ha colto l'occasione per ridisegnare tutta la propria organizzazione in modo fortemente innovativo.
  Successivamente è intervenuto il comma 327 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2016), il quale ha disposto che, nelle more dell'attuazione dei decreti legislativi attuativi dell'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», al fine di dare efficace attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 17-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (che ha introdotto il silenzio-assenso qualora non siano acquisiti, entro il termine di novanta giorni, assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico territoriale e dei beni culturali), nonché di garantire il buon andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo provvede alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale del Ministero, con proprio decreto – da emanare entro il termine di trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità stessa – nel rispetto delle dotazioni organiche determinate dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
  In attuazione della disposizione di legge sopra richiamata, è stato emanato il decreto ministeriale 23 gennaio 2016, «Riorganizzazione del Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208» (di seguito decreto ministeriale 23 gennaio 2016), registrato dalla Corte dei Conti in data 29 febbraio 2016 e pubblicato nella serie generale della Gazzetta Ufficiale n. 5 dell'11 marzo 2016. Il provvedimento è entrato in vigore il 26 marzo 2016.
  Il decreto ministeriale 23 gennaio 2016 sopra citato, come anche indicato nelle premesse del provvedimento stesso, è stato emanato dopo aver ascoltato le organizzazioni sindacali del Ministero in data 18 gennaio 2016 e il Consiglio superiore «Beni culturali e paesaggistici» nella seduta di pari data.
  Inoltre, il progetto di riorganizzazione è stato personalmente illustrato dal Ministro nel corso della seduta del 19 gennaio 2016 delle commissioni riunite cultura, scienza e istruzione della Camera e istruzione pubblica, beni culturali del Senato.
  Con il decreto ministeriale 23 gennaio 2016 il Ministero viene ridisegnato a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Il nuovo assetto organizzativo prevede la creazione delle soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio. Con questo intervento aumentano i presidi di tutela sul territorio nazionale, che, per l'archeologia, passano dalle attuali 17 soprintendenze archeologia alle nuove 39 soprintendenze unificate (cui si sommano le due soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei).
  La nuova articolazione territoriale realizza una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente ed è stata definita tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori.
  Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici. In un unico ufficio, responsabile di un'area territoriale più circoscritta e quindi più vicino a cittadini, amministratori locali e imprese, si concentrano e si coordinano le diverse competenze tecnico-scientifiche, con riduzione dei costi amministrativi e incremento di efficienza ed efficacia dell'attività di tutela.
  Ogni nuova soprintendenza verrà articolata in sette aree funzionali (organizzazione e funzionamento; patrimonio archeologico; patrimonio storico e artistico; patrimonio architettonico; patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio; educazione e ricerca) per garantire una visione complessiva dell'esercizio della tutela, assicurando anche la presenza delle specifiche professionalità. Per cittadini e imprese sarà così più semplice e rapido rapportarsi con l'amministrazione, con una notevole riduzione degli oneri burocratici. Ciascuna soprintendenza costituirà un riferimento univoco per la valutazione di qualunque aspetto di ogni singolo progetto, dalla tutela di beni archeologici per arrivare all'impatto paesaggistico, passando per gli aspetti di carattere artistico e architettonico: a un'unica domanda corrisponderanno un unico parere e un'unica risposta. Al centro ci sarà una sola direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, che garantirà il coordinamento delle soprintendenze su tutto il territorio nazionale.
  Il decreto ministeriale non prevede alcuna confluenza delle soprintendenze negli uffici territoriali governativi. Le soprintendenze sono e restano terminazioni periferiche del Ministero con autonome funzioni e strutture.
  Appare evidente come il nuovo assetto territoriale risponda meglio alla preoccupazione manifestata dell'interrogante che sia salvaguardato adeguatamente l'interesse alla tutela del patrimonio archeologico e del paesaggio culturale.
  Con particolare riguardo ai timori possibili per la continuità dell'azione amministrativa, in conseguenza della «provvisorietà» provocata dal passaggio dalla vecchia alla nuova organizzazione, sia il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 che il decreto ministeriale 23 gennaio 2016, hanno previsto specifiche disposizioni transitorie per il periodo necessario all'istituzione delle nuove strutture, per evitare indebolimenti o interruzioni dell'azione amministrativa.
  Riguardo alla cosiddetta «opzione regionale», si ricorda che il richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, proprio per assicurare, a livello regionale, idonei livelli di coordinamento dell'azione amministrativa degli uffici del Ministero operanti nei territori ha disposto l'istituzione dei segretariati regionali (articolo 32) e delle commissioni regionali per il patrimonio culturale (articolo 39).
  I segretariati regionali assicurano, nel rispetto della specificità tecnica degli istituti e nel quadro delle linee di indirizzo inerenti alla tutela emanate per i settori di competenza dalle direzioni generali centrali, il coordinamento dell'attività delle strutture periferiche del Ministero presenti nel territorio regionale.
  Le commissioni regionali per il patrimonio culturale sono organi collegiali a competenza intersettoriale. Esse coordinano e armonizzano l'attività di tutela e di valorizzazione nel territorio regionale, favoriscono l'integrazione inter- e multidisciplinare fra i diversi istituti, garantiscono una visione olistica del patrimonio culturale, svolgono un'azione di monitoraggio, di valutazione e di autovalutazione.
  Allo scopo di assicurare ad ogni struttura del Ministero, sia centrale che periferica, le necessarie risorse umane, il 26 gennaio 2015 è stato emanato un bando di mobilità volontaria, definito a seguito di una attenta ricognizione delle risorse umane esistenti negli uffici prima della riforma operata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 e una altrettanto attenta individuazione dei fabbisogni dei nuovi uffici istituiti dallo stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, allo scopo di meglio riallocare il personale e consentire una piena attuazione del nuovo assetto organizzativo.
  A questo primo bando ne seguirà uno successivo, per adeguare le risorse umane al nuovo assetto organizzativo delineato dal decreto ministeriale 23 gennaio 2016, così da consentire la piena operatività dei nuovi uffici.
  Il complesso e vasto, ma necessario, disegno di riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha suscitato consensi e dissensi. Con il decreto ministeriale 23 gennaio 2016 si è intervenuti, da un lato, per superare alcune criticità emerse in fase di attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 e, dall'altro, si è proseguito nel percorso rivelatosi già valido.
  In questo processo non è mai mancato, né mancherà, il dialogo e il confronto con le Commissioni parlamentari, con le organizzazioni sindacali, con il consiglio superiore del Ministero, con gli studiosi e con tutte le realtà associative interessate alle sorti del patrimonio culturale italiano.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 6 maggio 2015, n.52, all'articolo 2, comma 7, lettera b), reca una novella all'articolo 14, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, disponendo il deposito presso il Ministero dell'interno dello statuto da parte di una forza politica che intenda partecipare alle elezioni politiche;
   tale norma appare poco chiara sia per quanto riguarda la sua corretta applicazione sia per quanto riguarda le conseguenze di una sua eventuale disapplicazione parziale o totale. La norma in merito allo statuto da depositare richiama l'articolo 3 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n.149, lasciando intendere che lo statuto da depositare debba essere conforme alle caratteristiche individuate da tale disposizione;
   allo stesso tempo, però, la lettera b) del comma 7 dell'articolo 2 della legge n.52 del 2015 non individua il soggetto a cui spetti il compito di vagliare la regolarità e la conformità dello statuto depositato, e nulla dispone in merito ad un mancato deposito dello statuto, né in merito al deposito di uno statuto che non sia conforme a quanto disposto dall'articolo 3 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n.149;
   la scarsa chiarezza della norma e le criticità che questa potrebbe comportare sono state sottolineate anche dal Comitato per la legislazione della Camera dei deputati nel parere espresso sul testo normativo. Nelle premesse di tale parere il Comitato per la legislazione scrive «per poter conseguire una maggiore efficacia nel riordinamento della legislazione vigente, alcune fattispecie appaiono bisognose di essere disciplinate espressamente, anche al fine di ridurre gli spazi affidati all'interpretazione, in sede sia amministrativa sia giurisdizionale, e ciò soprattutto in una materia – quella elettorale – fisiologicamente oggetto di numerose controversie; ciò si riscontra nel seguente caso: il nuovo articolo 14 del TUE, nel testo modificato al Senato, prevede che i partiti depositino, oltre al contrassegno e al programma, altresì “il proprio statuto di cui all'articolo 3 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13” (detto articolo determina i requisiti dello statuto dei partiti ai fini dell'accesso alle forme di contribuzione previste a seguito dell'abolizione del finanziamento pubblico: nel vigente quadro normativo l'obbligo per i partiti di dotarsi di uno statuto è requisito necessario esclusivamente ai predetti fini). La disposizione in esame: non reca una disciplina espressa in ordine alla verifica della presenza nello statuto dei requisiti indicati dal sopra citato articolo 3; non disciplina le conseguenze del mancato deposito dello statuto né – più in generale – chiarisce se lo statuto sia un requisito obbligatorio anche per la partecipazione alle elezioni; muovendo da tale premessa il Comitato inserisce nel parere favorevole approvato la seguente condizione “sotto il profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione: per le ragioni specificate in premessa, cui si rinvia, si valuti l'opportunità di disciplinare il deposito dello statuto dei partiti”»;
   poiché nel corso dell'esame del testo normativo svolto alla Camera dei deputati, prima in Commissione e poi in Assemblea, la disposizione di cui alla lettera b), comma 7, dell'articolo 2 della legge 52 del 2015 non è stata oggetto di modifiche disattendendo la condizione riportata nel parere del Comitato per la legislazione, la stessa disposizione è stata oggetto dell'ordine del giorno 9/3-bis-B/4, presentato a firma dell'interrogante nel corso della seduta della Camera dei deputati del 4 maggio 2015;
   in merito alle criticità sollevate dal parere espresso dal Comitato per la legislazione e dall'ordine del giorno 9/3-bis-B/4 i rappresentanti del Governo, nella persona del sottosegretario Ivan Scalfarotto e del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, hanno sostenuto la tesi della così detta lex imperfecta;
   più nello specifico il sottosegretario Scalfarotto intervenendo in sede di Comitato per la legislazione ha dichiarato «Premette che la disposizione è frutto di un emendamento di proposta parlamentare approvato nel corso dell'esame al Senato, sul quale – dopo varie vicende – il Governo si era rimesso all'Assemblea. Osserva che la collocazione sistematica della disposizione, nel corpo dell'articolo 14 relativo al deposito del contrassegno e alla sua riconoscibilità e non confondibilità, permette di ritenerlo un onere, piuttosto che un vero e proprio obbligo, finalizzato a concorrere alla protezione del partito e dell'elettore sotto il profilo della riconoscibilità e non confondibilità della lista. Rafforza infatti tale lettura, oltre al criterio della sedes materiae, anche il confronto con le prescrizioni relative al deposito dei contrassegni, rispetto alle quali emerge sia la mancata previsione di conseguenze o sanzioni (che caratterizza la disposizione quale l’ex imperfecta, recante cioè un principio la cui inottemperanza non è sanzionata), sia la correlativa assenza di disposizioni in tema di sanatorio o tardiva integrazione in caso di mancato deposito, che in tale quadro risulterebbero ridondanti stante, appunto, la mancanza di sanzioni»;
   il Ministro Maria Elena Boschi, intervenendo nella seduta della Camera dei deputati del 4 maggio 2015, ha dichiarato «Questo è un tema di cui abbiamo a lungo discusso anche durante l'esame in Commissione di questo testo di legge, perché durante l'esame al Senato è stato inserito, con un emendamento parlamentare, l'obbligo di presentazione e di deposito degli statuti per i partiti politici che intendano partecipare alle elezioni politiche. Vale la pena ricordare che si è trattato di un emendamento parlamentare che è stato approvato sostanzialmente all'unanimità (c’è stato un solo astenuto al Senato): tutti i gruppi parlamentari presenti al Senato hanno dato il proprio assenso a questo emendamento. Ovviamente, il tema che si pone è come questo emendamento, all'articolo 14 del Testo unico in materia elettorale, si coordini con le norme che riguardano invece il deposito del simbolo e del contrassegno. Ovviamente l'intento di questo emendamento parlamentare è stato quello di evitare possibili confusioni al momento della presentazione del simbolo e del contrassegno tra i vari partiti che partecipano alla competizione elezione, attraverso il deposito dello statuto e viene richiamato il decreto-legge n. 149 del 2013, che, intervenendo in tema di finanziamento pubblico ai partiti, ha disciplinato anche la parte relativa agli statuti dei partiti e al contenuto, l'oggetto, degli statuti dei partiti, ma al solo fine di accedere o meno ad una forma limitata di contribuzione pubblica. In questo caso, il tema che viene posto dall'ordine del giorno è la chiarezza circa le conseguenze in caso di tardivo deposito, mancato deposito dello statuto o laddove possano esserci reclami e ricorsi, per capire quale sia il procedimento amministrativo e quali siano i soggetti legittimati eventualmente a pronunciarsi in merito. Ora, quello che emerge – e il Governo ha avuto modo di chiarirlo anche intervenendo sul punto al Comitato per la legislazione, quando se ne è discusso, e anche in Commissione, qui, in questa Camera – è che la norma che è stata introdotta da un emendamento parlamentare, rispetto al quale, peraltro, il Governo si è rimesso all'Assemblea nell'esame al Senato, è una lex imperfecta. Sostanzialmente viene introdotta una norma che rappresenta un onere Per i partiti, viene introdotto un principio per i partiti che, laddove dovesse essere disatteso, non ha però alcuna sanzione, alcuna conseguenza pratica. Si dubita, infatti, che non possa essere accolto un deposito tardivo o che possano essere presentati ricorsi o, addirittura, essere annullate le candidature e le liste nel caso in cui non venga depositato regolarmente lo statuto come previsto dalla norma. Questo perché l'articolo 14 nel prevedere invece sia un giudizio da parte degli organi amministrativi sia un iter per eventuali procedimenti da parte dei partiti politici ricorrenti in tema di simbolo e contrassegno, prevedendo quindi anche specifiche sanzioni, è una norma che limita comunque i diritti e, pertanto, non può che essere interpretata in senso restrittivo, non può quindi esserci un'interpretazione per analogia o di carattere estensivo di quanto previsto per i simboli e i contrassegni;
   il Ministro Boschi usa il verbo dubitare nel sostenere che la norma in questione non possa comportare alcuna sanzione in caso di mancato o errato adempimento e meno che mai l'esclusione dalla partecipazione alle elezioni politiche, lasciando dunque un margine, seppure, ristretto ad interpretazioni differenti;
   si ritiene nella la normativa propedeutica alla partecipazione alle elezioni politiche le disposizioni debbono essere chiare e si deve ridurre lo spazio ad interpretazioni delle stesse –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire se la disposizione recata dalla lettera b) del comma 7 dell'articolo 2 della legge 52 del 2015, rappresenti una lex imperfecta, nel senso che la norma non comporti sanzioni in caso di mancato o errato adempimento, e se il Governo non ritenga di assumere ulteriori iniziative al fine di chiarire la portata e l'applicazione della norma in questione. (4-09607)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione sulla fattispecie introdotta dall'articolo 2, comma 7, lettera b), della legge 6 maggio 2015, n. 52 (cosiddetto «Italicum»), che ha novellato l'articolo 14, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati), chiedendo chiarimenti interpretativi sull'applicazione della stessa norma.
  Il nuovo articolo 14 del suddetto testo unico prevede che i partiti depositino presso il Ministero dell'interno, oltreché il contrassegno e il programma politico, lo statuto di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 149 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 13 del 2014.
  Quest'ultimo articolo determina i requisiti dello statuto dei partiti ai fini dell'accesso alle forme di contribuzione previste a seguito dell'abolizione del finanziamento pubblico.
  La disposizione in esame può prestarsi a dubbi interpretativi, sebbene nel vigente quadro normativo l'obbligo dei partiti di dotarsi di uno statuto è requisito necessario esclusivamente ai predetti fini.
  Infatti, la stessa non reca una disciplina espressa circa la verifica della presenza nello statuto dei requisiti indicati dal sopra citato articolo, come pure non disciplina le conseguenze del mancato deposito dello statuto, né stabilisce se lo statuto sia un requisito obbligatorio anche per la partecipazione alle elezioni; e nemmeno prevede una procedura per la sanatoria di eventuali irregolarità concernenti il deposito dello statuto che possano incidere sulla partecipazione del partito o del gruppo politico organizzato alle elezioni, come invece stabilito per le irregolarità connesse al deposito del contrassegno.
