Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 23 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le norme in materia di diritto allo studio universitario trovano il loro fondamento nella Costituzione che all'articolo 3, comma 2, affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese e, all'articolo 34, prevede, tra l'altro, che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;
    la Costituzione stabilisce, all'articolo 117, comma 2, lettera m), che è competenza dello Stato stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
    alle regioni spetta in via esclusiva la potestà legislativa in materia di diritto allo studio;
    la legge delega n. 240 del 2010, cosiddetta riforma Gelmini, in attuazione delle norme costituzionali è intervenuta in materia prevedendo la revisione della normativa in materia di diritto allo studio e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere erogate dalle università italiane;
    tra gli obiettivi principali perseguiti dalla legge n. 240 del 2010 ci sono stati quelli di rafforzare le opportunità di accesso all'istruzione superiore per gli studenti provenienti da situazioni socioeconomiche sfavorite e di promuovere il merito tra gli studenti;
    in attuazione della delega è stato approvato il decreto legislativo n. 68 del 2012, che prevede la partecipazione di soggetti diversi, ciascuno nell'ambito delle proprie competenza, ad un sistema integrato di strumenti e servizi al fine di garantire il diritto allo studio;
    il finanziamento per il diritto allo studio universitario riesce a coprire appena il 73 per cento circa delle richieste e questa percentuale registra una tendenza a diminuire: dal 74,25 per cento del 2013/14 si è passati al 73,89 per cento del 2014/15;
    questi dati rappresentano la situazione a livello nazionale, ma la percentuale di copertura delle richieste non risulta omogenea tra le varie regioni e la distribuzione del fondo per il diritto allo studio evidenzia forti sperequazioni al livello regionale;
    il meccanismo di ripartizione dei fondi statali alle regioni è basata sulla loro ricchezza per cui quelle che riescono ad assegnare un maggior numero di borse di studio perché più ricche ottengono paradossalmente maggiori fondi dallo Stato; tale distribuzione attiva un circolo vizioso per cui alle regioni del Sud vanno meno risorse rispetto a quelle del Nord;
    un alto grado di istruzione rappresenta un aspetto fondamentale per il progresso sia economico sia sociale di un Paese, tanto più in un'economia globalizzata e basata sulla conoscenza, nella quale è necessario disporre di una forza lavoro qualificata per poter competere in termini di produttività, qualità e innovazione; livelli bassi di istruzione terziaria, infatti, agiscono da ostacolo per la competitività e possono compromettere la capacità del nostro Paese di generare «crescita intelligente»;
    ampliare l'accesso all'istruzione superiore aumentando la partecipazione ai corsi di istruzione terziaria in particolare del membri dei gruppi svantaggiati, appare una scelta necessaria anche in considerazione degli obiettivi che l'Unione europea ha indicato ai propri stati membri. La strategia Europa 2020 è stata adottata per innovare Lisbona 2001, per rispondere alle nuove priorità che la crisi economica ha posto e che hanno portato l'Unione europea a riconoscere l'urgenza di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. La Strategia Europa 2020 si è posta cinque obiettivi, tra questi investire in istruzione, innovazione e ricerca, per sviluppare una economia basata sulla conoscenza e sulla innovazione, indicando tra i traguardi prioritari da raggiungere entro il 2020 quello di portare almeno al 40 per cento la percentuale di popolazione in possesso di un diploma universitario o di una qualifica simile in età 30-34 anni;
    conoscenza, ricerca, sviluppo appaiono quindi quali tasselli fondamentali di un quadro strutturale generale volto a rispondere alle carenze strutturali che l'economia europea ha mostrato ma per poter raggiungere questi risultati l'Europa richiede ai Paesi membri di adottare a livello nazionale provvedimenti che si adattino alla specifica situazione locale; attraverso la crescita del livello generale di istruzione;
    la quota di popolazione con un'istruzione terziaria nella Unione europea dei 28 è in costante aumento ma tra i territori in cui si registra un andamento di segno inverso ci sono quattro regioni che si trovano nell'Italia meridionale: Basilicata, Campania, Sardegna e Sicilia;
    secondo il rapporto Education at a glance 2015 in Italia solo il 34 per cento dei giovani, a fronte di una media Ocse del 50 per cento, consegue un diploma d'istruzione terziaria,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a garantire pari opportunità di accesso all'alta formazione universitaria, all'alta formazione artistica e musicale, agli istituti tecnici superiori, attraverso una effettiva implementazione del diritto allo studio, che valorizzi i talenti delle studentesse e degli studenti in linea con gli obiettivi della Strategia UE 2020 e i livelli europei ed internazionali;

   ad assumere le iniziative necessarie a portare l'investimento della quota di prodotto interno lordo nel comparto universitario al livello degli altri Paesi dell'Ocse, dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa, potenziando le sinergie tra atenei, istituti per l'alta formazione ed istituti tecnici superiori, e tessuto produttivo, anche attraverso l'attuazione di un sistema duale sul modello europeo.
(1-01283) «Centemero, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    la sindrome fibromialgica (SFM), detta anche fibromialgia (FM), è una diffusa malattia reumatica ancora poco conosciuta che, a tutt'oggi, pur colpendo circa due milioni di italiani, non ha ottenuto il dovuto riconoscimento dal Ministero della salute, impedendo ai pazienti di ottenere un'idonea diagnosi e, conseguentemente, l'accesso a cure e trattamenti adeguati;
    si tratta di una patologia caratterizzata da dolore cronico diffuso, che presenta più di 100 sintomi tra i quali l'astenia e l'affaticamento cronico, disturbi del sonno, stato confusionale, disturbi della vista, fibrofog, allergie, mioclonie, ipersensibilità, palpitazioni cardiache, dolore toracico, disturbi digestivi, dolore pelvico ed altri ancora, considerati altamente invalidanti che influiscono negativamente sulla qualità della vita di chi ne è affetto;
    la complessa presentazione clinica di questa sindrome è da oltre un secolo oggetto di dibattito, ma gode di poco interesse nella «gerarchia delle malattie», poiché sono sconosciute la reale eziologia e le idonee modalità terapeutiche;
    negli ultimi dieci anni, tuttavia, la fibromialgia è stata meglio definita attraverso studi che hanno stabilito le linee guida per la diagnosi, come il Compendio del documento di consenso canadese, in cui viene dimostrata la presenza di una componente genetica predisponente e di anomalie dei sistemi di percezione e trasmissione del dolore a livello del sistema nervoso centrale nei pazienti affetti da tale sindrome;
    la SFM rappresenta un problema reale: le condizioni di chi ne è affetto, aggravate dai disturbi cronici della patologia, sovente porta all'alterazione dei rapporti familiari, oltre a sostenere costi considerevoli per esami, visite e attività di ricerca terapiche;
    in mancanza di un idoneo riconoscimento sanitario di tale malattia, chi ne è affetto si sente intrappolato in una sorta di limbo poiché non è considerato come «malato» dalle istituzioni, ed è ritenuto «sano» dalla collettività, pertanto, vive in uno stato d'ansia continuo, sia nell'ambiente familiare che nel campo lavorativo, peggiorando la malattia;
    la fibromialgia non viene diagnosticata con gli esami del sangue ordinari e nemmeno con radiografie o risonanza magnetica. L'incertezza della terapia e la mancata ricerca scientifica portano il malato fibromialgico a vivere in una situazione di stallo dalla quale non vede via d'uscita; l'Organizzazione mondiale della sanità ha riconosciuto convenzionalmente, a seguito della cosiddetta Dichiarazione di Copenaghen del 1992, l'esistenza della sindrome fibromialgica classificandola nel 2007 con il codice M-79.7 nell'IDC-10 (International Classification of Diseases), Capitolo XIII «Malattie del sistema muscolare e connettivo». Gran parte dei Paesi europei hanno sostenuto e aderito a tale iniziativa, ma tra questi non figura l'Italia;
    nel 2008, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione europea e il Consiglio a pianificare una strategia comunitaria per la fibromialgia in modo da riconoscere questa sindrome come una malattia, incoraggiando gli Stati membri a migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti: conclusione che ha tenuto conto del fatto che la fibromialgia non risultava ancora inserita nel Registro ufficiale delle malattie nell'Unione europea e che i malati, effettuando più visite generiche e specialistiche, ottengono un numero maggiore di certificati di malattia e ricorrono più spesso ai servizi di degenza, rappresentando così un notevole onere economico per l'Europa;
    questa patologia, si ribadisce, da luogo a disabilità a causa del dolore cronico e nonostante le raccomandazioni della Commissione europea e del Consiglio inviate agli Stati membri per il riconoscimento di questa sindrome come una malattia, anche al fine di migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti, la fibromialgia risulta ancora assente nel nomenclatore del Ministero della salute. Il mancato riconoscimento ha determinato l'assenza di adeguati protocolli clinici-assistenziali e l'impossibilità di accedere ad una qualche forma di esenzione alla partecipazione di spesa come da decreto ministeriale n. 329 del 1999 (articolo 2, comma 2);
    a fronte dell'assenza della patologia nel nomenclatore del Ministero della salute, le provincie autonome di Bolzano e Trento hanno ufficialmente riconosciuto la fibromialgia come malattia cronica e invalidante con diritto all'esenzione, seguite dal Friuli Venezia Giulia e dal Veneto che ha riconosciuto la fibromialgia nel Piano socio-sanitario regionale; la Toscana ha invece costituito un tavolo tecnico di confronto per procedere nella stessa direzione;
    è, dunque, assurdo che tale patologia goda di un riconoscimento disomogeneo sul territorio nazionale, pregiudicando ovviamente i cittadini che ne sono affetti laddove non è riconosciuta; sicché, anche in conformità alle raccomandazioni trasmesse dalle istituzioni europee, bisogna urgentemente garantire un trattamento uniforme della fibromialgia, procedendo al suo riconoscimento come malattia invalidante,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché siano aggiornate le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento della fibromialgia tra le malattie invalidanti, riconoscendo conseguentemente il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie correlate;
   a individuare ed adottare le iniziative necessarie e finalizzate alla tutela dei malati di fibromialgia rispetto all'accesso ad idonee cure e trattamenti;
   a promuovere campagne di sensibilizzazione ed informazione su tale patologia e sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico e degli operatori dei consultori familiari;
   ad istituire presso il Ministero della salute una commissione di esperti in fibromialgia, ai cui lavori partecipino anche le associazioni dei malati fibromialgici, alla quale sia attribuito il compito di predisporre specifiche linee guida per la buona pratica della cura e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti e dei medici, nonché il compito di individuare azioni e iniziative per la prevenzione.
(1-01284) «Rizzetto, Rampelli».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2011 l'Unione europea varò le sanzioni contro la Siria, presentandole come «sanzioni a personaggi del regime», che imponevano al Paese l'embargo del petrolio, il blocco di ogni transazione finanziaria e il divieto di commerciare moltissimi beni e prodotti. Una misura che dura ancora oggi, anche se, con decisione alquanto inspiegabile, nel 2012 veniva rimosso l'embargo del petrolio dalle aree controllate dall'opposizione armata e jihadista, allo scopo di fornire risorse economiche alle cosiddette «forze rivoluzionarie e dell'opposizione»;
    in questi cinque anni le sanzioni alla Siria hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l'attivismo delle milizie combattenti integraliste e terroriste che oggi colpiscono anche in Europa. E si aggiungono a una guerra, che ha già comportato 250.000 morti e sei milioni di profughi;
    la situazione in Siria è disperata, comportando carenza di generi alimentari, disoccupazione generalizzata, impossibilità di cure mediche, razionamento di acqua potabile e di elettricità. Le misure di embargo rendevano anche impossibile per i siriani stabilitisi all'estero già prima della guerra di spedire denaro ai loro parenti o familiari rimasti in patria. Anche le organizzazioni non governative impegnate in programmi di assistenza sono impossibilitate a spedire denaro ai loro operatori in Siria. Aziende, centrali elettriche, acquedotti, reparti ospedalieri sono costretti a chiudere per l'impossibilità di procurarsi un qualche pezzo di ricambio o benzina;
    oggi i siriani vedono la possibilità di un futuro vivibile per le loro famiglie solo scappando dalla loro terra. Le evidenze dimostrano come anche questa soluzione incontri non poche difficoltà e causa accese controversie all'interno dell'Unione europea. Né può essere la fuga l'unica soluzione che la comunità internazionale sa proporre alla popolazione;
    forte è il sostegno che viene dato a tutte le iniziative umanitarie e di pace che la comunità internazionale sta attuando, in particolare attraverso i difficili negoziati di Ginevra;
    la retorica sui profughi che scappano dalla guerra siriana appare ipocrita se nello stesso tempo si continua ad affamare, impedire le cure, negare l'acqua potabile, il lavoro, la sicurezza e la dignità a chi rimane in Siria,

impegna il Governo

ad intervenire in sede europea affinché le sanzioni che toccano la vita quotidiana di ogni siriano siano immediatamente rimosse, considerato che l'attesa della sospirata pace non può essere disgiunta da una concreta sollecitudine per quanti oggi soffrono a causa di un embargo il cui peso ricade su un intero popolo.
