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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 26 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    dopo la costituzione dello Stato islamico, la popolazione yazida residente al confine tra l'Iraq e la Siria è divenuta oggetto di persecuzioni, abusi e violenze da parte dei guerriglieri dell'IS;
    migliaia di persone sono state costrette a fuggire dalle zone di origine, nei pressi della città di Mosul, per sottrarsi ai massacri e alle torture perpetrate ai loro danni;
    l'applicazione della legge islamica nei territori conquistati dall'IS ha determinato la costituzione di tribunali che irrogano pene disumane, come la lapidazione e l'amputazione;
    è giunta persino notizia che alcuni adolescenti sarebbero stati condannati a morte, solo per aver guardato una partita di calcio;
    testimonianze riportano che i militanti dell'IS seminano terrore e agiscono con ferocia inaudita contro le minoranze, con pubbliche esecuzioni, stuprando e schiavizzando donne e bambini;
    secondo le informazioni riportate, sarebbero diverse migliaia le vittime delle violenze e oltre 3.500 le donne yazide tuttora prigioniere dell'IS;
    la ventunenne yazida irachena Nadia Murad Basee Taha è stata sottratta alla sua vita quotidiana e violentata ripetutamente dai miliziani di IS; fuggita dopo 3 mesi ha potuto raccontare gli scenari di brutali violenze e la sua testimonianza ha dato conto delle innumerevoli donne violate e costrette con la forza a contrarre matrimonio con i soldati del Califfato; ridotte in schiavitù e vendute come merce di scambio, molte di loro non hanno saputo resistere agli abusi ed hanno scelto l'alternativa del suicidio;
    la giovane donna, nel corso di diversi incontri presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Parlamento europeo, l’House of Commons e, più recentemente, presso le due Camere del Parlamento italiano, ha chiesto che la comunità internazionale si adoperi affinché il massacro del popolo yazida, che si sta consumando al confine tra l'Iraq e la Siria, venga riconosciuto come genocidio delle leggi internazionali;
    nel mese di gennaio 2015, il santo Padre lanciò un appello, affinché si ponesse fine alle persecuzioni e alle sofferenze del popolo yazida e di altre minoranze nel nord dell'Iraq e si ripristinassero giustizia e condizioni per una vita libera e pacifica;
    il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel rapporto consegnato nel marzo 2015, ha denunciato la gravità delle azioni commesse dallo Stato islamico nei confronti degli yazidi dell'Iraq, classificabili come crimini contro l'umanità ed ha affermato che le autorità islamiche dovranno rispondere di genocidio davanti alla Corte penale internazionale;
    il segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, nel mese di marzo 2016, ha definito come genocidio i crimini commessi dallo Stato islamico;
    il 31 marzo 2016 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che, in modo analogo, classifica come genocidio le esecuzioni sistematiche e le violenze dei guerriglieri dell'IS ai danni delle minoranze religiose in Iraq e in Siria;
    il genocidio è definito in conformità alla risoluzione n. 260 del 1948, con la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la «Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio», come ciascuno degli atti commessi con «l'intenzione di distruggere in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»;
    le violenze efferate compiute dall'IS nei confronti della minoranza yazida si configurano come atti riconducibili a tale definizione;
    la violenza sessuale nei conflitti è una violazione dei diritti umani, è contraria al diritto internazionale e compromette la sicurezza e la pace internazionale, accentua le discriminazioni di genere e ostacola il raggiungimento di una pace sostenibile nelle società post conflitto,

impegna il Governo:

   a promuovere, nelle competenti sedi internazionali, ogni iniziativa volta al formale riconoscimento del genocidio del popolo yazida;
   ad adoperarsi, d'intesa con gli altri Paesi dell'Unione europea, nel quadro degli strumenti a disposizione della comunità internazionale, in seno all'organizzazione delle Nazioni Unite, per far cessare ogni violenza nei confronti del popolo yazida;
   ad assumere iniziative per realizzare corridoi umanitari per favorire l'arrivo di aiuti internazionali a sostegno della popolazione civile colpita dalle violenze;
   a soccorrere, attraverso specifiche iniziative di assistenza umanitaria e sanitaria, le vittime della violenza.
(1-01292) «Rosato, Quartapelle Procopio, Tidei, Gribaudo, Malisani, Carrozza, Cassano, Censore, Chaouki, Cimbro, Gianni Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Manciulli, Monaco, Nicoletti, Pinna, Porta, Rigoni, Andrea Romano, Sereni, Speranza, Tacconi, Zampa».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    il «Fondo Globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria» (The Global Fund to Fight AIDS, Tuberculosis and malaria – GFATM) è stato ufficialmente costituito a Ginevra nel gennaio 2002, sulla base della dichiarazione del vertice africano di Abuja dell'aprile 2001, della sessione speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite di giugno 2001 e delle conclusioni e degli impegni assunti al Vertice G8 di Genova del luglio 2001;
    il Fondo globale è un meccanismo internazionale di finanziamento destinato a raccogliere, amministrare ed erogare fondi per la lotta alle tre pandemie (AIDS, tubercolosi e malaria);
    in ragione di un approccio innovativo rispetto alle modalità di funzionamento proprie di altre organizzazioni internazionali, all'interno del Fondo globale operano, oltre agli Stati, anche la società civile, il settore privato e le comunità di persone colpite dalle tre malattie, tutti rappresentati nell'ambito del consiglio di amministrazione con diritto di voto;
    nato come organizzazione di emergenza strutturata per intervenire «verticalmente» e in forma esclusiva sulle tre malattie, il Fondo globale è ormai diventato un'istituzione leader nel finanziamento di interventi a favore della salute globale, con un'attenzione particolare per gli interventi a elevato impatto a favore delle popolazioni vulnerabili, tenendo conto di un approccio che garantisca l'eguaglianza di genere nella risposta alle tre pandemie e con ricadute positive sui fragili sistemi sanitari dei Paesi più poveri, con particolare riguardo alla salute riproduttiva, dei minori e delle donne;
    il Fondo globale fino ad oggi ha erogato, secondo cicli annuali, finanziamenti per un totale cumulativo pari a 29,4 miliardi di dollari in favore di progetti proposti da organismi locali di coordinamento dei Paesi implementatori (Country Coordinating Mechanisms, CCM) ed in linea con i loro piani sanitari nazionali, vagliati da un suo apposito organismo tecnico indipendente (Technical Review Panel, TRP) e, infine, approvati da un comitato composto da esperti del Fondo globale e da partner bilaterali;
    nell'erogare risorse ai Paesi a medio e basso reddito, l'approccio di investimento innovativo del Fondo globale si poggia su finanziamenti collegati alla titolarità del Paese e ai risultati e all'efficacia dei programmi già finanziati; tale metodo d'investimento ha per effetto di consentire ai responsabili nei Paesi beneficiari di sviluppare i programmi in base alle loro priorità nazionali;
    dalla sua istituzione, il Fondo globale sostiene più di 470 programmi in oltre 100 Paesi assicurando una terapia anti-retrovirale contro l'AIDS a circa 8,6 milioni di individui, fornendo diagnosi e cure contro la TBC a 15 milioni di persone e distribuendo 600 milioni di zanzariere trattate con insetticida per la prevenzione della malaria;
    secondo i dati pubblicati dall'OCSE, nel 2014 il Fondo globale si è confermato il principale finanziatore multilaterale nel settore della salute globale, assicurando il 57 per cento dei finanziamenti internazionali per la tubercolosi, il 44 per cento per la malaria e il 22 per cento per la lotta all'AIDS; il Fondo globale finanzia anche il rafforzamento strutturali dei sistemi sanitari, con particolare riguardo a quelli più inadeguati, per garantire migliori condizioni generali di salute, come premessa essenziale per le azioni di contrasto delle tre pandemie;
    con i propri partner, il Fondo globale ha fino ad oggi contribuito a salvare più di 17 milioni di vite umane; l'incremento degli investimenti da parte dei donatori e dei Paesi colpiti dalle tre pandemie, così come le recenti scoperte scientifiche, la riduzione dei costi e un migliore know-how hanno consentito di raggiungere alcuni importanti successi; la diffusione dell'HIV ha iniziato a rallentare e l'incidenza della tubercolosi e della malaria è diminuita;
    nel 2014, rispetto al 2000, ci sono stati oltre 1,1 milioni di casi in meno di nuove infezioni HIV in tutto il mondo, che rappresentano una diminuzione di oltre il 35 per cento; rileva altresì che nei Paesi nei quali il Fondo globale è attivo, il numero di morti causate dall'AIDS è scemato di oltre il 40 per cento, passando dai 2 milioni del 2004 agli 1,1 milioni del 2014; in particolare, le nuove infezioni fra i bambini sono diminuite dal 2000 al 2014 del 58 per cento e le morti causate dall'AIDS sono diminuite del 42 per cento da quando è stato raggiunto il picco negativo del 2004;
    si sono registrati, inoltre, importanti progressi nella prevenzione, nella diagnosi e nel trattamento della tubercolosi: la mortalità è scesa del 47 per cento dal 1990 e la vita di 43 milioni di persone è stata salvata tra il 2000 e il 2014;
    anche grazie agli interventi del Fondo globale, il numero di morti causate dalla malaria a livello mondiale è sceso da circa 839 mila nel 2000 a 438 mila nel 2015, con un calo del 48 per cento;
    le tre pandemie, tuttavia, continuano a imporre un tributo devastante in termini di vite umane ed economici; nel 2014 si sono registrati nel mondo ancora 1,2 milioni di decessi correlati all'AIDS, 1,5 milioni sono invece persone decedute a causa della tubercolosi; si stima che la malaria costituisca oltre il 40 per cento della spesa pubblica sanitaria di molti Paesi nei quali la malattia è endemica, con costi che equivalgono all'1,3 per cento dei relativi prodotto interno lordo;
    la grave crisi economica internazionale che dal 2007 ha colpito gran parte dei Paesi nel mondo rischia di produrre pesanti conseguenze, con una distribuzione delle risorse più iniqua, con un aumento della povertà e del disagio sociale e con effetti negativi sul piano sanitario, a partire da una potenziale recrudescenza nella diffusione di pandemie, che rischia di compromettere i progressi realizzati fino a oggi;
    gli Stati donatori, consapevoli dei rischi e dei costi derivanti da una riduzione dei contributi ai programmi internazionali di cooperazione come il Fondo globale, si sono trovati in questi anni sotto una pressione crescente dovendo dimostrare il valore economico dei loro investimenti, salvaguardando gli impegni di spesa e, al contempo, dovendo operare drastiche politiche di austerità nella gestione dei bilanci pubblici; rileva, in proposito, che da quando sono stati lanciati gli obiettivi di sviluppo del millennio nell'anno 2000, gli aiuti internazionali per la salute sono costantemente cresciuti fino all'anno 2011, quando è invece cominciato un periodo di stagnazione o di riduzione delle risorse e degli investimenti;
    per rispondere a questo stato particolarmente critico, il Fondo globale ha intrapreso un processo di riorganizzazione interno conclusosi nel 2012 per assicurare massima efficienza e trasparenza nella gestione degli investimenti, garantendone un approccio strategico che valorizzi al massimo i risultati; sono stati pertanto elaborati una nuova strategia ed un nuovo modello di finanziamento, con il risultato che attualmente gli interventi del Fondo globale si focalizzano prevalentemente sui Paesi più poveri e con il maggiore carico di malattia («burden of disease»); a ciascun Paese beneficiario è assegnato un importo di finanziamento disponibile per ogni componente di malattia (AIDS, tubercolosi, malaria) per un periodo di tre anni; l'importo è stabilito combinando diversi fattori, principalmente il livello di reddito del Paese, che riflette la capacità dello stesso di sostenere i costi per la salute, e il carico di malattia («disease burden»), ulteriormente ponderatitenendo in considerazione altri elementi fra i quali la qualità della gestione delle sovvenzioni ottenute precedentemente e il loro impatto, l'incremento eventuale dei tassi di infezione, la capacità di assorbimento dei fondi da parte del Paese, nonché gli eventuali rischi correlati;
    l'Italia ha avuto un ruolo di primo piano nel Fondo globale sin dalla sua fondazione, quando in occasione del G8 di Genova del 2001 si impegnò a contribuirvi con 200 milioni di dollari divenendo così il secondo donatore dopo gli Stati Uniti ed acquisendo di diritto uno dei seggi unici riservati ai maggiori donatori nel consiglio di amministrazione;
    fino al 2008 l'Italia, è stata dunque il terzo donatore in assoluto del Fondo globale, con un'erogazione totale di 790 milioni di euro, pari all'8 per cento del totale delle risorse di tutti i donatori;
    nel periodo 2006-2008 l'Italia versava mediamente al Fondo globale 130 milioni di euro l'anno;
    tra il 2009 e il 2013, il Governo in carica non ha mantenuto gli impegni verso il Fondo e ha mancato l'erogazione dei contributi già promessi per gli anni 2009 e 2010;
    non avendo annunciato alcun contributo, inoltre, in occasione della terza conferenza di rifinanziamento del Fondo, l'Italia ha perso il seggio unico al consiglio di amministrazione del Fondo globale;
    nel 2013, tuttavia, in corrispondenza con la quarta conferenza di rifinanziamento del Fondo, l'Italia ha opportunamente annunciato il proprio rientro fra i donatori del Fondo impegnandosi con un contributo per il periodo 2014-2016 pari a 100 milioni di euro;
    nel novembre 2014 il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Fondo globale hanno firmato un protocollo d'intesa (Memorandum of Understanding – MoU) nel quale viene specificamente menzionato l'interesse dell'Italia à partecipare ai «Meccanismi di Coordinamento Paese» (Country Coordinating Mechanisms – CCM) in alcuni Paesi prioritari per la cooperazione italiana, quali Sudan, Etiopia, Afghanistan e Burkina Faso, nonché l'intenzione di esplorare l'opportunità di fornire assistenza tecnica in Eritrea e in Somalia;
    l'Italia, con 850 milioni di euro di contributi versati al Fondo globale dal 2002, rappresenta oggi il settimo Paese donatore;
    il contributo versato dall'Italia al Fondo globale nel 2014 ha fatto accrescere IAPS sanitario italiano sia in volume che in percentuale sul Prodotto interno lordo, raggiungendo 249 milioni di euro equivalenti allo 0,015 per cento del PIL, segnando un passo di avvicinamento all'obiettivo indicato dalla raccomandazione dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) di finanziare la salute globale con lo 0,1 per cento del Prodotto interno lordo;
    un adeguato finanziamento del Fondo globale concorrerebbe così al progressivo riavvicinamento dell'Italia agli obiettivi sanitari internazionali, recentemente riformulati anche con l'impegno sottoscritto da 178 Paesi del mondo per i nuovi Sustainable Development Goals 2015-2030;
    il lavoro del Fondo globale è stato sostenuto negli anni con convinzione dalla comunità scientifica italiana, a partire dall'Istituto superiore di sanità e dall'Istituto nazionale per le malattie infettive «Lazzaro Spallanzani», così come da molte organizzazioni della società civile italiana;
    nell'autunno 2016 si terrà la riunione conclusiva del quinto processo di rifinanziamento del fondo globale (The Global Fund Fifth Replenishment), nel corso della quale i donatori saranno chiamati ad esprimere il proprio impegno finanziario per il periodo 2017-2019; tale impegno dovrà concorrere al raggiungimento dell'obiettivo di 13 miliardi di dollari per il triennio citato;
    nel quadro del G7 ospitato dal Giappone e in vista della quinta Conferenza di rifinanziamento, il Governo nipponico ha annunciate il pledge di 800 milioni di dollari al Fondo globale, con un incremento del 46 per cento rispetto al triennio precedente;
    il Commissario europeo per la cooperazione e lo sviluppo internazionale, Neven Mimica, ha annunciato un aumento del contributo della Commissione europea al Fondo globale di oltre il 27 per cento, con il raggiungimento di 470 milioni di euro per il triennio 2017-2019;

impegna il Governo:

   a formalizzare in occasione della sessione finale della quinta Conferenza di rifinanziamento del Fondo globale un significativo rafforzamento dell'impegno dell'Italia per il triennio 2017-2019, a conferma del rinnovato impegno italiano nell'ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo;
   a promuovere, accanto al rafforzato impegno finanziario, un ruolo politico più attivo dell'Italia in seno alla struttura di governo del Fondo Globale in sinergia con le priorità nazionali di politica estera e di cooperazione internazionale, assicurando di monitorare e incidere sulle decisioni che riguardano la trasparenza e la rendicontazione nella gestione dei programmi di finanziamento, il sostegno ai sistemi sanitari nazionali dei Paesi beneficiari, nonché il pieno coinvolgimento dei Paesi fruitori e della società civile nelle fasi decisionali.
(7-01015) «Quartapelle Procopio, Palazzotto, Locatelli, Braga».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    nella città capitale d'Italia operano due linee ferroviarie concesse di particolare rilevanza e segnatamente la Roma Lido e la Roma Viterbo che trasportano una notevole quantità di pendolari che si spostano dai luoghi di residenza a quelli del lavoro;
    la linea ferroviaria Roma Lido, frequentata da circa 90.000 persone ogni giorno, parte dalla stazione di Porta San Paolo (Stazione Piramide) e raggiunge i quartieri di Garbatella, Basilica di San Paolo, Marconi, EUR Magliana, Ostiense, Tor di Valle, Torrino, Mezzocamino, Vitinia, Casal Bernocchi, Acilia, Ostia Antica, Lido di OstiaNord, Lido di Ostia Centro, Stella Polare, Castel Fusano, Cristoforo Colombo e le relative stazioni ferroviarie;
    la ferrovia Roma-Lido, collegando Roma al mare, costituisce, inoltre, un ulteriore opportunità per i numerosi turisti che, decidano di raggiungere il sito archeologico di Ostia Antica, il litorale e la monumentale pineta di Castel Fusano;
    le numerose soppressioni delle corse dovute alla vetustà dei treni e alle, in parte obsolete, attrezzature tecnologiche dell'infrastruttura, costituiscono oltre che una condizione di insicurezza, un concreto disagio per l'utenza costretta ad usare sovente bus sostitutivi;
    l'assessore ai trasporti della regione Lazio Michele Civita, nel corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica riguardante la linea ferroviaria concessa Roma Lido ha affermato che è in preparazione un nuovo accordo di programma con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la utilizzazione dei fondi europei per ammodernare linea;
    l'assessore ai trasporti della regione Lazio ha inoltre reso noto che per quanto a lui risulta, allo stato non esistono all'uopo progetti o ipotesi concrete per la Roma Lido. L'Atac, concessionaria della linea, seppure in scadenza di contratto, non ha risposto infatti alle sollecitazioni della regione; dal che si deduce che non esistano progetti pronti;
    l'assessore ha quindi riferito che esiste un consorzio di imprese, i cui capofila sono Ansaldo e RATP, che ha proposto un project financing per la riqualificazione e per la trasformazione della linea in metropolitana a tutti gli effetti, con un treno ogni sei minuti nelle ore di punta e un intervallo minimo garantito di 15 minuti. Il project financing prevede la concessione dell'infrastruttura e dei servizi per un periodo di 25 anni, il rinnovo pressoché totale del parco rotabile, con l'arrivo di nuovo materiale per una cifra totale pari a 447 milioni di euro, di cui 219 sarebbero contributi pubblici a carico della regione, oltre a un canone che la stessa regione dovrebbe versare, pari a 44 milioni di euro, per i primi tre anni e 78 milioni per i restanti anni della concessione;
    l'assessore Civita ha inoltre informato che la conferenza di servizi per esaminare il project financing è ancora in corso, ma ha anche aggiunto che «il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sostiene tecnicamente che non vi siano le condizioni per la trasformazione della linea in metropolitana» e ciò sia per il diradamento delle stazioni, sia per il grado di riempimento che non giustificherebbero questa diversa qualificazione;
    la valutazione del Ministero sulla impossibilità tecnica della trasformazione della Roma Lido in metropolitana esclude in maniera definitiva la possibilità di accedere ai fondi europei per il project financing presentato dal consorzio di imprese;
    sempre secondo le dichiarazioni dell'assessore Civita, esisterebbe al momento solo uno studio, non un progetto, effettuato dalla regione Lazio che richiederebbe un impegno di risorse paria 180 milioni di euro, ma che si tratterebbe di una proposta tutta da verificare;
    la ferrovia Roma Lido continua, intanto, a registrare una situazione di totale abbandono, con continue interruzioni del servizio, corse soppresse, ritardi di oltre mezz'ora, treni che si fermano di continuo con le conseguenze facilmente immaginabili sopportate anche da chi ha un orario di lavoro da rispettare;
    la linea ferroviaria concessa Roma-Viterbo, connessa come da elenco di cui al decreto ministeriale 8 agosto 2005, partendo da Roma-Piazzale Flaminio raggiunge località all'interno della città di Roma, della provincia di Roma e della provincia di Viterbo e precisamente: piazza Euclide (Parioli), Acqua Acetosa, Campi Sportivi, Monte Antenne, Tor di Quinto, Due Ponti, Grottarossa, Saxa Rubra, Centro Rai, Labaro, La Celsa, Prima Porta, La Giustiniana, Montebello, Sacrofano, Riano, Castelnuovo di Porto, Morlupo, Magliano Romano, Rignano Flaminio, Sant'Oreste, Pian Paradiso, Ponzano, Civita Castellana, Catalano, Faleri, Fabrica di Roma, Corchiano, Cardarelli, Vignanello, Vallerano, La Selva, Soriano nel Cimino, Santa Lucia, La Fornacchia, Vitorchiano, Bagnaia, Viterbo;
    la linea concessa Roma-Viterbo è caratterizzata da un tracciato a tratti tortuoso che necessita di interventi di ammodernamento che riguardano il raddoppio di binari, lo spostamento di parte della sede, gli impianti tecnologici sulla rete e nuovi treni che sostituiscano quelli esistenti, vetusti e indecorosi;
    il Governo ha destinato per la realizzazione di interventi alla suddetta linea ferroviaria fondi pari a euro 154.000.000;
    nel corso della audizione del 22 marzo 2016 presso la IX commissione della Camera, l'amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Italiane, Renato Mazzoncini ha condiviso le critiche alla gestione regionale delle Ferrovie concesse e ha espresso la sua disponibilità a considerare la possibilità di integrare in Rete ferroviarie italiane e relative infrastrutture,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche normative, in accordo con la regione Lazio, si provveda all'integrazione delle, ferrovie concesse Roma Lido e Roma Viterbo nella rete di proprietà dello Stato (Rete ferroviaria italiana) al fine di:
    a) rendere pienamente utilizzabili, anche impiegando i fondi da più parte impegnati, le relative infrastrutture, attraverso interventi strutturali riguardanti sia il tracciato che l'impiego delle nuove tecnologie per garantirne efficienza e sicurezza;
    b) integrare nella competenza dell'Agenzia nazionale della sicurezza Ferroviaria le due reti e comunque la Roma Viterbo, ferrovia concessa e relativo materiale rotabile, per assicurare standard ottimali di sicurezza, in linea con le norme della Comunità europea;
    c) consentire in modo trasparente e ricorrendo alle regole mercato, in luogo delle iniziative di project financing, lo svolgimento di gare per l'affidamento del servizio di trasporto.
(7-01013) «Marco Di Stefano».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    sono già passati cinque anni dall'introduzione dei commi da 12-septies a 12-undecies del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 della norma che ha reso onerose tutte le ricongiunzioni equiparandole in sostanza al riscatto per il periodo di laurea;
    si rende necessario un intervento in tempi ragionevolmente brevi perché nel tempo si sono accresciuti i casi di cambiamento, anche involontario, di lavoro, nonché fenomeni di privatizzazione, di dismissione di attività pubbliche e di modifiche della ragione sociale del datore di lavoro, che determinano il mutamento della gestione previdenziale di appartenenza;
    è sempre più normale che un lavoratore si trovi nella condizione di cambiare lavoro e, conseguentemente, di mutare la gestione previdenziale di riferimento e, anzi, si cerca di favorire le esperienze di scambio tra lavoro pubblico e lavoro privato o autonomo;
    purtroppo, la persistente applicazione della richiamata normativa in materia di ricongiunzione dei periodi contributivi impedisce e la valorizzazione di ogni settimana contributiva, imponendo l'alternativa tra il sobbarcarsi oneri elevati per la ricongiunzione e la rinuncia a una parte di contributi e rischia di accentuare il fenomeno dei cosiddetti contributi «silenti», che non danno diritto ad alcuna prestazione pensionistica;
    con l'articolo 1, comma 238, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) si è riusciti a sanare la situazione per tutti i lavoratori iscritti a un fondo esclusivo, sostitutivo, esonerativo dell'assicurazione generale obbligatoria per i quali sia venuto a cessare, entro il 30 luglio 2010, il rapporto di lavoro che aveva dato luogo all'iscrizione ai predetti fondi senza il diritto a pensione, senza dover sostenere gli oneri della ricongiunzione, con la possibilità di trasferire all'INPS la propria contribuzione, per ottenere un'unica pensione, ancorché determinata nel suo ammontare con un calcolo meno favorevole rispetto ad altri fondi;
    con i successivi commi da 239 a 246 della medesima legge n. 228 del 2012 è stato introdotto altresì l'istituto del cumulo, sulla base del quale è possibile cumulare, senza alcun onere, i contributi versati da lavoratori e lavoratrici in almeno due gestioni previdenziali, purché i periodi di contribuzione non siano coincidenti;
    la facoltà di cumulare i contributi è consentita, tuttavia, solo a condizione che il richiedente non abbia maturato il diritto autonomo a pensione e, quindi, venti anni di contribuzione, in una delle gestioni previdenziali ed è prevista solo per l'accesso alla pensione di vecchiaia, mentre non si applica per la pensione di anzianità o anticipata;
    a copertura degli oneri derivanti da tali disposizioni furono stanziati dalla legge di stabilità 2013, 899 milioni di euro per il periodo 2013-2022;
    in risposta all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07563, svolta il 25 febbraio 2016, il Sottosegretario di Stato delegato per il lavoro e le politiche sociali, sulla base dei dati comunicati dall'INPS ha evidenziato che solo 1.889 soggetti hanno potuto utilizzare l'istituto del cumulo a partire dal 1o gennaio 2013, in quanto la quasi totalità dei soggetti interessati ha ormai maturato almeno 20 anni di contribuzione in una gestione previdenziale;
    la normativa vigente, quindi, consente l'esercizio del cumulo solo per l'accesso alla pensione di vecchiaia e con gli ulteriori vincoli dell'esclusione dei lavoratori titolari di un diritto autonomo a pensione in una delle gestioni previdenziali e dei contributi versati in una cassa professionale;
    nella relazione tecnica a suo tempo predisposta con riferimento alle disposizioni introdotte dalla legge di stabilità 2013 non era prevista una quantificazione dei relativi beneficiari e quindi, non è possibile verificare quali siano le differenze tra la platea attesa e quella effettiva e i conseguenti risparmi;
    l'istituto del cumulo può essere un valido strumento per valorizzare i contributi versati in diverse gestioni previdenziali in quanto ogni ente previdenziale liquida la propria parte di pensione pro quota al lavoratore che ha esercitato l'opzione del cumulo dei contributi, senza che questi debba sobbarcarsi oneri, anche ingenti, richiesti per la ricongiunzione dei contributi,