  Al riguardo si ritiene, alla luce di un'interpretazione teleologica della novella normativa in commento, che la ratio ispiratrice del richiamo allo statuto e ai requisiti del citato articolo 3 del decreto-legge n. 149 del 2013 sia in primo luogo quella di rafforzare la riconoscibilità e la tutela dei simboli dei partiti e dei gruppi politici organizzati. Infatti, il comma 1 del prefato articolo 3 prevede che nello statuto stesso è descritto il simbolo che, con la denominazione anche nella forma abbreviata, deve essere chiaramente distinguibile da quelli di qualsiasi altro partito politico esistente.
  Invero – come anche sostenuto dal Sottosegretario per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento nell'intervento effettuato il 22 aprile 2015 dinanzi al comitato per la legislazione della Camera dei deputati durante i lavori parlamentari d'approvazione dell’«Italicum» – il deposito dello statuto costituisce un onere, piuttosto che un obbligo, finalizzato a concorrere alla protezione del partito e dell'elettore sotto il profilo della riconoscibilità e non confondibilità della lista.
  Tale interpretazione è rafforzata, oltreché dal criterio della sedes materiae in cui è collocata la norma, anche dal confronto con le prescrizioni relative al deposito dei contrassegni, rispetto alle quali emerge sia la mancata previsione di conseguenze o sanzioni (che caratterizza la disposizione quale lex imperfecta, recante cioè un principio la cui inottemperanza non è sanzionata), sia la correlata assenza di disposizioni in tema di sanatoria o tardiva integrazione in caso di mancato deposito, che in tale quadro risulterebbero ridondanti stante, appunto, la mancanza di sanzioni.
  Pertanto, il mancato deposito dello statuto di cui all'articolo 3 del decreto-legge 28 dicembre n. 149 del 2013, convertito con modificazioni, dalla legge n. 13 del 2014, non costituisce causa di ricusazione del contrassegno o di invito alla sostituzione.
  Questa precisazione sarà espressamente contenuta anche nelle istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature che questo Ministero pubblica e divulga, tra l'altro, in occasione del deposito dei simboli per le elezioni politiche ed europee.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 117, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, dispone: «in deroga a quanto disposto dall'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 13 della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, si applicano ai fini del conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico nel corso dell'anno 2015, senza la corresponsione dei ratei arretrati, sulla base della normativa vigente prima dell'entrata in vigore del citato decreto-legge n. 201 del 2011, anche agli ex lavoratori occupati nelle imprese che hanno svolto attività di scoibentazione e bonifica, che hanno cessato il loro rapporto di lavoro per effetto della chiusura, dismissione o fallimento dell'impresa presso cui erano occupati e il cui sito è interessato da piano di bonifica da parte dell'ente territoriale, che non hanno maturato i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla normativa vigente, che risultano ammalati con patologia asbesto-correlata accertata e riconosciuta ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni»;
   l'articolo 13, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni dispone che i lavoratori occupati nelle imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, impegnate in processi di ristrutturazione e riconversione produttiva, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari, «e che possano far valere nell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti almeno trenta anni di anzianità assicurativa e contributiva agli effetti delle disposizioni previste dall'articolo 22, primo comma, lettere a) e b), della legge 30 aprile 1969, n. 153 e successive modificazioni, hanno facoltà di richiedere la concessione di un trattamento di pensione secondo la disciplina di cui al medesimo articolo 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, e successive modificazioni, con una maggiorazione dell'anzianità assicurativa e contributiva pari al periodo necessario per la maturazione del requisito dei trentacinque anni prescritto dalle disposizioni richiamate, in ogni caso non superiore al periodo compreso tra la data di risoluzione del rapporto e quella del compimento di sessanta anni, se uomini, o cinquantacinque se donne»;
   il comma 117 della legge succitata prevede la facoltà, per i soggetti interessati, di beneficiare di una maggiorazione dell'anzianità assicurativa e contributiva non superiore a 5 anni ai fini del perfezionamento dei requisiti per la pensione di anzianità, vigenti prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, utili a comportare la decorrenza del trattamento pensionistico nel corso del 2015;
   i requisiti prescritti per accedere al beneficio suindicato, così come indicato nella circolare dell'Inps 80 del 21 aprile 2015, sono: a) anzianità contributiva non inferiore ai 35 anni al raggiungimento dei requisiti indicati; b) anzianità contributiva indipendentemente dall'età;
   in ragione di detti requisiti gli ex dipendenti della azienda irpina ex Isochimica paradossalmente saranno in larga parte esclusi dai benefici previsti dalla legge n. 190;
   sono circa 170 i dipendenti della ex Isochimica che si sono ammalati a causa dell'amianto, e molti di questi sono deceduti a causa di dette patologie;
   dalle indagini disposte dalla magistratura negli anni scorsi, è stata accertata, infatti, la presenza di amianto negli oltre 500 cubi di cemento-amianto friabile che dal 1983 al 1988 sono stati illecitamente smaltiti, esponendo a rischi per la propria salute non solo i lavoratori della Isochimica, ma anche i cittadini residenti nella zona circostante lo stabilimento;
   a giudizio dell'interrogante, la esclusione di larga parte dei lavoratori della ex Isochimica dai benefici della legge n. 190 è una penalizzazione del tutto irragionevole che non fa giustizia del grave danno subito da detti lavoratori e dalle loro famiglie –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di doversi rendere promotori di un'iniziativa che consenta a tutti i lavoratori della ex Isochimica che hanno contratto patologie legate all'inalazione di amianto e che non rientrano nei requisiti fissati dalla legge n. 190 del 2014, di beneficiare dell'accompagnamento alla quiescenza indipendentemente dalla anzianità anagrafica e contributiva. (4-10755)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente il fondo per l'accompagnamento alla quiescenza degli ex dipendenti dell'Isochimica di Avellino, si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo, si sottolinea la massima attenzione del Governo sul tema dell'amianto e sulla gravità dei pericoli legati alla sua esposizione.
  Tra i recenti interventi normativi a tutela dei lavoratori» si ricorda, da ultimo, la legge n. 208 del 2015 (cosiddetta legge di stabilità per il 2016) che ha introdotto disposizioni in materia di trattamento previdenziale dei lavoratori esposti all'amianto, istituendo – tra l'altro – presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – il fondo per le vittime dell'amianto in favore degli eredi delle persone decedute in seguito a malattie legate all'esposizione all'amianto.
  In particolare, la legge di stabilità per il 2016, all'articolo 1, comma 276, ha istituito un fondo con una dotazione pari a 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018, finalizzato ad accompagnare alla quiescenza, entro l'anno 2018, gli ex lavoratori, occupati in specifiche imprese – quali gli ex dipendenti dell'Isochimica di Avellino – che non maturino i requisiti pensionistici previsti dall'articolo 1, comma 117, della legge n. 190 del 2014.
  Il medesimo comma 276 prevede che, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, siano stabiliti i criteri e le modalità di ripartizione del suddetto fondo tra i lavoratori interessati.
  Sul punto, si informa che il suddetto decreto interministeriale è stato predisposto dai Ministero del lavoro e delle politiche sociali e trasmesso per la firma al Ministero dell'economia e delle finanze.
  Quali destinatari dei benefici sono stati individuati i lavoratori che non svolgono alcuna attività lavorativa alla data di presentazione della domanda e che perfezionano i requisiti pensionistici utili alla decorrenza della pensione di anzianità.
  In conclusione, si ribadisce il massimo impegno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nelle politiche di intervento su un tema così delicato quale la pericolosità dell'amianto.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 2 novembre 2015 è stato pubblicato sul sito internet del Ministero dell'interno il «Bando di gara per l'affidamento in 2 lotti per le strutture di attendamento per l'accoglienza dei migranti presso i porti di Taranto e Augusta»;
   più precisamente, si tratterebbe di un bando di forniture emanato dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione concernente la «Procedura aperta ex articolo 55, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 per l'affidamento in 2 lotti della Fornitura e posa in opera, comprensiva di trasporto, installazione, montaggio e manutenzione di strutture di attendamento per accoglienza dei migranti presso il Porto di Taranto (lotto n. 1) e il Porto Commerciale di Augusta (lotto n. 2)»;
   secondo quanto appreso dall'interrogante, il Ministero dell'interno starebbe provvedendo a individuare e attrezzare, in conformità a quanto stabilito dalla cosiddetta «agenda Juncker» in materia di immigrazione, le aree per la collocazione dei punti di sbarco e identificazione dei migranti, cosiddetti hot spot;
   tuttavia, all'interrogante risulta che tale bando sia stato emanato senza che l'autorità portuali di Augusta abbiano concesso la preventiva e necessaria autorizzazione alla realizzazione delle predette strutture;
   occorre peraltro considerare che, secondo quanto segnalato all'interrogante, le medesime aree sarebbero interessate da concessioni a soggetti privati che non risulterebbero, al momento, essere state revocate. Inoltre, non potrebbero essere avviati i cantieri previsti per i prossimi mesi per la realizzazione di progetti già appaltati e finanziati, con la conseguente perdita di finanziamenti già previsti;
   in aggiunta a tutto ciò, secondo quanto segnalato all'interrogante, si porrebbe in palese violazione degli articoli 4, 6 e 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84. In particolare, si configurerebbe una violazione dell'articolo 4 laddove vengono classificati i porti e definite le relative funzioni; in effetti, secondo quanto disposto dal comma 1-bis del citato articolo dovrebbe avere esclusivamente «funzioni commerciale, industriale e petrolifera, di servizio passeggeri, peschereccia e turistica e da diporto» ovvero funzioni radicalmente diverse rispetto a quelle previste da un hot spot;
   peraltro, si ravviserebbe anche una violazione della lettera c) del comma 1 dell'articolo 6 della citata legge n. 84 del 1994, laddove si prevede che uno dei compiti dell'autorità portuale sia «l'affidamento e il controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti, né strettamente connessi alle operazioni portuali di cui all'articolo 16, comma 1, individuati con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge». Non risulta all'interrogante che tale procedura sia stata ottemperata;
   inoltre, l'articolo 18 della medesima legge n. 84 del 1994, affida all'autorità portuale il compito di dare in concessione le aree demaniali e le banchine comprese nell'ambito porti per l'espletamento delle operazioni portuali, limitatamente allo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali: ciò non sarebbe avvenuto, dal momento che risulterebbe all'interrogante non solo la mancanza di un qualsiasi provvedimento di concessione o affidamento da parte dell'autorità portuale di Augusta per l'utilizzo dell'area interessata dal bando di gara, ma addirittura vi sia stato un parere contrario del comitato portuale dell'autorità alla realizzazione del cosiddetto hot spot all'interno dell'area portuale;
   secondo fonti di stampa, la procura della Repubblica di Siracusa starebbe valutando se procedere in relazione ad un esposto depositato sulla base delle medesime segnalazioni concernenti la mancata autorizzazione;
   l'interrogante agirà in ogni sede nazionale e sovranazionale al fine di ripristinare la legalità e evitare la costruzione di questo hot spot che da un lato minaccerebbe la sicurezza della cittadinanza e, dall'altro, frustrerebbe ogni opportunità di sviluppo economico-commerciale della città legata ad un porto già classificato come core, nonché recentemente individuato come sede di autorità di sistema portuale –:
   quale sia la posizione dei Ministri interrogati in relazione alla vicenda illustrata in premessa;
   se il Ministro dell'interno abbia chiesto l'autorizzazione dell'autorità portuale di Augusta e, in caso positivo, se l'abbia ottenuta prima dell'emissione del citato bando; qualora tale autorizzazione non sia stata richiesta, non sia stata concessa o sia stata negata, se il Ministro dell'interno non ritenga di dover agire in autotutela sospendendo qualsiasi procedura e verificando la possibilità di ritiro del bando, in tal caso evidentemente viziato;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti abbia autorizzato l'installazione di tale hot spot; qualora l'abbia fatto per quale ragione abbia concesso il suo assenso; qualora non l'abbia fatto, se non intenda adottare iniziative anche nei rapporti con il Ministero dell'interno, a tutela delle proprie competenze. (4-11809)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che l'individuazione di Augusta come sito per l'insediamento di un hot spot, in applicazione della Road Map definita in conformità alle indicazioni dell'agenda Juncker, ha tenuto conto dei flussi migratori che vedono il centro siracusano tra quelli maggiormente interessati dagli sbarchi.
  In effetti, anche gli ultimi arrivi in Sicilia confermano questa tendenza, venutasi a consolidare anche perché il porto di Augusta è considerato, sul piano tecnico, un attracco preferenziale, sussistendovi tutte le necessarie condizioni di sicurezza.
  È questo il preciso motivo per il quale presso quella struttura potranno ancora registrarsi gli arrivi di imbarcazioni che trasportano migranti, indipendentemente dalla decisione di costituirvi o meno un hot spot.
  Ciò premesso, si informa che l'originaria scelta del porto di Augusta come sede di uno dei 6 hot spot programmati dal Governo, è stata superata da una successiva rivalutazione che ha visto il coinvolgimento sia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia dell'amministrazione comunale.
  Si è preso atto, infatti, che la realizzazione di una tensostruttura attrezzata, da ubicare nell'area di sedime portuale, avrebbe potuto interferire con il terminal-container in corso di realizzazione e con le infrastrutture di servizio alla nuova linea marittima di collegamento con Malta.
  Quanto agli accenni all'intervento della locale procura della Repubblica, si precisa che l'inchiesta ha riguardato l'asserita mancanza dell'ottenimento della disponibilità dell'area di sedime della nuova struttura di accoglienza, prima che fosse indetta la relativa gara comunitaria, in relazione alla quale le funzioni di stazione appaltante sono peraltro state svolte dalla società INVITALIA.
  Si aggiunge che il 17 marzo 2016, conclusasi l'attività di indagine, è stata presentata al giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione per insussistenza del fatto.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un atto di sindacato ispettivo presentato nell'estate 2015, l'interrogazione a risposta scritta 4-09653, annunciata il 2 luglio 2015, si è già chiesto al Governo per quali ragioni l'Amministrazione dell'interno negasse, di fatto, l'applicazione ai propri dipendenti dei benefici previsti dall'articolo 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
   nell'atto di sindacato ispettivo sopra menzionato si precisava come, fino al dicembre 2013, il Ministero dell'interno aveva sempre soddisfatto le richieste di trasferimento fatte dai propri dipendenti in applicazione delle previsioni della legge 104 del 1992;
   i trasferimenti erano cessati nel 2014;
   malgrado le esplicite previsioni della normativa sopra richiamata, il 5 agosto 2015, il Ministero dell'interno ha emanato una circolare che sottopone a limiti quantitativi il godimento del diritto previsto dalla legge 104 del 1992;
   nella predetta circolare, tra l'altro, si legge che è permesso di procedere al «trasferimento dei dipendenti che assistono familiari con disabilità grave, il cui profilo professionale è presente con una copertura pari almeno al 60 per cento al netto dell'uscita, della dotazione organica di sede, e con una consistenza di organico complessiva dell'Ufficio, riferita al personale contrattualizzato, non inferiore al 60 per cento sempre al netto dell'uscita»;
   l'intero settore pubblico è interessato da un blocco totale o parziale del turn over che dura da anni e sta riducendo il personale in assenza di una parallela riduzione delle piante organiche;
   tale blocco opera anche dentro l'Amministrazione dell'interno;
   si stanno conseguentemente determinando, di fatto, con uno strumento amministrativo, i presupposti per quello che appare all'interrogante una disapplicazione delle norme previste dalla legge 104 del 1992 e la negazione di diritti basilari riconosciuti da una legge ordinaria dello Stato;
   disposizioni non meno draconiane limitano altresì il diritto al trasferimento dei dipendenti disabili –:
   come si concili la circolare del Ministero dell'interno datata 5 agosto 2015, che sottopone a limiti quantitativi l'esercizio di un diritto riconosciuto dall'ordinamento, con quanto previsto dalla legge n. 104 del 1992;
   quali iniziative il Governo ritenga di assumere per sanare il vulnus prodottosi nell'ordinamento in conseguenza del varo della circolare appena richiamata.
