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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 20 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
   il 9 maggio 2011, con la decisione 2011/273/PESC del Consiglio, l'Unione europea, senza alcuna copertura da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazione Unite, ha dato il via alle misure restrittive nei confronti della Siria. Tale decisione è stata prorogata annualmente e quella attuale è disposta fino al 1o giugno 2016;
   nel febbraio 2013, l'Unione europea ha prorogato le sanzioni contro la Siria, escludendo – per la sola opposizione armata – l'embargo sulle armi. Ciò ha permesso la fornitura di attrezzature non-letali e assistenza tecnica per proteggere i civili, demandando a ogni Paese membro la decisione in materia. Questo tipo di «alleggerimento dell'embargo» ha contribuito a sostenere l'opposizione armata dominata da gruppi terroristi che controllano intere aree della Siria e le loro risorse: Al Nusra/Al Qaeda, il sedicente Stato Islamico, l'Esercito della conquista e altri;
   il 22 aprile 2013, i Ministri degli esteri europei hanno approvato la deroga parziale all'embargo sul petrolio siriano a sostegno della lotta contro il regime di Assad e per aiutare la popolazione civile e sostenere l'opposizione: le società europee potranno, di fatto, importare quello venduto dall'opposizione al regime, la quale potrà inoltre ricevere materiali necessari per l'estrazione;
   gli Stati membri possono ora autorizzare tre tipologie di transazioni: le importazioni di petrolio e prodotti petroliferi, le esportazioni di attrezzature e tecnologie chiave per l'industria petrolifera e del gas in Siria, così come gli investimenti nel settore del petrolio siriano. Il tutto, in consultazione con la «Coalizione nazionale dell'opposizione»;
   la portata di applicazione delle sanzioni contro la Siria va ben oltre il territorio dell'Unione europea, coinvolgendo cittadini, imprese e organizzazioni che si trovino o meno al suo interno;
   secondo la scheda informativa dell'Unione europea del 29 aprile 2014: «le sanzioni dell'Unione Europea non sono punitive, bensì volte a generare un cambiamento nella politica o nelle attività del paese, delle entità o delle persone cui sono dirette. (...) Parallelamente, l'Unione Europea fa tutto il possibile per ridurre al minimo le conseguenze negative per la popolazione civile o per le attività legittime»;
   le sanzioni dell'Unione europea alla Siria pretendono, quindi, di essere un atto di rimostranza contro le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime siriano, ma per il loro devastante impatto sulla popolazione civile, già stremata da 5 anni di una guerra manifestamente eterodiretta, a giudizio dei firmatari del presente atto si sono rivelate esse stesse una flagrante violazione dei diritti umani;
   negli ultimi giorni, è stato diffuso, su change.org, l'appello «Basta sanzioni alla Siria e ai siriani» (sostenuto, tra gli altri, da esponenti di diverse confessioni religiose, dal premio Nobel per la Pace nel 1976, Mairead Corrigan-Maguire, e da Giorgio Nebbia, ambientalista e docente emerito), in cui si legge: «In questi cinque anni le sanzioni alla Siria hanno contribuito a distruggere la società siriana condannandola alla fame, alle epidemie, alla miseria, favorendo l'attivismo delle milizie combattenti integraliste e terroriste che oggi colpiscono anche in Europa. E si aggiungono a una guerra, che ha già comportato 250.000 morti e sei milioni di profughi»,

impegna il Governo

ad adoperarsi, in sede europea, per esprimere una volontà di dissociazione sull'automatico rinnovo di tali sanzioni e ad adottare ogni iniziativa utile per la loro immediata rimozione.
(7-01002) «Manlio Di Stefano, Del Grosso, Di Battista, Grande, Sibilia, Scagliusi, Spadoni».


   La V Commissione,
   premesso che:
    secondo l'articolo 119 della Costituzione i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea;
    dal 2016 gli enti locali partecipano al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea attraverso l'assoggettamento alle regole del pareggio di bilancio;
    il nuovo sistema è volto a superare i complessi meccanismi del patto di stabilità sostituendoli con un vincolo più lineare, costituito dal raggiungimento di un unico obiettivo, ovvero un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali;
    nella concreta attuazione di questo principio le entrate finali e le spese finali sono quelle ascrivibili ai seguenti titoli: entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa, trasferimenti correnti, entrate extratributarie, in conto capitale e entrate da riduzioni di attività finanziarie mentre per le spese, quelle correnti, in conto capitale e per incremento di attività finanziarie;
    secondo il comma 711 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 per il solo anno 2016, nelle entrate finali e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota rinveniente dal ricorso all'indebitamento;
    il fondo pluriennale vincolato è un fondo finanziario che garantisce la copertura di spese imputate agli esercizi successivi a quello in corso, costituito da risorse già accertate nell'esercizio in corso, ma destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell'ente esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l'entrata;
    la previsione del comma 711 della legge n. 208 del 2015 che limita l'inserimento nel saldo finale di competenza del fondo pluriennale vincolato in entrata e in uscita al solo anno 2016 potrebbe inficiare pesantemente il principio di programmazione e limitare la spesa per investimenti degli enti locali per gli anni successivi;
    non solo, l'esclusione dal saldo finale di competenza dell'avanzo di amministrazione fa sì che un suo eventuale utilizzo porti squilibrio nel pareggio del saldo; ne deriva che l'unica applicazione dell'avanzo che non incide negativamente sul saldo sia la destinazione alla riduzione dell'indebitamento dell'ente che, però, in alcuni casi può essere basso o assente, vanificando la possibilità di investire e, comunque, limitando l'autonomia finanziaria e amministrativa dell'ente;
    solo gli enti che hanno applicato l'avanzo nel 2015 e lo hanno riportato a fondo pluriennale vincolato nel 2016 potranno sfruttare tale risorsa;
    risulta, infine, che i meccanismi orizzontali e verticali di flessibilità del pareggio di bilancio, che potevano offrire una parziale soluzione per garantire agli enti locali la possibilità di spesa, non siano stati ancora attivati in maniera corretta da tutte le regioni;
    secondo il comma 128 della legge n. 208 del 2015, infatti, le regioni possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a peggiorare il sardo di equilibrio per permettere esclusivamente un aumento degli impegni di spesa in conto capitale, purché sia garantito l'obiettivo complessivo a livello regionale mediante un contestuale miglioramento, di pari importo, del medesimo saldo dei restanti enti locali della regione o della regione stessa;
    tale meccanismo può pregiudicare la possibilità di indebitarsi di un ente qualora un grande ente quale un comune metropolitano o una regione decida di indebitarsi: l'ammontare di tale finanziamento potrebbe esaurire da solo gli spazi;
    complessivamente, già a partire da quest'anno, questa situazione rischia di limitare la spesa per investimenti di alcuni enti locali, anche finanziariamente virtuosi, ad avviso dei firmatari del presente atto contraddicendo la ratio della riforma e diminuendone i positivi effetti sulla crescita;
    l'eventuale entrata in vigore della legge n. 243 del 2012; poi, comporterebbe l'entrata in vigore di otto saldi, quattro nel bilancio di previsione e quattro nel bilancio consuntivo, in termini correnti e finali per competenza e cassa; se passasse questo impianto molti enti locali avrebbero problematiche nel rispetto, soprattutto in termini di cassa, in quanto vi è un naturale slittamento oltre l'anno di molti incassi dell'ente; a titolo di esempio, in Italia solo il 59,6 per cento dei comuni rispetterebbe il saldo corrente di cassa e solo il 63,6 per cento quello finale di cassa,

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di assumere iniziative per mantenere l'impianto del saldo di competenza finale al comma 710 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 negli anni a venire come unico vincolo di bilancio degli enti territoriali e inserire nelle voci del saldo al comma 711 della stessa legge l'avanzo di amministrazione tra le poste di entrata, così da permettere il suo utilizzo senza creare squilibri tra entrate e spese, mantenendo, inoltre, per gli anni venturi il fondo pluriennale vincolato in entrata e in uscita nel saldo di competenza finale;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per derogare, parzialmente o totalmente, al limite di indebitamento complessivo regionale per gli enti il cui livello di indebitamento risulta sotto la soglia consentita dalla legge e poter escludere dal saldo di competenza tale cifra qualora la destinazione dell'indebitamento stesso sia di particolare interesse così come avvenuto per l'edilizia scolastica.
(7-01003) «Fanucci, Parrini».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    la legge 13 luglio 2015, n. 107 recante «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti» è intervenuta sulle modalità dell'immissione in ruolo e alla reiterazione dei contratti a tempo determinato del personale docente della scuola statale e ha – inoltre – delegato (commi 180-185) il Governo ad adottare, tra gli altri, un decreto legislativo per l'istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni, che comprende in particolare nidi e scuole dell'infanzia, di competenza dello Stato, delle regioni e dei comuni;
    in attuazione dell'articolo 1, commi 95 e 96, della citata legge n. 107 del 2015 lo Stato ha potuto procedere, nell'anno scolastico in corso, ad attuare un piano straordinario di assunzioni del personale precario inserito nelle graduatorie ad esaurimento, fino a qualche anno fa denominate graduatorie permanenti, dalle quali si attingeva per l'attribuzione di incarichi con contratti a tempo determinato e, per il 50 per cento dei posti disponibili, per l'immissione in ruolo con contratti a tempo indeterminato;
    la Corte di giustizia europea con pronuncia del 26 novembre 2014 ha affermato il principio che nella pubblica amministrazione, anche nel settore scolastico ed educativo prima esentato con normative nazionali specifiche), non possono essere reiterati i contratti su posti vacanti e disponibili per non più di tre anni;
    il comma 131 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 e intervenuto, dunque, sul limite di durata dei contratti a tempo determinato, prevedendo che il limite pari a 36 mesi, anche non continuativi, si riferisca solo ai contratti stipulati a decorrere dal 1o settembre 2016;
    molti comuni italiani, in particolare Roma e altre città metropolitane, al fine di garantire il funzionamento dei nidi e delle scuole dell'infanzia a gestione diretta, impiegano, oltre al personale di ruolo, alcune migliaia di educatrici, educatori e insegnanti con contratti a tempo determinato inclusi in graduatorie concorsuali o in graduatorie permanenti specificamente costituite per le supplenze annuali o di breve durata, in analogia con la normativa prevista per le scuole statali;
    già da qualche anno, l'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) solleva con forza il problema relativo alle gravi difficoltà che i comuni incontrano ogni anno nel dover garantire la costante erogazione di un servizio pubblico essenziale quali sono i nidi e le scuole dell'infanzia a causa dei limiti imposti ai comuni in materia di assunzioni e per i vincoli di bilancio collegati al patto di stabilità interno;
    tali vincoli hanno reso impossibile per i comuni interessati di procedere alla copertura con personale di ruolo di migliaia di posti vacanti che, negli anni si sono resi disponibili e, onde evitare l'interruzione di un pubblico servizio e garantire quindi il funzionamento dei servizi, hanno dovuto ricorrere, attingendo alle predette graduatorie di personale educativo e insegnante, a contratti di lavoro a tempo determinato;
    la spesa pubblica sostenuta è pari se non superiore a quella che si sosterrebbe utilizzando personale con contratti a tempo indeterminato, in quanto per i contratti annuali i comuni erogano dieci mesi di stipendio e la quota parte delle tredici mensilità e del Tfr, mentre l'Inps eroga l'indennità di disoccupazione per i restanti due mesi;
    come per la scuola statale, appare necessario anche per i nidi e le scuole dell'infanzia comunali garantire un organico di personale stabile al fine di assicurare adeguati servizi educativi e scolastici di qualità pienamente capaci di accompagnare, promuovere e sostenere, in accordo con le famiglie, le varie fasi di crescita, sviluppo e apprendimento delle bambine e dei bambini, coniugando la dimensione affettiva, sociale e cognitiva in uno stretto intreccio tra cura ed educazione;
    a tal fine, i comuni interessati devono essere messi nelle condizioni di poter definire, in linea con quanto previsto dalla legge n. 107 del 2015, un piano di azione educativo e scolastico nel rispetto dei seguenti principi:
     la centralità del bambino nella progettazione dei percorsi educativo-didattici; la partecipazione e il raccordo con le famiglie e il territorio; la continuità e la stabilità della relazione tra educatrici/educatori e insegnanti con le bambine e i bambini;
     la piena e adeguata realizzazione del progetto educativo e del Piano dell'offerta formativa, la promozione di contesti educativi connotati da attività di ricerca e sviluppo dell'innovazione educativa e didattica; la documentazione e il monitoraggio dei processi attivati;
     nel contesto del piano di azione dovrebbe essere di conseguenza compreso un piano straordinario di assunzioni per la totale copertura degli organici del personale di ruolo dei comuni interessati, sia attraverso la stabilizzazione del personale con contratti a tempo determinato inserito in graduatorie comunali permanenti o ingraduatorie concorsuali che con l'attivazione di nuove procedure concorsuali,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative di competenza, anche normative, che consentano di:
    a) elaborare e realizzare un piano di azione per la salvaguardia e lo sviluppo dei servizi educativi e scolastici per l'infanzia da 0 a 6 anni nel quadro del sistema integrato di educazione e di istruzione previsto dalla legge n. 107 del 2015;
    b) predispone e realizzare un piano straordinario di assunzioni di educatrici, educatori e insegnanti, in analogia con quanto stabilito per la scuola statale con la legge n. 107 del 2015, attingendo dalle graduatorie permanenti e dalle graduatorie concorsuali aperte;
    c) prorogare per il prossimo triennio la facoltà per i comuni, così come previsto per la scuola statale, di reiterare i contratti di lavoro a tempo determinato per consentire loro di procedere all'attuazione del predetto piano straordinario di assunzioni e all'attivazione di nuove procedure concorsuali.
(7-01001) «Coscia, Giachetti, Orfini, Bonaccorsi, Miccoli, Roberta Agostini, Coccia, Malpezzi, D'Ottavio, Carocci, Rocchi, Ascani, Sgambato, Blazina, Iori, Pes, Ghizzoni, Malisani, Dallai, Rampi, Manzi, Crimì, Narduolo».


   La XI Commissione,
   premesso che:
   il grave fenomeno della diffusione delle patologie asbesto correlate tra i tanti lavoratori che nel corso dei decenni passati sono stati impiegati in attività a rischio di esposizione di amianto, ha visto ulteriori e importanti risposte nella legge di stabilità 2016;
   difatti la legge 28 dicembre 2015, n. 208 reca disposizioni in materia di trattamento previdenziale dei lavoratori esposti all'amianto, in primo luogo prorogando per il triennio 2016-2018 l'applicazione della maggiorazione contributiva riconosciuta ai fini del conseguimento del diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico agli ex lavoratori, occupati in specifiche imprese che non abbiano maturato i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalla normativa vigente e che risultino malati con patologia asbesto-correlata (accertata e riconosciuta ai sensi dell'articolo 13, comma 7, della legge n. 257 del 1992, che ha stabilito che ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche per i lavoratori che abbiano contratto malattie professionali a causa dell'esposizione all'amianto documentate dall'Inail, il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa a periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione all'amianto debba essere moltiplicato per il coefficiente di 1,5);
   inoltre, la medesima legge estende la platea a cui si applicano le disposizioni richiamate, comprendendovi anche i lavoratori che, in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, siano approdati ad una gestione di previdenza diversa da quella dell'Inps e che non abbiano maturato il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico nel corso degli anni 2015 e 2016, derogando alla norma (articolo 1, comma 115, della legge n. 190 del 2014) che fissa al 31 giugno 2015 il termine ultimo per la presentazione all'Inps della domanda per il riconoscimento dei benefici previdenziali;
   è stato inoltre istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un apposito Fondo per il triennio 2016-2018, finalizzato all'accompagnamento alla quiescenza, entro il 2018, dei lavoratori di cui all'articolo 1, comma 117, della legge n. 190 del 2014 che non abbiano maturato i requisiti pensionistici ivi previsti;
   in un contesto di drammatica emergenza, alla luce della pericolosità delle patologie in questione, si registrano anche notevoli disfunzioni operative tra le diverse amministrazioni interessate alla gestione delle pratiche relative ai riconoscimenti dei benefici previdenziali riconosciuti dal nostro ordinamento, in alcuni casi, compromettendo l'esercizio stesso di tali diritti;
   risulta dunque fondamentale creare un rapporto di connessione amministrativa tra i diversi enti in questione; si rileva che, durante l'approvazione della legge di stabilità, il Governo ha accolto, in tal senso, l'ordine del giorno n. 9/03444-A/110,

impegna il Governo

ad adoperarsi, per quanto di propria competenza, per l'adozione di misure volte a riconoscere che l'avvenuta presentazione all'Inail della richiesta di certificazione della patita esposizione a rischio di amianto da parte dei lavoratori interessati, produca l'intenzione dei termini di prescrizione del diritto della rivalutazione contributiva ai sensi della legge 27 marzo 1992, n. 257 e successive modificazioni ed integrazioni, anche nei confronti dell'Inps.
(7-00999) «Boccuzzi, Vico».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'IBM (International Business Machines Corporation) è una azienda statunitense, tra le maggiori al mondo nel settore informatico. Produce e commercializza hardware e software, offre infrastrutture, servizi di hosting, servizi di cloud computing e consulenza in settori che spaziano dai mainframe alle nanotecnologie;
    in Italia ha come principale cliente la pubblica amministrazione: Poste, Trenitalia, RTI, Ministero Interni, Ministero Difesa, Cassa Depositi e Prestiti, Ministero politiche Agricole e Forestali, Fincantieri, Regione Veneto, Fiera di Milano e Snam;
    in data 24 febbraio, nel corso della visita al centro Watson Healt di Boston, il Presidente del Consiglio dei ministri ha firmato un accordo con IBM per il riutilizzo di alcuni spazi (30.000 mq) e di alcune strutture di Expo 2015 a Rho, poco fuori Milano;
    il fine dell'intesa sottoscritta è di inaugurare un nuovo quartier generale europeo della società per il Watson Center che si occuperà di sviluppare l'agenda sanitaria – italiana: dai controlli e gli aggiornamenti delle cartelle cliniche all'ottimizzazione delle voci di spesa della stessa sanità pubblica; dagli esperimenti genetici, alla ricerca per la cura del cancro;
    l'accordo descritto rientra nel progetto Human Tecnopole, per la riorganizzazione e il rilancio dell'area di Expo, fortemente voluto dal Governo. L'impegno economico previsto è di 150 milioni di euro per dieci anni, la creazione di circa 600 posti di lavoro;
   considerato che:
    negli ultimi tre anni IBM ha impresso una forte accelerazione alla propria riorganizzazione, trasformazione, che si è tradotta in un taglio complessivo complessivamente di oltre il 20 per cento della forza lavoro in Italia;
    dai dati delle Organizzazioni Sindacali apprendiamo che i posti di lavoro persi sono stati:
     527 nel 2012: 367 dimissioni incentivate, 128 spontanee, 30 avvenute per cessione di ramo d'azienda Retail Store Solutions a Toshiba Global Commerce Solutions S.r.l, infine 2 licenziamenti individuali;
     664 nel 2013, considerando i 23 dipendenti assunti in seguito all'acquisizione del ramo d'azienda Mondadori. Nello specifico: 209 dimissioni incentivate, 103 spontanee, 140 in seguito a procedura di mobilità e 59 per cessione di ramo d'azienda a Lenovo e 106 derivanti dalla cessione della divisione ACG, che effettuava applicazioni di contabilità per il mercato nazionale al gruppo Team/System; infine 1 licenziamento individuale;
     761 nel 2014, considerando 144 assunzioni. Le dimissioni incentivate sono 85, 130 dirigenti licenziati (di cui 60 nell'ambito della seconda procedura di mobilità), 485 per due procedure di mobilità tra quadri e impiegati e infine 2 licenziamenti individuali;
     a fine 2015 IBM Italia ha esternalizzato a Modis, del gruppo Adecco, 306 lavoratori (di cui 6 dirigenti) con la cessione di un ramo d'azienda. Il trasferimento del rapporto di lavoro è stato impugnato da circa 285 lavoratori;
     dopo i quattro anni indicati anni la forza lavoro di IBM Italia, dirigenti inclusi, passata da 7.143 a 5.531 dipendenti (dato all'undici marzo 2016) mentre nello stesso periodo l'occupazione, a livello di gruppo (IBM Italia, Sistemi Informativi, VTS, e altre) è scesa dagli 8.700 ai 7.000 dipendenti circa;
     l'11 marzo 2016 IBM Italia ha aperto una procedura di licenziamento collettivo per 290 lavoratori. Il 26 aprile, la trattativa in sede sindacale si è conclusa con un mancato accordo ed il 24 maggio è convocato un incontro sulla vertenza al ministero del Lavoro;
     l'azienda IBM Italia, in data 17 maggio 2016, non si è recata all'audizione prevista presso la commissione lavoro del Senato, suscitando la reazione delle organizzazioni sindacali che hanno dichiarato il proprio sconcerto di fronte al palese atteggiamento di chiusura della società,

impegna il Governo:

   ad intraprendere ogni iniziativa di competenza utile alla salvaguardia occupazionale e al ripristino delle normali relazioni sindacali, anche in virtù degli importanti committenti pubblici di IBM sopra indicati;
   ad avviare un tavolo con le parti sociali, presso il Ministero dello sviluppo economico, alla luce del progetto Human Tecnopole per la riorganizzazione e il rilancio dell'area di Expo, considerato che l'impegno in materia, sottoscritto a Boston tra il Governo italiano ed IBM il 24 febbraio 2016 rende di nuovo il nostro Paese appetibile per gli investitori esteri e lo colloca in un ruolo di rilevanza nel settore dell'alta tecnologia e della ricerca.
(7-01000) «Miccoli».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    i lavoratori stagionali sono più di trecentomila soltanto nel settore turistico e, generalmente, non hanno un'occupazione per più di sei mesi l'anno, poiché, come è noto, caratteristica di tale tipologia di attività è la peculiare esigenza di forza lavoro, in particolari periodi dell'anno, per far fronte ai picchi di attività del comparto. Il lavoro stagionale è una risorsa fondamentale per le aziende del nostro Paese, le quali ricavano significativi introiti nella stagione interessata, inoltre, in tale ambito trovano possibilità di inserimento molti giovani che accumulano importanti esperienze lavorative;
    in considerazione delle caratteristiche proprie del lavoro stagionale, è necessario che vengano promossi specifici interventi a salvaguardia dei lavoratori, soprattutto, considerando la mancanza di continuità dell'attività esercitata, ossia l'alternarsi – nel corso dell'anno – di periodi di attività lavorativa a periodi di non lavoro in corrispondenza di eventi intrinsecamente connaturati all'attività. Al riguardo, si ritiene che tra gli interventi primari ed urgenti a tutela di tali lavoratori, vi è la necessità di modificare il sistema di computo dell'indennità della nuova assicurazione sociale per l'impiego («Naspi»), poiché, tale istituto pregiudica considerevolmente gli stagionali;
    la «Naspi» è il sussidio di disoccupazione, che ha sostituito le cosiddette ASpI e mini ASpI, regolato dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, a sostegno e tutela di chi si trovi in stato di disoccupazione per ragioni indipendenti dalla propria volontà con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi a partire dal 1o maggio 2015. Rispetto alla precedente normativa in materia sono state apportate rilevanti modifiche sulla durata e i requisiti contributivi, in presenza dei quali si ha diritto all'erogazione dell'indennità;
    la nuova normativa prevede che coloro che si trovano in stato di disoccupazione involontaria possono fruire dell'indennità in questione qualora abbiano versato nei quattro anni precedenti, rispetto all'inizio del periodo di disoccupazione, tredici settimane di contributi e possano far valere trenta giornate di lavoro effettivo o equivalenti, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione. La durata dell'indennità è pari alla metà dei mesi lavorati negli ultimi 4 anni, per un massimo di due anni, tuttavia, a differenza della previgente normativa, in tale calcolo non vengono considerati i periodi contributivi per i quali è già stata erogata una prestazione di disoccupazione;
    ciò pregiudica notevolmente i lavoratori stagionali poiché, nel caso, ad esempio, di un lavoratore impiegato per soli sei mesi l'anno, da più anni, con la nuova «Naspi» saranno considerati utili, ai fini del calcolo per la durata del sussidio, i soli sei mesi lavorati nell'anno di riferimento ai fini della richiesta e non anche quelli lavorati nell'anno precedente che, nella maggior parte dei casi, sono già stati utilizzati per accedere al sussidio. Di conseguenza, questi lavoratori percepiranno come assegno di disoccupazione, solo la metà dei mesi lavorati nell'ultimo anno, ossia soli tre mesi in luogo dei sei;
    esclusivamente per l'anno 2015, con l'articolo 43, comma 4, del decreto legislativo n. 148 del 2015, è stata introdotta una misura di salvaguardia a quella che il firmatario del presente atto giudica una, errata e pregiudizievole previsione della normativa, per i lavoratori del settore del turismo e degli stabilimenti termali stabilendo che, qualora la durata della «Naspi» sia inferiore a 6 mesi, ai fini del calcolo della durata debbano essere computati anche i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione, come era appunto previsto nella previgente normativa;
    ebbene, a partire dall'anno 2016, detta manovra correttiva a tutela dei lavoratori in questione, non trova più applicazione, pertanto, l'indennità «Naspi» andrà a coprire, secondo il regime ordinario, solo la metà delle settimane precedentemente lavorate, in grave danno per gli stagionali e le loro famiglie;
    l'intervento «risanatore», ma a carattere temporaneo, previsto dal Governo per l'anno 2015, dimostra la consapevolezza dello stesso che tale categoria di lavoratori è stata vittima di un'ingiustizia poiché, con l'introduzione della Naspi, non si è tenuto conto delle specifiche esigenze dei lavoratori stagionali. Pertanto, è d'obbligo adottare urgentemente dei provvedimenti di modifica dell'indennità, per garantire il giusto sostegno al lavoro stagionale che rappresenta per migliaia di famiglie l'unica fonte di reddito;
   si ritiene, inoltre, necessario intervenire sempre più incisivamente per prevenire e contrastare le forme di lavoro in nero e/o irregolare che si insinuano di frequente nel settore e che, tra le ovvie conseguenze dannose per i lavoratori, comportano anche il mancato versamento di contributi, privando del tutto gli stessi di accedere all'ammortizzatore sociale quando saranno in stato di disoccupazione involontaria,

impegna il Governo:

   ad assumere urgenti iniziative per la modifica della disciplina vigente della Naspi, in particolare in riferimento al calcolo della durata dell'indennità, come previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, al fine di garantire ai lavoratori stagionali maggiore tutela e un'adeguata indennità durante il periodo di disoccupazione involontaria;
   ad adottare idonee iniziative di prevenzione e di contrasto alle forme di lavoro in nero e/o irregolare, che si insinuano con particolare frequenza nel settore del lavoro stagionale, privando i lavoratori di fondamentali diritti, tra cui anche quello all'indennità di disoccupazione in presenza di omissione contributiva.
(7-01004) «Rizzetto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, FERRARESI, PAOLO BERNINI, VILLAROSA, SILVIA GIORDANO, GRILLO, LOREFICE, MANTERO e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di cronaca (vedasi www.ilfattoquotidiano.it e www.larena.it del 14 maggio 2016) si apprende di un'indagine che ha coinvolto tre medici veneti, il dottor Giovanni Serpelloni, ex direttore del dipartimento per le politiche antidroga durante il Governo Berlusconi, il dottor Maurizio Gomma (ex direttore facente funzioni del Serd negli anni in cui Serelloni ricopriva l'incarico a Roma) e il dottor Oliviero Bosco, tutti gli arresti domiciliari con l'accusa di tentata concussione e turbativa d'asta;
   secondo quanto emerge dalle carte dell'ordinanza disposta dal giudice per le indagini preliminari Luciano Gorra, su richiesta del pubblico ministero Paolo Sachar, l'accusa riguarda la richiesta di denaro nei confronti della società Ciditech per la messa a punto di un software, il Mfp, sviluppato nel corso degli anni dall'Ulss 20 di Verona, ed utilizzato successivamente da diverse strutture sanitarie presenti sul territorio nazionale, e che serviva a gestire i dati riguardanti i consumatori di stupefacenti monitorati dai Sert;
   secondo l'accusa i tre medici avrebbero preteso una percentuale sulle somme incassate dalla Ciditech e, in particolare, al centro della inchiesta è finita una raccomandata, datata 9 dicembre 2013, in cui veniva formalizzata una richiesta di 100 mila euro, giustificata dalla volontà di premiare «asseriti diritti individuali vantati sul software»);
   tale richiesta, che avveniva a titolo personale da parte dei tre medici, risultava del tutto illegittima, in considerazione del fatto che si trattava di dipendenti pubblici e anche perché il software Mfp era stato acquistato direttamente dalla regione Veneto e dalla Ulss 20 di Verona;
   la vicenda sopra descritta rappresenta un episodio molto grave e dalle pesanti conseguenze, poiché gli illeciti corruttivi producono ingenti danni erariali, diretti ed indiretti, oltre a ledere l'immagine della pubblica amministrazione, soprattutto nei confronti dei cittadini –:
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intendano assumere al fine di contrastare il dilagare del fenomeno della corruzione, nello specifico in ambito sanitario;
   se si intendano assumere, tempestivamente, iniziative al fine di garantire la trasparenza degli atti e dei comportamenti, soprattutto in materia di appalti, della pubblica amministrazione e se si ritenga opportuno promuovere la revisione dei meccanismi di controllo interno, anche alla luce del fatto che al Presidente del Consiglio dei ministri compete la responsabilità in ordine al buon andamento e all'imparzialità dell'amministrazione cui sono preposti. (5-08751)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2016 la società Alenia Aermecchi, costituita il 1o gennaio 2012 dalla fusione di Alenia Aeronautica e Alenia Sia, una della poche industrie italiane operanti nel campo aeronautico con filiali in Europa, Russia e Stati Uniti, è stata incorporata in Finmeccanica spa;
   la società, da sempre impegnata nella progettazione, nella realizzazione, nella trasformazione e nell'assistenza di una vasta gamma di velivoli e sistemi aeronautici sia civili che militari, vanta tuttora importanti e strategiche collaborazioni con rilevanti industrie mondiali operanti nel settore dell'aeronautica;
   progetta e realizza, direttamente o tramite partecipazione a consorzi e collaborazioni internazionali, velivoli da difesa, da trasporto militare e da pattugliamento, occupandosi anche delle manutenzioni, delle revisioni, delle trasformazioni e delle modifiche dei veicoli prodotti come l'Eurofighter Typhoon, l'AMX Ghibli, il Tornado, il C-27J e ÌATR 42 Survejor. Alenia Aermacchi partecipa, inoltre, alla progettazione e realizzazione di strutture per il cacciabombardiere tattico statunitense F35 Ligtning II;
   ha costruito Sky-X e Sky-Y, due velivoli in grado di volare con l'ausilio del pilota collegato in remoto; inoltre, ha in cantiere un altro prototipo in grado di effettuare missioni di ricognizione e di sorveglianza del territorio. Questi velivoli fanno parte della cosiddetta famiglia Unmanned in corso di sviluppo, alcuni dei quali saranno prodotti in joint venture con il gruppo Mubadale Investment;
   nel campo delle trasformazioni l'Alenia Aermacchi, attraverso l'incorporata Alenia Aeronavali – assorbita dal 1o gennaio 2010 – ex officine Aeronavali Venezia, detiene una posizione di rilievo internazionale, operando su molti dei più importanti aerei sia militari che civili, con una vasta esperienza nelle attività di revisione e manutenzioni;
   nell'ultimo periodo, in diversi stabilimenti tra cui Tessera (VE), si sta registrando una repentina diminuzione delle commesse con una proiezione di chiusura dello stabilimento nel prossimo futuro, ciò anche grazie alla ventilata possibilità di cedere da parte di Finmeccanica spa il pacchetto azionario relativo al progetto Superjet;
   si sta manifestando una pericolosa impasse industriale che potrebbe, in breve, significare una retrocessione geopolitica su scala globale, data la rilevanza tattica e strategica che le forze aeree stanno tuttora dimostrando anche nei i conflitti in essere, ciò grazie alla loro prontezza e rapidità d'azione;
   sarebbe difficile rintracciare la logica legata a questa scelta, dal momento che in questo settore l'industria italiana ha esperienza ed expertise da vendere, e non mancano esempi eccellenti: uno tra tutti il programma NEURON, nato nel 2003 dalla cooperazione tra Italia, Svizzera, Spagna, Grecia, Regno Unito e Francia. Per non parlare del Consorzio Eurofighter – Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, che ha dato alla luce il caccia multiruolo di quarta generazione EF200-Typhoon, velivolo estremamente più efficace, più efficiente e versatile rispetto all'F35;
   tutto ciò mentre l'area del cosiddetto «Mediterraneo allargato», che comprende anche i bacini del Mar Nero e del Mar Rosso, è attraversata da sanguinose guerre e conflitti – Libia, Siria e Iraq, tanto per far qualche esempio – e da pericolose instabilità politiche, sociali e religiosi, che rischiano di coinvolgere pesantemente il nostro Paese –:
   si il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   se non ritengano di dover urgentemente coinvolgere gli enti locali, le istituzioni territoriali, i rappresentanti dei lavoratori, la regione Veneto e Confindustria al fine di valutare attentamente gli effetti della nuova politica industriale di Finmeccanica spa, in un settore così strategico per il Paese come quello aerospaziale. (4-13257)


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il fondo per le politiche della famiglia istituito nel 2007 prevedeva inizialmente anche il sostegno adozioni internazionali, mentre adesso tale sostegno dovrebbe essere coperto dal fondo per le adozioni internazionali istituito appositamente assieme alla relativa Commissione;
   attualmente la Commissione per le adozioni internazionali (CAI) presso la Presidenza del Consiglio è l'autorità centrale in materia di adozioni internazionali nel nostro Paese e garantisce che le adozioni dei bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione dell'Aja del 1993;
   il fondo per le adozioni internazionali aveva come unica finalità il rimborso di spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione del minore straniero e, come ribadito dal Ministro interrogato, in audizione in Commissione giustizia alla Camera, è necessario «valutare con attenzione la necessità di sostenere lo sforzo delle famiglie per giungere alle adozioni rafforzando le specifiche agevolazioni fiscali già previste per le spese sostenute nei casi di adozioni internazionali (..) come occorrerebbe garantire sul piano ordinamentale la rimozione di ogni ostacolo economico e sociale che possa rendersi d'impedimento all'accesso all'adozione, in armonia con il disposto dell'articolo 3 secondo comma della Costituzione»;
   nel corso dell'audizione di cui in premessa si è inoltre sottolineata «la necessità di un efficientamento delle procedure di adozione, in una prospettiva di semplificazione e di riduzione delle tempistiche e di contenimento della spesa»;
   essendo stata costituita la, Cai, il fondo per le adozioni internazionali avrebbe dovuto essere utilizzato per lo scopo per il quale è stato istituito e già nel 2013 le famiglie che hanno adottato minori nell'anno 2011 – che hanno regolarmente depositato nei tempi previsti dalla legge la documentazione necessaria al fine di vedersi corrisposta la quota parziale di rimborso – hanno chiesto alla Commissione per le adozioni internazionali informazioni circa i tempi e le modalità previsti per il rimborso delle spese per le adozioni internazionali sostenute ricevendo in risposta dalla CAI che era stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il «Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali», finalizzato al rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione;
   tuttavia i genitori adottivi sono dovuti spesso ricorrere ad altre forme di finanziamento visti la farraginosità e il costo elevato del percorso adottivo –:
   se il fondo per le adozioni internazionali mantenga la finalità di rimborsare le spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione del minore straniero. (4-13260)


