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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 24 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la musica è una delle grandi ricchezze che costituiscono lo straordinario patrimonio culturale dell'Italia;
    l'Italia è il Paese della musica e del bel canto: italiano è l'ideatore della moderna «notazione musicale», Guido D'Arezzo; in tutti gli spartiti musicali del mondo il lessico è italiano: adagio, allegro, andante;
    tra i massimi compositori molti sono italiani: Vivaldi, Corelli, Palestrina, Pergolesi, Monteverdi, Scarlatti, Paisiello;
    l'opera è italiana: basti pensare a Verdi, Rossini, Donizetti, Bellini, Puccini; anche Mozart utilizzava libretti italiani;
    l'Italia è leader anche nella costruzione degli strumenti musicali, e ne è esempio di eccellenza la tradizione di liuteria di Cremona, nata con Amati, Guarneri e Stradavari;
    oggi l'Italia annovera tantissimi compositori, musicisti e direttori d'orchestra di fama mondiale;
    si hanno giovanissimi talenti musicali che vincono i principali premi internazionali;
    la musica è un potente strumento di educazione e coesione sociale che, grazie al suo linguaggio universale, permette di comunicare tra culture diverse, instilla passione e capacità, educa all'impegno e al sacrificio;
    il Governo sta investendo concretamente, anche con l'ultima legge di stabilità, su musica e cultura attraverso una serie di misure volte alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale nazionale: si pensi, con riferimento alla legge di stabilità per il 2016, all’«art bonus» (commi 318 e 319 dell'articolo 1), al cosiddetto bonus Stradivari (comma 984), al risanamento delle fondazioni lirico sinfoniche (commi 355-357), nonché alle norme in materia di personale delle istituzioni musicali contenute nella riforma della «buona scuola» (legge n. 107 del 2015);
    in particolare, il «bonus» Stradivari prevede un contributo di mille euro per gli studenti dei conservatori per l'acquisto dello strumento musicale, ed è quindi un reale sostegno alla formazione musicale;
    il disegno di legge di delegazione europea S. 2345, attualmente in discussione al Senato, prevede un importante intervento per sostenere e promuovere la musica dal vivo, attraverso l'esclusione dagli obblighi SIAE per gli spettacoli dal vivo fino a cento posti (articolo 20);
    nonostante le recenti misure nazionali a favore e a sostegno della musica, il settore continua a permanere in uno stato di sofferenza per la mancata attuazione di importanti e necessarie leggi di riforma, con gravi ripercussioni sul piano culturale ma anche occupazionale;
    ad oggi, dopo ben 17 anni, risulta in gran parte non ancora attuata la legge di riforma dei conservatori e degli istituti per l'alta formazione artistica e musicale (AFAM), legge n. 508 del 1999, se non per la parte relativa all'autonomia statutaria, con la conseguenza che tali istituzioni formative, bloccate in un limbo normativo, stanno perdendo qualità e competitività;
    il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, e la legge 13 luglio 2015, n. 107, al fine di rimediare alle gravi difficoltà economiche hanno erogato finanziamenti tampone agli istituti superiori di studi musicale e coreutici (ex istituti musicali pareggiati), limitati ai soli anni 2014-2016;
    gli istituti superiori di studi musicale e coreutici rappresentano circa il 30 per cento dell'offerta nazionale; tali istituti formano ogni anno oltre mille orchestrali. Sono stati rasentati numerosi progetti di legge per la statizzazione degli istituti musicali ex pareggiati per dare attuazione alle previsioni della legge 21 dicembre 1999, n. 508; la legge di stabilità per il 2013 ha stabilito che i diplomi accademici di secondo livello rilasciati da queste istituzioni sono equipollenti ai titoli di laurea magistrale;
    a tutt'oggi i costi del personale (docente e tecnico-amministrativo) degli istituti ex pareggiati, nonché la gestione delle strutture, ricadono ancora quasi interamente sui bilanci dei comuni e delle province di appartenenza; attualmente, una percentuale vicina al 50 per cento del personale AFAM non è a tempo indeterminato;
    i diplomati accademici delle istituzioni AFAM incontrano oggi gravi problemi occupazionali, come rivela la recente indagine di Alma Laurea sugli «Esiti occupazionali dei diplomati accademici delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica», che evidenzia come solo il 53 per cento dei diplomati trova occupazione;
    sempre secondo l'indagine di Alma Laurea il 34,5 per cento degli occupati è assunto con contratti a tempo determinato o forme simili, quindi con un alto livello di precarietà;
    recentemente anche una realtà musicale importante e di lunga tradizione come l'Orchestra sinfonica giovanile dell'Unione europea (EUYO), composta da 160 elementi, che dal 1979 rappresenta simbolicamente l'integrazione dell'Europa unita e è ambasciatrice culturale dell'Unione europea, oggi rischia di scomparire a causa del taglio di fondi dell'Unione (restano ancora i finanziamenti dei singoli Stati), nonostante ne sia presidente onorario Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo. Molti musicisti oggi famosi sono passati tra le fila dell'orchestra (la «generazione di Abbado») e ricordano quale immensa opportunità abbia rappresentato questa esperienza;
    il 21 giugno 2016 ricorre la Festa europea della musica e la celebrazione di tale evento non può che essere sminuita e contraddetta dalla possibile chiusura dell'orchestra EUYO. Dal sito www.euyo.ue è partita una mobilitazione, estesa anche ai social network, per sensibilizzare i cittadini europei e scongiurare la chiusura di questa grande istituzione;
    è opportuno contrastare la generale crisi del settore della musica in Italia, in particolare quella classica; l'orchestra sinfonica di Roma ha chiuso i battenti, così molte altre negli ultimi due anni; la scarsità di risorse ha portato alla chiusura o alla riduzione al lumicino delle attività di illustri istituti superiori di studi musicali quali il «Pergolesi» di Ancona o il «Paisiello» di Taranto;
    è paradossale osservare che in una delle nazioni dove la musica classica è nata e cresciuta, essa tenda a scomparire, mentre essa prospera in Paesi di cultura musicale totalmente diversa (Estremo Oriente),

impegna il Governo:

   a rafforzare l'azione del Governo per la tutela ed il rilancio della musica in Italia, individuando le risorse necessarie a contrastarne la crisi di qualità, di vocazioni, di spazi e di pubblico;
   ad attuare con la massima sollecitudine la riforma dei conservatori e degli istituti AFAM come previsti dalla legge n. 508 del 1999 e, in particolare, ad assumere iniziative per emanare i decreti sul reclutamento e sulle carriere del personale docente, sulla messa a ordinamento dei bienni, sulla statizzazione degli istituti superiori di studi musicali, sulla funzionalità dell'organo consultivo di sistema (Consiglio nazionale per l'alta formazione artistica e musicale), assicurando il pieno riconoscimento dei conservatori, e in generale degli istituti AFAM, quali soggetti del sistema universitario, ivi incluse la pubblicizzazione dei contratti e l'armonizzazione progressiva dei livelli stipendiali del personale docente;
   ad individuare e destinare le risorse necessarie per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili destinati alla musica e per le utenze, in passato assicurate alle province;
   a promuovere la creazione di orchestre giovanili, quali luoghi di formazione musicale e tirocinio, nei grandi teatri, nonché l'inserimento delle loro esecuzioni nei palinsesti, anche inserendo tali iniziative tra i criteri di premialità del Fondo unico per lo spettacolo ed utilizzando a tal fine le risorse del programma «Garanzia Giovani»;
   a promuovere la creazione di orchestre e gruppi musicali nelle scuole e nelle periferie, quale strumento di formazione, di socialità e di integrazione;
   a favorire presso l'emittenza pubblica e privata la messa in onda si musica italiana, con particolare riferimento ai giovani compositori;
   a sostenere con risorse adeguate le edizioni nazionali riferite alle opere della musica italiana;
   ad attivarsi in sede europea al fine di istituzionalizzare l'orchestra giovanile dell'Unione europea EUYO, in considerazione della sua funzione decisiva per l'integrazione europea.
(1-01286) «Vignali, Lupi, Binetti, Calabrò, Marotta».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 2008 è presente una gravissima crisi economica internazionale che ha colpito in modo particolare anche alcuni Paesi dell'area dell'Unione europea. L'attuale congiuntura economica, superiore, per intensità, durata e diffusione nei mercati globali a quella del 1929, ha investito anche il nostro Paese;
    dal dicembre 2011 i Governi che si sono succeduti hanno inasprito le azioni fiscali contro le imprese e di conseguenza contro i lavoratori con la scusa dell'imminente default e la necessità e l'urgenza di intervenire al fine di trovare la giusta stabilità nei conti;
    una crisi provocata dalle banche e dalla finanza sta distruggendo l'economia reale, sta mettendo in ginocchio la gente comune, colpita da manovre economiche che aumentano la pressione fiscale diretta ed indiretta e causano l'aumento indiscriminato dei prezzi, anche dei prodotti di prima necessità, con una significativa perdita di potere di acquisto da parte delle famiglie;
    la crisi economica ha avuto origine dal crollo dei mutui sub-prime dell'estate 2007 e il conseguente fallimento a catena di alcune banche di affari (la più importante la Lehman Brothers quarta banca americana) che senza alcuna regolamentazione e per giunta con la copertura ufficiale delle agenzie private di certificazione attuavano una leva finanziaria di 1 a 30;
    gli esperti hanno individuato da subito tra le cause principali della crisi economica il fallimento di un modello di mercato senza regole nel quale le istituzioni hanno abdicato al loro ruolo di garanti rispetto al potere esercitato dalla finanza e dalla grande industria. Un cancro diffuso in tutti i settori ma che vede il concentrarsi delle sue metastasi proprio in quelle operazioni speculative messe in atto dalle agenzie di intermediazione finanziaria;
    la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è dimostrata totalmente incapace di mantenere il sistema su binari funzionanti;
    il sistema finanziario e monetario sempre più deregolamentato e sottratto ai controlli, ha minato ogni forma di governance dando così origine ad una serie di bolle finanziarie e fagocitando i settori industriali, commerciali e agricoli produttivi;
    il tessuto imprenditoriale, costituito in Italia per più del 95 per cento da piccole e medie imprese, ha risentito e continua a risentire del fenomeno del credit crunch, un fenomeno che ha portato alla chiusura di molte imprese che non hanno ricevuto dagli istituti di credito il necessario e, in questo periodo, vitale, supporto finanziario per il proprio ciclo produttivo;
    i dati forniti dal Governo sulla ripresa economica del nostro Paese sono notoriamente ottimistici e si scontrano con una evidente realtà di diffuso disagio sociale;
    il nostro è il Paese con l'imposizione fiscale più alta nell'area dell'Unione europea, condizione che spinge molte imprese a delocalizzare verso Paesi vicini come la Svizzera, l'Austria, la Slovenia, la Slovacchia, la Francia e nell'area extra-Unione europea la Serbia;
    nella fase di congiuntura economica che ha investito il nostro Paese i Governi che si sono succeduti hanno adottato una politica di contenimento dei costi che ha generato tagli ingenti ai finanziamenti diretti agli enti locali con conseguente difficoltà da parte delle amministrazioni comunali nella gestione degli interventi diretti ai servizi ai cittadini secondo standard di qualità, efficienza ed efficacia;
    i continui flussi migratori verso il nostro Paese di cittadini stranieri provenienti dai Paesi extracomunitari determinano una serie di problemi in campo assistenziale, nell'area socio-sanitaria e in quella più ampia e complessa dell'integrazione;
    le risorse impiegate dai comuni e dalle loro associazioni per i servizi erogati ai cittadini stranieri rappresentano circa il 3 per cento della spesa sociale complessiva, per un valore di circa 190 milioni di euro. Tra i vari tipi di azioni a sostegno degli immigrati, al primo posto in termini di spesa, vi sono gli interventi e i servizi, dove confluisce circa il 40 per cento delle risorse. Gli interventi specifici offerti dai comuni per l'integrazione sociale dei soggetti a rischio coinvolgono ogni anno circa 160 mila utenti. Inoltre, circa il 35 per cento della spesa destinata all'area immigrazione è impiegato dai comuni per la gestione di strutture residenziali, che accolgono circa 12 mila ospiti con una spesa media di circa 3.200 euro l'anno per utente;
    in un anno circa 4 mila soggetti beneficiano del pagamento di rette per il soggiorno in strutture di tipo privato, con una spesa media di circa 3.600 euro l'anno per assistito. A questo tipo di supporto si deve aggiungere la gestione delle aree attrezzate per i nomadi. Le risorse rimanenti sono erogate sotto forma di contributi in denaro (29,2 per cento della spesa per immigrati), principalmente finalizzati alla copertura dei costi per l'alloggio (oltre 24 mila beneficiari), e all'integrazione del reddito (quasi 20 mila beneficiari). Considerata l'esigenza dei comuni di far fronte alle necessità per la messa a punto di servizi specifici diretti a far fronte all'impatto sociale dovuto al crescente fenomeno della presenza di cittadini extracomunitari, basti pensare a titolo d'esempio alla tutela dei minori stranieri non accompagnati, è necessario che si sviluppi un intervento strutturale per la condivisione di responsabilità ed oneri tra amministrazione centrale e autonomie locali. In questa particolare fase di congiuntura economica e di tagli alle risorse degli enti locali, si ha il dovere di strutturare delle forme di sostegno per i comuni nella messa a punto di servizi specifici in una logica di standardizzazione nazionale degli interventi, secondo modelli di collaborazione già sperimentati con successo in alcuni settori delle politiche sociali;
    nell'affrontare il tema legato alle immigrazioni sarebbe corretto operare nel rispetto del tradizionale valore dell'ospitalità che da sempre contraddistingue il nostro popolo e l'Europa. Questo significa che il buon padrone di casa deve essere aperto in modo solidale ad aiutare chi in difficoltà richiede ospitalità facendo in modo che l'ospite venga trattato al pari dei propri familiari. Questo aspetto della tradizione europea trova i suoi limiti propri nel numero delle persone che si riescono e si possono ospitare. È inutile, improduttivo, disumano ospitare più persone di quelle che si riesce ad accogliere destinandole a vivere nelle difficoltà e nel disagio, minando allo stesso tempo il bene dei componenti della propria famiglia. Questo elementare principio che appartiene alla cultura classica dovrebbe far ben comprendere come sia impossibile non determinare un numero massimo di presenze di extracomunitari nel territorio italiano;
    l'irresponsabile condotta delle politiche messe in atto per gestire l'enorme flusso migratorio verso il nostro Paese rischia di creare un impatto sociale ingestibile alimentando l'ingiustizia che vivono i cittadini italiani in condizioni estreme di disagio e di emergenza abitativa nel trovarsi a constatare come il Governo abbia soluzioni immediate per far fronte ai problemi di vitto e alloggio degli extracomunitari che sbarcano sulle coste italiane;
    i risultati delle politiche in tema di accoglienza, adottate da questo Governo, denotano, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, un vero e proprio fallimento;
    i dati degli arrivi di immigrati nel nostro Paese clandestinamente con le navi (solo via mare 153.842 ingressi nel 2015 e per i primi tre mesi del 2016 già 19.932, con un aumento del 50 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015) e della mancata attivazione degli strumenti di respingimento ed espulsione previsti dall'ordinamento nazionale e da quello comunitario (articoli 10 e 13 del decreto legislativo n. 286 del 1998 e della direttiva 2008/115/CE) evidenziano come il fenomeno immigratorio abbia assunto ormai la dimensione di una vera e propria invasione programmata del territorio italiano;
    il sistema di accoglienza, a seguito anche delle ultime modifiche apportate con il decreto legislativo n. 142 del 2015, si articola in un sistema complesso che, oltre alla primissima accoglienza nei cosiddetti hotspot, si distingue in «prima accoglienza» assicurata nelle strutture governative di cui all'articolo 9, in «seconda accoglienza» nelle strutture di cui all'articolo 14 e, nei casi di emergenza e di indisponibilità nelle precedenti strutture, in quelle di cui all'articolo 11 (CAS), che, dovrebbero essere temporanee ma che di fatto sono diventate le più numerose ed utilizzate, registrando all'11 aprile 2016 139.215 presenze su un totale di 168.750 immigrati accolti nel sistema di accoglienza;
    chiunque arriva nel nostro Paese, indipendentemente dalla nazionalità e dalle modalità di ingresso, può presentare, in qualsiasi momento e senza limiti di tempo o preventivo controllo di ammissibilità, una domanda di protezione internazionale che di fatto blocca qualsiasi procedura di espulsione e il mantenimento gratuito del richiedente fino alla conclusione della procedura d'esame della domanda, che dura in media circa nove mesi;
    alla presentazione della domanda di protezione internazionale il richiedente asilo nelle strutture di accoglienza ha diritto, secondo quanto previsto già dalla circolare del Ministero dell'interno dell'8 gennaio 2014, ad una serie di servizi comprensivi di pulizia dei locali e lavanderia, erogazione dei pasti, prodotti per l'igiene personale, vestiario adeguato alla stagione, una ricarica telefonica di 15 euro all'ingresso, assistenza linguistica e culturale, sostegno socio-psicologico, assistenza sanitaria, «orientamento al territorio» e un pocket money di euro 2,5 al giorno per le spese personali;
    lo Stato corrisponde agli enti gestori delle strutture di accoglienza in media 35 euro al giorno per ogni richiedente ospitato e spesso si registrano situazioni di mancanza di meccanismi di controllo e monopoli da parte di associazioni e cooperative che gestiscono, anche in diverse province e regioni, numerosi centri di accoglienza e in alcuni casi senza partecipare ad alcun bando, ma per assegnazione diretta da parte delle prefetture;
    tale giro di denaro ha creato un vero e proprio business intorno al fenomeno migratorio;
    secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2016, fino ad aprile, di tutte le domande di asilo solo al 3 per cento dei richiedenti è stato riconosciuto lo status di rifugiato;
    pare che il fallimento della procedura di ricollocazione (decisioni n. 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015 e n. 2015/1601 del Consiglio del 22 luglio 2015) – che avrebbe dovuto comportare il trasferimento presso altri Paesi europei in totale di 160.000 richiedenti asilo di nazionalità siriana, irachena ed eritrea, di cui 39.600 dall'Italia – sarebbe da ricondurre anche al fatto che nel nostro Paese giungono, sempre in maggior numero, «richiedenti asilo» ivoriani, senegalesi e gambiani, nazionalità non indicate nel programma di ricollocazione e con i cui Stati l'Italia non ha attivato accordi di identificazione e riammissione;
    dall'avvio del piano di ricollocamento cosiddetto Junker gli Stati membri dell'Unione europea hanno rinviato in Italia, a fronte dei 580 ricollocati in Germania, Romania, Francia, Portogallo, Finlandia e Olanda, ben 1.101 immigrati irregolari, ossia circa il doppio. Nei primi sette mesi del piano pare siano 23.468 gli immigrati clandestini rintracciati nello spazio europeo che, secondo quanto dispone «Dublino III» (regolamento n. 604/2013), devono essere riammessi in Italia e di conseguenza le richieste in tal senso avanzate sono 4.219 dalla Germania, 4.704 dalla Svizzera, 1.921 dalla Francia e 1.669 dall'Austria;
    dunque, sebbene lungo la rotta ovest dei Balcani la situazione sembra risolta grazie alla volontà e alle iniziative dei Paesi posti su tale confine a difesa del proprio territorio a fronte dell'inerzia dell'Unione europea, perdurando però il massiccio arrivo di immigrati, agevolato dal permeabile confine marittimo italiano, sei Paesi dell'Unione europea, ossia Germania, Francia, Austria, Belgio, Svezia e Danimarca, chiederanno alla Commissione europea di prolungare di sei mesi, a partire dalla metà di maggio 2016, i controlli alle loro frontiere;
    secondo i dati forniti da Frontex, dopo la chiusura della rotta cosiddetta balcanica gli arrivi via mare nel nostro Paese a marzo 2016 sono stati 9.600, oltre il doppio rispetto a febbraio, con un incremento anche dall'Egitto;
    secondo i dati dell'ufficio statistico europeo, l'Italia è tra i Paesi maggiormente coinvolti nel problema immigrazione, quello che rimpatria meno immigrati clandestini: nel 2015 in Italia le espulsioni sono state 26.058, ma gli effettivi rimpatri 11.944, a fronte, ad esempio, degli 86.000 della Francia e dei 65.000 della Gran Bretagna;
    i sindaci nel loro ruolo di primi cittadini sentono il peso delle diffuse problematiche sociali che colpiscono direttamente il territorio amministrato quali la disoccupazione giovanile, le difficoltà economiche dei residenti anziani, l'emergenza abitativa delle famiglie, l'aumento esponenziale di situazioni e condizioni di povertà e si sentono abbandonati dall'amministrazione centrale nella risoluzione diretta a tali problematiche;
    è doveroso porre la giusta attenzione all'inarrestabile continua richiesta di aiuto da parte degli amministratori locali che cercano di trovare soluzioni all'ingiustizia che vede, da un lato, il Governo destinare ingenti risorse economiche per la presa in carico dei cittadini extracomunitari e, dall'altro, una diffusa disattenzione per il disagio sociale dei cittadini italiani;
    molti sindaci hanno avviato ufficialmente un processo di democrazia partecipata per farsi supportare con un mandato ufficiale dai cittadini per proporre, con forza, al Governo di stornare almeno in parte le risorse economiche destinate all'accoglienza dei cittadini extracomunitari per destinarle ad aiuti concreti alla comunità cittadina che soffre,

impegna il Governo

a sostenere l'iniziativa dei sindaci finalizzata ad un riconoscimento ufficiale delle vittime della crisi economica, mettendo in atto le dovute iniziative per la presa in carico di questa particolare categoria, stornando parte delle risorse necessarie da quelle destinate alla assistenza degli extracomunitari richiedenti protezione umanitarie.
(1-01287) «Fedriga, Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    era il 19 giugno 2009 quando la signora Asia Bibi, pakistana di fede cattolica, madre di cinque figli, veniva arrestata dalla polizia nel suo villaggio di Ittanwali, nella provincia del Punjab, a seguito della denuncia di alcune altre donne di credo musulmano per blasfemia in conseguenza ad una presunta offesa al profeta Maometto durante un diverbio;
    l'11 novembre 2010, oltre un anno dopo dall'arresto, il giudice di Nankana Sahib ha emesso una prima sentenza nella quale veniva «totalmente» esclusa la possibilità di considerare che l'imputata fosse stata accusata ingiustamente e che «non esistono circostanze attenuanti» per la stessa. Nel 2013, per questioni di sicurezza, la donna è stata trasferita dal carcere di Sheikhuprura a quello femminile di Multan, rendendo sostanzialmente impossibili i contatti tra Asia Bibi e la famiglia a causa della maggiore distanza e dei costi aggiuntivi di viaggio;
    il 16 ottobre 2014, dopo quasi quattro anni dalla presentazione del ricorso avverso la sentenza di primo grado, l'Alta Corte di Lahore ha confermato la condanna alla pena capitale per Asia Bibi. Il 24 novembre 2014 l'imputata ha tuttavia presentato appello dinanzi alla Corte suprema che il 22 luglio 2015 si è pronunciata stabilendo la sospensione della pena capitale e rimandando il processo ad una prossima udienza di legittimità sul procedimento penale;
    il caso della donna condannata per blasfemia ha mobilitato la società civile e la comunità internazionale. Appelli per la sua liberazione sono stati lanciati anche da Papa Benedetto XVI e da Papa Francesco che, con molteplici moniti, hanno chiesto al Presidente del Pakistan di concedere la grazia ad Asia Bibi;
    anche in sede europea e proprio nel semestre di Presidenza italiana, circa un anno fa, il caso di Asia e la legge di blasfemia sono stati al centro di un dibattito che li citava come paradigmatici del mancato rispetto dello standard minimo dei diritti umani in Pakistan e una nota della Commissione ha criticato il fatto che nella legge di blasfemia la sanzione è sproporzionata rispetto alla natura del reato ed anche un numero considerevole dei casi si basi su false dichiarazioni;
    sta di fatto che Asia Bibi è in carcere da oltre 2.500 giorni e le prese di posizione e i proclami politici rischiano di rimanere «lettera morta» se non sono accompagnati da una effettiva azione sul terreno economico come, ad esempio, una riduzione del raggio di azione e del volume di affari nei rapporti commerciali del Pakistan con i Paesi occidentali e con la Unione europea in particolare;
    in Pakistan, in suo favore si è espressa la Commissione sulla condizione delle donne, costituita nel 2000 per rimuovere le discriminazioni sessuali, che ha chiesto la sua immediata liberazione, ma intorno al suo caso si è determinata un'aspra contesa tra l'estremismo islamico, capillarmente diffuso nel Paese, e una concezione più «liberale» delle leggi e dello Stato;
    nel suo Paese la mobilitazione per la liberazione di Asia Bibi e più in generale per la abolizione della legge sulla blasfemia è costata la vita nel gennaio del 2011 al governatore del Punjab, Salman Taseer, che aveva difeso la donna e si era pronunciato contro la legge, così come all'unico ministro cristiano del governo di Islamabad, Shahbaz Bhatti, anche lui assassinato dopo per aver chiesto una riforma della stessa legge, considerata universalmente la più retrograda dell'intero mondo arabo e musulmano;
    il reato contestato ad Asia Bibi, che è stato introdotto nel codice penale pakistano del 1986 (articolo 295C sulla blasfemia), prevede infatti la pena di morte per chi offende Allah, Maometto o il Corano ed è stata sovente lo strumento attraverso il quale gli estremisti hanno rivolto attacchi alle minoranze religiose e alle sette eretiche musulmane e rappresenta spesso un pretesto per fomentare faide familiari, dal momento che la maggior parte delle accuse di questo tipo risultano costruite ad arte;
    il Pakistan nel 1948 ha aderito alla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e negli ultimi anni ha ratificato la gran parte dei principali strumenti internazionali in materia di diritti dell'uomo, tra cui il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR) e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, strumenti che comprendono numerose disposizioni riguardanti l'amministrazione della giustizia, il diritto a un processo equo, l'uguaglianza davanti alla legge e il divieto di discriminazione;
    sono purtroppo ancora molti i Paesi nel mondo, anche tra quelli che hanno formalmente ratificato la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che non rispettano il principio della libertà religiosa e la tutela delle minoranze e non consentono lo svolgimento di processi giusti, equi ed imparziali;
    sulla base del rapporto biennale 2014 sulla libertà religiosa nel mondo, redatto dalla Fondazione pontificia «aiuto alla Chiesa che soffre», dei 196 Paesi analizzati, in ben 116 si registra una preoccupante limitazione alla libertà religiosa. Nel periodo preso in esame (ottobre 2012 – giugno 2014) sono stati rilevati cambiamenti in 61 Paesi, ma soltanto in sei di questi (Cuba, Emirati Arabi Uniti, Iran, Qatar, Taiwan e Zimbabwe) tali modificazioni hanno coinciso con un miglioramento della situazione, spesso tra l'altro principalmente in ragione di iniziative locali;
    il rapporto ha messo in evidenza il fatto che l'Asia è il continente nel quale la libertà religiosa è maggiormente violata e dove si riscontra un incremento del fondamentalismo non soltanto islamico, ma anche indù e buddista ai danni della minoranza cristiana. In Medio Oriente e in Africa le limitazioni alla libertà religiosa offrono terreno fertile all'estremismo e al terrorismo con un incremento dei casi di intolleranza. In America Latina gli ostacoli alla libertà religiosa sono quasi sempre causati dalle politiche di regimi apertamente laicisti o atei che limitano la libertà di tutti i gruppi, senza alcuna distinzione di credo,

impegna il Governo:

   a farsi parte attiva nei confronti della comunità internazionale affinché si propongano iniziative volte alla piena affermazione del principio della libertà religiosa, della tutela delle minoranze religiose e del contrasto ad ogni violazione indiscriminata e persecuzione;
   ad attivarsi, nelle sedi diplomatiche, affinché in tutti i Paesi del mondo, a partire da quelli che aderiscono alle Nazioni Unite e alla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo vi sia una moratoria definitiva delle condanne inflitte in violazione dell'inalienabile principio della libertà religiosa;
   a promuovere, in particolare, ogni più opportuna iniziativa diplomatica ed in campo economico nei confronti del Pakistan affinché proceda all'abrogazione delle disposizioni contenute nel codice penale che prescrivono l'ergastolo obbligatorio (sezione 295B), o addirittura la pena di morte (sezione 295C), per presunti atti di blasfemia, e quindi alla scarcerazione di Asia Bibi.
(1-01288) «Romanini, Zampa, Patrizia Maestri, Giuseppe Guerini, Carocci, Crivellari, Ghizzoni, Malisani, Venittelli, La Marca, Galperti, Pagani, Oliverio, Borghi, Bonomo, Carra, Gadda, Luciano Agostini, Salvatore Piccolo, Terrosi, Bossa, Antezza, Patriarca, Montroni, D'Incecco, Lavagno, Gandolfi, Bergonzi, Prina, Carloni, Paolo Rossi, Rostellato, Preziosi, Albanella».

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    in base alle disposizioni applicative dell'articolo 2, comma, 227 della legge 27 dicembre 2007, n. 244, come modificato dal comma 6-sexies dell'articolo 11 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, contenute nella circolare 29 gennaio 2008, n. 1/2008, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, emanata con il duplice obiettivo di ridurre sia il numero delle aziende di settore, sia gli impatti ambientali del parco veicoli circolante, chiunque voglia esercitare la professione deve ottemperare ad una serie di obblighi tra i quali: sostenere come previsto dalla legge un esame per l'idoneità professionale per l'accesso alla professione di autotrasportatore; disporre di un certificato di onorabilità; iscriversi all'Albo nazionale dei trasporti; dimostrare l'annuale disponibilità finanziaria di un capitale e di riserve per un valore pari a 9.000 euro certificato da un revisore contabile o commercialista; avere una sede amministrativa stabile ed una sede operativa; essere iscritto al Registro elettronico nazionale (REN);
    per l'esecuzione di tali attività preliminari occorrono circa 24 mesi ed un costo in termini amministrativi di circa 5.000 euro; tuttavia, per esercitare occorre la disponibilità di un mezzo euro 5, che si ottiene con l'acquisto, il leasing o l'usufrutto;
    numerosi soggetti aspiranti ad entrare nel mercato, in regola con i su citati adempimenti, sono esclusi dall'accesso, in quanto non in grado di acquistare o ottenere in uso, singolarmente o in forma associata, un mezzo di categoria non inferiore a euro 5, avente massa complessiva a pieno carico non inferiore a ottanta tonnellate; oppure, sono tenuti a dimostrare di aver acquisito, per cessione di azienda, altra impresa di autotrasporto, o l'intero parco veicolare, purché composto di veicoli di categoria non inferiore a euro 5, di altra impresa che cessa l'attività di autotrasporto per conto di terzi;
    per «forma associata» si intende, ai sensi dell'articolo 55 della legge n. 99 del 2009, che le imprese devono aderire a un consorzio o a una cooperativa a proprietà divisa, esistente o di nuova costituzione, che sia iscritto o venga iscritto alla sezione speciale, prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 19 aprile 1990, n. 155, dell'albo degli autotrasportatori per conto di terzi e che gestisca e coordini effettivamente a livello centralizzato e in tutte le sue fasi l'esercizio dell'autotrasporto da parte delle imprese aderenti;
    il settore sta attraversando, a partire dal 2008, un periodo di durissima crisi, dovuto essenzialmente allo sfavorevole andamento dell'economia; le imprese di autotrasporto italiane devono sostenere maggiori costi per il carburante e per il lavoro rispetto alle imprese estere, costi in taluni casi pari al doppio; il divario competitivo favorisce l'ingresso di vettori esteri che sottraggono opportunità di lavoro e risorse al nostro Paese: l'uso dei vettori e dipendenti esteri, con conseguente dumping sociale nei confronti delle imprese di autotrasporto italiane, è passato dal 7 per cento di t/km del 2007 al 37,2 per cento del 2012;
    secondo le ultime statistiche rese pubbliche dall'Albo nazionale degli autotrasportatori, le società di trasporto su gomma iscritte sono 149.563, ma solo 106.726 imprese sono effettivamente operanti;
    le aziende che hanno un parco compreso tra una e cinque unità sono poco più di 80.000, mentre quelle della fascia successiva (tra i sei e i dieci veicoli) sono 12.568, un numero prossimo a quello delle aziende che hanno una flotta da 11 a 50 automezzi (12.390); 551 imprese hanno una flotta da 51 a 100 veicoli, 368 da 101 a 200 veicoli e solamente 183 possiedono più di 200 veicoli;
    dal 2008 al 2013 in Italia le immatricolazioni di mezzi oltre le 3,5 tonnellate sono scese del 60 per cento, i miliardi di chilometri percorsi dai mezzi in flotta, sempre oltre le 3,5 tonnellate, sono scesi del 25,1 per cento, le percorrenze autostradali del 14,1 per cento, le tonnellate di merci trasportate del 32,7 per cento e il consumo di gasolio è sceso del 37,3 per cento, compromettendo l'intera filiera produttiva;
    dal 2008 al 2013 i concessionari sono calati da 305 a 260, le officine da 1.011 a 949, le flotte con più di 5 mezzi da 17.934 a 15.772, i «padroncini» da 110.964 a 83.312; la crisi del settore dell'autotrasporto in Italia ha avuto un impatto così drammatico sul mercato del lavoro, tra chiusure di aziende e tagli del personale, che in 5 anni sono andati persi quasi 200 mila posti di lavoro;
    si ritiene pertanto opportuno ampliare le possibilità di accesso al mercato per gli operatori nazionali, mantenendo peraltro elevati standard di affidabilità, onorabilità, sicurezza e tutela ambientale,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per modificare l'articolo 2, comma 227, della legge n. 244 del 2007 e di conseguenza la circolare n. 1/2008 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti applicativa di tale articolo, nel senso di ampliare le possibilità di accesso al mercato, consentendo ai soggetti in possesso di tutti i requisiti richiesti di avviare l'attività di autotrasportatore, mediante noleggio di un mezzo o da un'azienda preposta allo scopo o, in alternativa, da un consorzio iscritto nella sezione speciale dell'albo degli autotrasportatori, con un contratto rinnovabile, che potrà trasformarsi in proprietà.
(7-01006) «Causin».


   La X Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), ha stabilito principi e criteri per la riforma delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA), prevedendo un riordino delle funzioni e dell'organizzazione delle stesse che dovrà attuarsi attraverso un decreto legislativo da adottare entro il 28 agosto 2016;
    la citata legge delega, nel richiamare le disposizioni di cui all'articolo 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, conferma il dimezzamento della principale fonte di finanziamento delle camere di commercio, il diritto annuale, ma stabilisce altresì, all'articolo 10, comma 1, lettera h), che il decreto legislativo di attuazione della delega stessa dovrà contenere una disciplina transitoria che assicuri nel contempo «la sostenibilità finanziaria» e «il mantenimento dei livelli occupazionali»;
    a fronte di un budget annuo di circa un miliardo di euro, circa 800 milioni arrivano al sistema delle camere di commercio sotto forma di contributi delle imprese italiane; la riforma, prevedendo un taglio dei contributi del 40 per cento per quest'anno e del 50 per cento dal 2017, rischia di far crollare l'intero sistema, atteso che il 46 per cento dei ricavi serve a pagare gli stipendi e a gestire gli uffici;
    se in conseguenza di ciò l'attuazione della delega colpisse i livelli occupazionali del complesso dei lavoratori del sistema camerale, non solo ciò contraddirebbe in maniera plateale il contenuto della delega stessa, ma, attraverso il ricollocamento degli addetti in altre pubbliche amministrazioni, trasferirebbe allo Stato, quindi ai cittadini, una parte verosimilmente consistente della spesa per i compensi di tali lavoratori, spesa che oggi è invece sostenuta da enti autonomi che si autofinanziano, quali sono le camere di commercio;
    al comma 1 del menzionato articolo 10 sono inoltre previsti: la riduzione mediante accorpamento del numero delle camere di commercio dalle attuali 105 a non più di 60 (lettera b); lo snellimento della loro governance (lettera f); l'attribuzione alle medesime di specifiche competenze, eliminando le duplicazioni con le altre amministrazioni pubbliche (lettera c); la ridefinizione di compiti e funzioni delle camere di commercio «individuando gli ambiti di attività nei quali svolgere la funzione di promozione del territorio e dell'economia locale, nonché attribuendo al sistema camerale specifiche competenze, anche delegate dallo Stato e dalle regioni, eliminando le duplicazioni con altre amministrazioni pubbliche»;
    la citata legge delega, presa alla lettera, non appare in contrasto con una visione che mantenga il ruolo delle camere, governate attraverso forme di democrazia economica, come attivo strumento per la promozione e lo sviluppo delle economie locali, delle loro comunità di imprese, che necessitano di sostegno per l'accesso al credito, per la creazione di reti e per l'internazionalizzazione. Non va infatti dimenticato che, proprio per svolgere queste funzioni insostituibili, organismi simili alle camere di commercio italiane esistono in tutti i Paesi OCSE e in tutta l'Unione europea, e sarebbe assurdo che venissero a mancare in Italia;
    risultano tuttavia inconsistenti, a giudizio dei firmatari del presente atto, le risposte del Governo all'interrogazione Da Villa n. 5-07578 per la parte riguardante l'impegno al mantenimento della funzione delle camere di commercio in materia di supporto all'internazionalizzazione, per la promozione del sistema italiano delle imprese all'estero, e a tutela del « made in Italy». Stando alle voci di stampa relative alle bozze di decreto attuativo in corso di elaborazione, trova conferma tale preoccupazione, come troverebbe conferma la sconfortante prospettiva che, nei piani del Governo, alle camere di commercio non debba restare altro che la gestione del registro imprese, il controllo sulle offerte al pubblico e quello sulle misure, servizi che sarebbero tra l'altro da svolgersi in base a tariffe stabilite dal Governo e non dalle stesse camere di commercio, riducendo così un'altra fonte di ricavi, con l'abbandono del servizio brevetti, delle conciliazioni nonché di studi e corsi di formazione;
    i piccoli imprenditori, come certificano ripetute indagini e testimonianze degli stessi interessati, hanno sempre trovato nel sistema delle camere di commercio supporto, sostegno e consulenza gratuita sin dalla fase di avvio della propria attività, per non parlare degli incentivi economici per il miglioramento delle strutture, la formazione, la capacità di competere anche sui mercati esteri. Grazie al sistema camerale, le piccole e medie imprese solo nel 2012 hanno ricevuto, in forma diretta o indiretta, 515 milioni di euro, risorse che sono servite a finanziare tra l'altro l'internazionalizzazione, la presenza a fiere, l'accesso al credito attraverso il sistema dei Confidi, che garantiscono 80 milioni di euro l'anno. La possibilità di attingere a gran parte di questi benefici è, per le piccole e medie imprese, subordinata alla vicinanza delle camere al territorio di riferimento, nonché alla professionalità e all'articolazione di competenze del personale che vi opera. Pertanto, sarebbe particolarmente nocivo, a tal proposito, se l'attuazione della riforma indebolisse il supporto delle camere di commercio alle piccole e medie imprese, che rappresentano oltre il 90 per cento del tessuto produttivo del nostro Paese;
    malgrado i toni genericamente rassicuranti delle risposte a svariati atti di sindacato ispettivo parlamentari, non sembrano emerse ragioni per fugare definitivamente le voci riportate sulla stampa che preconizzavano una riduzione del 15 per cento del personale delle camere di commercio, con una prospettiva di aumentare tale taglio fino al 25 per cento attraverso razionalizzazioni e accorpamenti che inciderebbero sul personale che svolge funzioni di supporto e strumentali, con un disegno complessivo tale da determinare tagli per circa 3.000 dipendenti, sui 7.000 attualmente in servizio;
    in particolare, si evidenzia una eloquente differenza sul tema della mobilità tra la risposta del 23 febbraio 2016 all'interrogazione Da Villa n. 5-07578, in cui il Governo esclude di prevedere il trasferimento del personale ad altre amministrazioni pubbliche, e la risposta del 20 aprile 2016 all'interrogazione Ricciatti ed altri n. 5-08424; è infatti omesso, nella seconda, il seguente passaggio, o altro di significato equivalente, presente nella prima: «quanto agli aspetti occupazionali si conferma l'intendimento di salvaguardarli in termini complessivi prevedendo, in ogni caso, la permanenza di tutto il personale ora presente nel sistema camerale a prescindere dalla rispondenza tra il fabbisogno di risorse umane ed il nuovo perimetro di attribuzione individuato, non ritenendosi, allo stato attuale, di prevedere il trasferimento del personale ad altre amministrazioni pubbliche»;
    le riduzioni di personale che deriverebbero dal taglio delle camere di commercio si sommerebbero alle riduzioni di personale già messe in atto negli ultimi anni, che hanno visto una riduzione del personale del 12 per cento rispetto al 2003, mentre nello stesso periodo si è registrata una riduzione di personale nella pubblica amministrazione del 6 per cento;
    le camere di commercio vantano partecipazioni societarie pubbliche e private, nonché proprietà immobiliari per un controvalore di circa 5 miliardi di euro e liquidità per circa 500 milioni di euro, patrimoni rispetto ai quali la delega della legge n. 124 del 2015 specifica ben poco i criteri di selezione, cessione e conferimento nei previsti accorpamenti;
    il registro delle imprese è oggi formalmente pubblico, ma risulta accessibile solo dietro pagamento di diritti di segreteria presso le camere di commercio o attraverso canali privilegiati (commercialisti e agenzie di servizi), mentre la parte liberamente accessibile via internet è limitata a informazioni strettamente anagrafiche (si veda il servizio sul sito http://www.infoimprese.it/);
   tra le funzioni delle camere di commercio che andrebbero mantenute, spicca quella di promozione dell'economia del territorio. La legge n. 580 del 1993, con le successive integrazioni e modifiche, ha stabilito che gli organi camerali siano formati da rappresentanti delle associazioni di categoria più rappresentative del territorio. Spesso però la funzione di promozione si traduce in una mera spartizione del budget per la promozione tra le associazioni di categoria rappresentate negli organi camerali o le società ad esse collegate. Risulterebbe quindi auspicabile un provvedimento nei confronti della governance che contrastasse episodi di spartizione consociativa, allo scopo di potenziare l'utilizzo delle risorse camerali a beneficio dell'intera platea delle imprese del territorio,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative di competenza volte:
    a) a predispone un riordino delle competenze relative alla tenuta e alla valorizzazione del registro delle imprese presso le camere di commercio, con particolare riguardo alle funzioni di promozione della trasparenza del mercato e di pubblicità legale delle imprese, prevedendo una piena e gratuita accessibilità via telematica o informatica delle informazioni ivi contenute e garantendo la continuità operativa del sistema informativo nazionale e l'unitarietà di indirizzo applicativo, e interpretativo attraverso il ruolo di coordinamento del Ministero dello sviluppo economico e l'attribuzione alle camere di commercio delle funzioni inerenti alla gestione telematica unificata dello sportello unico delle attività produttive e del fascicolo di impresa;
    b) a introdurre una disciplina dei conflitti di interesse, volta a limitare il volume di spese di promozione e sostegno a favore delle associazioni di categoria, ovvero delle imprese da esse controllate o a esse collegate, i cui rappresentanti siano componenti degli organi camerali che hanno deliberato tali spese;
    c) a riesaminare il problema delle fonti di finanziamento delle camere di commercio e a valutare l'opportunità di rivedere, attraverso iniziative anche normative, il dimezzamento del diritto annuale delle camere di commercio a decorrere dal 2017, previsto a legislazione vigente, nonché a valutare la possibilità di attribuire alle camere stesse, una quota degli introiti derivanti dalla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie per le materie in cui le camere di commercio siano individuate quale autorità competente ad adottare la relativa ordinanza, ai sensi dell'articolo 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689;
   a mantenere i livelli occupazionali dei lavoratori delle camere di commercio e, in senso generale, del sistema camerale, evitando altresì il trasferimento del relativo personale ad altre amministrazioni pubbliche;
   a riconoscere alle camere di commercio, anche con successive opportune iniziative normative, un ruolo centrale nel supporto alle micro, piccole e medie imprese verso la transizione alla cosiddetta «Industria 4.0», in virtù della loro prossimità al territorio, prossimità che si sta rivelando elemento determinante nella strategia tedesca per una rapida e capillare diffusione di questa nuova frontiera dell'innovazione.
(7-01005) «Da Villa».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'articolo 258 (ex articolo 226 del TCE) dispone: «la Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei trattati, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia dell'Unione europea»;
   il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'articolo 260 (ex articolo 228 del TCE) dispone: «1. Quando la Corte di giustizia dell'Unione europea riconosca che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, tale Stato è tenuto a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta. 2. Se ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta, la Commissione, dopo aver posto tale Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte. Essa precisa l'importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello Stato membro in questione, che essa consideri adeguato alle circostanze. La Corte, qualora riconosca che lo Stato membro in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, può comminargli il pagamento di una somma forfettaria o di una penalità. Questa procedura lascia impregiudicate le disposizioni dell'articolo 259.»;
   in data 17 novembre 2011, la Corte di giustizia dell'Unione europea, in merito alla causa C-496/09, ha condannato l'Italia non avendo essa adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza 1o aprile 2004, causa C-99/02, Commissione/Italia (Racc. pag. I-3353), concernente il recupero presso i beneficiari degli aiuti che, ai sensi della decisione della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, relativa al regime di aiuti concessi dall'Italia per interventi a favore dell'occupazione (GU 2000, L 42, pag. 1), sono stati dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune; la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tale decisione e dell'articolo 228, n. 1, del trattato CE;
   in data 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea, in merito alla causa C-196/13, ha condannato l'Italia per 200 discariche non bonificate, prevedendo come sanzione una multa forfettaria di 40 milioni di euro ed una multa semestrale proporzionale alle discariche ancora non bonificate;
   in data 16 luglio 2015 la Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa C-653/13 ha condannato l'Italia per non aver adottato tutte le misure necessarie per l'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115) sull'emergenza rifiuti in Campania; la Repubblica italiana ha quindi violato gli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 260, paragrafo 1, TFUE. La Repubblica italiana è stata, quindi, condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una penalità di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115), a partire dalla data della pronuncia della citata sentenza e fino alla completa esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115). La Repubblica italiana è stata, inoltre, condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una somma forfettaria di 20 milioni di euro;
   in data 17 settembre 2015 la Corte di giustizia dell'Unione europea nella causa C-367/14 ha condannato l'Italia, perché ha ritenuto che le riduzioni e/o sgravi dagli oneri sociali concessi tra il 1995 e il 1997 a una serie di imprese del territorio insulare di Venezia e Chioggia costituivano aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune. Queste riduzioni ammontavano in media a 37,7 milioni di euro per anno suddivisi tra 1.645 imprese, mentre le esenzioni ammontavano a 292.831 euro per anno suddivisi tra 165 imprese. La Commissione, negli anni, ha pertanto imposto all'Italia di recuperare gli aiuti presso i beneficiari. La Corte di giustizia dell'Unione europea, visto che il nostro Paese non ha adempiuto alla sentenza del 2011 per la causa C-302/09 ossia non ha recuperato quando doveva, ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 30 milioni di euro e a versare una penalità di 12 milioni di euro per ogni semestre di ritardo, per aver ritardato nel recupero di aiuti incompatibili con il mercato comune –:
   quale sia l'ammontare totale — e quello relativo ad ognuno delle cause riportate in premessa — delle sanzioni pecuniarie pagate dall'Italia alla Commissione europea conseguenti alle condanne emesse dalla Corte di giustizia ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. (4-13288)


   FANTINATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia per l'Italia digitale, è istituita con decreto legislativo n. 83 del 2012 ed è sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio di ministri e al controllo della Corte dei Conti;
   tra le numerose funzioni assegnate vi è quella di perseguire il massimo livello di utilizzo delle tecnologie digitali nell'organizzazione della pubblica amministrazione e nel rapporto tra questa, i cittadini e le imprese; tali obbiettivi devono essere raggiunti nel rispetto di legalità, imparzialità e trasparenza e secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia. Si è in presenza di un obiettivo ambizioso che non può prescindere da una rigorosa sensibilità nei confronti dell'attività tesa all'anticorruzione;
   in coerenza con quanto sopra esposto l'Agenzia si coordina con l'ANAC con la finalità di vigilanza sul sistema degli appalti pubblici e sugli operatori economici nell'azione di prevenzione e contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione;
   in materia di forniture informatiche le pubbliche amministrazioni hanno aggiudicato appalti per un ammontare di diversi miliardi di euro e pertanto vi è un precipuo interesse anche per gli aspetti inerenti le erogazioni di risorse pubbliche;
   in data 10 maggio 2016 si è appreso, da un organo di informazione a diffusione nazionale, che il responsabile per la trasparenza e l'anticorruzione della stessa Agenzia si sarebbe rivolto all'ANAC, alla Corte dei Conti e alla procura della Repubblica, per gli aspetti di relativa competenza, affinché valutino gravi fatti emersi nel corso della gestione. I fatti riguarderebbero il Sistema pubblico di identità digitale (SPID), da mesi oggetto di grande rilievo mediatico e portato come esempio positivo della volontà del Governo di procedere con celerità alla modernizzazione della Pubblica Amministrazione, il Sistema pubblico di connettività (SPC), maxi gara da oltre due miliardi di euro e aggiudicata a Tiscali con un ribasso dell'89 per cento e l'aggiramento del codice degli appalti nei procedimenti di affidamento. Se tale segnalazione dovesse avere conferma, l'AGID sarebbe quantomeno platealmente venuta meno ai valori costitutivi, fatti salvi i diversi profili di responsabilità, che dovranno essere accertati nelle sedi competenti da ANAC, Corte dei Conti e procura della Repubblica;
   il direttore generale, con significativa tempestività, due giorni dopo il ricevimento della predetta segnalazione, avrebbe provveduto a una revisione dell'assetto organizzativo e alla revoca, con comunicazione di servizio, dell'incarico al dirigente responsabile per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza, con ciò a giudizio dell'interrogante agendo palesemente in contrasto con ogni regola e negando la tutela dovuta a chi svolge tale delicato e strategico compito –:
   quali iniziative del Consiglio dei ministri, anche in veste di organo vigilante, intenda assumere sulla questione e se il Direttore generale dell'AGID, considerato quanto premesso, possa ancora godere della fiducia del Governo. (4-13296)


   VIGNAROLI, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, DAGA, MANNINO, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Ama spa, società in house del comune di Roma, nel maggio 2015, indiceva il bando di gara 2/2015 pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (GUUE) del 5 maggio 2015, recante in oggetto: procedura per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici, ai sensi dell'articolo 59, comma 8, del decreto legislativo n. 163 del 2006, afferente l'affidamento del servizio di carico trasporto e trattamento in impianto di recupero energetico del rifiuto urbano residuo (codice cer 20 03 01) prodotto nel territorio di Roma Capitale per un periodo di mesi 48, nel pieno rispetto dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164 del 2014;
   tale gara veniva vinta dal consorzio d'imprese Enki srl;
   il Consorzio Laziale Rifiuti e la Società E. Giovi Srl, presentarono ricorso innanzi al Tar Lazio, per l'annullamento del suindicato bando;
   con sentenza n. 11 del 4 gennaio 2016, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio si espresse, chiarendo, tra le tante cose, il rapporto tra la disposizione di cui all'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, disciplinante la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali ed i principi comunitari di autosufficienza e prossimità in materia di recupero dei rifiuti solidi urbani non differenziati non pericolosi, accolti e ribaditi negli articoli 182 e 182-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   il Tar del Lazio riportò altresì nella sentenza che, la giurisprudenza, ha ritenuto i suddetti principi non alternativi alla disposizione di cui all'articolo 35 suddetto, bensì integrativi. Difatti, si è affermato, a tale proposito, che la disposizione in esame, lungi dall'aver eliminato il principio di autosufficienza, abbia rafforzato tale regola, annoverando, tra le misure urgenti in materia ambientale, quelle per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani, necessario a garantire il principio di autosufficienza anche nazionale e quindi non più limitato al solo bacino regionale ove è localizzato l'impianto;
   nella sentenza del 4 gennaio 2016 n. 11, il Tar del Lazio, giudica la regione Lazio inottemperante, decretando che il principio di prossimità e quello di autosufficienza obbligano alla programmazione e alla realizzazione di un sistema e una rete di trattamento dei rifiuti che assicuri la massima vicinanza possibile tra luogo di ricezione del rifiuto e luogo di produzione, ed a conferimento e trattamento dei rifiuti con priorità negli impianti locali. Aggiungeva però il Tar del Lazio che, nelle more dell'attuazione della rete e del suo funzionamento ottimale, il principio di efficienza, comporta che gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita potevano giustificare il conferimento in ambito extraregionale alle condizioni ed ai limiti che sono specificati dall'attuazione dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2015;
   in data 25 aprile 2016, il quotidiano nazionale Il Messaggero riportava la notizia secondo cui la regione Lazio, avrebbe negato ad Ama spa, le autorizzazioni necessarie per il trasporto e trattamento presso un impianto di recupero energetico in Germania, di circa 160.000 tonnellate di rifiuti romani, di cui al bando sopracitato;
   la mancata autorizzazione da parte della regione Lazio, sarebbe dipesa, secondo quanto si apprende dalle fonti giornalistiche sopracitate, dall'evitare l'inasprimento della procedura d'infrazione 4021_2011 e della conseguente condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul finanziamento dell'Unione europea;
   infatti, nella sentenza emessa il 15 ottobre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea, condannava l'Italia per non aver creato, nella regione Lazio, una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili, venendo meno in tal modo, agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE –:
   se l'eventuale smaltimento e/o incenerimento di una parte dei rifiuti prodotti a Roma, presso impianti ubicati in Germania, possa comportare un aggravamento della procedura d'infrazione 4021_2011, ovvero un nuovo deferimento alla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul finanziamento dell'Unione europea. (4-13301)


   CORSARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende che – dopo Telecom Italia – anche Enel avrebbe fatto la sua offerta per Metroweb, valorizzando la società della fibra ottica per 806 milioni di euro, poco meno dell'offerta di Telecom già formalizzata a 820 milioni di euro;
   il Consiglio di amministrazione di Cassa depositi e prestiti del 25 maggio 2016, a cui dovrebbe seguire quello di F2i, dovrebbe valutare le offerte di Enel e di Telecom Italia;
   Cassa depositi e prestiti è un ente pubblico finanziario controllato al 70 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze ed al 30 per cento da diverse fondazioni, soprattutto bancarie. La sua fonte principale di raccolta è postale: è, infatti, l'emittente dei buoni fruttiferi postali e dei libretti di risparmio, che godono della garanzia diretta dello Stato italiano;
   il Ministero dell'economia e delle finanze rappresenta l'azionista, di riferimento di Enel con una quota del 23,6 per cento del suo capitale;
   Enel Open Fiber è la società di Enel che renderà disponibile la banda larga, in FTTH a 7,5 milioni di case in Italia, utilizzando la rete elettrica gestita dalla divisione Enel Distribuzione, secondo il piano approvato il 23 marzo 2016;
   la Commissione parlamentare di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti è un organo di controllo composto da membri parlamentari (rappresentanti di Camera e Senato) e non parlamentari (Consiglio di Stato, Corte dei conti): sarebbe auspicabile che suddetta commissione sia coinvolta nella valutazione delle congruità dell'offerta di Enel per Metroweb;
   alla Corte dei conti spetta, in particolare, il controllo sulla gestione finanziaria della Cassa depositi e prestiti;
   il Sottosegretario allo sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, onorevole Antonello Giacomelli, a valle dell'accordo raggiunto con le regioni ha precisato che i 2,2 miliardi di euro assegnati dalla delibera Cipe di agosto 2015 saranno utilizzati «secondo una ripartizione territoriale che tiene conto del fabbisogno stimato per gli interventi pubblici nelle aree bianche dei Cluster C e D» e «tenendo conto delle altre risorse disponibili per il finanziamento del piano Banda Ultra in ciascuna regione». Dei 2,2 miliardi di euro saranno inizialmente ripartiti, 1,6 miliardi di euro che si aggiungeranno a 1,187 di fondi FESR e FEASR e a 233 milioni di euro di PON Imprese e Competitività per un totale di circa 3 miliardi di euro –:
   se si intenda verificare, per quanto di competenza, la congruità dell'offerta di Enel pervenuta a Cassa depositi e prestiti per la cessione di Metroweb;
   se non ritengano di assumere le iniziative di competenza affinché la cessione di un importante asset strategico per il sistema Paese quale Metroweb si realizzi con una procedura di vendita aperta e concorrenziale, considerato che Enel è un ente di diritto pubblico e che Cassa depositi e prestiti è un ente pubblico finanziario;
   quali orientamenti, per quanto di competenza, intenda esprimere il Governo in ordine alla operazione di cui in premessa tenuto conto che il Ministero dell'economia e delle finanze si trova, ad avviso dell'interrogante, in un palese conflitto di interesse in quanto svolge il duplice ruolo di azionista di Enel e della stessa Cassa depositi e prestiti e che questo conflitto di interesse potrebbe rafforzarsi qualora Metroweb venisse acquisita da Enel e Enel Open Fiber partecipasse (ed eventualmente risultasse aggiudicataria) del finanziamento pubblico che, a giudizio dell'interrogante, si configurerebbe come «aiuti di Stato» previsto dal Governo per la realizzazione della rete pubblica di comunicazioni elettroniche nelle aree a «fallimento di mercato».
(4-13304)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con lettera del 27 aprile 2016 ha trasmesso una nota relativa all'attuazione dell'ordine del giorno Terzoni n. 9/3513-A/8 accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 10 febbraio 2016, concernente il sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI;
   nella nota sono riportati i dati relativi alle risorse complessivamente erogate dallo Stato per il SISTRI a partire dalla sua progettazione, l'ammontare dei contributi pagati dalle imprese, nonché l’iter della procedura di affidamento in concessione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti da parte di CONSIP;
   nella parte relativa alle risorse complessive erogate dallo Stato per il sistema SISTRI vengono distinti il periodo di vigenza contrattuale e il periodo di proroga contrattuale con dettaglio delle fatture emesse da Selex, nonché dei pagamenti effettuati;
   dallo schema risulta che, per il periodo di vigenza contrattuale, a fronte di un totale di fatture emesse di 293.910.420,35 euro, il Ministero ha versato una quota di 69.640.140,80 euro, con un residuo quindi di 224.270.279,55 euro. In particolare, la quota residua è rappresentata prevalentemente dall'ammontare delle fatture contestate (in particolare, le fatture nn. 147, 157, 158, 196, 20, 7770000001 e 7770000002), come da prospetto allegato alla predetta nota;
   per il periodo di proroga contrattuale, invece, il totale residuo da pagare risulta ammontare a 9.380.55,82 euro. Tale importo risulta dalla somma delle fatture relative ai costi di produzione del servizio da settembre a ottobre del 2015 e da novembre a dicembre del 2015 e da una parte del periodo da giugno ad agosto dello stesso anno;
   nella parte relativa all'ammontare dei contributi pagati dalle imprese vengono elencati i trasferimenti che il Ministero dell'economia e delle finanze ha eseguito dal capitolo di entrata 2592, articolo 14 denominato «Contributo dovuto da parte dei soggetti di cui al comma 3 dell'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il funzionamento del sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti» al capitolo di spesa 7082 PG 02. In totale dal 2010 sono stati versati in questo capitolo 169.775.519,83 euro ai quali si sommano 5 milioni di euro relativi al fondo istituito per la realizzazione del SISTRI previsto dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), articolo 1, comma 1116, come fondo unico investimenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'avvio del sistema;
   nella parte relativa all’iter della procedura di affidamento in concessione del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, dopo aver elencato i servizi operativi richiesti nel bando di prequalifica si sottolinea la possibilità per l'aggiudicatario della presa in carico del sistema attuale per assicurare la continuità e la successiva evoluzione, lo sviluppo e la gestione del nuovo sistema informatico –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di fornire chiarimenti circa le ragioni del mancato pagamento delle fatture emesse da Selex risultanti dal prospetto riportato nella nota citata in premessa;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze possa dettagliare quale sia ad oggi la disponibilità di risorse nel capitolo di spesa 7082 visto che a fronte di un totale di versamenti da parte dei soggetti aderenti al sistema di tracciabilità dei rifiuti 169.775.519,83, oltre ai 5 milioni relativi al fondo istituito per la realizzazione del SISTRI previsto dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), articolo 1, comma 1116, come fondo unico investimenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'avvio del sistema, risulta essere stato corrisposto a SELEX un ammontare, tutto compreso, di 103.502.911,06 euro;
   se i fondi accantonati nel suddetto capitolo possano essere eventualmente utilizzati per eseguire i rimborsi alle aziende come previsto nell'ordine del giorno n. 9/1682-A/077, accolto dal Governo come raccomandazione;
   nel caso cui il capitolo risultasse privo di fondi, se si intendano fornire indicazioni verso quali altri capitoli siano state destinate le somme versate alle imprese e accantonate in precedenza;
   in che modo l'aggiudicatario, nel periodo di presa in carico del sistema attuale, potrà disporre delle apparecchiature hardware attualmente presenti negli edifici di proprietà di Selex a tal fine chiarendo in che termini il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare potrà garantire la continuità del sistema nel momento di passaggio al nuovo contraente ed in che termini il Ministero ha intenzione di prenderne possesso;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa confermare quanto indicato nella nota riportata in premessa dalla quale si apprende che il nuovo aggiudicatario potrà creare un sistema con una logica completamente nuova, senza utilizzo di ulteriori risorse per strumentazioni già disponibili.
(2-01383) «Terzoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Zolezzi, Vignaroli, D'Incà».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'inquinamento lungo il torrente Budello, uno dei due corsi d'acqua che insieme al Petrace attraversa il vasto territorio della Piana di Gioia Tauro e va a sfociare nel tratto di mare antistante le coste gioiesi, ha raggiunto livelli di guardia. Il canale continua ad essere usato come una vera e propria discarica con rifiuti di ogni genere che ad ogni piena si riversano in acqua per poi sfociare a mare in piccoli frammenti. Dai comuni elettrodomestici a detersivi, recipienti di plastica, vetro, calce, mattoni, fili di rame, telai di pneumatici carbonizzati, spray pesticidi, componenti elettronici, maleodoranti sospensioni solide di natura incerta e lastre di eternit, ormai interrate a causa delle esondazioni. Particolare apprensione destano, poi, le pozze di color rossastro imputabili a metalli pesanti che s'infiltrano nel terreno;
   due ragazzi rizziconesi, che hanno effettuato una serie di sopralluoghi nel sito incriminata sottolineano il perdurare di tale situazione emergenziale dal 2010, a seguito della alluvione. Sono passati sei anni e con il silenzio delle istituzioni sono arrivati direttamente sulle tavole italiane frutta e ortaggi coltivati su quelle terre che hanno assorbito le sostanze nocive di cui è ricco il torrente Budello;
   la realtà è molto preoccupante – a dirlo è la stessa Arpa tramite i suoi dirigenti provinciali intervenuti sull'argomento durante il recente incontro con gli attivisti del Comitato Fiume – e dimostra il perdurare di uno scarso controllo sull'intero bacino da parte degli enti locali preposti –:
   se non ritenga di dover promuovere, per quanto di competenza, una verifica del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di monitorare i livelli di inquinamento del torrente Budello.
(4-13293)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i Siti di interesse nazionale (SIN) sono stati individuati in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, così come stabilito dall'articolo 252 del decreto legislativo 152 del 2006; il SIN di Trieste è stato istituito con decreto ministeriale n. 468 del 18 settembre 2001 e perimetrato con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 24 febbraio 2003;
   il 25 maggio 2012 è stato sottoscritto a Trieste l'accordo di programma fra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, i comuni di Muggia e Trieste, l'Ezit (Ente zona industriale di Trieste) e l'autorità portuale di Trieste per gli «Interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale (SIN) di Trieste»; obiettivo dell'accordo facilitare i soggetti responsabili e i soggetti interessati a operare la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica dei suoli, delle falde, delle acque superficiali e delle aree marino-costiere del SIN, offrendo la possibilità di adottare procedure celeri con tempi certi di risposta, tenendo conto del diverso impatto esercitato sulle aree di rispettiva competenza;
   la copertura delle spese previste, contenuta nell'articolo 11 dell'accordo, «prevede il ricorso a risorse pubbliche e private. Le prime sono quantificate in 13.432.000 euro e sono suddivise tra il «Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale» (10.832.000 euro), assegnate alle regione Friuli Venezia Giulia e il decreto d'impegno protocollo 8717/QdV/DI/G/SP del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (2.600.000 euro), mentre le seconde devono essere quantificate in fase di approvazione del piano di caratterizzazione generale unitario»;
   per favorire la caratterizzazione e la bonifica del SIN di Trieste sono state individuate tre aree territoriali distinte: «piccoli operatori», che comprende le zone appartenenti all'ente zona industriale di Trieste e alle piccole e medie imprese; «grandi operatori», che riguarda l'area in cui insistono infrastrutture o progetti industriali di grandi dimensioni; «area a mare», che include le acque, gli arenili e i sedimenti del porto di Trieste;
   il piano di caratterizzazione generale unitario deve includere, oltre alla caratterizzazione e bonifica dei suoli, anche quella delle acque sotterranee (articolo 6) e superficiali, degli arenili e dei sedimenti marini (articolo 7). La competenza per la realizzazione del modello idrogeologico dell'intero SIN spetta alla regione Friuli Venezia Giulia – che si avvale dell'ente zona industriale di Trieste – mentre per l'area a mare è del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ricorre all'autorità portuale di Trieste (articolo 10, commi 6 e 7);
   l'articolo 12 del testo ha stabilito che il soggetto responsabile dell'accordo sia il direttore generale della direzione tutela delle risorse idriche e del territorio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o un suo delegato con funzioni di verifica dell'attuazione del programma di interventi redigendo una relazione da allegare al rendiconto annuale che deve essere presentato dai soggetti sottoscrittori; in base all'articolo 13 del documento il «Comitato d'indirizzo e controllo per la gestione dell'accordo» – composto dai rappresentanti delle istituzioni e degli enti sottoscrittori – è convocato dal soggetto responsabile, o su richiesta di uno dei componenti, almeno una volta l'anno per svolgere alcune funzioni come il monitoraggio dello stato di attuazione dei lavori e provvedere all'aggiornamento del cronoprogramma;
   l'articolo 15 dell'accordo prevede una serie di semplificazioni amministrative per velocizzare le procedure di approvazione di alcuni provvedimenti, come il piano di caratterizzazione, il documento di analisi di rischio, lo studio per l'individuazione di obiettivi di bonifica che devono essere approvati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con un proprio decreto, valutati gli esiti della preventiva e necessaria conferenza dei servizi;
   in data 24 febbraio 2016, la redazione giornalistica del Tg2 ha mandato in onda l'inchiesta «La Ferriera di Trieste e i rischi di inquinamento» di Donato Placido, nella quale sono state illustrate le situazioni sanitarie e ambientali sia della Ferriera di Trieste, impianto siderurgico noto per le emissioni inquinanti e l'alta incidenza di tumori registrati fra la popolazione e della ex discarica di via Errera, «un caso praticamente sconosciuto al grande pubblico, tra i peggiori nel suo genere in Italia»;
   da un comunicato stampa dell'Associazione No Smog pubblicato da TriestePrima il 26 febbraio 2016 si apprende che l'associazione Acqua Bene Comune onlus, in seguito alla registrazione del servizio televisivo, abbia inviato, in data 15 febbraio 2016, un esposto alla Procura della Repubblica di Trieste e una diffida a tutti gli enti competenti affinché provvedano immediatamente ai lavori di messa in sicurezza del sito;
   nell'esposto, l'Associazione Acqua Bene Comune Onlus denuncia l'inerzia delle amministrazioni pubbliche nonostante la conoscenza, da oltre un decennio, del gravissimo stato di contaminazione dell'area che dista qualche chilometro dal centro cittadino;
   il Piano di caratterizzazione trasmesso dall'autorità portuale nel 2012 fornisce un quadro ambientale di estrema gravità. «L'area è caratterizzata dalla presenza di materiali alloctoni per uno spessore che arriva anche a 20 metri, accumulati nel corso degli anni al di sopra dei sedimenti limo argillosi marini naturali; la linea di costa originale degli anni 70 è progredita per oltre 50 metri verso il mare. (..) All'interno di questo livello di materiali, sono stati rinvenuti residui vetrosi, metallici, vegetali, plastica, nylon, e altro, tipicamente ascrivibili ad un'area utilizzata in passato come discarica di rifiuti urbani ed edili.». Nel complesso, sono stati eseguiti 11 saggi meccanici e 32 sondaggi a carotaggio continuo, durante l'esecuzione delle indagini sono stati prelevati 186 campioni di terreno, 16 campioni classificati come rifiuto solido, 27 campioni top soil e 16 campioni di acqua di falda. Tutte le attività, condotte alla presenza di Arpa del Friuli Venezia Giulia hanno rilevato superamenti nel top soil, diffusi superamenti nei suoli a carico di metalli, idrocarburi leggeri e pesanti, IPA, Diossine e fitofarmaci, nelle acque di falda una diffusa contaminazione di metalli, idrocarburi, fluoruri, solfati, e altro. Durante la fase delle indagini del 2004, i campioni prelevati sono stati analizzati per attribuirne il codice Cer e sono stati classificati come «rifiuto speciale pericoloso»;
   il 27 dicembre 2012 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «atteso il quadro ambientale delineato dai risultati sopraesposti, ha richiesto l'adozione di immediate idonee misure di messa in sicurezza/prevenzione delle acque di falda». In risposta, l'autorità portuale ha comunicato di voler procedere alla messa in emungimento dei piezometri maggiormente inquinati. Il 23 ottobre 2015 «la Direzione STA ha richiesto ad APT informazioni circa le misure adottate e a Provincia e Arpa del Friuli Venezia Giulia valutazioni circa l'efficacia e l'efficienza delle stesse»;
   durante la Conferenza dei Servizi istruttoria convocata presso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 25 novembre 2015, è stato presentato un approfondimento di Arpa del Friuli Venezia Giulia sul sito in questione: «il terrapieno è stato realizzato a partire dal 1984 a cura della Ripartizione della NU Settore XII del comune di Trieste, secondo quanto previsto dall'Atto di Concessione n. 417t dd 13 aprile 1984 attraverso successive e programmate operazioni di interramento dello specchio di mare antistante l'Ex raffineria Esso, compreso tra il canale di Zaule e via Errera. L'Amministrazione comunale aveva ottenuto l'autorizzazione per destinare tale area a discarica pubblica per materiali inerti e non putrescibili provenienti da demolizioni di opere murarie, scavi, per rifiuti urbani e speciali, secondo le disposizioni dettate dalla regione Friuli Venezia Giulia del decreto n. 605/83 e seguendo le prescrizioni tecniche redatte dal Genio Civile Opere Marittime di Trieste.». Nello specifico, Il decreto regionale prevedeva lo smaltimento dei rifiuti classificati speciali essenzialmente inerti per la quantità di 500.000 m3 e costituiti da materiali di demolizione e scavi, scorie prodotte dall'incenerimento dei rifiuti urbani, suppellettili, pneumatici, materie plastiche, legname e residui di potature. La discarica venne definitivamente chiusa nel 1984 senza realizzare alcuna protezione spondale e/o opera di impermeabilizzazione»;
   ARPA del Friuli Venezia Giulia evidenzia, nella stessa relazione, che i materiali presenti abbiano arrecato un pesante pregiudizio ambientale alle acque sotterranee e che non sia disponibile alcun elemento per poter valutare l'efficacia degli interventi richiesti all'APT nel 2013;
   la citata Conferenza dei Servizi si è conclusa con la richiesta all'autorità portuale di Trieste di un progetto di messa in sicurezza permanente dell'area di discarica di Via Errera ai sensi dell'articolo 240 del 152/06 e «l'immediata implementazione di idonee misure di prevenzione atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori delle aree, già richieste dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2012»;
   durante la Conferenza dei servizi istruttoria dell'11 aprile 2016, al punto 3 dell'Odg, è stato presentato lo «Studio di fattibilità della messa in sicurezza permanente dell'area ex discarica a mare di Via Errera» proposto dall'autorità portuale di Trieste. È stato specificato che «la superficie interessata, che comprende l'area di discarica, risulta di 11 ettari e la potenza degli spessori interessati dalla contaminazione varia fra alcuni metri e oltre 23 metri». Il Progetto di messa in sicurezza permanente, che ha previsto una stima dei costi di 27.470.000 iva esclusa, ha definito un'articolazione in diverse fasi e la «conterminazione delle matrici ambientali suoli e acque di falda attraverso la realizzazione di un capping superficiale e di una barrieramento fisico a valle e a monte dell'area»;
   a tal proposito, la stessa autorità portuale ha ribadito «di non ritenersi soggetto colpevole della contaminazione (...) ovvero che si dichiara soggetto non responsabile dell'inquinamento e l'onere dell'attuazione degli interventi non può essere sostenuto dalla APT». Il Presidente, dunque, ha chiesto alla Provincia di individuare il soggetto responsabile della contaminazione. Mentre, in merito alle prime misure di prevenzione, l'APT ha confermato «l'avvio delle attività di sfalcio, recinzione, raccolta/cernita dei rifiuti presenti»;
   in merito allo Studio di Fattibilità proposto dall'AP diverse sono state le osservazioni da parte di Ispra, Arpa del Friuli Venezia Giulia, Regione del Friuli Venezia Giulia. In particolare Arpa del Friuli Venezia Giulia, nel confermare quale prioritaria l'attuazione di un piano di messa in sicurezza permanente del «corpo di discarica» ha ribadito la necessità di predisporre uno studio idrogeologico di dettaglio, di tempistiche certe e definite degli studi propedeutici alla progettazione di dettaglio, del superamento della frammentarietà dei procedimenti insistenti sul sito, nonché di dar corso ad immediate azioni di rimozione dei rifiuti abbandonati presenti fuori terra restando il mantenimento di tutte le misure di prevenzione in essere. Ispra ha ribadito, tra le altre, che nonostante «il livello di dettaglio presentato nel documento esaminato non è adeguato e conforme a quanto richiesto dall'allegato 3 della Parte IV Titolo V del decreto legislativo 152, si ritiene che le scelte progettuali prospettate a livello di studio di fattibilità siano comunque condivisibili»;
   la citata Conferenza dei Servizi istruttoria si è conclusa con le richieste all'autorità portuale di trasmettere «entro 30 giorni dalla notifica del presente verbale di un documento riassuntivo delle misure di prevenzione attuate atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori e la presentazione entro 60 giorni dalla notifica del presente verbale di un progetto di messa in sicurezza permanente che tenga conto delle prescrizioni riportate a verbale di ISPRA, ARPA del Friuli Venezia Giulia e Regione del Friuli Venezia Giulia »;
   la Conferenza dei Servizi istruttoria del 28 aprile 2016, 112 ha preso atto della comunicazione dell'autorità portuale di Trieste (MATTM al prot. n. 0007420 del 26 aprile 2016), con la quale, oltre a non ritenere «sufficiente il termine di 60 giorni per concludere una gara di progettazione e redigere un progetto che tenga conto dei pareri espressi dagli Enti» e che «il costo stimato della progettazione è ingente e tale da dover richiedere all'APT il reperimento di fondi non attualmente nelle disponibilità», ha «dichiarato di ritenersi proprietaria incolpevole ed ha chiesto di emendare la richiesta formulata dalla Conferenza dei Servizi dell'11 aprile 2016 di presentare un piano di messa in sicurezza permanente dell'area di via Errera» e di «attendere che la Provincia di Trieste concluda gli accertamenti circa l'individuazione del responsabile della contaminazione a cui devono essere imputati gli oneri della bonifica». In conseguenza, la conferenza dei servizi ha modificato quanto precedentemente deliberato, richiedendo all'autorità portuale di Trieste la «trasmissione, entro 30 giorni dalla notifica del presente verbale, di un documento riassuntivo delle misure di prevenzione attuate, atte ad impedire la diffusione della contaminazione e a garantire l'assenza di rischi per i fruitori, così come previste nella fase 0 e nella fase 1 nello Studio di fattibilità e, in particolare: a) fermo restando il mantenimento di tutte le misure di prevenzione già in essere, di rimuovere tutti i rifiuti superficiali depositati in modo non controllato sull'area, compresi i rifiuti in cumulo in area N-E, di cui deve essere fornita una stima volumetrica ed una caratterizzazione merceologica: b) di effettuare un monitoraggio di tutti i piezometri presenti in sito al fine di verificare lo stato qualitativo delle acque sotterranee e la necessità di mettere in atto ulteriori misure di prevenzione per impedire la diffusione della contaminazione. Alla Provincia di Trieste ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo 152 del 2006, di procedere all'individuazione del soggetto responsabile della contaminazione»;
   a detta dell'interrogante, considerato che dal verbale della conferenza dei servizi del 25 novembre 2015 risulta che Arpa del Friuli Venezia Giulia ricostruisce puntualmente le origini autorizzative della discarica, dovrebbe risultare facilmente individuabile il soggetto responsabile dell'inquinamento. Se, quindi, dovesse essere confermata dalla Provincia di Trieste la responsabilità individuata da Arpa del Friuli Venezia Giulia, gli oneri della messa in sicurezza permanente dovrebbero ricadere sul comune di Trieste e sulla regione Friuli Venezia Giulia. Alla luce della riforma degli enti locali del Friuli Venezia Giulia secondo la quale la provincia di Trieste sta subendo un progressivo processo di smantellamento con il conseguente trasferimento delle competenze alla regione, secondo l'interrogante sarebbe necessaria una accelerazione, da parte della provincia, del compito assegnato;
   la comunicazione dell'autorità portuale di Trieste relativa alla mancanza delle risorse necessarie alla progettazione e l'attesa dei risultati del mandato attribuito alla provincia farebbero, poi, presagire, un preoccupante allungamento dei tempi –:
   se quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per sostenere la provincia di Trieste nell'individuazione del soggetto responsabile dell'inquinamento affinché venga portato a termine tale compito, entro la definitiva soppressione della provincia prevista dalla legge regionale e come si intenda procedere in seguito;
   con quale modalità intenda intervenire, per quanto di competenza alla luce della comunicazione dell'autorità portuale di Trieste sulla indisponibilità delle risorse necessarie per la progettazione del piano di messa in sicurezza permanente;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda comunicare, in maniera puntuale, le tempistiche ed i risultati degli interventi sostenuti dall'autorità portuale di Trieste (opere apprestate, rimozioni ed analisi);
   se i Ministri interrogati di concerto con gli enti territoriali, intendano assumere iniziative di competenza, in attesa dei risultati dell'istruttoria della provincia di Trieste finalizzata all'individuazione del soggetto responsabile dell'inquinamento, volte all'acquisizione degli elementi tecnici oggettivi per provvedere ad una valutazione completa e puntuale del sito;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, intenda garantire, in accordo con gli enti territoriali preposti, l'attuazione in tempi certi del progetto di messa in sicurezza permanente del sito in questione. (4-13298)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


   COSCIA, BONACCORSI, MANZI, RAMPI, MALISANI, PES, CAROCCI, NARDUOLO, GHIZZONI, D'OTTAVIO, ASCANI, ROCCHI, MALPEZZI, CRIMÌ, IORI, SGAMBATO, DALLAI, VENTRICELLI, BLAZINA, COCCIA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo avviata con il decreto-legge n. 83 del 2014 e proseguita con la legge di stabilità per il 2016, finalizzata alla razionalizzazione del dicastero e a rendere più efficiente l'amministrazione periferica di tutela del patrimonio culturale, si completa con i decreti di gennaio e febbraio 2016;
   in particolare, lo schema di decreto ministeriale «Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 2018» introduce le soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio nate dall'accorpamento delle soprintendenze archeologiche con le soprintendenze belle arti e paesaggio;
   la creazione delle cosiddette soprintendenze uniche ha reso possibile un aumento del numero dei presidi sul territorio e la creazione di una sola direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, per la quale è stata incaricata come direttore la dottoressa Caterina Bon Valsassina, già direttore della direzione generale educazione e ricerca;
   tuttavia, nonostante, le premesse sovra indicate la creazione della soprintendenza unica ha incontrato alcune critiche –:
   quali siano stati i presupposti che hanno suggerito la creazione delle soprintendenze uniche e quali siano gli strumenti messi in campo per migliorare la tutela, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale italiano. (3-02274)


   RAMPELLI, CIRIELLI, MAIETTA, PETRENGA, TAGLIALATELA, GIORGIA MELONI, LA RUSSA, NASTRI, RIZZETTO e TOTARO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni fa al Colosseo il personale della società «Coopculture», concessionaria dei servizi di biglietteria, ha tentato di impedire l'ingresso a una guida abilitata di Roma e al gruppo di turisti che accompagnava;
   la guida e il suo gruppo erano «colpevoli» solo di aver acquistato i propri biglietti singolarmente, e pagandoli esattamente la stessa cifra, per sottrarsi al fatto che nei periodi di alta stagione gli ingressi per i gruppi sono quasi sempre esauriti, ma questo ha suscitato la reazione dei dipendenti della società concessionaria, la quale, per garantirsi maggiori incassi, accorda un canale preferenziale d'ingresso a quei gruppi che siano accompagnati da una guida interna del gestore;
   la concessione in favore della società «Coopculture», che opera in associazione temporanea d'impresa con la società «Mondadori musei», è in essere da ben diciotto anni sulla base di reiterate proroghe e senza che sia mai più stata svolta alcuna gara per l'affidamento del servizio;
   il Colosseo è un monumento pubblico e le guide abilitate sono le guide ufficiali che hanno il diritto di svolgere il proprio lavoro in tutti i siti della città;
   l'area archeologica e il centro storico di Roma sono ormai un mercato affollato da centinaia di guide turistiche abusive, da venditori clandestini e abusivi e da tante altre figure che operano nell'illegalità;
   il Colosseo, come altri siti monumentali, storici e archeologici che si trovano sul territorio comunale di Roma, è di proprietà dello Stato, che decide a chi affidarne la gestione e la conseguente ripartizione degli incassi, senza alcun intervento da parte dell'amministrazione comunale;
   rispondendo ad una precedente atto di sindacato ispettivo presentato dagli interroganti, nel settembre 2015, il Ministro interrogato, con riferimento all'espletamento di nuove gare, aveva garantito che «le gare Consip verranno fatte. Abbiamo dovuto aspettare e stiamo aspettando l'insediamento dei venti direttori per i musei autonomi e i direttori dei poli museali stanno già lavorando. La gara Consip, infatti, verrà fatta su un progetto scientifico predisposto dal museo e, quindi, sarà semplicemente una gara per affidarci ai concessionari esterni»;
   il Ministro interrogato aveva anche affermato che «l'anomalia vera, dalla “legge Ronchey” in poi, è che non è stata creata nessuna struttura pubblica in grado di gestire i servizi aggiuntivi. Se domani mattina il mio Ministero decidesse di gestire direttamente il bookshop di un museo o dell'altro, non avrebbe la struttura in grado di farlo ed è esattamente quello che stiamo cercando di fare attraverso una delle società in house del Ministero, per poter avere la scelta tra fare la gara o gestirlo direttamente e, quindi, anche comunque con un effetto di calmierare il mercato»;
   dal settembre 2015 ad oggi né sono state bandite le nuove gare per l'affidamento dei servizi, né tantomeno all'interno del Ministero si è riusciti a creare una
   dal settembre 2015 ad oggi né sono state bandite le nuove gare per l'affidamento dei servizi, né tantomeno all'interno del Ministero si è riusciti a creare una valida alternativa all'esternalizzazione dei servizi, mentre i siti turistici italiani più importanti sprofondano nel degrado –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere rispetto ai fatti di cui in premessa, affinché la gestione del patrimonio turistico italiano avvenga nel rispetto dei parametri di efficienza, legalità e decoro dei luoghi, anche attraverso il coinvolgimento delle amministrazioni comunali. (3-02275)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel sito dei Giganti di Mont’ e Prama si registra un vero e proprio sfregio alla straordinaria storia legata all'insieme statuale rinvenuto in quell'area;
   il sito archeologico si trova nel degrado più totale;
   il georadar dell'università di Cagliari è stato vergognosamente escluso dalle ricerche archeologiche con il rischio di perdere anni decisivi nella ricostruzione della civiltà nuragica;
   la sopraintendenza di Stato ha di fatto messo «fuori gioco» le università sarde, mentre le cooperative «rosse» che stavano operando nel sito hanno smesso di occuparsene senza alcun motivo;
   il sito risulta totalmente abbandonato a se stesso, con incuria e degrado ovunque;
   la collina dei Giganti di Mont’ e Prama è uno scandalo nazionale;
   nel frattempo la soprintendenza nega l'uso del georadar dell'università di Cagliari e l'ausilio dei professori sardi che avevano scoperto il giacimento infinito di Mont’ e Prama;
   si tratta di uno scontro senza precedenti che rischia di tenere sottoterra un patrimonio archeologico immenso solo per il comportamento miope e dispotico di quello che appare all'interrogante uno Stato arrogante e vigliacco;
   il sito archeologico più importante dell'isola è stato trasformato in un campo incolto dove la negligenza di Stato la fa da padrona;
   si registrano erbacce alte metri, scavi indistinguibili, un degrado senza precedenti per un sito ritenuto il più rilevante della storia del Mediterraneo;
   il triste spettacolo di abbandono e degrado che si presenta a chi si reca nel sito lascia esterrefatti;
   il sito più importante della Sardegna è stato trasformato in un campo di patate, per giunta abbandonato; uno scempio senza precedenti;
   il cantiere risulta chiuso da tempo, forse da mesi, senza alcuna spiegazione;
   le cooperative «rosse» hanno praticamente chiuso il cancello e sono andate via, nonostante il cantiere era previsto dovesse proseguire sino a dicembre 2016;
   il lucchetto vistosamente arrugginito lascia intendere che da tempo tutto è stato abbandonato;
   le visite di ministri e sottosegretari si sono rivelate del tutto prive di risultato e oggi risuonano, ad avviso dell'interrogante, come una vera e propria presa in giro per la grande storia nascosta in quel sito;
   non ci sono state nessuna valorizzazione o gestione provvisoria del sito;
   un luogo simbolo, la culla potenziale della nuova rinascita della civiltà nuragica e prenuragica, è stato trattato alla stregua di una discarica;
   le immagini rappresentano in modo eloquente la devastazione e il contrasto tra i tanti proclami propagandistici e il nulla sul campo;
   lasciare gli scavi di Mont'e Prama in questo gravissimo stato di abbandono conferma e aggrava le denunce già rivolte nei mesi scorsi ad una soprintendenza secondo l'interrogante totalmente incapace di proteggere, salvaguardare e tutelare quell'immenso patrimonio;
   si tratta di un degrado di gravità inaudita proprio per l'imponenza del patrimonio che gli archeologici sardi avevano individuato e che stavano diligentemente portando avanti con le università sarde, nonostante le condizioni di assoluta ristrettezza finanziaria e operativa;
   quella messa in campo con le Coop «rosse» è, ad avviso dell'interrogante, una vera e propria profanazione di quel sito da parte dello Stato e della regione che confermano un disinteresse e una sciatteria inaccettabili;
   si tratta di un atto da stigmatizzare di cui questo Governo e questa regione sono direttamente responsabili;
   il Governo, il Ministro Franceschini e tutti i responsabili della regione secondo l'interrogante si dovrebbero dimettere per manifesta negligenza, visto lo stato di abbandono in cui versa il cantiere;
   si tratta di uno Stato ancora una volta strabico e disattento;
   i sopralluoghi di ministri e sottosegretari sono la testimonianza più eloquente di uno Stato incapace di valorizzare e proteggere il patrimonio storico e culturale;
   quelle visite così tanto ostentate stridono in modo evidente con la gravissima situazione degli scavi;
   i Giganti di Mont'e Prama sono molto più antichi di qualsiasi altro sito e questo atteggiamento dello Stato è davvero scandaloso e colpevole;
   occorre porre fine a questa perenne negligenza nei confronti della civiltà nuragica della Sardegna;
   un degrado che grida giustizia per la grande storia del popolo sardo –:
   se non ritenga di assumere iniziative per porre fine a questo stato di degrado e abbandono del sito di Mont'e Prama;
   se non ritenga di dover immediatamente garantire, per quanto di competenza, la ripresa dei lavori affidando alle università di Cagliari e Sassari la responsabilità scientifica degli scavi;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per stanziare risorse adeguate per l'acquisizione delle aree limitrofe al fine di garantire un proseguo degli scavi e la valorizzazione dell'intero compendio;
   se non ritenga di dover ripristinare con urgenza il rapporto con i docenti e le tecnologie, come il georadar, in dotazione all'università di Cagliari al fine di dare senso compiuto agli scavi in quel sito;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per interrompere il rapporto con le cooperative operanti nel sito attraverso il progetto Arcus per quella che l'interrogante giudica manifesta inadempienza considerato lo stato del cantiere e l'interruzione ingiustificabile degli stessi lavori. (5-08769)


   SIMONETTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano Libero il 23 maggio 2016, l'Inps ha un tesoro in opere d'arte inutilizzato e sconosciuto, nel suo inventario, sia al presidente Boeri che al direttore generale Cioffi;
   sembra trattarsi di circa 7-8 mila opere d'arte, distribuite un po’ in tutta Italia, da Guttuso agli astrattisti, inclusi quattro dipinti del Seicento ed una villa palladiana in stato d'abbandono, e tante altre opere minori ignote, pervenute all'Inps in virtù della legge n. 717 del 1949, cosiddetta «del due per cento», che obbligava le amministrazioni pubbliche che commissionavano la costruzione di nuovi edifici a devolvere appunto il 2 per cento della spesa totale al relativo abbellimento mediante opere d'arte;
   già lo stesso presidente del Civ — Consiglio di indirizzo e vigilanza, in occasione dell'audizione in commissione di controllo sugli enti gestori di previdenza, aveva ammesso che non esiste un'anagrafe dei beni artistici dell'istituto;
   il paradosso è che tali bene non solo sono misconosciuti ed infruttuosi, ma addirittura rappresentano un esborso per l'ente previdenziale;
   ad esempio, per la villa palladiana del ’600, villa Pellegrini Marioni Pullè, di proprietà dell'ente previdenziale dagli anni ’70, circa 150 mila metri quadri a sette chilometri dall'Arena di Verona, l'Inps ha stanziato un milione di euro per interventi di restauro/conservazione; ufficialmente i lavori di ristrutturazione sono iniziati nel 2013 — anche se il progetto è del 2009 — e sarebbero dovuti terminare nell'aprile 2015, ma ad oggi sembra ci sia solo una recinzione posticcia sulla parte del muro di cinta crollato quattro anni fa a seguito di un temporale;
   altra antinomia è rappresentata dalla recente operazione «welfarte», fortemente voluta dal presidente Inps, che è costata complessivamente, tra allestimento e personale, 50 mila euro senza alcun incasso –:

se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per risolvere la problematica esposta in premessa, accelerando la catalogazione del patrimonio artistico dell'Inps e la conseguente messa a reddito, al fine di evitare lo sperpero di risorse pubbliche che, invece, potrebbero esser destinate al miglioramento dei trattamenti previdenziali. (5-08771)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la situazione debitoria è stata da tutti avvertita come una vera e propria emergenza sociale che ha indotto il legislatore ad introdurre la possibilità di rateizzare le somme iscritte a ruolo fino a un massimo di dieci anni (la rateizzazione ordinaria prevede un massimo di 72 rate mensili, mentre la rateizzazione straordinaria estende il numero delle rate fino ad un massimo di 120 mensili) dando così respiro a famiglie ed imprese;
   attualmente, secondo i dati forniti dall'amministratore delegato di Equitalia nel corso dell'audizione presso la Commissione di vigilanza sull'anagrafe tributaria del 9 marzo 2016, le dilazioni di pagamento ha o rappresentato, negli ultimi a i, un fenomeno in costante crescita: attualmente, sono attive circa 30 milioni di rateizzazioni per un controvalore di circa 38 miliardi di euro;
   si tratta, quindi, di un valido strumento adatto a sostenere la ripresa: il legislatore, non a caso, invero, è già più volte intervenuto sull'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, con la finalità di snellire il procedimento di accesso alla rateizzazione del debito e di rendere maggiormente fruibile la ripartizione del pagamento in rate;
   in particolare, per ben due volte, nel corso dell'anno 2014, il legislatore ha emanato, peraltro, disposizioni di carattere eccezionale per consentire ai soggetti decaduti da un piano di dilazione di riprendere nuovamente a pagare a rate (l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 cosiddetto Milleproroghe e l'articolo 10 del decreto-legge n. 192 del 2014): in base a tali disposizioni, i debitori decaduti dal beneficio della rateazione entro e non oltre il 31 dicembre 2014 sono stati riammessi, a richiesta, al pagamento rateale;
   con l'articolo 15, comma 7, del decreto legislativo, n. 159 del 2015 (Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, in attuazione dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23), il legislatore ha ulteriormente esteso la possibilità di riprendere la rateizzazione a beneficio dei decaduti. In particolare, è stato disposto che, su semplice richiesta del debitore, da presentare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui sopra, cioè dal 22 ottobre 2015, potessero essere ripartite, fino ad un massimo di 72 rate mensili, le somme iscritte a ruolo non ancora versate, oggetto di piani di rateizzazione concessi dagli agenti della riscossione e decaduti nei 24 mesi antecedenti alla suddetta data;
   sempre con il decreto legislativo n. 159 del 2015 è stato, inoltre, previsto che, in caso di decadenza dai piani di ammortamento concessi a decorrere dal 22 ottobre 2015, i debitori in difficoltà possano ottenere, a differenza di quanto accadeva in precedenza, un nuovo piano di rateizzazione, a condizione che, al momento della presentazione della relativa istanza, le rate del precedente piano – già scadute a tale data – venissero integralmente saldate;
   i debitori che ha o ottenuto un piano di rateizzazione prima del 22 ottobre 2015, per i quali la decadenza continuerà a verificarsi solo in caso di mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive, anziché 5 (previste per i piani accordati dal 22 ottobre 2015), una volta decaduti, non potranno, invece, essere più riammessi al beneficio;
   coloro che, non hanno presentato istanza entro il 21 novembre 2015, data di scadenza per chiedere la «riammissione» alla rateizzazione si trovano ora esposti a gravi conseguenze economiche;
   le imprese che dovranno fronteggiare tale situazione, non potendo ottemperare ai propri debiti, saranno esposte al rischio del fallimento;
   un'ultima possibilità, in termini temporali, viene data con la legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi da 134 a 138, della legge n. 208 del 2015) che consente anche ai contribuenti decaduti dal beneficio della rateazione di somme dovute a seguito di accertamenti con adesione, di essere riammessi, a specifiche condizioni, al piano originario di dilazione; in particolare, il predetto beneficio spetta ai contribuenti decaduti nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015, per i quali la riammissione è effettuata al piano di rateazione inizialmente concesso, riguarda il solo versamento delle imposte dirette ed è condizionata alla ripresa, entro il 31 maggio 2016, del versamento della prima rata scaduta;
   in ogni caso quest'ultima disposizione normativa, che peraltro è limitata, non risolve il problema di tutte quelle imprese e famiglie che ancora hanno una situazione debitoria in essere;
   la raccomandazione a trovare soluzioni adeguate deriva dalle parole dello stesso amministratore delegato di Equitalia il quale, nel corso dell'audizione di cui sopra ha sottolineato che grazie ai pagamenti a rate, infatti, le famiglie e le imprese in difficoltà economica riescono, nel tempo, a regolarizzare il loro debito con l'Erario e, di conseguenza, a Equitalia di riscuotere le somme che gli enti creditori le affidano, nel modo meno invasivo possibile, facilitando il rapporto con i debitori interessati e favorendo, al contempo, un clima di minor tensione sociale e di maggiore fiducia nelle istituzioni –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interpellato abbia intenzione di adottare al fine di prevedere che i contribuenti decaduti dai piani di rateizzazione concessi, ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, in data precedente o successiva, a quella di entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, possano ottenere, a semplice richiesta, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione ai sensi dello stesso articolo 19, superando in tal modo le limitazioni rappresentate dalla presentazione di un'apposita istanza entro un termine perentorio già stabilito.
(2-01380) «Prataviera, Matteo Bragantini, Caon, Marcolin, Pisicchio».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 vieta dalle 7 alle 22 qualsiasi spot sul gioco d'azzardo sulle televisioni commerciali di natura generalista, ma il decreto attuativo previsto per rendere effettiva la norma e stabilire le relative sanzioni non è ancora arrivato;
   l'opinione pubblica si chiede con insistenza che fine abbia fatto il divieto della pubblicità del gioco d'azzardo in televisione. Si parla del decreto attuativo che il Ministero dell'economia e delle finanze – di concerto con il Ministero della salute e sentita l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – avrebbe dovuto stilare e adottare entro 120 giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità 2016 per dare concretezza al divieto – parziale – di pubblicità su cui il Governo si è formalmente impegnato;
   non è stato neanche emanato un secondo decreto, il comma 939 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 prevede esplicitamente il divieto di pubblicità di giochi con vincita in denaro nelle trasmissioni radiofoniche e televisive generaliste, dalle ore 7 alle ore 22 di ogni giorno;
   è una storia che si ripete, già vista al tempo del dibattito sulla legge n. 23 del 2014, la cosiddetta «legge delega fiscale». Anche in tale occasione, in fase di emanazione dei decreti legislativi in materia, esattamente un anno fa, si doveva introdurre il divieto di pubblicità del gioco d'azzardo, ma non se ne fece nulla perché il Governo fece scadere i termini;
   stando alle ultime rilevazioni, quasi tutti gli operatori di settore sembrano propensi a accettare un divieto totale di pubblicità sui media generalisti, tanto che hanno già applicato spontaneamente il divieto di trasmettere spot in fascia protetta. Poca cosa, certo, ma allora ci si deve chiedere perché tanto attendismo da parte del Governo, e concretamente da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
   c’è il sospetto che non siano gli operatori del settore del gioco pubblico a porre limiti alla pubblicità, ma siano proprio le TV generaliste e i rispettivi editori a non voler compromettere i propri incassi rinunciando alla pubblicità del gioco, soprattutto in alcune occasioni, per esempio alla vigilia dei campionati europei di calcio estivi quando, a margine delle trasmissioni sportive, si apre un grande spazio per gli investimenti soprattutto da parte di società di scommesse online. Taluni si è spingono ad affermare che le trasmissioni sportive verranno escluse dal divieto. Quel che è certo è che del divieto di pubblicità del gioco azzardo previsto dalla legge di stabilità 2016 non si ha traccia, dal momento che manca il decreto attuativo –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, quando verrà emanato il decreto attuativo che impone uno «stop» reale alle pubblicità nelle fasce orarie protette delle televisioni e delle radio generaliste e se la tutela coprirà anche le trasmissioni sportive e quelle a più alto indice di audience. (3-02273)

Interrogazione a risposta scritta:


   STUMPO, LATTUCA e GIORGIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa, Enel avrebbe presentato il 19 maggio 2016 una propria offerta, non vincolante, per 806 milioni di euro per acquisire il 100 per cento di Metroweb, partecipata dagli azionisti F2i (53,8 per cento) e Cassa depositi e prestiti (al 46,2 per cento attraverso il Fondo strategico). La società avrebbe in progetto non di rilevare il 100 per cento di Metroweb, ma di entrare in quota di maggioranza, ossia di formare una newco insieme con Cassa depositi e prestiti, che, fra l'altro, ha dichiarato di voler valorizzare il business della fibra;
   sempre da notizie di stampa risulterebbe che Telecom Italia abbia fatto recapitare a Cassa depositi e prestiti un'offerta per il 100 per cento di Metroweb pari a circa 820 milioni di euro, con la variante 67 per cento subito e 100 per cento a termine;
   la strategia italiana per la banda ultra larga rappresenta il quadro di riferimento per la politica di interventi volti alla diffusione della banda ultra larga nelle diverse aree, sull'intero territorio nazionale. Il Governo ha deciso di selezionare il modello di intervento diretto nelle aree a fallimento di mercato. Secondo tale modello la proprietà della rete rimarrà pubblica. 1 progetti finanziati mediante l'intervento diretto configurano un regime quadro di aiuto nazionale, nell'ambito dei quale le risorse pubbliche destinate al finanziamento degli investimenti nelle ree bianche sono costituite dai fondi strutturali, Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e dal Fondo Sviluppo e Coesione (FSC);
   le regioni impiegheranno le risorse della programmazione dei fondi strutturali comunitari, definita dall'accordo di partenariato 2014-2020, pari a circa 1,8 miliardi di euro. La delibera del CIPE ha assegnato, subordinatamente all'autorizzazione della misura di aiuto da parte della Commissione europea, le risorse del FSC che ammontano a 2,2 miliardi di euro. Tali risorse saranno utilizzate secondo una ripartizione territoriale che tiene conto del fabbisogno stimato per gli interventi pubblici nelle aree bianche dei cluster C e D, individuate a seguito della Consultazione pubblica 2015 in ogni regione nel periodo 2016-2020 e tenendo conto delle altre risorse disponibili per il finanziamento dei piano banda ultra larga in ciascuna regione;
   dall'esito finale della consultazione 2015 e dell'analisi delle risorse già stanziate per il raggiungimento degli obiettivi preposti, il fabbisogno complessivo quantificato per le aree bianche dell'intero territorio nazionale di risorse del FSC è pari a circa 1,6 miliardi di euro;
   il sottosegretario allo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, considera «Metroweb una eccellenza italiana, credo che l'obiettivo di CDP e F2i sia di valorizzarne al massimo le potenzialità», la competizione tra Telecom Italia e Enel per Metroweb «è sicuramente un fattore che porta valore aggiunto per i cittadini e per il sistema: l'importante è che ci sia sempre il rispetto per il superiore interesse del paese che viene prima degli interessi particolari». Il sottosegretario ha altresì precisato che «Auspichiamo che ognuno faccia crescere il proprio business, mettendo il proprio interesse specifico in linea con l'interesse generale»;
   Enel è un'azienda multinazionale produttrice e distributrice di energia elettrica e gas, istituita come ente pubblico a fine 1962, trasformata nel 1992 in società per azioni e nel 1999, in seguito alla liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica in Italia, privatizzata. Lo Stato italiano, tramite il Ministero) dell'economia e delle finanze, rimane il principale azionista e al 1o aprile 2016 detiene il 23,5 per cento del capitale sociale;
   Enel possiede il 100 per cento di Enel Open Fiber, società costituita a dicembre 2015, che dovrebbe rendere disponibile banda larga in FTTH a 7,5 milioni di case in Italia, secondo il piano approvato il 23 marzo 2016 operando nei cosiddetti cluster A e B a «successo di mercato» con un piano di copertura su 224 comuni in grandi aree urbane;
   principale fonte di raccolta di Cassa depositi e prestiti è rappresentata dal risparmio postale, nella forma di buoni fruttiferi postali e libretti di risparmio. La raccolta postale (252 miliardi di euro), garantita dallo Stato, dovrebbe permettere a Cassa depositi e prestiti di perseguire la sua missione istituzionale e cioè finanziare la crescita del Paese a favore soprattutto del settore produttivo;
   la Commissione parlamentare bicamerale sulla vigilanza della Cassa depositi e prestiti è stata convocata nel corso della XVII legislatura il 13 novembre 2014 –:
   se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza affinché l'operazione in premessa, tra Enel e Metroweb, sia rinviata, al fine di consentire al Parlamento, nelle sedi opportune, di valutare l'impatto che un'operazione di investimento di tale portata avrà sull'assetto concorrenziale del settore delle comunicazioni elettroniche (completamente liberalizzato sin dal 1o gennaio 1998), sulla primaria esigenza di garantire pari opportunità di iniziativa economica agli operatori presenti sul mercato, sulla capacità creditizia di Cassa depositi e prestiti e sulla tutela dei risparmiatori considerata la sua importante e delicata funzione di raccolta e gestione del risparmio nazionale attraverso il risparmio postale, sulla politica dei dividendi del Ministero dell'economia e delle finanze nei confronti delle sue partecipate, sul rischio di far beneficiare Enel Open Fiber dell'aiuto di Stato derivante dall'eventuale partecipazione di Cassa depositi e prestiti nel suo capitale sociale e dall'ulteriore aiuto di Stato derivante dall'eventuale assegnazione del finanziamento pubblico di cui alla Strategia italiana per la banda ultra larga. (4-13291)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   se la giustizia in Italia è lenta non è solo per l'eccessivo numero di leggi e per «l'elefantiaco» sistema giudiziario, ma vi è un problema apparentemente meno importante: la mancanza di personale. Gli uffici giudiziari sono, infatti, probabilmente il comparto pubblico che ha più buchi di organico: le stime parlano di 9 mila dipendenti «mancanti». Negli ultimi anni molti degli archivisti, commessi, impiegati che mancano nei tribunali sono stati rimpiazzati da «precari della giustizia», non solo giovani laureandi o neolaureati ma anche lavoratori cassa integrati o in mobilità, utilizzati come «tirocinanti»;
   la prima regione a pubblicare il bando, nel 2010, per un'opportunità di lavoro e formazione on the job è stata la regione Lazio che erogava 300 euro al mese di compenso da aggiungere all'indennità di disoccupazione e mobilità o alle spettanze della cassa integrazione. Nel tempo, poi, si è assistito al proliferare di bandi regionali e provinciali lungo l'intera penisola visto il prezioso contributo dei «tirocinanti» per la macchina giudiziaria. Quella che viene descritta come un'opportunità in realtà, in molti casi, è una scelta obbligata in quanto il rifiuto «alla partecipazione all'iniziativa comporta il decadimento dai trattamenti previdenziali legati alla mobilità»;
   con la legge di stabilità per il 2013, la n. 228 del 2012, la questione tirocinanti diventa di competenza del Ministero della giustizia: nell'articolo 1, comma 25, lettera c), della legge si stabilisce, infatti, la ripartizione delle spese che per il solo anno 2013 consente «ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e inoccupati che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro»;
   con decreto 20 ottobre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 257 del 4 novembre 2015, viene indetta una «procedura di selezione di 1502 tirocinanti ai fini dello svolgimento, da parte di coloro che hanno svolto il periodo di perfezionamento di cui all'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, di un ulteriore periodo di perfezionamento della durata di dodici mesi». Con provvedimento del 3 novembre 2015 del direttore generale del personale e formazione dell'organizzazione giudiziaria, vengono indicati, poi, termini e modalità per la presentazione della domanda di partecipazione;
   su tutto il territorio nazionale i tirocinanti presenti sono 2600, quindi con la sopracitata procedura di selezione ne restano esclusi 1100. Altro problema, non di poco conto, è la disomogenea distribuzione dei posti nelle varie regioni d'Italia: nelle regioni come il Trentino dove non vi sono tirocinanti i posti disponibili sono 43, mentre, in Calabria, dove i tirocinanti sono ben 670, i posti messi a disposizione sono soltanto 23. Ciò comporta che un calabrese si trova costretto a fare domanda anche in regioni del Nord, dove avrebbe maggiori probabilità di essere chiamato per poi dover lavorare e sopravvivere un anno a 400 euro lordi al mese, lontano da casa;
   ad oggi, la prima selezione è stata fatta e, le graduatorie, a livello nazionale, pubblicate: su 1502 posti a concorso la copertura è stata di 1182 unità. L'articolo 12 del decreto ministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 novembre 2015 dispone che «i posti non assegnati all'esito della procedura di selezione di cui al presente decreto costituiranno oggetto di una nuova procedura disposta con successivo decreto» –:
   se sia nelle intenzioni del Governo provvedere celermente, con apposito decreto, all'indizione di una nuova procedura per la copertura dei posti non assegnati, al termine della procedura indetta con decreto 20 ottobre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 257 del 4 novembre 2015, e se, al contempo, non si ritenga opportuno che vengano redistribuiti i posti vacanti nelle regioni con un maggior numero di tirocinanti come nel caso della Calabria citato nelle premesse.
(4-13287)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il codice dei contratti pubblici, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, abrogato dal nuovo codice di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recava specifiche previsioni per le procedure di affidamento diretto, nonché specifiche misure per il calcolo del valore di appalti di servizi e forniture che presentano carattere di regolarità o sono destinati ad essere rinnovati entro un determinato periodo;
   lo stesso codice prevedeva, inoltre, che nessuna prestazione di beni, servizi potesse essere artificiosamente frazionata allo scopo di sottoporla alla disciplina delle acquisizioni in economia (divieto di artificioso frazionamento);
   nel nuovo e recentissimo codice entrato in vigore nel mese di aprile 2016, rimane confermato l'affidamento diretto, adeguatamente motivato, per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 40.000 euro, rispetto al quale deve comunque rispettarsi il principio del divieto di frazionamento artificioso (reso ancora più pregnante dall'obbligo di programmazione per gli acquisti di beni e servizi per importi unitari pari o superiore a 40.000 euro). Si devono peraltro richiamare sul punto le raccomandazioni dell'Autorità nazionale anticorruzione, dettate nella determinazione n. 12/2015 («Aggiornamento 2015 al piano nazionale anticorruzione»), ove, «con specifico riguardo alle procedure negoziate, affidamenti diretti, in economia o comunque sotto soglia comunitaria», si è suggerita l'adozione di «Direttive/linee guida interne che introducano come criterio tendenziale modalità di aggiudicazione competitive ad evidenza pubblica ovvero affidamenti mediante cottimo fiduciario, con consultazione di almeno 5 operatori economici, anche per procedure di importo inferiore a 40.000 euro»;
   in attesa delle linee guida dell'ANAC, che stabiliranno le modalità di dettaglio per supportare le stazioni appaltanti e migliorare la qualità delle procedure sotto-soglia, è comunque necessario rilevare, alla luce dei presupposti normativi citati, un fenomeno comune che riguarda in generale tutte le autonomie locali nel ricorso a procedure di affidamento diretto, divenute di fatto procedure ordinarie; anziché di carattere eccezionale come prevista dal codice;
   la stessa Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di un'analisi svolta sugli appalti di servizi e forniture in un periodo che va dal primo gennaio 2010 al 10 marzo di quest'anno in 116 comuni capoluogo, ha denunciato, in particolare, una sistematica disapplicazione delle norme in materia di calcolo del valore dell'appalto e di affidamenti diretti o in economia del codice dei contratti pubblici;
   oltre ai dati in merito agli affidamenti diretti nei principali comuni capoluogo del nostro Paese, sarebbe interessante analizzare se, ai fini dell'attenuazione di tale fenomeno, gli strumenti di indirizzo e controllo in capo agli amministratori abbiano ottenuto dei risultati significativi;
   ulteriore elemento informativo sarebbe l'analisi sulle dinamiche di aumento o diminuzione i tali fenomeni a seguito dell'elezione di una nuova amministrazione –:
   quali siano i dati in possesso del Governo relativi alle procedure di affidamento dei lavori per servizi e forniture nei comuni di Milano, Torino, Firenze e Reggio Calabria, confrontando i valori percentuali sul totale degli affidamenti negli anni 2010 e 2014.
(2-01382) «Occhiuto, Santelli».

Interrogazioni a risposta immediata:


   BALDELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 208 del codice della strada prevede che il 50 per cento delle somme che i comuni incassano con le multe da infrazioni al codice stesso, comminate dalla polizia municipale, debba essere obbligatoriamente utilizzato per finalità connesse alla sicurezza stradale, alla manutenzione delle strade, al potenziamento dei servizi di controllo finalizzati alla sicurezza urbana e alla sicurezza stradale attraverso l'acquisto di automezzi, mezzi e attrezzature, mentre il restante 50 per cento possa essere liberamente destinato ad altre finalità;
   l'articolo 142 del codice della strada dispone che i comuni debbano destinare integralmente le somme di loro competenza, derivanti dalle multe comminate attraverso l'utilizzo degli autovelox, alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale, nel rispetto della normativa vigente relativa al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego e al patto di stabilità interno;
   la situazione della manutenzione stradale in molti comuni è drammatica e la grande presenza di crepe, buche, avvallamenti e altre forme di dissesto del manto stradale è spesso causa di una notevole quantità di sinistri e, di conseguenza, di un contenzioso giudiziario ed assicurativo importante;
   le sanzioni amministrative comminate per la violazione del codice della strada sono diventate per alcuni enti locali, di fatto, uno strumento per garantirsi entrate supplementari in favore dei propri bilanci con destinazioni non conformi alle previsioni di legge;
   i comuni devono trasmettere in via informatica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno, entro il 31 maggio di ogni anno, una relazione in cui sono indicati, con riferimento all'anno precedente, l'ammontare complessivo dei proventi di propria spettanza, derivanti sia dall'accertamento delle violazioni ex articolo 208 (infrazioni al codice della strada), che da quelle ex articolo 142 (infrazioni rilevate dai cosiddetti autovelox), come risultante da rendiconto approvato nel medesimo anno, e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, con la specificazione degli oneri sostenuti per ciascun intervento –:
   se il Governo non ritenga di dare seguito al più presto, attraverso interventi normativi, al dispositivo della mozione n. 1-01085, approvata il 28 gennaio 2016 dalla Camera dei deputati e relativa ai proventi delle multe derivanti dai cosiddetti autovelox, e, analogamente, se non intenda introdurre sanzioni altrettanto efficaci in ordine all'obbligo di legge di destinare al miglioramento della sicurezza stradale il 50 per cento delle multe provenienti dalle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal codice della strada. (3-02276)


   GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il trasporto merci su gomma è ancora oggi la modalità più diffusa in Italia, nonostante sia lento, pericoloso e inquinante;
   attualmente il nostro Paese vanta il triste primato di trasportare il 94 per cento delle merci su gomma, con conseguenti danni per l'ambiente circostante ed aumento del traffico su strade ed autostrade;
   tale sistema di trasporto potrebbe essere affiancato e gradualmente sostituito da una rete alternativa altamente innovativa, denominata Pipenet, che permette alle merci di viaggiare alla velocità di 1.500 chilometri all'ora;
   questo progetto ad altissima velocità è allo studio da circa quindici anni all'Università di Perugia-campus di ingegneria, presso il Centro di ricerca interuniversitario sull'inquinamento e l'ambiente Ciriaf, a cui afferiscono docenti di oltre venti atenei;
   nello specifico, il sistema Pipenet, composto essenzialmente da tubi sotto vuoto all'interno dei quali si fa viaggiare la merce in apposite capsule, per funzionare sfrutta un motore elettrico lineare che, al contrario della propulsione utilizzata nei vecchi sistemi di posta pneumatica, crea un'onda magnetica in grado di sollevare e spingere il carico da portare a destinazione;
   l'innovativa rete di trasporto riesce a sviluppare una velocità di ben 1.500 chilometri orari e permette di spostare una tonnellata di merce al secondo circa impiegando pochissima energia. Al contrario della posta pneumatica, infatti, all'interno dei tubi viene eliminata l'aria e quindi l'attrito, causa dell'elevato consumo energetico. Inoltre, l'energia della frenata viene recuperata abbassando ulteriormente i consumi e aumentando l'efficienza del sistema;
   il diametro dell'infrastruttura di poco più di un metro, l'elevata efficienza energetica, la possibilità di alimentare il sistema con pannelli fotovoltaici posti sopra l'infrastruttura, l'altissima velocità e la possibilità di coprire l'ultimo miglio con i droni rendono tale sistema adatto a realizzare una vera e propria rete di trasporto fino al balcone delle abitazioni, la cosiddetta physical internet, caratterizzata da bassissimo impatto ambientale, che, grazie ai pannelli fotovoltaici di cui è dotata, produce mediamente in un anno più energia di quanta ne consuma;
   la rete Pipenet e i droni, opportunamente dotata di sistemi di sicurezza, permetterebbe di ricevere e spedire la merce sul balcone, non solo dai supermercati o grandi magazzini, ma addirittura direttamente dal produttore stesso, con applicazioni straordinarie e inimmaginabili anche per il nostro settore agroalimentare di eccellenza, per la raccolta differenziata porta a porta dei rifiuti, per l’e-commerce, il just in time e altro;
   inoltre, i tubi che compongono la rete Pipenet possono essere interrati, affiancati ad infrastrutture già esistenti e posizionati anche sott'acqua, così come avviene per le condotte del gas naturale;
   la realizzazione di una simile infrastruttura sarebbe in grado di trasportare «via tubo» circa il 70 per cento della merce che oggi viaggia su gomma, decongestionando la rete stradale e riducendo drasticamente gli incidenti;
   nel periodo 2000-2005 sono stati depositati dal gruppo di ricerca Ciriaf, coordinato dal professor Franco Cotana, due domande di brevetto e due domande di registrazione marchio relative a questo sistema di trasporto:
    il 5 dicembre 2005 è stato stipulato un accordo programmatico tra Ciriaf e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare relativo allo «studio teorico sperimentale volto a verificare la fattibilità tecnologica ed industriale del sistema di trasporto Pipenet e dei suoi componenti e a definire le linee guida generali per la progettazione esecutiva». Nell'ambito del suddetto accordo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha cofinanziato al Ciriaf-Università di Perugia un progetto per lo sviluppo, la realizzazione e la sperimentazione di un prototipo di circa 80 metri presso la sede della facoltà di ingegneria di Terni. In particolare, è stato sviluppato un apposito motore elettrico lineare, sono state testate le tecnologie del vuoto e della levitazione magnetica, è stata realizzata un'infrastruttura tubolare di prova;
   nel 2006 è stato siglato un accordo quinquennale tra Ciriaf-Università di Perugia e Ansaldo Breda trasporti di Finmeccanica per lo sviluppo del sistema Pipenet;
   il 9 marzo 2009 un prototipo di Pipenet funzionante è stato esposto a Bruxelles nell'ambito della conferenza «Il futuro dei trasporti nell'Unione europea» alla presenza dell'allora Commissario europeo ai trasporti onorevole Tajani, che definì Pipenet il quinto sistema di trasporto dopo la strada, la nave, il treno e l'aereo;
   il 29 aprile 2016 si è svolta ad Assisi, nell'ambito del tema Smart Cities, un convegno per fare il punto sull'evoluzione del sistema Pipenet e la sua integrazione con i droni, nonché il loro interfacciamento con gli edifici, in un'ottica di circular economy;
   in questi giorni sta suscitando clamore sui mezzi di informazione la notizia della realizzazione in California di un sistema simile a Pipenet, denominato Hyperloop, proposto dalla società americana Hyperloop transportation technologies, che con le stesse caratteristiche dovrebbe essere destinato al trasporto di persone e merci. È, inoltre, notizia di queste ultime settimane che il Ministro dell'economia della Repubblica slovacca Vazil Hudak ha firmato un accordo con Hyperloop transportation technologies per esplorare la possibilità di collegare Bratislava con Vienna e Budapest in soli otto minuti –:
   se non ritenga che la rete Pipenet possa rappresentare un'alternativa valida ed altamente innovativa per il trasporto merci rispetto all'utilizzo del sistema su gomma e, in caso positivo, quali iniziative intenda adottare per accelerare la realizzazione di questa infrastruttura capace di velocizzare il trasporto delle merci, nonché di ridurre fortemente l'impatto ambientale e la congestione della rete stradale. (3-02277)


   PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 2004 la regione Puglia (governo di centrodestra) approva il progetto per il raddoppio della strada statale n. 275 Maglie-Santa Maria di Leuca, finanziato con 152 milioni di euro;
   tra il 2005 ed il 2009 il progetto diviene oggetto di molteplici contrarietà da parte di chi sostiene che abbia un impatto ambientale troppo elevato, tanto che la stessa regione Puglia (governo di centrosinistra) con una delibera della giunta arriva a definanziare l'opera, salvo poi fare retromarcia;
   nel 2009, d'intesa con il territorio, vengono approvate alcune varianti al progetto originario che, modificando in parte il tracciato della strada, garantiscono un minor impatto ambientale, tanto che la giunta regionale nel riconfermare il finanziamento denominò questa strada «strada parco»;
   tali modifiche fanno lievitare i costi dell'opera, ma il Governo Berlusconi, sempre nel 2009, reperisce gli ulteriori 136 milioni di euro necessari, per un costo totale dell'opera di 288 milioni di euro;
   nel marzo del 2009 viene approvata la delibera Cipe che stanzia i fondi aggiuntivi e, poi, a marzo del 2011 il Cipe approva in via definitiva anche il progetto, confermando lo stanziamento anche con un'ulteriore delibera a gennaio 2012;
   purtroppo, nonostante ciò, si susseguono decine di ricorsi alla giustizia amministrativa, prima per gli espropri necessari alla realizzazione dell'opera, poi anche per l'affidamento dei lavori;
   nonostante alcuni contenziosi tra imprese ancora in atto, ad ottobre del 2013 l'Anas avvia le procedure per l'approvazione del progetto esecutivo per il raddoppio della strada statale e per la dichiarazione di pubblica utilità preliminare agli espropri;
   a giugno 2015, rispondendo ad un precedente atto di sindacato ispettivo dell'interrogante e negli ultimi giorni sulla stampa locale, il Governo ha confermato la strategicità dell'opera, la volontà di realizzarla e il proposito di sollecitare Anas a procedere all'affidamento dei lavori dopo l'ultimo pronunciamento del Consiglio di Stato;
   sempre negli ultimi giorni anche l'Anac ha riscontrato svariate irregolarità nell’iter del procedimento e pare che da questo siano nati nuovi accertamenti della magistratura penale;
   ad oggi quell'opera non è neanche mai partita, con conseguenze drammatiche sia dal punto di vista della sicurezza (la strada oggi ancora a due corsie è talmente pericolosa e teatro di talmente tanti incidenti mortali da essere soprannominata «statale della morte»), sia dal punto di vista dello sviluppo socioeconomico del basso Salento (il trasporto di persone e merci avviene a passo d'uomo), che rischia l'isolamento;
   appare inammissibile che un'opera pubblica, ritenuta infrastruttura strategica, approvata ed interamente finanziata ormai da 10 anni, sia ancora allo stato embrionale e senza neanche un cantiere aperto, con il rischio costante di perdere i finanziamenti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover attivare gli strumenti idonei ad accertare le cause di questi ritardi, adoperandosi con ogni iniziativa di competenza, in particolare presso l'Anas, affinché si proceda all'affidamento dei lavori e siano svolti, anche in collaborazione con l'Anac, tutti i controlli necessari sulle procedure, in tal modo garantendo sia legalità e trasparenza nell’iter, sia che l'opera venga realizzata immediatamente e che i cittadini e le imprese del basso Salento possano finalmente avere una strada sicura e veloce. (3-02278)


   BOSCO e GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie riportate dalla stampa si apprende che il Governo intenderebbe dar corso alla fusione di Ferrovie dello Stato ed Anas;
   la rilevanza di tale iniziativa richiederebbe indicazioni chiare e puntuali da parte dell'Esecutivo circa i numerosi e complessi aspetti dell'operazione;
   numerose sono le questioni e le problematiche che una tale decisione solleva sia in relazione alla gestione dell'intera operazione che ai risvolti economici e sociali della medesima;
   in tale contesto la prevista privatizzazione delle Ferrovie dello Stato propone una serie di problematiche che, se confermata la veridicità dell'operazione, richiedono chiarimenti accurati e precisi proprio per la complessità intrinseca in tale provvedimento;
   sarebbe opportuno definire, ad esempio, se, nel quadro della prevista privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, si intenda procedere allo scorporo tra gestione e rete: operazione che appare indispensabile per conferire un quadro di certezza e di corretta esecutività;
   la complessità ed i molteplici aspetti di tale iniziativa richiedono valutazioni approfondite e puntuali circa la fattibilità, la declinazione delle varie fasi gestionali, i riflessi sul mercato e sulla concorrenza, proprio al fine di assicurarne i vantaggi ed i benefici effetti per il Paese –:
   se il Ministro interrogato, confermando la volontà del Governo di procedere all'accorpamento di Anas e Ferrovie dello Stato, sia in condizione di fornire indicazioni precise e dettagliate sull'intera operazione e sugli effetti anche in ordine alla politica degli investimenti ed alla qualità dei servizi resi. (3-02279)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO, FRANCO BORDO, PANNARALE, COSTANTINO e NICCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 677, della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015) prevede che, qualora entro il 31 dicembre 2016 si proceda all'alienazione di quote o a un aumento di capitale riservato al mercato del gruppo Ferrovie dello Stato italiane spa, il Ministero dell'economia e delle finanze presenti alle Camere una relazione che evidenzi in modo puntuale l'impatto economico, industriale e occupazionale derivante dalla privatizzazione. In particolare, tale disposizione, frutto dell'approvazione durante l'esame del disegno di legge di stabilità 2016 presso la Camera dei deputati di un emendamento presentato dal gruppo parlamentare Sinistra Italiana-SEL a prima firma dell'onorevole Franco Bordo, prevede che: «Qualora entro il 31 dicembre 2016 si proceda all'alienazione di quote o a un aumento di capitale riservato al mercato del gruppo Ferrovie dello Stato italiane Spa, il Ministero dell'economia e delle finanze presenta alle Camere una relazione che evidenzia in modo puntuale l'impatto economico, industriale e occupazionale derivante dalla privatizzazione nella quale sono indicati in particolare:
    a) i dati finanziari e industriali degli effetti dell'alienazione o dell'eventuale aumento di capitale sulle società interessate e sul bilancio dello Stato;
    b) la minore spesa per interessi derivante dall'utilizzo delle risorse incassate dall'alienazione per la riduzione del debito pubblico;
    c) i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione;
    d) gli effetti dell'alienazione o dell'aumento di capitale riservato al mercato sul piano industriale del gruppo»;
   nel mese di dicembre 2015, e segnatamente in data 2 dicembre 2015, proprio nel pieno della discussione parlamentare del disegno di legge di stabilità 2016, il Governo si affrettava a trasmettere in Parlamento uno schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri con cui avviare l’iter di privatizzazione di una quota minoritaria del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane Spa (fino al 40 per cento), su cui le commissioni trasporti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sono state chiamate ad esprimere il loro parere; il testo era composto da un unico articolo suddiviso in 4 commi ove:
    1) si prevedeva in primo luogo l'alienazione di una quota della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze in Ferrovie dello Stato S.p.A., in modo tale da consentire comunque il mantenimento di una partecipazione dello Stato al capitale di Ferrovie dello Stato non inferiore al 60 per cento, facendo espressamente salva l'assegnazione dell'infrastruttura delle rete ferroviaria nazionale, gestita da Rete Ferroviara italiana S.p.A. (RFI), che opera in base alla concessione quarantennale di cui al decreto ministeriale n. 138T del 31 ottobre 2000;
    2) detta alienazione poteva essere effettuata, anche in più fasi con possibili modalità: offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, ai dipendenti del Gruppo Ferrovie dello Stato; offerta pubblica di vendita rivolta a investitori istituzionali italiani e internazionali;
    3) inoltre, si consentiva di attivare forme di incentivazione per la partecipazione all'offerta pubblica di vendita da parte dei dipendenti del gruppo Ferrovie dello Stato, tenuto conto anche della prassi di mercato e di precedenti operazioni di privatizzazione. Tali forme di incentivazione potevano tradursi in: quote dell'offerta riservate, agevolazioni di prezzo e agevolazioni nelle modalità di finanziamento;
    4) infine, lo schema di decreto in parola prevedeva la possibilità di prevedere forme di incentivazione in termini di prezzo, in coerenza con le prassi seguite precedenti operazioni di privatizzazione, per i risparmiatori al fine di favorire l'azionariato diffuso;
   attualmente il Ministero dell'economia e delle finanze detiene il 100 per cento del capitale di Ferrovie dello Stato s.p.a., suddiviso in n. 36.340.432.802 azioni ordinarie del valore nominale di 1 euro;
   come emerge dalla stampa nazionale il Governo ha approvato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con i criteri e le modalità per aprire il capitale della società controllata al 100 per cento dal Tesoro, avviando la procedura per portare in borsa l'ex monopolista per il quale si starebbe intanto valutando anche la possibile integrazione con Anas: un'operazione sulla cui fattibilità si deciderà, a quanto si apprende, entro l'estate;
   in particolare, il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe già avviato una fase esplorativa per valutare l'integrazione con ANAS: e che porterebbe alla nascita di un grande gruppo infrastrutturale da 10 miliardi di euro di fatturato;
   l'obiettivo fissato dal Documento di economia e finanza 2016 è di ricavare dalle privatizzazioni lo 0,5 per cento di prodotto interno lordo l'anno, nell'ambito del triennio 2016, 2017 e 2018, ovvero circa 8 miliardi di euro l'anno;
   ad oggi, il Ministero dell'economia e delle finanze non ha ancora presentato alle Camere alcuna relazione che evidenzi in modo puntuale e dettagliato l'impatto economico, industriale e occupazionale derivante dalla privatizzazione nella quale devono essere indicati, come si è detto, i dati finanziari e industriali degli effetti dell'alienazione o dell'eventuale aumento di capitale sulle società interessate e sul bilancio dello Stato; la minore spesa per interessi derivante dall'utilizzo delle risorse incassate dall'alienazione per la riduzione del debito pubblico; i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione; e infine, gli effetti dell'alienazione o dell'aumento di capitale riservato al mercato sul piano industriale del gruppo;
   alla luce di quanto sopra evidenziato, non si capisce come si possa varare in via definitiva un decreto, di cui peraltro ad oggi non si conosce ancora il testo e se questo rechi modifiche o integrazioni rispetto a quello inviato alle Camere, con cui definire i criteri di privatizzazione e delle modalità di dismissione della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze nel capitale di Ferrovie dello Stato;
   appare del tutto inspiegabile il motivo per cui si intenda, in controtendenza a quanto accade in altri Paesi europei come la Francia e la Germania, privatizzare una società solida e in crescita come Ferrovie dello Stato, capace di operare sul mercato italiano e di aprirsi ad una competitività nel trasporto ferroviario e alla logistica anche a livello continentale per garantirsi nell'immediato quella che potrebbe risultare una modesta entrata economica, mettendo a repentaglio profitti, livelli occupazionali e qualità professionali;
   nel promuovere l'imminente alienazione di quote di Ferrovie dello Stato italiane non sembra, infatti, siano stati considerati i rischi derivanti da una affrettata privatizzazione soprattutto sotto il profilo della salvaguardia del mantenimento dei diritti e delle tutele per le lavoratrici ed i lavoratori operanti nel comparto ferroviario, che rappresenta il prerequisito per la sicurezza e il buon funzionamento del sistema ferroviario e per servizi di alta qualità nei confronti delle persone. Senza contare che, con l'estensione della concorrenza nel trasporto ferroviario nazionale di passeggeri, del processo di privatizzazione e della possibile pressione finalizzata al taglio dei costi, l'attuale situazione di crisi economica in cui versa il Paese potrebbe ulteriormente aggravarsi, con inevitabili conseguenze sul piano della riduzione del numero dei dipendenti, il maggior ricorso all’outsourcing e al subappalto dei servizi, l'aumento dei contratti atipici, l'incremento dell'utilizzo dei lavoratori in somministrazione, l'intensificazione dei carichi e della pressione sul lavoro, l'aumento degli orari di lavoro flessibili, del frazionamento dei turni di lavoro e del ricorso al lavoro straordinario;
   dalle recenti notizie diffuse in materia, mediante comunicati dalle Presidenza del Consiglio dei ministri secondo i firmatari del presente atto risulta che non si è tenuto minimamente conto dei rischi derivanti da affrettata liberalizzazione e frammentazione del servizio ferroviario italiano oltre che del fatto che le misure che si intendono introdurre potrebbero porsi in palese contrasto con quanto previsto dalla legge di stabilità 2016 –:
   quali siano le ragioni per le quali, stanti le previsioni contenute nel Documento dell'economia e delle finanze 2016, i comunicati diffusi recentemente dal Consiglio dei ministri e le strategie di cui si parla sulla stampa nazionale, il Governo non abbia ancora presentato al Parlamento, come previsto dall'articolo 1, comma 677, della legge di stabilità 201 una relazione che evidenzi in modo puntuale l'impatto economico, industriale e occupazionale derivante dalla privatizzazione nella quale siano indicati in particolare: a) i dati finanziari e industriali degli effetti dell'alienazione o dell'eventuale aumento di capitale sulle società interessate e sul bilancio dello Stato; b) la minore spesa per interessi derivante dall'utilizzo delle risorse incassate dall'alienazione per la riduzione del debito pubblico; c) i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione; d) gli effetti dell'alienazione o dell'aumento di capitale riservato al mercato sul piano industriale del gruppo. (4-13290)


   GIULIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   giungono notizie sia dalla stampa locale che da pendolari, lavoratori, studenti a proposito della grave situazione di degrado della infrastruttura dei trasporti ferroviari gestiti da Ferrovia centrale umbra, direttrice fondamentale dell'Umbria;
   le infrastrutture necessitano di una continua manutenzione anche se c’è scarsità di fondi per procedere agli interventi che sarebbero necessari;
   risulta la presenza di numerose criticità, rallentamenti, interruzioni, nella tratta ferroviaria del suddetto territorio che modificano ed allungano significativamente i tempi di percorrenza –:
   occorrerebbe sapere se l'azienda abbia predisposto o affidato l'incarico per realizzare un progetto tale da mettere a gara i lavori per la riapertura della tratta Umbertide-Città di Castello, chiusa da settembre 2015 e come l'azienda intende reperire le risorse necessarie a realizzare i lavori di cui sopra e tutti gli altri necessari a mantenere in esercizio la ferrovia Umbertide-Sansepolcro, individuando le cause e le responsabilità di tale situazione che non consentono continuità nell'esercizio ferroviario;
   parimenti sarebbe opportuno conoscere quali siano le iniziative messe in atto al fine del mantenimento dell'esercizio ferroviario sulla Ferrovia centrale umbra e al perseguimento degli obiettivi indicati nel piano regionale trasporti ed entro quali scadenze;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alle criticità illustrate in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la piena funzionalità del servizio di trasporto ferroviario nella regione Umbria, con particolare riguardo alle tratte sopra indicate;
   a che punto sia il progetto di interconnessione tra l'infrastruttura ferroviaria gestita da Ferrovia centrale umbra e quella gestita da RFI, elemento fondamentale per la salvaguardia dell'infrastruttura ferroviaria umbra e per la connessione della stessa con la rete nazionale. (4-13295)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini facenti parte di vari comitati promotori dei referendum attualmente in corso (il referendum costituzionale e i due referendum abrogativi recanti quesiti sulla legge 6 maggio 2015, n. 52) hanno segnalato una grave difficoltà che è emersa nell'ambito della raccolta delle sottoscrizioni necessarie per l'avvio delle consultazioni popolari, che rappresenta come noto un diritto politico dei cittadini di primaria rilevanza nel nostro ordinamento;
   in passato per ottenere i certificati elettorali dei firmatari, da allegare alle firme raccolte negli appositi moduli per il deposito presso l'ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione in base alle disposizioni di legge vigenti in materia, per raggiungere piccoli comuni lontani dalle sedi dei comitati promotori si è fatto sovente ricorso all'utilizzo di mezzi più celeri ed economici della tradizionale posta cartacea, quali il fax. Attualmente, la legge impone quale mezzo per le comunicazioni con le pubbliche amministrazioni la posta elettronica certificata (P.E.C.), tuttavia in diversi comuni, in risposta alle mail inviate via P.E.C. e contenenti richieste di certificati elettorali per l'allegazione alle firme per referendum, è stato comunicato ai comitati promotori che, pur essendo l'istanza recepita attraverso lo strumento della P.E.C., per l'invio dei certificati sarebbe necessario l'invio del materiale di affrancatura all'amministrazione, per il successivo invio della tradizionale posta cartacea ai riceventi;
   tali richieste fanno riferimento a una modalità di trasmissione anacronistica, che per giunta risulterebbe ancora meno immediata, oltre che fortemente antieconomica, rispetto all'utilizzo del fax. Essa infatti oltre a richiedere un impiego di tempo e di mezzi notevolmente più lungo per le amministrazioni comunali per evadere le richieste che potrebbero essere riscontrate per via telematica, comporterebbe un costo difficilmente sostenibile per i cittadini che si attivano per la promozione del referendum anticipando tutte le spese e senza alcuna garanzia di eventuali rimborsi per l'esercizio di un fondamentale diritto politico;
   si chiede, pertanto, ai Ministri interrogati di procedere all'emanazione di circolari, o di qualsiasi altro atto ritengano più idoneo, che autorizzino le Amministrazioni a rispondere alle richieste di certificati elettorali da parte dei comitati promotori di referendum attraverso la P.E.C., nonché di definire le modalità attraverso le quali è possibile dimostrare l'autenticità dei certificati ottenuti in questo modo (ad esempio, attraverso l'allegazione della copia stampata della mail di risposta inviata via P.E.C.);
   è d'obbligo evidenziare che il problema che qui si pone ha valenza del tutto generale, per tutte le raccolte per qualsivoglia richiesta referendaria, ma le, è evidente la sua attualità e urgenza in connessione con le richieste referendarie di cui si è detto, dato l'approssimarsi del termine per la loro scadenza; il problema potrebbe essere risolto in modo semplice e rapido, come indicato –:
   se i Ministri siano a conoscenza della questione descritta in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere, ove ne sussistano i presupposti, anche mediante l'emanazione di circolari o altri atti ritenuti idonei, allo scopo di favorire l'esercizio del fondamentale diritto politico dei cittadini di ricorrere agli istituti referendari previsti dalla Costituzione, in particolare specificando la possibilità dell'invio comitati promotori referendari istanti delle certificazioni elettorali da parte delle amministrazioni comunali attraverso i mezzi telematici all'uopo previsti della legge. (4-13292)


   ANTEZZA, VICO, FIANO, NACCARATO, BASSO, PAOLO ROSSI, OLIVERIO, IACONO, CENSORE, ROMANINI, ALBANELLA, AMODDIO, ARLOTTI e SCHIRÒ. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 6 maggio 2016, verso le ore 12.30, lungo il Fondo Valle dell'Agri (strada statale 598 al chilometro 108,400 direzione Scanzano Jonico), perdeva la vita in un tragico incidente il Brigadiere Luigi Ancora, 51 anni, appartenente alla polizia locale di Montalbano Jonico (Matera), mentre, a piedi, dopo aver messo in campo tutte le procedure di sicurezza, per facilitare una manovra all'autista di un bus di Bari che accompagnava alcuni studenti della facoltà di geologia dell'Università Pugliese alla «riserva regionale dei Calanchi» in Montalbano Jonico, veniva travolto da un'auto in corsa;
   questa ennesima vittima della polizia municipale sulla strada, «durante il servizio», ovvero durante l'espletamento di un normale compito di istituto, ripropone la questione circa lo status degli appartenenti alle polizie locali d'Italia a seguito del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, che decise la cancellazione dell'equo indennizzo e della causa di servizio per i lavoratori del pubblico impiego;
   la cancellazione dell'equo indennizzo, dal momento che le polizie locali d'Italia sono parte integranti del comparto degli enti locali-pubblico impiego, ha determinato una discriminazione tra lavoratori delle polizie locali e le Forze di polizia ad ordinamento statale –:
   anche in considerazione delle circostanze descritte in premessa, se il Governo non ritenga necessario, nell'ambito delle sue competenze, assumere iniziative per rivedere la norma che ha previsto la soppressione dell'istituto dell'equo indennizzo e della causa di servizio, e per ripristinarli per i corpi di polizia locale d'Italia, anche nell'ambito della rivisitazione dell'intera disciplina che regolamenta le loro attività in ordine alle mansioni e funzioni svolte. (4-13297)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Portogruaro persiste un'acuta percezione di insicurezza, che è fonte di crescenti preoccupazioni nella cittadinanza, a dispetto delle rassicuranti dichiarazioni periodicamente rese dalle autorità;
   nel portogruarese esistono attualmente vari presidi delle forze dell'ordine, tra i quali la compagnia carabinieri di Portogruaro ed il Commissariato di Portogruaro, la cui competenza territoriale comprende ben 11 comuni – Annone Veneto, Concordia Sagittaria, Caorle, Cinto Caomaggiore, Portogruaro, San Michele al Tagliamento, Teglio Veneto, Gruaro, San Stino di Livenza, Fossalta di Portogruaro e Pramaggiore – lambendo ben tre province;
   di fatto, tuttavia, il monitoraggio del vasto territorio sopradescritto è assicurato soltanto dai carabinieri, che riescono, malgrado i tagli cui sono sottoposti, a mantenere almeno due pattuglie attive in servizio nelle 24 ore, con l'apporto delle stazioni di San Stino, Annone Veneto, San Michele al Tagliamento, Caorle e Villanova di Portogruaro;
   il commissariato di pubblica sicurezza di Portogruaro, invece, si troverebbe in una situazione di ridotta operatività, la cui causa va ricercata nella contrazione degli effettivi e nell'elevata età media degli agenti rimasti in organico, pari a circa 50 anni, a loro volta determinate dalla mancata sostituzione del personale andato in pensione;
   per effetto del mancato turn over, si è infatti prodotto un lento ma inesorabile calo della presenza su strada del personale del commissariato di pubblica sicurezza di Portogruaro, che è divenuto di fatto saltuaria, essendo il personale disponibile appena sufficiente al disbrigo nell'ordinaria attività d'ufficio;
   a questa situazione oggettivamente critica, si è aggiunta l'annunciata intenzione del Ministero dell'interno di procedere alla chiusura del presidio della polizia stradale di Portogruaro;
   nel frattempo, per arginare la crescente sensazione di insicurezza e la persistente minaccia dei furti, la cittadinanza residente nel portogruarese ha iniziato a promuovere l'organizzazione di servizi volontari di sorveglianza del vicinato;
   la palese insufficienza dei presidi dei carabinieri e della polizia di Stato in rapporto alle esigenze del territorio è destinata inevitabilmente ad aggravarsi con l'imminente inizio della stagione estiva, a causa delle richieste d'intervento provenienti dai turisti che affollano Bibione e Caorle;
   gli eventuali rinforzi estivi non rappresenterebbero una soluzione strutturale al problema –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per rassicurare la cittadinanza del Portogruarese, che è alle prese con una criminalità agguerrita e con il simultaneo assottigliarsi del personale delle forze dell'ordine preposto al controllo del suo territorio;
   se, in particolare, a fronte della gravità della situazione generalizzata nelle premesse, il Governo non intenda rinunciare al proposito di sopprimere il presidio della polizia stradale di Portogruaro e non giudichi opportuno assegnare risorse fresche al commissariato di pubblica sicurezza di Portogruaro. (4-13300)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 maggio 2016, il presidente della A.S.D. Socio Culturale Castiadas ha appreso la notizia dell'interdizione dello Stadio di Lanusei ai propri tifosi grazie ad una trasmissione a mezzo whatsapp effettuata dalla A.S.D. Lanusei Calcio, la quale ha ricevuto rituale notifica dell'atto della prefettura della provincia di Nuoro che ha emesso il decreto con cui veniva interdetto l'ingresso dei tifosi sostenitori della A.S.D. Socio Culturale Castiadas;
   il detto decreto, peraltro, a tutt'oggi, non risulta essere stato notificato alla A.S.D. Socio Culturale Castiadas;
   nel merito, occorre preliminarmente quanto doverosamente osservare che, il contenuto di detto atto, appare all'interrogante fortemente lesivo dei diritti e degli interessi legittimi, tutti facenti capo alla A.S.D. Socio Culturale Castiadas;
   il provvedimento in questione, in particolare, poggia le sue basi su una non meglio definita «proposta» del questore di Nuoro, il quale, nonostante abbia evidenziato che esiste un parere di agibilità avente ad oggetto la struttura sportiva «Lixius» di Lanusei, ha peraltro ritenuto la stessa non idonea ad accogliere i tifosi del Castiadas nonché tutti i residenti nella provincia di Cagliari, in occasione della gara valevole per i play out del campionato nazionale di Serie D, Girone G, 2015/2016, disputata in data 21 maggio 2016;
   il contenuto di detto provvedimento appare all'interrogante viziato laddove stabilisce che non vi siano i presupposti tecnico/strutturali idonei all'accoglienza dei tifosi della A.S.D. Socio Culturale Castiadas e di tutti i residenti nella provincia di Cagliari;
   la struttura in esame, infatti, presenta sia una tribuna principale sia una dedicata verosimilmente alla tifoseria ospite, la quale, nel corso di tutto il campionato non è mai stata utilizzata;
   in occasione dell'incontro di campionato A.S.D. Lanusei Calcio/A.S.D. Socio Culturale Castiadas, disputatosi in data 20 dicembre 2015, le tifoserie delle due compagini hanno ambedue seguito la gara dalla tribuna principale, senza che peraltro si sia verificato nessun incidente e/o criticità inerente i percorsi di accesso e deflusso;
   in occasione di tutte le altre gare interne di campionato disputate dalla A.S.D. Lanusei Calcio presso il «Lixius», i tifosi ospiti sono sempre stati accolti nella tribuna principale;
   dal tenore letterale del provvedimento in analisi, non emerge se si faccia riferimento alla tribuna principale ovvero a quella dedicata, in teoria, alla tifoseria ospite;
   occorre evidenziare, inoltre, che detto provvedimento giunge a poco più di ventiquattro ore dalla data fissata per la disputa dell'incontro sportivo di cui trattasi e, pertanto, appare quantomeno tardivo e/o incongruente rispetto alla tempistica da adottarsi in casi del genere;
   il campionato si è concluso in data 8 maggio 2016 e, sia la F.I.G.C. che evidentemente la prefettura della provincia di Nuoro, ben sapevano da tempo – qualora peraltro il dato tecnico ostativo all'accoglienza dei tifosi ospiti fosse oggettivamente riscontrabile – che l'impianto sportivo del «Lixius» non è idoneo ad accogliere determinate manifestazioni sportive;
   appare quantomeno singolare, quindi, che solo in data 16 maggio 2016 sia stato adottato il provvedimento de quo;
   la F.I.G.C., in particolare, avrebbe dovuto individuare e indicare per tempo una diversa struttura nella quale far svolgere l'incontro sportivo in questione ovvero la prefettura della provincia di Nuoro – qualora, lo si ribadisce, ne sussistano i presupposti ostativi rilevanti in termini tecnico/logistici – avrebbe dovuto adottare i propri provvedimenti con una diversa tempistica;
   non vi è chi non veda, infatti, come il decreto di cui trattasi, qualora non venisse revocato e/o annullato e/o rettificato, otterrebbe il risultato di mortificare irrimediabilmente i diritti degli interessi legittimi tutti della A.S.D. Socio Culturale Castiadas;
   la A.S.D. Socio Culturale Castiadas, infatti, si è vista privata del necessario apporto del pubblico «amico», in occasione di una gara che rappresenta l'epilogo di una stagione alquanto onerosa sotto ogni profilo, così ritrovandosi evidentemente discriminata rispetto alla propria antagonista;
   sempre dal tenore letterale del provvedimento di cui trattasi, non è dato sapere se la struttura sia dotata degli ulteriori requisiti di sicurezza utili ad ottenere l'agibilità, motivo per il quale l'istante non può allo stato conoscere se vi possano essere pericoli anche per i propri tesserati;
   il provvedimento, emesso solo in data 16 maggio 2016 – relativo ad una gara sportiva svoltasi il 21 maggio, a quanto risulta all'interrogante, non è mai stato notificato e, in ogni caso, la sua conoscenza in capo alla A.S.D. Socio Culturale Castiadas risalirebbe solo alla data del 18 maggio 2016;
   sarebbe opportuno coinvolgere le federazioni sportive per ripristinare il valore sportivo consentendo la ripetizione della gara con entrambe le tifoserie presenti sugli spalti –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per la revoca, in sede di autotutela, del provvedimento che appare lesivo dei valori sportivi nel rispetto dei valori di amicizia sempre manifestati dalle due tifoserie;
   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per impedire tali provvedimenti che appaiono all'interrogante palesemente lesivi del valore sportivo delle categorie cadette. (4-13303)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa l'interrogante ha appreso che, nell'ottica della razionalizzazione della spesa pubblica e di dimensionamento della rete scolastica, la scuola di Roccaforte del Greco (RC) è stata sacrificata e dunque i sei piccoli allievi della pluriclasse dell'Istituto comprensivo «Megali» saranno costretti a viaggiare fino a Pallica, frazione di Melito Porto Salvo (RC);
   lo spostamento quotidiano di quasi sessanta chilometri, tra andata e ritorno, è durissimo da affrontare per ragazzini in tenerissima età ed impensabile in termini di tempi e costi per le famiglie che ogni giorno dovranno accompagnarli;
   Rosy Attinà, mamma di due bambini che frequentano la scuola a Roccaforte, uno l'elementare l'altro le medie, spera in una deroga. «Per i territori dove insiste una minoranza linguistica e che ricadono in territorio montano – dice – la possibilità di superare l'ostacolo deve essere trovata. Se così non dovesse essere come genitori ci troveremmo in grande difficoltà. Per evitare che i nostri figli affrontino sacrifici immani, dovremmo andare a vivere altrove ma questo è impossibile per diverse ragioni. A cominciare da quella economica. Il problema è serio. Noi vogliamo continuare a vivere a Roccaforte: speriamo ci venga consentito»;
   l'impegno dell'autorità pubblica, come richiesto dall'articolo 3, secondo comma, della Costituzione, consiste nella rimozione di quegli «ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare l'evidente disparità illustrata in premessa, posto che la soppressione della scuola di Roccaforte del Greco (RC) si configura come un insostenibile sacrificio per i bambini e un'ulteriore gravosa difficoltà logistica/economica per le loro famiglie che ogni giorno dovranno percorrere circa sessanta chilometri per raggiungere la nuova scuola sita a Pallica. (4-13294)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e DI BATTISTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 marzo 2016 è trascorso un anno anche dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 23 del 2015 che ha introdotto il contratto a tutele crescenti;
   è noto che il contratto a tutele crescenti, lungi dall'innalzare le tutele del dipendente, ha abrogato l'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, eliminando il diritto del lavoratore alla reintegra sul posto di lavoro e ancorando la tutela contro il licenziamento ad un mero indennizzo economico;
   ad una maggiore flessibilità in uscita dal posto di lavoro (ovvero licenziamenti più facili) avrebbe dovuto, nelle intenzioni della riforma, corrispondere – da una parte – l'effetto di accrescere l'occupazione e – dall'altra – la creazione di strumenti efficienti e rapidi a tutela del dipendente espulso dal mondo del lavoro affinché gli fosse consentito il reperimento di una nuova occupazione;
   la legge di stabilità per il 2015 ha previsto, infatti, per le nuove assunzioni effettuate fino al 31 dicembre 2015 con contratto di lavoro a tempo indeterminato, l'esonero per tre anni e nel limite di 8.060 euro su base annua dal versamento dei contributi a carico dei datori di lavoro; tale misura è stata riproposta nella legge di stabilità per il 2016 anche per le assunzioni effettuate nel 2016, seppur con uno sgravio contributivo minore e limitatamente ad un periodo più breve;
   a distanza di oltre un anno dall'entrata in vigore del contratto a tutele crescenti e degli incentivi per la decontribuzione, oggi l'Inps certifica che, nei primi tre mesi dell'anno, sono stati stipulati 428 mila contratti a tempo indeterminato (comprese le trasformazioni), mentre le cessazioni sono state 377 mila, con un saldo positivo di 51 mila unità. Il dato è peggiore del 77 per cento rispetto al saldo positivo di quasi 225 mila contratti stabili dei primi tre mesi 2015. «Si conferma così la tendenza negativa partita con l'anno nuovo: a gennaio la flessione delle assunzioni certificata dall'Inps era stata del 39,5 per cento, a febbraio del 33 per cento. Il saldo del solo mese di marzo, confrontato con quello di marzo 2015, restituisce un preoccupante -150 per cento» (fattoquotidiano.it del 18 maggio 2016);
   in questo contesto, gli unici contratti ad aumentare sono quelli precari. Il saldo dei rapporti a tempo determinato, nel primo trimestre 2016, è positivo di 272 mila unità, con un balzo in avanti rispetto all'anno scorso del 22,2 per cento. «E in tema di precariato, prosegue anche l'avanzata dei voucher, i buoni per pagare il lavoro accessorio. Nel primo trimestre dell'anno sono stati venduti 31,5 milioni di tagliandi, con un incremento del +45,6 per cento rispetto al primo trimestre 2015. Pochi giorni fa, la stessa Inps aveva rivelato come il 37 per cento dei percettori di voucher non ha altri redditi da lavoro, mentre l'85 per cento guadagna meno di mille euro l'anno» (fattoquotidiano.it del 18 maggio 2016);
   secondo i dati contenuti in un report della Cgil nazionale, a fronte di 6,1 miliardi di euro spesi nel solo 2015 per la decontribuzione, si registrano poco più di 100 mila occupati aggiuntivi: un rapporto costi-benefici decisamente sproporzionato;
   anche il programma «Garanzia giovani» non presenta risultati apprezzabili, visto che il professor Michele Tiraboschi, coordinatore scientifico di Adapt in un articolo su @bollettinoADAPT del 21 aprile 2016 e pubblicato anche in Panorama del 27 aprile 2016 con il titolo «Giovani, disoccupati e beffati», scrive «da festeggiare c’è davvero ben poco», poiché «Garanzia giovani» avrebbe generato «un vero e proprio esercito di giovani di belle speranze che hanno preso sul serio la promessa di una “garanzia” iscrivendosi al programma e mettendosi pazientemente in coda a una porta che, però, per la maggioranza di loro, è rimasta chiusa alimentando rabbia e delusione. Perché i numeri parlano chiaro ed è davvero difficile trovarne un'interpretazione positiva»;
   ancor più problematica è la partita relativa al riassetto e alla valorizzazione dei centri per l'impiego e alle numerose misure indicate nel decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, entrato in vigore il 24 settembre 2015, ma che tardano ancora ad entrare in vigore: l'Anpal è ancora ferma, i centri per l'impiego sono ancora alle prese con la «riforma Delrio» delle province, il personale occupato è insufficiente, mal pagato e inadeguato sotto il profilo della preparazione e dei nuovi compiti ad essi assegnati;
   il ritardo nella creazione di idonee misure di politica attiva del lavoro e del tanto conclamato ricollocamento assistito sta creando un vuoto che porta ad un sostanziale abbandono del disoccupato o del dipendente espulso dal mondo del lavoro che non trova nessuna delle misure previste;
   eppure il Presidente del Consiglio dei ministri durante la conferenza stampa del 20 febbraio 2015, annunciando l'avvento della rivoluzione copernicana dei contratti e la fine della precarietà, affermava: «Nessuno sarà più lasciato solo»;
   secondo Alessandro Rosina, professore di demografia e statistica sociale all'Università Cattolica di Milano, coordinatore dell'indagine rapporto giovani, «L'asse portante delle politiche attive sono i servizi per l'impiego. Ma il problema è che in Italia sono caratterizzati da bassa copertura del territorio, bassa qualità e scarsi investimenti» (Il Fatto quotidiano del 30 novembre 2015);
   è evidente, a parere degli interroganti, l'insufficienza e l'inefficacia delle politiche del lavoro finora adottate rispetto agli obiettivi prefissi –:
   se il Ministro interrogato conosca a quanto ammonti la spesa degli incentivi per la decontribuzione per le nuove assunzioni relative agli anni 2015 e 2016, il numero dei nuovi contratti stabili attivati nel 2016 e la qualità del lavoro di tale nuova occupazione e quali iniziative intenda assumere il Governo per porre rimedio alle criticità esposte, frutto delle politiche del lavoro fino ad ora adottate che, ad avviso degli interroganti, si sono rivelate inefficaci e costose. (3-02280)


   AIRAUDO, FASSINA, SCOTTO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 sono stati venduti 115 milioni di voucher, pari a oltre un milione e mezzo di lavoratori, che hanno svolto il proprio lavoro in settori più disparati, non necessariamente stagionali. Il numero di lavoratori coinvolti è, addirittura, più che raddoppiato rispetto a soli tre anni fa. Come è triplicato in soli due anni il numero di incidenti sul lavoro che hanno visto persone coinvolte retribuite con i voucher. Il voucher è ormai diventato, nei fatti, una forma di contratto di lavoro;
   nel 2015 la quota di lavoratori che hanno effettuato prestazioni di lavoro accessorio risulta, sempre secondo i dati dell'Inps, cresciuta in modo esponenziale rispetto agli anni precedenti, tanto da risultare pari a 1.380.030 (rispetto ai 1.017.220 nel 2014 e ai 617.615 nel 2013), con una media annua di 303.210 (218.726 nel 2014 e 120.275 nel 2013);
   i voucher, nati come strumento per retribuire lavori occasionali, si stanno estendendo in modo spropositato, diventando nella realtà uno strumento di destrutturazione e dispersione del lavoro, copertura del sommerso e generale peggioramento delle condizioni di lavoro delle persone;
   dai dati forniti si evidenzia un evidente abuso nell'utilizzo dello strumento dei voucher, nel quale sembra, peraltro, celarsi un evidente passaggio da contratti parasubordinati ai cosiddetti voucher;
   illustri esponenti che sostengono l'attuale maggioranza di Governo hanno messo in discussione l'attuale utilizzo dei voucher e la Cgil ha avviato la raccolta delle firme per addivenire all'indizione dei referendum sui temi del lavoro, tra i quali si annovera, tra gli altri, quello sui voucher;
   il comma 6 dell'articolo 48 del decreto legislativo n. 81 del 2015 prevede il divieto del «ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell'ambito dell'esecuzione di appalti di opere o servizi, fatte salve le specifiche ipotesi individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sentite le parti sociali, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.»;
   il gruppo di Sinistra italiana ha già chiesto direttamente al Presidente del Consiglio dei ministri, con l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3/02231 del 4 maggio 2016, di cancellare definitivamente quello che appare con tutta evidenza un sistema inaccettabile di gestione o organizzazione del lavoro, soprattutto dei più giovani, basato sull'utilizzo dell'istituto del voucher. In tale occasione il Presidente del Consiglio dei ministri ha risposto affermando di essere contrario all'abolizione dei voucher, ma si è detto disponibile «a discutere (...) di eventuali forme migliorative, ove vi fosse la possibilità e la necessità di farlo»;
   oggi è possibile e necessario procedere verso un segnale forte nei confronti dell'abuso di utilizzo di voucher relativi al lavoro accessorio, che si può sintetizzare nella definizione di «comuni free voucher», come rifiuto della precarizzazione del lavoro e di marginalizzazione dei diritti dei lavoratori;
   si rende necessario a parere degli interroganti dare un primo possibile e necessario segnale sul tema del lavoro accessorio che porti al divieto dell'utilizzo di prestazioni di lavoro accessorio da parte delle pubbliche amministrazioni degli enti e delle società inserite nel conto economico consolidato, individuati ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 –:
   quali siano le valutazioni del Ministro interrogato in merito alla proposta di divieto dell'utilizzo di prestazioni di lavoro accessorio da parte delle pubbliche amministrazioni degli enti e delle società inserite nel conto economico consolidato, individuati ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. (3-02281)


   SBERNA e GIGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto inverno demografico è reso drammaticamente evidente dai dati Istat: nel 2015 sono nati 488 mila bambini, 8 per mille residenti, quindicimila in meno rispetto al 2014, toccando il minimo storico dalla nascita dello Stato Italiano. Gli anziani con più di 65 anni, invece, sono tredici milioni, più di un quinto della popolazione;
   inoltre, tra il 2007 e il 2014 la povertà tra la popolazione italiana è raddoppiata, passando dal 3 per cento al 7 per cento, con oltre un milione di minori in povertà assoluta (il 10 per cento del totale) e nel 2015 centomila cittadini italiani si sono cancellati dall'anagrafe per trasferirsi all'estero. Un dato, quest'ultimo, in aumento;
   non è difficile prevedere, quindi, conseguenze nefaste sull'invecchiamento della popolazione e sull'economia. Un Paese con poche nascite, con pochi giovani e con una domanda debole e un'economia stagnante rischia di precipitare nella spirale senza uscita della «stagnazione secolare»;
   in questo quadro è comprensibile che le esigenze degli anziani siano al centro del dibattito politico e che le pensioni e la sanità assorbano la parte preponderante della spesa sociale. Ma è altrettanto vero che per alimentare il «welfare per la sicurezza» è indispensabile avere alti tassi di crescita e di occupazione ed è quindi necessario investire sul futuro e su chi è capace di generarlo, cioè le famiglie che mettono al mondo dei figli;
   crescere un figlio, oltre ai molteplici investimenti di tipo affettivo, psicologico, educativo, richiede anche un forte investimento economico. Da una ricerca dell'osservatorio di Federconsumatori risulta che crescere un figlio fino alla maggiore età costa mediamente 170 mila euro, circa 11 mila euro l'anno, con un picco di 13 mila euro nel primo anno di vita;
   le misure a sostegno del reddito familiare assumono un ruolo fondamentale ed è di indiscutibile importanza l'assegno al nucleo familiare, che costituisce, infatti, un importante sostegno per le famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente, i cui nuclei familiari sono composti da più persone e che hanno redditi inferiori a quelli determinati ogni anno dalla normativa vigente in materia;
   è da rilevare, tuttavia, che il meccanismo di assegnazione ed erogazione dell'assegno al nucleo familiare non corrisponde più alle esigenze attuali, basandosi su un impianto obsoleto. Per fare alcuni esempi: è prevista la cessazione della corresponsione dell'assegno familiare al compimento della maggiore età del figlio e tale limite temporale di corresponsione dell'assegno familiare, su autorizzazione rilasciata dall'Inps, può essere elevato a 21 anni per motivi di studio, senza che ciò sia comunque sufficiente a consentire il sostegno fino al completamento degli studi. Tutto ciò senza fare altre considerazioni circa la consistenza dell'assegno e dei suoi meccanismi di calcolo. Altra anomalia sta nel fatto che i figli dei lavoratori autonomi sono esclusi da queste misure sostegno del reddito, come se fossero «figli di un dio minore» o forse presupponendo pregiudizialmente che un lavoratore autonomo sia considerato un evasore fiscale e contributivo al quale non possono essere riconosciuti benefici statali;
   dai dati di bilancio pubblicati dall'Inps e relativi all'anno 2014 risulta che la spesa sostenuta per gli assegni al nucleo familiare è stata di 5.380 milioni di euro. I contributi incassati nello stesso anno risultano essere 6.401 milioni di euro. Nell'anno 2013, invece, i contributi incassati erano pari a 6.435 milioni di euro, mentre per le prestazioni relative agli assegni al nucleo familiare sono stati spesi 5.467 milioni di euro. Dai dati di bilancio risulta quindi chiaramente evidente che i contributi versati dai lavoratori dipendenti e destinati alle spese per l'erogazione dell'assegno al nucleo familiare sono in parte destinati ad altro;
   agli interroganti sembra, invece, per le ragioni sociali su esposte – e senza peraltro voler conoscere, né tanto meno disconoscere i diversi bisogni finanziati dalle somme prelevate per l'assegno al nucleo familiare – opportuno che tutti i contributi prelevati per l'assegno al nucleo familiare siano a questo destinati, anche per rispondere all'esigenza di un ricalcolo dell'assegno al nucleo familiare e al suo eventuale prolungamento fino al termine degli studi, cosa che renderebbe l'istituto di cui si tratta maggiormente rispondente ai bisogni delle famiglie e quindi realmente di sostegno –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda tempestivamente porre in essere affinché i contributi versati all'Inps per la corresponsione dell'assegno al nucleo familiare siano interamente utilizzati a tale scopo. (3-02282)


   INVERNIZZI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GRIMOLDI, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, FEDRIGA, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione della Guardia di finanza del 23 maggio 2016 denominata «Italians out» ha portato alla scoperta di una maxitruffa ai danni dello Stato di quasi 17 milioni di euro;
   sono state denunciate 517 persone, percettori dell'assegno sociale in maniera indebita in quanto fittiziamente residenti in Italia;
   ai fini dell'ottenimento dell'assegno sociale, infatti, uno dei requisiti è la residenza effettiva, stabile e continuativa per almeno 10 anni nel territorio nazionale;
   l'operazione investigativa, da quanto si apprende a mezzo stampa, ha riguardato 19 regioni e 81 province; i maggiori picchi di irregolarità sono nell'ordine la Sicilia (3,7 milioni incassati e 123 denunciati), la Campania (3,4 milioni e 98 soggetti denunciati), la Calabria (2,3 milioni e 75 denunciati), il Lazio (1,6 milioni e 48 denunciati), la Puglia (904 mila euro e 29 denunciati);
   non meno di un mese fa, sempre con due distinte operazioni della Guardia di finanza, una nel Lazio, ad Ostia, ed una in Calabria, nella Locride, erano state smascherate altre truffe milionarie per circa 3,3 milioni di euro sull'erogazione dell'indennità di disoccupazione, che ha portato alla denuncia di 123 persone a Roma, tra cui due impiegati Inps, e 259 a Reggio Calabria;
   del marzo 2016, invece, la maxitruffa all'Inps da 200 mila euro, messa a punto da quattro figli che, dopo la morte delle rispettive mamme nel 2012 e nel 2013, non avevano denunciato il decesso all'istituto previdenziale, continuando a vedersi accreditare sui conti correnti le pensioni spettanti ai propri cari;
   quanto riportato evidenzia delle falle nel sistema dei controlli Inps, in qualche misura compensate dall'operato della Guardia di finanza, il cui intervento tuttavia non comporta automaticamente il recupero pieno di quanto indebitamente percepito nel frattempo, a danno dell'erario ma soprattutto dei reali aventi diritto a prestazioni socio-assistenziali –:
   se e quali provvedimenti, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro interrogato intenda porre in essere per contrastare in via preventiva la riscossione indebita di prestazioni a carico dell'Inps. (3-02283)

Interrogazione a risposta scritta:


   AIRAUDO, MELILLA, PANNARALE, PALAZZOTTO, MARTELLI, PLACIDO e D'ATTORRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Massimo Franchi è un giornalista professionista, che presta la sua attività lavorativa, in qualità di «redattore ordinario con oltre 30 mesi di anzianità professionale», alle dipendenze della società Unità s.r.l.;
   il rapporto di lavoro tra il dottor Massimo Franchi e l'Unità Srl è regolato dal contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico; l'Unità srl con lettera del 19 giugno 2015 ha comunicato al dottor Franchi la prosecuzione del rapporto di lavoro con la medesima, a seguito di contratto d'affitto;
   nella citata lettera si affermava:
    a) che «... lei presterà la sua opera esclusivamente a favore della nostra impresa giornalistica...» ai sensi dell'articolo 8 del contratto collettivo;
    b) che l'orario di massima è fissato in 36 ore settimanali;
    c) che l'interessato «... offrirà alla nostra società la Sua piena disponibilità per rispondere ad ogni esigenza tecnico-organizzativa, nel rispetto di quanto previsto dalla disciplina contrattuale ...»;
    d) che ogni altro aspetto non previsto dalla lettera-contratto 19 giugno 2015 era regolato dal CCNL giornalisti;
   nessun obbligo o limite relativi all'esercizio del diritto di critica o della libertà di pensiero è posto al dottor Franchi dal contratto individuale e collettivo che regola il rapporto di lavoro;
   con lettera datata 29 ottobre 2015 veniva aperto un procedimento disciplinare nei confronti del dottor Franchi da parte dell'Unità srl con la contestazione del seguente addebito: «... Ai sensi e agli effetti di cui all'articolo 7 L. 300/1970 e del CCNL vigente le contestiamo disciplinarmente quanto segue:
  Il giorno 20 ottobre 2015 intorno alle ore 10,00 Lei così testualmente scriveva nel social-network Twitter: “Comunque propugnare che Berlinguer sbagliasse su Eurocomunismo e questione morale e che invece dovesse allearsi con Craxi è molto renziano”, oppure “abbassando sempre più la soglia gramsciana dell'intransigenza si ritrovarono in compagnia di revisionisti, faccendieri, piduisti. ‘Ma siamo di sinistra’ rispondono”. Avendo l'Azienda una ben definita linea editoriale, tale condotta, che appare travalicare i limiti del legittimo esercizio del diritto di critica, può costituire violazione delle obbligazioni che legge e contratto pongono a suo carico e può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari. La invitiamo pertanto a fornirci le sue eventuali giustificazioni nelle modalità previste dall'articolo 7 L. 300/1970 entro cinque giorni dal ricevimento, della presente...»;
   il dottor Franchi rispondeva con lettera datata 6 novembre 2015 con il seguente tenore: «... Riscontro la Vostra raccomandata datata 29 ottobre 2015 da me ricevuta il 5 novembre 2015 (come da “prova di consegna”) per contestare l'addebito che mi viene mosso. Ho infatti esercitato (fuori dal luogo di lavoro) il diritto “di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Vi chiedo pertanto di specificarmi quali “eventuali giustificazioni” debba dare circa i miei convincimenti sottesi alla manifestazione di pensiero da voi rilevate...»;
   a tutt'oggi l'Unità srl non ha adottato alcun provvedimento, né ha specificato gli «obblighi di legge e di contratto» violati dal ricorrente alla base della contestazione disciplinare;
   permane «... una pregiudizievole situazione di incertezza relativa a diritti o rapporti giuridici...» (Cassazione 6779/2013, Cassazione 13556/2008) dato che va riconosciuta la irrilevanza ai fini disciplinari delle opinioni espresse dal dottor Franchi su Twitter, tenuto conto che questi ha il diritto alla libera manifestazione del suo pensiero, e che va riaffermato il divieto del datore di lavoro di indagini e accertamento sulle opinioni politiche del prestatore di lavoro;
   tutti i direttori de l'Unità che si sono avvicendati negli anni e l'attuale direttore Erasmo De Angelis mai hanno comunicato alla redazione, e comunque all'interessato, l'avvenuto superamento dei suddetti principi ed ancor meno il loro possibile contrasto con la nuova linea editoriale;
   il dottor Franchi inizia la sua prestazione lavorativa in redazione non prima delle ore 11,00 e l'addebito si riferisce ad una presunta mancanza delle ore 10,00; peraltro l'opinione del ricorrente non era espressa su un sito o pubblicazione riferibile alla società;
   il quotidiano edito dalla società Unità srl non è un giornale o organo di partito da molti anni e, come indicato nella testata, «Questo giornale ha rinunciato al finanziamento pubblico»; dalla visura camerale emerge che i soci e titolari di diritti su azioni e quote sono: PIESSE srl con l'80 per cento, EYU srl con il 19,5 per cento, e Guido Veneziani Quotidiani srl con lo 0,5 per cento;
   ancora oggi il dottor Franchi presta la sua attività lavorativa sotto l'incombente minaccia di sanzioni disciplinari per l'esercizio di un diritto fondamentale, di rango costituzionale (tutelato da norme della Repubblica Italiana, e dai trattati Internazionali – tra i quali la Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea): la libertà di pensiero;
   appare necessario riaffermare il diritto di tutti alla libera manifestazione del proprio pensiero, come storicamente fondante la civiltà occidentale e, attualmente, considerato diritto universale delle persone come sancito dalla Costituzione (all'articolo 21) ma anche nelle leggi ordinarie che regolano il rapporto di lavoro;
   la legge 20 maggio 1970 n. 300 (statuto dei lavoratori) «Titolo I, Della libertà e dignità del lavoratore» recita, all'articolo 1 (libertà di opinione): «... I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge...»;
   la stessa legge n. 300 del 1970 non solo riconosce all'articolo 1 il diritto innanzi richiamato per il lavoratore, ma al successivo articolo 8 prevede espressamente (e sanziona anche penalmente) il divieto per il datore di lavoro di qualsivoglia attività di indagine sul concreto esercizio del diritto e di pensiero dei suoi dipendenti (la violazione della norma è sanzionata penalmente al successivo articolo 38);
   da sempre la giurisprudenza di legittimità e di merito riconosce pienamente il libero esercizio del diritto di critica. La recentissima sentenza della corte d'appello di Roma – sezione lavoro, n. 8746/15 richiama e fa proprio l'orientamento della Corte di Cassazione (espresso nella sentenza 10511/1998) «... Il diritto di critica è, come il diritto di cronaca, una specificazione del generale diritto a “tutti” direttamente attribuito dall'articolo 21 Cost.» «... di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione...» –:
   di quali elementi disponga il Governo circa la vicenda sommariamente descritta in premessa e se non ritenga necessario assumere ogni iniziativa di competenza per riaffermare, a partire dal caso del dottor Massimo Franchi, il diritto di critica e di espressione libera del proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione, da parte dei lavoratori ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 300 del 1970. (4-13289)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, L'ABBATE, GAGNARLI, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di Cassazione con sentenza del 10 febbraio 2016 e pubblicata in data 13 maggio 2016 ha posto fine ad una guerra giudiziaria durata quasi trenta anni, rigettando il ricorso proposto dal Ministero delle politiche agricole contro l'ultima sentenza della corte di appello di Roma del 2010 favorevole alla Federconsorzi, riguardo ai crediti maturati da 58 consorzi agrari provinciali in riferimento alle spese sostenute nel dopoguerra sino al 1967, per la gestione degli ammassi obbligatori;
    la citata sentenza, immediatamente esecutiva, ha quindi confermato a favore della Fedit, un credito verso lo Stato di oltre 500 milioni di euro, cui andranno aggiunti gli interessi pari al Tus (tasso ufficiale di sconto) maggiorato del 4,4 per cento con la sola esclusione della capitalizzazione semestrale, per un totale di circa 900 milioni di euro;
   tuttavia sembrerebbe che la maggior parte di questi crediti, che il Governo dovrà pagare, finiranno, a un fondo di investimento straniero che ha comprato tempo fa quei crediti a prezzi stracciati, realizzando così una plusvalenza straordinaria;
   anche il commissario liquidatore della Federconsorzi ha resistito con atto separato al ricorso del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, denunciando la contrarietà ai principi comunitari e comunque l'illegittimità costituzionale del decreto-legge n. 16 del 2012, articolo 12, comma 6, convertito dalla legge n. 44 del 2012 che ha previsto – per i crediti derivanti dalla gestione di ammasso obbligatorio e di commercializzazione dei prodotti agricoli nazionali quali risultante dai rendiconti approvati con decreti definitivi ed esecutivi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e registrate dalla Corte dei Conti – l'estinzione, nei riguardi di coloro che risultassero averne diritto, con la corresponsione degli interessi calcolati fino al 31 dicembre 1995, sulla base del tasso ufficiale di sconto maggiorato di 4,40 punti con capitalizzazione annuale e per il periodo successivo sulla base dei soli interessi legali;
   la sentenza della Corte di Cassazione, tuttavia, non ha chiarito minimamente l'individuazione del beneficiario del credito così come quantificato a carico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, e cioè se la titolarità va riconosciuta in capo alla Federazione italiana consorzi agrari, in persona del commissario governativo o alla Federconsorzi in concordato preventivo in capo al liquidatore giudiziale, nominato dal tribunale di Roma;
   inoltre di una richiesta online fatta al Cerved dal primo firmatario del presente atto in data 18 maggio 2016 non e stato possibile reperire presso la competente camera di commercio l'ultimo elenco soci della Federconsorzi;
   se fosse riconosciuto che dal rapporto intercorrente tra lo Stato ed i consorzi agrari è nato il credito successivamente ceduto dai consorzi alla Federconsorzi e che quest'ultima, a sua volta, lo ha trasferito, nell'ambito di una procedura concorsuale, a favore dei suoi creditori, l'ammontare calcolato dovrebbe essere liquidato a favore della procedura di liquidazione che lo liquiderà secondo l'ordine di preferenza stabilito dalla legge, a favore dei creditori;
   diversamente, se tale credito maturato in capo a Federconsorzi non venisse ritenuto trasferito a favore della procedura concorsuale, il destinatario dello stesso dovrà essere la Fedit in persona del commissario governativo –:
   se trovi conferma la notizia della presenza di un fondo di investimento straniero proprietario dei crediti maturati dalla Federconsorzi e se risulti al Governo chi siano i partecipanti di questo fondo;
   da chi sia, costituita la componente societaria di Fedit ad oggi;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza in capo al quale sia effettivamente la titolarità del credito maturato;
   come e con quali tempi il Governo pensi di liquidare quanto stabilito dalla citata sentenza della Corte di cassazione. (5-08772)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i livelli essenziali di assistenza (LEA) sono stati definiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001. Successivamente il nuovo patto per la salute 2014-2016, ratificato in via normativa dalla legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014), ne ha previsto l'aggiornamento attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   il Governo, in verità, aveva già proceduto ad una prima revisione dei livelli essenziali di assistenza, adottando nell'aprile 2008 un apposito decreto del Presidente del Consiglio. Il decreto, tuttavia, non è mai entrato in vigore, in quanto ritirato dal Governo a seguito dei rilievi della Corte dei conti. Successivamente, nel 2010 è stata elaborata una nuova proposta di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, in ordine alla quale la ragioneria generale dello Stato ha espresso parere favorevole circa la sostenibilità economico-finanziaria, ma anche in quell'occasione il provvedimento non è stato adottato;
   la revisione dei livelli essenziali di assistenza è richiesta da tempo, così come si attende da tanto l'aggiornamento, dell'elenco delle malattie rare e del nomenclatore tariffario dell'assistenza protesica ad elevata tecnologia, così come devono essere rivisti gli elenchi delle prestazioni di assistenza domiciliare, territoriale, semiresidenziale e residenziale;
   è ragionevole ritenere che l'inserimento di nuove patologie e delle prestazioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative correlate alla loro cura comporti un incremento degli oneri a carico del servizio sanitario nazionale;
   il tema dell'impatto economico-finanziario della revisione è stato affrontato e quantificato dalla legge di stabilità 2016 che ha previsto un incremento di spesa non superiore a 800 milioni di euro annui per la prima revisione e ha contestualmente definito due nuove procedure di revisione che contemplano entrambe il parere delle Commissioni parlamentari competenti;
   il 17 marzo 2016 il Ministro della salute ha annunciato: «siamo pronti ad inviare il testo dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) (...), al Ministero dell'economia. L’iter si è dunque di fatto concluso e questa è un'ottima notizia per i cittadini». Inoltre, ha evidenziato che i livelli essenziali di assistenza «saranno aggiornabili anno per anno»;
   successivamente, nel corso dell'audizione del 3 maggio 2016 presso la 12a Commissione del Senato, il Ministro della salute ha dichiarato che, una volta acquisito il concerto del Ministero dell'economia e delle finanze, cui è stata trasmessa la relazione tecnica, lo schema di provvedimento – relativo anche al nuovo nomenclatore tariffario e al piano nazionale vaccini – sarà esaminato in sede di Conferenza Stato-regioni, per poi essere sottoposto ai competenti organi parlamentari;
   tuttavia non risulterebbe che il Ministero dell'economia e delle finanze abbia provveduto a formulare le proprie valutazioni in merito all'impatto economico del provvedimento, il cui iter appare di fatto bloccato –:
   quale sia lo stato attuale dell’iter di approvazione del decreto di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e quali urgenti iniziative intenda assumere il Governo per giungere alla definitiva adozione del provvedimento, i cui ritardi stanno ledendo il diritto fondamentale alla saluti di molte categorie di pazienti deboli.
(2-01381) «Monchiero».

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI, CIPRINI, COMINARDI, DALL'OSSO, TRIPIEDI e CHIMIENTI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la relazione illustrativa programmatica 2016-2018 che Consob ha pubblicato sul proprio sito internet indica che la spesa programmata di Consob per l'esercizio 2016 è attesa in aumento a 129,15 milioni di euro (+4,3 per cento rispetto ai 123,79 milioni di euro del 2015). Tale incremento – spiega la stessa relazione illustrativa che l’Authority ha pubblicato sul proprio sito internet – è riconducibile in primo luogo alla prevista assunzione di nuove risorse da inserire in organico, in seguito alla progressiva crescita e sviluppo delle attività di vigilanza;
   altra voce che inciderà, si legge, è quella legata al piano di ammodernamento dei sistemi informativi. Su questo fronte è prevista l'introduzione di nuove applicazioni informatiche a sostegno dell'azione di vigilanza, in linea con il mutato quadro normativo di riferimento;
   la Consob prevede quindi di tornare ad assumere nuove risorse per colmare il «potenziale gap generazionale» e per far fronte alle «crescenti attività di vigilanza da porre a presidio dei mercati finanziari». Sempre secondo la relazione Consob, dagli attuali 607 dipendenti si salirà a fine 2018 a 678: 48 le assunzioni previste nel 2016, 26 nel 2017 e 5 nel 2018, a fronte di 8 pensionamenti previsti nello stesso arco di tempo;
   pertanto a circa un anno di distanza dalla «bocciatura» da parte del Tar della delibera con cui la Consob aveva disposto la stabilizzazione di tre funzionari, perché assunti per chiamata diretta aggirando di fatto il precetto costituzionale secondo il quale nella pubblica amministrazione si entra solo per concorso, la stessa Authority annuncia la previsione di nuove assunzioni;
   restano ferme la assoluta necessità di tutelare i consumatori rispetto ad attività delle banche che si sono molto spesso rivelate poco trasparenti e la rilevanza istituzionale di una authority quale Consob che dovrebbe a tutti gli effetti garantirli –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'emissione di bandi di concorso per assunzione di personale da parte di Consob e in caso affermativo, per quali posizioni professionali;
   se i Ministri siano a conoscenza di eventuali procedure avviate da parte di Consob, volte all'acquisizione di personale al di fuori della normativa di riferimento in materia di pubblici concorsi o di richieste di deroga a quest'ultima. (4-13302)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto direttoriale 21 aprile 2016 autorizza la società Bureau veritas Italia spa a svolgere i compiti relativi alle procedure di valutazione della conformità riguardanti apparecchi, dispositivi e componenti, nonché sistemi di protezione ai sensi della direttiva 2014/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative agli apparecchi e sistemi di protezione destinati a essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva (rifusione);
   la REMAIN S.r.l. ha contestato alla CENTRALTUBI S.p.a. che, le tubazioni in polietilene ad alta densità type DN 110 PE 100 PN 10 fornite giusto contratto del 19 maggio – 27 giugno 2011 nel cantiere «valle Alcantara» in provincia di Catania, sottoposte a verifica presso il politecnico di Milano, non sono risultate conformi alla norma di riferimento, e ha notiziato alla Bureau veritas Italia spa, ente certificatore, che, le medesime tubazioni sottoposte a verifica sia presso il politecnico di Milano, che successivamente presso l'Istituto italiano dei plastici (IIP) non sono risultate conformi alla norma di riferimento –:
   se il Ministro interrogato sia intervenuto o come intenda intervenire in qualità di autorità vigilante sugli enti certificatori nazionali. (5-08770)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta, da un articolo pubblicato dal quotidiano «Il Corriere della sera», il 22 maggio, il Governo intende contribuire a sostenere le imprese, in particolare quelle di piccola e media dimensione, non solo alleggerendo il prelievo fiscale, (dalla riduzione dell'Ires nel 2017, al «super ammortamento» già deciso con la legge di stabilità 2016) ma anche convogliando, qualche miliardo di euro all'anno (10 miliardi di euro sarebbero considerati un buon risultato);
   per rendere possibile le suesposte intenzioni, rileva il medesimo quotidiano, l'Esecutivo sta immaginando l'introduzione di specifici prodotti di investimento a medio termine: i PIR, i cui rendimenti sarebbero detassati e che sarebbero previsti all'interno del secondo decreto-legge sulla «finanza per la crescita», che sarà approvato in una delle prossime riunioni del Consiglio dei ministri;
   secondo le intenzioni del Governo, evidenzia ancora il « Corriere della sera», l'intenzione di dirottare risorse private verso il capitale di rischio delle imprese, risulta essere oltremodo necessario a seguito delle restrizioni da parte del credito bancario, ma ciononostante una parte del mondo imprenditoriale è molto preoccupata sia per le misure già prese, che per quelle che si annunciano essere prossime;
   al riguardo, al Confapi evidenzia, come i PIR siano destinati ad aziende con fatturati da 50 a 200 milioni di euro, con la conseguenza che la grandissima parte delle piccole e medie imprese rischierebbe di essere tagliata fuori, anche a causa dei costi connessi all'emissione di tali strumenti finanziari;
   la Confapi a tal fine, ricorda che già i cosiddetti « minibond», (ovvero le obbligazioni o i titoli di debito a medio-lungo termine emessi da piccole e medie imprese (PMI) non quotate, destinate a piani di sviluppo, ad operazioni di investimento straordinarie o di refinancing) sono stati utilizzati soltanto dalle medie e grandi imprese, sostenendo inoltre che, se realmente il Governo intende favorire la patrimonializzazione e la crescita dimensionale delle aziende italiane, (il 95 per cento delle quali ha meno di dieci addetti), risulterebbe migliore la decisione d'introdurre un credito d'imposta a fronte di operazioni straordinarie di merger and acquisition;
   il pegno mobiliare non possessorio, a giudizio dei rappresentanti della Confapi, non aiuta le piccole imprese ed, inoltre, la previsione che, a fronte del mancato pagamento (anche di pochissime rate), la banca possa avviare le procedure esecutive, impedisce all'azienda di sopravvivere anche nel momento in cui, la medesima vanti rilevanti crediti con la pubblica amministrazione;
   in definitiva, sostiene la Confederazione delle piccole e medie imprese, secondo quanto pubblicato dall'articolo in precedenza richiamato, il prossimo decreto-legge sulla crescita, non sembra contenere adeguate misure in favore della medesima categoria dimensionale aziendale; è ricordata, a tal fine, la necessità di favorirle, attraverso la riduzione del cuneo fiscale per agevolare i consumi, la proroga del maxi ammortamento e un’«Ace potenziata» (aiuto per la crescita economica, agevolazione introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011, cosiddetto «salva-Italia», per rafforzare il sistema produttivo italiano, puntando su una riduzione delle imposte sui redditi), per le piccole e medie imprese, come accade per le società quotate;
   a giudizio dell'interrogante, le osservazioni in precedenza richiamate dalla Confapi risultano condivisibili ed opportune, in particolare se si valuta come il sistema della tassazione su tale categoria dimensionale d'imprese, continui ad essere esageratamente elevato e penalizzante per i livelli di crescita e di produttività;
   la necessità di introdurre rapide ed urgenti misure da parte del Governo, identificate in quelle proposte proprio dalla Confapi, a parere dell'interrogante, risulta pertanto, in considerazione di quanto in precedenza esposto, opportuno, al fine di sostenere un segmento del sistema-Paese, strategico ed indispensabile per la crescita e la competitività nazionale;
   quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se trovi conferma quanto riportato dall'articolo di stampa richiamato con particolare riferimento alle iniziative normative urgenti che risulterebbero di prossima approvazione da parte del Consiglio dei ministri;
   in caso affermativo, quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere in favore delle piccole e medie imprese e se, al contempo, non ritengano opportuno, contemplare anche le proposte della Confapi, esposte in premessa, per sostenere un comparto aziendale, che continua ad essere penalizzato dagli effetti della crisi economica e finanziaria, a parere dell'interrogante, tutt'altro che superata. (4-13299)

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Zampa e altri n. 7-00988, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

  La risoluzione in Commissione Antezza e altri n. 7-00993, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Schullian.

  La risoluzione in commissione Boccuzzi e Vico n. 7-00999, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Sberna n. 4-12956 del 22 aprile 2016;
   interrogazione a risposta scritta Prataviera n. 4-13259 del 20 maggio 2016.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in commissione Pelillo e altri n. 7-00976 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 610 del 20 aprile 2016. Alla pagina 36748, seconda colonna, dalla riga ventiquattresima alla riga ventiseiesima, le parole: «per somministrazione, forniture e appalti,» devono intendersi soppresse.

  Interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-13249 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 628 del 20 maggio 2016. Alla pagina 37974, seconda colonna, alla riga sedicesima, deve leggersi: «previa conciliazione su cui tra l'altro, nella», e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALLASIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2013 l'amministrazione comunale di Torino ha decretato la chiusura delle gallerie del museo civico intitolato a Pietro Micca e dedicato all'assedio del capoluogo piemontese del 1706;
   alla deliberazione comunale seguiva nel novembre 2013 il provvedimento di riassegnazione ad altra sede del personale in servizio presso le gallerie del Pietro Micca;
   è proprio per facilitarne il mantenimento nella fruibilità del pubblico che a suo tempo l'amministrazione della difesa, proprietaria dell'infrastruttura, aveva affidato al comune di Torino la gestione del Pietro Micca;
   il museo è stato valorizzato anche dall'opera prestata dai volontari dell'Associazione amici del museo Pietro Micca;
   la manutenzione del museo e delle gallerie, tuttavia, è progressivamente venuta meno, vanificando anche gli «interventi tampone» disposti di volta in volta per fronteggiare le emergenze;
   la protezione delle gallerie – situate a sei e dodici metri di profondità rispettivamente e quindi soggette ad allagamenti soprattutto in coincidenza con i forti temporali che si abbattono su Torino – pone in effetti problemi significativi;
   proprio la segnalazione di questi inconvenienti alle autorità, concepita come una sollecitazione ad intervenire, ha determinato la scelta del comune di disporre la chiusura delle gallerie del Pietro Micca e trasferire altrove il personale addetto;
   tali circostanze privano i torinesi ed i visitatori del capoluogo piemontese della possibilità di accedere ad una importante testimonianza storica del passato –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo ritenga possibile assumere ed in che tempi per restituire alla fruibilità della cittadinanza e dei turisti italiani e stranieri le gallerie del museo Pietro Micca, e se in particolare l'amministrazione della difesa non possa farsi carico degli interventi manutentivi straordinari, la cui assenza ha contribuito a determinare la decisione del comune di Torino di chiudere la struttura. (4-09862)

  Risposta. — Il museo «Pietro Micca» di Torino è un bene demaniale attualmente in consegna al Comune di Torino, adiacente al palazzo «Beraudo di Pralormo» (sede del Comando regione militare nord), che si compone di un fabbricato ad un piano, dove risultano conservati alcuni cimeli storici, e da un piano sotterraneo da cui è possibile accedere ad un fitto sistema sotterraneo di gallerie, attualmente in precarie condizioni manutentive.
  Ciò ha comportato, così come evidenziato nell'atto, la decisione dell'Amministrazione comunale di procedere, a seguito della carenza di specifiche risorse finanziarie da dedicare, alla chiusura delle gallerie museali in data 15 ottobre 2013.
  Al riguardo, si evidenzia che il citato bene è stato concesso in uso al Comune di Torino mediante una specifica convenzione siglata tra la Difesa, l'Agenzia del demanio e lo stesso ente locale in data 22 aprile 2011, della durata di anni 6 (la convenzione scadrà il 1o settembre 2017).
  Detto accordo attribuisce al Comune di Torino l'onere della gestione e del funzionamento del museo ma anche, così come specificato all'articolo 11 della predetta intesa negoziale, l'effettuazione delle riparazioni di piccola manutenzione nonché l'esecuzione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
  A fronte di tale specifica previsione il Dicastero non può, pertanto, assumere su di sé gli oneri per l'esecuzione di interventi manutentivi sulle gallerie museali trattandosi, come evidente, di attività di natura straordinaria sulle infrastrutture che hanno costituito oggetto di specifica disciplina nell'accordo negoziale intercorso con tutti i soggetti istituzionali interessati.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la bonifica da ordigni esplosivi residuati bellici interrati in aeree del Demanio militare trova applicazione nella disciplina recata all'articolo 22 del codice dell'ordinamento militare, come modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 20 del 2012, in base al quale il Ministero della difesa esegue direttamente o mediante appalto ad apposite ditte le attività di ricerca, individuazione e scoprimento di ordigni sulle aree che ha in uso;
   spetta, inoltre, al Ministero della, difesa esercitare le funzioni di vigilanza sulle attività di ricerca e reperimento di ordigni che, a scopo precauzionale, possono essere eseguiti su iniziativa e a spese dei soggetti interessati, mediante ditte che impiegano personale specializzato;
   per quanto concerne, invece, le attività di bonifica in siti non in uso della Difesa, ai sensi dell'articolo 91 comma 4-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 la valutazione del rischio dovuto alla presenza di ordigni bellici inesplosi rinvenibili durante le attività di scavo nei cantieri è eseguita dal coordinatore per la progettazione. Quando il coordinatore per la progettazione intenda procedere alla bonifica preventiva del sito nel quale è collocato il cantiere, il committente provvede a incaricare un'impresa specializzata, in possesso di specifici requisiti. L'attività di bonifica preventiva e sistematica è svolta sulla base di un parere vincolante dell'autorità militare competente per territorio in merito alle specifiche regole tecniche da osservare in considerazione della collocazione geografica e della tipologia dei terreni interessati, nonché mediante misure di sorveglianza dei competenti organismi del Ministero della difesa, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero della salute;
   a tal riguardo con decreto del Ministero della difesa 11 maggio 2015 n. 82 sono stati definiti i criteri per l'accertamento dell'idoneità delle imprese che intendano iscriversi nell'albo delle imprese specializzate in bonifiche da ordigni esplosivi residuati bellici;
   ai sensi del richiamato regolamento presso il Ministero della difesa – segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti – direzione dei lavori e del demanio – è istituito l'albo delle imprese specializzate nella bonifica da ordigni esplosivi residuati bellici, del quale è data pubblicità sul sito web istituzionale del medesimo Ministero. L'iscrizione all'albo è condizione per l'esercizio dell'attività di bonifica preventiva e sistematica da ordigni bellici inesplosi ed è disposta per categorie e classifiche in relazione alla tipologia di intervento da porre in essere e alle capacità tecnico-economiche dell'impresa;
   le imprese sono iscritte in un unico elenco secondo le categorie di attività e classificate secondo il valore dell'importo delle attività eseguibili;
   l'iscrizione abilita l'impresa a partecipare alle gare e ad eseguire le attività di bonifica per le categorie di iscrizione e per un importo massimo complessivo corrispondente alla classifica riconosciuta, incrementata di un quinto;
   a giudizio dell'interrogante, il decreto del Ministero della difesa 11 maggio 2015 n. 82, non ottempera alla normativa anticorruzione e, in particolare rispetto quanto previsto dall'articolo 53, comma 16-ter, del decreto legislativo 165 del 2001 — pantouflage – nella parte in cui la stessa fa riferimento ai soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso poteri autoritativi e negoziali (presso i quali i dipendenti, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, non possono svolgere attività lavorativa o professionale);
   anche rispetto a quanto previsto dall'articolo 1 comma 9, lettera e) della legge 6 novembre 2012, n.190, «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità’ nella pubblica amministrazione», risulta poco evidente all'interrogante che le aziende iscritte all'albo delle imprese specializzate nella bonifica da ordigni bellici inesplosi, posseggano i requisiti di ordine generale previsti all'articolo 8 del citato decreto ministeriale n. 82 del 2015;
   l'ASSOBON, associazione di categoria delle imprese del settore in data 24 settembre ha già presentato ricorso al Tar del Lazio contro il Ministero della difesa e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali chiedendo l'annullamento del decreto 11 maggio 2015 n. 82, ravvisando diverse incongruenze e violazioni di legge;
   in data 23 Ottobre 2015, alcune aziende del settore hanno presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica impugnando il decreto ministeriale n. 82 del 2015, chiedendo altresì di riconoscerei l'illegittimità di alcuni commi dello stesso e chiedendone la sospensione dell'efficacia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga utile e necessario assumere iniziative per sospendere l'efficacia del decreto ministeriale 11 maggio 85, n. 82, favorendo la creazione di un tavolo tecnico tra lo stesso Ministero e l'ASSOBON atto a dipanare qualsivoglia incomprensione o controversa interpretazione delle procedure a garanzia del settore. (4-11239)

  Risposta. — In merito alla problematica rappresentata con l'interrogazione in esame, si evidenzia che la legge anticorruzione n. 190 del 2012, attesa la natura di fonte primaria, trova piena ed integrale applicazione anche laddove non espressamente richiamata da singole prescrizioni regolamentari.
  Tanto chiarito, nelle more della definizione del ricorso promosso dinanzi al Tar Lazio dall'Assobon e del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica promosso dalle aziende di settore per l'annullamento del decreto ministeriale 11 maggio 2015 n. 82, ed in mancanza di un provvedimento cautelare di sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato disposto dall'autorità giurisdizionale, non esistono i presupposti, di fatto e di diritto, per porre in essere le iniziative richieste nell'atto.
  Si osserva, inoltre, che decorsi sei mesi dalla pubblicazione del decreto ministeriale sulla Gazzetta Ufficiale (e, cioè dal 27 dicembre 2015) la normativa previgente è abrogata e, quindi, un eventuale provvedimento di sospensione della sua efficacia determinerebbe la totale paralisi delle attività di bonifica sull'intero territorio nazionale a causa dell'assenza di qualsivoglia norma atta a disciplinarla.
  Tuttavia, il Ministero della difesa si è reso fautore della norma di cui all'articolo 4, comma 6, del decreto legge 30 dicembre 2015, n. 210, tesa a differire di ulteriori 6 mesi l'entrata in vigore delle nuove norme e l'abrogazione di quelle previgenti, anche allo scopo di consentire l'esame e la decisione dei ricorsi citati in premessa, nonché l'eventuale adozione di modifiche e correttivi indicati dagli organi giurisdizionali.
  Per completezza d'informazione, si rende noto che il decreto, in fase di predisposizione, è stato concordato e condiviso con l'Assobon.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   BARBANTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da una nota stampa diramata dal comune di Catania, si è appreso che durante l'incontro avvenuto il 21 novembre nella città etnea, il Ministro interrogato e il sindaco Enzo Bianco avrebbero disquisito circa la possibilità di impiegare l'ex caserma Sommaruga, già dismessa dal Ministero, come nuova, sede della questura e di altri uffici. È stato altresì riportato che tale ipotesi ha suscitato grande interesse da parte del Ministro, tanto da aver garantito l'invio di funzionari del dicastero per seguire la vicenda;
   nell'interrogazione presentata dall'On. Walter Rizzetto, il 6 ottobre 2015, rivolta al Ministro dell'interno in merito alle spese della parata organizzata in occasione della festa del patrono della polizia di Stato, veniva registrata l'indignazione degli agenti di polizia i quali, a fronte di tale investimento, tramite il comunicato stampa diramato dalle organizzazioni sindacali SIULP, SIAP e UGL-Polizia, evidenziavano e contestavano la riduzione delle spese per l'acquisto delle divise, i tagli sugli straordinari dei poliziotti, le diminuzioni delle somme destinate alla riparazione dei veicoli utilizzati per il controllo del territorio, il decremento della spesa per le pulizie effettuate presso gli uffici e l'esigenza di trovare una struttura che potesse unificare gli uffici di polizia della città di Catania attualmente dislocati, le cui spese annuali ammontano a circa quattro milioni di euro, per sanare gli sprechi;
   nel 2004 fu presentato il progetto della nuova questura di Catania che si sarebbe dovuta realizzare nel quartiere di Librino e finanziata con fondi CIPE per un costo pari a 31.000.000 di euro + 30.000.000 di euro per tre blocchi di edifici: nel 2008, l'allora prefetto Iurato annunciò l'avvio dei lavori di realizzazione del primo lotto dal costo pari a 31.000.000 di euro, e nel 2010 il questore inviava la nota con la quale annunciava l'avvio dei lavori di costruzione ma, a oggi, i suddetti lavori non sono ancora iniziati;
   contestualmente, negli anni 2000, la prima amministrazione Bianco acquistò con i finanziamenti ottenuti dal Ministero della giustizia l'ex palazzo delle poste sito in Viale Africa per realizzare la nuova cittadella giudiziaria e concentrare tutti gli uffici presso l'immobile, sparsi per la città: le somme già versate ammontano a euro 27.888.627, mentre quelle necessarie per terminare i lavori sono pari a euro 25.000.000; la struttura risulta attualmente in condizioni fatiscenti, ed è divenuta un riparo dei senzatetto;
   durante un'intervista rilasciata al giornale «La Sicilia» il 19 luglio 2010, l'ex sindaco e già senatore Enzo Bianco, in riferimento all'ex palazzo delle poste, dichiarò: «Questo edificio, oggi così malridotto, è un patrimonio per la città. Nacque come sede delle Poste, ma poi fu ritenuto sovradimensionato. Nel 1999, quando ero sindaco, la mia idea era quella di riunire tutti gli uffici dell'amministrazione della giustizia (oggi disseminati in una decina di edifici con costi ingenti e disservizi per i cittadini e per gli stessi impiegati) in un'unica cittadella giudiziaria. Avevo pensato alla caserma Sommaruga, ma non era una soluzione praticabile nel breve periodo. Così pensammo di suddividere gli uffici giudiziari in due sole strutture: palazzo di Giustizia e l'ex Palazzo delle Poste in viale Africa. Il Comune avviò la pratica per acquisire l'immobile dalle Poste a un prezzo conveniente. L'edificio fu acquistato con rogito del notaio Attaguile. Poi gli uffici comunali fecero un pre-progetto per la ristrutturazione e sulla base di questo pre-progetto la delibera di giunta del 9 luglio 2001 stabilì che per ristrutturare l'edificio ci sarebbero voluti 7 miliardi delle vecchie lire, 3 milioni e 700 mila euro. Fu fatta la gara per la progettazione esecutiva. La ditta che se l'aggiudicò, disse che occorrevano 31 milioni e 250 mila euro per la ristrutturazione. Dieci volte di più della stima fatta dal Comune ! I conti non tornano. Adesso sappiamo che c’è un contenzioso in corso con la ditta e che il sindaco (Umberto Scapagnini) sta cercando un accordo. Ma i problemi riguardano anche la continua rimodulazione del progetto, in particolare sull'ubicazione di archivi, garage, sistemi di sicurezza»; si evince dunque che la caserma Sommaruga nel 2010 era stata individuata come possibile cittadella giudiziaria e non come sede della questura. In quell'occasione, l'attuale primo cittadino di Catania, esortò il sindaco in carica Umberto Scapagnini e la sua giunta ad accendere un mutuo per ristrutturare l'edificio che dopo dieci anni risultava l'ennesima opera incompiuta, garantendo che tale soluzione non avrebbe inciso sulle casse comunali poiché le rate potevano essere ripagate dai canoni di locazione corrisposti dal Ministero della giustizia. In ultima istanza ha anche avanzato l'ipotesi di vendita dell'immobile, pur di sollecitare una soluzione definendola una situazione inaccettabile;
   il 2 gennaio 2015, a mezzo stampa, l'ex sottosegretario di Stato per la giustizia On. Giuseppe Berretta, ha confermato un vincolo che può essere sciolto a condizione che si venda il palazzo delle poste e si acquisti un altro immobile utilizzato per una sede giudiziaria. Nel caso in cui si procedesse alla vendita dell'edificio per investire in un immobile della regione si dovrà procedere alla restituzione del finanziamento erogato dal Ministero della giustizia per non ristrutturare un immobile altrui –:
   se i fatti narrati in premessa trovino conferma e, nell'eventualità positiva, se il Governo non ritenga opportuno ridimensionare il grande interesse espresso in favore dell'ipotesi di impiegare, ove fosse possibile, l'ex caserma Sommaruga come nuova sede della questura della città di Catania;
   quali iniziative intendano intraprendere, di concerto, per accertare lo stato dei lavori dei progetti già finanziati e verificare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità e cause rispetto alla mancata realizzazione della nuova cittadella giudiziaria e della nuova sede della questura della città di Catania con l'accorpamento di altri uffici;
   se non si ritenga necessario un solerte completamento delle opere ancora incompiute, rispondendo concretamente alle esigenze note e segnalate dai sindacati di polizia, prima di procedere a ulteriori concessioni da parte del Ministero della difesa. (4-11525)

  Risposta. — La caserma Sommaruga ubicata nel comune di Catania è pienamente utilizzata dall'Amministrazione militare quale sede di un reggimento di fanteria dell'Esercito italiano.
  Per l'infrastruttura in argomento non è prevista alcuna procedura di valorizzazione immobiliare.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web ilfattoquotidiano.it è pubblicato un articolo dal titolo «Marina Militare, l'ammiraglio ironizza: “Erba alta ? Comprate delle capre”. E i marinai eseguono alla lettera» a firma di Francesco Martini;
   nell'articolo si legge che «A Venezia e Grottaglie i militari recepiscono seriamente una battuta dell'ammiraglio De Giorgi. E si ritrovano una grana: gli animali, comprati per svolgere funzioni prima affidate a contratti troppo onerosi, vanno gestiti, curati, sfamati, munti e protetti dalle intemperie. Il preposto alla salute chiede conto delle condizioni igienico-sanitarie e gli scappa l'ironia: “Viva speranza che le caprette vadano presto a pascolare, tutte assieme”. Risultato ? Tre giorni di consegna di rigore con l'accusa di avere diffuso “segreti militari” con “dichiarazioni incomplete” »–:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati dal giornalista e se non ritenga che adibire il personale militare altamente specializzato ad accudire le capre sia lesivo dell'immagine della forza armata; quanti siano gli animali del genere dei caprini e della famiglia dei bovidi in uso alla Marina militare; quali immediate iniziative intenda porre in essere il Ministro per assicurare il massimo rispetto delle vigenti normative in materia di sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro e di tutela degli animali e per accertare eventuali responsabilità sul piano amministrativo del personale coinvolto; infine, se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia annullata la grave sanzione comminata al militare colpevole solo di essersi preoccupato del benessere degli animali. (4-11279)

  Risposta. — Presso alcune basi della Marina militare comprendenti superfici erbose, tra cui quelle dell'Arsenale di Venezia e della stazione aeromobili della Marina militare di Grottaglie, sono presenti alcune capre di tipo alpino o misto tibetano oggetto di donazione nonché alcuni daini prelevati dalla tenuta di San Rossore.
  In virtù delle loro abitudini alimentari, esse si nutrono di erba contribuendo in tal modo a tenere sotto controllo la crescita della vegetazione, anche in funzione antincendio.
  Possono essere considerati, a buon titolo, delle vere e proprie « mascotte», secondo una consolidata tradizione di molti reparti italiani ed esteri.
  Nel merito, poi, degli aspetti relativi al «rispetto delle vigenti normative in materia di sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro e di tutela degli animali», si rende noto che gli stessi sono ospitati in ampie, dedicate e circoscritte aree verdi all'interno delle quali sono garantite adeguate coperture e ricoveri per preservarli dalle intemperie, dalle piogge e dai rigori termici.
  Gli animali, infine, sono stati regolarmente vaccinati ed è stato richiesto il rilascio del codice di identificazione, come previsto dalla normativa vigente in materia. In particolare e per quanto riguarda l'Arsenale di Venezia, gli animali sono stati visitati anche da un veterinario del Comune che ha costatato sia il loro buono stato di salute sia l'idoneità del sito di ricovero.
  Le caprette, infine, sono seguite, senza oneri a carico della Difesa, da personale volontario della base.
  Nel merito, invece, della questione disciplinare citata dall'interrogante, si rende noto che lo Stato maggiore della marina ha comunicato che con la sanzione disciplinare inflitta al militare, risulta realizzato il principio di trasparenza e correttamente instaurato il contraddittorio. Ciò, a dimostrazione del rispetto dei principi generali a presidio del diritto di difesa.
  In particolare, essendo stati predisposti tutti gli strumenti per consentire all'interessato di difendersi, ed essendo stata fornita debita comunicazione sulla possibilità di avvalersi, all'esito della decisione, di tutti gli strumenti giurisdizionali ed amministrativi per impugnare l'eventuale provvedimento dell'amministrazione, non si riscontrano vizi d'illegittimità tali da imporre una puntuale verifica di eventuali responsabilità della linea gerarchica, come richiesto nell'atto.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   BERRETTA, GRECO, GIULIETTI, TINO IANNUZZI e LODOLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2004 è stato presentato il progetto della realizzazione della nuova questura di Catania da realizzarsi nel territorio di Librino viale Nitta angolo viale Bonaventura. Il progetto finanziato con fondi CIPE avrebbe avuto un costo di 31.000.000 + 30.000.000 per tre blocchi di edifici;
   nell'anno 2008 viene annunciato dall'allora prefetto Iurato l'avvio della procedura per i lavori di realizzazione del primo lotto finanziato con 31.000.000;
   nel 2010 il questore invia una nota ove annuncia l'avvio dei lavori di costruzione;
   la relazione effettuata dalla Cir Costruzioni di Ferrara, appaltatrice della progettazione esecutiva e realizzazione del primo stralcio della struttura certifica che il terreno sul quale dovrebbe sorgere il nuovo centro polifunzionale della polizia di Stato a Librino è contaminato gravemente dal cemento amianto;
   prima della recinzione del terreno, la relazione della società appaltatrice ha riscontrato che «l'area offriva accesso libero a tutti i mezzi che negli anni hanno abbandonato rifiuti di diverso genere»;
   il primo dato che emerge è la presenza di uno strato, profondo fino a circa due metri e mezzo, che comprende frammenti di cemento amianto misti a terra e residui di scarti vegetali. Una sorta di stratificazione di rifiuti speciali provenienti dal settore edile, e soprattutto lastre di ethernit, con una concentrazione anche di centinaia di chili per metro cubo;
   nella relazione si legge inoltre che alla profondità di due metri è stato trovato «miscuglio o scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, contaminato da frammenti di manufatti in cemento amianto dello spessore di 0,50 m»; a 2,50 metri di profondità si legge che «nell'ex area di servizio sono presenti lastre in cemento amianto di circa 200 kg e sfalci di potatura»;
   nella relazione si legge ancora che ad un metro di profondità si riscontra la «presenza di notevoli frammenti di materiale da costruzione in cemento amianto per uno spessore di circa 0,30 metri, passante a sabbia con all'interno miscuglio o scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche e sabbia di colore nero dello spessore di 1,10 metri;
   come è noto tali materiali sono cancerogeni e profondamente lesivi e pericolosi per la salute dei cittadini;
   il quartiere di Librino è tra i più densamente popolati della città di Catania;
   tale concentrazione di materiale cancerogeno rappresenta un pericolo per la salute di migliaia di cittadini catanesi –:
   quali iniziative intendano prendere per accertare le responsabilità e le mancanze che hanno trasformato l'area che dovrebbe ospitare la cittadella della polizia di Catania in una discarica abusiva di materiale cancerogeno;
   quali iniziative vogliano intraprendere per realizzare una celere bonifica del territorio in oggetto per tutelare la salute dei cittadini e la salvaguardia di un progetto di pubblica utilità, peraltro già finanziato, come la cittadella giudiziaria che permetterebbe di ridurre i costi e liberare risorse umane per la sicurezza e la vigilanza del territorio stesso;
   quali iniziative intendono mettere in pratica per verificare che la presenza di tale discarica abusiva non abbia già prodotto effetti per la salute dei cittadini catanesi residenti a Librino. (4-07165)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alla presenza di una discarica abusiva localizzata in viale Nitta angolo via Bonaventura situata nel quartiere di Librino nel comune di Catania sulla base degli elementi informativi pervenuti dalla provincia e dal comune di Catania, si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo, la provincia di Catania, riferisce che la presenza della predetta discarica abusiva risalirebbe già al 2013 come già segnalato al servizio dipartimentale igiene dell'Asp di Catania, dal locale comando dei vigili del fuoco.
  A seguito di tale segnalazione il suddetto servizio provvedeva ad eseguire opportuni sopralluoghi che confermavano la presenza di rifiuti nell'area. Conseguentemente venivano allertati la direzione ecologia ed ambiente e il comando polizia municipale del comune di Catania.
  L'accesso all'area risulta ancora oggi interdetto, a causa di un sistema di recinzione che ha impedito, fino a questo momento, di attuare interventi risolutivi sulla discarica oltre che una verifica puntale dei rifiuti in essa presenti.
  Per questo motivo è stato possibile rimuovere solo i rifiuti localizzati nell'area perimetrale esterna alla recinzione.
  Inoltre, il dipartimento regionale per le attività sanitarie dell'assessorato alla salute della regione siciliana, pur non potendo accertare la tipologia dei rifiuti presenti all'interno dell'area recintata, ha comunicato che, da un primo esame visivo, essi appaiono costituiti verosimilmente da carcasse di automobili e materiali da costruzione e demolizione. Successivamente a tale verifica visiva sono stati interessati oltre ai competenti uffici comunali anche l'Asp di Catania, l'Arpa e la procura della Repubblica competente per territorio.
  Allo stato, l'area risulta ancora isolata e comunque non accessibile alla popolazione.
  L'osservatorio epidemiologico ha segnalato che, sul predetto territorio, non risulterebbero registrati aumenti di patologie, anche di natura oncologica da ricollegare con certezza a fenomeni di inquinamento ambientale.
  Il responsabile del servizio di polizia municipale riferisce infine di aver attivato le indagini per risalire ai proprietari del sito al fine di poter iniziare le opportune procedure di rimozione e di successiva bonifica.
  Per completezza di informazioni, si fa presente che «qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio».
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   NICOLA BIANCHI, SPESSOTTO e PETRAROLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il servizio investigazioni scientifiche dell'Arma dei carabinieri è la struttura preposta a soddisfare le richieste di indagini tecnico-scientifiche di polizia giudiziaria dei reparti dell'Arma, della magistratura e delle altre forze di polizia;
   il compito di assicurare agli investigatori tradizionali il massimo contributo da parte delle scienze forensi è assegnato agli specialisti del raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (Ra.C.I.S.), dei quattro reparti investigazioni scientifiche (R.I.S.) di Roma, Parma, Messina e Cagliari e delle sezioni investigazioni scientifiche (S.I.S.), inquadrate nei principali Comandi provinciali, che nel 2014 hanno portato a termine, complessivamente, 17.206 accertamenti;
   le S.I.S., che costituiscono, a livello interprovinciale, l'organo tecnico-scientifico specializzato nell'attività di sopralluogo e repertamento sulla scena del crimine e nelle indagini tecniche relative alle sostanze stupefacenti, includono i laboratori per l'analisi delle sostanze stupefacenti (L.A.S.S.), il personale addetto ai rilievi tecnici e gli «artificieri/antisabotaggio»;
   il quotidiano La Nuova Sardegna – edizione Sassari ha dato notizia il 23 settembre 2015 del trasferimento dal 1° ottobre 2015 delle attività della S.I.S. di Sassari presso gli uffici del R.I.S. di Cagliari;
   a quanto risulta agli interroganti, sarebbe stata richiesta la soppressione anche dell'ufficio del L.A.S.S. di Sorso, inquadrato nel reparto operativo nucleo investigativo 2° sezione (investigazioni scientifiche) di Sassari, laboratorio per l'analisi delle sostanze stupefacenti competente per le province di Sassari e Nuoro, e di conseguenza sarebbe stato richiesto il trasferimento a Cagliari delle due unità organiche che lo compongono;
   qualora tali notizie fossero confermate, ad avviso degli interroganti la concentrazione nel capoluogo dell'isola degli uffici del R.I.S. di Cagliari e della S.I.S. di Sassari, oltre a determinare un inevitabile allungamento dei tempi per lo svolgimento delle attività, non produrrebbe un risparmio di spesa, ma comporterebbe piuttosto un maggior dispendio di risorse economiche se si considerano, ad esempio, i costi derivanti dagli spostamenti del personale dell'Arma all'interno del vasto territorio della Sardegna;
   non poter operare in maniera tempestiva potrebbe provocare, inoltre, anche effetti negativi sulla qualità del lavoro di indagine della sezione investigazioni scientifiche –:
   se le informazioni esposte in premessa corrispondano al vero e, in caso affermativo, se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative affinché siano mantenute a Sassari le attività della S.I.S. e sia contestualmente trasferito a Sassari il L.A.S.S. di Sorso. (4-10716)

  Risposta. — Il comparto delle investigazioni scientifiche dell'Arma dei carabinieri è costituito dal Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (RACIS), con sede in Roma.
  Il Raggruppamento è articolato su 4 reparti investigazioni scientifiche (RIS) – dislocati a Roma, Parma, Cagliari e Messina – e 29 Sezioni Investigazioni Scientifiche (SIS), con dipendenza tecnico amministrativa dai RACIS/RIS di riferimento e inquadrate nell'ambito dei nuclei investigativi dei Comandi provinciali.
  Alle dipendenze delle sezioni investigazioni scientifiche sono posti i rispettivi Laboratori analisi sostanze stupefacenti (LASS).
  Nel quadro delle iniziative finalizzate a rendere il dispositivo dei Laboratori analisi sostanze stupefacenti più aderente alle realtà locali, considerato anche il tempo trascorso dalla loro costituzione (1992), è stato avviato uno studio per valutare la loro rispondenza agli attuali carichi di lavoro, in linea con la sopraggiunta disponibilità di nuove soluzioni infrastrutturali.
  Per quanto concerne, in particolare, la Regione Sardegna, va detto che l'ipotesi di riorganizzazione dello specifico assetto non contempla variazioni organizzative, ma solo l'eventuale ridislocazione del Laboratorio analisi sostanze stupefacenti di Sorso, dovuta all'inadeguatezza dei locali attualmente in uso allo stesso, negli uffici del comando provinciale di Sassari, dove, peraltro, è ubicata la sezione investigazioni scientifiche, le cui attività continueranno a essere mantenute nello stesso capoluogo di provincia.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   STELLA BIANCHI, GINOBLE, MORASSUT, MARIANI, MAZZOLI, CARRESCIA, COMINELLI, GIOVANNA SANNA, ZARDINI, MANFREDI, REALACCI, TINO IANNUZZI, GADDA, D'INCECCO, DALLAI, CASSANO, DECARO, CASTRICONE, AMATO, BRAGA e GUTGELD. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l’iter di istituzione del parco nazionale della Costa Teatina è stato avviato con l'articolo 8, comma 3, della legge n. 93/2001. Un'area protetta che, sebbene formalmente prevista da ormai 12 anni, non è in realtà mai nata a causa della sua mancata perimetrazione;
   entro lo scorso 30 giugno 2013 la regione Abruzzo avrebbe dovuto formulare una proposta seria, partecipata e condivisa circa la perimetrazione del futuro parco nazionale secondo quanto stabilito dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, che all'articolo 1, comma 388, tab. 2, n. 27, ha stabilito la proroga, al 30 giugno 2013, del termine per l'attuazione delle disposizioni previste dall'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, n. 93, precedentemente prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto-legge n. 225 del 2010;
   la direzione generale per la protezione della natura e del mare, richiamando la sua precedente nota dell'11 ottobre 2012 con cui aveva già sollecitato la regione Abruzzo a predisporre una perimetrazione in accordo con i comuni, in una nuova nota del 28 marzo 2013 ha rimarcato che «si è dovuto rilevare che nessun riscontro è pervenuto da Codesta regione impedendo di fatto il superamento dello stallo in cui permane da tempo la procedura in atto»;
   secondo quanto stabilito dal comma 3-bis del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 in caso di inadempienza si sarebbe dovuto procedere alla nomina di un commissario ad acta che provveda alla predisposizione e attuazione di ogni intervento necessario e che ad oggi non risulta pervenuta da parte della regione Abruzzo nessuna proposta di perimetrazione;
   il parco della Costa teatina costituisce un rilevante progetto ambientale che valorizzerà il litorale e potrà avere riflessi positivi, oltre che per la tutela, anche per lo sviluppo turistico ed economico ecocompatibili dell'area interessata –:
   quali iniziative urgenti intende adottare al fine di dare al più presto risposta ai comuni interessati all'istituzione del parco, in attuazione di quanto previsto dalla legge 93 del 2001, per arrivare ad una definitiva perimetrazione del parco;
   se il Ministro interrogato sia in grado di stabilire una data certa entro la quale si giungerà ad una perimetrazione conclusiva del parco senza ulteriori proroghe. (4-01655)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa all'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 8 comma 3, della legge 23 marzo 2001, n. 93, dispone che con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente, d'intesa con la regione interessata, è istituito il parco nazionale «Costa Teatina».
  Non riuscendo ad ottenere l'intesa tra le amministrazioni interessate, con una disposizione normativa contenuta nell'articolo 2, comma 3-
bis del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, era stato previsto che trascorso inutilmente un dato termine, inizialmente determinato al 30 settembre 2011 e poi più volte prorogato, senza addivenire alla istituzione del parco, venisse nominato un commissario ad acta, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Trascorso l'ultimo termine fissato al 31 dicembre 2013, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2014, registrato presso la Corte in data 26 settembre e pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 242 del 17 ottobre, veniva nominato il Commissario ad acta, ai fini della istituzione del parco nazionale della Costa Teatina, secondo le disposizioni di cui all'articolo 34 della legge-quadro 6 dicembre 1991, n. 394.
  L'incarico di commissario
ad acta della durata di un anno, a decorrere dalla nomina, è stato finalizzato alla predisposizione ed attuazione di ogni intervento necessario ai fini della istituzione del Parco nazionale della Costa Teatina, attraverso la delimitazione provvisoria dei relativi confini, sulla base degli elementi conoscitivi e tecnico-scientifici disponibili presso i servizi tecnici nazionali, le amministrazioni dello Stato e le regioni.
  Il mandato del commissario
ad acta è scaduto il 4 agosto 2015, entro tale data lo stesso commissario ha predisposto e presentato alla Presidenza del Consiglio la proposta per l'istituzione del Parco nazionale della Costa Teatina.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato circa i tempi di definizione dell’
iter procedurale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in comune di Orzinuovi (BS) la locale sezione della Lega Nord ha organizzato una campagna contro i profughi tramite appelli in rete e banchetti pubblici previsti per il prossimo venerdì 31 luglio in occasione del mercato di Orzinuovi, chiedendo di segnalare all'indirizzo della sede locale del partito la presenza di profughi sul territorio, diffondendo materiale dall'inequivocabile titolo razzista ed intimidatorio «SEGNALA IL CLANDESTINO» https://www.facebook.com/events/889419281142209/
   da quanto si apprende dalla stampa locale e nazionale la Segretaria della Lega Nord di Orzinuovi, Federica Epis dichiara: «Eviteremo l'invasione che invece vorrebbe l'amministrazione comunale che ha dato disponibilità ad accogliere i profughi», «La cosiddetta “accoglienza” è in realtà un business finanziato a spese di chi paga le tasse perché i nostri soldi vengono usati per pagare vitto, alloggio, sigarette e mancetta giornaliera a chi arriva qui illegalmente coi barconi. Chi ci guadagna sono enti pubblici o privati, ma anche singoli cittadini, che intascano più di mille euro al mese per ogni clandestino ”accolto”. Questo è il motivo per cui lanciamo la Campagna di segnalazione. Orzinuovi è una comunità unita e coesa, soprattutto su questi temi non ci sono distinzioni di partito che tengano. Ognuno di noi è responsabile per il futuro del nostro paese, ognuno può e deve vigilare affinché non venga meno il vincolo di lealtà e di fiducia che ci lega gli uni agli altri. Non è accettabile che qualcuno cerchi di ospitare i clandestini solo per fare palanche scaricando i costi economici e sociali su tutti gli altri»;
   palese ed evidente è l'intento intimidatorio verso le strutture rivolte all'accoglienza delle persone in difficoltà e dei singoli cittadini disponibili a dare il loro contributo per aiutare il sistema dell'accoglienza come richiesto dalla prefettura di Brescia per far fronte all'emergenza dei rifugiati in fuga da aree di guerra e conflitto;
   l'istigazione all'odio razziale verso i rifugiati e richiedenti asilo politico è palesemente perseguita, da queste iniziative della Lega Nord;
   leggi dello Stato Italiano vietano in modo esplicito tale propaganda e tali comportamenti –:
   quali azioni, di competenza, il Ministro interrogato e la questura di Brescia abbiano adottato o intendano adottare per impedire l'organizzazione di iniziative finalizzate alla diffusione di messaggi discriminatori, improntati all'istigazione all'odio razziale e intimidatori nei confronti di Istituzioni pubbliche, Associazioni, soggetti privati, chiamati a collaborare dalla Prefettura di Brescia nella gestione del piano di accoglienza previsto dal Governo. (4-10056)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, prendendo spunto da una campagna contro la presenza dei profughi irregolari organizzata dalla Lega Nord in occasione del mercato di Orzinuovi, tenutosi il 31 luglio dello scorso anno, chiede quali interventi si intendano porre in essere per impedire la diffusione di messaggi che istigano all'odio razziale o a comportamenti intimidatori nei confronti delle istituzioni, associazioni e privati che collaborano con la Prefettura per attuare un sistema di accoglienza o integrazione.
  Al riguardo, si comunica che il 28 luglio scorso la referente locale della Lega Nord ha dato preavviso alla questura di Brescia dello svolgimento della citata manifestazione, riferendo di aver ottenuto dal comune di Orzinuovi le previste autorizzazioni comunali.
  In detta comunicazione, è stato precisato che l'iniziativa sarebbe consistita in un'attività di volantinaggio destinata alla diffusione della campagna dal titolo «parte la campagna Segnala il clandestino – difendiamo Orzinuovi» – «Segnala immigrati», con la quale venivano invitati i cittadini di quel comune a segnalare alla sede della Lega Nord la presenza di «clandestini» sul territorio.
  Il giorno della manifestazione la questura di Brescia ha inviato sul posto personale dipendente che ha accertato la presenza di alcuni militanti del partito della Lega Nord impegnati a distribuire volantini contro l'accoglienza dei profughi.
  Sull'episodio è stata svolta un'attività info-investigativa dalla Digos della questura di Brescia, i cui risultati sono stati trasmessi alla procura della Repubblica presso il tribunale di Brescia per le valutazioni relative ad eventuali profili penali emergenti.
  Allo stato, si è in attesa delle determinazioni della competente autorità giudiziaria.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la sezione ad indirizzo sportivo presente da due anni nel programma scolastico nazionale con una sola classe autorizzata per ogni provincia si inserisce strutturalmente, a partire dal primo anno di studio, nel percorso del liceo scientifico di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, nell'ambito del quale propone insegnamenti ed attività specifiche;
   il liceo scientifico sportivo nasce con l'obiettivo di rispondere all'esigenza di molti alunni che ricercano una realtà scolastica che li accompagni nel loro processo di formazione generale, avendo scelto di approfondire un percorso educativo-sportivo o poiché praticano un'attività sportiva a livello agonistico;
   il liceo scientifico sportivo, attraverso un sistema educativo che permette agli studenti di conseguire un diploma di scuola secondaria superiore a indirizzo liceale, promuove nei ragazzi i valori dell'autostima e dell'autodisciplina con cui costruire la propria identità motivando i giovani, grazie ai valori di cui lo sport è portatore, a sviluppare conoscenze e abilità, all'interno di un sistema di istruzione formale e di apprendimento informale;
   il piano di studi del liceo sportivo è volto all'approfondimento delle scienze motorie e sportive all'interno di un quadro culturale che favorisce, in particolare, l'acquisizione delle conoscenze e dei metodi delle scienze matematiche, assicura la padronanza dei linguaggi e colloca la dimensione sportiva all'interno di una formazione globale della persona;
   una delle materie caratterizzanti, con scienze motorie ed economia e diritto dello sport, è «discipline sportive» materia che permette di trattare argomenti teorici e svolgere attività pratica sportiva nelle sue varie tipologie;
   nello svolgimento di tale attività il docente di classe è in parte affiancato da tecnici delle discipline sportive interessate. Per tali figure tecnico sportive non è previsto alcun rimborso o impegno economico. Inoltre, per poter svolgere l'attività pratica nelle diverse discipline gli alunni utilizzano impianti sportivi non presenti nei istituti scolastici (nuoto, vela, canottaggio ed orienteering). Le federazioni sportive su base volontaria mettono a disposizione fino ad oggi gratuitamente e senza onere per la scuola tecnici, attrezzature ed impianti sportivi al fine di favorire l'attività programmata. Si precisa ancora che dopo la prima fase iniziata nell'anno scolastico 2014/2015 ci sono state richieste di iscrizioni per l'anno scolastico 2015/2016 che non si sono potute soddisfare a causa della limitazione ad una sola classe prima per singolo istituto e provincia –:
   se, in considerazione del consenso derivante dall'attuazione dei licei ad indirizzo sportivo, vi sia l'intenzione di istituire una seconda sezione per ogni istituto e per ogni provincia a partire dall'anno scolastico 2016/2017;
   a fronte dei maggiori impegni derivanti dall'aumento dello ore previste, con conseguente maggiore impegno gestionale da parte delle scuole e delle società sportive coinvolte, se vi sia la possibilità di prevedere da parte del Ministero un impegno di spesa finalizzato a ciò. (4-11655)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante sollecita una maggiore valorizzazione del percorso ad indirizzo sportivo del sistema dei licei, prevedendo sia la possibilità di istituire una seconda sezione per ciascun istituto e per ciascuna provincia, sia un incremento delle risorse finanziarie finalizzate a tale settore.
  Al riguardo, si ricorda che il citato percorso di studi è stato introdotto dall'apposito Regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2013, il cui articolo 2 prevede che in prima applicazione le sezioni ad indirizzo sportivo di ciascuna regione non possono essere istituite in numero superiore a quello delle relative province, fermo restando il conseguimento a regime dei risparmi di cui all'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, e che eventuali sezioni aggiuntive possono essere istituite qualora le risorse di organico annualmente assegnate lo consentano e sempreché ciò non determini la creazione di situazioni di esubero di personale.
  In coerenza con la norma sopra descritta, la circolare ministeriale n. 22 del 21 dicembre 2015 sulle iscrizioni alle scuole dell'infanzia e alle scuole di ogni ordine e grado per l'anno scolastico 2016/2017 ha ribadito al punto 6.3 che sarà consentita, anche per il prossimo anno, l'attivazione di una sola classe prima per ciascuna istituzione scolastica.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   BRIGNONE e CIVATI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri il 31 luglio 2015 ha approvato in bozza il riordino delle classi di concorso per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado;
   nelle prossime settimane la VII Commissione sarà chiamata a valutare la relativa bozza prima della sua approvazione definitiva;
   dalla bozza approvata in sede di Consiglio dei ministri appare evidente l'allontanamento della classe di concorso dall'ambito disciplinare al quale culturalmente i docenti di matematica applicata si sentono appartenere, soprattutto sulla base delle loro specializzazioni delle quali la maggior parte abilitati con i corsi biennali SSIS;
   l'insegnamento della matematica nelle scuole secondarie di secondo grado, è stato ancora una volta attribuito a 3 classi di concorso (A047; A048; A049), senza di fatto effettuare alcun intervento di razionalizzazione;
   sulla base della ripartizione è quindi evidente quali siano le residuali possibilità lavorative degli attuali docenti precari e di ruolo abilitati nell'A048 anche con i recenti tirocini formativi attivi e percorsi abilitanti speciali confinate esclusivamente in alcuni istituti e indirizzi dove è consentito l'accesso a tutti i docenti abilitati delle altre classi di concorso;
   la nuova bozza di regolamento così come si presenta ad avviso dell'interrogante contiene criticità, ovvero, l'illogicità nel separare classi di concorso riguardanti la stessa disciplina con conseguenti difficoltà nella gestione dell'organico e inevitabili ripercussioni sulla didattica;
   difatti, con l'evidente incongruenza data dalla nuova tabella, si penalizzano i docenti abilitati all'insegnamento della matematica applicata (48A), favorendo solo gli appartenenti alla classe di concorso matematica (47A). Tale suddivisione crea problemi di gestione del personale ed esuberi, anche alla luce del potenziamento di organico previsto dalla «Buona Scuola», punendo la professionalità di molti docenti, di ruolo e precari con anni servizio e di dedizione all'insegnamento;
   l'unico presupposto della separazione di classi concorso prevista nella bozza di regolamento è ravvisabile nel fatto che la classe A048 consente l'accesso ad abilitati in matematica applicata il cui percorso formativo fa riferimento a lauree diverse dall'ambito matematico. Detta giustificazione si basa sui titoli di accesso delle diverse classi di concorso anziché sulla valutazione dei contenuti delle prove d'esame sostenute dai docenti già abilitati all'insegnamento della matematica;
   le prove d'esame che i docenti hanno dovuto sostenere diversi percorsi abilitanti fanno riferimento ai contenuti disciplinari dei programmi del decreto ministeriale 11 agosto 1998, n. 357, ove si evince che non emergono differenze nei contenuti con quelli della classe di concorso A047, se non, talvolta, esclusivamente riconducibili a un loro diverso livello di approfondimento –:
   se ritenga ci siano differenze curriculari tali da giustificare una classe ad hoc considerato che la matematica insegnata nelle scuole superiori è sostanzialmente la stessa, sia pure con ovvi diversi gradi di approfondimento;
   se alla luce di quanto sopra esposto, non ritenga opportuno procedere all'accorpamento delle due attuali classi di concorso, A047 «matematica» e A048 «matematica applicata», nel nuovo codice A-26 «matematica», che consenta di valorizzare le professionalità dei docenti abilitati e di gestire con più efficacia gli esuberi che, altrimenti, si verrebbero a creare mantenendo l'insegnamento della matematica in 3 classi di concorso;
   come intenda giustificare le preoccupanti ripercussioni sull'occupazione che l'approvazione definitiva della bozza nella sua versione attuale avrebbe sul futuro dei docenti e dell'insegnamento della matematica applicata. (4-10673)

  Risposta. — In merito a quanto rappresentato con l'atto in esame, si evidenzia che in data 20 gennaio scorso il Consiglio dei ministri ha definitivamente approvato il regolamento di revisione delle classi di concorso, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge n. 112 del 2008, poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 43 – Supplemento Ordinario n. 5 – del 22 febbraio 2016 come decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 2016, n. 19.
  Tale regolamento affida alla disciplina delle «Scienze matematiche applicate» (classe A-47), nella quale confluirà l'attuale classe di concorso A048, gli insegnamenti nel liceo scientifico delle scienze applicate, ove già siano state istituite cattedre con tale classe di concorso, negli istituti tecnici-settore economico e negli istituti professionali-servizi industria e artigianato.
  Inoltre, fatta eccezione per le lauree dell'area economica, è previsto l'accesso all'abilitazione per la disciplina della «Matematica» ai laureati delle medesime aree previste per «Scienze matematiche applicate».
  La legge n. 107 del 2015, nell'istituire l'organico dell'autonomia, supera il meccanismo delle cosiddette «classi atipiche» e affida alla programmazione triennale dell'offerta formativa (articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, così come modificato dal comma 14 della legge n. 107 del 2015) la definizione degli insegnamenti da affidare ai docenti in possesso delle abilitazioni previste dai piani di studio dell'attuale ordinamento scolastico, con altresì la possibilità di impiego, nell'organico di potenziamento, di eventuali docenti in esubero.
  Tutto ciò premesso, non si ritiene che la scelta operata possa portare ad una contrazione dei posti per il personale attualmente di ruolo, considerando che la classe di concorso A048 è stata a suo tempo istituita prevalentemente per gli insegnamenti negli istituti tecnici commerciali e solo recentemente ha visto la possibilità per i docenti abilitati in questa disciplina di insegnare nei licei economici e tecnologici, poi, in parte confluiti nel liceo delle scienze applicate.
  Si evidenzia, al contrario, che tale scelta permette il ripristino di un corretto rapporto disciplinare tra un insegnamento propriamente destinato alla conoscenza della matematica in sé e quindi di natura prettamente liceale, e un insegnamento destinato a trasmettere l'applicazione delle scienze matematiche alla realtà economica e gestionale e quindi di natura prettamente tecnica e professionale.
  Da ultimo, si rappresenta che l'impianto complessivo del regolamento di riordino delle classi di concorso, dopo approfondite riflessioni, è stato definito nell'ottica di mantenere separati gli insegnamenti all'interno delle aree disciplinari affini, proprio per garantire, soprattutto in prima applicazione, le diverse titolarità dei docenti e per evitare il meccanismo dell'individuazione dell'esubero mediante un'unica graduatoria, appunto definita atipica, tra docenti abilitati in classi di concorso differenti, meccanismo che più volte negli ultimi anni è stato censurato in sede di contenzioso.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   CAPARINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista al Corriere della sera di circa un anno fa, il Ministro annunciava l'arrivo, addirittura entro il mese di maggio 2015, di ben 50 milioni di euro per la bonifica del sito inquinato di Brescia-Caffaro;
   non si ha notizia, ad oggi, di quelle risorse;
   il quotidiano Corriere della sera – cronaca di Brescia, del 26 gennaio 2016, riporta che ad inizio novembre 2015 sono state assegnate alla bonifica del SIN di Caffaro, solo 1,7 milioni di euro, che portano a 13 milioni il budget a disposizione del commissario straordinario per effettuare la bonifica;
   tale cifra è veramente insufficiente in rapporto all'estensione della superficie che l'azienda chimica di via Milano ha inquinato in 80 anni d'attività; si tratta di 263 ettari da bonificare, a cui si aggiungono altri 330 ettari di campi tra Castelmella, Fiero, Capriano del Colle;
   nonostante la considerevole estensione dell'area da bonificare, il Sin della Caffaro ha ricevuto pochissime risorse statali rispetto agli altri 38 siti di interesse nazionale;
   il quotidiano ricorda inoltre l'ipotesi avanzata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dalla Sorin, quale ex azionista di riferimento della Caffaro, circa la realizzazione di un parco al posto dell'azienda chimica dal costo di circa 20 milioni di euro, che avrebbe potuto portare fondi straordinari al territorio ma che, invece, è rimasto incompiuto;
   nella legge di stabilità per il 2016, legge 28 dicembre 2015, n. 208, è stata autorizzata la spesa di 300 milioni di euro per la bonifica della Terra dei Fuochi, in Campania, 10 milioni per la bonifica del Sin Valle del Sacco e di ulteriori 20 milioni di euro da destinare con priorità ai siti di interesse nazionale per i quali è necessario provvedere con urgenza al corretto adempimento di obblighi europei;
   il Sin di Brescia-Caffaro risulta uno dei siti più inquinati del territorio nazionale con 150 tonnellate di pcb, 500 chili di diossina finita sui terreni, 478 chili all'anno di cromo prodotto dalle galvaniche di Valtrompia che dalla falda finiscono ancora nei fossi e altri inquinanti;
   a Brescia si sta ancora aspettando l'arrivo degli ingegneri della Sogesid che avevano promesso di iniziare nell'estate scorsa la messa in sicurezza delle rogge e altre zone marginali; i cittadini sono ormai indignati perché è da 15 anni che attendono un progetto di bonifica e di rigenerazione del sito aziendale;
   per gli inizi di febbraio 2016 il Ministro ha convocato a Roma gli amministratori locali per importanti comunicazioni sul caso Caffaro e tale convocazione ha dato uno spiraglio di speranza alla popolazione –:
   quali iniziative concrete il Ministro intenda adottare per assicurare le necessarie risorse per la messa in sicurezza e la bonifica del Sin bresciano dello stabilimento della ex Caffaro. (4-11832)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di «Brescia Caffaro», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, e dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Riguardo la questione relativa al
budget a disposizione in rapporto all'estensione della superficie inquinata, si segnala che la regione Lombardia, nel corso dell'anno 2014, ha segnalato un fabbisogno di 50 milioni di euro, poi rideterminato nel 2015 dalla medesima in 40 milioni di euro, da destinare alla prosecuzione degli interventi di messa in sicurezza del sito.
  Al riguardo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le necessarie interlocuzioni con la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, per il reperimento delle risorse nell'ambito degli interventi in materia ambientale finanziati dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) all'interno della Programmazione 2014-2020, di cui all'articolo 1, commi 6 e 7, della legge 27 dicembre 2014, n. 147 (legge di stabilità 2014).
  Per quanto riguarda gli interventi in carico alla Sogesid spa, si rappresenta quanto segue.
  La Società Sogesid spa è stata individuata come Soggetto attuatore dell'intervento di cui alla lettera A dell'accordo di programma del 29 settembre 2009 relativo allo «Studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda» nell'area perimetrata del SIN «Brescia-Caffaro».
  Nell'ambito dello Studio di fattibilità, Sogesid spa ha elaborato un modello idrogeologico che è stato illustrato nella conferenza di servizi del 14 ottobre 2014. La successiva conferenza di servizi istruttoria del 10 dicembre 2014 ha richiesto a Sogesid spa di trasmettere al Ministero dell'ambiente, nei tempi tecnici strettamente necessari, l'elaborato relativo al modello idrogeologico già illustrato nella conferenza di servizi del 14 ottobre 2014, comprensivo dei codici, per il successivo invio ad Arpa Brescia così da garantire il costante aggiornamento del modello idrogeologico, sulla base dei dati di monitoraggio acquisiti. Tale documentazione, per il tramite della direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque di questo dicastero, è stata trasmessa all'Arpa di Brescia.
  La conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015 ha preso atto dell'elaborato «Modello numerico di flusso della falda e di trasporto degli inquinanti del SIN Brescia Caffaro» e ha chiesto a Sogesid spa di trasmettere:
   l'ulteriore documentazione descrittiva a supporto del modello entro il 31 luglio 2015;
   lo «Studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda» entro settembre 2015.

  Inoltre, Sogesid spa ha trasmesso il progetto «Messa in sicurezza di emergenza delle rogge ricomprese nel SIN Brescia Caffaro – I Stralcio (Rev. 0)», di cui alla lettera C dell'accordo di programma del 29 settembre 2009, che è stato esaminato dalla conferenza di servizi istruttoria del 10 dicembre 2014, che ha chiesto un elaborato progettuale integrato sulla base delle osservazioni formulate dalla conferenza di servizi stessa.
  La conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015 sulla revisione della «Messa in sicurezza di emergenza delle rogge ricomprese nel SIN Brescia-Caffaro – I stralcio funzionale» ha formulato a Sogesid spa, alcune osservazioni delle quali tenere conto in fase di progettazione esecutiva.
  La Sogesid spa ha poi trasmesso il
report sintetico dello stato di attuazione delle attività come da convenzione sottoscritta in data 24 aprile 2013, nel quale ha indicato come termine previsto per la realizzazione dell'intervento di messa in sicurezza delle rogge il mese di ottobre 2016.
  La Sogesid spa ha infine trasmesso gli elaborati progettuali relativi alla «Messa in sicurezza di emergenza delle rogge ricomprese nel SIN Brescia-Caffaro – II stralcio funzionale».
  Si segnala, infine, che in data 23 febbraio 2016 si è tenuta la conferenza di servizi istruttoria/decisoria. In tale circostanza il commissario straordinario del SIN ha fornito un aggiornamento in merito allo stato di avanzamento degli interventi di caratterizzazione, monitoraggio ambientale, messa in sicurezza e bonifica previsti dall'accordo di programma del 29 settembre 2009 e, in particolare, ha riepilogato la rimodulazione dei finanziamenti stabilita in data 13 ottobre 2015 dal Comitato di indirizzo dell'accordo di programma.
  Nel corso della conferenza di servizi, inoltre, sono stati esaminati n. 5 elaborati, è stato approvato il Progetto di Bonifica delle acque di falda dell'area Finmeccanica (ex OTO Melara), è stato dato parere favorevole all'avvio delle attività per la messa in sicurezza delle rogge-II stralcio funzionale (soggetto attuatore Sogesid spa), ed è stata chiesta una implementazione dello studio di fattibilità per la bonifica della falda dell'intero SIN (soggetto attuatore Sogesid spa).
  Rimangono da affrontare talune questioni problematiche. In particolare si segnala che è allo studio della Regione una proposta di riperimetrazione del SIN, non ancora formalizzata.
  Con riferimento, invece, alla possibile delocalizzazione della Caffaro Brescia srl dal sito di Brescia, sono in corso approfondimenti tra il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di far fronte alle criticità di carattere industriale, occupazionale ed ambientale connesse a tale annunciata delocalizzazione.
  Alla luce delle informazioni esposte, ed al fine di individuare e sollecitare ogni possibile modalità di messa in sicurezza del sito in parola, questo Ministero si terrà informato anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di tutti gli altri soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CARFAGNA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il lago artificiale in località «Petrosa» del comune di Ceraso (Salerno) «diga Fabbrica», sito in area strettamente contigua al parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, una delle più suggestive e peculiari componenti del panorama cimentano, è stato oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo a causa delle terribili condizioni ambientali in cui versa, causate da una discarica abusiva ai margini del lago, discarica che si estende per oltre 1.500 metri quadrati di superficie e contenente rifiuti pericolosi tossici;
   la discarica è stata scoperta dal Corpo forestale dello Stato e accertata dall'ARPAC, ma, nonostante le interrogazioni e nonostante il clamore giustamente dato dagli organi di stampa locali alla totale inerzia dell'ente deputato al controllo e alla vigilanza, nulla è stato ancora compiuto per bonificare il territorio e restituirlo alla bellezza e specialmente alla salubrità di un tempo;
   la discarica abusiva, contenente tra l'altro rifiuti tossici, è stata anche denunciata dal sindaco di Ceraso con ordinanza n. 31 del 25 giugno 2012, nella quale si legge che la situazione delittuosa è ascrivibile alla responsabilità del consorzio Velia, con sede a Prignano Cilento (Salerno) in località Piano della Rocca, nella persona del legale rappresentante avvocato Francesco Chirico;
   il possesso e la manutenzione del lago sono infatti esercitati dal consorzio di bonifica Velia, ente pubblico strumentale della regione Campania che lo controlla ai sensi e per gli effetti della legge regionale n. 4 del 2003;
   a presiedere il consorzio di bonifica Velia è, da oltre 34 anni, lo stesso presidente, avvocato Francesco Chirico, senza alcun ricambio. In maniera che all'interrogante appare dispotica, l'avvocato Chirico non procede ad inserire all'ordine del giorno del consiglio dei delegati, che è l'organo che lo ha nominato presidente, la verifica della maggioranza che a suo tempo lo ha eletto presidente e che ormai non esiste più;
   a parte quello che all'interrogante appare un totale abuso gestionale, non provvedendo in alcun modo a bonificare il lago, il Consorzio di bonifica Velia, nella persona del suo legale rappresentante avvocato Chirico, si rende responsabile della mancata osservanza dei suoi doveri istituzioni ed in particolare della palese violazione di quanto disposto dalla legge regionale della Campania n. 4 del 2003, che all'articolo 1, comma 1, dispone che la regione, attraverso i consorzi di bonifica, promuova ed attui la salvaguardia dell'ambiente, nonché la conservazione e tutela del territorio;
   in data 28 agosto 2012, un componente del consiglio dei delegati del consorzio «Velia», dottor Cosimo Damiano Bortone, presentando istanza diretta all'acquisizione delle risultanze degli accertamenti sulle acque del lago, si è sentito rispondere dall'avvocato Chirico (con nota del 21 settembre 2012, protocollo n. 1745) che, per le acque dell'invaso Fabbrica, non sarebbero disponibili analisi sulla condizione e qualità delle acque, essendo esse destinate ad usi irrigui. La risposta ignora del tutto che le acque a destinazione irrigua entrano comunque, con tutto il loro potenziale tossico ed inquinante, nel circuito alimentare, provocando grave danno alla salute dei consumatori dei prodotti agricoli;
   non è necessario ricordare che il decreto-legge n. 136 del 2013, recante «Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate», nell'inasprire le pene per i reati ambientali previsti dal codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006) e dal codice penale, persegue, come finalità primaria, proprio la lotta a tutte quelle situazioni che compromettono non solo la bellezza del nostro Paese ma, soprattutto, la salubrità delle persone che vi abitano;
   restano da chiarire i motivi della prolungata permanenza del medesimo presidente alla guida del consorzio Velia, eventuali responsabilità in merito alla presunta violazione dei doveri istituzionali di bonifica del territorio prescritti dalla legge e all'omesso controllo delle acque dell'invaso nonostante il loro utilizzo per usi irrigui e il loro conseguente ingresso nel circuito alimentare –:
   quali interventi urgenti i Ministri interrogati intendano porre in essere, ciascuno per la propria competenza, anche mediante il coinvolgimento dei competenti comandi dei carabinieri per la tutela della salute e dell'ambiente, al fine di tutelare la salute pubblica gravemente compromessa dalla discarica abusiva di rifiuti pericolosi e tossici e l'ambiente. (4-03465)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si segnala che l'area del lago artificiale «diga Fabbrica», in località «Petrosa» del comune di Ceraso, in provincia di Salerno, dal 2011 è oggetto di indagine da parte della procura di Vallo della Lucania. Il procedimento penale, che non si è ancora concluso, coinvolge gli enti territoriali preposti alla corretta gestione dell'area in oggetto.
  Inoltre, con particolare riferimento all'ordinanza del sindaco di Ceraso n. 31 del 25 giugno 2012, di rimozione dei rifiuti interrati, si segnala che il consorzio ha comunicato in data 2 agosto 2013 al comune di Ceraso di aver ottemperato alla predetta ordinanza sindacale.
  Successivamente all'avvio delle indagini penali i competenti organi di controllo e di polizia hanno attivato un complesso procedimento di verifica e controllo della qualità dell'acqua della diga Fabbrica, conclusosi con l'ordinanza del sindaco di Ceraso n. 15 dell'8 maggio 2014.
  Con la predetta ordinanza 15 del 2014, il sindaco di Ceraso ha revocato una precedente ordinanza (11 del 2014) di divieto d'uso al consorzio dell'acqua della diga Fabbrica, avendo accertato i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (NOE) che le analisi compiute in precedenza e poste alla base del divieto, erano state inquinate dalla «fisiologica presenza degli uccelli».
  Con riferimento agli aspetti relativi al rinnovo degli organi, sulla base di quanto rappresentato dal consorzio, si segnala che dal 2002 al 2004 il consorzio è stato amministrato da un commissario straordinario, che ha indetto nel novembre del 2004 le elezioni del nuovo consiglio dei delegati, il quale ha poi eletto presidente l'avvocato Chirico. Scaduto il mandato, sono state indette le elezioni in data 28 febbraio 2010 e l'avvocato Chirico è stato nuovamente eletto presidente del consorzio. In data 8 novembre 2015 si sono svolte, infine, le elezioni per il rinnovo degli organi consortili e l'avvocato Chirico risulta tra i consiglieri eletti. Ad ogni modo, nella regione Campania, per quanto attiene l'organizzazione e il funzionamento dei consorzi di bonifica, compresa la procedura per l'elezione degli organi, si rinvia a quanto disposto dalla legge regionale 23 febbraio 2003, n. 4.
  Con riferimento all'istanza presentata in data 28 agosto 2012 dal dottor Cosimo Damiano Bortone, componente del consiglio dei delegati del consorzio «Vela», diretta all'acquisizione delle risultanze degli accertamenti sulle acque del lago, il consorzio, con nota n. 1745 del 21 settembre 2012, ha risposto che non sono disponibili in quanto non sono richiesti controlli di legge di carattere qualitativo sulle acque, essendo le stesse destinate ad uso irriguo. Né peraltro esiste nesso tra le acque distribuite e l'episodio oggetto dell'interrogazione, in quanto le acque derivate per l'irrigazione sono prelevate a monte della zona interessata dal sequestro, a quota di 20 metri superiore. Tanto si rileva dai dati di monitoraggio dei livelli piezometrici a valle della diga, trasmessi dal consorzio al dottor Bottone con nota n. 1973 del 23 ottobre 2012.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CASTIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la TERNA spa è proprietaria della Rete elettrica nazionale ed anche titolare della concessione delle attività di trasmissione e dispacciamento dell'energia elettrica nel territorio nazionale;
   il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto n. 239/EL-77/146/2011, emanato il 21 giugno 2011 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 100 parte seconda del 30 agosto 2011, ha autorizzato in via definitiva la TERNA alla costruzione e l'esercizio dell'intervento denominato «Elettrodotto a 380 kV Benevento II-Foggia ed opere connesse», nei comuni di Benevento, Castelpoto, Pietrelcina, Paduli, San Giorgio la Molara, Buonalbergo, Ginestra degli Schiavoni, Castelfranco in Miscano, in provincia di Benevento, Casalbore, Montecalvo Irpino, Ariano Irpino, Greci, in provincia di Avellino e Faeto, Celle San Vito, Troia, Lucera e Foggia in provincia di Foggia;
   il nuovo elettrodotto induce campi elettrici e magnetici, questi ultimi classificati dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) nel gruppo 2B e che costituiscono, pertanto, possibile agente cancerogeno umano, con grado di pericolosità elevata per la salute dell'uomo, soprattutto se si tiene conto che le valutazioni di impatto sulla salute considerate per la concessione delle autorizzazioni di impatto ambientale non tengono nel dovuto conto della sommatoria di induzione elettromagnetica che i nuovi elettrodotti vanno a produrre in alcuni punti del tracciato, dove permangono altri elettrodotti che non verranno eliminati;
   il citato decreto autorizzativo stabilisce espressamente all'articolo 1 ultima alinea (pagina 11) «Il predetto progetto prevede, inoltre, la demolizione dell'esistente elettrodotto a 380 kV “Benevento II-Foggia” per complessivi km 78,2, nel tratto compreso tra la stazione elettrica Benevento II ed il sostegno n. 80 dell'elettrodotto “Candela-Foggia” come sopra richiamato non appena sarà entrato in esercizio il nuovo collegamento ....»;
   i lavori di costruzione del nuovo elettrodotto hanno avuto inizio nel luglio 2012;
   con avviso di TERNA affisso nei comuni interessati è stata data comunicazione dell'energizzazione 2014 del nuovo elettrodotto per il giorno 29 giugno 2014, cosa puntualmente avvenuta;
   l'attuale assetto dell'elettrodotto, però, è costituito fino alle porte del territorio di Benevento dalla nuova linea, mentre nel territorio comunale di Benevento, in particolare il tratto di collegamento delle nuova linea alla stazione elettrica denominata Benevento II, è costituito dall'attuale elettrodotto, di cui ne è previsto lo smantellamento, su cui si operato un potenziamento, venendosi così a configurare di fatto a giudizio dell'interrogante un assetto della infrastruttura elettrica diverso da quello autorizzato;
   il potenziamento della linea elettrica esistente atto a sopportare maggiori carichi elettrici, riflette conseguentemente maggiori valori dei campi elettrici e magnetici rispetto a quelli esistenti per cui, come si evince da notizie ripetutamente apparse sulla stampa e trasmesse da enti televisivi locali e nazionali, l'energizzazione della linea ha dato vita a forti proteste da parte di comitati spontanei di cittadini i quali ritengono che l'attuale assetto della linea sia pericoloso per la salute pubblica;
   l'articolo 4, comma 5 del decreto autorizzativo, stabilisce che prima della messa in esercizio la Terna deve fornire alle amministrazioni autorizzanti apposita certificazione attestante il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003;
   dei suddetti adempimenti TERNA deve fornire apposita dettagliata relazione;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede alla verifica della conformità delle opere al progetto autorizzato, sulla base delle vigenti normative di settore –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti indicati in premessa e se intendano intervenire con urgenza per salvaguardare la salute dei suoi cittadini, verificando, per quanto di competenza, la conformità del nuovo assetto dell'elettrodotto Benevento II-Foggia al decreto autorizzativo. (4-05543)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla conformità del nuovo assetto dell'elettrodotto Benevento II-Foggia al decreto autorizzativo, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero, nonché dagli enti territoriali, e dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Con decreto di valutazione di impatto ambientale n. 1429 del 27 ottobre 2009 è stato emesso giudizio di compatibilità ambientale positivo per il progetto indicato, subordinatamente al rispetto di una serie di prescrizioni, da ottemperarsi nelle varie fasi di esecuzione dell'opera: fase di progettazione esecutiva, fase di cantiere, fase di esercizio e fase di dismissione. Il medesimo decreto ha individuato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, la regione Campania, la regione Puglia, Agenzia regionale per la protezione ambientale Campania e Agenzia regionale per la protezione ambientale Puglia quali enti vigilanti per le diverse prescrizioni.
  Si evidenzia che, a seguito dell'emanazione dei provvedimenti di compatibilità ambientale, la competente direzione di questo dicastero svolge attività di controllo e verifica dell'ottemperanza solo delle prescrizioni impartite nei decreti di valutazione di impatto ambientale (VIA) di propria competenza, mentre un'altra parte delle verifiche è demandata agli altri soggetti coinvolti.
  In merito alle verifiche di ottemperanza poste in capo allo scrivente Ministero si comunica che, a seguito di istanza da parte di Terna Rete Italia S.p.A., è stato dato avvio all'istruttoria tecnica presso la commissione VIA/VAS, conclusasi con l'ottemperanza delle prescrizioni A) 1, A) 2 e A) 3.b., A) 10.
  In merito alle restanti prescrizioni e alle relative verifiche di ottemperanza, questo Ministero ha già provveduto a chiedere ai soggetti interessati di rendere noto lo stato di attuazione delle stesse. Allo stato, le verifiche sono ancora in corso di svolgimento e, non appena sarà conclusa l'attività istruttoria, gli esiti saranno comunicati a tutti i soggetti coinvolti al fine di definire un quadro completo ed esaustivo di tutte le prescrizioni impartite.
  Si riportano di seguito alcune informazioni fornite dalla società Terna S.p.A. nel corso delle istruttorie di verifica di ottemperanza svolte presso questo dicastero e relative allo stato di realizzazione degli interventi relativi e connessi al progetto di elettrodotto di cui trattasi.
  Con decreto n. 239/EL-77/146/2011 emanato il 21 giugno 2011, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha autorizzato l'intervento denominato «Elettrodotto 380kV Benevento II-Foggia ed opere connesse» comprendente, oltre alla realizzazione del nuovo elettrodotto a 380 kV, le demolizioni dell'esistente elettrodotto aereo a 380 kV Benevento 11-Foggia e, previo interramento, delle porzioni di due elettrodotti (Benevento 1.1-Folano e Benevento Il-Montefalcone) aerei 150kV ricadenti nel comune di Benevento.
  Tenendo conto delle altre iniziative presenti nel territorio legate alla raccolta di energia elettrica da produttori da fonti rinnovabili, alcune delle quali avrebbero comportato la realizzazione della stazione elettrica di Benevento 111, nel maggio 2012 la società Terna ha proposto al Comune di Benevento una serie di interventi volti a minimizzare gli impatti delle infrastrutture della Rete di trasmissione nazionale nell'area. In particolare, al fine di una migliore razionalizzazione delle opere, è stato definito un assetto di RTN che prevede la realizzazione di una nuova stazione elettrica 380/150 kV denominata «Benevento III» collegata in entra/esce al nuovo elettrodotto 380 kV Benevento II-Foggia, alla quale attestare i due elettrodotti 150kV Benevento Il-Foiano e Benevento II-Montefalcone ed evitare la loro ricostruzione con due terne miste aereo/cavo 150 kV, inizialmente previste come opere connesse nel decreto n. 239/E.1,77/146 del 2011.
  Secondo la società Terna tale nuovo assetto consentirà comunque la demolizione delle residuali parti di linee a 150 kV tra la nuova stazione elettrica Benevento III e la stazione elettrica Benevento II, per circa 20 chilometri totali, in aderenza a quanto sancito dal decreto di autorizzazione sopra richiamato. A tal proposito Terna ha avviato l’iter per la costruzione della futura stazione elettrica di Benevento III che, nel frattempo, è stata autorizzata ex decreto legislativo n. 387 del 2003 anche per la raccolta di produzione di energia da fonte rinnovabile. Con la realizzazione di tale asset sarà possibile intercettare le due linee aeree 150kV Benevento II-Foiano e Benevento II-Montefalcone rendendone possibile il loro smantellamento nel comune di Benevento (20 chilometri totali di terne di conduttore e relativi sostegni); grazie allo smantellamento delle due linee, potrà essere ultimata la tratta del nuovo elettrodotto 380kV fra le stazioni di Benevento II e Benevento III, come da decreto di autorizzazione n. 239/EL-77/146 del 2011 sopra richiamato.
  La stazione di Benevento III, autorizzata ai sensi del decreto legislativo n. 387 del 2003, è attualmente in fase di realizzazione. Una volta ultimata la realizzazione della nuova stazione, ed ottenuta l'autorizzazione alla realizzazione dei raccordi alla stessa delle due linee aeree 150kV Benevento II-Foiano e Benevento II-Montefalcone, sarà possibile procedere alla demolizione delle stesse linee e al completamento della costruzione della nuova linea 380kV nel territorio del comune di Benevento,
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 13 luglio 2015, n. 107, recante «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», aveva previsto la pubblicazione entro il 1° dicembre 2015, di un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali;
   la pubblicazione del bando di concorso è stata rimandata a data successiva all'adozione da parte del Governo del regolamento di revisione delle classi di concorso – di cui all'articolo 64 del decreto-legge n. 412 del 2008 – affinché lo stesso si svolgesse sulla base delle nuove indicazioni;
   il regolamento prevede una riduzione del numero della attuali classi di concorso da 168 a 118; tra le classi di concorso soppresse risulta esserci l'arte del mosaico, che non risulta tra le nuove arti della scuola superiore secondaria;
   le arti applicate risultano essere un fiore all'occhiello della produzione artistica italiana e cancellarle dall'insegnamento penalizza la trasmissione alle giovani generazioni di un bagaglio di conoscenze e competenze di fondamentale importanza per la continuità e lo sviluppo di una vocazione artistica fortemente radicata in specifici ambiti territoriali; per quanto riguarda l'insegnamento del mosaico, in particolar modo, l'ex Istituto d'arte per il mosaico di Ravenna, ora liceo artistico, si è distinto per rappresentare un'eccellenza nel panorama nazionale –:
   se non ritenga il Ministro di dover adottare le necessarie iniziative per reintrodurre la classe di concorso «mosaico», al fine di valorizzare questa materia nello specifico e, in generale, se intenda assumere iniziative finalizzate a sostenere l'esperienza che alcune realtà come quella di Ravenna per il mosaico, quella delle ceramiche di Faenza, quella del libro di Urbino, quella del design e dell'architettura per l'ambiente di Monza e Brianza, rappresentano, realtà che si sono distinte quali scuole di eccellenza, legate ad una specificità produttiva locale. (4-11893)