(4-11211)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede se risultino conciliabili i contenuti della circolare del Ministero dell'interno n. 20/RU del 5 agosto 2015 – con la quale vengono chiariti i criteri relativi ai trasferimenti del personale contrattualizzato a tempo indeterminato di livello non dirigenziale legittimato a fruire dei benefici della legge 5 febbraio 1992, n. 104 – con le previsioni di quest'ultima legge.
  Si premette che, in base all'articolo 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, il lavoratore portatore di handicap in situazione di gravità o che assiste un familiare portatore di handicap in situazione di gravità può scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere.
  Al riguardo, con parere del 1o agosto 2012, il dipartimento della funzione pubblica ha precisato che: «...la norma in esame, finalizzata a creare situazioni di maggior favor nei confronti del dipendente che assiste un familiare in situazione di disabilità e nell'ottica di tutela di quest'ultimo, accorda al lavoratore, a fronte della decisione dell'Amministrazione di provvedere alla copertura della sede, un diritto mitigato solo in presenza di circostanze oggettive impeditive, come ad esempio, la mancanza di posto corrispondente nella dotazione organica di sede o la grave carenza, oggettivamente documentabile, di personale di corrispondente professionalità, nella sede di appartenenza». Da ciò deriva, quindi, che l'Amministrazione è tenuta a verificare, prima di adottare provvedimenti di assegnazione o trasferimento, la disponibilità di posti vacanti in organico nella sede richiesta, in relazione al profilo professionale di appartenenza del dipendente aspirante al trasferimento. Inoltre, l'esercizio del diritto resta limitato anche nel caso in cui la sede di provenienza del dipendente sia gravata da una consistente carenza di personale tale che un ulteriore depauperamento di personale sia suscettibile di creare pregiudizio all'interesse pubblico con danno per la collettività.
  In tal senso si sono pronunciati sia il Consiglio di Stato (Sez. IV, 5 novembre 2011, n. 8527 e 18 gennaio 2011, n. 923; n. 1073/2014; n. 1677/2014) che la Corte di Cassazione (n. 28320/2013), evidenziando altresì come la posizione giuridica di vantaggio riconosciuta dalla legge n. 104/1992 al lavoratore interessato non configuri un diritto soggettivo di precedenza al trasferimento, ma un semplice interesse legittimo a scegliere la propria sede di servizio ove possibile.
  Pertanto, si ritiene che la circolare ministeriale sopracitata realizzi un equo contemperamento dei diritti degli interessati con il potere-dovere dell'Amministrazione di esercitare le valutazioni di cui sopra, allo scopo di tutelare l'interesse pubblico al buon funzionamento degli uffici.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FURNARI. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere – premesso che:
   il 19 gennaio 2016, nel corso della riunione congiunta delle Commissioni cultura di Camera e Senato, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha esposto il progetto di completamento della riorganizzazione del Ministero e dei beni e delle attività culturali e del turismo presentato, nei giorni precedenti, alle parti sociali e al Consiglio superiore dei beni culturali;
   il titolare del dicastero si è soffermato sulla riorganizzazione delle soprintendenze sottolineando come: «il ministero viene ridisegnato a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici. La riorganizzazione prosegue nella strada di valorizzazione del patrimonio»;
   in altre parole, il nuovo assetto prevede la creazione delle «soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio» e, a detta del Ministro, la nuova articolazione territoriale realizzerebbe una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente pensata tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori;
   la notizia dell'accorpamento delle soprintendenze ha però suscitato polemiche e forti reazioni soprattutto a Taranto dove, la notizia dell'accorpamento non è stata accolta con favore. Sarà, infatti, il capoluogo salentino, e non quello ionico, ad ospitare la terza soprintendenza pugliese, con Foggia e Bari;
   tal caso la collettività ha sollevato l'obiezione che la soprintendenza archeologica della Puglia ha sede a Taranto sin dalla sua nascita, lavora da sempre in costante sinergia con il museo archeologico nazionale, il MarTa, e, infine, ospita gli archivi in cui sono conservati i documenti di tutti gli scavi effettuati sul suolo regionale negli ultimi 50 anni. Sembra dunque che in tal caso non si sia tenuto per nulla conto delle motivazioni che possono aver ispirato la riforma;
   è pur vero, osservano i tarantini che Lecce, con il suo territorio ha un maggior numero di abitanti, una più forte concentrazione di monumenti storici e architettonici e una più vasta estensione territoriale ma, in un sol colpo sembra che si voglia cancellare una parte di storia di questo territorio dove, per prima la cultura è stata tutelata –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di rivedere la riorganizzazione territoriale delle soprintendenze della regione Puglia, con particolare riferimento alla sede di Taranto che rappresenta, per l'intera nazione, un'istituzione culturale con una storia antichissima, che comincia alla fine dell'Ottocento con l'arrivo a Taranto di famosi archeologi e straordinari funzionari il cui lavoro è culminato con la creazione del museo archeologico ed una particolare attenzione all'archeologia della città. (4-11786)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, con riferimento al progetto di completamento della riorganizzazione del Ministero, presentato il 19 gennaio 2016 nel corso della seduta delle commissioni riunite cultura di Camera e Senato, l'interrogante chiede quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare al fine di rivedere la riorganizzazione territoriale delle soprintendenze della regione Puglia, con particolare riferimento all'accorpamento della sede di Taranto.
  Il progetto di completamento della riorganizzazione del Ministero, richiamato nell'atto ispettivo cui si risponde, successivamente al suo annuncio, ha trovato attuazione nel decreto ministeriale 23 gennaio 2016, «Riorganizzazione del Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208», registrato dalla Corte dei conti in data 29 febbraio 2016 e in corso di pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale.
  Con tale provvedimento si dà applicazione alla disposizione contenuta al comma 327 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», per la quale, nelle more dell'attuazione dei decreti legislativi attuativi dell'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», al fine di dare efficace attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 17-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (che ha introdotto il silenzio-assenso qualora non siano acquisiti, entro il termine di novanta giorni, assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico territoriale e dei beni culturali), nonché di garantire il buon andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo provvede, con proprio decreto, alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale del Ministero, nel rispetto delle dotazioni organiche determinate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, «Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89», senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il suddetto comma 327 della legge di stabilità dispone inoltre che il decreto ministeriale sia emanato entro il termine di trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità stessa.
  Il decreto sopra citato, come anche indicato nelle premesse del provvedimento stesso, è stato emanato dopo aver ascoltato le organizzazioni sindacali del Ministero in data 18 gennaio 2016 e il consiglio superiore «Beni culturali e paesaggistici» nella seduta di pari data.
  Inoltre, il progetto di riorganizzazione, come anche ricordato dall'interrogante, è stato personalmente illustrato dal Ministro nel corso della seduta del 19 gennaio 2016 delle Commissioni riunite cultura, scienza e istruzione della Camera e istruzione pubblica, beni culturali del Senato.
  Con il provvedimento sopra citato il Ministero viene ridisegnato, a livello centrale e a livello territoriale, per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Il nuovo assetto organizzativo prevede la creazione delle soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio.
  La riforma mira a conseguire una maggiore efficacia dell'azione di tutela e di conservazione del patrimonio archeologico nazionale e a rafforzare l'azione di tutela sul patrimonio storico, artistico e archeologico. Con questo intervento, infatti, aumentano i presidi di tutela sul territorio nazionale e, per l'archeologia, si passa dalle attuali 17 soprintendenze archeologia alle nuove 39 soprintendenze unificate (cui si sommano le due soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei).
  La nuova articolazione territoriale realizza una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente ed è stata definita tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori.
  Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici. In un unico ufficio, responsabile di un'area territoriale più circoscritta e quindi più vicino a cittadini, amministrazioni locali e imprese, si concentrano e si coordinano le diverse competenze tecnico-scientifiche, con riduzione dei costi amministrativi e incremento di efficienza ed efficacia dell'attività di tutela.
  Ogni nuova soprintendenza verrà articolata in sette aree funzionali (organizzazione e funzionamento; patrimonio archeologico; patrimonio storico e artistico; patrimonio architettonico; patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio; educazione e ricerca) per garantire una visione complessiva dell'esercizio della tutela, assicurando anche la presenza delle specifiche professionalità. Per cittadini e imprese sarà così più semplice e rapido rapportarsi con l'amministrazione, con una notevole riduzione degli oneri burocratici. Ciascuna soprintendenza costituirà un riferimento univoco per la valutazione di qualunque aspetto di ogni singolo progetto, dalla tutela di beni archeologici per arrivare all'impatto paesaggistico, passando per gli aspetti di carattere artistico e architettonico: a un'unica domanda corrisponderanno un unico parere e un'unica risposta. Al centro ci sarà una sola direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, che garantirà il coordinamento delle soprintendenze su tutto il territorio nazionale.
  Il nuovo assetto organizzativo, in conclusione, alloca funzioni e competenze in modo più ottimale, efficace e coordinato in una urica struttura burocratica, operando un'azione di semplificazione e razionalizzazione.
  Per la regione Puglia è prevista l'istituzione delle seguenti soprintendenze unificate, denominate Archeologia, belle arti e paesaggio in luogo delle preesistenti soprintendenze specialistiche: 1. soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bari; 2. soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Barletta-Andria-Trani e Foggia con sede a Foggia; 3. soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, con sede a Lecce.
  Per dare attuazione alla novella introdotta dall'articolo 16, comma 1-
sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, che, modificando l'articolo 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha restituito allo Stato la tutela su «manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, libri, stampe e incisioni», le soprintendenze archivistiche svolgeranno anche funzioni di tutela dei beni librari, fatto salvo quanto previsto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano. Di conseguenza, la sovrintendenza archivistica della Puglia e della Basilicata, con sede a Bari, assume la denominazione di soprintendenza archivistica e bibliografica della Puglia e della Basilicata.
  A questi nuovi istituti si aggiungono quelli già istituiti con i precedenti provvedimenti di riforma: il segretariato regionale per la Puglia, con sede a Bari; il polo museale della Puglia, con sede a Bari e il museo archeologico nazionale di Taranto, istituto di livello dirigenziale non generale, dotato di autonomia speciale.
  L'interrogante evidenza la ricchezza del patrimonio storico culturale di entrambi i territori, sia di quello salentino che di quello ionico e le peculiarità di ciascuno di essi. La riorganizzazione e il conseguente accorpamento degli istituti esistenti non esprimono comparazioni valutative tra i patrimoni culturali di territori diversi ma rispondono esclusivamente a criteri organizzativi; non mirano assolutamente a cancellare la storia culturale di parti di territorio ma a rafforzare la tutela, per proseguire nella strada della valorizzazione del patrimonio.
  Lungo questo cammino di valorizzazione, nella consapevolezza di quanto rappresentino Taranto e il suo territorio, si è mossa la riforma del Ministero che, col ricordato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, ha inserito il museo archeologico nazionale di Taranto tra i musei di rilevante interesse nazionale, elevandolo a sede dirigenziale di livello non generale e dotandolo di autonomia speciale; dando, così, un significativo riconoscimento a «un'istituzione culturale con una storia antichissima» manifestando con ciò la forte volontà di conferire massimo impulso, attraverso un moderno assetto ordinamentale, alla azione di valorizzazione di un patrimonio archeologico che ancor oggi non esprime una capacità di attrazione corrispondente al suo eccezionale valore.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoDorina Bianchi.


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'attività del comune di Finale Emilia è stata oggetto tra l'11 giugno e l'11 settembre dello scorso anno di un monitoraggio approfondito da parte della commissione prefettizia antimafia;
   la predetta commissione prefettizia antimafia, passati al setaccio gli appalti concessi per l'esecuzione di lavori pubblici a Finale Emilia tra l'agosto del 2011 e l'ottobre 2013, ha scoperto che dei 55 bandi censiti ben 17 si sono risolti senza l'effettuazione di alcun controllo anti-mafia, mentre altri due sono stati vinti da imprese destinatarie di provvedimenti di esclusione dalle « white list»;
   l'ex capo ufficio lavori pubblici del comune di Finale Emilia, Giulio Gerrini, è stato arrestato e posto agli arresti domiciliari nel contesto dell'operazione condotta contro la ’ndrangheta e denominata «AEMILIA»;
   alle indagini che hanno condotto a tale esito hanno contribuito anche alcuni consiglieri comunali di Finale Emilia appartenenti all'opposizione, collaborando per ben due anni al l'azione investigativa della direzione distrettuale antimafia territorialmente competente;
   il procedimento avviato nei confronti del comune di Finale Emilia Per accertare la rispondenza dell'attività amministrativa dell'ente locale ai criteri di legalità e trasparenza a fronte di gravi sospetti di inquinamenti di natura mafiosa si è concluso con l'emanazione del decreto del Ministro dell'interno datato 18 gennaio 2016;
   pur essendo emerso nella fase istruttoria del procedimento, condotta dalla commissione prefettizia antimafia, un contesto amministrativo non esente da forti criticità nella gestione di diverse attività istituzionali, il comune di Finale Emilia non è stato commissariato;
   si è tuttavia riconosciuta l'esigenza di monitorarne attentamente le decisioni, allo scopo di contrastare efficacemente e tempestivamente eventuali interferenze ulteriori della criminalità organizzata nella vita del comune di Finale Emilia;
   la prefettura di Modena risulta aver ammesso la necessità di sorvegliare le iniziative intraprese dal comune di Finale Emilia nei settori di attività risultati più compromessi nel corso degli accertamenti ispettivi;
   in seguito a quanto deliberato dall'amministrazione dell'interno, spetterà inoltre alla prefettura di Modena monitorare a Finale Emilia l'adozione degli atti di indirizzo e programmazione generale nel settore dei Lavori Pubblici, il varo delle regole fondamentali relative alle procedure d'appalto, la realizzazione del sistema dei controlli interni all'amministrazione comunale, la predisposizione e l'aggiornamento di un albo delle ditte di fiducia cui affidare i servizi e i lavori in economia;
   la prefettura di Modena ha altresì creato un gruppo di supporto ad hoc per potersi occupare delle attività del comune di Finale Emilia;
   non è chiaro quali attività residuali rimangano nella piena disponibilità dell'amministrazione comunale di Finale Emilia –:
   a fronte della gravità dei sospetti gravanti sull'amministrazione municipale di Finale Emilia e dell'invasività delle attività di controllo rimesse alla prefettura di Modena allo scopo di prevenire l'ulteriore inquinamento delle attività del comune di Finale Emilia da parte della criminalità organizzata, per quali ragioni non siano state assunte le iniziative di competenza per lo scioglimento, invece di allestire il dispendioso meccanismo di monitoraggio generalizzato in premessa.
(4-12218)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono chiarimenti in merito al mancato scioglimento del consiglio comunale di Finale Emilia, in provincia di Modena.
  Si premette che, secondo la consolidata giurisprudenza, ai fini dell'applicazione delle misure di cui all'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, lo scioglimento di un organo elettivo rappresenta «una misura di carattere straordinario, necessaria a fronteggiare una emergenza straordinaria».
  Ciò in quanto l'intervento statale – finalizzato a contrastare una patologia nel sistema democratico conseguente all'infiltrazione e al condizionamento della criminalità organizzata nelle istituzioni – incide per sua natura sui principi costituzionali che presidiano il rapporto fiduciario fra il popolo e i suoi rappresentanti democraticamente eletti influendo, quindi, sulla libertà di autogoverno delle comunità locali.
  Deve anche essere considerata la necessità di garantire «la ponderazione degli interessi coinvolti»; attesa la «sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità».
  Tanto precisato, con riferimento alla situazione del comune di Finale Emilia, si comunica quanto segue.
  A seguito degli sviluppi dell'indagine giudiziaria denominata «Aemilia», che ha portato all'arresto di numerosi esponenti della
’ndrangheta calabrese, del responsabile del servizio lavori pubblici del comune, nonché di titolari di imprese di costruzione ritenute colluse con la predetta organizzazione criminale, il 29 aprile 2015, il prefetto di Modena, su delega del Ministro dell'interno, ha nominato una commissione di indagine, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del testo unico.
  Esaminate le conclusioni presentate dalla predetta commissione, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ha a sua volta inviato una propria relazione al Ministro dell'interno per le determinazioni di competenza in ordine all'eventuale scioglimento del consiglio comunale.