   OTTOBRE, PLANGGER, LABRIOLA, MATTEO BRAGANTINI, PRATAVIERA, LO MONTE e FURNARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   durante la Seconda Guerra mondiale, tra i 130.000 soldati francesi comandati dal generale Alphonse Juin e schierati sul fianco sinistro della V Armata americana sul fronte di Cassino, nella primavera del 1944, vi erano truppe di colore, provenienti dalle colonie francesi in Africa, in questi reparti di «goumier» (da «goum», traslitterazione del termine arabo «qum» che indicava una banda, un clan o un villaggio), non facevano parte solo i marocchini ma anche algerini, tunisini, senegalesi e montanari analfabeti del Maghreb;
   i primi «goumier» a toccare il suolo italiano furono gli oltre 800 marocchini al comando di ufficiali francesi che, nel luglio 1943, sbarcarono nella Sicilia meridionale, vicino Licata, nel settore assegnato agli statunitensi, appartenevano alla «Joss Force» cui era stato affidato «il compito di impadronirsi del porto di quella cittadina rivierasca, per poi difendere il fianco sinistro della 7o armata di Patton da eventuali contrattacchi»;
   il 20 novembre 1943 sbarcò a Napoli la 2o Divisione Fanteria Marocchina del generale André Dody, forte di 13.895 uomini divisi tra europei (6.578) ed africani (7.317), questi ultimi, in prevalenza ex pastori e montanari, erano legati con un contratto all'esercito francese;
   alla fine di dicembre si aggiunse la 3o Divisione Fanteria Algerina al comando del generale Joseph de Goislard de Monsabert con 13.189 uomini (6.354 europei e 6.835 indigeni) tra cui anche un reggimento tunisino;
   nel luglio del 1943 era stato anche costituito il «Groupement Mixte Marocain» (GMM) al comando del generale Augustin Guillaume e con un organico di 12.000 goumier;
   all'inizio di gennaio del 1944 fu il generale Juin ad assumere il comando dell'intero «Congs Expéditionnaire Francais» (CEF), in preparazione, poi, dell'operazione che avrebbe portato all'occupazione di Roma il 4 giugno 1944; di fronte alla linea Gustav vennero schierate anche la 4o Divisione Marocchina di Montagna, comandata dal generale Frainois Sevez e con 19.252 uomini (6.545 europei e 12.707 indigeni), e la 1o Divisione Motorizzata Fanteria, al comando del generale Diego Brosset con 15.491 uomini (9.012 europei e 6.479 indigeni); a tutto questo andava aggiunta la Riserva generale e dei servizi con 37.000 uomini e qualche centinaia di donne addette ai servizi sanitari;
   quanto precedentemente descritto è utile per capire la portata di quello che successe durante l'avanzata delle suddette truppe di goumier dalla Sicilia fino alla Toscana, episodi storicamente raggruppati sotto il nome di «marocchinate»;
   i goumier erano stati condotti in Italia con la promessa che avrebbero ottenuto, combattendo contro i tedeschi, l'indipendenza del loro Paese e sembrerebbe che in un discorso di incoraggiamento prima dell'attacco dell'11 maggio 1944; il generale Juin abbia promesso loro 50 ore in cui sarebbero stati padroni assoluti di tutto ciò che avrebbero trovato alle spalle del nemico tedesco sconfitto;
   il risultato fu che, solo nel frusinate, ci furono oltre 60.000 richieste di danni e solo 2.000 donne denunciarono gli atti di violenza cui furono sottoposte, uomini, donne e bambini furono violentati, la vittima più giovane aveva 11 anni, la più anziana di 86, a decine morirono, seicento uomini patirono la stessa sorte, tra essi un giovane parroco, don Alberto Terrilli, che morì due giorni dopo le sevizie subite per aver cercato di nascondere le donne del suo paese;
   due sorelle, di 15 e 18 anni, subirono le violenze di 200 soldati marocchini, una di queste morì durante lo stupro, l'altra impazzì e finì in manicomio;
   una dozzina di uomini che, con forconi, falci e bastoni, avevano tentato di difendere le loro mogli, madri e figlie, furono impalati vivi;
   esattamente cinquanta ore dopo, gli ufficiali francesi ripresero in pugno la situazione, ed obbligarono i goumiers a ritornare nel loro accampamento;
   ma quanto sopra descritto sono solo alcuni dei molteplici episodi che travolsero i civili con l'avanzare delle truppe di goumier dalla Sicilia alla Toscana dal 1943 all'ottobre del 1944;
   dalla Sicilia alla Toscana, passando dal napoletano, uomini, donne e bambini che andavano incontro alle truppe alleate francesi con la gioia per la liberazione dal dominio tedesco, furono uccisi, stuprati e violentati fin nell'intimo della loro anima con l'aggravante della disillusione e l'amarezza di essere passati da un carnefice ad un altro forse peggiore;
   le conseguenze si fecero sentire anche dopo la guerra, le giovani violentate incontrarono grosse difficoltà a sposarsi, mentre i mariti, al loro ritorno, manifestarono rabbia e disagio nei confronti delle mogli stuprate; un intera generazione di giovani donne che non erano perite in quegli episodi di violenza dovettero allontanarsi dal loro Paese perché incinte; una generazione di bambini nacque nell'infamia e rimase marchiata a vita per quanto successo; in seguito ad alcuni accertamenti medici fu appurato che il 20 per cento delle donne violentate aveva contratto la sifilide, l'80 per cento la blenorragia e se non fosse stato per la penicillina portata dagli americani, molte di loro sarebbero morte per queste malattie;
   per quanto riguarda le iniziative delle autorità francesi, pressate anche da interventi italiani sui comandi alleati, il generale Juin il 27 maggio 1944 era stato costretto ad inviare ai comandanti dei reparti un documento nel quale, pur sottolineando che molti episodi erano stati esagerati e sfruttati dalla propaganda nemica per gettare discredito, aveva ammesso la realtà degli «eccessi» e il loro alto numero;
   il 18 giugno persino il cardinale francese Tisserant aveva preso posizione sulla questione, lamentandosi con Juin del comportamento dei soldati marocchini nella zona di Valmontone; gli era stato risposto che si era provveduto alla fucilazione di 15 militari, accusati di stupri, colti sul fatto, mentre altri 54, colpevoli di violenze varie e omicidi, erano stai condannati a diverse pene compresi i lavori forzati a vita;
   infine, il Papa, Pio XII, il 30 giugno si lamentò direttamente con De Gaulle delle violenze commesse dai nordafricani, e chiese ed ottenne dal Presidente degli Stati Uniti D'America Roosevelt che i soldati marocchini fossero ritirati dall'Italia;
   pur relazionando ai superiori ciò che incontravano per la strada della liberazione, la maggior parte degli ufficiali alleati cercarono per lo più di non intromettersi nelle questioni «francesi», per non provocare incidenti tra le truppe, molteplici sono però le testimonianze nei rapporti militari;
   questi i comuni e le zone maggiormente colpite dalle terribili violenze: Acquafondata, Albanova, Amaseno, Aquino, Ausonia, Capizzi, Capodimele, Capodivieri, Cardito, Carpineto Romano, Castel del Piano, Castelnuovo Parano, Castro dei Volsci, Ceccano, Cerasola Polega, Cervaro, Coreno Ausonio, Crispano, Esperia, Falvaterra, Farneta, Galluccio, Giuliano di Roma, Lanuvio, Lenola, Marciana, Marina di Campo, Montefiascone, Monteroni d'Arbia, Morolo, Nusco, Pastena, Patrica, Pico, Pignataro, Piscinola, Poggibonsi, Pontecorvo, Porto Ferraio, Porto Longone, Roccamonfina, S. Ambrogio, S. Andrea, S. Apollinare, S. Elia F. Rapido, S. Giorgio a Liri, S. Giovanni Incarico, S. Maria la Fossa, S. Vittore nel Lazio, S. Quirico, San Giuliano di Teano, San Leucio, San Lorenzello, Sant'Agata dei Goti, Sant'Angelo, Sgurgola, Sociville, Spigno, Supino, Tavernelle, Teano, Vallecorsa, Vallemaio, Vallerotonda, Villa S. Stefano, Viticuso;
   al termine di questa avanzata, furono più di 60.000 le vittime che ebbero il coraggio di denunciare le atrocità subite, ma si deve considerare che molte non lo fecero per non venire additate dalla morale dell'epoca ed essere marchiate per sempre, è quanto segnalò, per esempio, il questore di Latina (allora Littoria) in una relazione trasmessa al Comando generale Alleato il 10 agosto 1944 nella quale vennero resi noti i fatti avvenuti e raccolti da un'apposita commissione della regia questura;
   il 28 maggio 1944, intanto, anche il Capo del Governo italiano, Pietro Badoglio, era stato informato di quando accaduto a mezzo di una nota del Capo di Stato Maggiore, stessa nota che poi era stata fatta pervenire al responsabile del governo militare alleato, generale Mac Farlane;
   il 10 luglio il nuovo Presidente del Consiglio italiano, Ivanoe Bonomi, indirizzò una lettera di protesta all'ammiraglio Ellery Stone, presidente della Commissione alleata di controllo, nella quale si lamentava la mancanza di provvedimenti per «le malefatte commesse dalle truppe marocchine», gli stupri avevano raggiunto un tale numero che, addirittura, la Pretura di Esperia aveva fatto stampare dei moduli per presentare le denunce e moduli simili si potevano trovare anche presso il comando francese;
   il 16 ottobre il Ministero degli esteri inviò un telegramma alla Presidenza del Consiglio dei ministri e, tra gli altri, anche alle rappresentanze diplomatiche italiane di Londra e Washington, nel quale si informava delle violenze avvenute ad opera dei soldati marocchini che «in qualunque ora del giorno e della notte» si erano dati a «violazioni carnali, ferimenti ed assassini, rapine e saccheggi»;
   rimane risibile il numero dei processi eseguiti a carico di coloro che si macchiarono di tali delitti, da parte dei tribunali francesi, 300 processi circa per 160 dibattimenti, con tutta probabilità a carico di persone tanto violente da rappresentare un vero e proprio pericolo;
   al termine del conflitto furono tantissime le richieste di indennizzo presentate dalle donne violentate, i francesi iniziarono a pagare fino ad un massimo di 150.000 lire ma dall'agosto del 1947 i pagamenti vennero bloccati e intervenne il governo italiano, stornando i fondi dai 30 miliardi che si sarebbero dovuti corrispondere alla Francia come riparazione di guerra, non si riuscì, invece, a concedere pensioni come vittime civili di guerra anche perché la legge n. 648 del 1950 vietava il cumulo dei due benefici, tra i requisiti richiesti dalla normativa, oltre alle naturali visite mediche, anche la dimostrazione della buona condotta morale, certificata dalla locale caserma dei carabinieri;
   anche in Parlamento, il 7 aprile 1952, nella seduta notturna, il dibattito promosso dalla deputate comuniste fu molto acceso ma non approdò a risultati concreti, infatti la deputata Maria Maddalena Rossi che aveva presentato un'interpellanza (n. 637) sulla liquidazione delle pensioni di indennizzo alle donne della zona di Cassino che subirono violenza dalle truppe marocchine della V Armata, dichiarò che le risposte date dal sottosegretario di Stato per il Tesoro erano insoddisfacenti e formali, in particolare la deputata si scagliò contro il paragone agli altri risarcimenti di guerra «... Nessuna pensione di guerra potrà mai risarcire né vecchie né giovani per ciò che hanno subito, nessun indennizzo potrà mai ricompensarle di ciò che hanno perduto.»;
   nella XIII legislatura i senatori Magliocchetti e Bonatesta, presentarono un disegno di legge «Norme in favore delle vittime di violenze carnali» (A.S. 1081), che era proprio per le vittime delle «marocchinate», ma l'atto non è mai arrivato alla discussione in Commissione, e infatti per comprendere gli ostacoli di ordine giuridico che impediscono alle vittime di cui sopra di ottenere soddisfazione ci si deve riferire alle sentenze pronunciate in merito dalla Corte costituzionale e delle decisioni adottate dalla Corte dei conti;
   con la sentenza n. 561 del 18 dicembre 1987, la Corte costituzionale, pronunciandosi sulla materia in questione, in seguito al ricorso proposto da una delle vittime di cui sopra, dichiarava – l'illegittimità costituzionale della normativa pensionistica in vigore nella parte in cui non prevede un trattamento pensionistico di guerra anche per i danni non patrimoniali patiti dalle vittime di violenze carnali consumate in occasione di eventi bellici;
   l'anno successivo, il ricorrente promuoveva nuovo ricorso alla Corte dei conti, la quale accogliendo l'istanza, ordinava il rinvio degli atti al Ministero del tesoro perché provvedesse alla liquidazione di un trattamento pensionistico rapportato all'entità del danno; la direzione generale delle pensioni di guerra del Ministero del tesoro eccepiva che la decisione della Corte dei conti, ancorché legittima, era inapplicabile, in quanto, nell'ordinamento pensionistico manca un'apposita norma che sancisca la risarcibilità del danno morale, rinviando la liquidazione della pensione di invalidità civile ad una apposita disciplina adottata con legge che preveda termini e modalità per quantificare le fattispecie in esame;
   così, anche il Comitato di liquidazione per le pensioni di guerra ha ribadito che l'autorità amministrativa non può agire se non previo intervento del legislatore ordinario, ma questo intervento non è mai stato fatto;
   l'ultimo riconoscimento di pensione di guerra per una vittima delle «marocchinate» è stato attribuito nel 2015 ad una signora di 95 anni, ogni vittima ha dovuto combattere anche contro un sistema di burocrazia e negazionismo per vedersi riconosciuto un diritto;
   il 28 marzo del 2000, l'onorevole Burani Procaccini discusse in Aula il suo ordine del giorno (n. 9/6698/1), all'A.C. 6698 «Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti», nel quale impegnava il Governo affinché venisse riconosciuto un giorno della memoria anche per le vittime delle «marocchinate»; purtroppo venne dichiarato inammissibile per materia;
   alcuni comuni ricevettero le medaglie al merito civile: Esperia e Lenola ebbero la medaglia d'oro: «....Con l'arrivo degli alleati il paese subì, poi, una serie impressionante di furti, omicidi e saccheggi e dovette registrare più di settecento atti di efferata violenza su donne, ragazze e bambini da parte delle truppe marocchine» e «Con l'arrivo degli alleati il paese dovette registrare centinaia di atti di efferata violenza su donne e uomini da parte delle truppe marocchine;»; Castro dei Volsci, Ceccano, Campodimele, Pofi e Spigno Saturnia ebbero la medaglia d'argento al merito civile con le stesse declinazioni;
   in tutta la nazione, nei libri di scuola o semplicemente nelle piazze o nelle vie delle città, non c’è traccia di queste vittime della seconda guerra mondiale, sono pochi i comuni o le province che hanno approvato mozioni per intitolare a loro vie o parchi, ma manca sicuramente del tutto un riconoscimento a livello nazionale ma soprattutto un riconoscimento storico;
   come per le Foibe e l'esodo di 350 mila giuliani, fiumani e dalmati tra il 1943 e il 1946, le oltre 60 mila violenze ed i 1000 omicidi da parte dei goumier sono stati sacrificati dalla storia per non offuscare quello che gli alleati avevano ottenuto, per più di mezzo secolo pregiudizi e veti incrociati hanno impedito di parlare di quella immane tragedia;
   ancora oggi non manca chi, in Francia, nega l'accaduto, riportandola come voce infondata generata dall'alto numero delle donne italiane che si prostituivano per le truppe alleate;
   per quanto riguarda il riconoscimento delle «marocchinate» a crimini di guerra, si può risalire alla pietra miliare della codificazione dei crimini di guerra che è dovuta a Francis Lieber, e anche se in origine avrebbe dovuto essere limitato all'ambito territoriale statunitense, in realtà il Lieber Code venne poi assunto come modello dalle potenze europee (Prussia, Paesi Bassi, Francia, Russia, Spagna, Gran Bretagna) per la sistemazione delle leggi di guerra, inoltre fornì una solida base per le due Convenzioni, internazionali questa volta, dell'Aja sulla protezione dei civili in tempo di guerra, del 1899 e 1907, in cui vi fu l'espressione della Clausola Martens, espressione di ciò che verrà successivamente inteso come crimine contro l'umanità, in cui nella quarta Convenzione dell'Aja vi è la parte più significativa per la repressione dei crimini sessuali, l'Articolo XLVI ammonisce ancora sul rispetto del summenzionato « family honor» insieme con i diritti e la vita delle persone;
   giova ricordare che il 31 gennaio 1946 fu siglata a Berlino, dalle quattro potenze alleate, la Control Council Law, che imponeva di perseguire i criminali di guerra nelle zone di occupazione, l'articolo 2 del CCL delinea il suo ambito di applicazione: (a)Crimini contro la pace, (b)Crimini di guerra, ambedue le categorie rispecchiano le prime due lettere dell'articolo 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga, la parte interessante è racchiusa dalla lettera (c): Crimini contro l'Umanità, «atrocità commesse, incluse ma non limitate a omicidio, sterminio, schiavitù, deportazione, segregazione, tortura, stupro, o altri atti inumani commessi contro un popolo ... siano o meno in violazione delle leggi nazionali»;
   nella convenzione firmata a Ginevra il 12 agosto del 1949, la «Convention (IV) relative to the protection of civilian persons in time of war», preposta alla tutela dei civili in tempo di guerra, all'articolo 27 è specificato che «le donne debbano essere protette specificamente contro qualsiasi attacco all'onore, in particolare contro lo stupro, prostituzione forzata e ogni altra forma di assalto indecente», le convenzioni saranno ulteriormente completate da due Protocolli, il primo applicabile ai conflitti di carattere internazionale e il secondo a quelli interni, che ugualmente riserveranno particolare ed esplicito interesse alla violenza sessuale;
   quanto nei precedenti tre paragrafi per sottolineare il fatto che quanto successo nelle «marocchinate» potrebbe essere benissimo portato per gli interroganti dallo Stato Italiano alla Corte dell'Aja per crimini contro l'umanità; il Tribunale internazionale ha il potere di perseguire chi sia responsabile per i predetti crimini quando commessi durante un conflitto armato, sia di carattere internazionale che interno, e diretti contro la popolazione civile, «I crimini contro l'umanità furono riconosciuti per la prima volta nello Statuto del Tribunale di Norimberga, poi nella Control Council law n. 10. I crimini contro l'umanità devono essere diretti contro la popolazione civile e sono proibiti a prescindere se siano commessi in un conflitto armato, di carattere internazionale o interno»;
   l’International Criminal Tribunal for the former Jugoslavia, che si occupò degli eventi tragici avvenuti nell'ex Iugoslavia, riconobbe che la caratteristica imprescindibile dei crimini contro l'umanità risiede nella loro dimensione collettiva, «L'enfasi non è sulla vittima individuale, ma piuttosto sulla collettività. Il singolo è vittimizzato non per le sue caratteristiche individuali ma per la sua appartenenza alla popolazione civile che è presa di mira.», l'altro punto focale per la determinazione dei crimini contro l'umanità risiede nella diffusione o sistematicità dei crimini, riferendosi al Draft Code della International Law Commission, il Collegio ribadì che il primo requisito richiede che gli atti inumani siano commessi in maniera sistematica, vale a dire in ottemperanza ad un piano o linea di condotta precostituiti, il secondo requisito, in alternativa al primo, richiede che gli atti siano commessi su larga scala, diretti contro una molteplicità di vittime;
   quanto descritto nel paragrafo precedente, ricalca pienamente quanto avvenne dalla Sicilia alla Toscana, nel momento della liberazione, da parte delle truppe dei goumier;
   un'ultima testimonianza, questa volta non politica, di quanto avvenne in quegli anni ci arriva dal libro di Alberto Moravia del 1957 «La Ciociara», da cui poi fu tratto l'omonimo film nel 1960, con cui Vittorio De Sica portò sul grande schermo la storia di una delle tante violenze sessuali perpetrate da soldati marocchini accadute nel basso Lazio nel 1944 e che valse l'Oscar a Sofia Loren;
   sono ormai decenni che l'Associazione nazionale vittime delle marocchinate (A.N.V.M.), combatte per ottenere un riconoscimento storico di quanto accaduto e contestualmente negli anni ha contribuito alla raccolta di tutti i dati necessari all'emergere dei fatti, l'obiettivo del lavoro dell'associazione, non è quello di stigmatizzare un gruppo etnico, ma prima di tutto un gesto politico, nel far si che la Francia riconosca l'esistenza di questi stupri e che questi vengano inseriti nella storia della liberazione e nei libri di storia in modo che le vittime vangano ricordate –:
   quali iniziative intenda porre in essere il Governo per divulgare le conoscenze di quelle pagine di storia inerenti gli episodi sopra descritti, pagine finora offuscate tanto da far ipotizzare una sorta di negazionismo, così come era avvenuto per le foibe;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per dedicare una giornata, a livello nazionale, in onore di tutti i civili che subirono quegli atti di violenza ricadenti sotto il nome di «marocchinate»;
   se il Governo non ritenga opportuno valutar un'iniziativa a livello internazionale per ottemperare a quella richiesta di giustizia mai soddisfatta, per chi, pensando di andare incontro ai salvatori si è visto togliere tutto, ma più di tutto la dignità e la vita. (4-13261)


   FURNARI, CIVATI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CRISTIAN IANNUZZI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni, la Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo ha iniziato un procedimento contro il Governo italiano con l'accusa di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni dell'Ilva. La Corte ha ritenuto sufficientemente fondate, in via preliminare, le prove presentate dove si ritiene l'Esecutivo responsabile di non aver operato per garantire la salute pubblica consentendo all'Ilva di continuare a lavorare ed emettere sostanze ritenute inquinanti e nocive per la salute. Si è così aperto il procedimento contro lo Stato italiano la cui comunicazione, del 27 aprile 2016 resa nota il 17 maggio, invita l'Italia a predisporre la difesa. L'organismo di Strasburgo ha accolto e accorpato le due diverse denunce presentate rispettivamente il 29 luglio 2013 e il 21 ottobre 2015: la prima denuncia contro il Governo è firmata da 52 cittadini di Taranto, la seconda da altri 130 cittadini, per un totale di 182 persone;
   nel testo, i ricorrenti affermano che lo Stato ha violato il loro diritto alla vita, all'integrità psico-fisica e al rispetto della vita privata e familiare e che in Italia non possono beneficiare di alcun rimedio effettivo per vedersi riconoscere queste violazioni. Ancora, nel ricorso, i cittadini di Taranto sostengono che «lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l'ambiente e la loro salute, in particolare alla luce dei risultati del rapporto redatto nel quadro della procedura di sequestro conservativo e dei rapporti Sentieri». In altre parole, si paventa un vero e proprio danno sanitario gravissimo, le cui conseguenze epidemiologiche sono ben riscontrabili nelle indagini effettuate in questi anni. Le autorità nazionali e locali, secondo l'accusa, hanno omesso di predispone un quadro normativo ed amministrativo idoneo a prevenire e ridurre gli effetti gravemente pregiudizievoli derivanti dal grave e persistente inquinamento prodotto dal complesso dell'Ilva. I ricorrenti contestano inoltre al Governo il fatto di aver autorizzato la continuazione delle attività del polo siderurgico attraverso i cosiddetti decreti salva Ilva.
   è utile all'uopo ricordare che la Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale sulle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 3 della legge 24 dicembre 2012, n. 231 conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) – recte, degli artt. 1 e 3 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale), come convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge n. 231 del 2012, ha avuto modo di sottolineare con la Sentenza n. 85/2013 che: «.....La stessa norma, piuttosto, traccia un percorso di risanamento ambientale ispirato al bilanciamento tra la tutela dei beni indicati e quella dell'occupazione, cioè tra beni tutti corrispondenti a diritti costituzionalmente protetti. La deviazione da tale percorso, non dovuta a cause di forza maggiore, implica l'insorgenza di precise responsabilità penali, civili e amministrative, che le autorità competenti sono chiamate a far valere secondo le procedure ordinarie...... La ratio della disciplina censurata consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (articolo 32 Cost.), da cui deriva il diritto all'ambiente salubre, e al lavoro (articolo 4 Cost.), da cui deriva l'interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso.....Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012)»;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative intenzione abbia di adottare il Governo al fine di dare piena attuazione all'articolo 32 della Costituzione, per i cittadini di Taranto, nel suo aspetto più specifico e cioè intendendo il diritto alla salute come la situazione di benessere psico-fisico in senso ampio con cui s'identifica il bene «salute» e che si traduce nella tutela costituzionale dell'integrità psico-fisica, del diritto ad un ambiente salubre;
   quali iniziative abbia intenzione di assumere il Governo affinché il combinato disposto dell'articolo 2 della Costituzione, per cui il diritto alla salute è inteso come diritto sociale fondamentale e dell'articolo 3, per cui esso è intimamente connesso al valore della dignità umana, sia pienamente attuato dal momento che è compito dello Stato, per realizzare la protezione dell'integrità psico-fisica o la salubrità dell'ambiente, quello di impegnarsi «negativamente»; ossia astenersi da azioni che comporterebbero la lesione di tali diritti. (4-13264)


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a causa del contrasto sorto tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in merito alla valutazione ambientale dell'Autostrada Cispadana, la pronuncia di compatibilità ambientale sul progetto definitivo dell'Autostrada è stata deferita al Consiglio dei ministri, in attuazione della procedura ex articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge n. 400 del 1988;
   il Consiglio dei ministri, con delibera del 10 febbraio 2016, ha modificato il tracciato originario della Cispadana individuando le soluzioni progettuali che potrebbero superare il dissenso tra i due Ministeri, ed in particolare le criticità evidenziate da parte della soprintendenza archeologica per l'interferenza con il sito archeologico del Castrum di Novi di Modena, e da parte della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per l'interferenza con l'attraversamento del Panaro e del «sistema dei terreni delle Partecipazione Agraria di Cento»;
   il nuovo tracciato, come deliberato dal Consiglio dei ministri, passa al di fuori dell'area tutelata e riconosciuta di notevole pregio paesaggistico della «Partecipanza Agraria», ma a ridosso dell'abitato di Alberone, frazione di Cento (FE), ad alcune centinaia di metri dal centro abitato;
   tale ipotesi, oltre a provocare impatti aggiuntivi e significativi di inquinamento acustico e atmosferico e danni alla salute dei cittadini di Alberone, creerebbe anche sperpero del denaro pubblico, ritenuto inaccettabile dall'interrogante, in quanto provocherebbe la demolizione di una serie di edifici appena ristrutturati e ultimati con le risorse della ricostruzione del terremoto del 2012;
   in particolare il signor Franco Bastia, abitante di Alberone di Cento, dopo 4 anni di abitazione con la sua famiglia in una costruzione mobile di soli 20 metri quadrati, ha finalmente ricevuto, proprio nei giorni scorsi, la comunicazione della ditta Domus Gaia di Udine circa la imminente agibilità della nuova abitazione costruita con i contributi della ricostruzione posterremoto; ma la gioia è durata pochissimo, perché subito dopo è arrivata la comunicazione della società ARC, la società Autostrada regionale Cispadana, che comunicava la decisione dello spostamento del tracciato dell'Autostrada e la necessità di demolire l'abitazione appena ultimata;
   da quanto si apprende dai giornali, la regione Emilia Romagna ha stanziato 511.498,15 euro per la ricostruzione della casa del signor Bastia; allo stesso modo una serie di altri fabbricati appena ricostruiti devono essere demoliti in quanto l'infrastruttura non era prevista in questa area che si trova in piena zona di ricostruzione; pertanto, a ricostruzione ancora non completata, decisioni inaspettate arrivate dall'alto mettono in discussione e smantellano gli interventi posterremoto;
   l'interrogante non ritiene che la soluzione approvata dal Consiglio dei ministri, nonostante sembri risolvere questioni paesaggistiche, possa risolvere anche i problemi della zona; comunque, si tratta di una soluzione che crea disagi e difficoltà ai cittadini di Alberone, oltre a mettere in imbarazzo l'amministrazione pubblica, di fronte alla collettività e ai cittadini che pagano le tasse, per lo sperpero di risorse pubbliche a giudizio dell'interrogante provocherebbe –:
   se il Governo non intenda evitare lo sperpero di risorse pubbliche che creerebbe il nuovo tracciato della Cispadana nell'area di Alberone e comunque adottare iniziative, per quanto di competenza, che possano risolvere gravi problemi che il nuovo tracciato creerebbe a cittadini già duramente provati dal terremoto del 2012, come il caso del signor Bastia citato in premessa. (4-13265)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO, MATARRESE, MONCHIERO, OLIARO, VEZZALI, CATANIA, VARGIU e FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Umbria, il cuore verde d'Italia, dopo trent'anni di loschi silenzi, scopre all'improvviso di avere la sua «terra dei fuochi»;
   il dato preoccupante è che la terra dei fuochi dell'Umbria non è in un'area circoscritta attorno a un'unica zona, ma è diffusa sul territorio che risulta, così, profondamente sfigurato;
   si trova, infatti, dentro e attorno alle discariche attive e non più attive dalla metà del secolo scorso;
   stando alle dichiarazioni del presidente della commissione di inchiesta sui rifiuti suffragate dai risultati delle analisi compiute dall'Arpa, l'Agenzia regionale di protezione ambientale, in 108 punti dei terreni nelle vicinanze delle discariche è stata accertata la presenza di sostanze altamente inquinanti come fanghi di scarti industriali e trielina;
   nella Valnestore si contano, stando almeno alle dichiarazioni ufficiali, quattro milioni di metri cubi di ceneri sotterrate negli anni;
   una situazione che, nel corso degli ultimi cinquant'anni, sarebbe finita per danneggiare anche molte falde acquifere della regione: nell'area centrale si conta, infatti, per quanto non accessibile e non visibile dalla strada, ma ben conosciuto dagli abitanti della zona, un «lago nero», dalle acque di color antracite e privo di fauna ittica;
   questo è quanto emerge dalla commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che, poco tempo fa, ha fatto tappa nella regione, prima a Terni, poi a Perugia e Orvieto, per fare il punto sulle indagini scattate sulla gestione dei rifiuti in Umbria;
   una gestione, tra l'altro, sulla quale potrebbe aver allungato le mani una criminalità di stampo mafioso;
   aspetto non trascurabile è poi quello relativo all'aumento di tumori e altre gravi patologie registratosi negli ultimi anni nella regione Umbria, altamente imputabile alla presenza di tali sostanze tossiche sul territorio: nella mappa interattiva del Registro tumori umbro di popolazione (Rtup), nel periodo compreso tra il 2004 e il 2011, il territorio compreso tra le frazioni di Pietrafitta e Tavernelle (Panicale) e il capoluogo di Piegaro, per i nuovi casi di tumore, si tinge di rosso;
   si tratta di un dato per il quale è al momento impossibile stabilire una correlazione legata a fattori ambientali ma comunque difficile da smentire, perché parla chiaro e forte e si fa largo tra i tantissimi cittadini che, giustamente preoccupati, chiedono certezze per la loro salute;
   non bisogna infatti dimenticare che nel novembre 2015 è stata inviata una mail al sindaco di Piegaro, Roberto Ferricelli, nella quale era scritto «Pietrafitta è un paese di 800 persone ed ogni anno abbiamo tra uno e due casi di insorgenza tumore. (...) Ricordiamo tutti le pagine inquietanti della vallata che parlano di emissioni o di gestione di rifiuti con operazioni che hanno modificato anche la morfologia del territorio. Perché non chiediamo e promuoviamo un'indagine ? Se poi scopriremo che i dati della vallata sono in linea con la media nazionale staremmo tutti più tranquilli. Se scopriamo che così non è, invece, chiediamo un'indagine sulle possibili fonti nocive»;
   l'indagine è stata fatta, tutto il territorio è sotto inchiesta e coperto da segreto istruttorio, ma trapela un primo allarmante risultato: è stata rilevata una quantità di arsenico di 19,8 microgrammi per litro quando il limite consentito è, invece, pari a 10 ed ecco perché, dopo apposita segnalazione di Arpa e Usl, il comune di Panicale ha vergato l'ordinanza che fissa il divieto di uso potabile del pozzo degli impianti sportivi di Tavernelle, impianti che insistono su un deposito di ceneri da carbone provenienti dalla centrale di La Spezia che furono mischiate a quelle della lignite bruciata nella centrale-Enel di Pietrafitta;
   dell'ex centrale Enel di Pietrafitta, inoltre, non restano che ruderi e degrado: quando è stata dismessa è stata acquistata dalla Valnestore Sviluppo con l'idea di creare un polo di eccellenza sulle energie rinnovabili;
   oggi, di quel progetto, non rimane più nulla: palazzine in crollo, edifici in degrado ed è ancora visibile l'area dove venivano stoccati i rifiuti speciali e pericolosi;
   siamo sicuramente di fronte a chiari indizi di come questo territorio è stato sottoposto a fortissimi rischi ambientali, senza un definitivo riassetto dei luoghi al termine di quelle attività, con potenziali pericolosi effetti sulla salute;
   si moltiplicano, dunque, le sottoscrizioni del comitato «Soltanto la salute» voluto con vigore dai cittadini e pronto a mettere in campo anche analisi private sullo stato dell'ambiente del Valnestore per rivendicare i diritti delle persone colpite da gravi patologie e per evitare il diffondersi del tasso tumorale –:
   quali iniziative di competenza il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda assumere, anche per il tramite del comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente, per avviare, tempestivamente, analisi approfondite al fine di comprendere l'esattezza dei confini di questo grave danno ambientale e, soprattutto, al fine di provvedere alla messa in sicurezza dei siti danneggiati, così da restituire al territorio l'immagine di alto pregio ambientale che le appartiene;
   quali iniziative di competenza intenda assumere affinché siano introdotte, o migliorate, le procedure di controllo e vigilanza sul ciclo del recupero e dello smaltimento dei rifiuti onde evitare il ripetersi di tali spiacevoli e gravissimi episodi così da colmare una situazione di vuoto normativo che si è perpetuato per troppi anni in tema di smaltimento;
   come intendano attivarsi i Ministri interrogati, per quanto di competenza e anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, affinché vengano effettuate accurate ed approfondite analisi al fine di rilevare il grado di tossicità delle falde per il temuto collegamento con l'incidenza dei tumori nella stessa zona, circoscrivendo le aree particolarmente toccate dal fenomeno inquinante, onde evitare che, gli ignari privati, continuino a coltivare terreni al di sotto dei quali si celano gravi pericoli per la salute umana. (3-02272)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 5 febbraio 1998 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare recante le cosiddette «procedure semplificate» per la gestione dei rifiuti, al punto 12.16 (fanghi di trattamento acque reflue industriali) include tra la «Tipologia» dei rifiuti provenienti da industria chimica, automotoristica, petrolifera, metalmeccanica, petrolchimica, metallurgica e siderurgica anche il rifiuto identificato nel catalogo europeo dei rifiuti al Codice 06 15 03;
   in realtà il CER 06 15 03 non esiste nel catalogo europeo dei rifiuti, né è mai esistito neppure in ogni sua precedente versione;
   nel catalogo europeo dei rifiuti risulta invece il CER 06 05 03 corrispondente alla descrizione «fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, diversi da quelli di cui al punto 06 05 02» e assolutamente pertinente con gli altri di cui al citato punto 12.16;
   appare chiaro che il legislatore, nell'atto di redazione del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, ha compiuto un palese errore materiale: anziché il CER 061503 avrebbe dovuto indicare il CER 060503;
   ad oggi non risulta che siano stati adottati atti correttivi dell'errore e pertanto le imprese, che pure hanno l'iscrizione al recupero semplificato per la Tipologia 12.16 del citato decreto ministeriale 5 febbraio 1998 e che sono tecnicamente in grado di accogliere nei propri impianti il rifiuto «fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, diversi da quelli di cui al punto 060502» (CER 060503), non possono in realtà accettarlo non essendo a ciò formalmente autorizzate;
   in sostanza, un mero errore formale comporta un forte pregiudizio ad attività economiche indirizzate al recupero di materia che per trattare quel rifiuto dovrebbero ricorrere all'autorizzazione ai sensi degli articoli 208 e seguenti del decreto legislativo, n. 152 del 2006, con rilevanti oneri istruttori, prestazione di garanzie finanziarie e altro;
   appare perciò opportuno un intervento correttivo del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per eliminare l'errore relativo al decreto ministeriale 5 febbraio 1998 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato e se intenda porvi con urgenza rimedio. (5-08737)