(1-01285) «Rondini, Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Saltamartini, Simonetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 del decreto legislativo 33 del 2013 «Programma triennale per la trasparenza e l'integrità» prevede che ogni amministrazione, adotti un programma triennale per la trasparenza e l'integrità, da aggiornare annualmente, che indica le iniziative previste per garantire: a) un adeguato livello di trasparenza; b) la legalità e lo sviluppo della cultura dell'integrità. Il programma triennale per la trasparenza e l'integrità definisce le misure, i modi e le iniziative volte all'attuazione degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, ivi comprese le misure organizzative volte ad assicurare la regolarità e la tempestività dei flussi informativi di cui all'articolo 43, comma 3 del predetto decreto. Le misure del programma triennale sono collegate, sotto l'indirizzo del responsabile, con le misure e gli interventi previsti dal piano di prevenzione della corruzione. A tal fine, il programma costituisce di norma una sezione del piano di prevenzione della corruzione;
   la delibera dell'ANAC del 4 luglio 2013 n. 50 del 2013 «Linee guida per l'aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità 2014-2016» dispone che il programma triennale per la trasparenza e l'integrità è delineato come strumento di programmazione autonomo rispetto al piano di prevenzione della corruzione, pur se ad esso strettamente collegato, considerato che il programma «di norma» integra una sezione del predetto piano. Il programma triennale per trasparenza e l'integrità e il piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC) possono essere predisposti altresì quali documenti distinti, purché sia assicurato il coordinamento e la coerenza fra i contenuti degli stessi;
   la legge della provincia autonoma di Trento 16 giugno 2006, n. 3, «Norme in materia di governo dell'autonomia del Trentino» e, successive modificazioni, nel ridisegnare il nuovo assetto istituzionale in provincia di Trento, ha previsto, tra i vari aspetti, l'istituzione di un nuovo ente, la comunità, definendola come ente pubblico costituito dai comuni appartenenti al medesimo territorio per l'esercizio in forma associata obbligatoria di funzioni amministrative, compiti ed attività trasferiti dalla provincia ai comuni, nonché per l'esercizio in forma associata di funzioni amministrative, compiti ed attività volontariamente trasferiti dai comuni;
   la legge della provincia autonoma di Trento 30 maggio 2014, n. 4 «Disposizioni riguardanti gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni e modificazione della legge provinciale 28 marzo 2013, n. 5» disciplina gli obblighi di trasparenza concernenti l'organizzazione e l'attività della provincia, delle sue agenzie e dei suoi enti strumentali pubblici e privati previsti dall'articolo 33 della suddetta, legge provinciale 3 del 2006, e le modalità per la loro realizzazione, nel rispetto delle attribuzioni derivanti dallo statuto speciale e in armonia con i principi stabiliti dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione). La legge provinciale 4 del 2014 non prevede deroghe in ordine agli obblighi concernenti l'approvazione e la pubblicazione del piano triennale per la prevenzione della corruzione e della sezione del piano per la trasparenza e l'integrità;
   con la determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 «Aggiornamento 2015 al piano nazionale anticorruzione» (pubblicata nella Gazzetta ufficiale serie generale n. 267 del 16 novembre 2015), elencando i caratteri generali dell'aggiornamento, l'ANAC sottolinea come la trasparenza sia una misura di prevenzione della corruzione nonché uno degli assi portanti della politica anticorruzione impostata dalla legge 190 del 2012. Essa è fondata su obblighi di pubblicazione previsti per legge ma anche su ulteriori misure di trasparenza che ogni ente, in ragione delle proprie caratteristiche strutturali e funzionali, dovrebbe individuare in coerenza con le finalità della legge 190 del 2012. A questo fine, nella determinazione, l'ANAC raccomanda di inserire il programma per la trasparenza all'interno del piano triennale per la prevenzione della corruzione, come specifica sezione, circostanza attualmente prevista solo come possibilità dalla legge (articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 33 del 2013);
   nella parte avente ad oggetto «Vigilanza dell'ANAC: priorità e obiettivi» della suddetta determinazione, l'ANAC, ritenendo utile indicare le attività che le pubbliche amministrazioni e gli altri enti dovranno svolgere ai fini del miglioramento della qualità dei piano triennale per la prevenzione della corruzione e più in generale delle misure di prevenzione, ha previsto l'integrazione tra piano triennale per la prevenzione della corruzione e programma per la trasparenza. Ciò è stato disposto per dare evidenza alla centralità dell'adozione di misure effettivamente attuabili ed efficaci per la prevenzione della corruzione. Il piano triennale per la prevenzione della corruzione dovrà quindi contenere, in apposita sezione, il programma per la trasparenza nel quale devono essere indicati, con chiarezza, le azioni, i flussi informativi attivati o da attivare per dare attuazione, da un lato, agli obblighi generali di pubblicazione di cui al decreto legislativo n. 33 del 2013 e, dall'altro, alle misure di trasparenza individuate come misure di specifica prevenzione della corruzione. Dal programma per la trasparenza devono risultare gli obblighi di comunicazione e di pubblicazione ricadenti sui singoli uffici, con la connessa chiara individuazione delle responsabilità dei dirigenti preposti, nonché i poteri riconosciuti al responsabile della trasparenza, di norma coincidente con il responsabile per la prevenzione della corruzione, al fine di ottenere il rispetto di tali obblighi. A questo fine, si ricorda che gli obblighi di collaborazione con il responsabile per la prevenzione della corruzione rientrano tra i doveri di comportamento compresi in via generale nel codice di cui al decreto del Presidente della Repubblica 62 del 2013 e che, pertanto, sono assistiti da specifica responsabilità disciplinare;
   nell'anno corrente, nella sezione «Amministrazione trasparente» dei siti internet delle comunità della provincia autonoma di Trento istituite con legge provinciale 3 del 2006, è stato pubblicato il piano triennale per la prevenzione della corruzione senza tuttavia includere la sezione relativa al programma triennale per la trasparenza è l'integrità, di fatto disapplicando la determinazione dell'ANAC 12 del 2015 con la quale si sottolinea la funzione che lo stesso assolve e si raccomanda di considerare il programma per la trasparenza come sezione del piano triennale per la prevenzione della corruzione. La comunità territoriale della Val di Fiemme e la comunità della Valsugana e Tesino sono le uniche ad aver inserito il programma per la trasparenza nel piano triennale per la prevenzione della corruzione 2016-2018 come peraltro puntualmente segnalato anche dall'aggiornamento 2015 al piano nazionale anticorruzione approvato con la menzionata determinazione 12 del 2015 dell'ANAC;
   in data 4 maggio 2016, la suddetta mancanza è stata formalmente segnalata dall'interrogante alle comunità inadempienti ottenendo una risposta pressoché uniforme e supportata dal parere del dirigente della ripartizione II – affari istituzionali, competenza ordinamentali e previdenza della regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, dottoressa Loretta Zanon. In tale risposta, datata 13 maggio 2016 e indirizzata ai segretari generali delle comunità Giudicarie, Vallagarina e Val di Non e al servizio autonomie locali della provincia autonoma di Trento, richiamando la legge regionale 29 ottobre 2014, n. 10, recante disposizioni in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte della Regione e degli enti a ordinamento regionale, si sottolinea il ristretto ambito di applicazione del decreto legislativo 33 del 2013 nei confronti degli enti locali del Trentino-Alto Adige e la mancanza dell'obbligo per gli enti a ordinamento regionale di adottare e pubblicare sul proprio sito il piano triennale per la trasparenza e l'integrità e il relativo stato di attuazione. Nella risposta si riconosce, altresì, come non vi sia dubbio che le comunità non rientrino tra gli enti a ordinamento regionale, essendo state istituite dalla legge provinciale 3 del 2006. Si richiama tuttavia l'articolo 14, comma 7, della stessa legge provinciale 3 del 2006 che dispone che «per quanto non previsto da questa legge si applicano alle comunità le leggi regionali in materia di ordinamento dei Comuni» sollevando così un dubbio interpretativo sulle norme vigenti e sui derivanti obblighi di applicazione;
   i temi della trasparenza e della integrità dei comportamenti nella pubblica amministrazione appaiono sempre più urgenti, anche in relazione alle richieste della comunità internazionale. A livello locale l'applicazione uniforme degli obblighi previsti dal decreto legislativo 33 del 2013 e dei provvedimenti dell'ANAC è pertanto da ritenersi cruciale al fine di garantire l'accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche;
   l'applicazione delle disposizioni in materia di trasparenza è peraltro imprescindibile al fine di concorrere ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo delle risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. È condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se ritenga di adottare le eventuali iniziative di competenza sul piano normativo, volte a garantire, nel rispetto delle autonomie, l'applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale, incluse le province autonome di Trento e di Bolzano, delle norme in materia di trasparenza, consentendo così maggiore prevenzione e contrasto della corruzione mediante un controllo diffuso da parte dei cittadini sull'operato delle istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche in modo uniforme a tutti i livelli amministrativi. (4-13281)


   MARCO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso informalmente, da segnalazioni promananti da operatori economici affidatari, a vario titolo, di pubbliche commesse, di talune incertezze interpretative che sarebbero insorte nell'applicazione, dell'articolo 118 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (recante il così detto codice dei, contratti pubblici), nella versione risultante all'esito delle modifiche apportate dall'articolo 13 comma 10, lettera a) del decreto legislativo 23 dicembre 2013, n. 145 convertito con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9;
   la riforma in questione è volta a consentire la prosecuzione dei contratti di appalto mediante l'estensione, per condizioni di particolare urgenza, della facoltà della stazione appaltante di provvedere direttamente al pagamento dei subappaltatori e dei cottimisti dell'importo a essi dovuto dall'appaltatore principale per prestazioni eseguite, anche qualora il bando non contempli tale facoltà. Trattasi, quindi, di norma chiaramente applicabile anche ai contratti stipulati in epoca anteriore all'entrata in vigore della novella;
   il fine diretto perseguito è di evitare che l'impresa appaltatrice in crisi di liquidità, non potendo fornire all'amministrazione appaltante le fatture quietanzate dei pagamenti effettuati ai subappaltatori, si veda sospendere da parte della stessa il pagamento degli stati di avanzamento lavori (SAL) successivi, con ciò alimentando una spirale negativa che incide inevitabilmente sulla prosecuzione delle attività, danneggiando appaltatore, subappaltatori e stazione a appaltante;
   la norma, attraverso il richiamo operato dall'articolo 36, comma 4 del medesimo codice dei contratti pubblici, trova applicazione anche nei confronti dei consorzi e, in particolare, nel rapporto tra consorzio aggiudicatario e consorziato assegnatario dei lavori (assimilabile al rapporto antagonista appaltatore/subappaltatore);
   la disposizione richiamata impone alle stazioni appaltanti, una volta effettuato il pagamento di uno stato di avanzamento lavori Sal, di ottenere dal beneficiario del pagamento (sia esso appaltatore o consorzio) le quietanze rilasciate dai subappaltatori, subfornitori, società consorziate, e altro. Il mancato rilascio di tale quietanza – nel termine perentorio di 20 giorni dal pagamento – imporrebbe alla stazioni appaltanti di sospendere il pagamento dei SAL successivi;
   in tale contesto si colloca il meccanismo del cosiddetto pagamento diretto che dovrebbe scattare, a richiesta dell'interessato, nell'ipotesi in cui il soggetto formalmente aggiudicatario della commessa pubblica versi in una situazione di crisi di liquidità finanziaria, comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti;
   a fronte di una segnalazione in tal senso, la stazione appaltante dovrebbe constatare il ritardato pagamento da parte del soggetto aggiudicatario della commessa e, in caso di reiterazione, dovrebbe disporre il cosiddetto pagamento diretto, al fine di salvaguardare sia il superiore interesse pubblico (all'ultimazione dell'opera o del servizio), che gli interessi economici degli operatori che materialmente hanno dato esecuzione alla commessa, anticipando i relativi costi ed esponendosi al rischio di impresa;
   la semplice presenza di reiterati ritardi nei pagamenti, infatti, dovrebbe essere sufficiente ad integrare gli estremi di una condizione di crisi di liquidità finanziaria, assunta dalla norma a presupposto per l'applicazione del cosiddetto pagamento diretto;
   a quanto consta all'interrogante invece, le stazioni appaltanti si appalesano refrattarie e recalcitranti a disporre il cosiddetto pagamento diretto, che interviene soltanto quale extrema ratio, vale a dire quando l'aggiudicatario della commessa non solo versa in una condizione di crisi di liquidità finanziaria ma, addirittura, in una situazione di vera e propria insolvenza sovrapponibile con il presupposto di accesso alla procedura concorsuale della dichiarazione di fallimento;
   al fine di dettagliare in maniera più specifica la questione (e, possibilmente, ricevere spiegazioni sul comportamento delle stazioni appaltanti), si segnala il seguente caso:
    la Icr impianti e costruzioni s.p.a. fa parte, quale consorziata, del consorzio Cipea & Cariiee – co.ed.a – unifica – consorzio fra imprese di produzione edilizia, impiantistica ed affini società cooperativa (in sigla «unifica soc. coop.»), costituito ai sensi dell'articolo 2615-ter c.c.;
    in esecuzione dei suoi scopi sociali, il consorzio Unifica ha assegnato alla Icr i seguenti lavori, appaltati da Poste italiane s.p.a.;
    con atto del 24 luglio 2013, è stata assegnata l'esecuzione dei lavori denominati: «Servizio Multiservice Area Centro – Lotto 1 regione Lazio – Cod. Appalto EP1626 – Servizio di Conduzione e Manutenzione Tecnologica, Edile e Assunzione della Funzione di Terzo Responsabile per gli immobili direzionali, industriali e per gli uffici postali in uso a Poste italiane s.p.a. dislocati nell'ambito dell'area immobiliare Centro Lotto 1 – Appalto triennale (CIG 49078906F2)»;
    con atto del 24 luglio 2013, la esecuzione dei lavori denominati «Servizio Multiservice Area Centro – Lotto 2 regione Toscana – Cod Appalto EP1624 – Servizio di Conduzione e Manutenzione Tecnologica, Edile e Assunzione della Funzione di Terzo Responsabile per gli immobili direzionali, industriali e per gli uffici postali in uso a Poste italiane s.p.a. dislocati nell'ambito dell'area immobiliare Centro 1 Lotto 2 – Appalto triennale (CIG 4905097617)»;
   con atto del 29 maggio 2015, l'esecuzione dei lavori denominati: «Ravenna Filiale – progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori di manutenzione straordinaria per il restauro e la conservazione delle facciate e per l'accessibilità, compresa la prestazione di servizi (CIG 624625088E)», lavori assegnati sulla scorta della offerta formulata dalla ICR stessa;
   la Icr ha segnalato alle predette stazioni appaltanti i plurimi e reiterati ritardi di pagamento da parte del Consorzio, fin dal mese di ottobre dell'anno 2015. Ha chiesto più volte alle stazioni appaltanti di chiudere in maniera espressa l'istruttoria avviata, a tutt'oggi ancora senza esito. È stata più volte convocata per partecipare a riunioni in contraddittorio con il Consorzio, alle quali, tuttavia, il Consorzio non ha partecipato senza addurre giustificate motivazioni. Lo stesso Consorzio ha omesso di fornire i chiarimenti richiesti per iscritto dalle stazioni appaltanti. Nonostante ciò, ad oggi non è successo nulla, l'impresa ha effettuato attività per oltre tre milioni di euro, che non è stata ovviamente saldata ed è conseguentemente a rischio sia la prosecuzione delle commesse in questione che la stabilità finanziaria della impresa considerata, senza considerare le sorti dei lavoratori dipendenti;
   la questione, peraltro, non sembra superata – per il futuro – dalla corrispondente disposizione contenuta nel nuovo codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) che, prima facie, presenta altrettanti ed ulteriori aspetti problematici –:
   se risulti al Governo per quali ragioni le stazioni appaltanti, nel caso di cui in premessa come pure in altri, abbiano omesso di disporre il pagamento diretto ai sensi dell'articolo 118 del codice dei contratti pubblici, che tipo di istruttoria sia stata compiuta per verificare la sussistenza dei presupposti delineati dalla norma e in quante occasioni l'istruttoria si sia conclusa con la decisione di disporre il cosiddetto pagamento diretto;
   se le difficoltà interpretative ed applicative debbano ritenersi superate nella vigenza del nuovo codice dei contratti pubblici o se non sia opportuno assumere ulteriori iniziative normative al riguardo.