  Con provvedimento del 18 gennaio 2016, il Ministro dell'interno ha archiviato il procedimento.
  Infatti, gli elementi emersi dall'accesso, confluiti nella relazione del prefetto, non hanno complessivamente evidenziato la necessaria congruenza rispetto ai requisiti di concretezza (nel senso di fatti assistiti da un obiettivo e documentato accertamento della loro realtà storica), univocità (intesa quale loro chiara direzione agli scopi che la misura di rigore è volta a prevenire) e rilevanza (idoneità dall'effetto di compromettere il regolare svolgimento dell'attività dell'ente).
  In particolare, è stata riscontrata l'assenza del requisito dell'attualità della permeabilità dell'amministrazione ad illeciti condizionamenti ed ingerenze; requisito reiteratamente considerato dalla prevalente giurisprudenza quale presupposto di legittimità dell'esercizio del potere dissolutorio da parte dello Stato.
  Tuttavia, dall'attività ispettiva è comunque emerso un contesto amministrativo caratterizzato da criticità tali da far ritenere necessaria l'adozione da parte dell'amministrazione comunale di incisivi interventi improntati a rigorosi canoni di legalità e trasparenza.
  Quindi, il 2 febbraio 2016, il prefetto, di intesa con i competenti attici del Ministero dell'interno, ha costituito, un gruppo di supporto – composto da due dirigenti e un funzionario – incaricato di effettuare un attento monitoraggio dell'ente, finalizzato al risanamento dei settori risultati più compromessi.
  Il gruppo di supporto rimetterà dettagliate relazioni al prefetto con cadenza quindicinale e, comunque, ogni qualvolta emergano situazioni meritevoli di particolare attenzione.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MANFREDI, MANZI e SGAMBATO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Anfiteatro di Nola, monumento noto dalla letteratura antiquaria del XIV secolo, come «Anfiteatro laterizio», ubicato nella zona nord – occidentale della città bruniana, rivestì nell'antichità un ruolo non secondario dal punto di vista politico – economico – sociale e rappresenta un punto di riferimento per un itinerario turistico – culturale della zona nord – orientale della città metropolitana di Napoli;
   tale monumento è stato oggetto di alcune brevi campagne di scavo tra il 1985 ed il 1993, che portarono alla luce tre dei corridoi di accesso al monumento ed alcuni elementi delle murature del circuito esterno, recanti ancora il rivestimento di intonaco; solo nell'ottobre del 1997 si è dato inizio allo scavo, con un progetto in parte dall'allora CEE, per riportare alla luce l'antico anfiteatro;
   tale monumento, purtroppo, è oggetto di depauperazione a causa di una falda che lo sta sommergendo inesorabilmente e che può creare tra l'altro danni inestimabili ai marmi che vi sono all'interno che sono riconducibili al I sec. A.C. –:
   se il Ministro, sia al corrente di questa incresciosa vicenda;
   se intenda attivare in tempi rapidi un canale di comunicazione con i responsabili della locale Soprintendenza, nella speranza di contribuire quanto prima a far luce sull'accaduto, e adoperarsi per chiarire quali siano le responsabilità;
   se intenda attivarsi affinché possano essere predisposte le misure necessarie per salvaguardare l'Anfiteatro Laterizio, data l'importanza della struttura a non soltanto dal punto di vista storico e archeologico, ma anche dal punto di vista turistico ed occupazionale per tutto il territorio non solo nolano ma anche dell'intero territorio metropolitano napoletano. (4-10768)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame, nella quale, l'interrogante, premesso che l'anfiteatro di Nola, monumento noto come «Anfiteatro laterizio», rappresenta un importante punto di riferimento non solo dal punto di vista storico, ma anche per un itinerario turistico-culturale della zona nord-orientale della città metropolitana di Napoli; che tale monumento è stato oggetto di alcune brevi campagne di scavo tra il 1985 ed il 1991 e che, purtroppo, è oggetto di depauperazione a causa di una falda che potrebbe creare danni inestimabili ai marmi interni riconducibili al I secolo A.C., chiede di sapere se il Ministro sia al corrente di questa incresciosa vicenda e se intenda attivarsi affinché possano essere predisposte le misure necessarie per salvaguardare il monumento.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue, anche sulla scorta di dati forniti dalla competente soprintendenza archeologica.
  L'ubicazione dell'anfiteatro è stata sempre nota, come ben si può evincere dalla cartografia storica e da testi di storia locale a partire dalla fine del XV secolo. Saggi di scavo nell'attuale Masseria d'Angerio sono stati condotti agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso consentendo di mettere in luce parte dei vomitorio sui lati opposti della struttura lungo il suo asse maggiore. Una campagna di scavo con finanziamenti CEE è stata avviata a partire dal 1997 e si è conclusa con la messa in luce di parte delle strutture ancora presenti, con l'ima e la medio cavea, e di parte dell'arena. A tutt'oggi rimangono da scavare circa due terzi dell'edificio, parte dei quali insistono in terreni acquisiti al demanio statale con esproprio sia dei suoli che dei fabbricati ivi esistenti e costruiti usando le gradinate dell'anfiteatro come costruzioni. Uno dei fabbricati acquisiti è utilizzato come deposito dei materiali di scavo ancora custoditi dalla soprintendenza archeologia della Campania.
  La porzione di anfiteatro messa in luce è ufficialmente aperta alla fruizione pubblica e fino al 2015 è stato possibile ospitare diversi eventi al suo interno. La collaborazione dei
partner coorganizzatori degli eventi e un vecchio contratto con la ditta Euforbia per la manutenzione del verde nelle aree archeologiche hanno consentito fino ad oggi di mantenere in condizioni decorose lo stato dei luoghi. L'ultimo intervento di pulizia risale a poche settimane fa.
  Lo stato di degrado a cui si fa cenno nell'interrogazione parlamentare fa riferimento alla situazione di circa un anno fa, quando l'arena si presentava ricolma d'acqua a causa di una falda che interessa tutta l'area nolana e che ha compromesso la fruizione del noto parco archeologico protostorico di Nola, per il quale nel 2015 si è decretata la chiusura col reinterro definitivo dell'evidenza archeologica.
  È stata cura della soprintendenza richiamare gli enti competenti a elaborare una soluzione per arginare la risalita della falda, che tuttavia da circa un anno è scesa liberando quindi l'arena.
  Ciò premesso, va segnalato che, da poche settimane l'intera area archeologica dell'anfiteatro nolano ha goduto di un intervento di pulizia e manutenzione del verde che ne ha ripristinato completamente la fruibilità, tanto da poter predisporre lo svolgimento della Via Crucis per il 18 marzo 2016, su richiesta dell'ente comunale, in occasione delle solennità pasquali. L'area ad oggi destinata a parco archeologico, con parte dell'anfiteatro messa in luce, è dunque perfettamente fruibile e in ottime condizioni di conservazione.
  Indubbiamente, si può concludere, l'anfiteatro di Nola meriterebbe di essere portato alla luce integralmente o almeno per la parte sulla quale non insistono edifici moderni e già in possesso del demanio dello Stato, ricadendo in un'area interessata dalla presenza di interi quartieri della città di età romana che, stando alla documentazione disponibile, si conservano per circa due metri in elevato a pochi centimetri dal piano di calpestio moderno. Un progetto di valorizzazione dell'intera area con al centro l'anfiteatro viene del resto auspicato dalle forze politiche della città e dalla cittadinanza tutta da diversi anni e potrà essere oggetto di uno specifico intervento, qualora vi sia il concorso delle istituzioni potenzialmente interessate anche sul cruciale nodo delle necessarie risorse da investire.
  Se infatti vi è la consapevolezza che non tutte le testimonianze archeologiche debbano e possano essere portate alla luce, tuttavia alcune specifiche realtà possono rappresentare una preziosa risorsa per i territori in cui insistono.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoDorina Bianchi.


   MARRONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 dicembre 2014 CDP «Investimenti Sgr» ha bandito, d'intesa con il comune di Roma, un concorso di progettazione urbana in due fasi per il quartiere della città della scienza, con la previsione di spazi e servizi pubblici, funzioni private prevalentemente residenziali e la realizzazione della città della scienza nell'area dell'ex stabilimento macchine elettriche di precisione dell'Agenzia del demanio collocato tra via Guido Reni e viale del Vignola a Roma;
   gli indirizzi programmatici dell'accordo e della consultazione concorsuale prevedevano un importante processo di trasformazione urbana, assumendo come criterio anche la conservazione e reinterpretazione dell'impianto urbano originale attraverso una metodologia di intervento che privilegiasse il recupero degli edifici esistenti, il massimo contenimento dell'occupazione di suolo da parte dei nuovi edifici, la massima estensione degli spazi pubblici;
   il complesso dell'ex stabilimento macchine elettriche rappresenta un significativo esempio di archeologia industriale del Novecento, con una struttura a viali delimitati da platani che costeggiano l'impianto a padiglioni, inserito in un brano di tessuto urbano qualitativamente eccellente per la presenza di architetture novecentesche, moderne e contemporanee;
   la riconversione dei grandi contenitori dismessi pubblici e industriali della città del Novecento occupa un ruolo di primo piano per procedere a una rapida inversione nel consumo di suolo e tendere radicalmente alla rigenerazione urbana quale strumento prioritario, dato che queste funzioni urbane, sino a ieri essenzialmente pubbliche, possono essere sostituite con nuove funzioni di prioritario interesse pubblico che tutelino l'identità storico culturale del territorio;
   il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137», detta il principio secondo il quale, in attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura e che lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione;
   in particolare, l'articolo 10 del citato decreto dispone che siano considerati beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione di interesse culturale, le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
   tutelare sia il territorio sia l'identità storico-culturale delle aree urbane da trasformare sia – non ultimi – i cittadini che le abitano, impone atteggiamenti progettuali prudenti volti a concentrare gli sforzi su di un'attenta e delicata, attività di recupero e reinterpretazione del patrimonio edilizio esistente;
   l'esito della procedura concorsuale citata, di cui l'amministrazione comunale di Roma è stata a tutti gli effetti soggetto attivo, ha invece privilegiato una soluzione progettuale che prevede la totale demolizione del complesso di archeologia industriale a favore di un impianto urbano che assegna priorità agli insediamenti residenziali privati, penalizzando in modo significativo la tutela identitaria dei luoghi, l'articolazione dello spazio pubblico e la riqualificazione e riorganizzazione dell'ambiente costruito e dell'assetto urbano –:
   per quale motivo non sia stato ancora avviato l'urgente e necessario procedimento di dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera d) del decreto legislativo n. 42 del 2004 sopra richiamato e successive modificazioni, per il complesso di archeologia industriale dell'ex stabilimento macchine elettriche di precisione dell'Agenzia del demanio collocato tra via Guido Reni e viale del Vignola in Roma, in quanto rappresenta un'opera di indiscusso valore per il suo riferimento alla storia e alla cultura del XX secolo;
   quando tale urgente e necessaria procedura verrà avviata al fine di tutelare un importante bene culturale di archeologia industriale del Novecento e di evitare o modificare un intervento edilizio che appare all'interrogante di tipo speculativo a favore invece di progetti conservativi e di rigenerazione dei manufatti di interesse storico nazionali presenti sull'area.
(4-11519)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame l'interrogante, premesso che in data 23 dicembre 2014 CDP «Investimenti Sgr» ha bandito, d'intesa con il comune di Roma, un concorso di progettazione urbana per il quartiere della città della scienza, con la previsione di spazi e servizi pubblici, funzioni private prevalentemente residenziali e la realizzazione della città della scienza nell'area dell’ex stabilimento macchine elettriche di precisione dell'agenzia del demanio collocato tra via Guido Reni e viale del Vignola a Roma; che il complesso dell’ex stabilimento macchine elettriche rappresenta un significativo esempio di archeologia industriale del Novecento, con una struttura a viali delimitati da platani che costeggiano l'impianto a padiglioni, inserito in un brano di tessuto urbano qualitativamente eccellente per la presenza di architetture novecentesche, moderne e contemporanee; tutto ciò premesso, chiede per quale motivo non sia stato ancora avviato l'urgente e necessario procedimento di dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera d) del decreto legislativo n. 42 del 2004 per il suddetto complesso di archeologia industriale.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue sulla base degli elementi forniti dagli uffici territorialmente competenti del Ministero.
  La soprintendenza speciale per il Colosseo, il museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma ha comunicato, con nota dell'8 marzo 2016, di essere stata invitata ad una conferenza di servizi tenutasi in data 5 novembre 2015 all'ufficio dipartimento tutela ambientale – direzione rifiuti risanamenti ed inquinamenti del comune di Roma, in seno alla quale sono stati esaminati dei sondaggi geologici volti alla ricerca di tracce di inquinamento da idrocarburi, sondaggi circa i quali la soprintendenza non aveva ricevuto nessuna notizia né alcuna richiesta di autorizzazione (come sarebbe dovuto accadere) per la realizzazione degli stessi da parte della società incaricata CDP. Al momento tale soprintendenza non possiede ulteriori elementi informativi, essendo venuta a conoscenza del progetto solamente in sede di riunione con il comune di Roma.
  La soprintendenza belle arti e paesaggio del comune di Roma, con nota del 4 febbraio 2016, ha comunicato che la verifica dell'interesse culturale del complesso in argomento, ai sensi dell'articolo 12 del codice dei beni culturali e del paesaggio, è stata inoltrata dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio con nota del 20 novembre 2013.
  La suddetta soprintendenza con nota del 23 dicembre 2013 ha espresso il parere di competenza in merito alla verifica dell'interesse culturale suddetta, comunicando che il complesso immobiliare non riveste allo stato attuale interesse tale da motivare la proposta di un provvedimento di tutela. Tuttavia, nell'eventualità che approfondimenti storico critici o rinvenimenti di rilievo dovessero indurre una diversa valutazione circa l'interesse di cui al codice si potrà proporre la tutela secondo il disposto della normativa vigente.
  Successivamente la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, con nota del 24 dicembre 2013, in relazione ai pareri precedentemente espressi dalle soprintendenze territoriali competenti, ha comunicato all'agenzia del demanio l'esito negativo in merito alla verifica dell'interesse culturale del complesso in oggetto.
  Tuttavia, nell'eventualità dell'esecuzione di futuri lavori che interessino il sottosuolo ove insistono gli immobili in oggetto, trattandosi di area avente notevole rilevanza archeologica, la direzione regionale ha segnalato che i progetti delle opere da realizzare dovranno essere preventivamente sottoposti alla valutazione della soprintendenza archeologica competente per territorio.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoDorina Bianchi.


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale di Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova, con delibera di giunta n. 67 del 25 maggio 2015, ha approvato il progetto riguardante la «Riqualificazione arredo urbano e miglioramento accessibilità di Piazza Paolo Camerini» di fronte all'omonima storica villa, simbolo della stessa città di Piazzola;
   secondo quanto stabilito dalla detta delibera il progetto prevede «una serie di percorsi pavimentati che incentivino l'uso della piazza e in particolare dei giardini, valorizzando l'area verde e il percorso lungo la Roggia Contarina; la realizzazione di aree di sosta e attrezzature (servizi igienici, palco per le manifestazioni e spazio per ristoro); adeguata illuminazione pubblica e verde urbano»;
   per la realizzazione di tale progetto è prevista una spesa pari a 250.000 euro, con un contributo da parte della regione Veneto di 122.500 euro;
   nel dettaglio, tra gli interventi previsti, è compreso il taglio di 18 alberi con asportazione del ceppo, oltre alla rimozione di parte delle panchine ora collocate sotto gli alberi stessi;
   si tratta della linea centrale di piante che, in forma speculare al loggiato palladiano, come da progetto originario, parte dalla via centrale e si sviluppa a forma di arco verso villa Contarini;
   i 18 carpini bianchi sono stati piantati negli anni ’80 in triplice filare sul lato ovest di piazza Camerini allo scopo di ricreare l'emiciclo mancante;
   secondo l'amministrazione comunale, il taglio degli alberi sarebbe giustificato dal fatto che, «il filare di mezzo è soffocato dai due laterali che lo opprimono e non gli consentono il giusto sviluppo della chioma e dell'apparato radicale, inibendo anche lo sviluppo simmetrico delle chiome dei due filari laterali che stanno crescendo in maniera sproporzionata verso l'esterno, con il conseguente collasso delle piante»;
   la notizia relativa al taglio di questi alberi ha generato fortissima contrarietà nella cittadinanza che ha avviato una raccolta di firme, tuttora in corso, allo scopo di scongiurare l'abbattimento dei 18 carpini;
   sino ad oggi la petizione ha superato le 2.300 adesioni;
   i tantissimi sottoscrittori della petizione, oltre a sollevare una questione di tutela ambientale e paesaggistica, contestano il fatto che il progetto non sia mai stato presentato preventivamente in consiglio comunale e tantomeno ai cittadini –:
   se siano al corrente dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo e in collaborazione con la regione, intendano adottare per verificare il rispetto da parte del detto progetto del paesaggio, delle norme in tema di tutela dei beni culturali e delle disposizioni della legge n. 10 del 2013. (4-10908)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame l'interrogante, premesso che l'amministrazione comunale di Piazzola sul Brenta ha approvato il progetto riguardante la «Riqualificazione arredo urbano e miglioramento accessibilità di Piazza Paolo Camerini» di fronte all'omonima storica villa, simbolo della stessa città di Piazzola; tra gli interventi previsti, è compreso il taglio di 18 alberi con asportazione del ceppo, oltre alla rimozione di parte delle panchine ora collocate sotto gli alberi stessi; la notizia relativa al taglio di questi alberi ha generato fortissima contrarietà nella cittadinanza che ha avviato una raccolta di firme, tuttora in corso, allo scopo di scongiurare l'abbattimento dei 18 carpini; si chiede al Ministero quali iniziative intenda adottare per verificare il rispetto da parte del detto progetto del paesaggio, delle norme in tema di tutela dei beni culturali e delle disposizioni della legge n. 10 del 2013 («Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani»).
