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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 9 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati ISTAT nel 2015 il 35 per cento delle donne nel mondo ha subito una violenza. La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne;
    la stessa Dichiarazione adottata dall'Assemblea generale dell'Onu parla di violenza contro le donne come di «uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in a posizione subordinata rispetto agli uomini»;
    sempre secondo l'Istat, in Italia sono quasi 7 milioni le donne che hanno subito nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale: abusi troppe volte non denunciati per evitare pregiudizi o perché consumati in ambiente domestico;
    una ricerca di Enveff (l'Enquête nationale les violences envers les femmes en France) ha dimostrato che nei 12 mesi successivi alla violenza aumenta per le donne del 26 per cento il rischio di suicidio;
    l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) afferma che una percentuale variabile (tra il 44 e il 59 per cento) di donne vittime di violenza sviluppa disturbi depressivi o manifesta dipendenza da alcolici e disturbi alimentari;
    a una vittima di violenza sessuale viene diagnosticato nei primi giorni dal trauma un «Disturbo Acuto da Stress» (ASD) che si manifesta, nella maggior parte dei casi, come un pensiero fisso; nei sei mesi successivi diventa «Disturbo Post Traumatico da Stress» (PTSD) nei quali riaffiorano brutti ricordi e questo disagio può trasformarsi, quando i sintomi persistono, in «Disturbo da Disadattamento»: condizioni queste che vanno trattate farmacologicamente e necessitano, non di rado, di sostegno psicologico e psichiatrico;
    in Italia ci sono i centri antiviolenza per le donne riuniti nel coordinamento D.i.RE., che hanno redatto delle linee comuni di intervento sulla presa in carico di vittime: un lavoro ancora inadeguato rispetto alla realtà, anche perché sono ancora pochi i centri specializzati per la cura di questi tra (mentre sono presenti e attive sul territorio associazioni che forniscono assistenza telefonica, medica, psicologica e legale alle donne abusate);
    il fenomeno della violenza sulle donne, come ogni altra forma di violenza, va analizzato nel contesto nel quale si manifesta; ha risvolti psicologici se muove da un disagio, può avvenire dopo assunzione di sostanze stupefacenti o alcolici, può scaturire dall'esaltazione di gruppo. Non di rado risponde a un bisogno fisico dell'aggressore o nasce dalla consapevolezza acquisita da un vissuto maschilista, da un convincimento religioso, che identifica la donna in una proprietà, o peggio, la considera un oggetto;
    in ogni caso, una donna che subisce violenza è minata nella sua libertà: per questo nessun caso può essere giustificato, anzi va denunciato e perseguito con ogni mezzo;
    ci sono realtà, soprattutto nei Paesi di religione musulmana, dove le donne non hanno il diritto di studiare, non possono guidare un'auto, vengono date in sposa dalle famiglie anche in giovanissima età, vengono scambiate o ripudiate contro la loro volontà: in questi contesti, le donne (che pure lavorano quanto se non addirittura di più e più duramente degli uomini) sono considerate prive di libertà, sono ritenute inferiori e spesso mortificate fisicamente e psicologicamente;
    di fronte a questa percezione del genere femminile, alla necessità di governare il fenomeno migratorio (che sta assumendo dimensioni bibliche), nonché all'urgenza di accreditare la convivenza civile come modello di comportamento che garantisca il reciproco rispetto di culture, usi e costumi diversi, se si vuole realizzare l'integrazione, si impone a riflessione su quanto è accaduto nei mesi scorsi in Europa;
    diverse città sono state interessate da intollerabili violenze di gruppo ad opera di immigrati extracomunitari e nordafricani che hanno compiuto abusi, maltrattamenti e rapine: questi fatti inducono a ragionare su quale sia effettivamente il rapporto fra l'islam e le donne;
    nello specifico, la notte del 31 dicembre 2015, a Colonia ed in alcune altre città europee, tra le quali Amburgo, Bielefeld, Dortmund, Düsseldorf, Stoccarda, Helsinki e Zurigo si sono verificati episodi ripugnanti di violenza di branco, contro la dignità e la libertà delle donne: centinaia di giovani uomini immigrati hanno circondato centinaia di donne molestandole pesantemente, alcune violentandole, altre derubandole di quello che avevano;
    questi accadimenti, per l'alto numero delle vittime coinvolte, fanno pensare più a una sfida verso l'occidente che non a gesto di dispregio verso le stesse;
    per questo, occorre capire fino a che punto siamo pronti alle sfide e come dobbiamo affrontare fenomeni come globalizzazione e multiculturalismo che presentano modelli di società diversi e attribuiscono a uomini e donne funzioni differenti e nessuna parità di dignità e di diritti;
    la tolleranza cui si deve far necessariamente ricorso per gestire situazioni difficili, affinché ogni piccola divergenza non degeneri in scontro, non deve essere scambiata per debolezza, non deve autorizzare chi cerca un approdo e una opportunità per sé e per la propria famiglia, a pensare che qui è tutto consentito o dovuto; non possiamo neppure ritenere che tutto ciò che è nuovo o da integrare costituisca una minaccia;
    considerato che il fenomeno della violenza sulle donne è e problema anche italiano e che va combattuto soprattutto a livello culturale, non dobbiamo permettere che gli episodi di cronaca possano essere utilizzati in modo strumentale per considerare gli immigrati tutti colpevoli o ridurli a un problema;
    da anni, visto che siamo un continente in difetto di crescita, i demografi ritengono questi flussi una opportunità da valorizzare per contrastare l'invecchiamento della popolazione;
    uno dei principi sui quasi si basa l'Unione europea è quello di considerare i 500 milioni di cittadini «uniti nelle diversità»; differenze costruttive da cui partire per un collettivo arricchimento culturale e sociale, ma anche come forma di apertura verso tutto ciò che è altro rispetto a quanto già coinvolto nel processo di integrazione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative che impediscano il verificarsi (come già accaduto in altri Paesi europei) di episodi diffusi di violenze collettive contro le donne attraverso un potenziamento dello scambio di informazioni con le autorità di pubblica sicurezza di altri Paesi europei;
   ad assumere iniziative per realizzare controlli accurati, al fine di impedire l'accesso in Italia a quei soggetti segnalati o coinvolti in episodi di violenza contro le donne denunciati in Europa;
   ad assumere le iniziative di competenza necessarie per aiutare le donne vittime di violenza a superare il trauma, assicurando loro la tutela legale gratuita, nonché per garantire la certezza della pena per i colpevoli di abusi;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità;
   a rafforzare i presidi di polizia ovunque la sicurezza delle donne paia più a rischio, incrementando le assunzioni nelle forze dell'ordine qualora con gli organici disponibili non si riesca a fronteggiare anche questa emergenza;
   ad assumere iniziative volte a contrastare il diffondersi di messaggi subliminali e pubblicitari, che propongano stereotipi superati, allo scopo di affermare la supremazia degli uomini sulle donne.
(1-01250) «Vezzali, Monchiero, D'Agostino, Galgano, Librandi, Matarrese, Molea, Vargiu, Rabino».


   La Camera,
   premesso che:
    i dati diffusi dall'Istat nel mese di febbraio 2016, testimoniano un tasso di disoccupazione dell'11,7 per cento, in lieve aumento (0,1 per cento). A febbraio il numero dei disoccupati è cresciuto dello 0,3 per cento pari a +7 mila, sintesi di una crescita tra gli uomini e un calo tra le donne;
    diminuisce anche il numero degli occupati. Dopo la crescita di gennaio (+0,3 per cento pari a +73 mila), a febbraio la stima degli occupati diminuisce dello 0,4 per cento (-97 mila persone occupate). La diminuzione di occupati coinvolge uomini e donne e si concentra tra i 25-49enni, mentre, la stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,4 per cento (+58.000);
    su base annua il numero di occupati è in crescita dello 0,4 per cento (+96 mila, +238 mila i dipendenti a tempo indeterminato), mentre calano sia i disoccupati (-4,4 per cento, pari a -136 mila), sia gli inattivi (-0,7 per cento, -99 mila);
    si tratta, come ha evidenziato il Ministro Poletti di un mercato del lavoro che continua a registrare oscillazioni congiunturali legate ad una situazione economica che presenta ancora incertezze;
    le oscillazioni non modificano, comunque, la tendenza positiva dell'occupazione nel medio periodo: su base annua, si registrano 136.000 disoccupati in meno e 96.000 occupati in più. Un dato, quest'ultimo, sul quale incide in particolare l'aumento consistente dei lavoratori a tempo indeterminato;
    in questo contesto, si inserisce il problema dei disoccupati maturi, ultraquarantenni che hanno perso il posto di lavoro e per i quali è sempre più difficile trovare una collocazione. Il problema dei lavoratori «over 40» è sempre più sentito in un contesto in cui il mercato è in tensione ed in continua riprogrammazione a favore della ancora più temuta disoccupazione giovanile, cosa che rende il reinserimento degli over 40 sempre più complesso;
    è evidente la necessità, sentita soprattutto in conseguenza dell'abolizione del pensionamento di anzianità e dell'aumento dell'età del pensionamento di vecchiaia, disposti dal decreto-legge n. 201 del 2011, di ricorrere a nuovi strumenti giuridici in grado di rafforzare la domanda di lavoro, rimuovendo gli ostacoli che impediscono o comunque frenano la domanda e l'offerta nella fascia degli over quaranta;
    occorre favorire l'invecchiamento attivo, combinando e conciliando le esigenze peculiari dei lavoratori fuoriusciti dal mercato del lavoro – a causa della perdita del posto di lavoro o perché inattivi e immotivati nella ricerca di uno nuovo — e quelle delle imprese, delle famiglie e delle comunità locali;
    nella passata legislatura diverse sono state le proposte avanzate e discusse, in merito, che nella presente legislatura hanno trovato un parziale seguito attraverso i decreti delegati al cosiddetto «Jobs Act» e con la legge di stabilità 2616; ci si riferisce in particolare alle proposte riguardanti la possibilità di riduzione dell'orario di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale per i lavoratori nel quinquennio precedente al pensionamento, con agevolazione della copertura previdenziale per la parte che rimarrebbe altrimenti scoperta, così come quella riguardante un incentivo all'assunzione di giovani in corrispondenza con la riduzione dell'orario dei lavoratori cosiddetti «anziani», e quella riguardante la possibilità di attivazione di un pensionamento parziale, in corrispondenza con la riduzione dell'orario;
    si tratta di proposte alimentate dalla necessità di venire incontro alla disoccupazione giovanile, in grado di prendere in considerazione contemporaneamente l'emergenza, sempre più allarmante dell'occupazione dei lavoratori maturi;
    da ciò si pone anche quindi la necessità di intervenire nella fase di accesso al lavoro, nella maternità e nella malattia, e altro e non solo attivando dei meccanismi, basati sulle politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e su forme di promozione del cosiddetto «invecchiamento attivo». In tal senso, le politiche e le strategie aziendali dovrebbero mirare a trarre il meglio dalle potenzialità che i lavoratori esprimono in funzione sia della loro età, ma anche della loro condizione personale e familiare;
    dunque, occorrerebbe promuovere una politica (sia pubblica che aziendale) legata al ciclo di vita per garantire, in tutti i casi, politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di ricambio generazionale, che operino attraverso modelli non più basati sul conflitto generazionale, ma piuttosto sulla valorizzazione delle persone;
    è di tutta evidenza la necessità non solo di introdurre incentivi mirati a sostenere la ricollocazione dei lavoratori maturi espulsi o a rischio di espulsione dal mercato del lavoro, ma soprattutto di promuovere e agevolare l'utilizzo di strumenti e politiche finalizzate a sostenere la diversa capacità di lavoro di questi lavoratori. Dunque valorizzazione della persona, del lavoratore, posto al centro delle attività produttive e occupazionali;
    nel corso degli ultimi anni, tuttavia, sono stati applicati incentivi economici di sostegno alle assunzioni, che si sono rivelati utili, ma da soli non sufficienti a risolvere il problema occupazionale. Infatti, agli incentivi nazionali previsti dalla cosiddetta «legge Fornero» (riduzione del 50 per cento, della quota contributiva a carico del datore di lavoro per l'assunzione di un lavoratore over 50 disoccupato da almeno 12 mesi con contratto a tempo indeterminato, determinato o di somministrazione), si sono aggiunti incentivi regionali anche questi finalizzati alle assunzioni. Incentivi per lo più di tipo esclusivamente economico (in 10 regioni), con azioni integrate (6 regioni) o di natura strettamente formativa (2 regioni);
    in questo contesto, appaiono necessarie politiche occupazionali di sostegno ai lavoratori maturi, in grado di porre l'accento non solo sull'occupabilità, ma anche sulla capacità di lavoro (diversity management), ambito quasi totalmente disatteso dal tipo di incentivi finora attuati;
    è importante conoscere e monitorare la situazione occupazionale dei lavoratori over 40, su cui ad oggi non si hanno dati puntuali, ma solo presunti, a causa di quanti, sconfortati, abbandonano la ricerca di un posto di lavoro. Solo così è possibile favorire il cambiamento culturale tanto atteso, nel mondo imprenditoriale, nelle parti sociali, nonché nei lavoratori stessi, valorizzando l'età come esperienza da utilizzare in tutti i contesti della vita sociale e lavorativa,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni utile iniziativa atta a diffondere una cultura nonché «buone pratiche» finalizzate alla valorizzazione degli ultraquarantenni nei processi di ricerca e selezione di personale, favorendo un approccio pro-attivo tra i principali player del mercato del lavoro (agenzie del lavoro e imprese);
   ad assumere le iniziative di competenza volte a coinvolgere in tale evoluzione le aziende e tutti gli operatori del mercato, con azioni di sensibilizzazione nei luoghi lavoro, anche attraverso tavoli di concertazione ad hoc che rappresentino il mondo del lavoro e dei sindacati;
   a prevedere campagne di comunicazione sui principali media italiani per dare visibilità ad imprese e agenzie del lavoro che ha o sviluppato comportamenti o realizzato esperienze particolarmente interessanti e innovative sul tema dei lavoratori maturi, promuovendo e valorizzando i comportamenti particolarmente virtuosi;
   ad adottare iniziative, anche normative, atte a favorire un'equilibrata combinazione tra gli incentivi economici e le buone pratiche manageriali, oltre che una efficiente rete di outplacement e ricollocazione degli ultraquarantenni, anche con l'ausilio di un monitoraggio continuo dei fondi stanziati in tale ambito.
(1-01251) «Palladino, Monchiero, Vargiu, Vezzali».


   La Camera,
   premesso che:
    con il termine «Bullismo» si definiscono quei comportamenti offensivi e/o aggressivi che un singolo individuo o più persone mettono in atto, ripetutamente nel corso del tempo, ai danni di una o più persone con lo scopo di esercitare un potere o un dominio sulla vittima;
    il bullo è a persona che usa violenza psicologica o fisica, ma anche se a livello comportamentale esprime una forza, mostra, in realtà, tutta la debolezza di soggetto che cerca di attirare l'attenzione su di sé perché vive un disagio o lo subisce, magari in famiglia;
    essere vittima di bullismo crea problemi nei soggetti più deboli, che si sentono inadeguati, esclusi dal gruppo e perfino in colpa;
    da qualche anno, la diffusione dei supporti informatici ha fatto riscontrare anche casi di cyber-bullismo o bullismo elettronico;
    il bullismo è, in sintesi, comportamento che nuoce alla società, rappresenta una minaccia per il suo naturale sviluppo, alimenta l'aggressività e la criminalità, comportamenti, questi, che un Paese civile e, soprattutto moderno non può e non deve tollerare;
    il bullismo non può essere circoscritto a nessuna categoria né sociale, né anagrafica;
   esso è una prevaricazione spesso legata all'affermazione di una superiorità dovuta all'età, alla forza fisica o al sesso e può nascondere disagio conseguente a una discriminazione religiosa o a diversità etnica o di genere;
    alcune indagini condotte nelle scuole superiori italiane hanno evidenziato che un ragazzo su due subisce episodi di violenza verbale, psicologica e fisica e terzo è vittima ricorrente di abusi; le prepotenze sono perlopiù verbali e psicologiche rispetto a quelle fisiche; il 42 per cento dei ragazzi ammette di essere stato preso in giro, il 30 per cento ha subito offese, circa il 24 per cento è stato vittima di calunnie, l'11 per cento dichiara di essere stato minacciato;
   la risposta migliore al bullismo è la cultura del rispetto; ricerche sul fenomeno, infatti, hanno dimostrato che se la scuola riesce a far sentire integrato e rispettato ogni studente, i fenomeni di prevaricazione violenta e della sottomissione alla violenza diminuiscono in modo evidente;
    in questi anni lo sport si è rivelato un interessante mezzo di contrasto al fenomeno del bullismo e della violenza in generale, con i suoi valori positivi, tanto che più volte si sono schierati per combattere questo fenomeno, Coni, Figc e campioni di diverse discipline;
    come lo sport, la scuola è un luogo di competizione dove si impara anche a perdere, perché la sconfitta non è un fallimento, ma è sempre e comunque un momento per crescere, per migliorare ripensando se stessi;
    il bullismo è un problema serio e diffuso che coinvolge scuola, famiglia, organizzazioni giovanili e contesto sociale; un atto di bullismo non va confuso con un banale «scherzo fra ragazzi», ma va punito perché è un atto di inciviltà ma, soprattutto, non va taciuto perché il silenzio non aiuta né vittima, né persecutore, entrambi, comunque, bisognosi di aiuto;
    sono molti i siti internet, i numeri attivi, le iniziative di comuni che puntano a combattere il fenomeno del bullismo e sono altrettante le segnalazioni di disservizi da parte di famiglie che chiedono informazioni e aiuto senza riuscire a contattare personale qualificato; anche la polizia di Stato e i Carabinieri hanno sui loro siti internet pagine dedicate al bullismo con descrizioni, consigli e numeri a cui rivolgersi;
    un grande ruolo possono assumere i media nel contrasto al bullismo se solo si provasse a fare una maggiore e più corretta informazione sul problema, se si promuovesse l'utilizzo di un linguaggio appropriato e rispettoso di gerarchie, ruoli, regole, se si attivassero controlli per evitare il turpiloquio che spesso ricorre in alcuni programmi televisivi e che è diseducativo, se si contrastasse l'esasperata violenza che caratterizza alcuni giochi elettronici che dovrebbe essere denunciata e vietata soprattutto in alcune fasce di età;
    alcuni episodi recenti ai quali ha dato risalto la cronaca portano a pensare che il bullismo è più diffuso di quanto non si sia immaginato finora e necessita di azioni di repressione che nascano da sinergie fra famiglie, scuola, istituzioni, media, affinché si possa evitare di annoverare anche questo disagio fra le malattie sociali da affrontare,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni iniziativa di competenza volta a contrastare il fenomeno del bullismo, a favorire una crescita equilibrata di bambini e adolescenti e ad ostacolare ogni forma di prevaricazione che deve essere punita e stigmatizzata;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative rivolte alle famiglie e alle scuole per contrastare, in particolare, il fenomeno del cyber-bullismo, considerato che le stesse da sole non riescono a fronteggiare i rischi che presenta il web in materia e che rendono vulnerabili i ragazzi che vi accedono;
   ad attivare percorsi per formare adeguatamente gli insegnanti, affinché possano cogliere tempestivamente i disagi delle vittime e bloccare tutte le forme di bullismo, e a promuovere campagne di informazione sui rischi derivanti da un uso poco consapevole di internet e dai giochi elettronici cruenti, che possono contribuire a determinare violenze gratuite verso i soggetti deboli.
(1-01252) «Vezzali, Monchiero».


   La Camera,
   premesso che:
    la continuità territoriale, intesa come capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori svantaggiati, si inserisce nel quadro più generale di garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e di coesione di natura economica e sociale, promosso in sede europea;
    il regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008, che ha abrogato i regolamenti (CEE) n. 2407/92, (CEE) n. 2408/92 e (CEE) n. 2409/92, stabilisce norme comuni per la prestazione di servizi di trasporto aereo nell'Unione europea. Tale regolamento consente agli Stati membri di imporre oneri di servizio pubblico riguardo ai servizi aerei di linea effettuati tra un aeroporto comunitario e un aeroporto che serve una regione periferica o in via di sviluppo all'interno del suo territorio o una rotta a bassa densità di traffico verso un qualsiasi aeroporto nel suo territorio, qualora tale rotta sia considerata essenziale per lo sviluppo economico e sociale della regione servita dall'aeroporto stesso;
    la continuità territoriale aerea nell'ordinamento nazionale è disciplinata dall'articolo 36 della legge 17 maggio 1999, n. 144, che ha disposto, al fine di garantire la continuità territoriale per la Sardegna e le isole minori della Sicilia dotate di scali aeroportuali, procedure e contenuti degli oneri di servizio pubblico per i servizi aerei di linea relativi alle zone indicate, prevedendo la gara d'appalto europea per l'assegnazione delle rotte in assenza dell'istituzione del servizio con assunzione dei relativi oneri;
    i commi 837 e 840 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) hanno previsto il passaggio delle funzioni in materia di continuità territoriale alla regione Sardegna e l'assunzione dei relativi oneri finanziari a carico della medesima regione;
    la Sardegna, a causa della sua insularità, dell'ampiezza e della particolare conformazione del territorio, vive una condizione di svantaggio rispetto alla penisola in termini di erogazione di servizi e di potenzialità di sviluppo economico, aggravata dalla totale inadeguatezza del sistema dei trasporti e della viabilità e da una forte carenza infrastrutturale che ostacolano la circolazione di merci e persone;
    le enormi difficoltà derivanti dalla mancanza di un sistema di trasporti sia marittimi sia aerei efficaci, efficienti, sicuri, sostenibili ed economicamente accessibili hanno creato nel tempo forti limitazioni allo sviluppo economico e sociale della Sardegna, contribuendo ad acuire gli effetti della profonda crisi del sistema produttivo e ad alimentare di conseguenza la crescita della disoccupazione, in particolare negli ultimi anni;
    i difficili e costosi collegamenti da e per l'isola, inoltre, rappresentano un freno anche per lo sviluppo turistico della regione, settore di rilevanza fondamentale che andrebbe maggiormente sostenuto, valorizzando l'immenso patrimonio naturalistico e artistico che la Sardegna offre;
    il problema dei difficili collegamenti da e per il continente rappresenta dunque per la regione una delle più grandi criticità, tanto da poter affermare che la popolazione sarda subisce costantemente una limitazione del pieno godimento del diritto alla mobilità;
    i Governi nazionali e regionali che si sono succeduti nel tempo, nonostante le dichiarazioni di intenti espresse in numerose occasioni anche nelle sedi istituzionali, non sono stati in grado di attuare politiche dei trasporti efficaci, lungimiranti e di reale tutela dei cittadini e non hanno mai avviato una programmazione mirata al raggiungimento di obiettivi concreti nel medio-lungo periodo, adottando bensì di volta in volta iniziative che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, nella maggior parte dei casi si sono rivelate fallimentari e dettate sovente soltanto da meri fini propagandistici;
    le azioni finora compiute dal Governo nazionale in tema di continuità territoriale aerea, come l'attribuzione alla regione Sardegna della somma di 30 milioni di euro per l'anno 2015 prevista dall'articolo 10 del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 2016, n. 9, non possono essere ritenute sufficienti al fine del superamento della complessa e perdurante problematica dell'inadeguatezza del sistema di trasporti da e per la Sardegna;
    la profonda criticità della mancanza di un efficace sistema di collegamenti aerei da e per l'isola non può essere risolta con misure una tantum, quali lo stanziamento appena citato, bensì deve essere affrontata in maniera definitiva, fornendo soluzioni strutturali, prima fra tutte l'assegnazione alla regione di risorse statali mediante l'istituzione di un Fondo nazionale presso il Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di una completa realizzazione della continuità territoriale, riducendo in tal modo concretamente i disagi derivanti dalla condizione di insularità;
    la continuità territoriale aerea da e per la Sardegna, per quanto riguarda le rotte maggiori, comprende i voli tra gli aeroporti sardi di Cagliari, Alghero e Olbia e gli scali di Roma Fiumicino e Milano Linate, garantiti a tariffe agevolate. Secondo il regime di continuità territoriale in vigore dal 27 ottobre 2013, la tariffa onerata agevolata unica per tutti i passeggeri (residenti, categorie equiparate ai residenti e non residenti) prevista durante il periodo invernale, dal 16 settembre al 14 giugno, non può essere superiore, per ciascuna tratta, a 45 euro per i collegamenti con Roma e a 55 euro per i voli per Milano. Nella stagione estiva, invece, usufruiscono delle tariffe agevolate i residenti e le categorie equiparate, mentre ai passeggeri non residenti e a quelli non appartenenti alle categorie equiparate si applicano tariffe ad articolazione libera la cui media non può superare il doppio della tariffa agevolata con un tetto massimo, comunque, non superiore al triplo della tariffa agevolata stessa. Alle tariffe, per ottenere il prezzo totale, si sommano i costi aeroportuali, che sono diversi a seconda dello scalo, e gli oneri. Il prezzo finale del biglietto pagato dal passeggero, nella maggior parte dei casi, risulta essere pari a circa il doppio della tariffa agevolata o ancora più alto. A causa dell'elevatissimo costo totale dei biglietti, pertanto, i benefici derivanti dall'applicazione del regime di continuità territoriale vengono a mancare;
    appare inoltre importante rilevare che la tariffa cosiddetta light, applicata dal 14 settembre 2015 dalla compagnia aerea Alitalia sui voli di medio raggio nazionali ed internazionali, non è estesa alle rotte gestite in regime di continuità territoriale. Le tariffe da e per la Sardegna risultano pertanto in alcuni casi superiori al costo del biglietto con l'applicazione della tariffa light per collegamenti di analoga distanza, determinandosi in tal modo non un vantaggio per la mobilità dei cittadini sardi e per lo sviluppo della Sardegna, bensì una discriminazione in termini di diritti della popolazione e uno svantaggio in termini di possibilità di rilancio dell'economia dell'isola;
    in riferimento alla continuità territoriale 2, inoltre, non risultano ancora chiari gli orientamenti della regione Sardegna in seguito all'abrogazione, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 23 ottobre 2015, del decreto n. 36 del 29 dicembre 2005 in materia di imposizione di oneri di servizio pubblico relativi ai servizi aerei di linea per le rotte minori della regione Sardegna in regime continuità territoriale (CT2) e alla relativa restituzione delle stesse rotte al libero mercato;
    non è meno rilevante ricordare la vertenza Meridiana, gruppo di primaria importanza in Italia nel settore del trasporto aereo che ormai da anni vive una profonda crisi aziendale. Le iniziative fino ad ora adottate dai Ministeri competenti non sono state risolutive ed oggi quasi mille dipendenti rischiano il licenziamento. In data 9 aprile 2016 Meridiana Fly e Meridiana Maintenance hanno comunicato l'avvio della procedura finalizzata alla messa in mobilità di 880 unità per Meridiana Fly (142 piloti, 649 assistenti di volo e 89 dipendenti appartenenti al personale di terra) e di 75 unità per Meridiana Maintenance. Per Meridiana Maintenance la cassa integrazione è scaduta il 30 aprile 2016, mentre per Meridiana Fly scadrà il 26 giugno 2016. Secondo quanto riportato dalla stessa azienda in una nota, la compagnia sarebbe pronta a siglare un accordo di partnership con Qatar Airways. Il perfezionamento dell'operazione, subordinato al soddisfacimento delle condizioni, è previsto entro la fine della prima metà del 2016. La riduzione del numero delle unità, considerate dalla compagnia in esubero, da 955 a 527, di cui 470 di Meridiana Fly (422 assistenti di volo, 48 appartenenti al personale di terra e nessun pilota) e 57 di Meridiana Maintenance, sarebbe subordinata all'accordo sul contratto di lavoro e alla realizzazione della partnership. Sono necessari interventi urgenti e incisivi finalizzati alla salvaguardia di tutti i lavoratori coinvolti nella procedura di mobilità, tenuto conto che il licenziamento collettivo dei lavoratori Meridiana produrrebbe danni sociali ed economici di notevole portata per l'intera Sardegna, già devastata da una fortissima crisi occupazionale;
    l'imminente abbandono da parte della compagnia aerea low cost Ryanair dello scalo di Alghero, motivato dall'azienda irlandese con la forte contrarietà all'incremento di 2,50 euro dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco, disposto con decreto interministeriale n. 357 del 29 ottobre 2015 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, potrebbe provocare ripercussioni negative sul sistema dei trasporti da e per la Sardegna, già gravato dalle suddette criticità. Lo sviluppo dell'economia turistica dell'isola subirebbe un ulteriore freno e si conterebbero nell'isola centinaia di nuovi disoccupati nel trasporto aereo, considerando anche la totale incertezza sul futuro della SoGeAAl spa, società di gestione dell'aeroporto di Alghero-Fertilia, interessata da una procedura di privatizzazione avviata nel maggio 2015, alla quarta proroga in meno di un anno;
    risulta, inoltre, importante rilevare che negli ultimi anni, nonostante gli indirizzi comunitari e nazionali in relazione ai principi di trasparenza e competitività per lo sviluppo delle rotte aeree, grazie alla sottoscrizione di accordi di co-marketing con le società di gestione aeroportuale i vettori low cost, tra cui Ryanair, hanno beneficiato di contributi pubblici per centinaia di milioni di euro;
    in data 7 aprile 2016 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nel corso di un incontro con i rappresentanti di Ryanair e con i presidenti delle regioni Sardegna e Abruzzo in cui si è discusso di aeroporti minori e di connettività aerea, con particolare riferimento all'esercizio dei voli low cost, ha constatato, riguardo al tema della tassazione, una mancanza di pari opportunità a danno degli aeroporti minori e insulari italiani rispetto a quelli competitivi europei e ha dichiarato il suo impegno alla riduzione, in tempi certi, dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco. Nella stessa sede il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha altresì annunciato l'apertura del Governo alla possibilità di rivedere le linee guida a suo tempo emanate per fronteggiare le problematiche inerenti alla sostenibilità di esercizio degli aeroporti minori e insulari,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, anche normative, in conformità a quanto previsto dall'ordinamento comunitario e nel pieno rispetto dei principi di uguaglianza e pari opportunità, volte a garantire un adeguato sistema di trasporti aerei da e per la Sardegna, affinché i residenti nei territori insulari non debbano subire costantemente una compromissione del diritto alla mobilità;
   ad adottare iniziative affinché siano ridotti i disagi derivanti dalla condizione di insularità, prevedendo misure strutturali, al fine di assicurare il pieno rispetto del principio della continuità territoriale, quali l'istituzione presso il Ministero dell'economia e delle finanze del fondo per la continuità territoriale della Sardegna;
   di quali elementi disponga circa la possibilità di un eventuale nuovo bando per la «continuità territoriale 2», adottando ogni iniziativa di competenza affinché siano garantiti collegamenti adeguati, efficienti e economicamente accessibili tra la Sardegna e gli scali nazionali cosiddetti minori;
   a fornire elementi sulle azioni che si intendano intraprendere in relazione alla vertenza Meridiana, al fine di garantire la salvaguardia dei circa mille lavoratori della compagnia che rischiano il licenziamento, rendendo chiarimenti, in particolare, sugli orientamenti riguardo all'ipotesi di partnership del vettore con la compagnia Qatar Airways;
   a fornire chiarimenti sulle iniziative che intenda adottare in riferimento alla riduzione dell'addizionale comunale sui diritti d'imbarco, specificando con esattezza i tempi entro cui saranno messe in atto le azioni annunciate;
   a procedere, con tempistiche adeguate, alla revisione delle linee guida ministeriali di cui in premessa, emanate ad ottobre del 2014;
   a fornire elementi in merito all'effettiva attuazione, anche in conformità ai nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree, delle procedure di scelta dei vettori beneficiari degli aiuti, volte a garantire la più ampia trasparenza e accessibilità, nonché all'avvenuta comunicazione all'Autorità di regolazione dei trasporti e all'Enac degli esiti delle suddette procedure e alla verifica del rispetto dei predetti principi di trasparenza e competitività;
   a fornire un elenco aggiornato degli scali aeroportuali italiani che hanno in corso accordi di co-marketing con compagnie aeree low cost.
(1-01253) «Nicola Bianchi, Liuzzi, Carinelli, Ferraresi, L'Abbate, Parentela, Benedetti, Di Battista, Sibilia, Scagliusi, Di Benedetto».


   La Camera,
   premesso che:
    «Contrastare la violenza sulle donne è un compito essenziale di ogni società che si proponga la piena tutela dei diritti fondamentali della persona». Lo ha affermato il Capo dello Stato Sergio Mattarella in occasione della giornata contro la violenza alle donne, auspicando un'azione di «educazione dei giovani al rifiuto della violenza nei rapporti affettivi», ha aggiunto però: «Resta ancora molta strada da fare»;
    per far fronte a un fenomeno sociale e culturale di così vasta portata, come è quello della violenza sulle donne nelle sue molteplici manifestazioni, sono necessarie risorse culturali prima ancora che economiche e finanziarie, dal momento che il fenomeno della violenza sulle donne ha una sua specifica connotazione a seconda dei Paesi e della loro cultura, della loro organizzazione familiare, lavorativa e sociale. Fatti recenti hanno mostrato e confermato come la violenza sulle donne costituisca anche un nodo concettuale di particolare interesse, in cui si intrecciano atteggiamenti che vanno oltre le specifiche culture nazionali. Tra le donne che subiscono violenza e gli attori della violenza stessa ci può essere una radicale diversità di provenienza oltre che di cultura e di stili di vita. Per questo servono informazioni complete e continuamente aggiornate, sul piano quantitativo e qualitativo, capaci di far emergere le costanti e mutevoli aggressioni che le donne subiscono;
    in questa legislatura, il 5 giugno 2013 tra i primi atti compiuti da questo Parlamento, si ricorda che la Camera ha approvato all'unanimità una mozione contro la violenza sulle donne con un atto parlamentare finalizzato a sensibilizzare il Parlamento sugli episodi di violenza sulle donne la cui frequenza stava assumendo connotati preoccupanti anche nel nostro Paese. La mozione, nelle intenzioni di tutti, doveva rappresentare il punto di partenza per nuove iniziative politiche, necessarie per arginare il fenomeno e per consentire azioni di sostegno, formazione e protezione. Le diverse mozioni raccoglievano un dato inquietante per quanto riguarda specificatamente il femminicidio in quegli anni; nel rapporto pubblicato dall'Eures si registrava in Italia un aumento delle uccisioni di donne del 14 per cento dalle 157 nel 2012 alle 179 del 2013;
    la mozione di allora si uniformava alle direttive impartite in un campo così delicato dall'Unione europea, dalle Nazioni Unite e da vari consessi internazionali. Si voleva monitorare nel modo più efficace possibile il fenomeno, sostenendo le vittime dal punto di vista sociale ed economico, proteggendole e garantendo loro condizioni di sicurezza che andassero oltre l'intervento delle forze dell'ordine. L'obiettivo era quello di creare i presupposti giuridici per contrastare e reprimere con determinazione questo tipo di reato. Tra i principali impegni proposti al Governo e dallo stesso accettati si sottolineava la necessità di considerare la violenza contro le donne come un'azione contro i diritti umani; si insisteva sulla necessità di sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che potessero interrompere prontamente i rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza anche a livello domestico. Si chiedeva di ratificare la Convenzione del Consiglio d'Europa (Istanbul 2011) sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica. Si chiedevano maggiori risorse per il raggiungimento di questo obiettivo in modo da rafforzare le reti di contrasto al fenomeno, potenziando capacità di ascolto e di pronto intervento. Ma l'accento era soprattutto sulla urgente necessità di promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, coinvolgendo in particolare gli operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, perché imparassero a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla. Si voleva in definitiva aiutare le donne a superare la paura e a divenire consapevoli che è possibile sconfiggere la violenza e sopravvivere alla violenza stessa;
    risale al 1993 La «Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne» che all'articolo 1, descrive la violenza contro le donne come: «Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata». Ma la violenza alle donne è diventato tema e dibattito pubblico solo da pochi anni e oggettivamente sia in Italia che in Europa mancano politiche serie di contrasto alla violenza alle donne, così come mancano ricerche con respiro internazionale e progetti di sensibilizzazione e di formazione che coinvolgano a pieno titolo l'opinione pubblica. Le ricerche compiute negli ultimi dieci anni dimostrano che la violenza contro le donne è presente, sia pure in modi diversi nei Paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali o culturali, e a tutti i ceti economici. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, almeno una donna su cinque ha subito abusi fisici o sessuali da parte di un uomo nel corso della sua vita. E il rischio maggiore più che i mariti e i padri sono soprattutto quei conviventi, che abusano di figlie non loro o di compagne occasionali. Ma tra gli abusanti ci sono anche i cosiddetti amici: vicini di casa, conoscenti e colleghi di lavoro o di studio;
    accanto alla violenza domestica che colpisce in modo speciale l'opinione pubblica per la sacralità del luogo in cui si consuma, bisogna ricordare che le donne sono esposte nei luoghi pubblici e sul posto di lavoro a molestie ed abusi sessuali, a stupri e a ricatti sessuali. In molti Paesi le ragazze giovani sono vittime di matrimoni coatti, matrimoni cosiddetti riparatori e sono costrette alla schiavitù sessuale, mentre altre vengono indotte alla prostituzione forzata e/o sono vittime di tratta. Se ne è a lungo parlato nell'ambito del World report on violence and health; l'OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha segnalato tra le altre forme di violenza le mutilazioni genitali femminili o altri tipi di mutilazioni, come in un recente passato lo stupro di guerra ed etnico. Sono ancora forme di violenza subite dalle donne quelle forme di femminicidio che in alcun Paesi, come in India e in Cina, si concretizzano nell'aborto selettivo, per cui le donne vengono indotte a partorire solo figli maschi, perché più e meglio accettati socialmente. Anche se il disastro demografico che questa politica ha causato sta obbligando il Governo di questi Paesi a fare rapidamente marcia indietro. Esistono infine violenze relative alla riproduzione, come l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata, e più recentemente perfino la gravidanza forzata;
    Irina Bokova, direttrice Generale dell'UNESCO, il 25 novembre 2015 in occasione della giornata contro la violenza alle donne ha affermato che «La violenza contro le donne è una violazione dei diritti e delle libertà fondamentali delle donne ed è inaccettabile in qualsiasi delle sue molteplici forme. L'UNESCO s'impegna a proteggere e promuovere i diritti e le libertà delle donne. Per farlo, è necessario garantire la piena ed equa partecipazione delle donne allo sviluppo e ai processi di costruzione della pace, a tutti i livelli». Le donne e le ragazze che vivono in Paesi colpiti da conflitti armati, sono particolarmente a rischio di violenze sessuali, specie durante l'approvvigionamento d'acqua, secondo il rapporto presentato dall'ONG Earthscan per il progetto ONU del Millennio. Il timore di violenze sessuali provoca conseguenze anche nelle iscrizioni scolastiche, dovute al fatto che le famiglie temono per le proprie figlie;
    in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, promossa dall'ONU a New York, tutti i partecipanti hanno evidenziato il ruolo fondamentale della società civile nell'impegno a creare spazi sicuri in cui possano vivere serenamente le ragazze, stabilire una cultura del rispetto delle donne e porre fine alla violenza perpetrata nei confronti di donne e ragazze. Michelle Bachelet, vice segretario generale e direttore esecutivo di UN Women, l'agenzia che l'ONU ha istituito di recente, ha affermato che, sebbene ci siano stati notevoli progressi nelle politiche nazionali volte a ridurre la violenza sulle donne, molto rimane ancora da fare. Più di cento Paesi sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica e più del 70 per cento delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della loro vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini. La violenza, ha aggiunto la Bachelet, influendo negativamente sui risultati scolastici delle donne, sulle loro capacità di successo lavorativo e sulla loro vita pubblica, allontana progressivamente le società dal conseguimento dell'obiettivo dell'uguaglianza tra gli uomini e le donne. In quella occasione il segretario generale delle Nazioni Unite si è impegnato a cercare un finanziamento di cento milioni di dollari l'anno, da destinare al fondo fiduciario per porre fine alla violenza contro le donne;
    per questo anche le Nazioni Unite hanno più che mai bisogno di collaborazione con il settore privato che potrebbe offrire sia canali di finanziamento sia conoscenza in settori chiave. Accanto al semplice finanziamento, i partner aziendali potrebbero apportare la propria competenza per l'elaborazione di strategie, oltre un grado di sostenibilità per la tolleranza al rischio finanziario. In Africa, ad esempio, ci sono importanti progetti a carattere plurisettoriale per l'emancipazione femminile e la creazione di spazi sicuri per queste ultime, compresa la formazione di avvocati, assistenti legali e operatori del settore sanitario necessari per rispondere alle esigenze delle ragazze che affrontano la violenza. Nel mondo occorrono cambiamenti culturali forti per smettere di guardare alle donne come cittadine di seconda classe: bisogna creare una autentica cultura del rispetto;
    la riflessione sulla violenza alle donne ha acquisito una ulteriore dimensione dopo i recenti fatti di Colonia nella notte di capodanno, a cavallo tra il 2015 e il 2016, allorché un gruppo di giovani immigrati ha circondato alcune donne e ne ha fatto oggetto di avance, che in alcuni casi hanno dato origine a veri e propri fatti di violenza. Nel complesso si è trattato di un tipo di intervento analogo a quello osservato nel 2011-2012 a Piazza Tahir e questo fatto non va certamente sottovalutato. La dimensione di gruppo, la diversa provenienza geografica degli «attaccanti», in un momento in cui la tensione è alta in tutti Paesi, soprattutto rispetto alla complessa convivenza con gli immigrati, hanno dato all'episodio una rilevanza mediatica enorme. E hanno obbligato non solo le autorità, ma tutta l'opinione pubblica a livello internazionale, ad interrogarsi su questa relazione percepita come tendenzialmente destabilizzante tra donne occidentali e maschi provenienti da Paesi in cui l'immagine della donna può essere davvero diversa;
    è opportuno rilevare che solo quando il caso di Colonia è divenuto di rilievo internazionale la polizia tedesca ha avviato una serie di indagini procedendo ad alcuni arresti, con deprecabile ritardo; ciò è bastato agli xenofobi, animati da un desiderio di vendetta sommaria, per aggredire i richiedenti asilo o semplicemente, coloro che avevano un aspetto o abiti islamici. Secondo la polizia tedesca alla base della seconda aggressione c'era stato un tam tam, sui social network per scendere in strada a Colonia e prendersela con persone «visibilmente non-tedesche»;
    non c’è dubbio che entrambe le forme di aggressione confermano come in Germania ci sia la crescita di un sentimento di ostilità verso gli immigrati e un sondaggio condotto dall'istituto Forsa ha confermato questa tendenza: il 37 per cento ha risposto che considerava negativamente la presenza degli immigrati soprattutto dopo i fatti di Colonia, mentre il 57 per cento che ha dichiarato di temere che l'aumento dei profughi possa segnare una crescita della criminalità in Germania. D'altra parte è difficile non porsi degli interrogativi seri: le denunce alla polizia di Colonia per violenze subite durante la notte di Capodanno in Germania sono salite a 516, il cui 40 per cento ha a che fare con molestie a sfondo sessuale. Ad Amburgo i casi sono stati 133, e in misura minore a Düsseldorf, Francoforte, Berlino; mentre 500 uomini che hanno forzato l'ingresso di una discoteca di Bielefeld, in Westfalia, dove molte donne hanno poi subito attacchi e molestie;
    la stessa Angela Merkel davanti alle molestie sessuali denunciate da tantissime donne a Colonia nella notte di San Silvestro ha affermato che si tratta di «atti ripugnanti e criminali assolutamente inaccettabili per la Germania. L'accaduto è insopportabile per me anche sul piano personale», non ha escluso la via delle espulsioni rapide, operando successivamente in questo senso;
    da allora sono emersi numerosi casi precedenti e sono stati segnalati anche parecchi ulteriori casi di violenza in Europa, dalla Svezia alla Slovenia, dalla Francia all'Olanda, Italia compresa, in cui la violenza alle donne è stata perpetrata da cittadini di origine mussulmana. Sono evidenti l'atteggiamento di disprezzo nei confronti della donna e una sorta di azione di rivalsa per quella che ritengono una profonda umiliazione per la loro identità di maschi, frustrati dalla disoccupazione, dalla perdita di prestigio familiare, dalla mancanza di ruolo politico, e altro. In Italia si conoscono azioni di violenza commesse contro le proprie figlie o contro le proprie mogli, colpevoli di una sorta di contaminazione con la cultura occidentale che le vorrebbe più libere ed emancipate. A volta basta anche una semplice assimilazione di stili di abbigliamento o di comportamento più occidentalizzati con i propri coetanei per scatenare l'ira familiare;
    il fatto più preoccupante è che chi proviene da quei Paesi porta con sé un'idea della donna culturalmente diversa da quella occidentale, in cui comunque si riaffermano tutte le libertà costitutive dell'Occidente. Occorre non solo approfondire e rendere esplicita quale sia la natura del rapporto con le donne dell'Islam, caratterizzato spesso da una politica di dominio, che non si ferma davanti a forme di violenza strutturata come è accaduto con gli stupri e le violenze verificatesi in Iraq e Siria durante la conquista da parte dell'Isis, con i rapimenti di Boko Haram, e con la schiavitù sessuale e con i fatti gravissimi per cui centinaia di donne egiziane al Cairo sono state punite per la loro partecipazione attiva alla politica durante la cosiddetta primavera araba. Nel processo di accoglienza che riguarda i tanti rifugiati di cultura mussulmana deve esserci una chiara consapevolezza di come per noi sia irrinunciabile e urgente la difesa della libertà femminile da ogni forma di molestia, abuso e violenza sessuale;
    il processo di integrazione dei nuovi arrivati in Europa parte dal rispetto nei confronti del Paese ospitante, della sua cultura e delle sue tradizioni con un oggettivo impegno a rispettarne le leggi, gli usi e i costumi. Non c’è dubbio che aver ricevuto una formazione dalle chiare radici giudeo-cristiane consente loro una più rapida assimilazione della identità occidentale, con la piena valorizzazione del concetto di libertà personale e di pari dignità uomo-donna; mentre una formazione di marca islamica implica un itinerario più complesso per poter conservare la fedeltà a certi aspetti della propria tradizione, sottoponendone altri a quel processo di aggiornamento e di modernizzazione richiesto dalla evoluzione dei tempi e ben rappresentato nella Dichiarazione dei diritti universali dell'uomo e della donna;
    questa parte politica evidenzia che dai documenti, dai rapporti e dalle procedure relative alle attività di contrasto delle polizie europee nei riguardi delle violenze contro le donne poste in essere da stranieri, in particolare musulmani, e persino da prese di posizione di esponenti della sinistra italiana e di femministe, emergono: una sorta di sottovalutazione del fenomeno, distorte applicazioni di teorie giustificazioniste, la tendenza a «nascondere» l'entità del fenomeno per non apparire «islamofobi» o per non turbare i già complessi processi di integrazione;
    tali sconcertanti metodologie comportamentali dell'autorità di polizia, amministrative e politiche ha finito invece per portare acqua al mulino della destra estrema anti-immigrazione ed anti Unione europea (che difatti sta dilagando in tutti i Paesi dell'Unione europea), consentendole di affermare, purtroppo sulla base di numerosi elementi di evidenza pubblica;
    l'Unione europea e i Governi a guida di sinistra o centro sinistra in Europa «preferiscono» lavorare più per l'integrazione dei musulmani, che per tutelare la libertà delle donne europee;
    il processo di integrazione con l'Islam in realtà nasconde, anche per il crescente peso demografico dei musulmani, un progressivo piegarsi, sino all'assoggettamento, della cultura di libertà occidentale, dove la libertà delle donne sarà progressivamente ridotta, nel livello e negli spazi di agibilità (come peraltro già avvenuto al blindatissimo Carnevale di Colonia), e poi perduta;
    è fondamentale dimostrare che non è così, anche per evitare possibili derive autoritarie e xenofobe, nonché i rischi di un ritorno ad un triste passato. È fondamentale porre in essere le decisioni politiche, di legge e di contrasto, necessarie a tutelare le donne e la loro libertà, che è un valore assoluto, dalla violenza e dai tentativi di oppressione. È fondamentale dare veste legale all'assunto che chi non riconosce la parità e la libertà delle donne non può essere integrato,

impegna il Governo:

   in linea con gli impegni formulati nella mozione contro la violenza alle donne approvata nel giugno 2013, ad adoperarsi per fare dell'Italia un punto di riferimento per quanto attiene alle piena applicazione delle pari opportunità in tutti gli ambienti sociali e professionali;
   a rafforzare e dare veste legale ai contenuti della Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione emanata dal Ministro dell'interno Amato 2006 assumendo iniziative per:
    a) attivare programmi di formazione-informazione nei confronti delle persone che giungono nel nostro Paese, uomini e donne, e che hanno alle spalle culture e consuetudini diverse dalle nostre, soprattutto in tema di diritti civili e in particolare di diritti delle donne;
    b) garantire alle donne immigrate spazi e tempi adeguati per una formazione umana e professionale che consenta loro di inserirsi positivamente nel contesto sociale in modo da raggiungere una propria autonomia anche sul piano economico;
    c) assicurare alle donne immigrate luoghi concreti a cui poter accedere per conoscere i loro diritti, per comprendere meglio le loro responsabilità e per denunciare i torti di cui sono vittime;
    d) introdurre la sottoscrizione da parte di coloro che vengono da Paesi extraeuropei, di una carta dei diritti e dei doveri quale atto necessario per avviare il processo di integrazione, di riconoscimento della condizione di profugo, di richiesta di cittadinanza, di stabilimento nel Paese;
    e) prendere gli opportuni contatti con i rappresentati delle comunità straniere in Italia, al fine di ottenere la sottoscrizione della Carta;
   a valutare la possibilità di promuovere in sede comunitaria l'emanazione di norme che consentano l'allontanamento immediato dall'Unione degli stranieri che commettono violenza contro le donne o la perdita della qualifica di profugo o del titolo di soggiorno;
   ad assicurare un'elevata priorità alla lotta contro tutte le forme di violenza e di discriminazione nei riguardi delle donne: dallo sfruttamento della prostituzione, alla tratta delle donne, dai matrimoni con le spose bambine alle mutilazioni genitali;
   ad assumere iniziative per privilegiare, nelle procedure per l'accesso al nostro Paese, come già accade in alcuni Stati occidentali, le famiglie, le donne, i bambini e gli anziani che sfuggono non solo alle guerre, ma anche alla persecuzione religiosa;
   a rafforzare tutte le misure, compresi i presidi di polizia, che garantiscano alle donne la loro sicurezza, con particolare attenzione ad alcuni luoghi e ad alcune fasce orarie;
   ad assicurare una tempestiva informazione all'opinione pubblica italiana sulle condizioni e sui modi in cui si può favorire una sana integrazione, rispettosa dei diritti di tutti, aperta all'accoglienza e al confronto.
(1-01254) «Binetti, Bosco, Buttiglione, Calabrò».