(4-13282)


   SCOTTO, PANNARALE, RICCIATTI, FRATOIANNI, AIRAUDO, PAGLIA, GIANCARLO GIORDANO, COSTANTINO, NICCHI, D'ATTORRE, DURANTI e GREGORI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Masterplan per il Mezzogiorno, iniziativa lanciata dal Governo nell'estate 2015, dovrebbe rappresentare il quadro di riferimento entro cui si collocheranno le scelte operative in corso di definizione nel confronto Governo-regioni-città a fini della predisposizione di specifici piani strategici e operativi per le 8 regioni e le 7 città metropolitane del Mezzogiorno;
   nella «Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate», allegata dal Documento di economia e finanza (DEF) 2016, si evidenzia come il Masterplan consideri il complesso delle risorse provenienti dai fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-2020, dai fondi di cofinanziamento regionale e dal Fondo sviluppo e coesione, per un totale di circa 95 miliardi di euro, da utilizzare attraverso un coordinamento stretto tra amministrazioni centrali e territoriali e un monitoraggio costante per migliorarne l'utilizzo;
   in particolare, al Masterplan per il Mezzogiorno dovrebbero essere destinati – secondo gli intendimenti del Governo espressi nel DEF 2016 – circa 13,4 miliardi di euro delle risorse del Fondo sviluppo e coesione della programmazione 2014-2020, finalizzati ai patti per il Sud;
   si tratta di 16 patti per il Sud, uno per ognuna delle 8 regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) e uno per ognuna delle 7 città metropolitane (Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Cagliari e Messina), cui si aggiunge il contratto di sviluppo per la città di Taranto, finalizzati a definire per ognuna di esse gli interventi prioritari e trainanti, le azioni da intraprendere per attuarli e gli ostacoli da rimuovere, la tempistica, le reciproche responsabilità;
   con la sottoscrizione di ciascun patto, viene definito l'ammontare delle risorse a disposizione della regione o città metropolitana, evidenziandone la quota-parte di risorse già assegnate nell'ambito di precedenti atti di programmazione (accordi di programma quadro, contratti istituzionali di sviluppo, singoli provvedimenti legislativi), la quota di nuove risorse del ciclo 2014-2020 provenienti dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) e le ulteriori risorse disponibili considerate a vario titolo (in particolare, quelle dei fondi strutturali, programmate attraverso i programmi operativi nazionali, programmi operativi regionali, programmazione complementare, e altro);
   con riferimento specifico alle risorse del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 – disciplinato dal decreto legislativo n. 88 del 2011, che ha così ridenominato il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) – si evidenzia come in esso siano iscritte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici;
   il requisito dell'aggiuntività è espressamente precisato dalla disciplina istitutiva del fondo, laddove si dispone all'articolo 2 del decreto legislativo n. 88 del 2011 che le risorse non possono essere sostitutive di spese ordinarie del bilancio dello Stato e degli enti decentrati, in coerenza con l'analogo criterio dell'addizionalità previsto per i fondi strutturali dell'Unione europea;
   il Fondo per lo sviluppo e la coesione è pertanto finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi, rispetto all'ordinario finanziamento nazionale, che sono rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese;
   l'intervento del fondo è, infatti, finalizzato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi di consistenza progettuale ovvero realizzativa tra loro funzionalmente connessi;
   nel bilancio di previsione per il triennio 2016-2018 (legge n. 209 del 2015 e relativo decreto ministeriale del Ministro dell'economia e delle finanze di ripartizione delle dotazioni dei singoli programmi di spesa in capitoli), a seguito delle disposizioni da ultimo recate dalla legge di stabilità per il 2016, il capitolo 8000 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze – su cui sono iscritte le risorse del FSC – presenta una dotazione complessiva pari a 2.833 milioni di euro per il 2016, 3.018 milioni per il 2017 e di 3.118 milioni per il 2018, di cui la gran parte destinate agli interventi rientranti nel nuovo ciclo di programmazione 2014-2020;
   nel capitolo di bilancio relativo al Fondo (cap. 8000/Economia), infatti, sono iscritte sia le risorse residuali del ciclo di programmazioni 2007-2013, a suo tempo autorizzate dall'articolo 1, comma 863, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), sia le nuove risorse aggiuntive, autorizzate dall'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013);
   nella Tabella E della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015), le risorse del Fondo sviluppo e coesione sono, invece, esposte separatamente, con riferimento ai due cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020, riportando altresì, nell'ultima colonna, l'importo dell'autorizzazione di spesa che sarà iscritto in bilancio per gli anni 2019 e successivi dalle future leggi di stabilità per un totale complessivo di circa 38,7 miliardi di euro;
   in particolare, per il periodo di programmazione 2007-2013, le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) – poi Fondo di sviluppo e coesione (FSC) – sono state autorizzate dall'articolo 1, comma 863, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), per un importo complessivo pari a 64,379 miliardi di euro. La programmazione di tali risorse è stata adottata dal Cipe con delibera n. 166 del 21 dicembre 2007. La successiva legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), confermando l'importo complessivo del Fondo, ha modulato gli importi annuali, fissandoli in 1.100 milioni di euro per il 2008, 4.400 milioni di euro per il 2009, 9.166 milioni di euro per il 2010, 9.500 milioni di euro per il 2011, 11.000 milioni di euro per il 2012, 11.000 milioni di euro per il 2013, 9.400 milioni di euro per il 2014 e 8.713 milioni di euro per il 2015;
   nel corso degli anni successivi, le suddette disponibilità del Fondo sono state spesso utilizzate a copertura sia delle manovre di finanza pubblica, sia di oneri specifici recati da numerosi provvedimenti legislativi, alcuni dei quali non strettamente correlati agli interventi nelle aree sottoutilizzate;
   la tabella E della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2005) ha disposto una rimodulazione di tali risorse spostando 670 milioni dal 2016 al 2019 e, per effetto della rimodulazione disposta dalla tabella E, l'autorizzazione di spesa per l'anno 2016 viene ridotta a 930 milioni di euro. Le restanti risorse vengono spostate al 2019 e anni successivi. Non figurano, inoltre, iscritte in bilancio autorizzazioni di spesa per le annualità 2017 e 2018;
   per il periodo di programmazione 2014-2020, inoltre, posto che l'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) disponeva una dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativamente al nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, nella misura complessiva di 54.810 milioni di euro, si evidenzia come la norma ne disponga l'iscrizione in bilancio limitatamente alla misura dell'80 per cento (43.848 milioni di euro);
   per il triennio 2014-2016, gli importi iscritti in bilancio sono stati pari a 50 milioni di euro nel 2014, 500 milioni di euro nel 2015 e a 1 miliardo di euro nel 2016. La determinazione della quota annuale dell'ulteriore importo di 42.298 milioni di euro è stata invece rinviata alla tabella E delle successive singole leggi di stabilità. Per quanto concerne la restante quota del 20 per cento (10.962 milioni di euro), la relazione tecnica al disegno di legge di stabilità per il 2014 (A.S. 1120) precisava che la relativa iscrizione in bilancio avverrà all'esito di una apposita verifica di metà periodo (da effettuare precedentemente alla predisposizione della legge di stabilità per il 2019, quindi nella primavera-estate 2018) sull'effettivo impiego delle prime risorse assegnate;
   rispetto agli importi complessivamente autorizzati, si segnala che, nel corso del 2014, sono intervenute alcune disposizioni che hanno utilizzato le risorse del Fondo 2014-2020 a copertura degli oneri da esse stesse recati, per un totale complessivo di 4.729,1 milioni di euro (di cui 153,7 milioni di euro per il 2015, 514,8 milioni di euro per il 2016, 1.418,3 milioni di euro per il 2017 e 2.642,3,7 milioni di euro per il 2918 e anni successivi). Si è trattato, nello specifico, delle seguenti norme: 1) l'articolo 22-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 ha ridotto il FSC di 75 milioni di euro per il 2015 e di 100 milioni di euro per il 2016, a copertura degli oneri connessi agli interventi in favore delle zone franche urbane, in particolare, individuate dalla delibera Cipe n. 14/2009, ricadenti nelle regioni non comprese nell'obiettivo «Convergenza» e della zona franca del comune di Lampedusa; 2) l'articolo 18 del decreto-legge n. 91 del 2014 ha ridotto il FSC 2014-2020 di 204 milioni nel 2016, 408 milioni nel 2017, 408 milioni nel 2018 e 204 milioni di euro per il 2019, a copertura degli oneri per il credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi a valere sulle risorse; 3) l'articolo 19 del decreto-legge n. 91 del 2014 ha ridotto il FSC 2014-2020 di 27,3 milioni di euro nel 2015, 55,0 milioni di euro nel 2016, 85,3 milioni di euro nel 2017 e 112,3 milioni di euro nel 2018, a copertura parziale degli oneri derivanti dalla modifica alla disciplina dell'ACE (aiuto crescita economica); 4) l'articolo 3, comma 4, del decreto-legge n. 133 del 2014 ha posto parte della copertura degli oneri dell'incremento della dotazione del Fondo sblocca cantieri (51,2 milioni di euro per il 2015, 155,8 milioni di euro per il 2016, 925 milioni di euro per il 2017 e 1.918 milioni di euro per il 2018) a valere sulla quota nazionale del FSC 2014-2020;
   ulteriori riduzioni sono state apportate della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), che in tabella E ha apportato una riduzione di 40 milioni di euro per il 2015 delle risorse 2014-2020 del Fondo di sviluppo e coesione, quale copertura del reintegro parziale delle risorse destinate alle zone franche urbane per il 2015. La legge di stabilità ha inoltre disposto una rimodulazione delle risorse, attraverso una anticipazione di 100 milioni di euro al 2015, 500 milioni di euro al 2016 e 1.500 milioni di euro al 2017, con conseguente riduzione di 2.100 milioni di euro della quota relativa al 2018 e anni successivi;
   nel corso del 2015, la dotazione del Fondo è stata poi ridotta di 2 milioni di euro per l'anno 2015 e di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 a copertura degli oneri recati dall'articolo 14, comma 5, della legge n. 124 del 2015 (rifinanziamento del fondo per l'organizzazione e il funzionamento di servizi socio-educativi per la prima infanzia destinati ai minori di età fino a 36 mesi, presso enti e reparti del Ministero della difesa);
   conseguentemente, la dotazione a legislazione vigente, del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, esposta nella Tabella E della legge di stabilità 2016 ammontava a 980,2 milioni di euro per il 2016, a 2.481,7 milioni di euro per il 2017, a 2.161,7 milioni di euro per il 2018 e a 32.994 milioni di euro per il 2019 e annualità successive;
   su tali disponibilità relative al ciclo di programmazione 2014-2020 del Fondo per lo sviluppo e coesione, la medesima tabella E della legge di stabilità 2016 è intervenuta disponendo: 1) una rimodulazione, attraverso una anticipazione agli anni 2016-2018 delle risorse previste per il 2019, per complessivi 3.551,4 milioni di euro. In particolare, in termini di competenza, con la rimodulazione si aumentano di 1.289,8 milioni di euro le risorse per il 2016, di 923,3 milioni di euro quelle per il 2017 e di 1.338,3 milioni di euro gli importi del 2018. Si segnala, peraltro, che, in termini di cassa, l'incremento dell'autorizzazione di spesa per il 2016 ammonta a soli 600 milioni di euro; 2) una riduzione degli stanziamenti del Fondo della programmazione 2014-2020, di complessivi 367 milioni di euro per il 2016, 382 milioni di euro per il 2017 e il 2018 e di 367 milioni di euro per il 2019. Tale riduzione è correlata, per 367 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, agli oneri recati dai commi da 98 a 108 della medesima legge di stabilità che hanno introdotto il credito d'imposta per il Mezzogiorno, e per ulteriori 15 milioni di euro per il 2017 e 2018 a parziale copertura finanziaria degli oneri recati dalle misure in tema di sicurezza nazionale;
   in definitiva, dunque, per effetto delle riduzioni e delle rimodulazioni disposte dalla tabella E della legge di stabilità 2016, le autorizzazioni pluriennali di spesa del FSC del ciclo 2014-2020 ammontano ora a 1.903 milioni di euro per il 2016, a 3.018 milioni di euro per il 2017, a 3.118 milioni di euro per il 2018 e a 29.075,6 milioni di euro per il 2019 e annualità successive;
   rispetto all'importo complessivo citato pari a circa 38,7 miliardi di euro, la quota dell'80 per cento che, in base alla legge di stabilità 2014, dovrebbe essere destinata al Sud, è pari a quasi 31 miliardi di euro, secondo gli interroganti non si capiscono i motivi per i quali il Masterplan per il Mezzogiorno ne destini solo 13,4 miliardi di euro e, soprattutto per quali finalità saranno impiegate le altre risorse che ne residuano, pari a più di 17,5 miliardi di euro;
   appaiono inoltre inspiegabili per gli interroganti i motivi per i quali le autorizzazioni pluriennali di spesa del FSC del ciclo 2014-2020 ammontino a soli 1.903 milioni di euro per il 2016, 3.013 milioni di euro per il 2017 e a 3.118 milioni di euro per il 2018, con un successivo slittamento di ben 29.075,6 milioni di euro a decorrere dal 2019, quasi non ci fosse urgenza di intervenire in concreto per l'attuazione di determinati interventi;
   la questione si complica qualora si abbia riguardo al contenuto dei cosiddetti «Patti per il SUD» siglati sino ad oggi dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi dove è indicato l'ammontare complessivo delle risorse ad esso destinate, nonché la quota di risorse considerata fino all'anno 2017;
   con riferimento al Patto per l'Abruzzo sottoscritto in data 17 maggio 2016, si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 753.100.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 138.390.000 di euro;
   con riferimento al Patto per la Campania sottoscritto in data 24 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 2.780.000.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 511.040.000 di euro;
   con riferimento al Patto per la Basilicata sottoscritto in data 2 maggio 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 565.200.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 103.900. 000 di euro;
   con riferimento al Patto per la Calabria sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 1.198.700.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 220.400.000 di euro;
   con riferimento al Patto per la Città Metropolitana di Bari sottoscritto in data 17 maggio 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 230.000.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 41.800.000 di euro;
   con riferimento al Patto per la Città Metropolitana di Reggio Calabria sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 133.00010, di euro le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 24.500.000 di euro;
   con riferimento al Patto per la Città Metropolitana di Catania sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 332.000.000, di euro le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 61.000.000 di euro;
   analogamente al Patto per la Città Metropolitana di Catania, con riferimento al Patto per la Città Metropolitana di Palermo sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 332.090.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 61.000.000 di euro;
   in tutti i casi sin qui evidenziati appare chiara l'evidente sproporzione tra il dato della assegnazione di risorse complessive a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e quelle considerate fino al 2017 che, di fatto, risultano decisamente inferiori persino alla cifra dell'importo complessivo;
   con riferimento a ogni singolo patto sino ad oggi siglato e all'area di intervento territoriale presa in considerazione le risorse complessive Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 pesano percentualmente in modo decisivo se non addirittura preponderante sul totale dei costi e delle risorse funzionali alla realizzazione del patto, al netto delle risorse già assegnate con precedenti programmazioni e altre risorse disponibili come i POR, i Programmi operativi nazionali e altre fonti nazionali;
   inoltre, si rileva che le risorse finanziarie a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020, ad oggi descritte da ogni singolo patto siglato dal Presidente del Consiglio dei ministri, non rappresentano nulla sino a quando non saranno assegnate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ai sensi del dell'articolo 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), che con apposita delibera deve individuare i criteri ed i meccanismi per il trasferimento delle risorse FSC 2014-2020 – e per la eventuale revoca totale o parziale delle stesse – relativamente a ciascun patto;
   sino ad oggi, con riferimento ai patti per il Sud, non è stata ancora emanata alcuna delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe);
   alla luce di quanto suesposto ne discende che con il Masterplan per il Sud e i patti su cui il Presidente del Consiglio sta incentrando gran parte della propria campagna elettorale per le prossime amministrative e il referendum costituzionale previsto per ottobre 2016, di concreta politica pubblica, finalizzata al rilancio del Mezzogiorno sotto il profilo della implementazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione ci sia, a giudizio degli interroganti veramente poco su cui sperare effettivamente, senza contare l'ammanco dei citati 17,5 miliardi di euro che pur dovendo essere destinati al Mezzogiorno in base a quanto previsto dalla legge non si comprende dove siano andati a finire e come saranno orientati –:
   quali siano i motivi per i quali, su circa 38,7 miliardi di euro complessivi di programmazione del fondo di sviluppo e coesione, di cui quasi 31 miliardi di euro di spettanza al Sud in base alla normativa vigente, il Masterplan per il Mezzogiorno ne preveda solo 13,4 miliardi di euro;
   come siano stati impiegati gli oltre 17,5 miliardi di euro residui che dovrebbero essere destinati alle politiche per il Sud;
   quali siano le ragioni per cui, per effetto delle riduzioni e delle rimodulazioni disposte dalla tabella E della legge di stabilità 2016, le autorizzazioni pluriennali di spesa del fondo di sviluppo e coesione del ciclo 2014-2020 ammontino a soli 1.993 milioni di euro per il 2016, 3.018 milioni di euro per il 2017, 3.118 milioni di euro per il 2018 e per quali ragioni il grosso delle risorse disponibili in bilancio, pari a 29.075,6 milioni di euro venga previsto solo a decorrere dall'anno 2019;