  A tal proposito si rappresenta quanto segue.
  La richiesta si riferisce ad un progetto generale di riqualificazione dell'arredo urbano e miglioramento dell'accessibilità di piazza Paolo Camerini a Piazzola sul Brenta, oggetto di conferenza di servizi in data 5 agosto 2015, alla quale la soprintendenza paesaggistica competente per territorio è stata regolarmente convocata dal comune.
  Considerata l'impossibilità del soprintendente a presenziare a tale incontro, su tale progetto la suddetta soprintendenza ha espresso il proprio parere favorevole, con prescrizioni, con nota del 4 agosto 2015.
  In effetti la soprintendenza, tenuto conto dei vincoli derivanti dagli articoli, 10, comma 4, lettera
g), e 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio per effetto del decreto ministeriale in data 19 febbraio 1957, di dichiarazione di notevole interesse pubblico della «...zona comprendente la Villa Contarini ora Camerini, sita nell'ambito del Comune di Piazzola su Brenta», che l'ha assoggettata alle vigenti disposizioni di tutela della parte II del Codice stesso, vista la documentazione descrittiva degli interventi previsti, e considerato che gli stessi erano da ritenersi ammissibili per quanto di sua competenza, ha espresso parere favorevole per l'intervento in esame.
  Ha tuttavia evidenziato la necessità di un approfondimento di progetto in ordine alla realizzazione della cosiddetta «
promenade» (e conseguentemente anche del prolungamento di attraversamento a nord) che, nell'ipotesi in esame, prevedeva uno sbalzo che alterava i rapporti percettivi tra contesto e corso d'acqua, indicando la necessità che la stessa fosse realizzata esclusivamente come percorso a raso, interno alla sponda, privo di elementi verticali, al fine di salvaguardare le attuali modalità di definizione spondale della Roggia.
  La soprintendenza ha valutato comunque possibile la eliminazione di una parte degli alberi (filare centrale) della cornice semicircolare a chiusura della piazza, in considerazione del recente impianto degli alberi, dello stato fitosanitario descritto da specifica relazione tecnica, nonché della valutazione che la parziale riduzione delle essenze arboree non pregiudicasse la complessiva funzione di chiusura scenografica e paesaggistica della piazza.
  La soprintendenza suddetta, con nota del 17 marzo 2016, ha inoltre comunicato di aver contattato per le vie brevi il responsabile dei lavori pubblici del comune di Piazzola, il quale ha reso noto che il progetto al momento risulta sospeso e i lavori non ancora iniziati.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   PICCIONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ciò che si chiama «emergenza immigrazione» contiene in sé una vera e propria «emergenza nell'emergenza» e cioè quella che riguarda i minori non accompagnati;
   sono, infatti, quasi 2.500 i minori stranieri non accompagnati arrivati nel nostro Paese fino ad ora nel 2016, ma si tratta di numeri destinati ad aumentare;
   con l'arrivo della bella stagione come sempre, infatti, aumenta il flusso di migranti che, nelle ultime settimane, continuano a sbarcare a ritmo serrato sulle coste italiane;
   solo in Sicilia, prima frontiera del flusso migratorio, se ne contano approssimativamente 4.500, dislocati in 40 centri di prima e seconda accoglienza dedicati agli extracomunitari;
   questi centri possono ospitare al massimo 1.600 minori, dunque la capienza è insufficiente, tanto che i minori vengono fatti ospitare nelle comunità alloggio per italiani, anche questi però risultano pochi rispetto ai numeri dei nuovi minori che arrivano ogni giorno sulle nostre coste;
   la situazione è tale da spingere la regione siciliana a chiedere che anche le altre regioni italiane si impegnino di più a farsi carico del problema, dato che, da sola, ospita il 38 per cento di tutti i minori non accompagnati, la Lombardia, che si colloca al secondo posto per ospitalità, ne accoglie appena l'8,7 per cento;
   tra i minori che sbarcano nell'isola è ampia la fascia che va dai 16 ai 18 anni, ma fra gli ultimi sbarcati c'erano anche tre dodicenni e, ad Augusta, un bambino eritreo di soli di dieci anni;
   la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, dopo una approfondita indagine conoscitiva, aveva approvato il 21 aprile 2009, una risoluzione con l'invito al Governo a procedere sia con un piano d'azione dotato dei fondi necessari sia con un adeguamento legislativo utile a attualizzare le norme e omogeneizzare gli interventi su scala nazionale;
   inoltre, la Convenzione su diritti dell'infanzia e dell'adolescenza approvata dall'Onu il 20 novembre 1989 e ratificata 176 del 27 maggio 1991 costituisce, un dovere in più ad intervenire con legge;
   è attualmente all'esame della Camera un progetto di legge organico che, attualizzando le normative vigenti, ha l'obiettivo di adottare una disciplina organica, diritti, doveri, sicurezza, e unitaria per l'intero territorio –:
   nelle more dell'approvazione, che si auspica imminente, di una normativa organica in materia di minori stranieri non accompagnati, quali iniziative immediate il Governo intenda adottare al fine di sostenere i territori interessati, e regioni e i comuni, di fornire loro strumenti efficaci per fronteggiare al meglio l'emergenza dei minori non accompagnati e garantire l'accoglienza nel rispetto della legalità e delle convenzioni internazionali sui diritti del minore. (4-12912)

  Risposta. — L'interrogazione in esame verte sul tema dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e, in tale ambito, richiama l'attenzione sull'esigenza che il Governo sostenga le regioni e comuni negli interventi di competenza.
  Si rappresenta che l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e le conseguenti problematiche sono da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno, anche in ragione del fatto che, nell'ambito degli imponenti flussi migratori che stanno interessando il territorio nazionale, si registra un numero crescente di arrivi di tale categoria di soggetti particolarmente vulnerabili.
  I dati relativi ai minori in questione sono acquisiti, tenuti e aggiornati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Da essi si evince che, negli ultimi quattro anni, l'afflusso dei minori non accompagnati è sostanzialmente raddoppiato, essendosi passati dalle 5.821 unità presenti in Italia nel 2012 alle 11.921 dell'anno scorso.
  L’
escalation del fenomeno ha reso pressante l'esigenza di assicurare un adeguato supporto dello Stato ai comuni, ai quali spettano, come è noto, l'assistenza e la rappresentanza legale dei minori fuori famiglia.
  In tale direzione, vi è stato un radicale ripensamento della
governance del sistema nazionale di accoglienza, con una contestuale, forte assunzione di responsabilità del Ministero dell'interno.
  Il nuovo sistema ha avuto origine con il piano operativo nazionale per la gestione dei flussi migratori approvato dalla conferenza unificata nella seduta del 10 luglio 2014, la cui portata innovativa risiede nel fatto che, firma restando la prioritaria competenza dei comuni, l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è stata ricondotta ad una logica di
partnership trattato e il mondo delle autonomie locali.
  Le previsioni del piano nazionale hanno poi trovato suggello e copertura normativa in due successivi interventi legislativi.
  Si fa riferimento, innanzitutto, alla legge di stabilità 2015 che ha concentrato in un unico Dicastero, quello dell'interno, gli interventi di competenza statale nel settore dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
  Nello specifico, tale legge, da un lato, ha trasferito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali al Ministero dell'interno il fondo destinato a sostenere finanziariamente comuni che erogano i servizi di accoglienza ai minori stranieri non accompagnati.
  Dall'altro, ha previsto la possibilità di ospitare nelle strutture dello SPRAR, gestite come noto dagli enti locali con la regia unitaria e il preponderante sostegno finanziario del Ministero dell'interno, i minori stranieri non accompagnati non richiedenti protezione internazionale. Si è trattato di un'innovazione di non poco conto, atteso che il sistema SPRAR è destinato all'accoglienza dei soli richiedenti asilo e rifugiati.
  Più di recente, è intervenuto il decreto legislativo n. 142 del 2015 che, attraverso varie disposizioni di chiarificazione e chiusura del sistema, ne ha disegnato i contorni con esattezza.
  Il dispositivo normativo prevede una fase di prima accoglienza del minore in strutture ad alta specializzazione gestite dal Ministero dell'interno. La permanenza in tali centri è limitata al tempo strettamente necessario e comunque non è superiore a 90 giorni.
  Il minore è successivamente ospitato nelle strutture di seconda accoglienza del sistema SPRAR gestite – come noto – dai comuni secondo un modello condiviso con il Ministero dell'interno, che valorizza l'ospitalità diffusa e mira all'integrazione.
  Qualora tali strutture siano indisponibili, gli enti locali provvedono comunque ad ospitare il minore attraverso i propri servizi di assistenza secondo i criteri di ripartizione su base regionale individuati dal tavolo di coordinamento operante presso questa Amministrazione, previa intesa con la conferenza unificata. In tal caso, gli enti locali possono fare richiesta di accedere, nei limiti delle risorse disponibili, al già citato fondo per i minori stranieri non accompagnati, gestito dal Ministero dell'interno.
  Si segnala, al riguardo, che il fondo ha ricevuto per il 2016 una dotazione finanziaria importante: si tratta di 170 milioni di euro, cioè quasi il doppio dei 90 milioni di euro assegnati per il 2015, che contribuiranno ad elevare in maniera significativa gli
standard qualitativi e quantitativi dell'accoglienza.
  Il modello concepito dal legislatore, che si ritiene realizzi un adeguato sostegno dello Stato ai comuni nel settore, è in fase di graduale costruzione.
  Per quanto riguarda la prima accoglienza, sono in avanzato corso di predisposizione sia il decreto interministeriale, sia il bando pubblico necessari all'allestimento dei previsti centri ad alta specializzazione.
  Nelle more, per fronteggiare le esigenze più pressanti, nel 2015 il Ministero dell'interno ha attivato strutture temporanee di accoglienza per oltre 700 minori al giorno, utilizzando allo scopo risorse del fondo europeo per l'asilo, la migrazione e l'integrazione, integrate con cofinanziamenti nazionali.
  Per quanto riguarda la seconda accoglienza, si informa che la rete SPRAR è stata recentemente potenziata di ulteriori 1010 posti dedicati ai minori non accompagnati, in aggiunta ai 951 già esistenti.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   QUARANTA, D'ATTORRE, COSTANTINO e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le firme dei referendum, possono essere raccolte solo in presenza di un autenticatore che dovrà autenticare le firme dei sottoscrittori;
   tra gli autenticatori abilitati, in base alla legge 28 aprile 1998, n. 130, e all'articolo 4 della legge 30 aprile 1999, n. 120, figurano anche i consiglieri comunali e provinciali che comunichino la propria disponibilità rispettivamente al sindaco o al presidente della provincia;
   la legge 7 aprile 2014, n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», ha previsto la costituzione delle città metropolitane, ridefinendo il sistema delle province e disciplinando le unioni e fusioni di comuni;
   in particolare, le città metropolitane in data 1° gennaio 2015, si sono sostituite alle preesistenti province, subentrando ad esse in tutti i rapporti e in tutte le funzioni;
   l'articolo 1, comma 2, definisce le città metropolitane «enti territoriali di area vasta con le funzioni di cui ai commi da 44 a 46 e con le seguenti finalità istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee»;
   l'entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, non ha privato i consiglieri provinciali della legittimazione ad autenticare le sottoscrizioni a sostegno della presentazione di liste elettorali, come ha testualmente affermato il Consiglio di Stato (sezione V, 10 luglio 2015, n. 3470);
   se ne può pertanto dedurre, sul piano e dell'analogia e del sistema, la sostanziale continuità in ordine ad attività di autenticazione, giacché l'articolo 14, comma 1, della legge 21 marzo 1990, n. 53, nell'abilitare i consiglieri provinciali e comunali all'autenticazione delle firme dei presentatori delle liste elettorali, ha inteso agevolare il corretto svolgimento del procedimento elettorale, ampliando il novero dei soggetti abilitati all'autenticazione delle firme dei sottoscrittori di liste (Consiglio Stato, Sez. V, 11 maggio 2012, n. 2731), con l'unico limite costituito dal territorio di competenza dell'ufficio di cui sono titolari o al quale appartengono. È quindi quello territoriale l'unico limite che in base alle disposizioni vigenti in materia di autenticazione di firme nel nostro ordinamento è da ritenere implicitamente sussistente in relazione al potere attribuito ai pubblici ufficiali indicati nel citato articolo 14, anche a seguito della legge n. 56 del 2014 (Consiglio di Stato, sezione V, 16 aprile 2014, n. 1885);
   risulta assolutamente rilevante la finalità di agevolare e semplificare lo svolgimento del procedimento elettorale ampliando il novero dei soggetti abilitati all'autenticazione delle firme dei sottoscrittori di liste, implicita in tale normativa di sistema (Consiglio di Stato, Sezione V, 16 aprile 2014 n. 1885);
   tuttavia, in tale ottica parrebbe non muoversi invece il parere rilasciato dal Ministero dell'interno, tramite la prefettura di Torino, che, prediligendo l'interpretazione letterale, come tale secondo gli interroganti irragionevole e frustrante rispetto alle finalità perseguite dalla normativa in materia di autenticazione delle firme dei sottoscrittori, avrebbe ritenuto escludere la possibilità per i consiglieri metropolitani e i funzionari delle città metropolitane di procedere in tal senso;
   è evidente che tale interpretazione, assai discutibile, limitando il numero dei potenziali autenticatori, porterebbe anche ad una preoccupante e, secondo gli interroganti, illegittima limitazione della possibilità dei cittadini di accedere allo strumento del referendum –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative volte a rivedere l'orientamento di cui in premessa e se non ritenga che alle città metropolitane, subentrate alle province in tutti i rapporti e in tutte le funzioni, debba ritenersi applicabile la normativa in tema di autenticazione delle firme dei sottoscrittori di liste, con particolare riferimento agli autenticatori delle firme, in tal modo ritenendo abilitati i consiglieri metropolitani, in luogo di quelli provinciali, ormai venuti meno per la soppressione delle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. (4-12805)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, unitamente ad altri interroganti, esprime perplessità su un parere reso dal Ministero dell'interno, tramite la prefettura di Torino, che avrebbe escluso la possibilità per i consiglieri metropolitani di autenticare le firme dei presentatori delle liste elettorali.
  In relazione a ciò, si chiede al Ministro dell'interno se intenda rivedere tale orientamento, sul presupposto che, in tema di autenticazione delle firme, vi sia una sorta di continuità sostanziale tra i consiglieri provinciali venuti meno con la soppressione dell'ente provincia e i consiglieri metropolitani subentranti.