   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del bullismo – ovvero quei comportamenti e quegli atti offensivi o aggressivi che una o più persone mettono in atto ai danni di una o più persone per umiliarle, marginalizzarle, o ridicolizzarle – è in continua evoluzione; tanto più che, attraverso le nuove tecnologie che permettono agli aggressori di insinuarsi continuamente nella vita altrui e con pervasività sempre maggiore, si sono moltiplicati i mezzi mediante i quali vengono perpetrate prepotenze o soprusi. Il termine «bullismo» è stato utilizzato per la prima volta in una norma di rango legislativo nel 2012: in particolare nell'articolo 50 del decreto-legge n. 5/2012 convertito dalla legge n. 35 del 2012, laddove si parla di integrazione degli alunni diversamente abili, di prevenzione dell'abbandono e di contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo, specie per le aree di massima corrispondenza tra povertà e dispersione scolastica. Il nostro ordinamento però non prevede allo stato attuale disposizioni specifiche per prevenire e contrastare lo specifico fenomeno del bullismo, specie nella sua forma informatica. Pertanto si pone come improcrastinabile un intervento normativo finalizzato a delineare una cornice normativa ben definita per la tutela e la salvaguardia dei minori;
    negli ultimi anni infatti è cresciuta in modo costante l'attenzione dei media e della società nei confronti del fenomeno del bullismo a scuola. In Italia, lo studio di questa tematica risale agli anni ’90, quando un gruppo di ricercatori dell'università di Firenze ha effettuato un'indagine nazionale sul fenomeno del bullismo a scuola rilevando una situazione di una certa gravità;
    il ripetersi di atti di bullismo, sulla base di quell'indagine, risultò maggiore rispetto ad altri Paesi europei. Il fenomeno si presentava con alcune caratteristiche peculiari, soprattutto come aggressività verbale: era diffuso tra i più piccoli e tendeva a decrescere man mano che si proseguiva nelle classi superiori;
    a rendere ancora più allarmante il fenomeno è che gli atti sono compiuti, nella maggior parte dei casi negli ambienti di prossimità in cui vivono i ragazzi e gli stessi bambini: la scuola, gli ambienti sportivi e i luoghi in cui abitualmente i bambini giocano. Perché si possa parlare di bullismo è necessario che gli atti di prepotenza, le molestie o le aggressioni siano intenzionali, messi in atto dal bullo (o dai bulli) per provocare un danno alla vittima; le azioni dei bulli debbono durare nel tempo, per settimane, mesi o anni e ci deve essere una evidente asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l'azione e chi la subisce, per ragioni di età, di forza, di genere e per la popolarità che il bullo ha nel gruppo di suoi coetanei; ciò che conta è che la vittima non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme vendette. Per questo nella prevenzione occorre coinvolgere i minorenni, le loro famiglie, le scuole e le diverse realtà educative (sportive, parrocchiali, associazioni);
    il bullismo informatico negli ultimi anni ha avuto una crescita esponenziale tra i ragazzi in quanto messo facilmente in atto attraverso mezzi elettronici di cui la maggior parte dei minori dispone fin da un'età molto precoce, ossia telefoni cellulari, blog, social network e posta elettronica. Come nel bullismo tradizionale, il prevaricatore prende di mira chi è ritenuto «diverso», che diviene vittima per un qualsiasi tipo di discriminazione che va dall'aspetto fisico, al modo in cui si presenta, per esempio con un abbigliamento non convenzionale, e altro;
    oggi come oggi si va allargando la percezione della responsabilità che coinvolge non solo chi commette il fatto, ma anche la rete dei fiancheggiatori e perfino quella dei semplici spettatori che assistono senza intervenire positivamente a porre un freno e se possibile uno stop alla violenza che si sta perpetrando;
    una ricerca di Save the Children, svolta in collaborazione con l'Ipsos, ha messo in evidenza proprio che 4 minori su 10 sono testimoni di atti di bullismo verso coetanei, percepiti «diversi» per aspetto fisico (67 per cento), per orientamento sessuale (56 per cento) o perché stranieri (43 per cento). Sebbene i dati forniti siano basati su racconti ricevuti e pareri personali degli intervistati, il 33 per cento degli adolescenti ritiene che sia diffuso, fra gli amici, fornire il proprio numero di cellulare a un soggetto conosciuto su internet, o avere con questo un incontro di persona (28 per cento). Il 22 per cento dei ragazzi intervistati ritiene frequente l'invio di immagini o video di conoscenti nudi o seminudi, ovvero l'attivazione della webcam, per mostrarsi seminudi o nudi al fine di ricevere regali, il 19 per cento, con conseguenze tristemente note. Le conseguenze che, spesso, configurano veri e propri atti persecutori, sono l'immediato isolamento della vittima con conseguenti danni psicologici che nei casi più gravi spingono a gesti estremi, come il suicidio;
    sono stati infatti soprattutto alcuni gravi episodi di cronaca, in particolare alcuni suicidi avvenuti nell'ambito studentesco, a far emergere questo fenomeno. Recentemente, il bullismo si è manifestato e continua a manifestarsi anche attraverso l'uso della rete internet; spesso i molestatori, soprattutto se giovanissimi, non hanno piena coscienza delle conseguenze dei loro atti persecutori e di quanto ciò possa nuocere al coetaneo, in troppi casi irreparabilmente;
   sulla definizione e le forme del fenomeno nel nostro Paese è necessario sottolineare come la Fondazione Censis, su incarico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha svolto nel 2008 la «Prima indagine nazionale sul bullismo». Ricerche più recenti sono state condotte da singoli studiosi e sono state presentate nel 2010, nel 2012 e, per gli Stati Uniti, nel 2014; secondo il Censis, il 22,3 per cento delle famiglie denuncia frequenti atti di bullismo nelle classi frequentate dai figli; il 27,6 per cento episodi isolati, mentre il 50,1 per cento non rileva il problema. Nella maggioranza dei casi i genitori segnalano offese ripetute ai danni del proprio figlio;
    recentemente, sul fronte del contrasto alla lotta al bullismo ed al cyber-bullismo, il Governo, rispondendo all'interrogazione n. 5-02483 presentata dalle prime firmatarie del presente atto, ha ricordato che sono stati messi a disposizione delle istituzioni scolastiche, delle famiglie e delle vittime del fenomeno una serie di strumenti, ad iniziare dalla direttiva n. 16 del 5 febbraio 2007;
    tra le iniziative già intraprese per contrastare il bullismo è necessario ricordare: l'istituzione di un numero verde riservato a genitori e studenti per la segnalazione dei casi, richieste di informazioni e consigli; una nuova versione aggiornata del sito internet «smontailbullo.it», che si occupa di inquadrare il fenomeno da un punto di vista psico-sociologico e culturale fornendo suggerimenti per fronteggiarlo e infine gli osservatori regionali permanenti sul bullismo, attivi presso gli uffici scolastici regionali;
    rispetto al tema del cyber-bullismo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha promosso e sostenuto azioni volte al contrasto di tale fenomeno nel Piano nazionale denominato «Più scuola meno mafia» realizzando, a partire dal 2010, una serie di iniziative e progetti volti a contrastare tale fenomeno attraverso il sostegno psicologico alle vittime e l'informazione e la formazione degli studenti e delle famiglie sull'uso ed abuso della rete informatica;
    recentemente, il suddetto Ministero ha promosso il progetto «Safer Internet-Generazioni Connesse» per un uso consapevole di internet e dei new media. Il Ministero, inoltre, ha realizzato il già citato portale «smontailbullo.it» e il portale «Urp Social» tematico, nel quale vengono offerte alle scuole opportunità di approfondimento e di orientamento rispetto a questo fenomeno sociale, sempre più diffuso;
    nell'ottica del processo di innovazione della didattica educativa e della formazione, lo stesso Ministero ha realizzato due social network rivolti ai ragazzi under 13 e 14, che possono così comunicare e socializzare le proprie esperienze ed emozioni nel quadro delle regole sulla sicurezza informatica e delle norme sulla privacy;
    è altresì necessario sottolineare come presso la commissione giustizia della Camera dei deputati si stanno discutendo progetti di legge d'iniziativa parlamentare diretti a: a) definire gli atti di bullismo e di bullismo informatico; b) prevedere specifiche sanzioni penali (reclusione da sei mesi a quattro anni) per coloro che compiono atti di bullismo; c) disciplinare il risarcimento dei danni causati alle strutture scolastiche; d) regolare le attività del dirigente scolastico che venga a conoscenza delle attività di bullismo;
    l'Unione europea ha sviluppato strumenti di contrasto al fenomeno del cyber-bullismo con particolare riguardo alle politiche di protezione dei minori in attuazione dell'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali. Va ricordato anche il Programma per i diritti dei minori del febbraio 2011, che include, tra le sue azioni, il sostegno agli Stati membri e alle altre parti interessate al potenziamento della prevenzione, della responsabilizzazione e della partecipazione dei minori al fine del contrasto del cyber-bullismo. Questa azione si realizza con il programma Safer Internet e mediante la cooperazione con l'industria attraverso iniziative di autoregolamentazione;
    un obiettivo on line sicuro per i minori rientra tra gli obiettivi dell'Agenda digitale per l'Europa. Si segnala in particolare la comunicazione del maggio 2012 «Strategia europea per un'internet migliore per i ragazzi» che prevede, tra l'altro, raccomandazioni agli Stati membri ed agli operatori del settore volte ad instaurare meccanismi affidabili di segnalazione dei contenuti e dei contatti dannosi per i ragazzi. In tale quadro, deve ricordarsi l'autoregolamentazione europea nell'ambito della CEO Coalition che prevede, tra l'altro, meccanismi di segnalazione degli abusi, strumenti di classificazione dei contenuti e misure per la rimozione degli stessi;
    è, quindi, fondamentale contrastare ed intensificare ulteriormente la lotta contro il fenomeno del bullismo e del bullismo informatico attraverso misure dirette a prevenire e reprimere tale fenomeno che sta drammaticamente sviluppandosi nel nostro Paese,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, oltre a quelle già attivate, volte a contrastare il fenomeno del bullismo e soprattutto del cyber-bullismo mediante l'adozione di campagne informative dirette a rendere consapevole e, quindi, a sensibilizzare l'opinione pubblica e in particolare le famiglie circa la gravità di tale fenomeno;
   ad avviare corsi di formazione dei docenti nelle scuole sul tema del bullismo al fine di prevenire tale fenomeno e comunque di intervenire tempestivamente per porvi un limite; favorire, per quanto di competenza, un rapido iter dei progetti di legge sul contrasto al bullismo e al cyber-bullismo;
   ad assumere iniziative per informare, sensibilizzare e responsabilizzare i minori in merito alle forme di violenza e di prevaricazione di cui possono essere oggetto in modo da aiutarli a parlarne in famiglia o a scuola, per ridurre i rischi e le conseguenze di tali comportamenti;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre nelle scuole la figura dello psicologo, o per lo meno di uno sportello psicologico, che sia di sostegno ai docenti, alle famiglie ed ai minori nella soluzione dei loro problemi e delle loro difficoltà in modo da prevenire eventuali fenomeni di bullismo, anche attraverso interventi efficaci e tempestivi;
   ad adottare iniziative dirette a sensibilizzare i minori circa i rischi ed i rilevanti pericoli della rete internet al fine di un corretto utilizzo degli strumenti informatici.
(1-01255) «Binetti, Calabrò, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    a partire dagli anni ‘70, nell'ambito delle scienze psico-sociali sono stati studiati comportamenti aggressivi intenzionali, spesso ripetuti nel corso del tempo, ad opera di uno o più pari, contro un individuo o un gruppo. Tali comportamenti realizzati da bambini o da adolescenti sono raggruppati sotto il termine di «bullismo» e includono atteggiamenti antisociali come colpire, dare calci e pugni, prendere in giro o insultare, ma anche atti intimidatori indiretti, come il pettegolezzo, l'isolamento sociale e la distruzione, il furto o la perdita di oggetti delle vittime;
    la lotta bullismo è al centro dell'attività di tante istituzioni anche a livello internazionale. L'Unesco in un manuale per insegnanti del 2009, scrive che «chi è vittima di bullismo è più probabile che, rispetto ai compagni, sia depresso, si senta solo o ansioso e abbia una bassa stima di sé. I bulli di solito, mettono in atto comportamenti aggressivi per gestire situazioni in cui si sentono ansiosi, frustrati, umiliati o derisi dagli altri». Il bullismo può portare, in alcuni casi, anche a scelte estreme;
    la vittimizzazione, fisica o psicologica, può essere dovuta all'ignoranza, alla paura, all'odio o ai pregiudizi e può essere rafforzata dalle norme culturali, dalla pressione dei pari e in alcuni casi dal desiderio di vendetta nei confronti di una specifica persona. Le vittime possono essere persone incapaci di difendersi o considerate differenti a causa della loro provenienza etnica o culturale, del colore della pelle, della disabilità o perché non mostrano quelle caratteristiche che la cultura attribuisce in modo stereotipato alla mascolinità o alla femminilità, colpendo persone omosessuali, trans o ritenute tali pur non essendolo;
    il bullismo è visto come una modalità di relazione che si svolge tra due persone, una nel ruolo del bullo e l'altra in quello della vittima, anche se molte ricerche mostrano come il bullismo spesso coinvolga non tanto singoli individui quanto gruppi interi di ragazzi o studenti, ma in realtà affonda le sue radici nel contesto sociale dei bambini e degli adolescenti e nelle aspettative sociali che spingono questi giovani a conformarsi a certi atteggiamenti attesi e condivisi;
    un altro fattore importante menzionato da molte ricerche è l'importanza del ruolo di chi assiste agli atti di bullismo, anche se solo alcuni hanno osservato a fondo questa dinamica. Ad esempio, alcune ricerche hanno messo in evidenza che nei contesti scolastici gli studenti che si dichiaravano spettatori di fenomeni di bullismo, erano di volta in volta assistenti che aiutavano attivamente i bulli; sostenitori che li incoraggiavano; esterni che si chiamavano fuori e osservavano a distanza; difensori che intervenivano per proteggere le vittime;
    il bullismo è un processo sociale complesso essendo un comportamento aggressivo riconosciuto come diverso da ogni altra forma di violenza. La frequenza e la gravità di questo comportamento può variare a seconda delle situazioni ed è stato evidenziato dalle ricerche che studenti che mostrano lo stesso livello di aggressività tendono a coalizzarsi tra di loro, con conseguente aumento dell'intensità del loro comportamento nel corso del tempo, anche grazie al rinforzo ricevuto dai pari;
    i risultati delle ricerche condotte in Italia e all'estero dimostrano che il bullismo è parte integrante della quotidianità della maggioranza degli studenti presi in considerazione, i quali possono essere bulli o vittime, ma è stata osservata in percentuali non indifferenti anche la condizione di chi ricopre entrambi i ruoli a seconda delle circostanze;
    la diffusione di computer, internet, cellulari e altri strumenti di comunicazione elettronica ha portato con sé anche la diffusione del cyberbullismo e la tecnologia è diventata la nuova alleata di quei bulli che utilizzano telefono, e-mail, messaggi, siti web, bacheche elettroniche e newsgroup come strumenti per aggredire le loro vittime;
    secondo la recente ricerca Istat «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» (diffusa a dicembre 2015 su dati relativi al 2014) più del 50 per cento degli intervistati 11-17enni ha dichiarato di essere rimasto vittima, nei 12 mesi precedenti l'intervista, di un qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento. Una percentuale significativa, pari al 19,8 per cento, dichiara di aver subìto azioni tipiche di bullismo una o più volte al mese. Per quasi la metà di questi (9,1 per cento), si tratta di una ripetizione degli atti decisamente asfissiante, una o più volte a settimana. Speso due diversi tipi di prepotenze riguardano una stessa persona: circa il 72 per cento di quanti hanno lamentato azioni diffamatore e/o di esclusione sono stati vittima anche di offese e/o minacce. Le ragazze presentano una percentuale di vittimizzazione superiore rispetto ai ragazzi;
    tra le molteplici azioni attraverso cui il bullismo si manifesta, la ricerca ha rilevato che quella più comune è l'uso di espressioni offensive: il 12,1 per cento delle vittime dichiara di essere stato ripetutamente offeso con soprannomi offensivi, parolacce o insulti; il 6,3 per cento lamenta offese legate all'aspetto fisico e/o al modo di parlare. Più contenuta la quota di quanti dichiarano di aver subìto azioni diffamatorie (5,1 per cento) e di esclusione dovuta alle proprie opinioni (4,7 per cento). Non mancano le violenze fisiche: il 3,8 per cento degli 11-17enni è stato colpito con spintoni, botte, calci e pugni da parte di altri ragazzi/adolescenti;
    secondo una indagine condotta nel 2016 da Sos Il Telefono Azzurro e DoxaKids, in Italia un adolescente su cinque subisce episodi di bullismo, da parte dei suoi coetanei, in quasi l'80 per cento dei casi a scuola, mentre il 10 per cento lo subisce online e sui social network;
    varie ricerche hanno osservato il legame esistente tra bullismo e disturbi alimentari, che colpisce non solo la vittima, ma anche il bullo. Uno studio dell'università della North Carolina, condotto su 1420 bambini e pubblicato sull’International Journal of Eating Disorders a novembre 2015, ha rilevato che i bulli hanno un rischio doppio di comportamenti bulimici, come l'abbuffarsi o sottoporsi a purghe rispetto agli altri bambini non vittime di bullismo. I ricercatori nella loro indagine hanno analizzato le interviste raccolte nel database del Great Smoky Mountains Study, con oltre 20 anni di informazioni su partecipanti seguiti dai 9 ai 16 anni. In questo modo hanno visto che le vittime di abusi da parte di coetanei hanno un rischio doppio di disturbi alimentari, in particolare di anoressia (11,2 per cento rispetto al 5,6 per cento dei coetanei non bullizzati) e bulimia (27,9 per cento contro il 17,6 per cento) rispetto a chi non ha subito episodi di bullismo. Valori che crescono nei bambini che sono stati sia bulli che vittime (22,8 per cento di anoressia contro il 5,6 per cento degli altri, 4,8 per cento di abbuffate contro l'1 per cento), e ancora di più nei bulli, dove il 30,8 per cento mostra sintomi di bulimia contro il 17,6 per cento dei bambini non coinvolti nel bullismo;
    i risultati di 11 studi pubblicati dal 1989 al 2003 dimostrano che gli alunni con disabilità, sia visibili che invisibili, sono vittime di bullismo più frequentemente dei coetanei non disabili, e i ragazzi disabili sono oggetto di prepotenze più spesso rispetto alle ragazze disabili (Carter e Spencer, 2006). La ricerca, peraltro limitata, sulla relazione tra bullismo e necessità educative speciali si è inserita maggiormente nell'ambito delle disabilità visibili, mentre poche ricerche sono state effettuate sull'associazione tra bullismo e disabilità invisibili, tra i quali i disturbi dell'apprendimento. Ma i pochi studi effettuati sono concordi nell'affermare che avere una disabilità, come un disturbo dell'apprendimento, rende gli studenti maggiormente a rischio di subire forme di bullismo;
    a tal proposito, va segnalato che, nonostante l'Italia abbia ratificato e dato esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità fin dal 2009, ad essa non è stata data piena e completa attuazione e ciò produce effetti negativi anche sulle persone con disabilità vittime di bullismo. Dell'inadeguatezza della legislazione italiana, si dà dato atto nel primo rapporto dettagliato sulle misure prese per rendere efficaci gli obblighi assunti dall'Italia in virtù della Convenzione e sui progressi conseguiti al riguardo, che l'Italia ha presentato all'ONU a novembre 2012. Ad oggi, la principale fonte normativa italiana che si occupa di persone con disabilità (legge 5 febbraio 1992, n. 104) rimane centrata sulla nozione di persona handicappata, superata anche dal punto di vista linguistico, che come scritto nel rapporto: «pone l'accento sulle limitazioni delle facoltà (minorazioni) e lo svantaggio sociale che ne deriva (handicap), dunque sugli elementi che condizionano in negativo la vita della persona con disabilità. Nella legge manca, quindi, un riferimento all'ambiente in cui la “persona con disabilità” vive ed interagisce, in rapporto al quale le “menomazioni” devono essere valutate. L'automatismo secondo cui l'handicap è conseguenza della minorazione è un aspetto potenzialmente critico e superato dalle visioni più recenti della condizione di disabilità»;
    anche se dalle ricerche a livello internazionale emerge che tra gli atti di bullismo gli insulti razzisti sono più diffusi, in ambito scolastico è stato osservato che gli studenti riferiscono di sentirsi feriti piuttosto da offese che chiamano in causa la loro «sessualità» che da insulti legati alla loro razza o etnia, alle credenze religiose o al diverso bagaglio culturale;
    la maggiore sensibilità mostrata dai giovani verso gli insulti con una connotazione sessuale dipende dal fatto che questi epiteti costituiscono un attacco diretto all'identità dell'individuo, invece che al suo background razziale, culturale o religioso. Ricerche condotte in scuole inglesi, ma la realtà non è differente in Italia, hanno mostrato che epiteti a sfondo sessuale, in particolare quelli che mettono in dubbio la virilità, continuano a essere frequenti nei contesti scolastici e sono scambiati soprattutto tra i maschi;
    sul piano socio-politico, numerosi studi qualitativi e quantitativi condotti sempre in diversi Paesi hanno messo in evidenza che il ruolo della scuola continua ad essere quello di un «fattore di mascolinizzazione», cioè un veicolo di promozione di una serie di valori e ideali (maschili) che devono prevalere sugli altri e tutto ciò che non è maschile ed eterosessuale è automaticamente considerato come debole;
    esiste ancora un problema di poca considerazione della popolazione studentesca femminile. Questo non indica, come spiegano ad esempio alcuni autori inglesi (Mac e Ghaill), una scelta intenzionale del corpo docente, ma un problema endemico di un sistema educativo mirato a promuovere una visione tradizionalista dei ruoli di genere. Tali atteggiamenti e convinzioni di stampo conservatore sono rafforzati non solo tra generi, ma anche all'interno dello stesso genere. I ragazzi che non corrispondono agli stereotipi, ad esempio, si espongono al rischio di essere aggrediti dai coetanei in quanto non soddisfano le aspettative legate al loro ruolo di genere;
    il tema della decostruzione critica dei modelli sociali dominanti tuttora alla base delle relazioni tra i sessi è centrale nella lotta al bullismo. Esso di recente è entrato anche nella Convenzione di Istanbul, ratificata da parte dell'Italia, che ha riaperto nelle sedi istituzionali il dibattito sul fenomeno della violenza sulle donne. Come prevede esplicitamente il III capitolo della Convenzione i Paesi aderenti devono adottare politiche di prevenzione tra le quali un ruolo fondamentale è affidato ad interventi che accompagnino i percorsi scolastici delle ragazze e dei ragazzi, per promuovere cambiamenti nei modelli di comportamento socio-culturali per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull'idea dell'inferiorità della donna o su ruoli stereotipati per donne e uomini. In particolare, si invitano «le Parti [ad intraprendere] le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi». L'invito è a promuovere tali azioni anche nelle strutture di istruzione non formale, nonché nei centri sportivi, culturali e di svago e nei mass media;
    programmare e sostenere interventi strutturali, soprattutto a scuola, che contrastino e prevengano il bullismo è fondamentale, ma nessun intervento può raggiungere l'obiettivo se ci si limita al momento repressivo, ignorando la conoscenza dei fenomeni sottostanti e i documenti internazionali che chiedono un impegno nella direzione di decostruire stereotipi e pregiudizi;
    tra gli interventi che – soprattutto nella scuola – occorre mettere in campo per contrastare il bullismo, deve esserci quello dell'ascolto da parte degli insegnanti. Su questo è necessario investire per offrire al personale docente gli strumenti e l'aggiornamento necessario a sviluppare o rafforzare le capacità di ascolto dei bisogni degli studenti e delle studentesse;
    la recente indagine ISTAT, già citata, contiene dati che non possono essere ignorati relativamente ai diversi contesti socio-educativi in cui i ragazzi si muovono. L'ambito familiare di appartenenza, il rapporto con il gruppo dei pari e il percorso scolastico intrapreso rappresentano elementi rilevanti del vivere quotidiano che incidono sui comportamenti e il modo di relazionarsi dei giovanissimi;
    guardando al tipo e al livello di formazione scolastica, è possibile distinguere particolari ambiti dove le azioni di bullismo sono più ricorrenti. Le quote di vittime sono più alte tra i ragazzi 11-13enni che frequentano la scuola secondaria di primo grado. Quelle che in passato si chiamavano «scuole medie» si presentano come l'anello debole del sistema dell'istruzione;
    la percentuale di vittimizzazione varia a seconda delle caratteristiche delle famiglie in cui vivono gli 11-17enni. Il 12,2 per cento di quanti vivono in famiglie poco numerose (meno di quattro persone) dichiara di aver ricevuto prepotenze, con cadenza più che settimanale, mentre nelle famiglie in cui sono presenti più fratelli/sorelle risulta relativamente meno consistente la percentuale di ragazzi/adolescenti rimasti vittima di azioni di bullismo;
    il 23,6 per cento degli 11-17enni che si vedono raramente con gli amici è rimasto vittima di prepotenze una o più volte al mese, contro il 18 per cento riscontrato tra chi incontra gli amici quotidianamente,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per avviare la modifica e l'integrazione dei piani di studio delle scuole e dei programmi degli insegnamenti del primo e del secondo ciclo, in coerenza con gli obiettivi generali del processo formativo di ciascun ciclo e nel rispetto dell'autonomia scolastica, al fine di garantire — come richiesto dall'articolo 14 della Convenzione di Istanbul – l'inclusione di materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all'integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi;
   ad assumere iniziative per finanziare, mediante lo stanziamento di adeguate risorse, un piano di formazione per insegnanti di ogni ordine e grado, ma in particolare nella scuola secondaria di primo grado, per lo sviluppo di capacità di ascolto degli studenti, mediante l'adozione di tecniche di « empowerment» delle relazioni, della valorizzazione degli studenti, della pedagogia e della didattica;
   a contrastare il bullismo nei confronti delle persone con disabilità dando piena e completa attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, partendo dall'assunzione di iniziative per eliminazione dell'espressione «persona handicappata» dovunque ricorra leggi e regolamenti e finanziando interventi nelle scuole per diffondere tra i giovani i principi e i contenuti del nuovo «paradigma» introdotto dalla Convenzione;
   a partecipare, nella persona della Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, all'incontro internazionale dei ministri dell'istruzione organizzato a Parigi dall'UNESCO il 17 maggio 2016 dal titolo « Education Sector Responses to Violence based on Sexual Orientation and Gender Identity/Expression» e a riferirne gli esiti al Parlamento con l'indicazione puntuale delle misure e degli interventi ai quali il Governo intende dare seguito.
(1-01256) «Costantino, Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi tempi si nota un incremento generale di atti violenti e intimidatori, denominati dal termine inglese « bulling», atti di bullismo, nelle scuole di tutto il Paese, che sono sfociati anche in tentati omicidi, suicidi e problemi psicologici semi irreversibili da parte di chi li subisce. Un fenomeno che non può essere considerato come semplice bolla mediatica. Pari al 49,9 per cento del totale, difatti, risulta la quota di famiglie che segnala il verificarsi di prepotenze di diverso tipo (verbale, fisico, psicologico) all'interno delle classi frequentate dai propri figli, con una diffusione che risulta elevata in tutti gli ordini di scuola, e particolarmente nella scuola secondaria inferiore dove raggiunge il 59,0 per cento delle classi. La frequenza delle segnalazioni è invece la stessa nelle quattro aree geografiche maggiori (si va da un massimo del 50,8 per cento al Nord ovest, ad un minimo del 48,3 per cento al Nord est) e nei diversi centri abitati, con una leggera flessione nelle aree urbane di dimensione mediogrande (nella città che hanno tra i 100 ed i 250.000 abitanti le famiglie che segnalano sono il 43,7 per cento del totale);
    questo fenomeno, inoltre, non può essere più slegato da quello denominato cyberbullismo o bullismo informatico;
    il progresso tecnologico degli ultimi anni in relazione al fenomeno del mercantilismo radicale ha imposto nella società del consumo un utilizzo fuorviante delle nuove tecnologie, senza, in nessun modo e allo stesso tempo, essere accompagnato da un progresso culturale mirato a far maturare un giusto e responsabile utilizzo delle stesse;
    il mondo virtuale ha trovato sempre più spazio in un contesto dove gli uomini sono sempre più soli e difficilmente riescono a sviluppare relazioni interpersonali;
    la pericolosità del bullismo è data soprattutto dalla pervasività e dalla sua forza trainante in quanto fa leva su alcuni aspetti che caratterizzano sia l'età adolescenziale sia la nostra epoca: un generalizzato disagio epocale causato dalla perdita di solidi punti di riferimento, la debolezza etica del tessuto sociale, un futuro poco promettente. Questa minaccia pesa sulla scuola mettendo a rischio l'ambiente educativo, ma pesa anche sull'intera società che ne è corresponsabile e che, quindi, ha il dovere di sostenerla in questo difficile impegno;
    a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, le cause di ciò che è accaduto devono essere individuate al fine di comprendere meglio il fenomeno: una sistematica rinuncia ai riferimenti valoriali nell'istituzione scuola, una continua aggressione verso l'istituito della famiglia, la diffusione ideologica di una visione della vita volta a rinnegare le radici culturali e tradizionali del nostro popolo, la continua propaganda del pensiero relativista che ha creato nelle giovani generazioni uno stato di confusione permanente dove diventa dote personale la capacità di distinguere ciò che è bene da ciò che è male;
    il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario;
    il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo va contrastato con energia e con provvedimenti mirati e specifici, volti a sviluppare una giusta modalità di intervento partendo in primo luogo dalla conoscenza del problema e dalla formazione degli educatori;
    la famiglia e la scuola sono certamente i primi ambiti dove i bambini e i giovani possono conoscere il valore e il senso della partecipazione e il rispetto degli altri;
    è doveroso ribadire che al fine di realizzare un sistema che funzioni è necessario che vi sia la tutela dei diritti dei minori ma anche la tutela delle famiglie in cui i minori sono inseriti;
    la frantumazione dell'istituto familiare, in una comunità sempre meno capace di farsi carico della crescita sana dei bambini, è il primo fattore che pone i giovani adolescenti in una condizione di precario equilibrio ed estrema fragilità, rendendoli soggetti a rischio;
    la capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale, di salute, il livello di istruzione raggiunto. La possibilità di disporre di competenze e risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità;
    una società incapace di garantire i diritti dei minori è una società destinata ad implodere. Come insegna Aristotele, una buona politica non afferma principi, ma propone risposte fattibili a problemi concreti;
    è importante promuovere ed incoraggiare la partecipazione dei giovani e valorizzare l'informazione a studenti e famiglie quali strumenti indispensabili allo sviluppo della cittadinanza attiva di tutti e di ciascuno attraverso progetti volti all'elaborazione condivisa del regolamento d'istituto, all'organizzazione delle assemblee di classe e d'istituto, alla partecipazione alla consulta degli studenti e all'educazione al volontariato;
    è necessario riconoscere il ruolo fondamentale della componente studentesca nella vita della scuola e della comunità;
    lo sport rappresenta un fenomeno sociale che ha svolto, ed ancora oggi svolge, un ruolo fondamentale per la formazione individuale e la promozione del benessere fisico e mentale del singolo, con effetti positivi sulle capacità di apprendimento. Lo sport è una delle attività che da sempre ha contribuito a promuovere uno stile di vita positivo, consentendo ai giovani di esprimere le loro inclinazioni e la loro personalità, di sviluppare un'attitudine alla cura del corpo, di promuovere uno spirito partecipativo ed incline alla sana competizione destinato ad agevolare la vita ed il lavoro in gruppo. I valori di onestà e solidarietà impliciti nell'attività sportiva offrono, infatti, uno stimolo fondamentale per prevenire le tendenze disgreganti comuni nella società contemporanea, particolarmente evidenti nel fenomeno del bullismo, favorendo il consolidamento di uno spirito di comunione e fraternità sempre più indispensabile per l'integrazione sociale e culturale e contrastando le devianze della discriminazione e dell'intolleranza;
    tali rilievi trovano specifici riscontri anche a livello internazionale e comunitario, come confermato dalla Dichiarazione sullo sport, adottata dalla Conferenza dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri dell'Unione europea ad Amsterdam, nel 1997, ove si sottolinea la rilevanza sociale dello sport, evidenziando il ruolo che esso assume nel forgiare l'identità e nel ravvicinare le persone. L'Unione europea ha da tempo mostrato una particolare attenzione al tema della funzione educativa e sociale dello sport, con particolare riguardo alle scuole, occupandosi di rendere l'attività sportiva accessibile a tutti, nel rispetto delle aspirazioni e delle capacità di ciascuno e nella diversità delle pratiche agonistiche o amatoriali, organizzate o individuali. È quanto viene previsto dalla relazione sul ruolo dello sport nell'educazione, presentata dalla Commissione per la cultura e l'istruzione al Parlamento europeo il 30 ottobre 2007. Nella relazione, in particolare, si incoraggiano gli Stati membri ad ammodernare e migliorare le loro politiche in materia di educazione fisica, anche attraverso un ampliamento dell'orario scolastico, assicurando un equilibrio tra le attività fisiche ed intellettuali nelle scuole, investendo nelle strutture sportive di qualità, prendendo misure adeguate per rendere accessibili a tutti gli studenti i centri sportivi e i corsi di sport nelle scuole e prestando particolare attenzione ai bisogni degli studenti disabili. Tale impegno deve coinvolgere un'ampia gamma di attività sportive, affinché ogni studente possa avere una vera e propria opportunità di partecipare a varie discipline. Rispetto agli obiettivi indicati come prioritari dall'Unione europea, il nostro Paese vanta una tradizione di primario rilievo nel settore dell'attività sportiva agonistica studentesca, che tuttavia, nell'ultimo decennio, ha subito una radicale interruzione. Il riferimento è agli originari Giochi della gioventù, istituiti 3 settembre 1968 dall'allora Presidente del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) Giulio Onesti, con lo scopo di arginare il diffuso disagio sociale giovanile, creando un momento di interazione all'interno delle scuole attraverso la disciplina sportiva. Uno dei meriti fondamentali ed indiscutibili dei Giochi della Gioventù è stato quello di aver introdotto nell'ambito della scuola una forte sensibilizzazione nei confronti dell'attività sportiva, intesa come mezzo insostituibile nella formazione dei giovani, fin dalla scuola primaria,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa volta a prevenire, ridurre e reprimere con fermezza episodi di bullismo e cyberbullismo, che contempli azioni mirate per ogni ordine e grado di scuola;
   ad attuare una capillare campagna informativa sul fenomeno del bullismo e cyberbullismo e sulla «dipendenza dai social network», mettendo in evidenza i pericoli ad essi connessi;
   a promuovere attività di aggiornamento e formazione dei docenti e di tutto il personale scolastico tecnico-ausiliario nell'azione di educazione alla cittadinanza, di prevenzione del disagio e di contrasto a fenomeni di bullismo e di violenza fisica e psicologica;
   ad attivare una rilevazione ed un monitoraggio permanente del fenomeno e delle attività promosse dalle istituzioni scolastiche, sia singolarmente che in raccordo con altre strutture territoriali, e a relazionare annualmente al Parlamento;
   a sostenere il ruolo fondamentale della componente studentesca nella vita della scuola e della comunità;
   a promuovere, d'intesa con le forze dell'ordine e le associazioni a tutela dell'infanzia, protocolli di modelli comportamentali;
   ad assumere iniziative per introdurre un sistema sanzionatorio nei confronti di quanti, istituzionalmente deputati alla presa in carico dei minori, omettano di denunciare fenomeni di bullismo o comunque assumano comportamenti conniventi;
   a migliorare e ampliare le politiche in materia di educazione fisica, assicurando un equilibrio tra le attività fisiche ed intellettuali nelle scuole, investendo nelle strutture sportive di qualità, prendendo misure adeguate per rendere accessibili a tutti gli studenti i centri sportivi e i corsi di sport nelle scuole e prestando particolare attenzione ai bisogni degli studenti disabili.
(1-01257) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il bullismo non è un fenomeno recente, ma esiste da generazioni e in varie forme e consiste nell'esporre ripetutamente e continuamente, ad azioni negative da parte di una o più persone consistente nell'infliggere intenzionalmente danni o sofferenze ad un'altra, attraverso contatto fisico, parole o in altri modi (Olweus, 1993). Questo include bullismo fisico (esempio spingere, colpire, calciare), bullismo psicologico (esempio diffondere pettegolezzi falsi), bullismo verbale (esempio ingiurie e molestie verbali), bullismo cibernetico, bullismo razziale e bullismo sessuale;
    sebbene nella maggior parte dei casi il bullismo avvenga durante gli anni scolastici, implica reali conseguenze a lungo termine, sia per la vittima che per chi compie l'atto di bullismo procurando una ferita permanente sia emotiva che psicologica che fisica sia sulle vittime che sui bulli a volte per il resto delle loro vite;
    sono stati attuati vari e importanti progetti riguardo il bullismo a livello europeo e l'unica iniziativa che ha coinvolto 17 partner provenienti da 12 stati membri dell'Unione europea con un'importante esperienza nel campo è il progetto EAN che fornisce un approccio unificato europeo e, finanziato dal Programma DAPHNE III della Commissione europea, si pone come obiettivo la creazione di strumenti di intervento e una politica comune europea contro il bullismo;
    in Italia, la direttiva ministeriale n. 16/2007 sulle linee guida generali e le misure a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo («Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo») ha introdotto la Campagna nazionale contro il bullismo (2007) includendo tra i suoi obiettivi: a) registrare e studiare la violenza scolastica e il bullismo, b) sviluppare strategie generali a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo, c) fornire informazioni utili per la prevenzione alla lotta al bullismo, d) coordinare e facilitare gli interventi mirati a livello locale;
    ogni regione ha il suo osservatorio, composto da personale accademico, membri scolastici, autorità locali e società civile (ad esempio associazioni per la promozione sociale, genitori) e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca finanzia e supervisiona la campagna ed è, in cooperazione con i consigli scolastici regionali, responsabile della sua attuazione;
    in generale, la campagna comprende diverse misure e azioni, che includono un numero verde e un indirizzo email per poter dare informazioni e consigli per ricevere resoconti sui casi di bullismo; inoltre il sito web www.smontailbullo.it fornisce strumenti e suggerimenti per gestire il bullismo, nonché un'estesa bibliografia e filmografia sull'argomento al quale si aggiungono gli osservatori regionali permanenti sul bullismo inseriti nel sistema dei Consigli regionali scolastici;
    esistono altri progetti regionali, nazionali e europei e iniziative per la prevenzione e la lotta al bullismo (ad esempio, la conferenza nazionale «Irretiti-impigliati nella rete» sul cyberbullismo; il progetto nazionale « Safer internet-connected generations»; il progetto europeo TabbyThreat Assessment of Bullying Behavior) le cui attività sono supervisionate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dagli osservatori regionali e finanziate dal dipartimento nazionale dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dai consigli scolastici regionali e dalle comunità scolastiche e dagli esperti sparsi sul territorio nazionale;
    alcuni dei resoconti regionali sul bullismo sono stati pubblicati dagli osservatori regionali permanenti, sulla base di dati statistici e di altri resoconti sull'evoluzione del fenomeno non riscontrando analisi ufficiali sui problemi e su eventuali ostacoli; i programmi hanno avuto come esito la soddisfazione dei partecipanti oltre che l'efficacia del metodo, la competenza del trainer, la conoscenza acquisita, il cambiamento di comportamento nei confronti dei trainer/insegnanti e bambini/studenti, e la prontezza ad affrontare possibili episodi di bullismo. Inoltre, diversi sforzi di divulgazione sono stati fatti, come la circolare ministeriale mandata a tutti i consigli regionali scolastici, al Ministro dell'interno, alle autorità locali e regionali; il sito web; manifesti, volantini e libretti; realizzazione di specifici programmi tv e video con il supporto di Rai Educational (sezione del canale televisivo pubblico nazionale dedicato alla scuola e all'istruzione); la campagna nazionale contro il bullismo a prima politica generale e sistematica sulla prevenzione e la lotta contro il bullismo e la violenza tra gli studenti in Italia;
    le misure adottate vengono coordinate a livello nazionale con una mappatura e una coordinazione dei progetti regionali e delle iniziative effettuata attraverso gli Osservatori regionali permanenti, mentre i servizi forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le scuole, gli insegnanti, gli studenti e le famiglie sono tutte attivamente coinvolti in uno sforzo di cooperazione concertato. La campagna ha ricevuto molta pubblicità sul sito web e grazie al coinvolgimento dei media e, a livello di ricerca, sono stati raccolti tre studi nazionali sull'Italia: il primo (Arcigay, 2010) è stato il primo caso di indagine sul bullismo omofobico in Italia, effettuato su un campione di scuole divise per tipologia e territorio mentre sono stati eseguiti altri due tipi di ricerca, una qualitativa, che ha investigato le forme del bullismo omofobico vissuto dalle vittime, EAN Strategy Position ricavandone una serie di episodi, e una quantitativa, che ha identificato la diffusione dell'omofobia nelle scuole italiane usando un questionario. La ricerca qualitativa ha messo in luce la severità e la specificità agli episodi di aggressione omofobica. Nella stragrande maggioranza dei casi riportati gli incidenti subiscono un calo quando inseriti in una continua serie di attacchi. La ricerca quantitativa mostra che la maggior parte degli studenti sono esposti ad atti di bullismo omofobico verbale;
    un altro studio (Ipsos e Save the Children, 013) si è concentrato sul cyberbullismo, un report originale, basato sui risultati di 810 colloqui (CAWI Computer Assisted Web Interviewing) effettuati su adolescenti e pre-adolescenti (12-17 anni) che è stato distribuito in base a varianti socio demografiche;
    nella delicata età tra i 12 e i 17 anni, ragazzi e ragazze sono particolarmente sensibili alle pressioni esterne, che comprendono la centralità dell'apparenza fisica proposta dai media e la volontà dei genitori nello spingerli sin da subito verso un'identità di genere. Nella schiacciante maggioranza dei casi, i giovani esprimono «solidarietà» verso le persone perseguitate e negano ogni possibile responsabilità dell'individuo perseguitato per la condizione in cui si trova (88 per cento, l'individuo non lo merita). I social network sono il modo preferito di attaccare da parte dei cyber bulli (61 per cento), i quali in genere perseguitano la vittima attraverso la diffusione di foto e immagini denigratorie (59 per cento) o creando gruppi «contro di lui/lei» (57 per cento) Il terzo studio (Università degli Studi di Sassari, 2012) ha esaminato la giustizia rafforzativa come strumento per l'inclusione sociale e il modello per occuparsi del bullismo;
    i membri dello staff che hanno partecipato alla ricerca hanno riferito che gli incidenti di bullismo posso principalmente verificarsi quando, in un gruppo di studenti, qualcuno è percepito come più debole (fisicamente, verbalmente e psicologicamente) agli atti di bullismo sono intenzionali e ripetuti o anche nel caso in cui i dispetti, le battute, gli insulti o gli attacchi siano particolarmente pesanti. In più, in linea con i problemi che gli studenti esprimono secondo i loro insegnanti, gli obiettivi degli interventi sono stati principalmente la promozione del rispetto per le regole, la coesistenza democratica e l'ascolto. Infine, per quanto riguarda la valutazione sull'efficacia delle azioni proposte, i soggetti coinvolti nella ricerca hanno dichiarato di non sentirsi in grado di gestire efficacemente il fenomeno utilizzando i mezzi ordinari e hanno quindi proposto come soluzione utile il miglioramento della cooperazione non solo tra le parti interne delle scuole ma anche con altri soggetti, in una logica di collaborazione fra diversi enti;
    è stata fortemente enfatizzata la necessità di condurre una formazione sull'argomento, specialmente in relazione alla promozione di misure per prevenire e combattere bullismo, ponendo particolare attenzione nell'approfondire le tecniche di risoluzione estendendo tale formazione non solo allo staff di insegnamento ma anche alle famiglie, finora considerate marginali tra i beneficiari delle azioni intraprese,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative finalizzate a contrastare efficacemente il fenomeno del bullismo promuovendo:
    a) l'accrescimento della conoscenza del problema e la partecipazione dei bambini creando una rete europea anti bullismo;
    b) l'assistenza alle organizzazioni non governative e alle altre organizzazioni attive in questo campo;
    c) lo sviluppo e la realizzazione delle azioni di sensibilizzazione mirate;
    d) la diffusione dei risultati ottenuti;
    e) l'identificazione e lo sviluppo azioni che contribuiscano ad un trattamento positivo delle persone a rischio di violenza;
    f) l'impostazione e il sostegno di reti multidisciplinari;
    g) ideazione dei materiali educativi e di sensibilizzazione, integrando e adattando quelli già disponibili;
    h) lo studio di fenomeni legati alla violenza e al suo impatto;
    i) programmi di sostegno per le vittime e per chi compie violenza, con l'introduzione di percorsi di rieducazione nei confronti di questi ultimi, anche mediante attività didattiche volte alla prevenzione e alla conoscenza del fenomeno del bullismo;
    j) percorsi di aggiornamento e di formazione dei docenti presso le scuole.
(1-01258) «Bechis, Artini, Baldassarre, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».