   come si giustifichi, con riferimento ai singoli patti siglati sino ad oggi per l'Abruzzo, la Campania, la Basilicata, la Calabria e le città metropolitane di Bari, Reggio Calabria, Catania e Palermo, l'evidente sproporzione tra il dato della assegnazione di risorse complessive a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e quello delle risorse considerate fino al 2017 che, di fatto, risultano decisamente inferiori persino alla metà della cifra dell'importo complessivo;
   se e quante risorse siano state ad oggi erogate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per la promozione in Italia dei Patti per il SUD, posto che le risorse finanziarie a valere sul fondo sviluppo e coesione 2014-2020 ad oggi descritte da ogni singolo patto siglato dal Presidente del Consiglio dei ministri non rappresentano nulla sino a quando non saranno assegnate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ai sensi del dell'articolo 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), che con apposita delibera, deve individuare i criteri ed i meccanismi per il trasferimento delle risorse del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 – e per la eventuale revoca totale o parziale delle stesse – relativamente a ciascun patto. (4-13283)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dagli anni ‘90 si parla di negoziato fra pezzi di Stato ed esponenti di primo piano della camorra; un negoziato che è stato messo bene in luce da Massimiliano Amato nel saggio, «L'altra trattativa», pubblicato nelle «Edizioni Cento Autori»;
   alla trattativa tra Stato e camorra ci si riferisce anche nei documenti relativi all'inchiesta condotta dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse la cui desecretazione è stata disposta in data 31 ottobre 2013 e, in particolare, nelle dichiarazioni rilasciate dal boss Carmine Schiavone nel lontano 1997;
   la giornalista, e ora senatrice Rosaria Capacchione, rese noto su « Il Mattino» di Napoli un incontro che sarebbe avvenuto in una «villa» dei servizi segreti a Gaeta fra esponenti di questi e di altre istituzioni dello Stato con la criminalità. A seguito della pubblicazione di tale notizia, sembra che la DDA di Napoli abbia disposto, ai tempi in cui era coordinata dal Procuratore Cafiero de Rhao, un'indagine da parte dei ROS dei carabinieri;
   per essere più precisi sull'argomento, il 25 febbraio 2011 Rosaria Capacchione scriveva su Il Mattino di affari che, ruotano attorno alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti nel basso Lazio, e di una inquietante trattativa Stato-Casalesi, confermata dalle dichiarazioni dell'ex sub commissario all'emergenza rifiuti Giulio Facchi, che ha raccontato ai pubblici ministeri Federico Cafiero de Raho, Catello Maresca e Alessandro Milita l'incontro a Gaeta con tre agenti del Sisde che nel 2003 lo avrebbero individuato come loro interlocutore istituzionale e interrogato per informarsi dell'infiltrazione camorristica nella gestione della filiera dello smaltimento dei rifiuti;
   prima di lui, altri funzionari, e referenti istituzionali della struttura commissariale si sarebbero incontrati con altri uomini dei servizi segreti. In un caso, ha riferito Facchi, anche con Antonio Bassolino: «Fu io a fissare quell'incontro visto che in altre occasioni mi ero incontrato con un altro funzionario, almeno tre quattro volte, l'agente A.C. Sono certo che i servizi, dopo il 2004, riuscirono alla fine a piazzare un loro uomo all'interno del commissariato, una persona che era già stata consulente di un consorzio casertano»;
   a suo dire, dunque, nell'ufficio del commissario per l'emergenza rifiuti, in epoca Catenacci, avrebbe lavorato direttamente un agente degli apparati di sicurezza già impiegato in precedenza in uno dei consorzi di bacino del Casertano, probabilmente il Ce2 o il Ce4;
   è in questo contesto che sarebbero avvenuti gli incontri (almeno due) con il capo del clan dei Casalesi Michele Zagaria, allora latitante. Incontri durante i quali, in cambio della « pax sociale» la camorra avrebbe chiesto e ottenuto una contropartita economica sotto forma di appalti e affidamenti di servizi;
   tale sospetto è forte, anche alla luce delle affermazioni di Carmine Schiavone; il 13 dicembre 2014 il Fatto Quotidiano titolava «Mafia Capitale e la palude di Latina: tra omertà e minacce, indagare non si può», riportando il resoconto dell'audizione del magistrato Michele Prestipino, resa alla Commissione antimafia nella prefettura di Latina, che evidenzia, quanto, nel, circondario di Latina, siano difficoltose le indagini rispetto al fenomeno mafioso, anche per la presenza di oscuri personaggi in possesso di intercettazioni secretate che si vantano di appartenere ad organismi dei servizi segreti;
   nella relazione di fine 2009 al procuratore Piero Grasso, la procura distrettuale antimafia di Roma affermava che la parcellizzazione delle indagini sui fatti criminosi che interessavano tutte le province del Basso Lazio, impedisce di cogliere i segnali della presenza della criminalità mafiosa e favorisce il suo progressivo radicamento; nel documento si può leggere inoltre che «appare utile realizzare un efficace coordinamento con le Procure circondariali, soprattutto Latina e Frosinone. Gravi episodi – gambizzazioni, incendi, attentati – si realizzano infatti quasi quotidianamente in quei territori, ma vengono rubricati, e trattati, come fitti di criminalità comune»;
   in fatto di rubricazioni di reati di stampo mafioso avvenute presso la procura di Latina a proposito del caso Fondi e del mancato scioglimento del comune per infiltrazioni del clan di ‘ndrangheta dei Tripodo, all'epoca, sono stati molto duri i pubblici ministeri della direzione distrettuale antimafia di Roma Diana De Martino e Francesco Curcio che nella loro inchiesta hanno scritto a proposito della procura Pontina: nella stragrande maggioranza dei casi si è proceduto da parte delle diverse autorità giudiziarie di questo distretto, rubricando la massa dei reati fatti oggetto di indagine, in realtà di stampo mafioso, come fatti di criminalità comune;
   secondo gli interroganti, senza entrare nel merito dell'inchiesta in corso presso la procura di Latina, denominato «sistema Sperlonga» riservata alla competenza dell'autorità giudiziaria, ma analizzando unicamente i documenti o gli articoli di stampa pubblicati sulla vicenda, si nota che le ipotesi di reato rilevate, come abusi edilizi, lottizzazione abusiva, abusi della pubblica amministrazione continuano ad essere perseguiti come reati comuni e singolarmente;
   non appare immune dalla presenza di interessi malavitosi anche la zona turistica situata a nord di Sperlonga, denominato «Salto di Fondi» dove, da quanto si apprende da numerosi articoli di stampa e da dichiarazioni pubbliche di amministratori e politici locali, nel corso degli anni sono stati acquistati ingenti appezzamenti di terreni da parte di soggetti campani anche gravati da precedenti penali di natura mafiosa che hanno dato vita anche a lussuosi agriturismi, frequentati assiduamente anche da ex generali, politici nazionali e locali e da qualche magistrato anche esso locale;
   frequentazioni che ingenerano negli interroganti forti perplessità dovute alla presenza di soggetti di cui si ipotizza l'appartenenza a clan camorristi, in particolare dei clan Gaglione – Moccia;
   sarebbe opportuno disporre approfonditi accertamenti atti a verificare se sussistano intralci, ritardi, omissioni da parte dei funzionari e degli amministratori coinvolti e al fine di verificare sul territorio delle province di Latina e Frosinone la presunta esistenza di una lobby affaristico-istituzionale o politico-malavitosa atta a condizionare l'attività istituzionale –:
   se siano a conoscenza dei fatti sopra riportati e se non si ritenga di disporre, per quanto di competenza, verifiche approfondite per appurarne la piena fondatezza, anche alla luce dell'asserito coinvolgimento di personale degli apparati di sicurezza;
   se non si intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari pontini ai fini dell'esercizio di tutti i poteri di competenza. (4-13286)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge del 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 29 luglio 2014, n. 106, all'articolo 16 è stata disposta la trasformazione dall'agenzia nazionale del turismo (Enit) in ente pubblico economico con l'assegnazione di nuove competenze. Attraverso la nomina di un commissario straordinario, si sarebbe dovuto giungere, entro 6 mesi, alla definizione del nuovo statuto e della riorganizzazione dell'Ente;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 maggio 2015, registrato alla Corte dei Conti il 29 maggio 2015 ed adottato con delibera commissariale n. 6 del 2015, è stato approvato il nuovo statuto di Enit, mentre, in data 8 ottobre 2015, si è insediato il nuovo consiglio di amministrazione;
   ad Enit, così come trasformata, è stato assegnato il compito di promuovere l'immagine unitaria dell'offerta turistica nazionale e di favorirne la commercializzazione grazie ad una convenzione triennale da sottoscrivere con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   all'interno del nuovo statuto, l'articolo 2 stabilisce le finalità e i compiti; il comma 1, prevede alla lettera a): «curare la promozione all'estero dell'immagine turistica unitaria italiana e delle varie tipologie dell'offerta turistica nazionale, nonché la promozione integrata delle risorse turistiche delle Regioni, delle Province Autonome di Trento e Balzano e, per il loro tramite, degli enti locali» e alla lettera b): «realizzare le strategie promozionali a livello nazionale ed internazionale e di informazione all'estero, di sostegno alle imprese per la commercializzazione dei prodotti turistici italiani, in collegamento con le produzioni di qualità degli altri settori economici e produttivi, la cultura e l'ambiente, in attuazione degli indirizzi individuati dall'Amministrazione vigilante anche attraverso il Comitato delle Politiche turistiche, d'intesa con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Balzano»; infine, alla lettera g) si prevede: «svolgere e organizzare attività e servizi di consulenza e di assistenza per lo Stato, per le regioni e le Province Autonome di Trento e Balzano e per gli organismi pubblici e privati, ivi compresi gli uffici e le agenzie regionali, sottoscrivendo apposite convenzioni per promuovere e sviluppare processi indirizzati ad armonizzare i servizi di accoglienza e di informazione ai turisti ed anche, con corrispettivo, per attività promozionali e pubblicitarie di comunicazione e pubbliche relazioni»;
   l'articolo 11 (Vigilanza e rapporti con il Ministero) dello statuto, al comma 2, stabilisce che «con apposita convenzione triennale sono stabiliti: i) gli obiettivi specificamente attribuiti a Enit; ii) i risultati attesi in un arco temporale determinato; iii) le modalità degli eventuali finanziamenti statali e regionali da accordare a Enit stessa; iv) le strategie per il miglioramento dei servizi; v) la di verifica dei risultati di gestione; vi) le modalità necessarie ad assicurare al Mibact la conoscenza dei fattori gestionali interni a Enit, tra cui l'organizzazione, i processi e l'uso delle risorse; vii) le procedure e gli strumenti idonei a monitorare la reputazione dell'Italia con particolare attenzione alla rete web, nell'ambito degli interventi volti a migliorare l'offerta turistica nazionale»;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), ha assegnato ad Enit risorse per complessivi 28.068.145 euro, di cui una disponibilità di 12.525.619 di euro per le spese di funzionamento, e 15.542.526 di euro relativi alle spese obbligatorie;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 novembre 2014, è stato adottato il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturale e del turismo e degli uffici di diretta collaborazione del Ministero;
   l'articolo 19 prevede l'istituzione della direzione generale turismo con «funzioni e compiti in materia di turismo, e a tal fine cura la programmazione, il coordinamento e la promozione delle politiche turistiche nazionali, i rapporti con le regioni e i progetti di sviluppo del settore turistico, le relazioni con l'Unione europea e internazionali in materia di turismo e i rapporti con le associazioni di categoria e le imprese turistiche»;
   da un articolo de Il Fatto Quotidiano del 5 marzo 2016, a firma di Alberto Crepaldi, si apprende che, nel mese di dicembre 2015, la direzione generale del turismo abbia firmato una convenzione con Invitalia (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa spa), società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, per supportare il Ministero dei beni e delle attività culturale e del turismo in relazione all’«elaborazione degli indirizzi strategici e di programmazione delle politiche per lo sviluppo del settore turistico»; tale convenzione, che assegna ad Invitalia le attività di supporto tecnico finalizzate all'elaborazione di un nuovo piano nazionale del turismo, prevede uno stanziamento di 1,5 milioni di euro;
   la « mission» di Invitalia indica come obiettivi strategici la ripresa di competitività del Paese e, in particolare, del Mezzogiorno e si concentra su tre interventi principali: favorire l'attrazione di investimenti esteri che contribuiscano allo sviluppo economico e produttivo nazionale, sviluppare l'innovazione e la competitività industriale e imprenditoriale nei settori produttivi e nei sistemi territoriali, promuovere la competitività e le potenzialità attrattive dei territori;
   sempre dall'articolo di Crepaldi, in ambito turistico, Invitalia non avrebbe raggiunto negli anni passati gli obiettivi affidati, in particolare, alle due società controllate «Italia Turismo» e «Italia Navigando». Italia Turismo, secondo una nota stampa del 2003, avrebbe dovuto realizzare «il più grande programma di turismo integrato» nel Sud Italia: «la creazione di 7.700 camere e 9 campi da golf, con un impatto occupazionale di 11.700 addetti e l'attivazione di flussi turistici per 2.370.000 unità all'anno», attraverso «un investimento complessivo di 770 milioni di euro». Italia Navigando, messa in liquidazione l'anno scorso, avrebbe dovuto, in attuazione del Programma «Rete portuale turistica nazionale» promosso sempre nel 2003, operare per la realizzazione in tre piani triennali, di una rete portuale turistica interregionale capace di connettere circa 50 porti e complessivamente 25.000 posti barca. L'ambizioso progetto, per il quale il Cipe stanziò un primo contributo di 50 milioni di euro, è naufragato;
   in considerazione dei poco lusinghieri risultati conseguiti in ambito turistico, sfugge agli interroganti la modalità in cui la società Invitalia possa supportare il Ministero nell'elaborazione dei nuovi indirizzi strategici sul turismo, e sfuggono le motivazioni per le quali non sia stata assegnato tale compito, che rientra tra le proprie funzioni, alla direzione generale del turismo o all'Enit;
   l'articolo di Crepaldi riporta la testimonianza di un funzionario storico del Ministero dei beni e delle attività culturale e del turismo che affermerebbe la sovrapposizione di competenze tra i funzionari in servizio presso la struttura ed il personale esterno incaricato con la convenzione sottoscritta con la società Invitalia: «Da giorni — si sono insediati nei nostri uffici alcuni incaricati di Invitalia, senza che a noi qualcuno, a partire dal nostro direttore generale, abbia comunicato il motivo di questa «occupazione» in progress (...) scoprire poi che, in forza di una convenzione di cui noi non sapevamo assolutamente nulla, il primo atto importante del nuovo direttore generale determinerà di fatto il nostro esautoramento dal lavoro per il quale siamo qui, fa riflettere»;
   la convenzione citata appare, a giudizio degli interroganti, l'ennesimo intreccio di competenze che complicherebbe ulteriormente la già articolata situazione; infatti, va ricordata la mancata sottoscrizione della prevista convenzione triennale tra il Ministero dei beni e delle attività culturale e del turismo ed Enit che dovrebbe fornire a quest'ultima gli obiettivi, fissare i risultati attesi, stabilire le modalità di finanziamento statale e le strategie, coerentemente con le funzioni previste dal proprio statuto;
   risulta quanto mai necessaria una chiara e precisa definizione delle competenze e dei ruoli tra i diversi attori coinvolti, in quanto le sovrapposizioni, i ritardi e la poca concretezza, secondo gli interroganti, limitano fortemente lo sviluppo del settore, come evidenziato, per esempio, dal rapporto 2015 del « World Travel & Tourism Council» (WTTC), che ha segnalato come nel 2015 il contributo del turismo al prodotto interno lordo italiano si sia fermato a 76,3 miliardi di dollari, o dal sito «Web e Economia» che, in un articolo del 6 aprile 2016, ha indicato come il turismo, con circa 2,6 milioni di posti di lavoro nel settore compreso l'indotto, fornisca un contributo al prodotto interno lordo e all'occupazione inferiori alle reali potenzialità –:
   se intenda chiarire le motivazioni per le quali non si sia fatto ricorso alle risorse interne della direzione generale del turismo per i compiti affidati alla consulenza esterna di Invitalia;
   se, visti i poco brillanti risultati di Invitalia in ambito turistico, essa possa essere realmente considerata l'interlocutore più adatto cui assegnare la funzione di supporto al Ministero nell'elaborazione dei nuovi indirizzi strategici sul turismo, nello «studio e analisi della normativa nazionale, comunitaria e delle politiche turistiche nazionali»;
   se intenda chiarire in modo dettagliato le competenze specifiche, e non reperibili all'interno del personale già in servizio presso la struttura del Ministero, che verranno attivate attraverso la convenzione siglata con Invitalia. (5-08766)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, all'articolo 16 ha disposto la trasformazione di Enit (Ente nazionale italiano del turismo) in ente pubblico economico, prevedendo la nomina di un commissario straordinario per l'attuazione della riforma e, in contemporanea, la messa in liquidazione della società Promuovi Italia s.p.a.;
   l'articolo 16 del succitato decreto, comma 8, specifica che «il Commissario di cui al comma 4, sentite le organizzazioni sindacali, adotta un piano di riorganizzazione del personale, individuando, sulla base di requisiti oggettivi e in considerazione dei nuovi compiti dell'ENIT e anche della prioritaria esigenza di migliorare la digitalizzazione del settore turistico e delle attività promo-commerciali, la dotazione organica dell'ente come trasformato ai sensi del presente articolo, nonché le unità di personale a tempo indeterminato in servizio presso ENIT e Promuovi Italia S.p.A. da assegnare all'ENIT come trasformata ai sensi del presente articolo (...).»;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 maggio 2015, registrato alla Corte dei Conti il 29 maggio 2015 ed adottato con delibera commissariale n. 6 del 2015 è stato approvato il nuovo statuto di Enit;
   tale statuto indica, all'articolo 2, le finalità e i compiti di Enit; nello specifico, il comma 1, recita:
    lettera a): «curare la promozione all'estero dell'immagine turistica unitaria italiana e delle varie tipologie dell'offerta turistica nazionale, nonché la promozione integrata delle risorse turistiche delle Regioni, delle Province Autonome di Trento e Bolzano e, per il loro tramite, degli enti locali»;
    lettera b): «realizzare le strategie promozionali a livello nazionale ed internazionale e di informazione all'estero, di sostegno alle imprese per la commercializzazione dei prodotti turistici italiani, in collegamento con le produzioni di qualità degli altri settori economici e produttivi, la cultura e l'ambiente, in attuazione degli indirizzi individuati dall'Amministrazione vigilante anche attraverso il Comitato delle Politiche turistiche, d'intesa con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano»;
    lettera c): «individuare, organizzare, promuovere e commercializzare i servizi turistici e culturali italiani»;
    lettera d): «promuovere il marchio Italia nel settore del Turismo»;
    lettera e): «favorire la commercializzazione dei prodotti enogastronomici, tipici e artigianali in Italia e all'estero»;
    lettera f): «svolgere le attività attribuite dalla legge, dallo statuto e dai regolamenti con particolare utilizzazione di mezzi digitali, piattaforme tecnologiche e rete internet attraverso al gestione del portale «Italia.it», nonché di ogni altro strumento di comunicazione ritenuto opportuno»;
    lettera g): «svolgere e organizzare attività e servizi di consulenza e di assistenza per lo Stato, per le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e per gli organismi pubblici e privati, ivi compresi gli uffici e le agenzie regionali, sottoscrivendo apposite convenzioni per promuovere e sviluppare processi indirizzati ad armonizzare i servizi di accoglienza e di informazione ai turisti ed anche, con corrispettivo, per attività promozionali e pubblicitarie di comunicazione e pubbliche relazioni»;
    lettera h): «attuare intese e forme di collaborazione con Enti pubblici e con gli Uffici della rete diplomatico-consolare del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, compresi gli Istituti di Cultura, secondo quanto previsto da appositi protocolli di intesa e con le altre sedi di rappresentanza italiana all'estero, anche ai sensi dell'articolo 1 della legge 31 marzo 2005, n. 56»;
   all'articolo 7 (Consiglio federale), il comma 1, riporta che «È istituito il Consiglio Federale rappresentativo delle agenzie regionali per il turismo e, in assenza di queste ultime, degli uffici amministrativi competenti per il turismo in ambito regionale»; al comma 2 si prevede: «Il Consiglio federale svolge, nei confronti degli organi direttivi Enit, funzioni progettuali e consultive in merito alle implicazioni strategiche della convenzione triennale»;
   l'articolo 11 (Vigilanza e rapporti con il Ministero), al comma 2, stabilisce che «con apposita convenzione triennale sono stabiliti: i) gli obiettivi specificamente attribuiti a Enit; ii) i risultati attesi in un arco temporale determinato; iii) le modalità degli eventuali finanziamenti statali e regionali da accordare a Enit stessa; iv) le strategie per il miglioramento dei servizi; v) la di verifica dei risultati di gestione; vi) le modalità necessarie ad assicurare al Mibact la conoscenza dei fattori gestionali interni a Enit, tra cui l'organizzazione, i processi e l'uso delle risorse; vii) le procedure e gli strumenti idonei a monitorare la reputazione dell'Italia con particolare attenzione alla rete web, nell'ambito degli interventi volti a migliorare l'offerta turistica nazionale»;
   gli interroganti, in data 15 gennaio 2016, hanno depositato l'interrogazione n. 5-07381, ancora senza risposta, con la quale ha chiesto al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, se la convenzione triennale, prevista dall'articolo 11 dello statuto di Enit, sia stata sottoscritta e quali ne siano i contenuti in relazione alle specifiche indicate dallo statuto stesso;
   a giudizio degli interroganti, risulta quanto mai preoccupante che, a distanza di due anni dal decreto-legge n. 83, un anno dall'approvazione dello statuto e a quasi 7 mesi dall'insediamento del consiglio di amministrazione, Enit non risulti ancora operativa relativamente alle funzioni assegnate dallo statuto succitato e la sua attività non sia regolata dalla prevista convenzione con il Ministero;
   inoltre, dal sito di Enit (www.enit.it) nella sezione «struttura organizzativa articolazione degli uffici», è presente la descrizione dell'organigramma, ma non risultano chiari né la dotazione organica attuale, né la quantità e la professionalità del personale necessario –:
   se intenda indicare con precisione i tempi per la sottoscrizione della convenzione triennale prevista dall'articolo 11 dello statuto di Enit e quali ne siano i contenuti in relazione alle specifiche indicate dallo statuto stesso;
   se il Ministro interrogato intenda chiarire, in tempi rapidi, quali siano le priorità nell'ambito delle funzioni di Enit previste dallo statuto richiamato in premessa, indicando altresì le tempistiche entro le quali si darà luogo alla piena operatività della struttura. (4-13275)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FANUCCI, MOSCATT e PARRINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge 9 marzo 1971, n. 98 prevede l'assunzione a tempo indeterminato nei ruoli organici del personale delle amministrazioni dello Stato di cittadini italiani che prestavano la loro opera nel territorio nazionale alle dipendenze di organismi militari della Comunità atlantica, o di quelli dei singoli Stati esteri che ne fanno parte, e che siano stati licenziati in conseguenza di provvedimenti di ristrutturazione degli organismi medesimi;
   l'articolo 2, comma 100, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha esteso il beneficio previsto dalla legge 9 marzo 1971, n. 98, anche al personale civile che avesse prestato servizio continuativo, per almeno un anno alla data del 31 dicembre 2006, alle dipendenze di organismi militari della Comunità atlantica, o di quelli dei singoli Stati esteri che ne fanno parte, operanti sul territorio nazionale, e che fossero stati licenziati in conseguenza di provvedimenti di soppressione o riorganizzazione delle basi militari degli organismi medesimi adottati entro la data del 31 dicembre 2006;
   l'articolo 1, comma 482, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) ha prorogato il suddetto termine e il relativo regime giuridico originariamente indicati all'articolo 2, comma 100, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 al 31 dicembre 2006 e lo ha fissato al 31 dicembre 2012;
   a seguito della legge n. 147 del 2013, è possibile ritenere destinatario dei suddetti benefici previsti dalla legge n. 98 del 1971 il personale civile che abbia prestato servizio continuativo, per almeno un anno alla data del 31 dicembre 2012, alle dipendenze di organismi militari della Comunità atlantica, o di quelli dei singoli Stati esteri che ne fanno parte, operanti sul territorio nazionale, e che sia stato licenziato in conseguenza di provvedimenti di soppressione o riorganizzazione delle basi militari degli organismi medesimi adottati entro tale stessa data del 31 dicembre 2012;
   ai fini dell'assunzione, il citato articolo 2, comma 100, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, aveva istituito, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, uno specifico fondo;
   ad oggi 10 civili italiani, che hanno prestato servizio continuativo alle dipendenze di organismi militari della Comunità atlantica operanti sul territorio nazionale, sono stati licenziati a fine 2014 e, quindi, risultano privi di qualunque protezione o possibilità di reintegro;
   da un incontro con l'ufficio per l'organizzazione e il lavoro pubblico del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione è emerso che il fondo dedicato al riassorbimento nella pubblica amministrazione del personale licenziato da basi straniere in Italia (capitolo 3042/Mef) c’è un residuo disponibile pari a circa 612 mila euro, sufficiente a coprire senza necessità di rifinanziamento il riassorbimento delle 10 posizioni aperte e la cui richiesta di riassunzione nella pubblica amministrazione non è stata ancora soddisfatta –:
   se il Governo intenda adottare, senza alcun aggravio per le casse dello Stato, un'iniziativa normativa che estenda il beneficio previsto dalla legge 9 marzo 1971, n. 98, anche al personale civile che avesse prestato servizio continuativo, per almeno un anno alla data del 31 dicembre 2015, alle dipendenze di organismi militari della Comunità atlantica, o di quelli dei singoli Stati esteri che ne fanno parte, operanti sul territorio nazionale, e che fossero stati licenziati in conseguenza di provvedimenti di soppressione o riorganizzazione delle basi militari degli organismi medesimi adottati entro la data del 31 dicembre 2015. (5-08764)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   AIRAUDO, MARTELLI e PLACIDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2016 il dottor Starace, amministratore delegato di Enel, è intervenuto, come riporta un articolo pubblicato in data 18 maggio 2016 dal sito www.fanpage.it, ad un evento dedicato agli studenti presso l'università Luiss con affermazioni, se corrispondenti al vero, che appaiono agli interroganti molto gravi;
   alla domanda di uno studente che chiedeva: «Qual è la ricetta di successo del cambiamento in un'organizzazione come Enel ?», Starace avrebbe risposto così: «Per cambiare un'organizzazione ci vuole un gruppo sufficiente di persone convinte di questo cambiamento, non è necessario sia la maggioranza, basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell'organizzazione che si vuole cambiare e bisogna distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando ad essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all'interno dell'organizzazione dei gangli che si vuole distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e la cosa va fatta nella maniera più plateale e manifesta possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell'organizzazione. Questa cosa va fatta in fretta, con decisione e senza nessuna requie, e dopo pochi mesi l'organizzazione capisce perché alla gente non piace soffrire. Quando capiscono che la strada è un'altra, tutto sommato si convincono miracolosamente e vanno tutti lì. È facile»;
   tra le delle affermazioni che l'amministratore delegato avrebbe espresso quelle relative a «Bisogna distruggere fisicamente i centri di potere che si vuole cambiare». «Creare malessere all'interno di questi», e «Colpire le persone opposte al cambiamento, nella maniera più plateale possibile, sicché da ispirare paura», sembrano più rimandare ad una visione che, se tali affermazioni corrispondono al vero, rimanderebbe ad alcuni testi di strategia militare molto usati dai manager;
   le citate affermazioni appaiono gravi, non solo relativamente alla visione violenta che ne deriva nei rapporti di lavoro ma anche per il contesto in cui sono state espresse, ovvero all'università LUISS, e cioè una di quelle università che formano la classe dirigente e i giovani che andranno a formare la Confindustria e i consigli d'amministrazione del futuro;
   è del tutto evidente che la messa in pratica di quanto eventualmente affermato dall'amministratore delegato di Enel spa avrebbe come conseguenza la messa in atto di azioni di mobbing sul posto di lavoro e di pressioni psicologiche, che tenderebbero ad obbligare i dipendenti a lasciare il posto di lavoro, condannando questi alla disoccupazione con tutte le ricadute sociali e famigliari, e questo per il solo scopo di affermare una visione di azienda quale quella che avrebbe delineato l'amministratore delegato di Enel spa;
   con le affermazioni del dottor Starace si farebbe un passo indietro di 50 anni e si tornerebbe a conduzioni aziendali che si possono sintetizzare con «il bastone e la carota». Del resto, queste sarebbero compatibili con il filone culturale che, a giudizio degli interroganti, lo stesso Presidente del Consiglio ha sostanziato anche con dichiarazioni del tipo: «Ha fatto più Marchionne di tanti sindacalisti»;
   in Enel si sta procedendo a 6.000 prepensionamenti che permetteranno all'azienda di procedere a 3.000 assunzioni stando a quanto annunciato;
   le affermazioni dell'amministratore delegato di Enel sarebbero ancora più gravi se inserite nell'ambito di un processo culturale, e delle relative modalità di conduzione delle aziende, nel corso del quale si tende sempre più a formare una classe dirigente futura nell'ambito di modalità di accesso al lavoro come contratti a tutele crescenti, lavori basati su voucher e stabilizzazione della precarietà lavorativa; questo limita e circoscrive i diritti di partecipazione e di tutela dei lavoratori che non devono essere oggetto di competizioni nell'ambito dei cambiamenti aziendali;
   il gruppo Enel spa è una multinazionale del settore dell'elettricità e del gas e ha una rete di distribuzione di elettricità e gas di circa 1,9 milioni di chilometri, con oltre 61 milioni di utenze nel mondo, e vi lavorano circa 68.000 dipendenti e il maggiore azionista di Enel è il Ministero dell'economia e delle finanze –:
   se risulti al Governo che trovino conferma le affermazioni che l'amministratore delegato di Enel spa, dottor Starace, avrebbe espresso durante un incontro con studenti presso l'università Luiss;
   qualora le dichiarazioni dell'amministratore delegato di Enel spa risultassero corrispondere al vero, se non si ritenga necessario chiedere al dottor Starace un chiarimento nel merito delle dichiarazioni rese durante un incontro con gli studenti dell'università Luiss;
   se, nel rispetto dell'autonomia dell'amministratore delegato e nell'ambito delle competenze del Ministero dell'economia delle finanze in quanto maggiore azionista di Enel spa, non ritenga necessario richiamare l'amministratore delegato di Enel spa, dottor Starace, all'esigenza di assicurare che la gestione di una azienda importante e strategica come Enel sia coerente con i diritti costituzionali e le tutele dei lavoratori, evitando che quanto dichiarato nell'incontro all'università Luiss diventi eventualmente modalità di conduzione aziendale, sostenuta da impostazioni di tipo culturale, lesive dei diritti dei lavoratori e di una gestione trasparente di aziende strategiche come Enel spa.
(4-13276)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 aprile 2016 i detenuti della casa circondariale di Rovigo sono stati anzitempo trasferiti nel nuovo istituto penitenziario di Rovigo, nonostante questo fosse ben lungi dall'essere ultimato;
   nonostante le rassicurazioni provenienti dai superiori uffici (P.R.A.P. e altri) circa il fatto che la popolazione detenuta del nuovo istituto penitenziario di Rovigo sarebbe restata invariata fino a quando non fosse stato realizzato un incremento del personale di polizia penitenziaria, da alcuni giorni sono iniziati anche i trasferimenti di detenuti da altri istituti del Triveneto (Verona, Padova, e altri);
   a quanto risulta all'interrogante, per rendere funzionale il nuovo istituto penitenziario di Rovigo entro tempi brevissimi, anziché aspettare i tempi tecnici necessari per l’iter burocratico previsto dalla legge, per l'ammissione dei detenuti già ristretti presso la casa circondariale di Rovigo al lavoro esterno ex articolo 21 dell'ordinamento penitenziario sarebbe stato richiesto l'invio di ben 10 detenuti già in «articolo 21» da altri istituti penitenziari, di fatto non tenendo conto della competenza del magistrato di sorveglianza e dell'area giuridico-pedagogica in merito;
   il predetto trasferimento di 10 detenuti articolo 21 da altri istituti, comporterebbe altresì un ulteriore pregiudizio sia in termini di risorse economiche da sostenere per i relativi trasferimenti, sia in termini di ulteriore incremento del numero della popolazione detenuta del nuovo istituto e quindi, ancora una volta, senza considerare in alcun modo le esigenze del personale di polizia penitenziaria il quale, con queste premesse, in pochissimo tempo si troverà a dover far fronte ad un istituto con una popolazione detenuta più che doppia rispetto al contingente della polizia penitenziaria ivi in servizio –:
   come intenda intervenire il Ministro interrogato per garantire l'adeguamento della pianta organica della polizia penitenziaria e la sua adeguata riorganizzazione alle intervenute nuove necessità. (4-13279)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Cementir ha detenuto in concessione l'area demaniale nel porto di Taranto, costituita dalla radice lato levante del IV sporgente e della banchina di riva tra il III e il IV sporgente ed area retrostante sulla quale insistono attrezzature ed impianti per l'imbarco del cemento alla rinfusa e in sacchi, delle materie prime e dei semilavorati del proprio stabilimento di Taranto;
   la suddetta area in concessione a Cementir, è stata detenuta dalla stessa, con una prima concessione per trenta anni a decorrere dal 29 maggio del 1976 e tuttavia alla scadenza della stessa concessione in data 30 maggio 2006, non è stata rinnovata immediatamente ma il rinnovo è avvenuto in data 12 luglio 2011 con l'atto n.11 del registro concessioni, per il periodo 30 maggio 2006 – 31 dicembre 2012, con un canone complessivo provvisorio di 426.709,88 euro. Per cui per ben 5 anni la Cementir ha detenuto e operato un'area nel porto di Taranto senza regolare concessione, concessione rilasciata solo 5 anni dopo la scadenza della prima concessione;
   con delibera del comitato portuale n. 13 del 2014 veniva negato alla società Cementir, la concessione trentennale delle aree portuali per un'estensione di 16.566 metri quadrati. Il respingimento è dovuto alla diminuzione del volume dei traffici registrati con particolare riferimento alla Calata 4, tale da non giustificare l'utilizzo esclusivo del sito per la durata della richiesta ed inoltre a causa del mancato sviluppo del progetto «Nuova Taranto» di Cementir che prevedeva investimenti sull'assetto impiantistico, mai realizzati. A tale progetto sarebbe legata la previsione di traffico navale che in virtù della non realizzazione dell'investimento, non potrà realizzarsi;
   sul sito web dell'autorità portuale di Taranto è possibile visionare solamente le concessioni demaniali marittime riferibili 2015, mentre non sono disponibili le concessioni demaniali marittime degli anni 2014, 2013 di cui vi è solamente l'elenco delle concessioni ma non i documenti riferibili alle singole concessioni. Risultano mancanti tutti i documenti e gli elenchi delle concessioni degli anni precedenti al 2013. Tali mancanze a detta dell'interrogante, contravvengono al decreto legislativo n. 33 del 2012;
   in data 17 luglio 2014 in una conferenza dei servizi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si analizzarono i «Risultati del piano di caratterizzazione e analisi di rischio relativi alla banchina in concessione Cementir – Porto mercantile di Taranto» dal quale si evince che «vi è rischio per la falda per i seguenti contaminanti: Ferro, Manganese, Boro, Solfati, Benzo(a)pirene, Benzo(k)fiuorantene, Benzo(a)antracene». Presso suddetta conferenza dei servizi la società dichiarò che l'intervento di messa in sicurezza/bonifica della stessa sarà oggetto di apposita attività «prevista nel Protocollo di Intesa firmato il 05/11/2009 tra Ministero dell'ambiente, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dello sviluppo economico, Regione Puglia, Provincia di Taranto, Comune di Taranto, Autorità Portuale di Taranto e Sogesid S.p.A», il quale prevede «la Progettazione preliminare dell'intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda acquifera e dei suoli demaniali nell'intero SIN, previa elaborazione di uno studio di fattibilità e caratterizzazione delle acque di falda lungo la fascia costiera»;