   BURTONE e BATTAGLIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dagli organi di informazione che la popolazione dei cinghiali, sulla base del censimento redatto dalli Osservatorio regionale degli habitat naturali, popolazioni faunistiche e biodiversità del dipartimento regionale all'ambiente della Basilicata, nel solo territorio lucano, sarebbe di 123 mila unità;
   in una regione di 574 mila abitanti ciò si traduce nel fatto che ogni 4 abitanti vi è un cinghiale;
   è un numero che desta preoccupazione soprattutto tra gli operatori del mondo agricolo e ormai non solo;
   il cinghiale, sia per le sue caratteristiche costitutive – arriva a pesare anche oltre i 100 chilogrammi – che per le sue abitudini alimentari, mette a serio rischio le colture agricole; infatti, rispetto al totale dei danni all'agricoltura causati da fauna selvatica, la percentuale ascrivibile al cinghiale è preponderante anche perché non vi è nessuna specie animale antagonista;
   va ricordato che, circa un secolo fa, i cinghiali si erano quasi estinti, ma poi furono reintrodotti in massa per favorire l'attività venatoria e addirittura negli anni ’60 furono importati esemplari provenienti dai Carpazi ancora più prolifici e forti di costituzione rispetto agli indigeni;
   nei parchi nazionali la gestione del cinghiale deve avvenire secondo le linee guida predisposte dall'Ispra per conto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che prevedono l'attuazione di misure ed interventi per il contenimento della specie;
   il territorio lucano vede la presenza di due importanti parchi nazionali che si estendono ampiamente sul territorio, quello del Pollino e quello dell'Appennino meridionale;
   ormai questi animali costituiscono un pericolo per l'ordine pubblico, mettendo a rischio anche l'incolumità di automobilisti e motociclisti lungo le strade lucane; addirittura i cinghiali si addentrano anche nei centri abitati;
   il numero degli ungulati e la loro pericolosità necessita di essere affrontata anche con il supporto delle istituzioni nazionali –:
    se e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, il Governo, in collaborazione con le regioni intenda assumere, in tempi rapidi, al fine di affrontare l'emergenza di cui in premessa, alla luce delle linee guida predisposte dall'Ispra, ma anche valutando in sede di conferenza Stato-regioni la possibilità di adottare buone pratiche in particolare per le aree non protette al fine di far fronte ad una situazione non più gestibile e che presenta elementi di assoluta criticità anche per la incolumità delle persone e non solo delle attività economiche. (5-08756)

Interrogazione a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da 26 anni i cittadini della città di Augusta attendono la realizzazione di un impianto di depurazione e di un collettore fognario efficiente che scarichi le acque reflue in un depuratore. Nonostante ciò ormai da anni i cittadini pagano un canone di depurazione che grava sulla bolletta dell'acqua;
   Augusta è ancora senza sistema di depurazione delle acque nonostante sia una città di circa 40 mila abitanti e rappresenti il centro più importante della provincia di Siracusa, ma anche del bacino del Sud-Est, dato confermato anche dal recente riconoscimento insieme con Catania per la Port Authority. Nonostante ciò nelle acque dei suoi 14 chilometri di litorale finiscono ben 31 scarichi fognari;
   il 26 marzo 2015 la Commissione europea ha inviato un «Parere motivato» all'Italia per violazioni sistematiche degli obblighi UE, sul miglioramento della raccolta e il trattamento delle acque reflue in una ventina di regioni tra le quali la Sicilia. In seguito al sollecito dell'Unione europea, nel mese di luglio 2015, il Presidente della Regione siciliana, su proposta del Governo nazionale, ha nominato l'allora assessore regionale del Territorio e Ambiente Vania Contraffatto, Commissario per i lavori di realizzazione del collettore fognario di Augusta, con il compito di completare l’iter per la dotazione di un sistema di depurazione. La nuova sanzione dell'Unione europea, pronta ad abbattersi sulla Regione Sicilia per questa inadempienza ammonta a 185 milioni di euro, se non verranno presi provvedimenti entro il 2016;
   l'urgenza di un commissario ad acta era stata ribadita da Presidente del Consiglio dei ministri già dal febbraio precedente, in seguito a una riunione sugli impianti di depurazione per la Sicilia e all'esistenza di una ingente somma inutilizzata, messa a disposizione dal Cipe (deliberazione 60/2012) che, per il superamento delle infrazioni europee, aveva stanziato 1,6 miliardi di euro per 183 opere urgentissime per reti fognarie e depuratori nel Sud Italia. Di questi, 1,1 miliardi assegnati alla Sicilia per 93 opere. Per il comune di Augusta erano destinati oltre 30 milioni di euro per la realizzazione del collettore fognario e previsti ben 12 interventi, con l'obiettivo precipuo di raccogliere e depurare tutti i reflui generati dal centro urbano di Augusta, dall'agglomerato urbano di Montetauro, dalla ex frazione di Brucoli e dalla ex frazione di Agnone Bagni. La nomina di un commissario era urgente anche per evitare che si verificasse una nuova pesante sanzione come nel 2012: all'epoca la Corte di giustizia dell'Unione europea aveva condannato 57 comuni siciliani (27 completamente sprovvisti di reti fognarie) per non aver rispettato gli articoli 3, 4 e 10 della Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane;
   la nomina del Commissario Contraffatto era stata vista positivamente dalla comunità augustea anche perché, oltre ad allontanare il rischio di una nuova procedura di infrazione europea, dopo decenni di attesa, faceva ben sperare nella realizzazione in tempi rapidi di un impianto di depurazione delle acque reflue, con tutto ciò che avrebbe comportato in termini di bonifica della rada del porto di Augusta e di mitigazione di rischio ambientale ed igienico-sanitario di un territorio già «provato» dalla vicinanza del Polo Petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli. Avrebbe dato, inoltre, opportunità per centinaia di nuovi posti di lavoro;
   il 2 agosto 2015 viene pubblicata la notizia della decisione del commissario Contraffatto di far partire come prioritari i progetti di Augusta e di Misterbianco. L'articolo prosegue aggiungendo che «L'amministrazione Di Pietro – il sindaco di Augusta – con il sostegno di tutta la deputazione regionale, nazionale ed europea, ha il compito di seguire l’iter che negli ultimi giorni ha avuto un impulso»;
   visti i gravi ritardi dell'Italia nel rispetto della direttiva 91/271/CEE, il 15 dicembre 2015 la Commissione europea ha comunicato al Governo italiano la sua intenzione a breve di propone alla Corte di giustizia europea l'importo di ulteriori sanzioni che l'Italia dovrà pagare, non avendo ancora risolto i problemi accertati dalla sentenza di condanna del 2012 («Inadempimento di uno Stato — Direttiva 91/271/CEE — Trattamento delle acque reflue urbane — Articoli 3, 4 e 10 — Rete fognaria Trattamento secondario o equivalente — impianti di trattamento — Campioni rappresentativi»);
   ad aprile 2016, da fonti di stampa si è appreso che «il Ministero dell'Economia vuole far pagare a 12 comuni siciliani le mesci multe comminate all'Italia dall'Unione europea per non avere effettuato le bonifiche delle discariche e la depurazione delle acque reflue. A causa dei mancati interventi a giugno 2015 era scattata la prima penale da 2,4 milioni di euro e a dicembre ne è arrivata un'altra di pari importo. Quindi la sanzione complessiva è di 4,8 milioni di euro che adesso il Governo nazionale vuole addebitare ai Comuni di Augusta, Priolo, San Filippo del Mela, Cammarata, Siculiana, Racalmuto, Leonforte, Paternò, Monreale, Mistretta e Cerda»;
   dalla nomina del commissario Contraffatto ad oggi ad Augusta non sono stati ancora avviati i lavori di realizzazione del collettore fognario e, da voci non confermate, si ritiene che l'allaccio della città di Augusta al depuratore non risulti percorribile;
   a gennaio 2016 viene pubblicata la notizia secondo la quale a comune di Augusta «dichiara di non avere ricevuto alcuna comunicazione da parte del Commissario, se non quella riguardante il verbale della riunione in cui si è notificato l'insediamento del nuovo Commissario, tra l'altro l'unica volta in cui l'assessore Contraffatto si è recata nel comune del Siracusano. Nonostante i fondi per il sistema – di depurazione siano accantonati da tempo così come sono pronti i relativi progetti, la realizzazione dell'opera è inspiegabilmente bloccata e non si prevedono tempi brevi» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare in che modo siano stati utilizzati fondi statali stanziati per gli scopi narrati in premessa e per evitare l'irrogazione di sanzioni da parte dell'Unione europea. (4-13271)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, all'articolo 16 ha disposto la trasformazione di Enit (Ente nazionale italiano del turismo) in ente pubblico economico, prevedendo la nomina di un commissario straordinario per l'attuazione della riforma e, in contemporanea, la messa in liquidazione della società Promuovi Italia S.p.a.;
   l'articolo 16, comma 2, stabilisce che l'Enit «nel perseguimento della missione di promozione del turismo, interviene per individuare, organizzare, promuovere e commercializzare i servizi turistici e culturali e per favorire la commercializzazione dei prodotti enogastronomici, tipici e artigianali in Italia e all'estero, con particolare riferimento agli investimenti nei mezzi digitali, nella piattaforma tecnologica e nella rete internet attraverso il potenziamento del portale Italia.it»;
   l'articolo 16, comma 8, specifica che «il Commissario (..) sentite le organizzazioni sindacali, adotta un piano di riorganizzazione del personale, individuando, compatibilmente con le disponibilità di bilancio, sulla base di requisiti oggettivi e in considerazione dei nuovi compiti dell'ENIT e anche della prioritaria esigenza di migliorare la digitalizzazione del settore turistico e delle attività promo-commerciali, la dotazione organica dell'ente come trasformato ai sensi del presente articolo, nonché le unità di personale in servizio presso ENIT e Promuovi Italia S.p.A. da assegnare all'ENIT come trasformata ai sensi del presente articolo. Il piano, inoltre, prevede la riorganizzazione, anche tramite soppressione, delle sedi estere di Enit»;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 maggio 2015, registrato alla Corte dei Conti il 29 maggio 2015, e adottato con delibera commissariale n.6 del 2015 è stato approvato il nuovo statuto di Enit;
   l'articolo 2, nel ridefinire le competenze di Enit, al comma 1, lettera a) recita: «curare la promozione all'estero dell'immagine turistica unitaria italiana e delle varie tipologie dell'offerta turistica nazionale, nonché la promozione integrata delle risorse turistiche delle Regioni, delle Province Autonome di Trento e Bolzano e, per il loro tramite, degli enti locali»; alla lettera f) «svolgere le attività attribuite dalla legge, dallo statuto e dai regolamenti con particolare utilizzazione di mezzi digitali, piattaforme tecnologiche e rete internet attraverso al gestione del portale "Italia.it", nonché di ogni altro strumento di comunicazione ritenuto opportuno» mentre alla lettera h) «attuare intese e forme di collaborazione con Enti pubblici e con gli Uffici della rete diplomatico-consolare del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, compresi gli Istituti di Cultura, secondo quanto previsto da appositi protocolli di intesa e con le altre sedi di rappresentanza italiana all'estero, anche ai sensi dell'articolo 1 della Legge 31 marzo 2005 n. 56»;
   in data 20 aprile 2016, da un'intervista pubblicata sul sito online Ttgitalia.com, Evelina Christillin, presidente di Enit, ha dichiarato che: «sull'estero è previsto il riassetto delle sedi, attualmente 28, che potranno contare su sinergie con le ambasciate (...). La mappatura delle sedi estere è rimasta agli anni ‘90. Non vogliamo spazzare via l'Europa, ma dare rilevanza maggiore alle nuove sedi in Cina, India ed Emirati»;
   per quanto riguarda il personale, dalla succitata intervista la Presidente Cristillin ha affermato che «dobbiamo sincronizzare gli avvicendamenti; non possiamo pagare stipendi a chi sta per andar via e a chi entrerà. A regime, i dirigenti scenderanno dagli 8 attuali a 5, mentre i dipendenti saranno all'incirca lo stesso numero di quelli attuali». La trasformazione di Enit in ente pubblico economico, ha portato una serie di contenziosi promossi dai dipendenti; attualmente sul sito di Enit (www.enit.it), nella sezione «struttura organizzativa articolazione degli uffici», è presente la descrizione dell'organigramma, ma non risultano chiari né la dotazione organica attuale, né la quantità e la professionalità del personale necessario;
   in data 17 maggio 2016, in un articolo pubblicato sul sito Agenzia di Viaggi (http://www.lagenziadiviaggi.it)2 vengono riportate le parole del direttore esecutivo dell'Enit, Gianni Bastianelli, pronunciate all'assemblea generale della Fiavet dove ha dichiarato che: «entro fine maggio il nostro social sarà a pieno regime con risorse in grado di mantenere un filo diretto con i viaggiatori e tutti coloro che vogliono raccogliere informazioni sui luoghi da visitare in Italia. Un canale indispensabile per intercettare nuove fasce di visitatori (...)». A parere dell'interrogante non risulterebbe chiaro se il direttore esecutivo di Enit, Bastianelli, abbia fatto riferimento al sito istituzionale Italia.it che, sebbene abbia avuto una storia travagliata, conta attualmente 81,800 follower su Twitter e 399.699 likes sulla pagina di Facebook, o ad altro social network. Risulta, altresì, poco chiaro se la gestione verrà affidata ad un soggetto esterno o sarà curata direttamente da Enit, assegnando un numero sufficiente e qualificato di personale interno allo scopo;
   nella medesima intervista, Bastianelli ha aggiunto che: «entro la fine dell'estate saremo in grado di presentare la nuova mappatura delle delegazioni all'estero. Come già annunciato dal presidente – dell'Enit, la nostra strategie sarà quella di potenziare le delegazioni già presenti nei nostri mercati di riferimento, dal Nord Europa (in particolare la Germania) agli Stati Uniti, approntando presidi nei mercati emergenti, come la Cina e altri paesi dell'Asia. Certo sarà indispensabile risolvere il problema dei visti, dal momento che le autorità cinesi hanno fortemente ridimensionato, ad esempio, le agenzie italiane accreditate all'ottenimento dei visti, passate da 200 a poco più di 25. Si tratta di un problema di non poco conto che impone attenzione da parte delle autorità italiane, in primis il Ministero degli Interni, e degli stessi operatori del settore»;
   a detta dell'interrogante, risulta quanto mai preoccupante che, a distanza di due anni dal decreto 31 maggio 2014, n. 83, ad un anno dall'approvazione dello statuto e a 7 mesi dall'insediamento del consiglio di amministrazione, Enit non risulti ancora operativa relativamente alle funzioni assegnate e siano necessari, secondo quanto annunciato, ancora diversi mesi per la riorganizzazione delle delegazioni estere –:
   se il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo intenda chiarire, secondo quali priorità Enit procederà alla riorganizzazione delle sedi estere e quali criteri verranno utilizzati per la selezione e l'individuazione del relativo personale;
   se si intenda definire le modalità di gestione e operatività del social network menzionato dal direttore esecutivo di Enit, Gianni Bastianelli, nell'intervista riportata in premessa;
   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano assumere in ordine alla risoluzione della problematica legata al rilascio dei visti di ingresso in Italia da parte della Repubblica Popolare Cinese di cui in premessa.
(4-13263)


   MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese, da anni, sta fronteggiando una crisi economica e sociale molto pesante e rischiosa, e sono diversi i comparti produttivi in ginocchio. Tra questi, nel disinteresse totale sia dei mass media, sia degli amministratori pubblici, ci sono tante famiglie italiane, operatori dello spettacolo viaggiante, un popolo di circa 80 mila lavoratori formati, secondo gli ultimi censimenti, che sono particolarmente penalizzati dalla crisi economica e particolarmente vessati dalla crescente burocrazia e dalle tasse locali;
   sono circa 200 le imprese operanti in Italia nel settore dei cosiddetti parchi gioco, di cui il 65 per cento opera da oltre 20 anni, il 17,5 tra i 10 e i 20 anni di produzione e il rimanente 17,5 per cento ha meno di 10 anni di attività. Il 50 per cento delle aziende è formato per lo più da Piccole medie imprese – Pmi —, solo il 3 per cento occupa più di 50 addetti. L'industria per parchi divertimento coniuga fantasia a tecnologia, lavoro ad arte;
   il 37 per cento delle imprese esporta oltre il 60 per cento della propria produzione, con picchi che, in alcuni casi, arrivano a toccare la vetta del 90 per cento. Il 70 per cento delle aziende ha organizzato una significativa rete di outsourcing, mentre il restante 30 per cento completa il ciclo produttivo in azienda;
   nonostante sia complessa la produzione di attrezzature per parchi divertimenti, visti anche gli alti contenuti tecnologici di queste macchine speciali, le imprese di settore realizzano un primato per l'Italia a livello mondiale nell’export: circa 300 milioni annui con un livello occupazionale di circa 300 addetti diretti. Export fortemente sbilanciato poiché il mercato nazionale è estremamente depresso in considerazione delle complicate procedure amministrative autorizzative e degli alti costi della C.O.S.A.P. Canone per l'Occupazione degli spazi e delle aree pubbliche;
   oggi esportiamo attrezzature per parchi divertimento sia in paesi mai raggiunti dalla nostra manifattura, sia nelle grandi città come New York, Londra, Parigi, Copenaghen, Vienna e Mosca che considerano i loro parchi divertimento volano di riqualificazione di aree abbandonate e luoghi pubblici di aggregazione sociale e pertanto li tutelano e li finanziano. Si registra un diverso approccio, rispetto ai nostro Paese, nei confronti di un settore produttivo capace di coniugare il divertimento con la riscoperta della funzione sociale di queste attività, tra le più antiche e popolari forme di divertimento del mondo;
   nel nostro Paese sono considerati «spettacoli viaggianti» le attività spettacolari, trattenimenti e le attrazioni allestite a mezzo di attrezzature mobili, all'aperto o al chiuso, e i parchi permanenti, cioè le giostre, i luna park e i circhi. L'elenco dettagliato di tale attività previsto dall'articolo 4 della legge 18 marzo 1968, n. 337, è periodicamente aggiornato dal Ministro dell'interno con proprio decreto, l'ultimo è del 19 gennaio 2015;
   per esercitare l'attività di spettacolo viaggiante è necessario possedere la licenza nazionale all'esercizio di spettacolo viaggiante;
   l'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, attribuisce ai comuni la facoltà di istituire con regolamento il canone per l'occupazione degli spazi e delle aree pubbliche – C.O.S.A.P. – e pertanto le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni concernenti le attività di spettacolo viaggiante vanno presentate per via telematica al S.U.A.P. del comune interessato attraverso le presentazione di una S.C.I.A. – segnalazione certificata di inizio attività – presso gli uffici comunali competenti;
   prima del rilascio della concessione di suolo pubblico il richiedente deve costituire un deposito cauzionale infruttifero. Il Canone per l'occupazione del suolo pubblico (Cosap) è commisurato, sulla base di un'apposita tariffa: a) all'oggetto dell'occupazione; b) alla categoria dell'area sulla quale si realizza l'occupazione; c) alla superficie occupata; d) alla durata dell'occupazione;
   diritti di segreteria, marche da bollo e tassa smaltimento rifiuti;
   negli ultimi anni è aumentato il costo del suolo pubblico, della posa, e se una volta si pagava solo lo spazio occupato, oggi si paga anche quello occupato dalle roulotte e dai camion;
   nonostante la legge n. 337 del 1968 prevedeva che i comuni individuassero idonee aree attrezzate, oggi, a distanza di mezzo secolo, il 40 per cento dei comuni non ha ancora i regolamenti e il 60 per cento non ha nemmeno individuate le aree idonee;
   il decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 23 maggio 2003 stabilisce i criteri e le modalità per l'erogazione di contributi in favore delle attività di spettacolo viaggiante, ma il suo budget viene ogni anno reso sempre più esiguo –:
   quali interventi urgenti i Ministri intendano adottare al fine rilanciare un settore produttivo così particolare del nostro tessuto produttivo, conosciuto e apprezzato all'estero, ma abbandonato a se stesso nel nostro Paese anche utilizzando gli strumenti economici previsti dal decreto del Ministro per i beni e le attività culturali del 23 maggio 2003 che stabilisce i criteri e le modalità per l'erogazione di contributi in favore delle attività di spettacolo viaggiante;
   se non ritengano di dover adottare ogni iniziativa di competenza affinché procedure burocratiche e costi così palesemente elevati – Cosap – non affossino definitivamente il settore delle attività di spettacolo viaggiante, anche tendendo in debito conto la stagione estiva in arrivo, forse capace, dopo tanti anni di crisi, di dare un po’ di respiro alle tante imprese che operano sul nostro territorio. (4-13267)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   DURANTI, MARCON, SCOTTO, PIRAS, PALAZZOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PANNARALE, PELLEGRINO, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 20 dicembre 2014 il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, e il Ministro della difesa della Repubblica Araba d'Egitto, generale Sedki Sobhi, hanno siglato una dichiarazione congiunta in materia di cooperazione tecnico-militare;
   tale dichiarazione che ha avviato concrete attività di cooperazione nel campo militare come l'addestramento delle forze militari egiziane e il rifornimento dei componenti dei sistemi d'arma non risulta ancora aver seguito la stipula del previsto accordo intergovernativo nel campo della difesa e dell’import-export dei sistemi d'arma;
   secondo la relazione annuale del Governo sull’export militare italiano da poco trasmessa al Parlamento nel 2015 risultano autorizzate vendite all'Egitto per più di 37 milioni di euro;
   tale cifra segna un incremento di 5 milioni di euro rispetto all'ammontare autorizzato per l'anno 2014 e per lo più si riferisce ad armi di piccolo calibro, armi e sistemi d'arma di grosso calibro, munizioni, bombe, siluri, razzi, missili, agenti tossici, chimici, biologici, gas lacrimogeni, materiali radioattivi e aeromobili;
   sono numerosi i rapporti delle organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch che evidenziano la violazione sistematica dei diritti umani in Egitto così come è comprovata la partecipazione dell'Egitto all'operazione «tempesta decisiva» lanciata dall'Arabia Saudita nel marzo del 2015 per contrastare l'avanzata delle milizie del gruppo sciita Houti in Yemen;
   tale campagna ha provocato danni devastanti a 26 milioni di yemeniti, che faticano a sopravvivere in un Paese già di per sé povero, causando più di 6 mila morti. Secondo i dati dell'ONU 320 mila bambini di meno di cinque anni sono gravemente malnutriti e gli sfollati risultano essere oltre 2,4 milioni;
   le forze aeree egiziane sono intervenute a più riprese in Libia nel corso del 2014 e del 2015 per colpire le forze della fazione di Tripoli, schierandosi a supporto della fazione che faceva capo al Governo di Tobruk;
   nei primi due mesi del 2016 in Egitto sono stati accertati 88 casi di tortura; tra questi 8, tra cui il caso del connazionale Giulio Regeni, si sono conclusi con la morte della persona sottoposta a sevizie;
   tutti questi casi avvengono in conseguenza dell'applicazione della «legge anti proteste» entrata in vigore nel 2013 e che concede, di fatto, poteri illimitati alle forze di polizia e di sicurezza;
   complessivamente nel 2015 sono stati 464 i casi di sparizione e 1676 quelli di tortura accertati in Egitto;
   la legge n. 185 del 1990, recante «Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento», all'articolo 1, comma 1, sancisce che «L'esportazione, l'importazione ed il transito di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia»;
   in particolare, il comma 6, lettera a), della citata legge, vieta espressamente l'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento in relazione a Paesi in stato di conflitto e i cui Governi siano responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani;
   sostanzialmente, quindi, le autorizzazioni rilasciate per la vendita di materiale bellico all'Egitto si pongono in contrasto con la legge n. 185 del 1990 e avvengono per quello che agli interroganti appare un escamotage individuato nella dichiarazione congiunta del 2014, per cui addirittura, a differenza di quanto avvenuto con altri Paesi, non si è arrivati neppure ad un vero e proprio accordo nel campo della cooperazione militare;
   alla luce delle ripetute violazioni dei diritti umani da parte dell'Egitto e dell'assassinio di Giulio Regeni, secondo gli interroganti non ci può essere con il regime di Al Sisi alcuna cooperazione militare;
   non si può aiutare militarmente un regime che viola i diritti umani e che di fatto si oppone alla ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni. Ogni assistenza militare e qualsiasi fornitura di armi al regime egiziano deve essere sospesa immediatamente;
   un appello dal titolo «Verità per Giulio Regeni – Stop alla cooperazione militare dell'Italia con l'Egitto» è stato lanciato nei giorni scorsi, tra gli altri, dagli scrittori Stefano Bermi e Roberto Saviano, dagli attori Valerio Mastrandrea e Alice Rohrwacher, dal regista Andrea Segre e dal sottoscrittore del presente atto, Giulio Marcon, ed ha ricevuto già migliaia di sottoscrizioni –:
   quali siano precisamente e in che cosa consistano le attività di cooperazione, quali l'addestramento delle forze armate egiziane e l'assistenza per i sistemi d'arma, previste dalla dichiarazione congiunta del 20 dicembre 2014 e, in particolare, se il Ministro interrogato, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda assumere iniziative per la revoca di tale dichiarazione congiunta e, quindi, per la sospensione immediata di ogni assistenza militare e di qualsiasi fornitura di armi all'Egitto. (3-02271)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZO, FRUSONE, CORDA, BASILIO, MARZANA e CANCELLERI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella base navale di Augusta, per le varie linee di comando si ha la presenza di comando in capo della squadra mobile (CINCNAV) da cui dipende COMFORPAT (Comando Forze di Pattugliamento) da cui dipende il comando stazione navale di Augusta (MARISTANAV AU), e il comando logistico della marina militare (MARICOMLOG) da cui dipende MARISICILIA (comando marittimo Sicilia) da cui dipende l'arsenale militare di Augusta (MARINARSEN AU);
   MARISICILIA è stata oggetto di ristrutturazione nel corso del 2013-2014, centralizzando e riorganizzando diverse funzioni attribuite a vari enti presenti nella base di Augusta. Con ordine del giorno n. 135 del 31 marzo 2014 del Capo di Stato Maggiore della Marina, l'Arsenale viene posto alle dipendenze di MARISICILIA;
   con il decreto interministeriale del 13 luglio 1998, oltre a definirne le strutture arsenalizie, viene assegnato il compito di «mantenere in efficienza le unità ed i mezzi navali della Marina militare». Tale obiettivo può essere raggiunto o con il personale in dotazione organica dell'Arsenale o ricorrendo alle procedure contrattuali per l'acquisizione di beni e servizi necessari alle finalità predette. A tal uopo, lo stesso decreto utilizzando le regole della contabilità industriale, definisce l'aliquota di personale prevedendo il 70 per cento di manodopera diretta e 30 per cento di manodopera indiretta al fine del raggiungimento degli obiettivi di economicità, efficienza e efficacia peraltro l'amministrazione Difesa si è impegnata con la Corte dei Conti a ristabilire gli obiettivi di economicità mantenendo salda la proporzione «giusta delibera Corte dei Conti n. 22 del 2014»;
   MARISTANAV AU viene istituita nel 2014 con ordine del giorno n. 137 del 31 marzo 2014 del Capo di Stato Maggiore Marina unificando l'esistente MARIBASE AU e la direzione supporto diretto (DSD) di MARINARSEN AU, cui era assegnato il compito di programmare, eseguire e controllare le attività relative alla riparazione delle avarie sulle unità navali «pronte», attività che, considerate le dimensioni dell'Arsenale e le risorse disponibili (logistiche, strumentali, umane) venivano ovviamente svolte nel contesto di Marinarsen Augusta con il supporto tecnico/amministrativo degli altri elementi di organizzazione (EE.00.);
   entrambe le fasi di ristrutturazione sopra riportate hanno avuto e continuano ad avere notevole impatto sull'Arsenale di Augusta;
   la centralizzazione delle funzioni a MARISICILIA, sebbene in un'ottica condivisibile di razionalizzazione, ha da subito suscitato notevoli perplessità presso le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie di Marinarsen, in quanto tale accentramento avrebbe potuto generare, Uffici o Servizi «duplicati» tra MARISICILIA e MARINARSEN, con pericolosa riduzione del carico di lavoro per i dipendenti che in quest'ultimo si trovano ad operare, poiché sono stati accentrati a MARISICILIA i «compiti» ma non il personale che a MARINARSEN li svolgeva;
   ancor più preoccupante, a seguito dell'entrata in vigore della legge 31 dicembre 2012, n. 244, è stata l'istituzione di MARISTANAV, in quanto ha di fatto tolto a MARINARSEN un grande bacino di utenze, facendo definitivamente saltare le condizioni per le quali lo stabilimento potesse mantenere la capacità di operare secondo criteri di economica gestione, di fatto riducendo di circa 50 unità lavorative di manodopera diretta di MARINARSEN, attestando l'organico a 334 unità in spregio delle condizioni essenziali per il raggiungimento degli obiettivi e riducendo il rapporto tra manodopera diretta e indiretta;
   quanto alle unità navali «pronte», ed relativo carico di lavoro per i vari elementi di organizzazione ed in particolare per i reparti officine, appariva poco opportuno, per le dimensioni di MARINARSEN AUGUSTA, operare una simile ripartizione considerando, tra l'altro, che la ex DSD, attuale MARISTANAV SEN, non disponeva di risorse adeguate (in termini di officine, attrezzature e personale, soltanto 20 unità tecniche civili) per fare fronte alle esigenze lavorative se non con un massiccio ricorso all'industria privata;
   anche MARINARSEN AU, nel corso del 2015 è stato oggetto di ristrutturazione, con ridefinizione degli organigrammi e delle relative dotazioni organiche (a livello centrale), e la definizione di organigrammi di dettaglio e tabelle organiche (a livello periferico), con il confronto non sempre indolore tra l'Amministrazione e le parti sociali;
   il piano BRIN, che nelle intenzioni del Ministero della Difesa prevede la graduale ristrutturazione e l'ammodernamento degli stabilimenti di lavoro, è costato sinora 50 milioni di euro per l'Arsenale di Augusta, ove sono state consegnate la maggior parte delle officine, mentre altre sono ancora in lavorazione;
   è prevista la riapertura della storica «Scuola Allievi Operai» che molto dibattito sta alimentando all'interno delle organizzazioni sindacali e dell'intera comunità augustanese, allo scopo di rilanciare la formazione specialistica e, dunque, nuove possibilità occupazionali;
   ad Augusta oggi si assiste al continuo potenziamento della MARISTANAV AU, cui vengono destinate notevoli risorse economiche, nonché locali, officine, attrezzature e mezzi anche a discapito del MARINARSEN AU che sovente è chiamato a cedere, volente o nolente, proprie risorse (locali, automezzi, bacini, attrezzature, risorse umane e altro;
   è evidente la mancanza di un adeguato piano industriale per MARINARSEN AU, chiamato alla «reinternalizzazione» delle lavorazioni senza che siano chiaramente definiti gli obiettivi e vengano destinate le opportune risorse (finanziarie, infrastrutturali, tecniche, strumentali, umane, formazione, certificazioni e altro;
   non sembra essere chiara e definita la programmazione delle soste lavori delle unità navali da effettuarsi presso MARINARSEN AU e delle lavorazioni che si intende svolgere con manodopera arsenalizia;
   numerosissimo personale ex-militare passa all'impiego civile, generalmente inquadrato in 2o area e con profili tecnici, spesso con «fortissime limitazioni all'impiego» e senza reali competenze lavorative;
   è in atto un blocco del turn over del personale civile, specialmente tecnico e di 2o Area, che di fatto ha contribuito a rendere insignificante la capacità d'intervento dell'Arsenale con la propria forza lavoro;
   l'incremento della Tabella Organica non avviene con nuove assunzioni ma con l'inserimento di ulteriore personale ex-militare, di cui la maggior parte riqualificate in mansioni amministrative, alterando di fatto il naturale rapporto percentuale di personale tecnico ed amministrativo (70 per cento – 30 per cento);
   tale personale, peraltro disponibile, volenteroso e collaborativo, riempie posti in tabella organica senza che in realtà possa essere, spesso, pienamente impiegato (si riempiono gli organici delle officine con personale che spesso non può operare a bordo delle unità navali), senza considerare che non viene loro fornita adeguata formazione;
   risulta agli interroganti che sono in atto corsi di formazione dedicati esclusivamente a personale militare;
   dal 2010 al 2015 sono andate in pensione circa 50 unità di personale civile e nei prossimi cinque anni, dal 2016 al 2020, andranno in pensione circa ulteriori 60 unità a fronte di nuove assunzioni, dal 2010 al 2015, nell'ordine delle UNITÀ (14 – 5 trasferite = 9 unità) e nessuna previsione futura;
    in fine, è evidente che c’è una indeterminazione sui fondi che saranno assegnati per il 2016 a Marinarsen Augusta ed un programma dei lavori che non riesce a spingersi oltre l'anno in corso, prevedendo solo 1 unità in sosta lavori;
   da una analisi del piano delle performance 2016-2018 non si riscontrano elementi utili a cogliere le strategie future messe in atto rispetto alla situazione specifica dell'arsenale di Augusta –:
   quali iniziative si intendano e per garantire continuità alle strutture dell'Arsenale militare marittimo di Augusta;
   quali risorse finanziarie siano previste per l'avvio di un programma di formazione del personale civile o di quello militare transitante a ruoli civili, considerando anche che sarebbe auspicabile intervenire su personale che possa garantire attività per non meno di 15 anni;
   se intenda assumere iniziative per provvedere con urgenza ad un piano di turn over necessario ad evitare di perdere importanti profili di professionalità tecnica che fanno degli stabilimenti di Augusta un polo di eccellenza;
   se intenda dotare l'arsenale marittimo militare di Augusta (MARINARSEN AU) di un piano industriale a medio termine in grado di soddisfare le esigenze interne della Marina militare, nonché di eventuali partnership private;
   se sia in grado di definire il ruolo « dual-use» dell'Arsenale di Augusta, anche alla luce della prossima apertura della scuola allievi operai, importante sbocco di professionalità per il territorio augustanese;
   se può fornire un business plan utile a definire il ritorno dell'investimento derivante dai 50 milioni di euro utilizzati per l'arsenale di Augusta. (5-08752)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PISANO, PESCO, ALBERTI e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22, comma 1, lettera c), del testo unico sulle imposte dei redditi prevede che, dall'imposta lorda, si scomputano «le ritenute alla fonte a titolo di acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo e su quelli tassati separatamente; le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall'imposta relativa al periodo d'imposta in cui sono operate»;
   l'articolo 79 del testo unico delle imposte sui redditi, rubricato «scomputo delle ritenute», rinvia al citato articolo 22 quanto alla disciplina dello scomputo delle ritenute, a titolo d'acconto ai fini Ires;
   pertanto, nell'ipotesi in cui la ritenuta venga operata nell'anno successivo a quello di competenza del relativo ricavo o compenso, ma prima del termine di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, la predetta norma prevede che essa debba essere scomputata in tale dichiarazione;
   quantunque lo spirito della disposizione sia quello di consentire al contribuente la detrazione della ritenuta nello stesso periodo in cui è maturato il correlativo ricavo, in ossequio al principio di competenza che governa generalmente la tassazione del reddito di impresa, va rilevato, tuttavia, che tale sistema comporta notevoli complicazioni contabili per il soggetto sostituito, che dovrà, in ciascun esercizio, rilevare separatamente il credito erariale per ritenute di competenza dell'esercizio stesso da quello di competenza dell'esercizio precedente e riscontrare tale computo con quanto riportato nelle certificazioni uniche rilasciate dai propri sostituti di imposta, per poi iscrivere le ritenute afferenti ai due distinti periodi di imposta nelle corrispondenti dichiarazioni ai fini dell'Ires;
   tuttavia, va rilevato che il modello di certificazione unica non fornisce alcuna informazione sull'anno di competenza delle fatture pagate dal sostituto, limitandosi ad indicare semplicemente quello in cui la ritenuta è stata operata;
   ne, inoltre, tale informazione è deducibile in alcun modo dal modello 770, che, peraltro, a decorrere dal modello 2016 – relativo al periodo di imposta 2015 – si comporrà esclusivamente dei prospetti relativi ai versamenti delle ritenute, del riepilogo dei crediti e delle compensazioni e del prospetto inerente le somme liquidate a seguito di procedure di pignoramento presso terzi;
   ne consegue che l'Agenzia delle Entrate non è in possesso di informazioni sufficienti a desumere, in coerenza con il dettato dell'articolo 22 del TUIR, i dati del contenuto delle dichiarazioni presentate dai sostituti d'imposta; essa tuttavia esegue segnalazioni automatiche ai propri uffici provinciali, rilevando le incoerenze tra quanto risulta (per cassa) dalle dichiarazioni pervenute da parte dei sostituti e quanto dichiarato (per competenza) dai sostituiti: pertanto, l'Agenzia delle entrate non potrà che assoggettare ripetutamente le imprese sostituite al controllo formale ex articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, imponendo a quest'ultime l'onere dell'esibizione della documentazione cartacea a comprova della corretta detrazione delle trattenute, secondo il periodo di competenza dei correlativi ricavi;
   tale operazione, per i soggetti che emettono un numero molto elevato di fatture, ricevendo, di conseguenza, una mole altrettanto alta di corrispondenti incassi, può risultare oltremodo gravosa e costosa; essa risulta ulteriormente complicata dal fatto che ai sostituti di imposta è concesso di pagare i corrispettivi verso le imprese fornitrici anche in contanti, con il limite di pagamento che è stato per giunta elevato, dal 1o gennaio 2016, fino a 2.999,99 euro; pur tuttavia l'impresa fornitrice è tenuta ad accettarli se chiesto dal cliente essendo pienamente legittima nei limiti del suindicato plafond: come è noto, gli uffici finanziari, per prassi, non riconoscono a siffatta modalità di pagamento sufficiente qualità probatoria, a causa del difetto di tracciabilità, rinviando sistematicamente alle commissioni tributarie l'onere di certificare la veridicità di quanto dichiarato dai sostituiti;
   né va dimenticato che il carattere precettivo della disposizione – che impone al contribuente di operare la detrazione secondo il principio di competenza, fintanto che non sono spirati i termini per la dichiarazione del relativo periodo d'imposta – comporta la perdita del diritto alla detrazione in caso di omessa indicazione, a meno di non procedere ad una successiva dichiarazione integrativa, con conseguente aggravio di oneri;
   non sorprende, pertanto, che, il sistema di detrazione delle ritenute delineato dal citato articolo 22, comma 1, lettera c), del testo unico sulle imposte dei redditi sia all'origine di un considerevole contraddittorio tra Agenzia delle entrate e contribuenti, che sfocia sovente in lunghi e costosi contenziosi presso i diversi gradi della giurisprudenza tributaria; va rilevata anche l'infondatezza delle segnalazioni automatiche che l'Agenzia delle entrate invia ai sostituiti, costringendoli ad adoperarsi, con cadenza annuale, alla ricostruzione di tutte le transazioni di incasso, ad associarle alle relative fatture cui si riferiscono, a reperire tutti i certificati di ritenuta ottenuti ed a produrre tutta questa documentazione in forma cartacea; senza considerare l'onere aggiunto ai funzionari dell'Agenzia delle entrate e le migliaia di ore di lavoro necessarie per il controllo analitico di tutta la documentazione, siamo di fronte ad una vera e propria vessazione nei confronti delle imprese, con l'aggravante di essere fondata su fantasiose ricostruzioni dichiarative, condizione che pone seri dubbi sulla sostenibilità in giudizio della posizione dell'amministrazione finanziaria, con conseguenti ingenti danni anche in virtù della sempre più frequente condanna della stessa amministrazione, in caso di soccombenza, al pagamento delle spese legali;
   nella risposta all'interrogazione 5/05950 del 1o luglio 2015, il Governo, sentita l'Agenzia delle entrate, ha fornito i dati da cui si evince che sono state segnalate per il controllo formale ben 58.885 posizioni (relativamente alla sola annualità 2011) individuate per la presenza di ritenute non derivanti da lavoro dipendente e non riscontrate con i modelli 770; sempre nella stessa risposta si evince che dopo il controllo documentale effettuato dagli Uffici, n. 20.152 dichiarazioni sarebbero state variate, producendo esiti a favore dell'erario pari ad euro 48.469.417 è lecito dedurre, quindi che le restanti 38.733 sono in corso di definizione presso le competenti sezioni delle commissioni tributarie; si evince, pertanto, un fenomeno di massa sul quale il Governo non pone la giusta attenzione stimando, in soli 30 euro l'ora il costo orario per l'amministrazione finanziaria dei propri funzionari messi a spulciare le centinaia di migliaia di documenti e supposto che per ogni singola posizione siano necessarie mediamente 50 ore di lavoro si ottiene che una approssimativa stima del costo di questi accertamenti è di circa 88 milioni di euro, ben oltre le somme recuperate; se sommassimo a questi costi anche quelli necessari per sostenere la posizione dell'amministrazione finanziaria presso le commissioni tributarie ed il costo di eventuali giudizi sfavorevoli, siamo di fronte ad un vero e proprio danno erariale;
   ancora, con interrogazione a risposta immediata in commissione 5-07528 del 27 gennaio 2016, è stato richiesto al Ministro delle finanze di valutare una possibile soluzione al problema rappresentato, rendendo facoltativa per il contribuente la scelta se detrarre le ritenute di competenza dell'esercizio precedente operate in quello successivo nella prima dichiarazione utile (secondo il principio di competenza), ovvero in quella relativa all'esercizio successivo (secondo il principio di cassa), tenuto conto che siffatto rimedio non comporterebbe onere alcuno alle casse erariali, risolvendosi esclusivamente in una semplificazione per i contribuenti e per l'amministrazione finanziaria;
   a tale domanda è stata fornita risposta negativa in data 28 gennaio 2016, sul presupposto, qui testualmente riportato, che: «Il meccanismo dichiarativo sin qui descritto trova, peraltro, il suo primario fondamento negli articoli 7 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 secondo cui l'imposta è dovuta per periodi d'imposta a ciascuno dei quali corrisponde un'obbligazione tributaria autonoma, verrebbe, quindi, svilito ove si ponesse, in capo al contribuente, la facoltà di decidere in quale dichiarazione dei redditi scomputare le ritenute d'acconto»;
   va certamente osservato che tale risposta è per gli interroganti insoddisfacente poiché lo stesso legislatore ha già previsto deroga al principio sancito dagli articoli 7 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, prevedendo per il sostituito di dover imputare nelle dichiarazioni riferite agli anni d'imposta successivi a quello di competenza tutte le ritenute di acconto subite in data successiva alla dichiarazione, anche se relative ad incassi su fatture degli anni precedenti. Non si capisce pertanto il senso ed il presupposto della contrarietà manifestata: la legge può essere certamente modificata;
   la legge n. 23 del 2014 (delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), aveva sollecitato l'individuazione, tra le altre cose, di soluzioni alle esigenze di semplificazione, certezza del sistema tributario e tutela dei diritti dei contribuenti rese oramai ineludibili alla luce del perdurante ciclo economico negativo cui sono sottoposti cittadini ed imprese;
   con decisione n. 1482/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 1 dicembre 2007 l'Unione europea ha istituito un programma comunitario inteso a migliorare il funzionamento dei sistemi di imposizione nel mercato interno (Fiscalis 2013), con l'obiettivo, tra gli altri, di «ridurre in modo permanente gli oneri di conformità per le amministrazioni fiscali e i contribuenti», a comprova della diffusa sensibilità esistente in ambito comunitario verso il problema della semplificazione fiscale e della riduzione dei costi e dei disagi che le legislazioni nazionali, confuse e pletoriche, causano alle proprie imprese e ai cittadini –:
   se non ritenga opportuno rivalutare la propria posizione in merito alla possibilità di consentire l'imputazione delle ritenute subite con il principio di cassa ovvero assumere iniziative per modificare gli obblighi dichiarativi, affinché l'amministrazione) finanziaria possa ricevere in modo automatico, attraverso le dichiarazioni trasmesse dai sostituti di imposta, le informazioni necessarie per la verifica del corretto scomputo delle ritenute ex articolo 22, comma 1, lettera c), del testo unico sulle imposte dei redditi, al fine di limitare al massimo gli oneri e i disagi conseguenti al controllo formale ex articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, in un'ottica che privilegi la semplificazione degli adempimenti fiscali, la riduzione dei relativi costi di conformità e la certezza del diritto. (5-08733)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MORETTO e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la Risoluzione n.11/E del 17 gennaio 2014, l'Agenzia delle entrate in risposta ad un interpello ha fornito chiarimenti in merito all'aliquota IVA applicabile all'acqua di sorgente in bottiglia destinata al consumo umano;
   in particolare, l'Amministrazione finanziaria, pur riconfermando in via preliminare la sostanziale differenza delle acque minerali naturali dalle acque di sorgente, ne ha stabilito la completa equiparabilità economica, ai fini dell'applicazione dell'aliquota IVA ordinaria, anche alle acque di sorgente destinate al consumo umano, precisando che l'aliquota agevolata è applicabile alla sola acqua potabile e non potabile erogata ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i Comuni, mediante l'allacciamento alla rete idrica comunale;
   il medesimo interpello richiama in ultimo lo Statuto del contribuente, con riferimento all'articolo 10, che tutela la buona fede del contribuente in presenza di norme di dubbia interpretazione, riconoscendo al caso l'esimente di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante le cause di non punibilità per l'autore della violazione, quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono e richiamando la non irrogabilità di sanzioni in caso di errata applicazione dell'aliquota per il tempo pregresso;
   la portata innovativa della risoluzione prodotta dall'Agenzia delle entrate ribalta integralmente, sino al momento della sua pubblicazione, la possibile e unanime interpretazione delle disposizioni di legge e la conseguente prassi commerciale di un intero settore, consolidatasi negli anni;
   l'intera categoria di soggetti passivi IVA che distribuiscono l'acqua di sorgente, comunemente confezionata in recipienti da 18/20 litri di capacità, i cosiddetti «boccioni», risulterebbe essersi tempestivamente uniformata a quanto previsto dall'Amministrazione finanziaria a seguito del richiamato chiarimento;
   a distanza di qualche anno dall'emanazione della Risoluzione, si ha notizia di verifiche effettuate dagli organi di controllo nel corso delle quali, pur osservando la non i applicabilità delle sanzioni, in ossequio alle conclusioni della risoluzione, si è proceduto alla contestazione di erronea emissione di fatture con applicazione di imposta ad aliquota agevolata e di relativa presentazione di dichiarazione annuale IVA infedele, con la conseguente richiesta di recupero della maggiore IVA (differenza tra il 10 ed il 22 per cento) per gli anni non prescritti precedenti all'adozione della citata risoluzione;
   l'asserita incertezza interpretativa della fattispecie, nei periodi che hanno preceduto il chiarimento amministrativo, dovrebbe, in considerazione del principio della tutela dell'affidamento e della buona fede; escludere ogni efficacia retroattiva;
   la sola esimente di cui al citato articolo 6 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, non può fornire tutela adeguata a salvaguardare il contribuente verificato dal danno economico/finanziario e di immagine commerciale che un'applicazione retroattiva della norma può produrre;
   la possibilità, poi, di ricorrere all'articolo 60, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che prevede per i contribuenti il diritto di rivalsa sulla maggiore imposta IVA relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni, si rivela pressoché vana, amministrativamente complicata ed onerosa, nonché commercialmente dannosa, considerata l'estrema numerosità della clientela, nonché la vetustà delle operazioni poste in essere;
   da ultimo va rilevato che l'IVA, oggetto di contestazione da parte degli organi di controllo, interessando nella stragrande maggioranza dei casi soltanto soggetti passivi, non produrrebbe alcun effetto finanziario per l'erario, traducendosi in una semplice «partita di giro», ma finirebbe per gravare ingiustificatamente sul soggetto accertato, che ne rimarrebbe definitivamente inciso, con la conseguenza che il tributo perderebbe la propria natura neutrale e si trasformerebbe in una sanzione impropria –:
   come intenda chiarire la portata della citata normativa al fine di escludere il recupero della maggiore IVA per gli anni non prescritti precedenti all'adozione della richiamata risoluzione, evitando in tal modo che il tributo IVA perda la propria natura neutrale, data l'impossibilità dell'applicazione del meccanismo della rivalsa e della detrazione. (4-13248)