Risoluzione in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    presso il distaccamento del comando dei vigili del fuoco di Bardolino è operativo dal 2001 un presidio acquatico di superficie sul Lago di Garda;
    in considerazione della particolarità del territorio e del numero e dell'entità degli interventi svolti ogni anno, nel 2007, fu assegnata al suddetto presidio l'unità navale «RAFF»;
    l'unità RAFF 06 era dotata di un doppio propulsore, collegato a idrojet, fattore questo indispensabile per non ferire eventuale personale in acqua, e per navigare anche in acque poco profonde; l'unità era dotata di gru e di sistema di auto protezione, nonché di una più che adeguata dotazione antincendio, capace anche di consentirle l'intervento su incendi di natanti di dimensioni importanti quali i traghetti della Navigarla;
    il Ministero dell'interno, successivamente, nell'ambito di un progetto di riorganizzazione generale della flotta navale antincendio del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ha elaborato un piano di dismissione delle unità navali più vetuste e, quindi, più onerose dal punto di vista gestionale. Tra i trasferimenti previsti, fu inserito anche quello del natante a suo tempo assegnato al distaccamento di Bardolino. Obiettivo del progetto, che prevedeva la riduzione del naviglio di circa 1/3 del numero complessivo di unità, era quello di raggiungere una necessaria sensibile riduzione dei costi di gestione, assicurando, comunque, il dispositivo di soccorso minimo per le varie categorie di porti, previsti dalla legge n. 690 del 1940;
    successivamente al trasferimento del natante RAFF 06, fu assegnata al comune di Bardolino l'unità RIB 02, che però ha evidenziato fin da subito problemi ai motori, tanto da lasciare alla deriva i conducenti sin dopo il primo varo;
    conseguentemente, nell'aprile 2015 è stata resa operativa l'unità RIB M10; anch'essa, tuttavia, ha presentato fin da subito, come la precedente, guasti meccanici tanto da essere tuttora parcheggiata presso il cantiere nautico di Pacengo;
    infine, al presidio è stato attualmente assegnato un battello pneumatico a chiglia rigida, che risulta ai presentatori del presente atto non solo assolutamente inadatto al contrasto degli incendi in acqua, ma anche insufficiente a garantire la sicurezza degli operatori dei vigili del fuoco, e pertanto certamente non idoneo a soccorrere ed imbarcare eventuali naufraghi o singole unità;
   tale situazione desta particolare preoccupazione, specie di fronte al rischio che il verificarsi di un incendio possa non solo compromettere il buon nome del lago, ma anche determinare un rilevantissimo danno d'immagine per l'intera area, anche alla luce delle pesanti conseguenze che potrebbero determinarsi sull'indotto turistico,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa utile volta a facilitare l'assegnazione, quanto prima, al presidio acquatico dei vigili del fuoco di Bardolino di un'unità navale in grado non solo di fronteggiare le esigenze di soccorso, garantendo al tempo stesso la sicurezza degli operatori dei vigili del fuoco, ma anche di soccorrere ed imbarcare eventuali naufraghi o singole unità, anche nell'ipotesi di incendi di natanti di dimensioni importanti quali i traghetti della Navigarla.
(7-00990) «Fiano, D'Arienzo, Naccarato».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   da mesi alcune testate giornalistiche, tra le quali avvenire.it, annunciano l'arrivo della condanna europea relativa alle procedure di infrazione aperte contro l'Italia per la drammatica situazione relativa ai sistemi di collettamento depurazione e fognatura del nostro Paese. In uno degli ultimi articoli si legge che «l'Italia dovrà pagare a partire dal 2016 ben 480 milioni l'anno di sanzioni. Poi si andrà avanti a ”botte” di quasi 800 mila euro al giorno fino a quando le opere non saranno terminate e rientrando nei limiti delle norme». E anche «Un ritardo che ci ha provocato varie condanne della Corte Ue per le quali, secondo calcoli di Palazzo Chigi, quest'anno dovremo cominciare a pagare circa 480 milioni. Ma anche qui scatterà la rivalsa. E i conti sarebbero già stati fatti: 185 milioni la Sicilia, 74 la Lombardia, 66 il Friuli, 38 la Calabria, 21 la Campania, 19 la Puglia e la Sardegna, 18 la Liguria, 11 le Marche, 8 l'Abruzzo, 7 il Lazio, 5 Valle d'Aosta e Veneto. Per ora»;
   su questo argomento i deputati del M5S hanno depositato numerosi atti di sindacato ispettivo per lo più rimasti senza risposta, ma anche diversi ordini del giorno approvati ma mai concretamente implementati;
   quello che si sa, tramite il portale «#italiasicura», è che la Commissione europea, visti i gravi ritardi dell'Italia nel rispetto della direttiva comunitaria che prevede da oltre dieci anni la messa a norma dei sistemi fognari e depurativi, ha comunicato al Governo italiano che, nei prossimi mesi, proporrà alla Corte di giustizia europea l'ammontare delle sanzioni che l'Italia dovrà pagare per non aver risolto i problemi accertati dalla sentenza di condanna del 2012, relativa a 72 agglomerati urbani situati principalmente nel Mezzogiorno; nel frattempo, sono stati nominati commissari governativi per la realizzazione di fognature e impianti per la depurazione, in Sicilia, in Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Friuli Venezia Giulia e Veneto;
   proprio nel 2012, la delibera Cipe del 30 aprile 2012, n. 60, aveva destinato alle regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) la somma complessiva di euro 1.643.099.690,59 a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013, per interventi che attengono ai settori del collettamento e depurazione delle acque;
   all'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-05774 del giugno 2015 è stato risposto che: «Relativamente all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 133 dell'11 settembre 2014 (Sblocca Italia), che prevede la costituzione di un fondo, presso il Ministero dell'ambiente, da alimentare mediante la revoca delle risorse stanziate dal Cipe con la delibera 30 aprile 2012, n. 60 del 2012 destinate a 183 interventi nel settore della depurazione, per i quali ricorrano alcuni presupposti di impossibilità tecnica, progettuale, urbanistica, o di inerzia e alla data del 30 settembre 2014, non fossero stati assunti atti giuridicamente vincolanti. Sul punto si rappresenta che, sebbene la disposizione rimandi all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, la stessa norma non ha previsto l'assegnazione delle risorse revocate in «entrata di bilancio dello Stato». Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a quanto consta all'interpellante, da mesi avrebbe predisposto un emendamento per colmare il vuoto normativo, ma tale modifica ad oggi non ha trovato alcuna collocazione nei provvedimenti legislativi approvati. A quanto risulta all'interpellante il testo si troverebbe attualmente all'esame dei competenti uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   martedì 4 agosto 2015, nella seduta n. 475, il Governo ha accolto l'ordine del giorno Daga n. 9/3262/40, che impegna il Governo ad intervenire quanto prima in relazione al fondo per le risorse idriche di cui in premessa, inserendo in uno dei prossimi provvedimenti all'esame di quest'Aula la disposizione che prevede l'assegnazione delle risorse revocate «in entrata di bilancio dello Stato». L'attuazione di tale impegno risulta tutt'ora inattuata;
   il Cipe con delibera 21/2014 stabilisce che: «La data del 31 dicembre 2015 è fissata quale termine ultimo per l'assunzione delle OGV (Ordinanze Giuridicamente Vincolanti) per il complesso delle risorse assegnate alle Amministrazioni centrali e regionali per l'intero ciclo di programmazione del FSC 2007-2013, ivi incluse le riprogrammazioni di cui al precedente punto 4. Il mancato rispetto della predetta scadenza del 31 dicembre 2015 comporterà, per i primi sei mesi, l'applicazione di una sanzione complessiva pari al 1,5 per cento. Decorso inutilmente tale termine le risorse saranno definitivamente revocate e rientreranno nella disponibilità di questo Comitato»;
   ad oggi, solo la regione Siciliana, a seguito della delibera Cipe 93/2015 «Parziale riprogrammazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) 2000-2006 e 2007-2013» e della successiva delibera Cipe 94/2015 «Programma di azione e coesione 2014-2020 programma complementare – prima assegnazione di risorse», ha evitato la revoca delle risorse previste per gli interventi della delibera Cipe 60/2012 finanziate dal FSC 2007/2013, riuscendo ad utilizzare le somme «in scadenza» per il risanamento della finanza pubblica, per il co-finanziamento della programmazione comunitaria 2007-2013 e per interventi per la continuità delle attività di difesa del patrimonio boschivo, andando ad utilizzare, grazie alla delibera 94/2015, il PAC 2014/2020 per ri-finanziare gli interventi de-finanziati in precedenza (si veda al proposito: Repubblica.it del 14 ottobre 2015);
   ad oggi, molti interventi delle regioni interessate dalla delibera Cipe 60/2012 (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna) non hanno prodotto le ordinanze giuridicamente vincolanti indispensabili per scongiurare la revoca del finanziamento stabilito, prevista per il 30 giugno 2016. A giudizio dell'interpellante i finanziamenti per gli interventi che dovevano essere sbloccati, attraverso i commissariamenti voluti dal Governo, onde evitare il rischio di ulteriori procedure di infrazione, rischiano invece di essere revocati senza l'avvio di alcun lavoro per il risanamento di gran parte del territorio italiano interessato;
   non si conoscono inoltre i motivi per i quali i commissari nominati già da parecchi mesi non abbiano ancora prodotto le Ogv necessarie per gli interventi previsti dalla delibera Cipe 60/2012 –:
   se il Governo possa fornire un aggiornamento sull’iter della terza condanna da parte dell'Unione europea, per inadempienza relativa alla direttiva 91/271/CEE sui sistemi di collettamento e depurazione delle acque e sull'eventuale ammontare;
   se il Governo sia in grado di fornire un quadro completo della situazione relativa a depurazioni e fognature in Italia ed anche in merito ai fondi necessari per risolvere la situazione con annesso piano d'azione;
   in che modo, da chi e con quali fondi verranno pagate le sanzioni previste dall'Unione europea che rischiano di gravare sulle casse dei comuni, per le inadempienze dei gestori;
   quali siano stati i motivi ostativi alla realizzazione degli interventi già previsti e finanziati dalla delibera del Cipe n. 60 del 2012 e da un anno, oggetto di commissariamento e se il Governo intenda chiarire il funzionamento delle contabilità speciali aperte dai commissari governativi di cui in premessa al momento della nomina;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che, alla luce della delibera Cipe 21/2014, vengano revocati i finanziamenti per gli interventi di collettamento, fognatura e depurazione, oggetto di procedura di infrazione o di provvedimento di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea in ordine all'applicazione della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane, previsti nella delibera Cipe 60/2012, prevedendo, qualora fosse possibile, una proroga del termine ultimo per la revoca.
(2-01363) «Villarosa».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il viadotto sovrastante il lago Castreccioni nel comune di Cingoli (Ancona) presenta da anni dei problemi strutturali gravi e tali da condizionare il traffico delle auto sullo stesso;
   infatti, per evitare di sovraccaricare di peso la struttura dal 2011 sono stati messi in funzione sul ponte due semafori che gestiscono la circolazione delle auto;
   in tal modo, si starebbe cercando di alleggerire il traffico sul lato del pilone numero dieci del secondo ponte che, passando sopra il lago, collega la provinciale 26 alla frazione Moscosi, in quanto, essendo danneggiato, necessita di un intervento immediato;
   da fonti stampa si apprende che la spesa da sostenere per l'intervento di manutenzione e riparazione del pilone sarebbe di circa due milioni di euro e che, non avendo la protezione civile fondi per affrontare questo tipo di emergenze, il Governo avrebbe in programma iniziative per far arrivare queste risorse –:
   se siano a conoscenza della attuale situazione del ponte di cui in premessa;
   se trovi conferma quanto riportato da fonti di stampa circa le risorse che verrebbero messe a disposizione per far fronte a quello che sembra essere, ormai, un intervento improcrastinabile e in quale importo queste risorse siano state quantificate. (5-08591)


   VALLASCAS, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA, PAOLO NICOLÒ ROMANO e NICOLA BIANCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel quinquennio intercorso tra il 2011 e il 2015, la Corte dei conti avrebbe pronunciato sentenze di condanna definitiva per danno erariale, a carico di politici, funzionari e amministratori pubblici, per un ammontare complessivo di 646 milioni di euro da restituire alle istituzioni pubbliche danneggiate;
   di queste risorse, solo 213 milioni, il 33 per cento, sarebbe stato restituito;
   il dato citato sarebbe in controtendenza rispetto al tasso di riscossione storico, che si attesterebbe tra il 15 e il 20 per cento, mentre la crescita al 33 per cento sarebbe un dato «anomalo» che potrebbe essere determinato dalla condanna contro le società concessionarie delle slot machine per non aver collegato gli apparecchi alla rete di controllo dei Monopoli di Stato;
   i ritardi nella riscossione delle somme sarebbero imputabili, non già ai magistrati contabili, le cui competenze si esaurirebbero con l'accertamento del danno e il pronunciamento della sentenza definitiva, ma alle amministrazioni che hanno subito il danno erariale, cui spetterebbe il compito di avviare le procedure per l'acquisizione delle risorse dovute;
   la questione del recupero dei crediti a seguito del pronunciamento di sentenze definitive per danno erariale è oggetto della legge delega 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» che, all'articolo 20, stabilisce i criteri entro i quali si esplica la delega al Governo in materia di «Riordino della procedura dei giudizi innanzi la Corte dei conti»;
   tra le altre cose, la norma citata introdurrebbe alcune novità che potrebbero semplificare le procedure di recupero delle somme dovute alle pubbliche amministrazioni a seguito di condanna definitiva per danno erariale;
   in particolare, tra le previsioni, il riconoscimento come «crediti privilegiati» dei crediti nei confronti dei condannati per danno erariale, l'attribuzione al procuratore della Corte dei conti della facoltà di citare in giudizio l'amministratore pubblico insolvente e la disciplina del «rito abbreviato»;
   nel mese di gennaio 2016, il Governo ha esitato i primi undici decreti in attuazione della citata legge delega 7 agosto 2015, n. 124, nessuno dei quali in materia di «Riordino della procedura dei giudizi innanzi la Corte dei conti»;
   la mancata emanazione del relativo decreto attuativo potrebbe rappresentare un ulteriore elemento di ritardo nei procedimenti di riscossione dei crediti delle pubbliche amministrazioni derivanti da sentenze definitive per danno erariale;
   è il caso di rilevare che la questione dei tempi di recupero dei crediti da parte delle pubbliche amministrazioni nonché l'esiguità delle somme riscosse, oltre a rappresentare un danno concreto per la collettività, rischiano di indebolire l'autorevolezza delle istituzioni pubbliche preposte a contrastare i reati amministrativi nonché la stessa capacità di deterrenza dei reati che dovrebbero avere le previsioni di legge e le sentenze stesse –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per rendere celeri ed efficaci i procedimenti di riscossione dei crediti contro amministratori pubblici che hanno subìto una condanna definitiva per danno erariale;
   quali siano le previsioni temporali per l'emanazione del decreto attuativo relativo al riordino della procedura dei giudizi innanzi la Corte dei conti di cui all'articolo 20 della legge delega 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». (5-08593)


   GRILLO, LUIGI DI MAIO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è stato pubblicato sulla rivista dell'Associazione italiana di epidemiologia « C» – anno 40 (2) marzo-aprile 2016 – l'articolo dal titolo «Il potenziale impatto del partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) sulla salute pubblica» a cura di Roberto De Vogli e Noemi Renzetti;
   la bibliografia citata dagli autori è composta da ben 63 riferimenti;
   l'articolo sopra riportato analizza da una prospettiva di sanità pubblica gli aspetti presenti all'interno del TTIP che possono mettere a rischio non solo la qualità dei cibi, ma anche l'accesso alle cure sanitarie dei cittadini, nonché le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, fino a intaccare la sovranità dei singoli Stati europei nella scelta del proprio sistema sanitario. In particolare gli autori si sono soffermati sui seguenti fattori di rischio o determinanti della salute:
    a) accesso ai farmaci e all'assistenza sanitaria: in teoria, favorendo gli scambi tra le due sponde dell'Oceano e promuovendo una maggiore cooperazione tra le istituzioni governative che sovrintendono alle politiche dei farmaci, il TTIP potrebbe migliorare la cooperazione scientifica nella ricerca farmacologica e ridurre la duplicazione di processi. Ma il capitolo sulla proprietà intellettuale e sugli aspetti commerciali ad essa connessi, che estendono il monopolio dei, brevetti, porterebbe a un aumento dei prezzi dei medicinali e, in ultima istanza, a diminuire l'accesso alle cure, soprattutto dei soggetti più svantaggiati. Non solo. Una possibile minaccia viene dal capitolo relativo all'accordo sui servizi che, oltre a prevedere l'apertura dei servizi sanitari pubblici alla concorrenza, anche privata, comprende una clausola cosiddetta «antiarretramento», che impedisce a servizi pubblici che siano stati privatizzati di ritornare in mano pubblica. Quanto appena descritto configura una grave violazione contro la libertà delle nazioni di scegliere il proprio sistema sanitario di preferenza;
    b) consumo di alcol e tabacco: episodi già verificatisi in diverse parti, del mondo dimostrano come politiche attuate per limitare il consumo di alcol e tabacco siano state attaccate in quanto considerate ostacoli al libero commercio. Una situazione aggravata dal capitolo del ITIP riguardante le controversie tra investitori e singoli Stati, che consente agli investitori stranieri di citare in giudizio, di fronte a tribunali internazionali privati, gli stati che abbiano approvato una legge in grado di ridurre il valore del loro investimento. Un meccanismo che le multinazionali del tabacco hanno già mostrato di essere ben predisposte a sfruttare sottolineano De Vogli e Renzetti ricordando il caso dell'Uruguay, citato in giudizio da Philip Morris nel 2010 per aver apposto immagini shock sui pacchetti di sigarette a fini dissuasivi;
    c) patologie correlate alla dieta e all'agricoltura: spingere verso regimi normativi meno restrittivi nel commercio è uno degli obiettivi del TTIP che potrebbe avere riflessi negativi sia sui consumi alimentari sia sulla sicurezza degli alimenti. L'esempio, del Messico è illuminante: dalla introduzione del NAFTA, nel 1994, e il conseguente aumento della presenza nel Paese di multinazionali del fast food e dei soft drink, il Messico è al secondo posto nel mondo per consumo di bevande zuccherate e ha una delle più alte prevalenze di diabete nel Pianeta. Ma c’è un altro rischio, questa volta collegato al capitolo «misure sanitarie e fitosanitarie che riguarda le norme sulla presenza negli alimenti di additivi alimentari, contaminanti, tossine. Il pericolo è che le norme europee vengano annacquate per avvicinarsi a quelle, notoriamente meno restrittive, d'Oltreoceano. Potrebbero così aumentare le importazioni non solo di cibi geneticamente modificati, ma anche di carni bovine trattate con ormoni e di polli trattati con il cloro (pratiche permesse negli Stati Uniti);
    d) salute ambientale: il più grave effetto sulla salute del TTIP presumibilmente riguarda la sua capacità di influenzare le politiche ambientali, secondo quanto sostengono gli autori. Per esempio, le disposizioni in merito alle controversie tra investitori e Stati «potrebbero molto probabilmente essere sfruttate da grandi aziende di combustibili fossili per citare in giudizio quei governi che cercano di limitare l'estrazione e l'esportazione dei combustibili stessi» in contraddizione con gli impegni appena presi dalla conferenza sul clima di Parigi;
   nello stesso numero della rivista « Epidemiologia&Prevenzione» vi è un ulteriore articolo « Epidemiologia della globalizzazione» redatto da Paolo Vineis che, oltre a commentare l'articolo di Roberto De Vogli e Noemi Renzetti, riporta alcune strategie frutto di un lavoro della The Faculty of Public Health of the Royal College of Physicians dal titolo « Star well, live better: a manifesto for the public's health», da considerarsi alternative a quelle presenti nei TTIP;
   l'articolo di Paolo Vineis individua quali elementi centrali delle strategie suggerite dal Royal College:
    il riconoscimento del nesso tra danno ambientale, politiche strutturali e salute;
    partendo dal presupposto che approcci sistemici possono essere molto più efficaci e costo-efficaci di interventi settoriali, si ipotizza lo sviluppo di iniziative orientate ai cosiddetti cobenefici cioè interventi in settori chiave che consentono sia di mitigare il cambiamento climatico sia di prevenire le malattie. Nell'ambito dei trasporti, che contribuiscono per la maggiore quota di gas serra nelle aree urbane il trasporto attivo (in bicicletta o a piedi) non solo comporta una minore immissione di gas serra, ma, aumentando l'attività fisica, ha benefici sullo stato di salute. Un aumento dell'attività fisica previene il diabete, l'obesità, l'ipertensione e le malattie ad esse associate. La produzione di carne è altamente inefficiente energeticamente, poiché richiede una grande quantità di acqua e di suolo, per unità di produzione, senza dimenticare che circa un quinto dei gas serra è dovuto alle emissioni di metano degli allevamenti bovini. In questo caso una dieta alimentare che segue le linee guida del World Cancer Reseach Fund International porterebbe a una riduzione della mortalità del 34 per cento altre che diminuire le coefficienze energetiche riportate in precedenza. Le fonti di energia fossile, oltre ad essere importanti sorgenti di inquinamento e di emissioni di gas serra, contribuiscono in modo rilevante, nelle determinanti di salute soprattutto nelle aree urbane del pianeta. La sostituzione con fonti di energia cosiddette rinnovabili porterebbe ad una diminuzione dell'inquinamento con benefici per la salute –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per far fronte alle criticità relative al Trattato TTIP e descritte nell'articolo di Roberto De Vogli e Noemi Renzetti, pubblicato nella rivista dell'Associazione italiana di epidemiologia « C» – anno 40 (2) marzo-aprile 2016;
   se il Governo non ritenga di non sottoscrivere la clausola di «antiarretramento» prevista nel TIS, (Trade in Services) capitolo sull'accordo sui servizi, compreso nel TTIP, che impedisce a servizi pubblici che siano stati privatizzati di ritornare in mano pubblica;
   se si intenda adottare le iniziative di co-benefici individuate da: The Faculty of Public Health of the Royal College of Physicians. (5-08602)


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 dicembre 2015 è stato pubblicato il decreto direttoriale n. 3391 che regola le procedure, relative ai Piani operativi nazionali (PON), per il conferimento di incarichi di lavoro autonomo, nonché il relativo regime di pubblicità al fine di garantire l'accertamento della sussistenza dei requisiti di legittimità per il loro conferimento;
   in data 18 marzo 2016 con il decreto direttoriale n. 511 sono state apportate delle modifiche al suindicato decreto;
   il 21 marzo 2016 con decreto direttoriale n. 330 è stato pubblicato l'avviso pubblico per la selezione di n. 34 esperti nell'ambito del programma operativo nazionale «ricerca ed innovazione» 2014/2020, compreso dell'allegato 1 con le specifiche delle «Analisi dei fabbisogni di professionalità a supporto del PON»;
   l'avviso è stato pubblicato il 21 marzo 2016 con scadenza il 29 marzo 2016, per di più alle ore 10,00, e si trattava altresì della settimana delle festività pasquali, per cui effettivamente i giorni lavorativi in cui era possibile richiedere chiarimenti in ordine alla procedura sono stati quattro e comunque l'intera procedura di selezione è durata 8 giorni di cui tre erano il sabato, la domenica di Pasqua ed il lunedì dell'Angelo; si può ritenere che vi sia stata eccessiva brevità sia per offrire il dovuto servizio di assistenza per la presentazione dell'istanza, sia dei termini di presentazione dell'istanza medesima;
   i requisiti di ammissibilità alla selezione come previsti dall'allegato 1 dell'avviso sembrano troppo stringenti e poco in armonia con i recenti indirizzi didattici dei corsi di laurea, mancando la formulazione che specifica l'equipollenza dei titoli di studio a quelli richiesti dall'avviso. A tale riguardo una delle FAQ pubblicate nel sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che riporta la seguente domanda: «le lauree in scienze politiche, economia e giurisprudenza possono essere considerate equipollenti, come in altre procedure selettive o bandi di concorso ?» e la seguente risposta: «Le equipollenze sono soltanto quelle specificatamente individuate nell'allegato 1 – Analisi dei fabbisogni» pare dare conferma a questo orientamento;
   nell'avviso è impossibile presentare istanza per più di un profilo; l'interrogante ritiene pertanto che vi sia una violazione del principio di parità di trattamento nei confronti di quei soggetti che avrebbero legittimamente potuto ambire a più posizioni e avrebbero avuto più possibilità di essere selezionati, ritenendo che detta violazione è da considerarsi ex se lesiva dell'interesse degli aspiranti concorrenti;
   vista l'assenza di posizioni specialistiche nello specifico in riferimento ai profili I e II afferenti alla sfera dei controlli amministrativi e finanziari, relegando la funzione al solo rango tecnico- operativo, l'interrogante ritiene tale scelta contraria ai recenti indirizzi delle amministrazioni pubbliche che considerano fondamentale l'aspetto dei meccanismi di controllo della spesa;
   visto che non sono previsti come priorità i titoli post laurea (master e dottorati di ricerca), non si comprende come un professionista in possesso dei seguenti requisiti possa essere valutato alla stregua di un, per quanto brillante, professionista munito della sola laurea;
   visto che lo staff tecnico di Sirio ha fornito, a quanto consta all'interrogante, le credenziali per l'accesso al sistema informatico Sirio molte ore dopo il termine di scadenza della domanda ad istanze di rilascio delle credenziali formulate nel periodo di vigenza del bando, di fatto è stato impedito a tali soggetti la partecipazione al bando;
   alla fine della procedura, risulta all'interrogante che nel sito del Cineca, non si possa inserire il proprio curriculum vitae dettagliato comprensivo delle pubblicazioni;
   altro requisito che si richiama è quello dell'aver maturato una comprovata esperienza almeno quindicinale o decennale nel campo dei programmi operativi nazionali, senza però chiarire quali siano i criteri di valutazione della stessa e quale sia l'organismo chiamato a certificarla;
   i fatti descritti rendono manifesta per l'interrogante la scarsa attenzione da parte dei dirigenti responsabili del dipartimento per la formazione superiore e la ricerca del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca all'obbligo generalizzato di trasparenza e a quello di ottemperanza al principio di imparzialità imposto dalla legge a tutte le amministrazioni pubbliche. Tale comportamento potrebbe determinare secondo l'interrogante l'avvio di ricorsi dinanzi l'organo di giustizia amministrativa con conseguenti potenziali costi futuri per lo Stato –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ritenga, alla luce delle considerazioni esposte in premessa, di dover assumere iniziative affinché sia annullato il procedimento sopra richiamato, apportando le necessarie modifiche al fine di ripristinare i principi di trasparenza amministrativa a cui deve attenersi ogni amministrazione centrale dello Stato;
   se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ritenga utile avviare indagini interne finalizzate alla verifica della regolarità delle procedure adottate, per l'individuazione di eventuali imperizie o negligenze individuali e la conseguente adozione di iniziative disciplinari. (5-08606)


   GIACOBBE, BASSO, CAROCCI, TULLO e VAZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la centrale termoelettrica di Vado Ligure-Quiliano (Savona) è di proprietà della Tirreno Power spa, uno dei principali produttori di energia elettrica, con impianti in diversi siti, a livello nazionale;
   la centrale di Vado Ligure-Quiliano è costituita da un'unità a ciclo combinato CCGT di potenza fino a 750 megawatt (composta da due unità a gas VL5-1 e VL5-2 uniti a due rispettivi generatori di vapore, e da una turbina a vapore) in esercizio dal 2007 e realizzata sostituendo due vecchie unità alimentate a carbone ed olio combustibile e da due unità da 330 megawatt cadauna (VL3 e VL4), alimentate a carbone (e a gasolio e olio combustibile nelle fasi di accensione) entrate in esercizio nel 1971. Con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 14 dicembre 2012, n. 227, è stata rilasciata un'autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio della centrale, che faceva seguito all'intesa tra regione Liguria e azienda; obiettivo dell'intesa, da parte pubblica, era stato quello di realizzare il massimo di riduzione dell'impatto ambientale dei gruppi, attraverso interventi che avrebbero anche prodotto un aumento dell'efficienza degli impianti. La vetustà degli impianti stessi, insieme alle condizioni di esercizio, costituiscono ormai da tempo un fattore riconosciuto di grande criticità;
   l'11 marzo 2014 il giudice per le indagini preliminari di Savona, su richiesta della procura della Repubblica, ha disposto il sequestro cautelativo dei gruppi VL3 e VL4 della centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado Ligure-Quiliano e l'interruzione dell'esercizio; il provvedimento del giudice per le indagini preliminari contestava il mancato adeguamento alle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale e si era basato, tra l'altro, sulle risultanze di una perizia della procura sugli effetti ambientali e sanitari dell'attività della centrale Tirreno Power spa sulla popolazione locale; secondo tale perizia, le emissioni della centrale a carbone di Vado Ligure avrebbero causato oltre 400 morti tra il 2000 e il 2007. Ci sarebbero stati anche «tra i 1700 e i 2000 ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiovascolari e 450 bambini ricoverati per patologie respiratorie e attacchi d'asma – tra il 2005 e il 2012». I consulenti della procura hanno mappato una «zona di ricaduta delle emissioni» della centrale ed hanno escluso come causa delle patologie il traffico automobilistico, altre aziende della zona e i fumi delle navi in porto. Il perimetro della mappa riguarda 23 comuni per un totale di circa 150.000 abitanti; esiste, per altro, documentazione che mette in discussione sia le metodologie che i risultati di quella perizia;
   è tutt'ora in corso la fase istruttoria del procedimento che vede coinvolti, oltre agli esponenti dell'azienda, gli amministratori e i tecnici, attuali a precedenti, dei comuni di Quiliano e Vado Ligure e della provincia di Savona, e della precedente amministrazione regionale; il 17 maggio del 2015 c’è stata la chiusura delle indagini con capi di imputazione per 86 indagati che spaziano dall'abuso d'ufficio, disastro doloso, fino all'omicidio colposo plurimo;
   nel mese di luglio 2014 si è tenuto un incontro tra i Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, istituzioni locali, organizzazioni sindacali e azienda, alla presenza del Ministro pro tempore Guidi e del Ministro Galletti, con l'obiettivo di definire un percorso in grado di consentire la continuità produttiva ed occupazionale del sito, rendendo questa produzione pienamente compatibile con l'ambiente circostante. In tale incontro era stato affrontato anche il tema del rapporto tra le scelte per il sito di Vado Ligure e Quiliano e la strategia energetica nazionale;
   la società, dopo il sequestro, aveva presentato istanza di rinnovo anticipato dell'autorizzazione integrata ambientale, limitatamente ad interventi sui due gruppi esistenti alimentati a carbone, con un adeguamento degli impianti in due fasi di intervento;
   gli enti locali e la regione Liguria, impegnati nello sforzo di garantire il raggiungimento di limiti alle emissioni stringenti e riferibili alle migliori tecniche disponibili, senza compromettere la continuità produttiva e dell'occupazione, hanno assunto le proprie delibere seguendo questo criterio ed assumendo sino in fondo le proprie responsabilità;
   il gruppo istruttore dell'autorizzazione integrata ambientale, a quanto risulta agli interrogati con parere non unanime, ha prodotto un documento tecnico nel quale vengono indicati limiti di emissione per i loro valori e le tempistiche di adeguamento stringenti; alcune fonti definivano quei vincoli non omogenei rispetto a quelli imposti ad impianti analoghi sul territorio nazionale;
   l'azienda ha dichiarato di non essere in grado di garantire, nei termini di tempo indicati, il rispetto dei limiti imposti, definendoli inapplicabili, e ha comunicato alle organizzazioni sindacali che, se fossero state confermate quelle condizioni, non sarebbe stata in grado di far ripartite i due gruppi in questione: così è avvenuto;
   il 23 dicembre 2014 si è tenuto a Palazzo Chigi un incontro, convocato dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, alla presenza del Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, e a cui hanno partecipato il sindaco di Vado Ligure e presidente della provincia di Savona, Monica Giuliano, il sindaco di Quiliano, Alberto Ferrando, l'assessore allo sviluppo economico della regione Liguria, Renzo Guccinelli, l'amministratore delegato dell'azienda Tirreno Power, Massimiliano Salvi, e le rappresentanze sindacali Cgil, Cisl, Uil, Ugl, e la rappresentanza sindacale unitaria aziendale: dopo un'analisi delle problematiche esposte dai rappresentanti intervenuti, alla luce dell'impegno dell'azienda ad investire nell'ambientalizzazione degli impianti, «si è registrata una piena disponibilità da parte del Governo, nell'ambito delle proprie competenze, ad individuare le più opportune soluzioni che consentano, in una ragionevole scansione temporale, la ripresa dell'attività degli impianti». È stata confermata infine «la piena garanzia del rispetto delle norme a tutela dell'ambiente, insieme al monitoraggio delle emissioni e degli interventi», come risulta dal comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   un ulteriore incontro si è tenuto il 18 febbraio 2015 a Palazzo Chigi un incontro sulla centrale Tirreno Power di Vado Ligure, convocato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Delrio, alla presenza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, e a cui hanno partecipato rappresentanti dei Ministeri della salute e dello sviluppo economico, il presidente della regione Liguria, Claudio Burlando, il sindaco di Vado Ligure e presidente della provincia di Savona, Monica Giuliano, il sindaco di Quiliano, Alberto Ferrando, il direttore generale di Tirreno Power, Massimiliano Salvi, e le rappresentanze sindacali Cgil, Cisl, Uil, Ugl, e la rappresentanza sindacale unitaria aziendale;
   durante l'incontro sono stati esaminati i provvedimenti seguiti alla precedente riunione di dicembre e le principali problematiche ancora esistenti. Il Governo ha ribadito, nell'ambito delle proprie competenze, di essere pronto ad adottare le soluzioni che consentano la ripresa dell'attività degli impianti. In seguito alle richieste di approfondimento presentate dall'azienda, si è stabilita, su proposta della regione Liguria, la convocazione di un tavolo tecnico ristretto;
   il 25 giugno 2015, a Palazzo Chigi, alla presenza del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Claudio De Vincenti, si è tenuto un tavolo interistituzionale per fare il punto sulla situazione della centrale elettrica Tirreno Power di Vado Ligure, al quale hanno preso parte rappresentanti dei Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute, della regione Liguria e dei comuni di Quiliano e Vado Ligure. Presenti anche l'amministratore delegato di Tirreno Power Andrea De Vito e i rappresentanti dei sindacati di categoria e confederali Cgil, Cisl, Uil e di Ugl Chimici;
   l'azienda ha chiarito la strategia che intendeva mettere in atto al fine di consentire la continuità dell'attività aziendale e la salvaguardia occupazionale attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali già previsti dalla legge. Le organizzazioni sindacali hanno sottolineato l'esigenza di garantire le prospettive occupazionali e reddituali dei lavoratori e nel contempo quella di avere certezze sul futuro dell'azienda. Governo e istituzioni regionali e locali hanno ribadito l'impegno ad accompagnare i lavoratori con gli ammortizzatori sociali e a costruire condizioni di contesto che siano utili a dare una prospettiva positiva per l'insediamento industriale. In quella occasione era stata prevista la riconvocazione delle parti per metà settembre, per un puntuale monitoraggio della situazione: l'incontro non è mai stato convocato;
   sulla complessa vicenda in esame ha inciso la pesante situazione finanziaria della società, che è arrivata sull'orlo del fallimento; 18 novembre 2015 è stato omologato dal tribunale di Roma l'accordo per la ristrutturazione del debito per quasi 900 milioni di euro. Per quanto riguarda Vado Ligure, nel piano dell'azienda non è stato previsto, in via prudenziale, alcun contributo a livello di margini dalle unità a carbone, non potendo l'azienda fare previsioni sulla ripartenza degli impianti sequestrati dalla magistratura. Il 16 dicembre 2015 si è svolta l'assemblea straordinaria di Tirreno Power Spa, che ha perfezionato la chiusura dell'operazione di ristrutturazione del debito omologata dal tribunale;
   secondo i dati trasmessi a suo tempo dalla prefettura di Savona le aziende coinvolte nell'indotto, comprensive di tutti i servizi risultavano oltre 90, di cui 40 costantemente presenti in centrale, per complessivi 857 addetti, di cui 300 presenti quasi quotidianamente in centrale nei periodi di attività a regime;
   per quanto riguarda i dipendenti diretti, è stata attivata, da aprile 2014, la cassa integrazione guadagni ordinaria, e, da novembre 2014, i contratti di solidarietà (per circa 300 lavoratori, di cui 200 nel sito di Vado). Questo ha fatto sì che i dipendenti dell'indotto (escluse le molte aziende che ad oggi purtroppo hanno chiuso) potessero ricorrere alla cassa integrazione straordinaria, mentre prima erano in cassa in deroga, con tutte le difficoltà che questa comporta. La riduzione delle attività affidate all'esterno, in conseguenza della fermata dei gruppi alimentati a carbone, è stimabile in circa l'80 per cento;
   il 12 gennaio 2016, ha preso via, con un incontro nella sede regione Liguria, un «tavolo tecnico» istituito dal presidente Giovanni Toti tra regione Liguria e Tirreno Power. È stato dichiarato che azienda e regione stanno lavorando per giungere a una proposta condivisa che coinvolga gli enti locali e le organizzazioni sindacali. L'azienda avrebbe messo sul tavolo alcune possibili opzioni di breve e medio-lungo periodo per mantenere e valorizzare il sito industriale;
   il 26 aprile 2016, si svolto un incontro presso la prefettura di Savona tra azienda e organizzazioni Sindacali dei lavoratori che ha dato esito negativo, con la conseguente proclamazione dello sciopero dei lavoratori per il 10 maggio 2016: sia le organizzazioni sindacali, sia gli enti locali hanno lamentato il fatto che Tirreno Power non abbia presentato alcun piano o programma per la ripresa di attività ovvero per una riconversione della produzione, e comunque in grado di garantire la tutela occupazionale e ambientale;
   in autunno verranno a scadenza gli ammortizzatori sociali attualmente in essere, senza una prospettiva di sostegno al reddito e di rioccupazione;
   Tirreno Power ha una precisa responsabilità per gli interroganti nei confronti del territorio e del destino dei lavoratori;
   i sindaci dei comuni di Vado Ligure e Quiliano hanno inviato una nota al Governo per chiedere l'attivazione urgente di un tavolo di confronto tra le istituzioni e le forze sociali al fine di definire un percorso risolutivo;
   il 19 aprile 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, intervenendo al Senato, ha affrontato i temi della politica energetica nazionale ed ha annunciato in esplicito la scelta che in Italia le centrali a carbone andranno chiuse, utilizzando l'espressione «senza perdere un posto di lavoro»;
   i gruppi alimentati a carbone della centrale di Vado Quiliano sono fermi da oltre due anni e non sono stati presentati dall'azienda programmi di investimento tali da prefigurare una ripresa, anche temporanea, della loro attività, secondo le prescrizioni cui dovrebbe sottostare; nella prospettiva, comunque, la scelta della decarbonizzazione nella produzione di energia nel nostro Paese riguarderà anche gli impianti di Vado-Quiliano; la responsabilità nazionale nell’«uscita dal carbone», per creare alternative di lavoro e di crescita economica nei siti interessati, deve essere esercitata anche nel territorio di Vado Quiliano, nel Savonese;
   gli impianti della centrale termoelettrica di Vado Ligure-Quiliano occupano una vasta area, dotata di importanti infrastrutture;
   attività molto significative di ricerca sulla produzione di energia e sull'efficentamento energetico sono presenti nel polo universitario savonese dell'università di Genova;
   il territorio dei comuni di Vado e Quiliano è ricompreso nell'area interessata dalla rimodulazione dell'accordo di programma per l'attuazione degli interventi di rilancio dello sviluppo della Valle Bormida del 18 marzo 2006. Ai fini della definizione dei contenuti di tale revisione dell'Adp Savona/Valle Bormida, è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra Istituzioni locali e forze sociali, con la regia della regione Liguria, e si è svolto a Savona un incontro, il giorno lunedì 6 ottobre 2014, con la partecipazione dei rappresentanti dei Ministeri interessati (Mise/Miur/Mit/Mlps) –:
   se il Governo intenda rispondere con sollecitudine alla richiesta di convocazione delle parti rivolta da enti locali e forze sociali;
   quali iniziative di competenze intenda emanare affinché proprietà e azienda garantiscano quell'assunzione di responsabilità che alle stessa compete;
   quali iniziative intenda intraprendere per affrontare e portare a soluzione, per quanto di competenza, i problemi di ordine industriale, occupazionale e ambientale presenti nel sito di Vado Ligure-Quiliano. (5-08612)