   la conferenza di servizi decisoria sopraccitata deliberò di ritenere «approvabile l'analisi di rischio presentata e chiede che qualsiasi modifica ai parametri (es. altezza degli edifici) e/o allo scenario di esposizione, dovrà prevedere una rielaborazione dell'analisi di rischio. Delle limitazioni d'uso previste dall'analisi di rischio si dovrà tenere traccia all'interno degli strumenti di pianificazione urbanistica. Considerata la natura dei contaminanti riscontrati in falda e l'estensione della banchina che ricade in una più vasta area in cui è presente analoga contaminazione, la bonifica della falda dovrà essere affrontata in un complessivo intervento da parte del soggetto competente»;
   in merito alla calata 4 si registrano sul sito web dell'Autorità portuale di Taranto, gli avvisi di 3 bandi di «servizi per l'ingegneria»:
    1. CIG: ZF40B375E6 – Oggetto del bando: «Servizio afferente l'esecuzione del rilievo batimetrico e stratigrafico degli specchi acquei antistanti la calata IV del porto di Taranto», Affidamento in economia – affidamento diretto a Prisma S.r.l. del valore di euro 9.449,30;
    2. CIG: Z8E0BB1AE0 – Oggetto del bando: «Servizio afferente l'esecuzione delle Indagini sulla qualità e sulle caratteristiche dei materiali in c.a. dell'impalcato a giorno della calata IV del porto di Taranto», Affidamento in economia – affidamento diretto a A.I.C.E. CONSULTING S.r.l. del valore di euro 37.500,00;
    3. CIG: Z590A5F817 – Oggetto del bando: Perizia di stabilità dell'impalcato a giorno di calata 4 nel porto di Taranto, Affidamento in economia – affidamento diretto a G.R.G. Studio Vecchi & Associati del valore di euro 10.000,00;
   da fonti stampa del Corriere di Taranto del 8 aprile 2016, si apprende nell'articolo «Porto, la Cementir "rinasce" con l'Uva ?» del giornalista Gianmario Leone, che la Cementir non abbia effettuato la manutenzione dell'area in gestione, non abbia rispettato le norme in materia ambientale e di tutela dei lavoratori. Inoltre si apprende che l'area in oggetto «necessita di lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e ripristino strutturale dell'impalcato di calata IV», come dimostrato dalla sopraccitata «Perizia della stabilità dell'impalcato banchina e piazzale della Calata IV» affidata allo Studio Vecchi & Associati;
   in data 22 marzo 2016, la Cementir spa ha presentato istanza di concessione demaniale – ex articolo 18 della legge n. 84 del 1994 – nel porto di Taranto della zona demaniale marittima di complessivi 21.120, costituito dalla radice lato levante del IV sporgente e della banchina di riva tra il III e il IV sporgente ed area retrostante sulla quale insistono attrezzature ed impianti per l'imbarco del cemento alla rinfusa e in sacchi, delle materie prime e dei semilavorati del proprio stabilimento di Taranto –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda adottare, per quanto di propria competenza, in merito alla mancata manutenzione dell'area che è stata data in concessione a Cementir e se in virtù di tali inadempienze, non sia inopportuno il rilascio di una nuova concessione alla stessa;
   come si giustifichi che la Cementir abbia detenuto l'area descritta in premessa nel porto di Taranto senza regolare concessione dal 30 maggio 2006 al 12 luglio 2011 e se ritenga corretta la concessione «retroattiva» rilasciata dall'Autorità portuale in data 12 luglio 2011 con l'atto n. 11 del registro concessioni e, in caso negativo quale iniziative di competenza intenda adottare;
   quali iniziative il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda adottare in merito alla mancata trasparenza, rispetto a quanto stabilito dal decreto legislativo n. 33 del 2012, da parte dell'Autorità portuale di Taranto in ordine alla pubblicazione degli atti delle concessioni portuali degli anni 2014 e precedenti;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa fornire elementi in merito allo stato attuale della messa in sicurezza e della bonifica della falda acquifera e dei suoli demaniali nell'intero sito d'interesse nazionale di Taranto previsti del protocollo di intesa firmato il 5 novembre 2009 e citato in premessa. (5-08768)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   SQUERI e RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Peschiera Borromeo è dal dicembre 2015 commissariato in seguito alle dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri comunali di minoranza e di buona parte di consiglieri della lista del Partito democratico che sostenevano il sindaco della medesima forza politica e che il 5 giugno 2016 affronterà una tornata elettorale amministrativa anticipata per ristabilire le normali funzioni amministrative elettive;
   il commissario straordinario dovrebbe svolgere i compiti d'ordinaria amministrazione soprattutto in fase di comizi elettorali avanzati; gli interroganti sono venuti a conoscenza da cittadini del proprio comprensorio elettorale, dalle forze politiche locali e dagli organi di informazione che il Ministero dell'interno sarebbe intenzionato a collocare sull'area demaniale dell'ex presidio dell'Aeronautica militare sito in località Bellaria di Peschiera Borromeo, un centro di accoglienza umanitaria per ospitare oltre un centinaio di profughi sbarcati sul suolo nazionale;
   si nutrono fortissime preoccupazioni sull'idoneità dell'individuazione di tale sito per ragioni afferenti alla regolare gestione dell'ordine pubblico e della sicurezza in merito alla possibile coesistenza della struttura in un contesto vicino già fortemente urbanizzato, per questioni legate alla viabilità interessata da intenso traffico di un'arteria provinciale altamente frequentata e adiacente infine ad un complesso urbanistico non ancora ultimato in seguito a vicende che hanno interessato l'autorità giudiziaria e il tribunale regionale amministrativo a causa di una lite pendente tra l'amministrazione civica ed i lottizzanti;
   tale centro di prima accoglienza a parere degli interroganti e di alcune forze politiche locali potrebbe comportare tensioni di natura sociale nel comune di Peschiera Borromeo e nella confinante frazione di Robbiano del comune di Mediglia in continuità urbanistica con il comune dove si trova l'area di proprietà demaniale –:
   se intenda fornire precisi e puntuali chiarimenti sul progetto, sui numeri degli ospiti destinati alla struttura e sulla tempistica di realizzazione di cui sino ad oggi si è venuti a conoscenza per tramite degli organi di informazione;
   se intenda fornire chiarimenti sui numeri delle dotazioni organiche dei corpi di polizia locale di Peschiera Borromeo, della stazione dei carabinieri di Peschiera Borromeo e del comando Compagnia di San Donato Milanese che dovrebbero essere distaccati al controllo del centro e di quello già in essere dalla scorsa estate che ospita in una abitazione civile di via Matteotti un'altra quarantina di migranti. (4-13280)


   BERGAMINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito alla dichiarazione dello stato di dissesto finanziario dichiarata dal comune di Castiglion Fiorentino, con delibera commissariale n. 11 del 7 novembre 2011, in data 10 gennaio 2012, si è insediata la commissione straordinaria di liquidazione nominata con decreto del Presidente della Repubblica del 13 dicembre 2011, ai sensi dell'articolo 245 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000;
   il 22 febbraio 2016, tramite un verbale redatto dall'organo straordinario di liquidazione è terminato formalmente il dissesto finanziario con la chiusura delle relative attività;
   prima di arrivare all'attuale pareggio di bilancio, nel 2011, il disavanzo ammontava a poco meno di 10 milioni di euro;
   il dissesto finanziario ha prodotto degli effetti negativi che perdureranno a lungo sul bilancio del comune castiglionese, infatti, già a partire da questo 2016, la capacità d'investimento dell'ente non dovrebbe superare l'importo di 500 mila euro, mentre, prima del dissesto, superava il milione e mezzo di euro;
   è importante sottolineare le responsabilità oggettive, delle giunte di centrosinistra, tra le quali fila sono stati rinviati a giudizio l'ex sindaco e l'ex assessore al bilancio oltre a 2 ex funzionari del comune di Castiglion Fiorentino;
   nonostante il rinvio a giudizio, gli amministratori interessati continuano a gettare fumo sulla questione, professando l'inesistenza del dissesto;
   ci sono ancora circa 40 fornitori che non hanno accettato la procedura semplificata per un rientro del credito al 50 per cento, che vantano tuttora un credito nei confronti del comune di Castiglion Fiorentino, per un importo di circa 1.277.000 euro complessivi;
   il risanamento del bilancio comunale, grazie all'operato dell'amministrazione attualmente in carica, è risultato più veloce dell'accertamento delle responsabilità, evidenziando così un'azione degli organi di controllo di procura della Repubblica e procura della Corte dei Conti, a giudizio dell'interrogante palesemente inefficiente –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se e quali specifiche responsabilità siano emerse dall'attività dell'organo straordinario di liquidazione in relazione al grave dissesto giudiziario che ha colpito il comune di Castiglion Fiorentino. (4-13285)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in applicazione della legge 30 dicembre 2010 n. 240 e del Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011 con decreti direttoriali 222 del 2012 e 151 del 2013 sono state bandite per gli anni 2012 e 2013 tornate per il conferimento dell'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di I e II fascia;
   alcuni candidati, pur avendo ottenuto il giudizio favorevole di tre membri su cinque della commissione di valutazione, non sono stati dichiarati idonei poiché l'articolo 8, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica 222 del 14 settembre 2011 richiedeva la maggioranza qualificata di quattro quinti;
   in esito ad alcuni ricorsi, il Tar del Lazio con diverse sentenze (nn. 12407, 12574, 12575, 13121 del 2015) ha dichiarato illegittima tale previsione della maggioranza dei 4/5;
   il Consiglio di Stato (Sezione Sesta) con sentenza depositata il 5 febbraio 2016, ha ribadito tale giudizio di illegittimità sulla norma in parola, dichiarando che deve ritenersi illegittimo l'articolo 8, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 222 del 2011, secondo il quale la Commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti, anziché a maggioranza dei componenti;
   specificamente, il Consiglio di Stato nella medesima sentenza ha rilevato la mancanza di una fonte primaria della previsione di maggioranze qualificate e ha segnalato che risulta, all'evidenza, impossibile pervenire ad un congruo e motivato giudizio negativo per una Commissione a maggioranza convinta del contrario;
   il Ministero, a seguito di tale sentenza e sulla scorta del parere dell'Avvocatura generale dello Stato, con Circolare del Direttore Generale ha riconosciuto che «l'annullamento della norma regolamentare in questione non possa ritenersi limitato alle sole fattispecie particolari, ma abbia efficacia erga omnes»;
   tuttavia, con la medesima circolare il Ministero circoscrive l'efficacia solo ai candidati che a suo tempo avevano proposto ricorso e, infatti, fornisce indicazioni alle commissioni aperte e a quelle che dovranno insediarsi per effetto dell'annullamento di norma della maggioranza qualificata;
   in data successiva a quella della circolare del direttore generale del Ministero, il TAR del Lazio sezione terza) con sentenza depositata in data 3 marzo 2016 ha stabilito che «in considerazione del vizio accertato, non si ravvisa la necessità di rinnovare l'attività valutativa da parte di una commissione in rinnovata composizione. Il giudizio finale abilitativo è infatti già insito in quello in concreto deliberato dalla Commissione secondo il quorum deliberativo da considerare, oggi ma anche per allora, legittimo e sufficiente»; in altre parole «discende dall'effetto caducatorio/sostitutivo sull'articolo 8, comma 5, cit., prodotto dalle sentenze menzionate, che il titolo di abilitazione scientifica consegue al voto favorevole espresso dalla maggioranza (semplice e non qualificata) dei componenti della Commissione»;
   nel corso di una discussione in seno al Consiglio universitario nazionale, proprio su tale pronunciamento del TAR, alcuni autorevoli ed emeriti membri hanno espresso l'auspicio che il Ministero attribuisca, in autotutela, l'abilitazione a tutti coloro che hanno ottenuto il giudizio favorevole di tre membri su 5 della commissione e non ai soli ricorrenti al T.A.R.;
   il riconoscimento dell'abilitazione a tutti i candidati che avevano ottenuto un giudizio favorevole di tre membri su cinque si appalesa come giusto ed opportuno poiché:
    a) risponderebbe ai principi costituzionali e normativi vigenti;
    b) eliminerebbe la sperequazione a danno di studiosi e docenti che, pur non avendo fatto ricorso al T.A.R., sono sostanzialmente nelle stesse condizioni di diritto e di fatto;
    c) renderebbe effettivamente erga omnes l'applicazione del principio stabilito dalla sentenza del Consiglio di Stato;
    d) non comporterebbe alcun aggravio di oneri economico-finanziari aggiuntivi né per il Ministero che, sulla scorta della recente sentenza del TAR Lazio, non dovrebbe nominare una nuova commissione, e tantomeno per il sistema universitario nel suo complesso poiché i docenti saranno reclutati tenendo conto solo delle risorse già disponibili;
    e) eliminerebbe il contenzioso a cui il Ministero dovrebbe far fronte e che potrebbe aumentare nel corso del tempo –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per favorire, attraverso la formalizzazione di un apposito provvedimento, il riconoscimento all'abilitazione per tutti i docenti universitari che hanno ottenuto la soglia favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il collegio di valutazione, ovvero dei suoi 3/5. (4-13278)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPARINI e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il business plan Meridiana, alla luce dell'accordo con Qatar Airways, ha previsto oltre 900 esuberi di personale;
   Qatar Airways impone l'accordo entro il 30 giugno 2016 con una sorta di ultimatum: taglio del salario dal 15 al 20 per cento e soluzione definitiva degli esuberi;
   i maggiori problemi sembra nascano nella parte della vertenza che riguarda gli assistenti di volo e il personale di Meridiana Maintenance: gli assistenti di volo sono 710 e i tagli indicati dall'azienda riguardano 650 persone;
   l'auspicio, ovviamente, è che l'ingresso della compagnia emiratina, nel suo ruolo di investitore, possa portare un'implementazione del network, così da ridurre drasticamente i numeri degli esuberi dichiarati;
   l'apertura delle procedure di licenziamento collettivo per 955 dipendenti, dalle quali è esclusa la controllata low cost Airitaly, ha comunque creato un forte stato di agitazione e tensione tra i lavoratori;
   il 12 maggio 2016, dinanzi a piazza Montecitorio, si è tenuta una manifestazione indetta dalle rappresentanze sindacali del personale di Meridiana Fly per sensibilizzare le istituzioni e chiedere, tra l'altro, il superamento del dualismo aziendale tra i vettori del gruppo — Meridiana Fly e Airitaly — e la definizione di una lista unica di gestione del personale, nonché l'istituzione di un tavolo interministeriale, per quanto concerne il personale Meridiana Fly, con la presenza di tutti gli attori coinvolti, al fine di avere un'interlocuzione diretta e puntuale –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, in merito alle richieste riportate in premessa;
   se si intenda ricorrere all'utilizzo di ammortizzatori sociali conservativi a sostegno di un futuro piano di sviluppo. (5-08763)


   DI SALVO, GNECCHI, DAMIANO e GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ENAV s.p.a., ex AAAVTAG, società per azioni, al momento a totale capitale pubblico, svolge attività di controllo e assistenza al volo per il tramite del proprio personale operativo (controllori del traffico aereo, esperti di assistenza al volo, meteorologi) impiegato presso gli impianti (cosiddette torri di controllo) di 42 aeroporti dislocati sul territorio nazionale e presso i 4 centri di controllo di area ubicati a Roma/Ciampino, Milano/Linate, Padova/Abano-Terme e Brindisi/Casale, dedicati al controllo dello spazio aereo nazionale. ENAV s.p.a., inoltre, svolge attività di servizio in volo per il controllo della regolarità del funzionamento dei radar e degli apparati tecnici per la navigazione aerea, tramite i propri piloti ed operatori radiomisure;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 279 del 7 aprile 1983, approvazione del regolamento del personale dell'azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale (AAAVTAG), disciplina ancora in vigore, ha previsto, all'articolo 96, che i dipendenti dell'azienda, oggi ENAV s.p.a., siano collocati a riposo, d'ufficio, al raggiungimento dei seguenti limiti di età:
    a) 60 anni per i profili professionali relativi ai servizi del traffico aereo e ai servizi in volo;
    b) 65 anni per i rimanenti profili professionali;
   lo speciale rilievo sociale alla categoria viene successivamente confermato con la legge 7 agosto 1990, n. 248; tale legge prevede che i periodi di servizio effettivo prestati nei profili professionali di controllore del traffico aereo, pilota e operatore radiomisure sono aumentati di un terzo della loro durata, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza, mentre per i profili di esperto di assistenza al volo e di meteorologo, gli stessi sono aumentati di un quinto;
   successivamente il decreto legislativo n. 149 del 1997 ha previsto che, per coloro i quali al 31 dicembre 1995 abbiano maturato un'anzianità contributiva di almeno 18 anni, continuano ad applicarsi le disposizioni previste dal citato articolo 5 della legge n. 248 del 1990, tenendo presente che, in virtù di quanto disposto dall'articolo 59, comma 1, lettera a) della legge n. 449 del 1997, con effetto dal 1o gennaio 1998, gli aumenti dei periodi di servizio computabili ai fini pensionistici, comunque previsti dalle vigenti disposizioni, in relazione allo svolgimento di particolari attività professionali, non possono eccedere complessivamente i 5 anni; gli aumenti dei periodi di servizio eccedenti i cinque anni maturati entro il 31 dicembre 1997 sono riconosciuti validi ai fini pensionistici, ma non sono ulteriormente aumentabili;