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, CAON e MARCOLIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la situazione debitoria è stata da tutti avvertita come una vera e propria emergenza sociale che ha indotto il legislatore ad introdurre la possibilità di rateizzare le somme iscritte a ruolo fino a un massimo di dieci anni (la rateizzazione ordinaria prevede un massimo di 72 rate mensili, mentre la rateizzazione straordinaria estende il numero delle rate fino ad un massimo di 120 mensili) dando così respiro a famiglie ed imprese;
   attualmente, secondo i dati forniti dall'amministratore delegato di Equitalia nel corso dell'audizione presso la Commissione di vigilanza sull'anagrafe tributaria del 9 marzo 2016, le dilazioni di pagamento hanno rappresentato, negli ultimi anni, un fenomeno in costante crescita: attualmente, sono attive circa 30 milioni di rateizzazioni per un controvalore di circa 38 miliardi di euro;
   si tratta, quindi, di un valido strumento adatto a sostenere la ripresa: il legislatore, non a caso, invero, è già più volte intervenuto sull'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, con la finalità di snellire il procedimento di accesso alla rateizzazione del debito e di rendere maggiormente fruibile la ripartizione del pagamento in rate;
   in particolare, per ben due volte, nel corso dell'anno 2014, il legislatore ha emanato, peraltro, disposizioni di carattere eccezionale per consentire ai soggetti decaduti da un piano di dilazione di riprendere nuovamente a pagare a rate (l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 cosiddetto Milleproroghe e l'articolo 10 del decreto-legge n. 192 del 2014): in base a tali disposizioni, i debitori decaduti dal beneficio della rateazione entro e non oltre il 31 dicembre 2014 sono stati riammessi, a richiesta, al pagamento rateale;
   con l'articolo 15, comma 7, del decreto legislativo n. 159 del 2015 (Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, in attuazione dell'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 11 marzo 2014, n. 23), il legislatore ha ulteriormente esteso la possibilità di riprendere la rateizzazione a beneficio dei decaduti. In particolare, è stato disposto che, su semplice richiesta del debitore, da presentare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui sopra, cioè dal 22 ottobre 2015, potessero essere ripartite, fino ad un massimo di 72 rate mensili, le somme iscritte a ruolo non ancora versate, oggetto di piani di rateizzazione concessi dagli agenti della riscossione e decaduti nei 24 mesi antecedenti alla suddetta data;
   sempre con il decreto legislativo n. 159 del 2015 è stato, inoltre, previsto che, in caso di decadenza dai piani di ammortamento concessi a decorrere dal 22 ottobre 2015, i debitori in difficoltà possano ottenere, a differenza di quanto accadeva in precedenza, un nuovo piano di rateizzazione, a condizione che, al momento della presentazione della relativa istanza, le rate del precedente piano – già scadute a tale data – venissero integralmente saldate;
   i debitori che hanno ottenuto un piano di rateizzazione prima del 22 ottobre 2015, per i quali la decadenza continuerà a verificarsi solo in caso di mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive, anziché 5 (previste per i piani accordati dal 22 ottobre 2015), una volta decaduti, non potranno, invece, essere più riammessi al beneficio;
   coloro che, non hanno presentato istanza entro il 21 novembre 2015, data di scadenza per chiedere la «riammissione» alla rateizzazione si trovano ora esposti a gravi conseguenze economiche;
   le imprese che dovranno fronteggiare tale situazione, non potendo ottemperare ai propri debiti, saranno esposte al rischio del fallimento;
   un'ultima possibilità, in termini temporali, viene data con la legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi da 134 a 138, della legge n. 208 del 2015) che consente anche ai contribuenti decaduti dal beneficio della rateazione di somme dovute a seguito di accertamenti con adesione, di essere riammessi, a specifiche condizioni, al piano originario di dilazione; in particolare, il predetto beneficio spetta ai contribuenti decaduti nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015, per i quali la riammissione è effettuata al piano di rateazione inizialmente concesso, riguarda il solo versamento delle imposte dirette ed è condizionata alla ripresa, entro il 31 maggio 2016, del versamento della prima rata scaduta;
   in ogni caso quest'ultima disposizione normativa, che peraltro è limitata, non risolve il problema di tutte quelle imprese e famiglie che ancora hanno una situazione debitoria in essere;
   la raccomandazione a trovare soluzioni adeguate deriva dalle parole dello stesso amministratore delegato di Equitalia il quale, nel corso dell'audizione di cui sopra ha sottolineato che grazie ai pagamenti a rate, infatti, le famiglie e le imprese in difficoltà economica riescono, nel tempo, a regolarizzare il loro debito con l'Erario e, di conseguenza, a Equitalia di riscuotere le somme che gli enti creditori le affidano, nel modo meno invasivo possibile, facilitando il rapporto con i debitori interessati e favorendo, al contempo, un clima di minor tensione sociale e di maggiore fiducia nelle istituzioni –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare al fine di prevedere che i contribuenti decaduti dai piani di rateizzazione concessi, ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, in data precedente o successiva, a quella di entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, possano ottenere, a semplice richiesta, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione ai sensi dello stesso articolo 19, superando in tal modo le limitazioni rappresentate dalla presentazione di un'apposita istanza entro un termine perentorio già stabilito. (4-13259)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIBILIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 20, 21, 22 aprile 2016 si è svolto presso la Nuova Fiera di Roma il concorso per 400 agenti di polizia penitenziaria, cui hanno partecipato oltre 10 mila persone;
   all'indomani dell'espletamento delle prove si è diffusa la notizia di uno svolgimento delle prove non conforme alle regole vigenti in materia;
   in particolare, come hanno riportato molti quotidiani, tra cui la Cronaca di Roma del Corriere della Sera, in un articolo pubblicato sul sito online il 26 aprile 2016 e intitolato «Polizia penitenziaria, concorso con il trucco: 90 denunciati», sono stati colti sul fatto circa 50 «candidati in possesso di radiotrasmittenti, auricolari, bracciali contenenti risposte alle domande (...). Tutti gli «aiuti» illegali sono stati sequestrati da una apposita task force di vigilanza (...). La denuncia è della sigla sindacale Cisl Fns (Federazione nazionale sicurezza), secondo la quale una novantina di autori della tentata truffa sono stati già segnalati all'autorità giudiziaria (...). Diversi partecipanti sono stati denunciati a piede libero e a loro volta hanno fatto i nomi di altre persone»;
   come riportato dal Giornale d'Italia in un articolo pubblicato sul sito on line il 30 aprile 2016 ed intitolato «Penitenziaria, il sospetto fra la polizia: «Infiltrazione delle criminalità ?», secondo il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) «oltre ai «furbetti» che si volevano garantire un posto di lavoro fisso, ci sarebbe stato un vero e proprio tentativo di infiltrazione del corpo di Polizia penitenziaria da parte delle criminalità organizzate»;
   la Cisl Fns e il Sappe, tra gli altri, hanno chiesto poi al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, di annullare il concorso;
   sulla vicenda è tuttora in corso un'indagine da parte della procura della Repubblica di Roma mentre il Ministro della giustizia è ancora in attesa di ricevere una relazione da parte del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro rispetto alla richiesta di annullamento del concorso suddetto e quali siano le azioni che ritenga opportuno porre in essere affinché il futuro svolgimento di procedure selettive risulti regolare.
(4-13251)


   D'INCÀ. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con l'istituzione del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi nel 1988 e la successiva adozione del Piano del parco (approvato della regione Veneto il 21 novembre 2000), la zona della valle del fiume Mis è stata classificata come «riserva generale orientata»: una zona, cioè, «dove è vietata ogni forma di trasformazione del territorio, ma sono ammesse le tradizionali attività colturali, purché esse non arrechino danno all'ambiente. L'area inoltre ricade anche all'interno del Sito di importanza comunitaria «Dolomiti feltrine e bellunesi», e nell'omonima Zona di protezione speciale. A giugno 2009 le Dolomiti sono state inserite nell'elenco Unesco dei «patrimoni dell'umanità»;
   nel 2006 il Gruppo EVA Energie Valsabbia S.p.A società bresciana il cui presidente è Enrico «Chicco» Testa (già presidente di Legambiente, deputato del Pci e del Pds, presidente di Acea e di Enel, alla guida del Forum Nucleare italiano, la lobby che promuove il ritorno al nucleare in Italia, attuale Presidente di Assoelettrica) ha presentato una richiesta di derivazione idroelettrica, con la realizzazione di una nuova centrale idroelettrica sul torrente Mis all'interno del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi nel comune di Gosaldo (BL), in grado di produrre fino a 6,5 milioni di kWh all'anno di energia;
   nel 2009, sei mesi dopo il riconoscimento delle Dolomiti come patrimonio dell'Unesco, la giunta regionale del Veneto esprimendo un «giudizio favorevole di compatibilità ambientale» ha dato al Gruppo EVA Energie Valsabbia S.p.A il via libera alla realizzazione del progetto in pieno Parco delle Dolomiti Bellunesi;
   nel 2010 i comuni di Sospirolo e Gosaldo stipulano una convenzione con il Gruppo EVA Energie Valsabbia S.p.A. per la realizzazione dell'impianto.
   il Tribunale Superiore delle Acque con la sentenza n. 6 del 16 gennaio 2012 ha confermato la piena validità ed efficacia di tutte le autorizzazioni rilasciate a favore della EVA dalla regione Veneto, dal comune di Gosaldo e dal Parco delle Dolomiti Bellunesi e di tutti gli altri Enti pubblici coinvolti negli iter autorizzativi già svolti;
   il WWF e altre associazioni ambientaliste impugnano la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque avanti alla Corte di Cassazione a sezioni riunite che, con sentenza n. 19382/2012 del 23.10.2012 RG 5853/12, accoglie il ricorso del WWF e annulla i provvedimenti impugnati, poiché la modificazione del regime delle acque, ai sensi dell'articolo 11, comma 3 della legge 394/1991 delinea senza equivoco una attività che risulta vietata in termini assoluti all'interno delle aree naturali protette;
   nel frattempo, il 28 agosto 2012 il Corpo forestale dello Stato mette i sigilli al cantiere della nuova centrale idroelettrica, perché la società avrebbe impropriamente occupato uno spazio riconosciuto come «uso civico»: l'amministrazione comunale di Gosaldo, infatti, non aveva mai provveduto al cambio di destinazione d'uso di una parte dei terreni finiti sotto sequestro, per trasformarli da usi civici a terreni liberi da vincoli;
   l'occupazione impropria viene riconosciuta anche in un parere espresso a fine giugno 2012 dalla regione Veneto: «i contratti di concessione delle terre di uso civico stipulati in assenza della prescritta autorizzazione al mutamento di destinazione di terreni [...] sono nulli» e pertanto «l'effettuazione dei lavori da parte della società Eva Energia Valsabbia sui terreni di uso civico [...] si configura come occupazione senza titolo dei terreni medesimi»;
   a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, gli enti interessati provvedono ad intimare al Gruppo EVA Energie Valsabbia S.p.A. l'immediata sospensione dei lavori e la regione Veneto individua nel dirigente regionale del genio Civile di Belluno il responsabile per gli adempimenti previsti dal decreto legislativo 152/2006. Con nota n. 503216 del 19.11.2013 la regione Veneto intimava alla società di redigere un progetto di ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale ante operam.
   la società Eva Energia Valsabbia ricorre al Tribunale Superiore delle Acque per impugnare la sentenza n. 19382/2012 della Corte di Cassazione. Il tribunale Superiore delle Acque rigetta in toto il ricorso Eva Energia Valsabbia SpA e, con sentenza n. 26/2014 del 21.01.2015 ma depositata in Cencelleria il 23.03.2016 – dopo oltre un anno – annulla tutti gli atti autorizzatori del progetto: il provvedimento prot. 503216 del 19.11.2013 emanato dalla regione Veneto e tutti gli atti ad esso antecedenti, in particolare la DGR n. 12050 del 06.08.2013, la nota di Veneto Strade n. 68264 del 14.02.2013, la nota del Servizio Forestale regionale di Belluno n. 85246 del 26.02.2013, la nota dell'ente Parco delle Dolomiti bellunesi n. 20130000915 del 05.03.2013 e la nota della provincia di Belluno n. 31705/ut del 25.06.2013;
   a distanza di 4 anni dalla sentenza definitiva della Corte Suprema di Cassazione del 2012 che obbliga la società EVA Energie Valsabbia SpA al ripristino ambientale con la demolizione del manufatto e la sistemazione delle opere stradali manomesse, nulla è stato fatto dai privati per demolire il manufatto né ripristinare i guardrail rimossi;
   la sentenza del Tribunale Supremo delle Acque, che annulla tutte le autorizzazioni al progetto di EVA, per quanto consta agli interroganti è stata adottata a gennaio 2015 mentre la sua pubblicazione è avvenuta a marzo 2016, dopo oltre un anno. La regione Veneto, controparte del proponente privato nel contenzioso avanti il Tribunale delle acque, non ha pubblicamente protestato per un fatto tanto grave e, a parere degli interroganti, opaco;
   per fare passare le condotte di collegamento alla centrale idroelettrica, la ditta ha rimosso parte dei guardrail di protezione alla SP 2 Valle del Mis, strada pericolosa e curva che corre lungo un dirupo, causando grave pericolo alla circolazione dei veicoli e senza mai ricollocare i guardrail alla fine dei lavori;
   il comune di Gosaldo ha segnalato il pericolo alla provincia di Belluno e a Veneto Strade, società strumentale delle regione Veneto che si occupa della manutenzione e messa in sicurezza delle strade provinciali e regionali ex competenza Anas, senza che nessuno intervenisse a risolvere la situazione o obbligasse la ditta a sistemare la strada manomessa;
   il mancato rispetto del ripristino ambientale ordinato dalla Suprema corte parrebbe configurarsi come violazione dell'articolo 388 del Codice Penale, che punisce la condotta di chi, tenuto conto anche della natura degli obblighi imposti, «rappresenti un ostacolo all'effettività della tutela giurisdizionale». Questo tra l'altro è l'orientamento assunto dalla Cassazione penale a sezioni unite che ha circoscritto l'ambito in cui si incorre nel reato di mancato adempimento ad un ordine della autorità giudiziaria (Nota a sentenza Cass. pen., sez. Unite, n. 36692/2007). Una fattispecie che sembra calzare proprio col comportamento posto in essere dalla Valsabbia, ovvero dai proponenti la centrale –:
   se siano al corrente della vicenda su esposta e in particolare del grave ritardo intercorso tra la proclamazione della sentenza da parte del Tribunale Superiore delle Acque e il suo deposito in cancelleria, che sarebbe avvenuto oltre un anno dopo il pronunciamento, e se a tale riguardo si intenda promuovere iniziative ispettive;
   se siano a conoscenza della sentenza definitiva emanata dalla Corte di Cassazione a sezioni riunite quasi 5 anni fa e dell'inadempienza da parte del privato nel ripristinare lo stato dei luoghi (demolizione di tutte le opere realizzate abusivamente e il riposizionamento dei guardrail lungo la SP 2, tolti durante l'esecuzione dei lavori);
   se risulti al Governo il pericolo derivante dalla mancanza di alcuni guardrail lungo la strada provinciale 2, Valle del Mis e se risulti che gli enti in qualche modo coinvolti nella gestione o nella vigilanza sulla strada (comune di Gosaldo, provincia di Belluno, regione Veneto, Vendo Strade e prefettura di Belluno) abbiano segnalato la situazione alle autorità preposte;
   se risultino accurate indagini presso la Procura della Repubblica di Belluno anche alla luce della giurisprudenza richiamata in premessa;
   se si intenda porre in essere per quanto di competenza iniziative tese a verificare le ipotesi di modifica dei confini del parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, in modo da escludere dal perimetro il manufatto realizzato abusivamente. (4-13266)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANCELLERI e RIZZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia Catania-Caltagirone-Gela è una linea ferroviaria a binario unico che, trasversalmente, collega il versante ionico e il versante mediterraneo della Sicilia, attraversando alcuni grossi centri urbani;
   dall'8 maggio 2011 la linea è interrotta, nella tratta Caltagirone-Gela, al chilometro 326+600 per il crollo di un viadotto e la successiva demolizione di tutte le arcate del ponte, il 7 e l'8 ottobre 2014, a cura del gestore dell'infrastruttura Rete Ferroviaria Italiana, è chiusa da oltre 1830 giorni;
   una parte rilevante del trasporto in Sicilia è fornita dal sistema delle strade provinciali, che spesso è l'unico sistema di collegamento tra comuni della stessa provincia e tra province diverse, svolgendo un ruolo decisivo di interconnessione soprattutto nell'entroterra, e queste ultime risultano carenti;
   molti sono i pendolari che si muovono in Sicilia con il treno e che ogni giorno vivono dei disagi e dei disservizi e tante sono le segnalazioni che si possono leggere sul sito www.comitatopendolari.it;
   considerato che il treno si conferma il mezzo di trasporto più ecologico, si legge infatti sul sito di Trenitalia, «Considerata l'unità di misura passeggero/chilometro adottata trasversalmente per quantificare i bilanci ambientali dei vari mezzi di trasporto, il treno produce solo 44 grammi di CO2 contro i 118 dell'auto, i 140 dell'aereo e i 158 del camion. E anche dal punto di vista del risparmio energetico, per passeggero, chilometro, il trasporto su rotaia consuma il 68 per cento in meno rispetto all'auto, il 77 per cento in meno del camion e il 91 per cento in, meno del volo» –:
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per porre rimedio all'ulteriore discriminazione a danno della viabilità stradale e ferroviaria siciliana, anche in quanto azionista di Trenitalia spa, con l'eventuale riapertura delle linee ferroviarie dismesse, e se intenda promuovere un piano straordinario per l'ammodernamento e il potenziamento delle stesse. (5-08761)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 63 è il principale asse viario Nord Sud della provincia di Reggio Emilia, attraversando numerosi comuni del territorio della provincia di Reggio Emilia, tra cui Casina e Castelnovo nè Monti, nel tratto che congiunge Reggio Emilia al nuovo comune di Ventasso;
   negli ultimi 30 anni sono state realizzate diverse gallerie su questo tratto stradale, la più lunga delle quali raggiunge una lunghezza superiore a due chilometri, e un'altra, quella di Bocco – Casina, è tuttora in fase di realizzazione;
   nei tratti stradali interessati dalle gallerie, la copertura del segnale di rete mobile è assente e le comunicazioni vengono quindi interrotte bruscamente causando disagi soprattutto a coloro che transitano regolarmente su questa infrastruttura per motivi di lavoro;
   l'infrastruttura stradale in questione è molto utilizzata dai residenti e dai turisti dell'Appennino reggiano e la mancanza di segnale all'interno delle gallerie può addirittura trasformarsi in un problema molto serio in caso di incidente o comunque di emergenza –:
   se il Ministro interrogato non reputi importante rendere noto l'attuale stato di copertura del segnale rete mobile sulle infrastrutture stradali, compresi i tratti interessati da gallerie, del territorio nazionale e, in particolare, della regione Emilia Romagna;
   se sia in previsione un progetto di potenziamento della capacità trasmissiva delle stazioni radio base e dei ripetitori necessari alla propagazione del segnale all'interno delle gallerie ubicate sulla strada statale n. 63;
   se non reputi opportuno assumere iniziative per la realizzazione di un tavolo di concertazione che coinvolga anche le amministrazioni locali e gli operatori privati interessati, per valutare i possibili interventi e i relativi costi per l'effettivo miglioramento della qualità del segnale rete mobile al fine di supportare pienamente gli obiettivi di crescita locali e nazionali. (4-13253)


   GUIDESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 63 collega l'Appennino reggiano alla pianura, attraversando il territorio della provincia di Reggio Emilia dal comune di Reggio Emilia sino al nuovo comune di Ventasso, e passa nel territorio di numerosi comuni, tra i più importanti Casina e Castelnovo ne’ Monti; si tratta del principale asse viario nord-sud della provincia di Reggio Emilia;
   negli ultimi decenni, il tracciato è stato più volte implementato da gallerie, varianti e correzioni per renderne meno tortuoso il percorso;
   attualmente sulla strada statale 63 sono in corso i lavori della realizzazione della galleria Bocco-Casina che ricollegherà la strada a pochi chilometri dal tratto pianeggiante della statale;
   tuttavia, tali lavori non interessano la località La Bettola ove, a causa della presenza di una curva dal raggio molto ristretto, sono frequenti i blocchi del traffico veicolare, soprattutto nel caso di incrocio tra due mezzi pesanti;
   qualche decina di chilometri più a sud, nel comune di Castelnovo ne’ Monti, sono ancora in corso i lavori di completamento dell'ultimo tratto della variante cosiddetta di Ponte Rosso, che bypasserebbe il paese di Castelnovo;
   secondo notizie dei media, la provincia di Reggio Emilia nel recente passato, ha promesso di intervenire con circa un milione e mezzo di euro per portare a termine l'opera;
   sempre da notizie dei media sembra che ANAS spa abbia dichiarato il proprio impegno a collaborare con gli enti locali per la conclusione dei lavori e la manutenzione straordinaria dell'asse stradale;
   la strada statale 63 è un'infrastruttura importantissima per il territorio reggiano e viene utilizzata dalla grande maggioranza dei residenti per i propri spostamenti; le carenze strutturali dell'asse viario sottopongono i cittadini a gravi difficoltà e disagi –:
   quale sia lo stato dei lavori della variante di Castelnovo ne’ Monti e quale sia la data effettiva della fine dei lavori e della messa in esercizio della variante;
   se risulti al Governo che la provincia di Reggio Emilia o altro ente locale abbia stanziato o promesso risorse per l'intimazione dei lavori e, in caso affermativo, per quale importo, quando e a quale titolo;
   se sia prevista una modifica del tracciato in località La Bettola e, in caso affermativo, quali siano lo stato dell’iter del progetto e i relativi costi e quali sono i tempi previsti per la realizzazione dell'opera. (4-13256)