impegna il Governo

ad adottare ogni utile iniziativa, anche di carattere normativo, per prevedere l'estensione dell'applicazione delle disposizioni in materia di cumulo dei periodi contributivi previste dalla legge di stabilità 2013 per consentire la valorizzazione di tutti i contributi versati nelle diverse gestioni previdenziali al fine del conseguimento di un'unica pensione, anche anticipata, calcolata pro quota da ciascuna gestione in rapporto ai periodi di iscrizione maturati dal lavoratore.
(7-01012) «Pizzolante, Damiano, Gnecchi, Polverini, Labriola, Rizzetto, Simonetti, Dellai, Ciprini, Placido, Gigli».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, è stato adottato, come recita il suo preambolo, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica»;
    nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento ed alla riduzione della spesa pubblica si colloca l'articolo 9, relativo al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego che, al comma 21, testualmente recita: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012, 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
    in applicazione del citato comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, quindi, per l'intero triennio 2011-2013, le retribuzioni del personale interessato sono state pertanto escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi («scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
    l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha poi previsto che con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze la possibilità di prorogare di un anno ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    infatti, con decreto del Presidente della Repubblica del 4 settembre 2013 n. 122 il Governo ha disposto la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle seguenti misure previste dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010: 1) il blocco dei trattamenti economici individuali; 2) la riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e l'individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali; 3) il limite massimo e la riduzione dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale; 4) blocchi riguardanti i meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, nonché le progressioni di carriera comunque denominate del personale contrattualizzato e in regime di diritto pubblico;
    infine, per effetto della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014, commi 254-256), veniva prorogato ulteriormente per tutto il 2015 il blocco economico della contrattazione nazionale e del contratto collettivo nazionale nel pubblico impiego – ormai operante dal 2010 – con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018; è stata estesa fino al 2018 l'efficacia della norma in base alla quale l'indennità di vacanza contrattuale, da attribuirsi all'atto del rinnovo contrattuale, rimane quella in godimento al 31 dicembre 2013 e viene prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco degli automatismo stipendiali ma relativo al solo personale non contrattualizzato (magistrati ordinari, amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle forze di polizia di Stato, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, personale della carriera dirigenziale penitenziaria, professori e ricercatori universitari, nonché il personale della Banca d'Italia, della Consob e della Autorità garante della concorrenza e del mercato), ferma restando l'esclusione dal blocco dei magistrati;
    in proposito, occorre rammentare che la Corte costituzionale, in occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee ai ricordati meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione dell'altrettanto grave congiuntura economica del 1992, aveva già indicato i limiti entro i quali un tale intervento potesse ritenersi rispettoso dei richiamati principi costituzionali, osservando che «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'articolo 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;
    eppure per le misure adottate con il decreto legge n. 78 del 2010 e successivi provvedimenti, si tratta invece di ben cinque anni di blocco contrattuale, anni che – in termini più generali – coincidono con la fase apicale della crisi economica e sociale più lunga ed intensa che la storia della Repubblica ricordi e che ha prodotto un impoverimento generalizzato del Paese, del ceto medio e della classe lavoratrice in particolare;
    secondo l'Istat la riduzione delle retribuzioni pro capite in termini reali è stimata nell'ordine di oltre il 10 per cento dal 2010 al 2014; i dati pubblicati dall'Istat circa l'andamento economico del settore statale evidenziano – secondo quanto emerge dalle tabelle 12 e 13 rispettivamente: unità di lavoro delle amministrazioni pubbliche per sottosettore 1995/2014 e analisi dei redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche per sottosettore 1995/2014 – la cristallizzazione delle retribuzioni lorde pro capite medie ammontanti, per il 2014, a euro 34.286 con un decremento di circa 10 euro rispetto al dato 2013 (da: «il quotidiano della PA» di Stefano Olivieri Pennesi del 20 maggio 2015);
    dall'altra parte, il rapporto annuale Istat del 2015, pur rilevando che nel 2013 e 2014 è rimasto invariato il carico fiscale corrente e in conto capitale delle famiglie (al 15,7 per cento del reddito lordo disponibile delle famiglie), evidenzia l'aumento di tre decimi di punto del carico fiscale complessivo (che include anche le imposte sull'abitazione), salendo al 16,3 per cento, a causa dell'introduzione dei tributo per i servizi indivisibili (Tasi), compensando quasi interamente il calo di quattro decimi del 2013, determinato dall'abolizione dell'Imu sulla prima casa;
    è evidente che il combinato disposto tra il perdurante blocco economico della contrattazione da una parte (di dubbia legittimità costituzionale) e un livello pressoché stabile ovvero in aumento della pressione tributaria sulle famiglie dall'altra, hanno comportato l'attuale depressione economica e la caduta del potere di acquisto degli stessi stipendi;
    tali misure economiche di carattere restrittivo si ripercuotono non soltanto, sulle motivazioni dei dipendenti pubblici sempre più «stanchi», perché penalizzati da uno scarso turn over (ora indebolito ancor di più dall'arrivo dei dipendenti provenienti dalle province) e da un progressivo allungamento dell'età per accedere alla pensione, ma altresì sulla efficienza e funzionalità dei servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni;
    il tribunale di Roma con ordinanza del 27 novembre 2013 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 9 commi 1 e 17, del decreto-legge n. 78 del 2010 nonché dell'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 per contrasto con gli articoli 2, 3, 35, 36, 39 e 53 della Costituzione e ha trasmesso gli atti alla Corte costituzionale rilevando come «la sospensione della possibilità di negoziare anche solo in ordine ad incrementi retributivi, viene a determinare, indirettamente, un'anomala interruzione dell'efficacia delle disposizioni vigenti in materia (...) e, quindi, del valore dell'autonomia negoziale riservata alle parti nell'ambito della contrattazione collettiva, interruzione determinata a causa della esclusiva e affatto peculiare posizione dello Stato-datore di lavoro. (...); conseguentemente, l'inibizione prolungata della contrattazione in ordine all'adeguamento dei trattamenti retributivi può sollevare il legittimo dubbio di una conseguente violazione del principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione»;
    ed infatti la Corte costituzionale con sentenza n. 178 del 2015 accogliendo i profili di illegittimità denunciati nel corso del giudizio, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale sopravvenuta, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, del regime di sospensione della contrattazione collettiva, risultante da: articolo 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come specificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), primo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122 (regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111); articolo 1, comma 453, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014) e articolo 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2015);
    eppure i firmatari del presente atto già con la mozione n. 1-00878, prima ancora della sentenza della Corte costituzionale, avevano chiesto al Governo di assumere le iniziative del caso per il rinnovo del contratto dei pubblici dipendenti;
    sono tre milioni e mezzo i pubblici dipendenti che aspettano il rinnovo dei contratti dal 2010 e interessati dalla decisione della Corte costituzionale;
    gli interventi fino ad ora operati ingiustificatamente aumentano gli squilibri, trascurano del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di cittadini (di solito i pensionati e i lavoratori dipendenti), colpevoli unicamente di appartenere ad una categoria e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente «attaccabili»;
    già in altre occasioni la Corte è intervenuta affermando l'esistenza di diritti di rilevanza costituzionale non comprimibili dalle cosiddette «emergenze finanziarie», dal mercato e da pseudo riforme economiche dettate dalla mera esigenza di far «quadrare i conti»;
    i lavoratori del pubblico impiego in data 25 maggio del 2016 hanno legittimamente manifestato per chiedere il rinnovo del contratto;
    è necessario prendere atto degli effetti negativi dispiegati dalle misure di contenimento della spesa pubblica e di austerity e dalle conseguenti proroghe susseguitesi oltre ogni tempo ragionevole (dichiarate illegittime anche dalla Corte costituzionale) non solo sull'efficienza e l'efficacia della pubblica amministrazione e sul rendimento dei pubblici dipendenti, ma anche sul sistema economico del Paese che necessita di una pubblica amministrazione vicina al cittadino e in grado di far fronte alle nuove esigenze espresse da cittadini ed imprese,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative immediate volte ad avviare le procedure per il rinnovo del contratto dell'intero settore pubblico senza penalizzare e/o privilegiare determinate categorie e/o comparti e/o lavoratori, in conformità al dettato della sentenza e della giurisprudenza della Corte costituzionale;
   a reperire ulteriori idonee risorse – oltre a quelle indicate dalla legge n. 208 del 2014 – nell'ambito del rinnovo contrattuale per sostenere le retribuzioni dei dipendenti pubblici ormai ferme da oltre sette anni nonché il recupero effettivo del trattamento economico-retributivo perso per effetto del blocco della contrattazione dichiarato illegittimo;
   ad assumere iniziative per assicurare, a tutti i dipendenti della pubblica amministrazione interessati dal blocco, procedure per il progressivo riallineamento e adeguamento degli stipendi agli standard costituzionali;
   ad assumere urgenti iniziative volte a permettere la ripresa della concertazione e del rinnovo del contratto del pubblico impiego al fine di predisporre – di concerto con le parti interessate – idonee misure volte al recupero pieno della perdita del potere di acquisto degli stipendi dei pubblici dipendenti, ovvero reperire idonee risorse volte all'effettivo recupero dei trattamenti economici e degli aumenti retributivi dovuti per le tornate contrattuali non goduti per effetto del blocco;
   a prevedere – anche nell'ambito del rinnovo contrattuale – idonee iniziative volte al progressivo superamento del perdurante blocco del turn over al fine di favorire l'ingresso nella pubblica amministrazione di personale giovane e adeguato ai nuovi servizi e alle nuove esigenze della società.
(7-01014) «Ciprini, Chimienti, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Tripiedi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   GULLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione Italiana dei ciechi (U.I.C.I.), fondata a Genova il 26 ottobre 1920, eretta in ente morale, con regio decreto 29 luglio 1923, n. 1789, è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale (O.n.l.u.s.), dotata di personalità giuridica di diritto privato per effetto del decreto del Presidente della repubblica 23 dicembre 1978;
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti – O.n.l.u.s., è iscritta nel Registro delle persone giuridiche, di cui al decreto del presidente della repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 e al Registro nazionale delle associazioni di promozione sociale, di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383;
   l'Unione è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, esercita le funzioni di rappresentanza e di tutela degli interessi morali e materiali dei ciechi e degli ipovedenti ad essa riconosciute con decreto legislativo del capo provvisorio dello stato 26 settembre 1947, n. 1047 e confermate con decreto del presidente 23 dicembre 1978;
   il direttivo centrale di Roma dell'Unione italiana ciechi, in data 3 marzo 2016 ha commissariato la sua articolazione territoriale regionale che ha sede ed opera in Sicilia. Dalle motivazione che si riscontrano dagli atti di adozione del provvedimento, appare anzitutto esserci, a quanto consta all'interrogante, una sproporzione fra le contestazioni sollevate e la consistenza del provvedimento adottato;
   i dubbi sulla legittimità del provvedimento, dunque, hanno inevitabilmente finito col provocare ferme denunce da parte di quanti lo hanno subìto; denunce che si sono tradotte nella necessità di un ricorso giudiziario attualmente pendente davanti al foro competente di Roma –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché siano rispettati ed assicurati all'interno dell'Unione italiana ciechi i principi costituzionali e di leggi in tema di democraticità, libertà; uguaglianza e pari opportunità;
   se si intendano verificare le modalità con cui opera l'associazione, atteso che, a quanto consta all'interrogante, si sarebbe costituito al suo interno un «gruppo di comando» che, parebbe utilizzare metodi non democratici;
   se il nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, attualmente depositato presso la prefettura di Roma, ed al vaglio della stessa, sia conforme alla normativa urgente, atteso che, a giudizio dell'interrogante, questo potrebbe presentare profili tali da mettere a rischio gli interessi morali e materiali della categoria e da compromettere nel contempo la struttura democratica dell'associazione. (3-02285)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI VITA, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, BARONI e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 33 del 2013 (cosiddetto decreto trasparenza) ha riordinato interamente la disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, per un’ «accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni» finalizzata a «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche» (articolo 1);
   l'articolo 15 – Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza —, in particolare, stabilisce che le amministrazioni pubblicano e aggiornano relativamente ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali, nonché di collaborazione o consulenza:
    a) gli estremi dell'atto di conferimento dell'incarico;
    b) il curriculum vitae;
    c) i dati relativi allo svolgimento di incarichi o la titolarità di cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione o lo svolgimento di attività professionali;
    d) i compensi relativi al rapporto di lavoro, consulenza o collaborazione;
   ai fini dell'efficacia dell'incarico e della liquidazione dei compensi è necessaria la pubblicazione degli estremi dell'atto di conferimento di incarichi a soggetti estranei all'amministrazione e la comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica. L'omessa pubblicazione è causa di responsabilità del dirigente per il pagamento del corrispettivo, implicante una sanzione pari alla somma corrisposta, salvo il risarcimento del danno del destinatario;
   tali pubblicazioni avvengono entro tre mesi dal conferimento dell'incarico e per i tre anni successivi alla cessazione dell'incarico;
   si è appreso da fonti di stampa che le conseguenze della nota inchiesta sul petrolio della Basilicata non si sono fermate alle dimissioni dell'ex Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi. Le indagini di Potenza, infatti, sono proseguite e si sono allargate fino a toccare altri settori dei vertici dello Stato. Nei confronti di tutti gli indagati sono ipotizzati i reati di associazione per delinquere, traffico illecito di influenze e concorso in abuso di ufficio;
   in particolare, è fatto noto, nel registro delle notizie di reato è finito anche il burocrate, ex direttore generale del Ministero dell'economia e delle finanze, Valter Pastena;
   stando all'impostazione investigativa, Gianluca Gemelli, compagno dell'ex Ministro, avrebbe utilizzato il nome di quest'ultima per accreditarsi con l'ammiraglio De Giorgi, il quale è stato – assieme al Premier Renzi – il maggiore artefice della legge navale. In particolare, avrebbe consentito di velocizzare le erogazioni – già stanziate – attraverso il ruolo di Pastena. Il burocrate avrebbe, di anno in anno, inviato delle note dal Ministero dell'economia e delle finanze al Ministero dello sviluppo economico, per concedere il denaro utile all'ammodernamento della flotta navale italiana;
   per gli inquirenti, Valter Pastena avrebbe avuto una presunta contropartita. Il dirigente, infatti, è andato in pensione dal Ministero dell'economia e delle finanze nel 2015, ma intanto avrebbe ottenuto una consulenza, attraverso l'ex ministro Guidi, presso il Ministero dello sviluppo economico. Si tratta, comunque, di un particolare ancora sotto inchiesta, sul quale la magistratura sta cercando di fare chiarezza;
   l'interrogante ha tuttavia riscontrato che alla sezione del sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico «Amministrazione trasparente / consulenti e collaboratori»" non sarebbe tutt'oggi presente, e non risulterebbe peraltro esser mai stata pubblicata, alcuna informazione riferibile all'ipotesi di un conferimento d'incarico al dottor Valter Pastena –:
   se effettivamente il dottor Valter Pastena abbia assunto, o mantenga tutt'oggi, un incarico di consulenza, a qualsiasi titolo, presso il Ministero dello sviluppo economico, e se possano indicare con quale ruolo, compiti specifici ed eventuale compenso, nonché il periodo temporale in cui lo stesso incarico si sia dispiegato;
   se, come previsto dalla normativa vigente sulla trasparenza, le informazioni relative al conferimento dell'incarico eventualmente svolto dal dottor Valter Pastena presso il Ministero dello sviluppo economico siano state rese pubbliche attraverso l'apposita sezione «Amministrazione trasparente» del sito web istituzionale, per quanto tempo siano rimaste pubblicate e in che data siano eventualmente state rimosse;
   qualora venisse confermata l'ipotesi dell'effettiva sussistenza di un incarico presso il Ministero dello sviluppo economico attribuibile al dottor Valter Pastena, se e con quali tempistiche si intenda procedere alla pubblicazione delle relative informazioni, oggi assenti dal sito web istituzionale. (5-08795)