   lo stesso decreto legislativo n. 149 del 1997 ha altresì previsto che per il personale operativo in possesso di un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31 dicembre 1995 è fatta salva l'anzianità contributiva maturata alla predetta data per effetto dell'applicazione di cui all'articolo 5, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 248 del 1990. Nei confronti dei medesimi soggetti per le anzianità contributive successive ai 1o gennaio 1996, il beneficio è trasformato in un aumento convenzionale dell'età anagrafica, per un massimo di cinque anni, pari ad un anno ogni cinque interi di servizio effettivo complessivamente prestato nei ruoli professionali di cui alla sopracitata lettera a) ovvero un anno ogni sette per i profili di cui alla lettera b); tale incremento è utile ai fini del conseguimento dell'età pensionabile e ai fini dell'applicazione dei coefficienti di trasformazione di cui al comma 6 dell'articolo 1 della legge n. 335 del 1995. Il successivo articolo 2 del decreto legislativo n. 142 del 1997 ha previsto che, a fronte del beneficio sopra indicato è dovuta un'aliquota di solidarietà del 5 per cento, di cui l'1,25 per cento e lo 0,70 per cento a carico, rispettivamente, dei dipendenti appartenenti ai profili professionali di cui alla lettera a) e di quelli appartenenti al profili professionali di cui alla lettera b) dell'articolo 5 della citata legge n. 248 del 1990;
   tale disciplina specialistica viene ribadita e confermata dell'ultima riforma previdenziale, legge n. 201 del 2011 (cosiddetta Fornero), in cui all'articolo 24, comma 18, conferma trattamenti diversi per tipologie professionali, rimandando ad un apposito regolamento di armonizzazione. Detto regolamento, decreto del Presidente della Repubblica n. 157 del 28 ottobre 2013, all'articolo 10, comma 3, conferma chiaramente quanto sopra esposto;
   anche gli enti previdenziali di riferimento confermano quanto esposto, l'INPDAP (attualmente INPS gestione pubblica) ente previdenziale di riferimento per il personale di ENAV assunto entro il 31 dicembre 1995, con le Circolari n. 52 del 12 agosto 2004 e n. 18 dell'8 ottobre 2010, e l'INPS con la circolare n. 37 del 14 marzo 2012, hanno fatto espresso riferimento al personale in questione confermando la decorrenza a 60 anni del trattamento pensionistico nei confronti di tali lavoratori iscritti però alle casse gestite dall'ex INPDAP;
   la circolare del 3 luglio 2014, n. 86, riferita all'assicurazione generale obbligatoria dei requisiti minimi di accesso al sistema pensionistico di categorie di personale iscritto presso l'INPS, ex-ENPALS ed ex-INPDAP, ha introdotto un elemento di turbativa in una normativa speciale che pareva fino ad ora chiara ed univoca; tale circolare introdotta a valle del già citato decreto del Presidente della Repubblica n. 157 del 2013, infatti, al paragrafo 7 prevede che per i soli lavoratori appartenenti alle categorie professionali di cui all'articolo 5 della legge n. 248 del 1990, ma che abbiano mantenuto l'iscrizione alla gestione dipendenti pubblici (ex INPDAP), per i quali viene meno il titolo abilitante, continuano ad essere collocati a riposo al compimento del sessantesimo anno di età;
   l'ente previdenziale ha di fatto previsto una prevalenza della iscrizione alla gestione speciale piuttosto che la prevalenza della specialità della attività lavorativa, introducendo un criterio a giudizio degli interroganti paradossale per il quale ai lavoratori delle categorie operative dell'ENAV iscritte alla gestione pubblica viene meno il titolo abilitante al compimento del sessantesimo anno e pertanto collocati in quiescenza, mentre ai lavoratori iscritti presso la gestione privata, che svolgono la stessa attività, ciò non sia previsto, rimandando al compimento dell'età prevista per la generalità dei lavoratori dipendenti;
   a causa di quanto riferito, al momento attuale, esistono dipendenti di ENAV che hanno raggiunto i requisiti di accesso al trattamento di quiescenza, ma che non possono essere collocati a riposo e la società si sta impegnando economicamente attraverso accordi individuali per evitare che gli stessi dipendenti debbano attendere ulteriori sette anni per ottenere l'assegno pensionistico –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non intenda adottare iniziative che rendano omogena la normativa vigente applicando gli stessi requisiti di accesso al sistema pensionistico dei dipendenti di ENAV s.p.a. iscritti alla gestione pubblica meglio specificata nella Circolare Inpdap n. 52 del 12 agosto 2004 a quelli iscritti alla gestione privata di INPS. (5-08767)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 1o gennaio 1991, n. 30, recante disciplina della riproduzione animale, dispone che i libri genealogici del bestiame siano istituiti, previa approvazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dalle associazioni nazionali di allevatori di specie o di razza, dotate di personalità giuridica ed in possesso dei requisiti stabiliti dallo stesso Ministro e tenuti dalle menzionate associazioni sulla base di appositi disciplinari approvati anch'essi con decreto ministeriale;
   in applicazione della suddetta normativa, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha affidato la tenuta dei libri genealogici del bestiame delle razze delle specie ovina e caprina all'Associazione nazionale della pastorizia, ASSONAPA, ente morale riconosciuto, con sede legale in Roma 00155, Viale Palmiro Togliatti, 1587;
   a quanto risulta agli interroganti l'ASSONAPA sarebbe interessata da alcune criticità che non garantirebbero la piena ed efficiente operatività;
   tale situazione preoccupa il mondo allevatoriale specie per la finalizzazione del centro genetico di Asciano in provincia di Siena che al momento non è operativo, ma il cui valore patrimoniale sembrerebbe sollecitare troppe «interessate» attenzioni;
   pur in presenza di tale situazione il Ministero ha ritenuto, in occasione della recente ripartizione degli anticipi per l'attuazione delle attività di tenuta del libro genealogico e miglioramento genetico del bestiame, di riconoscere ad ASSONAPA (decreto del 10 marzo 2016 a valere sul cap. 2285 fondi 2016), per il periodo 1o gennaio 2016-31 maggio 2016, a fronte di un'attività che, a quanto risulta agli interroganti, la stessa non svolgerebbe più da tempo, un contributo ammontante ad euro 178,19 –:
   di quali ulteriori elementi disponga in relazione a quanto sommariamente espresso in premessa e come intenda procedere al fine di assicurare la corretta ed efficiente tenuta e gestione dei libri genealogici del bestiame delle razze ovine e caprine;
   relativamente alla situazione descritta, quale sarà il futuro del centro di Asciano. (4-13284)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   VECCHIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda sanitaria provinciale di Messina (ASP ME) con delibera n. 1493 dell'11 maggio 2006, all'epoca azienda unità sanitaria locale n. 5 (AUSL 5), ha bandito una selezione per il conferimento di numero uno incarico quinquennale per la copertura del posto di direttore medico con incarico di direzione di struttura complessa di cardiologia presso il presidio ospedaliero di S. Agata di Militello;
   il 25 agosto 2006 veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana il bando di «selezione, per titoli e colloquio, per il conferimento di numero uno incarico quinquennale di direttore di struttura complessa, disciplina di cardiologia, in esecuzione della delibera del direttore generale n. 1453 dell'11 maggio 2006, esecutiva ai sensi di legge»;
   l'8 marzo 2007 l'azienda ospedaliera di Messina ha provveduto, con la delibera n. 701, alla nomina della commissione di esperti prevista dall'articolo 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni;
   nel gennaio 2008 l'ASP di Messina ha disposto lo svolgimento delle prove concorsuali;
   il 21 gennaio 2008 l'ASP di Messina con delibera n. 133 ha approvato l'elenco degli idonei predisposto dall'incaricata commissione di esperti;
   dopo oltre tre anni dall'approvazione dell'elenco degli idonei, con delibera n. 1248 adottata il 7 aprile 2011, l'ASP di Messina, ha conferito l'incarico per cui venne bandito il concorso ad uno degli idonei assegnandolo al presidio ospedaliero di Sant'Agata di Militello e contestualmente, in pari data, con delibera n. 1249 la medesima azienda ospedaliera ha conferito un secondo incarico ad un altro idoneo del medesimo elenco, assegnandolo al presidio ospedaliero di Patti;
   l'elenco degli idonei predisposto dalla commissione, ad avviso dell'interrogante, non poteva essere utilizzato per l'assegnazione del ruolo a distanza di oltre tre anni dalla sua approvazione, ai sensi dell'articolo, 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001 che, in tema di graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche, dispone che le stesse rimangano vigenti per un termine non superiore a tre anni dalla data di pubblicazione;
   l'unità operativa complessa di cardiologia di Sant'Agata di Militello è stata creata successivamente alla pubblicazione del bando di selezione per l'assegnazione della direzione della stessa, con i provvedimenti di riordino del piano ospedaliero dell'assessorato regionale alla salute, decreto assessoriale del 25 maggio 2010 n. 1374 con cui è stato approvato il piano di riordino della rete ospedaliera relativo all'ASP di Messina, nonché al successivo decreto assessoriale del 7 marzo 2011 n. 392, con cui è stata approvata la dotazione organica della ASP ME e con la delibera della giunta comunale n. 120 del 25 settembre 2012, recepiti dell'azienda sanitaria provinciale di Messina, con delibera del direttore genere n. 977 del 24 marzo 2011;
   a quanto risulta all'interrogante, l'incarico presso il presidio ospedaliero di Patti non è mai stato bandito, né il relativo avviso è mai stato pubblicato così come previsto dall'articolo 15, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni;
   l'attribuzione dell'incarico di direzione di struttura complessa del presidio ospedaliero di Patti effettuata dal direttore generale dell'ASP di Messina, a quanto consta all'interrogante, non è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana ai sensi dell'articolo 15-ter, comma 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992, introdotto dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 229 del 1999;
   è evidente che l'ASP di Messina non avrebbe potuto in alcun modo utilizzare l'elenco degli idonei selezionati per il ruolo di direttore di struttura complessa dell'unità complessa di cardiologia del presidio ospedaliero di Sant'Agata di Militello per designare la direzione di struttura complessa del presidio ospedaliero di Patti, ma avrebbe dovuto bandire una selezione ad hoc;
   ai sensi dell'articolo 117 Cost., del decreto legislativo n. 502 del 1992, del decreto legislativo n. 517 del 1993, del decreto legislativo n. 229 del 1999 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1997 la competenza in materia è regionale e, quindi, nella fattispecie di competenza della regione siciliana –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se le determinazioni dell'ASP di Messina siano compatibili con l'attuazione del piano di rientro da disavanzi sanitari, considerato che esse non possono essere ritenute prive di effetti sotto il profilo dell'efficienza e dell'economicità della gestione del settore sanitario in tale area. (4-13277)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) è entrato in vigore nel febbraio 2005 e regolamenta le emissioni di gas ad effetto serra per il periodo 2008-2012. Obiettivo del protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas-serra, primo tra tutti l'anidride carbonica (C02);
   il protocollo è stato ratificato dall'Unione europea (che si è impegnata a ridurre le proprie emissioni dell'8 per cento rispetto ai livelli del 1990) e successivamente dai suoi Stati membri. La percentuale fissata a livello europeo è stata ripartita in maniera differenziata tra gli Stati membri. In tale contesto l'Italia (che ha provveduto alla ratifica con la legge n. 120 del 2002) si è impegnata a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni del 6,5 per cento rispetto al 1990;
   regolamentando il protocollo di Kyoto le emissioni solo per il periodo 2008-2012, a livello internazionale, si è ritenuto necessario avviare il negoziato per giungere all'adozione di uno strumento vincolante per la riduzione delle emissioni di gas-serra per il periodo post 2012;
   nel corso della Conferenza delle Parti (COP18-COP/MOP8), conclusasi a Doha (Qatar) l'8 dicembre 2012, l'impegno per la prosecuzione oltre il 2012 delle misure previste dal protocollo è stato assunto solamente da un gruppo ristretto di Paesi, oltre all'Unione europea con l'approvazione dell'emendamento di Doha al protocollo di Kyoto. I 200 Paesi partecipanti hanno invece lanciato, dal 2013, un percorso volto al raggiungimento, entro il 2015, di un nuovo accordo che dovrà entrare in vigore nel 2020. Tale accordo ha rappresentato l'obiettivo principale della COP21 di Parigi: l'impegno sottoscritto dall'Unione europea per il periodo successivo al 2012 (cosiddetto emendamento di Doha) coincide con quello già assunto unilateralmente con l'adozione del «pacchetto clima-energia», che prevede una riduzione delle emissioni di gas-serra del 20 per cento al 2020 rispetto ai livelli del 1990;
   l'obiettivo indicato dal «pacchetto clima-energia» è stato perseguito mediante una serie di strumenti normativi, in particolare, si ricordano, per il loro impatto sul sistema produttivo nonché sulla finanza pubblica, la direttiva 2009/29/CE (che ha aggiornato la precedente direttiva 2003/87/CE, cosiddetta direttiva emission trading) e la decisione 406/2009 del 23 aprile 2009 («effort sharing»), che ha ripartito tra gli Stati membri l'obiettivo europeo di riduzione delle emissioni di gas-serra per i settori non-ETS, cioè non regolati dalla direttiva 2009/29/CE (identificabili approssimativamente con i settori agricolo, trasporti, residenziale e civile);
   dopo l'approvazione alla Camera è stato approvato in via definitiva dal Senato il disegno di legge n. a.s. 2312 che prevede la ratifica e l'esecuzione, da parte dell'Italia, di una serie di accordi in materia ambientale, tra cui l'emendamento di Doha al protocollo di Kyoto;
   dal 7 all'11 dicembre 2015 a Parigi si è tenuta la ventunesima sessione della Conferenza delle Parti (COP21) relativa alla Convenzione quadrato delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC);
   nella seduta del 3 febbraio 2016, presso la 13a Commissione del Senato, si sono tenute le comunicazioni del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulla Conferenza COP21 di Parisi;
   sulla missione della delegazione parlamentare italiana alla COP21 è incentrata la relazione allegata al resoconto della seduta del 9 febbraio 2016 della Commissione VIII (Ambiente) della Camera;
   la Conferenza si è conclusa con l'adozione dell'accordo di Parigi da parte dei 195 Paesi presenti nell'Assemblea plenaria. L'Accordo, che è universale e legalmente vincolante ed entrerà in vigore nel 2020, definisce un nuovo piano di azione globale per evitare al pianeta un cambiamento climatico pericoloso;
   nella relazione predisposta dalla delegazione parlamentare italiana partecipante, sono indicati i tre principali obiettivi dell'Accordo:
    a) effettuare interventi di mitigazione delle emissioni al fine di contenere l'aumento della temperatura «bene al di sotto» dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, intensificando gli sforzi per contenerla entro 1,5 gradi;
    b) aumentare la capacità di adattamento alle conseguenze del cambiamento climatico e di rafforzare la resilienza climatica e lo sviluppo di un'economia a basse emissioni senza compromettere la produzione di cibo;
    c) garantire flussi finanziari in grado di sostenere gli interventi di mitigazione e adattamento;
   l'architettura dell'accordo si basa inoltre sui piani di azione climatici nazionali volontari (Intended Nationally Determined Contributions – INDCs) che i Paesi sono chiamati a predisporre. I Governi hanno concordato di verificare gli obiettivi ogni 5 anni e di definirne di più ambiziosi in coerenza con lo sviluppo scientifico. È previsto che i Paesi comunichino pubblicamente i loro obiettivi e che vi sia un efficace sistema di trasparenza e verificabilità a lungo termine. Sul piano dell'adattamento, i Governi hanno inoltre concordato di rafforzare le azioni per fronteggiare gli impatti del cambiamento climatico e di fornire un supporto internazionale per l'adattamento nei Paesi in via di sviluppo;
   nei giorni 1o e 2 maggio 2016 i Ministri dell'energia del G7, in preparazione del Summit del G7 che si terrà a Ise-Shima il 26 e 27 maggio 2016, si sono riuniti a Kitakyushu per discutere degli sviluppi intercorsi dalla ultima riunione tenutasi ad Amburgo nel 2015: nella dichiarazione congiunta che ne è seguita, è stato affermato l'impegno ai principi ed alle azioni stabilite nell'iniziativa di Roma per la sicurezza energetica e nell'iniziativa di Amburgo per la sicurezza energetica sostenibile, principi che sono le basi della sicurezza energetica collettiva dei Paesi del G7;
   secondo i Ministri, di fronte all'attuale livello dei prezzi dell'energia e alla sua volatilità, il costante investimento nell'approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile è essenziale per ridurre i rischi della futura crescita dell'economia globale. Mercati ben funzionanti e trasparenti, combustibili, fonti e rotte diversificate, aumento dell'efficienza energetica e miglioramento della resilienza dei sistemi energetici sono tutti elementi necessari per rafforzare la sicurezza energetica;
   è stato inoltre sottolineato che rispondere alle molteplici richieste di sicurezza energetica, efficienza economica, ambiente e sicurezza è una sfida attuale per tutti i Paesi, sia produttori che consumatori, sviluppati o emergenti: un elemento cruciale per aumentare la sicurezza energetica consisterebbe nel mettere in campo azioni che consentano di affrontare disastri naturali attraverso sistemi energetici resilienti, compresi quelli relativi all'elettricità, al gas e al petrolio, ed avere meccanismi per rispondere alle emergenze per un pronto recupero dei sistemi nel momento dello svolgersi della calamità;
   grazie ai vari provvedimenti di Governo e Parlamento in questa legislatura che hanno finalizzato e integrato i contenuti della Strategia energetica nazionale intervenendo tra l'altro in materia di fonti rinnovabili, l'Italia ha raggiunti già dal 2014 l'obiettivo per il 2020 del 17 per cento sui consumi finali di energie rinnovabili (con una quota relativa alla sola produzione elettrica che arriva al 40 per cento, siamo a livello mondiale il Paese leader per produzione nel fotovoltaico: 9 per cento a fronte del 5 per cento della Germania). Inoltre, il sistema dei «certificati bianchi» può rendere l'approccio italiano all'efficienza energetica il modello da adottare anche da parte degli altri Paesi europei, e, sul piano delle emissioni di C02, si sono abbattute le emissioni del 20 per cento superando così il target per il 2020 ed avvicinandosi a quello del 2030 –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, in questa ottica, quali siano i risultati più rilevanti derivanti dal G7 del 1o e 2 maggio 2016, e quali iniziative intenda adottare il Governo, anche in ambito europeo, dopo la COP 21, in merito alla revisione degli obiettivi del «pacchetto clima-energia», al rafforzamento della sicurezza e all'efficienza economica degli approvvigionamenti energetici.