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 36, comma 5, del decreto-legge 30 dicembre 1982 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1983, n. 53 prevede che «la perdita del Possesso del veicolo o dell'autoscafo per forza maggiore o per fatto di terzo o la indisponibilità conseguente a provvedimento dell'autorità giudiziaria o della pubblica amministrazione (...) fanno venir meno l'obbligo del pagamento del tributo per i periodi d'imposta successivi a quello in cui è stata effettuata l'annotazione»;
   il testo unico in materia di perdita di possesso e di rientro in possesso, divulgato dall'Aci nell'aprile 2013, conferma che in tutti i casi in cui il proprietario di un veicolo perda la disponibilità dello stesso, può essere chiesta al pubblico registro automobilistico (PRA) l'annotazione della perdita di possesso dalla quale discende la cessazione dell'obbligo del pagamento della tassa automobilistica per i periodi di imposta successivi a quello in cui si è verificato l'evento;
   la perdita di possesso di un veicolo, che si può verificare in seguito a furto, appropriazione indebita, truffa, provvedimenti dell'autorità giudiziaria o amministrativa, non comporta una variazione della proprietà, né quindi alcuna modifica ai dati del pubblico registro automobilistico relativi al proprietario del mezzo, eppure questa annotazione «formale» ha un costo superiore ai 40 euro;
   nei fatti, il cittadino che subisce un grave danno vedendosi sottratto il proprio veicolo a seguito di un furto o di una truffa ad esempio, dovrà anche versare più di 40 euro al pubblico registro automobilistico per chiedere di non pagare il bollo su un veicolo che, contro la sua volontà, non può più utilizzare;
   per quanto si comprenda l'opportunità di segnalare al pubblico registro automobilistico la perdita di possesso, sia ai fini fiscali, sia per dare pubblicità circa lo stato giuridico del veicolo, risulta paradossale che per questa annotazione non sia sufficiente la presentazione della denuncia e/o degli altri documenti attestanti la causa dell'indisponibilità del veicolo, ma sia necessario il versamento di un'imposta di bollo –:
   se, alla luce delle circostanze particolari che determinano la perdita di possesso di un veicolo, così come dettagliatamente descritte nel testo unico in materia di perdita di possesso e di rientro in possesso divulgato dall'Aci nell'aprile 2013 i Ministri non ritengano di assumere iniziative per evitare un effetto vessatorio nei confronti del cittadino che ha perso la disponibilità del proprio mezzo imposta di bollo per questa semplice annotazione presso il pubblico registro automobilistico che aggiunge al danno anche la beffa per chi è costretto a pagare. (4-13258)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane nel comprensorio dell'area metropolitana di Venezia si registrano forti preoccupazioni da parte di cittadini e associazioni circa l'apertura di nuove sale e i rischi connessi al gioco d'azzardo;
   da ultimo giunge l'allarme da Terraglio con un bar tabaccheria che si è dotato di sala slot;
   nell'aprile 2015 è stato adottato dai commissario straordinario, un regolamento edilizio che «vieta l'apertura di sale pubbliche da gioco e la nuova collocazione eli apparecchi per il gioco d'azzardo a una distanza inferiore a 500 metri da luoghi “sensibili” tra i quali proprio quelli di aggregazione giovanile;
   anche a Marghera si registrano tensioni circa i rischi connessi al proliferare di tali attività –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano attivare per verificare le modalità di concessione delle licenze, nonché per supportare attività di controllo su tutte le attività legate alla diffusione di sale giochi e slot nell'ambito del territorio dell'area metropolitana di Venezia e per assicurare l'effettivo rispetto delle normative vigenti a tutela dei cittadini, promuovendo iniziative di informazione sui danni derivanti dalle ludopatie. (5-08749)


   PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da diversi organi di stampa, fra cui anche la «Nuova Sardegna», il candidato sindaco della lista Paris per Bonorva (SS), Antonello Zanza — già sindaco dal 2001 al 2006 per lo stesso comune ed attualmente consigliere di opposizione — avrebbe reiteratamente compiuto apologia di fascismo tramite il noto social network « Facebook»;
   nello specifico, nel 2010 un suo post recitava «È ufficiale... barra tutta a destra... il comitato familiare ha deciso... posologia: saluto romano 3 volte die, saluto al duce a piacere, busto obbligatorio in tutte le stanze»; uno del 2011 «Mio figlio ha dichiarato pubblicamente di essere fascista... l'ho cazziato severamente... si era dimenticato di accompagnare la dichiarazione con un saluto romano» fino ad arrivare a dichiarazioni violente, discriminatorie e di odio razziale come «Per gli ebrei ho un forno artigianale. Quella domenica ... a pranzo agnelli e porcetti cotti qui, lo stesso forno» oppure «Il costo per lo Stato è minimo... fornetti crematori monouso della ditta riassorbiamoli» e «Ecco bravo... capisci perché sono nati i campi di sterminio... per sostituire i campi coltivati a merda»;
   come ulteriore elemento di gravità della condotta del consigliere-candidato sindaco, vi sono foto in cui lo stesso si fa ritrarre mentre compie in pubblico il gesto del «saluto romano» con il braccio destro teso;
   il candidato Zanza, intervistato circa la natura delle sue dichiarazioni, ha dichiarato di non avere nulla di cui scusarsi, rivendicando anzi le radici della sua storia e della sua cultura;
   il network « Facebook» – in particolar modo negli ultimi anni — è da considerare non solamente per la sua eventuale natura «ludica», ma per aver implementato il mondo della informazione on-line, assumendo anche il ruolo di veicolo nazionale per le campagne elettorali o per la propaganda politica, come evidenziato anche dall'uso in tal senso fatto anche dal Presidente del Consiglio con la sua rubrica «MatteoRisponde». La possibilità, infatti, di raggiungere immediatamente e contemporaneamente centinaia di migliaia di persone, rende la potenza — e l'eventuale pericolosità — dei messaggi lanciati;
   la stessa giurisprudenza italiana si sta adeguando allo strumento «social» sopra citato. Va ricordato ad esempio che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 24431/2015, ha stabilito «che inserire un commento su una bacheca di un social network significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sicché, laddove questo sia offensivo, deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione»;
   la stessa Corte di Cassazione ha ribadito in questi giorni (come evidenziato da tutte le testate nazionali) che il saluto romano è reato e che «per essere punito non richiede che le manifestazioni siano caratterizzate da elementi, perché la Legge Mancino (1.205/93) svolge una funzione di tutela preventiva». Il saluto fascista risulta quindi elemento sufficiente e giustificativo della condanna;
   oltre ad esservi gli strumenti interni di controllo e tutela dei contenuti del network Facebook, risulta essere competente in caso di reati la polizia postale, in qualità di «organo centrale del Ministero dell'interno per la sicurezza e la regolarità dei servizi delle telecomunicazioni»;
   il caso specifico fin qui esposto, risulta essere indicativo di comportamenti che si ripetono sempre con più frequenza sul social citato, portati avanti da singoli cittadini, da gruppi e da rappresentanti istituzionali di ogni livello –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non intenda promuovere, per quanto di competenza, misure di controllo più stringenti — fermo restando il principio di libertà di espressione — per evitare che vi sia, soprattutto da parte di personaggi istituzionali e/o pubblici, la diffusione di messaggi caratterizzati da contenuti discriminatori, di odio e di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, così come previsto dalla normativa vigente;
   se non intenda adottare iniziative normative volte a stabilire criteri stringenti per pervenire all'incandidabilità anche per coloro che portano avanti tali messaggi. (5-08755)


   FABBRI e CARNEVALI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficiale dello stato civile, nell'ordinamento italiano, è l'organo competente a ricevere gli atti dello stato civile, tenere i registri dello stato civile (di cittadinanza, di nascita, di matrimonio e di morte), nei quali sono inseriti tali atti, e rilasciare estratti e certificati in base alle risultanze degli stessi. La vigente disciplina è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396;
   nella stragrande maggioranza dei comuni, ogni addetto ai servizi demografici assomma tutte le deleghe e gli incarichi che il sindaco distribuisce per far funzionare i relativi uffici: anagrafe, stato civile, elettorale, autentiche di firme e di copie, rilascio delle carte di identità;
   gli ufficiali di stato civile abilitati sono solo 10297 su 8000 comuni in Italia, ai quali vanno aggiunti circa altri 20 mila operatori che, su delega, ma senza abilitazione, svolgono funzioni di stato civile e anagrafe;
   l'articolo 14 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali specifica quali sono i compiti, di competenza statale, che il comune svolge nella figura del sindaco o di suoi delegati (ufficiali di stato civile e anagrafe):
    «1. Il comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica;
    2. Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale del Governo, ai sensi dell'articolo 54;
    3. Ulteriori funzioni amministrative per servizi di competenza statale possono essere affidate ai comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti finanziari, assicurando le risorse necessarie»;

   le principali mansioni dell'ufficio di stato civile ed anagrafe sono:
    gestione dell'anagrafe della popolazione residente e gestione dell'anagrafe dei cittadini italiani residenti all'estero (A.I.R.E.);
    gestione dei registri di stato civile (nascita, matrimonio, morte e cittadinanza);
    gestione e rilascio di certificazioni anagrafiche, carte d'identità e certificati di nascita per l'espatrio, autentiche di firme e copie;
    domande per il rilascio ed il rinnovo di passaporti;
    adempimenti in materia di polizia mortuaria – trasporti di salme, autenticazione di copie e sottoscrizioni;
    svolgimento del censimento popolare e del censimento generale dell'agricoltura;
    matrimonio;
    riconoscimento dell'efficacia delle sentenze e provvedimenti giurisdizionali emessi all'estero, ai sensi delle legge di riforma del diritto internazionale privato, adempimento che era riservato alle Corti di Appello;
    statistiche e indagini demografiche;

   si evidenzia inoltre che la gestione di tali servizi, fa parte delle funzioni fondamentali gestite direttamente dai comuni, (articolo 19, comma 1, decreto-legge n. 95 del 2012 – convertito da legge 135 del 2012) ma non rientra tra quelle che si possono gestire in forma associata, di cui all'articolo 14, comma 27, del decreto-legge n. 78 del 2010, in quanto la responsabilità rimane in capo a ciascun sindaco e quindi agli ufficiali di stato civile anagrafe del proprio comune;
   la funzione di registrazione degli eventi più importanti della vita delle persone, svolta per conto dello Stato dagli uffici demografici, richiede una preparazione ed una professionalità («abilitate» dal Ministero dell'interno) di elevato spessore, nonché un aggiornamento normativo costante e puntuale. A tal fine, presso l'Accademia degli Ufficiali di stato civile sita a Castel San Pietro Terme, struttura che in tutta Europa ha riscontro solamente con l'analoga Accademia in Germania, vengono costantemente organizzati corsi e seminari di formazioni ed aggiornamento degli addetti ai servizi demografici, così da mettere in condizione gli uffici di fornire risposte rapide e corrette ai bisogni dei cittadini;
   dalla corretta tenuta dei registri di stato civile deriva l'effettiva conoscibilità e rintracciabilità dei cittadini italiani, oltre che il riconoscimento del diritto di voto ed esercizio dei diritti concessi alla cittadinanza;
   la semplificazione amministrativa, intesa come snellimento dell'attività amministrativa e riduzione degli adempimenti incombenti sui cittadini (esibizione di certificati, autenticazioni di firme, e altro) costituisce uno dei temi centrali delle riforme amministrative dell'ultimo decennio, che ha sgravato i cittadini, ma non la pubblica amministrazione;
   gli attori principali di questo processo di semplificazione sono evidentemente i comuni in quanto enti/soggetti più vicino al cittadino;
   entro la fine del 2016, l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), prenderà il posto delle oltre 8.000 anagrafi dei comuni italiani, costituendo un riferimento unico per la pubblica amministrazione, le società partecipate e i gestori di servizi pubblici. Gli operatori degli uffici anagrafe sono fortemente impegnati nelle attività propedeutiche alla realizzazione dell'anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR) e alle operazioni di allineamento delle banche dati comunali con i dati dell'Ina (Indice nazionale delle anagrafi);
   nel corso della legislatura corrente sono state approvate e/o esaminate alcune disposizioni legislative che hanno semplificato la vita dei cittadini e allo stesso tempo che impattano o impatteranno sull'erogazione dei servizi demografici suddetti, aumentando il carico di lavoro degli ufficiali di stato civile, che va ricordato, svolgono la loro funzione per conto dello Stato centrale:
    si rileva, ad esempio, l'approvazione dell'articolo 12 della legge n. 162 del 2014 che prevede la possibilità per i coniugi di comparire direttamente innanzi all'ufficiale dello stato civile del comune per concludere un accordo di separazione o divorzio; tale disposizione ha avuto un notevole riscontro pratico da parte dei cittadini che vi hanno fatto ricorso, tanto da costringere gli uffici di stato civile, ad utilizzare un servizio di prenotazione;
    sono inoltre state approvate disposizioni normative in materia di:
     attribuzione del cognome di entrambi i coniugi ai figli;
     unioni civili e registrazione delle convivenze;
     concessione della cittadinanza ai ragazzi stranieri nati in Italia o se arrivati in Italia nei primi 12 anni di età;

   gli uffici demografici, rendendo pienamente applicabili e fruibili dai cittadini i nuovi istituti che sono stati introdotti durante l'attuale legislatura, si pongono come fulcro operativo ed artefici dei cambiamenti approvati dal legislatore: da loro buon funzionamento, dal livello di professionalità, dalla capacità di soddisfare le esigenze dei cittadini, di rendere accessibili i nuovi servizi, dipende anche il successo di tutte le innovazioni che vengono approvate in Parlamento;
   il costante blocco del turn-over nella pubblica amministrazione non favorisce un adeguato ricambio professionale, considerato anche la specifica formazione necessaria per l'espletamento delle funzioni in questione. Trattandosi appunto di personale con alta professionalità e responsabilità penale per la corretta tenuta dei registri di stato civile e anagrafe, ci si potrebbe trovate nella situazione di servizi sguarniti di personale adeguato, per un servizio ritenuto strategico per lo Stato e che non può essere interrotto –:
   se il Governo non reputi necessario assumere le iniziative di competenza per annoverare, anche gli ufficiali di stato civile e di anagrafe, all'interno delle categorie escluse dal blocco del turn-over nella pubblica amministrazione. (5-08762)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Amantea, in provincia di Cosenza, è una delle terre negli ultimi anni più esposte alla presenza della criminalità organizzata, prova ne siano i numerosi atti intimidatori, minacce, incendi che la stessa ha messo in atto;
   non è un caso che il comune di Amantea è stato protagonista, già nel 2008, dell'operazione «Nepetia» che ha portato all'arresto di 39 presunti consociati, a un sequestro di beni per oltre 15 milioni di euro, confiscato ai principali esponenti della cosca Gentile-Besaldo, attiva ad Amantea e nella zona del medio Tirreno cosentino, e che ha permesso di constatare l'esistenza, nel territorio di Amantea, di un forte clan mafioso;
   solo pochi giorni fa il comune è stato vittima di un ultimo atto intimidatorio, come riportato da alcune testate locali: è stata infatti incendiata, nella notte del 16 maggio 2016, la ruspa della ditta Eurostrade srl, che aveva vinto l'appalto per i lavori di ampliamento di via Neto, ad Amantea appunto;
   secondo quanto si legge sul sito www.trn-news.it, «una grande ruspa da alcuni giorni stava realizzando i movimenti terra progettualmente previsti e necessari per l'allargamento della strada ed era stata parcheggiata nei pressi dell'unica casa di abitazione nei pressi della nuova arteria. E stanotte l'attentato le cui derivate fiamme hanno letteralmente divorato la costosa attrezzatura. Il fumo denso è stato spinto vero est ed ha avvolto le soprastanti abitazioni. Lì abita un anziano che affetto da malattia bronchiale ha avvertito problemi respiratori ed ha dato l'allarme [...] Poche ore dopo la città era interamente presidiata dalle forze dell'ordine, presenti con numerosi automezzi ed agenti [...] Questa volta l'amministrazione e le forze politiche (posto che ancora ce ne siano) non potranno sottrarsi alle necessarie azioni a tutela della sicurezza della città»;
   è evidente, dunque, come il territorio sia profondamente esposto alla minaccia della criminalità e che, pertanto, è necessaria la presenza delle forze dell'ordine, al fine di rendere concreta e reale la presenza dello Stato nella lotta alla ‘ndrangheta;
   secondo quanto si legge in un comunicato stampa direttamente sul sito del comune di Amantea a nome del sindaco, Monica Sabatino, «è notizia di questi giorni la chiusura della locale tenenza della Guardia di Finanza, l'ufficialità l'ho avuta come sindaco mercoledì 11 maggio nel corso dell'incontro avuto con il comandante della locale stazione Antonio Cassano e il capitano della compagnia di Paola Matteo Angelillis. Gli ufficiali durante il colloquio intercorso mi hanno spiegato le ragioni che hanno portato il comando generale ad effettuare la chiusura della nostra tenenza e le ragioni addotte di razionalizzazione ed efficientamento del servizio potrebbero essere condivisibili se non parlassimo di un presidio di legalità»;
   per quanto detto, la chiusura della tenenza della Guardia di Finanza ad Amantea significa la perdita di un presidio di legalità importante per la città ed un depauperamento in termini di percezione di presenza dello Stato, di sicurezza e di qualità della convivenza civile;
   non bisogna peraltro dimenticare che nell'attuale epoca storica le mafie sono più soltanto quelle delle faide e degli attentati, ma soprattutto quelle che si inseriscono nelle attività, negli appalti e nelle aziende per la loro esigenza di ripulire il denaro proveniente da attività illecite, per cui c’è la vitale necessità di mantenere un punto di riferimento vicino e tangibile per credere e avere fiducia nella giustizia e nello Stato;
   per risolvere la quaestio e riuscire a far coesistere esigenze di razionalizzazione ed esigenza, prioritaria, di mantenere il presidio di legalità ad Amantea, il consigliere comunale e capogruppo M5S al comune di Amantea, Francesca Menichino, ha scritto, il 13 maggio una lettera all'Agenzia nazionale beni sequestrati e confiscati (Anbsc) per chiedere di sapere con riferimento agli immobili confiscati nel territorio di Amantea, «a che punto sia la procedura di assegnazione degli immobili in questione conseguente alla manifestazione di interesse rivolta all'Agenzia del Demanio e agli Enti Locali competenti»;
   ciò al fine «di consentire all'esecutivo e al consiglio comunale di Amantea, in coordinamento con le competenti amministrazioni governative di valutare se sia possibile prospettare l'ipotesi dell'assegnazione alla Guardia di Finanza di uno degli immobili confiscati, in modo da scongiurare la possibilità che la Tenenza presente ad Amantea venga chiusa per come pare sia stato previsto ai fini della riduzione della spesa pubblica, ma con l'infausto risultato della rinuncia ad un presidio di legalità in un territorio come quello di Amantea, caratterizzato dalla presenza di diverse organizzazioni criminali e dal frequente verificarsi di atti criminali ed intimidatori, che minacciano la sicurezza e l'ordine pubblici»;
   secondo quanto denunciato ancora dal consigliere comunale in una seconda lettera, questa volta indirizzata a tutti i componenti del consiglio comunale, il risparmio previsto con la chiusura della tenenza è oggettivamente esiguo, trattandosi di circa 20 mila euro all'anno –:
   quali urgenti iniziative si intendano intraprendere per scongiurare la chiusura della tenenza della Guardia di Finanza in un territorio, per quanto specificato in premessa, in cui è necessario garantire la presenza dello Stato;
   se il Ministro dell'interno non ritenga opportuno fornire, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 la documentazione dell'Anbsc relativa ai beni confiscati ad Amantea, e attivarsi, di concerto con il comune, per la pronta assegnazione di un immobile alla locale Guardia di Finanza. (4-13250)


   FASSINA, SCOTTO, FRATOIANNI, PAGLIA, RICCIATTI, PANNARALE, MARTELLI, MARCON e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, n. 1, del regio decreto 14 novembre 1901, n. 466, dichiara sottoposte al Consiglio dei ministri «le questioni d'ordine pubblico e di alta amministrazione», inoltre l'articolo 1 della legge 18 giugno 1931, n. 773, dispone che «l'autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell'ordine pubblico» e, in particolare, «il prefetto, in caso d'urgenza e per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica»;
   il 21 maggio 2016 rischia di essere una giornata ad alto rischio per la sicurezza e l'ordine pubblico della città di Roma;
   in quella giornata, infatti, il movimento politico di estrema destra CasaPound ha indetto un raduno in occasione dell'anniversario della morte di Dominique Venner, ideologo francese di estrema destra morto nel 2013;
   l'appuntamento è previsto per le ore dieci della giornata di sabato in piazza Vittorio, all'Esquilino, a pochi passi dal quartier generale di CasaPound. «Difendere l'Italia» è lo slogan che campeggia su manifesti in stile ventennio fascista. Come il monito citato: «Ciò che è scritto con il sangue dei padri non si cancella con la saliva dei politici». Sul sito di CasaPound si spiega così la manifestazione: «Una mobilitazione di tutti gli uomini liberi in difesa dei confini, delle tradizioni e dell'identità per fermare il terrore e le forze malate che cinicamente lo alimentano»;
   come riporta la stampa, nella notte tra il 17 e il 18 maggio – a pochi giorni dal corteo che attraverserà gran parte del centro di Roma – una quindicina di membri di CasaPound hanno deliberatamente aggredito tre attivisti antifascisti in zona Torpignattara, a Roma;
   si tratta di un fatto estremamente grave e premeditato che segnala il rischio che la manifestazione di sabato prossimo possa trasformarsi in ulteriori atti di violenza e di oltraggio ai valori democratici e antifascisti fondanti la Repubblica Italiana;
   importanti associazioni come l'Associazione nazionale partigiani d'Italia (Anpi) hanno già scritto al prefetto di Roma per chiedere di vietare la manifestazione, annunciando anche un esposto alla procura della Repubblica «per ogni espressione di stampo fascista che dovesse essere intrapresa senza il pronto intervento delle forze dell'ordine». L'Anpi, si legge nella lettera al prefetto, chiede «che non venga consentito a CasaPound l'uso della piazza per la palese contrarietà del portato ideologico di detta organizzazione con la Costituzione»;
   ancora di recente, proprio sul tema è intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione che, a parere degli onorevoli interroganti merita di essere valutata con attenzione. Come ha infatti chiarito la sez. I Penale della Corte, con la sentenza n. 20450 depositata il 17 maggio 2016, il saluto fascista o romano, che dir si voglia, o qualunque altra manifestazione a carattere fascista rappresenta una manifestazione che rimanda all'ideologia fascista e ha valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza. La fattispecie non richiede che le manifestazioni «siano caratterizzate da elementi di violenza, svolgendo una funzione di tutela preventiva secondo quanto previsto dal decreto-legge 122 del 1993» –:
   se il Ministro interrogato, in considerazione del grave rischio per la sicurezza e l'ordine pubblico e stante le recenti aggressioni a carattere fascista dei giorni scorsi, non intenda assumere iniziative affinché sia vietata la manifestazione di cui in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per impedire che la città Roma e le zone circostanti divengano luogo fertile per l'insediamento di realtà di ispirazione neofascista, xenofoba e razzista. (4-13255)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILOZZI, MALPEZZI e PIAZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli ambiti territoriali provinciali (ATP) e gli uffici scolastici regionali (USR) costituiscono oggi la spina dorsale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nell'esercizio delle fondamentali funzioni assegnategli dalla Costituzione e dalle leggi italiane;
   negli ultimi anni in particolare, stanti le numerose e importanti riforme introdotte nel settore della pubblica istruzione, tali strutture sono state sottoposte a carichi importanti di lavoro che, nonostante tutte le problematiche e le difficoltà operative, sono stati adempiuti con efficienza e puntualità grazie all'abnegazione e all'impegno dei lavoratori, consentendo il regolare svolgimento delle attività scolastiche in tutta Italia;
   cionondimeno, le strutture periferiche del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca hanno conosciuto negli ultimi anni pesantissimi tali al personale che oggi rischiano seriamente di minare l'efficienza e l'operatività delle stesse;
   i tagli hanno riguardato praticamente tutte le strutture periferiche con casi eclatanti nel Lazio, con il personale delle 5 strutture provinciali letteralmente dimezzato negli ultimi 10 anni, a Milano, con tagli del 52 per cento, e a Bergamo, con il personale ridotto da 52 a 26 unità negli ultimi 6 anni;
   a tali carenze di personale in organico, si aggiunge di frequente, la «vacanza» dei ruoli dirigenziali, ricoperti pro tempore da personale delle USR, che si protrae spesso per anni con oggettive conseguenti difficoltà operative, come il caso del CSA di Frosinone;
   la carenza d'organico delle strutture del Ministero, dunque, nonostante l'impegno dei dipendenti in forza, rischia di vanificare il lavoro svolto e di rallentare le procedure amministrative in un momento di forti cambiamenti e di importanti riforme del mondo della scuola;
   al fine di rimediare alla citata carenza d'organico, oltre ad attivare nuove procedure di assunzione, il Ministero potrebbe oggi far ricorso all'istituto della mobilità interistituzionale che, per le sue caratteristiche di rapidità e semplicità, potrebbe ovviare a talune situazioni locali di emergenza in tempi rapidi –:
   se sia a conoscenza delle difficoltà e della oggettiva carenza di personale nelle strutture periferiche del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ambiti territoriali provinciali e Usr, e se non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza anche attraverso l'attivazione dell'istituto della mobilità del personale del comparto pubblico.
(5-08745)


   MANZI e CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come apparso sulla stampa locale nei giorni scorsi le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e SNALS delle Marche, comparto scuola, hanno espresso diverse preoccupazioni, circa le gravi carenze di personale docente, determinatesi a seguito sia dell'assegnazione del contingente organico stabilito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per il triennio 2016/2019, sia della successiva ripartizione delle consistenze organiche tra gli ambiti territoriali e provinciali da parte dell'ufficio scolastico regionale delle Marche;
   le criticità segnalate riguardano nello specifico la dotazione organica ministeriale per la scuola primaria, la cui quota prevista per la regione Marche è pari a 5020, a fronte dei 5.049 dell'anno scolastico 2015/2016, e la mancata assegnazione di circa 20 posti a livello interprovinciale da parte del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale, che, tra l'altro, avrebbe coinvolto i sindacati della scuola solo pochi giorni prima dell'approvazione degli organici, senza un'adeguata informazione sui criteri adottati e senza tenere conto delle necessità del territorio;
   quanto alla provincia di Macerata in particolare, sempre per la scuola primaria, si sarebbe verificata una riduzione di circa 27 posti, di cui 19 posti di organico potenziato e 8 posti in base alle classi autorizzate;
   l'opinione diffusa tra gli addetti ai lavori è che una ripartizione così formulata, oltre al rischio di compromettere i piani triennali dell'offerta formativa, non tenga nella giusta considerazione una delle variabili tra cui: le necessità del territorio, la quota di alunni con disabilità, la presenza e le peculiarità delle scuole di montagna e la scelta del tempo pieno;
   al contrario un incremento dell'organico di diritto, attribuito alla provincia di Macerata, soprattutto per la scuola primaria, potrebbe rispondere ai bisogni delle famiglie, degli alunni e del territorio maceratese e alle gravi situazioni di disagio evidenziate, nel rispetto delle norme di legge in materia suzione delle classi, di tutela dei disabili e di edilizia scolastica –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere, per quanto di competenza, iniziative che possano consentire alla regione Marche e in particolar modo alla provincia di Macerata di disporre di ulteriori risorse in organico per le scuole per quella primaria, in modo tale da corrispondere alle esigenze locali e da realizzare gli obiettivi che il Governo ha indicato con «la buona scuola». (5-08753)


   RIBAUDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la situazione dell'ente pubblico di ricerca «INGV-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia», nonostante la nomina del nuovo prestigioso Presidente professor Carlo Doglioni, permane critica in relazione al direttore generale dottor Massimo Ghilardi, sfiduciato dal consiglio d'amministrazione dell'Istituto in data 15 marzo 2016. Nonostante tale determinazione dell'organo di vertice dell'ente, a distanza di due mesi il direttore Ghilardi non ha ritenuto di trarre le dovute conseguenze, rassegnando le proprie dimissioni, com’è d'obbligo nell'etica e nella trasparenza di qualsivoglia organismo pubblico, ove il rapporto fiduciario tra Consiglio di amministrazione e direzione generale è base ineludibile per una corretta gestione;
   è opportuno evidenziare, (come riportato nei verbali del Consiglio d'amministrazione n. 4 e n. 6 del 18 marzo 2016 e del 26 aprile 2016) che tra le diverse motivazioni della sfiducia al direttore generale, vi è quella della illegittima istituzione di un sistema di protocollo riservato dell'INGV non deliberato dal vertice dell'ente, gestito e controllato dallo stesso direttore generale, per cui avrebbe letteralmente occultato al Presidente pro-tempore ed al CdA, documentazione e corrispondenza da lui intrattenuta con Organi dello Stato e con la Magistratura. Anomalia gravissima, questa, condotta da qualche anno;
   inoltre, l'annoso scontro interno tra lo stesso direttore generale Ghilardi e il consiglio di amministrazione non garantisce quella necessaria serenità per consentire un proficuo svolgimento delle attività dell'istituto;
   giova ricordare che solo qualche anno fa con analogo atto, interpellanza n. 2-00736 svoltasi in questa aula della Camera dei deputati, l'interrogante aveva chiesto al Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'istruzione, dell'università e della ricerca di intervenire nei confronti degli organi di gestione del suddetto istituto, proprio per il clima di tensione e di scontro che si era creato all'interno del centro che aveva messo a rischio il piano di stabilizzazione dei precari. Anche in quell'occasione uno dei protagonisti di tali scontri fu proprio il direttore generale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire con la massima urgenza presso il vertice amministrativo dell'INGV, al fine di riportare l'indispensabile clima di serenità e produttività in uno dei più qualificati e noti enti di ricerca italiani nella comunità scientifica internazionale, procedendo là dove se ne rilevassero le motivazioni anche alla risoluzione anticipata del contratto privatistico. (5-08758)

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi mesi è stato fatto l'annuncio di una possibile apertura di un distaccamento della nascente «università islamica d'Italia», avente sede legale a Lecce, ad Omegna presso la sede dell'ex stabilimento industriale Bialetti per l'organizzazione di master in finanza islamica;
   il presidente della Fondazione che ha avviato l’iter per il riconoscimento presso il Ministero dell'istruzione dell'università e delle ricerche dell'Università Islamica di Italia, Giampiero Khaled Paladini, ha incontrato nel mese di febbraio 2016 l'amministrazione comunale di Omegna con l'intento di illustrare il progetto formativo;
   dalle prime verifiche effettuate l'Università Islamica d'Italia non risulta essere stata riconosciuta dal Ministero dell'istruzione dell'università e delle ricerche;
   in ragione di questo, risulterebbe altresì che i corsi di laurea proposti non avrebbero nessun valore legale;
   tra le 17 università private italiane esistenti ed aderenti alla Crui non risulta esserci nessun riferimento alla richiamata Università Islamica d'Italia;
   non è chiaro chi siano i reali finanziatori della richiamata università e con quale obbiettivo formativo intendano svolgere le attività di istruzione e formazione ad oggi solamente annunciate, considerato che permetterebbero di ottenere un titolo di studio non utilizzabile nel nostro Paese –:
   come intendano intervenire i Ministri interrogati, per quanto di competenza al fine di fare chiarezza sulla natura dell'università islamica di italia, in modo da consentire una valutazione oggettiva e serena alle amministrazioni locali interessate da questo progetto formativo.
(4-13273)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, MARTELLI, FOLINO, GREGORI, NICCHI, PIRAS, QUARANTA, FRANCO BORDO, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da tempo diverse organizzazioni sindacali segnala l'attività di somministrazione di lavoro interinale da parte di agenzie di lavoro di Paesi comunitari – principalmente la Romania ed altri Paesi dell'area dell'Est Europa –, che promuovono i forti vantaggi economici per le aziende nell'assumere personale assunto con «contratti rumeni», in ordine alla maggiore flessibilità (leggi: minori tutele per i lavoratori) e al risparmio in termini di oneri retributivi (ad esempio tredicesima, quattordicesima, TFR, e altro);
   tali attività rappresentano un grave nocumento non solo per i lavoratori coinvolti in tali pratiche, ma anche per quelli italiani, che perdono «competitività» rispetto a questa forma di concorrenza basata esclusivamente sul « dumping» retributivo;
   la somministrazione di lavoro transnazionale è regolata dalla direttiva comunitaria 96/71/CE, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 72 del 2000, e dalla direttiva 2014/67/UE, che supera alcune incertezze interpretative della direttiva 96/71/CE, chiarendone la corretta applicazione;
   il Ministero interrogato ha già fornito indicazioni per attività di vigilanza e informazione in materia di somministrazione transnazionale di lavoro con la circolare n. 14 del 9 aprile 2015;
   in particolare, in merito alle tutele lavoristiche, la circolare rimarca come l'articolo 3 della direttiva 96/71/CE stabilisce, per i lavoratori inviati in distacco da uno Stato membro ad altro dell'Unione europea, l'applicazione del principio della lex loci laboris, vale a dire «l'applicazione dei livelli minimi di condizioni di lavoro e occupazione previsti dalla legge del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa». Alla luce di tale previsione, quindi, quando l'attività lavorativa è svolta in Italia la stessa deve essere sottoposta alle disposizioni di legge, amministrative e alla contrattazione collettiva in ordine ad una serie di elementi quali: i periodi massimi di lavoro e i turni di riposo; la durata delle ferie retribuite; le tariffe salariali e le tariffe per il lavoro straordinario; la salute, la sicurezza e l'igiene sui posti di lavoro, e altro;
   da ciò discende la garanzia della sostanziale parità di trattamento normativo e retributivo dei lavori «somministrati» a livello transnazionale e quelli italiani alle dipendenze della impresa utilizzatrice di lavoro interinale;
   nella circolare citata veniva espresso l'invito alle direzioni del lavoro operanti a livello territoriale ad informare la direzione generale per l'attività ispettiva «in ordine ad accertamenti o iniziative di particolare rilievo svolte sul territorio di competenza»;
   il fenomeno dell'aggiramento delle norme comunitarie in materia di somministrazione transnazionale colpisce in particolare modo il settore del trasporto su gomma –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di riferire in merito alle attività effettivamente intraprese dalle direzioni territoriali del lavoro, sia sul piano ispettivo che sul piano informativo, in ordine al problema illustrato in premessa;
   se non intenda fornire i dati relativi agli interventi delle direzioni territoriali effettuati a seguito della citata circolare.
(5-08732)