   PELLEGRINO, RIBAUDO, CULOTTA, GIOVANNA SANNA, ALBANELLA, IACONO, D'ARIENZO, ROCCHI, PREZIOSI, GEBHARD, MARCHI e BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione italiana dei ciechi (U.I.C.I.), fondata a Genova il 26 ottobre 1920, eretta in ente morale con regio-decreto 29 luglio 1923, n. 1789, è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale (O.N.L.U.S.), dotata di personalità giuridica di diritto privato per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978;
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti – O.N.L.U.S. è iscritta nel registro delle persone giuridiche, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 e al registro nazionale delle associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383;
   l'Unione è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, esercita le funzioni di rappresentanza e di tutela degli interessi morali e materiali dei ciechi e degli ipovedenti ad essa riconosciute con decreto legge del Capo provvisorio dello Stato 26 settembre 1947, n. 1047 e confermate con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978;
   a norma dell'articolo 1, decreto legge del Capo provvisorio dello Stato n. 1047 del 1947 (dichiarato indispensabile dal decreto legislativo 1o dicembre 2009, n. 179), all'U.I.C.I. «è riconosciuta la rappresentanza e la tutela degli interessi morali e materiali dei minorati della vista presso le Pubbliche Amministrazioni e presso tutti gli enti ed istituti che hanno per scopo l'assistenza, l'educazione ed il lavoro dei ciechi»;
   ai sensi del decreto-legge del Capo provvisorio dello Stato n. 1047, l'Unione «collabora con le competenti Amministrazioni dello Stato nello studio dei problemi della cecità e delle provvidenze a favore dei ciechi»;
   scopo dell'U.I.C.I. è l'integrazione dei ciechi e degli ipovedenti nella società. A tal fine promuove ed attua, anche mediante la creazione di apposite strutture operative, ogni iniziativa a favore dei ciechi e degli ipovedenti, in base a specifiche convenzioni con le pubbliche amministrazioni competenti o, relativamente a tipologie d'interventi non realizzate da queste, previa comunicazione alle medesime;
   le leggi di finanziamento delle attività e dei servizi della sede centrale dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti ONLUS sono le seguenti: a) Unione Italiana Ciechi – legge n. 24 del 1996; b) I.Ri.Fo.R. (Istituto per la ricerca, la formazione e la riabilitazione) – legge n. 379 del 1993); c) Libro parlato – legge n. 282 del 1998;
   il direttivo centrale di Roma dell'Unione italiana ciechi, in data 3 marzo 2016 ha commissariato la sua articolazione territoriale regionale che ha sede ed opera in Sicilia. Dalle motivazioni che si riscontrano dagli atti di adozione del provvedimento, appare anzitutto esserci una sproporzione fra le contestazioni sollevate e la consistenza del provvedimento adottato;
   le stesse contestazioni sollevate, poi, ed il relativo deliberato di scioglimento del consiglio regionale siciliano dell'Unione italiana ciechi, adottato in totale assenza di contraddittorio, presentano carattere di assoluta inconsistenza sia sotto il profilo della legittimità che del merito, suscitando preoccupazioni e dubbi circa le garanzie costituzionalmente riconosciute e tutelate e che sono volte ad assicurare il rispetto del principio della democrazia, della libertà e dell'autonomia, all'interno delle associazioni, e facendo scorgere dubbi circa l'ipotesi di una vera e propria violazione del canone di correttezza e buona fede ex articolo 1375 c.c. che deve ispirare anche rapporti sociali;
   siffatto provvedimento, finisce col mettere altresì a rischio il posto di lavoro di numerose decine di lavoratori, con relativo danno e pregiudizio per gli stessi e le loro famiglie, in una realtà, fra l'altro, come quella siciliana, che men che mai può permettersi di mettere a repentaglio i propri livelli occupazionali, per di più in assenza di giustificate ragioni;
   proprio in questo senso, si tenga conto infatti che il consiglio regionale siciliano dell'UICI e finanziato in via ordinaria, con apposite previsioni di legge dalla regione siciliana per l'espletamento di attività e servizi a sostegno dei bisogni dei ciechi e degli ipovedenti dell'isola ed un provvedimento di commissariamento, dunque, laddove fosse illegittimo, ingiustificato e pretestuoso, rischierebbe soltanto di gettare ombre ed attivare procedure tali da compromettere e pregiudicare lo svolgimento di quelle fondamentali attività in favore di una categoria così sensibilmente debole e svantaggiata;
   il commissariamento, difatti, ha gravemente minato la credibilità del consiglio regionale siciliano (e dei componenti dell'organo commissariato) e incide sulla regolarità e l'efficacia dei rapporti quotidianamente intercorrenti con i soci nonché con le istituzioni politiche e amministrative regionali, rischiando di compromettere le importanti iniziative intraprese. L'intervento repressivo, peraltro, è stato motivato in riferimento a presunte (quanto a giudizio degli interroganti inesistenti) irregolarità amministrative che danneggiano l'immagine dell'istituzione e dei dirigenti che l'hanno amministrata in questi anni;
   i dubbi sulla legittimità dei provvedimento, perciò, hanno inevitabilmente finito col provocare ferme denunce da parte di quanti lo hanno subito; denunce che si sono tradotte nella necessità di un ricorso giudiziario attualmente pendente davanti al foro competente di Roma;
   l'azione legale è stata promossa con l'obiettivo di salvaguardare quel patrimonio di credibilità istituzionale e personale, guadagnato dai dirigenti siciliani dell'organizzazione in tanti anni di encomiabile lavoro, tale da indurre lo stesso Parlamento regionale siciliano ad approvare numerosi interventi legislativi per sostenere le iniziative dell'Unione; un patrimonio che oggi viene minato dall'atto di commissariamento qui contestato;
   il consiglio regionale siciliano dell'U.I.C.I. infatti, e notoriamente tra i più attivi d'Italia. È stato promotore dell'istituzione della Stamperia regionale braille per la produzione di materiale tiflotecnico, tiflodidattico e libri con caratteri ingranditi per ipovedenti e ogni altro materiale didattico, anche informatico, utile per l'inserimento scolastico e l'integrazione sociale dei minorati della vista. La stessa Unione regionale ha promosso la realizzazione del Centro regionale Helen Keller per il recupero socio-lavorativo dei non vedenti e degli ipovedenti, mediante l'acquisizione delle tecniche di autosufficienza, autonomia personale, orientamento e mobilità in ambiente domestico, lavorativo interno ed esterno, anche attraverso l'uso del bastone bianco, con l'annessa scuola per cani guida per ciechi, allevamento, selezione ed addestramento dei cani guida, assegnazione del cane al non vedente ed educazione del non vedente all'utilizzo del cane guida. Numerose leggi regionali (si ricordano, tra le varie) la legge regionale 7 agosto 1990 n. 28 e la legge regionale 30 aprile 2001, n. 4) sono state approvate per sostenere le iniziative del consiglio regionale dell'U.I.C.I. Le leggi finanziarie regionali, inoltre, stanziano ogni anno importanti contributi economici per finanziare le attività dell'Unione in ambito regionale;
   tornando all'atto di commissariamento, si tenga conto, per di più, che nel breve arco di tempo di soli 8 mesi, questo è il secondo tentativo ad opera degli organi nazionali dell'associazione, di porre sotto regime commissariale la medesima articolazione regionale siciliana;
   un primo tentativo, infatti, non andato a buon fine, è stato posto in essere con la stessa metodica di cui sopra, caratterizzata dal disconoscimento del principio del contraddittorio; ed anche in quella prima occasione, le motivazioni proposte erano del tutto analoghe a quelle odierne e risultavano per l'appunto essere inconsistenti rispetto alla gravità e traumaticità dell'atto proposto;
   preoccupa, a questo punto, la tendenza verso l'accertamento esasperato della gestione del potere e la parallela compromissione della struttura democratica dell'associazione, che si è delineata ad opera dei vertici nazionali dell'Unione italiana ciechi da circa un anno a questa parte, con particolare accanimento nei confronti di una realtà locale quale quella siciliana, che, com’è noto alla politica nazionale e regionale, gode di ottima reputazione e si è storicamente sempre distinta per essere una realtà efficiente e produttiva;
   siffatti preoccupanti segnali sono confermati, oltre che dai provvedimenti commissariali di cui appena detto, anche dalle seguenti altre circostanze:
    a) a breve distanza di tempo dal commissariamento della struttura periferica regionale siciliana dell'organizzazione, si è registrato un nuovo ed altrettanto preoccupante provvedimento di commissariamento della locale sezione provinciale di Catania, che ha provocato anch'esso risolute contestazioni sotto il profilo della legittimità e del merito, dando vita, anche in questo caso, a denunce e ricorsi sul piano giudiziario;
    b) si registrano, per mano del nuovo gruppo di potere, inconsueti e sempre più frequenti e preoccupanti ricorsi a pratiche sommarie di deferimento e possibile espulsione dal sodalizio di dirigenti che sembrano palesare nulla di più che una legittima condotta autonoma e non accondiscendente rispetto alla linea imposta dal vertice o che intendono esercitare l'altrettanto sacrosanto diritto a resistere, anche in giudizio, agli iniqui dettami degli organi centrali: tutto ciò, può facilmente evincersi dagli ordini del giorno, dai verbali e dai resoconti degli organi associativi centrali;
    c) il nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, così come modellato e poi approvato dal nuovo gruppo dirigente nazionale dell'associazione, ha cancellato del tutto la rappresentanza legale precedentemente assegnata a ciascuno dei presidenti provinciali e regionali dell'Unione italiana ciechi, prevedendo la concentrazione della stessa in capo al solo presidente nazionale. Tale previsione, secondo gli interroganti spropositatamente accentratrice, non solo è foriera di pregiudizi a scapito dell'autonomia patrimoniale e fiscale delle articolazioni locali dell'organizzazione, così come oggi tutelate dalla legge; ma essa rischia altresì di compromettere le prerogative e gli ambiti di interesse delle regioni autonome a statuto speciale e delle stesse regioni a statuto ordinario. Una condizione evidentemente pregiudizievole se si considera che l'eliminazione della rappresentanza legale dei presidenti regionali e provinciali del sodalizio pregiudica appunto l'opportunità di far ricorso ai sostegni finanziari ed ai contributi regionali, e ciò vale sia per le articolazioni regionali dell'organizzazione che già ne usufruiscono, sia per quelle che se ne potranno giovare, tenuto conto che le regioni non possono adottare misure di interventi atti a trasferire risorse finanziarie che siano appannaggio di entità diverse da quelle regionali;
   occorrerebbe evitare che al vertice dell'associazione si delinei la formazione di un «gruppo di comando» che possa condizionare e controllare l'ente in modo da renderlo «non democratico» –:
   se, anche in considerazione delle cospicue risorse statali attribuite all'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, risultino al Governo rispettati ed assicurati all'interno dell'organizzazione i princìpi costituzionali e normativi in tema di democraticità, libertà, uguaglianza e pari opportunità all'interno dell'organizzazione;
   se il nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, attualmente depositato presso la prefettura di Roma, ed al vaglio della stessa, presenti profili e caratteri tali da mettere a rischio gli interessi morali e materiali della categoria e da compromettere nel contempo la struttura democratica dell'associazione. (5-08801)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 14 luglio 2015 la Commissione europea (decisione di esecuzione C(2105) 4998 final) ha adottato il PON città metropolitane 2014-2020 con una dotazione finanziaria pari a oltre 892 milioni di euro, di cui 588 milioni di risorse comunitarie: 446 a valere sul fondo di sviluppo regionale (FESR) e 142 sul fondo sociale europeo (FSE), cui si aggiungono 304 milioni di cofinanziamento nazionale;
   il PON Metro, a titolarità dell'Agenzia per la coesione territoriale, supporta le priorità dell'Agenda urbana nazionale — con ulteriore interazione con le agende urbane di cui ai programmi operativi regionali — e si pone in linea con gli obiettivi e le strategie proposte per l'agenda urbana europea, che individua nelle aree urbane i territori chiave per cogliere le sfide di crescita intelligente, inclusiva e sostenibile poste dalla Strategia Europa 2020 così come declinate nei 5 assi di cui il PON Metro si compone (agenda digitale, sostenibilità urbana, servizi per l'inclusione sociale, infrastrutture per l'inclusione sociale, assistenza tecnica);
   il dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, Agenzia per la coesione territoriale, dovrà provvedere a ripartire la dotazione finanziaria per tutte le 14 città metropolitane che si presume dovrebbe ammontare a circa 90 milioni di euro per ciascuna città metropolitana del sud Italia;
   il comune di Palermo, sulla base dell'analisi del proprio fabbisogno, ha individuato interventi per circa 130 milioni di euro coinvolgendo, tra l'altro, esclusivamente due aree (su base comunale) interessate agli investimenti oggetto del PON Metro Palermo ed, in particolare, quella territoriale integrata 3 (Maredolce, Brancaccio, Bandita) e quella territoriale integrata 6 (Gasometro, Macello e Romagnolo);
   come meglio specificato dalla Commissione europea in fase di adozione del PON città metropolitane, anche a seguito di numerose osservazioni formulate sia a livello centrale che dalle regioni interessate, tale programma non può essere considerato ad esclusivo appannaggio dei capoluoghi delle singole città metropolitane, ma va esteso anche ai comuni limitrofi denominati dal programma stesso «comuni di cintura», in considerazione degli obiettivi che lo stesso programma si prefigge;
   da una lettura puntuale del documento PON città metropolitane approvato dall'Unione europea (Ver1.3 e pubblicato nel sito dell'Agenzia per la coesione territoriale), emerge che le azioni previste dallo stesso programma sono riferite al contesto delle città metropolitane in cui è presente, ovviamente, il comune capoluogo; tuttavia, in Sicilia, a seguito di ritardi normativi, ad oggi le tre città metropolitane non sono state ancora definite, seppur la previsione normativa, ad oggi, le fa corrispondere alle attuali province di Palermo, Messina e Catania;
   le azioni dovrebbero interessare anche i territori dei comuni cosiddetti di cintura; in particolare, si riportano di seguito alcuni passi del PON Metro approvato dove tali questioni sono espressamente riportate: 1) «di conseguenza l'area interessata dal PON si riferisce al massimo al territorio delle Città metropolitane, con interventi più mirati su porzioni di questi territori e, in particolare, sul territorio del Comune capoluogo. Più in dettaglio, l'area territoriale di riferimento per il Programma è la Città metropolitana limitatamente alle azioni immateriali legate all'Agenda digitale e ad azioni di inclusione sociale del Fondo Sociale Europeo (FSE). Gli interventi non legati all'Agenda digitale o al FSE sono invece concentrati esclusivamente nel territorio del Comune capoluogo» (pagina 2); 2) «in considerazione di quanto precede, pertanto, al fine di sfruttare le condizioni favorevoli e le possibili sinergie sistemiche, l'ambito di intervento per il PON METRO si focalizza sull'obiettivo di sostenere il potenziamento dell'offerta di servizi digitali pienamente interoperabili da parte delle Amministrazioni comunali nelle Città metropolitane» (pagina 4); 3) «la promozione di soluzioni di governo intelligente del sistema della mobilità (cosiddetta « Intelligent Transport Systems» o ITS), in tutti i Comuni capoluogo delle Città metropolitane e con significative proiezioni d'area vasta, oltre ad un effetto di integrazione sistemica per le priorità ai punti successivi» (pagina 7); 4) «in sintesi, la strategia dell'Azione prevede in una prima fase la realizzazione e messa a punto di piattaforme informative di livello nazionale, una per ogni area tematica, che saranno adottate da ciascun Comune capoluogo delle Città metropolitane e, successivamente, da altri Comuni di cintura con l'adozione delle procedure e protocolli di scambio dati previste. (...) Come base territoriale di riferimento è stata considerata la Città metropolitana, i cui confini istituzionali coincidono al momento con i confini provinciali» (pagina 34, Paragrafo Azione 1.1.1: Adozione di tecnologie per migliorare i servizi urbani della smart city); 5) «questo riguarda in particolare i Comuni capoluogo, centri nevralgici delle Città metropolitane, che per le ragioni descritte nella Sezione 1 costituiscono l'area target principale nella quale il Programma concentra gli interventi dell'Asse, con benefici che si estendono agli utilizzatori delle città provenienti anche dai Comuni di cintura» (pagina 43, paragrafo 2.A.2 Motivazione della definizione di un asse prioritario che riguarda più di una categoria di regioni, di un obiettivo tematico o di un Fondo); 6) «il Programma sostiene iniziative volte all'implementazione di Intelligent Transport Systems di scala urbana e metropolitana quali ad esempio la realizzazione di reti capillari di sensori per la raccolta real time dei dati di traffico, il coordinamento remoto degli schemi semaforici, l'attivazione di interfacce con l'utenza su piattaforme fisse e mobile, sistemi la gestione della sota, nonché l'attivazione di zone a traffico limitato e dei correlati sistemi di controllo degli accessi e di gestione delle infrazioni» (pagina 61); 7) «Le opere riguardano la realizzazione di una rete di percorsi ciclabili e pedonali caratterizzata dalla compresenza della scala micro-locale di quartiere e una di medio o lungo raggio, di valenza urbana e metropolitana» (pagina 63, Paragrafo Azione 2.2.3: Mobilità lenta); 8) «tutte le Amministrazioni comunali delle Città metropolitane interessate dal Programma, indistintamente rispetto alle categorie di regione, hanno segnalato la crescente urgenza e l'importanza di un intervento aggiuntivo sui temi della vulnerabilità e del disagio abitativo all'interno del più complessivo tema dell'inclusione di gruppi e individui svantaggiati (...)» (pagina 113); 8) «L'area interessata dal PON METRO si riferisce al massimo al territorio delle Città metropolitane, con interventi più mirati su porzioni di questi territori e, in particolare, sul territorio del Comune capoluogo. Più in dettaglio, l'area territoriale di riferimento per il Programma è la Città metropolitana limitatamente alle azioni immateriali legate all'Agenda digitale e ad azioni di Inclusione sociale del Fondo Sociale Europeo (FSE). Gli interventi non legati all'Agenda digitale o al FSE sono invece concentrati esclusivamente nel territorio del Comune capoluogo» (pagina 151); 9) «Nel caso di progetti da realizzare nel territorio di altre Amministrazioni comunali facenti parte dell'area della Città metropolitana, l'Autorità urbana provvederà a promuovere la sottoscrizione di accordi formalizzati, come definiti secondo l'ordinamento nazionale e secondo modalità concordate con l'AdG, al fine di assicurare il rispetto dei requisiti di territorialità individuati dal comma 5 dell'articolo 7 del Regolamento (UE) 1301/2013» (pagina 169); 10) «infine, un'ultima fase di consultazione del partenariato socioeconomico e ambientale, declinata al livello locale in ciascuna Città metropolitana e già avviata dalle Autorità urbane in pectore, si colloca a cavallo tra la preparazione del Programma e la sua attuazione (ovvero la definizione di strategie integrate e la vera e propria selezione delle operazioni). Tale percorso, porterà a definire puntualmente e incorporare nella progettazione tutti gli elementi utili a massimizzare l'impatto delle operazioni sostenute dal programma e le ricadute sui cittadini» (pagina 230);
   a sostegno di tali indirizzi contenuti nel documento approvato del PON Metro, durante il primo comitato di sorveglianza del 3 dicembre 2015, i diversi componenti che lo costituiscono hanno sottolineato tale aspetto relativo al necessario coinvolgimento dei comuni cintura auspicando una progettualità afferente ad azioni su scala territoriale in grado di rispondere alle esigenze appunto di tali comuni; in particolare, la presidente di tale organo ha avuto modo di affermare che «una parte degli interventi dovranno ricadere anche su una parte dei Comuni della cintura Metropolitana». Allo stesso modo, diversi altri componenti hanno affermato che il programma è articolato e deve essere fortemente partecipato con pieno coinvolgimento del partenariato economico-sociale anche a livello locale. Tuttavia, non risulta che altre realtà, come il comune di Bagheria, siano mai state coinvolte in azioni di animazione e partnership locale;
   anche esponenti dell'autorità di gestione sottolineano che «oltre alla previsione del coinvolgimento delle città capoluogo, occorre operare un confronto con i Comuni che saranno poi anche destinatari, in parte, degli interventi. Quindi assicurare il confronto, il dialogo e il coinvolgimento attivo anche dei Comuni della cintura metropolitana»;
   in relazione ai programmi operativi regionali va precisato che l'Agenda urbana prevista dal FESR Sicilia 2014-2020 nella parte relativa alla territorializzazione delle risorse ha individuato nei due territori di Palermo e Bagheria una delle aree su cui operare attraverso investimenti secondo l'approccio ITI — investimenti territoriali integrati; pertanto anche in seno al programma operativo regionale i due territori devono inevitabilmente condividere strategie e progettualità;
   peraltro, il comune di Bagheria si è dotato di un ufficio programmazione e progettazione interventi strategici e dispone, quindi, di un parco progetti; inoltre, sta lavorando alla definizione e/o al completamento di alcuni strumenti pianificatori generali e settoriali, in particolare alla stesura del piano strategico di livello definitivo, all'attuazione del piano per la mobilità urbana (P.U.M), e, pur tuttavia non risulta essere stato ad oggi coinvolto in alcun tavolo sulle questioni riguardanti la definizione e l'attuazione del programma PON Metro in questione –:
   se l'Agenzia di coesione territoriale non ritenga necessario ed opportuno, nell'interesse dell'intera città metropolitana, coinvolgere, all'interno del PON Metro, anche il comune di Bagheria che per contiguità territoriale con la città di Palermo, consistenza della popolazione ed esigenze territoriali rappresenta il secondo comune della provincia e soggetto costituendo dell'agenda urbana prevista dal programma operativo FESR;
   se l'Agenzia di coesione territori e non ritenga di dover tempestivamente indire un tavolo di concertazione tecnico-politica per la città metropolitana di Palermo per l'individuazione degli interventi necessari all'implementazione di un sistema delle convenienze per l'intero territorio metropolitano attraverso una trasparente ed equa ripartizione delle risorse finanziarie che tenga conto di alcuni parametri oggettivi, quali la popolazione, la dimensione territoriale, la posizione geografica, coinvolgendo, quindi, oltre alla città di Palermo nella qualità di comune capofila, nonché «autorità urbana», anche il comune di Bagheria. (4-13324)


   MINARDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 19 maggio 2015 è stato pubblicato il regolamento (UE) 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta;
   il regolamento prevede un tetto alle commissioni interbancarie del 0,2 per cento sulle operazioni effettuate con carte di debito (bancomat) e dello 0,3 per cento sulle operazioni con carte di credito;
   il regolamento citato contiene, inoltre, una serie di disposizioni in materia di regole commerciali che si applicheranno a tutte le categorie di operazioni tramite carta e di operazioni di pagamento basate su carta;
   nella seduta del 10 giugno 2015 l'assemblea della Camera dei deputati ha approvato alcune mozioni, tra cui quella del gruppo parlamentare di Area Popolare, concernenti iniziative in materia di circolazione del denaro contante. Tra l'altro, il Governo venne impegnato, in quella sede, a dare rapida attuazione al regolamento citato precedentemente sulle commissioni interbancarie relative alle operazioni di pagamento basate su carta, nelle parti in cui si prevede la facoltà dello Stato membro di definire alcune misure, con finalità di equiparare il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia alla media dei costi degli altri Stati europei;
   la Corte di giustizia europea con la sentenza dell'11 settembre 2014, ha dichiarato illegittima l'applicazione delle commissioni interbancarie multilaterali nelle transazioni con carte di pagamento, per restrizione della concorrenza a danno degli esercenti e dei loro clienti, confermando una decisione del 19 settembre 2007 della Commissione europea;
   a livello nazionale il 14 febbraio 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze ha dettato, con decreto, alcune regole per contenere costi delle commissioni per i pagamenti elettronici ed ha individuato gli obblighi a carico di soggetti che gestiscono i pagamenti elettronici;
   secondo uno studio la «giungla» delle commissioni interbancarie costa ai rivenditori circa 10 miliardi di euro all'anno, mentre i clienti, oltre ai normali costi di gestione da pagare alla banca per le carte di credito, si sentono ancora richiedere un costo aggiuntivo (anche il 2 per cento sul prezzo totale), quando il pagamento avviene con la moneta di plastica;
   ad oggi il regolamento citato non è stato ancora attuato « in toto» e soprattutto i commercianti del nostro Paese sottolineano come occorra introdurre migliori condizioni sul pagamento delle commissioni bancarie che erodono buona parte del margine di guadagno;
   un rapporto di Confesercenti rileva che le spese sopportate dalla categoria ammontano a circa 1.700 euro l'anno per le transazioni di circa 50 mila euro –:
   quali iniziative urgenti intenda attivare per attuare il regolamento UE n. 751 del 2015;
   se, nell'ambito dell'attuazione di tale regolamento non sia necessario assumere iniziative per allineare la normativa sulle commissioni interbancarie italiana a quanto stabilito dagli altri Stati europei;
   se e quali iniziative si intendano assumere per applicare la sentenza della Corte europea citata in premessa che ha dichiarato illegittima l'applicazione delle commissioni interbancarie multilaterali nelle transazioni con carte di pagamento;
   se non sia opportuno, nell'attuazione del regolamento citato, assumere iniziative per introdurre migliori condizioni relativamente al pagamento delle commissioni bancarie, a tutela della categoria dei commercianti e degli artigiani. (4-13329)


   BARONI, GRILLO, DI VITA, MANTERO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, COLONNESE, LOMBARDI, DI BATTISTA, VIGNAROLI, DAGA e RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la casa di cura Villa Armonia Nuova è accreditata presso la regione Lazio con decreto n. U00383 del 12 novembre 2014 ed effettua ricoveri a carattere volontario in regime di degenza ordinario e in day hospital per patologie psichiatriche sia in fase acuta che post-acuta;
   a far data dal febbraio 2015, appena quattro mesi dopo aver ottenuto l'accreditamento istituzionale definitivo, il legale rappresentante, dottor Paolo Rosati, dichiara che le liste di attesa per gli ospiti da destinarsi ai reparti di RSA risultano vuote; tale circostanza avrebbe portato la casa di cura ad affrontare una seria crisi economica e costretto la gestione ad una riduzione degli stipendi dei dipendenti pari a circa il 40 per cento (compreso gli stipendi di dipendenti in maternità o assenti per lunghi periodi di malattia piuttosto che intestatari di contratti per la cessione del quinto);
   dall'analisi dei prospetti paga si evince che a decorrere dai primi mesi del 2015 i lavoratori hanno subito trattenute per «... Retribuzione non erogata...» e sui cedolini è passata una voce in competenza a titolo di «arretrati mese precedente» sempre inferiore a quanto di volta in volta trattenuto. Fino a maggio 2016 sono stati pagati solo acconti sugli stipendi (il 60 per cento circa) con l'ipotesi di un eventuale licenziamento;
   il legale rappresentante di Villa Armonia Nuova rivendica, dalla regione Lazio, l'assegnazione di altre tipologie assistenziali più remunerative e rivendica posti letto di esordi e disturbi del comportamento alimentare in cambio di posti letto di RSA (residenze sanitarie assistenziali);
   i documenti prodotti illustrano un budget assegnato a «Villa Armonia Nuova» che supera i 4 milioni di euro, a fronte dei quali è lecito chiedersi come vengono gestiti i fondi sanitari pubblici erogati;
   la casa di cura si sviluppa su tre piani (piano terra, primo e secondo piano). Al secondo piano un'intera ala con dodici stanze, di cui una adibita per i gruppi terapeutici di reparto, è stata tenuta vuota da gennaio 2015 a dicembre 2015;
   per tenere sgombra l'intera ala del secondo piano, al primo piano (capienza 44 posti letto) convivono senza divisioni (a volte anche nella stessa stanza) tre diversi tipologie di modulo, più precisamente STPIT, SRTRi, SRTRe;
   al piano terra nei 16 posti letto coesistono due tipologie di moduli, l'STPIT e l'SRTRi;
   il danno ai pazienti deriva, a quanto consta agli interroganti, dall'impossibilità di garantire un'assistenza dedicata tramite il personale e le qualifiche previste per le diverse patologie assistite;
   in altre parole in questi reparti non esistendo un'assistenza dedicata, non solo non si garantisce il servizio per il quale la struttura è stata accreditata e per il quale il Servizio sanitario nazionale eroga i fondi pubblici ma aumentano esponenzialmente i rischi per i pazienti e per i lavoratori;
   per tre mesi e più precisamente nel periodo dal 24 novembre 2015 al 31 dicembre 2015 e nel periodo dal 1o febbraio 2016 al 31 marzo 2016, sono stati interessati da procedure di cassa integrazione prima 19 e poi 15 lavoratori del comparto non medico; intanto all'interno della struttura, a quanto consta agli interroganti, opererebbe una cooperativa per le pulizie della quale l'amministrazione nella riorganizzazione del personale non ha fatto menzione;
   dalla lettura del verbale di accordo regionale, a firma del funzionario regionale responsabile del procedimento dottor Raffaele Fontana, il dottor Paolo Rosati, lamenta insistentemente l'infruttuoso accreditamento ottenuto dalla Società, per i posti letto di RSA e pretende una nuova rimodulazione dei posti letto accreditati;
   il giorno 26 gennaio 2016, presso l'assessorato al lavoro della regione Lazio alla presenza del dottor Raffaele Fontana, la società dichiarava «... a causa della peculiarità dei servizi erogati non è in grado di affrontare la situazione di crisi evidenziata attraverso lo strumento del Contratto di Solidarietà difensivo. LA SOCIETÀ GES.CAS. – VILLA ARMONIA NUOVA SRL CON SOCIO UNICO fara ricorso all'intervento della Cassa Integrazione Guadagni in deroga per un numero massimo di 15 lavoratori per il periodo 1o febbraio 2016-29 febbraio 2016 sospesi fino a zero ore a rotazione la richiesta di Cig in oggetto è relativa a complessive 2160 ore per un numero di ore settimanali non superiore a 540...». La cassa integrazione verrà prorogata fino al 31 marzo 2016;
   il 1o aprile 2016 viene aperta la procedura di licenziamento collettivo per l'esubero di 15 unità lavorative. La struttura, in possesso del titolo autorizzativo e di accreditamento istituzionale, ha un organico complessivo sull'unità produttiva di Roma pari a n. 60 lavoratori e le procedure poste in essere, per le quali non c’è riscontro di una puntuale analisi dei dati di bilancio piuttosto che della pianta organica, hanno interessato sempre circa un terzo del personale dipendente;
   la «crisi economica» dichiarata da oltre un anno dall'amministratore e sostenuta sia dai sindacati che dal funzionario regionale dottor Raffaele Fontana, in realtà non trova riscontro nei dati di bilancio;
   vero è, infatti, che «...il valore totale della produzione per l'anno 2014 è pari a euro 5.440.089...» e nelle considerazioni finali della relazione tecnica, redatta da un professionista, viene evidenziato: «...Le entrate hanno avuto sempre un lieve ma costante aumento; i costi sono in calo dal 2012; La differenza tra valore e costo della produzione (margine operativo lordo) cresce in modo evidente, con incrementi importanti: tralasciando il balzo dal 2011 al 2012, abbiamo avuto negli anni a seguire un incremento del 33,44 per cento nel 2013 e del 62,58 per cento nel 2014; Dalla nota integrativa rileviamo che sono stati erogati anche compensi agli amministratori, nelle seguenti misure: Anno 2012 euro 12.840 (oltre a euro 11.092 per il collegio sindacale, poi soppresso in corso d'anno per essere venuti meno i requisiti dimensionali previsti dal codice civile); Anno 2013 euro 132.945; Anno 2014 euro 191.220; Negativo solo il saldo tra i crediti e i debiti a breve termine esigibili entro l'anno successivo, ma se si tiene conto dei finanziamenti a medio-lungo termine erogati a favore della controllante per euro 1.025.325, il saldo diviene assolutamente positivo; dall'analisi effettuata sui 4 anni, si evince una gestione assolutamente stabile, senza grandi variazioni nei valori di bilancio. Le entrate sono regolari e i costi contenuti, pur erogando compensi agli amministratori e distribuendo utili nel 2012; Relativamente alla controllante FINORO IMMOBILIARE SRL, segnalo la chiusura in perdita per l'esercizio 2014 di euro 146.229 e che i compensi erogati agli amministratori sono stati pari a euro 283.080; La perdita d'esercizio è stata comunque coperta dalla “riserva di rivalutazione” pari per il 2014 a euro 2.458.676...»;
   se ne deduce secondo gli interroganti che il mancato controllo da parte dei preposti avrebbe prodotto un ricorso di dubbia legittimità alla cassa integrazione, alla procedura di licenziamento collettivo, oltre che ad un altrettanto illegittima riduzione degli stipendi a danno dei lavoratori con gravi ripercussioni sul livello di assistenza –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se intenda assumere le iniziative di competenza, per il tramite del commissario ad acta per la prosecuzione del vigente piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Lazio, Nicola Zingaretti, per fare chiarezza sull'operato e la gestione della casa di cura Villa Armonia Nuova;
   se sussistano o siano mai sussistiti in capo a Villa Armonia Nuova i requisiti richiesti ai fini dell'accreditamento al servizio sanitario nazionale;
   se ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza, anche ispettive, per appurare la sussistenza degli standard minimi di cura erogati dalla casa di cura di cui in premessa ed eventualmente revocare l'accreditamento. (4-13339)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TINAGLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   a quasi dieci anni dall'assassinio della giornalista Anna Politkoskaia, il tema della libertà di stampa e il diritto a un'informazione libera, indipendente ed autorevole rimane un'emergenza e una fonte di preoccupazione nella realtà socio-politica della Russia, tanto che, nella sua periodica classifica internazionale, l'organizzazione Reporter sans frontieres, la colloca al 148esimo posto su 180, tenendo conto degli 81 giornalisti arrestati, delle limitazioni e del controllo sugli utenti dei social media, del controllo sulle televisioni nazionali, della propaganda governativa e delle leggi repressive contro il sistema dei media;
   in tale contesto, come riportato dal Financial Times nei giorni scorsi, tre giornalisti del gruppo editoriale RBC Russia, uno dei pochi gruppi indipendenti, sono stati allontanati dal loro posto di lavoro, a seguito delle pressioni del Cremlino, che sembra essere stato infastidito per una serie di servizi, l'ultimo dei quali riguardava un ingente investimento per la realizzazione di un allevamento di ostriche nel sud della Russia, nei pressi di una lussuosa residenza, soprannominata «Palazzo Putin»;
   in precedenza, erano stati pubblicati una serie di articoli riguardanti gli interessi commerciali del figliastro del presidente Putin e di persone strettamente collegate al presidente russo coinvolte nella vicenda dei «Panama papers»;
   i tre giornalisti sono Elizaveta Osetinskaya, direttore di tutto il gruppo editoriale, Maxim Solyus, direttore del quotidiano del gruppo e Roman Badanin, direttore dell'agenzia di stampa del medesimo gruppo;
   il loro allontanamento rappresenta una battuta d'arresto per quello che è ampiamente considerato come uno dei pochi gruppi di informazione indipendenti in Russia, in un paesaggio altrimenti dominato dai media statali indirizzati dalla linea del Cremlino;
   il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha escluso che da parte delle autorità governative sia stata esercitata una qualsiasi forma di pressione sul gruppo editoriale per l'allontanamento dei tre giornalisti, ma secondo Pavel Gusev, capo dell'Unione dei Giornalisti di Mosca, non vi sarebbe alcun dubbio circa la matrice politica di tale decisione;
   a parere dell'interrogante, è di primaria importanza l'attenzione e l'impegno della comunità internazionale per il sostegno di ogni iniziativa volta a favorire il rafforzamento dei presupposti giuridici, politici e civili per l'esercizio della libertà di stampa e di informazione, a tutela dell'incolumità e dell'indipendenza degli operatori dell'informazione, in un paese di rilievo strategico come la Russia –:
   alla luce della vicenda sommariamente esposta in premessa, quali iniziative intenda intraprendere o promuovere sul piano diplomatico, in collaborazione con altri Paesi, affinché le autorità russe assicurino le condizioni essenziali per l'esercizio dell'attività di informazione e la libertà di espressione, caposaldo dei principi democratici, imprescindibili per ogni moderno Stato nel sistema di relazioni internazionali. (5-08797)