  Risposta. — Come è noto, si è recentemente conclusa la procedura per l'approvazione del nuovo regolamento di revisione delle classi di concorso, con il quale si è inteso semplificare le stesse e adeguarle al nuovo quadro ordinamentale.
  Per quanto riguarda il mosaico, si rappresenta che nell'ordinamento vigente non esiste un percorso specifico dedicato a tale materia: infatti, le sezioni in cui si insegna mosaico nell'istituto di Ravenna rientrano nell'indirizzo «Arti figurative arte del grafico pittorico». Di conseguenza non sarebbe stato possibile creare una classe di concorso specifica.
  I docenti che in futuro insegneranno, nell'indirizzo «Arti figurative-discipline grafiche, pittoriche e scenografiche» dovranno padroneggiare una pluralità di tecniche e di linguaggi, dalla tempera all'olio alle varie tecniche incisorie, dal mosaico al commesso e all'affresco, in modo da far sperimentare agli studenti una pluralità di esperienze e da sapersi adattare alle specificità territoriali.
  Diverso è il caso di altre materie, come «arte della ceramica» o «arte del libro», che corrispondono a specifiche curvature (o ambiti artistico-professionali) dell'indirizzo «Design» e per le quali sono state, quindi, previste classi di concorso dedicate: le future A03 e A04.
  È da tener conto che il liceo artistico (caso unico nell'istituzione liceale) presenta una pluralità di indirizzi e di sotto-indirizzi: esso è, infatti, articolato in sei indirizzi, tra cui «Arti figurative» suddiviso in 3 curricoli e «Design» caratterizzato da 8 curvature.
  Proprio il riconoscimento delle otto curvature dell'indirizzo «Design» dimostra la volontà di valorizzare le specificità produttive, i materiali e le lavorazioni dei diversi territori, che caratterizzano i vari settori del «made in Italy» e sono spesso legate a scuole di eccellenza.
  Il comma 181, lettera g), della legge n. 107 del 13 luglio 2015 prevede una serie di iniziative volte, tra l'altro, a sostenere la creatività connessa alla sfera estetica e a potenziare la formazione artistica.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   prossimamente sarà inaugurata la mega discarica di Corigliano d'Otranto (LE), posta sul più importante e ricco giacimento idrico potabile ipogeo del Salento, fonte di approvvigionamento idrico per l'80 per cento dei cittadini di Terra d'Otranto, come scritto nel piano di tutela delle acque, con oltre 30 pozzi di proprietà dell'Acquedotto pugliese;
   la nuova discarica sorge a pochi metri, separata da rocce di calcarenite, fortemente fratturate e soggette a importanti fenomeni di carsismo, da una vecchia ricolma di rifiuti tal quale, fatta chiudere dall'Acquedotto pugliese negli anni ’80 e mai bonificata che, durante gli scavi della nuova discarica, ha rilasciato percolato. La discarica si trova a monte dei pozzi Aqp, per cui la fuoriuscita di eventuali inquinanti dalla discarica potrebbe defluire proprio verso i pozzi dell'acquedotto;
   la legge regionale di tutela delle acque ha previsto un'apposita deroga che di fatto permette l'apertura della discarica sulla falda di Corigliano, quando invece dovrebbe solo applicare la norma nazionale, che invece prevede, nel testo unico sull'ambiente di cui al decreto legislativo n. 52 del 2006, in linea con la normativa europea, il divieto di apertura di discariche sulle falde acquifere;
   pare, a quel che consta all'interrogante, che l'unico studio idrogeologico su cui si sono basate tutte le autorizzazioni, compresa la valutazione d'impatto ambientale (Via), è stato commissionato dalla stessa ditta appaltatrice Ati Cogeam e non da università o da centri di ricerca, facendo di fatto mancare un momento di approfondimento scientifico certo in fase istruttoria;
   nel 2002, il Cnr-Irpi di Bari (Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica) ha affermato che, in relazione ai rischi di inquinamento per la falda acquifera l'impermeabilizzazione non è in genere sufficiente a scongiurare rischi di perdite fluide dalle discariche;
   il 25 marzo 2014, sul quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno viene pubblicata la dichiarazione dell'assessore Nicastro e dei dirigenti Antonicelli e Campobasso, i quali affermano di essere disponibili a far in modo che nella discarica in questione sia conferita solo la frazione secca, evitando la frazione organica, prescrizione che si può ritenere utile ma non determinante –:
   se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, attivarsi, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, per acquisire elementi sullo stato dei luoghi e sui possibili rischi per la salute dei cittadini pugliesi. (4-04204)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla discarica di Corigliano d'Otranto, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali interessati, si rappresenta quanto segue.
  La provincia di Lecce ha fornito elementi sull'iter amministrativo che ha portato all'individuazione e alla realizzazione della discarica per rifiuti non pericolosi in località masseria Scomunica nel comune di Corigliano d'Otranto, in adiacenza ad una preesistente discarica di rifiuti solidi urbani (RSU), chiusa nel 1995 ed autorizzata dalla regione Puglia.
  La prima indicazione per la realizzazione della nuova discarica di «servizio-soccorso» per l'ambito territoriale ottimale LE/2 e contenuta nel decreto n. 336 del 29 ottobre 2002 del commissario delegato per l'emergenza socio-economico-ambientale, presidente della regione Puglia. Tale decreto integra le previsioni del piano regionale di gestione dei rifiuti (approvato con decreto n. 41 del 6 marzo 2001 del commissario e modificato con successivo decreto n. 296 del 30 settembre 2002) che, nella sezione dedicata all'impiantistica a servizio dell'ambito LE/2, rinviava ad ulteriori approfondimenti per la realizzazione dell'impianto complesso di biostabilizzazione, con annessa discarica di servizio-soccorso.
  In seguito a tale localizzazione, il commissario delegato emanava il decreto n. 311 del 13 dicembre 2003 per l'affidamento del servizio di gestione degli impianti complessi del bacino LE/2 nel quale rientrava la discarica di Corigliano d'Otranto. L'appalto era aggiudicato all'ATI Co. Ge. Am. ed il relativo contratto sottoscritto il 3 agosto 2006.
  Con decreto n. 36 del 31 gennaio 2007 il commissario delegato approvava il progetto della discarica con la prescrizione di eseguire un approfondito studio idrogeologico in sede di progettazione esecutiva.
  Con d.g.r. n. 883 del 19 giugno 2007, la regione Puglia adottava il piano di tutela della acque che, nelle prime misure di salvaguardia per gli acquiferi, individua, tra l'altro, le zone di protezione speciale idrogeologica di tipo B2 nelle quali è vietata «l'apertura e l'esercizio di nuove discariche per rifiuti urbani non inserite nel Piano di rifiuti».
  Con successivo decreto n. 89 del 1o luglio 2008 il commissario delegato, stanti:
   l'intervenuta adozione del piano di tutela delle acque che individua l'area di Corigliano come zona di protezione speciale idrogeologica;
   gli esiti dello studio idrogeologico condotto dal concessionario;
   gli esiti degli incontri con le autorità competenti presso la struttura commissariale e presso la prefettura di Lecce;
  approvava una variante migliorativa al progetto originario prevedendo l'utilizzo della discarica solo con funzioni di «servizio», escludendo quindi la funzione di «soccorso» e quindi con l'esclusivo conferimento di rifiuti con un grado più spinto di biostabilizzazione.
  Con delibera n. 230 del 20 ottobre 2009, il consiglio regionale approvava in via definitiva il piano di tutela delle acque confermando per le zone di protezione idrogeologica di tipo B2 le misure di salvaguardia precedenti. Il concessionario, nel corso dei lavori di realizzazione della discarica, ubicata in adiacenza alla preesistente utilizzata in passato dal Comune di Corigliano d'Otranto e gestita dalla Monteco s.r.l., rilevata la presenza di percolato proveniente dal vecchio catino, provvedeva a realizzare, come primo intervento di messa in sicurezza, una trincea di captazione.
  Per ridurre i rischi di potenziale contaminazione delle acque di falda e dei terreni causati da tale percolazione, la regione Puglia, previa conferenza di servizi, approvava con d.d. n. 50 del 14 giugno 2011 il progetto di messa in sicurezza permanente (MISP) della discarica preesistente ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. L'esecuzione di tali lavori di MISP era affidata con decreto n. 48 del 25 luglio 2012 del commissario.
  Ad oggi, pur essendo conclusi i lavori per la realizzazione della nuova discarica, l'impianto non è ancora entrato in esercizio.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'INCÀ, ROSTELLATO, BUSINAROLO, SPESSOTTO, COZZOLINO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 12 e 13 giugno 2011 con l'approvazione, a larga maggioranza, dei referendum per l'acqua bene comune le italiane e gli italiani hanno espresso chiaramente, con il proprio voto, la volontà di sottrarre la gestione dell'acqua e tutti i servizi pubblici a logiche di mercato e di profitto e di mantenerla sotto il controllo pubblico;
   l'indirizzo del Governo però, sottolineato di recente ed in diverse occasioni, esprime la necessità di mettere in campo realtà di valore nazionale nel settore delle aziende multiutilities e delle società partecipate;
   tale processo potrebbe subire una netta accelerazione a causa delle intenzioni del Governo, volte a facilitare le aggregazioni delle ex municipalizzate attraverso incentivi per quegli enti che dismettono quote, consentendo l'utilizzo dei proventi delle vendite delle partecipazioni al di fuori del patto di stabilità. Ciò indurrebbe gli enti locali a vendere, o svendere, le proprie azioni consegnando, o regalando, quote anche di maggioranza ai privati in cambio della possibilità di spendere per il comune il ricavato;
   l'indirizzo annunciato dal Governo è condiviso da alcuni sindaci di importanti capoluoghi di regione del nord tra cui Fassino e Pisapia, che stante le dichiarazioni su vari organi di stampa, prefigurano la nascita della cosiddetta «multiutility del nord» fusione tra A2A, la società dei servizi che opera in Lombardia detenuta a maggioranza dai comuni di Milano e Brescia, e Iren, definendola un «obiettivo strategico» per far crescere e sviluppare delle forme di cooperazione e di alleanza. Tale progetto contribuirebbe a rafforzare ancora di più grandi società come A2A e Iren che dovranno avere sempre di più avere la forza e la capacità di una presenza sul mercato nazionale e internazionale, prefigurandone inoltre la necessità della quotazione in borsa;
   infatti Piero Fassino attuale sindaco di Torino e anche presidente dell'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani, quando parla di società partecipate dagli enti locali dice, – in un'intervista al quotidiano La Stampa, di fine agosto – è, che per lui la strada è quella della Borsa, perché «solo così le si costringerà a razionalizzarsi e a ristrutturarsi per presentarsi con i conti in ordine e, una volta quotate, attingere dal mercato quei capitali che servono loro per la propria attività»;
   l'innesco di un tale processo, mediante l'apertura al mercato dei capitali, porterebbe ad una finanziarizzazione sempre più spinta della società che gestiscono servizi pubblici locali, che sarebbero esposte ai rischi e alle regole del mercato e all'ingresso dei privati nella gestione delle stesse, contravvenendo così all'esito della consultazione referendaria del 2011;
   per contro anche i risultati della gestione di alcune società partecipate totalmente dagli enti territoriali presentano della criticità importanti, così come riportato dall'indagine sui risultati della gestione delle società partecipate dagli enti territoriali svolto dalla Corte dei conti, a livello centrale e territoriale, per la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio degli enti proprietari. L'indagine svolta dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti ha esaminato gli organismi censiti nella banca dati SIQUEL della Corte dei conti nei loro dati di bilancio, che sono posti in relazione con i flussi finanziari erogati dai soggetti pubblici partecipanti e/o controllanti. La gestione finanziaria dimostra una netta prevalenza dei debiti sui crediti, in tutti gli organismi oggetto della indagine;
   a titolo di esempio, la regione Veneto ha dato attuazione alla normativa nazionale sul servizio idrico integrato individuando otto ambiti territoriali ottimali ed un nono ambito, l'ATO Lemene, di carattere interregionale (legge regionale 27 marzo 1998, n. 5 sostituita dalla legge regionale 27 aprile 2012, n. 17);
   la gestione diretta del servizio idrico integrato, nei comuni che compongono l'ATO Alto Veneto nella provincia di Belluno, è affidato dal 1° gennaio 2004 alla società BIM GSP di Belluno. Partecipano al capitale sociale, in quote paritetiche, i 67 comuni della provincia di Belluno appartenenti al Bacino imbrifero montano del Piave. Il capitale sociale è interamente composto da n. 4.020 azioni ordinarie, del valore nominale unitario di euro 500;
   dall'ultimo bilancio societario depositato, l'ente BIM GSP di Belluno risulta avere al 31 dicembre 2012 un debito di circa 89 milioni di euro nei confronti di banche e fornitori, dovuto ad errate valutazioni sui quantitativi di acqua consumata che hanno portato alla redazione di piani industriali sbagliati;
   tale situazione emerge pubblicamente nel 2011, quando BIM GSP rinvia l'approvazione del bilancio poiché «ha un'esposizione di 50 milioni di euro dei quali pressoché nessun amministratore locale era a conoscenza»;
   con l'approvazione da parte di AEEG (delibera n. 506/2013/R/idr del 07/11/2013) del Piano Tariffario 2012-2013 e relativo Piano Economico Finanziario, BIM GSP ha incrementato del 29,4 per cento gli importi unitari del piano tariffario 2013, richiedendo retroattivamente in bolletta il conguaglio 2013, oltre ad applicare l'anticipo sui consumi futuri, a partire dal 1° gennaio 2014. Questo per «coprire integralmente i costi di gestione e recuperare i costi sostenuti dal gestore per investimenti e servizi già effettuati in assenza di adeguata tariffa (da comunicazione di BIM GSP in bolletta);
   moltissime utenze, soprattutto attività alberghiere, si sono viste recapitare bollette con importi anche doppi rispetto gli anni precedenti –:
   se e come intendano orientare le scelte di politica economica generale, nell'ambito dei settori delicati della gestione dei servizi pubblici locali;
   se non ritengano opportuno valutare con attenzione le criticità emerse rispetto alla creazione di grandi società partecipate operanti nel settore delle public utilities in considerazione del sempre più diffuso aumento delle tariffe;
   se, in generale ed a tutela degli utenti, non intendano assumere un'iniziativa normativa che imponga che oggetto del pagamento dei servizi idrico, elettrico e del gas possano essere solo consumi effettivi e non consumi stimati o presunti al fine di evitare situazioni di potenziale abuso che, come nel caso descritto in premessa, appaiono gravemente pregiudizievoli per i cittadini. (4-06780)

  Risposta.— Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Come noto, con il primo quesito del referendum del 2011 è stato abrogato l'articolo 23-bis del decreto legge 112 del 2008, convertito dalla legge 133 del 2008, che, in materia di servizi pubblici locali qualificava l'affidamento diretto in house a società pubbliche come un'eccezione rispetto alle due modalità ordinarie di affidamento: procedura competitiva ad evidenza pubblica e società mista con selezione del socio privato con procedura competitiva ad evidenza pubblica.
  Successivamente, con sentenza n. 199 del 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, anche esso riguardante la disciplina dell'affidamento e della gestione dei servizi pubblici locali. Si ricorda, in ogni modo, che tale ultima norma non impattava sul servizio idrico essendone espressamente prevista l'esclusione dal campo di applicazione.
  Tale pronuncia di incostituzionalità del citato articolo 4 ha, tuttavia, contribuito a chiarire che «dall'abrogazione referendaria non deriva, in tema di regole concorrenziali relative ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, né una lacuna normativa incolmabile, né l'applicazione di una normativa contrastante con il suddetto assetto concorrenziale minimo inderogabilmente richiesto dall'ordinamento comunitario».
  In conseguenza dell'abrogazione dell'articolo 23-
bis (primo quesito), il riferimento generale per la scelta delle modalità di affidamento risulta costituito dalla disciplina e giurisprudenza europea (direttamente applicabile), nonché dalle norme settoriali vigenti.
  L'applicazione della regolazione europea in tema di affidamenti ha reso possibili tre modalità di affidamento:
   a) esternalizzazione a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica, secondo le disposizioni in materia di appalti e concessioni di servizi;
   b) società mista pubblico-privata, la cui selezione del socio privato avvenga mediante procedura di selezione pubblica avente ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio (gara cosiddetta a doppio oggetto), che tali compiti operativi siano svolti per l'intera durata del servizio e che nel bando vengano previsti criteri e modalità di liquidazione della quota del socio privato alla scadenza della gestione;
   c) gestione cosiddetta in house providing, purché sussistano i requisiti previsti dall'ordinamento comunitario e la società rispetti i vincoli normativi vigenti e cioè:
    totale partecipazione pubblica;
    esercizio da parte dell'ente affidante di un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi;
    prevalenza dell'attività a favore dell'ente affidante.

  A tale riguardo è stato chiarito che:
   «Venuto meno l'articolo 23-
bis del decreto-legge n. 112 del 2008 per scelta referendaria, e dunque venuto meno il criterio prioritario dell'affidamento sul mercato dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e l'assoluta eccezionalità del modello in house, la scelta dell'ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare l'opzione tra modello in house e ricorso al mercato, deve basarsi sui consueti parametri di esercizio delle scelte discrezionali, vale a dire:
    valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti;
    individuazione del modello più efficiente ed economico;
    adeguata istruttoria e motivazione.

  Trattandosi di scelta discrezionale, la stessa è sindacabile se appaia priva di istruttoria e motivazione, – viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale.» (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza dell'11 febbraio 2013 n. 762).
  Alla data di presentazione dell'interrogazione in esame il 6 novembre 2014, era già vigente la disciplina di raccordo con la normativa comunitaria contenuta nell'articolo 34, comma 20, del decreto-legge n. 179 del 2012 secondo cui: «Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito
internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste».
  Alla luce di quanto appena esposto, è possibile affermare che il referendum abrogativo del 2011 non ha prodotto alcuna sottrazione della «gestione dell'acqua e di tutti i servizi pubblici» dalle logiche di mercato ma si è semplicemente concretizzata, secondo la giurisprudenza, l'equiparazione delle diverse modalità di affidamento del servizio (procedura ad evidenza pubblica, società mista con selezione del socio privato mediante procedura ad evidenza pubblica e affidamento diretto in house), con la conseguenza che l'ente affidante, prima di procedere all'affidamento, è tenuto a predisporre una relazione all'interno della quale devono essere indicate le motivazioni a sostegno della modalità di gestione scelta e la dimostrazione del rispetto della normativa comunitaria.
  Per effetto del secondo quesito del referendum del 2011 sono state espunte dal testo del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo 152 del 2006 le parole «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito».
  Si sottolinea che l'abrogazione della remunerazione del capitale investito tra i criteri per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato riguarda l'abolizione della predeterminazione fissa della remunerazione del capitale (7 per cento) e non fa venire meno il principio europeo della full cost recovery, in base al quale la tariffa deve tendere alla copertura dei costi, incluso il costo degli investimenti.
  Tale principio europeo è stato ribadito dalla decisione del TAR della Lombardia (sentenze 779 e 780, del 26 marzo 2014), nei giudizi promossi dalle associazioni di categoria nei confronti dell'AEEGSI, autorità indipendente di settore, per l'applicazione del metodo tariffario transitorio.
  Secondo il giudice amministrativo, il servizio idrico integrato deve essere qualificato come servizio di interesse economico (Corte Costituzionale n. 325 del 2000), caratterizzato, quanto ai profili tariffari, dalla necessità della copertura integrale dei costi (full cost recovery).
  Secondo il Tar della Lombardia, dunque, risulta coerente con l'assetto normativo vigente la decisione dell'Aeeg di riconoscere nella tariffa «costi finanziari» ed «oneri fiscali connessi agli investimenti e alla gestione del servizio».
  Il Tar evidenzia, inoltre, che la «gestione esclusivamente pubblica» del servizio idrico non può intendersi realizzata per effetto del referendum abrogativo ma richiede, invece, uno specifico intervento legislativo.
  Le considerazioni presenti nell'interrogazione in esame appaiono superate ed anacronistiche rispetto ai recenti interventi normativi relativi al settore dei servizi pubblici locali.
  L'intervento legislativo più rilevante in tema di partecipazioni pubbliche, avvenuto di recente è quello contenuto nella legge 190 del 2014, cosiddetta legge di stabilità per il 2015, che all'articolo 1, comma 611, dispone: «Fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, commi da 27 a 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e dall'articolo 1, comma 569, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e successive modificazioni, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali, a decorrere dal 1o gennaio 2015, avviano un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015, anche tenendo conto dei seguenti criteri:
   a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione;
   b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
   c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;
   d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
   e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni».

  Come si evince chiaramente dalla disposizione normativa, l'interesse pubblico perseguito dal legislatore è il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato.
  Inoltre, tra i decreti attuativi della riforma della pubblica amministrazione emergono delle novità per il settore dei servizi pubblici che andrebbero nella direzione di una apertura al mercato negli affidamenti.
  Il testo unico sui servizi pubblici locali, ad oggi in attesa di approvazione definitiva, punterebbe ad aprire spazi al mercato, ponendo una serie di vincoli alla possibilità di affidamenti in house.
  In pratica, si recepiscono integralmente le regole europee e si prevede che l'affidamento diretto sia possibile solo con delibera che attesti l'assenza di condizioni per il ricorso al mercato o il carattere vantaggioso, in termini di efficienza e accesso universale ai servizi, del ricorso all'in house. Anche gli affidamenti attuali, entro sei mesi, andranno sottoposti alla stessa verifica; se l'amministrazione proprietaria non rispetterà i tempi, è prevista la decadenza automatica dell'affidamento.
  Infine, in relazione all'interrogazione parlamentare in esame, rispetto al gestore BIM GSP, si offrono i seguenti elementi di analisi.
  Il gestore BIM GSP è la società che gestisce, in provincia di Belluno, il servizio idrico integrato (acquedotto – fognatura e depurazione); è una società interamente pubblica partecipata da 65 (su 67) comuni della provincia. L'affidamento in house della gestione del servizio idrico integrato è stato conferito nel dicembre del 2003 dai 65 comuni bellunesi appartenenti all'Ambito territoriale ottimale Alto Veneto.
  Con la deliberazione 585/2012/R/IDR l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico (Aeegsi) ha approvato il metodo tariffario transitorio per gli anni 2012- 2013.
  Per quanto concerne il tema dei conguagli per le annualità precedenti al trasferimento all'Autorità delle funzioni di regolazione del settore, il comma 34.1 dell'Allegato A alla suddetta delibera prevede la possibilità, per gli enti d'ambito, di inserire il valore corrispondente al saldo conguagli e penalizzazioni (nella componente COaltri) a copertura degli altri costi operativi.
  Si evidenzia che, nella delibera dell'Aeegsi del 7 novembre 2013 506/2013/R/idr, con cui l'Autorità ha approvato la tariffa, per gli anni 2012 e 2013, ed il correlato Piano economico-finanziario proposto dal Consiglio di Bacino «Dolomiti Bellunesi» per il gestore BIM GSP, emerge che il Consiglio di bacino "Dolomiti Bellunesi", nell'ambito della propria predisposizione tariffaria, ha proposto, per ragioni di trasparenza nei confronti dell'utenza, di scorporare e trattare separatamente il tema dei conguagli pregressi rispetto alla componente di costo di cui al citato comma 34.1 della deliberazione 585/2012/R/IDR, non avvalendosi della facoltà ivi prevista.
  Inoltre, con delibera 16 ottobre 2014/503/2014/R/idr, l'Autorità ha approvato la tariffa, per gli anni 2014 e 2015 ed il correlato piano economico-finanziario proposto dal Consiglio di bacino «Dolomiti Bellunesi» per il gestore BIM GSP. Nell'ambito di questa delibera emerge che l'Ente d'ambito ha evidenziato di aver operato l'azzeramento dei conguagli riferiti alle annualità 2012 e 2013, precisando che «il Gestore, avendo verificato prioritariamente la salvaguardia del principio della copertura integrale dei costi (full cost recovery), della qualità del servizio erogato e del mantenimento dell'entità degli investimenti realizzabili (...), [ha dichiarato] di non avvalersi della facoltà di inserire i conguagli per gli anni 2012 e 2013 formulando espresso atto di rinuncia degli stessi».
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGianclaudio Bressa.


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è indubbio che sia nell'interesse generale la riconversione di una quota sempre maggiore di produzione di energia elettrica, da fonti fossili a fonti rinnovabili e, in particolare, «pulite», in cui rientra certamente l'idroelettrico. È necessaria tuttavia una strategia e programmazione a livello nazionale e regionale riguardo all'ambiente, alla salute, alla sicurezza pubblica, all'approvvigionamento energetico, per soppesare il bilancio complessivo tra i benefici generali ed i danni che ne possono derivare;
   ben il 90 per cento dei corsi d'acqua che compongono il tratto alpino del bacino del fiume Piave è attualmente caratterizzato da impianti e derivazioni realizzati a fini di produzione di energia idroelettrica, e molti altri progetti sono in fase di approvazione. Trattasi di aree connotate da elevata naturalità e da scarse/assenti pressioni antropiche, per larga parte tutelate all'interno della rete Natura 2000 quali siti di importanza comunitaria (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS) ai sensi delle direttive habitat (92/43/CEE) e uccelli (2009/147/CE). A causa delle opere in questione numerosi corsi d'acqua sono stati compromessi o addirittura sostanzialmente prosciugati;
   anche l'Adige, nel suo tratto basso veronese è ora interessato dalla realizzazione di 4 progetti di derivazione, posti a circa 30 chilometri l'uno dall'altro: Pescantina (circa 3 megawatt di potenza), San Giovanni Lupatoto e Belfiore (della potenza complessiva installata di 3,778 megawatt), Badia Polesine (con potenza nominale di circa 8 megawatt e potenza massima di circa 11 megawatt). I primi 3 sono in fase di iter avanzato o in fase di realizzazione, mentre l’iter autorizzativo per Badia Polesine è all'inizio;
   l'articolo 1 della direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) impone agli Stati membri il miglioramento, o almeno la conservazione, della qualità dei corpi idrici;
   in base a quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea la valutazione dell'impatto cumulativo è imprescindibile (cfr., ex multis, la sentenza 28 febbraio 2008, sezione II, causa C2/07, e la sentenza 25 luglio 2008, sezione III, causa C142/07);
   le procedure finalizzate all'autorizzazione alla costruzione ed esercizio di impianti idroelettrici sono disciplinate dalle disposizioni contenute nel regio decreto n. 1775 del 1933 «T.U. sulle acque pubbliche», ai fini dell'ottenimento dei rilascio della concessione di derivazione d'acqua pubblica e dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 «Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità» per l'autorizzazione unica alla costruzione e all'esercizio dell'impianto e delle opere connesse. In attuazione dell'articolo 12, del citato decreto legislativo n. 387 del 2003, sono state approvate con il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 le «Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», che hanno previsto l'adeguamento delle discipline regionali in materia entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. L'entrata in vigore del decreto legislativo n. 28 del 2011 ha ridotto il termine massimo per la conclusione del procedimento unico. Alla luce della recente riforma attuata con il decreto ministeriale 6 luglio 2012 (articolo 10) e con le conseguenti «procedure applicative» emanate dal Gestore servizi energetici, per gli impianti idroelettrici, possono richiedere l'iscrizione al registro per gli incentivi i soggetti in possesso del titolo concessorio alla derivazione;
   la delibera di giunta regionale Veneto n. 694 del 14 maggio 2013 aggiorna le procedure per il rilascio sia della concessione di derivazione di acqua pubblica – a prescindere dal suo utilizzo – sia dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti idroelettrici, con capacità di generazione pari o superiore a 100 kW. Ai fini di agevolare l'accesso al registro per gli incentivi, la prima fase si conclude con il rilascio del provvedimento concessorio sulla derivazione d'acqua e sulla base di questo si attiva la seconda fase relativa all'autorizzazione;
   il comitato bellunese «Acqua Bene Comune» ha commissionato alla società di consulenza ambientale Terra S.r.l. di San Donà di Piave (VE) una relazione dal titolo «Lo sfruttamento idroelettrico in provincia di Belluno» del marzo 2013, asseverata da giuramento, che è stata allegata alla denuncia alla Commissione europea nel giugno del 2013;
   nella relazione emerge che il susseguirsi di provvedimenti statali, regionali e provinciali, promananti dall'autorità del bacino dei fiumi dell'Alto Adriatico, sono stati emanati in violazione della normativa dell'Unione europea: si ravvisano per esempio plurime violazioni della direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) nell'ambito del Piano di gestione dei bacini idrografici delle Alpi Orientali. Il censimento dei corpi idrici e delle relative «condizioni di riferimento» (condizioni idromorfologiche e fisico chimiche nonché biologiche) risulta infatti incompleto, sommario e superficiale. Risulterebbe inoltre non pienamente rispettata da parte delle autorità la direttiva 2011/92/UE sulla valutazione dell'impatto ambientale (VIA), con l'esclusione di qualsiasi valutazione per i progetti ritenuti minori e, quanto alla generalità dei progetti, nel caso in cui gli stessi soddisfino sulla carta determinati parametri senza tenere conto né della loro ubicazione (in violazione dell'articolo 2), né del loro rilevante impatto cumulativo. Vengono altresì sollevate obiezioni circa il rispetto della direttiva 2001/42/CE sulla valutazione ambientale strategica (VAS), in particolare alla luce del fatto che l'autorità competente per la VAS del Piano di tutela delle acque della Regione Veneto (piano attuativo del succitato piano di gestione) risulta essere sostanzialmente la stessa che ha elaborato e approvato il medesimo, nonché della direttiva Habitat, con valutazioni di incidenza ambientale sui progetti — VINCA — gravemente lacunose (fonte: interrogazione eurodeputato Andrea Zanoni dell'8 luglio 2013 n. E-008111-13);
   la ditta Lagarina Hydro srl con sede in Limena (PD) via L. Pierobon 46, ha presentato alla sezione di Rovigo del bacino ideografico Adige Po istanza di concessione per derivazione di mod. medi 1.532,29 di acqua pubblica dal fiume Adige in località La Rosta nel comune di BADIA POLESINE per uso idroelettrico (BUR n. 18 del 20 febbraio 2015). Il progetto è stato depositato dal 21 aprile 2015 al 21 maggio 2015 – per le eventuali osservazioni da parte di amministrazioni, cittadinanza ed associazioni – solo nei due comuni di Badia Polesine e Terrazzo, senza procedere preventivamente ad audizioni pubbliche, come previsto dalla legge e dalla convenzione di Aharus sottoscritta anche dall'Italia;
   il progetto di sbarramento del fiume Adige è posizionato più a valle rispetto a quelli di Pescantina, San Giovanni Lupatoto e Belfiore e gli effetti cumulativi dei progetti, per le loro conseguenze soprattutto a valle, si estendono su 4 province (Verona, Rovigo, Padova e Venezia) per un bacino di 500 mila abitanti, che sono stati tenuti all'oscuro di tutto: durante la fase istruttoria sono stati ignorati non solo privati, associazioni di categoria e stakeholders, ma anche gli enti e le istituzioni che sono deputati al presidio del territorio e senza tener conto che il fiume Adige viene utilizzato a scopi potabili da moltissimi comuni polesani, anche non rivieraschi, tramite la rete dell'acquedotto Polesine Acque;
   l'eventuale realizzazione dell'Opera avrebbe conseguenze su: assetto territoriale e modifica degli habitat naturali; sicurezza idraulica; possibili ripercussioni negative sulla stabilità degli argini a monte della traversa; qualità delle acque e della conservazione della biocenosi; naturale trasporto solido fluviale con ripercussioni a valle particolarmente gravose per l'incremento del tasso di erosione degli argini posti a valle e con ripercussioni sui naturali processi di ripascimento litoranei; aumento della risalita del cuneo salino; aumento delle difficoltà di approvvigionamento delle acque potabili nei periodi di magra del fiume e maggiori costi per la potabilizzazione sia per l'uso maggiore di pompe di sollevamento sia nel caso di modifica dei carichi inquinanti; aumento costi derivazione delle acque a scopi irrigui per l'agricoltura posti a valle della traversa;
   il tratto di fiume interessato, incluso nella Rete Natura 2000, è identificato come IT 3210042 fiume Adige tra Verona Est e Badia Polesine ed è soggetto alle disposizioni del Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare e come tale è soggetto alla tutela del testo unico 42-2004 sulla conservazione dei beni culturali e il paesaggio. Le suddette misure di protezione sono state emesse a causa della sua rilevante bellezza paesaggistica e per la presenza di numerose emergenze naturalistiche incluse nelle direttive europee 79-409 CEE (Uccelli) e 92-43 CEE (habitat) finalizzate a salvaguardare specie di uccelli e ambienti naturali compromessi a causa dell'intervento umano o per altre cause;
   la società Lagarina Hydro srl con sede legale a Limena (PD), in via Pierobon 46, da visura camerale risulta costituita il 16 luglio 2014 ed ha un capitale sociale di 10 mila euro. Amministratore unico è Alessandro Stefanello e la società è formata da ETAV srl, socio al 51 per cento con sede a Arborea (OR) località Masangionis snc e dalla H2O e Partner, socio al 49 per cento con sede a Grezzana (Verona) via Roma 68. La Lagarina Hydro srl risulta legata alla Intercantieri Vittadello SPA, con la quale condivide anche sede e indirizzo telefonico. La Vittadello spa è società legata al Consorzio Venezia Nuova (scandalo Mose), e risulta coinvolta indirettamente negli scandali di mafia capitale tramite Riccardo Mancini (Mancini detiene il 40 per cento della Terni Scarl, società con sede a Limena in via Pierobon 46, specializzata nel trattamento dei rifiuti – la cui attività è cessata il 10 novembre 2014 – e il 10 per cento, della Bellolampo Scarl di proprietà della Intercantieri Vittadello Spa con sede a Limena in via Pierobon 46 per il 65 per cento, di Torricelli Srl con sede a Forlì in via Masetti 11/L per il 15 per cento e di Loto Impianti Srl con sede a Siracusa via Arsenale 44/46 per il 10 per cento). Fonte: Mattino di Padova del 12 dicembre 2014 –:
   se siano a conoscenza dei fatti suesposti e quali azioni intendano intraprendere, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, per garantire il controllo dello sfruttamento dei fiumi per produzione elettrica, alla luce delle violazioni in tema ambientale segnalate e alle esigenze primarie dell'uso dell'acqua a scopi potabili e irrigui;
   se non ritengano opportuno  assumere iniziative normative per rendere obbligatorio il dibattito pubblico già dalla fase di proposta iniziale (modello francese) e non ad iter avviato, per progetti sia privati che pubblici che riguardino opere di impatto sul territorio;
   se ritengano opportuno assumere iniziative dirette a rivedere la normativa di riferimento per la concessione di derivazione delle acque a scopi energetici, provvedendo ad una sostanziale riforma della normativa in materia, per coniugare la necessità di produzione energetica con la tutela ambientale e la conservazione della qualità delle acque, sempre tenendone in considerazione l'uso primario (scopi umani e irrigui), anche in considerazione del fatto che il combinato delle norme sulla semplificazione burocratica e della anticipazione dell'autorizzazione alla derivazione, di fatto ad oggi consente di autorizzare progetti impattanti e meramente speculativi, prima che sia stato presentato uno studio di incidenza ambientale VINCA (e/o di impatto ambientale VIA) sul progetto vero e proprio;
   se intendano assumere iniziative normative per evitare che società coinvolte negli scandali dei grandi appalti spesso sottocapitalizzate e costituite ad hoc, mediante il fenomeno della costruzione delle cosiddette «scatole cinesi», possano proporre progetti di forte impatto ambientale e con benefici dubbi per la collettività. (4-09824)

  Risposta.Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale di questo dicastero, si rappresenta quanto segue.
  In ordine alla questione delle azioni da intraprendere per il controllo dello sfruttamento dei fiumi per produzione elettrica, al fine di garantire le esigenze primarie dell'uso dell'acqua a scopi potabili e irrigui, in relazione al progetto citato dall'interrogante, si evidenzia che con decreto del dirigente del settore genio civile Rovigo n. 151 del 6 novembre 2015 (B.U.R. Veneto n. 111 del 24 novembre 2015) è stata rigettata la domanda presentata dalla società Lagarina Hydro S.r.L intesa ad ottenere il diritto di derivare dal fiume Adige, moduli massimi 2100,00 e medi 1532,299 di acqua pubblica ad uso idroelettrico, per produrre la potenza nominale media di kW 8039,52 a mezzo di un impianto da realizzarsi nel tratto di fiume che costituisce confine fra le province di Rovigo (località Rosta del Comune di Badia Polesine) e Verona (Comune di Terrazzo). Si segnala che, tra le motivazioni del rigetto, è elencata la circostanza che l'opera risulta «...contraria al buon regime delle acque e ad altri interessi generali quali la gestione del demanio idrico e le necessità di uso potabile della risorsa, nonché agli interessi preordinati di terzi...».
  Tra le motivazioni del rigetto sono altresì indicate le numerose opposizioni avanzate dal territorio su aspetti relativi alla tutela ambientale e alla corretta gestione delle acque, nonché le criticità sollevate dall'autorità di bacino del fiume Adige e dal parere negativo espresso dalla sezione bacino idrografico Adige-Po, sezioni riunite di Rovigo e Verona, per problematiche di carattere idrogeologico, idraulico, idrologico.
  Il diniego della concessione di derivazione è pertanto basato su motivazioni di carattere prettamente ambientale, con lo scopo di salvaguardare la risorsa idrica ed i suoi usi in base ai criteri stabiliti dall'articolo 96 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che ha modificato il regio decreto n. 1775 del 1933 in materia di concessione di derivazioni idriche.
  In relazione all'opportunità di assumere iniziative normative per rendere obbligatorio il dibattito pubblico già dalla fase di proposta iniziale, e non ad iter avviato, per progetti sia privati che pubblici che riguardino opere di impatto sul territorio, si rappresenta che la vigente normativa nazionale sulla valutazione di impatto ambientale (VIA), contenuta nella parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, ha recepito la normativa comunitaria in materia di valutazione di impatto ambientale (85/337/CEE, come modificata dalle direttive 97/11/CE e 2003/35/CE) e prevede che la consultazione pubblica sia avviata contestualmente alla presentazione dell'istanza di VIA, quindi all'inizio dell’iter procedurale, al fine di consentire un'adeguata partecipazione del pubblico ai processi decisionali. Tali modalità sono confermate altresì dalla nuova direttiva VIA 2014/52/UE che sarà recepita dall'Italia entro il 16 marzo 2017.
  In merito all'opportunità di assumere iniziative dirette a rivedere la normativa di riferimento per la concessione di derivazione delle acque a scopi energetici, per coniugare la necessità di produzione energetica con la tutela ambientale e la conservazione della qualità delle acque, anche in considerazione del fatto che le attuali norme consentono di autorizzare progetti impattanti prima che sia stato presentato uno studio di valutazione di incidenza ambientale (VINCA) o di impatto ambientale (VIA) sul progetto, si segnala che gli impianti per l'utilizzo delle acque superficiali a scopo energetico (impianti per la produzione di energia idroelettrica con potenza nominale di concessione superiore a 100 kW) sono soggetti a procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA di competenza delle regioni e province autonome (allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo 152 del 2006) nell'ambito dell'autorizzazione unica ai sensi del decreto legislativo 387 del 2003. Pertanto, contestualmente all'avvio del procedimento per il rilascio della concessione, il richiedente è tenuto ad attivare gli adempimenti concernenti l'espletamento della procedura di VIA, o di verifica di assoggettabilità alla VIA, integrate con la valutazione di incidenza ambientale (VINCA), qualora prevista in presenza di potenziali effetti sui siti della Rete natura 2000.
  Ad ogni modo, si fa presente che questo ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare eventuali criticità operative che dovessero emergere.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 13 gennaio 2015 il Ministro dell'interno a margine di un intervento nel corso dei lavori della Commissione antimafia della Assemblea regionale siciliana ha dichiarato che sul totale di 14.243 registrati presso i centri di accoglienza in Italia sarebbero 3.707 i minori di fatto scomparsi;
   il dato già di per sé preoccupante dimostra una evidente inadeguatezza nell'attuale sistema di accoglienza e di tutela dei minori stranieri non accompagnati;
   sebbene a detta dello stesso Ministro, i minori stranieri «spesso hanno in tasca il numero di un parente o di un amico da raggiungere [...]. Insomma, chi scompare non finisce per forza nei canali dello sfruttamento», questo fenomeno rappresenta comunque un elemento critico per le ovvie implicazioni in termini di sicurezza e salute pubblica. Implicazioni per le quali le autorità competenti, in primo luogo il Ministero dell'interno, sarebbero direttamente responsabili;
   le medesime implicazioni riguarderebbero in prima battuta la potenziale portata criminogena, laddove i minori sarebbero sfruttati per il lavoro nero, accattonaggio, prostituzione e furti. Altresì, in via generale i minori stranieri fuori dalla tutela dello Stato rischiano di andare ad arricchire la già vasta area di disagio sociale ed economico che di fatto rappresenta il substrato da cui la criminalità organizzata e le organizzazioni terroristiche attingono risorse umane –:
   come il Ministro intenda intervenire per ridurre l'emorragia di minori stranieri dai centri di accoglienza contribuendo così alla prevenzione e alla lotta della criminalità organizzata e alle organizzazioni terroristiche. (4-07937)

  Risposta. — L'interrogazione in esame verte sul fenomeno della scomparsa dei minori stranieri non accompagnati dalle strutture di accoglienza e sulla conseguente necessità di attivare strategie di intervento volte ad evitare che essi diventino vittime della tratta e dello sfruttamento.
  Al riguarda, si rappresenta che effettivamente il fenomeno – secondo i dati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – registra un trend in crescita, di pari passo – d'altra parte – con l'aumento degli arrivi in Italia di tale categoria di stranieri.
  I minori resisi irreperibili sono stati 1.754 nel 2012, 2.142 nel 2013, 3.707 nel 2014 e 6.135 alla fine dello scorso anno.
  A fronte di questi numeri, si assicura che, da parte delle pubbliche autorità, non vi è alcuna sottovalutazione del problema.
  Va sottolineato preliminarmente che l'irreperibilità dei minori rappresenta un aspetto strutturale e costante del fenomeno migratorio, dovuto ad una molteplicità di fattori, tra i quali rivestono notevole rilevanza il progetto migratorio, l'aspettativa familiare e individuale, le informazioni in possesso dei minori, le reti parentali e di riferimento nei paesi di destinazione.
  A monte, vi è poi l'ulteriore considerazione che le strutture di accoglienza dei minori non hanno natura detentiva, ragion per cui la permanenza e le uscite da esse sono ispirate al rispetto delle regole di convivenza e delle indicazioni dei singoli gestori.
  In virtù dei doveri che la legge pone in tema di affidamento, i responsabili dei centri sono tenuti a denunciare tempestivamente gli allontanamenti dei minori alle forze di polizia che, ai fini dell'immediato avvio delle ricerche attivano un circuito informativo interno e di tipo interforze, in modo che la segnalazione, indipendentemente dal fatto che sia o meno riferibile ad un'azione delittuosa, raggiunga gli uffici di polizia su tutto il territorio nazionale e quelli dei paesi dell'area Schengen ed extra Schengen. La procedura prevede anche il coinvolgimento delle autorità diplomatiche.
  In aggiunta a ciò, l'ufficio di polizia, che ha ricevuto la denuncia, ne dà immediata comunicazione al prefetto che, oltreché interessare tempestivamente il commissario straordinario per le persone scomparse, può, all'occorrenza, attivare il piano provinciale di ricerca delle persone scomparse e decidere se coinvolgere o meno gli organi di informazione.
  Secondo i dati forniti dal commissario straordinario per le persone scomparse, l'articolato meccanismo di ricerca che ho appena descritto ha consentito il rintraccio nel quadriennio 2012-2015 del 30 per cento circa dei minori stranieri resisi irreperibili.
  Si soggiunge che il medesimo commissario ha avviato da tempo una serie di interventi, tra cui un censimento mensile con tutte le Prefetture per disporre di un quadro del fenomeno tale da agevolarne la comprensione e l'individuazione di misure di prevenzione.
  Nel medesimo senso, nell'autunno scorso il commissario ha siglato anche un protocollo operativo con la prefettura di Roma, le forze dell'ordine, il tribunale dei minori, il comune di Roma, l'ANCI e l'università La Sapienza per la messa a punto di un sistema di monitoraggio e approfondimento delle cause di allontanamento da parte dei minori stranieri non accompagnati.
  Va anche ricordato che, a seguito di un recente incontro tenuto dal commissario con il circuito di cooperazione di polizia denominato SIRENE, sono stati individuati procedimenti finalizzati al miglioramento della collaborazione delle forze di polizia, atti a garantire una identità certa ed univoca ai minori stranieri non accompagnati in arrivo. A tale riguardo, è stata condivisa la decisione di presentare una formale proposta di risoluzione o conclusione del Consiglio dell'Unione europea, che preveda la riconoscibilità dei minori stranieri in tutto il percorso migratorio dall'atto di ingresso nel territorio dell'Unione europea fino alla loro destinazione finale, mediante l'introduzione di nuove regole di identificazione applicabili in tutta l'area Schengen.
  Si segnala infine che dal 2009 è attivo il servizio inter-istituzionale denominato «116000 – Linea telefonica diretta per i minori scomparsi», gestito dall'associazione Telefono azzurro sulla base di un protocollo d'intesa da essa siglato con il Ministero dell'interno e che, presso una sala operativa del dipartimento della pubblica sicurezza, opera dall'agosto 2013, un sistema che consente la massima diffusione a livello nazionale di elementi informativi utili alla ricerca dei minori scomparsi.
  Si è detto prima che la scomparsa del minore straniero è spesso connessa alla volontà del medesimo di proseguire il proprio percorso migratorio verso altri paesi per la realizzazione di un diverso progetto di vita.
  Vi è tuttavia il rischio, evidenziato anche dall'interrogante, che i minori scomparsi finiscano per incrementare le file delle vittime di tratta, di sfruttamento nelle varie forme o di altre tipologie di abusi.
  Invero, le indagini di polizia non hanno evidenziato, al momento, collegamenti significativi tra il fenomeno della scomparsa dei minori e le fattispecie delittuose richiamate.
  Non di meno, il livello di attenzione su questo specifico ambito di attività criminale è elevato, come è testimoniato, per quanto riguarda le forze di polizia, dal fatto che, per la prevenzione e la repressione dei reati in danno dei minori, sono stati istituiti uffici ad hoc – faccio riferimento, ad esempio, agli uffici minori delle questure – i cui operatori ricevono una peculiare formazione multidisciplinare, che pone al centro dell'attenzione le vittime e le modalità più efficaci per prevenire i fenomeni di abuso in questione.
  A parte le forze di polizia, la grossa novità in questo campo è l'approvazione nella seduta del Consiglio dei ministri del 26 febbraio scorso del primo piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, che definisce le strategie di intervento per la prevenzione e il contrasto di tali fenomeni per il triennio 2016-2018.
  Per quel che interessa in questa sede, il piano individua e sviluppa gli strumenti e le procedure operative standard per l'identificazione e il supporto dei minori che siano vittime o a rischio di tratta.
  Il piano è propedeutico all'emanazione del nuovo programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale delle vittime di tratta, che conterrà le misure e le azioni concrete che il Governo intende promuovere in questo campo.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   DADONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   presso il comune di Cengio, in provincia di Savona, ai confini tra Piemonte e Liguria, e nelle vicinanze del comune di Saliceto in provincia di Cuneo, nasce nel 1882 lo stabilimento dinamitificio Barberi. La fabbrica cresce nel corso dei venti anni successivi fino a occupare circa cinquanta ettari di superficie producendo acido solforico, oleum, tritolo. Inizia così l'inquinamento dell'intero territorio. Lo stabilimento si trova su un'ansa del fiume Bormida, sub affluente del Po e principale affluente del Tanaro. Inizia così un'attività di sversamento e inquinamento delle falde acquifere locali. Nel 1909 viene vietato l'utilizzo dei pozzi nei comuni limitrofi del cuneese: Saliceto, Camerana e Monesiglio. Qualche anno più tardi sarà chiuso anche l'acquedotto di Cortemilia;
   dalla metà degli anni ’20 la fabbrica viene rilevata da Italgas e convertita alla produzione di coloranti assumendo alla fine del decennio il nome di Aziende chimiche nazionali associate successivamente Azienda coloranti nazionali e affini (Acna). Si succedono le proprietà conducendo Acna in Montedison e pbi in Enimont fino al controllo di Enichem;
   alla fine degli anni ’30 gli agricoltori e gli allevatori locali ricorrono contro lo stabilimento per il grave inquinamento cui sono soggetti i terreni e i corsi d'acqua. Tra gli anni ’60 e ’70 giunge la sentenza favorevole ai ricorrenti e alcuni amministratori locali avviano campagne di informazione e denuncia per l'aggravarsi delle condizioni ambientali del territorio. Fumi tossici, avvelenamento idrico, interramento di scarti industriali caratterizzano l'area della Valle del Bormida e in particolare quella tra il savonese, il cuneese e l'astigiano;
   tra gli anni ’80 e la fine degli anni ’90 dal sito Acna si registrarono ulteriori perdite di gas tossici, alcuni incidenti durante la produzione e gravi danni fisici a operai e cittadini del luogo condussero il Governo a decidere per una prima chiusura temporanea dello stabilimento nel 1988. Di pari passo, si sviluppava l'impegno associazionistico, sindacale e di alcuni comuni al fine di tutelare e salvaguardare il proprio territorio con varie manifestazioni. In concomitanza si avviavano i lavori per realizzare nel sito un inceneritore al fine di smaltire i residui della produzione. Il Consiglio di Stato interruppe i lavori per l'inceneritore già nel 1993 per assenza della Valutazione di Impatto Ambientale, il blocco definitivo al progetto giunse dal Governo nel 1996;
   lo stabilimento viene chiuso nel giugno 1999 quando viene avviata la fase di bonifica che secondo il programma dovrà durare fino al 2013-2014. A occuparsi delle attività di risanamento del sito è la Syndial spa, società del gruppo Eni. Il sito viene sottoposto a gestione commissariale fino al 2005. Nel corso delle indagini svolte dalla commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, nel 2000, si registra che i fanghi tossici dell'Acna di Cengio furono smaltiti anche nella discarica di Pianura, a Napoli, per un totale di almeno 800 mila tonnellate. Nel corso degli anni i vertici Acna vengono ripetutamente indagati per disastro ambientale, vengono altresì avviate le procedure per richieste di indennizzo e risarcimento danni per le patologie, i decessi e i gravi danni causati dall'attività dello stabilimento;
   all'inizio del 2015 le indagini della regione Piemonte, dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale e della competente Asl del comune di Saliceto, il comune risultante più inquinato, danno esito positivo confermando il miglioramento della qualità delle acque del Bormida e quindi la possibilità di far revocare dall'amministrazione comunale l'ordinanza che ne vietava l'utilizzo a tutela della sicurezza dei cittadini;
   il 4 giugno 2015 Syndial spa ha presentato la documentazione per l'istanza di «rinnovo della concessione n. 4146 del 20/07/1960 relativa alla derivazione dal Fiume Bormida di Millesimo». Il rinnovo consiste in una concessione quindicennale per derivare 3 moduli di acqua, pari a 300 litri al secondo, dal fiume Bormida di Millesimo, mediante esistente opera di presa;
   nella documentazione Eni Syndial dichiara che i 300 litri al secondo verranno impiegati «per l'utilizzo negli impianti ad oggi ancora attivi (Trattamento acque) nel sito ex ACNA e per eventuali scenari di sviluppo futuro sull'area attualmente di proprietà di Syndial S.p.a.». Allo stesso modo nello Studio di impatto ambientale presentato dalla società di bonifica si conferma che il volume idrico richiesto servirà «al fine di garantire l'apporto idrico per le attività attualmente presenti in sito e riconducibili alle operazioni di bonifica ancora in corso e in vista di eventuali sviluppi futuri del sito industriale.»;
   Eni Syndial spa fa riferimento a futuri sviluppi industriali dell'area ex Acna di Cengio da cui diventerebbe necessario il rinnovo dell'autorizzazione di prelievo idrico dal fiume Bormida, senza mai però specificare quali siano questi sviluppi futuri del sito industriale. Inoltre nello studio di impatto ambientale non è presente alcun calcolo dettagliato circa il reale fabbisogno di acqua riconducibili alle operazioni di bonifica;
   per oltre un secolo l'attività svolta nell'insediamento chimico Acna ha inferto gravi danni al territorio ligure e piemontese inquinando acque superficiali, sotterranee e suoli dell'intera Val Bormida, con sostanze derivanti da più di 374 diversi composti chimici tossici e nocivi quali polvere pirica, nitroglicerina, dinamite e tritolo, acido nitrico, acido solforico, fenolo, pigmenti, coloranti ed intermedi organici industriali derivanti soprattutto da benzene, acido Bon, betanaftolo, acido Schaeffer e ftalocianine;
   il sito dell'ex Acna di Cengio con legge n. 426 del 1998 è entrata a far parte dei siti di interesse nazionale ad elevato rischio ambientale, rappresentando oggi uno dei cinque siti della regione Piemonte per il quale i vari governi nazionali, le amministrazioni locali e quelle regionali hanno speso quasi 61.500.000 di euro. La sola regione Piemonte ha quantificato in 206.084.723,32 euro il costo delle misure di riparazione dovute ai danni ambientali;
   le preoccupazioni e le perplessità relative alla richiesta effettuata da Syndial Spa per la concessione idrica sono state sollevate e ribadite anche dai cittadini e dalle comunità della Val Bormida, in particolare dalla Associazione Rinascita Vallebormida che ha avuto modo di segnalare a mezzo stampa e on line come «attualmente, il prelievo medio si attesterebbe attorno ai 20 litri al secondo» a fronte dei 300 litri richiesti dalla società del gruppo Eni, specificando che «considerando che sul sito ex Acna non esistono più attività produttive, anche gli attuali 20 litri al secondo rappresentano un quantitativo assai elevato. Ma, secondo quanto riportato alla interno della relazione tecnica, sarebbe necessario per permettere il completamento della attività di bonifica [...] riteniamo che, nella sostanza, la concessione sia ormai decaduta e che Eni possa continuare temporaneamente a derivare i quantitativi di acqua attualmente utilizzati (per la conclusione dei lavori di messa in sicurezza del sito, ndr), ma solo se verrà presentato in breve tempo un bilancio idrico dettagliato, veritiero e verificabile inerente ai flussi idrici all'interno dello stabilimento». In tal senso si sono espressi anche alcuni esponenti delle amministrazioni locali interessate e della regione Piemonte al fine di ricevere chiarimenti per l'uso che si intende fare della concessione –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto illustrato, se e quali iniziative intenda avviare per chiarire il ruolo e le attività attuali e future che la società Syndial spa del gruppo Eni intende svolgere nel sito ex Acna di Cengio nel rispetto della concessione riconosciuta all'avvio dei lavori e soprattutto nel rispetto delle condizioni ambientali e di rilancio del territorio interessato dall'inquinamento prodotto dalle attività dello stabilimento Acna. (4-09859)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità dell'area ex Acna di Cengio, oggi Syndial s.p.a., in base agli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Nell'ambito delle iniziative di bonifica previste nel sito di interesse nazionale di Cengio-Saliceto, allo stato attuale risultano completate tutte le attività inerenti la messa in sicurezza del sito nel suo complesso (opere di confinamento idraulico delle aree A1, A2 e A2BIS), nonché la rimozione dei terreni contaminati, conformemente ai progetti di bonifica approvati, nelle aree A2 (area destinata alla reindustrializzazione in base all'accordo di programma del dicembre 2000), A4 (Pian Rocchetta), A2BIS (area impianto trattamento 1TAR e depuratore consortile) ed A3 (area golenale).
  Le attività ancora da completare risultano essere così sintetizzabili:
   AREA A3 – ricostruzione dell'argine golenale sormontabile e della briglia in zona e collegamento al sistema di rilevazione in continuo dei piezometri per il monitoraggio post operam installati;
   AREA A1 – realizzazione del capping e riprofilatura dell'area A1 e installazione del sistema di monitoraggio post operam;
   AREA A2 BIS – realizzazione dell'impianto di trattamento delle acque di falda residue (TAF) e dismissione e demolizione dell'attuale impianto I TAR.

  La chiusura complessiva di tutti gli interventi, allo stato attuale delle attività, risulta prevedibile non prima della fine del 2017. L'attività di certificazione svolta dall'ente provinciale è stata condotta in conformità al decreto ministeriale n. 471 del 1999, normativa rispetto alla quale sono stati approvati tutti i progetti di bonifica relativi al sito (anche successivamente l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 152 del 2006).

  Ad oggi l'amministrazione provinciale ha rilasciato, in funzione dello stato di attuazione degli interventi, le relative certificazioni. Restano ancora da rilasciare, una volta completati gli interventi nelle rispettive aree, le seguenti certificazioni:
   a) certificazione di avvenuta bonifica con misure di sicurezza dell'area A2BIS/2 (in corso di predisposizione);
   b) certificazione di avvenuta bonifica dell'area A3;
   c) certificazione di messa in sicurezza permanente dell'area A1 (certificazione da rilasciarsi a valle del monitoraggio di almeno 5 anni);
   d) certificazione globale delle opere di messa in sicurezza realizzate per garantire il confinamento idraulico dell'area A2 (certificazione da rilasciarsi a valle del monitoraggio di almeno 5 anni).