(2-01379) «Benamati, Bini, Arlotti, Bargero, Basso, Becattini, Camani, Cani, Donati, Ginefra, Iacono, Impegno, Martella, Montroni, Peluffo, Scuvera, Senaldi, Taranto, Tentori, Vico».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, SCOTTO, PLACIDO, AIRAUDO, MARTELLI, GREGORI, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA e FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Electron Italia è un'azienda controllata al 100 per cento Leonardo-Finmeccanica, nella quale lavorano 68 dipendenti;
   Electron Italia si occupa di progettazione e realizzazione di sistemi integrati di sicurezza fisica per infrastrutture di rilevante importanza sia a livello nazionale che per la stessa Leonardo-Finmeccanica questo settore è considerato « core» anche nell'attuale Leonardo-Finmeccanica;
   da oltre dieci mesi Leonardo-Finmeccanica persegue strenuamente l'obiettivo di vendere Electron Italia, quasi rincorrendo l'unico soggetto esterno che sembra interessato ad acquistare Electron Italia;
   con la vendita di Electron Italia è a rischio la perdita dell'azienda e con essa del prezioso patrimonio di competenze e della profonda conoscenza e gestione dei sistemi di sicurezza sia interni che esterni a Leonardo-Finmeccanica che i dipendenti possono vantare, tenuto conto che sembrerebbe che Leonardo-Finmeccanica intenda cedere l'azienda ad un acquirente che secondo i sindacati dei metalmeccanici non avrebbe i requisiti per garantire un futuro occupazionale ai lavoratori;
   nell'audizione svoltasi il 3 maggio 2016 presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati, il ceo dottor Moretti ha sottolineato l'importanza di avere il pieno controllo delle aziende coinvolte nei processi produttivi di Leonardo-Finmeccanica;
   negli scorsi mesi i 68 dipendenti della Electron Italia hanno visto una riduzione dell'organigramma di primo livello e la mancanza di prospettive certe nel medio periodo;
   i dipendenti dell'Electron Italia ritengono la vendita una scelta deleteria e hanno chiesto di essere integrati nel gruppo, tenuto conto del bagaglio di esperienza, know-how, certificazioni, conoscenza e gestione dei sistemi di sicurezza, sia interni al gruppo che esterni, posseduto dai dipendenti;
   Leonardo-Finmeccanica è una azienda italiana attiva nei settori della difesa dell'aerospazio e della sicurezza il cui maggiore azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze –:
   quale sia il soggetto al quale Leonardo-Finmeccanica con insistenza intende vendere la Electron Italia;
   sulla base di quali motivazioni Leonardo-Finmeccanica abbia fino ad oggi proceduto a considerare la vendita della Electron Italia ad un solo soggetto, escludendo la possibilità di valutare le proposte o offerte di altri soggetti;
   se non si ritenga — allo scopo di non procedere alla dispersione di un patrimonio di competenze e profonda conoscenza, anche nella gestione, dei sistemi di sicurezza sia interni che esterni a Leonardo-Finmeccanica che i dipendenti possono vantare — di assumere iniziative per la loro integrazione nel gruppo Leonardo-Finmeccanica, tenuto conto che la progettazione e realizzazione di sistemi integrati di sicurezza fisica per infrastrutture sono di rilevante importanza, tanto che la stessa Leonardo-Finmeccanica considera questo come settore « core». (5-08765)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Fassina e altri n. 4-13255, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Nicchi, Carlo Galli, Duranti, Pellegrino.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Pisicchio n. 1-01192, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 586 del 9 marzo 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia nel 2014 è stato lo Stato membro dell'Unione europea con la minore percentuale di giovani laureati: con il 23,9 per cento si colloca, purtroppo, all'ultimo posto fra i 28 Stati membri, paragonato al 49,9 per cento della Svezia, al 47,7 per cento del Regno unito, ma anche al 31,3 per cento del Portogallo e al 25 per cento della Romania;
    sono dati inquietanti che fanno riflettere profondamente sullo stato di salute delle nostre università italiane e sulle scelte fatte negli ultimi vent'anni con la consapevolezza della necessità, non più procrastinabile, di analisi più approfondite sull'argomento ma anche di un complessivo ripensamento dell'indirizzo di governo che riguardi l'istruzione superiore che significa produzione culturale del Paese, formazione delle classi dirigenti e, in particolare, di quel capitale umano di qualità che è il fattore produttivo decisivo nell'economia di un Paese, specialmente in un paese così diverso al suo interno come l'Italia;
    l'Europa si è data l'obiettivo, nel 2020, di avere il 40 per cento di giovani laureati. L'obiettivo italiano alla stessa data è pari al 26-27 per cento, che continuerebbe a collocarla all'ultimo posto, rischiando di essere superata anche dalla Turchia. La regione con la percentuale maggiore di laureati, il Lazio (31,6 per cento), si colloca su livelli pari al Portogallo. Quattro regioni italiane, tutte del Mezzogiorno, sono fra le ultime dieci nella graduatoria delle 272 europee; la Sardegna (17,4 per cento) è penultima: la sua percentuale di giovani laureati è superiore solo alla regione ceca dello Severozápad;
    il nostro Paese nel giro di pochi anni, ha vissuto un disinvestimento molto forte nella sua università, in totale controtendenza rispetto a tutti i Paesi avanzati che continuano invece ad accrescere la propria formazione superiore. Mentre il finanziamento pubblico delle nostre università italiane si contraeva del 22 per cento, in Germania cresceva del 23 per cento; persino i Paesi mediterranei più colpiti dalla crisi hanno ridotto di meno il proprio investimento sull'istruzione superiore;
    i fondi del diritto allo studio universitario sono distribuiti alle regioni secondo criteri che generano gravi sperequazioni a danno delle regioni del Sud;
    per effetto di tale distribuzione il 75 per cento degli studenti che, secondo la Costituzione italiana, avrebbero diritto a beneficiare di borse di studio e non ne beneficiano sono iscritti nelle università del Sud;
    il rapporto della Fondazione Res, recentemente presentato, fotografa la condizione degli atenei italiani, da Nord a Sud, come un costante, inesorabile declino a cominciare dalla caduta delle immatricolazioni: dal 2003-04 si riducono di oltre 66 000 unità, fino a meno di 260 000 nel 2014-15 (-20,4 per cento). Fra tutti i Paesi avanzati solo la Svezia e l'Ungheria sperimentano un decremento più forte. Al contrario, gli immatricolati crescono sensibilmente nella media dei Paesi dell'Ocse e a ritmi particolarmente sostenuti, oltre che negli emergenti, in Germania e Regno unito. Il calo delle immatricolazioni, sempre dal 2003-04, è poi differenziato per territori: è particolarmente intenso nelle isole (-30,2 per cento), nel Sud continentale (-25,5 per cento) e nel Centro (-23,7 per cento, specie nel Lazio); più contenuto al nord (-11 per cento);
    è grave il fenomeno migratorio di diplomati che, in numero di 24 mila, ogni anno abbandonano le regioni del Sud per studiare in università del Centro e del Nord e questo aggrava la già depressa situazione del Meridione;
    la mobilità studentesca è un fenomeno estremamente positivo, perché rappresenta un'esperienza di vita indipendente per i giovani, consente la scelta del corso di studio più adatto e una competizione sana tra atenei, ma è una mobilità a senso unico, da Sud verso Nord. Nel 2014-15 oltre 55 000 studenti si sono immatricolati in una regione diversa da quella di residenza;
    al Nord questo fenomeno riguarda il 17,8 per cento degli immatricolati, che rimangono quasi tutti (5/6) all'interno della circoscrizione. Al Centro è meno rilevante (14,5 per cento degli immatricolati), specie per gli studenti toscani e laziali, ma orientata di più verso l'esterno: metà di chi cambia regione va al nord, un terzo rimane al Centro, un sesto va al Sud;
    al Sud la mobilità è molto maggiore: riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro. È la mobilità dei circa 29 000 immatricolati (in un anno) meridionali il fenomeno più importante, con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata;
    la mobilità solo in direzione d'uscita è negativa perché genera da una parte una perdita per le aree di origine in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per il mantenimento dei figli fuori sede sostenuto dalle famiglie. La scelta del trasferimento è riconducibile a più fattori e, in particolare, a una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, nonché alle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del nord una volta conseguita la laurea;
    Molise (49,5 per cento), Trentino Alto Adige (47,8), Abruzzo (41,3) sono le regioni più piccole che nell'anno accademico 2014-15, hanno mostrato indici di attrattività più elevati spiegabili soprattutto con la qualità della vita urbana (Trento) o con la posizione geografica, come nel caso di Abruzzo e Molise. Le regioni medie e medio-grandi maggiormente attrattive sono tutte localizzate al nord: spiccano in particolare l'Emilia Romagna e la Lombardia. Al contrario risulta estremamente ridotta l'attrattività delle università meridionali, tutte largamente al di sotto della metà della media nazionale, ad eccezione della Basilicata che sfiora il 20 per cento, grazie alla specificità di alcuni indirizzi di studio;
    altro punto di grande criticità è quello dei docenti universitari che fra il 2008 e il 2015 si sono ridotti del 17,2 per cento; il calo è stato notevolmente più intenso di quello registrato in ogni altro comparto del pubblico impiego, ben cinque volte maggiore di quanto avvenuto nella scuola. La diminuzione del personale docente di ruolo è stata dell'11,3 per cento al nord, ma del 18,3 per cento nel Mezzogiorno e del 21,8 per cento nelle università del Centro a causa dei blocchi del ricambio, in presenza dei pensionamenti. Ad esempio nel triennio 2012-14 il turn over (assunzioni in percentuale dei pensionamenti) è stato pari al 27,3 per cento. Il blocco del turn over negli atenei ha comportato un sensibile invecchiamento del personale docente, attualmente i dati disponibili ci dicono che un terzo dei professori ordinari ha più di 65 anni;
    la spesa totale (pubblica e privata) per l'istruzione universitaria, riportata dal rapporto annuale Education at a Glance dell'Ocse (2014) e misurata rispetto al Pil (2011), è in Italia sui livelli più bassi fra tutti i Paesi dell'Ocse: gli unici paesi con livelli comparabili sono Ungheria e Brasile; per tutti gli altri, europei ed extraeuropei, il livello è significativamente superiore. Nel 2011 il totale della spesa (pubblica e privata) era in Italia dell'1 per cento del Pil, contro una media ocse dell'1,6 per cento e dei Paesi europei membri dell'Ocse pari all'1,4 per cento: i grandi Paesi europei si collocano fra l'1,2 per cento e l'1,5 per cento; la stessa Turchia è all'1,3 per cento; gli scandinavi su livelli superiori, gli Stati uniti sono al 2,7 per cento;
     il fondo di finanziamento ordinario delle università (Ffo), nasce nel 1993, come veicolo di finanziamento «omnibus» all'interno del quale fare ricadere sia gli interventi per il funzionamento sia allocazioni «premiali» ed è stato proprio questo l'errore di fondo, sarebbe stato meglio fin da allora prevedere due diversi canali di finanziamento: uno destinato, appunto, alle spese ordinarie e un altro, con funzione premiale e incentivante. Fino al 2008 la dimensione del fondo cresce, anche se aumentano le quote relative degli atenei del Nord e del Sud, rispetto a quelli del Centro e delle isole. Con i provvedimenti presi a partire dal 2008, con la cosiddetta Riforma Gelmini (legge n. 240 del 2010), l'investimento destinato alle università si riduce drasticamente. Il fondo di finanziamento ordinario diminuisce ai livelli di metà anni novanta. Sul totale delle entrate degli atenei diminuisce sensibilmente il peso delle risorse attribuite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (e in particolare del fondo di finanziamento ordinario), a vantaggio della contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi, specie privati. Questo cambiamento produce un significativo impatto territoriale, perché colpisce in particolare le università collocate nelle aree meno ricche del Paese;
    l'analisi di tutti questi dati porta a delle conclusioni chiare, risulta necessario ed urgente ripensare questi meccanismi di finanziamento, basandosi su una distinzione netta fra fondi destinati al funzionamento del sistema universitario e fondi premiali destinati alla ricerca, ripristinando una sufficiente quota di finanziamento per tutti gli atenei, a copertura delle funzioni di didattica e di ricerca di base, e con l'allocazione di risorse aggiuntive, finalizzate alle grandi priorità di ricerca del paese, sulla base di criteri di valutazione della ricerca, abbandonando formule e algoritmi onnicomprensivi che hanno dimostrato negli ultimi anni di non essere adeguati alla complessità della realtà,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per incrementare il fondo del diritto allo studio;
   ad assumere iniziative per modificare i criteri di distribuzione del fondo per il diritto allo studio applicando la regola delle quote capitarie e suddividendo quindi il fondo tra le regioni esclusivamente in base al numero di idonei ai benefici;
   ad assumere iniziative per incrementare sensibilmente il fondo di finanziamento ordinario delle università per avvicinarlo a quello degli altri Paesi europei;
   a promuovere una radicale revisione dei meccanismi di finanziamento per le attività di ricerca;
   ad assumere iniziative per immettere nuovi docenti e ricercatori a copertura dei previsti pensionamenti;
   ad adottare iniziative per applicare una deroga temporanea di almeno 5 anni per le università del Sud, in relazione alle norme restrittive inerenti al rapporto tra numero di docenti e attivazione dei corsi di studio, consentendo di attivare corsi di studio, indipendentemente dal numero dei docenti, per dare risposte alle esigenze ogni anno manifestate dai diplomati.
(1-01192)
(Nuova formulazione) «Pisicchio, Palese».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Pastorelli n. 4-12797 dell'11 aprile 2016.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Spadoni e altri n. 5-08539 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 615 del 28 aprile 2016. Alla pagina 37069, prima colonna, alla riga sedicesima, deve leggersi: «ottenga una celere scarcerazione;», e non come stampato.