  Si premette che, a sempre, la giurisprudenza del Consiglio di Stato è orientata nel senso della tassatività delle categorie di soggetti ai quali viene conferita la capacità di attribuire pubblica fede in ordine alla autentica delle sottoscrizioni delle liste di candidati e delle dichiarazioni di accettazione delle candidature.
  Ritiene in sostanza, l'Alto Consesso, che l'elencazione dei soggetti aventi potestà autenticante, contenuta nell'articolo 14 della legge n. 53 del 1990, non si presti ad interpretazioni estensive in via analogica o sistematica.
  L'Amministrazione dell'interno, in un ambito così delicato e improntato ad attento rigore formale, non può evidentemente discostarsi dal costante indirizzo del Consiglio di Stato, finalizzato ad assicurare a tutti – elettori e candidati – un quadro di riferimento certo e quindi idoneo anche ad evitare possibili ricusazioni di firme per l'invalidità delle autenticazioni.
  Pertanto, si ritiene opportuno che i consiglieri delle città metropolitane svolgano la funzione di autenticazione solo in quanto consiglieri comunali e, quindi, solo all'interno del territorio di quel comune e con riferimento ad elezioni che si tengono nell'ambito del comune medesimo.
  Un ampliamento della platea dei soggetti legittimati all'autenticazione, nel senso dall'interrogante, esige un mirato intervento legislativo.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 ottobre del 2014 il sovrintendente della fondazione Teatro dell'Opera di Roma, Carlo Fuortes, ha consegnato alle organizzazioni sindacali la notifica di avvio della procedura di licenziamento collettivo ex lege 223 del 1991 dell'orchestra e del coro, senza che fosse avvenuto alcun preventivo incontro con i sindacati previsto dall'articolo 38 del contratto collettivo nazionale del settore;
   la decisione era stata presa e trionfalmente trasmessa alla stampa dopo un incontro avvenuto nel settembre 2014 tra il sovrintendente ed i soli soci fondatori (Comune, Ministero e Regione) comunicandola ufficialmente al consiglio di amministrazione della Fondazione come cosa fatta soltanto nella successiva riunione del 2 ottobre;
   il 17 novembre 2014 i lavoratori del teatro, per scongiurare quella che sarebbe stata la rovina di 180 famiglie, ed estenuati da una massiccia campagna di stampa a loro discredito, si sono visti costretti a firmare un accordo che prevedeva significativi tagli ai salari dei lavoratori, mentre la parte datoriale si rifiutava di impegnarsi al contenimento delle spese degli allestimenti, dei cachet degli artisti ospiti e degli emolumenti dei dirigenti;
   nel successivo mese di dicembre, tuttavia, è apparsa sulla stampa una lettera datata 8 aprile 2013, e quindi precedente di ben sei mesi all'avvio della procedura di licenziamento collettivo, nella quale l'Avvocatura dello Stato esprimeva parere negativo circa la possibilità di avviare tale procedura data la natura pubblicistica della Fondazione, da sempre sostenuta dall'Avvocatura stessa;
   da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Tempo lo scorso 15 giugno e basato sull'analisi dei dati forniti dalla direzione delle risorse umane del Teatro dell'Opera di Roma, risulta una anomala e sproporzionata concentrazione del personale tecnico amministrativo nei ruoli apicali: circa il 75 per cento di questi, infatti, risulterebbe inquadrato nei primi tre livelli, nei quali si collocherebbero ben 29 funzionari, costituendo, di fatto, una sorta di «esercito di generali», nonostante la significativa riduzione del totale dei dipendenti, passati da oltre settecento a poco più di cinquecento;
   ciò avverrebbe in aperta contraddizione con la delibera del Consiglio di amministrazione dello stesso organismo del 9 giugno 2000, n. 8, che prevedeva che tutti gli inquadramenti di personale successivi a quella data avrebbero dovuto rispettare i livelli di inquadramento previsti dalla contrattazione di settore;
   inoltre, nel corso del 2014, nelle more dell'accordo capestro tra amministrazione e lavoratori siglato il 17 novembre 2014, il sovrintendente Fuortes avrebbe elargito promozioni, assegni ad personam e superminimi individuali di dubbia validità ad ignoti destinatari;
   sempre nel corso del 2014 il sovrintendente Fuortes ha nominato due direttori artistici, caso unico nella storia delle fondazioni lirico sinfoniche italiane ed estere, la somma dei cui compensi corrisponde pressoché al doppio del risparmio ottenuto dalla Fondazione, con la sospensione della cosiddetta «indennità sinfonica» dell'Orchestra e del Coro, per abolire la quale dal dottor Fuortes si è molto impegnato;
   ad oggi, la nomina del doppio direttore artistico, che nelle dichiarazioni del sovrintendente avrebbe trovato giustificazione nella elaborazione di una articolata stagione sinfonica da affiancare a quella ufficiale, ha prodotto, leggendo il programma della stagione 2015/2016 appena presentato, nove concerti in totale, tutti diretti da direttori sicuramente talentuosi ma praticamente sconosciuti al grande pubblico;
   nella prossima stagione non vi è traccia neanche di quelle coproduzioni tra le cosiddette macro-regioni previste dal decreto del 28 febbraio 2006 e rimaste lettera morta, mentre è previsto l'acquisto in blocco di produzioni dall'estero, sostituendo l'Orchestra ed il Coro e nonostante siano già state messe in scena recentemente dal Teatro dell'Opera di Roma;
   nella stagione in corso si assiste ad uno snaturamento del Teatro dell'Opera con una programmazione estiva che comprende eventi economicamente ed organizzativamente onerosi e che, trattandosi di concerti «pop», nulla hanno a che vedere con la funzione istituzionale della fondazione;
   risulta all'interrogante che sulla gestione del Teatro dell'Opera da parte del sovrintendente Fuortes sarebbe stato depositato anche un esposto alla procura, regionale della Corte dei Conti, che denuncia, tra le altre cose, le spese legali che la Fondazione sostiene affidando i propri contenziosi ad avvocati del libero foro pur potendo continuare, invece, ad avvalersi del patrocinio gratuito dell'Avvocatura Stato come previsto dall'articolo 43 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1161, e dal decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, istitutivo delle fondazioni lirico sinfoniche e confermato da ampia giurisprudenza in materia di patrocinio legale di realtà di natura o interesse pubblicistici;
   dalla relazione della Corte dei Conti sugli esercizi 2013 delle Fondazioni Lirico Sinfoniche presentata nell'adunanza del 24 aprile 2015 (determinazione n. 44/2015) emerge che tra quelle che versano in condizioni peggiori ci sono proprio le fondazioni in cui il direttore generale dello spettacolo dal vivo Salvatore Nastasi e l'attuale sovrintendente del Teatro dell'Opera di Roma, Carlo Fuortes, sono stati addirittura Commissari di Governo, vale a dire Firenze, Napoli e in ultimo Bari, dove Fuortes è riuscito a lasciare circa due milioni di euro di passivo, erodendo persino il patrimonio della Fondazione –:
   se e quali iniziative siano state assunte in seguito alla pubblicazione del citato parere dell'Avvocatura riguardo la legittimità dei licenziamenti collettivi, ovvero, qualora non ne sia stato assunto alcuno, quali siano le ragioni dell'inerzia dell'amministrazione in materia;
   quali siano ad oggi le risultanze dell'attività di coordinamento tra le Fondazioni ed il Ministero per i beni culturali e le attività culturali, prevista dal decreto del 28 febbraio 2006;
   quale sia il reale impatto economico delle spese relative ai contenziosi della fondazione Teatro dell'Opera di Roma non affidate all'Avvocatura dello Stato, e la regolarità dell'affidamento di tale contenzioso ad avvocato del libero foro.
(4-09683)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, con riguardo alla notifica di avvio della procedura di licenziamento collettivo ex lege 223 del 1991 dell'orchestra e del coro del Teatro dell'Opera, senza che fosse avvenuto alcun preventivo incontro con i sindacati, previsto dall'articolo 38 del contratto collettivo nazionale del settore, l'interrogante chiedeva se il Ministero avesse assunto iniziative riguardo la legittimità di tale licenziamento, nonché quale fosse il reale impatto economico delle spese relative ai contenziosi della fondazione Teatro dell'Opera di Roma non affidate all'Avvocatura dello Stato.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue, anche sulla scorta di dati richiesti dalla direzione generale spettacolo alla fondazione di Roma capitale e trasmessi dal sovrintendente del teatro.
  Per quanto attiene al quesito circa la legittimità dei licenziamenti collettivi in rapporto al parere dell'Avvocatura riportato nella premessa dell'atto parlamentare, l'iter che ha portato il consiglio di amministrazione della fondazione Teatro dell'Opera di Roma a deliberare il provvedimento di esternalizzazione dell'orchestra e del coro mediante una procedura ai sensi della legge n. 223 del 1991 è stato riportato ampiamente e correttamente dagli organi di stampa, così come la positiva conclusione della vicenda, che ha visto il ritiro della procedura relativa ai licenziamenti a seguito dell'accordo del 18 novembre 2015 sottoscritto tra la fondazione e tutte le sigle sindacali.
  La stampa ha riportato anche la smentita circa la presunta lettera di parere dell'Avvocatura dello Stato che conteneva – per errore della stessa Avvocatura dello Stato — un riferimento di protocollo precedente relativo ad un ricorso per decreto ingiuntivo (protocollo 2523 dell'8 aprile 2015).
  La fondazione, a causa delle infondate informazioni circolate per il tramite de «Il Tempo», ha proceduto a querela.
  Nel corso del 2014 la fondazione ha attuato una profonda ristrutturazione dei costi del personale, poiché nel 2013 gli stessi erano giunti a livelli insostenibili, contribuendo al dissesto economico-finanziario della Fondazione.
  Tale attività di ristrutturazione che, nel 2014, ha portato i costi del personale ad un livello di 33,6 milioni di euro, in diminuzione di 6 milioni circa (pari al 15 per cento) rispetto al dato del 2013, è stata ottenuta attraverso:
   il pensionamento di n. 37 dipendenti a tempo indeterminato;
   la realizzazione di considerevoli economie sui contratti di natura professionale e sull'utilizzo di personale aggiunto.

  Gli obiettivi di risparmio del costo del personale sono stati conseguiti senza ricorrere a licenziamenti, né all'apertura di procedure di mobilità verso Ales, pur previste dalla legge n. 112 del 2013 (cosiddetta legge Bray) alla quale la fondazione ha aderito nel dicembre 2013.
  I criteri con i quali sono stati realizzati i pensionamenti sono unicamente legati al raggiungimento dei requisiti previsti dalla normativa vigente.
  Secondo i dati contenuti nel bilancio 2014 della fondazione, il peso della componente amministrativa rispetto al totale del costo del personale è pari all'11 per cento, contro il 47 per cento delle masse artistiche (orchestra, coro e ballo) ed il 33 per cento dei tecnici.
  Gli attuali 29 funzionari dell'area tecnico-amministrativa (che non sono dirigenti ma responsabili di funzione) rappresentano il 14 per cento di tutto il personale del comparto. Nel corso del 2015, grazie al pensionamento di 3 funzionari, tale percentuale è scesa ulteriormente di circa 1 punto.
  Si tratta di dati del tutto coerenti con le necessità connesse alla gestione amministrativa di una istituzione che conta complessivamente 590 unità di personale full time equivalent.
  Le attribuzioni categoriali e gli adeguamenti contrattuali che sono stati deliberati nel corso del 2014 sono collegate unicamente a scelte legate all'organizzazione aziendale e all'efficientamento dei processi produttivi. In ogni caso essi hanno tenuto conto dei vincoli di budget definiti dal piano di risanamento ex lege n. 112 del 2013 che sono stati, fino ad ora, pienamente rispettati.
  Per quanto riguarda le nomine e gli emolumenti dei dirigenti, figure apicali di ordine «artistico», sostiene la fondazione che d'intesa con il presidente della fondazione, sindaco di Roma Capitale, nell'ottica di una maggiore offerta al pubblico non solo di tradizionale programmazione basata sul grande repertorio operistico e ballettistico, ma anche di interesse verso i nuovi linguaggi e l'opera contemporanea, è stato pensato di ampliare la direzione artistica, costituendo una équipe di grandi professionisti del settore lasciando al Maestro Alessio Vlad il coordinamento della programmazione operistica mentre al Maestro Giorgio Battistelli è stato affidato il coordinamento dei programmi di musica sinfonica e di opera contemporanea. All’étoile Eleonora Abbagliato, danzatrice di fama internazionale, è stata affidata la direzione del corpo di ballo del Teatro dell'Opera in segno di crescita per l'offerta artistica e la qualità degli spettacoli programmati al Teatro Costanzi e alle Terme di Caracalla.
  Al momento la fondazione Teatro dell'Opera di Roma ha, dunque, 3 dirigenti in carica:
   il sovrintendente;
   il direttore della risorse umane e organizzazione;
   il direttore della funzione affari legali e servizi generali.

  Il costo stimato di questi dirigenti per il 2015 ammonta a poco meno di 580 mila euro, mentre quello per le consulenze continuative (che comprendono, tra l'altro i direttori artistici, il direttore del corpo di ballo ed il direttore del coro) ammonta a circa 645 mila euro. Il costo totale per la fondazione delle figure apicali ammonta a 1,224 milioni di euro.
  I dati analitici relativi ai compensi di ogni singolo dirigente e professionista sono pubblicati sul sito della fondazione, nella sezione amministrazione trasparente, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
  La seguente tabella presenta l'andamento dei costi per dirigenti e per consulenze continuative nel corso degli ultimi tre anni.
Dirigenti:
  2013: euro 735.324,63;
  2014: »  346.736,43;
  2015: »  579.746,67.
Consulenze continuative:
  2013: euro 779.748,94;
  2014: »  709.897,44;
  2015: »  644.520,00.
Totale:
  2013: euro 1.515.073,57;
  2014: »  1.048.633,90;
  2015: »  1.224.266,67.

  Rispetto al 2013 il costo aziendale della retribuzione dei dirigenti nel 2015 è diminuito di 156 mila euro (-21,2 per cento), mentre quello per le consulenze continuative di 135 mila euro (-17.3 per cento). Complessivamente il costo per le figure apicali è diminuito, rispetto al 2013, di 290 mila euro (-19,2 per cento).
  I risparmi sul costo del personale delle figure apicali della fondazione sono del tutto in linea con i risparmi conseguiti sul costo del personale totale: infatti il costo complessivo del personale nel bilancio previsionale 2015 ammonta a poco più di 32 milioni di euro, dato che determina una diminuzione del costo del personale rispetto a quello consuntivato nel 2013 pari al 19,2 per cento, percentuale sostanzialmente analoga a quella delle figure apicali.
  L'incremento che si è verificato tra il 2014 ed il 2015 (+ 176 mila euro) è determinato essenzialmente dal fatto che nel 2014 il sovrintendente percepiva un compenso simbolico di appena 14.400 euro lordi annui. Il costo delle consulenze continuative ha continuato il suo trend discendente senza interruzioni.
  Circa l'offerta relativa alla programmazione artistica, su 10 titoli d'opera, 5 di essi sono – secondo l'ente – il risultato di importanti trattative internazionali, nel segno della grande richiesta di collaborazione per il ruolo che il Teatro dell'Opera di Roma riveste sempre di più a livello internazionale; non risponde al vero che per i titoli in coproduzione verranno sostituiti i complessi artistici. Le coproduzioni, infatti, riguardano esclusivamente gli allestimenti scenici.
  Con la stagione 2015/2016 l'Opera di Roma viene incontro alle esigenze, alle richieste, ai desideri culturali attuali. I concerti pop rappresentano una fonte di finanziamento per la fondazione e le manifestazioni, che hanno visto artisti quali Bob Dylan ed Elton John, hanno registrato ricavi comunque superiori ai costi sostenuti per gli ingaggi. L'utile viene appunto utilizzato per finanziare l'attività istituzionale.
  Infine, in relazione alla gestione del contenzioso, nella seduta del consiglio di indirizzo del 26 giugno 2015, in considerazione della situazione relativa al contenzioso del lavoro, è stato presentato un protocollo d'intesa tra la fondazione Teatro dell'Opera di Roma e l'Avvocatura generale dello Stato.