   MOGNATO, GNECCHI, MARTELLA, MORETTO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   presso la sede INPS di Venezia, centro di riferimento del territorio dell'omonima Città metropolitana, erano in servizio fino al 31 agosto 2015, 2 dirigenti (direttore e vicedirettore), oltre ad una terza posizione dirigenziale oggi in aspettativa;
   nel luglio 2015, l'allora vicedirettore ha dovuto abbandonare il proprio incarico, in quanto parte soccombente in un ricorso presso il Tar del Lazio, vinto da un concorrente al concorso per primo dirigente, che era stato inizialmente escluso;
   da 10 mesi pertanto vi è un solo primo dirigente operante presso la sede Inps di Venezia, con gli inevitabili aggravi ed appesantimenti dei procedimenti afferenti a tale centro;
   l'interpello fatto a livello nazionale dall'Inps nei mesi scorsi per la copertura di 21 posti vacanti di primo dirigente di cui 3 in Veneto (Padova, Venezia e Vicenza) non ha registrato nessuna candidatura per il capoluogo lagunare;
   il protrarsi di tale situazione rischia di creare difficoltà all'operatività ordinaria della sede Inps di Venezia, con inevitabili ricadute sull'utenza;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per verificare la possibilità – nelle more dell'assegnazione definitiva – di distaccare presso la sede Inps di Venezia un dirigente assegnato ad altra sede (ovvero proveniente da altre amministrazioni), anche per un arco temporale limitato rispetto all'orario di servizio settimanale. (5-08734)


   GIACOBBE, BASSO, TULLO, ARLOTTI, BARUFFI, PATRIZIA MAESTRI, DI SALVO e GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'applicazione del decreto legislativo n. 148 del 2015, per alcuni suoi aspetti rilevanti, è affidata all'emanazione di decreti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico;
   in particolare, l'articolo 42, comma 3, del decreto legislativo 148 del 2015 prevede che «per gli accordi conclusi e sottoscritti in sede governativa entro il 31 luglio 2015, riguardanti casi di rilevante interesse strategico per l'economia nazionale che comportino notevoli ricadute occupazionali, tali da condizionare le possibilità di sviluppo economico territoriale, e il cui piano industriale abbia previsto l'utilizzo di trattamenti straordinari di integrazione salariale oltre i limiti previsti dagli articoli 4, comma 1, e 22, commi 1, 3 e 4, su domanda di una delle parti firmatarie dell'accordo, da inoltrare entro 30 giorni dall'adozione del decreto di cui al comma 5, ed entro il limite di spesa di 90 milioni di euro per l'anno 2017 e di 100 milioni di euro per l'anno 2018, può essere autorizzata, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la prosecuzione dei trattamenti di integrazione salariale per la durata e alle condizioni certificate dalla commissione di cui al comma 4»;
   lo stesso articolo 42, al comma 5, prevede che i criteri per l'applicazione dei commi 3 e 4 siano definiti «con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro 60 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto»: il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 23 settembre 2015;
   nel caso della Piaggio Aero, per la quale ricorrono tutte le condizioni per realizzare la proroga, così come previsto anche nel piano industriale e negli accordi sindacali, il termine di «trenta giorni dall'adozione del decreto di cui al comma 5» cadrebbe esattamente nei prossimi giorni;
   infatti, la scadenza della cassa integrazione di cui andrebbe chiesta la proroga è il 21 luglio 2016 (verbale di accordo tra le parti del 15 luglio 2014);
   Piaggio Aero impiega 1235 lavoratori e lavoratrici; si tratta di azienda che ha per il Paese valore strategico e per la quale è in corso un complesso confronto che impegna la Presidenza del Consiglio dei ministri, oltre al Ministero dello sviluppo economico, e la proprietà;
   in mancanza dello strumento essenziale del decreto previsto al comma 4 dell'articolo 42, si profila il rischio concreto che l'azienda decida di ricorrere ad una procedura di licenziamento collettivo, per oltre 140 persone;
   per la vertenza Piaggio Aero era previsto un incontro presso il Ministero dello sviloppo economico nella giornata del 12 maggio 2016, incontro che è stato spostato a fine mese; è necessario quindi chiarire con grande urgenza le condizioni di una proroga della cassa integrazione guadagni straordinaria, ai sensi dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 148 del 2015, ben prima della realizzazione di quell'incontro;
   il consiglio regionale della Liguria, con un proprio ordine del giorno sottoscritto da tutti i gruppi consiliari, ed approvato all'unanimità, ha sollecitato il Governo ad emanare i provvedimenti necessari a rendere applicabile l'articolo 42, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 148 del 2015, «al fine di scongiurare il paradosso per cui, pur in presenza delle condizioni, non ci sia il rinnovo della CIGS come previsto dagli accordi sottoscritti»;
   il sindaco del comune di Villanova d'Albenga, sede di stabilimento di Piaggio Aero, a nome di oltre 40 sindaci del territorio, ha inviato una nota ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico che sollecita l'adozione del decreto interministeriale;
   è stato recentemente pubblicato il decreto interministeriale attuativo dall'articolo 21 del decreto legislativo n. 148 del 2015;
   se il Governo sia a conoscenza della rilevanza ed urgenza per la Piaggio Aero dell'emanazione del decreto interministeriale per l'applicazione dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 148 del 2015;
   in quali tempi si intenda adottare il decreto interministeriale in questione, posto che il termine previsto dal comma 5 dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 148 del 2015 è scaduto da molti mesi. (5-08739)


   MATARRESE e PIEPOLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il mancato versamento dei contributi previdenziali, entro i termini previsti per legge, prevede per il datore di lavoro l'addebito di somme aggiuntive che maturano in relazione al ritardo nel versamento, la cui misura percentuale, in rapporto al capitale non versato è variabile in relazione alla tipologia di omissione;
   il decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, nella legge 26 settembre 1981, n. 537, articolo 13, comma 1, dispone che «l'interesse di differimento e di dilazione, per la regolarizzazione rateale dei debiti per i contributi ed accessori di legge dovuti dai datori di lavoro agli enti gestori delle forme di presidenza e assistenza obbligatoria, è pari al tasso di degli interessi attivi previsti dagli accordi interbancari per i casi di più favorevole trattamento, maggiorato di cinque punti e sarà determinato con decreto del Ministro del tesoro in concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale con effetto dalla data di emanazione del decreto stesso»;
   il decreto-legge 14 giugno 1996, n. 318, convertito dalla legge n.402 del 29 luglio 1996, articolo 3, comma 4, prevede che «a decorrere dal 1o luglio 1996, è determinata in sei punti la maggiorazione di cui all'articolo 13, primo comma, del decreto-legge 29 luglio 1981, n. 402, convertito, con modificazioni, nella legge 26 settembre 1981, n. 537, e successive modificazioni ed integrazioni»;
   con decisione del 10 marzo 2014 la Banca centrale europea al fine di favorire l'accesso al credito ha provveduto a ridurre di 0,05 punti percentuali il tasso di interesse sulle operazioni di riferimento principali dell'Eurosistema (ex tasso ufficiale di riferimento). Con decorrenza 16 marzo 2016 il suddetto tasso di interesse risulta pari allo 0,00 per cento;
   la riduzione del tasso ufficiale di riferimento determina con decorrenza 16 marzo 2016 che i versamenti, differiti, dilazionati o rateizzati siano maggiorati di una somma pari al 6,00 per cento;
   vi è stata negli ultimi anni una rilevante riduzione del costo del denaro alla quale non è corrisposta un'analoga riduzione del suddetto tasso di maggiorazione;
   il suddetto tasso di maggiorazione era già molto penalizzante per le aziende in crisi che per tale motivazione chiedevano la rateizzazione nel versamento dei contributi previdenziali prevista per legge;
   ad oggi, in presenza di una crisi economica recessiva, di particolare gravità, un tasso di maggiorazione così elevato determina nei fatti un paradosso sia in relazione all'effettivo costo del denaro prossimo allo zero, che nel non agevolare di fatto la rateizzazione nel versamento della contribuzione;
   le aziende in crisi, da un lato, vengono favorite da politiche di riduzione del costo del denaro per facilitare l'accesso al credito e, dall'altro, sono penalizzate da maggiorazioni del tasso di interesse imposte dallo Stato di entità tale da essere difficilmente sostenibili;
   la rateizzazione dei versamenti dei contributi previdenziali ne garantisce la riscossione da parte degli siti destinatari che diversamente non sarebbe possibile, e quindi dovrebbe essere resa accessibile alle imprese che intendano beneficiarne –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare affinché sia possibile favorire, in questo momento di grave crisi, la rateizzazione dei versamenti contributivi per le imprese in difficoltà finanziaria anche tramite una concreta riduzione del tasso di maggiorazione attualmente molto penalizzante. (5-08740)


   TINAGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la signora N. Z., nata a Pescina (L'Aquila), dipendente di scuola pubblica, con circa 39 anni di contributi, ha presentato domanda di pensione all'INPS, a causa della sue gravi condizioni di salute;
   il 3 marzo 2014 le viene accolta la prima domanda di pensione per «salvaguardati», ma la graduatoria è scaduta;
   il 4 dicembre 2014, sulla base della legge n. 147 del 2014, le viene accolta la seconda domanda di salvaguardia, che tuttavia sarebbe rimasta lettera morta;
   il 16 settembre 2015 alla signora viene riconosciuta l'inabilità totale al lavoro, secondo la legge n. 274 del 1991 che prevede il pensionamento dei dipendenti pubblici, tuttavia il provveditorato agli studi si sarebbe opposto, appellandosi ad un'altra legge, la n. 335 del 1995, e le ha riconosciuto solo 6 mesi di inidoneità all'attività lavorativa;
   a quanto risulta all'interrogante l'Inps a novembre 2015 le avrebbe comunicato l'accoglimento della domanda di pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2016, che però avrebbe revocato il 16 febbraio 2016, avviando le procedure per il suo reinserimento al lavoro;
   il risultato è la paralisi esistenziale per una persona che non può lavorare e non può andare in pensione, «ostaggio» della burocrazia –:
   se siano a conoscenza dei fatti descritti;
   quali siano le responsabilità dell'Inps in un «caso limite» in cui, a giudizio dell'interrogante, due amministrazioni dello Stato non solo non dialogano, ma lottano tra loro a colpi di legge;
   quali iniziative di competenza si intendano adottare per consentire l'accoglimento della domanda di pensione.
(5-08748)


   DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società nacque dallo scioglimento, nel 1987, del consorzio Inbus le cui produzioni furono trasferite alla Bredabus, società della capogruppo Breda Costruzioni Ferroviarie, controllata dall'ente pubblico Efim;
   nel 1989, Breda Costruzioni Ferroviarie acquisì la Menarini di Bologna, nata nel 1919 divenendo BredaMenarinibus;
   negli anni novanta Efim, venne posto in liquidazione coatta e le partecipazioni industriali trasferite a Finmeccanica;
   il 1o gennaio 2015 Finmeccanica ha ceduto la BredaMenarinibus alla neocostituita Industria Italiana Autobus s.p.a., partecipata all'80 per cento da King Long Italia S.p.A. e al 20 per cento dalla stessa Finmeccanica;
   il 6 maggio è stato comunicato da parte della Industria italiana autobus, la società che ha inglobato il 1o gennaio 2015 la ex Bredamenarini di Finmeccanica (a Bologna) e la ex Irisbus di Fiat (a Flumeri, Avellino), l'avvio della procedura di licenziamento collettivo per un quarto dei lavoratori in forza (46 su 184) a Bologna;
   la notizia, del tutto inattesa, arriva dopo che invece negli incontri con il Ministero dello sviluppo economico, che sta seguendo il piano di reindustrializzazione aziendale, la situazione della società era stata definita tranquilla, con la garanzia di saturazione degli organici attraverso la costruzione di 220 veicoli certi di contratti e con altri ordini a portafoglio;
   ordini e produzione sembrerebbero non mancare rendendo, sul piano industriale e delle relazioni sindacali ed istituzionali, immotivato ed inaccettabile l'annuncio dei licenziamenti;
   l'azienda dovrebbe concentrare a Bologna la realizzazione degli autobus per il trasporto urbano, riservando allo stabilimento dell'avellinese altre produzioni, come risulterebbe da un piano industriale previsto da un accordo raggiunto al Ministero dello sviluppo economico e sottoscritto anche dalla regione e dal comune di Bologna;
   la scelta adottata dall'azienda, appare inaccettabile anche perché sviluppa tensioni e conflitti sui territori che già hanno sofferto e continuano a soggiacere alla crisi;
   inoltre, per i fabbisogni produttivi in essere e per quelli connessi agli ordinativi previsti, sembra sia possibile procedere addirittura ad ulteriori assunzioni; un'opzione che contrasta fortemente con quanto risulta stia avvenendo, vale a dire le delocalizzazioni di singole produzioni ad un'importante azienda del settore, la turca Karsan;
   l'industria italiana degli autobus è controllata per l'80 per cento da King Long Italia, società importatrice degli autobus cinesi della Xiamen King Long;
   lo storico stabilimento bolognese è l'unico in Italia ad essere attivo nella produzione di autobus, vale a dire di uno dei fondamentali elementi dei sistemi di mobilità e del trasporto pubblico locale, indispensabile per qualsiasi politica di sviluppo e di programmazione territoriale e per le strategie di programmazione territoriale e le strategie di qualificazione ambientale;
   contestualmente la vicenda industriale culminata nell'inattesa ed inaccettabile comunicazione di 46 licenziamenti si confronta con uno scenario molto più vasto, che va dall'altro stabilimento di IIA ad Ufita, alle delocalizzazioni produttive ad altri operatori del settore, alla stessa proprietà di Industria Italiana autobus che oggi è ricondotta solo in parte a Finmeccanica, mentre la netta maggioranza è «della rappresentanza» italiana della cinese King Long;
   si tratta di uno scenario nel quale l'occupazione nello stabilimento emiliano-romagnolo rischia di essere sacrificato –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale situazione;
   come il Governo intenda operare al fine di evitare l'avvio della procedura di licenziamento collettivo;
   se il Governo abbia intenzione di esercitare ogni utile iniziativa affinché trovino accoglimento le istanze alla base della protesta sindacale attivata rispetto alla comunicazione dei 46 licenziamenti;
   quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di rilanciare la produzione e, conseguentemente, l'occupazione in un settore in netto sussidio della politica ambientale secondo lo slogan per cui è preferibile utilizzare i mezzi pubblici;
   se risultino essere stati concessi finanziamenti, prestiti o altre forme di agevolazione da parte delle istituzioni statali o di altri soggetti pubblici, quali Invitalia, e se tali agevolazioni siano compatibili con i licenziamenti annunciati;
   se sia intenzione del Governo aprire presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo di confronto con l'azienda e le parti sociali;
   quale garanzia il Governo abbia intenzione di dare per salvaguardare il diritto dei lavoratori ed il diritto costituzionale al lavoro. (5-08757)


   DI VITA, GRILLO, BARONI, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le sentenze del Consiglio di Stato n. 841, 842 e 838 del febbraio 2016 hanno dichiarato illegittimo il computo delle provvidenze economiche a favore delle persone con disabilità all'interno dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e la differenziazione delle franchigie tra minorenni e maggiorenni;
   a tal proposito il 31 marzo 2016 è stata votata dall'assemblea della Camera la mozione del MoVimento 5 Stelle 1-01196, sottoscritta dalla prima firmataria del presente atto, riguardante proprio la revisione del sistema di calcolo dell'indicatore della situazione economica equivalente (Isee) in seguito alle succitate sentenze;
   il testo, così come modificato nel corso della seduta e risultante dalla votazione, impegnava il Governo:
    ad intraprendere le opportune e improcrastinabili iniziative, affinché il calcolo dell'ISEE sia effettuato tutelando i soggetti più deboli della nostra società, quali sono gli anziani malati e i disabili in condizione di gravità, conformemente alla citata sentenza del Consiglio di Stato;
    nelle more di un intervento di riforma della normativa vigente in conformità alla sentenza citata del Consiglio di Stato, a valutare l'adozione di idonee iniziative per definire il valore dell'ISEE indicanti le modalità transitorie di calcolo da effettuarsi in base alle disposizioni normative antecedenti alla riforma intervenuta con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 3 dicembre 2013;
    a proseguire la discussione nell'ambito del comitato consultivo istituito in attuazione dell'articolo 12, comma 6, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
    a disporre una specifica informativa pubblica tramite i propri canali di comunicazione istituzionale, allo scopo di rendere a tutti soggetti interessati, ovvero coloro i quali hanno presentato delle dichiarazioni ISEE non conformi alla citata sentenza del Consiglio di Stato, tutte le informazioni e i chiarimenti del caso, compresa l'indicazione della procedura da seguire per la corretta compilazione del modello ISEE;
   si è appreso da recenti fonti di stampa delle forti critiche mosse con riferimento all'operato del Governo che, in sede di discussione al Senato della legge di conversione del decreto-legge n. 42 del 2016, recante disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca, ha presentato un emendamento che investe la questione ISEE, con l'intento di modificare l'attuale decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, inserendo di fatto – è stato denunciato – un elemento assai rilevante, benché del tutto estraneo e non omogeneo rispetto alla materia del provvedimento in quel momento oggetto d'esame;
   secondo quanto denunciato nei giorni scorsi da Anffas, in particolare, con tale manovra l'Esecutivo non avrebbe tenuto in alcun conto quanto nel mentre si era discusso e stava per discutersi presso il comitato di monitoraggio dell'ISEE (previsto dall'articolo 12, comma 6 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013);
   gli esperti del settore, le associazioni di categoria e gli stessi ricorrenti sottolineano l'imprescindibile esigenza di recepire puntualmente le sentenze del giudice amministrativo, che impongono l'eliminazione di alcuni aspetti discriminatori delle franchigie rivolte alle persone con disabilità, evitando effetti «distorsivi»; si fa riferimento in particolare al rischio della penalizzazione proprio delle persone con disabilità a più alta intensità di sostegni e basso patrimonio, paradossalmente "premiando" le situazioni in cui ci siano maggiori risorse reddituali e patrimoniali, e senza alcuna selettività tra i diversi gradi di disabilità;
   gli interroganti sottolineano dunque ancora una volta la necessità e l'urgenza che il Governo proceda ad una definitiva e seria riforma dello strumento ISEE affinché il calcolo venga però effettuato tutelando realmente i soggetti più deboli della società in maniera del tutto conforme alle citate pronunce del giudice amministrativo e non promuovendo invece soluzioni temporanee, seppur per ragioni di contingenze economiche, che eludano parzialmente quanto puntualmente stabilito dalle sentenze medesime –:
   se non ritenga di dover tener conto delle istanze provenienti dal comitato di monitoraggio dell'ISEE previsto dall'articolo 12, comma 6, del DPCM n. 159 del 2013 e del preciso impegno assunto con la mozione n. 1-01196, come approvata il 31 marzo 2016, e dunque quali iniziative di competenza intenda assumere affinché, dati i rischi connessi ai denunciati effetti limitativi della capacità selettiva dello strumento ISEE e distorsivi della capacità reddituale dei nuclei familiari interessati, siano in ogni modo evitati ulteriori disagi e danni economici alle persone con disabilità e ai relativi nuclei familiari già fortemente limitati nella garanzia dei livelli essenziali di assistenza, nonché il rischio di ingenerare ulteriore contenzioso analogo a quello instauratosi in seguito all'emanazione del citato DPCM. (5-08759)


   CANCELLERI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   «Garanzia Giovani» è il piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile;
   il piano comporta degli investimenti a favore degli Stati membri della Unione europea con tassi di disoccupazione superiori al 25 per cento, da investire in «politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento al lavoro, a sostegno dei giovani che non sono impegnati in un'attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo (Neet - Not in Education, Employment or Training)»;
   il programma è rivolto ai giovani tra i 15 e i 29 anni, residenti in Italia, siano essi cittadini comunitari o stranieri extra Unione europea regolarmente soggiornanti;
   il programma prevede, in particolare, dei tirocini formativi della durata di sei mesi retribuiti con la somma di 500 euro al mese per tutta la durata del percorso formativo;
   i pagamenti ai tirocinanti, molti dei quali hanno già terminato il tirocinio, non avvengono o si verificano inaccettabili ritardi nell'erogazione, creando ulteriori disagi a migliaia di giovani che vivono in territori dove si registrano tassi di disoccupazione giovanile tra i più alti d'Europa. La situazione descritta è comune a quella di altre regioni italiane;
   i giovani che hanno aderito al programma «Garanzia Giovani» nella regione siciliana, alla data del 31 dicembre 2015, corrispondono al numero di 166.280; di questi, a seguito delle attività istruttorie svolte dai centri per l'impiego competenti, volte ad accertare lo stato di «neet», sono stati profilati e presi in carico 112.469 giovani;
   il numero di giovani che, con le risorse del detto programma, hanno avuto avviato un tirocinio ricevendo il pagamento delle relative indennità mensili ammonta a 23.568 per complessivi euro 39.652.083,33;
   ognuno dei giovani che precedono ha avuto in media erogato una indennità complessiva pro capite pari a euro 1.682,45, corrispondente a tre mesi e 45 giorni di attività di tirocinio, rimangono da corrispondere in media altri 2 mensilità e 45 giorni –:
   con quali modalità e in che quantità siano stati erogati finanziamenti europei e nazionali per pagamenti ai tirocinanti di «Garanzia Giovani» in Sicilia nonché se risulti al Governo vi siano ostacoli alla copertura finanziaria di tali pagamenti;
   se e quali iniziative di competenza abbia intrapreso il Ministro interrogato al fine di individuare soluzioni ai mancati o ritardati pagamenti;
   se il Ministro interrogato intenda avviare un'azione di verifica per comprendere come mai in Sicilia pagamenti ai tirocinanti, molti dei quali hanno già terminato il tirocinio, non avvengano.
(5-08760)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   capita con sempre maggiore frequenza che dipendenti pubblici o pensionati si vedano recapitare alla fine del mese uno stipendio o una pensione pari a pochi euro, a volte addirittura a un unico euro;
   questo succede perché, qualora i percipienti abbiano contratto a qualunque titolo e anche prescindendo dalla loro volontà e spesso anche senza che ne siano a conoscenza un debito con l'ente pagatore, questo ha la possibilità di rivalersi integralmente su di un unico pagamento mensile;
   questo, tuttavia, fa sì che i percipienti si trovino di fatto senza stipendio o senza pensione per una intera mensilità, con tutte le problematiche che ne conseguono;
   all'atto del computo per la busta paga o il cedolino della pensione le detrazioni, i conguagli e gli eventuali pignoramenti vengono operati in automatico mediante sistemi informatizzati;
   non è concepibile un totale azzeramento dello stipendio che pregiudica gravemente le condizioni essenziali per la sopravvivenza;
   di recente l'articolo 13 del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, ha modificato le soglie di impignorabilità di pensioni e stipendi, prevedendo che «le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge»;
   anche la Corte costituzionale si è pronunciata nel senso di stabilire un importo minimo che va comunque corrisposto all'avente diritto, fissandolo in 525,89 euro –:
   se il Governo non ritenga di adottare le opportune iniziative, anche normative, volte a fissare un importo minimo che debba essere comunque corrisposto agli aventi diritto, disponendo che gli eventuali conguagli o importi a debito dovuti dai medesimi siano rateizzati. (4-13252)


   MISIANI, SANGA, CARNEVALI e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 39 della Costituzione sancisce il diritto di libertà sindacale in forza del quale il legislatore non può determinare le forme organizzative dell'azione sindacale, né limitare pluralismo sindacale;
   il diritto di libertà sindacale, riconoscendo ai singoli individui il diritto a poter scegliere tra più sindacati, non può essere limitato dal legislatore imponendo l'adesione a una determinata organizzazione datoriale – sindacale, anche ai sensi degli articoli 18 e 41 della Costituzione;
   per categoria produttiva/professionale è da intendersi l'insieme di tutti gli operatori che svolgono la medesima attività produttiva/professionale. Un'associazione di categoria è un'associazione che rappresenta e tutela gli interessi degli operatori iscritti appartenenti a una determinata categoria economica;
   gli imprenditori che appartengono a una medesima categoria produttiva sono liberi di costituire e/o aderire ad una pluralità di organizzazioni associative-sindacali e nessuna singola Organizzazione può risultare assegnataria ex lege del «monopolio di una categoria produttiva»;
   la Federazione Italiana Panificatori è l'Organizzazione nazionale di categoria (costituita 1946) maggiormente rappresentativa dei panificatori artigiani. Sottoscrive (con Flai-Cgil, Fai-Cisl Uila-Uil) il più diffuso e storico contratto collettivo nazionale di categoria dei panificatori italiani;
   unitamente a Flai-Cgil, Fai-Cisl, Uila-Uil e Assopanificatori/Confesercenti, la Federazione ha costituito gli enti bilaterali più diffusi del settore panificazione Ebipan (nel 2010) e Fonsap (nel 2011);
   nel settore dell'artigianato operano una molteplicità di sigle sindacali che hanno sottoscritto numerosi contratti collettivi nazionali di lavoro che, a loro volta, hanno dato vita ad una pluralità di enti bilaterali. Di fatto ogni CCNL ha in proprio ente bilaterale;
   l'ente bilaterale-Ebipan ha finora scelto di non adeguare il proprio statuto alle finalità richieste per esercitare le attività di fondo di solidarietà residuale ex lege n. 92 del 2012, oggi fondo di integrazione salariale ai sensi del decreto legislativo 148 del 2015;
   i panificatori artigiani aderenti alla Federazione italiana Panificatori, che applicano il CNL Federazione e aderiscono ad Ebipan hanno tutto il diritto di versare i rispettivi contributi al fondo di integrazione salariale istituito presso l'INPS;
   con la finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza del rapporto di lavoro, nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di Cassa integrazione guadagni ordinaria e Cassa integrazione guadagni straordinaria, la legge n. 92 del 2012 e, successivamente, il decreto legislativo n. 148 del 2015 (articoli 26-40), hanno istituito i fondi di solidarietà bilaterali per i settori non coperti dalle norme in materia di integrazione salariale. In base al principio di bilateralità, alla creazione e al sostentamento del fondo contribuiscono sia i datori di lavoro, che i lavoratori;
   l'istituzione dei fondi è dal 1o gennaio 2016 obbligatoria anche per le imprese che occupano mediamente più di 5 lavoratori (articolo 26 comma 7, del decreto legislativo n. 148 del 2015) che operino nei settori in cui non si applicano le disposizioni in materia di integrazione salariale ed avviene su iniziativa delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali presso l'INPS a seguito di un apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;
   per i settori e per le tipologie di datori di lavoro con requisiti dimensionali comunque superiori ai 5 dipendenti, non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale e per le quali non siano stati stipulati accordi costitutivi del fondo di solidarietà bilaterale, è stato istituito presso l'INPS uno specifico «fondo di integrazione salariale», già denominato di «solidarietà residuale». Nella fase degli adempienti previsti dalla normativa anche a seguito della circolare INPS n. 79 del 2015, si sta registrando a livello territoriale un problema di versamento dei contributi, consistente nel fatto che i panificatori artigiani che regolarmente e legittimamente applicano il CCNL-Federazione Italiana panificatori e sono iscritti all'ente bilaterale, (Ebipan), non riescono ad effettuare il relativo versamento al fondo di integrazione salariale dell'Inps (Ebipan non ha optato per l'adeguamento) perché «il programma dell'Inps in nessun modo accetta l'attribuzione del codice 0J alle imprese artigiane che, non possono versare alcun contributo al FSR (CSC 4.XX.XX dichiarato incompatibile con il codice 0J);
   tanto avviene poiché, secondo quanto assume l'INPS, non sono soggette al fondo di integrazione salariale le imprese con obbligo di contribuzione ad altro fondo di solidarietà come, ad esempio, le imprese artigiane, in quanto è stato istituito a livello nazionale l'ente bilaterale nazionale artigianato (EBNA) che tra i suoi compiti prevede anche la tutela reddituale nei casi di sospensione del lavoro dell'intero settore ed ancorché sia pacifico che EBNA sia un ente bilaterale di carattere privatistico promosso da alcune organizzazioni firmatarie di un CCNL, che rappresentano solo una parte della categoria produttiva a cui appartengono le aziende artigiane;
   infatti, con la circolare n. 79 del 2015, l'INPS ha escluso che le imprese operanti nel settore dell'artigianato possano essere ricomprese nell'ambito di applicazione del Fondo di Solidarietà individuale, oggi Fondo di integrazione salariale (Circolare INPS 4 febbraio 2016, n. 22);
   è evidente che, posta l'indubitabile ratio legis del passaggio – per ogni settore – dal sistema della Cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, al finanziamento privato degli ammortizzatori in costanza di rapporto nei settori esclusi da Cassa integrazione guadagni ordinaria e Cassa integrazione cassa straordinaria (attraverso appunto i fondi alternativi o il FIS), l'INPS ha tuttavia operato interpretazione erronea della normativa per non aver dato il rilievo dovuto alla circostanza che la bilateralità è espressione dell'autonomia collettiva privata e la partecipazione ai fondi alternativi non può essere imposta in violazione delle norme costituzionali in materia di libertà sindacale;
   viceversa, l'obbligo può essere legittimamente affermato con riferimento al FIS, in quanto espressione della volontà del legislatore di creare un sistema di welfare finanziato dai privati per i lavoratori e le aziende dei settori ad oggi esclusi dagli ammortizzatori tradizionali;
   tale situazione configura, ad avviso degli interroganti, una evidente violazione del principio di libertà e pluralismo sindacale –:
   quali iniziative di competenza intenda promuovere al fine di creare le condizioni affinché gli operatori che legittimamente non aderiscono a quelle associazioni, non applicano quel contratto collettivo nazionale di lavoro e non sono aderenti a Ebna possano adempiere ai dettami del decreto legislativo n. 148 del 2015 senza essere costretti a modificare la loro libera scelta di sindacato, contratto collettivo nazionale di lavoro ed ente bilaterale. (4-13272)


   BRUNO, BARBANTI e AIELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo AlmavivA ha 38 sedi in Italia, 13.000 dipendenti in Italia e 32.000 all'estero, AlmavivA è il 6o gruppo privato italiano per numero di occupati al mondo, il 3o a guida imprenditoriale, con fatturato pari a 709 milioni di euro (dato gestionale al 31 dicembre 2015);
   la società AlmavivA S.p.a. ha una sede anche in Calabria a Zumpano, in provincia di Cosenza, in cui lavorano 160 risorse umane;
   è una realtà produttiva molto importante non solo per il numero di occupati, ma anche perché attiva sul territorio da oltre 30 anni;
   a fronte di risultati eccellenti sia a Zumpano che nel resto d'Italia, si parla per la sede di Zumpano di una prossima razionalizzazione;
   parrebbe, inoltre, che mentre AlmavivA S.p.a. continua ad assumere personale sul territorio nazionale, con nuovi contratti, e a prorogare i rapporti di consulenza esterna, i dipendenti della filiale di Zumpano di AlmavivA S.p.a., dovranno fare ricorso ad un inasprimento degli ammortizzatori sociali fino a prevedere contratti di solidarietà che arriverebbero persino al 50 per cento dell'attuale retribuzione;
   secondo le organizzazioni sindacali, da anni, l'azienda si impegna negli accordi nazionali a trasferire attività sulla filiale in Calabria e a potenziarne l'infrastruttura e le professionalità, ma, realmente, non si riscontrano in modo chiaro ed inequivocabile segni di un progetto industriale serio che dia reali prospettive di più lungo periodo, poiché i tempi dei pochi progetti trasferiti sono sempre limitati alla scadenza degli ammortizzatori sociali;
   sempre secondo le organizzazioni sindacali vi sarebbe, dunque, un'evidente disparità di trattamento tra i dipendenti della filiale in Calabria e le altre a fronte di medesima competenza e professionalità. L'azienda starebbe venendo meno di conseguenza a quanto stabilito nell'accordo nazionale firmato il 26 gennaio 2016 e valevole per tutte le sedi italiane –:
   se il Ministro interrogato intenda verificare le intenzioni dell'azienda AlmavivA S.p.a, nei confronti delle filiale di Zumpano in Calabria, anche istituendo un tavolo tecnico tra le parti a garanzia dei lavoratori e per impedire che un'impostazione aziendale di tal genere danneggi la sede calabrese minando un territorio e un'economia già particolarmente fragile e vulnerabile. (4-13274)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO e CRIVELLARI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Centro di ricerca per le colture industriali è strutturato con una sede centrale a Bologna e sedi a Rovigo e nel comune di Osimo. Nel complesso il Centro dispone di aziende agrarie, per un totale di circa 125 ettari, dotate di attrezzature per realizzare le principali attività sperimentali;
   il CREA-CIN di Bologna svolge ricerche nel settore della genetica della biosintesi dei cannabinoidi in canapa (Cannabis sativa), determinando le sequenze geniche responsabili della diverse varianti chemotipiche esistenti, e mettendo a punto marcatori PCR per la selezione assistita per l'identificazione precoce del chemotipo, del sesso maschile nella canapa dioica, e per l'analisi della variabilità genetica dei materiali in collezione e presso la sua azienda sperimentale di Rovigo dal 2002 si svolgono ricerche sulle possibili applicazioni terapeutiche di linee di canapa dotate di profili specifici e puri di diversi cannabinoidi, utilizzabili nel settore farmaceutico con la selezione di decine di nuove varietà. Il Centro attualmente, nonostante l'altissimo apporto alla ricerca scientifica, non beneficia di alcun fondo dedicato a questo filone di ricerca, né tanto meno del supporto finanziario specifico da parte del Ministero che lo vigila Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ma mantiene integra la sua attività grazie a fondi europei, convenzioni con privati e collaborazione anche con ditte estere;
   in data 18 settembre il Ministro della salute Beatrice Lorenzin e il Ministro della difesa Roberta Pinotti hanno presentato e sottoscritto pubblicamente un accordo di collaborazione per l'avvio di un progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis allo scopo di garantire l'unitarietà nell'impiego sicuro di preparazioni magistrali di sostanze di origine vegetale a base di cannabis e di evitare il ricorso a prodotti non autorizzati, contraffatti, illegali o importati a caro prezzo dall'estero (Olanda) e, in sede di tavolo tecnico, si è ritenuto di dover affidare solo allo SCFM - Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze le operazioni di coltivazione, fabbricazione delle sostanze vegetale a base di cannabis;
   a parere degli interroganti, sarebbe stato auspicabile la presenza anche del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, al tavolo dell'accordo, in quanto Ministero deputato al controllo del CREA; la segnalazione più rilevante da porre all'attenzione è che la scelta delle sostanze da impiegare nel progetto pilota, non è stata fatta a seguito di dovute valutazioni cliniche e farmacologiche della preparazioni di origine vegetale a base di cannabis, ma è stata fatta in base al loro profilo chimico, simile a quello delle varietà provenienti dal Ministero della salute olandese (Bedrocan) attualmente usate dai pazienti;
   il basso prezzo di vendita, deciso in sede ministeriale, del preparato medicinale a base di cannabis, non è in linea con la convenienza economica o con la prospettiva di dare slancio e sviluppo del programma sulla cannabis; esso risulta effettivamente più basso rispetto al prezzo europeo e tale margine così limitato di guadagno causerà verosimilmente l'interruzione del progetto per fallimento della parte produttiva ed imprenditoriale;
   in tutto questo, i pazienti, tramite le loro associazioni, non hanno mai avuto la possibilità di essere auditi per potersi confrontare con i Ministeri presenti al tavolo sulle scelte relative alla formulazione dei preparati a base di cannabis, sugli sviluppi che ci potrebbero essere nel futuro e sulla realizzazione di trial clinici rivolti e confermare o verificare applicazioni terapeutiche delle diverse varietà di cannabis selezionate;
   dagli studi condotti sull'uso medico della cannabis e dei suoi componenti (i cannabinoidi, come il THC) emerge oltretutto che, in altri Paesi d'Europa o in Canada, viene utilizzata per un ampia serie di disturbi quali, a titolo di esempio: spasticità secondaria da sclerosi multipla e altre gravi malattie neurologiche (SLA, morbo di Parkinson, corea di Huntington, danno spinale, spasticità da para-tetraplegia); dolore nel paziente oncologico (terapia del dolore); dolore cronico di origine neurologica; sindrome di Gilles de la Tourette; dolore post-operatorio; nausea e vomito da chemioterapia; anoressia da AIDS; malattia di Alzheimer; glaucoma; emicrania; fibromialgia; terapia citotossica antitumorale; malattie infiammatorie intestinali croniche (morbo di Chron, colite ulcerosa, colon irritabile, enteropatia da glutine); incontinenza urinaria, disturbi vescicali;
   disturbi del sonno, apnee notturne; paura/ansia, disturbi da stress post-traumatico, depressione;
   in Italia attualmente esiste un solo medicinale a base di estratti di cannabis sativa, disponibile sul territorio nazionale autorizzato all'immissione in commercio, indicato come trattamento per alleviare i sintomi a pazienti adulti affetti da spasticità, moderata o grave, dovuta a sclerosi multipla. Proprio questa ampia possibilità di impiego porterebbe a comprendere che sono necessari studi e ricerche più approfonditi per validare ulteriormente le diverse modalità di impiego e nel frattempo i pazienti potrebbero finalmente contribuire a dare supporto a questi studi –:
   se il Governo non intenda, anche alla luce degli ultimi stanziamenti a favore della ricerca, assumere iniziative per destinare fondi adeguati anche per il CREA-CIN di Rovigo, vista l'importantissima opera di ricerca fornita;
   se non si intenda, in occasione del prossimo tavolo tecnico, prevedere la possibilità di audire i pazienti tramite le loro associazioni in maniera tale da avere la possibilità di potersi confrontare con i Ministeri presenti al tavolo sulle scelte relative alla formulazione dei preparati a base di cannabis, sugli sviluppi che ci potrebbero essere nel futuro e sulla realizzazione di trial clinici al fine di verificare le applicazioni terapeutiche delle diverse varietà di cannabis selezionate;
   se e quali iniziative si intendano assumere riguardo alla scelta, ad avviso degli interroganti, se non limitativa di un'imposizione monopolistica affidata al solo SCFM - Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, che non permette di fatto le operazioni di coltivazione e di fabbricazione delle sostanze vegetali a base di cannabis anche ad altri soggetti già autorizzati a produrre sostanze stupefacenti;
   se, alla luce degli studi condotti sull'uso medico della cannabis e dei suoi componenti principali (i cannabinoidi, come il THC) non si ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere l'elenco delle patologie curabili attraverso l'uso terapeutico di sostanze a base di cannabis, come già previsto in altri Paesi europei, in Israele o in Canada, e fare in modo che tutti i pazienti a cui queste cure possono essere applicate ricevano lo stesso trattamento indipendentemente dalla regione in cui risiedono. (5-08741)