   BASSO, CAROCCI, TURCO, ERMINI, GIACOBBE e MARIANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 marzo 2016 alle ore 10,28 ad Arenzano, in località Pizzo, si è staccata una frana di ingenti dimensioni, invadendo completamente la strada statale 1 (SS1) Aurelia. Alcuni massi sono precipitati sul lungomare a valle dell'Aurelia. È stato ferito gravemente un uomo che transitava sul lungomare che, dopo diversi delicati interventi neurochirurgici e maxillo-facciali, dopo degenza prolungata in rianimazione, ora è fuori pericolo e si sta avviando ad una fase di riabilitazione;
   la frana avrebbe potuto causare una strage se non fosse che, fortunatamente, dalle ore 9, la polizia municipale inibiva la sosta in località Pizzo e su tutto il tratto della strada statale 1 Aurelia che attraversa il paese in previsione del passaggio della gara ciclistica Milano-Sanremo prevista per le ore 13 e che l'ultimo tratto di passeggiata, Lungomare Olanda, a valle dell'Aurelia, in località Pizzo, era interdetto al passaggio pedonale in quanto in corso il cantiere per il completamento della pista ciclabile (progetto ligure che coinvolge i comuni costieri realizzato attraverso fondi FAS); inoltre, non erano presenti i lavoratori del cantiere in quanto giorno prefestivo;
   sul luogo sono intervenuti immediatamente i vigili del fuoco, le forze dell'ordine e la protezione civile comunale; in particolare il centro operativo comunale ha prodotto tramite Dibris (Dipartimento informatica, robotica, bioingegneria ed ingegneria dei sistemi – Università di Genova) e Fondazione Cima, una documentazione della frana tramite drone, visualizzabile sul sito di Fondazione Cima;
   l'area è stata immediatamente isolata ed inibita al traffico veicolare e pedonale (ordinanza sindacale contingibile ed urgente n. 30/2016 del comune di Arenzano) e Anas ha immediatamente aperto un cantiere per lo sgombero dei massi e lo studio del fronte franato. I territori soggetti alla frana sono di proprietà privata. Anas ha proseguito incessantemente i lavori di sorveglianza, studio e disgaggio di materiale instabile;
   il sindaco del comune di Arenzano ha richiesto in data 21 marzo 2016 alla regione una riunione urgente per mettere a punto quali azioni immediatamente da intraprendere per continuare nell'azione tempestiva di messa in sicurezza e ripristino della viabilità. In tale riunione, tenutasi in regione alle 17,30 del 21 marzo 2016, l'Anas ha garantito il proseguimento dei lavori e contestualmente di progettazione e realizzazione delle opere. Hanno altresì comunicato che avrebbero diffidato i proprietari dei terreni alla messa in sicurezza, così come il sindaco ha comunicato di eseguire l'ordinanza sindacale di messa in sicurezza dei terreni ai proprietari e non ad Anas in quanto parte già attiva nei lavori;
   Anas ha quindi diffidato i proprietari a mettere in sicurezza i territori di loro proprietà ed il sindaco ha emesso un'ordinanza di messa in sicurezza dei fronti franati ai proprietari (ordinanza n. 32 del 22 marzo 2016 del comune di Arenzano);
   i lavori sono quindi proseguiti incessantemente fino a mercoledì 23 aprile 2016 quando è pervenuto il sequestro dell'area da parte della Procura della Repubblica e conseguente sospensione immediata di tutte le attività presenti sull'area;
   i proprietari dei terreni hanno risposto alla diffida di Anas ed alla ordinanza sindacale con un atteggiamento di non disponibilità che ha di fatto impedito che fossero assunte le iniziative immediate che Anas aveva fino a quel momento aveva richiesto;
   il sindaco di Arenzano, a quanto consta agli interroganti, avrebbe telefonato in data 29 marzo 2016 al direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che avrebbe ascoltato e assicurato un interessamento del Ministero;
   nei giorni successivi sono avvenuti i sopralluoghi sull'area della frana da parte del tecnico incaricato dal magistrato, accompagnato dalla polizia giudiziaria (il primo sopralluogo è avvenuto il 26 aprile 2016; il secondo, alla presenza dei proprietari, il 30 aprile 2016). È stato nominato custode dell'area il geometra Muffoletto, dipendente del comune di Arenzano, il 26 aprile 2016;
   il sindaco di Arenzano ha chiesto ad Anas la sua permanenza sull'area di frana per proseguire nel monitoraggio della frana stessa e per eseguire la sorveglianza ma, in data 11 aprile 2016, Anas ha smobilitato il personale di sorveglianza che fino a quel momento aveva presidiato l'area, abbandonando il sito. Permane la custodia del sito da parte del comune di Arenzano;
   il sindaco di Arenzano, sempre più preoccupato della situazione, ha quindi richiesto al prefetto, così come all'Anas, un incontro per definire il programma e le tempistiche dell'intervento;
   in data 13 aprile 2016, presso la prefettura di Genova, il prefetto ha convocato il comune di Arenzano (presenti: sindaco, geometra Muffoletto custode dell'area e geometra Damonte, tecnico comunale), Anas (presenti: ingegnere Nibbi, capo dipartimento ligure, ingegnere Gualco, architetto Giampaolino ed un legale), regione (presenti: assessore Giampedrone, dottor Roncallo ed ingegnere Boni), vigili del fuoco (presente comandante Giancarlo Moreschi), sopraintendenza, Autostrade (presenti ingegnere Rigacci);
   Anas ha illustrato il percorso fatto fino ad oggi ed ha dichiarato di non aver ancora pronto il progetto di messa in sicurezza della strada, anche per la difficoltà incontrata nei rapporti con i proprietari dei terreni, specificando che la messa in sicurezza dei fronti prospicienti l'Aurelia, di proprietà privata, prevede l'utilizzo di sistemi che modificano certamente l'assetto dei terreni e quindi ha manifestato la preoccupazione di rivalsa da parte dei proprietari;
   il prefetto ha quindi incaricato il sindaco di convocare i proprietari con Anas e di illustrare la situazione cercando di ottenere la massima collaborazione; giovedì 21 aprile 20016 il sindaco ha convocato i proprietari dei terreni ed Anas per illustrare le prospettive dei lavori;
   dalle verifiche effettuate dal comune di Arenzano, attraverso il sistema di videosorveglianza sui varchi dell'Aurelia, risulta che i transiti veicolari in quel tratto di Aurelia dal 19 luglio 2015 (data di installazione del sistema) ai primi giorni del mese di maggio 2016 sono stati oltre 1.800.000;
   è stata richiamata l'attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sul grave rischio che si correrebbe nell'ipotesi di un incidente sulla A10, ad oggi l'unica via di comunicazione stradale per la Liguria e una delle principali tra l'Italia ed il confine francese; un'autostrada che vede già in questo periodo code quotidiane, che nei mesi estivi possono raggiungere anche i 50 chilometri durante i fine settimana;
   in data 4 maggio 2016 si apprende di un accordo, anche di carattere economico, da parte di Anas e regione Liguria per una compartecipazione alle spese al fine di sostenere il progetto di un primo intervento per la riapertura dell'Aurelia, con l'opzione di rivalersi su eventuali soggetti terzi; la data di riapertura slitterebbe però, a quanto consta agli interroganti, a metà luglio, e ciò sembrerebbe aver creato immediate e giustificate preoccupazioni da parte degli operatori commerciali e dell'amministrazione del comune di Arenzano –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano mettere in atto al fine di garantire il ripristino della viabilità – nel minor tempo possibile – sulla strada statale 1 (SS1) Aurelia, in considerazione della rilevanza nazionale di questa arteria di comunicazione e anche tenendo conto del fatto che, con l'approssimarsi della stagione estiva, per la comunità di Arenzano e per l'intera regione Liguria, si configura non solo un disagio insostenibile per i cittadini e una disastrosa ricaduta economica sulle attività turistiche, ma anche un reale pericolo per il soccorso dei cittadini residenti e turisti poiché i mezzi di soccorso dovranno necessariamente utilizzare la sola rete autostradale e il servizio di soccorso, in caso di blocco (peraltro frequente su questo tratto autostradale interessato da pesante traffico portuale), sarebbe significativamente compromesso e impossibilitato a garantire la sicurezza dei cittadini. (5-08613)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a meno di due chilometri da Tripoli sorge l'ultimo cimitero italiano, ormai un terreno infestato da sterpaglie;
   questo cimitero custodisce i corpi dei nostri soldati caduti ad El Alamein, fanti, aviatori, marinai ed i resti di 7800 italiani che vivevano in quella che dal 1912 al 1947 è stata una nostra colonia. Ora, con l'Isis, le spoglie mortali dei nostri connazionali rischiano di venire profanate, anzi, rischia di venire cancellata ogni traccia di quell'ultimo camposanto italiano dopo che il governo di Gheddafi, quando salì al potere, fece rimpatriare le salme di altri 28 mila italiani;
   dopo la caduta di Gheddafi le lapidi sono state divelte da jihadisti e bande criminali; quasi tutte le salme, almeno quelle non profanate, delle migliaia di italiani che qui riposavano, sono adesso conservate in un sacrario blindato e inaccessibile, come riportato da un reportage del Corriere della Sera;
   uno scenario che cozza nettamente con quello del vicino cimitero inglese, separato da quello italiano soltanto da 12 scalini, ancora intatto e ben curato;
   la ragione di un così diverso trattamento da parte delle bande jihadiste nei riguardi del cimitero italiano rispetto a quello inglese, secondo quanto riferisce l'attuale custode di quello che resta del nostro cimitero è semplice: il Regno Unito paga guardie armate e giardinieri, mentre il Governo italiano non ha assunto, per gli interroganti, iniziative adeguate per la tutela del suddetto cimitero italiano;
   già nel 2015, in molti avevano chiesto un intervento da parte del Ministero degli affari esteri;
   l'associazione ex allievi delle scuole cristiane in Libia e l'associazione italiani rimpatriati dalla Libia hanno, inutilmente, invocato un «blitz» finalizzato almeno al rimpatrio delle salme. A tal proposito, oltretutto, ci sarebbe anche un precedente significativo, quando cioè i servizi segreti italiani riuscirono con pochi fondi a rimpatriare le salme dei caduti italiani dalla Somalia, dopo che le corti islamiche avevano devastato il cimitero italiano di Mogadiscio;
   la vicenda del cimitero italiano in Libia è un altro insulto alla memoria dei morti italiani. E non si sta facendo nulla per porvi almeno un parziale rimedio;
   tra l'altro, il trasferimento dei resti degli italiani di questo ultimo cimitero in terra libica non è neanche tanto difficile. I resti sono in piccole cassette che possono venir stivate nei container;
   qualche mese fa, i jihadisti hanno sfondato il muro, entrando nel cimitero con un bulldozer e lo hanno profanato e devastato già due volte. Prima i ladri e adesso i fanatici islamisti;
   con i miliziani dell'Isis in giro per la Libia e con la probabile guerra civile fra il Governo di Tripoli e quello di Bengasi, il rischio che il cimitero venga, non solo profanato, ma addirittura cancellato coi bulldozer è reale –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di recuperare le salme dell'ultimo cimitero italiano in terra di Libia. (4-13091)


   SIMONETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nell'edizione de Il Tempo del 24 aprile 2016 è riportata la notizia della privatizzazione del 49 per cento dell'Enav, l'ente che controlla il traffico aereo negli aeroporti e nei cieli italiani, e dei dubbi che l’intelligence del nostro Paese nutrirebbe in merito a tale prospettiva;
   secondo l'articolo di stampa, l'operazione «battezzata dal Governo di Enrico Letta e benedetta dall'esecutivo di Matteo Renzi con la nomina di Roberta Neri ad amministratore delegato dell'azienda», con la quale «Palazzo Chigi e Mef contano di incassare 8-900 milioni di euro», si moltiplicano le voci perplesse, se non addirittura contrarie, in merito al collocamento sul mercato della società;
   il timore principale, condiviso anche dal fronte sindacale, è che l'interesse pubblico possa essere minacciato dall'ingresso nel capitale di fondi vicini alle organizzazioni terroristiche;
   in particolare, la Uiltrasporti nel sottolineare i pericoli intrinseci all'operazione, ha dichiarato che «L'Enav svolge la propria attività per garantire ai cieli italiani l'assoluta sicurezza del traffico aereo attività sensibile per la quale sarebbe utile rimanesse interamente di proprietà del o Stato italiano»;
   il rischio di una penetrazione della finanza vicina al radicalismo islamico nel capitale di Enav sarebbe quindi concreto dinanzi ad una sua apertura a nuovi soci senza alcuna selezione preventiva;
   l'importanza strategica dell'Enav, sancita dalle convenzioni che la società ha siglato con la Presidenza del Consiglio e con il dipartimento pubblica sicurezza, è stata ribadita anche dal recente interesse dimostrato dall'azienda nella sorveglianza satellitare, manifestatasi attraverso l'acquisto tramite una controllata del 12,5 per cento di Aireon, che con 66 satelliti realizzerà il primo sistema globale di sorveglianza in grado di garantire il controllo anche di punti di territorio oggi non coperti dai radar;
   malgrado i rischi sopra citati, tra poco più di due mesi, il 28 giugno 2016, le azioni della società dei controllori di volo potrebbero debuttare in borsa –:
   se le preoccupazioni riportate in premessa in merito al collocamento in borsa di Enav abbiano o meno fondamento e se il Governo non ritenga opportuno, per fugare ogni dubbio, procedere ad una selezione preventiva dei nuovi probabili soci;
   in particolare, quali iniziative il Governo ritenga di assumere per eliminare ogni rischio di infiltrazioni in Enav della finanza prossima al radicalismo islamico, al fine di garantire la sicurezza negli aeroporti e nei cieli del nostro Paese;
   per quali ragioni, a fronte dell'allarme sollevato dai servizi di sicurezza italiani, il Governo non assuma iniziative volte a sospendere l'operazione di privatizzazione. (4-13097)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   poco più di un anno fa, nei Canale di Sicilia avveniva il naufragio di un barcone di immigrati clandestini in cui perdevano la vita più di 700 persone e, in questi giorni, è stato dato avvio all'operazione del recupero delle salme dei migranti e dell'imbarcazione affondata il 18 aprile 2015 a cento chilometri dalla costa libica e a 200 da Lampedusa;
   già dal giugno 2015 e su indicazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, la Marina Militare ha avviato gli interventi di recupero dei corpi, grazie a veicoli a comando remoto che si sono immersi nelle profondità del Mediterraneo, prelevando dal relitto 169 cadaveri;
   al Ministero della difesa toccherà il compito di coordinare l'operazione di recupero e una nave della Marina è salpata ad inizio di maggio 2016 per fornire il necessario supporto logistico alla ditta specializzata che solleverà il barcone dal fondale tramite un sistema sofisticato. Una volta riportato a galla, il relitto sarà trasferito nel porto di Augusta e, secondo le previsioni, questo dovrebbe avvenire entro la fine del mese;
   una volta a terra, il barcone sarà refrigerato con azoto liquido e i vigili del fuoco (che si sono specificamente addestrati in questi mesi) si occuperanno del recupero dei corpi, aprendo dei varchi nella stiva;
   ancora una volta i Vigili del fuoco sono chiamati per la loro professionalità e lo spirito di abnegazione che li contraddistingue a svolgere questo compito teso al recupero delle spoglie degli, immigrati clandestini morti nel naufragio del 18 aprile 2015 al largo delle coste libiche;
   le operazioni di recupero del peschereccio sono state disposte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e sono finalizzate al recupero delle salme stimate in circa 400 e vedono la partecipazione della Marina Militare, del Ministero dell'interno, del Ministero della salute, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del Commissariato per la ricerca di persone scomparse;
   il natante, adagiato su un fondale alla profondità di 370 metri, sarà recuperato da una ditta specializzata nel settore, sotto il coordinamento della Marina Militare e portato presso il Pontile NATO nella rada di Augusta dove sarà spostato a terra all'interno di un capannone;
   ancora una volta il Corpo dei Vigili del fuoco, nonostante il disinteresse della politica per mette a disposizione uomini, mezzi, attrezzature e professionalità;
   ancora una volta, i Vigili del Fuoco offrono il loro servizio senza tener conto delle possibili ripercussioni fisiche e psicologiche sulla persona al momento non quantificabili;
   lo spirito e l'abnegazione che caratterizza gli uomini di questo fondamentale apparato dello Stato ha individuato e messo a disposizione per un'operazione che avrà risonanza internazionale ingenti risorse e centinaia di uomini a partecipare alle delicatissime operazioni di recupero delle salme;
   risulta che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a far data dal 2007, abbia collaborato alle operazioni organizzate per il soccorso e l'assistenza all'emergenza degli immigranti clandestini e alle operazioni militari ed umanitarie nazionali ed internazionali che negli anni si sono susseguite: Frontex, Mare Nostrum, Triton;
   fra tutte le amministrazioni statali coinvolte in queste emergenze, Marina Militare, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Carabinieri, Capitaneria di Porto, Protezione Civile, Croce Rossa, volontari, solo al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco non sono stati assegnati, negli anni, i necessari finanziamenti pubblici ed internazionali destinati a migliorare e ad implementare la capacità di risposta, l'efficienza e l'efficacia dell'azione di, contrasto, soccorso e recupero degli immigranti clandestini;
   tale sperequazione rappresenta un paradosso: se da un lato i vigili del fuoco vengono ritenuti gli unici in grado di portare a compimento operazioni complesse e delicate, dall'altro il Ministro dell'interno ed il Governo tutto nulla hanno fatto per potenziare il corpo nazionale dei vigili del fuoco e per assegnare risorse adeguate;
   il corpo dei vigili del fuoco, quindi, è costretto nel quotidiano a lavorare in condizioni d'emergenza considerata la vetustà dei mezzi e delle attrezzature;
   la sola operazione di recupero degli immigrati clandestini affondati insieme al peschereccio il 18 aprile 2015 costerà alcune decine di milioni di euro mentre ai vigili del fuoco, come a qualunque altra amministrazione statale si continuano a chiedere sacrifici e risparmi di spesa a causa della ristrettezza dei bilanci pubblici –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo affinché vengano assegnati al corpo nazionale dei vigili del fuoco stanziamenti adeguati all'impegno e alla professionalità profusa in coerenza alle risorse messe a disposizione agli altri enti dello Stato per fronteggiare meglio e con maggiore efficacia l'azione di soccorso e coordinamento e quali siano i costi legati al recupero del natante e dei corpi degli immigrati clandestini affondati il 18 aprile del 2015. (4-13106)


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 18 aprile 2016, dai quotidiani nazionali, si è appreso che Alberto Grando, dal 9 febbraio 2016 amministratore e presidente del consiglio di amministrazione di Expo 2015 Spa, in seguito alle dimissioni dell'amministratore delegato Giuseppe Sala, ha annunciato che il documento di chiusura di bilancio della società sarà presentato all'assemblea entro il 30 giugno, al termine delle elezioni amministrative;
   infatti, domenica 5 giugno 2016, in 1.371 comuni italiani, si svolgeranno le elezioni amministrative e l'eventuale turno di ballottaggio avrà luogo domenica 19 giugno;
   Milano è tra le principali città dove si andrà al voto, con candidato a sindaco del Partito democratico Giuseppe Sala che, alle primarie del 7 febbraio, ha battuto gli altri candidati del centrosinistra con il 42 per cento dei voti;
   Giuseppe Sala (detto Beppe) è un dirigente aziendale, di formazione bocconiana, voluto dalla sindaca Letizia Moretti nel 2009 come direttore generale del comune di Milano e sempre da lei scelto, nel giugno 2010, come rappresentante del comune nel consiglio di amministrazione di Expo 2015 Spa, con la carica di amministratore delegato. In seguito, nel maggio 2013, l'allora Presidente del Consiglio Enrico Letta lo ha nominato commissario unico delegato del Governo per l'Expo. Il 29 ottobre 2015 è entrato a far parte del consiglio d'amministrazione di Cassa depositi e prestiti. A dicembre 2015 Sala ha presentato una lettera relativa alle sue dimissioni da commissario unico per l'Expo;
   l'assemblea dei soci di Expo 2015 Spa si è tenuta il 29 gennaio 2016, ma la trattazione degli argomenti è stata poi rimandata al 9 febbraio. Secondo quanto reso noto dalla società, sarebbe stato il socio di maggioranza, il Ministero dell'economia e delle finanze, a richiedere il posticipo della riunione. Giuseppe Sala, che il 29 gennaio 2016, avrebbe dovuto presentare il bilancio preconsuntivo e avrebbe dovuto convalidare, le sue dimissioni, quindi, è rimasto a capo di Expo Spa fino al 9 febbraio, data in cui il consiglio di amministrazione di Expo, «preso atto della relazione», ha deliberato «di sciogliere anticipatamente la società e di metterla in liquidazione», nominando Grando presidente del collegio dei liquidatori, e discusso, tra l'altro, delle prospettive strategiche della società, anche in relazione alle cause della sua messa in liquidazione (articolo 2484 del codice civile). Beppe Sala era quindi perfettamente a conoscenza del programma futuro per Expo 2015 Spa, e tutto ciò è avvenuto 2 giorni esatti dopo la sua vittoria alle primarie di Milano;
   nella riunione è stato attribuito al collegio dei liquidatori il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione, nessuno escluso o eccettuato ed è stato fissato il termine di 90 giorni per procedere all'elaborazione di un progetto di liquidazione. La scadenza quindi sarebbe dovuta essere il 9 maggio 2016;
   per la scadenza, però, stando alle stime del Consiglio di amministrazione, Expo 2015 avrà una carenza di liquidità di oltre 80 milioni di euro, che si sommano alle perdite già cumulate negli anni precedenti (come risulta dai bilanci dal 2009 al 2014, pubblicati sul sito della società) per un importo di circa 78 milioni di euro;
   come si evince dal documento ufficiale, pubblicato il 24 febbraio 2016, in un articolo del quotidiano Il Fatto quotidiano, oltre a ribadire la rilevanza del risultato a livello di patrimonio netto, positivo per 14,2 milioni, si legge anche che «in considerazione delle spese strutturali previste nei primi mesi del 2016 (quantificabili in 4 milioni mensili), è probabile una ricaduta nelle previsioni dell'articolo 2447 del codice civile durante il mese di marzo». Ciò significa che secondo i calcoli del consiglio guidato dallo stesso Sala, da febbraio 2016 le disponibilità liquide di Expo 2015 si sono esaurite, ma non le spese ed è prevedibile che entro il mese di marzo la società arrivi ad accumulare perdite superiori a un terzo del suo capitale. Una situazione in cui l'articolo 2447 del codice civile impone l'abbattimento del capitale stesso e il suo contemporaneo aumento per riportarlo al minimo legale»;
   dallo stesso articolo si apprende dell'imminente entrata dello Stato tra i soci di Arexpo e delle indicazioni dei soci di Expo 2015 ai liquidatori che auspicano «il compimento di una attività di rivitalizzazione di parti del sito Expo 2015 nella fase transitoria dello smantellamento del sito stesso, attuato preservando i valori del sito medesimo, secondo principi di sinergia fra le società Expo 2015 Spa e Arexpo Spa, nel rispetto delle funzioni proprie di ciascuna delle due società». È per questo motivo che, tra i principali criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione della società, vengono indicate «sinergie e collaborazioni tra Expo Spa e Arexpo Spa, anche con riferimento alla fase convenzionalmente denominata Fast Post Expo», in grado di compensare almeno da un punto di vista contabile, le perdite di Expo Spa, anche con riferimento al «Fast Post Expo», l'evento previsto in concomitanza con la ventunesima Triennale Internazionale di Milano, tra aprile e settembre, che dovrebbe utilizzare l'area. Secondo i calcoli del vecchio consiglio di amministrazione di Expo, per il 2016, la società ha bisogno di 58,3 milioni di euro: 39,6 per lo smantellamento e 18,7 per la chiusura dell'azienda. La somma, che andrebbe chiesta ai soci di Expo, grazie al «Fast Post Expo» può essere ridotta di 19,5 milioni di euro con il «ribaltamento dei costi sostenuti ad Arexpo». E così agli azionisti di Expo toccherebbe sborsare «solo» 38,8 milioni: al Ministero dell'economia toccherebbero 15,5 milioni, alla Regione e al Comune 7,8 a testa, mentre la Provincia e alla Camera di Commercio ne dovrebbero versare 3,9 ciascuna;
   secondo gli interroganti, lo slittamento della presentazione del bilancio al 30 giugno 2016 di Expo 2015 Spa è da valutare alla luce dei costi che l'operazione suddetta farebbe ricadere su Arexpo, e soprattutto sullo Stato italiano, una volta formalizzato l'ingresso del Ministero dell'economia e delle finanze, probabilmente come socio di maggioranza. L'ingresso dello Stato nella compagine societaria di Arexpo, infatti, nella relazione presentata nell'assemblea del 9 febbraio 2016, considerato un passaggio fondamentale di cui tener conto, «in merito ai rapporti con i soggetti competenti coinvolti nella definizione delle scelte strategiche di valorizzazione e riqualificazione del sito espositivo nella fase post Expo», ricordando che tale ingresso è previsto dall'articolo 5 del decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015;
   il suddetto articolo, recante «Iniziative per la valorizzazione dell'area utilizzata per l'Expo», tra le altre cose, prevede:
    la spesa di 50 milioni di euro per l'anno 2015, per la partecipazione al capitale della società proprietaria delle aree in uso alla Società Expo spa, vale a dire di Arexpo spa;
    al fine di accelerarne la messa a disposizione e l'effettiva utilizzabilità, sono revocate le risorse finalizzate alla realizzazione della riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, e destinate, anche in attuazione dell'articolo 1, comma 101, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), alla Società Expo Spa per fare fronte al mancato contributo della provincia di Milano;
   la revoca e la rifinalizzazione delle risorse era stata richiesta dal commissario unico e i finanziamenti statali relativi alle opere di connessione infrastrutturale del tavolo Lombardia, previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008, erano stati individuati proprio dal Commissario Unico, d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e confluiti nel «Fondo unico Expo: infrastrutture strategiche di connessione all'Expo 2015» e finalizzato alla realizzazione delle opere indispensabili per lo svolgimento dell'evento;
   tale decisione era stata presa in contrapposizione a quanto stabilito anche dal Cipe (deliberazione n. 91 del 6 dicembre 2011, «Interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa»), che approvò il «Piano di riparto delle risorse stanziate dall'articolo 63, commi 12 e 13, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008», che vedeva al primo posto della graduatoria degli interventi da finanziare quello relativo alla «Riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate, prevedendo un finanziamento erogabile pari a 58.934.983,20 euro;
   quindi, appare evidente per gli interroganti che l'operazione sia stata da tempo prevista per il salvataggio dei conti di Expo 2015 spa e che l'ex amministratore unico Sala ne sia stato il principale protagonista;
   il candidato sindaco Giuseppe Sala ha replicato più volte all'accusa di voler nascondere i dati relativi al bilancio di Expo, assicurando che sarebbero stati diffusi ad aprile, e variando di volta in volta le risposte nella forma, ma non nella sostanza. Nel corso di un dibattito con gli sfidanti delle primarie del 7 febbraio 2016, rinviava ogni discussione ad aprile, giustificando i ritardi perché: «Chi si intende di bilanci sa che ci sono dei tempi tecnici e che si chiudono a marzo, aprile». Dopo circa un mese rispondeva, a chi gli domandava del bilancio di Expo 2015 Spa, rassicurandolo che «Il bilancio uscirà ad aprile quando io sarò in piena campagna elettorale. Quindi come è possibile che io beffi, se poi questa cosa mi verrebbe addosso come un treno?». E invece nessun bilancio è stato finora presentato e la sua chiusura avverrà, quasi certamente il 30 giugno 2016, a elezioni terminate;
   oltre alla consistenza delle perdite, rese pubbliche dalla stampa, sarebbe corretto per gli interroganti che, ai cittadini lombardi, fosse data la possibilità di conoscere il bilancio di Expo 2015 Spa con tutte le voci dello stato patrimoniale e del conto economico, che consentirebbe loro di capire se la rendicontazione riferita al 2015, è stata tale da fare slittare altre perdite nel 2016. A giudizio degli interventi lo svolgimento dell'assemblea della società entro e non oltre il mese di maggio 2016, per conoscere i conti della società, sarebbe un atto di trasparenza e di rispetto nei confronti dei cittadini, utile peraltro a fugare ogni possibile nube sulla gestione dei conti di Expo fatta dai precedenti amministratori –:
   se il Governo intenda fornire chiarimenti sui tempi necessari all'ingresso del Ministero dell'economia e delle finanze tra i soci di Arexpo Spa e se, nell'ambito delle sue competenze, non ritenga opportuno intervenire affinché, nel rispetto dei cittadini lombardi il documento di chiusura di bilancio di Expo 2015 spa sia presentato entro la data di svolgimento delle prossime elezioni amministrative. (4-13111)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE, PORTA, CUOMO e BATTAGLIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Governo venezuelano presieduto da Nicolàs Maduro ha decretato che i dipendenti pubblici del Paese sudamericano lavorino solo due giorni alla settimana per risparmiare energia elettrica;
   sono stati altresì programmati anche blackout di quattro ore al giorno nei dieci Stati più popolati e industrializzati dei 24 che formano il Venezuela;
   le interruzioni nella fornitura di luce hanno suscitato forti proteste tra i cittadini scatenando atti di vandalismo e predatori con conseguente repressione da parte delle forze di polizia, aggravando di fatto una già profonda crisi politica, economica e sociale del Venezuela;
   è a rischio l'attività di scuole e ospedali e scarseggiano beni alimentari e medicine;
   la siccità, la peggiore in duecento anni di storia, che sta mettendo in crisi le centrali idroelettriche, costruite negli anni Sessanta e settanta, che coprono due terzi del consumo elettrico interno, non basta a giustificare tale precipitare della situazione;
   stanno emergendo criticità e ritardi Sempre del Governo e la crisi del petrolio complica di molto la vita ad un Paese dove l'oro nero rappresenta l'88 per cento delle esportazioni;
   la povertà è tornata a crescere e la spesa sociale si è conseguentemente contratta proprio a causa del prezzo del petrolio;
   la comunità italiana in Venezuela è tra le più numerose tant’è che negli anni ’80 si contavano circa 400 mila italiani di prima e seconda generazione;
   imprese, attività economiche e commerciali hanno sempre distinto il dinamismo della comunità italiana nel Paese venezuelano e non va dimenticato che due presidenti della Repubblica Venezuelana sono stati di origine italiana;
   negli ultimi anni la presenza degli italiani si è contratta a causa dei processi di nazionalizzazione adottati dal Governo Chavez e molti sono rientrati non senza difficoltà;
   il rischio di tensioni sociali è già oltre il livello di guardia e si ritiene indispensabile una adeguata attenzione da parte del Governo italiano –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per monitorare costantemente l'evolversi della crisi in Venezuela e per assicurare alla comunità italiana il massimo sostegno in una condizione di oggettiva criticità, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di generi di prima necessità, ponendo il tema anche nell'ambito degli organi internazionali. (3-02242)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con istanza protocollata del 22 settembre 1997, n. 188, la Società Tersan Puglia & Sud Italia spa con sede in Modugno alla strada statale 98, km. 79+700, nella persona del legale rappresentante p.t. Silvestro Delle Foglie, chiedeva, ai sensi e per gli effetti degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo n. 22 del 1997, l'approvazione progettuale e la contestuale autorizzazione all'esercizio dell'impianto di «produzione di fertilizzanti biologici e trasformazione di prodotti agricoli in compost ed attività florovivaistica in serra, secondo il progetto «Prometeo 2000 Agricoltura Domani» redatto dall'ingegner Carmine Carella, da realizzarsi in agro di Grumo Appula (Bari) – Contrada «Trullo dei Gendarmi» su area contraddistinta in catasto al foglio di mappa n. 61, particelle n. 15, 54, 63, 81, 175, 176, 177, 178, 179, 182, 183, 184, 185, 186 e 187, di proprietà della società, allegando documentazione tecnico – amministrativa, accompagnata dal parere di valutazione favorevole in ordine alla proposta progettuale Tersan, espresso del presidente della giunta regionale, con foglio del 4 dicembre 1996, prot. n. 1647IFC;
   in data 7 gennaio 1999, il summenzionato progetto veniva sottoposto a procedura di valutazione di impatto ambientale, ed autorizzato dalla provincia di Bari nel comune di Grumo Appula (Bari), con deliberazione n. 2 del 7 gennaio 1999, successivamente presentato ed approvato con deliberazione della giunta provinciale n. 42/2000;
   con deliberazione del consiglio comunale di Grumo Appula n. 86 del 28 settembre 2000 è stata proposta la sospensione della deliberazione della giunta provinciale n. 42/2000 a cui provvedeva il sindaco con atto n. 14148 del 20 ottobre 2000;
   la procedura di VIA rilasciata nel 2000 dalla provincia di Bari, nel 2001 è stata sottoposta a riesame e il relativo iter non è stato mai portato a termine;
   con decreto datato 28 ottobre 2004, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bari disponeva il sequestro preventivo dell'area su cui era già in fase di realizzazione l'impianto di compostaggio, in quanto sarebbe stato costruito – secondo la procura – su un suolo del tutto inedificabile, in violazione di vincoli di natura urbanistica e paesaggistica e senza le necessarie autorizzazioni;
   in seguito al sequestro la provincia di Bari, in autotutela, sospendeva la procedura di riesame dell'autorizzazione per il rilascio della VIA rimasta ad oggi sospesa;
   nel 2014 la Corte d'appello di Bari ordinava il dissequestro dell'area sulla quale era in fase di realizzazione l'impianto di compostaggio;
   nel 2014 il Consiglio di Stato ha respinto definitivamente il ricorso del comune di Grumo Appula che chiedeva l'annullamento degli atti della provincia di Bari con i quali fu autorizzata, nel lontano 2000, la realizzazione dell'impianto di compostaggio;
   in data 18 febbraio 2016 la Società Prometeo 2000 srl presentava la procedura coordinata AIA-VIA conseguente alla modifica progettuale, ai sensi dell'articolo 10 comma 5-bis della legge regionale n. 17 del 2007, come modificata dalla legge regionale n. 14 del 2015, oltre che la richiesta per il conseguimento di autorizzazione integrata ambientale ai sensi dell'ex articolo 29-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche ed integrazioni per l'impianto di compostaggio Prometeo 2000 ubicato nel comune di Grumo Appula (Bari), in località Torre dei Gendarmi;
   nella procedura coordinata AIA-VIA sopracitata, dal progetto definitivo e specificatamente dalla relazione descrittiva generale, a pagina 37, si evince che «l'impianto ricade all'interno del Sic/Zps IT91200007 “Murgia Alta”»;
   dallo studio di impatto ambientale e precisamente dall'elaborato 1: Sintesi Non Tecnica, a pagina 25, si evince nuovamente l'insistenza dell'impianto di compostaggio all'interno del Sic/Zps IT91200007 «Murgia Alta»;
   da informazioni diffuse a mezzo stampa, specificatamente dal quotidiano on line «AltamuraLife.it» in data 20 aprile 2016, si apprende che l'immobile in esame sorge in una zona protetta speciale oltre che sito di interesse comunitario (SIC/ZPS IT9120007 «Murgia Alta»), già confinante con il parco nazionale dell'Alta Murgia;
   secondo il piano territoriale paesaggistico regionale della regione Puglia il comune, oggetto d'intervento, Grumo Appula rientra nell'ambito di paesaggio «Alta Murgia» e comprende la figura «Altopiano Murgiano»;
   l'impianto di compostaggio insiste in agro di Grumo Appula, in una zona classificata agricola nel piano urbanistico generale;
   il suddetto impianto, inoltre, sorge in zona in cui è presente il reticolo idrografico di connessione della RER (100 metri), è ubicato e realizzato in un'area carsica ed è confinate a 100 metri con un sito tipizzato come «bosco» dal Pptr della regione Puglia;
   lo studio di impatto ambientale, ai sensi all'articolo 10, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche ed integrazioni deve contenere la valutazione di incidenza prevista all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 qualora il progetto, o i possibili impatti derivanti dalla sua attuazione, interessino, anche parzialmente e/o indirettamente, Siti di Importanza Comunitaria e/o Zone di Protezione Speciale, istituiti ai sensi della difettiva 92/43/CEE «Habitat» e della direttiva 79/409/CEE «Uccelli» facenti parte della Rete Natura 2000 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e quali eventuali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere ai fini della tutela dell'area in cui sorgerà l'impianto che è sito di interesse comunitario a zone di protezione speciale. (5-08596)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   l'allegato A alla delibera della giunta regionale n. 2407 del 29 dicembre 2011 consiste nell'accordo di programma per la tutela delle risorse idriche superficiali e sotterranee del fiume Brenta, stipulato tra la regione Veneto, l'autorità d'ambito territoriale ottimale «Brenta», le province di Vicenza e Padova, 12 comuni, il consorzio di bonifica Brenta, la società regionale Veneto Acque spa, la società Etra spa, l'Arpav, finalizzato:
    al miglioramento morfologico del medio corso del Fiume Brenta nel tratto compreso tra Bassano del Grappa e Fontaniva;
    a consentire a Veneto Acque S.p.A. il prelievo iniziale di 500 l/s nell'area in prossimità del Bacino Giaretta in località Camazzole di Carmignano di Brenta, coerentemente con quanto stabilito dal Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto;
   la delibera della giunta regionale n. 1974 del 2 ottobre 2012 riporta alcune integrazioni non allineate al precedente accordo di programma e non sottoscritte dai sindaci dello stesso, in quanto non sarebbe mai stato attivato il coordinamento degli enti locali e territoriali previsto dalla delibera della giunta regionale n. 2407 del 29 dicembre 2011 secondo cui «il Coordinamento degli Enti Locali e Territoriali si riunisce periodicamente od ogniqualvolta lo riterrà opportuno, previa convocazione da parte del Presidente della Commissione Tecnica o suo delegato o su richiesta di almeno tre tra gli altri Enti membri, avendo come obiettivo quello di essere costantemente a conoscenza dello stato degli interventi e dei riflessi sulla falda dei prelievi effettuati a vario genere in modo da suggerire soluzioni da adottare e/o affrontare le criticità rilevate»;
   relativamente alla delibera della giunta regionale n. 1974 del 2 ottobre 2012, in particolare punto 1.a) interventi di realizzazione pozzi per prelievo acque (MOSAV) punto 1.b) progetto di recupero materiale in Alveo, esistono, ad avviso dell'interrogante, gravi omissioni rispetto all'accordo di programma regolarmente firmato e pubblicato:
    non c’è prova concreta, a quanto consta all'interrogante, che dimostri che siano state eseguite le verifiche dei livelli di falda da ARPAV (delegate extra accordo di programma a Veneto Acque); in proposito ci sarebbero solo dichiarazioni di Veneto Acque e del dipartimento ambiente della regione Veneto che tranquillizzano sull'effettiva ricarica delle falde, ma che non appaiono supportate da adeguati documenti;
    dall'inizio del 2013 la commissione tecnica si è riunita solo il 30 dicembre 2015 contravvenendo alla regola di controllo costante da parte dei sindaci;
    risulta una sola riunione (febbraio 2016) del coordinamento enti locali previsto dall'accordo di programma, di cui non risulta verbale;
    il progetto Democrito, anch'esso previsto dall'accordo, presupposto per garantire/potenziare la falda, appare sospeso pur in presenza di finanziamenti per 900.000 + 2.000.000 euro;
    mancano le relazioni semestrali e annuali sull'attuazione dell'accordo di programma;
    a posteriori, dopo l'accordo di programma, è stato inserito il progetto di recupero del materiale per i pozzi in Alveo; disattendendo la normativa europea che vieta di modificare la morfologia dei fiumi attraverso l'asportazione di materiali;
    dalla somma della potenzialità dei pozzi sarebbe prevista una quantità d'acqua maggiore rispetto a quella prevista dall'accordo di programma: i 4 pozzi Etra esistenti prelevano 800 l./s, i 4 nuovi pozzi-Veneto Acque possono prelevare 950 l./s per un totale di 1750 l./s; il totale autorizzato temporaneamente è di 800 l/s + 500 l/s = 1300 l/s con monitoraggio della effettiva ricarica delle falde. Solo in futuro con l'esecuzione di opere di rimpinguamento e monitoraggio della falda si potrà autorizzare il prelievo fino a 1750 l/s; il Progetto prevede ulteriori 5 Pozzi a sud in Alveo per altri 600 l/s (600 in più del max se non fosse previsto il declassamento dei 4 pozzi Etra esistenti) con la conseguente necessità di realizzare difese artificiali che comporteranno lo scavo di ulteriori 70.000 mc. di materiale dal letto del Brenta; non sono chiare le motivazioni e l'utilità di queste ulteriori opere;
   è previsto anche lo scavo di un canale artificiale in alveo (salvanella); tutto ciò comporterebbe, a giudizio dell'interrogante, un grave spreco di denaro pubblico, di risorse naturali e una devastazione irreversibile in un sito di interesse comunitario/zona a protezione speciale;
   la regione-Dip.Ambiente, nella risposta del 14 gennaio 2016, rispetto ai finanziamenti del progetto Democrito omette di citare l'articolo 6 dell'Accordo di Programma che prevede l'impegno della regione a «programmare il finanziamento» del progetto per il 50 per cento cioè per 6 milioni di euro; il dipartimento regionale giustifica l'asporto in alveo come semplice «movimentazione» (si vedano nota del 8.2.16), uno spostamento del materiale dal fiume ai pozzi, ma non dice che questo comporta la distruzione del relativo Habitat fluviale e l'abbassamento dell'alveo e che 70.000 mc. su 100.000 mc. riguardano i 5 pozzi superflui in zona SIC/ZPS;
   si evidenzia inoltre che comuni/enti convengono sulla necessità di eliminare i 5 Pozzi a sud in alveo ed il relativo recupero di materiale in Alveo (si vedano anche le relazioni di Società Botanica Italiana, Centro Studi Biologia Amb., Legambiente, consorzio di bonifica, associazioni varie) evitando gravi danni ambientali e spreco di denaro pubblico;
   il progetto 2 località Santa Croce Casoni – «RIPRISTINO DELLA SEZIONE DI DEFLUSSO DEL FIUME BRENTA MEDIANTE ASPORTAZIONE DI MATERIALE E DIFESA SPONDALE IN SIN.IDRAULICA NEI PRESSI DI VIA CASONI COMUNI DI CITTADELLA, FONTANIVA E CARMIGNANO DI B.R.» (RIF DECRETO REG, VENETO 205 DEL 02 settembre 2013) prevede un totale di 8 interventi analoghi, sempre con il metodo della compensazione, nel tratto Carmignano-Piove di Sacco (vedi allegato «A» decr. 205 del 2 settembre 2013): n. 7 nel tratto Cittadella-Curtarolo e n. 1 nei Comuni di Vigonovo, Fossò, Campolongo Maggiore e Piove di Sacco;
   per effettuare le manutenzioni di piccoli tratti di argine sulla sponda sinistra si ricorre al metodo della compensazione che prevede interventi di risezionamento e abbassamento dell'alveo, pretestuosi perché non necessari e che vanno ad alterare tutto il sistema morfologico e ambientale. Dal punto di vista idraulico infatti paiono non necessario, sembrano invece essere una scusa per poter prelevare quantità enormi di ghiaia (sull'ordine di 560 mila metri cubi totali movimentati) come merce di scambio a favore dell'impresa coinvolta nelle operazioni;
   il proponente/assegnatario è il Consorzio medoacus s.c. a r.l. di Mestrino (PD); il progetto provocherà per l'interrogante una devastazione ambientale, per circa 2 chilometri di fiume e di alveo/golena con una importante incisione dell'alveo e asportazioni per una profondità fino a 4 metri; ciò comporta una eliminazione totale dell'habitat fluviale in una zona tutelata da una serie di strumenti urbanistici e ricadente nell'ambito del sito di interesse comunitario/zona a protezione speciale «Grave e zone umide della Brenta»;
   per compensare la ricostruzione di circa 460 metri di argine verrebbero asportati e trasportati circa 550.000 metri cubi di materiale con le seguenti conseguenze:
    distruzione degli habitat e delle specie in un Sito di importanza comunitaria;
    aumento della pendenza e perdita dell'effetto di rallentamento della golena con aumento della velocità delle acque in caso di piena, in un fiume noto per essere torrentizio;
    abbassamento dell'alveo e conseguente abbassamento della falda freatica proprio in corrispondenza dell'area destinata al prelievo idrico per l'intero sistema acquedottistico del Veneto Centrale;
    impossibilità di controllo delle quantità da estrarre in quanto il fiume Brenta ad ogni morbida ricopre di materiale la zona della sezione di deflusso e riprende un suo andamento imprevedibile;
   va fatto presente che con decreto n. 205 del 2 settembre 2013 la giunta regionale veneta ha previsto altri sette interventi analoghi (sempre a compensazione) che andrebbero ad interessare l'intera asta fluviale da Carmignano a Piove di Sacco con i medesimi devastanti effetti distruttivi;
   esiste ampia documentazione sui misfatti/illeciti commessi in situazione analoga negli anni 2000/2001 quando i tratti scavati venivano di volta in volta ripristinati dal fiume e seguivano ulteriori interventi di asporto senza controllo; la compensazione si basa su una significativa sottostima del valore a metri cubi della ghiaia;
   il Consorzio Medoacus, unico proponente, è assegnatario e deve presentare il progetto definitivo che sarà sottoposto a valutazioni di impatto ambientale tenuto conto che a parere dell'interrogante è in contrasto con tutte le normative di zona;
   tutto ciò avverrebbe per l'interrogante non in conformità con la direttiva europea 2000/60, in buona parte recepita ed integrata nel «collegato ambientale» recentemente approvato dalla Camera dei deputati, che definisce l'approfondimento degli alvei fluviali come una pratica da evitare nel modo più assoluto  –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, in considerazione del fatto che gli interventi sopra richiamati insidierebbero su un'area che costituisce un sito di interesse comunitario (SIC) e una zona di protezione speciale (ZPS).
(4-13116)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SGAMBATO, CARLONI, MANFREDI, CAROCCI, MANZI, ROSTAN e CAPOZZOLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   San Leucio è una frazione del comune di Caserta la cui fama è legata dal secolo dei Lumi alla manifattura della seta e alla prima legge al mondo che normava l'uguaglianza tra donne e uomini (statuto o codice di San Leucio) e che per le sue peculiarità è parte integrante del sito Unesco della città di Caserta che comprende la Reggia, l'Acquedotto del Vanvitelli e San Leucio;
   le origini dell'economia di San Leucio ruotano intorno alla fabbrica della seta, nata secondo criteri moderni per l'epoca, allocata in un'ala del piccolo palazzo reale abitato da Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina d'Asburgo, che utilizzava la materia prima generata dai bachi allevati nelle case del casertano e oltre;
   all'interno di questa piccola città-fabbrica, si svolgevano tutte le fasi del processo produttivo che portavano alla realizzazione di gioielli artigianali e tessuti acquistati dalle case reali di tutto l'occidente. Si producevano stoffe preziose, dai broccati ai velluti, prevalentemente utilizzati per l'arredo. Si svilupparono anche dei prodotti locali, i gros de Naples e un tessuto per abbigliamento chiamato Leuceide. Le sete di San Leucio tutt'oggi arredano, solo per fare qualche esempio, non solo la Reggia di Caserta, ma stanze del Vaticano, del Quirinale, dello Studio Ovale della Casa Bianca e di seta di San Leucio sono le bandiere che sventolano a Buckingham Palace;
   da qualche anno San Leucio vive un momento di grande difficoltà, a causa della chiusura di molti opifici e della delocalizzazione delle aziende, che rischia di impoverire il made in Italy di uno dei suoi piccoli grandi poli di eccellenza, portando con sé senz'altro importanti ricadute occupazionali, e mettendo a rischio la permanenza nel sito dell'Unesco –:
   con quali iniziative intendano intervenire i Ministri interrogati affinché la Campania e l'intero Paese non perdano una fondamentale testimonianza della storia dell'artigianato italiano, una realtà culturale e sociale irripetibile, e come intendano tutelare la permanenza di San Leucio nel patrimonio dell'Unesco, posto che la prossima estinzione delle attività ne determinerà, automaticamente, l'uscita.
(5-08590)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Cividale del Friuli, in località Grupignano, esiste un gruppo di nove immobili a suo tempo costruiti per soddisfare il fabbisogno abitativo dei numerosi militari in servizio nell'area;
   l'immobile, tuttavia, si è presto rivelato più grande del necessario, mano a mano che gli organici dell'Esercito si assottigliavano e si riducevano gli effettivi schierati nel Nord-est;
   attualmente, la struttura risulta avere soltanto otto appartamenti occupati su 45. Vi risiedono altrettante famiglie che si sono valse dell'opportunità di riscattarle, mano a mano che la Difesa alienava la parte di patrimonio immobiliare non più utile alle sue esigenze;
   ciò nonostante, il Demanio continua ad erogare il riscaldamento a tutti e 45 gli appartamenti, per una spesa in gasolio complessivamente pari, a quanto risulta all'interrogante, ad oltre 80 mila euro annui;
   sarebbe adesso programmata una spesa ulteriore di 100 mila euro per la messa a norma dell'impianto di riscaldamento centralizzato che serve gli appartamenti;
   non risulta all'interrogante che sia stato proposto ai proprietari il distacco dal riscaldamento centralizzato, che avrebbe comportato una spesa immediata massima a loro carico pari a non più di 64 mila euro complessivi;
   il tentativo di vendere all'asta gli altri 37 immobili è fallito –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per ridurre le spese di gestione sostenute per gli immobili ex militari di Grupignano, a Cividale del Friuli, in particolare quelle per il riscaldamento e la messa a norma degli impianti centralizzati che lo erogano. (4-13086)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VILLAROSA, CASO, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 106, paragrafo 2, del Trattato che istituisce l'Unione europea gli Stati membri hanno la possibilità di coniare le monete metalliche in euro previa approvazione del relativo volume dalla Banca centrale europea;
   gli Stati membri sottopongono alla Banca centrale europea le proprie stime del volume di conio accompagnando la richiesta da note esplicative sulla metodologia utilizzata per formulare tali stime;
   lo Stato italiano dal 2000 al 2015 ha richiesto un volume di conio complessivo pari a 7,586 miliardi di euro;
   analizzando il volume di conio richiesto – ed autorizzato – dagli altri Stati membri si desumono i seguenti dati: Germania: 17,329 miliardi di euro; Belgio: 2,718 miliardi di euro; Spagna: 7,041 miliardi di euro; Irlanda: 1,557 miliardi di euro; Lussemburgo: 802 milioni di euro; Paesi Bassi: 2,444 miliardi di euro; Austria: 4,216 miliardi; Portogallo: 1,777 miliardi di euro; Finlandia: 1,470 miliardi di euro; Grecia: 1,683 miliardi di euro;
   la quantità di volume di conio dei suddetti Stati membri, parametrata al prodotto interno lordo ed al debito pubblico, non è coerente con la quantità di volume di conio richiesta dallo Stato italiano. Fatta eccezione della Germania i citati Stati membri dispongono di un prodotto interno lordo inferiore al dello Stato italiano ed in particolar modo:
    a) per l'Irlanda nel 2014 il debito pubblico era pari al 125,4 del prodotto interno lordo ed il relativo prodotto interno lordo nazionale è pari a circa il 10 per cento del prodotto interno lordo italiano;
    b) per la Spagna nel 2014 il debito pubblico era pari al 117,8 del prodotto interno lordo ed il relativo prodotto interno lordo nazionale è pari a circa il 60 per cento del prodotto interno lordo italiano;
   sulla base dei suddetti dati – a parere degli interroganti – lo Stato italiano ha richiesto un volume di conio inferiore, in relazione al prodotto interno lordo, rispetto agli altri Stati membri. Un adeguamento della richiesta del volume di conio – che potrebbe quindi essere pari a diversi miliardi di euro – potrebbe aumentare la base monetaria con effetti positivi per l'economia italiana e per la ripresa economica –:
   quali siano le metodologie utilizzate dallo Stato italiano per richiedere il volume di conio da sottoporre all'approvazione della Banca centrale europea, quali siano le ragioni per le quali lo Stato italiano ha richiesto dal 2000 al 2015 un volume di conio pari a solo 7,586 miliardi di euro, per quali ragioni gli Stati membri richiedano un volume di conio, in relazione al prodotto interno lordo, maggiore rispetto al volume di conio dello Stato italiano e, sulla base delle indicazioni di cui in premessa, se reputi opportuno richiedere alla Banca centrale europea un aumento del volume di conio così come più volte richiesto dagli altri Stati membri.
(5-08605)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto evidenzia il documento dell'Associazione nazionale delle imprese assicuratrici, illustrato nel corso dell'esame del documento di economia e finanza 2016, il quadro generale di previsione macroeconomica, per i prossimi quattro a i, risulta meno favorevole rispetto alle attese, in considerazione del tasso di crescita a annuale dell'economia italiana che si fermerebbe all'1,2 per cento, nella media del quadriennio e dello scenario complessivo internazionale, legato ai bassi tassi di inflazione, alla debolezza della domanda e alla minaccia terroristica (e alla crisi umanitaria dei rifugiati di guerra) i cui fattori costituiscono ulteriori elementi di instabilità nel panorama geopolitico;
   al riguardo, all'interno del DEF, che com’è noto, costituisce il principale documento di programmazione della politica economica e di bilancio, all'interno della sezione III programma nazionale di riforma del DEF, sono riportate le principali proposte di policy che il Governo si ripromette di attuare, tra cui misure relative a «Contrasto di povertà e welfare»;
   in tale ambito, si prevede che il Governo valuterà, «nell'ambito delle politiche previdenziali, la fattibilità di interventi volti a favorire una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, salvaguardando la sostenibilità finanziaria e il corretto equilibrio nei rapporti tra generazioni, peraltro già garantiti dagli interventi di riforma che si sono susseguiti dal 1995 ad oggi»;
   il documento dell'Ania riporta inoltre, come la flessibilità dei requisiti pensionistici rappresenta un obiettivo condiviso, che facilita la quiescenza anticipata dei lavoratori interessati, favorendo al tempo stesso il ricambio generazionale e il conseguente trend occupazionale, aggiungendo inoltre, che al di là dei meccanismi con i quali il Governo intenderà finanziare l'anticipazione delle prestazioni in caso di maggiore flessibilità dei requisiti, un importante contributo può derivare dalla previdenza complementare, che consente di utilizzare il montante previdenziale accumulato, quale rendita temporanea in grado di finanziare, in tutto o in parte, la pensione per il periodo di anticipazione;
   al riguardo quanto predetto potrebbe utilmente essere favorito dallo Stato mediante interventi in due direzioni: favorire maggiori livelli di adesione alla previdenza complementare in via generale e, in maniera più mirata, incentivare fiscalmente il ricorso alle risorse accumulate nei fondi pensione finalizzato all'anticipazione;
   a giudizio dell'interrogante, le osservazioni dell'Ania, risultano condivisibili e puntuali, con riferimento all'esigenza indifferibile di favorire la previdenza complementare, che necessita il superamento dei tassi di adesione attuali, che sono ancora «fermi» intorno al 25 per cento e quasi nulli per i giovani;
   nonostante l'anno passato, avesse evidenziato un ulteriore incremento delle adesioni alle forme previdenziali, attualmente pari a 7,3 milioni di italiani, tuttavia secondo l'Ania, tale risultato rappresenta una soddisfazione relativa, considerato come lo sviluppo sia ancora largamente inferiore alle attese e alle necessità della previdenza complementare, cui fa o riferimento risorse destinate alle prestazioni limitate a circa 138 miliardi (una quota marginale rispetto alle attività finanziarie complessive detenute dalle famiglie italiane);
   a parere dell'interrogante, al fine di rendere il welfare italiano stabile e moderno, risulta indifferibile l'esigenza di dotarsi di una pensione complementare, soprattutto nei confronti di una larga parte di giovani donne, lavoratori delle piccole e medie imprese, in considerazione del fatto che occorre accrescere la consapevolezza della comunità nazionale sulle proprie esigenze previdenziali;
   l'Inps, inoltre, ha di recente introdotto la possibilità di stimare la pensione attesa e si appresta a inviare l'informativa a svariati milioni di cittadini, al fine di contribuire gradualmente a favorire maggiore responsabilizzazione da parte dei cittadini medesimi sulla necessità di dotarsi di una pensione complementare;
   l'azione di sensibilizzazione, a giudizio dell'Ania, dovrebbe estendersi anche per far conoscere i vantaggi connessi all'iscrizione a un fondo pensione, dal punto di vista della fiscalità di favore riconosciuta all'investimento previdenziale, alla diversificazione dell'investimento rispetto al sistema previdenziale di base, alle performance finanziarie di lungo periodo, nonché alle condizioni di flessibilità e liquidabilità della posizione previdenziale maggiori di quelle previste per il tfr lasciato in azienda;
   a giudizio dell'interrogante, le considerazioni in precedenza riportate, rilevano, nel complesso, la necessità di rapide misure di tipo normativo, in grado di incrementare la crescita della previdenza complementare legata ai fondi pensione, semplificando le norme sul piano fiscale, rivedendo al contempo, la tassazione sui rendimenti;
   un più ampio ricorso allo strumento della previdenza complementare, potrebbe contribuire a ridurre la spesa pubblica sul welfare (oltre 400 miliardi di euro annui) e le risorse liberate, potrebbero essere distribuite alle fasce meno abbienti, in considerazione che, con l'eccezionale aumento del numero di pensionati, a cui fa da contraltare un netto calo delle persone occupate, è molto probabile a giudizio dell'interrogante, che le risorse finanziarie a disposizione non saranno sufficienti per pagare l'assegno di previdenza nel medio-lungo periodo –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa; se, in considerazione delle criticità in precedenza richiamate, il Governo non intenda favorire nell'ambito delle politiche previdenziali, iniziative fattibili volte a una maggiore flessibilità nelle scelte individuali, al fine di incrementare la crescita della previdenza complementare legata ai fondi pensione, semplificando le norme sul piano fiscale e rivedendo, al contempo, la tassazione sui rendimenti;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie i Ministri interrogati intendano intraprendere nell'ambito delle rispettive competenze, al fine d'introdurre misure volte a rivitalizzare le adesioni alla previdenza complementare, in considerazione dello scenario attuale riferito alle previsioni pensionistiche del Paese e alla stabilità finanziaria, che indubbiamente alimenta, dubbi e preoccupazioni a livello nazionale. (4-13098)