  Il consiglio di indirizzo, preso atto del protocollo d'intesa, ha confermato che la difesa del Teatro dell'Opera di Roma continua a poter essere affidata ad avvocati del libero foro nelle controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza, promosse o da promuovere nei tre gradi di giudizio, tranne quelle di eccezionale rilevanza generale ed aventi considerevoli riflessi sostanziali sugli assetti organizzativi e finanziari della fondazione, per le quali si ritiene di potersi far ricorso al patrocinio dell'Avvocatura dello Stato.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come previsto dall'articolo 403 del codice civile, i minori stranieri non accompagnati devono essere accolti ed economicamente sostenuti dal sindaco del comune in cui vengono identificati: grazie a questa normativa nel 2014 i comuni italiani hanno dato alloggio a 10.536 stranieri under 18, che sono stati accolti da alcune centinaia di associazioni e cooperative ma purtroppo, in molti casi, sono stati anche sfruttati come risorsa di fondi facili dalla criminalità organizzata;
   gli oltre 30 milioni di euro l'anno che escono dalle casse pubbliche per garantire un alloggio ai minori che sbarcano in Italia senza genitori, costituiscono spesso l'obiettivo di molte organizzazioni criminali: dal giro delle coop legate ai boss di Mafia Capitale agli intermediari senza scrupoli che strumentalizzano gli immigrati a volte anche facendo in modo che giovani di oltre 30 anni vengano riconosciuti come minori per accedere ai fondi;
   secondo un'inchiesta del giornale La Repubblica, una qualificata fonte delle forze di polizia avrebbe rivelato che: «Quando i minori stranieri arrivano, i dirigenti del dipartimento politiche sociali di un qualsiasi comune italiano contattano le cooperative con cui collaborano. L'affare è grosso e queste si organizzano. Se non hanno alloggi li trovano in una notte: acquistano villette, affittano, chiedono palazzetti in prestito a costruttori amici. Pochi giorni dopo la macchina è pronta ad accogliere i ragazzi»;
   sempre secondo l'inchiesta di La Repubblica, un esempio di queste realtà di sfruttamento è Osa Mayor, la piccola cooperativa che riceve dal dipartimento Politiche Sociali del Comune di Roma il compito di accogliere circa 60 stranieri, tutte famiglie con minori e che, pur ricevendo dal Campidoglio la retta completa, alloggerebbe i suoi ospiti in un villino alle porte di Roma con una cucina di fortuna allestita nel garage con un forno a microonde, impianti non a norma, letti accatastati, mancato rispetto delle normative antincendio e soprattutto continuerebbe a dichiarare la presenza di tutti gli ospiti anche quando parte di loro ha lasciato la casa;
   il peso economico dei minori stranieri non accompagnati grava soprattutto sulle casse degli enti locali: lo scorso anno il ministero del lavoro ha stanziato 14,8 milioni di euro per sostenere i comuni, mentre il resto dei fondi sarebbe uscito direttamente dalle casse degli enti locali; di queste spese i trasferimenti statali sono stati effettuati sui conti di tesoreria comunale, ma solo 4 amministrazioni avrebbero presentato i certificati di corretto utilizzo del contributo pubblico, per un valore irrisorio di 21.240 euro; secondo quanto riportato da La Repubblica, al 31 dicembre del 2014 non vi era ancora traccia di come i restanti 313 comuni avessero usato gli altri 14,7 milioni, e naturalmente questa confusione aiuta i traffici di coloro che sfruttano i minori –:
   se il Governo sia al corrente di questa gravissima situazione e in che modo intenda intervenire con urgenza, nei modi che gli sono propri, per monitorare la situazione e fare sì che i minori stranieri non accompagnati non diventino preda di un business criminale, ma vengano tutelati nei loro diritti, e per preservare, altresì, i preziosi fondi che vengono stanziati a questo scopo, troppo spesso drenati da una rete malavitosa ormai radicata e che lo Stato non può più ignorare. (4-09031)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione su un'inchiesta de «La Repubblica» relativa allo sfruttamento e al business criminale che si sarebbero creati nel settore dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. Nell'inchiesta viene citata, come esempio di sfruttamento, la realtà dell'OSA MAYOR, cooperativa convenzionata con Roma Capitale.
  In relazione a tale contesto, l'interrogante chiede l'adozione di interventi urgenti volti a monitorare la situazione e a far sì che i minori in questione siano tutelati nei loro diritti e che i fondi pubblici destinati alla loro accoglienza siano preservati da mire malavitose.
  Si premette che la convenzione con la cooperativa sociale OSA MAYOR a.r.l. è stata stipulata da Roma Capitale nell'ambito delle misure da essa assunte per fronteggiare la fase emergenziale conseguente agli eventi alluvionali che, nel gennaio 2014, hanno interessato l'alveo del Tevere.
  In quella occasione la cooperativa è stata Tunica ad offrire al comune, la disponibilità per reperire una sistemazione alloggiativa per il ricovero delle persone sfollate.
  La convenzione prevedeva l'accoglienza di alcuni nuclei familiari (circa 60 persone complessivamente) prima presso una struttura in via Vito D'Ancona, poi in un altro immobile in via Casal Morena; quanto al corrispettivo, era stato fissato un importo pari a 19,24 euro al giorno, Iva inclusa, per ciascun ospite presente.
  Si rappresenta che nei primi tre mesi, ossia da marzo a maggio 2014, il numero delle persone ospitate coincideva con la capienza massima della struttura, mentre nell'ultimo trimestre, ossia da agosto a settembre 2014, le presenze sono man mano diminuite.
  A seguito di irregolarità riscontrate nella gestione del servizio, accertate dai competenti uffici e dal corpo di polizia locale di Roma Capitale, l'amministrazione capitolina ha disposto, a settembre 2014, la revoca del servizio di accoglienza nella struttura di via di Casal Morena e, il 31 ottobre 2014, la riconsegna dei locali.
  Si fa presente, inoltre, che in esito all'attività ispettiva condotta dalla polizia locale del comune di Roma, nel mese di gennaio 2015, è stata inoltrata alla procura della Repubblica, la comunicazione di notizia di reato, a carico di cinque persone ben individuate e di altri ignoti, per frode in pubbliche forniture in concorso, in quanto avrebbero percepito indebitamente somme relative a prestazioni e servizi mai resi ovvero non correttamente eseguiti, arricchendosi in danno della pubblica amministrazione.
  Venendo ora alla questione più generale posta con l'interrogazione, si rappresenta che l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e le conseguenti problematiche sono da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno, anche in ragione del fatto che, nell'ambito degli imponenti flussi migratori che stanno interessando il territorio nazionale, si registra un numero crescente di arrivi di tale categoria di soggetti particolarmente vulnerabili.
  I dati relativi ai minori in questione sono acquisiti, tenuti e aggiornati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Da essi si evince che negli ultimi quattro anni, l'afflusso dei minori non accompagnati è sostanzialmente raddoppiato, essendosi passati dalle 5.821 unità presenti in Italia nel 2012 alle 11.921 del 2015.
  È diventata pressante, quindi, l'esigenza di assicurare un adeguato supporto dello Stato ai comuni, ai quali spettano – come noto – l'assistenza e la rappresentanza legale dei minori fuori famiglia.
  In tale direzione, vi è stato un radicale ripensamento della governance del sistema nazionale di accoglienza, con una contestuale, forte assunzione di responsabilità del Ministero dell'interno.
  Il nuovo sistema ha avuto origine con il piano operativo nazionale per la gestione dei flussi migratori approvato dalla inferenza unificata nella seduta del 10 luglio 2014, la cui portata innovativa risiede nel fatto che, ferma restando la prioritaria competenza dei comuni, l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è stata ricondotta ad una logica di partnership tra Stato e il mondo delle autonomie locali.
  Le previsioni del piano nazionale hanno poi trovato suggello e copertura normativa in due successivi interventi legislativi.
  Si fa riferimento, innanzitutto, alla legge di stabilità 2015 che ha concentrato in un unico Dicastero, quello dell'interno, gli interventi di competenza statale nel settore dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
  Nello specifico, tale legge, da un lato, ha trasferito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali al Ministero dell'interno il fondo destinato a sostenere finanziariamente i comuni che erogano i servizi di accoglienza ai minori stranieri non accompagnati.
  Dall'altro, ha previsto la possibilità di ospitare nelle strutture dello SPRAR, gestite come noto dagli enti locali con la regia unitaria e il preponderante sostegno finanziario del Ministero dell'interno, i minori stranieri non accompagnati non richiedenti protezione internazionale. Si è trattato di un'innovazione di non poco conto, atteso che il sistema SPRAR è destinato all'accoglienza dei soli richiedenti asilo e rifugiati.
  Più di recente, è intervenuto il decreto legislativo n. 142 del 2015 che, attraverso varie disposizioni di chiarificazione e chiusura del sistema, ne ha disegnato i contorni con esattezza.
  Il dispositivo normativo prevede una fase di prima accoglienza del minore in strutture ad alta specializzazione gestite dal Ministero dell'interno. La permanenza in tali centri è limitata al tempo strettamente necessario e comunque non è superiore a 90 giorni.
  Il minore è successivamente ospitato nelle strutture di seconda accoglienza del sistema SPRAR gestite – come noto – dai comuni secondo un modello condiviso con il Ministero dell'interno, che valorizza l'ospitalità diffusa e mira all'integrazione.
  Qualora tali strutture siano temporaneamente indisponibili, gli enti locali provvedono comunque ad ospitare il minore attraverso i propri servizi di assistenza. In tal caso, essi possono fare richiesta di accedere, nei limiti delle risorse disponibili, al già citato fondo per i minori stranieri non accompagnati, gestito dal Ministero dell'interno.
  Si segnala, al riguardo, che il fondo ha ricevuto per l'anno in corso una dotazione finanziaria importante: si tratta di 170 milioni di euro, cioè quasi il doppio dei 90 milioni di euro assegnati per il 2015, che contribuiranno ad elevare in maniera significativa gli standard qualitativi e quantitativi dell'accoglienza.
  Il modello concepito dal legislatore è in fase di graduale costruzione.
  Per quanto riguarda la prima accoglienza, sono in avanzato corso di predisposizione sia il decreto interministeriale, sia il bando pubblico necessari all'allestimento dei previsti centri ad alta specializzazione.
  Nelle more, per fronteggiare le esigenze più pressanti, nel 2015 il Ministero dell'interno ha attivato strutture temporanee di accoglienza per oltre 700 minori al giorno, utilizzando allo scopo risorse del fondo europeo per l'asilo, la migrazione e l'integrazione, integrate con cofinanziamenti nazionali.
  Per quanto riguarda la seconda accoglienza, si informa che la rete SPRAR è stata recentemente potenziata di ulteriori 1010 posti dedicati ai minori non accompagnati, in aggiunta ai 951 già esistenti.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a causa anche dei tagli effettuati per anni in relazione al recupero delle quiescenze «turn over» e di un reale e concreto potenziamento mai avvenuto, si trova a rispondere quotidianamente alle varie casistiche di interventi con personale operativo ridotto ai minimi termini a forte discapito della qualità del servizio offerto alla cittadinanza;
   nel complesso, le 2000 unità ottenute nel corso degli anni, non sono riuscite a dare respiro alla carenza di personale ancora presente nel Corpo nazionale vigili del fuoco;
   nella Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2015 è stato pubblicato il decreto ministeriale 30 aprile 2015 n. 103, regolamento recante modifiche delle dotazioni organiche del Corpo nazionale vigili del fuoco ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo 13 ottobre 2005 n° 217, il quale dalla data del 25 luglio 2015 autorizzava il dirottamento dei fondi e l'incremento in pianta organica dei ruolo vigili del fuoco;
   detto incremento risulterebbe possibile e di rapida applicazione attraverso la copertura economica risultante dalla trasformazione nell'ambito della pianta organica teorica, dei 300 vice ispettori che secondo quanto già deciso, devono essere convertiti in equivalenti unità di vigili, portando quindi all'assunzione di 300 nuovi vigili del fuoco;
   nei primi mesi del 2015 il Ministro interrogato firmava il decreto 30 aprile 2015, n. 103 autorizzando l'ampliamento in pianta organica delle 300 unità –:
   quale sia la tempistica prevista affinché queste 300 unità possano essere trasformate in assunzioni concrete da destinare alle graduatorie in corso di validità. (4-10612)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, prendendo spunto dalle consistenti vacanze di organico che si sarebbero create nei ruoli del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a causa del blocco del turn over, chiede di conoscere quali siano i tempi previsti per l'assunzione dei 300 vigili del fuoco di cui al decreto ministeriale 30 aprile 2015, n. 103, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 10 luglio 2015.
  Si osserva preliminarmente che le manovre di finanza pubblica attuate negli ultimi anni hanno ridotto in maniera sostanziale le dotazioni finanziarie destinate alle spese di funzionamento della struttura e alle attività di soccorso.
  Tali manovre, come evidenziato nell'interrogazione, non hanno reso possibile la sistematica copertura del turn over del personale posto in quiescenza, il che ha determinato l'impossibilità non soltanto di completare l'organico teorico, ma persino di mantenere almeno l'organico reale al passo con la copertura dei pensionamenti effettuati.
  Riguardo a tale tema, si fa presente che il 2016 ha portato con sé una misura di estremo rilievo.
  Dopo oltre un decennio di blocco parziale, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio intervenute nell'anno 2014, per l'anno in corso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  Per quanto concerne, il tema dell'assunzione dei 300 vigili del fuoco, si rappresenta preliminarmente che, nell'ambito di un progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è stato effettivamente previsto un incremento di 300 unità nella qualifica di vigile del fuoco, mediante la corrispondente riduzione di 262 unità appartenenti alla qualifica di vice ispettore antincendi. A ciò si aggiunge un ulteriore adeguamento volto ad assicurare 61 unità nella dotazione organica del ruolo dei funzionari amministrativo-contabili vice direttori e 22 unità nella dotazione organica del ruolo dei funzionari tecnico-informatici, mediante la corrispondente riduzione di 170 unità della dotazione organica del ruolo degli operatori. Il tutto ad invarianza degli oneri di bilancio.
  Al fine di poter dare attuazione a quanto sopra esposto è stato adottato il decreto ministeriale 30 aprile 2015, n. 103.
  Con successivo decreto del Ministro dell'interno 31 luglio 2015 è stata, inoltre, effettuata la ripartizione delle dotazione organiche del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la revisione complessiva dei distaccamenti, dei reparti e dei nuclei speciali nonché dei presidi antincendio presso gli organi costituzionali.
  Tanto detto, con riferimento allo specifico quesito posto dall'interrogante, si informa che il 9 dicembre 2015 è stato avviato il 77o corso di formazione per l'assunzione di 355 vigili del fuoco.
  Da ultimo si soggiunge, per completezza, che, in vista dell'imminente scadenza della graduatoria della procedura di stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari (di cui al decreto ministeriale n. 3747 del 2007) e della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco (di cui al decreto ministeriale n. 5140 del 2008), il dipartimento della funzione pubblica, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 dicembre 2015, ha autorizzato questa Amministrazione a bandire un nuovo concorso pubblico per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco, per un numero pari a 250 unità.
  Ogni ulteriore iniziativa di potenziamento di organico non può che essere rimessa alla decisione dell'organo legislativo, che dovrà farsi carico di reperire la necessaria copertura finanziaria.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   TOFALO, SIBILIA e PETRAROLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, principale dispositivo di soccorso del Paese, è costituito da una componente professionista, quella principale, deputata a garantire la generalità degli interventi di soccorso sul territorio ed una componente volontaria, a garanzia di un primo intervento di soccorso nelle zone a più basso indice di rischio ovvero in quelle località non raggiungibili dalle sedi permanenti entro i tempi fissati come limite per un efficace intervento operativo;
   negli ultimi 15 anni per sopperire a organici carenti e completamente inadeguati rispetto alle reali esigenze del Paese si è utilizzato in modo eccezionale lo strumento di richiamo in servizio di personale volontario presso le sedi permanenti. Attingendo ad un elenco che conta oltre 60000 iscritti si è richiamato in servizio, a rotazione, personale volontario cosiddetto discontinuo per periodi di 20 giorni, in sostituzione della componente permanente, a copertura di 3500 posti vacanti;
   tale soluzione ha comportato nel tempo una crescita irrazionale di spesa del settore stante l'effetto moltiplicativo di tutti i costi fissi di gestione di tale personale (visita medica biennale, dotazione personale di dispositivi di protezione individuali, formazione e addestramento);
   nel corso dell’iter di approvazione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, articolo 8, si è disposta l'assunzione di 1000 unità di vigili del fuoco; inoltre, ai sensi dell'articolo 3 comma 3-octies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 si è disposto un ulteriore incremento delle dotazioni organiche di 1.030 unità, di cui mille nei ruoli operativi;
   gli oneri derivanti da tali disposizioni si è provveduto mediante corrispondente riduzione ne degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario. Lo stesso fondo era stato ridotto a decorrere dall'anno 2012 per effetto della legge n. 183 del 12 novembre 2011 senza riconvertire tale quota in assunzioni;
   non c’è stato nessun potenziamento e nessun incremento organico sostanziale per i vigili del fuoco, visto che le risorse umane disponibili complessivamente impiegate sul territorio (componente permanente più posizioni ricoperte da turnazione richiami di personale discontinuo) risultano essere notevolmente ridotte –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno avviare un reale potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco affinché siano salvaguardati gli standard minimi di operatività. (4-11415)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede un reale potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco al fine di assicurare gli standard minimi di operatività del servizio di soccorso tecnico urgente.