   LIUZZI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le campagne situate in Basilicata, nella zona del Boreano vicino la città di Venosa (PZ), durante i mesi estivi si popolano di lavoratori stranieri che svolgono lavori agricoli. Tra questi larga parte dei braccianti si occupa della raccolta di pomodori. L'accoglienza dei lavoratori stagionali in Basilicata, nel corso degli anni, è stata affrontata con crescente superficialità e con misure limitate allo stanziamento di fondi speciali per la distribuzione di cibo e di acqua;
   con la delibera della giunta regionale n. 627 del 25 maggio 2014, la regione Basilicata istituiva una task force in analogia con l'esperienza avviata nello stesso periodo dalla regione Puglia. Coordinata da un rappresentante della giunta regionale e aperta, con modalità e tempi diversi, a istituzioni, amministratori dei comuni interessati, Acquedotto lucano, organizzazioni di volontariato, organizzazioni sindacali e datoriali, la task force ha avuto il compito di «definire un quadro d'interventi immediati volti a garantire condizioni di vita dignitose ai lavoratori immigrati impegnati nelle attività agricole in varie aree della Basilicata» (comunicato stampa della regione Basilicata del 3 giugno 2014). Tuttavia, per quanto riguarda la collaborazione con i soggetti di volontariato, pare che le uniche associazioni ad essere state coinvolte nel piano operativo siano state solamente la Croce rossa e la Caritas;
   il 28 ottobre 2014 il consigliere regione del M5S Gianni Leggieri interrogava la giunta regionale sullo stato dell'attuazione del piano operativo della task force evidenziando l'inopportunità, in termini di sicurezza e di offerta dei servizi, di ubicare il centro di accoglienza di Venosa (per 240 ospiti) vicino ad un impianto di deposito e commercializzazione di GPL. Il centro di accoglienza veniva successivamente spostato a 500 metri dal deposito di GPL;
   il 16 aprile del 2015, con un'interrogazione dei consiglieri comunali del M5S di Venosa, si apprendeva che molti casolari della zona del Boreano erano stati abbattuti e che la task force regionale, nata per mettere un freno al problema, non aveva attuato le soluzioni inizialmente previste, come il servizio di trasporto per i lavoratori stagionali mai entrato in vigore;
   contestualmente, nel territorio del Vulture e precisamente nei comuni di Venosa e Palazzo San Gervasio, venivano istituiti due campi di accoglienza per i lavoratori stagionali. Tali campi, gestiti dalla Croce rossa italiana (su delega della regione Basilicata) avevano chiuso ogni forma di collaborazione con le associazioni del territorio che negli anni avevano assicurato ai migranti i servizi essenziali e momenti di intrattenimento culturale;
   con una ulteriore interrogazione, il 15 settembre 2015 il consigliere regionale del M5S Gianni Leggieri, a seguito di una visita presso il centro di accoglienza di Venosa, rilevava le pessime condizioni del campo (che contava appena 30 ospiti) e chiedeva alla regione se all'interno del centro vi fossero figure professionali specializzate per l'accoglienza. L'interrogazione non ha ancora ricevuto risposta;
   nonostante l'istituzione della task force ed i seguenti atti ispettivi prima citati, ad oggi, numerosi lavoratori continuano ad occupare la zona del Boreano e per molti mesi sostano in casolari diroccati, senza alcun servizio e che in alcuni periodi registrano la presenza di oltre 40 persone;
   la situazione nelle campagne venosine, già in passato, ha evidenziato fenomeni delinquenziali attinenti a cosiddetto caporalato (sfruttamento, lavoro in nero, e altro) e forti tensioni balzate agli onori della cronaca tra attività economiche e migranti. Questa situazione comporta che centinaia di braccianti continuino a vivere oltretutto in condizioni igienico sanitarie disastrose che non possono escludere il proliferare di malattie ed infezioni;
   nel mese di novembre 2015, la nota trasmissione «Striscia la notizia» ha denunciato la situazione del Boreano. Dal servizio è emerso che i migranti, nonostante l'abbattimento dei casolari, vivono in baracche di fortuna costruite dagli stessi e nelle quali alloggiano durante il periodo della raccolta;
   nella notte tra il 7 e l'8 maggio 2016 nella località Boreano è scoppiato un incendio che ha distrutto le baracche in cui vivevano i braccianti. A seguito dell'episodio il 12 maggio 2016 si è svolta una manifestazione a Potenza in cui i lavoratori agricoli hanno protestato per le soluzioni inadeguate messe in campo da regione e comune di Venosa rispetto alla programmazione della stagione della raccolta e allo precarie condizioni lavorative ed abitative;
   lo stesso giorno (12 maggio 2016), su richiesta dell'USB, si è svolto presso la regione Basilicata a Potenza un incontro fra il presidente della regione Pittella, il direttore generale della presidenza della giunta regionale, il coordinatore dell'organismo di coordinamento delle politiche per l'immigrazione, il sindaco di Venosa, alcuni componenti dell'esecutivo nazionale USB e un consigliere del M5S di Venosa;
   nell'incontro succitato i braccianti di Boreano riuniti sotto la sigla sindacale USB, hanno richiesto: l'approvazione di una delibera da parte del comune di Venosa ai fini dell'iscrizione all'anagrafe comunale per il rinnovo dei permessi di soggiorno; la risoluzione dei problemi strutturali (e non solo emergenziali) delle abitazioni; l'attivazione del trasporto per i lavoratori dai centri di accoglienza verso i luoghi di lavoro e verso il centro cittadino; il rispetto del contratto di lavoro con i relativi oneri a carico dei datori di lavoro (nonché previdenziali e di sicurezza sul lavoro); una soluzione immediata alla questione abitativa dopo l'incendio di Boreano; la stabilità abitativa per i lavori stanziali di Venosa. Le istituzioni presenti, per quanto di rispettiva competenza, si sono impegnate a porre in essere tutte le azioni volte a soddisfare le richieste dei lavoratori stagionali;
   a giudizio degli interroganti i buoni propositi della regione Basilicata, si scontrano con l'evidente incapacità mostrata fino ad oggi rispetto alla gestione del fenomeno;
   nel mese di dicembre 2015 nelle Commissioni riunite agricoltura e lavoro è stata approvata una risoluzione unitaria con la quale in Governo si impegnava «a valutare l'opportunità di un ulteriore potenziamento della tutela già approntata per i lavoratori che denunciano i caporali o i datori di lavoro»;
   nel quarto rapporto sui crimini nel settore agroalimentare a cura di Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità in agricoltura si stima che il business delle Agromafie abbia superato i 16 miliardi di euro nel 2015 –:
   se siano a conoscenza dei fatti sopra citati;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare – anche di natura normativa, di concerto con le amministrazioni Locali – al fine di garantire ai lavoratori delle aree agricole italiane, con particolare attenzione alla situazione lucana, un efficace ed efficiente servizio di accoglienza che assicuri una soluzione abitativa e socio-sanitaria adeguata;
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere per intensificare i controlli volti al contrasto del fenomeno di sfruttamento e caporalato, anche alla luce degli impegni di cui alla risoluzione citata in premessa. (5-08754)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha adottato il 4 aprile 2014 una decisione di esecuzione (2014/191/UE) «recante esclusione dal finanziamento dell'Unione europea di alcune spese sostenute dagli Stati membri nell'ambito del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (FEAOG) sezione garanzia, del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e del Fondo Agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)», con cui contestava le spese sostenute dagli organismi pagatori riconosciuti dagli Stati membri escludendo le stesse dal finanziamento dell'Unione Europea in quanto non conformi alle norme dell'Unione stessa;
   la contestazione riguardava, oltre all'Italia, la Danimarca, la Germania, la Grecia, la Spagna, la Francia, il Portogallo, la Romania, la Slovenia, la Finlandia, la Gran Bretagna e l'Irlanda del Nord;
   il 12 maggio 2016 il Tribunale dell'Unione europea ha condannato l'Italia (causa T384/14) a subire un taglio dei fondi dell'Unione europea succitati per complessivi 6,8 milioni di euro cui si aggiungono le spese legali, per aver violato svariati principi generali del diritto dell'Unione, tra cui il principio di proporzionalità, di legalità e della certezza del diritto. Nel dettaglio nella sentenza (Considerazioni di principio, paragrafo 28) si legge che: «... in via preliminare, va ricordato che il FEAOG e il Fondo finanziano solo le spese sostenute in conformità al diritto dell'Unione nell'ambito dell'organizzazione comune dei mercati agricoli...» e, «...a questo proposito, dalle regole relative al FEAOG e al Fondo risulta che gli Stati membri sono tenuti ad organizzare un insieme di controlli amministrativi e di controlli in loco che permetta di garantire che le condizioni sostanziali e formali per l'erogazione degli aiuti siano correttamente osservate. Se una tale organizzazione di insieme dei controlli manca o se quella istituita da uno Stato membro fosse difettosa al punto da lasciar sussistere dubbi circa l'osservanza di tali condizioni, la Commissione è autorizzata a non riconoscere talune spese effettuate dallo Stato membro interessato...» (paragrafo 29);
   in sostanza la Commissione europea rilevava strutturali e importanti carenze dal punto di vista dei controlli da parte dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) e di organismi pagatori regionali (Lazio e Abruzzo). La rettifica finanziaria riguarda euro 5.026.453,26 quale conseguenza della carenza di controlli nazionali e il restante di euro 1.860.259,60 per aver calcolato erroneamente i contributi, relativamente al cumulo, tra i diritti derivanti dall'allevamento degli ovini, dei bovini e delle superfici e degli aiuti previsti per il settore dell'olio;
   in sostanza i giudici del Tribunale dell'Unione europea hanno ritenuto fondato l'atto di decisione del 2014 della Commissione europea, tant’è vero che nella sentenza si afferma che «...spetta allo Stato membro fornire la prova più circostanziata ed esauriente dell'effettiva natura dei propri controlli e dei propri dati nonché, eventualmente, dell'inesattezza delle affermazioni della Commissione...» (paragrafo 33); ed ancora, «...lo Stato membro interessato, da parte sua, non può confutare le constatazioni della Commissione con semplici affermazioni non suffragate da elementi atti a dimostrare l'esistenza di un sistema di controlli affidabile ed operativo. A meno che esso non riesca a dimostrare che le constatazioni della Commissione sono inesatte, queste ultime costituiscono elementi che possono far sorgere fondati dubbi sull'istituzione di un sistema adeguato ed efficace di misure di sorveglianza e di controllo...» (paragrafo 34);
   leggendo la sentenza viene stigmatizzato dai giudici che il ricorso dell'Italia «...adduce che la decisione impugnata è illegittima “per violazione dei principi generali di proporzionalità, di legalità, di certezza del diritto, del legittimo affidamento, nonché dell'obbligo di motivazione”. Occorre constatare che, per quanto attiene ai principi e obblighi asseritamente violati, la Repubblica italiana non solleva alcun argomento, neppure sommario. In particolare, laddove essa lamenta una mancanza di una motivazione completa ed appropriata della decisione impugnata senza specificare i punti rispetto ai quali mancherebbe la motivazione e senza precisare gli elementi di diritto e di fatto che richiedevano una trattazione supplementare, il ricorso non soddisfa i requisiti stabiliti dall'articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, sicché tali censure devono essere dichiarate irricevibili...» (paragrafo 82); ma fatto ben più singolare riguarda «...la rettifica specifica di euro 1.860.259,60 applicata dalla Commissione nella decisione impugnata, a causa della determinazione e dell'attribuzione indebite di diritti all'aiuto speciali, non è stata oggetto di una previa conciliazione e, pertanto, nella relazione di sintesi non è fornita alcuna spiegazione in merito. La carenza addebitata alla Repubblica italiana è oggetto di spiegazioni nelle lettere della Commissione del 22 dicembre 2010 e del 13 dicembre 2012. Essa riguarda, da un lato, l'allocazione di diritti speciali in presenza dei diritti derivanti dagli ovini, dai bovini e dalle superfici e, dall'altro, la ripartizione dei diritti speciali risultante dal settore dell'olio, per gli anni di domanda dal 2006 al 2009. In dette lettere, la Commissione accusa le autorità italiane di aver gestito male tali situazioni di cumulo dei diritti all'aiuto...» (paragrafo 85);
   l'Italia ha due mesi di tempo per impugnare la decisione del Tribunale dell'Unione europea dinanzi alla Corte di Giustizia dell'Unione –:
   se, ad oggi, vi siano ricorsi pendenti avversi a decisioni comunitarie rispetto alla politica agricola comunitaria e/o alla stessa organizzazione comune di mercato che si potrebbero tradurre, come nel caso illustrato in premessa, in aggiuntive esclusioni che, di fatto sono vere e proprie riduzioni di budget di spesa;
   per quale motivo l'Italia, nell'impugnare la decisione della Commissione europea non abbia fornito sufficienti elementi con cui dimostrare l'esistenza di un sistema di controlli affidabile e operativo;
   perché l'Italia nel dichiarare la decisione impugnata illegittima «per violazione dei principi generali di proporzionalità, di legalità, di certezza del diritto, del legittimo affidamento, nonché dell'obbligo di motivazione», non abbia sollevato alcun argomento, neppure sommario, e, da ultimo, perché non sia stata oggetto di una previa conciliazione su cui l'altro, nella relazione di sintesi non è stata fornita alcuna spiegazione in merito;
   quali atti concreti il Ministro interrogato intenda porre in essere per verificare, per quanto di competenza, le responsabilità in capo all'Agea e a quegli organismi pagatori regionali (Lazio e Abruzzo) che non hanno operato nei controlli prescritti e hanno prodotto calcoli errati riguardo alla vicenda che ha visto l'Italia condannata all'esclusione dal finanziamento dell'Unione europea di 6,8 milioni di euro oltre alla condanna delle spese legali. (4-13249)


   VENTRICELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   L’«AGEA», Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, è un ente statale che ha compiti di svolgimento delle funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore nell'ambito dell'erogazione dei fondi dell'Unione europea ai produttori agricoli;
   così come risulta dalla sua stessa carta dei servizi, come le altre pubbliche amministrazioni, l'Agea è impegnata in un percorso di miglioramento della qualità dei servizi erogati in termini di semplificazione, trasparenza, efficienza ed efficacia;
   la carta dei servizi rappresenta quindi un preciso impegno che Agea prende con i propri utenti ovvero le aziende agricole, le imprese agro-industriali e di prima trasformazione, cioè l'impegno di un miglioramento continuo dei servizi erogati grazie alla misurazione oggettiva della qualità e al feedback innescato nel contatto con gli utenti;
   siamo dinanzi al primo anno di applicazione della Politica agricola comune (PAC) riformata e gli agricoltori hanno riscontrato alcune difficoltà tecniche operative e hanno sollevato una serie di problemi, chiedendo un intervento per migliorare ciò che al momento non funziona e che, con il tempo, tende ad aggravarsi:
    1. Agricoltore Attivo: a distanza di un anno dall'applicazione della riforma PAC vengono riscontrati numerosi problemi nel riconoscimento del requisito di «Agricoltore Attivo» per alcuni produttori per i quali il requisito sussiste, ma non viene riconosciuto in quanto, con gli attuali sistemi informatici, Agea non riesce a dialogare con le banche dati dell'Inps, dell'Agenzia delle entrate, e della Camera di Commercio; è importante ricordare che il requisito di «Agricoltore Attivo» è propedeutico per la presentazione delle domande e per il pagamento degli aiuti;
    2. Fascicolo Aziendale: pur essendo ormai costituito da oltre 15 anni il fascicolo aziendale nel Sistema Informatico Agricolo Nazionale (SIAN), vengono riscontrati ancora oggi dei problemi tecnico-informatici (es. errori e blocchi continui), inoltre il continuo aggiornamento dello stesso con applicazioni il più delle volte non necessarie, mette in grande difficoltà i tecnici e gli operatori CAA, che sono costretti ad auto formarsi quotidianamente;
    3. Domanda Grafica: è la novità per la presentazione delle domande uniche 2016, prevede la compilazione in modo grafico da parte di un operatore CAA, che in collaborazione con l'agricoltore deve individuare gli appezzamenti graficamente e disegnare i poligoni su foto GIS; tale funzionalità, però, risulta essere molto complessa e di non facile applicazione. Inoltre l'applicativo è stato messo in linea i primi giorni di aprile e ancora oggi non è perfettamente funzionante, poiché non permette di completare e stampare le domande uniche;
    4. Trasferimento Titoli: benché il registro titoli è stato pubblicato il 1o aprile con l'assegnazione dei titoli definitivi per ogni produttore, ad oggi non è stato reso disponibile l'applicativo per il trasferimento titoli nei casi di vendita-affitto-successioni tra aziende, in questi casi la domanda unica non si può presentare, a soli 15 giorni lavorativi dalla scadenza; inoltre vengono riscontrati ancora numerosissimi produttori ai quali sono stati assegnati in modo errato i titoli o addirittura non sono stati assegnati;
    5. Domande Accesso alla Riserva: per i nuovi produttori è stata presentata domanda di accesso alla riserva nazionale ma ad oggi non è possibile sapere qual è l'esito della domanda, in alcuni casi si riscontrano anomalie identificate con codici numerici incomprensibili per gli operatori dei Centri di assistenza agricola;
   a tutti i problemi già elencati, inoltre, va aggiunto che, in soli quindici giorni lavorativi deve essere svolta l'attività che si dovrebbe sviluppare in quattro mesi, il che risulta poco fattibile;
   l'operato dei tecnici, inoltre, dati i problemi già elencati, ne risente in maniera consistente, poiché questi sono costretti ad una mole di lavoro ingestibile che potrebbe indurli involontariamente a commettere errori che potrebbero ripercuotersi sugli agricoltori, dati i tempi di lavorazione delle pratiche e per lo scadere degli aiuti comunitari che potrebbero non essere acquisiti sia per l'effetto delle condizioni proibitive di lavoro, che per le inefficienze dei sistemi informativi di Agea –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati e quali siano i suoi orientamenti in merito alla grave situazione di cui in premessa;
   se non ritenga di assumere le iniziative di competenza rispetto ai problemi elencati, al fine di migliorare la situazione attuale e rendere il lavoro dei tecnici incaricati più efficiente e produttivo.
(4-13254)


   PAOLO BERNINI e BUSTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, gli alimenti Gm (geneticamente modificati) possono essere immessi sul mercato solo previo rilascio di un'autorizzazione da parte della Commissione europea secondo la procedura stabilita dal Regolamento (CE) n. 1829/2003;
   gli alimenti così autorizzati devono rispettare le condizioni e le eventuali restrizioni riportate nell'autorizzazione. Il Regolamento (CE) n. 1829/2003 stabilisce inoltre che tutti gli alimenti Gm, che sono destinati al consumatore finale o ai fornitori di alimenti per la collettività, debbano riportare in etichetta la dicitura relativa alla presenza di Ogm, contenente (nome dell'organismo o nome dell'ingrediente) geneticamente modificato. Tuttavia, tale obbligo non si applica agli alimenti che contengono Ogm autorizzati in proporzione non superiore allo 0,9 per cento degli ingredienti alimentari, purché tale presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile (Regolamento (CE) n. 1829/2003 articolo 12, comma 2);
   in pratica, ci sono Ogm che l'Unione europea ha ritenuto di autorizzare (basandosi su autocertificazioni), e ce ne sono altri per i quali non vi è alcuna autorizzazione perché non è stata mai richiesta o perché non è stata fornita documentazione esaustiva e sufficiente secondo l'Unione europea. Si consente di fatto di autorizzare la diffusione del mangimi contaminati con Ogm e destinati agli animali d'allevamento che non sono autorizzati: la soglia di contaminazione tollerata viene giustificata dalle motivazioni che i risultati delle analisi che si possono condurre su campioni di mangimi possano non garantire l'individuazione certa della presenza di Ogm non autorizzato e contaminante;
   secondo quanto riportato da «Il fatto alimentare» ben l'87 per cento dei mangimi composti destinati all'alimentazione degli animali d'allevamento è Ogm, «È l'Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici (Assalzoo) a riferire che in Italia vengono prodotte ogni anno oltre 14 milioni di tonnellate di mangimi composti da diversi cereali. L'87 per cento è rappresentato da miscele ottenute con materia prima gm importata dall'estero. Seguono i mangimi convenzionali (12,5 per cento) e quelli biologici (0,5 per cento). Ci sono però ancora diversi produttori che scelgono per gli animali foraggi «ogm free», come nel caso delle aziende agricole che producono latte per produrre formaggi come la Fontina e il Ravaggiolo. Questo vuol dire che gli animali sono alimentati con soia e mais coltivati in Italia in maniera convenzionale: requisito necessario per parlare di filiera Made in Italy e priva di Ogm»;
   giova per altro rammentare che le coltivazioni Ogm prevedono l'utilizzo intensivo dell'erbicida glifosato – e per cui l'Europa intende rinnovare l'autorizzazione all'uso;
   le valutazioni sulla possibile tossicità di tale erbicida sono discordanti e contraddittorie e, per questo, si dovrebbe applicare il principio di precauzione e contestualmente richiedere certezze ed evidenze, ma certamente tali valutazioni scientifiche non dovrebbero prevedere l'uso della sperimentazione animale a non essere eticamente accettabile non offre sicurezze e garanzie per la tutela della salute umana poiché i risultati sugli animali non possono essere translati sulla specie umana e possono essere facilmente manipolati quanto indirizzati;
   il recente parere sulla non tossicità del glifosato è sfato dato dall'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) che lo ha valutato «probabilmente non cancerogeno» smentendo per la prima volta l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc). Tale nuovo e contraddittorio parere è stato redatto da 18 esperti internazionali, il cui elenco è disponibile al pubblico. Il gruppo di esperti (la cui sigla e Impr, che sta per Joint Meeting on Pesticide Residues) è amministrato congiuntamente dalla Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura delle Nazioni Unite (Fao) e l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Il Jmpr si riunisce regolarmente per esaminare le analisi dei pesticidi, stimare l'entità e i livelli massimi dei residui, rivedere i dati tossicologici e definire le dosi giornaliere ammissibili (ADI) per l'uomo;
   il glifosato vale un terzo dei 15 miliardi di dollari di fatturato annuo della società Monsanto e dunque è un elemento chiave per il business, anche perché viene venduto insieme a sementi Ogm ad esso resistenti;
   la multinazionale Monsanto sarà oggetto di indagine approfondita da parte del Tribunale dell'Aja dal 12 al 16 ottobre 2016. Circa 100 querelanti provenienti dai quattro continenti: America, Africa, Asia ed Europa saranno ascoltati dal Tribunale internazionale e le loro testimonianze saranno raccolte al fine di valutare le accuse di cui è oggetto la multinazionale, Il Tribunale si baserà quindi sui «Principi guida sulle imprese e i diritti umani» approvati nel 2011 dal consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. «Questo testo rappresenta il riferimento più ampiamente condiviso per definire le responsabilità delle imprese riguardo, per esempio, il diritto alla salute o il diritto a un ambiente sano», spiega il belga Olivier de Schutter, ex relatore speciale dell'Onu per il diritto all'alimentazione e professore di diritto internazionale all'Università cattolica di Lovanio. Consulente legale nella preparazione del tribunale, ha per compito, insieme all'avvocato ed ex eurodeputata francese Corinne Lepage, di mettere insieme dei giuristi di alto livello, magistrati, avvocati e giudici, provenienti dai cinque continenti;
   il sistema delle coltivazioni Ogm negli Stati Uniti ha presentato già notevoli problemi. Infatti, secondo l'Agenzia per la protezione ambientale Usa, alcuni insetti – tra cui la diabrotica – hanno iniziato a manifestare la resistenza al bacillus thuringensis, di cui un gene viene inserito nell'80 per cento del mais geneticamente modificato, per evitarne l'attacco da parte degli insetti;
   l'Italia, nell'ottobre 2015, tramite i Ministri interrogati, ha notificato all'Unione europea la richiesta per divieto di coltivazione Ogm autorizzati a livello europeo su tutto il territorio, in attuazione della direttiva Ue 2015/412 dell'11 marzo 2015;
   alcuni dei firmatari del parere del Jmpr sarebbero in palese conflitto di interessi: Alan Boobis e Angelo Moretto, avrebbero legami con il Life Sciences International (Ilsi), un istituto che riceve la maggior parte dei suoi finanziamenti di esercizio e di ricerca da aziende private, inclusi i produttori di glifosato Dow e Monsanto. Inoltre l'Istituto di salute e scienze ambientali dell'Ilsi, (Hesi) è finanziata principalmente da aziende private, tra cui, anche qui, i produttori di glifosato Dow, Monsanto e Syngenta. Tra i membri dell'Ilsi ci sono altri big mondiali come Nestlé, Coca cola, Exxon, Pepsi, Pfizer, McDonald, Novartis, Procter & Gamble. Documenti ottenuti da una richiesta di accesso agli atti suggeriscono che l'istituto abbia ricevuto nel 2012 ben 2,4 milioni di dollari da queste aziende. In particolare, Monsanto e CropLife International avrebbero donato ciascuno 500 mila dollari. Sebbene il portavoce dell'Oms, Tarik Jasarevic, abbia difeso l'indipendenza di tutti e 18 gli scienziati, leggendo queste carte restano dubbi sull'opportunità che alcuni di loro rivestano ruoli di tale importanza strategica per la salute globale pur lavorando a stretto contatto con le lobby dei pesticidi più grandi del mondo –:
   quali siano le iniziative di competenza che i Ministri interrogati intendono intraprendere relativamente alla presenza imponente dei mangimi Ogm destinati agli allevamenti animali;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative in relazione ai mangimi Ogm e sulla questione della contaminazione accidentale: tra mais geneticamente modificato, tradizionale e/o biologico;
   quali siano le iniziative di competenza nell'ambito dell'Unione europea che i Ministri interrogati intendano intraprendere relativamente alla possibile nuova autorizzazione all'uso del glifosato, considerato che, a giudizio degli interroganti, tale rinnovata e possibile autorizzazione realizzerà imponenti e specifici interessi economici della multinazionale Monsanto. (4-13270)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 1, comma 401, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Stabilità 2016) è stato istituito il «Fondo per la Cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico»;
   con la suddetta norma è istituito il Fondo presso il Ministero della salute con una dotazione pari a 5 milioni di euro finalizzato alla «compiuta attuazione» della legge n. 134 del 2015;
   il comma 402 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 prevede, entro il termine di 60 giorni l'emanazione di un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, per stabilire i criteri e le modalità per l'utilizzazione del fondo di cui al comma 401;
   ad oggi sono trascorsi oltre 100 giorni dalla approvazione della legge di stabilità e purtroppo ancora non risulta essere stato emanato il citato decreto interministeriale;
   famiglie e associazioni da tempo sollecitano l'emanazione dell'atto considerate anche le difficoltà in cui si trovano a dover operare –:
   quali siano le ragioni dei ritardi in merito alla mancata emanazione del decreto interministeriale di cui al comma 402 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 e quali iniziative i Ministri interrogati, intendano assumere al fine di porvi rimedio e consentire, in tempi rapidi, l'adozione di criteri e modalità di impiego del Fondo, rispondendo alle attese di famiglie e associazioni e per dare attuazione ad un impegno che il Governo stesso ha voluto, con tenacia e determinazione, nella legge di stabilità. (5-08736)


   SCHULLIAN, GEBHARD, ALFREIDER e PLANGGER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), all'articolo 1, commi 397 e 398, reca nuove disposizioni in materia di riordino della Croce rossa italiana, modificando quanto era stato precedentemente previsto dal decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, che portava l'Ente verso un radicale processo di privatizzazione;
   con la modifica dell'articolo 4 viene previsto che, fino alla conclusione delle procedure di ripiano dell'indebitamento dell'Associazione, non possano essere intraprese, o proseguite, azioni esecutive, o atti di pignoramento e sequestro, presso il conto di tesoreria della Croce rossa o presso terzi, per riscuotere coattivamente le somme dovute, con la conseguente nullità degli atti esecutivi eventualmente compiuti, con ciò impedendo l'esercizio del diritto, ad agire in giudizio per la tutela di diritti già oggetto di sentenze esecutive;
   la legge di stabilità 2016 è intervenuta soprattutto perché la Croce rossa si vede pignorate tutte le entrate a causa di una serie di debiti nati per la mancata ottemperanza a sentenze esecutive emesse negli anni passati a favore di lavoratori della Croce rossa italiana, che hanno messo in evidenza l'errata gestione, ma, con la nullità di tutti gli atti esecutivi notificati, ha così bloccato il legittimo esercizio dei diritti dei lavoratori che sono risultati vincitori nel contenzioso;
   si palesano non trascurabili dubbi di costituzionalità, soprattutto alla luce della tutela costituzionale del lavoro di cui agli articoli 35 e 36 della Costituzione, delle misure introdotte, allorché si priva di un diritto essenziale il cittadino e il lavoratore, ovvero di quello ad agire per l'adempimento di obblighi riconosciuti da sentenze esecutive –:
   se ritenga opportuno intervenire, per quanto di competenza, per consentire all'Ente di far fronte agli obblighi derivanti da sentenze esecutive concernenti i diritti dei lavoratori, prendendo in considerazione anche un eventuale iniziativa normativa tesa ad escludere, dal blocco delle azioni esecutive e degli atti di sequestro e di pignoramento le azioni concernenti i rapporti di lavoro. (5-08738)


   MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita» sono fissate nel nostro ordinamento dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, che, all'articolo 7 prevede l'obbligo per il Ministro della salute di definire e approvare «Linee guida contenenti l'indicazione delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita»;
   il 9 aprile del 2014, la Corte costituzionale, con una sentenza ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella norma; è stato, quindi, reso possibile il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi nei casi di infertilità assoluta;
   a due anni dalla sentenza, secondo la denuncia di associazioni e operatori, l'applicazione delle tecniche di fecondazione eterologa risente di pesanti ostacoli burocratici, frutto di una mancata azione politica di indirizzo chiaro e deciso;
   secondo una inchiesta dell'associazione Luca Coscioni, la fecondazione assistita eterologa, in Italia, nonostante tutte le strutture siano autorizzate a procedere, di fatto è applicata solo in pochi centri pubblici e con lunghissime liste di attesa;
   nel dicembre del 2014 è stato annunciato l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, fermi al 2001, a cui avrebbe dovuto seguire il relativo regolamento per la sicurezza delle donazioni, che però non è mai arrivato e che rappresenta lo strumento attraverso il quale si fissano numero di donazioni per donatore o quanti figli possono nascere da un unico donatore di liquido seminale o quali esami genetici e infettivi devono essere eseguiti per accertare l'idoneità di chi vuole donare gameti maschili e femminile e altri criteri indispensabili, in linea con la direttiva europea 17 del 2006, per consentire donazioni e applicazione della legge;
   la conferenza Stato-regioni ha dato il via libera nel mese di novembre 2015 all'atto di cui sopra, già approvato anche dal Consiglio superiore di sanità e dal Garante della privacy, ma fermo presso il Governo;
   dal maggio del 2014, inoltre, nessuna campagna informativa è stata predisposta per favorire la donazione di gameti;
   la situazione si traduce in una grave violazione del diritto ad accedere a una prestazione sanitaria prevista dalla legge con il pericoloso ricorso a situazioni estreme di «fai da te» che mettono a rischio la salute e la corretta attuazione della normativa –:
   cosa intenda fare il Governo, per quanto di competenza, per porre rimedio alle gravi mancanze elencate in premessa rispetto alla situazione della fecondazione eterologa in Italia. (5-08743)