   SANGA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Ali Mohammed al-Nimr è stato condannato in Arabia Saudita alla decapitazione, alla crocifissione e alla putrefazione del corpo in pubblico, per aver partecipato nel 2011, durante la cosiddetta Primavere arabe – quando aveva solo 17 anni, ad una manifestazione contro il Governo;
   Al-Nimr è in prigione dal febbraio 2012 e, è stato condannato, in via definitiva nel settembre 2015, per vari reati, tra cui la sommossa, l'incitamento alla rivoluzione contro il re dell'Arabia Saudita e il possesso d'armi. Secondo quanto appurato dalle organizzazioni non governative internazionali che si sono interessate al caso, il processo non ha garantito i diritti minimi dell'imputato, al ragazzo è stato negato un avvocato e lo stesso al-Nimr ha ammesso di aver subito torture;
   in base a convenzioni internazionali, il Governo saudita non può condannare a morte un ragazzo che ha compiuto i reati di cui è accusato quando aveva meno di 18 anni poiché ogni sentenza che impone la pena di morte a minorenni al momento del reato, nonché la loro esecuzione, è incompatibile con gli obblighi internazionali a cui anche l'Arabia Saudita ha aderito, soprattutto in considerazione del fatto che proprio nel mese di giugno 2015 l'ambasciatore saudita Faisal bin Hassan Trad è diventato presidente del gruppo consultivo del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite;
   nonostante il nuovo ruolo nell'ambito dell'Onu, la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita resta ancora molto lontana dagli standard del diritto internazionale: l'Arabia Saudita è il Paese con il più alto numero di violazioni dei diritti umani accertate da organi internazionali indipendenti, tra cui l'Onu stesso, nonché il Paese che detiene il record mondiale di esecuzioni capitali;
   il caso di Al-Nimr ha smosso l'opinione pubblica internazionale che chiede, attraverso una vera e propria mobilitazione, sia istituzionale che sociale, l'annullamento della condanna a morte;
   Ali è figlio di un attivista politico e nipote dello sceicco Nimr Baqr al-Nimr, un membro del clero sciita, anche lui condannato a morte nel 2014 per aver assunto la guida del movimento di protesta dell'est del Paese, dove la maggioranza sciita si oppone alla politica della casa regnante sunnita –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere nelle sedi internazionali e nei rapporti diplomatici bilaterali con l'Arabia Saudita per dissuadere le autorità saudite dall'eseguire la sentenza di condanna, nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali a tutela dei minori. (5-08799)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   esiste nel nostro Paese una situazione assai poco conosciuta, quella dei cosiddetti « Accidental Americans», ovvero cittadini italiani che hanno acquisito anche la cittadinanza degli Stati Uniti perché nati quando i loro genitori si trovavano in transito o comunque temporaneamente nel territorio statunitense;
   agli « Accidental Americans» si applicano automaticamente e pienamente la legge tributaria statunitense e soprattutto la normativa del Foreign Account Tax Compliance Act, o Fatca, varato nel 2010 per colpire i cittadini americani che utilizzassero conti bancari aperti all'estero;
   in base alla legislazione attualmente in vigore negli Stati Uniti, gli « Accidental Americans» debbono pagare le tasse all'erario statunitense come ogni altro cittadino americano residente all'estero;
   per effetto della normativa del Fatca, agli « Accidental Americans» risulta preclusa anche la possibilità di aprire nuovi conti correnti, di chiedere mutui e di effettuare investimenti in ambito finanziario;
   sempre a causa del Fatca, sugli « Accidental Americans» grava altresì la minaccia di chiusura dei conti correnti già aperti a loro nome;
   risultano avere problemi anche i conti intestati ad associazioni e società il cui legale rappresentante sia un « Accidental American»;
   tale rischio può essere scongiurato soltanto richiedendo il codice fiscale americano;
   la richiesta, che determina l'emersione della propria posizione nei confronti dell'Irs, l'Agenzia statunitense delle entrate, costringe gli interessati ad inviare oltreoceano la propria dichiarazione dei redditi degli ultimi anni;
   le pratiche richiedono l'ingaggio di costosi quanto rari consulenti esperti in questa materia, anche perché la sede dell'Irs statunitense competente per l'Italia si trova a Parigi;
   la soggezione al fisco americano non libera gli « Accidental Americans» dalle proprie obbligazioni nei confronti del fisco italiano, con l'effetto di sottoporre i malcapitati ad un gravoso regime di doppia imposizione –:
   quali iniziative il Governo ritenga opportuno e possibile assumere per risolvere la situazione gravosa in cui si trovano i cittadini italiani che siano « Accidental Americans», perciò costretti a pagare le tasse sia all'erario statunitense che a quello italiano. (4-13325)


   QUARTAPELLE PROCOPIO, NICOLETTI, TIDEI e ZAMPA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   con il Migration Compact, il Governo ha sviluppato un virtuoso modello per migliorare l'efficacia delle politiche migratorie esterne dell'Unione europea, confermando l'impegno italiano per assicurare un ruolo di responsabilità ai partner regionali nella gestione e nel contenimento dei flussi di migranti e di rifugiati, nel pieno rispetto dei diritti umani e favorendo al contempo lo sviluppo sostenibile nei Paesi di origine e di transito;
   nel quadro della conferenza interministeriale che si è tenuta a Roma il 28 novembre 2014 è stata sottoscritta una dichiarazione congiunta dei ministri in rappresentanza dei 28 Paesi dell'Unione europea e di Egitto, Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenya, Somalia, Sudan, Sud Sudan e Tunisia; tale dichiarazione, nota come «processo di Khartoum», promuove gli scambi d'informazioni, sviluppo di capacity building, assistenza tecnica e buone pratiche, con gli obiettivi di regolare il flusso di migranti, sostenendo lo sviluppo nei Paesi d'origine e di transito dei migranti, e di sviluppare efficaci strategie comuni di lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti e di esseri umani;
   negli ultimi anni, il Sudan è diventato uno dei principali Paesi di transito per milioni di profughi e migranti provenienti dal Corno d'Africa e dall'Africa sub-sahariana che cercano di farsi strada attraverso la Libia al fine di raggiungere le coste europee; le Nazioni Unite registrano infatti che siano circa 4 milioni i profughi dall'Eritrea, dalla Somalia, dalla Repubblica democratica del Congo, e dalla Repubblica centro-africana in transito nell'area;
   secondo accreditati organi d'informazione tra i quali i tedeschi «der Spiegel» e «Ard», il 23 marzo 2016, il Comitato dei Rappresentanti permanenti presso il Consiglio dell'Unione europea avrebbe discusso un piano che prevede forme di collaborazione con i Paesi del Corno d'Africa, al fine di arginare i flussi di migranti verso l'Europa con uno stanziamento tramite l'EU Emergency Trust Fund di 40 milioni di euro per otto Paesi africani tra cui il Sudan;
   il progetto prevedrebbe che l'Unione fornisca macchine fotografiche, scanner e server per la registrazione dei migranti al regime sudanese, in aggiunta all'offerta di servizi di formazione della polizia di frontiera sudanese, e alla costruzione di due centri di raccoglimento dotati anche di celle di detenzione;
   gli stessi organi d'informazione riportano che il Ministro tedesco per la cooperazione e lo sviluppo economico avrebbe recentemente confermato l'esistenza di un piano d'azione vincolante, specificando tuttavia che dovrebbero ancora esserne perfezionati i relativi piani d'attuazione;
   la Corte penale internazionale dell'Aja ha emesso un mandato di arresto nei confronti del Presidente del Sudan Omar Al Bashir per accuse relative al suo presunto ruolo nel genocidio e crimini contro l'umanità nel conflitto del Darfur;
   il rischio che si profila è che il regime sudanese utilizzi i finanziamenti e la tecnologia offerta dall'Unione europea per registrare non solo i rifugiati, ma anche i cittadini sudanesi con l'obiettivo di ottenere un controllo capillare e totalitario sulla popolazione;
   come riportato da der Spiegel, Amnesty International ha denunciato un sistema di torture da parte dei servizi segreti sudanesi ai membri dell'opposizione;
   dai rapporti di «Human Rights Watch» si evince che vi siano forme di collaborazione tra alcuni esponenti del regime sudanese e alcune reti criminali coinvolte nel traffico di esseri umani;
   l'Agenzia Habeshia (AHCS) riporta che il 16 maggio per ordine del governo di Al Bashir la polizia avrebbe condotto rastrellamenti nei quartieri dove in genere si concentrano i profughi e, in seguito ad una rapida comparsa davanti alle autorità, circa 380 di loro sarebbero stati espulsi consegnati alla polizia di frontiera eritrea; nell'arco della giornata del 18 maggio altri 600 migranti sarebbero stati fermati e rischierebbero ora il rimpatrio forzato verso un Paese, l'Eritrea, considerato tra i più repressivi e autoritari del mondo e in cui la situazione dei diritti umani continua ad essere estremamente preoccupante, anche secondo quanto affermato dai più recenti rapporti dell'Alto Commissariato ONU dei diritti umani –:
   come intenda assicurare che il piano di cooperazione con il Sudan discusso in seno alle istituzioni dell'Unione europea sia accompagnato da iniziative che garantiscano l'effettività delle misure di contrasto al traffico di esseri umani da parte del Governo sudanese, nonché da misure di garanzia per la tutela dei diritti dei migranti, dei profughi e dei richiedenti asilo nel Paese. (4-13335)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che una voragine di circa duecento metri per sette di larghezza si è aperta sul Lungarno Torrigiani, tra Ponte Vecchio e Ponte alle Grazie, in pieno centro di Firenze, causando ingenti danni alle auto parcheggiate, alla strada, alle difese idrauliche e l'allagamento dell'area, fortunatamente non ci sono feriti;
   in base ai primi sopraluoghi effettuati dai vigili del fuoco e del genio civile si rileva che la cause dell'accaduto sarebbe da imputare a dei problemi delle infrastrutture idriche. Due sarebbero le rotture dell'acquedotto avvenute in poche ore di distanza un'una dall'altra: la prima si sarebbe verificata intorno all'una di notte e avrebbe causato il crollo di un tratto del lungarno all'altezza di via Guicciardini con allagamenti in via de’ Bardi; in base alle dichiarazioni dei vigili urbani sarebbe subito stata allertata la Publiacqua spa, la società che gestisce l'acquedotto, che conseguentemente avrebbe provveduto alla chiusura dell'afflusso dell'acqua su quel tratto di tubatura. Mentre la rottura più grave ha interessato la «dorsale» dell'acquedotto sulla riva sinistra dell'Arno, ovvero la conduttura principale per l'Oltrarno, provocando così la voragine che ha squassato il lungarno Torrigiani intorno alle 6:30 del 25 maggio 2016;
   in base alle dichiarazione dei tecnici è possibile che al momento in cui Publiacqua spa ha chiuso l'afflusso dell'acqua per il primo guasto possa essersi verificato una «sovrappressione» su altre tubature, un «colpo d'ariete», con conseguente rottura della tubazione principale;
   da fonti stampa si apprende poi che da giorni probabilmente c'era delle perdite sulle tubature idriche;
   la momento il Lungarno è stato chiuso al traffico. Vigili del fuoco e genio civile non possono escludere che lo smottamento possa continuare: lo ha detto lo stesso sindaco Nardella invitando a uscire dalle loro case gli abitanti di due degli antichi palazzi che si affacciano su lungarno Torrigiani, e chiedendo ai cittadini di non usare l'auto per raggiungere la zona dell'Oltrarno;
   la rottura dell'acquedotto sta causando grossi problemi nel servizio idrico praticamente in tutta la città a Firenze. Secondo quanto spiegato dal sindaco, l'acqua è stata tolta nei quartieri dell'Oltrarno e a Campo Marte, mentre è stata abbassata la pressione negli altri quartieri. In base alle dichiarazioni fornite dalla partecipata Pubbliacque spa è probabile che problemi di abbassamenti di pressione e mancanze d'acqua potranno interessare anche i comuni limitrofi della piana;
   Firenze risulta una delle città con le bollette d'acqua più care d'Italia, mentre Publiacqua spa, la partecipata al 60 per cento pubblica, in base al bilancio del 2015 ha registrato degli utili netti milionari; infatti proprio il 4 maggio 2016, come rivela l'Usb Publiacqua Firenze, l'assemblea dei soci di Publiacqua SpA ha approvato il bilancio 2015, registrando degli utili netti pari a 29.577.406,58 euro (astensione comune di Cavriglia), con una riserva legale pari a 1.478.870,33 euro, e utili distribuiti di 28.098.536,25 euro, dividendi 18.499.999,92 euro e utili portati a nuovo di 9.598.536,33 euro;
   casi in cui infrastrutture idriche precarie, carenti di una manutenzione ordinaria e straordinaria al limite della sicurezza, causano piccoli e grossi problemi di dissesto, frane o altri cedimenti sono sempre più ricorrenti su tutto il territorio nazionale, anche se forse meno eclatanti di quello di Firenze. A Roma meno di un anno fa a causa un conduttura idrica rotta in Via Frascati vicino Arco di Travertino, centinaia sono state le famiglie senz'acqua nell'area compresa tra via Anzio, via Patrica, vicolo e via dell'Acquedotto Felice e via Demetriade, mentre meno di un mese fa a Genova, a causa di una rottura di una tubatura dell'acquedotto, si è creato un vero e proprio geyser d'acqua che ha distrutto l'asfalto scagliando pietre in aria estremamente pericolose e disservizi per la città. Nello sesso periodo una ennesima rottura della condotta di Fiumefreddo ha lasciato ancora una volta Messina senz'acqua per oltre 48 ore –:
   se il Ministro interrogato, nei riguardi di un problema così diffuso a livello nazionale, intenda promuovere, per quanto di competenza, un programma organico strutturale, capace di garantire una corretta e concreta attuazione della manutenzione e della messa in sicurezza delle infrastrutture idriche su tutto il territorio nazionale, senza che questo causi l'innalzamento delle tariffe dei cittadini;
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso, anche a fronte di quanto emerso dai bilanci di Publiacque, di assumere iniziative normative per definire un sistema garantistico in cui siano regolarmente monitorate e rese pubbliche le attività di manutenzione della rete infrastrutturale idrica comparandole adeguatamente con gli incassi delle partecipate che gestiscono tale servizio. (5-08793)


   MARIANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014 l'Ispra, l'Istituto superiore per la prevenzione e fa ricerca ambientale, ha collocato alcune gabbie contenenti mitili, venti miglia al largo del porto di Brindisi, nella zona di estrazione petrolifera denominata FC2AG, in concessione ad Agip dal febbraio 1992 e in scadenza nel marzo del 2020, meglio nota come Aquila 2;
   questi molluschi sono ottimi bioindicatori di inquinamento marino in quanto filtrano e trattengono idrocarburi, metalli pesanti e agenti chimici;
   il monitoraggio predisposto dall'ISPRA è denominato « mussel watch», ed è un protocollo internazionale applicato nel mare Mediterraneo in vari progetti finanziati con fondi dei programmi europei come Mytilos, Myrimed e Mytiad, in cui tra i partner c’è Ispra, mentre l'istituto capofila è l'Ifremer francese;
   grazie a questi progetti sono state rilevate le concentrazioni di metalli pesanti, diossine, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili e altri elementi;
   Brindisi è stata inserita nel 2008 nel progetto Mytiad, assieme a Taranto, con la collocazione di una gabbia di mitili poco all'esterno della testata della diga di Punta Riso;
   lo stesso protocollo è stato adottato dall'Ispra per tenere sotto controllo l'impatto sull'ambiente marino delle attività estrattive della nave-piattaforma Fpso Firenze, che opera nel campo di estrazione Aquila 2;
   le gabbie di mitili installate nel sito estrattivo al largo di Brindisi, però, pare non abbiano retto a lungo, con perdita dei molluschi che fungevano da bioindicatori;
   i tecnici dell'Eni che si erano accorti del problema, secondo intercettazioni effettuate dalla procura di Potenza, non solo decisero di non comunicare all'Ispra l'accaduto, ma pensarono di sostituire i mitili perduti con altri da loro acquistati;
   la sostituzione, secondo la procura di Potenza, ha alterato i risultati del monitoraggio di eventuali livelli di inquinamento dovuti alle attività estrattive;
   la ripresa delle attività estrattive a Campo Aquila non era gradita alla regione Puglia che il 1o marzo 2013, tramite l'allora assessore regionale all'Ambiente, Lorenzo Nicastro, aveva annunciato di aver trasmesso «formale istanza di riesame in autotutela indirizzata al direttore generale per le Valutazioni Ambientali del Ministero dell'ambiente, Mariano Grillo, relativamente al decreto di esclusione dalla procedura di Valutazione di impatto ambientale» dell'inizio di nuove attività da parte di Eni al largo di Brindisi;
   a metà dicembre 2012 la provincia di Brindisi contestò minuziosamente lo studio di impatto ambientale presentato dall'Eni per l'istanza di sottomissione a valutazione di impatto ambientale dell'operazione a Campo Aquila, dove il gruppo energetico pubblico aveva intenzione di riavviare le attività estrattive dei pozzi 2 e 3 del sito offshore;
   la provincia di Brindisi — con nota inviata, tra gli altri, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla stessa Regione Puglia – aveva concluso pronunciandosi per la necessità di sottoporre a valutazione di impatto ambientale il progetto, ritenendo che sussistessero problemi sia di emissioni in atmosfera, che di aumento della concentrazione di idrocarburi in mare, che di impatto su flora e fauna marine;
   Aquila 2 ebbe comunque il nulla-osta del Governo senza valutazione di impatto ambientale, malgrado l'assessore regionale pugliese avesse definito «lacunoso e parziale il lavoro di valutazione effettuato dalla Commissione Tecnica del Ministero, soprattutto in relazione ai rilevanti e negativi impatti ambientali connessi alla ripresa delle attività di coltivazione dei pozzi del Campo Aquila. La documentazione presentata dalla società proponente non evidenzia con il dovuto dettaglio le conseguenze delle operazioni previste sulla fauna marina adriatica»;
   nel settembre del 2014 la capitaneria di Porto di Brindisi con ordinanza n. 87, al termine di una istruttoria avviata dopo la richiesta dell'Eni del gennaio 2012, dichiarò interdetta in via definitiva la zona di estrazione, stabilendo una fascia di due chilometri dalla nave Fpso Firenze per il divieto di navigazione, e di 2900 metri per ancoraggio e pesca in profondità dal punto dove si trovano i pozzi;
   a rendere vani i controlli dell'Ispra sono stati invece, secondo la procura di Potenza, i due tecnici Eni intercettati –:
   considerato quanto esposto in premessa, quali iniziative intenda assumere al fine di garantire le popolazioni costiere riguardo all'effettiva situazione dell'ambiente marino nella zona considerata;
   se e come, alla luce di quanto sopra esposto, intenda intervenire, al fine di rendere più efficaci e più sicuri il monitoraggio e i controlli sull'inquinamento marino derivante da attività estrattive. (5-08796)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che, a Catanzaro, «all'origine dei continui sversamenti in mare di liquami provenienti dalla condotta fognaria nella zona del costruendo porto sembra ci sia anche uno scorretto smaltimento di reflui. In particolare, i due pozzetti situati a ridosso del lungomare e in via Sant'Elena, in località Giovino, sarebbero utilizzati da alcune ditte che effettuano il servizio di autospurgo in città per scaricare i liquidi aspirati dai pozzi neri e dalle fosse biologiche (...) Per prassi le autobotti dovrebbero conferire i liquidi all'impianto di depurazione, ma una modalità più sbrigativa sembra essere, invece, quella di riversare le acque nere direttamente nei condotti fognari utilizzando i pozzetti (...) i punti di scarico utilizzati dai mezzi che effettuano il servizio di autospurgo corrispondano nei fatti ai medesimi pozzetti che creano maggiori disagi nel quartiere marinaro. Il sovraccarico di liquidi in condotte vetuste provoca inesorabilmente il blocco dell'impianto di sollevamento, con il conseguente sversamento di liquami sulla spiaggia e nel mare»;
   la situazione diventa poi emergenziale nell'area intorno al cantiere del porto di Casciolino: «da una condotta situata al di sotto del lungomare vengono scaricati sulla spiaggia i reflui fognari ogni qualvolta l'impianto di sollevamento va in blocco. E la circostanza si verifica sovente tanto da aver trasformato la porzione di arenile in un canale di scolo che raggiunge il mare. La sabbia in quel punto ha assunto una particolare colorazione rossastra, ma continua ad essere frequentata da ignari visitatori dal momento che l'accesso all'area è tuttora permesso»;
   ad una rete fognaria inadeguata e ad un sistema d'impianti di sollevamento inadatti a reggere l'enorme quantità di liquidi prodotti si aggiunge, quindi, una scorretta modalità di smaltimento dei reflui fognari, che rende insostenibile la situazione nella zona per i residenti e per i titolari di attività commerciali i quali lamentano, ormai da mesi, una difficile convivenza con l'olezzo che accompagna la quotidiana fuoriuscita di liquami –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto denunciato in premessa, quale sia il suo orientamento e se non ritenga di dover promuovere, per quanto di competenza, una verifica del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di monitorare i livelli inquinamento della spiaggia e del mare a Catanzaro. (4-13327)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, COZZOLINO, DA VILLA, D'INCÀ e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 16 giugno 2014, n. 112, ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 2012/33/UE, che modifica la direttiva 1999/32/Ce relativa al tenore di zolfo dei combustibili per uso marino;
   in particolare, il Decreto legislativo n. 112 del 2014 ha apportato alcune modifiche al Testo unico ambientale relativamente agli articoli che fanno riferimento ai combustibili marittimi, prevedendo, a tutela dalle emissioni da navi – comprese quelle da crociera – precisi limiti al contenuto di zolfo nei combustibili, e l'obbligo di supportare il rispetto di questi limiti attraverso una documentazione puntuale;
   in base alle nuove regole, le navi in servizio di linea adibite al trasporto passeggeri, da o verso qualsiasi porto comunitario, sono obbligate all'uso di carburanti con contenuto di zolfo fino a un massimo dello 1,50 per cento in massa in navigazione entro le acque territoriali;
   le navi da crociera sono classificate come navi passeggeri adibite al trasporto pubblico di linea ed hanno usufruito come tali dei relativi benefici fiscali previsti all'ormeggio. Come navi passeggeri «di linea», le compagnie sono pertanto obbligate a rispettare i limiti di emissione di zolfo per questa categoria, pari all'1,50 per cento entro le 12 miglia nautiche dalla costa;
   le procedure di accertamento sul rispetto degli obblighi sul tenore di zolfo dei combustibili ad uso marino sono di competenza della Guardia costiera e vengono effettuate a bordo delle navi attraverso una procedura di campionamento;
   per chi viola gli obblighi del Testo unico ambientale in merito al quantitativo di tenore di zolfo contenuto nei carburanti per uso marino, a norma dell'articolo 296, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria, a cui vanno ad aggiungersi, in caso di recidiva o in caso i particolare gravità della violazione, delle sanzioni accessorie, a norma dell'articolo 296, comma 5, lett. a) e b), del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   a seguito di alcune procedure di controllo sui limiti emissivi a bordo delle navi da crociera, conclusesi con lo sforamento dei perdetti limiti di legge e la relativa applicazione di sanzioni amministrative conseguenti alla violazione delle norme in materia di emissioni inquinanti per le navi di linea, le grandi compagnie hanno fanno «dietro front», al fine di rientrare tra le «navi passeggeri non in servizio di linea», categoria per la quale i limiti di zolfo salgono al 3,50 per cento e facendo perfino ricorso giurisdizionale pur di cercare di sfuggire all'applicazione delle sanzioni previste per lo sforamento di tali limiti emissivi;
   è il caso della compagnia MSC Crociere, la quale, dopo essere stata multata per aver utilizzato combustibili per uso marittimo di un tenore di zolfo superiore all'1,50 per cento, si è vista respingere, in una recente sentenza del tribunale civile di Genova (sentenza n. 247/2016), il ricorso presentato, in cui MSC sosteneva che la direttiva 1999/32 e il decreto legislativo che la recepisce, si applicherebbero solo alle navi che fanno «servizi di linea», e quelle da crociera non rientrerebbero tra queste;
   è oramai accertato che, secondo la direttiva europea, una nave passeggeri assicura servizi di linea se effettua «una serie di traversate in modo da assicurare il collegamento tra gli stessi due o più porti», oppure «una serie di viaggi da e verso lo stesso porto senza scali intermedi». E la Corte europea ha chiarito che, «una nave da crociera che effettui traversate con scali intermedi che colleghino due porti distinti o si concludano nel porto di partenza, assicura un collegamento tra gli stessi due o più porti ai sensi di detta disposizione» –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per chiarire quali siano i limiti massimi di zolfo nei combustibili per uso marittimo che le navi da crociera sono chiamate a rispettare, a norma della legislazione europea e nazionale vigente in materia;
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano mettere in atto al fine di far rispettare alle compagnie da crociera i limiti in materia di emissioni inquinanti previsti dalla normativa nazionale e comunitaria e ridurre altresì le emissioni di anidride solforosa, i cui effetti sono nocivi per la salute e per l'ambiente. (4-13330)