  Con riferimento alla problematica connessa al rinnovo della concessione n. 4146 del 20 luglio 1960, relativa alla derivazione dal fiume Bormida di Millesimo, si conferma che la società Eni Syndial s.p.a. ha presentato istanza di rilascio della concessione per un quantitativo di 3 moduli (300 /s), da impiegarsi per l'utilizzo degli impianti ancora attivi nel sito e per gli scenari di sviluppo futuro nell'area attualmente di proprietà di Syndial.
  Sulla base di specifici incontri tecnici da parte degli uffici regionali, è stato deciso che il rinnovo della concessione trovava giustificazione in relazione al fabbisogno attuale, ovvero il quantitativo idrico necessario al funzionamento dell'impianto ITACA destinato alla depurazione delle acque nell'ambito delle attività di bonifica del sito.
  Le tipologie d'uso per le quali la concessione potrà essere rinnovata, pertanto, saranno legate alla bonifica, al lavaggio di mezzi, strade e piazzali, nonché al sistema antincendio esistente nell'impianto di trattamento delle acque.
  Premesso quanto sopra, Syndial ha richiesto con nota del 28 settembre 2015 la rimodulazione del quantitativo da rilasciarci in concessione al valore di 15 l/s massimi.
  Allegata a tale richiesta, come pure nella successiva relazione sullo stato di consistenza dell'opera di derivazione inviato con nota del 12 gennaio 2016, Syndial descrive dettagliatamente il ciclo a cui è sottoposta l'acqua, derivata dalla traversa ubicata sul fiume Bormida di Millesimo, specificando che i consumi (rigenerazioni colonne ITACA, flussaggi pompe, abbattimenti vapori in guardie idrauliche, bagnatura stradale, stazioni di lavaggio ruote automezzi, rete antincendio, alimento caldaie, preparazione latte di calce, polielettroliti e carbone da immettere in vasca di ossidazione biologica, lavaggio tele filtropressa) si attestano a 53,5 mc/h, corrispondenti ad un quantitativo massimo di 15 l/s.
  In relazione allo sviluppo delle aree ex Acna, una volta bonificate, si riportano le informazioni come acquisite dal competente assessorato regionale.
  La Syndial s.p.a. nel 2013 ha posto in essere una procedura per l'individuazione di un offerente a cui cedere l'intero sito in oggetto, prevedendo anche il trasferimento a tale soggetto dell'onere del completamento della bonifica. È stata ricevuta una sola proposta avanzata da associazione di imprese a vocazione prevalentemente logistica, ma le trattative non sono andate a buon fine.
  In ragione di quanto sopra, è stata rivalutata la possibilità di individuare un percorso per il reinsediamento a fini produttivi del sito attraverso una operazione a gestione pubblica limitatamente alle area ad oggi bonificate e certificate (area A2 e area A4), mantenendo in capo all'attuale proprietà la conclusione del processo di messa in sicurezza e bonifica sulle restanti parti dell'area.
  A fronte di quanto esposto, la regione ha ritenuto opportuno verificare, per il tramite della propria finanziaria Filse, modalità e condizioni per addivenire all'eventuale acquisizione della aree bonificate e certificate sopraccitate avviando un'interlocuzione con la stessa Syndial S.p.a.
  La Filse ha avviato un confronto con Syndial S.p.a., ad oggi sospeso in ragione della sopravvenuta manifestazione di interesse, nell'aprile 2015, da parte della società Phoenix Development Italia s.r.l, con sede a Milano, circa l'intenzione a strutturare un progetto di reindustrializzazione dell'area che avrebbe come momento prodromico l'acquisto del sito stesso. La trattativa è stata avviata ed è attualmente in corso.
  Infine, si ritiene utile fornire un aggiornamento per quanto attiene la questione del danno ambientale.
  La regione Liguria, anche con il supporto di Filse, ha determinato le possibili misure volte a garantire la riparazione dei danni ambientali individuati ai sensi di quanto stabilito nell'allegato 3 della parte VI del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In tale ambito sono state valutate e selezionate le iniziative percorribili anche alla luce delle strategie localizzativi previste sull'area.
  A tal proposito è sfato predisposto il documento «Danno Ambientale: iter logico metodologico» per definire il risarcimento del danno ambientale nell'area Cengio – Valle Bormida, presentato in sede di tavolo tecnico costituito tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Piemonte, regione Liguria e Syndial s.p.a. Durante il suddetto tavolo tecnico è proseguito il confronto tra le parti senza, tuttavia, giungere ad una soluzione transattiva.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GALATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 27 marzo un violento nubifragio ha interessato tutto il territorio regionale calabro; il nubifragio è stato di particolare intensità, tanto da indurre le autorità preposte alla tutela del territorio e di sicurezza pubblica a comunicare lo «stato di allerta livello 2 elevata rosso» in alcune aree del territorio regionale, con la previsione di scenario di rischio di frana ed inondazione connesso alle precipitazioni, considerate di entità tale da poter determinare fenomeni di dissesto diffusi e di intensità da media ed elevata, idonei a configurare l'emersione di profili di pericolosità per l'incolumità delle persone;
   nella stessa data del nubifragio, lungo la strada statale 18 nel tratto che attraversa il territorio del comune di Gizzeria, in provincia di Catanzaro, si è verificato un grave cedimento provocato dal maltempo e dal conseguente ammaloramento e deterioramento del piano viabile; il cedimento ha determinato l'interruzione del tratto della strada statale che collega i comuni di Falerna e Gizzeria;
   si tratta solamente dell'ultimo evento franoso connesso al problema del dissesto idrogeologico, che in Calabria come del resto in gran parte del territorio nazionale, assume i tratti dell'emergenza;
   oltre agli eventi franosi che continuano a verificarsi con intensa frequenza, in specie nel corso di nubifragi stagionali e piogge, a certificare la situazione di pericolosità ed esposizione al rischio della popolazione civile sono i dati. Le stime su base regionale riportate nell'ultimo rapporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), aggiornato a marzo 2015, descrivono una situazione allarmante: la porzione di popolazione esposta a rischio frane in Calabria è pari a n. 159.611 abitanti, mentre n. 77.251 calabresi sono esposti al rischio alluvione;
   l'ISPRA ha inoltre mappato i punti di criticità per fenomeni franosi lungo le infrastrutture lineari di comunicazione, che in tutta Italia sono stimati in n. 6.180 lungo la rete stradale principale (autostrade, superstrade, strade statali, tangenziali e raccordi), mentre n. 1.862 punti di criticità per frana sono stati individuati lungo i 16.000 chilometri di rete ferroviaria;
   il quadro che emerge è quello di una situazione di grave pericolo e di forte disagio, in specie laddove gli eventi franosi interessano, come è avvenuto a Gizzeria, infrastrutture stradali strategiche di collegamento interno, con ricadute non solo in termini di sicurezza degli abitanti, ma anche sull'economia del territorio; un'economia che, con riferimento al territorio calabro, è già contrassegnata da debolezza e sofferenza e rischia di essere ancor più penalizzata dalla persistenza di elementi di rischio e dal verificarsi di eventi franosi ed alluvionali che investono la rete infrastrutturale interna;
   l'interrogante ritiene opportuno ricordare quanto riportato dalla recente relazione della Corte dei Conti — sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato. Dal controllo effettuato dalla Corte sulla gestione degli interventi per la riduzione del rischio idrogeologico è emerso che il Governo tende a destinare la quasi totalità dei fondi stanziati per la «mitigazione del rischio idrogeologico» per far fronte a situazioni emergenziali, anziché agire preventivamente, evidenziando peraltro diversi profili di criticità soprattutto legati alla governance ed alla dilatazione dei tempi di attuazione degli interventi;
   si tratta di problematiche di carattere burocratico che appaiono incompatibili ed inadeguate rispetto al carattere di gravità ed emergenza di un rischio concreto ed attuale che interessa una così vasta porzione di abitanti e che richiede una gestione politica in grado di assicurare una soluzione strutturale e durevole, assolvendo alla funzione di tutela della sicurezza e dell'incolumità dei cittadini –:
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda avviare al fine di pervenire alla messa in sicurezza dei territori e degli abitanti esposti al rischio di frane ed alluvioni;
   in quale misura il Ministro ritenga di poter intervenire per assicurare una rapida razionalizzazione e l'efficientamento del sistema di gestione degli interventi per la riduzione del rischio idrogeologico.
(4-08640)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità derivanti dal dissesto idrogeologico in provincia di Catanzaro, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, insieme alla Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Il piano stralcio è composto di una sezione attuativa di complessivi 33 interventi, nella quale sono riportati gli interventi immediatamente finanziabili per un importo finanziato dallo Stato di oltre 656 milioni, e di una sezione programmatica di complessivi 99 interventi, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno a tal fine disponibili. Nella sezione programmatica sono stati inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individua i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in modo da garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, si segnala che le richieste avanzate e validate dalla regione Calabria fino al 24 febbraio 2016, termine per l'inserimento delle proposte nel sistema ReNDiS, ammontano a 188.149.986,02 euro per la provincia di Catanzaro per un totale di 134 interventi.
  In particolare, per il comune di Gizzeria (provincia di Catanzaro) sono state sottoposte al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare due richieste di finanziamento, una relativa ad un intervento di mitigazione dal rischio di frana ed una relativa ad un intervento di completamento delle opere di difesa costiera, per un importo complessivo di 6.050.000 euro.
  Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità espresse dalla stessa regione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GALLINELLA, CIPRINI, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e L'ABBATE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 93 del 20 maggio scorso la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della legge regionale delle Marche 26 marzo 2012, n. 3 (Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale – VIA) nella parte in cui escludeva dalla valutazione di impatto ambientale i progetti di impianti per le energie rinnovabili in base al solo criterio dimensionale senza considerare tutti gli altri criteri dettati dalla direttiva 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione): cumulo con altri progetti, utilizzazione di risorse naturali, produzione di rifiuti, inquinamento e disturbi ambientali, localizzazione e impatto sull'area geografica e densità della popolazione interessata;
   nelle Marche – ma anche in Umbria dove vige una normativa identica – il limite dimensionale sopra il quale scattava l'obbligo di sottoporre il progetto alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale è stato fissato in 1 Mwh. In forza di tale previsione normativa è così accaduto che la gran parte dei proponenti per la costruzione di impianti a biomasse ha presentato progetti di potenza pari a 999 Kwh al solo ed evidente scopo di evitare la valutazione di impatto ambientale;
   l'intero territorio italiano è soggetto ad elevati rischi ambientali di varia natura, come inondazioni, frane, smottamenti sempre più spesso presenti;
   le numerose e sempre più frequenti azioni giudiziarie da parte dei comitati di cittadini contro tali opere, generano, inevitabilmente, un costo aggiuntivo per lo Stato e soprattutto una perdita di fiducia nei confronti dello stesso –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, non ritenga necessario assumere tutte le iniziative di propria pertinenza per evitare che le regioni italiane emanino normative in contrasto con la direttiva 2011/92/UE, a tutela dell'ambiente e del territorio italiano, nonché della salute dei cittadini;
   se non intenda avviare un monitoraggio delle diverse normative regionali in materia al fine di verificare se presentino degli elementi di illegittimità così come avvenuto nella legislazione delle Marche e, nel caso, se non intenda valutare l'opportunità di impugnare, ove sussistano i presupposti per farlo, tali leggi poiché contrastanti con la normativa comunitaria vigente in materia. (4-00863)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, relativa alle soglie dimensionali stabilite nella normativa statale e regionale per i progetti assoggettati a procedura di verifica di assoggettabilità (screening), di competenza delle regioni e delle province autonome (allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006), si rappresenta quanto segue.
  Il decreto-legge n. 91 del 2014 e il successivo decreto ministeriale n. 52 del 2015 sono stati emanati per superare le censure formulate dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione 2009/2086, avviata per non conformità delle disposizioni nazionali a quelle comunitarie in materia di VIA, ed hanno consentito di rendere conformi le leggi nazionali con quanto previsto dalla direttiva comunitaria 2011/92/UE. Nella citata procedura di infrazione, la Commissione europea ha contestato all'Italia, tra l'altro, che nell'individuare i progetti da sottoporre a verifica di assoggettabilità a VIA (screening), di competenza delle regioni e delle province autonome, sono state introdotte delle «soglie» prendendo in considerazione solo alcuni dei criteri dell'allegato III della direttiva VIA (dimensione, localizzazione in aree protette) e non tutti i criteri, come è invece prescritto dalla norma comunitaria.
  Per superare i rilievi della Commissione europea, il decreto-legge n. 91 del 2014 ha previsto specifiche puntuali modifiche al decreto legislativo n. 152 del 2006 e, con particolare riferimento alle soglie dimensionali per la selezione dei progetti da assoggettare a procedura di screening, al comma 1, lettera c), dell'articolo 15 ha previsto l'emanazione di un decreto ministeriale recante linee guida destinate a ridefinire i criteri e le modalità per determinare l'assoggettamento alla procedura di verifica dei progetti dell'allegato IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, sulla base di tutti i criteri dell'allegato III della direttiva VIA, e non solo sulla base di criteri dimensionali e localizzativi.
  Si evidenzia che, nelle more dell'emanazione delle citate linee guida, la norma ha introdotto un regime transitorio in cui le soglie fissate per le singole categorie progettuali, ove previste, non sono più applicabili e, conseguentemente, la procedura di assoggettabilità a VIA deve essere effettuata a seguito di un esame «caso per caso», condotto sulla base di tutti i criteri di cui all'allegato III della direttiva VIA (integralmente recepito nell'allegato V del Testo unico ambientale).
  Il decreto ministeriale recante le linee guida è stato emanato con il citato decreto ministeriale n. 52 del 30 marzo 2015 ed è entrato in vigore il 26 aprile 2015. A partire da tale data sono pertanto stabiliti indirizzi e criteri puntuali per l'espletamento della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA ex articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dei progetti elencati nell'allegato IV del medesimo Testo unico ambientale, al fine di garantire un'uniforme e corretta applicazione su tutto il territorio nazionale delle disposizioni dettate dalla direttiva VIA. In particolare, le linee guida integrano i criteri tecnico-dimensionali e localizzativi utilizzati per la fissazione delle soglie già stabilite nel citato Allegato IV per le diverse categorie progettuali, utilizzando tutti i criteri dell'allegato V del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In inerito all'avvio di un monitoraggio sulle norme regionali in materia di VIA, al fine di verificare la sussistenza di potenziali elementi di illegittimità delle stesse, si rappresenta che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fornisce le proprie osservazioni nell'ambito del parere di legittimità costituzionale delle leggi regionali per le eventuali determinazioni del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione.
  Infine, appare d'uopo ricordare che la nuova direttiva VIA 2014/52/UE prevede che gli Sfati membri forniscano periodicamente alla Commissione europea specifiche informazioni sulle procedure di VIA effettuate. Tale attività rappresenterà un ulteriore strumento per il monitoraggio della corretto applicazione delle normative regionali in materia di VIA rispetto agli obblighi previsti dalla normativa comunitaria e nazionale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GRIBAUDO, FIANO e FIORIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dagli organi di stampa, nei giorni 11, 12, 13 settembre prossimi sarebbe in fase avanzata di organizzazione nella città di Milano e in altri centri lombardi, tra cui Cantù, una serie di eventi di stampo esplicitamente neofascista da parte di organizzazioni appartenenti all'estrema destra quali Casapound e Forza Nuova;
   di fronte a tale eventualità, vi è stata l'immediata reazione sul territorio delle forze civiche, politiche e sindacali, oltre che delle organizzazioni combattentistiche tra cui l'Anpi. In proposito, una lettera è stata indirizzata il 2 settembre 2015 dal presidente nazionale Carlo Smuraglia al Presidente del Consiglio e tra l'altro a codesto Ministero dell'interno, con la richiesta a nome di tutta l'Associazione di «un pronto e deciso intervento da parte di chi ha competenza in materia e una indifferibile presa di posizione delle massime Istituzioni nazionali»;
   una chiara presa di posizione è altresì giunta dal comune di Milano per voce dell'assessore alla Sicurezza, Marco Granelli, il quale ha ribadito la «ferma contrarietà della città di Milano, medaglia d'oro per la Resistenza, allo svolgimento, sul suo territorio, di manifestazioni con evidenti connotazioni fasciste»;
   un simile raduno, che si connota sin d'ora per la chiara e consapevole ispirazione all'ideologia fascista, non può preoccupare solo i cittadini lombardi, ma deve smuovere le coscienze civili dell'intero Paese e l'insieme delle sue istituzioni democratiche, in piena osservanza del dettato Costituzionale (XII disposizione transitoria e finale) e delle leggi della Repubblica (legge 20 giugno 1952, n. 645) –:
   quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere al fine di impedire che sul territorio nazionale possano avere luogo avvenimenti come quelli anticipati in premessa i quali, oltre a costituire potenzialmente un grave rischio per l'ordine pubblico e la sicurezza, ad avviso dell'interrogante sarebbero in palese contrasto con la legge e con la natura democratica e antifascista dell'Italia. (4-10329)

  Risposta. — Dall'11 al 13 settembre 2015, ha avuto luogo a Cantù, per il terzo anno consecutivo, una manifestazione organizzata dal movimento politico Forza Nuova, denominata «Formazione Militanza», che ha registrato la partecipazione del segretario nazionale del movimento Roberto Fiore e di circa 300 aderenti, anche in rappresentanza di correnti dell'estrema destra europea.
  La manifestazione si è svolta con una successione di dibattiti politici alternati ad esibizioni musicali ed ha avuto luogo nel comune di Cantù, presso l'area denominata «Colonia Elioterapica» di proprietà comunale.
  Il raduno ha provocato una forte mobilitazione di opposto segno politico.
  Quindi, anche quest'anno, come per le precedenti edizioni, la situazione è stata costantemente seguita dalle forze di polizia ed esaminata in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, nel cui contesto non sono stati ravvisati i presupposti per l'applicazione di provvedimenti interdittivi.
  Sono state comunque adottate misure e dispositivi idonei a prevenire qualsiasi turbativa, anche in ragione delle già evidenziate manifestazioni di dissenso e di protesta. A tal fine, sono state impiegate risorse territoriali e un consistente contingente di personale di rinforzo.
  Per quanto riguarda la modalità di svolgimento del raduno, si segnala che l'evento si è tenuto all'interno di un'area circoscritta, non aperta al pubblico, concessa, come già detto, dall'amministrazione comunale canturina e, quindi, in situazione tale da non richiedere, secondo l'orientamento della Corte costituzionale, l'obbligo di preavviso all'autorità provinciale di pubblica sicurezza; preavviso comunque formalizzato dagli organizzatori molto prima dei termini normativi. Per completezza, si evidenzia che in nessuna delle tre citate edizioni si sono verificate problematiche di ordine e sicurezza pubblica.
  Nella giornata del 12 settembre, in occasione dell'intervento del segretario nazionale, Roberto Fiore, le locali sezioni del Partito Democratico e di Rifondazione Comunista hanno organizzato un incontro pubblico presso la sala consiliare di Cantù per «dire no al festival neonazista», al quale hanno preso parte circa 150 persone, dapprima riunitesi in presidio in quella piazza Marconi.
  Nelle stesse giornate, ha avuto luogo presso il centro sportivo comunale di Castano Primo (MI), l'annuale «Festa Nazionale-Direzione Rivoluzione», organizzata dal movimento politico CasaPound, con dibattiti su tematiche di attualità e concerti serali di musica d'area, ai quali hanno partecipato complessivamente circa 2.000 persone provenienti anche da altre province del territorio nazionale.
  Anche questa manifestazione ha suscitato numerose polemiche e prese di posizione contrarie, soprattutto in seno alla locale amministrazione comunale governata da una giunta appoggiata dal centrosinistra. Particolari contrasti sono sorti, in particolare, in relazione al permesso di utilizzo del centro sportivo comunale, concesso in realtà all'associazione sportiva «ADS La Focosa», rappresentata da un noto esponente milanese di CasaPound ed emanazione di quel gruppo politico.
  L'evento è stato oggetto di diverse riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, in cui sono stati disposti gli opportuni servizi di ordine pubblico.
  L'autorizzazione all'utilizzo degli spazi comunali è stata dapprima sospesa dal sindaco e, quindi, revocata l'11 settembre, a ridosso dell'iniziativa, che è stata tuttavia ugualmente portata avanti in quanto il diniego dell'amministrazione locale sarebbe stato giudicato tardivo.
  Per tali fatti la polizia municipale di Castano Primo ha trasmesso un'informativa di reato alla procura della Repubblica presso il tribunale di Busto Arsizio. Ulteriori manifestazioni di protesta contro l'iniziativa sono state organizzate dall'Associazione nazionale partigiani d'Italia di Milano, dal locale circolo Associazione ricreativa e culturale italiana e dal mondo politico e associazionistico di area politica della sinistra.
  Si soggiunge infine che, per le complessive esigenze di ordine e sicurezza pubblica, dall'11 al 13 settembre scorso, è stato assegnato personale di rinforzo alle forze di polizia territorialmente competenti di Como e di Milano, rispettivamente, 270 e 460 unità provenienti dai reparti inquadrati.
  Su un piano più generale, si rappresenta che le autorità di pubblica sicurezza sono chiamate a garantire il concreto esercizio del diritto di riunione a ogni gruppo che voglia organizzare iniziative volte a sostenere le proprie idee nel pieno rispetto della legalità.
  A tal fine, i citati organi definiscono adeguati servizi di ordine pubblico, la cui gestione è costantemente ispirata a criteri di equilibrio e prudenza, in modo da contemperare i diritti costituzionalmente garantiti di riunione e di libera espressione del pensiero con le esigenze di tutela della sicurezza e della pubblica e privata incolumità.
  Quanto all'ispirazione fascista dei movimenti evocata nell'interrogazione, si rileva che, allo stato attuale, non risultano pronunce giurisdizionali che abbiano accertato il concretizzarsi della fattispecie della riorganizzazione del disciolto partito fascista e che legittimino, quindi, l'adozione di provvedimenti interdittivi.
  Si assicura, tuttavia, che il Ministero dell'interno dedica particolare attenzione all'attività dei gruppi politici estremistici e alle frange più radicali di opposto orientamento in tutte le zone d'Italia.
  In tal senso, le autorità provinciali di pubblica sicurezza svolgono una costante attività di prevenzione attraverso un attento monitoraggio ed un'accurata raccolta informativa nei confronti dei movimenti in questione, finalizzata a cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e ogni ipotesi di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza. In tale contesto, vengono costantemente controllati anche i luoghi di aggregazione dei simpatizzanti dei movimenti estremistici e le iniziative assunte dai medesimi. Vengono altresì perseguiti con fermezza i comportamenti illeciti posti in essere da singoli esponenti del movimento.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GULLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 332, della legge n. 190 del 2014 aveva previsto che i dirigenti scolastici non possono conferire supplenze brevi per la sostituzione di personale docente e del personale A.T.A.;
   la nota prot. n. AOODGPER del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avente ad oggetto «Circolare supplenze personale ATA A.S. 2015/16. Chiarimenti.», si limita a precisare che «l'articolo 1 comma 332 della legge 190/2014 richiamato nella nota prot. 25141 del 10 agosto fa riferimento alle supplenze brevi», senza specificare quali debbano considerarsi tali;
   l'interpretazione del concetto di «supplenza breve» trova diversa interpretazione tra sindacati e uffici scolastici regionali e provinciali;
   la successiva circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 6546 del 5 ottobre 2015 non chiarisce come i dirigenti dovranno comportarsi in caso di assenze ripetute a causa di persistenti problemi di salute di tale personale e perché debbano ripetere la trafila nel periodo dei primi 7 giorni;
   risulta all'interrogante, che tale incertezza sta determinando dubbi tra i dirigenti scolastici circa la corretta applicazione della normativa –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per:
    a) chiarire definitivamente il concetto di «supplenza breve» dirimendo le incertezze interpretative;
    b) prevedere sistemi più agevoli di sostituzione del personale in caso di assenze ripetute dovute a persistenti problemi di salute del personale stesso.
(4-11738)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per chiarire il concetto di «supplenza breve» e per prevedere sistemi più agevoli di sostituzione del personale in caso di assenze ripetute dovute a persistenti problemi di salute del personale stesso.
  Occorre innanzitutto precisare che la materia è stata oggetto di un significativo intervento normativo ad opera della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità 2015), la quale, in particolare all'articolo 1, ha previsto i seguenti limiti al conferimento delle supplenze:
   a) comma 332: a decorrere dal 1o settembre 2015, i dirigenti scolastici non possono conferire le supplenze brevi di cui al primo periodo del comma 78 dell'articolo 1 della legge n. 662 del 1996 a personale appartenente al profilo di: 1) assistente amministrativo, salvo che presso le istituzioni scolastiche il relativo organico di diritto abbia meno di tre posti, 2) assistente tecnico, 3) collaboratore scolastico, per i primi sette giorni di assenza;
   b) comma 333: ferme restando la tutela e la garanzia dell'offerta formativa a decorrere dal 1o settembre 2015, i dirigenti scolastici non possono conferire supplenze brevi di cui al primo periodo del comma 78 dell'articolo 1 della legge n. 662 del 1996, al personale docente per il primo giorno di assenza.

  Inoltre, occorre osservare che con la circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca protocollo 2116 del 30 settembre 2015, è stato precisato per il personale docente che, a conclusione del piano straordinario di assunzioni, la sostituzione del personale assente possa avvenire anche mediante l'utilizzo dell'organico del potenziamento, ferma restando comunque in ogni caso la tutela del diretto allo studio.
  Per quanto concerne il personale amministrativo tecnico e ausiliario, con riferimento nello specifico al divieto «di sostituzione dei collaboratori scolastici nei primi sette giorni di assenza, è stato previsto che il divieto potesse essere superato, laddove il dirigente scolastico, con determinazione motivata e dopo aver prioritariamente posto in essere tutte le misure organizzative complessive, avesse raggiunto la certezza che l'assenza del collaboratore scolastico avrebbe determinato urgenze non altrimenti fronteggiabili a tutela dell'incolumità e sicurezza degli alunni nonché a garanzia dell'assistenza agli alunni disabili.
  Si tratta, pertanto, di necessità obiettive non procrastinabili, improrogabili e irrimediabili che renderebbero impossibile assicurare le condizioni minime di funzionamento del servizio scolastico.
  In merito alla nozione di «supplenze brevi», è necessario fare riferimento al dato normativo di cui ai regolamenti delle supplenze del personale docente (decreto ministeriale 13 giugno 2007, n. 131) ed ATA (decreto ministeriale 13 dicembre 2000, n. 430) i quali prevedono in particolare:
   supplenze annuali, per la copertura dei posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, e che rimangano presumibilmente tali per tutto l'anno scolastico;
   supplenze temporanee sino al termine delle attività didattiche, per la copertura di posti non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico;
   supplenze temporanee (brevi), per ogni altra necessità di supplenza diversa dai casi precedenti.

  Le citate definizioni risultano essere analoghe sia per il personale docente sia per il personale ATA.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'intensificarsi delle migrazioni a livello globale sta determinando modifiche abbastanza significative nel quadro dell'emigrazione italiana nel mondo, sia per quanto attiene agli insediamenti storicamente consolidati che ai nuovi flussi in uscita dall'Italia, diretti verso una pluralità di Paesi, europei ed extraeuropei;
   con i fenomeni di mobilità s'intrecciano le modifiche intervenute nelle cosiddette politiche emigratorie in conseguenza del risanamento finanziario degli anni di crisi, che ha prodotto un ridimensionamento degli interventi e una severa contrazione della rete dei servizi dedicati ai nostri connazionali all'estero;
   in ragione di questi ed altri fattori, il rapporto delle comunità italiane nel mondo con i referenti istituzionali dello Stato italiano all'estero – sia amministrativi presenti nelle strutture diplomatico-consolari che rappresentativi, come i COMITES – manifesta segni di stanchezza e di allentamento, chiaramente leggibili nella scarsa partecipazione degli aventi diritto al voto al recente rinnovo degli organismi di rappresentanza di base;
   nello stesso tempo, la costante crescita quantitativa delle cosiddette nuove migrazioni verso l'estero, che hanno toccato secondo stime restrittive le 130.000 unità all'anno, ma che secondo gli analisti delle mobilità temporanee di lavoro potrebbero essere molte di più, pone problemi di informazione, assistenza e sostegno del tutto inediti rispetto al passato, rispetto ai quali si registra un evidente e preoccupante ritardo, nonostante le ricorrenti invocazioni di attenzione rispetto a tali fenomeni;
   alla luce di questi elementi, per far fronte in modo attivo alla transizione in atto sembra ragionevole e urgente corrispondere ad una duplice esigenza. La prima è quella di mettere in condizione i COMITES, in vista di una loro più penetrante ed organica riforma, di avere risorse e informazioni adeguate per realizzare da un lato un maggiore coinvolgimento dei cittadini italiani delle rispettive circoscrizioni nelle attività comunitarie, dall'altro per essere concretamente disponibili a fornire ai nuovi arrivati informazione e assistenza;
   una seconda esigenza, sul piano specifico della comunicazione, è quella di costruire per coloro che si dirigono all'estero per ragioni di lavoro un sistema informativo idoneo a mettere ciascuno nella condizione di poter contattare nei luoghi di arrivo soggetti istituzionali e associativi capaci di fornire riferimenti in ordine alla prima accoglienza, alle possibilità logistiche, all'iniziale contatto con le autorità e l'amministrazione locali, alle informazioni di lavoro e alle possibilità di inserimento dei figli nel sistema formativo e a quant'altro possa facilitare l'inserimento dei nostri connazionali nelle nuove realtà;
   a tal fine, sembra opportuno da un lato mettere i COMITES, che si sostengono sul volontariato dei loro componenti, nella condizione di avere una conoscenza precisa dei connazionali iscritti all'AIRE presenti nella circoscrizione consolare di riferimento, dall'altro predisporre una specifica filiera informativa per i «nuovi migranti» che dal sito ufficiale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale si estenda a quelli delle ambasciate e consolati, fino a quelli del Comitato generale degli italiani all'estero e dei COMITES, che offra una prima e concreta possibilità di riferimento nella fase dell'insediamento;
   se non ritengano di autorizzare la consegna ai presidenti dei COMITES, che sono organi istituzionali di rappresentanza previsti dall'ordinamento vigente, degli elenchi degli iscritti all'anagrafe degli italiani residenti all'estero della propria circoscrizione (AIRE), con le formalità dettate dal rispetto della privacy, in modo che tali organismi siano messi nella condizione di sviluppare in modo più completo e diffuso le iniziative di contatto e coinvolgimento delle rispettive comunità;
   se il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale non intenda dare disposizioni volte a realizzare un sistema informativo rivolto ai nuovi migranti affinché questi siano messi in condizione di ottenere a distanza e in temi rapidi, consultando i siti istituzionali del Ministero e delle sue strutture decentrate all'estero, le informazioni più dirette ed utili per far fronte alle numerose e complesse problematiche della fase di, insediamento. (4-11414)

  Risposta. — La Farnesina è ben consapevole delle criticità legate alla natura ed alla struttura dei nuovi flussi dell'emigrazione italiana verso l'estero. Negli ultimi anni, un numero sempre maggiore di connazionali, in particolare giovani, si sono trasferiti alla ricerca di un impiego verso le tradizionali mete dell'emigrazione italiana in Europa, nonché negli Stati Uniti ed in Australia. Si tratta di un fenomeno migratorio che vede i nostri connazionali confrontarsi con una serie di difficoltà al loro primo approdo all'estero, tra cui la scarsa padronanza della lingua del Paese di destinazione e l'insufficiente conoscenza del mercato del lavoro locale.
  Per affrontare tale situazione, già da alcuni anni le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane, in particolare nei Paesi di maggiore afflusso di nuovi lavoratori, hanno avviato una serie di iniziative volte a favorirne l'inserimento nel sistema economico-sociale del Paese ospite, anche attraverso il diretto coinvolgimento degli enti istituzionali rappresentativi della collettività italiana. Il rafforzamento del rapporto di collaborazione e dialogo con i comitati degli italiani residenti all'estero e con le realtà associative ha infatti svolto un ruolo chiave nell'ambito dello sviluppo di strategie tese ad agevolare l'inserimento dei connazionali nelle realtà estere. A titolo di esempio, si segnalano le esperienze di collaborazione tra l'ambasciata a Berlino ed i Comites in Germania, gli sportelli informativi dedicati ai giovani istituiti in sinergia con i comitati australiani a Brisbane e a Sydney, nonché la convenzione tra il Consolato generale in Melbourne e l'associazione culturale giovani italiani a Melbourne, volta a fornire un migliore servizio di assistenza e orientamento ai nuovi emigrati. Nel 2015, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha inoltre deciso di finanziare una serie di progetti, sviluppati dagli stessi comitati, volti ad agevolare l'inserimento dei nuovi migranti italiani nel tessuto economico-sociale dei diversi Paesi di approdo.
  Contestualmente, la Farnesina ha realizzato numerose iniziative per offrire agli interessati, anche prima della partenza dall'Italia, informazioni aggiornate sul Paese di destinazione e sulla realtà dei diversi mercati del lavoro e contesti sociali. Tra queste, si ricorda l'istituzione di portali dedicati sui siti web istituzionali di alcuni uffici consolari (Londra con il Progetto primo approdo ed anche Melbourne, Perth, Buenos Aires e Parigi) e dell'ambasciata a Berlino («Primi passi in Germania. Guida per un primo orientamento»), contenenti manuali e informative dettagliate sul Paese, con particolare riferimento al funzionamento del locale mercato del lavoro. Alcune sedi (Londra nell'ambito del Progetto primo approdo e gli uffici consolari in Perth, Adelaide, Sydney e Melbourne) hanno inoltre organizzato seminari informativi periodici sulle problematiche dei visti e del lavoro, a cui hanno partecipato centinaia di giovani, anche attraverso l'utilizzo di social networks e di nuovi mezzi di informazione (facebook e youtube). Si registra, dunque, un utilizzo sempre più integrato delle piattaforme informatiche, finalizzato a far fronte alle numerose e complesse problematiche che possono sorgere nella fase del primo inserimento del connazionale all'estero.
  Per quanto concerne la richiesta di consegna ai Comites, da parte degli uffici consolari, degli elenchi degli iscritti negli schedari consolari, l'articolo 19 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dispone che «la comunicazione di dati personali da parte di un soggetto pubblico a privati o a enti pubblici economici e la loro diffusione da parte di un soggetto pubblico sono ammesse unicamente quando sono previste da una norma di legge o di regolamento». Come a suo tempo segnalato dal Garante per la privacy, agli schedari tenuti dagli uffici consolari può ritenersi applicabile, in via analogica, la disciplina generale sul rilascio degli atti anagrafici, secondo la quale l'ufficiale dell'anagrafe può rilasciare elenchi degli iscritti nell'anagrafe solo «alle amministrazioni pubbliche che ne facciano motivata richiesta, per esclusivo uso di pubblica utilità» e può comunicare «dati anagrafici, resi anonimi ed aggregati, agli interessati che ne facciano richiesta per fini statistici e di ricerca» (articolo 34, commi 1 e 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 2237 del 1989).
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la valutazione di impatto ambientale è una procedura che si effettua in via preventiva, per individuare, descrivere e valutare gli effetti diretti ed indiretti sull'ambiente (inteso come fauna, flora aria, suolo, acque, clima e paesaggio) di un progetto, di un'opera o di un intervento siano essi pubblici o privati. L'autorità competente per l'espletamento delle procedure di VIA viene individuata in base alla rilevanza del progetto da realizzare e valutando quale amministrazione pubblica (lo Stato, la regione o la provincia) sia titolare della maggior parte dei procedimenti autorizzativi, o comunque dei più significativi in campo ambientale. Il proponente l'intervento presenta la domanda all'autorità competente, che alla fine del procedimento emette l'atto finale di valutazione;
   il presidente della conferenza delle regioni Vasco Errani, in seguito anche ad una specifica richiesta della regione Marche, ha sollecitato un intervento normativo del Governo centrale sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale 93/2013;
   le regioni chiedono, del resto, che le procedure di impatto ambientale vengano uniformate su tutto il territorio nazionale;
   la sentenza 93/2013 della Corte Costituzionale che interviene in materia di valutazione di impatto ambientale ha dichiarato l'illegittimità di disposizioni regionali emanate in attuazione alla disciplina statale della VIA, definita dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e tuttora applicata in ampia parte del Paese, sulla base di norme comunitarie a cui lo stesso Stato non si è ancora adeguato;
   la sentenza crea seri problemi poiché analoghi progetti saranno assoggettati a differenti regimi normativi in materia di VIA in ragione del territorio regionale in cui dovranno essere realizzati, determinando disparità di trattamento e generando così una situazione di grande incertezza giuridica –:
   se sia intenzione del Governo evitare lo scenario di cui sopra, con un urgente intervento legislativo statale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, finalizzato ad uniformare l'applicazione della normativa sulle procedure di valutazione di impatto ambientale in tutto il territorio nazionale. (4-01523)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla normativa nazionale sulle procedure di valutazione di impatto ambientale, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  In primo luogo, giova evidenziare che alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006, prevedono la possibilità per le regioni e le province autonome, relativamente ad alcune tipologie progettuali o aree predeterminate, di esercitare un potere discrezionale in ordine alla modifica delle condizioni per la verifica di assoggettabilità a VIA, Nello specifico, ai sensi del comma 9 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono definire, sulla base degli elementi indicati nell'allegato V del citato testo unico ambientale e del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 30 marzo 2015, un incremento nella misura massima del trenta per cento delle soglie dimensionali, di cui all'allegato IV, della parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, così garantendo i livelli di tutela ambientale complessivamente non inferiori a quelli richiesti dalle vigenti norme dell'Unione europea e nazionali.
  Proprio in merito ai progetti, di competenza delle regioni e delle province autonome di cui all'allegato IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, la Commissione europea, con lettera di messa in mora ai sensi dell'articolo 226 del trattato Ce del 14 aprile 2009, ha avviato nei confronti dell'Italia la procedura di infrazione n. 2009/2086, per non conformità della Parte Seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, con le seguenti disposizioni della Direttiva VIA 85/377/CEE, come modificata dalle direttive 97/11/Ce, 2003/35/Ce, 2009/31/Ce e, da ultimo, codificata dalla Direttiva 2011/92/UE:
   articolo 1, paragrafo 2 (definizione di «progetto»);
   articolo 4, paragrafi da 2 a 3, in combinato disposto con l'allegato III (procedura di « screening»);
   articolo 6, paragrafo 2 (consultazione del pubblico);
   allegati I e II della direttiva (definizione di alcune categorie di prodotti).

  Al fine di recepire correttamente la sopra richiamata direttiva VIA, con il decreto legislativo n. 128 del 2010 e con successivo decreto legislativo n. 162 del 2011, l'Italia ha introdotto delle modifiche e delle integrazioni alla Parte seconda del Testo unico ambientale. Ciò nonostante, la Commissione europea non ha ritenuto risolutive le azioni intraprese dallo Stato italiano e, con successiva comunicazione di messa in mora del 27 febbraio 2012, ha ribadito i rilievi già oggetto della prima comunicazione del 2009.
  Nel corso degli anni le autorità italiane e la Commissione europea si sono ripetutamente confrontate sulle modalità con cui superate le criticità rilevate dalla Commissione nell'ordinamento nazionale.
  Solo con il decreto-legge del 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116 è stato effettuato un intervento articolato e complessivo volto a sanare tutti i rilievi della procedura di infrazione che ha previsto, oltre alla modifica puntuale delle disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche l'emanazione di linee guida nazionali finalizzate a fornire indirizzi e criteri per l'espletamento della procedura di verifica di assoggettabilità alla VIA ex articolo 20 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dei progetti elencati nell'allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, sulla base di tutti i criteri dell'allegato III della direttiva VIA e, quindi, non solo sulla base della localizzazione (aree protette) o delle caratteristiche dimensionali (soglie).
  Nelle more del completamento dell’iter parlamentare della legge di conversione del citato decreto-legge, la Commissione europea, in data 28 marzo 2014, ha emanato un parere motivato ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, con il quale invitava l'Italia ad adottare entro due mesi le disposizioni necessarie per conformarsi al parere motivato.
  Per l'emanazione delle linee guida nazionali in materia di verifica di assoggettabilità alla VIA, l'articolo 15, del citato decreto-legge n. 91 del 2014 ha previsto l'adozione – previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia – di un decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per i profili connessi ai progetti di infrastrutture di rilevanza strategica.
  Il 30 marzo 2015 è stato, quindi, emanato il decreto ministeriale n. 52, recante le «linee guida per la verifica di assoggettabilità a VIA dei progetti di competenze delle regioni e delle province autonome».
  Tali linee guida hanno avuto un iter molto articolato, in quanto, dopo il parere favorevole del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, hanno ottenuto quello della Conferenza Stato-regioni, nonché quello delle competenti Commissioni parlamentari.
  Le linee guida ministeriali sono rivolte sia alle autorità cui compete l'adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità (regioni e province autonome, ovvero enti locali delegati) che alle imprese, in quanto soggetti proponenti le opere da realizzare. Si è pertanto fornito uno strumento univoco per la determinazione di quali progetti devono essere assoggettati a screening, e ciò determinerà una applicazione omogenea ed uniforme su tutto il territorio nazionale.
  Sulla base di tutte le sopra descritte azioni poste in essere dallo Stato italiano per conformare la normativa nazionale a quella europea, in tema di Valutazione di impatto ambientale, in data 19 novembre 2015 la Commissione europea ha archiviato la procedura di infrazione 2009/2086.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, purtroppo, si trova già da tempo a dover affrontare l'allerta terrorismo essendo uno dei Paesi obiettivo degli attacchi dell'ISIS. Il territorio italiano convive da anni con situazioni provocate da forti eventi calamitosi, terremoti, alluvioni, esondazioni, frane e altro, che sono causa di perdita di vite umane e di stati di emergenza;
   è il corpo nazionale dei vigili del fuoco ad assicurare tutti gli interventi tecnici necessari al fine di salvaguardare l'incolumità delle persone e l'integrità dei beni; esso garantisce il soccorso in tutte le situazioni di emergenza. I suoi interventi sono caratterizzati dal requisito dell'immediatezza delle prestazioni, che richiedono professionalità tecniche anche ad alto contenuto specialistico ed idonee risorse strumentali. Eppure, ormai da anni, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco subisce tagli costanti di organico e di risorse strumentali. La ormai cronica carenza di organico dei vigili del fuoco potrebbe diventare una debolezza e un problema per la sicurezza e l'incolumità dei cittadini;
   in merito alle minacce terroristiche di cui il nostro Paese è oggetto, è utile ricordare che i vigili del fuoco, con il nucleo NBCR, sono deputati ad intervenire in difesa della popolazione in caso di attacchi con armi non convenzionali, ovvero, con armi batteriologiche, chimiche e radiologiche, ma neanche su questo fronte il Governo pare sia interessato a stanziare adeguate risorse;
   è necessario ricordare quanto già dall'interrogante esposto nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-11374 del 3 dicembre 2015, ad oggi ancora senza risposta (nonostante un sollecito scritto del 12 gennaio 2016) in merito al concorso pubblico, per titoli ed esami, di 814 posti nella qualifica di vigili del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, bandito nell'ottobre del 2008. Dopo due anni, nell'ottobre 2010 è stata redatta la graduatoria definitiva del concorso con 814 vincitori e circa 7.000 idonei non vincitori. Dal 2010 ad oggi per le assunzioni nel corpo dei vigili del fuoco si è attinto al 5 per cento da questa graduatoria e al 50 per cento da una graduatoria di stabilizzazione per i volontari (bando del 2007 per soli titoli e riservato esclusivamente a vigili volontari discontinui);
   nonostante due graduatorie attive e 4.000 idonei presenti nella graduatoria «814» (senza considerare i 184 idonei di un concorso del 1998 che aspettano ancora di essere assunti) e la sentenza del 2011 del Consiglio di Stato che ha affermato che lo scorrimento delle graduatorie preesistenti e vigenti deve rappresentare la regola, è in fase di definizione il nuovo regolamento per una nuova procedura concorsuale, a fronte, probabilmente, della chiusura al 31 dicembre 2016 di ogni graduatoria attiva;
   il rischio reale per gli idonei del 2008, nel caso fosse chiusa la graduatoria e indetto un nuovo concorso, sarà di non potervi partecipare per raggiunti limiti di età, dato che nel concorso del 2008 il limite massimo di età era di 37 anni;
   il 26 dicembre 2015, il quotidiano «Il Fatto», in seguito alla mobilitazione del Corpo nelle piazze in diverse città italiane, denunciava le difficoltà che i vigili del fuoco incontrano nel lavoro di ogni giorno, a fronte delle quali l'incolumità dei cittadini risulta meno tutelata. Secondo quanto riferito dai sindacati, «In Italia abbiamo in media un pompiere in servizio ogni 15 mila abitanti, ben al di sotto degli standard europei». Mancherebbero circa 3.500 unità. Tra le altre cose, l'articolo sottolineava la grave situazione provocata da un turn over limitato che, «fino al 2015 si è fermato al 55 per cento. In poche parole, per ogni 100 vigili del fuoco che sono andati in pensione se ne potevano assumere solo 55. E oltre a contenere la disponibilità di uomini, questo limite ha stoppato anche il ricambio generazionale. L'età media di un vigile del fuoco italiano supera ormai i 50 anni» –:
   se il Governo, al fine di garantire la sicurezza nazionale di persone e cose, non ritenga urgente intervenire anche con iniziative normative straordinarie per recuperare le risorse economiche volte a colmare le carenze organiche del Corpo dei vigili del fuoco e se, per raggiungere questo obiettivo, non ritenga corretto nei riguardi degli idonei, attingere dalle graduatorie ancora aperte e ripristinare a pieno regime il turn over del Corpo dei vigili del fuoco. (4-12673)

  Risposta. — Come è noto, la Corte costituzionale ha costantemente riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale ai canoni di efficienza e buon andamento delle amministrazioni pubbliche.
  Tuttavia, al fine di poter utilizzare una risorsa preziosa quale il personale volontario dei vigili del fuoco in situazioni di particolari necessità e in considerazione della generalizzata carenza degli organici del personale permanente, la legge 26 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), ha previsto, parziale deroga del suddetto principio costituzionale, una procedura di accesso ai ruoli del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, derogatoria del predetto principio costituzionale, limitata nel tempo e concorrente con quella ordinaria.
  In attuazione di tale legge, nell'agosto del 2007 è stata indetta, in particolare, una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari con almeno tre anni di anzianità di iscrizione negli appositi elenchi e 120 giorni di servizio
  Pertanto, in questi anni per l'immissione nei ruoli dei vigili del fuoco si è fatto ricorso, allo scorrimento, in parti uguali, di due graduatorie: quella relativa alla procedura di stabilizzazione del personale volontario, introdotta dalla citata legge 26 dicembre 2006, n. 296, e quella relativa al concorso pubblico, per titoli e esami, a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008.
  Le misure di razionalizzazione della pubblica amministrazione, adottate per far fronte alla sfavorevole contingenza economica, hanno condotto tra l'altro alla scelta di mantenere aperte le graduatorie concorsuali oltre la vigenza dei tre anni prevista, per tutto il pubblico impiego, dall'articolo 3, comma 87, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e, per il personale operativo del Corpo nazionale, dall'articolo 1, comma 5, del decreto-legge n. 512 del 1996.
  I termini di validità delle suddette graduatorie sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2016 per effetto di alcuni interventi legislativi, permettendo una consistente immissione di idonei nell'organico del Corpo nazionale.
  Considerata l'imminente scadenza dell'ultima proroga, fissata come appena detto al 31 dicembre 2016, questa amministrazione è stata autorizzata dal dipartimento della funzione pubblica, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2015, a bandire un nuovo concorso pubblico per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco, per un numero di 250 unità.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MAGORNO e COVELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Shell Italia con altre compagnie petrolifere ha chiesto e avviato i procedimenti per l'esecuzione delle trivellazioni al largo delle coste del Mar Jonio comprese tra il Golfo di Taranto e quello di Sibari, comprese le relative procedure di valutazione di impatto ambientale;
   in merito risulta formalizzato esito positivo delle verifiche tecnico-amministrative relative alla procedibilità dell'istanza di valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   i comuni costieri interessati hanno formalmente deliberato la ferma opposizione delle popolazioni locali considerato il rilevante impatto ambientale e la vocazione turistica del territorio interessato che verrebbe compromessa irreversibilmente da un'eventuale attività estrattiva;
   in particolare l'area della piana di Sibari, costituisce un'eccellenza agroalimentare che contrasterebbe con la ricerca di idrocarburi nel prospiciente Mar Jonio;
   al largo della costa tra i comuni di Amendolara, Albidona e Trebisacce, si trova la «secca di Amendolara», già proposta quale patrimonio dell'UNESCO;
   l'intera costa jonica è costituita da bellezze naturali e ambientali di particolare pregio artistico e architettonico, con numerosi siti archeologici (Sibari, Francavilla, Amendolara, Roseto Capo Spulico e Broglio di Trebisacce);
   tutti i comuni costieri hanno avviato iniziative turistiche ecosostenibili inconciliabili con la ricerca degli idrocarburi al largo della costa jonica in quanto essa altererebbe il paesaggio nonché la stessa salubrità delle acque fra le più pulite e trasparenti del mediterraneo;
   le progettate trivellazioni sarebbero pregiudizievoli per ogni possibilità di sviluppo del litorale ionico calabrese e del suo comprensorio con gravi danni sia dal punto di vista turistico che agricolo e economico;
   la regione Calabria ad oggi non ha adottato, a quanto consta agli interroganti, alcun provvedimento diretto a scongiurare tale pericolo –:
   se e come il Governo, per quanto di competenza, intenda intervenire per scongiurare, sulla base di quanto esposto in premessa, l'installazione di piattaforme finalizzate alla ricerca di idrocarburi nel Mar Ionio in quanto incompatibili con la vera vocazione di questo comprensorio litoraneo. (4-00839)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche attinenti le attività di ricerca di idrocarburi nel mar Ionio sulla base degli elementi acquisiti dai soggetti istituzionali competenti si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, il Ministero dello sviluppo economico coordina la sua attività con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che valuta la compatibilità ambientale di progetti di estrazione degli idrocarburi.
  In ordine alle questioni relative all'impatto ambientale del progetto e alle possibili criticità segnalate dall'interrogante, si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Per quanto riguarda la contrarietà delle amministrazioni locali al rilascio dell'autorizzazione dei permessi di ricerca, si evidenzia che, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte: tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Si evidenzia inoltre, che dopo l'incidente del 2010 nel Golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione europea volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/UE è stato avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  Si ricorda, da ultimo, che in forza dell'articolo 1, comma 239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare «entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle (...) aree marine e costiere protette», disponendo inoltre che «i titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a tenersi informato attraverso i soggetti istituzionali competenti, monitorando, per quanto di competenza, il puntuale rispetto della normativa in materia di tutela dell'ambiente.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MAGORNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i laghi Arvo e Ampollino sono due grandi invasi artificiali costruiti negli anni ’20 per alimentare alcune centrali idroelettriche della Calabria;
   attualmente i due laghi servono il Nucleo idroelettrico della Calabria con le centrali elettriche poste lungo i fiumi Neto, Simeri, Crocchio e Savuto;
   l'Arvo e l'Ampollino, situati nel Parco nazionale della Sila, hanno una capacità complessiva di oltre 140 milioni di m3 d'acqua;
   la società elettrica A2A, multinazionale proprietaria di una parte delle centrali idroelettriche della Sila, intende procedere allo svuotamento dei laghi Ampollino e Arvo per effettuare interventi di manutenzione alle opere di presa dei due bacini idroelettrici;
   tali lavori di manutenzione sulle dighe, che prevedono lo svaso e la pulizia del fondale dei due grandi laghi, destano serie preoccupazioni e interrogativi legittimi sugli effetti che ciò potrebbe avere sull'ambiente, sui laghi stessi, sulla flora e sulla fauna nonché sui corsi d'acqua di valle e sull'assetto idrogeologico dell'intera Valle del Neto;
   a parere dell'interrogante, ci potrebbero essere evidenti ripercussioni sul comparto turistico che è uno dei settori trainanti nell'economia di questi territori –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro, per quanto di competenza, intenda intervenire per verificare che tutte le procedure per gli interventi di che trattasi siano esperite secondo le previsioni di legge nonché per accertare quali siano le modalità di rimozione e smaltimento della notevole massa di fango e di materiale depositata sul fondo e che le operazioni di svaso e invaso dei suddetti laghi non abbiano di fatto alcun impatto negativo sull'ecosistema ricco di biodiversità e sull'intero habitat del Parco nazionale della Sila. (4-01745)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, afferente gli interventi di manutenzione alle opere di presa dei due bacini idroelettrici Arvo e Ampollino, siti nel territorio del Parco nazionale della Sila in Calabria si evidenzia quanto segue.
  Gli interventi di svuotamento condotti per scopi manutentivi indifferibili ed urgenti delle opere di presa-derivazione degli invasi ed effettuati al fine di garantire la funzionalità degli impianti idroelettrici correlati ubicati a valle, nonché l'approvvigionamento idrico a scopo potabile ed irriguo delle popolazioni ivi residenti, risultano essere già stati eseguiti per il lago Ampollino ed invece annullati per il lago Arvo.
  La società concessionaria dell'invaso, A2A s.p.a., con lettera del 22 settembre 2014, aveva infatti comunicato ai diversi soggetti interessati l'intenzione di procedere, nei mesi di ottobre e novembre 2014, ad attività indifferibili di svaso del lago Ampollino essendovi la necessità di eseguire urgenti lavori di manutenzione da potersi effettuare solo a lago vuoto o comunque con opere di presa emerse.
  Nella nota citata, la A2A s.p.a. evidenziava inoltre che tutte le opere idrauliche di manutenzione, strumentali alla sicurezza e al controllo dell'invaso in questione, sarebbero state eseguite conformemente alle prescrizioni contenute nel decreto ministeriale 30 giugno 2004 n. 15892 del Ministero dell'ambiente, nonché nel rispetto delle eventuali prescrizioni emanate dal Parco nazionale delle Sila.
  Inoltre, con apposita comunicazione del 24 ottobre 2014, il Corpo forestale dello Stato ha evidenziato la non sussistenza di interferenze irreversibili per l'ambiente, quali l'assenza di morie di pesci e la non alterazione a valle dell'invaso. Peraltro, il fascicolo sulla vicenda in questione veniva inoltrato anche all'attenzione della procura della Repubblica presso il tribunale di Crotone.
  Si chiarisce inoltre che, in merito al complessivo « Progetto di gestione dei serbatoi Arvo, Ampollino, Migliorite ed Orichella» elaborato ai sensi dell'articolo 114 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, la regione Calabria ha rilasciato parere negativo di valutazione di incidenza. Il suddetto progetto prevedeva diverse tipologie di azioni tra le quali la fluitazione del sedimento (fanghi e sabbia), ovvero le operazioni di rimozione dei sedimenti presenti nell'invaso in grado di generare potenziale incidenza sui siti Natura 2000 a valle dello stesso. Si precisa, peraltro, che il processo di fluitazione non è stato attuato durante le azioni di parziale svuotamento del lago Ampollino.
  Si ritiene inoltre opportuno evidenziare che le attività regolate nei progetti di gestione degli invasi riguardano non solo aspetti gestionali di interesse del concessionario di derivazione, ma rivestono anche interesse pubblico riferibile alla sicurezza della diga per gli aspetti di funzionalità e manutenzione delle opere di scarico e di quelle sommerse e riferibili agli aspetti di tutela qualitativa e quantitativa della risorsa idrica.
  Tale interesse pubblico risulta tanto più rilevante se si considera che, nella fattispecie del lago Ampollino, le acque sono direttamente destinate ad un utilizzo plurimo e pertanto è opportuno garantire la contemporaneità dei diversi interessi.
  In merito alle azioni condotte dall'ente parco nazionale della Sila, si specifica che la normativa vigente (decreto ministeriale 30 giugno 2004 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'articolo 114, decreto legislativo n. 152 del 2006) demanda alle competenze regionali l'eventuale autorizzazione o diniego alla predisposizione del Progetto di gestione degli invasi.
  Nel caso specifico del bacino del lago Ampollino, l'ente parco ha rilasciato il proprio parere preliminare/endoprocedimentale per la Valutazione di Incidenza, procedura di competenza del dipartimento ambiente della regione Calabria e propedeutica alla predisposizione del Progetto di gestione dell'Ampollino. A tutela degli ecosistemi presenti nell'area, l'ente parco nazionale della Sila ha rivolto all'ente gestore dell'invaso, la società A2A s.p.a., nel proprio parere, una serie di prescrizioni riguardanti sia le operazioni di svuotamento dell'invaso che le azioni di monitoraggio post e ante svuotamento dello stesso.
  In particolare, l'ente parco ha previsto attività di monitoraggio, misure di mitigazione, attività di recupero dell'ittiofauna autoctona, di ripopolamento, di reimmissione e di reintroduzione, oltre al monitoraggio continuo della qualità delle acque, alla misurazione dei parametri di «torbidità» e dell'ossigeno disciolto, sia a valle dell'invaso che nel corso d'acqua principale in cui si immette, fino ad analisi eco-tossicologiche dei sedimenti.
  Inoltre, l'ente parco ha prescritto che nelle operazioni di svuotamento dell'invaso il raggiungimento della portata massima operativa dovesse avvenire gradualmente, onde consentire l'allontanamento degli organismi bentonici e della fauna ittica dal corso recettore.
  Per di più, l'ente parco, a suo tempo, vista la delicatezza e la specificità degli interventi sul lago Ampollino, avvalendosi anche di esperti del settore, ha informato prontamente il Coordinamento territoriale per l'ambiente (C.T.A.) del Corpo forestale dello Stato affinché attivasse tutte le operazioni di vigilanza necessarie sopra descritte.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MATARRELLI, DURANTI, FRATOIANNI, PANNARALE e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sito de Il Fatto quotidiano del 17 marzo 2014, ha ricostruito la vicenda dell'area Micorosa, l'immensa discarica illegale all'interno della quale in questi decenni sono stati sversati i fanghi e i rifiuti tossici del petrolchimico di Brindisi;
   l'area Micorosa si trova all'interno del parco delle saline di Punta della Contessa, ed è un'area protetta, così come confermato anche dal nuovo strumento di programmazione di cui si è dotata la Puglia, ossia il Piano paesaggistico territoriale;
   nonostante questo in quell'area sono sepolti 1,5 milioni di metri cubi di cloruro di vinile, benzene, arsenico e altri inquinanti, tombati fino a cinque metri di profondità su 44 ettari di fronte al mare e con valori che superano i limiti di legge. È per questo che sulla zona vige un'ordinanza comunale che vieta l'accesso alle persone;
   Micorosa è zona contaminata, tant’è che per la sua bonifica lo Stato metterà a disposizione 50 milioni di euro, mentre sono incerti, attualmente, gli ulteriori 20 milioni di euro a carico di Syndial spa e Versalis spa, società partecipate da Eni, le società che di quell'inquinamento sarebbero le responsabili;
   il 6 febbraio 2014 il Tar di Lecce ha emesso una sentenza con la quale ha annullato l'ordinanza con cui la provincia di Brindisi, il 25 marzo 2013, aveva imposto a Edison, Versalis, Syndial, Eni e alla curatela fallimentare della Micorosa srl di effettuare la bonifica e il risanamento;
   come ricostruisce il sito de Il Fatto quotidiano del 9 febbraio 2014, i ricorsi al Tar delle suddette società Syndial e Versalis vengono accolti anche per un motivo: l'area rientra in un Sito di interesse nazionale (SIN) e ad ordinare la bonifica avrebbe dovuto essere non la provincia, bensì il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, pure costituitosi in giudizio –:
   se non intenda attivarsi con urgenza al fine di garantire le operazioni di bonifica dell'area Micorosa. (4-04081)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al sito di interesse nazionale (SIN) di Brindisi, ed in particolare all'area cosiddetta Micorosa, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Dapprima occorre premettere che la suddetta area — attualmente di proprietà della società Micorosa s.r.l. — è stata utilizzata, dal 1962 al 1980, come luogo di recapito dei rifiuti di origine industriale da parte di società dell'ex gruppo Montedison, provenienti dagli impianti di produzione dell'acetilene (fanghi di idrossido di calcio), da quelli di produzione del PVC (composti organici clorurati e miscele di solventi aromatici policiclici) e da code residue dell'impianto di produzione dell'anidride ftalica (acidi maleico e ftalico).
  Nel 1987 l'area è stata ceduta dal gruppo Montedison alla Micorosa s.r.l, che, solo tra il 1994 e il 1995, si è attivata per il recupero dei fanghi precedentemente scaricati, allo scopo di produrre calce idrata: dopo un anno, però, l'attività degli impianti è stata fermata.
  Successivamente, con legge regionale n. 28 del 23 dicembre 2002 (Bollettino Ufficiale Regione Puglia n. 164 del 2002) l'area Micorosa è stata inserita nella perimetrazione del Parco regionale «Salina di Punta della Contessa». Dal momento che tale area è sotto curatela fallimentare, le attività di caratterizzazione ambientale previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 sono state svolte dal servizio ecologia del comune di Brindisi, che ha redatto il «Piano della Caratterizzazione Ambientale del sito area Micorosa» approvato con prescrizioni da questo Ministero nella conferenza dei servizi decisoria del 1o agosto 2007.
  La caratterizzazione ambientale ha evidenziato:
   la presenza di rifiuti costituiti in prevalenza da idrossido di calcio proveniente dagli impianti di produzione dell'acetilene, da code clorurate provenienti dalla lavorazione del PVC e rifiuti provenienti dall'impianto cloro-soda;
   i terreni sottostanti il corpo rifiuti risultano contaminati a causa della presenza di composti alifatici clorurati cancerogeni e non, idrocarburi aromatici, clorobenzeni (esaclorobenzene e pentaclorobenzene), idrocarburi leggeri e pesanti, metalli pesanti (As, Sn, Hg, Be, Se) e ammine aromatiche (anisidina);
   la contaminazione delle acque di falda da metalli pesanti (Al, As, Fe, Ni, Mn), idrocarburi aromatici (benzene, etilbenzene, stirene) e composti alifatici clorurati cancerogeni e non (cloruro di vinile, cloroformio, 1,2-dicloroetano, 1,2-dicloroetilene, 1,1-dicloroetano, 1,1,2-tricloroetano).

  Relativamente alla procedura amministrativa instaurata per i progetti di bonifica, si rappresenta che con l'accordo di programma stipulato il 18 dicembre 2007, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario di Governo per l'emergenza ambientale, la regione Puglia, la provincia di Brindisi, il comune di Brindisi e l'autorità portuale di Brindisi si sono impegnati a definire gli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel SIN di Brindisi.
  Circa gli stanziamenti previsti e disposti in favore della tutela dei luoghi indicati, si segnala che la delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica n. 87 del 3 agosto 2012, recante « Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC). Programmazione regionale delle risorse residue del FSC a favore del settore ambientale per la manutenzione straordinaria del territorio», ha assegnato 40.000.000,00 euro a valere sulle risorse FSC 2007-2013 di competenza della Regione Puglia per la copertura dell'intervento «Attuazione interventi programmatici previsti nell'AdP Brindisi per la bonifica e messa in sicurezza di emergenza della falda nel SIN Brindisi».
  In data 16 luglio 2013 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro «Ambiente» tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Puglia, che ha confermato — all'articolo 3, comma 1 — la destinazione dei 40.000.000,00 euro al citato intervento, coerentemente con quanto previsto dalla menzionata delibera CIPE.
  Quest'ultimo fa riferimento alla nota con la quale la regione Puglia ha manifestato la volontà di avviare alcuni interventi prioritari di messa in sicurezza e bonifica della falda, con particolare riferimento all'area Micorosa, in considerazione dell'elevata compromissione delle matrici ambientali del sito nonché alla successiva condivisione della proposta regionale da parte del Ministero dell'ambiente.
  Successivamente è stato convenuto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dalla ragione Puglia e dal comune di Brindisi di affidare alla società Sogesid s.p.a. la «Progettazione definitiva di messa in sicurezza e bonifica» dell'area.
  In tale contesto sono stati presentati i seguenti documenti:
   «Interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda del SIN di Brindisi. Progetto Definitivo — 1o Stralcio funzionale — Area Micorosa», trasmesso dalla Società Sogesid;
   «Progetto operativo di messa in sicurezza permanente di parte delle aree esterne Syndial
», trasmesso dalla società Syndial.