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da oltre due anni, a Santa Domenica di Ricadi e in altri comuni calabresi della fascia costiera vibonese (tra cui Nicotera, Joppolo, Tropea, Parghelia, Zambrone), l'acqua erogata nelle case è spesso di un colore melmoso e a volte di colore giallognolo, probabilmente per l'eccessiva presenza di manganese; i consistenti residui che l'acqua corrente contiene sono causa di danni alle condutture, ai serbatoi d'accumulo e agli elettrodomestici e impongono continui e dispendiosi interventi di manutenzione;
   risale al mese di marzo 2016 l'ordinanza della commissione straordinaria del comune di Ricadi che ha vietato alla cittadinanza l'uso dell'acqua per scopi alimentari. Si tratta solo dell'ultimo atto: nel corso degli anni si sono susseguite varie ordinanze, in diversi comuni, che hanno vietato l'utilizzo dell'acqua a causa della presenza oltre i limiti di legge di cloro, ferro, manganese e, in alcuni casi, anche di coliformi fecali e di escherichia coli;
   gli acquedotti che presentano problemi sono alimentati dalla fonte «Medma» ovvero da alcuni pozzi, gestiti da So.Ri.Cal spa – azienda per la fornitura di acqua con sede a Catanzaro – siti nel comune di Nicotera e che forniscono buona parte della fascia costiera;
   nonostante il problema sia stato più volte segnalato alle istituzioni competenti da parte di cittadini e di varie associazioni, ad oggi non si registra alcun intervento per risolvere una situazione divenuta ormai insostenibile;
   il perdurare della contaminazione dell'acqua sta creando crescenti disagi ai cittadini dei comuni interessati e un forte allarme per i possibili rischi per la salute, oltre che per il danno d'immagine che coinvolge tutto il territorio vibonese e in particolare la fascia costiera, con le sue attività turistiche e commerciali e le produzioni agricole di eccellenza, proprio all'apertura della stagione balneare;
   l'immobilismo delle istituzioni sta esasperando la cittadinanza, che ha recentemente dato vita a Santa Domenica ad un comitato civico che raggruppa cittadini e associazioni del territorio e che ha organizzato una partecipata manifestazione raccogliendo 1400 firme e presentando un dettagliato esposto alla procura della Repubblica di Vibo Valentia;
   il decreto legislativo n. 31 del 2001 recante «Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano», disciplina la qualità delle acque potabili destinate al consumo umano garantendone la salubrità e la pulizia; in particolare, l'articolo 4, comma 2, sancisce che le acque destinate al consumo umano devono essere salubri e pulite e non devono contenere microrganismi e parassiti, né altre sostanze, in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute;
   l'articolo 32 della Costituzione indica la tutela della salute come «diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritengano di adottare, ogni iniziativa urgente di competenza al fine di individuare le cause della contaminazione e di ripristinare le condizioni di salubrità dell'acqua pubblica e di piena fruibilità da parte dei cittadini dei comuni coinvolti.
(5-08744)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOSSA, CARLONI, GIORGIO PICCOLO, SALVATORE PICCOLO, ROSTAN, MANFREDI e PALMA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Isola di Procida è un comune in provincia di Napoli che conta circa 10.500 residenti che diventano 25 mila d'estate, con oltre 250 mila sbarchi di ospiti nei corso dell'anno;
   le emergenze sanitarie sull'isola sono state affrontate fino ad oggi da una struttura di Pronto soccorso attivo h24, gestito grazie ad un sistema di turnazione con medici specialisti provenienti dall'ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli;
   tale struttura fu ottenuta oltre 30 anni fa dopo una lunga mobilitazione della comunità locale al seguito della morte di una ragazza non prontamente soccorsa dopo un evento traumatico;
   il nuovo piano ospedaliero regionale della Campania prevede la soppressione sull'isola di Procida del PSA h24 dedicato all'emergenza – urgenza e la sua sostituzione con un Punto di primo intervento;
   la soluzione del punto di primo intervento appare totalmente inadeguata alle necessità legate alle caratteristiche dell'isola, che sono oggettivamente disagiate per la distanza con la terra ferma, per il notevole flusso turistico che fa aumentare radicalmente le presenze;
   si rende necessario prevedere, anche per l'isola di Procida, un criterio di deroga agli standard numerici, come già realizzato per Ischia e Capri, in ragione delle caratteristiche del luogo;
   per impedire la chiusura del pronto soccorso attivo, il consiglio comunale di Procida, il sindaco e tutta la comunità sono mobilitate; i consiglieri comunali hanno paventato la possibilità di dimissioni in blocco;
   le isole minori sono un nodo di particolare complessità per la sfera sanitaria, e sono quindi ritenute aree disagiate; il Servizio sanitario nazionale, pur dentro le rigorose competenze regionali, deve garantire uniformità di erogazione dei servizi sul territorio nazionale e assicurare l'accesso di ogni cittadino ai servizi sanitari;
   a tal proposito, il Fondo sanitario nazionale destina una quota del finanziamento complessivo a progetti finalizzati all'ottimizzazione dell'assistenza sanitaria nelle isole minori e nelle località caratterizzate da eccezionali difficoltà di accesso;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di estrema criticità che si verrebbe a creare sull'Isola di Procida con la paventata chiusura del pronto soccorso attivo h24, e se non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire l'uniformità del servizio sanitario nazionale sul territorio, garantire i livelli essenziali di assistenza, e consentire l'accesso a servizi di primaria importanza anche ai cittadini di una località con così particolari condizioni geografiche. (4-13268)


   MARCON. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da alcune settimane è emersa una gravissima emergenza sanitaria ed ambientale nella regione del Veneto – in particolare nelle province di Verona, Vicenza e Padova – causata dalla scoperta degli effetti delle sostanze PFAS, un gruppo di composti chimici definiti perfluoroalchili e riconosciuti dall'Istituto superiore di sanità come interferenti endocrini. Tali sostanze vengono abitualmente utilizzate in alcuni cicli produttivi come impermeabilizzanti, schiume per estintori, cera per pavimenti, teflon per pentolame e goretex per indumenti;
   la presenza dei composti PFAS è stata riscontrata negli alimenti di pressoché tutta la filiera alimentare locale, nonché nelle acque potabili di innumerevoli acquedotti veneti. E si tratta appunto di sostanze riconosciute e certificate come cancerogene e determinanti nell'insorgenza di altre patologie gravi come disfunzioni della tiroide, ipertensione della gravidanza, aumento del colesterolo; tra le patologie correlate risultano, colesterolo alto, malattie della tiroide, ipertensione in gravidanza, colite ulcerosa ed eclampsia;
   il problema è emerso sin dal 2013 con una rilevazione dell'ARPAV di Vicenza (indagine prot. 0075059/00.00 dell'11 luglio 2013), la quale indica anche che la fonte principale d'inquinamento da PFAS proviene dalla Miteni spa di Trissino (VI), ex Rimar, uno stabilimento chimico che, sin dagli anni sessanta, produce composti fluorurati. Ma solo recentemente, anche a fronte di una sempre crescente mobilitazione sul territorio veneto e della forte preoccupazione della cittadinanza, viene posto alle istituzioni come priorità assoluta;
   la rilevazione di cui sopra indica che in alcune località le concentrazioni di PFOA risultano superiori a 1000 ng/litro, un livello di concentrazione gravissimo, anche solo considerando che la regione Veneto imporrebbe attualmente un limite alla presenza di PFOA di 500ng/litro, mentre in Germania la legge fissa un limite di 100 ng/litro;
   si tratta di una grave emergenza sanitaria che perfino gli stessi funzionari della direzione tutela ambiente della regione considerano di fatto fuori controllo. L'assessore alla sanità della regione Veneto ha dichiarato che sarebbero oltre 60 mila le persone contaminate dalle sostanze cancerogene presenti nelle acque della regione e oltre 250 mila sarebbero le persone interessate;
   secondo uno studio Enea-Medici per l'Ambiente sarebbero 1260 i morti causati dalla diffusione dei PFAS avvenuta in Veneto negli ultimi trent'anni, ha inoltre riscontrato un sensibile aumento dei casi di Alzheimer riconducibile alle sostanze in questione;
   molte associazioni e comitati hanno già intrapreso iniziative di svariato genere per rivendicare provvedimenti, anche normativi, in merito. Fra questi Legambiente Veneto, che ha lanciato una petizione nazionale «BASTA PFAS» per chiedere alla regione Veneto di ricercare altre fonti di approvvigionamento per gli acquedotti inquinati e una maggiore prevenzione e tutela delle fonti idriche, che la regione stessa e le amministrazioni locali interessate dal problema si costituiscano in giudizio nei confronti degli inquinatori, che si realizzi uno studio epidemiologico approfondito sulla popolazione esposta all'inquinamento da PFAS, con l'inserimento di un esperto indipendente nella commissione preposta –:
   quali siano le iniziative di competenza che il Governo intenda intraprendere per uno screening sanitario completo per la popolazione coinvolta;
   se il Governo intenda rendere noti e pubblici tutti i risultati già a disposizione dell'Istituto superiore di sanità del monitoraggio effettuato su una parte della popolazione della regione;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per promuovere la realizzazione e il completamento di controlli a tappeto sui corsi idrici, gli acquedotti e tutte le fonti di acqua potabile della regione;
   quali siano le iniziative che il Governo intende assumere per riesaminare in sede nazionale ed internazionale – alla luce di quello che è emerso in queste settimane – la classificazione IARC del PFAS come sostanza altamente inquinante e cancerogena, adeguandola alle moderne conoscenze medico-scientifiche;
   quali siano le iniziative di sostegno finanziario alla regione Veneto e ai comuni interessati che il Governo intende assumere per far fronte all'emergenza Pfas;
   quali siano le iniziative di carattere normativo – come richiesto dalle associazioni ambientaliste e dai comitati locali dei cittadini – che il Governo intende promuovere per porre limiti ai PFAS nelle falde e nelle emissioni. (4-13269)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 maggio 2016 è deceduto Luigi Ancora di 31 anni della polizia municipale si Montalbano jonico in provincia di Matera:
   Luigi Ancora è stato travolto da un auto in corsa mentre era in servizio e svolgeva le sue funzioni sulla strada statale 598, Fondo Valle Agri, al chilometro 108,400 in direzione di Scanzano Jonico;
   era intento a facilitare una manovra all'autista di un bus di Bari, che aveva accompagnato alcuni studenti della facoltà di geologia dell'università pugliese in visita alla riserva regionale dei calanchi di Montalbano Jonico;
   l'impatto è stato devastante, tanto clic lo sfortunato agente ha perso la vita sul colpo;
   la tragica vicenda pone nuovamente all'attenzione una questione di grandissima rilevanza ed è quella relativa alla cancellazione avvenuta nel 2011, dell'equo indennizzo e della causa di servizio per tutti i lavoratori del pubblico impiego;
   suddetta cancellazione essendo la polizia municipale ricompresa all'interim del degli enti locali del pubblico impiego ha di fatto creato una discriminazione tra lavoratori della polizia locale e le forze di polizia ad ordinamento statale –:
   anche, in considerazione delle circostanze riportate in premessa, se il Governo non ritenga ormai maturi i tempi per assumere, per quanto di competenza, iniziative volte a rivedere la citata soppressione dell'istituto dell'equo indennizzo, a ripristinare lo stesso per la polizia locale nonché a ridefinire in maniera più ampia tutta la disciplina che regolamenta la loro attività alla luce delle mansioni e delle funzioni svolte. (5-08750)

Interrogazione a risposta scritta:


   PISO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono migliaia gli educatori e gli insegnanti precari di lunga durata delle scuole comunali che sopperiscono da anni a mancanze strutturali di organico negli asili nido e nelle scuole materne;
   nella sola città di Roma sono più di 800 i lavoratori a cui viene rinnovato il contratto annualmente;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea nel mese di novembre 2014 ha stabilito che: a) il rinnovo illimitato dei contratti a tempo determinato per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato; b) la normativa italiana non era conforme all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato; c) le considerazioni di bilancio non costituiscono di per sé, un obiettivo perseguito dalla politica sociale e, pertanto, non possono giustificare l'assenza di qualsiasi misura diretta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato;
   tale situazione di incertezza, sia in termini occupazionali che di garanzia del servizio, è ben nota al Ministro. Infatti al fine di consentire il corretto avvio dell'anno scolastico 2015/2016 il Ministro Madia emanava la circolare 3/2015 che dava la possibilità ai comuni di conferire gli incarichi di supplenza anche al personale docente e non docente che avesse nel corso degli anni cumulato una durata di servizio superiore a trentasei mesi;
   a distanza di circa un anno dalla circolare 3/2015 il problema non è stato risolto e da parte dello stesso Ministro non sono state intraprese iniziative normative o legislative concrete e stabili, suscitando preoccupazione tra i lavoratori che, oltre ad essere in scadenza di contratto, non hanno avuto indicazioni adeguate su come le amministrazioni comunali intendano procedere per garantire la continuità lavorativa e la corretta ripresa dell'anno scolastico a settembre 2016;
   Il Governo ha segnalato recentemente che sono ancora in corso le ricognizioni sulla situazione del precariato nei comuni;
   anche l'ANCI, Associazione nazionale comuni italiani, ha recentemente richiesto un provvedimento d'urgenza per procedere all'immissione in ruolo del personale a tempo determinato di asili nido e scuole per l'infanzia gestiti dai comuni anche per evitare possibili contenziosi verso le amministrazioni da parte di migliaia di dipendenti;
   con deliberazione 274 del 2008 recante «Norme per il reclutamento dei docenti delle scuole dell'infanzia e degli educatori di asilo nido» il comune di Roma adottava un sistema di reclutamento del personale della scuola dell'infanzia e degli asili nido secondo cui il 50 per cento dei posti veniva riservato ai vincitori di concorsi pubblici, ed il 5 per cento agli idonei della «graduatoria permanente» composta dal personale che aveva superato la selezione ufficiale del corso-concorso;
   ad oggi quindi nonostante risultino valide sia per i docenti che per gli educatori tali graduatorie permanenti e graduatorie degli idonei ai concorsi, l'amministrazione commissariale di Roma Capitale guidata dal prefetto Tronga ha proposto una delibera che, oltre ad annullare di fatto tali graduatorie permanenti, continuerebbe ad utilizzare il sistema di rinnovo annuale dei contratti anche per coloro che hanno maturato oltre 36 mesi di anzianità;
   tale delibera potrebbe quindi inficiare i legittimi diritti degli idonei presenti nella graduatoria permanente, profilando una possibile disparità di trattamento, sia in termini assunzionali che in termini di reiterazione dei contratti, tra il personale delle scuole comunali e il personale delle scuole statali (recentemente disciplinato dalla legge 107/2015):
   è necessario ed urgente individuare soluzioni strutturali per il superamento del precariato nei servizi educative comunali, a tutela dei lavoratori e a garanzia della continuità educativa dei minori –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda promuovere, tenuto conto che la sentenza della Corte di giustizia del novembre 2014, stabilisce che il rinnovo illimitato dei contratti a tempo determinato per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole non è giustificato e che quindi bisognerebbe dar corso a piani di stabilizzazione del precariato, in particolar modo per chi ha superato 36 mesi di lavoro con contratto a termine;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per garantire il rispetto dei principi di non discriminazione e parità di trattamento dei lavoratori, vista la palese diversità di trattamento tra il personale delle scuole statali e quello delle scuole comunali, in particolare riguardo alle immissioni in ruolo del personale precario di lunga durata;
   quali risposte intenda fornire, per quanto di competenza, in relazione alla richiesta dell'ANCI volta a supportare le amministrazioni locali per avviare piani di stabilizzazione del personale precario che abbia già superato 36 mesi di lavoro con contratto a termine;
   a che punto sia la ricognizione sulla situazione del precariato avviata dal Governo. (4-13262)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER, ZOGGIA e MORETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane ha più volte affermato che l'azienda intende investire come nodi strategici del proprio sviluppo sulla gestione del risparmio postale da un lato, e sull’e-commerce dall'altro;
   per quanto riguarda in particolare l’e-commerce, Poste Italiane già oggi è il primo consegnatario di pacchi per Amazon, tanto che il comparto pacchi ha realizzato un incremento dei volumi del 12,4 per cento nel 2015 rispetto alla precedente annualità, per un totale di 86 milioni di consegne in un anno;
   in quest'ottica, diventa pertanto strategico disporre di centri logistici di smistamento in prossimità dei grandi nodi infrastrutturali, primi fra tutti gli aeroporti, per sostenere la propria competitività rispetto ad una concorrenza particolarmente forte e attiva, che cerca a sua volta di conquistare fasce di mercato nell’e-commerce;
   emblematico è in tal senso il caso del polo aeroportuale di Venezia, ove la società di gestione Save ha di recente siglato un accordo con il vettore DHL per la creazione di un polo logistico di 19.000 metri quadrati con un investimento di 35 milioni di euro;
   la società NEXIVE ha recentemente inaugurato un proprio centro, proprio in prossimità dell'aeroporto Marco Polo di Venezia, in quanto questa area ha un tasso di infrastrutturazione molto elevato, a partire dall'interconnessione aeroporto/autostrada e, in prospettiva, aeroporto/alta velocità-capacità ferroviaria;
   a fronte di tale situazione, Poste Italiane dispone proprio a ridosso del sedime aeroportuale del Centro Postale di Venezia-Tessera, da cui deriverebbe una condizione di oggettivo vantaggio rispetto agli altri competitori;
   Poste Italiane, negli ultimi anni ha depotenziato il Centro Postale di Venezia-Tessera, trasferendo buona parte degli impianti di meccanizzazione in altre strutture;
   così facendo si sono liberati spazi che potrebbero essere impiegati per ospitare tecnologie di ultima generazione per la lavorazione dei pacchi, così da candidare il Centro di Venezia-Tessera come lo stabilimento principale da un punto di vista strategico e logistico del Veneto grazie alla sua posizione;
   Poste Italiane non ha fin qui chiarito se il Centro Postale di Venezia-Tessera rientri a pieno titolo tra gli investimenti prioritari nella gestione pacchi derivante dall’e-commerce, con una posizione a giudizio degli interroganti contraddittoria rispetto all'effettiva potenzialità produttiva del sito –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, perché Poste Italiane chiarisca se e come il Centro Postale di Venezia-Tessera possa essere riqualificato all'interno della strategia di progressivo potenziamento della gestione dell’e-commerce, in ragione dell'indubbia situazione di vantaggio che esso offrirebbe all'azienda su scala territoriale veneta e dell'intero nord-est, chiarendone le prospettive di sviluppo nell'ambito del piano industriale e la conseguente inalienabilità della struttura e della area in cui insiste. (5-08735)


   DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 maggio 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha rilasciato il decreto di autorizzazione unica al progetto del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (TAP);
   l'articolo 5 del suddetto decreto sancisce che «i lavori dell'opera dovranno iniziare entro il 16 maggio 2016 e concludersi entro cinque anni dalla data del presente decreto. L'operatività dell'infrastruttura dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2020»;
   l'articolo 4 del suddetto decreto sancisce che, oltre alle prescrizioni e ai pareri acquisiti nell'ambito della autorizzazione unica, la società debba obbligatoriamente ottemperare alle prescrizioni impartite dal decreto di compatibilità ambientale;
   relativamente al procedimento di valutazione di impatto ambientale, sono stati rilasciati pareri contrastanti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 29 agosto 2014 – favorevole con prescrizioni espresse dalla Commissione tecnica di verifica di impatto ambientale VIA e VAS – e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in data 8 settembre 2014 – contrario. In virtù di tale discrepanza, la valutazione finale sul rilascio della VIA, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c-bis della legge 23 agosto 1988, n.400, è stata deliberata con esito favorevole dal Consiglio dei ministri in data 10 settembre 2014 per cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato in data 11 settembre 2014 il decreto di compatibilità ambientale;
   in data 17 maggio 2016 il sindaco di Melendugno Marco Potì ha inviato una comunicazione agli enti competenti tra cui il Ministero dello sviluppo economico, annunciando di aver formalmente dichiarato decaduta «per decorso dei termini» l'autorizzazione unica del decreto ministeriale sopracitato;
   dalla comunicazione sopracitata si evince che le uniche attività registrate sul territorio di Melendugno sono una piccola installazione di reti in PVC e una limitata apposizione di cartellonistica, aggiungendo che, per via della giurisprudenza consolidata, tra cui la sentenza del Consiglio di Stato n. 3030 del 2008, si conferma che, ai fini del rispetto dei termini di inizio e fine dei lavori, è necessario un effettivo svolgimento delle attività necessarie direttamente e immediatamente collegate al predetto inizio dei lavori, mentre le attività succitate non rappresentano un inizio dei lavori;
   sempre dalla comunicazione sopracitata si evince che le attività svolte dal TAP sono relative a bonifiche belliche e saggi di archeologici che – anche se non intraprese – non costituiscono inizio dei lavori in quanto integrano mere prescrizioni ante operam del decreto di compatibilità ambientale dell'11 settembre 2014 –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se il Ministro dello sviluppo economico abbia intenzione di intraprendere gli adempimenti di propria competenza, comunicando anche alle istituzioni europee il mancato avvio dei lavori e la decadenza della concessione, come previsto dalla legge, escludendo una proroga, su cui la Commissione europea si era già espressa negativamente. (5-08742)


   TARICCO, GRIBAUDO, LODOLINI, DE MARIA, ZARDINI, MANFREDI, GALPERTI, ZAMPA, REALACCI, FABBRI, DALLAI, FREGOLENT, PATRIARCA, ZANIN, DI SALVO e CARLONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Alstom Ferroviaria SPA vanta solide radici nella storia industriale italiana e, con 2.600 persone occupate in Italia e un fatturato pari a un 1 miliardo di euro, rappresenta, sia per numero che per importanza dei progetti realizzati nonché per contenuto tecnologico, una delle principali realtà industriali italiane nel settore ferroviario;
   16 anni fa, il gruppo ha riunito numerose società molto rappresentative nei settori dell'ingegneria e dell'elettromeccanica offrendo un contributo significativo al trasporto ferroviario, alla produzione di energia e ai sistemi di trasmissione di energia elettrica del nostro Paese;
   a novembre 2015, le attività di Alstom nel settore dell'energia, a livello mondiale, sono state cedute a General Electric;
   il sito produttivo di Savigliano, la «città del pendolino», è uno dei complessi di eccellenza per quel che concerne la realizzazione di treni e infrastrutture ferroviarie e, in particolare, a partire dal 2011 questo sito, in un periodo di piena crisi economica, ha rappresentato su scala nazionale un caso di positiva anomalia, aggiudicandosi commesse importanti anche per la capacità di ridurre i tempi di sviluppo e di produzione dei treni, con modalità operative molto apprezzate dai clienti;
   in quella fase ed in quella stagione si concretizzò l'assunzione a tempo determinato di 360 dipendenti che si sono aggiunti ai circa 900 lavoratori già occupati nello stabilimento;
   sempre in quella fase, la sede saviglianese è stata oggetto di investimenti che hanno innovato lo stabilimento, realizzando nuove strutture e rinnovando quelle esistenti, rendendolo in pochi anni uno degli stabilimenti Alstom più innovativi sia riguardo all'organizzazione dei processi produttivi, sia relativamente alle performance produttive da un punto di vista qualitativo;
   attualmente le commesse stanno, però, nuovamente arrivando a completamento sia per i minori investimenti sul materiale rotabile effettuati in questi anni sia per l'accresciuta competitività del settore;
   le nuove opportunità di commesse non sono al momento una certezza e le voci relative a un calo significativo di nuove commesse nel settore rendono concreta l'ipotesi di un ricorso a nuovi licenziamenti, ipotesi che sta allarmando non poco le maestranze, le loro rappresentanze e il territorio interessato;
   la direzione dell'Alstom Ferroviaria di Savigliano ha fatto nei mesi scorsi ricorso alla cassa integrazione ordinaria per un centinaio di impiegati, in particolare addetti alla progettazione, una misura che preoccupa considerato il tipo di professionalità espresso da questa categoria di lavoratori e che rischia, a giudizio degli interroganti, di compromettere le prospettive future dell'azienda;
   va altresì rilevato che, per la prima volta, sono stati attivati ammortizzatori sociali per gli impiegati, e anche se la «cassa» potrà essere in parte attutita dalle ore accantonate in seguito all'accordo sulla flessibilità dell'aprile 2014, desta ulteriore preoccupazione il fatto che lo scarico di lavoro derivante dall'assenza di nuove commesse possa determinare il mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato (340 lavoratori all'inizio dell'estate scorsa, già scesi a 200 in autunno);
   non minore preoccupazione è generata dal fatto che non sono al momento noti né sono stati comunicati alla rappresentanza sindacale unitaria il piano industriale e le proposte di riorganizzazione aziendale;
   la Alstom Ferroviaria spa ha confermato il rischio di un «buco produttivo e lavorativo», che porterebbe a dichiarare circa 1.500 esuberi su 2.600 lavoratori in forza a livello nazionale, qualora Alstom non dovesse aggiudicarsi commesse nell'ambito del bando pubblicato da Trenitalia il 31 luglio 2015 per 500 nuovi treni per il trasporto regionale;
   la regione Emilia-Romagna ha già provveduto a emanare le delibere relative alla gara d'appalto e ha stanziato il budget per 75 treni e una situazione analoga, per un possibile ordine di 60 treni, potrebbe realizzarsi in Piemonte ed altre regioni stanno valutando analoghe iniziative;
   in questo quadro, è da segnalare come Trenitalia sia al tempo stesso soggetto regolatore, in quanto promotore delle gare, e soggetto coinvolto nella gestione del servizio di trasporto pubblico locale, autonomamente o in accordo con soggetti territoriali;
   le considerazioni fin qui fatte richiederebbero lo sforzo di anticipare, per quanto finanziariamente possibile, la fornitura di nuovo materiale rotabile per qualificare e migliorare il servizio di trasporto pubblico locale;
   le gare di fornitura di treni dispiegano effetti concreti (la materiale disponibilità di treni sui binari) a partire da alcuni anni dall'avvio della gara stessa per cui le iniziative che dovessero essere avviate in questa stagione produrrebbero effetti concreti a partire dal 2019 con tutto quanto consegue in termini di ricadute sia ai fini delle attività nel settore produttivo sia di miglioramento della qualità del servizio verso i lavoratori pendolari;
   le prospettive del settore, dello stabilimento di Savigliano (addetto alla produzione di treni, 1.400 dipendenti tra diretti Alstom e indotto) e di tutti gli altri stabilimenti italiani del gruppo, Bologna (580 dipendenti, 1.000 con l'indotto) e Sesto San Giovanni (400 addetti), e di tutte le altre aziende con unità produttive sul territorio, sono direttamente collegate ai tempi con i quali si dipanerà questa situazione, con il rischio obiettivo di pesanti ripercussioni occupazionali e di un prevedibile effetto domino sul settore e sui territori interessati –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative intendano intraprendere per salvaguardare il futuro di una realtà produttiva di alta specializzazione, come l'Alstom Ferroviaria spa, e per garantire, per quanto di competenza, tempi certi per l'indizione delle gare d'appalto per nuovi treni in grado di rendere effettivo il necessario ricambio del materiale rotabile e di migliorare la qualità del trasporto su ferro;
   se non si ritenga necessario, al fine di salvaguardare i posti di lavoro delle realtà produttive del settore sul territorio nazionale, convocare uno specifico tavolo di confronto con le parti sociali e le aziende coinvolte, anche valutando la possibilità di individuare strumenti per valorizzare nei bandi il riconoscimento delle maggiori sinergie possibili all'interno del settore, e il valore sociale della continuità produttiva dei siti interessati. (5-08746)


   MAGORNO, AIELLO, BARBANTI, BATTAGLIA, BRUNO BOSSIO, CENSORE, COVELLO, OLIVERIO e STUMPO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni Poste Italiane s.p.a. sta inoltrando, ai cittadini delle zone interessate, una lettera in cui comunica che «a partire dal mese di maggio 2016, in alcune aree del territorio italiano, prosegue l'implementazione graduale, della fase II del modello degli invii postali a giorni lavorativi alterni dal lunedì al venerdì, su base bisettimanale, (lunedì, mercoledì e venerdì nella prima settimana – martedì e giovedì nella settimana successiva), già avviato, in altre località, a partire da ottobre 2015;
   ciò, a parere degli interroganti, andrebbe ad acuire i già notevoli disagi causati ai cittadini dalla chiusura e dalla razionalizzazione di numerosi uffici postali sul territorio nazionale, oltre a provocare un ulteriore marginalizzazione dei piccoli comuni soprattutto in una regione, come la Calabria, compromessa dalla carenza di strutture e servizi essenziali e importanti;
   le scelte adottate da Poste Italiane s.p.a., sia relativamente alta chiusura e alla razionalizzazione degli uffici che alla riduzione dei servizi, sembrerebbero, secondo gli interroganti, alquanto discriminatorie nei confronti della Calabria, maggiormente penalizzata rispetto ad altre regioni italiane;
   tale politica aziendale segue una logica esclusivamente ragionieristica tralasciando l'essenziale funzione sociale propria di un servizio pubblico e non tenendo affatto conto né della peculiarità dei singoli territori né delle esigenze e delle criticità delle diverse realtà locali –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non intenda accertare, per quanto di competenza, se risultano rispettati sia riguardo alla chiusura degli uffici che alla riduzione dei giorni di consegna della corrispondenza, in particolare in Calabria, gli standard minimi di qualità per il «servizio universale» che Poste Italiane s.p.a. deve garantire, in ottemperanza del vigente contratto di programma stipulato con il Ministero dello sviluppo economico;
   se e quali iniziative urgenti i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, intendano assumere anche al fine di ripristinare la consegna giornaliera degli invii postali, nonché di tutelare gli utenti, in quanto siffatte decisioni interessano la collettività, proprio perché rischiano di avere un impatto devastante per il tessuto economico, sociale e culturale dell'intero territorio, determinando, inevitabilmente, effetti negativi sulla qualità della vita. (5-08747)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Pisicchio n. 1-01192, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palese.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Miccoli e altri n. 2-01375, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zan, Scuvera, Laforgia, Capozzolo, Marchetti, Albanella, Manzi, Di Salvo, Giorgio Piccolo, Iacono.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Cristian Iannuzzi n. 4-13238, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Massimiliano Bernini.

  L'interrogazione a risposta immediata in commissione Artini e altri n. 5-08708, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cristian Iannuzzi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione De Lorenzis n. 5-08678, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 624 del 13 maggio 2016.

   DE LORENZIS e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 marzo 2015, è stata presentata dall'Enac istanza per l'avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell’«aeroporto di Firenze master plan aeroportuale 2014-2029» nel quale si prevede, tra l'altro, una nuova pista con orientamento «12-30» al posto dell'attuale pista con orientamento «05-23»;
   da osservazioni (così protocollate DVA-00-2015-0027618 e disponibili sul sito http://www.va.minambiente.it) presentate nell'ambito di detta procedura emergerebbero gravi incompletezze ed errori evidenziati soprattutto nell'ambito dell'esame dell'elaborato d'integrazione INT-PAE-00-REL-002 prodotto da Enac riferito allo Studio di impatto ambientale compendiate nella relazione del Professor Architetto Alessandro Dini (pagine 83 e seguenti) che deduce l'incompetenza che caratterizza le argomentazioni addotte a sostegno dei cosiddetti approfondimenti paesaggistici esaminati tali da inficiare in fatto e in diritto l'intero studio d'impatto ambientale predisposto da Enac e agli atti dell'approvazione del master plan 2014-2029 per l'aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze in attuazione della Deliberazione del CRT n. 61 del 2014. E;
   secondo le citate osservazioni, in particolare, i relativi progetti risulterebbero lacunosi e portatori di risultati omissivi della necessaria valutazione colta, completa ed esaustiva del reale rischio ambientale e paesaggistico e di limitazione al godimento del patrimonio culturale UNESCO. Nello specifico si assume che si sconvolgerebbero i già precari equilibri antropico/naturali, senza che sia attuata una valutazione alcuna di nuovi impatti o alternative previsioni pianificatorie, e in caso di realizzazione si evidenzierebbero caratteri di certezza di rischio e di minacce ambientali, superando i livelli già di per loro stessi allarmanti di probabilità o possibilità;
   nel saggio dal titolo «Eutanasia di un territorio. Nota giuridica di Guido Giovannelli», del 2015. L'autore, professore architetto Alessandro Dini, ipotizza che l'approvazione della delibera da parte della regione Toscana per l'approvazione della nuova pista aeroportuale di Paretola integri, secondo l'insegnamento della giurisprudenza penale (cass. pen., sez. III, 25 settembre 2009, n. 37610), la nazione di reato ambientale configurando con chiarezza quello paesaggistico – previsto dall'articolo 181 del codice dei beni culturali e del paesaggio – come mero reato formale e di pericolo, trattandosi di un intervento non edilizio potenzialmente idoneo ad arrecare nocumento alle zone vincolate. È confortato nella sua deduzione dalla massima della sentenza di Cassazione Penale nel testo della quale il giudice sanzione come reato paesaggistico. Ex articolo 181 del decreto legislativo 42/2004, la realizzazione senza specifica autorizzazione di opere in aree paesaggisticamente protette (Cass. Pen., Sez. III, 25 settembre 2009, n. 37610): «il reato paesaggistico è un reato formale e di pericolo, che si perfeziona mediante l'esecuzione di interventi anche non edilizi potenzialmente idonei ad arrecare nocumento alle zone vincolate in assenza di preventiva autorizzazione e senza che sia necessario l'accertamento dell'avvenuta alterazione, danneggiamento o deturpamento del paesaggio, in quanto, per la loro configurabilità è sufficiente che l'agente faccia, del bene protetto dal vincolo, un uso diverso da quello cui è destinato, atteso che il vincolo è prodomico al governo del territorio...» sicché «...sono sanzionati tutti gli interventi idonei a determinare una compromissione dei valori ambientali anche in assenza di nuove volumetrie (demolizioni e ricostruzioni, interventi di cambio d'indirizzo d'uso, ecc.) o in caso di opere non visibili dall'esterno (per esempio interrate)»;
   ulteriori lacune ed approssimazioni sono dedotte dai sindaci promotori di un confronto pubblico «Aeroporto parliamone» secondo i quali avrebbe trovato «conferma il dubbio principale che ci ha spinto a promuovere questo percorso ossia che il Master Plan presentato non è un progetto degno di essere oggetto di valutazione di impatto ambientale. Troppe sono le lacune e le approssimazioni, troppo espliciti sono gli interessi economici privati del nuovo scalo, a scapito di una programmazione strategica e ambientale di un'area che deve essere considerata un'unica città» (tratto da un articolo intitolato «Calenzano conclusi i confronti pubblici». «Aeroporto parliamone» Verdetto delle Assemblee « Master plan da rivedere») –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito della procedura in corso, a fronte delle controdeduzioni di cui in premessa e dei rischi e degli errori rimarcati, intenda porre in essere specifiche iniziative di competenza a tutela dell'ambiente e della salute, anche eseguendo valutazioni integrative e approfondimenti ambientali-paesaggistici. (5-08678)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stato ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Parrini n. 4-10948 del 3 novembre 2015.
   interrogazione a risposta scritta Gianluca Pini n. 4-13209 del 16 maggio 2016;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Moretto n. 5-08715 del 18 maggio 2016;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Pisano n. 5-08716 del 18 maggio 2016.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in commissione Ciprini e altri n. 7-00998 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 626 del 17 maggio 2016. Alla pagina 37788, seconda colonna, dalla riga quarantaquattresima alla riga quarantottesima, deve leggersi: «finanziamenti aggiuntivi, anche considerando la tecnica dei vasi comunicanti o del contatore, a copertura degli eventuali ulteriori fabbisogni per i medesimi»; e non come stampato