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il presidente dell'Associazione nazionale costruttori edili – Ance nel corso di un'audizione alla Camera dei deputati il 27 aprile 2016, ha evidenziato, nell'ambito dell'efficientamento del risparmio energetico, la necessità di rendere permanente il bonus fiscale sulle ristrutturazioni (attualmente stabilito al 50 per cento), la cui scadenza è prevista a fine dicembre, data oltre la quale, l'aliquota agevolativa tornerà al 36 per cento;
   il massimo rappresentante della suesposta Associazione, in particolare, ha rilevato l'esigenza di rivedere la norma in questione, rendendola più semplice, aggiungendo la necessità di integrare la disciplina con ulteriori disposizioni sull'efficientamento acustico e di agevolazione per la rottamazione degli edifici;
   l'interrogante evidenzia come le misure di agevolazione fiscale in precedenza richiamate (introdotte dalla legge del 28 dicembre 2015, n. 208 – legge di stabilità 2016 che, come detto, hanno prorogato fino al 31 dicembre 2016 sia la detrazione fiscale del 65 per cento per gli interventi di efficientamento energetico e di adeguamento antisismico degli edifici, sia la detrazione del 50 per cento per le ristrutturazioni edilizie) s'inseriscano all'interno di quadro economico che, in materia di efficienza energetica nell'edilizia, hanno svolto, fin dal 2007, un ruolo fondamentale per il comparto residenziale;
   al riguardo, l'efficientamento energetico necessita di essere favorito nel breve e medio periodo, in considerazione del fatto che gli interventi introdotti hanno contribuito, nel corso degli anni, a generare un risparmio di energia finale di quasi 1 milione di tonnellate equivalenti di petrolio all'anno (corrispondente a un beneficio ambientale in termini di co2 non emessa in atmosfera pari a oltre 2 milioni di tonnellate annue);
   le suesposte osservazioni del presidente dell'Anci, a giudizio dell'interrogante condivisibili sia in considerazione del fatto che una eventuale stabilizzazione della proroga consentirebbe una solida ripresa dell'economia italiana (tenuto conto dell'importanza del settore dell'edilizia in termini di crescita del prodotto interno lordo), sia alla luce dell'impegno che il nostro Paese ha assunto a livello europeo per la riduzione entro il 2020 del 20 per cento del consumo energetico e del 20 per cento delle emissioni di gas a effetto serra, impongono delle immediate ed efficaci azioni volte a sostenere il comparto edile, tenuto conto della valenza che il medesimo settore riveste per l'economia italiana, incluso l'indotto –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se convengano con le dichiarazioni del presidente dell'Ance secondo cui occorra assumere iniziative per rendere stabile il bonus sulle ristrutturazioni, la cui aliquota agevolativa fissata al 50 per cento scade il 31 dicembre 2016;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie, i Ministri intendano assumere al fine di stabilizzare gli incentivi fiscali per la «rottamazione» degli edifici, misure che risultano indispensabili per la crescita e lo sviluppo di un settore strategico per il Paese quale quello dell'edilizia. (4-13103)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, risulterebbe in corso di adozione un decreto ministeriale per la revisione della piante organiche degli uffici giudiziari di primo grado, in conseguenza alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie;
   sulla base della proposta elaborata dal dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, il tribunale di Parma risulterebbe escluso dagli aumenti dell'organico, in quanto, benché sulla base del numero dei residenti nel circondario abbia diritto ad un aumento di 4 giudici e un ulteriore giudice in ragione del numero medio delle sopravvenienze calcolato con riferimento al quinquennio 2006-2010, il positivo rapporto tra pendenze e sopravvenienze impedirebbe ogni ulteriore assegnazione;
   in questo modo il tribunale di Parma risulterebbe significativamente penalizzato rispetto a tutti gli altri tribunali dell'Emilia-Romagna per i quali sono invece previsti incrementi del numero dei giudici, talora in misura consistente, anche sulla base di situazioni nella sostanza quanto meno equivalenti sotto il profilo delle dimensioni del bacino d'utenza, e tuttavia apparentemente non gravate da pendenze e sopravvenienze confrontabili, per lo meno sotto il profilo qualitativo, con quelle attualmente in carico agli uffici giudicanti parmensi;
   analogamente, la proposta non riconosce alla procura della Repubblica di Parma alcun rafforzamento dell'organico, sebbene anche in questo caso la situazione dell'ufficio sia in concreto più gravosa rispetto a quella di altre procure emiliane paragonabili per dimensioni, per le quali sono invece previsti aumenti della pianta organica;
   i riscontri numerici sulla base dei quali sarebbero fondate le previsioni di potenziamento dell'organico elaborate dal Ministero, non terrebbero in adeguata considerazione il reale carico di lavoro degli uffici giudiziari di Parma che risente, inevitabilmente, della ricchezza e della vitalità del tessuto imprenditoriale provinciale classificata dal CENSIS al 12o posto su scala nazionale;
   è da non trascurarsi, inoltre il fatto che il circondario di Parma non è purtroppo esente dal fenomeno della criminalità organizzata;
   gli uffici giudiziari di Parma risultano essere ancora fortemente gravati dai procedimenti civili e penali scaturiti dal crack Parmalat che ancora li impegneranno per numerosi anni, con inevitabili ripercussioni sui tempi d'esame degli altri procedimenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della necessità di aumentare il numero dei magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari di Parma e se non ritenga di adottare tutte le più utili iniziative di competenza al fine di adeguare alle reali esigenze del territorio la dotazione organica dei giudici in servizio presso il tribunale di Parma. (5-08599)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da diverse agenzie di stampa del 2 maggio 2016 si è appreso che in questi giorni il sindacato di polizia penitenziaria «Federazione Sindacati Autonomi», coordinamento nazionale di polizia penitenziaria della Lombardia, denuncia: «l'ennesima aggressione nei confronti del personale di polizia penitenziaria di Como. Nella giornata di venerdì 29 aprile un detenuto egiziano all'interno della cella si autolesionava usando delle lamette. Condotto presso gli uffici della sorveglianza, continuava minacciando di tagliarsi se qualcuno avesse tentato di disarmarlo ... subito dopo cominciava a ferirsi perdendo molto sangue. A quel punto costretti ad intervenire per disarmarlo, il personale ha avuto dei problemi anche per reperire scudi e caschi necessari per proteggersi da lamette e sangue. Nel disarmare il detenuto, due unità di polizia penitenziaria riportavano dei traumi ... (con prognosi ciascuno di) ... 7 e 15 giorni ... per contusione emitoracica destra. Una terza unità si sottoponeva a esami di controllo visto che nella colluttazione si feriva con la lametta in uso al detenuto. Nella giornata del 30 aprile lo stesso detenuto sferrava un pugno all'agente in servizio ... più volte denunciamo queste situazioni, che vedono vittime i poliziotti penitenziari, ma purtroppo continuano a vedere che non vengono presi seri provvedimenti nei confronti di questi soggetti pericolosi, paradossalmente alcuni detenuti dopo essersi resi responsabili di aggressioni, con molta tranquillità hanno ottenuto un posto di lavoro all'interno dell'istituto ...»;
   tali comportamenti dei detenuti si ripetono presso il carcere di Como, come ricordato dal sindacato in parola, di frequente e, allo stato, non è stato, a quanto risulta all'interrogante, preso alcun provvedimento che tenda a scongiurare il ripetersi di questi fatti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, se a conoscenza di altre segnalazioni similari, e quali iniziative intenda adottare in particolare per evitare il ripetersi di questi fatti. (4-13092)


   PAGLIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del tribunale per i minorenni dell'Emilia-Romagna ha stabilito la chiusura della cancelleria il mercoledì per insufficienza di organico;
   appresa la decisione, il Garante regionale per infanzia e l'adolescenza, Luigi Fadiga, ha lanciato l'allarme sul fatto che centinaia di provvedimenti di giustizia minorile sarebbero a rischio paralisi, e ciò malgrado gli sforzi per aumentare il numero dei procedimenti definiti e per eliminare il pregresso;
   effettivamente l'insufficienza di organico è un grave problema in relazione a tale realtà territoriale, in quanto «il numero dei cancellieri è proporzionale al numero dei magistrati che a Bologna, diversamente da altre regioni, sono solo sei, cioè uno ogni 750.000 abitanti: gli amministrativi, quindi, sono pochissimi e, per giunta, in via del Pratello la metà dei posti è scoperta»; «Tra magistrati e cancellieri si arriva a una decina di unità per una popolazione che conta oltre quattro milioni e mezzo di abitanti: con questi numeri si arriva al collasso», come dallo stesso riportato in un'articolo pubblicato sui sito « Bologna2000.com»";
   sono evidenti, sia la carenza strutturale di magistrati presenti e di personale amministrativo per la sede regionale di Bologna, tanto che la metà dei posti risulterebbe scoperta, sia le altre problematiche connesse alla sede, tra le quali la mancanza di un'aula per l'ascolto, unico caso nel nostro Paese;
   sempre secondo la denuncia di Fadiga, la situazione starebbe raggiungendo livelli inaccettabili, tali da mettere a serio rischio il mantenimento dei risultati raggiunti in termini di produttività e il regolare funzionamento dei servizi;
   peraltro, da qualche mese risulta vacante il posto di procuratore minorile e potrebbe volerci molto tempo prima di arrivare a una nuova nomina;
   se pure, con la riforma della giustizia civile, si provvederà ad una revisione dell'organico, questa avverrà in tempi lunghi, tempi che si tradurranno inevitabilmente nella paralisi della giustizia minorile –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere con urgenza in merito alla grave situazione del tribunale dei minorenni dell'Emilia Romagna denunciata dal Garante regionale dei minori dell'Emilia Romagna, con particolar riferimento al rinforzo dell'organico di magistrati e personale amministrativo, al fine di evitare il collasso del sistema della giustizia minorile regionale. (4-13100)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che l'abbonamento mensile sulla linea Torino-Venezia, via Milano, di Trenitalia è stato notevolmente rincarato, a seconda del percorso, dal 22 al 40 per cento e che, nei mesi di febbraio e marzo 2016 sei treni Freccia Bianca sono stati sostituiti con sei treni Freccia Rossa FR500 su questa tratta;
   centinaia di pendolari, principalmente lavoratori e studenti, che ogni giorno devono spostarsi tra le città capoluogo di provincia o regione, per ragioni di studio e lavoro, hanno assistito ad un innalzamento dei prezzi dell'abbonamento di seconda classe anche di 50 euro mensili;
   è difficile da accettare che il treno Frecciabianca venga sostituito dal Frecciarossa con un costo del servizio che aumenta, senza che però vi siano reali benefici sia per l'identica durata nel percorso, sia per un aumento del comfort imposto e non richiesto;
   ulteriore aggravio per i pendolari che hanno gli abbonamenti del treno Frecciabianca è costituito dalla prenotazione obbligatoria per accedere al Frecciarossa, da effettuare in biglietteria con ulteriore perdita di tempo, oppure via internet, o in forma cumulativa al momento dell'abbonamento, con l'impossibilità, tuttavia, di prevedere in anticipo gli orari per molti studenti o per i tanti lavoratori che devono effettuare turni di lavoro o che non hanno orari fissi di lavoro;
   anche l'ipotesi di ripiegare sui treni regionali è una soluzione poco percorribile poiché è necessario integrare il biglietto con un ulteriore supplemento di cinque euro a viaggio, sempre con lo spettro delle multe da parte dei controllori, per chi non si adegua;
   cioè che viene segnalato, ulteriormente, è che mancano le informazioni: queste non vengono fornite nemmeno al momento del rinnovo degli abbonamenti agli ignari clienti;
   questo tipo di pendolarismo, che affronta quotidianamente situazioni di costi e disagi prevedibili, è sostenuto da una stretta necessità lavorativa ed anziché essere considerato solo un bacino di clienti indifferenziato dovrebbe essere tutelato attraverso formule di vantaggio che assicurino, se non altro, nel caso descritto, almeno la continuità degli abbonamenti già emessi;
   Trenitalia con questa variazione, a giudizio degli interroganti, intenderebbe rispondere ad alcune necessità sue proprie quali la disponibilità di treni, un maggiore numero di posti di prima classe che potrebbero essere venduti garantendo maggiori ricavi, il fisiologico ricambio dei mezzi più antiquati, inoltre, evidenzierebbe vantaggi anche della clientela quali una maggiore qualità del comfort del trasporto;
   alcuni articoli di stampa attribuiscono tale variazione anche all'effetto successivo alla manifestazione EXPO 2015: in quel periodo i treni hanno avuto un discreto successo, mentre una volta terminato l'evento i tassi di riempimento dei treni sulla tratta sono tornati alla normalità, lasciando una grande disponibilità di posti che restano invenduti;
   pur tuttavia, a giudicare dal tenore delle incredule reazioni dei passeggeri, sembra che questo nuovo servizio commerciale non sia stato affatto richiesto dai pendolari che più assiduamente viaggiano su quella tratta ed anzi questi avrebbero preferito continuare a viaggiare sui Frecciabianca al medesimo costo del 2015;
   alcune sigle sindacali locali, analizzando la situazione, hanno evidenziato che l'incremento della qualità del servizio non porta risultati apprezzabili in quanto non c’è un vero aumento del numero di treni sulla tratta, tali da ridurre i tempi di attesa tra un treno ed il successivo, infatti i treni Frecciabianca sono semplicemente stati sostituiti da un identico numero di treni Frecciarossa;
   in secondo luogo, i tempi di percorrenza della tratta, a causa della situazione infrastrutturale, e delle frequenti fermate del treno, non hanno avuto alcuna riduzione: sebbene il treno Frecciarossa possa viaggiare sino a 300 km/h, la linea ferroviaria non riesce a supportare tale velocità; i nuovi treni, pertanto, continuano a viaggiare alla stessa velocità che sostenevano i treni Frecciabianca dismessi;
   solo con un minore numero di fermate sulla tratta Milano-Venezia sarebbe possibile ottenere una maggiore velocità commerciale, ma tale ipotesi confligge proprio con la gran parte della domanda effettiva dei pendolari, che devono poter salire e scendere in molte delle città servite dalla tratta ferroviaria;
   apparirebbe perciò che vi sia stato un aumento dei costi del servizio di trasporto ferroviario che non porta reali vantaggi per i passeggeri «pendolari» e tanto più risulterebbe che questa miglioria del servizio non sia nemmeno stata richiesta;
   in una situazione nella quale gli stipendi dei lavoratori italiani, mediamente, non hanno visto, di recente, sostanziali incrementi, ad esempio con il blocco protratto negli ultimi anni degli scatti di anzianità per i dipendenti pubblici, i pendolari non hanno la capacità di pagare costi maggiori per lo stesso servizio di trasporto ferroviario;
   lo sviluppo dell'alta velocità, se vuole essere fatto coincidere con il progresso, non può essere imposto a prezzi maggiori in sostituzione dei precedenti servizi ma si dovrebbe qualificare come un servizio aggiuntivo di ampliamento dell'offerta commerciale di modo da incontrare nuova domanda di consumatori; dovrebbe inoltre essere garantita, in ogni caso, la percorrenza di treni in una fascia di prezzo più accessibile –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione descritta in premessa;
   se possa fornire dati statistici aggiornati relativamente al numero di passeggeri che transitano sulla tratta Torino-Venezia via Milano per ciascuno degli ultimi 5 anni;
   se siano stati avviati studi in merito al fenomeno del pendolarismo e alla sua variazione in relazione alla presenza di treni di diverse categorie quali regionali, interregionali, intercity o delle diverse tipologie di treni ad alta velocità;
   se ritenga di valutare se sussistano i presupposti per promuovere verifiche, eventualmente anche con modalità ispettive, ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza in relazione ai fatti esposti in premessa. (5-08592)


   NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le ultime rilevazioni sull'incidentalità stradale in Sardegna registrano una complessiva diminuzione dell'indice di pericolosità delle infrastrutture dell'isola, rilevando tuttavia un numero sempre elevato di incidenti, molti dei quali mortali, sui collegamenti stradali del territorio. Secondo l'ultimo rapporto ACI-ISTAT (novembre 2015), infatti, nel 2014 si sono verificati in Sardegna 3.492 incidenti stradali, che hanno causato la morte di 98 persone e il ferimento di altre 5.311. In particolare, nella provincia di Sassari, nel 2014 si sono registrati 852 incidenti stradali che hanno provocato 25 morti e 1311 feriti;
   nel territorio dell'Anglona, nel nord Sardegna, si registra una grave carenza di infrastrutture stradali che si ripercuote molto negativamente sulla mobilità dei cittadini e sullo sviluppo delle attività produttive della zona, a forte vocazione turistica;
   la strada statale 200 – Dell'Anglona, che parte da Sassari e arriva a Castelsardo, attraversando i comuni di Sennori e Sorso, caratterizzata da una serie di pericolosi tornanti che si percorrono con un'illuminazione pressoché inesistente, è una delle strade più rischiose della Sardegna;
   negli ultimi anni sulla strada statale 200 si sono verificati numerosi incidenti, anche mortali, ma gli interventi per la messa in sicurezza della strada sono stati di scarsissimo rilievo;
   secondo quanto riportato dal quotidiano locale La Nuova Sardegna – ed. Sassari in data 28 aprile 2016, i lavori di ripristino dai danni causati dagli eventi alluvionali del 18 giugno 2014 sulla strada statale suddetta, all'interno del centro abitato di Sennori, già previsti per i giorni dal 18 aprile al 5 maggio 2016 e già finanziati dalla regione Sardegna con delibera del 22 luglio 2014 per un importo pari a 200 mila euro, non sono ancora partiti per la mancata consegna della cartellonistica stradale da installare. Non risulta ancora nota la data per l'avvio dell'intervento, nonostante l'ANAS abbia già diffuso la comunicazione della chiusura al traffico del tratto di strada interessato dai lavori;
   risulta paradossale, ad avviso degli interroganti riscontrare che in alcuni casi interventi per la messa in sicurezza delle strade statali del territorio sardo, già finanziati e previsti per date stabilite, siano rinviati o non siano compiuti per intoppi di carattere logistico facilmente evitabili –:
   se non intenda adoperarsi affinché siano intraprese, in via prioritaria, tutte le iniziative necessarie per la messa in sicurezza, nel più breve tempo possibile, della strada statale 200 – Dell'Anglona, al fine di consentire una circolazione più sicura e dotare il territorio di un sistema di infrastrutture moderno e adeguato, garantendo una manutenzione continua ed efficiente dell'infrastruttura stradale;
   se non intenda altresì attivarsi presso l'ANAS per comprendere le motivazioni che hanno causato la mancata consegna della cartellonistica stradale da installare nel tratto di strada statale 200 di cui in premessa e affinché siano avviati e conclusi in tempi certi e rapidi i lavori citati. (5-08600)


   CAPEZZONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'autorità portuale di Venezia («APV»), per il tramite della propria controllata APVI, ha da poco messo in vendita tramite una procedura ad evidenza pubblica la quota di controllo indiretto nella società terminalista Venezia Terminal Passeggeri («VTP»);
   ragione di tale cessione è da individuarsi in prima battuta nella necessità di sciogliere i conflitti derivanti dal permanere, in capo ad APV stessa, dello status di soggetto regolatore, di soggetto concedente, nonché di azionista (indiretto) di maggioranza;
   in data 1o aprile 2016, una cordata internazionale composta da tre primarie compagnie di crociera e un operatore portuale globale è risultata aggiudicataria in via provvisoria della quota di controllo indiretto in VTP, avendo formulato l'unica offerta di acquisto della quota messa in vendita da APV al prezzo di circa 24 milioni euro;
   la stessa procedura ad evidenza pubblica prevede la possibilità per Veneto Sviluppo, finanziaria che fa capo alla regione Veneto, di esercitare un diritto di prelazione e rilevare la quota messa in vendita da APVI al prezzo di 24 milioni di euro;
   il consiglio regionale del Veneto, con mozione votata all'unanimità in data 19 aprile 2016, ha impegnato Veneto Sviluppo a esercitare la prelazione al duplice scopo dichiarato di assicurarsi il controllo azionario di VTP e tutelare l'interesse pubblico;
   l'eventuale esercizio del diritto di prelazione da parte di Veneto Sviluppo potrebbe, secondo l'interrogante, configurare un danno erariale dai parte della regione Veneto. Ciò alla luce della breve durata residua della concessione, del rischio di traffico, del protrarsi della situazione di incertezza legata al traffico delle navi di maggiori dimensioni in laguna, nonché del prezzo particolarmente elevato ed oggetto di contestazioni legali prima dell'aggiudicazione temporanea;
   la regione Veneto sarà a breve chiamata a indicare, assieme al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il presidente dell'autorità portuale di Venezia, secondo la nuova procedura di nomina prevista dalla riforma portuale promossa dal Governo –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritengano, prima battuta, che l'interesse pubblico possa essere assicurato anche – se non meglio – da operatori privati dotati di comprovata esperienza gestionale, piuttosto che da azionisti regionali che appaiono all'interrogante del tutto privi di progettualità ed esperienza in materia di terminal crocieristici;
   se non ritengano che l'insistenza sull'equazione «interesse pubblico = controllo pubblico» contrasti a sua volta con le dichiarazioni dell'attuale Governo in materia di attrazione di investimenti esteri, vanificandoli;
   come si concili l'eventuale esercizio del diritto di prelazione da parte di Veneto Sviluppo e che con lo scopo stesso della cessione da parte di APVI, che, ad avviso dell'interrogante, sarebbe vanificato dal momento che configurerebbe una situazione molto simile a quella esistente prima della cessione e che in tale ipotesi VTP sarebbe controllata dalli regione Veneto, che a sua volta esprimerebbe il vertice dell'autorità portuale, cioè del soggetto concedente la concessione e deputato a controllare VTP;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere rispetto al tema citato della prelazione nell'ambito della procedura di cessione della quota di controllo detenuta dall'autorità portuale di Venezia nella società Venezia Terminal Passeggeri. (5-08614)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, L'ABBATE e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come si evince anche dalla relazione predisposta dal relativo commissario a norma dell'articolo 1, comma 867, della legge 28 dicembre 2015, la società a responsabilità limitata Ferrovie del Sud Est (FSE), con socio unico il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, versa in un gravissimo dissesto finanziario;
   tra le cause della crisi si evidenziano le numerosissime e costosissime attività fondamentali per la gestione della società in toto appaltate all'esterno in quello che a giudizio dell'interrogante si può considerare un esiziale, inefficiente, dispendioso e perpetuo outsourcing: servizi legali e contenzioso, contabilità, sistemi informativi, progettazione e direzione dei lavori per citare solo i più importanti; la struttura organizzativa e dirigenziale è talmente compromessa da non avere più alcuna capacità di presidio della funzionalità aziendale;
   secondo quanto dispone la succitata norma, che autorizza il commissariamento della società in parola, il commissario è stato incaricato di predispone, entro il termine di 90 giorni decorrenti dalla data del suo insediamento, un piano industriale per il risanamento della FSE che preveda, tra le altre cose, una riduzione dei costi di funzionamento –:
   se il piano industriale di cui in premessa, sia stato predisposto e sia già stato approvato dal Ministero e mediante quali principali interventi sia, previsti la ristrutturazione del debito e la chiusura del contenzioso in atto con i lavoratori; se vi sia intenzione di prolungare il mandato del commissario, vista la sua nomina a dirigente di Fincantieri e, in caso contrario che tipo di governance si preveda, per la società in questione se esistano risorse disponibili per rilancio dell'azienda in termini di rinnovo di materiale rotabile, di bus e per il potenziamento dell'infrastruttura. (4-13099)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 dicembre 2015 a Rimini viene avviato il progetto denominato «Casa Gallo», consistente nell'offrire un servizio di accoglienza a bassa soglia per persone senza fissa dimora;
   l'attività si svolge in un locale di proprietà del comune di Rimini, l'ex stamperia sita in via De Warthema, ed è portata avanti dalle associazioni «Rumori Sinistri e No Borders», vincitrici di un bando per l'assegnazione dello spazio;
   durante i mesi invernali sono oltre 70 le persone che hanno potuto trovare ricovero nella struttura, tanto che, al momento, si contano 43 ospiti, fra cui 15 italiani e 10 richiedenti asilo;
   nello spazio è stato attivato anche uno sportello salute con medici volontari, oltre che uno spazio d'ascolto;
   in data 15 aprile 2016 il comune di Rimini, per iniziativa dell'assessora ai servizi sociali, Lisi, ha comunicato la volontà di chiudere il progetto, non rinnovando la convenzione in scadenza, con la motivazione che esso sarebbe stato limitato all'emergenza freddo e non all'accoglienza per persone prive di un tetto e impossibilitate per ragioni di reddito a procurarsene uno;
   secondo l'amministrazione comunale, i senza fissa dimora a Rimini sarebbero circa 200, fra stanziali e in transito;
   la Caritas parla invece di 300 stanziali e di oltre 2.500 persone prive di una casa assistite nel solo 2014;
   Casa Gallo d'altra parte ha una lista di 50 persone in attesa di inserimento e il numero cresce continuamente;
   appare dunque innegabile che a Rimini, comune di circa 148.000 abitanti, esista un'emergenza casa da affrontare, coordinando le diverse istituzioni;
   appare quindi allo stesso tempo a parere dell'interrogante, immotivata la scelta del Comune di porre fine a un'esperienza funzionante, priva di problematiche sul piano dell'ordine pubblico, caratterizzata da costi molto contenuti per la comunità locale, considerando la ferma intenzione dei volontari operanti al suo interno di continuare il loro impegno;
   anche nelle settimane successive alla richiesta di interruzione del servizio da parte del Comune, nuovi ospiti hanno continuato a essere accolti nelle attività di inserimento sociale;
   una delle motivazioni addotte dall'Assessorato competente per il mancato rinnovo della convenzione è la necessità di un adeguamento dei locali, in particolare sotto l'aspetto della disponibilità di sanitari, che tuttavia potrebbe essere risolta con lavori di ristrutturazione di cui le associazioni impegnate potrebbero essere disposte a farsi parzialmente carico –:
   se, in relazione alla decisione del comune di Rimini di cui in premessa, sia stato valutato dalla competente prefettura il rischio di probabili problemi di ordine pubblico conseguenti alla chiusura di una struttura così delicata e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-13094)


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   neo giorni scorsi Marco Cascella, ex amministratore della società Lande srl, è stato raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare in seguito ad una indagine della direzione distrettuale antimafia di Napoli sui lavori eseguiti dall'azienda lungo il Passante di Mestre e all'interno del Petrolchimico di Porto Marghera;
   oltre a Cascella la direzione distrettuale antimafia ha disposto altri otto arresti con accuse che variano dalla corruzione alla turbativa d'asta con l'aggravante di aver agevolato il clan dei Casalesi;
   la Lande spa, con sede a Napoli, è stata costituita nel 2009 incorporando attività, risorse e organizzazione della società Giardini e Paesaggi Sas;
   Giardini e Paesaggi sas pochi mesi prima di cessare l'attività a favore di Lande Srl aveva ottenuto appalti nelle opere di mitigazione ambientale del cosiddetto «Passante verde», ideato per attenuare l'impatto ambientale e migliorare l'inserimento del Passante di Mestre;
   la spesa preventivata per il Passante Verde era di 27 milioni di euro (7 milioni di euro con il progetto definitivo del Passante stesso; altri 20 milioni nell'ambito dell'accordo quadro sulle infrastrutture), oltre a 2 milioni di euro annui per la manutenzione;
   la progettazione esecutiva era stata realizzata dallo studio Metroplan e dalla società Giardini e Paesaggi;
   in passato la Lande srl era già stata coinvolta in altre indagini come quella sull'alta velocità tra Liguria e Piemonte e sugli scavi di Pompei;
   Lande srl è stata amministrata da Marco Cascella fino a luglio 2015 quando l'imprenditore fu allontanato dall'azienda perché accusato di corruzione e turbativa d'asta per i lavori ottenuti a Pompei;
   in Veneto nel 2012 Lande srl, inoltre, è entrata negli appalti per le bonifiche nelle aree interne al Petrolchimico di Porto Marghera per i lotti 1 e 2 per un totale di 110 ettari;
   la vicenda conferma la presenza in Veneto di imprese legate alla criminalità organizzata –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   se la società Lande e le altre società ad essa collegate abbiano ricevuto provvedimenti interdittivi in base al «codice antimafia»;
   quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, si intendano, adottare per prevenire e contrastare la presenza della criminalità organizzata in Veneto;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per monitorare le modalità di realizzazione delle opere di bonifica delle aree del Petrolchimico di Marghera e dei lavori del Passante Verde. (4-13104)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse recentemente anche sui quotidiani locali, pare che per l'accoglienza dei richiedenti asilo nella sola provincia di Como vengano spesi dallo Stato circa 50 mila euro al giorno, erogati dalla prefettura agli enti gestori dei centri di accoglienza, che, per garantire tutta una serie di servizi tra cui vitto, alloggio, vestiario, intermediazione linguistica e un pocket money giornaliero di 2,50 euro a oltre 1.300 immigrati, percepirebbero complessivamente ogni mese un milione e mezzo di euro;
   il giro di affari relativamente all'accoglienza nella provincia di Como è stato stimato in 18 milioni di euro all'anno, di cui più della metà verrebbe elargita a due sole associazioni: il Focolare di S. Maria di Loreto e la Cooperativa Intesa Sociale;
   pur non avendo partecipato ad alcun bando di gara della prefettura, ma solo per affidamento diretto, l'associazione Il Focolare di S. Maria di Loreto, che accoglie in totale 445 richiedenti asilo in diverse strutture della provincia di Como, per la sola gestione del centro di accoglienza di Tavernola, che ospita 340 immigrati, avrebbe un potenziale guadagno annuo superiore a 4 milioni di euro;
   la Cooperativa Intesa Sociale, che invece ha partecipato all'ultimo bando della prefettura, è passata dai 70 immigrati ospitati nel 2015, agli attuali 317 con un potenziale annuo di guadagno di poco inferiore ai 4 milioni di euro;
   oltre ai 4 milioni di euro garantiti dalla conduzione del centro di Tavernola, l'associazione II Focolare percepirebbe dallo Stato quasi 5 milioni di euro all'anno da tutte le strutture gestite, comprensive di svariate case di riposo, centri di accoglienza e comunità psichiatriche tra le province di Como e Milano;
   pare, sempre da quanto riportato dai quotidiani, che i fondi garantiti dallo Stato permettano non solo l'erogazione di tutti i servizi previsti dalla convenzione con la prefettura, ma anche garantiscano ai gestori un discreto guadagno al netto delle spese sostenute;
   i controlli dovrebbero essere effettuati dalle prefetture che assegnano gli appalti, tuttavia, nella pratica, il monitoraggio e il controllo dell'affidamento, dell'erogazione e della tracciabilità dei servizi di accoglienza, ma anche delle effettive presenze delle persone accolte in tali centri, che si rivelerebbero opportuni onde evitare indebite erogazioni di denaro, presenta elevate criticità; non risulterebbero infatti controlli strutturati, non esistendo idonei organismi di sorveglianza ed uniformi procedure;
   a fronte dei dati sopra esposti appare evidente per l'interrogante che l'accoglienza sia diventata un vero e proprio business –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato sopra e se ciò corrisponda al vero, e, a fronte dei dati sopra esposti e del considerevole esborso di denaro pubblico, quali controlli intenda avviare e quali siano stati finora quelli effettuati, per il tramite della prefettura competente;
   se intenda disporre una verifica in capo agli enti gestori indicati in premessa dei requisiti previsti e dell'idoneità degli stessi relativamente alla erogazione dei servizi;
   quali siano i motivi per cui sia stata adottata la procedura di assegnazione diretta alla associazione Il Focolare;
   quali siano le somme finora complessivamente erogate all'associazione Il Focolare e alla Cooperativa Intesa Sociale;
   di quale nazionalità siano le persone ospitate complessivamente nella provincia di Como e in particolare dagli enti di cui in premessa;
   se tali persone abbiano presentato domanda di asilo, e, in caso affermativo, a quale punto sia la procedura per l'esame delle domande ed eventualmente i rigetti o i riconoscimenti di protezione internazionale;
   se risulti che qualcuna delle persone ospitate abbia precedenti penali o denunce a carico. (4-13114)


   RIZZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'agente di polizia in prova Felici Vita Eleonora, ha vinto il concorso in polizia di Stato nel 2008: poiché il Ministero dell'interno non ha potuto organizzare il corso di polizia immediatamente, ha svolto servizio per n. 4 anni presso l'Aeronautica militare, di cui a Udine per 3 mesi, poi i restanti anni, beneficiando della legge n. 104 del 1992 presso Sigonella (Catania) fino ad ottobre 2014, senza aver mai avuto problemi di alcun tipo, ricevendo elogi e decorazioni per il costante impegno profuso;
   in data 26 ottobre 2014 ha iniziato il corso (192o) di polizia di Stato presso la scuola allievi agenti di Trieste;
   dal 28 luglio 2015 è stata trasferita presso la sottosezione stradale di Vipiteno, appartenente alla questura di Bolzano;
   presso la sottostazione di Vipiteno ha ricevuto diverse di lettere di contestazioni di addebiti generici, a cui non ha mai potuto rispondere subito, ma solo successivamente quando è stata giudicata non idonea ai servizi di polizia, sia in ottobre 2015 che in gennaio 2016, poiché in periodo ancora di prova;
   del caso se ne è occupato anche il sindacato di Polizia www.autonomidipolizia.it che, in data 29 dicembre 2015, ha inviato missiva al dirigente PolStrada di Bolzano, al dirigente del compartimento della polizia stradale del Trentino Alto Adige ed all'ufficio rapporti con le organizzazioni sindacali del Ministero dell'interno, denunciando presunti atti vessatori da parte dei dirigenti della sottostazione di Vipiteno;
   sulla base di questi avvenimenti, il Ministero dell'interno ha avviato nei confronti della Felici la procedura di espulsione; procedura avviabile solo in presenza di fatti di rilevanza penale o di deplorazioni amministrative, che non risultano a carico della Felici stessa;
   da fine dicembre del 2015, la stessa è in malattia per patologie mediche certificate di tipo otorinolaringoiatriche ed ortopediche che le impediscono di lavorare e di attendere alle normali attività –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa;
   se intenda accertare la correttezza dei comportamenti evidenziati dall'agente di polizia in prova Felici e dai sindacati nei confronti del personale dirigente e non della sottostazione stradale di Vipiteno che possano aver influito nella scelta dell'avvio della procedura di espulsione della stessa;
   quali procedure, a tutela del personale di polizia, vengano attuate in presenza di fatti analoghi. (4-13115)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il bando del concorso per la scuola 2016 non prevede alcuna regola specifica per le donne in gravidanza;
   è di questi giorni la notizia secondo la quale una trentaquattrenne umbra, Ilaria Venanzi, al nono mese di gravidanza e in elenco per sostenere la prova scritta del «concorso scuola 2016», per la classe di concorso di inglese, che si terrà il 19 maggio 2016, 8 giorni prima del termine previsto per la gravidanza, alla domanda di poter svolgere l'esame nella sede più vicina al proprio domicilio, si è sentita rispondere che l'assegnazione delle sedi è informatizzata perciò «nulla può essere modificato», nemmeno di fronte a un certificato medico che attesti di essere in procinto di partorire;
   Ilaria scrive quindi al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, all'Ufficio scolastico regionale e alla consigliera di parità dell'Umbria, che, a seguito della segnalazione, avrebbe contattato l'ufficio scolastico regionale avrebbe ricevuto come risposta la conferma che ci sarebbe discrezionalità nella scelta della sede concorsuale, perché l'assegnazione la fa il sistema;
   nel frattempo, il 22 aprile 2016 è uscito l'elenco con le assegnazioni delle sedi e Ilaria, che abita a Spoleto, dovrà decidere se affrontare 120 chilometri in uno stesso giorno a una settimana dal parto o rinunciare alla prova –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di sanare quello che appare all'interrogante un vulnus normativo che crea discriminazioni e disagi che, in uno Stato di diritto come il nostro, dove peraltro vigono le pari opportunità, non dovrebbero più esistere. (3-02246)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BECHIS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   fonti di stampa hanno reso noto il fatto che in un istituto scolastico lombardo un docente di religione ha organizzato una visita al museo africano;
   il docente non Si è limitato all'organizzazione della visita, ma ha anche stabilito le esclusioni dalla partecipazione: ha escluso dalla visita gli studenti che non hanno seguito il corso di religione;
   ciò ha generato la naturale e, ad avviso dell'interrogante, condivisibile lamentazione delle famiglie, non solo quelle degli studenti esclusi, che hanno scritto alla scuola dolendosi per l'esclusione dei figli che, in questo modo sono e si sentono penalizzati;
   la prima reazione è stata quella di una studentessa di undici anni la quale, dopo aver scoperto che la sua classe sarebbe salita senza di lei su un pullman diretto al museo, sarebbe scoppiata in un pianto dirotto;
   il museo, dotato di laboratori e incontri per gli studenti al fine di far conoscere la vita delle popolazioni subsahariane, è collocato all'interno di un convento abitato dai missionari passionisti;
   dall'istituto hanno risposto che «La visita è stata organizzata come completamento del corso di religione durato un anno»;
   chi dirige l'istituto ha quindi per l'interrogante avallato il comportamento del docente di religione, che ha escluso due giovani studenti in seguito all'esercizio del diritto di esonero dalla frequenza del corso;
   per il giorno della visita, quindi, in classe ci saranno solo i due giovani studenti;
   come detto numerose famiglie, comprese quelle degli studenti ammessi alla visita in cambio della frequenza del corso di religione, hanno chiesto all'istituto di riflettere sulla scelta, di ben valutare sull'opportunità di precludere la partecipazione ad alcuni studenti. Ad avviso di questi genitori, la partecipazione a visite scolastiche deve essere consentita a tutti gli studenti, anche quando è l'insegnante della Curia a organizzarla, e sostengono ciò, a quanto consta all'interrogante perché hanno ben chiara la funzione inclusiva attribuita dall'ordinamento alla scuola;
   secondo la preside, quello descritto è definito come «un tema molto delicato e interessante perché da un lato dobbiamo rispettare la libertà di non frequentare l'ora di religione, dall'altro dobbiamo fare lo stesso con il lavoro di questi insegnanti: quell'uscita è stata preparata a lezione, fa parte del programma che la professoressa ha svolto in classe, non è una gita di svago: vanno a parlare con missionari cattolici e le loro famiglie hanno fatto una scelta all'inizio dell'anno su questo»;
   prima che l'istituto si mettesse in contatto con la Curia per chiedere indicazioni sul da farsi, la questione è arrivata in consiglio d'istituto. Si è svolto un dibattito fiume fra genitori e insegnanti durato fino alle dieci di sera. Un dibattito ancora aperto secondo la preside che ha così terminato le dichiarazioni alla stampa: «Stiamo cercando di capire se è possibile pensare a uscite che abbiano un taglio per tutti anche quando sono legate all'ora di religione»;
   si ricorda che le norme del diritto canonico prevedono che le persone che svolgono i corsi sono esaminati dal sacerdote del luogo il quale deve darsi premura «che coloro, i quali sono deputati come insegnanti della religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica»;
   si ricorda che la nomina dell'insegnante di religione è soggetto a intesa tra autorità scolastica ed ecclesiastica;
   dal regolamento viaggi d'istruzione dell'istituto pubblicato sul sito istituzionale dello stesso è chiaramente specificato che: «Il Consiglio d'Istituto dell'I.C. De Andrè sottolinea ampiamente la validità delle uscite didattiche e dei viaggi di istruzione come occasione speciale di integrazione e avvicinamento culturale e relazionale e, pertanto, auspica che di tale strumento educativo possano beneficiare tutti gli alunni della scuola» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e se questi corrispondano al vero, e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere per impedire la realizzazione di un episodio che si rivela per l'interrogante discriminatorio a discapito di due giovanissimi studenti in contrasto con norme di rango ordinario e costituzionale. (5-08607)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha reso dichiarazioni, nel corso delle audizioni avute presso la VII Commissione istruzione del Senato nei giorni 1o marzo 2016 e 30 marzo 2016, in tema di precariato del personale docente della scuola e sulla situazione dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM);
   in particolare, in merito all'annunciata decisione (in linea con quanto previsto dalla legge n. 107 del 2015) ha dichiarato:
    a) di escludere tutti i docenti precari che abbiano maturato più di 36 mesi di servizio dalle supplenze annuali su cattedre vacanti e disponibili, al fine di non incorrere in ulteriori violazioni delle direttive europee in seguito alla recente sentenza del 26 novembre 2014 della Corte di giustizia dell'Unione europea contro l'abuso dei contratti a tempo determinato da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   b) di procedere per il futuro al reclutamento dei docenti esclusivamente tramite concorso per titoli ed esami;
   il comparto dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica attende ancora, a oltre 16 anni dall'approvazione della legge di riforma, il regolamento sul reclutamento del personale docente e tecnico-amministrativo, previsto dall'articolo 2 comma 7 lettera e) della legge n. 508 del 1999 e, più in generale, attende ancora il complessivo riordino del sistema previsto dalla legge, con le gravi ripercussioni già segnalate in più occasioni dalle conferenze dei presidenti, dei direttori e dalle organizzazioni sindacali di comparto;
   per ammissione stessa del Ministro interrogato, il riordino dell'intero settore dell'alta formazione artistica e musicale «non è di questi giorni»; con ciò prefigurando, a giudizio dell'interrogante, che saranno ulteriormente dilatati e dilazionati i termini di una soluzione sistematica dell'intero terzo settore della formazione artistica, con ripercussioni al limite dell'insostenibilità per tutti gli operatori del settore e per gli oltre 40.000 studenti del sistema dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica, ormai connotato da interventi solo particolari ed emergenziali che nulla hanno di una visione complessiva del sistema in grado di garantire il generale processo di sviluppo che la legge di Riforma aveva come obiettivo primario;
   mentre il settore veniva comunque investito da un imponente movimento di rinnovamento, ordinamentale e regolamentare, tale da comportare il completo rovesciamento del contesto didattico ante riforma, con particolare riferimento alla complessità dell'offerta formativa garantita all'utenza, le dotazioni di personale docente dei conservatori e delle accademie venivano «cristallizzate» al 20 gennaio 2000, con la conseguente impossibilità di riformare gli organici in coerenza con il notevole ampliamento dell'offerta intervenuto in esecuzione dell'introduzione dei nuovi ordinamenti didattici (104 settori disciplinari a fronte delle 32 scuole del vecchio ordinamento);
   nell'ultimo quindicennio, il settore dell'alta formazione artistica e musicale non è stato interessato da alcuna politica di reclutamento strutturale del personale docente, dovendo contemporaneamente assolvere alle incombenze determinatesi con i nuovi ordinamenti didattici, in tale settore si è provveduto, quindi e gioco forza, al costante reclutamento di personale docente precario, selezionato per titoli di studio, di servizio e artistico – culturali – professionali e di volta in volta riconfermato con procedure pubbliche di comparazione;
   il personale docente così reclutato delle istituzioni dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica, in pieno rispetto dei criteri di autonomia sanciti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003 e nel pieno assolvimento dei criteri selettivi di qualità, ha contribuito insieme al personale docente di ruolo a sostenere l'impatto dei nuovi ordinamenti didattici, garantendo l'ottimale erogazione dei servizi didattici e assicurando lo sviluppo dell'intero sistema dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica, tanto da consolidare livelli di crescita della popolazione studentesca di assoluto rilievo, con particolare riguardo alla popolazione studentesca internazionale;
   ad oggi, accanto al personale docente di ruolo opera con grande senso di abnegazione e dedizione tutto il personale docente delle graduatorie nazionali oggi in essere, da anni impegnato nell'espletamento di delicate funzioni didattiche, ben oltre i 36 mesi di servizio oggi considerati dal Ministro interrogato quale limite per il mancato rinnovo del contratti di lavoro annuali;
   in almeno un caso, il limite dei 36 mesi di servizio è stato previsto dallo stesso legislatore quale requisito di accesso per l'inserimento nelle graduatorie, di cui alla legge n. 28 del 2013, se fosse dato formalmente corso alle dichiarazioni del Ministro, nel settore dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica, si produrrebbe, per l'interrogante, il paradossale risultato che i docenti in tale ambito sarebbero esclusi dal lavoro per avere maturato i requisiti di accesso per l'inserimento nelle graduatorie previste dalla legge;
   sarebbe rilevantissimo il danno che ne deriverebbe alle istituzioni dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica e all'utenza di accademie e conservatori, che, con un tratto di penna, vedrebbero cancellati riferimenti didattico-artistici consolidati da anni, si avrebbe l'unico risultato, nel breve periodo, di produrre nuovo precariato, costituito da maestri dal sicuro valore artistico, ma inesperti tanto dal punto di vista didattico che della partecipazione alla vita accademica delle istituzioni (programmazione, e altro);
   è indispensabile che, nelle more della definizione dei regolamenti previsti dalla legge di riforma legge n. 508 del 1999, e in particolare in attesa del Regolamento per il reclutamento del personale, il settore dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica non perda le professionalità del personale docente precario, acquisite, formate e perfezionate nel corso di molti anni di insegnamento prestati nelle istituzioni, e ciò al fine di stabilizzare le istituzioni stesse, consentendo loro di programmare su base certa l'offerta formativa annualmente garantite all'utenza, in particolare potendo contare sulla collaudata esperienza del personale docente tutto;
   l'assenza di una specifica previsione normativa in materia di personale precario nel settore dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica consente di verificare la possibilità di assumere determinazioni che, a vantaggio dell'intero sistema dell'Alta formazione artistica e musicale, prevedano l'immediata stabilizzazione di tale personale docente oggi in servizio; sarebbe opportuno che siano definite soltanto in seguito, e attraverso gli strumenti del regolamento per il reclutamento e quello per la razionalizzazione e lo sviluppo del sistema, le procedure per l'inserimento di nuovo personale nel mondo del lavoro;
   la stabilizzazione del personale docente precario oggi in servizio garantirebbe continuità di programmazione didattica e la qualità dell'offerta formativa oggi erogata dalle istituzioni, salvaguardando il bagaglio di esperienza e professionalità raggiunto dal personale docente nel corso degli anni già trascorsi;
   un gran numero di istituzioni dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica d'Italia (conservatori di musica, accademie, e altro) hanno approvato, con l'assenso della quasi totalità dei docenti, mozioni sulla condizione del precariato dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica, rivolte al Presidente della Repubblica e ai rappresentanti di competenza del Governo; fra queste vi è anche il conservatorio di musica di Cagliari, particolarmente penalizzato anche dallo stato di insularità e di isolamento determinato dalla difficoltà nei collegamenti con il resto d'Italia;
   si registra in tale contesto tutta la preoccupazione per le sorti del sistema dell'Alta formazione artistica e musicale, da troppo tempo abbandonato al proprio destino, senza alcuna visione complessiva di riordino e sviluppo, a partire dalla salvaguardia delle eccellenze già presenti nel sistema;
   si denuncia lo stato di possibile destabilizzazione cui il sistema dell'Alta formazione artistica e musicale andrebbe incontro se dovessero trovare applicazione norme e/o determinazioni che, sulla base dell'assunto meramente formalistico delle decisioni prese a livello europeo e di quella che sarebbe per l'interrogante l'impropria estensione al comparto dell'Alta formazione artistica, musicale e coreutica delle norme previste per il comparto scuola, svilirebbero l'enorme patrimonio di esperienza e competenza acquisito nel corso degli anni dal personale docente precario –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, nel rispetto degli articoli 1 e 9 della Costituzione della Repubblica italiana, di assumere le iniziative non più rinviabili per la stabilizzazione dei docenti precari, che abbiano come autentico fine la valorizzazione dell'intero sistema dell'Alta formazione artistica e musicale, a partire dalla difesa dell'enorme patrimonio di esperienze e competenze acquisito nel corso degli anni dal personale docente precario oggi in servizio presso le accademie e i conservatori di musica, fino al complessivo riordino del sistema previsto dalla legge;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per salvaguardare l'autonomia di accademie e conservatori di musica prevedendo un'articolazione territoriale condivisa con le regioni, e in particolar modo per garantire quelle autorevoli realtà che operano in regioni insulari e che hanno specialità statutarie costituzionalmente riconosciute. (5-08610)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ASCANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come noto, secondo quanto stabilito dalla legge 3 luglio 2015, n. 107, recante la «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», ha preso avvio il nuovo concorso a posti e cattedre per il personale docente. La procedura concorsuale di carattere regionale ha previsto tre diversi bandi, divisi tra docenti della scuola dell'infanzia e della primaria (decreto ministeriale 23 febbraio 2016, n. 105), docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado (decreto ministeriale 23 febbraio 2016, n. 106), ed infine docenti per il sostegno (decreto ministeriale 23 febbraio 2016, n. 107). Ciascuno dei bandi sopra citati prevede il superamento di due prove: una prova scritta computerizzata e una prova orale, da svolgere nelle sedi assegnate al candidato sulla base di un algoritmo informatico, comunicato dall'Ufficio scolastico regionale di competenza. Analogamente, ciascuno dei bandi sopra citati non prevede deroghe al procedimento di assegnazione delle sedi, né delle disposizioni per disciplinare casi particolari come, ad esempio, quello delle candidate in stato di gravidanza;
   non solo per rispettare il combinato disposto di principi di matrice costituzionale, segnatamente: il principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione e il diritto alla tutela della salute di cui all'articolo 32 della Costituzione, ma anche per uniformarsi a generali criteri di ragionevolezza ed equità, i decreti ministeriali avrebbero dovuto regolamentare casi eccezionali oppure delegare gli uffici scolastici regionali a risolvere singolarmente questioni particolari, come quello in cui una candidata, in stato di gravidanza e prossima al parto, chieda una modifica della sede di svolgimento delle prove per essere più vicina alla propria famiglia;
   invero, l'esempio sopra riportato è quanto recentemente accaduto ad una donna di Spoleto (PG), la quale ha denunciato il fatto al giornale: «Redattoresociale.it». La notizia pubblicata dalla testata giornalistica il 1o maggio 2016, riporta la vicenda della trentaquattrenne umbra che, già al momento della pubblicazione del calendario delle prove (e quindi ancora prima dell'assegnazione delle sedi di svolgimento del concorso), aveva chiesto all'ufficio scolastico regionale dell'Umbria che le fosse attribuita la sede più vicina al proprio domicilio, allegando idonea documentazione a supporto della prevista nascita del bambino nella stessa settimana dello svolgimento della prova;
   la candidata ha visto rigettare la propria istanza, motivata pubblicamente, appunto, sull'assenza nei bandi di concorso di apposite previsioni volte alla disciplina di casi simili, ovvero attributive del potere di derogare all'assegnazione informatica delle sedi per lo svolgimento delle prove concorsuali. Anche per evitare di mettere a rischio la propria salute e quella del neonato, la candidata ha dichiarato che probabilmente rinuncerà a partecipare al concorso, non volendo rischiare di trovarsi a 120 chilometri di distanza da casa al momento del possibile parto. Nonostante già all'indomani della comunicazione negativa dell'ufficio scolastico regionale dell'Umbria, la candidata avesse provveduto ad avvisare le istituzioni locali dell'iniqua decisione a suo danno, nessun provvedimento concreto è stato adottato, né per il caso specifico, né per porre rimedio ad una chiara lacuna regolamentare –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le iniziative che intende adottare. (4-13088)


   PARENTELA e NESCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con la legge regionale n. 9 del 2007, venne prevista la trasformazione del «Centro servizi avanzati ricerca, formazione e sviluppo agroalimentare della Calabria Spa» (Centro agroalimentare) in «Fondazione mediterranea TerinaOnlus», quale centro di ricerca industriale e alta formazione nei settori agricolo, agroalimentare, agro-industriale ed ambientale;
   la Fondazione, che ha sede a Lamezia Terme (CZ), è organismo «in house» dell'unico socio fondatore, la regione Calabria. La partecipazione alla Fondazione non è aperta ad altri soci, privati o pubblici. L'intero patrimonio della Fondazione è di proprietà della regione ed è stato affidato dal fondatore in comodato con destinazione al perseguimento dello scopo dell'ente;
   a regione Calabria esercita sulla Fondazione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. La giunta regionale approva il bilancio della Fondazione, esercita su di essa il controllo strategico, adotta gli atti d'indirizzo e delibera la revoca degli organi nei casi previsti dallo statuto;
   la legge della regione Calabria 24 del 2013, prevede la riorganizzazione della Fondazione che «dovrà perseguirò unicamente compiti di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, trasferimento tecnologico e divulgazione scientifica nel settore della qualità agroalimentare, della sicurezza alimentare e della salute, nonché compiti di certificazione delle produzioni tipiche e di qualità, da sviluppare coerentemente con la vigente normativa in materia» (articolo 13 comma 1);
   il comma 2 della legge regionale n. 24 del 2013, prevede che «Dopo le modifiche statutarie, per garantire il corretto funzionamento della Fondazione, nonché i livelli occupazionali esistenti, l'organo preposto provvederà alla ripartizione del personale che dovrà garantire le attività di cui al comma 1 e di quello necessario che si occuperà della gestione del patrimonio da trasferire in altri enti, aziende e società regionali»;
   l'articolo 13 della succitata legge non ha mai trovato attuazione. Nel frattempo la regione Calabria ha provveduto ad incaricare 4 commissari negli ultimi 5 anni, che avrebbero dovuto avere il compito di guidare la Fondazione verso la riorganizzazione prevista dalla legge;
   negli ultimi anni la crisi finanziaria della Fondazione Terina ha portato più volte al mancato pagamento degli stipendi per i suoi 41 dipendenti;
   nel mese di settembre del 2014, i 41 dipendenti della Fondazione protestarono per il mancato pagamento di alcune mensilità di stipendi. La crisi fu risolta grazie all'interessamento della regione Calabria che stanziò i fondi necessari al pagamento delle spettanze arretrate;
   il 24 settembre 2014, la collega Dalila Nesci presentava l'atto di sindacato ispettivo n. 4-06139, ad oggi senza risposta, per chiedere iniziative urgenti per garantire i diritti dei 41 dipendenti della Fondazione;
   nel mese di dicembre 2015 i dipendenti denunciavano il mancato pagamento di 7 mesi di stipendi arretrati;
   dal 2 maggio 2016, i 41 dipendenti di Fondazione Terina sono nuovamente in stato di agitazione a causa del mancato pagamento di 5 mensilità arretrate;
   nell'ambito di una conferenza stampa del 2011, il presidente pro tempore della regione Calabria riferì di finanziamenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per i centri di ricerca presenti in Calabria, tra cui 14.650.000 euro per la Fondazione Mediterranea Terina, in relazione al progetto denominato «Foodlife», che, come si legge in una nota della stessa fondazione, risulta in proposito «soggetto attuatore di un'iniziativa che rappresenta una hybrid institution in cui la rigida distinzione funzionale tra ricerca ed imprese tende a sfumare per lasciare il posto alla comune risorsa “innovazione tecnologica” quale strumento di conseguimento di vantaggio competitivo e duraturo nel tempo»;
   nella succitata nota è specifico che «i laboratori che saranno implementati e resi operativi grazie al progetto costituiranno una struttura permanente d'innovazione, di riferimento per le imprese e per il mondo della ricerca, con spiccata capacità di autofinanziamento ed a respiro internazionale»;
   nel documento in questione è precisato che «l'Infrastruttura prenderà corpo attraverso il potenziamento dell'esistente struttura di ricerca, nata dalla pluriennale collaborazione scientifica tra la Fondazione Mediterranea Terina (unico ente di ricerca regionale e braccio operativo di riferimento della regione Calabria) ed il dipartimento di agraria (ex-facoltà di agraria) dell'Università mediterranea di Reggio Calabria che, nel tempo, ha aderito, partecipando attivamente, al network tematico della ricerca nell'ambito strategico dell'agroalimentare» –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali controlli sull'utilizzo dei riferiti finanziamenti siano stati effettuati dal Governo e che ruolo, nel concreto, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministero dello sviluppo economico abbiano avuto nel progetto sintetizzato nella nota della Fondazione Terina ricordata in premessa;
   quale attività di ricerca risulti essere stata svolta, da parte della Fondazione Terina, al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con quali ruoli di responsabilità di gestione di risorse pubbliche statali;
   quali iniziative di competenza, anche urgenti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito delle proprie competenze intenda assumere per garantire i diritti dei 41 lavoratori interessati. (4-13101)


   MINARDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto Censis ha rilevato, analizzando il sistema universitario italiano, come gli studenti universitari del Mezzogiorno del nostro Paese «fuggano» verso le regioni del Nord Italia. Infatti, nel 2013 ben 26 mila laureati si sono trasferiti nelle regioni centrosettentrionali (l'età media di questa componente era di poco inferiore a 34 anni) mentre, nel 2008, erano stati 19 mila (l'età media si attestava sui 31 anni). Sempre nel 2013 altri 5 mila laureati hanno lasciato il Sud per trasferirsi all'estero;
   in un anno, pertanto, secondo il rapporto dei Censis 31 mila laureati hanno deciso di lavorare all'estero portando la loro competenza e la loro professionalità acquisita nel proprio territorio di origine in Stati esteri;
   ciò determina un effetto economico e sociale negativo per il nostro Mezzogiorno che perde giovani talenti costretti a emigrare, come detto al Nord o all'estero;
   il Censis nel suo rapporto individua, anche, come l'emigrazione dei giovani laureati del Sud, comporti una perdita, nel 2013, di circa 540 milioni di mancato ritorno per l'investimento realizzato dalle istituzioni pubbliche per gli anni necessari a completare il ciclo di istruzione da parte degli studenti. Mentre, con riferimento ai 26 mila laureati meridionali che oggi vivono nel Centro-Nord, l'impatto economico può essere valutato in poco più di 2,8 miliardi di euro;
   diventa, pertanto, fondamentale intervenire per favorire la crescita del sistema universitario del Sud del nostro Paese in modo che aumenti il grado di attrattività degli stessi atenei;
   sotto quest'ultimo profilo andrebbe sviluppata una strategia che permetta un raccordo tra università-enti di ricerca ed aziende in modo da non disperdere l'ottimo capitale umano che oggi si laurea nelle università del Mezzogiorno;
   occorre, pertanto, agire per offrire opportunità di lavoro in quei territori del Sud che hanno contribuito a formare un capitale potenzialmente strategico per il futuro del nostro Paese;
   risulta, altresì, fondamentale attivare la piena operabilità dei fondi strutturali in modo che gli stessi contribuiscano a favorire la crescita socio-economica delle regioni meridionali e, nello stesso tempo, delle università di quei territori –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere, oltre a quelle già adottate, per favorire la crescita delle università del Mezzogiorno;
   se non sia necessario adottare iniziative, per quanto di competenza, che possano favorire l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro attraverso un continuo e costante rapporto tra università e imprese;
   quali siano allo stato le risorse economiche dei fondi strutturali utilizzate dalle università del Sud;
   se non ritenga necessario intervenire per utilizzare nel modo migliore i strutturali per sviluppare la crescita delle imprese del Sud del nostro Paese investendo soprattutto in ricerca e capitale umano.
(4-13107)


   NESCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   sui quotidiano «Gazzetta del Sud» del 4 aprile 2016, in un ruolo pubblicato alla pagina 17 si fa riferimento alla vicenda di un bimbo escluso dalla gita per un profilattico;
   nella riferita pagina si legge di un «alunno 12enne di una scuola del soveratese punito e umiliato davanti a tutti», con conseguente denuncia dai genitori «ai carabinieri»;
   in data 9 aprile 2016, durante la trasmissione «Che fuori tempo che fa», in onda in prima serata su Rai Tre, il conduttore Fabio Fazio e il (giornalista Massimo Gramellini hanno commentato il caso di cui sopra, di una scuola di Soverato (Cz) che ha negato il viaggio di istruzione a uno studente perché durante la gita dell'anno precedente ragazzino di undici anni era stato trovato in possesso di un preservativo, peraltro, ancora sigillato;
   tale vicenda ha suscitato clamore mediatico a livello nazionale, a seguito della pubblicazione di numerosi articoli e notte diffuse dai media;
   l'episodio descritto dalla stampa è accaduto presso l'Istituto Comprensivo «Ugo Foscolo» di Suverato (Cz), rappresentato dal dirigente scolastico pro tempore, professore Domenico A. Servello;
   in rata 26 marzo 2016, i genitori dello stesso minore ricevevano lettera raccomandata, a firma del dirigente scolastico, avente ad oggetto formale comunicazione di irrogazione di una sanzione disciplinare adottata dal consiglio di classe nei confronti del proprio figlio, implicante l'esclusione dello studente dal viaggio di istruzione in Campania dal 7 aprile 2016 e all'11 aprile 2016, senza specificarne le ragioni di fatto e di diritto a base della decisione;
   gli interroganti hanno potuto apprendere, come poi confermato dal dirigente scolastico, in una nota pubblicata sulla testata web «ildispaccio.it», che la reale motivazione della predetta sanzione era legata a un fatto accaduto durante il viaggio di istruzione dello scorso anno scolastico, consistito nell'aver trovato lo studente in possesso di un profilattico completamente sigillato, per il quale, tra l'altro, già nel mese di aprile 2015, genitori e dirigente scolastico, di concerto, avevano irrogato una «punizione» nei confronti dello studente, consistita nel sequestro del cellulare per oltre un mese;
   avverso il suddetto provvedimento disciplinari, in data 1° aprile 2016, è stato proposto ricorso amministrativo al dirigente scolastico;
   nelle more della decisione del ricorso è stato richiesto l'intervento del Garante per l'infanzia e l'adolescenza, nella persona di Marilina Intrieri, che però non ha assunto iniziative di competenza;
   in data 3 aprile 2016, i genitori del minore sporgevano querela, per il reato abuso dei mezzi di correzione o disciplina, nei confronti del dirigente scolastico e dei suoi collaboratori;
   in quella sede, gli stessi apprendevano la notizia che il dirigente aveva richiesto per iscritto l'intervento di forza pubblica – per il giorno 7 aprile 2016, alle ore 06.45 (orario di partenza previsto per il viaggio di istruzione) – contestualmente comunicando ai genitori che non era autorizzata la partenza del minore, circostanza questa comprovata da una nota pervenuta ai genitori;
   in data 6 aprile 2016, il dirigente finte scolastico rigettava il ricorso eccependo l'irricevibilità in fatto e in diritto dello stesso sulla scorta delle osservazioni: «a) L'atto a cui si fa riferimento prot. 00011/RIS non è un decreto bensì una semplice comunicazione; b) il decreto di provvedimento disciplinare emanato in data 26 maggio 2015 prot. n. 1910/C27, in seguito alla delibera del Consiglio di Classe del 25 maggio 2015, andava impugnato entro 15 giorni ricorrendo all'Organo di Garanzia Interno»;
   come noto, nessuna disposizione normativa vigente nell'ordinamento giuridico italiano prevede l'istituto del «decreto di provvedimento disciplinare», di conseguenza dallo scritto emergerebbe per gli interrogati una non conoscenza da parte del dirigente scolastico dell'IC «U.Foscolo» di Soverato della specifica materia, che, ad avviso degli interroganti, sarebbe una carenza incompatibile con il ruolo ricoperto;
   per gli interroganti risulterebbe palese la sproporzione tra la sanzione irrogata e il fatto contestato, mostrando la condotta posta in essere dall'istituzione scolastica esclusivamente scopo vessatorio e non educativo, di punizione esemplare tesa a colpire l'interiorità dell'alunno;
   l'Organizzazione mondiale della sanità raccomanda di diffondere il più possibile l'informazione sulla sessualità nelle scuole;
   il caso riassunto evidenzia quanto sia urgente una seria azione educativa e di sensibilizzazione su tematiche di educazione sessuale, pari opportunità e non discriminazione nelle scuole, un simile provvedimento entrando, inoltre, in aperto contrasto persino con l'ultima campagna di prevenzione dell'Aids promossa dal Ministero della Salute «Uniti contro l'Aids», che raccomanda l'uso dei preservativo;
   la vicenda in esame rischia di aumentare i pregiudizi sulla sessualità, finendo per insegnare ai minori che essa è motivo di mortificazione e discriminazione –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti;
   quali iniziative urgenti di competenza, anche di carattere ispettivo, intenda assumere per accertare i gravi fatti riassunti, con particolare riguardo al comportamento tenuto dal dirigente scolastico;
   quali iniziative intenda assumere, nella fattispecie e in generale, per favorire un'efficace azione educativa in tema di sessualità, pari opportunità e non discriminazione, anche al fine di evitare che nella scuola dell'obbligo vi siano, come sembra dimostrare la vicenda ricordata, gravi condizionamenti psicologici individuali nel percorso formativo che ai minori lo Stato deve garantire per specifico obbligo costituzionale. (4-13110)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   GINEFRA, VICO e PELILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 novembre 2015 intorno alle nove un operaio di un'impresa esterna, che opera in un'area assegnata da Ilva alla ditta «Pitrelli» presso lo stabilimento di Taranto, è rimasto coinvolto in un infortunio mortale;
   Cosimo Martucci, questo il suo nome, 48 anni, dipendente della ditta «Pitrelli», era impegnato nel trasporto di tratti di una condotta che, durante le operazioni di movimentazione svolte all'interno dell'area di cantiere assegnata all'impresa esterna — per cause ancora in fase di accertamento — lo avrebbero colpito provocandone il decesso;
   l'Ilva ha aperto un'inchiesta per accertare eventuali responsabilità e cautelativamente ha sospeso le attività del cantiere in cui operava l'impresa in attesa di chiarimenti su quanto accaduto;
   l'operaio pare sia morto poco dopo l'arrivo dell'ambulanza. Personale dello Spesal (servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) dell'azienda sanitaria locale, da quanto si apprende, starebbe raccogliendo informazioni per stabilire le cause dell'incidente –:
   se sia stato informato di tale luttuoso evento;
   quali iniziative di competenza intenda promuovere affinché sia garantito il diritto alla sicurezza per i lavoratori che prestano il loro servizio alle dipendenze dirette dell'azienda, nonché per quelli che operano al servizio di società esterne. (3-02241)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PORTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'elevato tasso di inflazione e la crescente sopravalutazione del tasso di cambio reale del bolivar in Venezuela hanno avuto oramai da più di un anno come conseguenza connessa la revoca da parte dell'Inps di tutte le prestazioni non contributive erogate a migliaia di pensionati italiani residenti nel Paese latinoamericano;
   i pensionati italiani in Venezuela sono alle prese con il dramma delle pensioni italiane, sulle quali facevano affidamento per la mera sopravvivenza, quasi azzerate, e con i conseguenti e gravi disagi economici ed umani in un Paese che sta attraversando una angosciosa crisi sociale ed economica;
   la comunità italiana in Venezuela chiede da tempo alle Stato italiano di considerare una priorità l'adozione di un sistema di cambio per le pensioni pagate in Venezuela che non penalizzi i pensionati italiani ivi residenti e che tenga conto del reale potere d'acquisto del bolivar, delle pensioni venezuelane artificialmente rivalutate negli ultimi anni dal Governo venezuelano e dell'elevato tasso di inflazione, anch'esso causa di una crescente sopravvalutazione del tasso di cambio reale;
   è quindi necessaria e impellente una manifestazione di responsabilità e solidarietà da parte del Governo italiano che non può e non deve ignorare le istanze di aiuto e di giustizia che giungono dalla comunità di pensionati in Venezuela;
   giova ricordare che le pensioni pagate in Venezuela sono diminuite da 6.096 euro nel 2010 a 4.713 euro nel 2014, e continuano a diminuire sia nel numero che nell'importo, per un risparmio da parte dell'Inps di circa 15 milioni di euro in pochi anni; sono senz'altro presenti quindi i margini non solo umani ma anche economici per venire incontro alle legittime richieste dei connazionali residenti in quel Paese;
   i Ministeri competenti — lavoro, affari esteri e della cooperazione internazionale, economia e finanze — con il supporto tecnico dell'Inps, hanno avviato da alcuni mesi una verifica e una valutazione sulla possibilità di cercare e trovare una soluzione tecnica (ma fino ad ora senza risultati concreti) e prendere in considerazione, ai fini della stima del reddito dei pensionati interessati, la valuta del cambio parallelo fluttuante (attualmente definita Divisas Complementarias DICOM) anziché quella del cambio ufficiale (attualmente definita Divisas Protegidas DIPRO), ipotesi che verrebbe, sebbene solo in parte, incontro alle richieste dei connazionali –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere per dare un segnale di solidarietà e di attenzione, e quindi una risposta urgente, definitiva e soprattutto positiva, alle drammatiche istanze dei pensionati italiani residenti in Venezuela, considerato che i costi dell'adozione del cambio parallelo, ai fini del ripristino delle prestazioni non contributive agli aventi diritto, non comporterebbe per lo Stato italiano un onere eccessivo e rafforzerebbe i già ottimi rapporti politici, economici, sociali ed umani dell'Italia con il Paese latinoamericano. (5-08597)


   PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società « Meridiana Maintenance» nasce il 1 marzo 2010 dall'unione delle attività di manutenzione delle compagnie aeree «Meridiana» ed «Eurofly»;
   la struttura organizzativa di suddetta società è basata su cinque dipartimenti chiave. Fra questi uno è quello della «manutenzione» ed offre servizi – come si apprende anche dal sito internet della azienda stessa – di manutenzione di linea e di base per aeromobili MD-80, B717 e Airbus della famiglia A320; manutenzione di base per Boeing 737 e Airbus A330; manutenzione di linea per gli aeromobili privati che atterrano all'aeroporto OLBIA Costa Smeralda (LIEO) – 40o54N 9o31E;
   tale dipartimento consta di 291 operai specializzati direttamente impiegati, con retribuzioni fra i 1100 ed i 1800 euro – fra i più bassi a livello europeo – nonostante l'alta professionalità dimostrata negli anni (e come tale riconosciuta dalla stessa azienda) in un settore così sensibile per la sicurezza dei velivoli;
   nonostante la solidità della azienda, che fra le altre cose il 27 maggio 20,15 ha firmato un accordo di partenariato con il distretto aerospaziale della Sardegna tramite l'amministratore delegato Ivano Pippobello, nel marzo del 2016 è stato avanzato il licenziamento di 75 operai sui 291 complessivi;
   come «contropartita» per evitare tale licenziamento, da parte dell'amministratore delegato è stato proposto un adeguamento al ribasso delle condizioni contrattuali (conversione del contratto ad otto mesi), prontamente rifiutato dai rappresentanti dei lavoratori;
   da quel momento in poi, ogni forma di interazione e trattativa fra le parti è stata interrotta dalla dirigenza. Ad oggi, i 291 operai sono al 16esimo giorno consecutivo di sciopero dinanzi ai cancelli dell’hangar di Olbia;
   i licenziamenti, così come la richiesta di abbassamento delle tutele contrattuali, risultano inspiegabili. Come più volte ripetuto dagli operai stessi, l'azienda gode di ottima salute. Nello specifico, oltre alla manutenzione dei velivoli Meridiana, provengono diverse richieste di commesse esterne, reiteratamente rifiutate dalla dirigenza della Maintenance spa;
   l'azienda risulta oltremodo essere in carenza di organico – in riferimento alla attività di manutenzione – dato che diverse volte è dovuta ricorrere all'utilizzo di consulenti esterni (con costi di molto superiori a quelli dei lavoratori interni) per evadere le richieste;
   la specializzazione e l'esperienza accumulata negli anni dai sopra citati operai è una eccellenza da salvaguardare anche rapportata alla sensibilità – e minuziosità – del lavoro richiesto, da cui dipende in gran parte la sicurezza di centinaia di voli;
   la vertenza «Meridiana Maintenance» si aggiunge a quella più generale della compagnia aerea «Meridiana Fly» (che vede a rischio oltre mille esuberi). Gli interroganti, a tal proposito, ritengono che il piano di ristrutturazione aziendale non possa essere concepito operando risparmi sulla sicurezza dei voli, mettendo così a rischio i passeggeri, in particolar modo in uno scalo frequentatissimo come quello di Olbia «Costa Smeralda»;
   sempre ad avviso degli interroganti, l'ingiustificata richiesta di licenziamento di 75 operai inoltrata dall'amministratore delegato Pippobello sarebbe l'anticamera del futuro smantellamento dell'intero comparto occupante 291 lavoratori –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione determinatasi ad Olbia;
   se non ritenga di intervenire, per quanto di competenza, per chiedere garanzie all'amministratore delegato di «Meridiana Maintenance»;
   se non intenda adoperarsi, per quanto di competenza, al fine di salvaguardare le 75 posizioni lavorative in via di licenziamento. (5-08598)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARTELLI, AIRAUDO, PLACIDO, MELILLA, FRANCO BORDO, RICCIATTI, CARLO GALLI, PANNARALE, FAVA, D'ATTORRE, FASSINA, COSTANTINO, NICCHI e SANNICANDRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, nell'agro Pontino, territorio a tradizionale vocazione agricola, è notevolmente cresciuto il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori agricoli, segnando livelli allarmanti per la sua diffusione e determinando un destino tragico che accomuna migliaia di persone in diverse zone del Paese, tutte legate ad un totale sfruttamento della vita umana;
   dal 2009 in poi, la Flai Cgil, insieme alle associazioni operanti sul territorio, quali Libera, Parsec e In Migrazione, ha, a più riprese, cercato di squarciare il velo di omertà che copre questo settore molto importante per l'economia della provincia di Latina, denunciando il sotto salario, le forme di sfruttamento e il mercimonio dei permessi di soggiorno;
   circa un anno fa è stato siglato un accordo tra i sindacati dei lavoratori agricoli e la questura di Latina per la segnalazione di situazioni di sfruttamento ed è stata istituita una task force, che vede la presenza della regione Lazio, con il compito di monitorare questi fenomeni;
   tali strumenti di monitoraggio attivati, seppur efficaci sul piano teorico, hanno la necessità di sviluppare azioni concrete, nel più breve tempo possibile e con uno sforzo che dovrà restituire a quel territorio dignità e legalità;
   oggi si segnala che sono gli stessi operai agricoli/indiani (Sikh) che hanno iniziato a prendere coscienza della situazione e sono iniziati i primi presidi all'esterno delle aziende, le prime pacifiche manifestazioni, per ottenere i propri diritti anche in termini di retribuzioni giuste, condizioni lavorative decenti e il riconoscimento del reale numero di giornate lavorate, poiché è molto diffusa la pratica dell'evasione contributiva;
   in questi ultimi anni, grazie alle pressioni sulle imprese, sono aumentate le giornate dichiarate presso l'INPS, a dimostrazione del fatto che, molto probabilmente, alcune di esse hanno denunciato giornate che prima venivano invece corrisposte «in nero» ai lavoratori;
   nell'area a sud della provincia tra Latina e Fondi e più precisamente nell'area tra Sezze, Pontinia, Sabaudia e Terracina, le aziende hanno, di fatto «normalizzato» le retribuzioni degli operai agricoli stranieri, adottando una retribuzione tra i 3 e i 4 euro l'ora, che corrisponde a meno della metà della paga contrattuale lorda, costringendo, inoltre, i lavoratori ad orari di lavoro massacranti che spesso superano anche le 10-12 ore al giorno;
   nella provincia di Latina operano 9000 aziende agricole; l'esiguità dei controlli da parte degli organi ispettivi e le difficoltà a reperire denunce da parte dei lavoratori, fortemente ricattati dai caporali e spesso dagli stessi imprenditori, non hanno, purtroppo, consentito di smantellare questo «sistema», che a volte sembra essere emanazione di una vera e propria forma di organizzazione radicata sul territorio;
   il 18 aprile 2016 i lavoratori agricoli appartenenti alla comunità indiana (oltre duemila Sikh) hanno manifestato a Latina e aderito allo sciopero proclamato dalla FLAI Cgil insieme a molti altri che sono rimasti nelle zone di residenza, affiancati dalle associazioni In Migrazione e Libera, per chiedere il rispetto del contratto di lavoro;
   lo sciopero si è reso necessario per aprire una vertenza provinciale sul lavoro in agricoltura, ormai non più procrastinabile, e che va affrontata con determinazione per evitare ulteriori problemi che potrebbero sfociare in una vertenza sociale più ampia e di difficile soluzione;
   i contenuti e le proposte alla base dello sciopero del 18 aprile 2016, sono stati rappresentati al prefetto nell'incontro avuto in occasione della citata iniziativa;
   in particolare, il sindacato, i lavoratori e le associazioni hanno evidenziato le seguenti criticità: mancata applicazione contrattuale e una retribuzione fortemente al di sotto del contratto collettivo nazionale di lavoro e del contratto provinciale di lavoro; orario di lavoro non dichiarato; orario di lavoro eccedente l'orario contrattuale; obbligo, in capo ai lavoratori, in alcuni casi, della restituzione del 50 per cento dei contributi previdenziali; mancato versamento delle giornate lavorate «in nero»; mancata erogazione del trattamento di fine rapporto; mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e mancanza di dotazione dei dispositivi di sicurezza individuali; mancato versamento dei contributi per le giornate effettivamente lavorate in più all'INPS, da parte delle imprese; mancato pagamento delle tasse sui redditi da lavoro non dichiarati dalle imprese; mancato pagamento dei premi INAIL per gli infortuni sul lavoro; mancato versamento da parte delle imprese dei contributi presso l'Ente bilaterale agricolo, obbligo contrattuale per il quale ai lavoratori agricoli vengono riconosciute delle indennità integrative di welfare –:
   se sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   se non ritenga necessario e improrogabile intensificare le attività di controllo, al fine di contrastare i fenomeni di illegalità descritti, sia nell'Agro pontino che in tutte le aree a forte vocazione agricola, contrastando in questo modo il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori agricoli, che sta segnando livelli allarmanti per la sua diffusione in diverse zone del Paese;
   se sia in grado di fornire dati nazionali aggiornati relativi al fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori agricoli, nonché sulle attività di controllo svolte e sui loro esiti. (4-13089)


   LAVAGNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Terzo valico è una nuova linea ad alta capacità veloce che consente di potenziare i collegamenti del sistema portuale ligure con le principali linee ferroviarie del Nord Italia e con il resto d'Europa;
   l'opera si inserisce nel corridoio Reno – Alpi, che è uno dei corridoi della rete strategica transeuropea di trasporto (TEN-T core network) che collega le regioni europee più densamente popolate e a maggior vocazione industriale;
   in coerenza con la strategia di privilegiare modalità di trasporto ecosostenibili, ribadita recentemente dall'Unione europea con l'Iniziativa Faro (COM (2011) 21), l'opera consentirà di trasferire quote consistenti di traffico merci dalla strada alla rotaia (in alternativa «dai camion al treno»), con vantaggi per l'ambiente, la sicurezza e il sociale;
   il COCIV, il Consorzio Collegamenti integrati veloci, è un consorzio nato nel 1991 a cui è affidata la progettazione e la realizzazione della linea ferroviaria AV/AC (alta velocità e alta capacità) della linea Milano Genova Terzo Valico dei Giovi;
   nella giornata del 2 maggio, circa 50 operai del Cociv del cantiere di Moriassi, ad Arquata Scrivia, in provincia di Alessandria, hanno bloccato di fatto i lavori di costruzione della galleria e del terrapieno del Terzo valico annunciano tre giorni di sciopero;
   allo sciopero hanno aderito i anche i cantieri di Castagnola, a Fraconalto, Voltaggio e Novi,
   la protesta degli operai è legata alla sicurezza, al salario e all'assenza di una doccia nei cantieri;
   infatti, il container con le docce c’è ma purtroppo non è utilizzabile: i lavoratori sono costretti ai ricorrere all'acqua del rio che passa all'interno del cantiere scendendo lungo il pendio, dopo aver lavorato in galleria tutta la giornata;
   secondo i sindacati e i lavoratori il sistema di depurazione delle acque che escono dalla galleria non è attivato. L'impianto è installato ma finora gli scarichi dalla galleria non vengono depurati;
   inoltre, ad allarmare gli operai sono soprattutto le condizioni di sicurezza dentro la galleria. Il tunnel è iniziato nei mesi scorsi in direzione Radimero: durante i lavori, si dovrebbe scavare lasciando lo spazio per i soccorsi, invece non c’è alcuna via di fuga. All'esterno non c’è alcun presidio per il primo soccorso, in caso di incidente;
   i rappresentanti sindacali, lamentando il mancato coinvolgimento da parte del commissario su organi di stampa rispetto alla situazione dei lavoratori, hanno dichiarato che gli operai lavorano in turni da dodici ore e che senza condizioni di sicurezza prima o poi ci scappa il morto –:
   se il Governo sia informato dei fatti esposti in premessa e se non intenda intraprendere iniziative, alla luce di quanto sopra espresso, per verificare le condizioni di sicurezza dei lavori nei cantieri interessati alla costruzione dell'opera del Terzo valico dei Giovi e per attivare il sistema di depurazione delle acque che escono dalla galleria. (4-13105)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroscalo di Bologna, settimo in Italia per traffico passeggeri 2015, è gestito dalla società Aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna s.p.a. Dal luglio 2015 la società è quotata alla borsa di Milano e vede fra i propri maggiori azionisti la camera di commercio di Bologna con il 37,6 per cento e F21 Sgr con il 6,9 per cento, oltre che con quote minori il comune di Bologna e la regione Emilia Romagna. La società ha chiuso il consolidato di gruppo 2015 con ricavi in aumento del 4,2 per cento pari a 80,1 milioni di euro e utile netto in crescita del 1,9 per cento pari a 7,1 milioni di euro;
   nei giorni scorsi si è concluso il rinnovo della gara d'appalto per il servizio di controllo delle carte di imbarco, evidentemente sensibile anche sotto il profilo della pubblica sicurezza. La ditta precedentemente incaricata, la ISSV, non si è aggiudicata il rinnovo, che interessava 11 lavoratrici e 1 lavoratore di età media 30 anni;
   essa applicava uno dei contratti «servizi fiduciari», che prevedeva una paga oraria lorda di 6,19 euro per 40 ore settimanali, oltre a garantire la clausola sociale in caso di cambio d'appalto;
   la ditta subentrante, Fenice Control srl, propone agli addetti un contratto per dipendenti di proprietari di fabbricati, con riduzione della paga a 5,48 euro lordi e 45 ore di full time settimanale, oltre ad escludere la clausola sociale e a non prevedere le mansioni relative su servizi aeroportuali oggetto di gara;
   tale situazione ha determinato un'immediata vertenza in cui Fenice Control srl ha dapprima offerto l'assunzione di 7 lavoratori, salvo poi aprire a tutti i 12, ma solo in caso di dimissioni dall'azienda precedente ed accettando un contratto a termine con scadenza ottobre 2016 con un'eventuale conferma, così da potere godere degli sgravi contributivi garantiti dalla legge a chi assuma con contratti a tutele crescenti a giudizio dell'interrogante in modo strumentale;
   issv, in questo quadro, al momento non intende procedere al licenziamento per giusta causa dei lavoratori, ma non garantisce continuità lavorativa dato che ha perso l'appalto;
   i lavoratori rifiutano di dimettersi; in questo modo perderebbero anche il requisito di accesso alla «Naspi», e invocano la clausola sociale prevista dal contratto in essere che dovrebbe garantire loro continuità occupazionale;
   la società appaltatrice, chiamata in causa dalle organizzazioni sindacali, rifiuterebbe qualsiasi coinvolgimento, invocando la correttezza formale della gara d'appalto e la libertà di organizzazione delle ditte appaltanti –:
   se non ritengano di dover assumere ogni iniziativa di competenza per evitare abusi della normativa sugli sgravi contributivi per i nuovi assunti; se non ritengano di dover assumere iniziative di competenza per verificare il rispetto della corrispondenza fra mansioni svolte e inquadramento contrattuale, vista la peculiarità del luogo di lavoro di cui in premessa;
   se non ritengano che la sicurezza in luoghi sensibili come gli aeroporti, nella attuale contingenza internazionale, non passi anche per la tutela dei diritti dei lavoratori, a partire da quello alla continuità del posto di lavoro e ad un corretto inquadramento, che mal si coniugano con il cambio del personale in caso di discontinuità nella ditta appaltante. (4-13108)


   MARCON. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei primi giorni del 2016 la Damiani, società nota nel campo del lusso e dell'oreficeria, ha raggiunto l'accordo per l'acquisizione della quota di maggioranza del capitale sociale dell'azienda Venini, nota e più importante azienda produttrice di vetreria artistica di Venezia;
   da parte di molti, specialmente dei lavoratori Venini, è stato contestato alla proprietà il fatto che la Damiani è una società che si occupa di commercio di preziosi oreficeria e opere di vetreria artistica, non della loro produzione. Tale argomentazione è stata posta, a quanto consta all'interrogazione, perché si è voluto sottolineare il rischio che l'acquisizione di Venini potesse essere finalizzata all'ottenimento di un marchio pregiato del quale poi operare una delocalizzazione, nonché esternalizzazione della produzione;
   in risposta a tali contestazioni Giancarlo Chimento, presidente e socio di Venini, aveva dichiarato: «La famiglia Damiani è il partner giusto: i valori comuni, la conoscenza del mondo del lusso e l'essere ambasciatore della migliore tradizione orafa made in Italy nel mondo garantiranno un sicuro sviluppo e una crescita della società anche a livello internazionale»;
   a rafforzamento di tale dichiarazione ne sono seguite numerose altre anche da parte della proprietà della Venini, con le quali si è fatto intendere ai lavoratori dell'azienda medesima nonché all'opinione pubblica che l'acquisizione avrebbe rappresentato una preziosa occasione di sviluppo e crescita della società, intesa anche e soprattutto come possibilità di nuovi investimenti e rilancio, o per lo meno di conservazione, dei livelli dell'occupazione;
   già prima della fine di gennaio 2016, in totale controtendenza con le dichiarazioni precedentemente riportate, l'azienda ha manifestato l'esigenza di un taglio del personale. Il dottor Giuseppe Viola della Damiani aveva convocato 14 lavoratori Venini per proporre un accordo con indennità di uscita in mobilità volontaria. Trattandosi di lavoratori ben distanti dall'età pensionabile, i rappresentanti dei lavoratori respingevano la proposta e gli stessi dipendenti, chiamati ad esprimersi sulla questione, bocciavano la proposta di mobilità, ricordando all'azienda che, per altri due anni, avrebbe potuto ricorrere agli ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni straordinaria e contratti di solidarietà);
   il 22 marzo 2016, viene quindi nominato il nuovo consiglio di amministrazione dell'azienda ed il nuovo amministratore delegato, il già citato Giuseppe Viola, il quale procede immediatamente a licenziare per «giustificato motivo oggettivo», 4 lavoratori con un atto del tutto unilaterale, senza nemmeno consultare la rappresentanza sindacale unitaria;
   risulta all'interrogante poi particolarmente inquietante il fatto che i lavoratori licenziati fossero attivi e convinti sostenitori del sindacato e uno su tutti, Gianni Foffano, rappresentante della rappresentanza sindacale unitaria di fabbrica e storico esponente dell'organizzazione sindacale Cgil –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati circa la vicenda esposta in premessa, e come si concilino le scelte coperte dall'azienda sopra richiamata, con la normativa in materia di tutela dei diritti dei lavoratori a partecipare ad attività sindacali;
   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per tutelare il diritto al lavoro ed all'attività sindacale dei lavoratori licenziati;
   come intendano difendere i poli di produzione ad alto coefficiente qualitativo ed artistico, specificamente legati al territorio ed alla loro tradizione, come quella in argomento;
   quali iniziative di competenza intendano assumere per arginare la dilagante tendenza all'esternalizzazione «selvaggia» nonché alla delocalizzazione, ormai assunte dalle proprietà aziendali come una vera e propria politica per l'incremento dei capitali, a scapito dei lavoratori e dell'occupazione. (4-13113)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta orale:


   FREGOLENT. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2014 il settore fitosanitario regionale del Piemonte, in collaborazione con l'Ente di gestione delle aree protette del Ticino e del lago Maggiore, ha predisposto un piano di monitoraggio del Popillia japonica, un pericoloso fitofago, al fine di verificare l'area interessata dall'infestazione;
   sono state rinvenute intere colonie dell'insetto nei comuni del Piemonte e la Lombardia quali Pombia, Marmo Ticino, Oleggio, Bellinzago, Cameri e Galliate, in provincia di Novara, su diverse essenze vegetali, quali olmo, pioppo, vite, nocciolo, gelso, quercia, soia, pomodoro, iperico, rovo, ortica, luppolo, rosa canina e malva;
   il Popillia japonica, conosciuto come coleottero scarabeide del Giappone, è un insetto esotico originario del Giappone, caratterizzato da una spiccata polifagia;
   i danni che produce alle colture sono costituiti da erosioni a carico delle foglie, dei fiori e dei frutti, mentre le larve si nutrono delle radici, preferibilmente di graminacee, costituendo un ennesimo attacco all'ecosistema;
   il focolaio è in una delle aree agricole più importanti del Paese dove si producono cereali per il consumo umano e per la zootecnia, oltre che vini, fiori e frutta e rappresenta un'altra grave problematica fitosanitaria, paragonabile per importanza alla crisi provocata dalla Xilella fastidiosa in Salento, mettendo a rischio anche la commercializzazione dei prodotti vivaistici per i quali l'Unione europea potrebbe imporre il blocco della commercializzazione delle zone colpite;
   il problema non riguarda quindi solo il Piemonte e la Lombardia, ma assume dimensioni nazionali in considerazione della velocità di propagazione del contagio;
   il piano di contrasto predisposto da Piemonte e Lombardia è quantificabile in alcuni milione di euro per i prossimi tre anni per i quali diventa indispensabile reperire rapidamente risorse per sostenere sia i costi diretti per le attività di contenimento della diffusione dell'insetto, che per rimborsi ai produttori a compensazione dei danni subiti;
   il decreto-legge n. 51 del 2015, convertito dalla legge n. 91 del 2015, presenta anche «Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale»;
   nello specifico l'articolo 5 di tale decreto autorizza le aziende agricole, non coperte da polizze assicurative agevolate, a richiedere contributi compensativi a carico del Fondo di solidarietà nazionale in agricoltura qualora siano state colpite da infezioni di organismi nocivi ai vegetali negli anni 2013, 2014 e 2015 con priorità a quelle legate alla diffusione del batterio Xylella fastidiosa, del cinipide del castagno e della flavescenza dorata;
   per gli interventi a favore delle imprese danneggiate dalla diffusione del batterio della Xylella fastidiosa la dotazione del Fondo di solidarietà viene incrementata di 1 milione di euro per il 2015 e di 10 milioni di euro per il 2016 mentre gli interventi relativi alle altre fitopatologie è stata prevista un'integrazione del medesimo fondo per un importo di 10 milioni per il 2016 –:
   quali iniziative intenda assumere per contrastare con tempestività ed efficacia l'infezione causata dal fitofago Popillia japonica, prima che tale calamità assuma una rilevanza catastrofica in tutte le regioni del nostro Paese;
   se intenda assumere iniziative specifiche e prevedere stanziamenti economici mirati per indennizzare le aziende coinvolte;
   se non ritenga conseguentemente di assumere iniziative per inserire l'infestazione determinata dal Popillia japonica tra le infezioni degli organismi nocivi «prioritari» e previste dall'articolo 5 del decreto-legge n. 51 del 2015 citato in premessa.
(3-02239)


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 14 gennaio 2016 si svolgerà in seduta straordinaria, l'assemblea generale dell'Associazione italiana allevatori al fine di proporre delle modifiche al regolamento associativo nonché a diversi articoli dello statuto dell'ente;
   da alcune bozze circolanti della modifica dello statuto, in possesso degli interroganti, emerge, a parere degli stessi, una evidente tendenza a concentrare sull'Associazione tutta l'organizzazione, la gestione e di conseguenza i finanziamenti per i libri genealogici e i controlli funzionali;
   ai sensi della normativa vigente l'attività di miglioramento, selezione e valorizzazione del bestiame è attribuita, in regime di monopolio, all'Associazione italiana allevatori (AIA), alle associazioni di razza o specie (ANA) ed alle associazioni territoriali (ARA ed APA) ad essa aderenti;
   nel rispetto degli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in concorso e con l'intesa delle amministrazioni interessate, stabilisce annualmente l'ammontare della contribuzione;
   i richiamati orientamenti europei definiscono le percentuali massime dei contributi pubblici alle attività di miglioramento genetico nei limiti percentuali del 100 per cento per le attività di Libro genealogico e registro anagrafico e del 70 per cento per le attività di controllo funzionale, del 40 per cento per investimenti in centri per la riproduzione animale e del 30 per cento a copertura dei costi di mantenimento dei riproduttori maschi di elevata qualità genetica –:
   se sia a conoscenza delle modifiche statutarie dell'Associazione, italiana allevatori in premessa e se, in base al loro contenuto, non ritenga possano causare uno sbilanciamento della distribuzione dei finanziamenti per libri genealogici e i controlli funzionali in favore della stessa associazione, avallando di fatto una gestione ancor più monopolistica di tale importante attività e contravvenendo a quanto previsto dagli orientamenti comunitari. (3-02240)


   BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   su proposta della Commissione europea, il Parlamento e il Consiglio il 17 settembre 2015 hanno adottato una proposta di regolamento volta a sostenere la ripresa economica della Tunisia, interessata da una forte instabilità politica, attraverso l'adozione di una, misura commerciale autonoma che autorizza il paese nordafricano ad esportare senza dazio, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, ulteriori 35.000 tonnellate di olio extravergine di oliva in aggiunta alla quota già fissata dall'accordo euro mediterraneo, di 56.700 tonnellate: una quantità pari a metà della produzione tunisina e poco meno di un terzo di quella italiana;
   nei mesi scorsi la Commissione aveva deciso di eliminare la soglia mensile di esportazione del Paese magrebino. Così ha dichiarato Habib Essid: «è grazie a questa misura che la Tunisia quest'anno ha potuto esportare per più di 1,5 miliardi di dinari (circa 700 milioni di euro, ndr), alleggerendo così i danni subiti dal settore turistico»;
   l'impatto che avrà l'importazione di questo prodotto sul mercato europeo, in particolare sulla olivicoltura italiana, sarà fortemente negativo ed andrà a peggiorare ancora di più la già critica situazione che attraversa tale comparto, in particolare nel Salento, a causa della epidemia provocata dal batterio Xylella, i cui danni sono ad oggi incalcolabili –:
   quale sia stata la posizione assunta dal Governo nel negoziato che ha portato ad adottare la proposta di regolamento e quale posizione intenda assumere nel corso dell'iter legislativo di approvazione;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che l'importazione di olio tunisino nelle modalità descritte in premessa danneggi i produttori di olio di oliva italiani;
   se il Governo non ritenga che, anche a seguito della crisi russo-ucraina e delle conseguenti sanzioni economiche imposte alla Russia, troppo spesso ormai gli interessi economici italiani, ed in particolare del settore agroalimentare, siano sacrificati per giustificare una politica estera europea che si articola esclusivamente su misure di carattere commerciale. (3-02244)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio 2016, la Commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo ha approvato la risoluzione per l'avvio di negoziati per un accordo di libero scambio tra l'Unione europea e la Tunisia (INTA/8/03886 2015/2791(RSP), con la quale, tra l'altro, si da parere favorevole alle conclusioni del Consiglio del 20 luglio 2015 e alla successiva proposta della Commissione del 17 settembre che raccomanda di offrire alla Tunisia un contingente tariffario senza dazio, temporaneo e unilaterale di 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione per un periodo di due anni;
   su tale risoluzione, nel mese di marzo 2016 la Commissione plenaria del Parlamento europeo dovrà esprimersi in modo definitivo;
   è certamente condivisibile l'intenzione della Commissione europea di sostenere l'economia tunisina ma sembra proprio che si voglia, a più riprese, smantellare il made in Italy;
   solo qualche settimana fa, a tal proposito, si è svolto a Bruxelles un incontro tra il Commissario all'agricoltura ed il Ministro interrogato per confrontarsi sul progetto di smantellare il sistema della doc, la denominazione di origine controllata, e delle docg, la denominazione di origine controllata e garantita, che praticamente proteggono moltissimi prodotti italiani e la metà circa dei vini italiani da tutte le imitazioni in giro per il mondo;
   ora la notizia che la Commissione europea propone di mettere a disposizione, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, con apertura a decorrere dall'esaurimento del già vigente contingente tariffario senza dazio di 56.700 tonnellate, iscritto nell'accordo di associazione euromediterraneo, un nuovo contingente tariffario senza dazio unilaterale di ulteriori 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione europea in aggiunta alle precedenti;
   la notizia dell'importazione senza dazio di olio tunisino ha logicamente scatenato le reazioni dei produttori italiani che vedono minacciate le vendite, temono un crollo delle quotazioni del prodotto nazionale e sono preoccupati che il prodotto tunisino, una volta giunto nei porti italiani, possa acquisire il via libera per essere commercializzato come made in Italy;
   niente di più facile viste le recenti notizie di cronaca inerenti il maxi sequestro avvenuto in Puglia di 7 mila tonnellate di extravergine nordafricano venduto poi come italiano;
   anche se la proposta di regolamento, al fine di prevenire frodi, contiene una serie di previsioni a cui dovrà attenersi la Tunisia ai fini della commercializzazione, in ordine all'origine del prodotto, ciò, comunque, non garantisce affatto che l'olio tunisino, una volta entrato nell'Unione europea, possa essere falsamente etichettato come olio di origine comunitaria se non addirittura di origine italiana e tale decisione si prospetta, dunque, un'ulteriore stangata nei confronti dei produttori agricoli italiani già alle prese con le emergenze causate da batteri e calamità naturali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di intraprendere, intervenendo nelle sedi opportune, affinché in sede di adozioni delle determinazioni di cui in premessa si pongano condizioni rigorose affinché l'olio tunisino, destinato all'importazione senza dazio, sia accompagnato da misure di tracciabilità e di commercializzazione che impediscano la possibilità che sia etichettato come made in Italy al fine di tutelare il settore olivicolo-oleario italiano la cui leadership è riconosciuta a livello internazionale.
(3-02245)


   FUCCI, DISTASO, ALTIERI, MARTI, CHIARELLI, CIRACÌ e PALESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 settembre 2015 la Commissione europea ha presentato una proposta volta a consentire l'accesso temporaneo supplementare di olio d'oliva tunisino nel mercato della Unione europea per sostenere la ripresa nell'attuale periodo di difficoltà in cui si trova il Paese nordafricano;
   questa decisione, come affermato dagli stessi operatori del settore, è grave per i produttori e per il mercato dell'olio extra vergine di oliva di qualità perché di fatto, alle 57 mila tonnellate già previste da un precedente accordo stipulato con la Tunisia, se ne aggiungeranno altre 35 mila tonnellate;
   questo scenario è a parere degli interroganti motivo di profonda preoccupazione in quanto gli effetti sull'olivicoltura italiana sarebbero disastrosi dal punto di vista economico, per la concorrenza sul mercato di un prodotto ad un prezzo inferiore e di qualità non eccellente, e i consumatori italiani potrebbero non essere sufficientemente informati sulla qualità e la provenienza dell'olio acquistato, soprattutto, attraverso i grandi marchi;
   i produttori di olio extra vergine di oliva vivono già oggi una stagione difficile, specialmente nel territorio straordinariamente fecondo del Salento alle prese ancora con il contagio del batterio «Xylella fastidiosa»;
   quanto sopra esposto va inoltre letto nel contesto più ampio di una politica europea che non tiene conto dei riflessi che certe iniziative possono avere sul piano economico, come dimostrato pochi mesi fa dalla diffida all'Italia per la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, un'altra eccellenza del made in Italy agroalimentare –:
   quali eventuali iniziative ritenga di assumere, nell'ambito dell'Unione europea, in merito a quanto esposto in premessa e a tutela di un'eccellenza italiana che rappresenta, al tempo stesso, un importante impulso a livello economico. (3-02247)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MINNUCCI e VENITTELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o marzo 2016, a quanto risulta agli interroganti, quattordici collaboratori del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, addetti al controllo e alla disciplina delle corse ippiche, sono stati esclusi, dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da qualsiasi incarico, trovandosi di fatto senza lavoro;
   infatti, con la delibera Prot. 11853 del 18 febbraio 2016, il direttore generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell'ippica (PQAI) ha emesso un provvedimento mediante il quale, a partire dal mese di marzo 2016, il ruolo di addetti al controllo disciplinare delle corse ippiche di trotto viene assegnato solo a funzionari rientranti nella Sezione IV prevista dall'articolo 5 del decreto ministeriale 11930/15;
   tale provvedimento, dunque, ha portato all'estromissione dal predetto incarico dei quattordici collaboratori sopra richiamati, molti dei quali hanno come unica fonte reddituale proprio tale collaborazione;
   inoltre, pur motivando tale provvedimento come risultanza di una politica di mantenimento dei costi, si è dato vita ad un sistema per cui i funzionari incaricati sono costretti a svolgere gli incarichi anche a centinaia di chilometri dalla propria città di residenza con un evidente aggravio di costi –:
   se il Ministro interrogato ritenga di intervenire sul caso sopra descritto, in primo luogo assumendo iniziative volte a valutare se il provvedimento Prot. 11853/2016 sia conforme alla normativa vigente e in caso contrario a promuovere la revoca o l'allontanamento, e in secondo luogo salvaguardando, comunque, la professionalità dei collaboratori del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali la cui situazione, ad oggi, è drammatica.
(5-08601)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ, PALESE, ALTIERI, LATRONICO, FUCCI, MARTI e DISTASO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unire – Unione nazionale incremento razze equine (ente di diritto pubblico di I livello sotto controllo e vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), fu istituita formalmente il 24 marzo 1942 con la legge n. 315 (cosiddetta legge Mangelli), con l'importante finalità di creare un sistema dalla duplice capacità e cioè, gestire e supportare l'allevamento ippico italiano (rappresentato non solo dalle razze da trotto e galoppo, ma anche dalle numerose ed altrettanto importanti razze equine autoctone presenti in Italia e particolarmente pregiate come per esempio l'Anglo Arabo e derivati), mediante intense attività di selezione e miglioramento genetico, sia provvedere alla gestione e controllo regolamentare del comparto agonistico delle manifestazioni ippiche e delle corse dei cavalli, in modo tale da finanziarsi autonomamente attraverso una propria rete di raccolta delle scommesse. Ciò ha permesso per quasi 70 anni di garantire un'adeguata governance dell'intero comparto senza pesare in alcun modo sulle casse dello Stato e comunque assicurare all'Erario adeguate risorse;
   all'Unire, infatti, spettava il controllo degli enti tecnici, ovvero dell'Encat per il trotto, il jockey Club per il galoppo, lo steeple-Chase per le corse ad ostacoli ed infine l'Enci, per il cavallo italiano, ovvero per quelle razze di cavalli meno noti al grande pubblico delle corse, ma altrettanto importanti e gloriose dell'intero allevamento nazionale (murgese, maremmano, persano, tolfettano halflinger, anglo arabo sardo, e altro);
   è bene ricordare che tutti questi enti vigilati dall'Unire, erano su base associativa e i rappresentanti potevano entrare di diritto con le associazioni degli allevatori e delle società di corsa, nel consiglio di amministrazione dell'ente stesso (il motto era l'Unire agli ippici);
   tale sistema organizzativo dell'Unire, voluto dal conte Orsino Mangelli, era mutuato dal sistema francese di «Oderzo», ancora validamente funzionante e, in definitiva l'ente, attraverso i delegati alla raccolta delle scommesse ippiche distribuiti sul territorio nazionale – agenzie ippiche (Snai) e grazie al sistema Sisal, poteva contare in proprio sulla diretta gestione economica della raccolta, distribuzione e pianificazione dell'attività d'istituto a cui era preposto (sostenere e migliorare l'allevamento equino nazionale, piani di selezione genetica, organizzazione delle corse, raccolta scommesse, riversamento all'erario della quota parte), tutto ciò sino quella che per gli interroganti è la scellerata legge n. 449 del 1999 che toglieva all'Unire il controllo nella raccolta e gestione delle scommesse e quindi il controllo del proprio patrimonio economico monetario;
   con la legge n. 111 del 15 luglio 2011, l'Unire viene soppressa e trasformata in Assi – Agenzia per lo sviluppo del settore ippico e che a sua volta, il 31 gennaio 2013, con decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e di concerto con il Dicastero dell'economia e delle finanze, provvide alla soppressione anche dell'Assi cosicché le funzioni, risorse materiali, strumentali e finanziarie, furono trasferite alla direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell'ippica costituita in seno al dipartimento delle politiche competitive, della qualità agroalimentare, ippiche e della pesca del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, come da decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2013 n. 105 di riorganizzazione ministeriale. Da allora, molte cose sono cambiate, certamente non in bene per gli interroganti, visto che è noto a tutti come la gestione unitaria dell'ippica italiana nelle mani del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, non sembra aver brillato assolutamente e forse le preoccupazioni degli operatori ippici sono giustificate, a parere degli interroganti, quando dichiarano che il settore è alla deriva, settore ricordiamolo che in passato tanto prestigio e gloria ha regalato all'allevamento italiano nei differenti ambiti delle discipline ippiche;
   l'ippica deve essere considerata a pieno titolo una attività «agrizootecnica», dove l'inizio della filiera produttiva-economica origina dai campi, dagli allevamenti ove le fattrici pascolano, partoriscono, producendo puledri (foals) e che, in seguito, verranno domati per essere avviati alle rispettive e specifiche attività agonistica o di morfologia. L'allevamento infatti, rappresenta il punto di partenza della filiera ippica: sono oltre 600.000 gli ettari di terreno impegnati in questo settore, terreni affatto marginali, ma che sono appieno utilizzati per la coltivazione di alimenti diretti agli animali (fieno, erba medica, insilati, paglia, e altro) e che in gran parte sono poi avviati anche alla trasformazione industriale per la produzione di mangimi, integratori e complementari (alimentazione indiretta per trasformazione industriale);
   l'attività allevatoriale equina è il fiore all'occhiello dell'agricoltura nazionale, con i propri prodotti che si affermano nelle più prestigiose competizioni e manifestazioni di tutto il mondo ed i terreni occupati ed impiegati nell'allevamento, rappresentano oltretutto la miglior risposta ai tentativi di cementificazione delle nostre campagne e alla salvaguardia dell'ecosistema e biodiversità. Da approfonditi studi di settore italiani ed europei, ogni cavallo destinato alle competizioni o alle manifestazioni ippiche – dalla nascita, alla carriera e fino alla morte – impiega 1,8 unità lavorative (calcolando sia la parte agricola che l'indotto). Pertanto, ogni cavallo che non viene fatto nascere (o viene eliminato) determina due posti di lavoro persi;
   in questi ultimi mesi l'attività parlamentare si è concentrata nelle sedi delle rispettive commissioni agricoltura, nell'individuare la migliore governance del settore ippico;
   occorre che gli enti operanti nel settore abbiano risorse economiche per funzionare, attraverso la raccolta delle scommesse del settore; per fare ciò, il Ministero dell'economia e delle finanze e l'amministrazione autonoma dei monopoli di stato, dovranno capacitarsi che i giochi ippici devono essere aiutati, promossi e gestiti con efficacia;
   al momento, non si conoscono quali saranno le sorti gestionali, gli aiuti economici indirizzati all'allevamento di altre razze equine da sella, egualmente importanti e gloriose come per esempio, quella dell'anglo-arabo e derivati;
   a detta dell'interrogante risulta palese che è necessario individuare l'ente o l'istituzione che dovrà farsi carico, di sostenere l'allevamento adeguatamente, così da garantire sia la gestione dei libri genealogici, che le biodiversità e l'economia rurale e reale di un intero comparto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda adottare nell'immediato per risolvere le questioni di cui sopra, la cui soluzione garantirebbe una maggiore e completa tutela dell'intero allevamento ippico nazionale, prevedendo che qualsiasi iniziativa normativa che verrà assunta abbia in prima considerazione il settore dell'allevamento equino per evitare l'abbandono del territorio, la fine di quel patrimonio genetico di eccellenza faticosamente raggiunto e la perdita di numerosi posti di lavoro. (4-13090)


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 5 maggio, a Roma, Bologna e Catanzaro si sono svolte manifestazioni nazionali promosse da Cia, Confagricoltura e Copagri, per protestare contro lo stallo istituzionale e ottenere interventi per fronteggiare le emergenze del settore agricoltura;
   le associazioni denunciano che dal 2000 a oggi hanno cessato l'attività più di 310 mila imprese e il numero salirà ancora vertiginosamente se non si affronteranno efficacemente i numerosi problemi che asfissiano il settore agricoltura: i ritardi nei pagamenti comunitari, la burocrazia opprimente, i prezzi all'origine in caduta libera e le vendite sottocosto, le incognite dell'embargo russo, gli investimenti bloccati, la difesa del made in Italy, la cementificazione del suolo, l'abbandono delle aree rurali, i danni da fauna selvatica;
   gli agricoltori, che attendono ancora i crediti loro spettanti e derivanti dalle risorse comunitarie della Pac 2015, a cui si aggiungono quelli a loro dovuti in seguito al successo ottenuto nei contenziosi del 2014, lamentano una mancata attenzione da parte del Governo verso un settore vitale del Paese, che impiega oltre 2 milioni di lavoratori, fattura con l'indotto oltre 300 miliardi di euro e, sui mercati stranieri, vanta un'attività di esportazione da record, grazie ai 37 miliardi di euro realizzati solo nell'ultimo anno;
   innovazione e sviluppo delle aziende agricole sono frenate anche perché da quindici anni il comparto è costretto a fronteggiare sempre i medesimi problemi e lo Stato, anziché risolverle, ci appare che complichi la situazione, a causa delle lungaggini della macchina amministrativa la quale fra ritardi, lungaggini, disservizi e inefficienze fa perdere all'agricoltura 4 miliardi di euro. Si afferma ciò perché ogni azienda, per svolgere agli obblighi e adempimenti burocratici, deve impiegare oltre 100 giornate di lavoro. A tutto ciò si aggiunge la questione relativa ad Agea, l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, che in molte parti d'Italia causa lunghi ritardi nei pagamenti e incide anche sui tempi di erogazione da parte degli organismi pagatori regionali;
   le aziende produttrici sono costrette ad accettare per i loro prodotti prezzi spesso miserevoli e infatti la forbice tra i prezzi all'origine a quelli al consumo è eccessiva. L'esempio delle arance è emblematico: agli agricoltori sono pagate il 40 per cento in meno di un anno fa, 18 centesimi al chilo, contro i 2 euro di costo al supermercato, con un rincaro del prezzo del prodotto dal campo alla tavola pari al 111 per cento;
   a questi annosi problemi si aggiunge l'embargo istituito dal Governo della Federazione Russa il 7 agosto 2014 e protratto fino al 5 agosto 2016 che vieta l'importazione di molti prodotti agricoli e agroalimentari provenienti dall'Italia e che, rispetto al valore dell’export agroalimentare del 2013, nel 2015 è dimezzato. Quindi sono stati perduti 355 milioni di euro. A pagare il prezzo più alto sono gli agricoltori emiliano-romagnoli le cui esportazioni di prodotti agricoli sono crollate dell'85,5 per cento rispetto al 2013, per un valore complessivo passato da 18.397.940 a 2.665.635 euro;
   per la difesa del made in Italy vero motore del nostro Paese, le priorità appaiono essere agli interroganti la salvaguardia delle tipicità dei territori e di chi lavora ogni giorno per mantenere vivo il grande patrimonio italiano, a cui aggiungere il blocco dell'importazione di alimenti prodotti con fitofarmaci vietati in Italia e in Europa;
   è necessario lanciare i piani di sviluppo rurali per allontanare lo spettro dell'abbandono delle aree rurali. E tutto ciò si può attivare sbloccando gli investimenti, investendo per la tutela del reddito degli agricoltori, ma soprattutto favorendo l'ingresso in questo settore di giovani. Il contributo delle nuove generazioni, infatti, attraverso conoscenze scientifiche e competenze tecniche adeguate, porterebbe a migliorare l'efficienza aziendale e la competitività, oltre che ad affrontare i temi relativi alla gestione sostenibile delle risorse agricole e naturali, per la salvaguardia e la valorizzazione del territorio e delle sue vocazioni;
   per sostenere l'azione pubblica in tale ambito, sono state trasferite informazioni preziose alle istituzioni competenti da parte di Cia, Confagricoltura e Copagri, che hanno consegnato loro un «documento-piattaforma» contenente proposte chiare e concrete, a sostegno del settore e delle aziende –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa, se questi corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, come intenda rispondere alle richieste del settore agricolo approntando iniziative urgenti che arrestino la rischiosa chiusura di ulteriori aziende e se ritenga opportuno aprire una piattaforma programmatica che, partendo dalle proposte delle associazioni Cia, Confagricoltura e Copagri, possa riuscire nell'azione di salvaguardia e rilancio efficace dell'intero sistema agricolo. (4-13109)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli scandali in sanità riempiono spesso le pagine di cronaca anche se il sistema sanitario nazionale (SSN) italiano è un'eccellenza a livello internazionale per la qualità delle strutture e delle professionalità;
   secondo quanto riportato dal libro bianco sulla corruzione in sanità, pubblicato nel 2014 dall'istituto «Per la promozione sull'etica in sanità», il costo stimato della corruzione nel sistema sanitario italiano supera i 23 miliardi di euro;
   in occasione della prima giornata nazionale contro la corruzione in sanità, sono stati presentati a Roma ad aprile 2016 i dati dell'indagine «curiamolacorruzione» che promuove maggiore trasparenza, integrità e responsabilità individuale e collettiva attraverso attività di ricerca, iniziative di formazione e comunicazione sul territorio, sensibilizzazione dei decisori pubblici e privati. Secondo i dati presentati due sono gli ambiti che si prestano alle pratiche corruttive, quello degli appalti e quello delle assunzioni di personale: al primo posto, l'83 per cento dei dirigenti sanitari indica i rischi che si annidano negli acquisti di beni e servizi e il 66 per cento nella realizzazione di opere e infrastrutture, mentre il 31 per cento sottolinea la possibilità che si seguano scorciatoie illecite nelle assunzioni;
   il Ministro interrogato e il presidente dell'autorità nazionale anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone, hanno firmato il 22 aprile 2016 il protocollo che istituisce la task force nella sanità con il compito di effettuare i controlli presso le aziende sanitarie per verificare la corretta applicazione del piano nazionale anticorruzione recentemente approvato;
   in Basilicata, nei giorni scorsi, sugli organi di stampa regionali e nazionali sono apparse le notizie riguardanti la delibera del presidente dell'ANAC che ha evidenziato criticità sul sistema degli appalti del servizio sanitario regionale della Basilicata sotto il profilo normativo, programmatorio, organizzativo e operativo. L'Autorità Anticorruzione è intervenuta a seguito di segnalazioni che riguardavano in particolare la manutenzione di impianti elettrici e termici degli ospedali di Policoro, Tinchi e Stigliano ed ha esteso gli accertamenti a tutto il sistema regionale, riscontrando che le prassi al di fuori delle regole sugli appalti pubblici hanno una insistente diffusione che interessa generalmente tutto il comparto sanitario lucano ed è estesa all'intero mercato dei servizi;
   le verifiche effettuate dall'Autorità nazionale anticorruzione hanno rilevato un ricorso anomalo alle proroghe dei contratti di fornitura con contratti scaduti, non rinnovati, o rinnovati in maniera irregolare e, proroghe illegittime, oltre ad una serie di irregolarità riscontrate nei codici identificativi di gara. Dal 2008 al 2015 quasi il 50 per cento degli affidamenti del servizio sanitario regionale della Basilicata, per un valore di circa 120 milioni di euro, è stato fatto con procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara. E anche per quanto riguarda le acquisizioni in economia, l'entità dei cottimi fiduciari e degli affidamenti diretti (presumibilmente connessi a proroghe contrattuali) ha superato i 45 milioni di euro;
   l'analisi del sistema degli appalti del servizio sanitario regionale della Basilicata ha mostrato che il valore dell'importo delle procedure con pubblicazione del bando di gara, in tutto cinque, è stato di poco meno di 23 milioni di euro, contro un importo di oltre 118 milioni di euro derivanti da 251 procedure senza gara. A questi dati si aggiungono 574 affidamenti in economia per 45,9 milioni; e 136 tra procedure aperte (cioè per tutti gli operatori interessati) e ristrette (solo per quelli invitati) per un totale di quasi 260 milioni di euro;
   il quadro descritto riporta una situazione in cui per anni, a giudizio dell'interrogante, sono state assicurate ingiustificate rendite ai prestatori di servizi e si è preclusa al sistema sanitario lucano la possibilità di conseguire i benefici effetti delle dinamiche concorrenziali e di acquistare sul mercato servizi più economici e qualitativamente migliori da offrire ai pazienti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga necessario assumere iniziative normative volte a rendere la disciplina degli appalti nel settore della sanità più aderenti ai principi di trasparenza, efficienza ed economicità e a potenziare i meccanismi di controllo;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per fronteggiare le emergenze sanitarie lucane e garantire pienamente i livelli essenziali di assistenza e l'efficienza del servizio ai pazienti;
   quali iniziative di competenza intende adottare al fine di preservare la salute dei pazienti, che risulta palesemente pregiudicata da condotte illecite e rispetto alle quali secondo l'interrogante avrebbero dovuto essere assunti provvedimenti più adeguati. (3-02243)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI, RIBAUDO e MOSCATT. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di queste settimane, riportata da tutti i quotidiani, che i forestali del comando regionale per la Puglia e del coordinamento territoriale per l'ambiente di Altamura – parco nazionale dell'Alta Murgia, su delega del pubblico ministero Antonio Savasta, della procura della Repubblica di Trani, hanno effettuato accertamenti sul fenomeno della presenza di contaminanti vietati per legge all'interno di molti prodotti alimentari;
   in seguito a tali accertamenti, a conclusione di circa due anni di indagini, dovranno rispondere del reato di frode nell'esercizio del commercio e di somministrazione di sostanze alterate quattordici imprenditori pugliesi e del centro-nord Italia, denunciati dal Corpo forestale dello Stato;
   in Puglia le città maggiormente interessate al fenomeno sono risultate Altamura, Molfetta, Bisceglie e Barletta;
   tra i diversi contaminanti rinvenuti, sono finiti sotto osservazione i metalli pesanti e le micotossine, tutte sostanze tossiche per l'uomo, alcune manifestamente cancerogene, nonostante la normativa di settore a tutela del consumatore sia molto chiara e l'obiettivo di assicurare che gli alimenti messi sul mercato non contengano contaminanti a livelli che possano creare rischio alla salute, vietando tassativamente la commercializzazione di quei prodotti che presentano contaminanti in quantità superiori ai limiti fissati dalla legge, con riguardo non soltanto agli alimenti destinati agli adulti ma soprattutto a quelli che possono essere consumati anche da bambini di età compresa tra 0 e 3 anni; a seguito delle indagini effettuate, oltre 80 ditte, tra cui numerosi panifici, sono state sottoposte a controllo mediante campionamenti e sono stati riscontrati alimenti con percentuali di contaminanti ben oltre la soglia di tutela: in particolare sono stati analizzati pane, pasta e merende, per i bambini più vulnerabili in fascia 0-3 anni, in cui i limiti delle citate sostanze stabiliti dalla legge sono sensibilmente inferiori rispetto agli alimenti per gli adulti;
   le indagini hanno portato alla luce numerose violazioni accertate dai forestali e, tra le altre, presso la sede di una ditta privata, dedita alla preparazione dei pasti nelle scuole con bimbi da 2 a 3 anni, è stato accertato l'uso di pasta, pane e merende con piombo superiore ai limiti consentiti; inoltre, sono state riscontrate in due formati di pasta micotossine – in particolare il deossinivalenolo – che per la presenza in etichetta di elementi grafici ingannatori costituiti da immagini di cartoni animati, per il formato con sagome particolari (animali e autovetture), pubblicità e denominazione inducevano il consumatore a ritenere che fossero indirizzati all'alimentazione dei più piccoli; infine, su più di un terzo del pane di semola di grano duro campionato è stato rilevato il superamento dei limiti delle micotossine, (deossinivalenolo) e di metalli pesanti (piombo e cadmio) previsti per i bimbi fino a 3 anni e quindi la non idoneità alla consumazione per tale fascia di età: in sostanza, diversamente da quanto dichiarato, il pane destinato indistintamente a tutti i consumatori, non era invece adatto per i bambini fino a 3 anni;
   a conclusione delle indagini, sono stati sottoposti a sequestro oltre 10000 quintali di semola, ricavata nella maggior parte da grano non italiano, utilizzata per la produzione dei prodotti alimentari nei quali sono stati riscontrati i maggiori livelli di contaminanti dannosi alla salute, in quanto superanti i parametri di legge con riferimento all'alimentazione infantile;
   solo qualche mese fa, sempre in Puglia e sempre ad opera di accertamenti condotti dagli agenti della forestale e dal coordinamento territoriale per l'ambiente di Altamura – parco nazionale dell'Alta Murgia, era stata condotta un'indagine che aveva accertato la pericolosità di prodotti da forno contenenti il colorante E153 carbone vegetale, ottenuto con un procedimento vietato dalla legislazione nazionale e da quella europea; sul caso è stata presentata dalla prima firmataria del presente atto un'altra interrogazione –:
   di quali elementi dispongano in relazione ai fatti di cui in premessa e se non intendano assumere le iniziative di competenza per rafforzare le misure di controllo, salvaguardando quei prodotti alimentari di cui viene rigorosamente garantita la qualità. (5-08604)