  La conferenza di servizi decisoria del 29 ottobre 2013 ha ritenuto approvabili con prescrizioni i suddetti elaborati e ha chiesto alla regione Puglia di procedere alla verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (VIA) dell'intervento.
  Il costo del progetto per la parte pubblica, approvato in via provvisoria per motivazioni d'urgenza con decreto ministeriale n. 178 del 1o luglio 2014 e con successivo decreto direttoriale del 14 novembre 2014, è pari a 36.573.498,31 euro.
  Al fine di disciplinare le attività di progettazione definitiva degli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'area Micorosa, in data 4 dicembre 2013 è stata sottoscritta un'apposita convenzione tra il Ministero dell'ambiente, la regione Puglia, il comune di Brindisi e la Sogesid s.p.a. per un importo complessivo di 2.559.944,52 euro.
  La gestione amministrativa dell'intervento è in capo al comune di Brindisi, individuato quale soggetto attuatore per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e bonifica della falda nel SIN di Brindisi nell'allegato 2 al citato accordo di programma quadro «Ambiente» del 16 luglio 2013.
  Giova, inoltre, sottolineare che durante le attività di progettazione dell'intervento era stata valutata una soluzione alternativa, poi scartata, che prevedeva la bonifica e la rinaturalizzazione dell'intera area per restituirla alle condizioni precedenti lo sversamento, con la rimozione dell'intero corpo rifiuti.
  Tali rifiuti, però, appartengono alla classe di pericolo H8 e, pertanto, smaltibili solamente in discarica adibita allo smaltimento di rifiuti speciali pericolosi.
  L'intervento di messa in sicurezza approvato appare, dunque, quello maggiormente sostenibile, con impatti che complessivamente risultano limitati, reversibili e circoscritti alla durata della fase di realizzazione delle opere.
  La messa in sicurezza permanente, al contrario del «tombamento», risulta realizzabile ed efficace in tempi decisamente inferiori (due anni, mentre per l'intervento di bonifica si parla di almeno dieci anni), consentendo anche l'isolamento delle sostanze cancerogene già prima della fine dei lavori.
  Il progetto si dovrà raccordare con l'intervento di Syndial, che si occuperà della parte di confinamento relativa alle aree private. La gestione e il coordinamento dei due interventi durante l'esecuzione degli stessi, come indicato dal protocollo Syndial comune di Brindisi – Regione Puglia, sarà effettuato da una apposita «cabina di regia» che dovrà tenere conto anche delle osservazioni avanzate dal Consiglio superiore dei lavori pubblici.
  La regione Puglia, il 2 dicembre 2014, ha comunicato che alcune opere comprese nel progetto Syndial (come, ad esempio, la canalizzazione e la regolazione dei corsi d'acqua) sono soggette a procedura di verifica di assoggettabilità a VIA.
  Con provvedimento dirigenziale di autorizzazione n. 21 del 27 febbraio 2015, la provincia di Brindisi ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale per il «Progetto definitivo di spostamento del tratto terminale del sedime del canale Pandi» nell'ambito del più ampio «Progetto Operativo di messa in sicurezza permanente di parte delle Aree esterne Syndial».
  In data 8 dicembre 2015 il comune di Brindisi ha trasmesso copia del certificato di destinazione urbanistica delle aree interessate dal progetto Syndial mentre l'11 gennaio 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha rilasciato il parere positivo sul progetto.
  Con decreto direttoriale del 1o febbraio 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha approvato il progetto (che prevede l'inizio dei lavori entro e non oltre quattro mesi dalla notifica del decreto), nonché la stipula di una fidejussione bancaria per la somma del 50 per cento dell'importo dell'intervento a garanzia della corretta esecuzione e del completamento dell'intervento, per un costo totale di 19.700.000 euro.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a svolgere attività di monitoraggio e di sollecito, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   alcune compagnie petrolifere hanno chiesto e avviato i procedimenti per l'esecuzione delle trivellazioni al largo delle coste del Mar Ionio, di fronte a molti comuni calabresi, in particolare lungo la fascia che va da Amendolara, in provincia di Cosenza, ai comuni rivieraschi della provincia di Crotone, dove già da molto tempo si estrae idrocarburo liquido, comprese le relative procedure di valutazione impatto ambientale;
   molti comuni interessati hanno formalmente deliberato contro lo svolgimento dell'attività di trivellazione, anche in considerazione del rilevante impatto ambientale, dell'equilibrio marino che comprometterebbe in maniera irreversibile fattività ittica, già messa a dura prova dalle direttive europee e la vocazione turistica del territorio che verrebbe fortemente compromessa da una eventuale ulteriore attività estrattiva;
   nei territori prospicienti il mare, dove avvengono le trivellazioni, vi sono colture di particolare pregio che rappresentano il fiore all'occhiello dell'agroalimentare calabrese, dagli agrumeti e dalle clementine della piana di Sibari, ai vigneti del cirotano, per finire agli uliveti secolari che caratterizzano anche nel paesaggio tutta la costa, da cui si ricava olio di oliva di ottima qualità, certificato dall'Unione Europea, quale Dop;
   tra i comuni di Amendolara, Albidona e Trebisacce, si trova la «secca di Amendolara», già proposta quale patrimonio dell'UNESCO;
   in pieno centro abitato di Cirò Marina è stata rilevata una faglia che ha messo in gravi condizioni di stabilità diversi edifici, tra i quali l'immobile che ospita una scuola;
   la costa Jonica interessata alle trivellazioni è ricca di splendide bellezze naturali e ambientali e di numerosi siti di interesse storico, artistico e architettonico, quali il Castello di Roseto Capo Spulico, i siti archeologici di Sibari, Francavilla, Amendolara, e Broglio di Trebisacce, il Tempio di Apollo Aleo di Cirò Marina, il sito di Capo colonna e la Riserva Marina di Isola Capo Rizzuto;
    i comuni costieri hanno promosso iniziative turistiche ecosostenibili che sono nettamente in contrasto con le trivellazioni che si stanno effettuando nel mare in funzione dell'attività estrattiva degli idrocarburi;
   se all'attività di ricerca dovesse seguire quella estrattiva si corre il grave rischio di provocare implicazioni ambientali negative, la cui portata non è esattamente valutabile, ma che metterebbe seriamente a rischio la prospettiva di crescita economica, in particolare relativa all'economia agricola che è innovativa e di eccellenza, e turistica dell'intero territorio;
   la regione Calabria non ha finora messo in campo alcun provvedimento diretto a scongiurare tale pericolo –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, non intendano intervenire con la massima sollecitudine per evitare che nel Mar Jonio continuino ad effettuarsi ulteriori trivellazioni finalizzate alla ricerca di idrocarburi liquidi, in quanto incompatibili con la vocazione economica, agricola e turistica del territorio. (4-01182)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alle problematiche attinenti le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi nel mar Ionio, sulla base degli elementi acquisiti dai soggetti istituzionali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si precisa che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale.
  Le prospezioni vagliate con esito positivo nel procedimento VIA, e non ancora autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, mirano infatti a stabilire se in determinate aree siano presenti idrocarburi e in quale quantità, con lo studio preliminare della struttura geologica del sottosuolo, mediante l'emissione di onde acustiche rivolte verso il fondale e prodotte al largo, al fine di acquisire dati ed elementi utili per l'eventuale successiva fase di ricerca.
  In tale fase di prospezione, non è prevista alcuna installazione di piattaforme, che invece potranno eventualmente essere allocate solo a seguito di riscontri positivi delle prospezioni medesime e, comunque, fra diversi anni, previa nuova valutazione di impatto ambientale e ulteriore diversa autorizzazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  Nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, il Ministero dello sviluppo economico coordina la sua attività con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che valuta la compatibilità ambientale di progetti di estrazione degli idrocarburi.
  In ordine alle questioni relative all'impatto ambientale del progetto e alle possibili criticità segnalate dall'interrogante, si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Per quanto riguarda la contrarietà delle amministrazioni locali al rilascio dell'autorizzazione dei permessi di ricerca, si evidenzia che, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di VIA sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte: tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Si evidenzia, inoltre, che dopo l'incidente del 2010 nel golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione europea volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/UE è stato avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  Si ricorda, da ultimo, che in forza dell'articolo 1, comma 239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare «entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle (...) aree marine e costiere protette», disponendo inoltre che «i titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale».
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a tenersi informato attraverso i soggetti istituzionali competenti, monitorando, per quanto di competenza, il puntuale rispetto della normativa in materia di tutela dell'ambiente.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria continua a vivere gravissimi problemi legati al dissesto idrogeologico e, in particolare nella provincia di Catanzaro, il Quotidiano della Calabria del 4 marzo 2015 mette in risalto, ancora una volta, la fragilità del territorio calabrese;
   a seguito di un sopralluogo effettuato sulla strada provinciale n. 157, che collega, una volta riaperto il tratto stradale, il quartiere Santa Maria a Germaneto, emerge la necessità di interventi per la messa in sicurezza del manto ormai compromesso;
   la strada interessata risulta particolarmente importante, anche in considerazione del fatto che la stessa, nella sua piena funzionalità, collega rapidamente alcuni fra i rioni più popolosi della zona sud della città e la sede universitaria;
   a rendere più preoccupante la situazione si aggiungono le piogge, che negli ultimi tempi hanno dato luogo a episodi molto critici, come le numerose frane, con gravi disagi per i loro abitanti;
   richieste di urgente intervento sono state inoltrate a tutte le istituzioni locali e sottolineano la necessità di promuovere e finanziare ulteriori interventi per risolvere definitivamente le problematiche relative al dissesto, evitando il ripetersi di altri movimenti franosi con grave rischio per gli automobilisti;
   la situazione appare molto critica e gli interventi da predisporre devono essere rapidi proprio perché le continue carenze infrastrutturali limitano l'utilizzo della importante arteria;
   è importante attivare l'attenzione delle istituzioni locali e sollecitare gli organismi preposti ad effettuare gli urgenti e indispensabili interventi;
   la provincia di Catanzaro chiede che le vengano assegnate adeguate risorse per far fronte ai danni provocati dal maltempo e per intervenire in modo incisivo sulle infrastrutture più importanti, che hanno subito danni;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare la popolazione locale –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per adeguare le risorse finanziarie destinate alla difesa del suolo e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, assicurando che l'assegnazione delle stesse avvenga in modo da privilegiare le aree a più alto rischio franoso, come quella della provincia di Catanzaro;
   se il Governo intenda promuovere ogni utile iniziativa di competenza, compreso un tavolo di concertazione che coinvolga gli enti locali interessati, per la messa in sicurezza della strada provinciale n. 157 interessata dagli eventi franosi di quest'ultimo periodo, a tutela dell'incolumità degli utenti e dei cittadini. (4-08393)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità derivanti dal dissesto idrogeologico in provincia di Catanzaro, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
   Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito dalle proposte presentate dalle Regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Il piano stralcio è composto di una sezione attuativa di complessivi 33 interventi, nella quale sono riportati gli interventi immediatamente finanziabili per un importo finanziato dallo Stato di oltre 656 milioni, e di una sezione programmatica di complessivi 99 interventi, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno a tal fine disponibili. Nella sezione programmatica sono stati inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individua i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in modo da garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, si segnala che le richieste avanzate e validate dalla regione Calabria fino al 24 febbraio 2016, termine per l'inserimento delle proposte nel sistema ReNDiS, ammontano a 188.149.986,02 euro per la provincia di Catanzaro per un totale di 134 interventi.
  Al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non risultano richieste di finanziamento statale di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico attribuibili al tratto stradale Santa Maria – Germaneto (Provincia di Catanzaro).
  Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità espresse dalla stessa regione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PETRAROLI, DE ROSA e DELLA VALLE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il lago di Varese ha una superficie pari a circa 15 chilometri quadrati ed una profondità media di 11 metri, bagna in tutto nove comuni nella provincia di Varese: Varese, Azzate, Bardello, Biandronno, Bodio Lomnago, Buguggiate, Galliate Lombardo, Cazzago Brabbia e Gavirate;
   è alimentato quasi esclusivamente dalle acque di pioggia e dallo scioglimento delle nevi della zona collinare e pedemontana limitrofa. L'unico immissario significativo è il Canale Brabbia, che riversa nel lago di Varese le acque in uscita dal lago di Comabbio mentre l'emissario è il fiume Bardello, che sfocia nel lago Maggiore;
   il lago di Varese rappresenta una zona umida di particolare rilevanza ecologica, area di svernamento di numerosi uccelli acquatici come riportato dal «patto per il lago di Varese (valido per il quinquennio 2008-2013)» pagina 1 a firma di: Lega Italiana Protezione Uccelli – (Lipu Onlus) Varese, Lega Ambiente, Verdi Ambiente e Società (VAS) Amici della Terra;
   il lago, infatti, rappresenta una zona di protezione speciale (ZPS) ovvero un sito selezionato in base alla direttiva comunitaria 79/409/CEE (cosiddetta Direttiva uccelli);
   il lago di Varese è quello che è stato maggiormente colpito dai fenomeni di eutrofizzazione che hanno inciso sui laghi italiani negli ultimi 50 anni;
   il fenomeno dell'eutrofizzazione è una tipica manifestazione di inquinamento cronico dei bacini lacustri. La causa di questo fenomeno è la super-concimazione delle acque del bacino ad opera di sostanze nutritive con conseguente crescita anomala delle alghe (esplosione algale);
   l'abnorme apporto di nutrienti algali (fosforo e azoto) provenienti dal bacino imbrifero (prevalentemente scarichi civili), caratterizzato a partire dalla seconda metà degli anni ’50 da un forte incremento demografico e industriale, ha innescato il processo di eutrofizzazione del lago;
   i principali effetti indesiderati che si generano in seguito all'eutrofizzazione, come riportato dall'Università dell'Insubria «FENOMENI DI INQUINAMENTO DELLE ACQUE NATURALI» da pagina 1 a pagina 4 sono: 1. intorbidimento e colorazione delle acque, 2. diminuzione del contenuto di ossigeno disciolto nelle acque, 3. scomparsa progressiva delle specie ittiche più pregiate;
   si ritiene necessaria una migliore taratura degli indici per poter valutare correttamente lo stato ecologico del Lago di Varese in cui la comparsa di alcune specie di fitoplancton sembra falsare il giudizio finale. L'errore di valutazione è parzialmente compensato dall'indice LTLeco (Livello Trofico per lo stato ecologico, introdotto dal decreto ministeriale n. 260 del 2010 (che modifica le norme tecniche del decreto legislativo n. 152 del 2006)) che abbassa lo stato ecologico in terza classe, tuttavia il giudizio finale appare eccessivamente ottimistico (fonte ARPA Lombardia: «Stato delle acque superficiali della provincia di Varese. Anno 2012 RAPPORTO ANNUALE 2012 – DIPARTIMENTO DI VARESE – Settembre, 2013 pag. 74) –:
   di quali elementi disponga il Governo e se intenda incrementare, per il tramite del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, i controlli sugli scarichi nel lago di Varese. (4-05504)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche ambientali del lago di Varese, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali interessati per il tramite della competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La regione Lombardia ha evidenziato che nel bacino del lago di Varese è identificato un solo agglomerato denominato «AG01207201 Gavirate-Varese Lago» che comprende l'area insediata del bacino sia del lago di Varese sia del lago di Comabbio. Tale agglomerato – che si stima generi un carico di 97.501 AE (Abitante Equivalente) – è servito da una rete che trasporta le acque reflue all'impianto «DP01207201 Gavirate-Varese Lago» che ha una capacità di 110.000 AE. Considerato che tale impianto scarica nel fiume Bardello, corso d'acqua che sfocia nel lago Maggiore, il suo scarico non incide sulla qualità delle acque del lago di Varese.
  All'interno del bacino lacuale, inoltre, non sono censiti scarichi in ambiente non trattati.
  Spesso in concomitanza con eventi piovosi di una certa intensità entrano in funzione lungo la rete gli scaricatori di piena.
  Tenendo conto che nell'ATO (ambito territoriale ottimale) di Varese l'organizzazione del servizio idrico integrato solo in questi ultimi mesi ha trovato una definizione di modello gestionale adeguata alle disposizioni normative, che prevedono il principio di unicità verticale ed orizzontale della gestione nell'ambito ottimale. Occorrerà pertanto del tempo prima che il processo sia concretamente portato a termine. La capacità analitica e conoscitiva che è possibile sviluppare (ad esempio, con riferimento alla modellazione della rete) è ancora parzialmente lacunosa.
  La regione Lombardia ha sottolineato che in questo periodo è in corso di realizzazione un'indagine di dettaglio sul collettore circumlacuale del lago e sui principali collettori ad esso afferenti al fine di evidenziare eventuali criticità nel funzionamento del sistema fognario sia in tempo secco che di pioggia.
  Relativamente ai controlli, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 spetta all'autorità competente effettuare il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli degli scarichi. Tali controlli sono effettuati dal gestore e dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale e i risultati degli stessi sono trasmessi nel sistema informativo regionale S.I.R.e. Acque che raccoglie i dati di tutti i depuratori presenti nella regione Lombardia. Pertanto, è l'ARPA a valutare annualmente la conformità degli scarichi alle disposizioni vigenti.
  Le campagne annuali di controllo degli scarichi del depuratore in questione hanno fatto registrare un buon esito dal 2011 al 2014 garantendo sempre la conformità ai limiti tabellari previsti dalla normativa.
  Relativamente alla classificazione dello stato ecologico delle acque del lago di Varese la regione Lombardia dichiara che questa risulta in qualità sufficiente.
  Infatti, sulla base del monitoraggio operativo eseguito dall'ARPA nel triennio 2012-2014, è stato evidenziato che le componenti che determinano il giudizio sufficiente sono sia il fitoplancton (elemento biologico monitorato) sia il descrittore LTLeco (Livello Trofico Laghi per lo stato ecologico). È risultato, invece, buono lo stato derivante dagli elementi chimici a sostegno, nonché lo stato chimico.
  Osservando i dati del triennio precedente è stato evidenziato come il permanere di uno stato ecologico solo sufficiente sia dovuto al fitoplancton e al descrittore LTLeco.
  Il lago di Varese, infatti, è caratterizzato da uno stato diffuso di eutrofizzazione che determina un generale degrado dell'ecosistema, legato principalmente a elevati livelli di fosforo nelle acque che negli ultimi 10 anni sono pressoché invariate attestandosi intorno ai 60-80 microgrammi/litro. Tali concentrazioni sono collegate anche alla presenza di elevati carichi interni, paragonabili in termini quantitativi a quelli provenienti dal bacino imbrifero drenante.
  Dal 2004 è attivo un «Osservatorio del Lago di Varese», istituito su proposta della provincia di Varese e finalizzato alla definizione di politiche di intervento, di tutela e di valorizzazione del lago. Tale Osservatorio, composto dai soggetti territorialmente e scientificamente interessati al lago di Varese, segue l'andamento annuale della qualità del lago, oltre a promuovere studi e ricerche finalizzati al miglioramento della qualità delle acque.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione delle norme recanti le disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), il Corpo nazionale dei vigili del fuoco non ha ottenuto alcun potenziamento degli organici;
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, non ha ricevuto dal Governo stesso, stanziamenti destinati ad assumere, ma ha proceduto a finanziare le proprie assunzioni extra turnover rimodulando il capitolato di spesa destinato al personale volontario, quindi da considerarsi «assunzioni a costo zero», in quanto tale fondo era già in seno all'amministrazione stessa;
   la Federazione nazionale coordinamenti VVF discontinui ha manifestato rammarico e disapprovazione per questa decisione scellerata del Governo;
   allo stato attuale l'unica certezza è data dalle 600 unità, con fondi già disponibili derivanti dall'ultima tranche derivante dall'assunzione di 1000 unità vigili del fuoco ai sensi del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014 n. 114, e l'anticipo del turnover 2014 e 2015 in vista del Giubileo straordinario della misericordia di 355 unità derivante dal decreto-legge 78 del 2015 (decreto enti locali), i cui rispettivi corsi di formazione sono partiti il 7 settembre 2015 per 600 unità, il 9 dicembre per 250 unità e il 21 dicembre 2015 per 105 unità;
   in base a quanto esposto, in virtù anche della massiccia ondata di pensionamenti del prossimo triennio, considerando che l'anticipo delle 355 unità, di cui 250 da assumere come era previsto nel 2016, la situazione potrebbe determinare un vuoto di assunzioni, già verificatosi nel 2012 che portò il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quasi al collasso;
   ad oggi si hanno ancora 2 bacini di personale da cui attingere per le assunzioni che contano oltre 4000 unita, ovvero il concorso pubblico 814 e la graduatoria di stabilizzazione del personale volontario decretata con decreto ministeriale 1996 del 2008 valide fino al 31 dicembre 2016;
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco non deve essere in alcun modo considerato come una risorsa salvaguardia del cittadino di minore importanza, come sembra stia accadendo con i provvedimenti sopracitati, anche in relazione ai tragici eventi terroristici che hanno colpito Parigi, con l'attacco allo stadio di Francia e la sanguinosa strage al teatro Bataclan, che hanno disseminato nel territorio europeo sconcerto e paura, ricordando che per tutto l'anno 2016 l'Italia sarà impegnata a fronteggiare le questioni di sicurezza legate al Giubileo straordinario della misericordia –:
   quali iniziative si intendano adottare nel breve tempo, affinché possa concretizzarsi un reale potenziamento dell'organico, necessario a garantire un efficiente servizio di soccorso;
   quali iniziative intenda adottare per dare compiute risposte al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, con particolare riferimento ai vigili del fuoco discontinui da sempre bistrattati dall'amministrazione statale;
   se non intenda assumere iniziative per dare continuità e certezza di servizio garantendo una stabilizzazione di quei tanti vigili del fuoco discontinui dotati di importanti professionalità ma perennemente mortificate. (4-12676)

  Risposta. — Le questioni evidenziate dall'interrogante, relative al potenziamento dell'organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e alla stabilizzazione del personale volontario, sono da tempo all'attenzione di questa amministrazione.
  Solo nel corso di questa legislatura la dotazione organica del Corpo nazionale è stata incrementata di oltre 2 mila unità di personale, grazie a due provvedimenti legislativi adottati nel biennio 2013-2014.
  Nella stessa interrogazione viene menzionata un'altra misura significativa: l'autorizzazione, contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2015, all'assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo nazionale di 250 vigili del fuoco per le esigenze di soccorso pubblico connesse allo svolgimento del Giubileo straordinario.
  Si rappresenta anche che, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per vigile del fuoco, questa amministrazione è stata autorizzata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre scorso, a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica. Tale misura consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano organizzativo che su quello funzionale.
  Si fa presente, inoltre, che l'anno corrente ha portato con sé una misura di estremo rilievo in tema di ripianamento delle vacanze di organico.
  Dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle vane manovre di contenimento della spesa pubblica, il turn-over è stato ripristinato nella sua totalità. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn-over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio intervenute nell'anno 2014, per l'anno in corso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  Si ritiene utile richiamare l'attenzione su un'altra linea direttrice che l'amministrazione sta seguendo per realizzare l'efficientamento del servizio di soccorso tecnico urgente auspicato dall'interrogante.
  Partendo dalla constatazione che in questa fase congiunturale il potenziamento delle dotazioni organiche è una leva fortemente condizionata dalla limitatezza delle disponibilità finanziarie, si è intrapreso con decisione la strada dell'ottimizzazione delle risorse esistenti e della razionalizzazione del funzionamento delle strutture.
  È stato predisposto ed è in corso di attuazione, ad invarianza di spesa, un progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale.
  Il progetto, partendo dalle esigenze del territorio, ha ridefinito la mappatura delle sedi (centrali e distaccate), riclassificandole in base a indicatori oggettivi riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale. In tale ambito, si è provveduto a bilanciare nel miglior modo possibile la distribuzione del personale nei vari comandi provinciali, garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
  Si soggiunge che il progetto ha riconosciuto ampia flessibilità in ambito locale, cosicché ai comandanti provinciali, in quanto responsabili del servizio di soccorso pubblico, è stata data la facoltà di adattare il modello di dispositivo di soccorso alle esigenze legate alle specificità del territorio, operando una diversa distribuzione delle unità di personale tra i diversi distaccamenti della provincia ovvero attivando sedi distaccate, in aggiunta a quelle previste dal progetto, purché tale ipotesi sia compatibile con le risorse assegnate
  Quanto alle iniziative volte alla stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari, si evidenzia che il favor del Ministero dell'interno verso questa peculiare e meritoria categoria di personale e testimoniata, da un lato, dalla destinazione ai volontari di una riserva del 25 per cento dei posti nei concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco dall'altro, dall'indizione in via eccezionale, nell'agosto del 2007, di una procedura, di stabilizzazione – derogatoria del principio costituzionale dell'accesso al pubblico impiego mediante concorso – riservata ai vigili volontari con almeno tre anni di anzianità di iscrizione negli appositi elenchi e 120 giorni di servizio.
  La riserva del 25 per cento ha consentito l'assunzione di 807 vigili volontari attraverso lo scorrimento della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco permanente. E altri consentirà di assumerne nell'ambito del concorso a 250 posti di prossima indizione, a cui si è fatto riferimento prima.
  In ordine alla procedura di stabilizzazione, si evidenzia che grazie ad essa sono stati immessi nei ruoli dei vigili del fuoco permanenti ben 3.558 volontari attraverso lo scorrimento di 5.482 delle 6.093 posizioni di cui si compone complessivamente la graduatoria.
  Tale procedura, al pari della graduatoria del citato concorso a 814 posti, è ancora aperta e tale rimarrà fino al 31 dicembre 2016.
  Infine, in merito all'indizione di nuove procedure di stabilizzazione, si rappresenta che una iniziativa del genere richiederebbe un mirato intervento legislativo, che dovrebbe farsi carico di reperire la necessaria copertura finanziaria, oltreché di realizzare un equilibrato bilanciamento delle varie aspirazioni e interessi coinvolti.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la caserma «De Gennaro» di Forlì ospita dal 1° ottobre 1975 il 66° reggimento fanteria aeromobile «Trieste» della brigata Friuli, unità ad alta prontezza operativa frequentemente impiegata all'estero;
   stando ad indiscrezioni raccolte dalla stampa locale, la storica struttura militare di Forlì sarebbe prossima alla chiusura;
   in particolare, si dice che il Ministero della difesa stia valutando il trasferimento coatto – presumibilmente ad Ascoli Piceno – degli 800 militari tra ufficiali, sottufficiali e truppa, di cui 600 in servizio permanente, che prestano servizio nella caserma «De Gennaro», in quanto struttura ormai ritenuta non più idonea ad accogliere il reggimento fanteria «Trieste»;
   sarebbero in effetti molti i locali della caserma «De Gennaro» di fatto inutilizzabili, perché resi inagibili dalla perdurante assenza di interventi manutentivi da parte della Difesa;
   appare quindi sempre più concreto il rischio che la caserma «De Gennaro» venga dismessa e che la città di Forlì venga conseguentemente privata di un suo presidio militare storico e del relativo indotto economico;
   non meno di 500 famiglie, in effetti, in caso di trasferimento del reggimento verrebbero improvvisamente costrette da un giorno all'altro a rescindere i loro contratti d'affitto e spostarsi in altra località;
   una preoccupazione ulteriore, avvertita dal territorio, concerne la possibilità che una volta dismessa, la caserma «De Gennaro» possa essere utilizzata, come già accade ad altre strutture militari di cui l'amministrazione della Difesa si è privata, per alloggiare provvisoriamente immigrati clandestini richiedenti tutela internazionale –:
   quali intenzioni abbia effettivamente il Governo in merito al futuro della «Caserma De Gennaro»;
   in particolare, se ne siano realmente programmate la chiusura e conseguente dismissione da parte del Ministero della difesa, ed in quali tempi;
   se il Governo ritenga successivamente di utilizzare la struttura militare dismessa per ospitare immigrati in attesa di tutela internazionale o intenda piuttosto valorizzarla in vista di un suo collocamento sul mercato immobiliare. (4-11441)

  Risposta. — La caserma «De Gennaro», sede del 66o reggimento fanteria «Trieste», non risulta interessata, al momento, da alcuna ipotesi di dismissione, in quanto ritenuta strategica per l'Esercito.
  Anche per quanto riguarda il reggimento fanteria ivi stanziato, si rende noto che non è previsto alcun trasferimento.
  Tanto chiarito, le «indiscrezioni raccolte dalla stampa locale» circa le ipotesi di trasferimento del 66o reggimento fanteria «Trieste» presso Ascoli Piceno, così come il rilascio della caserma «De Gennaro» per il soddisfacimento di esigenze connesse con l'emergenza profughi, sono destituite di fondamento.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 gennaio 2016, il prefetto di Forlì ha comunicato all'amministrazione comunale di Rocca San Casciano la decisione di procedere alla chiusura del locale distaccamento della polizia stradale, assunta dal dipartimento pubblica sicurezza del Ministero dell'interno;
   la questione risulterebbe essere altresì stata trattata anche in sede di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica in data 15 gennaio 2016, senza che peraltro alla relativa riunione venisse invitato sindaco di Rocca San Casciano;
   il presidio della Polstrada situato a Rocca San Casciano dispone attualmente di otto agenti effettivi ed uno distaccato, che provvedono tra l'altro alla sicurezza della strada statale 67, arteria di grande importanza e pericolosità, come attesta il rilevante numero di persone che vi hanno perso la vita nel corso degli anni;
   il numero delle vittime della strada sulla strada statale 67 è drasticamente diminuito, peraltro, dopo l'elaborazione di un protocollo d'intesa per la sicurezza del Passo dei Muraglioni, siglato nel 2010 dalla prefettura di Forlì e dalle amministrazioni comunali coinvolte, e soprattutto la successiva attribuzione al distaccamento della Polstrada di Rocca San Casciano della responsabilità di attuarlo, coordinando le iniziative per il controllo della viabilità sull'arteria;
   al presidio della Polstrada di Rocca San Casciano sono altresì ascritti i 2/3 dei ritiri di patente per guida in stato di ebbrezza effettuati nel territorio di competenza della prefettura forlivese;
   l'amministrazione comunale di Rocca San Casciano aveva reso noto il proprio impegno di vigili del fuoco sono in procinto di dismettere, dopo aver provveduto a ristrutturarla a proprie spese, esigendo soltanto un canone di locazione pari a 1000 euro mensili –:
   quali ragioni abbiano dettato al Governo la decisione di chiudere il presidio della Polstrada di Rocca San Casciano e quali motivi ostino alla sua revoca.
(4-11764)

  Risposta. — La questione posta con l'interrogazione in esame, relativa all'ipotesi di chiusura del presidio di polizia stradale di Rocca San Casciano, è legata, al pari della proposta di soppressione di altri uffici di polizia sul territorio nazionale, all'attuazione di un piano di razionalizzazione che è stato sottoposto al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza nei primi mesi del 2014, e che allo stato attuale non è ancora stato definito.
  Ciò in quanto è sopravvenuta, nel frattempo, la legge n. 124 del 7 agosto 2015 che, nel delegare al Governo l'emanazione di una serie di decreti legislativi in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, ha individuato alcuni importanti criteri direttivi proprio in tema di riordino del sistema della sicurezza.
  Tra tali criteri vi sono quelli di evitare sovrapposizioni dispersive nell'esercizio delle funzioni di polizia e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Si informa, pertanto, che si potrà procedere con il piano di razionalizzazione dei presidi di polizia su tutto il territorio nazionale solo quando, a completamento del percorso normativo avviato con la predetta legge di delega, saranno emanati il decreto legislativo e il regolamento discendente che puntualizzeranno i contenuti della riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Il processo di riordino riguarderà anche le sedi della polizia stradale, dato che dagli inizi degli anni ’90 – periodo a cui risale l'ultimo processo di riorganizzazione – sono intervenute notevoli trasformazioni nella sicurezza dei traffici stradali, legate all'aumento dei volumi di traffico e ai cambiamenti delle direttrici principali.
  In ogni caso, si assicura fin d'ora che i contenuti di tali provvedimenti attuativi saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento e di adeguamento organizzativo alla trasformazione tecnologica e infrastrutturale del Paese, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza.
  Si informa, con l'occasione, che l'iter del decreto legislativo di razionalizzazione delle funzioni di polizia è stato avviato ed è a buon punto.
  Il provvedimento è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nella seduta dello scorso 20 gennaio. Su di esso si è già espressa favorevolmente la Conferenza unificata, mentre si è in attesa di acquisire il parere del Consiglio di Stato e delle competenti commissioni parlamentari.

  Quanto all'attuale sede del distaccamento dei vigili del fuoco di San Casciano, se ne prevede la dismissione entro la prossima estate, in coincidenza con il trasferimento del distaccamento medesimo in un altro immobile, i cui lavori di costruzione sono in fase di ultimazione.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in zona Tor Sapienza a Roma sembra imminente l'apertura di un nuovo centro di accoglienza per immigrati, per il quale sarebbe già stata rilasciata la necessaria autorizzazione da parte del comune di Roma Capitale;
   l'apertura di un nuovo centro di accoglienza porterebbe il numero di tali strutture nella stessa zona a tre, alle quali vanno aggiunti due campi nomadi che pure insistono sul medesimo territorio;
   a ridosso dei campi nomadi in questione vengono quotidianamente accesi fuochi con rifiuti di ogni genere creando nubi tossiche e maleodoranti;
   nella zona già si registra un aumento di fenomeni di delinquenza e furti negli appartamenti, e che nel mese di gennaio 2014 si sono altresì verificate diverse occupazioni abusive di edifici di proprietà sia pubblica che privata;
   questa situazione denota la difficoltà per le amministrazioni competenti di controllare il territorio e di contrastare la criminalità e le occupazioni abusive, nonché di adottare le iniziative, necessarie a contrastare il degrado del territorio, e pertanto, aprire un nuovo centro di accoglienza in una zona già in difficoltà non appare assolutamente opportuno;
   al contrario, è assolutamente indispensabile che sia non solo tutelato il decoro urbano di tutta la zona, ma, soprattutto, che siano salvaguardate l'incolumità, la salute e la sicurezza dei cittadini;
   i cittadini residenti nella zona di Tor Sapienza hanno il diritto che sia loro restituita la sicurezza urbana così come definita dal decreto del Ministero dell'interno del 5 agosto 2008, ovvero il rispetto delle norme che regolano la vita civile, al fine di migliorare le condizioni di vivibilità e sostenere la convivenza civile nell'area, già afflitta da quanto sopra esposto –:
   di quali informazioni sia in possesso in relazione all'apertura del centro di accoglienza di cui in premessa, e quali iniziative intenda assumere, negli ambiti di propria competenza, al fine di contrastare la criminalità, il degrado e l'incuria nel quartiere di Tor Sapienza e nelle aree limitrofe. (4-06432)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, l'interrogante paventa l'apertura di un nuovo centro di accoglienza per migranti a Tor Sapienza – per il quale sarebbe già stata rilasciata la necessaria autorizzazione dal comune di Roma Capitale –, denunciando lo stato di sofferenza sociale che patiscono gli abitanti di quel quartiere e chiedendo informazioni sulle iniziative che il Ministero dell'interno intende adottare, negli ambiti di propria competenza, per arrestare il degrado e assicurare migliori condizioni di sicurezza urbana nella zona in questione.
  In ordine ai fenomeni di illegalità e degrado presenti in quel territorio, occorre innanzitutto rilevare che i dati relativi all'andamento dei reati disponibili su base georeferenziata evidenziano come il Municipio V di Roma Capitale, di cui fa parte Tor Sapienza, costituisca effettivamente il quinto distretto di Roma per crimini commessi. Nondimeno, a partire dal secondo semestre del 2014 il numero dei delitti è diminuito (-1,5 per cento), rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, attestandosi su livelli che si sono mantenuti inalterati anche nel corso dei primi sei mesi del 2015.
  Tale evoluzione positiva sembra ragionevolmente destinata a consolidarsi nel prossimo futuro, soprattutto in considerazione del fatto che – grazie anche alle nuove misure coordinate di controllo del territorio adottate nella prospettiva del Giubileo straordinario della Misericordia – nel corso dell'ultimo anno il numero complessivo dei reati nella Capitale è diminuito del 10 per cento.
  Per quanto concerne la richiesta di informazioni sull'eventuale istituzione a Tor Sapienza di nuovi centri destinati all'accoglienza dei migranti, si rappresenta che la Prefettura di Roma non ha pianificato nulla in tal senso, né risulta che l'amministrazione capitolina abbia in programma di istituire a Tor Sapienza nuovi centri per l'accoglienza di cittadini stranieri nell'ambito del sistema Sprar.
  In riferimento poi ai campi rom presenti nella Capitale, i dati più recenti (aggiornati al luglio 2015) evidenziano come a Roma, dopo lo sgombero forzoso o volontario di 19 siti, esistano attualmente 57 campi rom con una popolazione che, seppure soggetta a continue oscillazioni, si aggira intorno alle 6.800 persone. Si tratta di insediamenti in larga parte abusivi.
  Roma Capitale, cui è demandata l'attuazione delle politiche di assistenza sociale connesse anche «all'emergenza rom», gestisce solo 13 di questi insediamenti, con una competenza che riguarda il sistema alloggiativo e l'erogazione di tutti i servizi necessari (gestione dei rifiuti, scolarizzazione dei minori, trasporto scolastico, ecc.).
  Come è noto l'indagine «mondo di mezzo», coordinata dalla procura della Repubblica di Roma, ha messo in luce una serie di illeciti negli appalti per le prestazioni di questi servizi che sono diventati, negli anni, oggetto di infiltrazioni del branch economico del sodalizio «mafia Capitale».
  Occorre anche ricordare che la scoperta di tali traffici illegali ha determinato l'apertura di una fase di transizione nella quale sono affiorate tutte le problematicità legate al sistema di assistenza agli insediamenti rom, rendendo evidente la necessità per Roma Capitale di ricercare nuove soluzioni.
  In questa situazione di incertezza, le criticità connesse alle condizioni strutturali dei campi rom si sono fatte più acute anche per il confluire in essi di gruppi di diverse etnie e di differenti nazionalità, spesso in contrasto tra loro. I «roghi tossici» costituiscono uno dei più evidenti sintomi del malessere e dell'illegalità che caratterizzano questi insediamenti.
  Per incidere su questa situazione, la Prefettura si è fatta promotrice, sin dall'aprile del 2015, di un ampio pacchetto di misure articolato su diversi livelli.
  In primo luogo, tra i diversi tavoli tematici attivati per l'approfondimento dei fenomeni che incidono sulla situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica nella Capitale, ne è stato istituito uno espressamente dedicato alle problematiche dei campi Rom. Contestualmente, in tutti i municipi di Roma sono stati attivati «tavoli di osservazione» delle realtà locali, con il compito di coordinare sul territorio tutte le azioni suscettibili di essere sviluppate su scala locale e di fungere da trait d'union, per quanto concerne lo sviluppo di iniziative di carattere «sovra-municipale», tra le singole realtà municipali e le sedi decisionali di più alto livello.
  Il problema dei campi rom e, segnatamente, quello dei roghi di rifiuti sono stati quindi affrontati in entrambe le dimensioni.
  In concomitanza con la scorsa stagione estiva, sui principali campi autorizzati (via Salviati, via Cesare Lombroso, La Barbuta, via di Salone, via Candoni) è stata organizzata – con la collaborazione della Regione Lazio, di Roma Capitale e della Città Metropolitana – una vigilanza dinamica quotidiana anche mediante l'impiego delle associazioni di volontariato, particolarmente esperte nell'avvistamento di focolai di incendio, in modo tale da ridurre i pericoli derivanti dagli episodi di combustione e favorire un più rapido intervento dei mezzi di soccorso.
  Il tavolo prefettizio ha poi pianificato diverse operazioni di polizia su vasta scala, con un cospicuo coinvolgimento di uomini e mezzi di tutte le forze dell'ordine: il 19 e 20 maggio dello scorso anno 2015 su via Salviati, il 22 e 23 giugno 2015 su via Candoni e, ancora su via Candoni, il 28 e 29 settembre 2015. A ciò si sono aggiunte altre iniziative volte ad affrontare più efficacemente le rilevanti criticità igienico-sanitarie registrate nei campi di Castel Romano e La Barbuta.
  Inoltre, nella consapevolezza che l'humus su cui proliferano i roghi tossici e il traffico illecito di rifiuti è costituito dalle irregolarità nella filiera del recupero dei metalli ferrosi, il tavolo istituito presso la Prefettura di Roma si è fatto promotore di un'intensa attività di verifica degli esercizi di rottamazione e autodemolizione presenti nel circondario dei vari insediamenti Rom.
  Le iniziative intraprese, in collaborazione con Roma Capitale e la Regione Lazio, hanno avuto il merito di focalizzare l'attenzione sui contenuti e sulla formulazione dei provvedimenti autorizzativi di queste attività economiche, permettendo di fare chiarezza sul regime giuridico delle singole tipologie di impianto e di eliminare le applicazioni improprie della normativa in deroga che – durante la fase di gestione straordinaria di questo settore economico curata da Roma Capitale nel periodo 2009/2013 – hanno ingenerato promiscuità nello stoccaggio e nel trattamento dei rifiuti ferrosi.
  Su un altro versante, grazie anche alla partecipazione di magistrati ed esperti di diritto dell'ambiente, la Prefettura di Roma ha organizzato specifiche attività formative destinate, tra l'altro, al personale delle forze di polizia a competenza generale. Tali iniziative si sono incentrate sulle strategie procedurali da attuare «sul campo» da parte della polizia giudiziaria per una adeguata azione di contrasto dei fenomeni di illecita combustione dei rifiuti.
  Il predetto tavolo tematico ha poi avviato un piano di controlli sugli esercizi di demolizione e rottamazione, oltre che su tutti i siti di stoccaggio di materiali ferrosi indicati in una black list prodotta dalla polizia locale di Roma Capitale (con il concorso primario del Corpo forestale dello Stato e della polizia locale della Città Metropolitana).
  Successivamente, allo scopo di imprimere maggiore efficacia al sistema degli accertamenti, è stata istituita una task force composta, oltre che dai rappresentanti delle Forze di polizia, anche dai referenti della Direzione territoriale del lavoro, del servizio dell'Asl competente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e dei Vigili del fuoco. In questo modo è possibile verificare, assieme al profilo ambientale, anche gli aspetti afferenti alla sicurezza del lavoro, alla regolarità dei contratti di lavoro e alla sicurezza degli impianti.
  Sono state, infine, avviate iniziative con le associazioni maggiormente rappresentative delle imprese di categoria per sollecitare e sensibilizzare gli operatori economici interessati (autodemolitori e rottamatori) a una più puntuale applicazione della normativa sul conferimento e lo smaltimento dei rifiuti ferrosi.
  Su un altro livello di azione si collocano le attività dispiegate dai tavoli di osservazione che, come detto, sono stati istituiti presso i Municipi di Roma.
  In particolare, il tavolo del Municipio V ha intrapreso iniziative che hanno portato all'istituzione di presidi fissi della polizia locale capitolina presso l'insediamento di via Salviati (uno dei siti principali di concentrazione della popolazione rom). Risulta che tale dispositivo abbia svolto diversi controlli all'interno del campo, ai quali hanno fatto seguito numerosi interventi di pulizia straordinaria a cura di Ama per la rimozione dei rifiuti abbandonati nelle aree adiacenti a quel sito.
  Dai dati forniti dalla questura emerge che l'insieme delle azioni ha determinato una flessione del numero dei roghi, oltre che degli altri reati abitualmente consumati all'interno e nelle aree limitrofe ai campi rom, quali il possesso illegale di armi, i reati di ricettazione e in materia di stupefacenti.
  La pressione esercitata attraverso questa attività di contrasto sembra aver indotto in alcuni casi i soggetti, già dediti alle condotte illecite di combustione dei rifiuti, a tentare di realizzare tali attività in località distanti dagli insediamenti di appartenenza.
  Questa tendenza viene oggi attentamente monitorata dalle forze di polizia, la cui attività ha consentito in numerosi casi di intercettare e reprimere i tentativi di «esportare» in altre zone di Roma questi comportamenti delittuosi.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sito internet istituzionale del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile è mantenuto e gestito con l'uso di risorse umane e strumentali del dipartimento stesso, in attuazione del decreto legislativo 7 marzo 23005, n. 82;
   le linee guida per i siti web delle pubbliche amministrazioni previste dalla direttiva n. 8 del 2009 del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione elencano in modo chiaro i contenuti minimi dei siti delle amministrazioni pubbliche;
   l'informazione sulle attività dei vertici politici delle tra i contenuti essenziali dei siti;
   per quanto riguarda il sito del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile esso appare all'interrogante prevalentemente finalizzato a pubblicizzare le attività del Sottosegretario all'interno Bocci, con una elencazione dettagliata di tutte le sue visite presso le strutture del Corpo, tra le quali sono valorizzate quelle nell'area del suo collegio elettorale, come si evince ad esempio dalla notizia in evidenza del 14 settembre 2015, in cui si fornisce un dettagliato resoconto del fatto che lo stesso si è recato a Spoleto, per la presentazione dell'opuscolo della Scala Romana alla presenza del capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   di contro la funzione principale del sito internet istituzionale del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, individuata dalle citate linee guida, è relegata a pagine del sito non facilmente individuabili, in quanto le sezioni dedicate alle notizie del tipo di quelle appena descritte occupano, secondo l'interrogante, la maggior parte dello spazio visivo della home page –:
   se sia informato dei fatti di cui in premesse se non ritenga di promuovere le opportune iniziative al fine di adeguare il sito internet di cui in premessa alla propria funzione istituzionale. (4-10461)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si precisa, innanzitutto, che l'impostazione del sito del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile risponde puntualmente a quanto disposto dall'articolo 11 del decreto legislativo n. 150 del 2009, che richiede l'accessibilità totale delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche.
  L'impostazione del sito è conforme anche delle indicazioni contenute nelle linee guida per i siti web delle pubbliche amministrazioni di cui alla direttiva n. 8/2009 del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione; linee guida che individuano i cosiddetti «contenuti minimi» dei siti web istituzionali con la finalità preminente di rendere la pubblica amministrazione visibile e conoscibile da parte di tutti i cittadini.
  Sulla base di tali disposizioni, sulla home page sono presenti una serie di informazioni di immediata e facile consultazione dove sono indicate sinteticamente, ma in maniera esauriente, tutte le attività istituzionali del dipartimento dei vigili del fuoco e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Sono inseriti, inoltre, approfondimenti e ovviamente comunicazioni e bandi previsti da disposizioni di legge.
  Tali informazioni sono organizzate in menù e sottomenù di facile consultazione e non mancano link «di utilità», in analogia a quanto avviene in altri siti istituzionali dove forte è la richiesta di informazioni e l'interazione dei cittadini in una ottica di «amministrazione attiva».
  Di recente il sito si è arricchito di due importanti sezioni:
   «VigilfuocoTV», dove tutti gli operatori della comunicazione possono trovare fotografie e filmati relativi alle situazioni di maggior rilievo;
   e «Fornitorionline», portale nato per offrire un servizio personalizzato alle imprese fornitrici di beni e servizi e rispondere agli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa, fornendo un concreto strumento di semplificazione nella comunicazione tra la pubblica amministrazione e i fornitori.

  Oltre al contenuto «statico», vengono pubblicate quotidianamente notizie relative a tutti i fatti più rilevanti per l'Amministrazione, sia di carattere nazionale che territoriale. In tale ambito, trovano spazio, tra gli altri, gli interventi operativi eseguiti dal Corpo nazionale in ragione delle diverse situazioni emergenziali, nonché gli eventi e le visite ufficiali effettuate dai vertici amministrativi e politici del Ministero dell'interno nelle strutture del Corpo nazionale.
  Si assicura che lo scopo di queste visite e delle relative inserzioni sul sito istituzionale, lungi dall'essere quello evocato nell'interrogazione, è di qualificare e dare risalto alle varie iniziative, di manifestare rispetto nei riguardi delle comunità che le ospitano e apprezzamento alle persone che le promuovono.
  Per quanto appena esposto e in risposta al quesito posto dall'interrogante si ritiene che il sito istituzionale del Dipartimento dei vigili del fuoco non necessiti di interventi di adeguamento, essendo già gestito in conformità alla propria funzione istituzionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SIBILIA, COLONNESE, TOFALO e MICILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la città e la provincia di Benevento sono state duramente colpite dall'alluvione del 15 ottobre 2015, riportando ingenti danni alle abitazioni civili, alle aziende private, alle strutture pubbliche e facendo registrare due morti;
   mentre è ancora in atto la conta dei danni, sull'edizione del quotidiano «Corriere del Mezzogiorno» del 21 ottobre 2015 è stato pubblicato un articolo dal titolo: «Ora s'indaga sul funzionamento di una diga» in cui si fa riferimento alla «documentazione relativa alla diga di Campolattaro, in provincia di Benevento, tra il materiale acquisito dal consulente della Procura della Repubblica di Benevento al quale la stessa Procura avrebbe conferito un ampio mandato. Gli inquirenti hanno aperto un fascicolo d'indagine ipotizzando il reato di inondazione colposa. (...) Si vuole accertare, tra le altre cose, se le manovre di alleggerimento della pressione dell'acqua effettuate sulla diga di Campolattaro possano aver peggiorato gli effetti dell'alluvione a Benevento» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto esposto in premessa e se intendano valutare l'opportunità di intraprendere iniziative, per quanto di competenza, al fine di accertare se la diga di Campolattaro fu fatta funzionare secondo criteri di sicurezza e, in caso negativo, individuare le responsabilità tecniche.
(4-10950)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Si premette che per tutte le dighe le manovre degli organi di scarico nel corso degli eventi di piena rientrano tra le funzioni di gestione dell'invaso, che sono in capo al concessionario/gestore dello sbarramento. Lo stesso è tenuto a rispettare le disposizioni previste dal documento di protezione civile: in particolare è tenuto a non rilasciare, nella fase crescente della piena, portate superiori a quelle entranti. Detta disposizione ha valenza generale, per tutti i casi per i quali non sia stato diversamente disposto dalla regione tramite un piano di laminazione adottato ai sensi della direttiva Presidenza dei Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, ed è volta proprio ad assicurare che non si verifichino effetti di aggravamento della piena naturale che sarebbe defluita in assenza della diga.
  Nel caso in esame, la diga di Campolattaro è ubicata nel comune omonimo in provincia di Benevento e sbarra il fiume Tammaro, affluente del Calore, nel bacino del Volturno. L'opera è in concessione per la derivazione alla provincia di Benevento ed è attualmente gestita dalla società ASEA (Agenzia sannita per l'energia e l'ambiente) per conto della provincia stessa.
  Come tutte le «grandi dighe» è soggetta alla vigilanza dello Stato, tramite gli uffici competenti di questo ministero e ufficio tecnico per le dighe di Napoli, per gli aspetti di tutela della sicurezza della diga.
  Lo sbarramento (del tipo di materiali sciolti con nucleo impermeabile) ha altezza pari a circa 50 metri e volume di invaso di 125 milioni di metri cubi; l'opera è allo stato in esercizio sperimentale, propedeutico al collaudo tecnico-funzionale ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 1363 del 1959. L'invaso è tuttavia ancora privo di utilizzazione per l'incompletezza delle opere da derivazione non ancora realizzate dall'ente concessionario.
  L'attuale quota, autorizzata ai sensi dell'articolo 13 del citato decreto del Presidente della Repubblica 1363 del 1959, è di poco inferiore a quella massima di regolazione ed è pari a 374,00 metri sul livello del mare con possibilità di raggiungimento della quota pari a 375,00 metri sul livello del mare in caso di eventi di piena eccezionali, a fronte di una quota di massima regolazione pari a 377,25 metri sul livello del mare e di una quota di massimo invaso di progetto pari a 381,45 metri sul livello del mare.
  Ciò premesso, alla luce delle informazioni acquisite dall'ente gestore nell'ambito dell'attività istituzionale di vigilanza di competenza di questo dicastero, si comunica quanto segue.
  Riguardo a quanto riportato dall'articolo di stampa citato dagli interroganti circa il fatto che le manovre di alleggerimento effettuate sulla diga di Campolattaro potrebbero aver peggiorato gli effetti dell'alluvione a Benevento, gli uffici competenti evidenziano quanto segue sulla base della relazione del 29 ottobre 2015 dell'ingegnere designato responsabile della sicurezza delle opere e dell'esercizio dell'impianto ai sensi dell'articolo 4, comma 7, del decreto legge n. 507 del 1994.
  Per quanto riguarda il 14-15 ottobre, la situazione ante evento era la seguente: la quota di invaso presso la diga di Campolattaro era pari a 370,97 metri sul livello del mare e quindi inferiore alla quota massima autorizzata di 374,00 metri sul livello del mare con un volume disponibile di circa 20 millimetri cubi rispetto alla quota autorizzata; tra le ore 20,00 del giorno 14 e le ore 8,00 del giorno 15 ottobre, in relazione alle ingenti precipitazioni occorse, il livello di invaso è risalito sino alla quota di 371,86 metri sul livello del mare, con un incremento pertanto di 0,89 metri.
  Durante l'evento non c’è stato di fatto scarico di portate a valle diga, essendo in quel momento attivo solamente un non significativo rilascio dallo scarico di fondo di circa 1,5 metri cubi per secondo, prossimo a quello necessario per garantire il deflusso minimo vitale nel tratto del fiume Tammaro a valle dello sbarramento.
  In definitiva, l'intero volume affluito durante la piena del 14-15 ottobre (circa 5 millimetri cubi) è stato invasato nel serbatoio, mantenendo peraltro un adeguato margine rispetto alla quota autorizzata (374,00 metri sul livello del mare).
  Invece, l'evento di piena del 19-20 ottobre è risultato, alla sezione della diga, molto più importante del precedente in termini di volume affluito e quindi di maggiore celerità di risalita del livello di invaso.
  L'incremento dei livelli è stato rapido: tra le ore 15,30 (372,25 metri sul livello del mare) e le ore 23,00 del giorno 19 ottobre (374,25 metri sul livello del mare) è stato pari a 2 metri. È stata infatti superata la quota autorizzata in via sperimentale (pari a 374,00 metri sul livello del mare), ma non è stata superata la quota di 375,00 metri sul livello del mare), raggiungibile in caso di eventi di piena straordinari ai fini dell'attivazione delle corrispondenti fasi di allerta del documento di protezione civile della diga.
  Durante l'evento di piena il gestore risulta aver operato una contenuta restituzione a valle della diga, con il solo scarico di fondo sinistro, con una portata rilasciata tra 2,5 e 20 metri cubi per secondo, tra le ore 15,30 e le ore 21,30 del giorno 19, con un ulteriore incremento a 25 metri cubi per secondo dalle ore 11,00 del giorno 20, a fronte di una portata massima scaricabile in base alla potenzialità dei soli scarichi profondi pari a 600 metri cubi per secondo (la portata massima scaricabile al massimo invaso è superiore a 1.500 metri cubi per secondo).
  Dalla ricostruzione dell'idrogramma di piena resa disponibile in base ai dati di livello di invaso e di portata scaricata, la portata massima entrante al serbatoio (al colmo dell'evento di piena) è risultata pari a circa 1.100 metri cubi per secondo, valore di tipo estremo per il fiume Tammaro nella sezione di sbarramento.
  L'effetto di riduzione della piena conseguito grazie alla diga di Campolattaro e stato notevolissimo, dell'ordine del 90 per cento in termini di rapporto tra volume invasato (oltre 10 millimetri cubi) rispetto a quello totale affluito durante l'evento.
  La gestione degli scarichi ha consentito la riduzione della portata al colmo da oltre 1.100 metri cubi per secondo a 25 metri cubi per secondo. Risulta ampiamente rispettata la prescrizione del documento di protezione civile della diga di non scaricare portate superiori a quelle entranti nella fase crescente della piena, in aderenza alla circolare Presidenza del Consiglio dei ministri n. DSTN/2/7019 del 19 marzo 1996 e alla direttiva Presidenza del Consiglio dei ministri dell'8 novembre 2014 recanti disposizioni di protezione civile nei bacini in cui sono presenti dighe.
  In definitiva, non risulta alcun nesso causale tra la gestione della diga di Campolattaro ed i pur ingenti danni occorsi sul territorio beneventano durante gli eventi di piena in questione, anzi l'invaso di Campolattaro ha permesso di moderare i deflussi del fiume Tammaro, riducendo drasticamente le portate provenienti dal bacino di monte ed evitando ben più gravi disastri a valle. Le portate defluenti nell'affluente Tammarecchia, che confluisce nel Tammaro più a valle, risultano invece avere causato danni significativi lungo il loro percorso, non essendo esse state ridotte per l'assenza di invasi artificiali nel relativo bacino.
  Ferme restando le verifiche in corso da parte dell'autorità giudiziaria, cui questo Dicastero ha già fornito tutti gli elementi in proprio possesso, appaiono, allo stato, non necessari ulteriori accertamenti tecnici oltre a quelli ordinariamente e sistematicamente svolti dagli uffici competenti in applicazione della normativa in materia di dighe. L'ultimo sopralluogo ispettivo effettuato da questa Amministrazione in data 6 novembre 2015, ai sensi del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 1363 del 1959, e le asseverazioni semestrali dell'ingegnere designato responsabile della sicurezza dell'impianto confermano le buone condizioni di sicurezza e manutenzione dello sbarramento, dell'invaso e degli organi di scarico.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SORIAL, ALBERTI, COMINARDI e BASILIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come sottolineato dall'interrogante con una interrogazione presentata l'11 giugno 2013 tutt'ora senza risposta, nella città di Brescia esiste da anni un'emergenza sanitaria e ambientale di contaminazione diffusa da PCB (policlorobifenili) e diossine, che interessa vaste aree collocate nel comune di Brescia, limitrofe alla ex-fabbrica Caffaro, dove vivono più di 25 mila tra uomini, donne e, naturalmente anche bambini, che, sono a tutt'oggi a rischio di contaminazione da PCB e diossine;
   l'assorbimento di PCB e diossine è pressoché inevitabile visto che avviene soprattutto a mezzo dell'assunzione di alimenti di origine vegetale ed animale, prodotti nell'area interessata, e le ricerche effettuate dall'ASL di Brescia riportano, valori anche 10/20 volte maggiori quelli normali di assorbimento a carico dell'organismo umano, nei cittadini residenti presso i terreni interessati, come conseguenza diretta dei tremendi valori d'inquinamento ambientale nei terreni, superiori anche di 5000 volte quelli normali fissati dal decreto ministeriale n. 471 del 1999 (livelli per le aree residenziali pari a 0,001 mg/kg, successivamente modificato in 0,060 mg/kg), denunciati dalle ricerche effettuate dall'ARPA di Brescia su mandato del comune di Brescia;
   tale inquinamento è dovuto principalmente alle attività pregresse dello stabilimento chimico Caffaro Spa attualmente di proprietà della società Chimica Emilio Fedeli Spa, attivo dall'inizio del 1900 nella produzione di vari composti derivati dal cloro, ora in disuso, che dagli anni trenta fino a metà degli anni ’80 ha prodotto migliaia di tonnellate del pericoloso cancerogeno PCB, sversandone centinaia di tonnellate allo stato puro nell'ambiente circostante;
   nel corso della trasmissione di RaiTre «Presa Diretta» del 31 marzo 2013 sono stati riportati i dati di una recente indagine condotta da un epidemiologo di Mantova, dottor Paolo Ricci, su dati ufficiali dell'Istituto superiore di sanità, che sottolineano un significativo aumento nella popolazione bresciana rispetto al resto del Nord Italia di tumori al fegato (+58 per cento), tumori al seno (+26 per cento), linfomi non-Hodgkin (+20 per cento), aumento che, secondo l'epidemiologo, sarebbe in stretta relazione con il forte inquinamento da PCB di cui sopra;
   la pericolosità dei PCB e le loro potenzialità tossiche sono tristemente note dagli anni settanta: l'esposizione ai PCB al di sopra dei limiti evidenziati dalla ricerca medico-scientifica e definiti dal legislatore, avrebbe effetti patogeni di vario tipo: alterazioni al funzionamento di fegato e pancreas, alterazioni a carico del sistema immunitario, fino al loro grave e riconosciuto effetto cancerogeno (IARC 2013);
   il nuovo rapporto «Sentieri» dell'Istituto superiore di sanità e dell'Airtum (Associazione italiana registri tumori), che ha indagato il rapporto tra malattie e inquinamento in 44 siti di interesse nazionale, conferma l'eccesso di tumori nella popolazione del sito Brescia-Caffaro rispetto al resto del nord Italia ed evidenzia che la coerenza di fondo tra le indicazioni fornite dai dati di incidenza e di ospedalizzazione e, in misura minore, dai dati di mortalità, corrobora l'ipotesi di un contributo dell'esposizione a PCB all'eziologia di queste patologie nella popolazione di Brescia;
   nelle conclusioni dello studio «Sentieri» si afferma che: «Sempre grazie alle analisi dell'incidenza oncologica e dei ricoverati, a Brescia-Caffaro sono stati osservati eccessi per le sedi tumorali che la valutazione della IARC del 2013 associa certamente (melanoma) o probabilmente (tumore della mammella, linfomi non-Hodgkin) con i PCB (policlorobifenili), principali contaminanti nel sito» e ancora: «In alcuni SIN lo studio SENTIERI, seppure di natura descrittiva, fornisce dati sufficienti per non differire azioni di bonifica/mitigazione, come per esempio nei SIN di Biancavilla e Brescia-Caffaro.»;
   Francesco Vassallo, direttore sanitario di Asl Brescia, ha dichiarato al giornale BresciaOggi che «l'incidenza grezza è aumentata perché la popolazione è invecchiata, complice l'aumento dell'aspettativa di vita»;
   il responsabile dell'Osservatorio epidemiologico dell'Asl di Brescia, Michele Magoni ha dichiarato alla stampa come gli studi sulla correlazione tra PCB e tumori siano contrastanti. «I PCB sono sostanze tossiche la loro definizione come cancerogeni è invece più controversa ed è nel 2013 che la Iarc (l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) li ha classificati come cancerogeni certi per il melanoma; permangono quali probabili cancerogeni per il linfoma-NH e per il tumore della mammella» – dichiara Magoni e continua – «L'Asl non intende certo negare l'effetto dei PCB – afferma il responsabile dell'Osservatorio locale – ma neppure può affermare di aver trovato tali effetti quando ciò non corrisponde alla realtà»;
   il direttore dell'ASL di Brescia ha annunciato di voler istituire un nuovo osservatorio sulla situazione sanitaria del capoluogo lombardo e il dottor Paolo Ricci, a proposito di tale annuncio, ha risposto: «Dopo 15 anni è ora che vi sia un rinnovamento ai vertici dell'Asl di Brescia. (...) sarebbe opportuno fossero altri gli interlocutori locali dell'Iss per continuare il lavoro di monitoraggio e di studio del sito Caffaro. Persone che non hanno avuto nulla a che fare con la gestione di questi ultimi anni»;
   i Comitati ambientalisti che operano da anni sul territorio di Brescia (Comitato per l'Ambiente Brescia Sud, Medicina Democratica, SOS Scuola, Comitato popolare contro l'inquinamento «zona Caffaro», Rete Antinocività Brescia, Coordinamento Comitati ambientalisti Lombardia, Comitato per la Salute, la Rinascita e la Salvaguardia del Centro Storico) hanno inviato una lettera al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Presidente di ISPRA, al Ministro della salute, al presidente dell'ISS, al presidente di regione Lombardia, avente per oggetto: «Sin Brescia Caffaro – Inadeguatezza della Dirigenza dell'Asl di Brescia nella gestione del caso Caffaro: gravi omissioni e mistificazioni della “Guida al cittadino” della stessa Asl che si aggiungono alle inottemperanze, già denunciate, in relazione alle deroghe delle CSC da 10 a 80 volte senza analisi di rischio sito specifica» e hanno chiesto dunque un rinnovo dei vertici ASL, colpevoli, secondo loro, di avere sottovalutato il problema dei PCB in questi ultimi 15 anni, e di non avere istituito un comitato scientifico super partes e in cui fossero presenti i maggiori esperti, nazionali e internazionali, in tema di PCB e diossine;
   il 29 settembre 2009 veniva sottoscritto l'Accordo di programma «per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e successiva bonifica nel sito di interesse nazionale di Brescia Caffaro», nel quale veniva disciplinato l'impiego delle predette risorse nonché individuati i soggetti attuatori dei pertinenti interventi (Enti locali territoriali. Asl di Brescia, Istituto superiore di sanità, Arpa Lombardia e Sogesid SpA, quale soggetto pubblico in house);
   in data 15 novembre 2013 il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare: Marco Flavio Cirillo, relazionava: «Relativamente alle problematiche connesse alla bonifica dei terreni e della falda idrica, più direttamente di competenza di questo Dicastero, valga ricordare di aver già stanziato a tali fini risorse per complessivi euro 6.752.727,00 (a valere sul decreto ministeriale n. 308 del 2006) già trasferiti alla regione Lombardia nel mese di marzo del 2011 (...) Corre l'obbligo, tuttavia, di evidenziare che le aree interessate dagli interventi di bonifica di competenza pubblica previsti nel citato Accordo costituivano solo una parte dell'intero perimetro del SIN. Tenuto conto, poi, delle problematiche legate alle limitazioni di spesa imposte dal Patto di stabilità, è stato possibile individuare in maniera definitiva i soggetti attuatori degli interventi disciplinati dal predetto Accordo di programma solo in data 25 ottobre 2012. E così, ad oggi, questa amministrazione, unitamente alla regione Lombardia, ha stipulato i previsti atti convenzionali con la Asl di Brescia, l'Istituto superiore di sanità, l'Arpa Lombardia e la Sogesid SpA. È in corso di realizzazione, altresì, l'intervento concernente la “Messa in sicurezza di emergenza e progettazione della bonifica dei terreni delle aree agricole nel comune di Brescia” la cui attuazione è stata demandata alla regione Lombardia, nonché gli ulteriori interventi previsti nei comuni di Passirano e Castegnato» –:
   se i Ministri in indirizzo siano al corrente dei fatti esposti in premessa e se non intendano attivarsi, per quanto di competenza, affinché sia fatta chiarezza sulla gestione passata, presente e futura del SIN Brescia-Caffaro con specifico riferimento all'attività della dirigenza dell'ASL competente per territorio, per quella che è una grave emergenza sanitaria e ambientale affinché sia difeso il fondamentale diritto alla salute dei cittadini coinvolti;
   se non intendano adoperarsi per fare chiarezza su come siano stati utilizzati ad oggi gli stanziamenti trasferiti agli enti preposti e quali somme non ancora utilizzate siano a loro disposizione;
   se non considerino necessario fare luce su quali interventi necessari siano già stati effettuati e quali siano previsti in carico ad Asl di Brescia, l'Istituto superiore di sanità, l'Arpa Lombardia e la Sogesid spa e a che punto siano gli interventi concernenti la «Messa in sicurezza di emergenza e progettazione della bonifica dei terreni delle aree agricole nel comune di Brescia» nonché gli ulteriori interventi previsti nei comuni di Passirano e Castegnato;
   se non ritengano opportuno attivarsi urgentemente per fermare da subito lo sversamento degli inquinanti dallo stabilimento bresciano della ex Caffaro;
   se non si consideri, altresì, urgente attivarsi affinché sia effettuata la completa bonifica dei terreni e della falda idrica, specificando modalità e tempi di implementazione e facendo chiarezza sull'ammontare delle risorse finanziarie disponibili per la riqualificazione dei siti inquinati di interesse nazionale. (4-05444)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità ambientali del sito di bonifica di interesse razionale di «Brescia Caffaro», sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Con l'articolo 14 della legge n. 179 del 2002 è stato aggiunto all'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale (SIN), di cui alla legge n. 426 del 1998, il sito di «Brescia-Caffaro» (aree industriali e relative discariche da bonificare).
  Tale inclusione trova la sua motivazione nelle evidenze di contaminazione diffusa da metalli pesanti e polielorobifenili (PCB) riscontrata nel territorio del comune di Brescia, in particolare in prossimità dello stabilimento Caffaro, e soprattutto nel rinvenimento di elevate concentrazioni di Pcb negli alimenti prodotti nella zona e nel sangue delle persone residenti.
  Il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 24 febbraio 2003 ha definito una triplice perimetrazione del Sin, che si sviluppa prevalentemente a sud dello stabilimento Caffaro, seguendo il sistema delle rogge:
   perimetrazione matrice ambientale suolo;
   perimetrazione matrice ambientale acque sotterranee;
   perimetrazione sistema delle rogge.

  Le indagini di caratterizzazione eseguite all'interno della perimetrazione del Sin di «Brescia-Caffaro» hanno evidenziato una grave situazione di inquinamento nei terreni superficiali, nelle acque di falda, nelle acque superficiali delle rogge e nei sedimenti delle rogge stesse.
  Oltre alla predetta contaminazione da Pcb, Pcdd/Pcdf, è stata infatti rilevata la presenza di ulteriori contaminanti, quali:
   per i suoli: metalli (arsenico, antimonio, mercurio, nichel, piombo ed alluminio), IPA, alifatici clorurati cancerogeni, clorobenzeni e fitofarmaci;
   per le acque di falda: cromo VI, mercurio, Mtbe, solventi clorurati, IPA, clorobenzeni, fitofarmaci ed idrocarburi totali.