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, VIGNAROLI e D'INCÀ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con lettera del 27 aprile 2016 ha trasmesso una nota relativa all'attuazione dell'ordine del giorno Terzoni n. 9/3513-A/8 accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 10 febbraio 2016, concernente il sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI;
   nella nota sono riportati i dati relativi alle risorse complessivamente erogate dallo Stato per il SISTRI a partire dalla sua progettazione, l'ammontare dei contributi pagati dalle imprese, nonché l’iter della procedura di affidamento in concessione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti da parte di CONSIP;
   nella parte relativa alle risorse complessive erogate dallo Stato per il sistema SISTRI vengono distinti il periodo di vigenza contrattuale e il periodo di proroga contrattuale con dettaglio delle fatture emesse da Selex, nonché dei pagamenti effettuati;
   dallo schema risulta che, per il periodo di vigenza contrattuale, a fronte di un totale di fatture emesse di 293.910.420,35 euro, il Ministero ha versato una quota di 69.640.140,80 euro, con un residuo quindi di 224.270.279,55 euro. In particolare, la quota residua è rappresentata prevalentemente dall'ammontare delle fatture contestate (in particolare, le fatture nn. 147, 157, 158, 196, 20, 7770000001 e 7770000002), come da prospetto allegato alla predetta nota;
   per il periodo di proroga contrattuale, invece, il totale residuo da pagare risulta ammontare a 9.380.55,82 euro. Tale importo risulta dalla somma delle fatture relative ai costi di produzione del servizio da settembre a ottobre del 2015 e da novembre a dicembre del 2015 e da una parte del periodo da giugno ad agosto dello stesso anno;
   nella parte relativa all'ammontare dei contributi pagati dalle imprese vengono elencati i trasferimenti che il Ministero dell'economia e delle finanze ha eseguito dal capitolo di entrata 2592, articolo 14 denominato «Contributo dovuto da parte dei soggetti di cui al comma 3 dell'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il funzionamento del sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti» al capitolo di spesa 7082 PG 02. In totale dal 2010 sono stati versati in questo capitolo 169.775.519,83 euro ai quali si sommano 5 milioni di euro relativi al fondo istituito per la realizzazione del SISTRI previsto dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), articolo 1, comma 1116, come fondo unico investimenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'avvio del sistema;
   nella parte relativa all’iter della procedura di affidamento in concessione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, dopo aver elencato i servizi operativi richiesti nel bando di prequalifica si sottolinea la possibilità per l'aggiudicatario della presa in carico del sistema attuale per assicurare la continuità e la successiva evoluzione, lo sviluppo e la gestione del nuovo sistema informatico –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di fornire chiarimenti circa le ragioni del mancato pagamento delle fatture emesse da Selex risultanti dal prospetto riportato nella nota citata in premessa;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze possa dettagliare quale sia ad oggi la disponibilità di risorse nel capitolo di spesa 7082 visto che a fronte di un totale di versamenti da parte dei soggetti aderenti al sistema di tracciabilità dei rifiuti 169.775.519,83, oltre ai 5 milioni relativi al fondo istituito per la realizzazione del SISTRI previsto dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), articolo 1, comma 1116, come fondo unico investimenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'avvio del sistema, risulta essere stato corrisposto a SELEX un ammontare, tutto compreso, di 103.502.911,06 euro;
   se i fondi accantonati nel suddetto capitolo possano essere eventualmente utilizzati per eseguire i rimborsi alle aziende come previsto nell'ordine del giorno n. 9/1682-A/077, accolto dal Governo come raccomandazione;
   nel caso cui il capitolo risultasse privo di fondi, se si intendano fornire indicazioni verso quali altri capitoli siano state destinate le somme versate alle imprese e accantonate in precedenza;
   in che modo l'aggiudicatario, nel periodo di presa in carico del sistema attuale, potrà disporre delle apparecchiature hardware attualmente presenti negli edifici di proprietà di Selex a tal fine chiarendo in che termini il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare potrà garantire la continuità del sistema nel momento di passaggio al nuovo contraente ed in che termini il Ministero ha intenzione di prenderne possesso;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa confermare quanto indicato nella nota riportata in premessa dalla quale si apprende che il nuovo aggiudicatario potrà creare un sistema con una logica completamente nuova, senza utilizzo di ulteriori risorse per strumentazioni già disponibili.
(4-13331)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il «rapporto nazionale pesticidi nelle acque» presentato da Ispra in questi giorni, contiene i dati delle indagini svolte nel biennio 2013-2014 sulla presenza di pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee, in termini di frequenza di ritrovamento e distribuzione dei valori delle concentrazioni;
   a livello nazionale, nelle acque superficiali nel 2014, su un totale di 1284 punti di monitoraggio analizzati, 821 (63,9 per cento) sono contaminati da pesticidi, 529 dei quali (41,2 per cento) con concentrazioni superiori ai limiti dell'acqua potabile. Nelle acque sotterranee nell'anno 2014, su un totale di 2463 punti di monitoraggio, 780 (31,7 per cento) sono contaminati, 221 dei quali (9,0 per cento) sopra ai limiti dell'acqua potabile. I livelli sono generalmente più bassi nelle acque sotterranee, ma residui di pesticidi sono presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili;
   Pietro Paris, responsabile sostanze pericolose dell'Ispra, ha pubblicamente dichiarato che la copertura del territorio nazionale, tuttavia, è ancora largamente incompleta, soprattutto per quanto riguarda le regioni centro-meridionali. Infatti, due regioni, il Molise e dalla Calabria, non hanno inviato nessun dato, mentre i dati per le acque sotterranee, non sono stati riportati da ben cinque regioni (oltre a quelli di Calabria e Molise, mancano i dati Basilicata, Campania e Puglia);
   in alcune regioni la contaminazione è molto più diffusa del dato nazionale, arrivando a interessare oltre il 70 per cento dei punti delle acque superficiali, come in Veneto, in Lombardia, in Emilia Romagna, con punte del 90 per cento in Toscana e del 95 per cento in Umbria. Nelle acque sotterrane la diffusione della contaminazione è particolarmente elevata in Lombardia con il 50 per cento dei punti, in Friuli con il 68,6 per cento in Sicilia con il 76 per cento;
   nonostante esistano tecniche di coltivazione che fanno a meno, o riducono la necessità di prodotti chimici, come l'agricoltura biologica, l'agricoltura integrata o l'agricoltura di precisione (tecnica agricola di precisione che mira all'esecuzione di interventi agronomici tenendo conto delle effettive esigenze colturali e delle caratteristiche biochimiche e fisiche del suolo impiegando una strategia gestionale all'avanguardia e moderne strumentazioni), in Italia, solo in agricoltura si utilizzano circa 130.000 tonnellate all'anno di prodotti fitosanitari [ISTAT, 2014], che contengono circa 400 sostanze diverse. Mentre per i biocidi (pesticidi in grado di distruggere una grande varietà di organismi appartenenti a gruppi più o meno distinti tra loro) non si hanno informazioni analoghe sulle quantità e manca un'adeguata conoscenza degli scenari d'uso e della distribuzione geografica delle sorgenti). Nel complesso sono state cercate 365 sostanze, ma il rapporto evidenzia che le regioni cercano in media 73 sostanze nelle acque superficiali e 72 in quelle sotterranee (quando sono posti in commercio nel Paese 400 principi attivi);
   le sostanze che determinano il maggior numero di casi di superamento dei limiti, sono il glifosato (una sostanza considerata probabilmente cancerogena dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità) e il metabolita AMPA, che sono cercati esclusivamente nelle regioni Lombardia e Toscana e, solo dal 2014, sono presenti con frequenze rispettive del 19,1 per cento e del 41 per cento;
   nelle acque superficiali la percentuale di punti contaminati è aumentata di circa il 20 per cento in quelle sotterranee di circa il 10 per cento. Inoltre, i dati rilevano come sia aumentato il numero medio di sostanze nei campioni, infatti sono state trovate fino a un massimo di 48 sostanze diverse contemporaneamente. Dagli studi prodotti finora emerge che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del componente più tossico. Gli organismi acquatici sono sottoposti ad esposizione multipla. Nel 45,3 per cento dei punti delle acque superficiali monitorati, infatti, ci sono almeno due sostanze, e nel 7,8 per cento dei punti ci sono più di 10 sostanze. Nel 17,6 per cento dei punti delle acque superficiali ci sono almeno 2 sostanze, e nel 2 per cento più di 10. Il fenomeno è probabilmente sottostimato, come già evidenziato il numero di sostanze cercate, infatti, è generalmente non abbastanza rappresentativo di tutte quelle usate nel territorio;
   le acque superficiali e le acque sotterranee, in cui confluiscono i pesticidi, possono essere fonte di approvvigionamento di acqua potabile. Anche i prodotti della terra costituiscono fonte di alimentazione per uomini ed animali. La presenza di pesticidi nell'acqua e negli alimenti è confermata da indagini svolte a livello comunitario [EFSA, 2015; EEA, 2011]. L'indagine, condotta dall'EFSA ha pubblicato nel 2013 un rapporto [EFSA, 2015] sui risultati del monitoraggio dei pesticidi negli alimenti. Pone in particolare rilievo la presenza di miscele di sostanze negli alimenti. In questo rapporto, le lacune conoscitive non consentono un'adeguata valutazione del rischio, che ad oggi è basato sulla singola sostanza, con una possibile sottostima del rischio complessivo, in quanto ad oggi la normativa europea non prevede una valutazione completa e integrata degli effetti cumulativi dei vari componenti di una miscela in relazione anche alle diverse vie di esposizione. Permangono, come si rileva da numerosi fonti scientifiche, le preoccupazioni in relazione alla molteplicità delle miscele di composizione non nota riscontrabili nell'ambiente. Sono escluse, inoltre, dalla vigente valutazione del rischio, quelle sostanze chimiche la cui singola concentrazione è al di sotto del livello di non effetto, ma la cui azione congiunta con altre potrebbe dar luogo ad una tossicità complessiva rilevante. La causa più preoccupante, però, è la persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende i fenomeni di contaminazione ambientale difficilmente reversibili;
   i dati riportati dal rapporto dell'Istat evidenziano che ad oggi non c’è ancora un quadro nazionale completo della presenza di residui di pesticidi nelle acque, per tutta una serie di cause: copertura incompleta del territorio, disomogeneità del monitoraggio, assenza dai protocolli regionali delle sostanze immesse sul mercato negli anni più recenti. Questo fa sì che i dati dell'entità e della diffusione dell'inquinamento non sono sufficientemente noti, considerando anche che il fenomeno è sempre in evoluzione per l'immissione sul mercato di nuove sostanze –:
   in considerazioni dei preoccupanti elementi evidenziati in premessa, quali siano le iniziative che il Governo intenda adottare affinché venga garantito un omogeneo, completo ed efficiente monitoraggio sulla presenza dei pesticidi e, più in generale, anche sulla presenza di miscele di agrofarmaci;
   se il Governo, per quanto di competenza, intenda promuovere tutte le iniziative necessarie a garantire la copertura uniforme su tutto il territorio nazionale per tale monitoraggio, e nello specifico quali azioni intenda promuovere ed intraprendere;
   se il Governo intenda adottare iniziative per garantire un'opportuna omogeneità dei monitoraggi e della loro elaborazione e dei relativi protocolli a livello nazionale;
   quali iniziative di competenza si intendano intraprendere con riferimento ai casi in cui dalle regioni non siano stati forniti i dati necessari alla realizzazione del monitoraggio;
   se il Governo, a fronte di quanto riportato in premessa, non reputi doveroso modificare il piano nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, introducendo vincoli molto più stringenti per la riduzione dell'uso degli agrofarmaci;
   se il Governo, per quanto di competenza, non intenda avviare iniziative che favoriscano forme di agricoltura meno impattanti, dal biologico all'integrato fino all'agricoltura di precisione. (4-13334)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI BENEDETTO, LOMBARDI, FRUSONE, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno 2009, presso il comune di San Cesareo, nella zona a sud est di Roma, lungo l'antico tracciato della Via Labicana, in località «Colle Noce», una serie di campagne di scavo archeologico preliminare alla costruzione di un piano integrato, portava alla luce i resti di un esteso settore termale e di una necropoli, tutti databili dalla fine dell'età repubblicana al IV secolo d.c. e identificati come facenti parte del complesso imperiale di Cesare e Massenzio;
   malgrado le proteste dei comitati locali che miravano all'ottenimento su tutta l'area di un vincolo indiretto, il consiglio comunale di San Cesareo adottava il programma integrato di intervento denominato «La Pietrara» con contestuale adozione di variante urbanistica che prevedeva la costruzione in loco di un complesso residenziale e di un edificio di culto;
   in data 26 febbraio 2013, viste le difficoltà procedurali nell'approvazione del piano su citato, la diocesi di Palestrina «invitava» l'amministrazione comunale di San Cesareo a estrapolare temporaneamente l'edificio di culto dal piano integrato per facilitarne l'approvazione;
   in data 5 agosto 2014, perciò, veniva presentato all'ufficio comunale di San Cesareo il progetto definitivo del nuovo complesso parrocchiale denominato «San Giuseppe», con richiesta della sua approvazione, ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 e contestuale adozione di variante urbanistica;
   la regione Lazio, tramite la direzione regionale territorio, urbanistica, mobilità e rifiuti, in occasione della conferenza dei servizi del 23 settembre 2014, affermava che: «il PRG vigente nel comune di San Cesareo classifica l'area interessata dal suddetto progetto come zona E2 agricola, sovrapposta a Zona di rispetto stradale, e quindi il PRG adottato con DCC n. 54/2002, che identifica la zona come C1 (destinate a nuova edificazione), non è ad oggi approvato. Tale intervento costituirebbe variante al vigente strumento urbanistico, anticipando tuttavia le previsioni del Pr. int. «la Pietrara», attribuendo all'ambito in questione la zona F (zone di uso pubblico);
   a seguito della conferenza di servizi del 16 dicembre 2014 la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo esprimeva parere negativo alla realizzazione delle opere dichiarando: «L'area interessata ricade all'interno del PRG vigente in zona agricola E- sottozona E2 e di Rispetto Stradale (...) mentre la variante che si propone trasformerà l'area, sia rispetto al PRG vigente sia al PRG adottato, in zona F- zone di uso pubblico, suddivisa in F1- sottozona per attrezzature pubbliche in F2 sottozona per parcheggi pubblici e F3 sottozona per verde pubblico. La Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio, dichiara il proprio parere favorevole limitatamente alla realizzazione del nuovo complesso parrocchiale con le relative stringenti prescrizioni circa la valorizzazione del tratto di muratura rinvenuta nel corso delle indagini preventive negli anni 2010 e 2011 e la necessità di estenderle alle aree all'epoca non sondate con l'avvertenza e precisazione che future ed eventuali allo stato dei fatti non valutabili nuove acquisizioni saranno oggetto di provvidenze puntuali da parte di questo ufficio e potranno determinare la necessità di apportare al progetto modifiche anche sostanziali»;
   il rappresentante dell'Archeologia del Lazio e dell'Etruria meridionale, in conferenza di servizi del 23 marzo 2016, rilasciava parere di massima favorevole ma con alcune prescrizioni aventi a oggetto l'allontanamento della struttura del complesso parrocchiale «quanto più possibile» dal confine dell'area archeologica, nonché l'inserimento nell'area archeologica del tratto terminale del portico pertinente alla villa romana in adiacenza, e, infine, l'effettuazione di accurate e complete indagini stratigrafiche nell'area destinata all'edificazione dell'intervento. Non si comprende, però, come l'osservanza delle prescrizioni impartite possa essere verificata data l’«estrema» genericità delle stesse;
   dalla presentazione del primo piano integrato (PIN) ad oggi, la continuazione degli scavi ha condotto a nuove scoperte riguardanti settori residenziali della Villa disposti intorno a un ampio porticato; le strutture erano tutte dotate di una ricca decorazione parietale e le pavimentazioni rinvenute constavano di mosaici a motivi geometrici e policromi;
   gli scavi nelle aree limitrofe interessate dal piano integrato hanno portato alla luce circa 10 metri della via Labicana in perfetto stato di conservazione su cui si sviluppa un'ampia ed importante area funeraria nella quale sono stati ritrovati diversi oggetti preziosi;
   nonostante l'importanza dei reperti e le restrizioni presenti, l'area non risulta ancora oggi sottoposta al vincolo indiretto previsto per legge e necessario a garantire la fruibilità piena del bene archeologico;
   al contrario, i comitati cittadini, verificano quotidianamente un totale stato di abbandono dell'area e dei beni ivi rinvenuti, oltre che di mancata osservanza delle prescrizioni. In un esposto inviato alla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, i su citati comitati hanno evidenziato il mancato rispetto delle disposizioni a tutela della zona di vincolo, la mancata recinzione e quindi la mancata separazione della zona di vincolo dal resto del piano integrato, oltre che, infine, la presenza nella stessa di un cantiere edile. Avverso il perdurante silenzio dell'amministrazione, il Comitato di difesa del territorio ha interpellato il Ministro Franceschini, e il Santo Padre e recentemente ha lanciato una petizione per richiedere la partecipazione delle numerose associazioni e comitati del territorio all'appello inoltrato al Vescovo Sigalini della diocesi di Palestrina, per lo spostamento del progetto della chiesa in un'altra area di San Cesareo;
   come rilevato dal Comitato difesa del territorio, anche l'area che si sviluppa attorno a San Cesareo racchiude alcuni beni di grande valore storico-artistico come il Tempio della Dea Fortuna di Palestrina, l'antica città di Gabi a Zagarolo, la Valle degli acquedotti a Gallicano, le Ville Adriana, d'Este e Gregoriana a Tivoli. Tali monumenti potrebbero costituire i punti di un percorso archeologico e determinare un indubbio beneficio economico, turistico e culturale per l'intero territorio;
   l'articolo 9 della carta fondamentale dispone la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico e artistico della nazione;
   il decreto legislativo n. 42 del 2004 definisce l'esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, a individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione –:
   se sia stata adeguatamente ponderata l'ipotesi di un percorso archeologico come su descritta;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per la tutela dei beni archeologici rinvenuti nel sito;
   quali iniziative, per quanto di competenza, sano state già adottate;
   quale sia l'orientamento del Ministro rispetto alla proposta della diocesi di Palestrina di estrapolazione del progetto della chiesa dal piano integrato per favorirne la costruzione;
   quali costi comportino gli oneri progettuali sin qui sostenuti, sebbene parzialmente a carico della CEI. (5-08794)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da qualche anno la Fondazione Arena di Verona, che gestisce le rappresentazioni liriche dell'antico anfiteatro «Arena», vive momenti segnati da un forte indebitamento;
   da più parti si sono alzate le voci che denunciano il protrarsi, ormai da qualche anno, della mala gestio dovuta al management del consiglio d'indirizzo della Fondazione, presieduto sindaco di Verona, Flavio Tosi;
   da parte dei media locali si evidenziano critiche alle posizioni direzionali della Fondazione Arena che, attraverso il sovrintendente Girondini, non sarebbe riuscita a valorizzare adeguatamente questa grande risorsa per la città di Verona capace di generare, in corrispondenza con il festival lirico estivo, oltre 400 mila biglietti per gli spettacoli all'aperto ed un indotto per la città di oltre 500 milioni di euro annui;
   numeri significativi che, difficilmente, consentono di accettare la situazione di dissesto resasi veramente preoccupante e manifesta negli ultimi 3 anni: nel bilancio 2014 si contano oltre 30 milioni di euro di passività, ed il prossimo bilancio potrebbe essere anche più allarmante;
   dato che la cosiddetta «legge Veltroni», istitutiva delle fondazioni lirico-sinfoniche prevede il commissariamento se per due esercizi consecutivi vi sono perdite superiori al 30 per cento del patrimonio, il sindaco Tosi, nella sua doppia veste anche di presidente del consiglio d'indirizzo della Fondazione Arena, ha deciso di aumentare il patrimonio della Fondazione attraverso il conferimento di due immobili da parte del comune: la sede della biglietteria ed un magazzino per le scenografie;
   il commissariamento, ormai intervenuto alla metà del mese di aprile 2016, per il sindaco Tosi costituisce una cocente sconfitta della sua amministrazione, poiché esso stesso ha sempre sostenuto il consiglio di gestione che ha amministrato la Fondazione negli ultimi 8 anni;
   questo commissariamento giunge in un momento nel quale la Fondazione sembrava non poter rispettare i parametri indicati dalla cosiddetta «legge Bray», secondo i quali l'equilibrio di bilancio dovrebbe essere raggiunto entro 3 anni (prorogati con l'ultima legge finanziaria sino al termine del 2018), a pena della liquidazione coatta amministrativa;
   in estrema sintesi, «la legge Bray», legge n. 112 del 2013, prevede che le fondazioni lirico sinfoniche (in Italia sono 14), in alcuni casi, possano accedere ad un prestito agevolato erogato da un fondo di 75 milioni di euro, gestito da un commissario del Governo la cui restituzione viene dilazionata in 30 anni;
   per poter avere accesso al prestito si deve integrare uno di questi 3 requisiti: essere fondazioni commissariate, oppure avere problemi di liquidità anche nell'immediato ovvero aver già impegnato il patrimonio della fondazione;
   le fondazioni che accedono al prestito devono necessariamente presentare un piano di risanamento al commissario governativo da attuarsi in tre anni;
   questo piano di risanamento deve contenere, la riduzione della dotazione organica del personale tecnico e amministrativo fino ad un massimo del cinquanta per cento di quella esistente ed una razionalizzazione del personale artistico, oltre alla cessazione dell'efficacia dei contratti integrativi aziendali in vigore, oltre a «l'individuazione di soluzioni idonee, compatibili con gli strumenti previsti dalle leggi di riferimento del settore, a riportare la fondazione, entro i tre esercizi finanziari successivi, nelle condizioni di attivo patrimoniale e almeno di equilibrio del conto economico»;
   per le fondazioni che, accedendo al prestito, non riescano poi a raggiungere, nei tre anni successivi, il risanamento dei bilanci ed il raggiungimento dell'equilibrio economico, è prevista, come anticipato, la liquidazione coatta amministrativa;
   la liquidazione coatta è prevista, altresì, per quelle fondazioni che, pur non accedendo al prestito, non abbiano raggiunto il risanamento nel triennio;
   in questo quadro, i piani di risanamento devono avere l'accordo dei sindacati maggiormente rappresentativi;
   la stessa normativa prevede che la gestione passi per la figura apicale del sovrintendente e la trasformazione del consiglio di amministrazione in consiglio di indirizzo, così concentrando, di fatto, i poteri nelle mani del sovrintendente;
   il sindaco Tosi, anche quale presidente della Fondazione Arena per far fronte alla situazione di crisi dell'ente lirico aveva invitato le maestranze ad accettare il taglio del personale nella misura del 50 per cento, prevedendo 81 esuberi, secondo il piano del nuovo direttore operativo;
   in alternativa all'accordo con i dipendenti, il sindaco avrebbe preferito, a giudicare dal tenore delle dichiarazioni rilasciate alla stampa negli ultimi mesi, la liquidazione della Fondazione, con il licenziamento di tutti i dipendenti, mettendo così a rischio la realizzazione della stagione lirica estiva 2016, ormai alle porte;
   ciò avveniva nei primi mesi del 2016 quando a Verona è stato chiamato un nuovo direttore operativo, Francesca Tartarotti che, in passato, aveva seguito la fondazione lirica «Maggio Fiorentino», prevedendo anche in quel caso notevoli tagli al personale;
   alcuni rappresentanti sindacali dei lavoratori hanno dichiarato ai media che questa nuova nomina, avvenuta in un contesto di estremo indebitamento per la Fondazione Arena, prevedeva l'esborso di complessivi euro 630.000, per il pagamento degli emolumenti e rimborsi al direttore operativo, dottoressa Francesca Tartarotti;
   questa carica è da intendersi «nuova» in quanto non va a sostituire alcuna altra figura già presente nel consiglio di indirizzo e pertanto costituisce un nuovo costo per la Fondazione Arena;
   il nuovo direttore operativo, che ha assunto la carica dal primo febbraio 2016, dovrebbe percepire per quattro anni ed otto mesi, sino alla stagione lirica del 2020, oltre al trattamento di fine mandato, 135.000 euro annui, 20.000 euro in più del Presidente del Consiglio e dei ministri della Repubblica;
   i costi del management della Fondazione Arena è a livelli molto alti se vengono valutati in relazione alle altre fondazioni liriche, e considerando il sovrintendente della Fondazione, Girondini, perito agrario nominato dal sindaco Tosi, che ha percepito negli ultimi anni euro 200.000 annui, la dirigenza si attesta ai livelli di remunerazione più alti d'Italia nel panorama delle fondazioni liriche italiane;
   in questa situazione s'inserisce un cospicuo bando di gara, per euro 200.000, per lo studio di un piano industriale triennale di rilancio e risanamento che sia sostenibile, quasi ad ammettere, come riferiscono articoli di stampa locale, quelle che apparirebbe l'incompetenza gestionale della dirigenza dell'ente, che, sebbene lautamente pagata da anni, non riesce effettivamente a predisporlo con le risorse manageriali interne;
   caso non nuovo in quanto, già nel giugno 2015, un report contabile della fondazione era già stato redatto dalla società di revisione KPMG, costato una somma che si avvicina ad euro 180.000, e dalle risultanze sconcertanti: negli anni 2012-2014 si sarebbero verificati un «significativo incremento» dei debiti verso i fornitori ed un «sensibile peggioramento» dell'esposizione bancaria;
   secondo le risultanze del report citato i conti della Fondazione, con la gestione Tosi-Girondini, negli ultimi 4 anni, avrebbero avuto un vero tracollo: «un peggioramento di circa 23 milioni di euro» della situazione patrimoniale con l'esposizione verso le banche incrementatasi «da 3 milioni nel 2011 a 16,2 milioni nel 2014» mentre i debiti verso fornitori «da 3,3, milioni nel 2011 a 11,5 nel 2014»;
   altro capitolo della travagliata vicenda è costituito dalla società Arena Extra Srl una società unipersonale, avente quale unico socio la Fondazione Arena, impegnata nella gestione di tutti gli eventi che non riguardano la musica lirica e che è gestita dallo stesso sovrintendente della Fondazione Arena, Francesco Girondini, quale amministratore unico;
   questa società, che materialmente gestisce gli eventi extra-lirica, dovrebbe essere un collettore di utili da riversare sul socio unico, la Fondazione Arena, ma così non è, l'Arena Extra Srl, infatti, risulta non pagare alcun utile alla Fondazione Arena;
   peraltro, nell'anno 2013, Tosi, presidente della Fondazione, e il sovrintendente Girondini, anche amministratore unico della Arena Extra Srl, decidono di far acquistare all'Arena Extra dalla Fondazione un ramo d'azienda per oltre 12 milioni di euro, consistenti in alcune «poste patrimoniali» che, altro non sono, che costumi, beni a magazzino e documentazioni storiche d'archivio; ciò risulta dal documento XV, n. 269 «Determinazione e relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria delle Fondazioni lirico-sinfoniche, per l'esercizio 2013»;
   tale operazione presenterebbe la particolarità della mancanza del pagamento da parte dell'Arena Extra, poiché quest'ultima non disporrebbe della liquidità per farvi fronte; pertanto, come comparso su alcuni quotidiani nazionali, sembrerebbe che questa cessione di beni abbia consentito alla Fondazione di inserire nel bilancio, tra le poste attive, il credito vantato verso Arena Extra;
   un terzo aspetto che ha appesantito lo stato delle passività dell'ente è costituito dal Museo AMO (il museo dell'opera della Fondazione Arena) il quale costa alla Fondazione circa un milione di euro all'anno, ottenendo ricavi per soli 100.000 euro annui, così come si evince dalla lettura della «Determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria delle fondazioni lirico-sinfoniche» del 2013 della Corte dei Conti, delibera n. 44/2015;
   la stessa relazione della Corte dei conti evidenzia come, per l'anno 2013, la Fondazione Arena, tra gli enti lirici italiani, sia riuscita ad ottenere ricavi per ciascun dipendente pari ad euro 117.100, seconda solo alla Scala di Milano (euro 128.800);
   non si comprende, pertanto, stante l'elevatissima resa dei dipendenti in relazione ai ricavi, come sia riuscito il management in carica dal 2008 a provocare il dissesto economico-finanziario nel quale versa attualmente la Fondazione Arena;
   in data 15 aprile 2016 si è appreso che il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini ha firmato il decreto di commissariamento per la Fondazione Arena di Verona, nominando commissario Carlo Fuortes, docente di «Sistemi organizzativi dello spettacolo dal vivo» al Dams presso l'Università Roma Tre, direttore generale del Palazzo delle Esposizioni e delle Scuderie del Quirinale dal 2002 al 2003, per 12 anni amministratore delegato del Parco della Musica di Roma, ed artefice del salvataggio dell'Opera della Capitale, della quale è sovrintendente dalla fine del 2013;
   in due anni, attuando una ristrutturazione di un debito di oltre 60 milioni di euro, anche grazie all'adesione alla legge Bray, è riuscito a riportare in equilibrio il bilancio dell'opera della Capitale;
   Fuortes avrà il mandato di garantire lo svolgimento della stagione lirica 2016 all'Arena, e di verificare se, entro il termine previsto dalla legge del 30 giugno 2016, le condizioni della Fondazione possano permettere di adempiere ai parametri stabiliti dalla legge Bray per accedere al percorso di risanamento o, in caso contrario, di avviare la sua liquidazione;
   tale nomina avviene in un momento nel quale il sindaco Tosi, stante il mancato accordo con le sigle sindacali per concordare il piano di ristrutturazione del personale, aveva dichiarato alla stampa di preferire la liquidazione coatta amministrativa della Fondazione, mettendo a rischio 300 lavoratori, ovvero l'affidamento della gestione della stagione lirica estiva ad una società privata, l'Arena Lirica spa, sostenuta da una compagine societaria formata da soggetti pubblici, quali il comune di Verona, la camera di commercio di Verona, la Fondazione Cariverona, oltre ad un fondo di investimento ed alcuni privati, che si erano offerti per questa gestione pro tempore, scatenando accese polemiche;
   si auspica che il commissario possa fare chiarezza sulla gestione della Fondazione Arena nel periodo 2008-2016 e che riesca, nello sviluppo di un progetto gestionale e artistico di rilancio che garantisca una concreta valorizzazione delle potenzialità della Fondazione Arena quale ente lirico che, storicamente, nello scenario europeo ed internazionale della musica lirica, propone spettacoli dal vivo in un contesto strutturale e scenografico unico nel suo genere –:
   se ritenga di dover approfondire la vicenda descritta in premessa al fine di verificare se siano state pienamente rispettate le previsioni di legge e regolamentari ovvero le norme statutarie relativamente agli atti di gestione posti in essere dal management della fondazione nel periodo 2008-2016, e verificare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità anche in relazione a possibili conflitti d'interesse. (5-08798)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato su « Articolo 21» dal titolo «Bavaglio ai Beni Culturali e Paesaggistici. Vietato criticare e denunciare il caos» a firma di Vittorio Emiliani si evince che, dal 1o febbraio 2016, vige una circolare firmata a Roma dall'allora Soprintendente archeologico, architetto Francesco Prosperetti, in base alla quale «le modalità di comunicazione agli organi di informazione (giornali, radio, tv) relative ad attività istituzionali dovranno essere preventivamente sottoposte al Dirigente per il tramite dell'addetto stampa e/o delle strutture istituzionali». In caso urgente rivolgersi «direttamente al Dirigente» (tutto maiuscolo). Attenzione perché «ogni iniziativa autonomamente presa dalle SS.LL in maniera difforme è ritenuta non consona al disposto dell'articolo 3 comma 8 del Codice di Comportamento». Se le Signorie Loro ci rifanno come «apparso in più occasioni sulla stampa», l'azione disciplinare è inevitabile. Automatica»;
   la Fp Cgil ha protestato attraverso il suo segretario nazionale Salvatore Chiaramonte, il quale richiamandosi all'articolo 21 della Costituzione sulla «libertà di espressione», definendola «una disposizione vergognosa e pericolosa che squalifica chi l'ha emanata e chi l'ha ispirata e che la dice lunga sulla coscienza democratica di chi ci governa»;
   tranne poche voci di stampa, anzitutto « Il Fatto Quotidiano», e ancor meno emittenti tv (essenzialmente La7, la Rai in proposito è quasi muta pur essendo «servizio pubblico» finanziato al 66 per cento da abbonati), il silenzio stampa è sceso sulla denuncia dei cento e cento attentati alla tutela dei beni culturali e paesaggistici in nome della «valorizzazione» di alcuni di loro, cioè del «far soldi» e poco più;
   vige, quindi, un «codice etico» in base al quale «il dipendente (di qualunque grado sia, ndr) – fatto salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini – si astiene da dichiarazioni pubbliche, orali e scritte che siano lesive dell'immagine e del prestigio dell'Amministrazione». Lesive a giudizio dei superiori;
   a giudizio dell'interrogante ciò vuol dire l'applicazione di una sorta di bavaglio, di fatto totale – proprio in questi mesi di sconvolgimento delle strutture del Ministero dei beni culturali e ambientali – mentre le Soprintendenze vengono assurdamente accorpate annegando ogni specificità e predestinate («legge Madia») a finire gerarchicamente sotto prefetti e prefetture. Il funzionario che parla o scrive senza permesso delle gerarchie ministeriali rischia molto. Tanto più in questo periodo in cui le nomine avvengono spesso per decisione tutta «politica»;
   i funzionari, dunque, non potranno far conoscere il perché molti di loro rinunciano a dirigere musei raggruppati soltanto sulla carta e quindi insensatamente distanti chilometri e chilometri l'uno dall'altro o divulgare la effettiva paralisi che ha investito anche grandi musei i cui consigli di amministrazione, spaventati dalla mancanza di risorse e dalla responsabilità davanti alla Corte dei conti, non decidono nulla. O ancora non verrà espresso da nessuno il caos imperante ovunque in forza di decisioni prese dall'alto senza alcuna consultazione dei tecnici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   come si concili questa circolare interna al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con la libertà d'espressione sancita dalla carta costituzionale. (4-13333)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, ALBERTI, COMINARDI e SORIAL. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali sembrerebbe che il Ministero dell'interno abbia deciso di utilizzare l'ex Caserma «Serini», sita in Montichiari (BS), come base logistica per lo smistamento dei profughi nelle zone del nord Italia;
   sussisterebbe, quindi, un piano del Governo finalizzato a rendere l'ex struttura militare una sorta di hub per la concentrazione e la successiva suddivisione delle unità di cittadini extracomunitari provenienti dai Paesi in guerra e da altre zone critiche del mondo;
   ad oggi, però, la caserma presenta una condizione strutturale fatiscente e non è in grado di ospitare alcun cittadino, nonostante nel territorio della provincia di Brescia si conti attualmente una presenza di immigrati di circa 1.800 unità, vale a dire un profugo ogni 650 residenti;
   al fine di sopperire alla lacune strutturali della «Serini», le medesime fonti giornalistiche riportano la realizzazione di una tendopoli provvisoria in grado di ospitare al massimo 180 persone;
   la caserma Serini è una ex caserma dell'Esercito e faceva parte di tutto quel pacchetto delle dismissioni militari, presa in carico dal Ministero dell'interno per realizzarvi un centro di accoglienza straordinaria (CAS), in quanto il solo CAS di Milano non è più in grado di gestire tutto lo smistamento che deve essere assicurato secondo il piano del Ministro Alfano;
   è di tutta evidenza che la mancata realizzazione del CAS preventivato, in luogo di una mera tendopoli provvisoria, comporterebbe problemi non solo di capienza, ma anche di tipo sanitario dei soggetti ivi presenti, così come presagito anche dalle autorità locali, come il sindaco di Montichiari ed il prefetto di Brescia;
   sarebbe auspicabile, invece, effettuare una indagine preliminare circa lo stato di sicurezza igienico-ambientale della ex caserma, non solo nella prospettiva dell'ospitalità degli extracomunitari, ma anche perché la struttura è stata in passato un luogo di manutenzione missilistica con potenziali contaminazioni dell'ambiente;
   è inoltre noto che l'area della caserma Serini, confinante con l'aeroporto di Montichiari e con la base di Ghedi, è circondata da ben undici discariche e adiacente all'area individuata per il collegamento del TAV –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se verrà allestito un presidio medico/sanitario per il controllo della salute dei migranti e per le eventuali emergenze sanitarie che possono sorgere all'interno di una tendopoli;
   se non si ritenga opportuno bloccare questo progetto a giudizio degli interroganti fallimentare ed inopportuno, in quanto non si adegua agli standard dei centri di accoglienza straordinari, ideati per sopperire a situazioni di emergenza e non di stabile permanenza;
   se non si ritenga possibile identificare, in luogo della caserma Serini, una differente struttura militare nei pressi della città di Brescia già strutturalmente pronta ad accogliere i profughi;
   quale ente pubblico sosterrà i costi di realizzazione e di gestione della tendopoli all'interno della caserma Serini;
   se ci sia o ci sia stata una reale e fattibile pianificazione per l'insediamento del centro di accoglienza straordinaria di Montichiari e, in tal caso, se si intenda rendere fruibile la documentazione in virtù del principio di trasparenza e per assicurare il coinvolgimento della cittadinanza di Montichiari e dintorni;
   se sia stato predisposto un piano di bonifica dell'area ex caserma Serini dopo che il bene sia stato alienato dal Ministero della difesa al Ministero dell'interno, prima dell'insediamento del presunto centro di accoglienza straordinaria. (5-08791)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO, FRUSONE, BASILIO, CORDA e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il fondo efficienza servizi istituzionali (F.E.S.I.) di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 2007 per l'anno 2015, in considerazione della diminuzione del personale di Esercito, Marina e Aeronautica, sarebbe in aumento sia rispetto allo scorso anno che rispetto a quello che percepirà il personale delle capitanerie di porto (che non ha subito riduzioni);
   su richiesta dello Stato Maggiore della Difesa, il Co.Ce.R. comparto difesa ribadiva, con delibera 45/XI il proprio parere favorevole affinché si utilizzassero parte delle risorse della Difesa per le esigenze del Corpo delle capitanerie al fine di riconoscere la medesima quota pro-capite al personale;
   lo Stato maggiore della difesa in data 18 maggio 2016 inviava per conoscenza agli Stati Maggiori di Forza armata lo schema di decreto del Ministro della difesa;
   nella suddetta bozza all'articolo 4, comma 2, si scrive: «I compensi di cui al comma precedente saranno incrementati fino alla concorrenza delle misure riconosciute al personale delle Forze Armate, in ragione di ulteriori integrazioni delle risorse finanziarie e di bilancio attestate presso il Ministero delle Infrastrutture e trasporti»;
   dalla suddetta dicitura non si evince che sia stato accolto quanto deliberato dal Co.Ce.R. comparto difesa con delibera 45/XI cioè che si utilizzino parte delle risorse della Difesa per le esigenze del Corpo delle capitanerie al fine di riconoscere la medesima quota pro-capite al personale –:
   se il Ministro intenda accogliere quanto deliberato dal Co.Ce.R. comparto difesa;
   se il Ministro sia a conoscenza del fatto che il Co.Ce.R. abbia espresso parere come previsto dalla normativa vigente sullo schema di decreto ministeriale predisposto. (4-13338)


   COZZOLINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   gli articoli 1465 e seguenti del codice dell'ordinamento militare garantiscono ai militari i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini e gli articoli 1352 e seguenti regolamentano il potere sanzionatorio in ambito disciplinare;
   il comandante interregionale dei carabinieri «Podgora», con provvedimento datato 12 aprile 2016 ha nominato l'ufficiale inquirente e disposto a carico del maresciallo, Antonio Cautillo un procedimento disciplinare di stato, teso ad allontanarlo dal servizio;
   l'Amministrazione della difesa, che risulterebbe a conoscenza diretta dei fatti dal lontano 31 agosto 2007, ha instaurato il procedimento disciplinare il 19 aprile 2016 con le contestazioni dell'ufficiale inquirente;
   l'articolo 1393 del codice militare, in vigore dal 28 agosto 2015, stabilisce: «In caso di procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziario, si applica la disciplina in materia di rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale di cui all'articolo 55-ter del decreto-legge n. 165 del 2001» che dispone: “Il procedimento disciplinare che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziario, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale”»;
   appare all'interrogante lapalissiano che il procedimento disciplinare sia stato avviato al di fuori ed in spregio dei termini perentori previsti dagli articoli 1392 comma 2 del Codice dell'ordinamento militare e 1032 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, il cui superamento avrebbe dovuto comportare la decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare;
   il carabiniere, difendendosi, ha inviato l'esposto n. 33 al Ministro della difesa, datato 14 maggio 2016, evidenziando fatti di rilievo penale ed estrema gravità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e quali iniziative di competenza intendano assumere in merito. (4-13340)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'avviso denominato «Ritorno al Futuro» l'amministrazione regionale pugliese è intervenuta a sostegno dei giovani laureati disoccupati ed inoccupati, valorizzandone le capacità e le potenzialità creative, professionali ed occupazionali;
   tale bando aveva la finalità generale di sostenere finanziariamente e tecnicamente la crescita della qualificazione professionale del segmento più scolarizzato della gioventù pugliese, al fine di accrescere la dotazione di competenze e conoscenze;
   l'azione intendeva concedere borse di studio, secondo quanto previsto dalla legge regionale n. 12 del 2009 «Misure in tema di borse di studio a sostegno della qualificazione delle laureate e dei laureati pugliesi», per la frequenza di:
    a) master post lauream erogati da università italiane e straniere, pubbliche e private riconosciute dall'ordinamento nazionale;
    b) master post lauream accreditati ASFOR o EQUIS o AACSB o riconosciuti da Association of MBAS (AMBA), erogati da istituti di formazione avanzata sia privati sia pubblici;
    c) master post lauream erogati da istituti di formazione avanzata, sia privati sia pubblici, che abbiano svolto, continuativamente, dal giugno 2003 al giugno 2013 attività documentabile di formazione post lauream come da allegati A e A1;
   sono stati finanziati gli interventi di formazione per i quali era prevista la conclusione, compreso l'eventuale esame finale, entro il termine improrogabile del 31 luglio 2015;
   destinatari della borsa di studio sono stati i soggetti nati successivamente alla data del 25 luglio 1978 oppure, nel caso di soggetti diversamente abili di cui agli elenchi della legge n. 68 del 1999, nati successivamente alla data del 25 luglio 1976;
   gli interventi di cui al suddetto avviso, a titolarità regionale ai sensi della legge regionale n. 15 del 2002 e successive modificazioni e integrazioni, sono stati finanziati con le risorse del programma operativo regionale Puglia per il fondo sociale europeo 2007/2013 – Obiettivo 1 convergenza, asse IV – capitale umano, per un importo complessivo di euro 18.000.000,00;
   il bando metteva a disposizione dei fondi per la frequenza di master. Le borse di studio avevano un diverso ammontare a seconda che i master si svolgessero:
    in regione, borsa di 7.500 euro;
    in Italia, borsa di 15.000 euro;
    all'estero, borsa di 25.000 euro;
   le borse erano finanziate, come detto, per il 50 per cento dalla Unione europea e per il restante 50 per cento da Stato (40 per cento) e Regione Puglia (10 per cento);
   all'atto dell'adesione al bando, la regione ha provveduto ad informare i partecipanti della disciplina fiscale delle borse di studio: «Alla luce di quanto sopra esposto l'amministrazione regionale, all'atto di erogazione delle borse, opererà la ritenuta fiscale limitatamente alla quota di contributo a carico dello Stato (40 per cento) e della Regione (10 per cento)»;
   secondo legge, per la suddetta borsa di studio, la regione si poneva, dunque, come sostituto d'imposta e prelevava le trattenute alla fonte, ossia prima che i partecipanti percepissero la borsa stessa;
   dopo più di un anno dall'erogazione delle borse di studio, agli aggiudicatari della borsa giungeva la ferale notizia che il prelievo fiscale non si sarebbe dovuto calcolare solo sul 50 per cento della stessa, ma sull'importo totale;
   gli aggiudicatari vedevano recapitarsi ad aprile, ben oltre i termini di legge fissati al 28 febbraio, i CUD con gli importi interi delle borse di studio da assoggettare a tassazione;
   l'ufficio ragioneria della regione, a seguito delle numerose segnalazioni pervenute sulla questione, pubblicava qualche settimana dopo una nota ufficiale di chiarimento sulla disciplina fiscale, giustificando la correttezza del suo operato tramite un'interpretazione della sentenza della Corte di Cassazione del 30 gennaio 2008 che così recitava: «... Dalla formulazione letterale di tale disposizione (normativa comunitaria) emerge inequivocabilmente che essa non consente alcun prelievo sui contributi versati ai beneficiari dei Fondi Strutturali ... non esclude però che il reddito di cui fanno parte tali contributi, in base alla norma nazionale, possa essere assoggettato ad imposizione»;
   come ha denunciato il Comitato «Ma quale futuro» ai borsisti toccava quindi versare, a seconda degli importi delle borse di studio; dai 2000 ai 5000 euro di IRPEF allo Stato;
   la «beffa» per i borsisti sta nell'aver ottenuto una borsa di studio per merito e per basso reddito, e dover adesso pagare un'imposta che in alcuni casi si avvicina alla retta di iscrizione di un master. Attraverso un comunicato del loro Comitato essi affermano: «... Chi di noi si troverà nell'impossibilità di pagare, passerà da studente meritevole a debitore nei confronti dell'erario. Ancora peggio: chi non sa dell'obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi sarà un evasore fiscale ancor prima di aver lavorato un singolo giorno nella propria vita»;
   l'Agenzia delle entrate, ufficio fiscalità generale del settore servizi e consulenza della direzione regionale della Puglia, in un documento datato 9 luglio 2010 e a firma del direttore regionale Silvia Guarino scriveva rispondendo ad un'istanza d'interpello di una borsista: «In relazione alla quota finanziata dall'Unione europea con il FSE, pari al 50 per cento dell'ammontare stabilito, si rende applicabile quanto previsto dall'articolo 80 del Regolamento (CE) n. 1083/2006 [...] rubricato “Integrità dei pagamenti ai beneficiari”, secondo cui “Gli Stati Membri si accertano che gli organismi responsabili dei pagamenti assicurino che i beneficiari ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il più breve termine e nella sua integrità” [...] In relazione al principio di integrità dei pagamenti, il più volte citato articolo 80 [...] specifica ulteriormente che “Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari”». E, dopo aver ricordato che una sentenza della Corte di Giustizia sancisce che il divieto di ogni detrazione debba «necessariamente estendersi a tutti gli oneri che sono direttamente e intrinsecamente correlati alle somme versate», conclude: «Appare evidente che l'eventuale assoggettamento ad imposizione fiscale del contributo comunitario ricevuto dai soggetti che frequentano i master, corrisponderebbe ad un prelievo specificamente connesso al contributo stesso e come tale risulterebbe in contrasto con la previsione del principio dell'integrità dei pagamenti»;
   tale precedente ha ingenerato la speranza di tutti i borsisti che vi possa essere una definizione della controversia tributaria, eventualmente, anche attraverso una circolare interpretativa del Ministero interrogato –:
   se sia stato informato di questa vertenza dell'Agenzia delle entrate;
   quali iniziative di competenza intenda assumere, anche di concerto con la regione Puglia, per evitare che prosegua un contenzioso tributario che, a giudizio dell'interrogante, rischia di far apparire il fisco come nemico del contribuente.
(5-08800)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   BENAMATI, DAMBRUOSO, PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione consumeristica denominata «Movimento Nuovi Consumatori», attiva già da alcuni anni nella provincia di Parma, ove ha sede legale, ha di recente acquisito rilevanza nazionale, annoverando oltre cinquemila tesserati e risultando molto propositiva nel contesto socio-politico e culturale del territorio di Parma per le innumerevoli iniziative a carattere solidaristico e per le azioni in favore dei cittadini/consumatori;
   la stampa sia locale che nazionale nelle edizioni cartacee ed on-line – in particolare la Gazzetta di Parma, Parmadaily, La Repubblica e Huffington Post – ha dato di recente ampio risalto agli addebiti mossi dal Movimento Nuovi Consumatori al capo della polizia municipale di Parma, dottor Gaetano Noè, in merito a presunte irregolarità nell'annullamento di multe elevate a membri della giunta del sindaco Pizzarotti. Le sanzioni sarebbero ascrivibili ad una sosta vietata in spazi adiacenti alla residenza comunale e le presunte irregolarità, riguardanti multe a tre amministratori, sono state pubblicizzate in una conferenza stampa nella sede del Movimento Nuovi Consumatori il 3 maggio 2016;
   in data 16 maggio – come si apprende sempre da notizie stampa – agenti della polizia municipale di Parma avrebbero notificato al dottor Filippo Greci, presidente pro tempore del Movimento Nuovi Consumatori, e all'ex giudice di pace Ciriaco Colella, consulente dello stesso movimento, un verbale di identificazione con contestuale nomina del difensore per il reato previsto dall'articolo 167 della legge n. 196 del 2003, ossia trattamento illecito dei dati personali. Tale verbale sarebbe stato notificato anche al direttore della testata giornalistica on-line Parmadaily, il dottor Andrea Marsiletti;
   nel corso di una conferenza stampa il presidente Greci – come si legge sul sito http://parma.repubblica.it/ – definiva «l'atto notificato lunedì illecito perché privo del numero di iscrizione dell'indagine penale e dell'autorità che procede. Se non è transitato dalla Procura della Repubblica, si è usata una scorciatoia ? Sembrerebbe un atto intimidatorio alla vigilia di una conferenza stampa annunciata la scorsa settimana»;
   sul sito https://parma.repubblica.it in data 23 maggio 2016 si leggeva un virgolettato attribuito sempre al dottor Greci che, in qualità di presidente pro tempore del Movimento Nuovi Consumatori, affermava: «Abbiamo presentato una querela-denuncia per abuso d'ufficio, tentata estorsione, calunnia e falso ideologico – dichiara Greci – e presenteremo un esposto contro ignoti per peculato. Quell'iniziativa non è partita dalla Procura, che per questioni di opportunità avrebbe affidato l'indagine a una diversa forza di polizia. Inoltre non si notificano degli avvisi di garanzia a casa delle persone, si viene convocati. È un atto intimidatorio di inaudita gravità»;
   in considerazione della rilevanza e della gravità dei fatti menzionati, ove questi rispondessero al vero, appare giustificata l'attenzione che si sta generando nell'opinione pubblica della città di Parma già per altro scossa da indagini giudiziarie di altro tipo e diversa natura –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare in relazione a tali notizie, anche al fine di evitare che possano concretizzarsi condotte illecite in tale ambito. (4-13344)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 aprile 2014, su istanza di ANAS formulata ai sensi e per gli effetti dell'articolo 167, comma 5, e 182 del decreto legislativo n. 163 del 2006, è stata avviata, ai fini dell'accertamento della compatibilità ambientale della nuova opera, la procedura di valutazione d'impatto ambientale regionale per il progetto definitivo SS1 «Aurelia» – viabilità di accesso all'Hub portuale di Savona – svincolo di Margonara, opera dal costo stimato di 55 milioni di euro;
   con successiva deliberazione della giunta regionale della Liguria n. 238 del 2015 «D.Lgs. n. 152/2006 e I.r. 38/1998. S.S. 1 “Nuova Aurelia” Viabilità di accesso all'hub portuale di Savona. Svincolo di Margonara. Comuni di Albissola Marina e Savona (SV) Prop. ANAS SpA. Pronuncia di VIA positiva con prescrizioni», pubblicata sul Bollettino regionale ligure parte seconda del 1o aprile 2015, è stata espressa la compatibilità ambientale del progetto definitivo della su citata opera;
   si rileva come nella deliberazione della Corte dei Conti n. 9/2015/PREV del 22 aprile 2015, a pagina 14 si legge che: l'articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006, attribuisce al soggetto aggiudicatore la facoltà «di avviare la procedura di localizzazione dell'opera e di valutazione di impatto ambientale sulla scorta del progetto definitivo, anche indipendentemente dalla redazione e dalla approvazione del progetto preliminare»;
   nel caso in cui ricorra questa ipotesi – rileva la Corte – il progetto definitivo costituisce il primo ed il solo elaborato progettuale del soggetto aggiudicatore che viene ad essere sottoposto all'istruttoria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed all'approvazione del CIPE, eccezion fatta, naturalmente, per eventuali successivi progetti di variante sostanziale che rilevino ai sensi dell'articolo 169, commi 3 e 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006, sopra citato; in tale caso, il progetto definitivo, integrato dagli elementi previsti dal progetto preliminare, è istruito e approvato con le modalità e nei tempi indicati dagli articoli 165 e 166, comma 5, del codice dei contratti;
   conseguentemente, quando ci si trova di fronte alla fattispecie contemplata dall'articolo 167, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 2006 e, quindi, il progetto definitivo dell'infrastruttura strategica non sia stato preceduto dalla redazione ed approvazione del progetto preliminare, è il progetto definitivo a dover essere sottoposto al parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici – CSLP;
   ne consegue che il cosiddetto «nuovo» progetto definitivo di cui alla delibera di giunta regionale della Liguria n. 238 del 2015, oltre a dover sottostare al parere consultivo obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici, deve anche essere deliberato dal CIPE e, successivamente, sottoposto alla verifica della Corte dei Conti;
   infatti, l'opera «principale» (la cosiddetta «Viabilità di accesso all'HUB portuale di Savona – Interconnessione tra i caselli A10 di Savona e Albisola e i porti di Savona e Vado: variante alla SS1 Aurelia nel tratto tra Savona torrente ed Albissola Superiore» – deliberazione del CIPE n. 77/2007 – pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 44 del 22 febbraio 2008), a cui questa infrastruttura si intenderebbe ricollegare nell'ambito della programmazione finanziaria, ha già seguito questo iter;
   sembrerebbe – da recenti notizie di stampa – che, nonostante gli annunci in senso contrario del Viceministro Nencini, l'opera sia stata stralciata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per assenza di fondi (http//www.savona-news.it);
   inoltre poiché il progetto per lo svincolo di Margonara risulta in deroga al decreto del 19 aprile 2006 «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali», tale deroga deve essere approvata dal Ministero o dal CIPE, così come si legge al punto 4 della citata deliberazione della Giunta regionale n. 238 del 6 marzo 2015 che riporta testualmente «Di dare atto che l'eventuale deroga al decreto ministeriale 19 aprile 2006, recante "Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali" sarà acquisita nell'ambito del procedimento di approvazione definitiva dell'opera ex D.lgs. 163/2006. ...»;
   la deroga, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, è concessa previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici in base all'articolo 2 del decreto ministeriale del 19 aprile 2006 (GU n. 170 del 24 luglio 2006) –:
   se il Ministro interrogato, alla luce delle informazioni riportate in premessa, possa chiarire a che punto sia l’iter di approvazione definitiva dell'opera relativa al nuovo svincolo di Margonara, se sia stato richiesto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o da ANAS il parere prescritto dalla normativa al Consiglio superiore per i lavori pubblici ex decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 19 giugno 2015 e come mai non sia ancora pervenuto – alla data attuale – il parere del Consiglio superiore per i lavori pubblici – come previsto dalle vigenti disposizioni di legge – sull'opera in questione;
   se il Ministro possa altresì fornire informazioni aggiornate in merito al finanziamento della suddetta opera, definito con delibera del CIPE 4 febbraio 2014, e all'eventuale domanda di deroga al decreto ministeriale 19 aprile 2006, recante «Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali» presentata da parte di ANAS. (5-08790)

INTERNO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012, modificando l'articolo 62 del decreto legislativo n. 82 del 7 marzo 2005, istituisce l'Anagrafe nazionale della popolazione residente, ANPR;
   la norma ha previsto, al fine della realizzazione dell'intero sistema, la disponibilità di fondi pari a 15 milioni di euro per l'anno 2013 e di 3 milioni di euro per l'anno 2014;
   inoltre, l'articolo 10, comma 6, del decreto-legge n. 78 del 19 giugno 2015 prevede un ulteriore stanziamento cumulativo per la carta di identità elettronica e l'ANPR pari a 59,5 milioni di euro per l'anno 2015 e 8 milioni di euro per l'anno 2016, oltre a 2,7 milioni di euro all'anno a decorrere dal 2016;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 194 del 10 novembre 2014 Allegato A, prevedeva il definitivo trasferimento delle anagrafi di tutti i comuni d'Italia all'interno dell'ANPR entro e non oltre la fine del 2015;
   il 12 novembre 2015, in sede di apposita conferenza stampa presso la Camera dei deputati il Ministro interpellato ha assicurato che due comuni, Cesena e Bagnocavallo avrebbero pienamente adottato l'ANPR e che tutti i comuni d'Italia l'avrebbero adottata entro il 2016 –:
   se risponda al vero che ad oggi nessun comune abbia effettivamente adottato l'ANPR e se persistano problematiche di carattere tecnico che hanno impedito l'adesione dei comuni previsti alla partenza del progetto;
   come siano stati utilizzati i fondi resi disponibili in mancanza dell'implementazione del progetto;
   quali siano i soggetti coinvolti nell'implementazione del progetto per conto del Ministero dell'interno e quali risorse abbiano percepito a fronte dell'eventuale lavoro sinora svolto.
(2-01384) «Latronico».