  Si assicura che la questione evidenziata dell'interrogante è da tempo all'attenzione di questa Amministrazione.
  Solo nel corso di questa legislatura la dotazione organica del Corpo nazionale è stata incrementata di oltre 2 mila unità di personale, grazie a due provvedimenti legislativi adottati nel biennio 2013-2014.
  Un'altra misura significativa è costituita dall'autorizzazione, contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2015, all'assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo nazionale di 250 vigili del fuoco per le esigenze di soccorso pubblico connesse allo svolgimento del giubileo straordinario.
  Si rappresenta anche che, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per vigile del fuoco, questa Amministrazione è stata autorizzata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2015, a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica. Tale misura consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano organizzativo che su quello funzionale.
  Si fa presente, inoltre, che l'anno corrente ha portato con sé una misura di estremo rilievo in tema di ripianamento delle vacanze di organico.
  Dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle varie manovre di contenimento della spesa pubblica, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015, il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio intervenute nell'anno 2014, per l'anno in corso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  Si ritiene utile richiamare l'attenzione su un'altra linea direttrice che l'Amministrazione sta seguendo per realizzare l'efficientamento del servizio di soccorso tecnico urgente auspicato dall'interrogante.
  Partendo dalla constatazione che in questa fase congiunturale il potenziamento delle dotazioni organiche è una leva fortemente condizionata dalla limitatezza delle disponibilità finanziarie, si è intrapreso con decisione la strada dell'ottimizzazione delle risorse esistenti e della razionalizzazione del funzionamento delle strutture.
  È stato predisposto ed è in corso di attuazione, ad invarianza di spesa, un progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale.
  Il progetto, partendo dalle esigenze del territorio, ha ridefinito la mappatura delle sedi (centrali e distaccate), riclassificandole in base a indicatori oggettivi riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale. In tale ambito, si è provveduto a bilanciare nel miglior modo possibile la distribuzione del personale nei vari comandi provinciali, garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
  Nell'ambito del progetto, è stato previsto un incremento di 300 unità nella qualifica di vigile del fuoco, mediante la corrispondente riduzione di 262 unità appartenenti alla qualifica di vice ispettore antincendi. A ciò si aggiunge un ulteriore adeguamento volto ad assicurare 61 unità nella dotazione organica del ruolo dei funzionari amministrativo-contabili vice direttori e 22 unità nella dotazione organica del ruolo dei funzionari tecnico-informatici, mediante la corrispondente riduzione di 170 unità della dotazione organica del ruolo degli operatori. Il tutto ad invarianza degli oneri di bilancio.
  Al fine di poter dare attuazione a quanto sopra esposto è stato adottato il decreto ministeriale 30 aprile 2015, n. 103.
  Con successivo decreto del Ministro dell'interno 31 luglio 2015 è stata, inoltre, effettuata la ripartizione delle dotazione organiche del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la revisione complessiva dei distaccamenti, dei reparti e dei nuclei speciali nonché dei presidi antincendio presso gli organi costituzionali.
  Sulla base di tali disposizioni, il 9 dicembre 2015 è stato avviato il 77o corso di formazione per l'assunzione di 355 vigili del fuoco.
  Si segnala, infine, che ogni ulteriore iniziativa di potenziamento dell'organico non può che essere rimessa alla decisione dell'organo legislativo, che dovrà farsi di reperire la necessaria copertura finanziaria.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   TOFALO, SIBILIA e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fonti di stampa parlano di abusi al municipio di San Valentino Torio, risulterebbero indagate 39 persone. Verrebbe contestata un'associazione a delinquere per favorire chi appoggiava l'amministrazione precedente all'attuale. (http://lacittadisalerno.gelocal.it);
   il 31 maggio 2015 le elezioni comunali presso il comune di San Valentino Torio (Salerno) hanno registrato la vittoria della lista civica «Insieme per San Valentino» nella quale sembrerebbero figurare persone riconducibili agli indagati di cui sopra –:
   se il Governo non ritenga che sussistano i presupposti per avviare iniziative ai sensi degli articoli 141 e seguenti del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. (4-11432)

  Risposta. — A seguito delle consultazioni elettorali svoltesi nel comune di San Valentino Torio il 31 maggio del 2015, il consiglio comunale, nel corso della prima seduta del successivo 18 giugno, ha proceduto alla proclamazione a sindaco dell'ingegnere Michele Strianese e alla convalida di diciassette consiglieri comunali, di cui dodici appartenenti alla lista «Insieme per San Valentino», tre alla lista «San Valentino Futura» e due alla lista «Città Nuova».
  Tra questi, due dei consiglieri eletti nella lista «Insieme per San Valentino» avevano già ricoperto la carica di assessori con la precedente amministrazione e risultano effettivamente indagati dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Nocera Inferiore.
  I reati contestati a loro e ad altre trentasette persone sono relativi alla concessione di un sub-appalto di opere pubbliche in assenza della prescritta autorizzazione, nonché a violazioni della normativa urbanistica di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.
  Al riguardo, il sindaco di San Valentino Torio ha sottolineato che i reati contestati concernono fatti e circostanze avvenute nel corso della precedente consiliatura e che, comunque, le indagini intese a verificare l'effettiva responsabilità dei consiglieri in carica sono tuttora in corso.
  Il sindaco ha inoltre ribadito l'assoluta trasparenza della propria azione amministrativa, precisando di essersi attenuto, nell'attribuzione delle deleghe agli assessori, al criterio degli eletti con maggior numero di voti, oltreché a quelli delle esperienze e delle competenze professionali e politiche di ognuno di essi.
  Venendo ora allo specifico quesito posto con l'interrogazione, occorre innanzitutto ricordare che, in base al consolidato orientamento instaurato in relazione alla normativa anche previgente rispetto al testo unico dell'ordinamento degli enti locali, l'adozione della misura dissolutoria di cui all'articolo 141 del testo unico dell'ordinamento degli enti locali presuppone che la fattispecie concreta presenti i requisiti della gravità e della persistente violazione di legge. In particolare, non una qualsiasi violazione di legge può legittimare un intervento straordinario, che incide in via definitiva sull'autonomia dell'ente e su organi democraticamente eletti, ma solo una violazione che si qualifichi particolarmente per la sua gravità.
  A tal fine, può essere definita grave una violazione che si riflette direttamente sulle posizioni giuridiche soggettive dei cittadini ovvero che compromette la funzionalità del comune o la funzionalità complessiva del sistema dei pubblici poteri per interferire nella sfera di altri soggetti pubblici.
  Si tratta di una norma di chiusura del sistema finalizzata a sanzionare comportamenti dell'amministratore pubblico che esprimono un rifiuto della condivisione dei principi posti dalla Costituzione come capisaldi dell'attività amministrativa.
  Secondo il costante orientamento di questa Amministrazione, la condotta sanzionata è rappresentata da una serie di comportamenti attraverso i quali l'ente locale manifesta apertamente la volontà di disattendere talune norme o principi fondamentali che regolano l'ordinamento repubblicano, previsti da norme costituzionali.
  Quanto alla persistenza della violazione, è necessario che l'inadempimento permanga anche dopo l'espressa diffida inoltrata dall'autorità governativa, che si configura quale strumento ordinario di accertamento della violazione e, al tempo stesso, quale atto introduttivo del procedimento sanzionatorio. È attraverso la diffida che si assolve all'obbligo di rendere edotti i destinatari circa la doverosità, non procrastinabile ulteriormente, dell'ampliamento.
  Relativamente all'articolo 143 del testo unico dell'ordinamento degli enti locali, la giurisprudenza considera lo scioglimento di un organo elettivo una misura di carattere straordinario, necessaria a fronteggiare una emergenza straordinaria. Ciò in quanto l'intervento statale, finalizzato a contrastare una patologia nel sistema democratico conseguente all'infiltrazione della criminalità organizzata nelle istituzioni, per sua natura, incide sui principi costituzionali che presidiano il rapporto fiduciario fra il popolo e i suoi rappresentanti democraticamente eletti influendo quindi sulla libertà di autogoverno delle comunità locali.
  L'applicazione della misura dissolutoria presuppone, in particolare, la presenza di elementi concreti, univoci e rilevanti su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su gravi forme di condizionamento degli stessi.
  Deve anche essere considerata la necessità di garantire «la ponderazione degli interessi coinvolti», attesa la «sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità».
  Tanto premesso, con riferimento alla situazione del comune di San Valentino Torio, si rappresenta che questo Ministero, sulla base a quanto esposto sinora, non ravvisa, al momento, la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle misure di cui agli articoli 141 e 143 del testo unico dell'ordinamento degli enti locali.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   VALIANTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Paestum, che in età greca era chiamata Poseidonia, venne fondata agli inizi del VI sec. a.C. da achei provenienti da Sibari che si stanziarono nella fertile pianura a sud del Sele e la resero una delle più importanti città della Magna Grecia. Dopo 2500 anni dalla sua fondazione oggi è possibile visitare un'ampia zona in cui, tra l'altro, sono visibili tre celeberrimi templi dorici, splendidamente conservati, esempi dell'archeologia greca paragonabili per bellezza soltanto al Partendone di Atene: il tempio di Cerere, il tempio di Hera e il tempio di Nettuno. Nell'area pubblica si conservano edifici di età greca come l’ekklesiasterion e l’heroon (la tomba ipogeica dell'eroe fondatore della città) e romani come il foro, il tempio italico, l'anfiteatro e i quartieri di abitazioni. La città antica è circondata dalle mura con quattro porte in corrispondenza dei punti cardinali. Riconosciuta tra i patrimoni dell'umanità dell'Unesco è tra le mete turistiche della provincia di Salerno più ammirate e conosciute dai turisti italiani e stranieri, uno dei principali parchi archeologici d'Europa. Tutta la zona dove insistono gli scavi archeologici è sottoposta a vincolo di tutela e inedificabilità, ai sensi della legge 5 marzo 1957, n. 220 («Costituzione di zona di rispetto intorno all'antica città di Paestum e divieto di costruzioni entro la cinta muraria»);
   è convinzione profonda che l'area archeologica di Paestum per la straordinaria importanza e il valore culturale artistico abbia necessità di un programma di valorizzazione più compiuto, che interessi anche e soprattutto l'acquisizione da parte del demanio di una vasta area di quel patrimonio, che tuttora è in mano ai privati per poterne garantire una effettiva tutela, così come necessario è pensare a progetti specifici di valorizzazione coinvolgendo i sindaci dei territori interessati –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare e valorizzare questo inestimabile sito archeologico ed avviare un percorso finalizzato alla graduale cessione di tutta l'area archeologica al demanio. (4-12489)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame con la quale si richiedono notizie in merito alla valorizzazione del sito archeologico di Paestum, anche con riferimento all'acquisizione al demanio delle aree in proprietà privata.
  La rilevanza dei monumenti del parco archeologico di Paestum, il fascino immutato della piana, dove i greci provenienti da Sibari vennero a fondare una nuova colonia con il nome di Poseidonia, hanno richiesto una cura ed un'attenzione particolare nel dare il via ad attività volte non solo alla ricerca e alla conservazione, ma anche alla promozione ed alla divulgazione dello straordinario patrimonio archeologico pestano.
  A tale riguardo si vuole preliminarmente evidenziare che la questione prospettata dall'interrogante assume per questo Ministero ed in particolare per la direzione generale archeologia una specifica rilevanza, dal momento che è stata avviata una significativa interlocuzione con la soprintendenza archeologia competente per territorio, al fine di individuare le migliori forme di tutela e valorizzazione dell'area in questione.
  All'interno del sito web appositamente dedicato è possibile ripercorrere tutto il percorso espositivo del museo con gli straordinari reperti del parco archeologico di Paestum. È inoltre presente una sezione dedicata all'Heraion alla foce del Sele in cui si presentano l'antico santuario di Hera e il museo narrante. Tale museo è stato realizzato per rendere comprensibile al grande pubblico un luogo sacro che fu di notevole importanza nell'antichità ma di cui oggi sono visibili esigui resti.
  Tra le ultime iniziative di valorizzazione portate avanti dalla soprintendenza a Paestum, si ricordano le aperture straordinarie del sito, con orario prolungato fino a mezzanotte, a partire da sabato 23 maggio 2015, l'esposizione della lastra di copertura della tomba del tuffatore in occasione di Expo 2015 a Palazzo reale di Milano per la mostra «Mito e Natura. Dalla Grecia a Pompei» fino a gennaio 2016, l'inaugurazione il 4 ottobre 2015, in concomitanza con l'apertura gratuita dei musei e dei luoghi d'arte prevista la prima domenica di ogni mese, della mostra fotografica del fotografo Armando Cerzosimo «Il ritratto non vedente», la programmazione a fine novembre della prima edizione dell'evento «Il Vino del Tuffatore – Archeologia e dieta mediterranea», un incontro tra archeologia, enologia e medicina.
  In relazione alla demanializzazione dei terreni di proprietà privata, tenuto conto delle risorse finanziarie disponibili, si sta valutando la fattibilità di porre in essere espropri mirati, onde assicurare le migliori forme di tutela e valorizzazione del sito archeologico, a cominciare dai terreni attualmente destinati ad uso agricolo.
  Si evidenzia inoltre che, acquisita la proposta progettuale formulata dalla soprintendenza archeologia della Campania, si valuterà, unitamente al segretario generale, di prendere in considerazione, tra i diversi interventi da finanziare, nell'ambito del programma europeo denominato PON CULTURA 2014/2020, anche gli interventi relativi alla ristrutturazione, all'ammodernamento e alla riqualificazione dell'area ex stabilimento Cirio, nonché allo scavo archeologico del santuario di S. Venera.
  Tali interventi, la cui realizzazione è stimata in euro 16.500.000,00, sono finalizzati in particolare alla riqualificazione nonché al miglioramento delle condizioni e degli standard di offerta culturale e di fruizione del parco archeologico e del museo di Paestum.
  Proprio a tale proposito, con il decreto ministeriale del 14 ottobre 2015, è stata effettuata una nuova definizione del perimetro dell'area archeologica di Paestum e sono stati quindi ricompresi in esso anche la cinta muraria e l'edificio «Ex stabilimento Cirio».
  Si intende precisare, infine, rimarcando il ruolo di centro propulsore della cultura conferito ai luoghi e istituti di particolare rilevanza, tra i quali anche Paestum, che il 23 settembre 2015 il Ministero ha conferito l'incarico di direttore del parco archeologico di Paestum al dottor Gabriel Zuchtriegel, nell'ambito del procedimento di selezione pubblica dei direttori dei musei italiani dotati di speciale autonomia. Tale incarico decorre dal 1o novembre 2015 e termina il 31 ottobre 2019 e prevede, tra gli obiettivi, la predisposizione di linee guida per una gestione innovativa dei luoghi della cultura, che comprende la predisposizione di accordi di valorizzazione, modelli innovativi di offerta per i luoghi della cultura e l'elaborazione e realizzazione di progetti relativi alle attività e ai servizi di valorizzazione. Inoltre, sono stati di recente nominati sia il consiglio di amministrazione che il collegio dei revisori dei conti del parco. Si confida in tal modo di aver posto solide basi per una efficace politica di valorizzazione di un sito di straordinaria importanza.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.