  Tanto premesso, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, adottato ai sensi dell'articolo 4-ter, comma 2, del decreto-legge n. 145 del 2013, il 17 giugno 2015, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e registrato alla Corte dei conti il 31 agosto 2015, il dottore Roberto Morelli è stato nominato commissario straordinario delegato al fine di coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel sito contaminato di interesse nazionale «Brescia-Caffaro».
  Si fa presente, inoltre, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stanziato risorse finanziarie a favore del sito di interesse nazionale di «Brescia Caffaro», per un ammontare complessivo di euro 13.069.806,00 ripartiti come segue.
  I. euro 6.752.727,00 a valere sui fondi ministeriali del decreto ministeriale n. 308 del 2006; il predetto importo è stato trasferito alla regione Lombardia in data 14 aprile 2011 e disciplinato nell'accordo di programma del 29 settembre 2009.
  Al predetto accordo di programma è stata data attuazione mediante la sottoscrizione degli atti convenzionali di seguito elencati: a) convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – comune di Brescia – Sogesid S.p.a. (soggetto attuatore) del 24 aprile 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 3.900.000,00; b) convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – istituto superiore di sanità (soggetto attuatore) dell'8 maggio 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 1.000.000,00; c) convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – Asl di Brescia (soggetto attuatore) del 24 aprile 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 100.000,00; d) convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – ARPA Lombardia (soggetto attuatore) del 22 maggio 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 152.727,00. All'accordo di programma è stata data attuazione anche mediante l'attribuzione di: e) euro 450.000,00 al comune di Passirano (soggetto attuatore degli interventi ricadenti nel proprio territorio comunale); f) euro 600.000,00 al comune di Castegnato (soggetto attuatore degli interventi ricadenti nel proprio territorio comunale).
  II. Euro 1.106.064,00 di risorse ordinarie del Ministero dell'ambente e della tutela del territorio e del mare: tali risorse sono state trasferite alla regione Lombardia in data 8 novembre 2013 e destinate alla prosecuzione degli interventi di bonifica del Sin di «Brescia Caffaro».
  Gli interventi da finanziare con le citate risorse, che sono stati individuati dalla regione Lombardia quali prioritari, sono i seguenti: comune di Castegnato: euro 350.450,00 per il completamento del primo stralcio di interventi sulla discarica Pianera; b) comune di Passirano: euro 186.356,71 per il completamento del piano di caratterizzazione dell'area della discarica Vallosa; c) Sogesid S.p.a.: euro 500.000,00 a integrazione delle risorse assegnate per la messa in sicurezza di emergenza delle rogge; al riguardo, si segnala che in data 1o aprile 2015 è stato sottoscritto, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Lombardia, il comune di Brescia e la Sogesid S.p.a., l'atto integrativo alla convenzione stipulata in data 24 aprile 2013); d) Asl Brescia: euro 69.257,29 per un progetto di valutazione del passaggio di contaminanti nelle produzioni agricole delle aree interessate dall'inquinamento della Caffaro. Sul punto, si segnala che l'utilizzo del citato importo è subordinato alla stipula di una convenzione attuativa da sottoscrivere tra la regione Lombardia e Asl di Brescia.
  III. Euro 2.000.000,00 di risorse ordinarie del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: tali risorse sono state impegnate a favore della regione Lombardia in data 5 settembre 2014.
  IV. Euro 1.500.000,00, di risorse ad oggi in perenzione amministrativa, rinvenienti dalla programmazione del II atto integrativo all'accordo di programma quadro «ambiente e energia» del 23 dicembre 2008 (destinate alla bonifica Campo Calvesi e dei parchi pubblici di proprietà del comune di Brescia).
  V. Euro 1.711,015,00, di risorse stanziate con decreto del settembre 2015, in favore del Commissario straordinario delegato per la prosecuzione degli interventi di bonifica nei Sin di «Brescia Caffaro».
  Da ultimo, si segnala che la regione Lombardia, nel corso dell'anno 2014, ha segnalato un fabbisogno di 50 milioni poi rideterminato nel 2015 dalla medesima in 40 milioni destinare alla prosecuzione dei predetti interventi di messa in sicurezza delle rogge. Al riguardo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le necessarie interlocuzioni con la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, per il reperimento delle risorse nell'ambito degli interventi in materia ambientale, finanziati dal fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) all'interno della programmazione 2014-2020, di cui all'articolo 1, commi 6 e 7, della legge n. 147 del 27 dicembre 2014 (legge di stabilità 2014).
  Inoltre, per quanto riguarda le attività e gli interventi previsti in carico alla Asl Brescia, ferma restando la competenza dell'azienda sanitaria, si rappresenta quanto segue.
  L'Asl di Brescia ha trasmesso a questo Ministero gli elaborati «Convenzione del 24 aprile 2013 stipulata tra MATTM, regione Lombardia e Asl Brescia – Relazione sullo stato di avanzamento al 27 novembre 2014» e «Convenzione del 24 aprile 2013 stipulata tra MATTM, regione Lombardia e Asl Brescia – relazione sullo stato di avanzamento al 26 maggio 2015», contenenti lo stato di avanzamento delle attività rispetto al piano operativo e al crono programma, definiti nella Convenzione del 24 aprile 2013. Le attività prevedono valutazioni epidemiologiche (studio caso-controllo sui linfomi non Hodgkin e melanomi) e attività di biomonitoraggio e monitoraggio delle matrici alimentari (orto sperimentale). L'elaborazione e valutazione dei dati nonché la relazione finale sono previste per il primo trimestre 2016 e, non appena si sarà completata tale analisi, verranno informati tutti i soggetti interessati.
  Per quanto concerne gli interventi in carico all'Arpa Lombardia, si rappresenta quanto segue.
  Il predetto accordo di programma del 29 settembre 2009 prevede, tra l'altro, il monitoraggio della qualità delle acque di falda nel sito di interesse nazionale, mediante predisposizione e attuazione di un piano di monitoraggio periodico ed il soggetto attuatore individuato e Arpa Lombardia. Il rappresentante di Arpa Brescia ha illustrato i risultati del monitoraggio nel corso della conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015. I dati ambientali raccolti sono disponibili sul sito web istituzionale di Arpa Brescia.
  La stessa conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015 ha preso atto dei risultati dei monitoraggi del giugno 2014 ed ha chiesto alla provincia di Brescia di fornire un aggiornamento dei procedimenti avviati e conclusi per l'individuazione dei soggetti responsabili della contaminazione delle acque di falda, anche alla luce della relazione presentata da Arpa. Sul punto, appena acquisiti ulteriori elementi, verranno informati tutti i soggetti interessati.
  Per quanto riguarda gli interventi in carico all'ISS, si rappresenta quanto segue.
  Il citato accordo di programma del 29 settembre 2009 prevede, altresì, valutazioni epidemiologiche e attività di biomonitoraggio e monitoraggio delle matrici alimentari. I soggetti attuatori sono ISS e le competenti Asl. Per le predette attività sono state sottoscritte le due convenzioni con ISS e Asl Brescia.
  Al riguardo, si fa presente che l'ISS ha chiesto una proroga della Convenzione al 24 aprile 2016. La richiesta di proroga è stata motivata con la necessità di completare le attività in essere, strettamente correlate alle attività svolte dalla Asl Brescia che a sua volta ha chiesto la proroga.
  Per quanto riguarda gli interventi in carico alla Sogesid S.p.a., si rappresenta quanto segue.
  La società Sogesid S.p.a. è stata individuata come soggetto attuatore dell'intervento di cui alla lettera A dell'accordo di programma del 29 settembre 2009, relativo allo «studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda» nell'area perimetrata del Sin «Brescia-Caffaro».
  Nell'ambito dello studio di fattibilità, Sogesid S.p.a. ha elaborato un modello idrogeologico che è stato illustrato nella conferenza di servizi del 14 ottobre 2014. La successiva conferenza di servizi istruttoria del 10 dicembre 2014 ha richiesto a Sogesid S.p.a. di trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nei tempi tecnici strettamente necessari, l'elaborato relativo al modello idrogeologico già illustrato nella conferenza di servizi del 14 ottobre 2014, per il successivo invio ad Arpa Brescia così da garantire il costante aggiornamento del modello idrogeologico, sulla base dei dati di monitoraggio acquisiti. Tale documentazione, per il tramite della direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque di questo dicastero, è stata trasmessa all'Arpa di Brescia.
  La conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015 ha preso atto dell'elaborato «Modello numerico di flusso della falda e di trasporto degli inquinanti del SIN Brescia Caffaro» e ha chiesto a Sogesid S.p.a. di trasmettere l'ulteriore documentazione descrittiva a supporto del modello, entro il 31 luglio 2015, nonché lo «Studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda», entro settembre 2015.
  Inoltre, Sogesid S.p.a. ha trasmesso anche il progetto «messa in sicurezza di emergenza delle Rogge ricomprese nel SIN Brescia-Caffaro – I Stralcio (Rev. 0)» di cui alla lettera C dell'Accordo di Programma del 29 settembre 2009, che è stato esaminato dalla conferenza di servizi istruttoria del 10 dicembre 2014, che ha chiesto un elaborato progettuale integrato sulla base delle osservazioni formulate dalla conferenza dei servizi stessa.
  La conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015 sulla revisione della «Messa in sicurezza di emergenza delle rogge ricompre nel SIN Brescia-Caffaro – I stralcio funzionale» ha formulato a Sogesid s.p.a. alcune osservazioni delle quali tenere conto in fase di progettazione esecutiva.
  La Sogesid s.p.a. ha poi trasmesso il report sintetico dello stato di attuazione delle attività come da convenzione sottoscritta in data 24 aprile 2013, nel quale ha indicato come termine previsto per la realizzazione dell'intervento di messa in sicurezza delle rogge il mese di ottobre 2016.
  La Sogesid s.p.a. ha infine trasmesso gli elaborati progettuali relativi alla «Messa in sicurezza di emergenza delle rogge ricompense nel SIN Brescia-Caffaro — II stralcio funzionale», che saranno esaminati dalla conferenza di servizi programmata nel corso del 2016. Sul punto, appena acquisiti ulteriori elementi, verranno informati tutti i soggetti interessati.
  Tanto esposto, si fa presente che in data 23 febbraio 2016 si è tenuta la suddetta conferenza di servizi istruttoria/decisoria. In tale circostanza il commissario straordinario del SIN ha fornito un aggiornamento in merito allo stato di avanzamento degli interventi di caratterizzazione, monitoraggio ambientale, messa in sicurezza e bonifica previsti dall'accordo di programma del 29 settembre 2009 e, in particolare, ha riepilogato la rimodulazione dei finanziamenti stabilita in data 13 ottobre 2015 dal Comitato di indirizzo dell'accordo di programma.
  Nel corso della conferenza di servizi, inoltre, sono stati esaminati n. 5 elaborati; è stato approvato il progetto bonifica delle acque di falda dell'area Finmeccanica (ex OTO Melara); è stato dato parere favorevole all'avvio delle attività per la messa in sicurezza delle rogge — II stralcio funzionale (Soggetto attuatore Sogesid s.p.a.), ed è stata chiesta una implementazione dello studio di fattibilità per la bonifica della falda dell'intero Sin (soggetto attuatore Sogesid s.p.a.).
  Allo stato attuale rimangono da affrontare ancora talune questioni problematiche e, in particolare, si segnala che è allo studio della regione una proposta di riperimetrazione del Sin, non ancora formalizzata.
  Con riferimento, invece, alla possibile delocalizzazione della Caffaro Brescia S.r.l. dal sito di Brescia, sono in corso approfondimenti tra il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di far fronte alle criticità di carattere industriale, occupazionale ed ambientale connesse a tale annunciata delocalizzazione.
  Alla luce delle informazioni esposte, ed al fine di individuare e sollecitare ogni possibile modalità di messa in sicurezza del sito in parola, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, anche al fine di valutare eventuali ed ulteriori interventi da parte di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SORIAL, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un recente rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità Europa e Ocse sul costo economico degli effetti sulla salute dell'inquinamento atmosferico in Europa, presentato di recente ad Haifa, in Israele, rivela che l'inquinamento causa in Italia quasi 33 mila morti premature l'anno, con una ricaduta sulla collettività in termini economici di ben 97 miliardi di dollari l'anno, ovvero il 4,7 per cento del prodotto interno lordo;
   in Italia si violano i limiti di quasi tutti gli inquinanti atmosferici previsti dalla normativa europea: il nostro Paese è in cima alla classifica dei Paesi in cui il limite del PM10 è superato più frequentemente, oltre a essere tra i Paesi nei quali nel 2011 è stato superato anche il valore-obiettivo per il PM2.5;
   le stime del rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità, parlano di 7 milioni di decessi prematuri nel mondo, di cui 600mila nel continente europeo, dove il peso economico di questo flagello, secondo i risultati della ricerca, sarebbe di circa 1.600 miliardi di dollari, con 1.400 miliardi dollari per i decessi e un altro 10 per cento da imputare al costo di malattie da inquinamento atmosferico (cardiovascolari, ictus, e altro), arrivando al totale di 1.600 miliardi che equivale, in non meno di 10 dei 53 paesi della regione, al 20 per cento del prodotto interno lordo nazionale;
   oltre il 90 per cento dei cittadini dell'Europa sarebbero perennemente esposti a livelli annui di polveri sottili che si trovano sopra i limiti delle linee guida sulla qualità dell'aria stabilite dall'Organizzazione mondiale della sanità, e questo si traduce in morti premature dovute a malattie cardiache e respiratorie, ictus e cancro ai polmoni;
   non solo i limiti imposti per legge per l'inquinamento atmosferico spesso in Italia vengono superati, ma secondo il rapporto dell’European Environment Agency, Air quality in Europe, nuove evidenze scientifiche dimostrano la gravità dell'impatto sanitario a livelli anche molto inferiori a quelli normativamente previsti;
   lo studio recentemente pubblicato su Lancet Oncology, «Air pollution and lung cancer incidence in 17 European cohorts: prospective analyses from the European Study of Cohorts for Air Pollution Effects (ESCAPE)», ha messo in luce un nesso tra aumentata esposizione a polveri fini e incidenza di tumori del polmone, mentre altri studi tenderebbero a dimostrare che l'inquinamento ha conseguenze importanti non solo sul sistema respiratorio, ma anche sul sistema cardiocircolatorio e immunologico e sull'incidenza dei tumori (non solo del polmone), senza contare l'aumento esponenziale delle allergie nella popolazione che è verosimilmente in parte correlato all'inquinamento;
   secondo un articolo pubblicato della Società, europea di cardiologia (ESC) che rappresenta più di 80 000 professionisti di cardiologia in Europa e nel Mediterraneo, i pazienti affetti da patologie cardiache dovrebbero evitare di rimanere all'aperto, in diretto contatto con traffico dell'ora di punta;
   secondo lo studio pubblicato oggi da un gruppo di specialisti riuniti nell'Associazione lotta alla trombosi, nelle città italiane più inquinate, Milano e Torino, a causa dello smog si possono perdere dai 2 ai 3 anni di vita;
   come riportato dall'edizione 2015 del dossier Mal'Aria della Legambiente, la prima causa di inquinamento atmosferico nelle città è il traffico, e lo smog nella pianura padana ucciderebbe 300 persone l'anno (230 milanesi);
   dal monitoraggio fatto dalla campagna di Legambiente «Pm10 ti tengo d'occhio», nel 2014 sono risultati ben 33 su 88 i capoluoghi (il 37 per cento di quelli monitorati) in cui almeno una centralina di monitoraggio urbana ha superato il limite di 35 giorni oltre la soglia massima ammissibile per il Pm10;
   le città italiane con la situazione peggiore rispetto alle polveri finissime (Pm2,5) per il 2014 sono Brescia, Milano, Monza, Torino, Cremona, Mantova, Padova, Venezia, Vicenza, Alessandria; per l'azoto: Roma, Torino, Milano, Trieste, Messina, Palermo, Como, Genova, Novara, Monza; per le polveri fini (Pm10) Frosinone, Alessandria, Vicenza, Torino, Benevento, Lodi, Cremona, Avellino, Milano e Venezia; per l'ozono le cinque peggiori sono Lecco, Udine, Bergamo, Pavia, Modena;
   Legambiente ha segnalato che già nel primo mese dell'anno la situazione dell'inquinamento atmosferico sarebbe fuori controllo: in gennaio 32 capoluoghi di provincia hanno registrato oltre 10 giorni di superamento della soglia massima giornaliera consentita di Pm10 (polveri fini) e in 14 di essi si è registrato un superamento un giorno su due;
   «Ridurre l'inquinamento atmosferico è diventato una priorità politica. La qualità dell'aria sarà un tema chiave al prossimo Conferenza ministeriale Ambiente per l'Europa in Georgia nel 2016», ha dichiarato il segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Europa, Christian Friis Bach –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente del terribile impatto dell'inquinamento dell'aria non solo sulla salute degli italiani, ma anche sull'economia del Paese, come descritto in premessa, e quali misure intendano prendere, per quanto di loro competenza, per arginare questo problema che assorbe ingenti risorse economiche, preziose, ora più che mai, per un Paese come l'Italia, che sta combattendo contro la crisi da più di otto anni;
   se e quali iniziative si intendano adottare, con la concertazione degli enti territoriali competenti, per intervenire sulla mobilità sostenibile al fine di contrastare l'inquinamento atmosferico a livello nazionale e, in particolare nella pianura padana dove, alla luce dei dati emersi, la situazione è più critica. (4-09121)

  Risposta.— Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento atmosferico a livello nazionale e, in particolare nella pianura padana, si rappresenta quanto segue.
 Preliminarmente, si segnala che la legislazione comunitaria in materia di qualità dell'aria (direttiva 2008/50/CE e direttiva 2004/107/CE) prevede che gli stati debbano assicurare, entro specifiche date, il rispetto di determinati obiettivi di qualità dell'aria per una serie di inquinanti, grazie alla pianificazione di misure ed interventi di risanamento.
  In particolare, per il materiale particolato PM10 sono previsti due valori limite per le concentrazioni in aria ambiente, un limite annuale (pari a 40 milligrammi/metro cubo) ed un limite giornaliero (pari a 50 milligrammo/metro cubo) da non superare più di 35 volte per anno civile), da rispettare a partire dal 1o gennaio 2005.
  Tali limiti non risultano rispettati in ampie aree del territorio nazionale, situate presso la maggior parte delle regioni.
  Tale situazione di inadempimento è però differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le regioni del centro-sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nel bacino padano i superamenti, anche a causa di condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, sono diffusi su tutto il territorio.
  Concentrando, ad esempio, l'analisi del trend dei valori del materiale particolato PM10 dal 2002 al 2014 a tutti i capoluoghi lombardi, si può evidenziare come dal 2013 il valore limite sulla media annua sia stato rispettato in tutti i capoluoghi, mentre il limite giornaliero è rispettato nei capoluoghi di Como, Lecco, Sondrio e Varese, con un miglioramento rispetto al 2013 in cui tale limite era rispettato solo nel capoluogo di Lecco. Si osserva, inoltre, che il numero di giorni di superamento della media giornaliera è fortemente diminuito nel tempo. Tali dati evidenziano, quindi, sebbene in un contesto di miglioramento generale, il permanere di situazioni di criticità.
  Le regioni del bacino padano, attraverso una intensa collaborazione reciproca ed un continuo confronto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono da anni impegnate ad attuare attività comuni volte al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di qualità dell'aria posti a maggiore tutela della salute dei cittadini dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
  Per tale ragione da anni le regioni del bacino padano promuovono attività comuni di miglioramento della qualità dell'aria che nel tempo hanno consentito un costante e progressivo miglioramento dello stato della qualità dell'aria.
  La regione Lombardia, ad esempio, ha approvato nel 2013 il nuovo Piano regionale degli interventi per la qualità dell'aria, che costituisce il nuovo strumento di pianificazione e di programmazione regionale in materia di qualità dell'aria, aggiornando ed integrando quelli già esistenti ed individuando misure più rigorose per il contenimento delle emissioni. Tale Piano individua un insieme di azioni ed interventi suddivisi tra i tre macrosettori «Trasporti su strada e mobilità», «Sorgenti stazionarie e Uso razionale dell'energia» e «Attività agricole e forestali», attuabili nel breve, medio e lungo periodo, efficaci per assicurare la massima riduzione degli inquinanti, tenendo in considerazione anche la relativa fattibilità e sostenibilità.
  Considerando l'effetto delle azioni di Piano, la regione ha stimato che le nuove misure consentono il rientro all'interno del valore limite relativo alla media annuale di materiale particolato PM10 già dal 2015 su tutto il territorio regionale, mentre si evidenzia una maggiore difficoltà nel rientro del numero di superamenti del limite giornaliero, con orizzonte al 2020, per alcune zone/agglomerati.
  Ciò nonostante, proprio in ragione della specificità meteo-climatica ed orografica di tali territori che impediscono la dispersione degli inquinanti, l'impegno delle sole amministrazioni regionali e locali non è da solo sufficiente a risolvere il problema.
  Di conseguenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato una strategia volta alla individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente nei territori del bacino padano, che ha condotto alla sottoscrizione, nel dicembre 2013, di un importante accordo di programma tra i ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole e della salute e le regioni e province autonome del bacino padano, contenente misure coordinate e congiunte volte a promuovere il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano.
  Nel merito, l'accordo prevede l'assunzione di precisi impegni per le parti sottoscrittrici, da attuarsi attraverso la predisposizione di misure di breve, medio e lungo periodo per il contrasto dell'inquinamento atmosferico nel bacino padano, quali, ad esempio, l'elaborazione di proposte normative condivise sulla riforma degli attuali sistemi di riqualificazione energetica degli edifici, sull'individuazione di linee guida nel settore agricolo o nel settore dei trasporti, sull'aggiornamento dei vigenti piani urbani della mobilità nonché per la predisposizione di studi relativi alla revisione dei limiti di velocità dei veicoli di trasporto di passeggeri e merci nelle zone del bacino padano.
  In particolare, per le regioni del bacino padano è previsto l'impegno ad attuare tali proposte normative nei propri territori attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria, che sono gli strumenti previsti dalle norme nazionali di settore per garantite il rispetto dei valori limite per la protezione della salute umana stabiliti dalle disposizioni comunitarie.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre, 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale ed alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, ministero, regioni e Associazione nazionale comuni italiani si sono impegnati a promuovere ulteriori misure tra cui il controllo e la riduzione delle emissioni degli impianti di riscaldamento delle grandi utenze, incrementando l'efficienza energetica e agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/bike o carsharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione, nonché la diffusione di buone pratiche agricole per limitare le emissioni di ammoniaca derivanti dalla somministrazione di fertilizzanti azotati o dagli allevamenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TOFALO, PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comma XII, dell'articolo 4, del decreto-legge 24 ottobre 1979, n. 511, convertito dalla legge n. 635 del 1979 concernente l'istituzione presso il Ministero dei trasporti del commissariato per l'assistenza al volo civile, recita testualmente che l'indennità di assistenza al volo, «il cui onere grava sullo stato di previsione della spesa del Ministero dei trasporti, è corrisposta, dalla data di entrata in vigore del presente decreto, anche a tutto il personale controllore del traffico aereo ed assistente al traffico aereo inserito nei turni operativi di assistenza al volo presso gli aeroporti e i centri interessati al traffico aereo civile»;
   la circolare prot. TR1-111/9137/F3-4/4/1, datata 22 marzo 1990, stabilisce che l'indennità di presenza giornaliera di assistenza al volo civile deve essere corrisposta «in funzione del mese di riferimento, indipendentemente dall'orario di servizio e/o dall'articolazione del turno, sempreché vengano impiegati in funzioni relative al servizio ATS» (Air Traffic Service);
   l'articolo 4, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 16 marzo 1999, n. 255 così recita: «A decorrere dal 1° gennaio 1999 l'indennità giornaliera prevista per i giorni di effettivo servizio al personale controllore del traffico aereo, assistente controllore, nonché al restante personale militare delle Forze Armate impiegato in turni continuativi, è incrementata rispettivamente di lire 4.000, lire 3.000 e lire 2.000»;
   secondo quanto indicato dalla D.G.P.M., in sede di applicazione del contratto, con il foglio prot. DGPM/IV/12/060652/30 datato 12 maggio 2000, comma 2 (punto 1.), il decreto del Presidente della Repubblica 255 del 1999 «ha evidenziato sia l'incremento dell'indennità giornaliera, prevista dall'articolo 4 del decreto-legge 24 ottobre 1979, n. 511 (convertito con legge 635/79) – per il personale dell'A.M., C.T.A. ed A.T.A., impiegato nell'assistenza al volo civile – sia l'istituzione di una nuova indennità (e non l'incremento come indicato nella norma), pari a lire 2.000 – per il restante personale militare delle Forze Armate impiegato in turni continuativi – (cosiddetta «indennità di turno»);
   con il foglio ARM001 0094272 del 15 novembre 2010 lo Stato Maggiore 1° Reparto ha argomentato con estrema cura le definizioni attribuite a: servizi di assistenza al volo, personale controllore del traffico aereo, assistente al traffico aereo, aeroporti e centri interessati al traffico civili;
   la probabile «confusione» è scaturita nel tempo ed è stata causata dalla differente terminologia utilizzata dal legislatore relativamente alle parole «operativo» (come da legge 635 del 1979) e «continuativo» (vedasi decreto del Presidente della Repubblica 255 del 1999), tanto da far supporre che in applicazione della legge 635 del 1979 lo stesso sia incorso nell'errore di «sovrapporre» le due pur differenti indennità;
   il precedente assunto è confortato, ad esempio, dalla stessa evidenza che l’«indennità di turno» – da riconoscere al personale con «incarichi che prevedono un lavoro continuativo di 24 ore al giorno [condizione temporale essenziale per la concessione della stessa] per sette giorni alla settimana» (articolo 3 del DM datato 25 settembre 1990) – appare ben diversa dall’«indennità giornaliera per controllori e assistenti al traffico aereo» percepita da quel personale che risulta essere specificamente in possesso delle onerose abilitazioni previste dalle norme di settore;
   è nota la consuetudine di definire la «posizione/unità operativa» di quella struttura/tipologia di attività che comprende e permette la fornitura dell'assistenza al volo (in ambito civile è riconosciuta come «linea operativa»);
   nonostante quanto sopra considerato, in ossequio ai principi della più volte citata legge 635 del 1979, l'amministrazione ha comunque proseguito senza soluzione di continuità ad elargire al personale in questione l'indennità giornaliera de qua;
   con il foglio prot. M–D ARM003.0118910.25/10/2013 il Gen. D'Orazio capo del servizio di commissariato ed amministrazione del comando logistico, ha rilevato la necessità di «sospendere cautelativamente l'avvio di ogni forma di addebito per il recupero dell'indennità in oggetto» a causa dei persistenti molteplici aspetti di incertezza legati alla problematica in trattazione;
   il CCNL dell'Ente nazionale assistenza al volo in ottemperanza a quanto disposto dalla legge 635 del 1979 prevede all'articolo 56 per il personale non quadro, una indennità di turno mensile differente per chi effettua turnazioni H24 e chi turnazioni diverse ad «eccezione del personale della categoria professionale controllore del traffico aereo cui compete comunque il trattamento H24. Per il personale impiegato presso la sede centrale e per il personale docente di Accademy si fa riferimento agli importi H24», mentre «al personale non quadro impiegato in struttura con regime H36, viene riconosciuto a titolo di mantenimento dell'indennità di turno un importo lordo mensile nelle seguenti misure percentuali (...)»;
   il tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia in data 22 maggio 2014 ha riconosciuto fondato il ricorso presentato dai controllori e assistenti del traffico aereo di Rivolto motivando che «... L'indennità qui in esame non viene riconosciuta ai controllori e assistenti al volo in ragione delle modalità con cui rendono la propria prestazione lavorativa, ma in dipendenza della natura della prestazione lavorativa stessa» e conclude: «In definitiva, il ricorso va accolto, e per effetto va dichiarato il diritto dei ricorrenti a percepire l'indennità giornaliera operativa di cui l'articolo 4, commi XI e XII, decreto-legge n. 511/1979 convertito con modificazioni dalla L. n. 625/1979, e vanno annullati gli atti con cui è stata disposta la ripetizione delle somme erogate agli stessi a tale titolo»;
   con il foglio n. M–D ABA009.9509.2-1 11.09.2014 la direzione d'amministrazione dell'Aeronautica militare successivamente alla sentenza del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia ha rilevato la necessità di ribadire le disposizioni emanate dal servizio di commissariato logistico dell'A.M.: «al riguardo si rappresenta che lo Stato Maggiore Aeronautica ha precisato il mutato orientamento esplicato dalla DGPM riguardo alla nozione di turno operativo, che è stata estesa fino a ricomprendere turnazioni diverse da quella continuativa H24, sette giorni su sette, in modo da includere, ai fini della corresponsione ex tunc dell'indennità in oggetto, le turnazioni atipiche disciplinate dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale 25 settembre 1990, restando esclusi i casi di orario aeroportuale di base» –:
   quale rimedio intendano porre alla differente applicazione della norma di cui al decreto-legge n. 511 del 1979 effettuata nel tempo da due amministrazioni, ENAV e Ministero della difesa, alla stessa categoria di lavoratori del traffico aereo e con la stessa licenza europea rilasciata da ENAC, per «l'indennità non pensionabile per ogni giornata di effettivo servizio», nonostante l'onere di spesa sia attribuito al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, riconoscendo così un unico modus operandi per la corresponsione della suddetta indennità sia per i controllori civili che per i controllori militari e ponendo fine a questa discriminazione tra controllori del traffico aereo civili e controllori del traffico aereo militari. (4-10008)

  Risposta.— In merito al quesito posto dall'interrogante con l'atto in argomento, si precisa che non si ha contezza dell'eventuale corresponsione dell'indennità di assistenza al volo ai controllori e assistenti al traffico dell'Enav, trattandosi di personale non dipendente dall'amministrazione militare, né compete al Dicastero una valutazione sulle presunte sperequazioni di trattamento.
  In questa sede può solo osservarsi come non possa effettuarsi alcun parallelismo, dal momento che le forze armate e l'ente hanno due ordinamenti distinti tra loro e, comunque, non comparabili.
  Infatti, per il personale ENAV, il cui rapporto di lavoro è in regime di diritto privato, il relativo trattamento economico è regolamentato attraverso le procedure di negoziazione.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   VALIANTE. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   presso il consiglio regionale della Campania, con alcune interrogazioni, veniva sollevata la questione della delibera del direttore generale dell'Asl di Salerno n. 365 del 2014, che, accogliendo l'istanza presentata dal dirigente interessato, avrebbe provveduto a trattenere in servizio il dottor Pantaleo Palladino fino al 25 gennaio 2019 e, cioè, fino al compimento dei settanta anni di età;
   il provvedimento appariva in contrasto con l'articolo 22 della legge n. 183 del 2010 che prevede come limite massimo per il collocamento a riposo il compimento del sessantacinquesimo anno di età ovvero, su istanza dell'interessato, la maturazione del quarantesimo anno di servizio effettivo senza superare i settanta anni di età. Avendo il dirigente compiuto i sessantacinque anni il 25 gennaio 2014 e maturato i quaranta anni di servizio effettivo il 6 ottobre 2014, alla luce anche della nota operativa dell'Inpdap n. 56 del 22 dicembre 2010 (punto 5, cpv. 3), si evidenziava come per servizio effettivo si sarebbero dovute intendere tutte le attività lavorative rese presso l'ente di appartenenza o comunque rese presso la pubblica amministrazione;
   nella risposta del 1° agosto 2014 del presidente della giunta regionale della Campania (nota prot. 16080 del 16 settembre 2014), a sostegno della validità della delibera n. 365 del 4 aprile 14, veniva richiamata, in contrapposizione alla circolare Inpdap n. 56 del 2010, una nota del dipartimento della funzione pubblica DEP 0054991 P-1.2.2.2. del 9 dicembre 2010, indirizzata all'ospedale S. Camillo Forlanini di Roma. Da un'attenta analisi risultava che la citata nota della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento funzione pubblica, in materia di «Collocamento a riposo per limiti di età della dirigenza medica e di quella del ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale», ricevuta dal San Camillo Forlanini in data 14 dicembre 2010 (prot. n. 18845), confermava in maniera ancora più puntuale quanto disposto dalla citata circolare Inpdap n. 56 del 2010 ossia che «l'espletamento del servizio a qualunque titolo sia pure presso altro ente, datore o azienda, costituiscono servizio effettivo, come tale computabile nell'ambito dell'anzianità massima di servizio dei 40 anni» e ancora che «... per servizio effettivo deve intendersi qualunque tipo di lavoro espletato dal pubblico dipendente presso qualunque datore di lavoro sia pubblico che privato»;
   con la delibera n. 365 del 2014 il dirigente percepirà di fatto un aumento economico grazie al doppio regime retributivo e contributivo introdotto dall'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Antecedentemente alla legge n. 214 del 2011 al dipendente non spettavano, ai fini pensionistici, miglioramenti economici trascorsi i 40 anni di servizio, differentemente da quanto accade oggi in forza del regime contributivo introdotto dalla decreto-legge n. 92 del 2012 «Fornero», che consentirà il computato del trattamento pensionistico, grazie al regime contributivo, oltre i 40 anni di servizio effettivo;
   recentemente, il 18 settembre 2014, il sub-commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro della regione Campania con circolare n. 3957/C ha comunicato ai direttori generali delle aziende sanitarie, che i dirigenti medici maturano i requisiti per il collocamento a riposo al «raggiungimento del quarantesimo anno di età» in accordo a quanto disposto dall'articolo 22 della legge n. 183 del 2010. A conferma di ciò l'azienda ospedaliera di Salerno ha recepito la direttiva regionale 3957/C del 2014 con deliberazione n. 921 del 30 settembre 2014 –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere al fine di chiarire l'applicazione al caso in questione del decreto-legge n. 201 del 2011, dell'articolo 22 della legge n. 183 del 2010, della circolare Inpdap n. 56 del 2010, della comunicazione del Dipartimento della funzione pubblica DEP 0054991 P-1.2.2.2. del 9 dicembre 2014, nonché della circolare del sub-commissario ad acta della regione Campania 3957/C del 18 settembre 2014 per una rapida soluzione della problematica. (4-12429)

  Risposta. — In merito alla vicenda del dirigente medico dell'ASL di Salerno, oggetto della presente interrogazione, trattenuto in servizio fino al 25 gennaio 2019 e dunque, fino al compimento del settantesimo anno di età, la direzione generale dell'Asl di Salerno, per il tramite della prefettura di Salerno, ha precisato quanto segue.
  Il dottore indicato nell'atto ispettivo, dal 10 aprile 2001 al 10 gennaio 2006, è stato collocato in aspettativa dallo «status» di dirigente medico dipendente, per ricoprire altro incarico.
  Tale periodo non concorre a consumare il quarantennio di servizio di cui all'articolo 15-novies del decreto legislativo n. 502 del 1992, perché non assimilabile al servizio effettivo nella posizione di ruolo dirigenziale.
  Infatti, il concetto di «servizio effettivo» introdotto dalla legge n. 183 del 2010, che ha modificato l'articolo 15-novies del decreto legislativo n. 502 del 1992 induce a non considerare nel quarantennio ritenuto significativo dal legislatore tutti quei periodi di lavoro non effettivi, anche se accreditati figurativamente, ovvero riscattati o coperti a qualunque titolo sotto il profilo previdenziale.
  Pertanto, a differenza del contenuto della circolare Inpdap richiamata nell'interrogazione, che approccia alla problematica esclusivamente dal punto di vista contributivo, i principi ispiratori della legge n. 183 del 2010 vanno individuati nel concetto di lavoro inteso quale strumento di realizzazione della persona e non, quindi, in quello che considera la tutela previdenziale del massimo rendimento possibile del trattamento pensionistico, che ha caratterizzato la legislazione precedentemente.
  Tanto traspare anche dalla lettura degli stessi lavori parlamentari, quali, ad esempio, le considerazioni rese anche dal relatore, nella seduta della Camera dei deputati del 27 gennaio 2010, in sede di discussione delle linee generali, del disegno di legge da cui è scaturita la legge n. 183 del 2010, laddove viene chiarito che, ai fini del calcolo del quarantennio, rileva solo l'effettiva prestazione effettuata, al netto della contribuzione figurativa e di quella riscattata, fino al limite dei settant'anni.
  Da ultimo, l'articolo 1, commi 707, 708 e 709 della legge di stabilità n. 190 del 2014, stabilisce che le pensioni non potranno mai superare quelle maturate antecedentemente all'entrata in vigore della legge n. 214 del 2011.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   VILLAROSA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo della Gazzetta del Sud del 26 novembre 2014 viene riportata la confisca di beni per 5 milioni di euro al presunto capo dell'omonima cosca di ’ndrangheta di Seminara, deceduto all'ospedale di Messina, Rocco Antonio Gioffrè fra i quali 5 fabbricati;
   attualmente la stazione dell'Arma dei Carabinieri di Seminara è ubicata in uno stabile fatiscente e un comune di circa 3000 abitanti con alta densità mafiosa dovrebbe averne una funzionale e che garantisca condizioni di lavoro dignitose; con delibera CIPE del 22 marzo 2006 n. 2 – atto integrativo dell'A.P.Q., «Legalità e Sicurezza per lo sviluppo della Regione Calabria – Antonio Scopelliti», stipulato in data 1° agosto 2006 dal Ministero dell'interno, Ministero dell'economia e delle finanze e regione Calabria il comune di Seminara ha ricevuto un finanziamento di 300.000,00 euro per la «Ristrutturazione stabile ex casa di riposo per anziani da adibire a Caserma dei Carabinieri – Stazione di Seminara»;
   appaltata nel maggio 2011 e ultimata nel 2013, non è stata ancora consegnata all'Arma dei Carabinieri;
   nel 2013, in risposta al signor Domenico Buggè, il commissario straordinario scrive: Con riguardo, invece, al progetto di «Ristrutturazione stabile ex casa di riposo da adibire a Caserma dei Carabinieri – stazione di Seminara», approvato dall'amministrazione comunale nel 2011 ed oggi ultimato per un importo di 300.000 euro, si fa presente che, a seguito di verifiche documentali svolte presso gli uffici competenti, non risulta che l'amministrazione di Seminara abbia presentato un tale progetto tendente al rilascio dell'autorizzazione ai fini sismici, nel rispetto della normativa in vigore (decreto ministeriale 14 gennaio 2008) e con le procedure previste dalle norme regionali...»;
   con delibera n. 28 del 12 maggio 2015 l'amministrazione chiede un finanziamento di ulteriori 335.270 euro per il completamento dell'opera –:
   se e quando si potrà dotare il comune di Seminara di una stazione dei Carabinieri valida e rispettosa del lavoro che il personale svolge anche contro i fenomeni mafiosi;
   se siano state individuate le cause che hanno rallentato la costruzione di cui in premessa;
   se il Governo non ritenga opportuno affidare all'Arma, qualora ne avessero i requisiti, uno degli immobili confiscati al presunto capo della cosca di Seminara Rocco Antonio Gioffrè. (4-09980)

  Risposta. — La stazione Carabinieri di Seminara ha sede, dal 1986, in uno stabile di proprietà privata, non più rispondente ai requisiti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
  Sebbene il comune abbia manifestato, nel 2004, la disponibilità a cedere un immobile per le esigenze dell'Arma, la mancanza di risorse non ne ha permesso la riqualificazione fino al 2009, ovvero quando la Prefettura di Reggio Calabria ha stanziato 300.000 euro in favore del comune per gli interventi di adeguamento, completati nel novembre 2010.
  Successivamente, però, è emerso che il progetto di ristrutturazione era stato eseguito senza la prevista autorizzazione ai fini sismici.
  A seguito di una specifica perizia, nel 2013 veniva stimato in 612.720 euro l'importo necessario per mettere in sicurezza lo stabile, onere ritenuto non sostenibile dal comune di Seminara, così come non era in grado di poter sostenere quello di 250.000 euro, stimato nel 2014 dall'Università degli studi della Calabria all'esito di una diversa progettazione.
  Considerate tali carenze di risorse, l'Amministrazione comunale ha proposto, nel marzo 2014, una sede alternativa (ex scuola media) che, tuttavia, non riunisce i requisiti per soddisfare le esigenze logistiche/operative del presidio.
  La stessa Amministrazione ha partecipato anche a un bando regionale per l'assegnazione ai comuni di risorse per l'adeguamento degli edifici strategici, ma è risultata esclusa dal programma.
  Comunque, da notizie assunte a livello locale, risulta confermato l'impegno da parte dell'Amministrazione comunale nella ricerca delle risorse necessarie per avviare i lavori di adeguamento.
  In relazione, poi, agli immobili confiscati, cui fa riferimento l'interrogante, si precisa che il relativo procedimento non ha ancora carattere definitivo e che gli stessi, non rispondono, allo stato attuale, ai parametri di vulnerabilità sismica previsti per gli obiettivi strategici.
  Per quanto riguarda, invece, la presunta presenza di più immobili nel patrimonio sottoposto alla misura di confisca, il competente Ministero dell'interno ha comunicato quanto segue:
   il provvedimento dell'Autorità giudiziaria ha sottoposto a confisca un unico fabbricato in corso di costruzione, il cui costo, per i lavori di completamento, ammonterebbe a circa 80 mila euro;
   il fabbricato presenta delle criticità in ordine alla certificazione urbanistica e di sicurezza, essendo privo di ogni tipo di autorizzazione, concessione edilizia o richiesta di condono edilizio e, pertanto, risulta essere in regime di totale abusivismo;
   l'immobile è soggetto anche a procedure di esecuzione immobiliare, volte al soddisfacimento di debiti pregressi contratti dall'imputato nei confronti di istituti bancari, a fronte di concessione di finanziamenti agrari.

  In conclusione, attesa l'attuale pendenza del procedimento di confisca, l'immobile in questione non è nelle condizioni di essere destinato all'utilizzo come caserma del comando stazione carabinieri di Seminara.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge regionale della Liguria 30 dicembre 2015, n. 29, recante «Prime disposizioni per la semplificazione e la crescita relative allo sviluppo economico, alla formazione e lavoro, al trasporto pubblico locale, alla materia ordinamentale, alla cultura, spettacolo, turismo, sanità, programmi regionali di intervento strategico (p.r.i.s.), edilizia, protezione della fauna omeoterma e prelievo venatorio (collegato alla legge di stabilità 2016)», approvata dal consiglio regionale il 23 dicembre 2015 e pubblicata sul Bollettino Ufficiale del 31 dicembre 2015, contiene negli articoli dall'88 al 93 alcune disposizioni modificative della legge regionale 1° luglio 1994, n. 29, in materia di esercizio venatorio;
   le nuove disposizioni ad avviso degli interroganti violano la normativa venatoria statale, come dimostrano numerose sentenze della Corte costituzionale (n. 20 del 2012, n. 105 del 2012, n. 116 del 2012, n. 278 del 2012, n. 2 del 2015, n. 395 del 2005 e n. 107 del 2014);
   le norme in questione, in particolare, risultano fissare con legge regionale elementi del calendario venatorio regionale che, ai sensi dell'articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio», devono essere approvati con provvedimento amministrativo. Ulteriori elementi di dubbia legittimità risultano: l'introduzione di opzioni multiple di forme di caccia da parte di un singolo cittadino nella stessa stagione venatoria, la previsione di modalità non conformi alle norme statali nei casi di approvazione di un calendario venatorio sospeso dalla magistratura amministrativa, l'ammissione di abbattimenti di ungulati feriti in giorni e orari di silenzio venatorio, nonché l'ampliamento delle categorie di soggetti abilitati al controllo della fauna selvatica fuori e dentro le zone ed i periodi di divieto;
   le norme, come indicano le sentenze della Corte costituzionale, sono in contrasto con quanto disposto dall'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione, ove si assegna la materia della tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali alla legislazione esclusiva dello Stato –:
   se il Governo non ritenga necessario, per quanto di competenza, verificare gli effetti dell'attività venatoria, con le modalità stabilite dalla legge regionale della Liguria, sul delicato ecosistema dell'area con il rischio che si riduca la biodiversità ivi presente e si condizioni irreparabilmente l'ambito paesaggistico del territorio. (4-12363)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si rappresenta che la legge regionale della Liguria n. 29 del 2015, ai fini della valutazione di compatibilità costituzionale svolta dall'ufficio per l'esame di legittimità della legislazione regionale e delle province autonome ed il contenzioso costituzionale del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport, presenta aspetti di illegittimità costituzionale relativamente alle disposizioni in materia di protezione della fauna omeoterma e prelievo venatorio, che risultano in contrasto con la normativa vigente in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio recata dalla legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157, concernente «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio». La Corte costituzionale ha ritenuto che la disciplina dettata da detta legge contiene, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica e il cui rispetto deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale (Corte costituzionale 233 del 2010).
  La norma regionale in argomento è stata sottoposta al Consiglio dei ministri del 26 febbraio 2016 che ha deliberato l'illegittimità costituzionale dei seguenti articoli: 88, comma 1, 89, comma 1, 92 comma 1, 93 comma 1 in materia di prelievo venatorio, in contrasto con l'articolo 117 (comma 2, lettera s) della Costituzione:
   1) L'articolo 88, comma 1, aggiunge il nuovo comma 8-bis all'articolo 16 della legge regionale 29/1994, fissando, dunque, con legge regionale, anziché con provvedimento amministrativo statale, il periodo di addestramento dei cani da caccia, dal 15 agosto alla seconda domenica di settembre.
  Ai fini della pianificazione generale del territorio agro-silvo-pastorale le province, ai sensi dell'articolo 10, comma 7, della legge n. 157 del 1992 predispongono, articolandoli per comprensori omogenei, piani faunistico-venatori. Detti piani, ai sensi del successivo comma 8, comprendono, tra le altre, anche:
   [omissis]
    « e) le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale o con l'abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili, la cui gestione può essere affidata ad associazioni venatorie e cinofile ovvero ad imprenditori agricoli singoli o associati».

  Occorre preliminarmente svolgere alcune considerazioni in ordine alla citata attività di addestramento. Al riguardo, la Corte costituzionale, nelle sentenze n. 578 del 1990, n. 350 del 1991, n. 339 del 2003, sul presupposto che l'addestramento dei cani, in quanto attività strumentale all'esercizio dell'attività venatoria, sia riconducibile alla materia «caccia», ritiene tale addestramento soggetto ai divieti previsti dalla normativa quadro statale, costituita dalla legge 11 febbraio 1992 n. 157 (sul punto anche Consiglio di Stato sezione sesta, n. 717 del 2002, TAR Campania, Napoli, prima sezione, n. 4639 del 2001, TAR Liguria, seconda sezione, n. 368 del 2004).
  A tal proposito, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, con il parere del 22 agosto 2012 rilasciato alla regione Veneto, ha evidenziato che «l'allenamento e l'addestramento dei cani da caccia, indipendentemente dalla loro età, durante il periodo riproduttivo di uccelli e mammiferi selvatici determina un evidente e indesiderabile fattore di disturbo, in grado di determinare in maniera diretta o indiretta una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate. Questa attività andrebbe consentita solo nel periodo che precede l'apertura della caccia in forma vagante, in ogni caso mai prima dei primi di settembre ed escludendo quindi i mesi che vanno da febbraio a agosto».
  Pertanto, l'attività di addestramento dei cani da caccia comporta un rischio per la fauna selvatica, assimilabile a quello dell'attività venatoria e, dunque, deve rispettare gli standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale e le relative garanzie procedimentali, poste dalla legge statale ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
  La norma regionale in esame fissa il periodo di addestramento e allevamento cani con legge regionale anziché con provvedimento amministrativo, ponendosi in palese contrasto con quanto previsto dall'articolo 10, comma 8, della legge 157 del 1992.
  La Corte costituzionale ha stabilito, in più occasioni, l'illegittimità costituzionale dell'approvazione del calendario venatorio con legge anziché con atto amministrativo, esplicitando la natura tecnica del provvedere. Più precisamente, appare evidente che il legislatore statale prescrivendo la pubblicazione del calendario venatorio e contestualmente del «regolamento» sull'attività venatoria e imponendo l'acquisizione obbligatoria del parere dell'Ispra, e dunque esplicitando la natura tecnica del provvedere, abbia inteso realizzare un procedimento amministrativo, al termine del quale la Regione è tenuta a provvedere nella forma che naturalmente ne consegue, con divieto di impiegare, invece, la legge provvedimento (sentenza n. 20 del 2012).
  Vi è di più, l'approvazione del calendario venatorio con regolamento, «esprime una scelta compiuta dal legislatore statale che attiene alle modalità di protezione della fauna e si ricollega per tale ragione, alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (sentenza n. 105 del 2012).
  Analogamente, nel caso in esame, il legislatore ligure, nella disposizione de qua, ha illegittimamente attratto a sé la competenza provvedimentale e si è spinto ad irrigidire nella forma della legge il periodo per l'addestramento e l'allevamento cani, indebolendo quel «regime di flessibilità» che solo attraverso l'atto amministrativo consente di assicurare. «Ove si tratti di proteggere la fauna, un tale assetto è infatti il solo idoneo a prevenire i danni che potrebbero conseguire a un repentino ed imprevedibile mutamento delle circostanze di fatto (...). È chiaro che quando, come nel caso in questione, vi è ragionevole motivo di supporre che l'attività amministrativa non si esaurisca in un unico atto, ma possa e debba tornare a svilupparsi con necessaria celerità per esigenze sopravvenute, le forme e i tempi del procedimento legislativo possono costituire un aggravio, persino tale in casi estremi da vanificare gli obiettivi di pronta regolazione dei casi di urgenza» (Corte Costituzionale 20 del 2012, considerato in diritto 5.2) È in questo quadro che va collocata la disciplina di allenamento e addestramento dei cani da caccia, in quanto rientrante nel concetto di attività venatoria: anch'essa, dunque, si deve ritenere soggetta alla pianificazione con le medesima modalità procedimentali e con le ommesse garanzie sostanziali (Corte costituzionale 193 del 2013).
  La norma pertanto, disciplinando l'allenamento e addestramento dei cani da caccia con legge regionale, e quindi al di fuori della pianificazione faunistico-venatoria prevista dall'articolo 10 della legge n. 157 del 1992, e senza le relative garanzie procedimentali imposte dalla stessa legge (articolo 18), determina una violazione degli standard minimi e uniformi di tutela della fauna fissati dal legislatore statale nell'esercizio della sua competenza esclusiva in materia, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), Costituzione.
  La medesima disposizione regionale, fissando l'inizio del periodo per l'addestramento e allevamento dei cani da caccia al giorno 15 agosto, presenta inoltre un ulteriore aspetto di illegittimità, sempre in relazione all'articolo 117, secondo comma lettera s) della Costituzione, ponendosi in contrasto con quanto previsto dalla legge n. 157 del 1992.
  L'attività di allenamento e addestramento dei cani da caccia provoca un evidente e grave fattore di disturbo durante il periodo riproduttivo degli uccelli e dei mammiferi selvatici. A tal proposito la legge 157 del 1992 «Norme per la protezione della fauna omeoterma e, per il prelievo venatorio» all'articolo 10, relativo all'obbligo per le regioni di predisporre i piani faunistico-venatori, finalizzati a garantire la conservazione delle specie mediante la riqualificazione delle risorse ambientali e la regolamentazione del prelievo venatorio, prevede, anche al fine di compenetrare le esigenze della cinofilia venatoria (comma 8, lettera e), che i citati piani indichino «le zone e i periodi per l'addestramento, l'allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale...».
  L'ISPRA, ai sensi dell'articolo 7 della legge 157 del 1992, è l'organismo che ha il compito di censire il patrimonio ambientale costituito dalla fauna selvatica, di studiarne lo stato, l'evoluzione ed i rapporti con le altre componenti ambientali, nonché di controllare e valutare gli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province autonome, formulando i pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province autonome. Detto Istituto, nei pareri rilasciati alle regioni ai fini della stesura dei calendari venatori, indica il mese di settembre come periodo iniziale dell'addestramento dei cani da caccia.
  Poiché, come affermato dalla Corte costituzionale e sopra ricordato, l'attività di addestramento cani è assimilabile in tutto e per tutto alla materia della caccia, essa può essere consentita senza limiti di tempo, solo nelle zone di addestramento all'uopo istituite, dalle amministrazioni ai sensi del citato articolo 10, comma 8, lettera e) della legge n. 157 del 1992.
  Pertanto, la norma regionale de qua nel fissare il periodo di addestramento e allenamento dei cani da caccia dal 15 agosto e quindi anche in periodi di caccia chiusa, si pone in contrasto con l'articolo 7 in combinato disposto con l'articolo 10 della legge regionale 157 del 1992, la quale, dettando «disposizioni per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, stabilisce standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale.
    2) La norma contenuta nell'articolo 89, comma 1, modifica l'articolo 18 della legge regionale Liguria 1o luglio 1994, n. 29 (rubricata «Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio»), aggiungendovi il comma 1-bis.
  La nuova disposizione consente al cacciatore che abbia optato per la forma di caccia in via esclusiva «da appostamento fisso» di disporre di quindici giornate di caccia vagante nell'insieme delle altre forme, anche con l'uso del cane. La medesima disposizione consente, altresì, al cacciatore che abbia optato per la forma di caccia in via esclusiva «vagante in zona Alpi», oppure per le altre forme rimanenti (ovvero diverse dall'appostamento fisso o vagante in zona Alpi) di esercitare anche quindici giornate di caccia da appostamento fisso in tutti gli ambiti territoriali e nei comprensori alpini della regione.
  L'articolo 12, comma 5, della legge 157 del 1992 prevede che «fatto salvo l'esercizio venatorio con l'arco o con il falco, l'esercizio venatorio stesso può essere praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme: a) vagante in zona Alpi; b) da appostamento fisso; c) nell'insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla presente legge e praticate nel rimanente territorio destinato all'attività venatoria programmata».
  La richiamata norma nazionale non consente, pertanto, il «cumulo» delle diverse forme di esercizio venatorio come, invece, previsto dalla disposizione regionale.
  Sul punto, la Corte costituzionale ha affermato che «l'articolo 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992 ha introdotto il principio cosiddetto della caccia di specializzazione, in base al quale, fatta eccezione per l'esercizio venatorio con l'arco o con il falco, ciascun cacciatore può praticare la caccia in una sola delle tre forme ivi indicate («vagante in zona Alpi»; «da appostamento fisso»; «nelle altre forme» consentite dalla citata legge «e praticate sul restante territorio destinato all'attività venatoria, programmata»). Il cacciatore è tenuto, dunque, a scegliere, nell'ambito di tale ventaglio di alternative, la modalità di esercizio dell'attività venatoria che gli è più consona, fermo restando che l'una forma esclude l'altra. Tale criterio di esclusività che vale a favorire il radicamento del cacciatore in un territorio e, al tempo stesso, a sollecitarne l'attenzione per l'equilibrio faunistico trova la sua
ratio giustificativa nella constatazione che un esercizio indiscriminato dell'attività venatoria, da parte dei soggetti abilitati, su tutto il territorio agro-silvo-pastorale e in tutte le forme consentite rischierebbe di mettere in crisi la consistenza delle popolazioni della fauna selvatica». (Sentenza n. 116 del 2012 considerato in diritto punto 2.1 si veda inoltre la sentenza 278 del 2012).
  Pertanto, la normativa regionale, nel prevedere l'esercizio cumulativo di diverse forme di caccia, deroga
in peius alla normativa nazionale sopra citata, introducendo soglie di tutela minore rispetto alla normativa nazionale. L'articolo 12, comma 5 – concorrendo alla definizione del nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, – «stabilisce, in particolare, una soglia uniforme di protezione da osservare su tutto il territorio nazionale (con riguardo a previsioni di analoga ispirazione, sentenze n. 441 del 2006, n. 536 del 2002, n. 168 del 1999 e n. 323 del 1998): ponendo, con ciò, una regola che – per consolidata giurisprudenza di questa Corte – può essere modificata dalle regioni, nell'esercizio della loro potestà legislativa residuale in materia di caccia, esclusivamente nella direzione dell'innalzamento del livello di tutela (soluzione che comporta logicamente il rispetto dello standard minimo fissato dalla legge statale: ex plurimis, sentenze n. 106 del 2011, n. 315 e n. 193 del 2010, n. 61 del 2009)» (Corte costituzionale 116 del 2012 e 278 del 2012). Detta normativa nazionale si inquadra, dunque, nell'ambito materiale della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema: tutela riservata alla potestà legislativa esclusiva statale dall'articolo 117, secondo comma, lettera s), Costituzione.
  Si deve, peraltro, evidenziare che ai sensi dell'articolo 31, comma 1, lettera
a) della legge 157 del 1992, chiunque eserciti la caccia in una forma diversa da quella prescelta ai sensi dell'articolo 12, comma 5, è punito con una sanzione amministrativa da euro 206 a euro 1.239. Il successivo articolo 32, comma 4, prevede, oltre alla sanzione amministrativa, la sospensione per un anno della licenza di porto di fucile per uso di caccia.
  Alla luce di quanto esposto, la norma regionale in esame, nella parte in cui consente la pratica dell'esercizio venatorio in via non esclusiva, viola l'articolo 117, secondo comma, lettera s) Costituzione, in riferimento all'articolo 12, comma 5, della legge 157 del 1992.
    3) La norma contenuta nell'articolo 92 sostituisce integralmente l'articolo 35 della legge regionale Liguria 1 luglio 1994, n. 29 (rubricata «Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio»).
  Il nuovo articolo, tramite il comma 9 del menzionato articolo 35, disciplina l'attività di «recupero» (ovvero di abbattimento) degli ungulati feriti, stabilendo che: «Per il recupero dei capi feriti è consentito l'uso dei cani da traccia, purché abilitati da prove di lavoro organizzate dall'Ente Nazionale della Cinofilia Italiana (ENCI). I conduttori di cani da traccia devono essere in possesso di abilitazione rilasciata dalla Regione o dalle province previo corso di istruzione e superamento di una prova di esame. A tale scopo essi possono fare uso delle armi di cui, all'articolo 13 della legge statale. Le operazioni, da svolgersi con l'uso di un solo cane, possono essere effettuate anche fuori degli orari previsti per la caccia e nelle giornate di silenzio venatorio su tutto il territorio previa comunicazione agli ambiti territoriali di caccia o comprensori alpini di competenza. Negli ambiti protetti e nelle aziende venatorie la ricerca del capo ferito viene compiuta con l'autorizzazione della regione o del titolare dell'azienda venatoria. Le spoglie dell'animale recuperato sono di proprietà del cacciatore che lo ha ferito».
  La disposizione regionale, consente, dunque, l'abbattimento degli ungulati feriti utilizzando cani da traccia e armi da caccia, prevedendo, altresì, la possibilità di svolgere dette attività in maniera generalizzata «anche fuori degli orari previsti per la caccia e nelle giornate di silenzio venatorio su tutto il territorio previa comunicazione agli ambiti territoriali di caccia o comprensori alpini di competenza».
  L'articolo 12, commi 2 e 3, della legge 157 del 1992 prevede che «2. costituisce esercizio venatorio ogni atto diretto all'abbattimento o alla cattura di fauna selvatica mediante l'impiego dei mezzi di cui all'articolo 13.
  3. È considerato altresì esercizio venatorio il vagare o il soffermarsi con i mezzi destinati a tale scopo o in attitudine di ricerca della fauna selvatica o di attesa della medesima per abbatterla».
  Pertanto, ai sensi della norma statale citata, il recupero dei capi feriti, attraverso, cani da traccia o con l'uso della armi di cui all'articolo 13 della legge statale, è considerato esercizio venatorio ed è sottoposto ai medesimi divieti e garanzie procedurali, sottostando alle prescrizioni dei piani faunistico venatori e sulla base di piani di abbattimento selettivi.
  L'articolo 21, comma 1, della medesima legge 157 del 1992 vieta:
   a) l'esercizio venatorio nei giardini, nei parchi pubblici e privati, nei parchi storici e archeologici e nei terreni adibiti ad attività sportive;
   b) l'esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali. Nei parchi naturali regionali costituiti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 6 dicembre 1991, n. 394, le regioni adeguano la propria legislazione al disposto dell'articolo 22, comma 6, della predetta legge entro il 31 gennaio 1997, provvedendo nel frattempo all'eventuale riperimetrazione dei parchi naturali regionali anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 32, comma 3, della legge medesima;
   c) l'esercizio venatorio nelle oasi di protezione e nelle zone di ripopolamento e cattura, nei centri di riproduzione di fauna selvatica, nelle foreste demaniali ad eccezione di quelle che, secondo le disposizioni regionali, sentito il parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, non presentino condizioni favorevoli alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica;
   (...)
   g) il trasporto, all'interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l'attività venatoria, ovvero a bordo di veicoli di qualunque genere e comunque nei giorni non consentiti per l'esercizio venatorio dalla presente legge e dalle disposizioni regionali, di armi da sparo per uso venatorio che non siano scariche e in custodia».

  Altresì, l'articolo 30, comma 1, lettere d) e f) prevede «d) l'arresto fino a sei mesi e l'ammenda da lire 900.000 a lire 3.000.000 (da euro 464 a euro 1.549) per chi esercita la caccia nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali, nelle riserve naturali, nelle oasi di protezione, nelle zone di ripopolamento e cattura, nei parchi e giardini urbani, nei terreni adibiti ad attività sportive;
   f) l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda fino a lire 1.000.000 (euro 516) per chi esercita la caccia nei giorni di silenzio venatorio».
  Inoltre, l'articolo 31, comma 1, lettera
e) sanziona, in via amministrativa (da euro 10,3 a euro 619) per chi esercita la caccia in zone di divieto non diversamente sanzionate.
  Infine, il successivo articolo 31, comma 1, lettera
g) prevede una sanzione amministrativa (da euro 103 a euro 619) per chi esercita l'attività venatoria al di fuori degli orari previsti.
  Al tale proposito, la Corte costituzionale, con sentenza n. 2 del 2015, ha affermato che «l'articolo 21, comma 1, lettera g), della legge n. 157 del 1992, vieta il trasporto di armi per uso venatorio, che non siano scariche e in custodia, nei giorni durante i quali la caccia non è consentita, in particolare nei giorni di martedì e venerdì, “nei quali l'esercizio dell'attività venatoria è in ogni caso sospeso” (articolo 18, comma 5, della legge n. 157 del 1992). Il divieto deve ritenersi espressivo della competenza esclusiva dello Stato a determinare standard di tutela della fauna, che non sono derogabili da parte della regione neppure nell'esercizio della propria competenza legislativa in materia di caccia (
ex plurimis, sentenze n. 278 del 2012, n. 151 del 2011 e n. 387 del 2008). È infatti evidente che la facoltà riconosciuta ai recuperatori di utilizzare l'arma durante i giorni della stagione di caccia riservati al cosiddetto silenzio venatorio, e comunque nei due giorni successivi alla chiusura della stagione stessa, si pone in contrasto con la disposizione dell'articolo 21, comma 1, lettera g), della legge n. 157 del 1992 ed elude il divieto di cacciare in tali giorni, legittimando una condotta che per l'articolo 12, comma 3, della stessa legge, costituisce esercizio venatorio».
  Alla luce delle precedenti considerazioni, l'articolo 92, comma 1, della legge regionale Liguria n. 29 del 2015, che sostituisce l'articolo 35 della legge regionale n. 29 del 1994, nel consentire il recupero di ungulati feriti con armi da fuoco, anche nei giorni di silenzio venatorio, negli orari di divieto di caccia e all'interno di territori protetti, viola l'articolo 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, in riferimento alle disposizioni nazionali sopra evidenziate.
    4) L'articolo 93 sostituisce integralmente l'articolo 36 della legge regionale Liguria 1o luglio 1994, n. 29 (rubricata «Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio»).

  Il nuovo articolo, al comma 2 del menzionato articolo 35, disciplina l'attuazione dei così detti piani di abbattimento, stabilendo che: «La regione, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zooagro-forestali ed ittiche, provvede al controllo della fauna selvatica, esercitato selettivamente. A tal fine, oltre alle azioni di controllo esercitate con metodi ecologici, può autorizzare piani di abbattimento, da realizzarsi tenendo conto delle modalità indicate dall'ISPRA nei propri documenti, anche nel periodo di divieto venatorio, all'interno di ambiti protetti ai fini venatori ed in deroga alle disposizioni del calendario venatorio inerenti orari e periodi di caccia. Tali piani, alla cui attuazione sono preposti agenti ed ausiliari di pubblica sicurezza, sono programmati di concerto con gli enti locali interessati, gli ambiti territoriali di caccia e comprensori alpini e sono realizzati avvalendosi dei seguenti soggetti:
   a) cacciatori riuniti in squadre validamente costituite, nonché cacciatori in possesso della qualifica di coadiutore al controllo faunistico o di selecontrollore;
   b) guardie volontarie di cui all'articolo 48, comma 2, munite di licenza per l'esercizio venatorio previo corso di formazione sull'organizzazione e gestione collettiva delle attività di controllo agli ungulati;
   c) proprietari o conduttori dei fondi muniti di licenza per l'esercizio venatorio, previa autorizzazione regionale».

  L'articolo 19, comma 2, primo periodo, della legge n. 157 del 1992 prevede che «le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l'utilizzo di metodi ecologici su parere dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l'istituto verifichi l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento».
  La norma regionale sopra riportata si pone in contrasto con la citata norma statale secondo cui il controllo della fauna selvatica, esercitato in maniera selettiva, venga praticato con l'utilizzo di metodi ecologici, previo parere dell'ISPRA, rilasciato caso per caso, e non semplicemente «tenuto conto delle modalità indicate dall'ISPRA nei suoi documenti». Solo successivamente, qualora l'ISPRA reputi che l'utilizzo dei suddetti metodi sia inefficace, è possibile da parte della regione autorizzare i piani di abbattimento. Si tratta di una procedura di abbattimento alternativa rispetto ai metodi ecologici e non concorrente come invece dispone la regione «oltre alle azioni di controllo esercitate con metodi ecologici, può autorizzare piani di abbattimento» e non può prescindere dal necessario e preventivo parere dell'ISPRA.
  La Corte costituzionale ha affermato che le competenze attribuite all'ISPRA dall'articolo 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, esprimono standard minimi ed uniformi di protezione ambientale, propri della sfera legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 107 del 2014 e 278 del 2012).
  Inoltre, lo stesso articolo 19, comma 2, ultimo periodo, della legge n. 157 del 1992, prevede che i piani di abbattimento debbano «essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio».
  La norma statale, pertanto, prevede che i piani di abbattimento debbano essere attuati esclusivamente dai soggetti elencati, ovvero dalle guardie venatorie provinciali, dai proprietari e conduttori dei fondi e dalle guardie forestali e comunali.
  In particolare, i cacciatori che non risultano proprietari dei terreni non possono mai coadiuvare nei piani di abbattimento i soggetti pubblici preposti.
  La Corte costituzionale ha già riconosciuto che «l'identificazione delle persone abilitate all'attività in questione compete esclusivamente alla legge dello Stato e che, al riguardo, l'articolo 19 della legge n. 157 del 1992 contiene un elenco tassativo (sentenza n. 392 del 2005; ordinanza n. 44 del 2012)» (sentenza n. 107 del 2014).
  Alla luce delle precedenti considerazioni, la norma regionale de qua ampliando la platea dei soggetti ai quali spetta attuare i piani abbattimento viola l'articolo 117, secondo comma, lettera s), Costituzione, in riferimento all'articolo 19, comma 2, legge n. 157 del 1992, in violazione del parametro di cui all'articolo 117, comma 2, lettera s), della Costituzione che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali».
  In tal senso, del resto, si è già orientata la Corte costituzionale con riferimento ad una legge con la quale la regione Veneto aveva abilitato all'esecuzione dei piani di abbattimento non solo le persone indicate dall'articolo 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, ma anche i cacciatori residenti negli ambiti territoriali di caccia.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGianclaudio Bressa.