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Conapo, Sindacato autonomo dei vigili del fuoco, ha messo in atto una mobilitazione per denunciare la situazione lavorativa cui sono sottoposti gli stessi vigili del fuoco;
   i sindacalisti del Conapo tra cui i rappresentanti di Benevento, hanno riferito della grave sperequazione retributiva (300 euro al mese in meno) e previdenziale rispetto al corrispondente personale impiegato nelle attività operative degli altri Corpi dello Stato;
   questo trattamento appare ancora più paradossale se si considera che i vigili del fuoco risultano essere ai primi posti nel gradimento degli italiani in quanto ad efficienza e, tra l'altro, sono sottoposti ad un rischio lavorativo non comune;
   in particolare, il Conapo chiede di pervenire al medesimo trattamento mediante l'inserimento del corpo del cosiddetto «comparto sicurezza» applicando le norme di equiparazione delle retribuzioni già applicate per le forze di polizia ai sensi dell'articolo 43 della legge n. 121 del 1981 o, in subordine, di estendere anche  ai vigili del fuoco, con specifici provvedimenti di attuazione dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010 (specificità lavorativa), taluni istituti retributivi e pensionistici già riservati alle forze armate e di polizia;
   in particolare, il Conapo chiede di istituire per i vigili del fuoco (compresi i funzionari direttivi) lo scatto dell'assegno funzionale ai 17, 27 e 32 anni di servizio, già dal 1987 in godimento agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6 del decreto-legge n. 387 del 1987 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 472 del 1987), di perequare tutti gli importi della indennità di rischio agli importi dell'indennità pensionabile attualmente corrisposta alle analoghe qualifiche degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, di istituire i 6 scatti aggiuntivi utili sull'importo della pensione nella misura già corrisposta, sin dal 1987, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 6-bis del decreto-legge n. 387 del 1987), di introdurre per il personale in uniforme dei vigili del fuoco l'aumento di servizio ai fini pensionistici di un anno ogni cinque così come già corrisposto, sin dal 1977 agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 3, comma 5 della legge n. 284 del 1977) e di prevedere per il personale in uniforme dei vigili del fuoco direttivo e dirigente gli aumenti retributivi ai 13 e 23 e ai 15 e 25 anni di servizio, come attualmente già corrisposti (sin dal 1981) alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile (articolo 43, commi 22 e 23, e articolo 43-ter della legge n. 121 del 1981);
   al fine del reperimento delle risorse finanziarie occorrenti il sindacato propone di utilizzare i risparmi di spesa derivanti dalla attuazione della legge n. 124 del 2015 relativa alla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche –:
   in che modo il Governo intenda rispondere alle richieste – argomentate in premessa – di parità di trattamento retributivo e pensionistico avanzate dai vigili del fuoco aderenti al Conapo. (4-13326)


   BENEDETTI, BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI, BUSINAROLO, COZZOLINO, PARENTELA e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in vista dello svolgimento di ogni consultazione referendaria prevista dall'articolo 75 della Costituzione, il Ministero dell'interno richiama tramite circolare le scadenze e i principali adempimenti prescritti dalla normativa vigente in materia di propaganda elettorale e comunicazione politica;
   l'ultima circolare n. 5 del 2016, del 26 febbraio 2016, riguarda la consultazione referendaria programmata per il 17 aprile 2016, relativa all'abrogazione della previsione che le attività di coltivazione di idrocarburi relative a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro dodici miglia marine abbiano «durata pari alla vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale»;
   la circolare si compone di un elenco di adempimenti: in particolare, nel sommario alla lettera b) prevede la «Delimitazione ed assegnazione di spazi per le affissioni di propaganda diretta». Nell'illustrazione di questo punto, al quinto paragrafo, la circolare riporta «Le domande prodotte dai partiti o gruppi politici presenti in Parlamento dovranno essere sottoscritte dai rispettivi segretari provinciali o, in mancanza, dai rispettivi organi nazionali o anche, ove esistano, da organi di partito a livello comunale»;
   purtroppo, tale definizione ha lasciato spazio ad interpretazioni anche molto distanti tra loro, in particolare nel caso di un gruppo politico presente in Parlamento, ma privo di segretari provinciali. In materia, infatti, le prefetture hanno applicato due interpretazioni diverse;
   la prima riporta che solo i gruppi parlamentari di Camera e Senato (tramite i rappresentanti legali) possano chiedere gli spazi di propaganda, se del caso delegando altri per conto del gruppo politico stesso. Questo adducendo che potrebbero esserci disparità di trattamento nei confronti di tutte le altre forze politiche che devono provvedere attraverso i loro organi ufficiali e escludendo i gruppi consiliari eventualmente presenti nel singolo comune/regione dalla possibilità di fare le richieste degli spazi di propaganda;
   la seconda interpretazione riporta che un gruppo politico privo di segretari provinciali possa invece individuare come soggetto delegante l'organo istituzionale più prossimo all'ente territoriale nel quale sono presenti gli spazi per le affissioni. Quindi, laddove vi sia un consigliere comunale, il consigliere comunale; dove vi sia un consigliere regionale, ma non quello comunale, allora il soggetto delegante è il consigliere regionale; dove mancano entrambi, un parlamentare di una delle due Camere;
   agli interroganti risulta inoltre che alcune amministrazioni comunali abbiano accolto le richieste per le affissioni da parte di consiglieri comunali, in quanto alternativa presente al punto b) della già citata circolare, mentre altre amministrazioni comunali abbiano ritenuto comunque necessaria la delega da parte dell'organo nazionale di riferimento –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda adottare tempestivamente le iniziative di competenza al fine di uniformare le procedure su tutto il territorio nazionale. (4-13341)


   DAGA, VIGNAROLI, TERZONI, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO, DE ROSA e BUSTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 155 del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede, al comma 1, che «1. Le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione sono dovute dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi. Il gestore è tenuto a versare i relativi proventi, risultanti dalla formulazione tariffaria definita ai sensi dell'articolo 154, a un fondo vincolato intestato all'ente di governo dell'ambito, che lo mette a disposizione del gestore per l'attuazione degli interventi relativi alle reti di fognatura ed agli impianti di depurazione previsti dal piano d'ambito. La tariffa non è dovuta se l'utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell'ente di governo dell'ambito»;
   il comma è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo al primo periodo, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione dovuta dagli utenti anche nel caso in cui manchino impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, con sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008;
   il territorio del quartiere Tor Pagnotta-Bel Poggio-Casale Bicocca nel quadrante sud della città di Roma, all'interno del grande raccordo anulare, è una zona densamente popolata;
   il quartiere si estende lungo Via di Tor Pagnotta dalla Via Ardeatina fino alla via Laurentina è adiacente alla città militare Cecchignola e distante 9/10 chilometri dal centro della città;
   al suo interno, oltre ad essere ricco di insediamenti abitativi e di attività commerciali/industriali, accoglie realtà molto importanti come il centro di ricerca EBRI;
   nonostante ciò, ad oggi la zona non è raggiunta da servizi essenziali come l'acqua potabile servita solo in minima parte dalla fognatura pubblica (http://www.affaritaliani.it);
   la situazione attuale che si presenta all'interno del suddetto territorio è la seguente: è presente una sola condotta idrica lungo una parte di via Tor Pagnotta che da via della Cecchignola arriva fino all'altezza dell'ex centro RAI; tale condotta risulta essere strutturalmente inadeguata per la quantità di utenze che dovrebbe servire ed inoltre, essendo una condotta vetusta, non potrebbe sopportare l'eventuale aumento di pressione necessario per soddisfare la richiesta di acqua da parte di un elevato numero di utenze, pertanto ad oggi non è possibile usufruirne;
   per quanto riguarda la fognatura di via di Tor Pagnotta, ed in particolare nella zona che va da via Ardeatina fino all'altezza del civico 391, la condotta è stata realizzata attraverso dei fondi privati che hanno concesso la servitù di passaggio; su tale tronco di condotta sono già stati autorizzati diversi allacci in fogna, che, secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia, dovrebbero essere successivamente supportati da una condotta idrica di adduzione dell'acqua potabile;
   le condotte più grandi con portata maggiore, presenti nelle vicinanze e adeguate a soddisfare la richiesta di acqua potabile che viene avanzata dalle numerose abitazioni/attività commerciali della zona, sono presenti su: Via Ardeatina all'altezza della scuola Andrea Millevoi e Via Ardeatina all'altezza di Via delle Cornacchiole;
   inoltre, presso gli uffici di ACEA ATO 2 è già presente da diversi anni un progetto per la realizzazione della condotta di adduzione dell'acqua potabile, che da via Ardeatina incrocio via delle Cornacchiole dovrebbe passare lungo Via di Tor Pagnotta ed arrivare a servire tutte le abitazioni di Via di Tor Pagnotta, Vicolo Bel Poggio e Via Casale Bicocca;
   tale progetto già in passato per diverse volte è stato finanziato, ma a causa di urgenze che negli anni si sono succedute, tali finanziamenti sono stati dirottati da parte di Acea per la realizzazione di altre opere e interventi ritenuti prioritari;
   l'inizio della realizzazione degli interventi sopracitati, ed in particolare quello riguardante la condotta idrica dell'acqua potabile (previsto per il primo semestre 2016 e successivamente rimandato a data da destinarsi) si rende oggi estremamente urgente al fine di garantire alla cittadinanza la fornitura di acqua potabile adatta al consumo umano, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo n. 31 del 2001 e successive modificazioni e integrazioni che recepisce la direttiva 98/83/CE, in relazione al quale gli interroganti hanno depositato anche una proposta di legge di modifica ed aggiornamento;
   tale opera, inoltre, è necessaria al fine di garantire la fornitura di acqua potabile a tutte le attività imprenditoriali presenti nella zona che sono soggette a continue verifiche da parte degli uffici ASL e che in un momento di forte crisi sono chiamate ad importanti investimenti economici per la depurazione delle acque dei pozzi in assenza dei quali rischiano la chiusura;
   inoltre, nel corso degli anni, diversi cittadini hanno inoltrato ad ACEA (già nel 1997) le domande per l'allaccio alla rete idrica pagando i relativi bollettini postali per le spese di istruttoria della pratica;
   successivamente, nel 2013 alcuni residenti di vicolo del Bel Poggio hanno richiesto ed ottenuto da ACEA (pagando gli oneri relativi all'intervento), l'autorizzazione all'allaccio ad una condotta di acqua potabile che risultava presente sulla cartografia; purtroppo, al momento dell'effettuazione dello scavo da parte di ACEA l'azienda stessa ha riscontrato che tale condotta non esiste;
   i cittadini della zona sono anni che segnalano alle istituzioni la questione, ma ancora non hanno ottenuto una risoluzione del problema –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione e, considerata la gravità di tale problematica e le ricadute negative sulla vita dei cittadini residenti, quali iniziative urgenti di competenza si intendano assumere, anche per il tramite del commissario straordinario di Roma Capitale, al fine di risolvere questa annosa questione.
(4-13342)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, LUIGI GALLO, VACCA, MARZANA, D'UVA, BRESCIA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come sancito all'articolo numero 6, comma 3, del decreto del direttore generale 105 del 2016 (bando per la scuola d'infanzia e primaria), del decreto del dirigente generale 106 del 2016 (bando per la scuola secondaria di primo e secondo grado) e del decreto del dirigente generale 107 del 2016 (bando per la scuola d'infanzia, primaria, primo e secondo grado sostegno) per il concorso a cattedra indetto dalla legge 107 del 2015: «Le prove scritte ovvero scritto-grafiche sono computerizzate e sono disciplinate dall'articolo 5 del decreto di cui al comma 1.»;
   si sperimenta così, per la prima volta in un concorso a cattedra, la modalità « computer based», per la quale il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato sul sito YouTube.com un video tutorial, relativo alla prove scritte;
   la nuova modalità ha creato notevoli problematiche durante lo svolgimento delle prove scritte a moltissimi candidati;
   come spiegato nell'articolo pubblicato sul sito OrizzonteScuola.it in data 4 maggio 2016 dal titolo «Concorso scuola docenti: problemi tecnici della prova computer based. Dobbiamo rimpiangere carta e penna ?», sono stati riscontrati numerosi difetti del software di video-scrittura: non era consentita l'operazione copia e incolla, il layout senza bordi rallentava e complicava la rilettura, erano inesistenti gli elenchi puntati o numerati;
   il video tutorial per commissioni e comitati di vigilanza e le istruzioni fornite dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai candidati nella schermata iniziale non esplicavano le possibili soluzioni alle eventuali problematiche tecniche che si sarebbero potute verificare (black out energia elettrica, guasti, blocco del software);
   come riportato dal sito «Tempi.it» in un articolo datato 6 maggio 2016, molti computer si sono bloccati durante le operazioni di salvataggio delle prove, cancellando il lavoro svolto dai candidati. In alcune sedi, si sono verificati problemi nelle operazioni di salvataggio delle prove sul supporto di archiviazione fornito dall'USR (prove mancanti nella pendrive, utilizzo di pendrive non fornite ufficialmente dagli USR);
   la criticità maggiore è stata la mancata possibilità da parte del candidato di verificare che tutte le domande fossero state salvate correttamente al momento dell’upload: allo scadere del tempo a disposizione, infatti, il sistema si chiudeva automaticamente, senza richiedere al candidato se intendesse procedere al salvataggio della risposta a cui stava lavorando;
   all'interno dei gruppi nati sul social network FaceBook relativi al concorso a cattedra, moltissimi candidati hanno testimoniato di non aver avuto modo di procedere al salvataggio dell'ultima risposta a cui stavano lavorando allo scadere del tempo e, soprattutto, di non essere stati messi al corrente che il sistema avrebbe salvato soltanto le risposte per cui il candidato stesso avesse precedentemente cliccato il tasto «conferma e procedi»;
   le istruzioni iniziali fornite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai candidati, a quanto consta agli interroganti, non facevano alcuna menzione alla possibile cancellazione di tutto quanto fosse stato scritto e non salvato dal candidato al momento dello scadere del tempo;
   la mancanza di una domanda su otto potrebbe influire negativamente sulla valutazione finale della prova scritta ed è motivo di grande preoccupazione per moltissimi candidati;
   i tecnici presenti nelle aule al momento dello svolgimento delle prove e gli uffici scolastici regionali di tutta Italia, interpellati dai candidati, non hanno saputo fornire risposte certe e univoche in merito;
   né nelle istruzioni contenute nel software all'inizio del test, né nelle slide diffuse dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca era indicato specificamente che fosse necessario salvare alla fine prima che il computer si bloccasse. Nelle suddette istruzioni si esplicita infatti di cliccare su «conferma e procedi» per passare da una domanda all'altra o per andare alla pagina di riepilogo, ma non è contemplata la casistica del salvataggio allo scadere del tempo;
   a quanto consta agli interroganti le informazioni al riguardo sono state ambigue e contraddittorie: molti uffici scolastici regionali e tecnici d'aula avrebbero assicurato che, allo scadere del tempo, la prova sarebbe stata salvata. Al momento, però, né il Cineca né il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca a quanto risulta agli interroganti, avrebbero fornito risposte univoche –:
   se risulti che il software di cui in premessa abbia salvato automaticamente le risposte a cui candidati stavano lavorando allo scadere del tempo e per le quali non hanno evidentemente potuto procedere al salvataggio mediante il tasto «conferma e procedi»;
   se corrisponda al vero che non siano state date istruzioni precise sulla necessità di salvare tutte le domande allo scadere del tempo e, in caso affermativo per quali ragioni; per quali motivi non si sia aperta una finestra di dialogo che, prima dello scadere del tempo, chiedesse di salvare quanto scritto dal candidato fino a quel momento;
   attraverso quali modalità il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda porre rimedio alle innumerevoli problematiche tecniche verificatesi durante lo svolgimento delle prove scritte di cui in premessa e se non ritenga opportuno fornire indicazioni alle commissioni di valutazione affinché le stesse possano tener conto delle suddette problematiche. (5-08802)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 9 del 12 maggio 2005 del commissario in carica Dragotta e con regolare pubblicazione in Gazzetta Ufficiale si evince l'assunzione da trimestrale a tempo indeterminato part-time per 49 posti di ATE a fronte di 81. Nella delibera e nella pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale non viene citata la quota del 50 per cento riservata agli articolisti, nonostante il CAS nel settembre del 2004 a seguito di un verbale riconosca detta riserva;
   in data 1o giugno 2005, 49 unità, vengono assunti, in prova, nei ruoli organici del CAS con la qualifica di ATE con regolare lettera di immissione in servizio part-time. Successivamente nel luglio del 2005, 24 articolisti, esclusi dalla nuova assunzione, presentano ricorso al CAS, in quanto non è stata rispettata la quota del 50 per cento dei posti riservata agli articolisti;
    dopo 6 mesi dall'assunzione il CAS rilascia a tutti i 49 assunti, con firma del dirigente dell'area amministrativa, una lettera dove conferma il ruolo con la qualifica di ATE a far data dal 1o giugno 2005, comprensivo del periodo relativo al servizio di prova;
   con sentenza n. 301 del 2008, i 24 articolisti ricorrenti, ottengono esito positivo e cioè la disapplicazione degli effetti della delibera di assunzione del maggio 2005 e il diritto dei ricorrenti a beneficiare delle riserve e, conseguentemente, ordina al CAS l'assunzione dei ricorrenti;
   in seguito a questa sentenza le 49 unità precedentemente assunte e ritrovatesi di colpo «quasi-licenziate» ricorrono in appello tenendo momentaneamente salvo il posto di lavoro;
   con delibera n. 35 del 27 maggio 2008, a firma dell'allora presidente dottoressa Patrizia Valenti, i 24 articolisti vengono assunti, mentre le 49 unità precedentemente assunte, per effetto del ricorso in appello e non ultimo anche per la carenza di personale, rimangono in servizio fino alla nuova pronuncia del tribunale;
   in data 28 febbraio 2012 la Corte di appello di Messina sezione lavoro rigetta il ricorso in appello, ma con tacito consenso le 49 unità oggetto della prima assunzione in servizio. Appello depositato in cancelleria il 14 marzo 2012;
   sette delle 49 unità oggetto della prima assunzione e poi ritrovatesi «licenziate» ricorrono in Cassazione, ma anche i rimanenti esseri umani protagonisti di questa vicenda, rimangono in servizio fino a nuova disposizione o fino a quando l'organo di controllo della regione non avrebbe chiesto dei chiarimenti in merito;
   in data 13 novembre 2014 arriva la lettera di licenziamento con decorrenza immediata e senza nessuna assistenza temporanea alla non occupazione, in quanto l'INPS di Messina, afferma che, essendo il CAS un ente pubblico, non ha l'obbligo di versare i contributi ASP, perché assume a tempo indeterminato, facendo emergere una bizzarra realtà degli avvenimenti, ossia che le 49 unità, oggetto di questo atto di sindacato ispettivo, sono state licenziate da un ente pubblico, e quindi, di fatto, da dipendenti pubblici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se intenda chiarire le motivazioni in base alle quali l'INPS di Messina ha ritenuto, con riferimento ai lavoratori del Consorzio autostradale siciliana, sussistere l'assenza di un obbligo di versamento dei contributi dell'assicurazione sociale per l'impiego.
(4-13336)


   POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 26 giugno 2012, dopo una selezione pubblica, ventisei lavoratori venivano assunti dalla società Arechi Multiservice spa per diciotto mesi con un contratto a tempo determinato con le mansioni di operai e con l'inquadramento nel I livello del contratto collettivo nazionale di lavoro industria metalmeccanica;
   l'assunzione avveniva per ragioni legate specificatamente al maggior numero di edifici scolastici da manutenere come da convenzione per l'affidamento del servizio di manutenzione di tutti gli edifici scolastici di competenza della provincia di Salerno, stipulata con l'ente provincia di Salerno il 23 aprile 2012;
   successivamente, in data 30 dicembre 2013, il contratto a tempo determinato veniva prorogato di ulteriori dodici mesi, al termine dei quali i rapporti di lavoro venivano a cessare;
   contestualmente, con la cessazione del rapporto di lavoro, i lavoratori cessati, a quanto risulta all'interrogante, hanno intrapreso un'azione legale nei confronti della società Arechi Multiservice spa, rivendicando la conversione ope legis a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e il risarcimento dei danni e la riammissione in servizio;
   la manutenzione di tutti gli edifici scolastici di competenza della provincia di Salerno è la principale attività ordinaria, stabile e strutturata della società Arechi Multiservice spa;
   il servizio manutentivo delle scuole è svolto con l'impiego indistinto di settantadue addetti di cui quarantasei a tempo indeterminato e ventisei a tempo determinato, tutti con mansioni di operaio polivalente;
   le esigenze produttive ed organizzative che stanno alla base dei contratti a termine sono le stesse su cui si fondano i rapporti di lavoro a tempo indeterminato dei quarantasei operai addetti alla manutenzione;
   la società Arechi Multiservice spa si qualifica come società in house della provincia di Salerno, con il presidente delegato alla gestione che gode di una propria autonomia decisionale;
   il contenzioso rischia di produrre un grave danno economico alla società Arechi Multiservice spa –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere per favorire il mantenimento dei livelli occupazionali e la continuità aziendale, eventualmente promuovendo un tavolo istituzionale di confronto con la provincia di Salerno e le parti interessate, al fine di garantire la prosecuzione del servizio di pulizia delle scuole con modalità adeguate. (4-13343)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 449, «riordino dell'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE), a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59», in particolare all'articolo 2, prevede che l'Unire contribuisce al finanziamento degli ippodromi per la gestione dei servizi resi;
   con nota n. 24307 del 25 marzo 2016 la direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell'ippica (PQAI VIII), del dipartimento delle politiche competitive, della qualità agroalimentare, ippiche e della pesca del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha stabilito «le modalità di erogazione delle sovvenzioni in favore delle Società di Corse per l'anno 2016 ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 29 ottobre, n. 449», riconoscendo necessario, nelle more dell'applicazione del nuovo sistema di valutazione, che l'erogazione della sovvenzione per l'anno 2016 sia stabilita in conformità ai criteri generali, già in vigore sino a tutto l'anno 2015, di cui alla determinazione Unire n. 3400/2005 (cosiddetto modello Deloitte);
   il predetto decreto reca, tra le altre, le seguenti premesse: «preso atto, in particolare, dei dati fisici degli impianti risultanti, in base alla documentazione agli atti dell'Amministrazione, alla data del 31 dicembre 2015»; e «tenuto conto dell'Atto integrativo del contratto rep. 4673 sottoscritto con la Hippogroup Roma Capannelle spa il 5 agosto 2013 per la gestione degli impianti, per i servizi relativi alla organizzazione delle corse trotto presso l'ippodromo delle Capannelle di Roma approvato con decreto n. 34146 del 7 agosto 2013 e, in particolare, delle modalità di determinazione del cosiddetto “corrispettivo impianti” ivi previste» solo sino a nuova convenzione –:
   se si intenda comunque erogare, anche per il 2016, il corrispettivo di euro 1.600.000 alla società Hippogroup Roma Capannelle spa quale riconoscimento ai fini dell'organizzazione, nell'ambito del circuito ippico nazionale, di riunioni di corse al trotto presso l'ippodromo delle Capannelle di Roma in deroga rispetto al sistema di determinazione del corrispettivo impianti stabilito nel «modello Deloitte» ora modificato dalla predetta nota n. 24307 del 25 marzo 2016 e dal rispettivo decreto direttoriale. (4-13328)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, DI VITA, COLONNESE e BARONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il presidio ospedaliero «Sant'Alfonso Maria dei Liguori» di Sant'Agata dei Goti in provincia di Benevento costituisce una struttura di I livello della rete dell'emergenza con pronto soccorso e terapia intensiva, inaugurato il 10 marzo 2010;
   il piano regionale di programmazione della rete ospedaliera 2016-2018 della regione Campania ha previsto la soppressione di due reparti del presidio ospedaliero di Sant'Agata dei Goti, radiologia e cardiologia e la riduzione dei posti letto dagli attuali 100 a 76 e le delle unità operative complesse da otto a sei;
   il presidio ospedaliero di Sant'Agata dei Goti attualmente dispone un reparto di chirurgia generale, che per svolgere in modo ottimale le proprie attività, deve poter disporre di una serie di servizi tra cui sicuramente di competenze cardiologiche all'interno della struttura;
   la bozza del piano ospedaliero campano, apparsa sui quotidiani il 18 aprile 2016, prevedeva il potenziamento del presidio di Sant'Agata con l'implementazione del reparto di pediatria;
   la legge regionale n. 6 varata il 5 aprile 2016, all'articolo 22, comma 3, prevedeva l'istituzione di un polo oncologico pluri-territoriale presso l'ospedale Sant'Alfonso Maria dei Liguori di Sant'Agata dei Goti (Benevento), prevedendo degli investimenti ad hoc per il potenziamento del sito e l'assunzione di due oncologi;
   come riportato da un articolo sul sito www.quotidianosanita.it del 21 maggio 2016 : «Molto critica la posizione assunta dai sindacati della dirigenza medica uniti in un fronte comune, che rappresenta oltre 50 mila camici bianchi: si accantona l'ipotesi di istituire un polo oncologico pluriterritoriale a Sant'Agata dei Goti, ospedale nuovo ed attrezzato, dove sparisce l'oncologia a vantaggio di piccoli ospedali in dismissione come Piedimonte Matese e San Felice a Cancello cui sono attribuiti alcuni posti letto che in Oncologia non possono fare a meno della complessità per garantire salute pubblica. Furbizie ingenue da parte di chi ha negato ogni confronto qualificato con professionisti che conoscono i territori, finendo per garantire interessi particolari a discapito di vantaggi collettivi. Daremo battaglia in tutte le sedi»;
   l'amministrazione comunale di Sant'Agata de'Goti, con delibera di giunta comunale n. 78 del 16 maggio 2016 e delibera di giunta comunale n. 82 del 23 maggio 2016, ha deciso di impugnare dinanzi alle competenti autorità giudiziarie, i decreti della regione Campania n. 30/2016 e n. 33/2016
   ad oggi il piano regionale di programmazione della rete ospedaliera 2016-2018 è al vaglio dei Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se i Ministri interrogati non ritengano, alla luce di quanto esposto in premessa, indispensabile verificare per quanto di competenza, l'adeguatezza e la coerenza della razionalizzazione dei servizi sanitari offerti nel territorio sannita, dati i contradditori interventi programmatici che hanno interessato il presidio ospedaliero Sant'Alfonso Maria dei Liguori negli ultimi mesi;
   se la riduzione dei posti letto e delle unità operative programmate per il presidio ospedaliero Sant'Alfonso Maria dei Liguori garantisca adeguatamente la qualità dei servizi sanitari offerti alla cittadinanza sannita;
   se si intendano indicare dei correttivi al piano regionale di programmazione della rete ospedaliera 2016-2018 della regione Campania, al fine di impedire che l'unico presidio ospedaliero di Sant'Agata dei Goti, nato per diventare un presidio territoriale di eccellenza per la sanità campana, sia posto in condizione di non poter più erogare servizi per la salute dei cittadini a causa della soppressione dei reparti. (5-08803)


   FRUSONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto ministeriale n. 70 dell'aprile 2015 dettante il regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, spetta alle regioni adottare il provvedimento generale di programmazione di riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati effettivamente carico del servizio sanitario regionale;
   nelle premesse di tale decreto si fa riferimento all'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, il quale dispone che, con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono fissati gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi di cui ai livelli essenziali di assistenza, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
   precisamente l'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, recita «Al fine di garantire che l'obiettivo del raggiungimento dell'equilibrio economico finanziario da parte delle regioni sia conseguito nel rispetto della garanzia della tutela della salute, ferma restando la disciplina dettata dall'articolo 54 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, per le prestazioni già definite dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, e successive modificazioni, anche al fine di garantire che le modalità di erogazione delle stesse siano uniformi sul territorio nazionale, coerentemente con le risorse programmate per il Servizio sanitario nazionale, con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, dal Ministro della salute, che si avvale della commissione di cui all'articolo 4-bis, comma 10, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, sono fissati gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi di cui ai livelli essenziali di assistenza, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Con la medesima procedura sono individuati le tipologie di assistenza e i servizi, relativi alle aree di offerta individuate dal vigente Piano sanitario nazionale. In fase di prima applicazione gli standard sono fissati entro il 30 giugno 2005»;
   da quanto suesposto i evincerebbe che dovrebbe essere istituita una commissione in base all'articolo 4-bis, comma 10, del decreto-legge n. 63 del 2002. Secondo anche quanto riportato nel testo coordinato, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 139 del 15 giugno 2002 «Per le attività di valutazione, in relazione alle risorse definite, dei fattori scientifici, tecnologici e economici relativi alla definizione all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni in essi contenute, è istituita una apposita commissione, nominata e presieduta dal Ministro della salute e composta da quattordici esperti titolari e da altrettanti supplenti, di cui un titolare ed un supplente designati dal Ministro dell'economia e delle finanze e sette titolari e altrettanti supplenti designati dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. La commissione, che può articolarsi in sottocommissioni, dura in carica tre anni; i componenti possono essere confermati una sola volta. Su richiesta della maggioranza dei componenti, alle riunioni della commissione possono essere invitati, per fornire, le proprie valutazioni, esperti esterni competenti nelle specifiche materie di volta in volta trattate. Alle riunioni della commissione partecipano il direttore della competente direzione generale del Ministero della salute, presso la quale è incardinata la segreteria dell'organo collegiale, e il direttore dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali. Alle deliberazioni della commissione è data attuazione con decreto di natura non regolamentare del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da trasmettere alla Corte dei conti per la relativa registrazione»;
   la «Commissione per la definizione e l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza», come riporta il decreto interministeriale 2 aprile 2015, n. 70, è stata «istituita con decreto del Ministro della salute del 12 settembre 2012, e la Commissione medesima ha discusso la tematica in questione nelle sedute del 2 e 9 ottobre 2012». L'interrogante è riuscito a reperire il decreto istitutivo della Commissione, solo dopo varie richieste alla direzione generale della programmazione sanitaria, ma non le delibere della Commissione stessa, alle quali si sottolinea, è data attuazione con decreto ministeriale non regolamentare;
   la deliberazione della Commissione costituirebbe, quindi, a tutti gli effetti, il regolamento al quale è data attuazione con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Tale decreto dovrebbe essere firmato dal Ministro della salute e dal Ministro dell'economia e delle finanze, inviato al Consiglio di Stato per un parere consultivo, alla Corte dei conti per il visto e la relativa registrazione e infine comunicato al Presidente dei Consiglio dei ministri prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
   dalla lettura del decreto del Ministero della salute 12 settembre 2012 all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 28 giugno 2012, n. 89, recante «Proroga di termini in materia sanitaria», si evince che viene prorogata «inderogabilmente» l'operatività della Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, «non oltre» il 31 dicembre 2012; l'articolo 2, comma 3, recita: «Le modalità di funzionamento della Commissione sono disciplinate con successivo decreto dei Ministero della salute», ma innumerevoli ricerche di tale decreto di funzionamento della Commissione hanno dato esito negativo;
   l'interrogante riscontra ulteriori anomalie nell’iter di approvazione del regolamento la cui stesura sarebbe, a quanto risulta all'interrogante, avvenuta nelle sole due sedute dei 2 e 9 ottobre 2012. Si fa presente però che la precedente commissione risulta decaduta il 21 luglio 2010, come riportato nello stesso decreto del Ministero della salute 12 settembre 2012;
   i riferimenti normativi dell’iter procedurale suesposto sono i commi nn. 3 e 4 della legge 23 agosto 1988, n. 400: il comma 3 prevede che «Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più Ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente dei Consiglio dei ministri prima della loro emanazione»; il comma 4 stabilisce che «I regolamenti di cui al comma primo ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di “regolamento” sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale»;
   sempre leggendo le premesse del suddetto decreto ministeriale n. 70 dell'aprile 2015, si fa riferimento al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ed in particolare all'articolo 15, comma 13, lettera c) il quale recita «sulla base e nel rispetto degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera fissati, entro il 31 ottobre 2012, con regolamento approvato ai sensi dell'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre con 2004, n. 311, previa intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nonché tenendo conto della mobilità interregionale, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottano, nel rispetto della riorganizzazione di servizi distrettuali e delle cure primarie finalizza all'assistenza 24 ore su 24 sul territorio adeguandoli agli standard europei, entro il 31 dicembre 2012, provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, adeguando coerentemente le dotazioni organiche dei presidi ospedalieri pubblici ed assumendo come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti di cui il 25 per cento riferito a ricoveri diurni»;
   la riduzione dei posti letto dovrebbe, quindi, essere subordinata all'attivazione h 24 delle unità di cure complesse primarie (UCCP) e aggregazioni funzionali territoriali (AFT) della legge Balduzzi (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 263 del 10 novembre 2012 – supplemento ordinario n. 201);
   il regolamento di cui all'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n.311, è stato approvato con decreto interministeriale – Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero della salute – del 2 aprile 2015, n.70, con conseguente riduzione di posti letto per acuti, senza rispettare la riorganizzazione dei servizi distrettuali e delle cure primarie finalizzate all'assistenza 24 ore su 24 sul territorio adeguandoli agli standard europei, entro il 31 dicembre 2012. Da quanto risulta all'interrogante, attualmente, il Ministero della, salute non ancora raggiunto un accordo vero e proprio con i medici di medicina convenzionata, ed è stato approvato soltanto un atto di indirizzo, il 13 aprile 2016, che prevede l'apertura H 16 (dalle 8:00 alle 24:00), per quanto riguarda i medici di medicina convenzionale e H 12 per i pediatri di libera scelta. Si è, quindi, ancora ben lontani da un riassetto definitivo, come prevede la legge cosiddetta «Balduzzi», n. 189/2012, recepita nel patto della salute 2014-2016 la quale prevede la costituzione delle aggregazioni funzionali territoriali (AFT) e unità di cure complesse primaria U.C.C.P., ossia i medici di medicina convenzionata aperti 24 ore al giorno;
    il fine, anche condivisibile, della riorganizzazione delle cure primarie dovrebbe essere quello di ridurre li accessi inappropriati negli ospedali, bisogna però sottolineare che le AFT e le UCCP ancora non sono state create, ma nonostante questo, i posti letto per acuti sono stati sensibilmente ridotti: gli effetti dell'incompleta attuazione della riforma della sanità sono sotto gli occhi di tutti; è di dominio pubblico l'affollamento dei pronto soccorso per la cronica carenza di posti letto per acuti negli ospedali, generandosi, così, gravi carenze dei servizi sanitari per i pazienti bisognosi di cure;
   un esempio è dato dalla regione Lazio, nella quale, con decreto del commissario ad acta (DCA) n.368 del 2014 e successive modificazioni e integrazioni, sono stati ridotti i posti letto per acuti dai precedenti 3,3 per 1.000 abitanti agli attuali 3. Per una popolazione di 5.870.451 abitanti significa che si passa da 19.372 a 17.611, con una soppressione di 1.761 posti letto. Si sottolinea l'incongruenza diacronica tra la data del DCA n. 368 – 31 ottobre 2014 – e la data di pubblicazione del decreto ministeriale n. 70, riguardante gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e qualitativi relativi all'assistenza ospedaliera (cosiddetto «Standard ospedalieri»), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 aprile 2015. A livello normativo si assiste dunque, ad avviso dell'interrogante, a un DCA che ha dato attuazione a una normativa nazionale che ancora non esisteva, basandosi su una seduta della Conferenza Stato-regioni del 5 agosto 2014, nella quale le regioni approvavano con emendamenti il testo del regolamento;
   si sottolinea che i regolamenti dell'Esecutivo non possono derogare al principio di irretroattività della legge, cioè non possono essere retroattivi. Giova, altresì, ricordare che le sentenze della Corte Costituzionale nn. 362 del 2010 e 278 del 2014 ribadiscono che un soggetto che sia stato nominato commissario ad acta dal Governo non ha poteri legislativi;
   il comma 1 dell'articolo 15 «Costituzione, ricostruzione e funzionamento degli organi collegiali e degli altri organismi» del decreto del Presidente della Repubblica n. 44 del 2013 «Regolamento recante il riordino degli organi collegiali ed altri organismi operanti presso il Ministero della salute, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 4 novembre 2010, n. 183. (13G00085) (Gazzetta Ufficiale n. 98 del 27 aprile 2013), recita: «I decreti di costituzione degli organi collegiali di cui all'articolo 2, nonché quelli di ricostituzione degli altri organi collegiali e degli altri organismi di cui al presente regolamento sono emanati entro sessanta giorni dalla data della sua entrata in vigore»; è risultato impossibile all'interrogante reperire i decreti succitati che regolamenterebbero tali organi collegiali –:
   se intenda adottare le iniziative di competenza volte a garantire la trasparenza necessaria nella reperibilità di tutte le fonti normative e di tutti gli atti succitati che l'interrogante non è riuscito a rinvenire ma che dovrebbero essere nella disponibilità della collettività;
   se non reputi necessario ed urgente rivedere nel dettaglio alcune procedure che, quanto su ben specificato, non risulterebbero all'interrogante congrue rispetto ad un normale iter procedurale e se non ritenga che tali anomalie possano compromettere in toto l'attuazione del decreto ministeriale n. 70 dell'aprile 2015.
(5-08804)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI, VIGNAROLI, PARENTELA, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI e LUPO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'olio di palma, ricavato dai frutti della palma da olio coltivati nelle zone tropicali dell'Africa, del sud est asiatico e dell'America Latina, viene largamente utilizzato nell'industria alimentare, come olio di palma raffinato, risultato di meccanismi che consentono di convertirlo in forma liquida come: il «bifrazionamento» e la «raffinazione» e come olio di palmisto. Risulta essere un prodotto altamente versatile, privo di colore, sapore nonché altamente digeribile ed in grado di conferire cremosità e croccantezza tanto da essere ampliamente utilizzato nella preparazione di cibi confezionati come biscotti, merendine, gelati, cioccolato e cioccolato spalmabile, zuppe già pronte e altro;
   un numero crescente di studi scientifici avverte sui rischi dell'olio di palma per la salute umana: tra cui uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità teso a specificare come i principali acidi grassi (come acidi grassi saturi, l'acido miristico e l'acido palmitico) comportino un aumento del livello di colesterolo nel sangue, favorendo malattie cardiovascolari, uno studio del Center for Science in the Public Interest (CSPI) a conferma del fatto che l'olio di palma aumenta i fattori di rischio cardiovascolare poiché l'acido palmitico è uno dei grassi saturi che più aumenta il rischio di coronaropatie, uno studio dell’American Heart Association che consiglia di limitarne l'uso per le persone che devono ridurre il livello di colesterolo ed uno studio condotto da Francesco Giorgino, direttore del dipartimento endocrinologia dell'università di Bari, in collaborazione con le università di Pisa e di Padova, che stabilisce come il palmitato, acido grasso presente anche nell'olio di palma, attivi la proteina «p66shc», principale responsabile della morte delle cellule che producono l'insulina, causando il diabete mellito;
   le fasce di età più basse risulterebbero maggiormente esposte al consumo di olio di palma, presente nella maggior parte dei prodotti di consumo infantile e adolescenziale, come emerge dalla lettura del parere dell'Istituto superiore di sanità del 19 febbraio 2016 sul consumo di acidi grassi saturi nei bambini tra i 3 e i 10 anni, tale da essere superiore ai limiti sanitari consigliati;
   il 3 maggio 2016 l'Efsa (l'Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha pubblicato il rapporto scientifico sui «Contaminanti da processo in oli vegetali e alimenti» in cui si evidenzia la problematicità di 3 sostanze presenti nell'olio di palma, glicidil esteri degli acidi grassi (GE), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e 2-monocloropropandiolo (2- MCPD) e loro esteri, risultanti dalla raffinazione ad alte temperature (circa 200o C) adoperata per la produzione dell'olio di palma. Particolarmente preoccupante la genotossicità e cancerogenicità del glicidolo, a fronte della quale, secondo la dottoressa Helle Knutsen, a capo della ricerca dell'EFSA, non è stato possibile determinare una soglia di sicurezza accettabile evidenziando che «l'esposizione ai GE dei bambini che consumino esclusivamente alimenti per lattanti costituisce motivo di particolare preoccupazione, in quanto è fino a dieci volte quella che sarebbero considerata di lieve preoccupazione per la salute pubblica». Analoga preoccupazione sussiste per il 3-MCPD, la cui soglia di assunzione fissata, a 0,8 mg per kg di peso corporeo, risulta essere completamente disattesa e per il 2-MCPD, per il quale non sussistono evidenze sufficienti a stabilirne una soglia di sicurezza in termini sanitari;
   emerge la pericolosità dei contaminanti contenuti nell'olio di palma raffinato come probabili cancerogeni umani, tali da raccomandare un monitoraggio degli olii e grassi vegetali, come su indicazione della Commissione europea nella raccomandazione del 10 settembre 2016;
   i contaminanti individuati dall'EFSA, presenti in tutto l'olio raffinato proprio a causa dei processi produttivi, erano già noti da tempo tanto che gli esteri di MCPD negli alimenti trasformati erano stati descritti nel 2004 in uno studio dell'università di Praga e tra il 2007 e il 2008 il Centro per la sicurezza alimentare di Stoccarda (CVUA) aveva analizzato la presenza di 3-mpcd in 400 grassi animali e cibi che li contengono rilevandone livelli significativi nei prodotti contenenti olio di palma raffinato. La stessa Nestlè nella presentazione resa dal suo ricercatore, dottor Richard Stadler durante un convegno a Praga ad aprile del 2009, dava atto che già nel 2007 l'Autorità tedesca per la sicurezza alimentare aveva evidenziato la necessità di ridurre i livelli dei contaminanti cancerogeni negli alimenti e nelle formule di proseguimento per lattanti e, per voce del dottor Walburga Seefelder, nel convegno organizzato da ILSI (centro di ricerca brussellese) a febbraio 2009 – ribadiva che gli olii di semi contenevano un ammontare significativamente inferiore di 3-MCPD e 2-MCPD rispetto all'olio di palma;
   l'Italia importa 77.000 tonnellate di olio di palma per uso alimentare, come emerge dal Food Balance Sheet della Food Agricolture Agency (FAO) del 2011 evidenziando un incremento rispetto agli anni precedenti: 40.000 tonnellate/anno nel periodo 2005-2008 a 75.000 nel 2009 e 76.000 nel 2010;
   si registra la possibile appartenenza dell'olio di palma alla categoria dei « novel food», nuovi alimenti o nuovi ingredienti alimentari, disciplinati dal regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e nuovi ingredienti alimentari non consumati in misura significativa all'interno dell'Unione europea prima del 15 maggio 1997, data di entrata in vigore del regolamento medesimo e sui quali si predispone la necessità di accertarne come da regolamento la sicurezza, anche se gli alimenti e/o ingredienti alimentari risultassero già in commercio al di fuori dell'Unione europea prima di tale data tramite autorizzazione dell'EFSA e previa valutazione di uno Stato membro –:
   secondo quali valutazioni e relative autorizzazioni il Ministero della salute consenta la commercializzazione di tale sostanza e dei prodotti che la contengono;
   se non si ritenga l'allarme contenuto nella recente valutazione dell'EFSA un'indicazione sufficiente per assumere iniziative per assumere iniziative per una immediata sospensione dell'autorizzazione sanitaria dell'olio di palma;
   quali iniziative il Governo intenda adottare nell'identificazione e nella gestione del rischio (4-13332)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCAGLIUSI e PETRAROLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come indicato sul proprio sito istituzionale, Postel spa, società con socio unico del gruppo Poste italiane e caratterizzata da una specifica storia di azienda di stampa, è una grande realtà produttiva per la gestione documentale al fianco di oltre 4.000 clienti, tra imprese e pubblica amministrazione centrale e locale;
   come riportato sul proprio sito istituzionale, «Il codice etico Postel è quello della capogruppo Poste italiane e sancisce non solo i principi e i valori sui quali si fonda la nostra impresa e ai quali tutti i dipendenti sono chiamati ad attenersi, ma anche l'insieme delle responsabilità che Postel assume verso l'interno e verso l'esterno»;
   come riportato nei principi generali del codice etico, «i rapporti e i comportamenti, a tutti i livelli aziendali, sono improntati a principi di onestà, correttezza, trasparenza, riservatezza, imparzialità, diligenza, lealtà e reciproco rispetto»;
   come previsto dalla certificazione sulla responsabilità sociale SA8000 conseguita da Postel spa, i cui, riferimenti normativi sono la dichiarazione universale dei diritti umani, le convenzioni ILO, la convenzione ONU sui diritti dei bambini, la convenzione ONU sulla discriminazione verso le donne, i sistemi legislativi nazionali, l'azienda privilegia l'etica a garanzia del proprio ciclo produttivo;
   la tutela dei soggetti portatori di handicap giustifica, ai sensi della legge n. 104 del 1992, deroga al normale svolgimento della prestazione lavorativa ed ai criteri ordinari che disciplinano i trasferimenti della categoria di personale di appartenenza;
   risulta agli interroganti almeno una domanda di trasferimento per gravi e comprovati motivi familiari ancora non accolta, a fronte di altre domande evase, ad avviso degli interroganti, con tempistiche e modalità che appaiono talvolta non trasparenti;
   nella seconda metà del 2014, Postel spa, ha attuato il trasferimento di 17 lavoratori dalla sede di Pomezia (via Campobello n. 43) alla sede di Roma di viale Europa n. 175;
   tale trasferimento è avvenuto a poco più di due anni di distanza dallo spostamento, alla fine del 2011, di 77 risorse di Postel spa presso la suddetta sede di Pomezia dagli uffici di Roma siti in via Massaia n. 31, in seguito al rilascio dell'immobile che ospitava complessivamente 284 lavoratori. I restanti 207 lavoratori di via Massaia, invece, sono stati contestualmente trasferiti nello stabile di viale Europa 175 Roma;
   dopo poco tempo dallo spostamento collettivo del 2011 da Roma a Pomezia, l'azienda ha ritenuto opportuno riunire le strutture tecnico-operative dal momento che, ad avviso degli interroganti, non ha in alcun modo agevolato né logisticamente né strategicamente le attività aziendali;
   il 25 settembre 2014, con una interrogazione a risposta scritta a prima firma del deputato Bianchi, a cui non è ancora stata data risposta, si chiedeva al Ministero dell'economia e delle finanze, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché al Ministero dello sviluppo economico, se non intendessero intervenire per favorire, nei limiti di competenza, una maggiore trasparenza e una maggiore sensibilità per le problematiche esposte in premessa presso imprese, come Poste italiane spa, a totale partecipazione dello Stato;
   per i dipendenti di Postel, secondo le informazioni in possesso degli interroganti, non esisterebbe una graduatoria trasparente di mobilità né interna a Postel né tantomeno di accesso alla capogruppo Poste Italiane;
   già nel settembre 2005, veniva pubblicato un dossier dall'Espresso, dal quale emergeva, come scritto testualmente nel settimanale, «la mappa del privilegio di cui si è spesso favoleggiato e che trova conferma in database e file con messaggi di posta elettronica e bozze di lettere, indirizzari e minuziosi riepiloghi» finalizzati a favorire, segnalazioni di casi umani, promozioni e trasferimenti per conto di politici e familiari «influenti» –:
   se esista una graduatoria trasparente ed accessibile di mobilità interna a Postel e di accesso alla capogruppo Poste Italiane;
   se il Ministro non ritenga opportuno, nei limiti di competenza e dato che Postel spa è una società con socio unico del gruppo Poste italiane, adoperarsi per favorire una maggiore trasparenza e una maggiore sensibilità alle problematiche esposte in premessa, soprattutto quando trattasi di aziende, come Poste italiane spa, a totale partecipazione dello Stato. (5-08792)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Rai Radio Televisione Italiana non riesce a trasmettere il proprio segnale nell'Alta Valle Cervo del Biellese, ed in particolare nell'area del comune di Rosazza (BI);
   appare intuibile il disagio e l'irritazione dei cittadini, che si trovano privi di un mezzo di comunicazione diventato non soltanto importante ma sostanzialmente insostituibile;
   a parere dell'interrogante l'assenza di segnale nel predetto territorio integra una violazione del contratto di pubblico servizio da parte dell'azienda radiotelevisiva a danno dei cittadini ivi residenti, i quali, in virtù del principio di uguaglianza, hanno il diritto di non essere esclusi dal più importante sistema di comunicazione;
   in particolare, le nuove modalità di comunicazione attraverso le reti televisive, che sempre più sembrano prevalere rispetto all'utilizzo tradizionale della carta stampata, costituiscono prova evidente del grave danno che si arreca non creando le condizioni per l'attivazione del servizio Rai –:
   per quali motivi si stia verificando la mancata trasmissione del segnale di cui in premessa, e quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per porre fine a tale disservizio. (4-13337)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Antezza e altri n. 7-00993, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giacobbe.

  La risoluzione in Commissione Coscia e altri n. 7-01001, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scuvera.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Terzoni n. 2-01383 del 24 maggio 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Scagliusi e Petraroli n. 4-09497 del 17 giugno 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08792.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Gnecchi e altri n. 5-05303 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 406 del 10 aprile 2015.
  Alla pagina 23800, prima colonna, alla riga trentacinquesima deve leggersi «31 dicembre 2014, gli anni di contribuzione» e non come stampato.