   MONGIELLO, MICHELE BORDO, BOCCIA, GINEFRA, VENTRICELLI, GRASSI, LOSACCO, CAPONE, MARIANO, PELILLO, VICO, DI GIOIA e IORI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sul sito istituzionale dell'Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare), il 3 maggio 2016 è stato pubblicato un rapporto scientifico sui «Contaminanti da processo in oli vegetali e alimenti» ed in tale ambito si è evidenziato che i contaminanti da processo a base di glicerolo presenti nell'olio di palma, ma anche in altri oli vegetali, nelle margarine e in alcuni prodotti alimentari trasformati, danno adito a potenziali problemi di salute per il consumatore medio di tali alimenti di tutte le fasce d'età giovanile e per i forti consumatori di tutte le fasce d'età;
   l'Efsa ha valutato i rischi per la salute pubblica derivanti dalle sostanze: glicidil esteri degli acidi grassi (GE), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e loro esteri degli acidi grassi. Tali sostanze si formano durante le lavorazioni alimentari, in particolare quando gli oli vegetali vengono raffinati ad alte temperature (circa 200o C);
   i più elevati livelli di GE, come pure di 3-MCPD e 2-MCPD (compresi gli esteri) sono stati rinvenuti in oli di palma e grassi di palma, seguiti da altri oli e grassi. Per i consumatori di tre anni di età e oltre, margarine e «dolci e torte» sono risultati essere le principali fonti di esposizione a tutte le sostanze;
   il gruppo di esperti scientifici dell'Efsa ha esaminato le informazioni sulla tossicità del glicidolo (composto precursore dei GE) per valutare il rischio dai GE, ipotizzando una conversione completa degli esteri in glicidolo dopo l'ingestione. La dottoressa Helle Knutsen, presidente del gruppo Contam, la dichiarato che «Ci sono evidenze sufficienti che il glicidolo sia genotossico e cancerogeno, pertanto il gruppo Contam non ha stabilito un livello di sicurezza per i GE», e che «L'esposizione ai GE dei bambini che consumino esclusivamente alimenti per lattanti costituisce motivo di particolare preoccupazione, in quanto è fino a dieci volte quella che sarebbero considerata di lieve preoccupazione per la salute pubblica»;
   il gruppo ha concluso che i GE sono un potenziale problema di salute per tutte le fasce d'età più basse e mediamente esposte, nonché per i consumatori di tutte le età che risultino fortemente esposti;
   la stima della media e le esposizioni elevate al 3-MCPD di entrambe le forme per le fasce di età più bassa, adolescenti compresi (fino a 18 anni di età), superano la DGT e costituiscono un potenziale rischio per la salute;
   l'olio di palma contribuisce in maniera rilevante all'esposizione a 3-MCPD e 2-MCPD nella maggior parte dei soggetti. I livelli di 3-MCPD e dei suoi esteri degli acidi grassi negli oli vegetali sono rimasti in gran parte invariati nel corso degli ultimi cinque anni;
   anche nel nostro Paese è stato condotto uno studio sanitario sugli effetti dell'olio di palma sulla salute. In particolare, l'Istituto superiore di sanità, in data del 19 febbraio 2016, ha fornito risposte al Ministero della salute in seguito alla sua richiesta di parere tecnico scientifico «sull'eventuale tossicità dell'olio di palma come ingrediente alimentare»;
   il documento in oggetto, nel descrivere il contesto di riferimento dell'olio di palma ed i dati di mercato che lo riguardano, ha tratto conclusioni assai importanti in ordine ai potenziali rischi per la salute che tale sostanza può arrecare se utilizzato come ingrediente;
   giova ricordare, come per altro meglio chiarisce l'Istituto, che l'olio di palma è una materia grassa che deriva dalla polpa del frutto della palma da olio (Elaeis guineensis) ed è un grasso di consistenza solida a temperatura ambiente. In forma grezza è anche conosciuto come olio di palma rosso per la sua colorazione derivante dall'elevata presenza di carotenoidi. In Europa, l'olio di palma è utilizzato dopo raffinazione, quindi nella forma incolore, quasi del tutto priva di carotenoidi. Anche dai semi della palma si ricava un olio, chiamato olio di palmisto, utilizzato in ambito alimentare quasi esclusivamente per glasse e decorazioni dei prodotti dolciari;
   la palma da olio è coltivata esclusivamente nelle zone tropicali umide. In particolare, l'olio di palma viene prodotto in Indonesia e Malesia che da sole totalizzano l'87 per cento della produzione mondiale. Il suo consumo in Europa si attesta intorno al 12 per cento del totale mondiale, in USA al 3 per cento;
   a livello globale, l'olio di palma viene utilizzato per l'80 per cento nel settore alimentare (olio per frittura, margarine, prodotti di pasticceria e da forno, e gran parte dei prodotti alimentari trasformati), per il 19 per cento nel settore dei cosmetici, saponi, lubrificanti e grassi, prodotti farmaceutici, pitture e lacche, e per 1'1 per cento per la produzione di biodiesel;
   molto evidenti sono i dati dei consumi di questo grasso che ne fa l'Italia: Secondo i dati riportati nei Food Balance Sheet della Food Agricolture Agency (FAO), nel 2011 (ultimo anno per cui sono disponibili dati) in Italia sono state importate 77.000 tonnellate di olio di palma per uso alimentare; questo corrisponde all'8,4 per cento del totale importato, mentre oltre il 90 per cento è destinato ad usi diversi;
   lo storico dei volumi di olio di palma per uso alimentare indica che dal 2008, la quantità di questo ingrediente importata in Italia è andata progressivamente aumentando, da 40.000 tonnellate/anno nel periodo 2005-2008 a 75.000 nel 2009 e 76.000 nel 2010. Relativamente agli anni precedenti, spicca il dato del 2004 quando si è registrata un'impennata nell'importazione di olio di palma in Italia, con un volume di 80.000 tonnellate, rispetto alle 40.000 tonnellate annue del periodo 1993-2003. Le 77.000 tonnellate di olio di palma importate in Italia per uso alimentare (Food Balance Sheet FAO, 2011), ipoteticamente distribuite uniformemente sull'intera popolazione italiana, corrispondono ad un consumo pro capite di 3,15 g/die;
   tale trend di crescita dei consumi in Italia sottende, nell'ultimo decennio, lo spostamento dell'industria alimentare dall'uso di margarine e burro, a quello di olio di palma;
   i risultati dell'indagine nazionale sui consumi alimentari (INRAN-SCAI 2005-2006) hanno mostrato i seguenti apporti giornalieri di acidi grassi saturi: 25,4 g per la fascia di età 3-10 anni e 29,7 e 24,4 g, rispettivamente per maschi e femmine, nella fascia di età 18-64 anni. Il contributo degli alimenti potenzialmente contenenti olio di palma risulta essere il 17,2 per cento e il 9,4 cento (9,7) del totale di acidi grassi assunti, rispettivamente per le fasce di età 3-10 anni e 18-64 anni, pari a 4,4 g/die per la fascia 3-10 anni e circa 2,5 (2,6) g/die per gli adulti;
   le conclusioni della relazione dell'Istituto superiore di sanità evidenziano come l'olio di palma rappresenta una rilevante fonte di acidi grassi saturi, cui le evidenze scientifiche attribuiscono (quando in eccesso nella dieta), effetti negativi sulla salute, in particolare rispetto al rischio di patologie cardiovascolari. Complessivamente emerge che il consumo totale di acidi grassi saturi nella popolazione adulta italiana è di poco superiore (11,2 per cento) all'obiettivo suggerito per la prevenzione (inferiore al 10 per cento delle calorie totali giornaliere);
   al contrario, il consumo complessivo di grassi saturi nei bambini tra i 3 e i 10 anni risulta superiore, se riferito all'obiettivo fisso del 10 per cento;
   le fasce di popolazione quali bambini, anziani, dislipidemici, obesi, pazienti con pregressi eventi cardiovascolari, ipertesi possono presentare una maggiore vulnerabilità rispetto alla popolazione generale. Per tale ragione, nel contesto di un regime dietetico vario e bilanciato, comprendente alimenti naturalmente contenenti acidi grassi saturi, occorre ribadire la necessità di contenere il consumo di alimenti apportatori di elevate quantità di grassi saturi i quali, nelle stime di assunzione formulate nel parere dell'Istituto superiore di sanità, appaiono moderatamente in eccesso nella dieta delle fasce più giovani della popolazione italiana –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito ai rischi per la salute dei consumatori, derivanti dall'utilizzo dell'olio di palma come ingrediente negli alimenti, nonché dalle sostanze che si formano durante le lavorazioni alimentari, in particolare quando gli oli vegetali vengono raffinati ad alte temperature (circa 200o C), alla luce dei risultati pervenuti dalle ricerche sopra richiamate e come in tale ambito intenderà gestire i potenziali rischi per i consumatori legati all'esposizione alle relative sostanze tossiche negli alimenti;
   se, alla luce di quanto descritto, il Ministro interrogato non intenda ad ogni modo attivarsi affinché siano rivisti tutti i parametri per l'uso dell'olio di palma in campo alimentare e, contestualmente, entro i limiti consentiti dalla normativa comunitaria e nazionale allo scopo applicabile, se non intenda fornire utili indirizzi verso i consumatori perché scelgano alimenti più sani, in particolare prodotti a base di olio extravergine di oliva italiano di qualità, che è spremuto a freddo, è sicuro e, molto più sano. (5-08608)


   LENZI e AMATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 novembre 2015 sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale (Serie generale n. 261), sezione «Estratti, sunti e comunicati», le «Linee guida per le procedure inerenti alle pratiche radiologiche clinicamente sperimentate» in ossequio alla previsione dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 187 del 2000 (legge sulla radioprotezione);
   le linee guida sono un insieme di raccomandazioni sviluppate sistematicamente, sulla base di conoscenze continuamente aggiornate e valide, redatto allo scopo di rendere appropriato, e con un elevato standard di qualità, un comportamento desiderato;
   le linee guida in oggetto sono indicazioni di percorsi assistenziali che prescindono dai diversi modelli organizzativi adottati dalle singole regioni in cui in aree geografiche ad orografia complessa lo strumento tecnologico della tele-refertazione è già una realtà e le risorse per il personale non consentono la presenza continuativa del medico radiologo anche per procedure senza utilizzo di mezzo di contrasto;
   esse sono fortemente penalizzanti la professionalità e la dignità di medici prescrittori e tecnici sanitari di radiologia medica, rischiano di porre difficoltà organizzative proprio per la indebita penalizzazione, a molti servizi radiologici che potrebbero continuare a erogare servizi solo non osservando le indicazioni contenute nelle stesse linee guida;
   la Federazione dei collegi dei tecnici sanitari di radiologia medica, come più volte espresso attraverso comunicati su quotidiani di settore, non ritiene di condividere le linee guida in oggetto per una serie di motivi tra cui: inadeguatezza circa l'appropriatezza delle prestazioni; inadeguatezza in tema di radioprotezione della popolazione; sostanziale sotto utilizzo dei sistemi di telemedicina (nello specifico, di tele-radiologia) già presenti sul territorio nazionale; se applicate, danno erariale allo Stato e alle regioni; incostituzionalità circa la competenza concorrente Stato – regioni in tema di organizzazione dei sistemi sanitari regionali; contrasto con le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge dello Stato in tema di esercizio professionale;
   alcune regioni hanno fatto investimenti in sistemi di tele-gestione per modelli organizzativi differenti da quelli indicati dalle linee guida emanate, per cui la prestazione diagnostica risulta essere sicura, di elevata qualità con un costo d'insieme più sostenibile;
   i tecnici sanitari di radiologia medica senza la presenza fisica del medico radiologo ottemperano alle procedure nei programmi di screening mammografico, nella esecuzione degli esami in sala operatoria e al letto del paziente, e nelle procedure senza mdc richieste in urgenza in reperibilità;
   nessuna procedura di diagnostica radiologica è eseguibile senza la specifica prescrizione medica e il decreto appropriatezza rafforza il ruolo e la responsabilità del prescrittore;
   la stessa federazione, in data 2 ottobre 2014, 29 maggio e 7 luglio 2015, unitamente alla Conferenza delle regioni ha chiesto il ritiro delle linee guida e la riapertura di un tavolo di confronto con gli attori interessati ed ha, inoltre, impugnato il documento ministeriale davanti al TAR Lazio al fine di ottenere la sospensiva dell'applicazione delle linee guida e di poi l'annullamento. Il Tribunale amministrativo, valutata la documentazione presentata, con particolare riferimento alla richiesta della Conferenza delle regioni, ha disposto la «cancellazione della causa dal ruolo» per concedere un congruo lasso di tempo alle parti per riaprire un tavolo di confronto volto al perseguimento di soluzioni stragiudiziali –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di pervenire alla riapertura del tavolo la riscrittura delle linee guida per le procedure inerenti alle pratiche radiologiche clinicamente sperimentate che rispondano ad obiettivi di sicurezza e qualità delle procedure, utilizzo integrato di risorse umane e tecnologie secondo principi di evidenza scientifica e sostenibilità economica e rispetto della pari dignità di tutti gli esercenti le professioni sanitarie coinvolti nel percorso radiologico. (5-08611)

Interrogazioni a risposta scritta:


   STELLA BIANCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa un uomo malato di cancro da tempo, ricoverato presso l'Ospedale Torrette dell'azienda ospedaliera universitaria «Ospedali Riuniti di Ancona», colpito da una compressione midollare avrebbe perso l'uso delle gambe per l'impossibilità di sottoporsi ad una seduta di radioterapia nel fine settimana a causa della chiusura del reparto il sabato e la domenica;
   il paziente ricoverato per un'occlusione intestinale nel reparto di gastroenterologia poco prima di Pasqua aveva improvvisamente perso la sensibilità alle gambe. Dalla risonanza magnetica cui era stato immediatamente sottoposto, era emerso che la colonna vertebrale era compromessa;
   la moglie dell'uomo, dopo essersi consultata con uno specialista che aveva prescritto di sottoporre il paziente alla radioterapia entro 48 ore per evitare danni irreversibili alla colonna vertebrale, si era rivolta al reparto di radioterapia per fissare una seduta per il giorno dopo, ma i medici del reparto le avevano risposto che il sabato e la domenica sarebbe stato impossibile a causa della chiusura del reparto;
   la seduta di radioterapia rinviata al lunedì successivo si è rivelata tardiva ed è accaduto il peggio. Secondo il racconto della moglie del paziente, una volta constatata la paralisi degli arti, alcuni sanitari dell'ospedale di Ancona avrebbero ammesso la necessità di un intervento maggiormente tempestivo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, sulla base degli elementi a disposizione del Ministro, trovi conferma quanto accaduto;
   quali iniziative, per quanto di competenza e di concerto con le regioni, intenda assumere al fine di garantire, in generale, il pieno svolgimento del servizio di radioterapia nell'arco dell'intera settimana, considerando quindi il carattere di urgenza di questo genere di trattamento per la cura di specifiche condizioni cliniche. (4-13096)


   VILLAROSA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione della giunta regionale n. 362 del 17 dicembre 2014 veniva approvato il «Piano di riqualificazione e rifunzionalizzazione della rete ospedaliera della regione siciliana»;
   in data 23 gennaio 2015 sul supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale della regione siciliana n. 4/2015 è stato pubblicato il decreto dell'assessorato regionale della salute «Riqualificazione e Rifunzionalizzazione della rete ospedaliera e territoriale della regione siciliana»;
   con il decreto dell'assessorato alla salute n. 199 del 14 maggio 2015 venivano approvati i «Primi criteri applicativi della rimodulazione della rete ospedaliera»;
   in un articolo apparso sul giornale online 24Live del 16 febbraio 2016, il sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto afferma: «L'incontro ed il protocollo siglato a Palermo ha raggiunto l'obiettivo di sancire dopo 10 anni la costituzione degli ospedali riuniti. In quella sede è stato stabilito che dopo la pubblicazione degli atti aziendali sulla Gazzetta Ufficiale regionale, ci sarebbe stato un incontro tra i due sindaci di Barcellona e Milazzo ed il direttore dell'Asp Gaetano Sirna, per stilare il cronoprogramma dei trasferimenti tra i due presidi. Si è detto inoltre che sarebbe state apportate le necessarie modifiche all'interno degli ospedali riuniti per garantire la caratterizzazione di polo medico a Barcellona e di polo chirurgico a Milazzo. Se questo passaggio non dovesse trovare un riscontro nei fatti, solo in quei momento saremo pronti a fare le barricate ed a chiedere il rispetto di un protocollo siglato davanti all'assessore regionale»;
   a seguito dell'incontro con i sindaci del distretto socio-sanitario D28 del 25 novembre 2015, veniva illustrato al Ministero della salute, rappresentato dal capo di gabinetto del suddetto Ministro della salute, Giuseppe Chinè, il piano «ospedali Riuniti Barcellona-Milazzo-Lipari» in cui veniva prevista un'area medica per il presidio di Barcellona Pozzo di Gotto ed un'area chirurgica per quello di Milazzo;
   con delibera n. 38 del 2016 la regione siciliana esprimeva parere favorevole all'atto aziendale dell'azienda sanitaria provinciale (A.S.P.) di Messina che sanciva la nascita degli ospedali Riuniti «Barcellona-Milazzo-Lipari». L'azienda nella relazione tecnica allegata alla nota del 2 ottobre 2015 precisava che: «Considerata la brevissima distanza tra le due maggiori strutture (Barcellona e Milazzo) si prevede di conferire progressivamente una caratterizzazione chirurgica a quella di Milazzo ed una caratterizzazione medica a quella di Barcellona, pur nel rispetto del piano di riordino della rete ospedaliera» e continua prevedendo che «si è proceduto all'accorpamento, a parità di posti letto, delle Unità operative di Chirurgia Generale e delle Unità Operative di Medicina Generale degli ospedali riuniti Milazzo-Barcellona-Lipari, rispettivamente presso la struttura di Milazzo e di Barcellona»;
   con atto di sindacato ispettivo n. 4/12273, presentato il 26 febbraio 2016 dall'interrogante, era stato richiesto un intervento urgente su tutta la problematica, in particolare a quella relativa al funzionamento del pronto soccorso del presidio barcellinese, da parte del Ministero, al quale non è stata ancora fornita alcuna risposta;
   il 4 marzo 2016 il consiglio comunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in seduta straordinaria, ha redatto un documento in cui sollecitava l'azienda sanitaria provinciale a dare esecuzione dell'atto aziendale approvato a gennaio 2016;
   in un articolo della Gazzetta del Sud del 13 aprile 2016 si viene a conoscenza che all'interno del presidio barcellonese «vengono sospesi ricoveri ed interventi nel reparto di Urologia per “mancanza di medici”, unità di urologia che “ha da sempre rappresentato un'eccellenza del presidio di Barcellona, è l'unico servizio sanitario dell'Asp sulla costa tirrenica; l'unica alternativa è rappresentata da Taormina”»;
   sempre nello stesso articolo poco sopra menzionato si legge che «sarà sospesa l'attività dell'Unità operativa di Dermatologia che ancora resta con un solo medico dopo il trasferimento ad altro servizio del dottor Francesco Cannistraci»;
   in un ulteriore articolo, uscito il 15 aprile 2016 sulla Gazzetta del Sud, si può leggere che è stato trasferito in mobilità d'urgenza per trenta giorni un medico del pronto soccorso e risulta che le stesse identiche carenze di personale medico non vengano coperte dalla direzione in quanto anche il servizio di cardiologia di Barcellona evidenzia criticità per l'assenza di medici, senza che però quest'ultimi vengano sostituiti da colleghi di altri presidi;
   il 16 aprile 2016, sempre tramite un articolo della Gazzetta del Sud, si apprende che è stato già fatto un sopralluogo tecnico nel presidio ospedaliero di Barcellona da parte del direttore sanitario per visionare i locali situati al terzo piano, attualmente occupati dai reparti di chirurgia e urologia, nella quale dovrebbe nascere un'unità di riabilitazione da 30 posti letto;
   come riporta la testata online 24live il 30 aprile «i consiglieri comunali di Barcellona Pozzo di Gotto, durante una seduta di consiglio hanno deciso di votare un presidio permanente all'interno dell'aula consiliare di Palazzo Longano, fino a quando non sarà fissato un incontro con il direttore generale dell'Asp di Messina, Gaetano Sirna, sul futuro dell'ospedale Cutroni Zodda, messo a rischio dalla recente direttiva che tagli altri 500 posti letto in Sicilia, con il probabile annullamento del percorso che doveva portare agli ospedale riuniti di Barcellona, Milazzo e Lipari»;
   a seguito di questa votazione, i consiglieri comunali hanno formalmente diffidato il direttore generale dell'Asp di Messina, dottor Gaetano Sirna, affinché attui l'atto aziendale che prevede la nascita degli ospedali riuniti «Barcellona-Milazzo-Lipari» con separazione tra polo chirurgico, nel presidio mamertino, e polo medico in quello barcellonese;
   attualmente, in questi giorni è in atto una forte mobilitazione da parte dei cittadini barcellonesi con una raccolta della tessere sanitarie che i cittadini vorranno consegnare in comune;
   ad oggi, ad eccezione delle notizie di stampa su menzionate per la possibile attivazione dei posti letto di riabilitazione all'interno del presidio ospedaliero di Barcellona, non si hanno ancora notizie del trasferimento del previsto reparto di medicina dal presidio mamertino a quello barcellonese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative intenda assumere, nei limiti delle proprie competenze, al fine di verificare se il progetto della regione siciliana «Ospedali riuniti Milazzo, Barcellona Pozzo di Gotto e Lipari» sia compatibile con quanto definito in sede di attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario e con il rispetto dei livelli essenziali di assistenza. (4-13112)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sembra che le imprese della pubblica amministrazione siano sempre più ritardatarie nell'onorare i propri debiti con i loro fornitori: come riportato recente da Cribis D&B, solo un'azienda pubblica su otto paga puntuale alla scadenza, mentre oltre il 30 per cento lo fa con oltre un mese di ritardo, ovvero il 10 per cento più rispetto al 2010;
   Cribis D&B, società del gruppo Crif specializzata nella business information ha reso noti questi risultati nella prima edizione dello «Studio dei pagamenti della pubblica amministrazione», anticipato a Repubblica e realizzato sui dati raccolti fino a marzo 2016;
   sarebbe dunque solo il 13 per cento delle imprese della pubblica amministrazione a pagare in orario e questo dato è ancora più allarmante se confrontato con la media delle imprese italiane, che nel 35 per cento dei casi pagano puntualmente; inoltre quasi il 30 per cento delle aziende della pubblica amministrazione risultano essere «grandi» ritardatarie, pagando oltre i 30 giorni dalla scadenza, e, confrontando i dati con il 2010, sono aumentati i ritardatari gravi, passati dal 20 al 29,6 per cento;
   l'amministratore delegato di Cribis D&B, Marco Preti, ha sottolineato che «La pubblica amministrazione è un settore strategico per le aziende italiane, essendo la destinataria di una grande quantità di beni e servizi. Perciò il ritardo nei pagamenti ha sicuramente degli impatti molto rilevanti sui flussi di cassa di tutta la filiera ed è una criticità per le aziende italiane»;
   anche la situazione del settore di Asl e sanità resterebbe molto critica con lo scarno 4,1 per cento dell'azienda che paga puntualmente;
   rispetto agli enti territoriali, il 56,2 per cento sono ritardatari, ma non vanno oltre il mese dalla scadenza, mentre i grandi ritardatari sono cresciuti in modo esponenziale passando dall'11 per cento del 2010 al 31 per cento circa del 2016;
   la zona del Paese che va peggio è il Meridione e le isole dove solo l'8,5 per cento delle aziende pubbliche paga a scadenza, mentre oltre il 54,7 per cento accumula oltre un mese di ritardo;
   come evidenziato già con ben tre diverse interrogazioni a risposta scritta presentate dall'interrogante, l'atto n. 4-11303 del 27 novembre 2015, l'atto n. 4-08208 del 3 marzo 2015 e l'atto n. 4-06888 presentato il 14 novembre del 2014, a tutt'oggi rimaste senza risposta, la vicenda dei pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese ha una rilevanza non solo economica, ma anche istituzionale: individua alcune delle principali disfunzioni del sistema amministrativo e sollecita una riflessione sull'efficacia dell'azione dello Stato centrale, che troppo spesso si trasforma in una macchina lenta, appesantita dalla burocrazia, costantemente in ritardo;
   nella seduta dell'Assemblea del 16 ottobre 2015, con una interpellanza urgente, l'interrogante ha chiesto al Governo di fare luce sulle ragioni del ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione, ritardo che pesa in maniera molto grave sull'economia italiana, e in che modo intendesse attivarsi per rendere possibile lo sblocco immediato e totale dei debiti della pubblica amministrazione, assicurato a più riprese dallo stesso Presidente del Consiglio, anche intervenendo sulla carente procedura introdotta con il decreto n. 66 del 2014, per garantire alle imprese ciò che spetta loro di diritto nel rispetto del lavoro e di tutti i loro sacrifici in un momento di difficoltà come quello che il tessuto produttivo del nostro Paese sta attraversando;
   il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Baretta aveva risposto all'interpellanza urgente di cui sopra, dichiarando che per superare queste criticità, il Governo avrebbe messo in campo diversi interventi come «l'erogazione di anticipazioni di liquidità e la concessione di spazi finanziari a favore degli enti territoriali, l'accelerazione dei rimborsi fiscali, l'obbligo di erogare entro termini certi (60 giorni) i trasferimenti tra amministrazioni pubbliche, la possibilità per le aziende di cedere crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni a intermediari finanziari, cessione assistita da garanzia dello Stato con riferimento a debiti maturati al 31 dicembre 2013, per i quali sia stata presentata istanza di certificazione da parte del creditore entro il 30 ottobre 2014» nonché «l'implementazione di strumenti informatici di particolare rilevanza»;
   il mancato pagamento delle pubbliche amministrazioni rappresenta una delle grandi cancrene del sistema economico-finanziario italiano, poiché pregiudica la reale uscita dalla crisi e mette quotidianamente a rischio la vita stessa di migliaia di imprese –:
   che tipo di risultati stiano dando i diversi interventi che il Governo avrebbe messo in azione per superare le criticità che hanno inficiato la capacità di pagamento della pubblica amministrazione, come dichiarato dal sottosegretario Baretta;
   se il Governo sia intervenuto o lo stia facendo e, in tal caso, in quale modo, per correggere la procedura introdotta con il decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, che si era rivelata molto complessa e macchinosa al punto da scoraggiare i creditori;
   se il Governo non intenda chiarire i suoi orientamenti in merito a questo ritardo dei tempi dei pagamenti della pubblica amministrazione, che mette in grave difficoltà tutti gli imprenditori italiani già vessati da tasse e crisi economica, alle prese con quella che è stata definita una piaga del sistema economico-finanziario italiano che mette quotidianamente a rischio la vita stessa di migliaia di imprese;
   se il Governo non consideri necessario ed urgente chiarire a che punto sia il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni e se non intenda attivarsi per renderne possibile lo sblocco immediato e totale, assicurato a più riprese dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, per garantire alle imprese ciò che spetta loro di diritto e permettendo in questo modo al tessuto produttivo italiano di avere un margine di liquidità, vitale per le attività commerciali ancora in piedi e per l'economia del Paese nel suo complesso. (4-13102)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PICCIONE, SCHIRÒ, AMODDIO, IACONO e BOCCADUTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore postale è stato oggetto di una rilevantissima azione di ristrutturazione che ha profondamente, mutato radicamento e funzionalità del servizio sul territorio;
   da ultimo nel corso del 2015 vi è stato un processo di ulteriore razionalizzazione per quanto concerne la presenza degli uffici postali nei comuni più piccoli e per ciò che concerne il servizio di recapito della corrispondenza;
   il tema in questione è stato più volte segnalato all'attenzione del Governo anche con atti di sindacato ispettivo che hanno preceduto il presente;
   molto spesso in alcune realtà si è fatto ricorso alle vie giudiziarie con numerose sentenze dei Tar competenti territorialmente che hanno dato ragione a sindaci e cittadini che contestavano la chiusura di uffici postali in centri disagiati;
   di una partecipata riorganizzazione del servizio è stato più volte portato all'attenzione del Governo sia da parte delle istituzioni locali che dagli stessi rappresentati in Parlamento;
   il nuovo modello di recapito che da qualche mese si sta applicando in alcuni comuni della Sicilia ha già prodotto evidenti danni sia alla clientela che ai lavoratori in termini di disagio;
   è stato disatteso persino l'accordo che i sindacati hanno sottoscritto proprio sulle componenti tecniche che si ritenevano indispensabili per garantirne il buon funzionamento, compatibilmente sempre alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni recepita dal Governo, che ha dato via libera alla consegna della corrispondenza a giorni alterni;
   si è in presenza di rilevanti giacenze di posta non recapitata che pongono l'azienda di fronte ad evidenti responsabilità, privando le collettività di un servizio e costringendole a subire forti disagi;
   si tratta difficoltà che, in primo luogo, si riverberano sui lavoratori che risultano essere privi di qualsiasi direttiva e in oggettiva carenza di mezzi;
   a livello locale si è riscontrato un forte deficit di comunicazione e condivisione delle strategie sia con gli enti locali, sia con gli utenti, in quanto il meccanismo di distribuzione non funziona pregiudicando un diritto sancito anche in sede comunitaria e che in Sicilia aggrava ulteriormente situazioni di disagio per la collettività –:
   se il Governo sia a conoscenza delle criticità riportate in premessa e se non ritenga quanto mai urgente intervenire, nel rispetto delle competenze di vigilanza sul servizio universale affidate all'Agcom, per far sì che alle comunità interessate dal servizio oggetto della riorganizzazione da parte di Poste Italiane venga assicurato il diritto ad un effettivo e puntuale servizio di recapito della corrispondenza, nonché adoperandosi affinché Poste Italiane rispetti gli accordi sindacali sottoscritti e tutelando al tempo stesso i lavoratori dell'azienda. (5-08594)


   FONTANELLI, CARROZZA e GELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Carlo Colombo s.p.a. è un'azienda leader nel mercato nazionale ed internazionale dei semilavorati in rame, con una capacità produttiva di oltre 440.000 tonnellate all'anno in due siti produttivi e con una esperienza di oltre 60 anni;
   la presidenza, il settore commerciale, la logistica, l'amministrazione e la finanza hanno sede a Milano, mentre gli stabilimenti sono dislocati a Pisa e Pizzighettone (Cremona);
   lo stabilimento di Pisa ha una estensione di 25.000 metri quadrati, una capacità produttiva di 200.000 tonnellate all'anno e un personale che ammonta a 68 unità assunte a tempo indeterminato;
   attualmente la società è controllata dalla Glencore, multinazionale svizzera che opera nel settore estrattivo minerario e da un insieme di banche;
   l'azienda è stata pesantemente colpita dalla crisi economica internazionale degli ultimi anni, che ne ha fortemente compromesso i risultati, in termini di volumi produttivi e di fatturato, tanto da dover ricorrere già nel 2011 alla procedura di cui all'articolo 182-bis della legge fallimentare tramite la sottoscrizione di accordi di ristrutturazione dei debiti;
   a seguito, della sottoscrizione di tali accordi, a fronte di un mercato a crescita nulla, l'azienda ha iniziato a subire una costante e progressiva concorrenza, che ha condotto ad una progressiva riduzione dei volumi venduti e dei prezzi di vendita;
   a mano a mano la situazione di mercato ha iniziato a non giustificare più i livelli occupazionali del sito produttivo di Pisa e, d'accordo con le rappresentanze sindacali unitarie e le organizzazioni sindacali, sono stati stipulati diversi contratti di solidarietà: il 18 marzo 2010, il 31 marzo 2011, il 21 marzo 2012, il 25 marzo 2013; successivamente dal 14 aprile 2014 al 30 aprile 2015 è stata richiesta la cassa integrazione guadagni ordinaria e con durata dal 1 maggio 2015 al 30 aprile 2016 un nuovo contratto di solidarietà per evitare l'immediato esubero di 37 unità;
   nonostante l'attuazione dei suddetti accordi la situazione aziendale generale e quella dello stabilimento di Pisa in particolare sono andate via via peggiorando: nel 2015 la società ha venduto il 9 per cento in meno di tonnellate rispetto all'anno precedente e nello stabilimento di Pisa si è registrato un calo dell'8 per cento;
   il 25 gennaio 2015 si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un incontro tra la regione Toscana, il comune di Pisa, i rappresentanti della Carlo Colombo, le organizzazioni sindacali, territoriali e le rappresentanze sindacali unitarie degli stabilimenti di Pizzighettone e Pisa; in tale sede le organizzazioni sindacali hanno chiesto al Ministero di intervenire per una verifica presso i creditori;
   stante la situazione e la rinegoziazione in atto con i creditori di un nuovo accordo di ristrutturazione del debito, l'azienda ha comunicato il 2 maggio 2016 la decisione di chiudere lo stabilimento di Pisa con conseguente risoluzione dei rapporti di lavoro e messa in mobilità di tutti i dipendenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e soprattutto del precipitare della situazione avvenuto il 2 maggio 2016;
   se non intenda riaprire immediatamente il tavolo istituzionale convocato l'ultima volta presso il Ministero dello sviluppo economico il 25 gennaio 2015;
   quali siano le soluzioni che intende prospettare per garantire un futuro ai 68 lavoratori dello stabilimento di Pisa.
(5-08595)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, MARTELLI, PLACIDO, COSTANTINO, QUARANTA, FAVA, DURANTI, PIRAS, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, MELILLA, SCOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-08556 presentata dalla prima firmataria del presente atto segnalavano diverse criticità inerenti alla trasparenza degli appalti ed a una perdurante situazione di «caporalato» nello stabilimento Fincantieri di Ancona;
   nella suddetta interrogazione veniva chiesto al Governo quali iniziative di competenza intendesse adottare al fine di intervenire sulle criticità dello stabilimento Fincantieri di Ancona illustrate;
   in data 4 maggio 2016, in Commissione attività produttive, veniva fornita una risposta che, oltre a riepilogare i passaggi più significativi della vicenda, riferiva di una riunione tenutasi in data 12 aprile 2016, alla quale hanno preso parte il sindaco di Ancona, l'organizzazione sindacale FIOM CGIL, l'assessore alle attività produttive del comune, i comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, i direttori provinciali del lavoro, il dirigente del servizio SPAL (sistema politiche attive del lavoro) e i rappresentanti della RSU FIOM di Fincantieri Ancona;
   nel corso dell'incontro sono state analizzate tali criticità e alcune misure «al fine di adottare iniziative più efficaci per porre fine alle problematiche che interessano lo stabilimento» Fincantieri di Ancona;
   l'azienda, che ha partecipato all'incontro per il tramite del direttore relazioni istituzionali e del direttore del personale della sede di Ancona, ha «manifestato la disponibilità a fornire con cadenza periodica l'elenco delle Ditte appaltatrici operanti, per svolgere attività di vigilanza con il coinvolgimento degli enti interessati (INPS, INAIL, Ispettorato del lavoro, ASUR)»;
   tale misura, in particolare, pur essendo un necessario primo passo verso una maggiore trasparenza in ordine ai rapporti di lavoro che intercorrono tra società appaltante, appaltatori e subappaltatori, non pare, ad avviso degli interroganti, essere sufficiente a contrastare i fenomeni già illustrati nel precedente atto di sindacato ispettivo, qui richiamato. Tra le criticità di maggiore rilevanza vi è, infatti, a giudizio degli interroganti la difficoltà concreta di valutare se le ore di lavoro svolte dai dipendenti delle ditte appalto e subappalto siano tutte effettivamente retribuite, o se siano soggette a pratiche quali la monetizzazione di ferie, permessi, Tfr, tredicesime, trasferte, rimborsi e spese fittizi, con possibili fenomeni di evasione ed elusione fiscale e contributive dovute alle «paghe globali»;
   la FIOM CGIL ha, inoltre, più volte segnalato come, a livello più generale, in Fincantieri gli appalti siano prevalenti rispetto alle attività svolte direttamente dall'azienda, aggiungendo come spesso il tipo di occupazione generata da questa modalità organizzativa sia «priva di diritti e sottopagata», sollecitando una riduzione di tale modalità di gestione del lavoro accompagnata da norme di controllo più stringenti (nota stampa FIOM nazionale, 3 maggio 2016);
   l'organizzazione sindacale FIOM nell'ambito del tavolo di confronto già richiamato, ha proposto un protocollo di trasparenza al fine di monitorare le «timbrature» dei lavoratori delle ditte appaltatrici, attualmente non accessibili –:
   se siano previsti ulteriori tavoli di confronto tra organizzazioni sindacali, azienda ed istituzioni, sulla scorta di quello citato in premessa, al fine di mantenere un monitoraggio costante, con attività di confronto e verifica permanente, sulla situazione del cantiere di Ancona, così come sugli altri con maggior carico di lavoro, quali Monfalcone, Marghera, e Sestri;
   in caso affermativo, se i Ministri interrogati siano già in grado di fornire un calendario di massima degli incontri previsti o in previsione;
   se non ritengano opportuno valutare se sussistano i presupposti per l'istituzione di presidi permanenti degli uffici con funzioni ispettive presso i cantieri citati e per il monitoraggio delle «timbrature» dei lavoratori che operano per ditte in regime di appalto e subappalto. (5-08603)


   RICCIATTI, DANIELE FARINA, FRANCO BORDO, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, MARTELLI, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Konig Spa è una società attiva nella produzione di catene per autoveicoli. L'azienda è stata fondata nel 1966 come spin-off della Trafilerie Boghi, una realtà operante nel settore della trafilatura di vergelle. Konig ha uno stabilimento a Molteno, in provincia di Lecco, attivo dal 1976, che ospita tutta la produzione, potendo contare su un know how maturato in oltre 50 anni di storia;
   nel 2004 Konig è stata acquisita dall'azienda svedese Thule, per poi passare, nel 2015, al gruppo austriaco Pewag Spa, che, con l'acquisizione della società lecchese, si pone in posizione di leadership a livello mondiale nel mercato delle catene da neve;
   all'indomani dell'acquisizione, la società austriaca prospettava un rilancio dell'attività produttiva di Konig, attraverso una sinergia con gli altri stabilimenti del gruppo;
   in data 29 aprile 2016 in un incontro tenutosi presso la sede di Confindustria di Lecco tra la società e le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie, la dirigenza di Konig ha prospettato un piano di riorganizzazione che prevede, a fronte dell'attuale organico di 130 dipendenti, un esubero di 106 lavoratori;
   Konig ha motivato il piano con una previsione del calo di produzione di catene da neve per autovetture che passerebbe dalle 950.000 prodotte nel 2012 alle 180.000 previste per l'anno 2016;
   nello stabilimento di Molteno vengono prodotte prevalentemente catene per autovetture, mentre le catene per uso industriale sono prodotte in altri stabilimenti esteri del gruppo austriaco;
   inoltre, la direzione di Konig ha sottolineato come risulti più vantaggioso per il gruppo produrre le catene per mezzi pesanti nello stabilimento Pewag in Carinzia che ha una capacità produttiva quattro volte superiore allo stabilimento di Molteno;
   il piano di riorganizzazione prevede il trasferimento dell'intera produzione nei due siti produttivi Pewag in Carinzia e in Repubblica Ceca, con uno svuotamento della capacità produttiva dello stabilimento italiano, che verrà trasformato – secondo le intenzioni prospettate da Konig – in polo logistico-commerciale, con una riduzione della manodopera superiore a 100 elementi;
   oltre alla perdita di una eccellenza produttiva italiana, il piano ha evidenti e gravi ripercussioni sul tessuto sociale del territorio. Situazione che diventa drammatica per i lavoratori in esubero, anche a causa delle nuove norme del cosiddetto Jobs Act, entrato in vigore a settembre 2015, che non prevedono la cassa integrazione nei casi di cessazione dell'attività; strumento che resta invece attivo nei casi di riorganizzazione industriale (La Provincia di Lecco, 5 maggio 2016);
   le nuove norme sul lavoro sottraggono ai lavoratori, a parere degli interroganti, un importante strumento difensivo nel governo dei processi di ristrutturazione, aggravato dal fatto che spesso le politiche di ricollocamento dei lavoratori sono deboli, quando inesistenti;
   tali norme paiono agevolare, anziché arginare, le politiche di delocalizzazione delle aziende multinazionali che operano in Italia, con un progressivo impoverimento del tessuto produttivo nazionale che continua a perdere eccellenze –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati al fine di salvaguardare i livelli occupazionali dello stabilimento Konig di Molteno;
   se il Ministro dello sviluppo economico non intenda convocare tempestivamente un tavolo istituzionale di crisi, al fine di valutare, con l'azienda, le organizzazioni sindacali e le istituzioni territoriali, possibili alternative al piano di smantellamento dell'attività produttiva dello stabilimento di Molteno;
   alla luce di quanto illustrato in premessa, in particolare sugli effetti pratici del cosiddetto Jobs Act in materia di cassa integrazione, quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali al fine di garantire un adeguato sostegno e reinserimento per i lavoratori che si trovano nella situazione illustrata.
(5-08609)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da molto tempo si assiste a chiamate telefoniche effettuate dai call center a qualsiasi ora del giorno ed in numero spropositato che disturbano gli utenti ed a volte rischiano di far concludere, in maniera quasi fraudolenta, contratti onerosi a persone, spesso anziani, che rispondono all'apparecchio telefonico;
   è, comunque opportuno ed utile sottolineare come la maggior parte del personale dei call center svolga il proprio lavoro in modo corretto e professionale;
   è necessario, in ogni caso, anche e soprattutto per evitare truffe agli utenti telefonici, disciplinare le chiamate dai call center, ad esempio imponendo un numero massimo di chiamate telefoniche;
   sarebbe, inoltre, opportuno adottare misure che garantiscano la tutela degli utenti telefonici in modo che gli stessi, in caso di conclusione di un contratto, siano avvertiti preventivamente sulle conseguenze dello stesso e possano fornire il consenso, per la stipula del contratto telefonico, richiamando la persona che, dal call center, ha effettuato la telefonata;
   infatti, è necessario garantire la massima trasparenza proprio in un settore che abbisogna di una regolamentazione certa e sicura, al fine di impedire danni per gli utenti soprattutto quelli più anziani –:
   se non sia necessario assumere iniziative normative per regolamentare le chiamate telefoniche dai call center al fine di assicurare la massima trasparenza e garantire la tutela degli utenti telefonici. (4-13087)


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni fa si è registrata la soppressione dell'articolo 6 del progetto di legge sull'acqua, che definiva il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica e ne disponeva quindi l'affidamento esclusivo a enti di diritto pubblico;
   mentre si discute di servizi indispensabili e si decide che l'acqua non è più un bene pubblico, allo stesso tempo ci si dimentica che in Italia esistono aree sprovviste dei servizi essenziali come le reti di approvvigionamento idrico, la fornitura di energia elettrica e dove manca il segnale di telefonia mobile: in genere, si tratta di comuni montani, che vivono già condizioni penalizzanti legate all'orografia e sono zone soggette al fenomeno dello spopolamento dei luoghi e all'invecchiamento della popolazione residente;
   in provincia di Treviso nella zona del Pizzoc e Cadolten (comune di Fregona) al confine con il bellunese, nei Borghi Pradal Alto, Pradal Basso, Naronchie e Chiesura, tutti all'interno del comune di Vittorio Veneto manca la rete di approvvigionamento idrico e l'acquedotto;
   nel Pizzoc e nella zona di Cadolten (1200 m) manca anche la rete elettrica;
   nella Valsalega, al Pizzoc, Cadolten e in parte dei comuni di Fregona, Sarnede, Cordignano non esistono ripetitori di telefonia mobile;
   le sorgenti profonde che nascono sul monte Pizzoc e nei Borghi di Vittorio Veneto riforniscono tutta la bassa trevigiana, mentre la zona montana, non servita dalla rete idrica, si deve rifornire mediante autobotti, poiché le poche acque superficiali, che molto spesso si prosciugano durante l'estate, non sono potabili;
   nella zona del Pizzoc sono presenti realtà turistiche e produttive come il rifugio Città di Vittorio Veneto e la malga Coro;
   a Cadolten ha sede la Cooperativa di Solidarietà per persone diversamente abili, che ogni anno organizza meeting internazionali con altre realtà simili. Attualmente, si sta attuando un intervento di ristrutturazione dell'edificio per trasformarlo in ostello, pur continuando ad approvvigionarsi di acqua potabile con autobotti e utilizzando generatori per produrre elettricità. L'ultimo punto elettrico è distante 3 chilometri, sul passo Crosetta in comune di Fregona;
   nella zona industriale di Fratte di Fregona, dove manca la telefonia mobile, ci sono 15 aziende penalizzate dalla mancanza di collegamento, tanto che il prefetto di Treviso si sta interessando per realizzare un ponte radio in accordo con TIM;
   i tre comuni di Sarnede, Fregona e Cordignano sono a ridosso della foresta del Cansiglio, meta turistica di alta frequentazione con quasi 200 mila presenze all'anno e che quindi necessita dei servizi essenziali quali acqua, luce, collegamenti telefonici e internet, per poter essere un polo attrattivo, rilanciando di conseguenza tutta l'economia della zona;
   ci sono molte aree boschive e, in assenza di punti di approvvigionamento d'acqua, sarebbero molto difficili e non tempestivi gli interventi in caso di incendio, mettendo in grave pericolo non solo l'ambiente e in particolare la foresta del Cansiglio, ma soprattutto l'incolumità dei residenti;
   i proprietari di immobili nelle aree sprovviste di servizi hanno manifestato una disponibilità a contribuire alla realizzazione dell'acquedotto che rifornisca la zona: i gestori dei servizi idrici BIM (per Cadolten e Pizzoc) e Servizi idrici sinistra Piave (per Fregona e Vittorio Veneto) hanno elaborato uno studio di fattibilità, cercando di coinvolgere anche la regione Veneto;
   i proprietari pagano ogni anno la TARI per servizi che non hanno –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti su esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di dotare dei servizi essenziali (acqua, luce e telefonia) le suddette zone che ad oggi ne risultano sprovviste e, in particolare, se non ritengano che sussistano i presupposti per assumere iniziative normative che prevedano lo stanziamento di risorse specifiche, sotto forma di contributo statale, per la realizzazione della rete idrica mancante a Fregona, Vittorio Veneto, Cadolten e Pizzoc;
   se intendano promuovere, per quanto di competenza, un tavolo di lavoro con la regione Veneto, Enel, i gestori dei servizi idrici integrati BIM e Servizi idrici sinistra Piave, Telecom Italia e i comuni coinvolti, per concordare un piano di interventi e reperire risorse, anche mediante i fondi europei. (4-13093)


   FORMISANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   ogni anno il Ministero dello sviluppo economico emana uno specifico bando concernente le norme per la concessione dei contributi alle emittenti televisive locali previsti dalla legge n. 448 del 1998;
   il bando è emanato sulla base del decreto ministeriale n. 292 del 2004 «Regolamento recante nuove norme per la concessione alle emittenti televisive locali dei benefici previsti dall'articolo 45, comma 3, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, e successive modifiche e integrazioni»;
   ai contributi assegnati annualmente dal Ministero dello sviluppo economico (45 milioni per radio e tv locali nel 2015) si sono aggiunti quelli stabiliti dalla legge di stabilità di quest'anno, sicuramente un'entrata in soccorso di un settore che può vantare circa 3.800 dipendenti sul territorio nazionale;
   secondo le stime di Confindustria Radio Televisioni, nel 2013, le tv locali hanno subìto una perdita pari 54 milioni su un fatturato da 408,5 milioni (-72 milioni rispetto all'anno precedente);
   il nuovo fondo, ispirato dalla volontà di favorire il pluralismo, dovrebbe rappresentare una vera e propria boccata di ossigeno per le piccole aziende editoriali, alle prese con la crisi della pubblicità; gli aiuti pubblici del fondo consentiranno dunque alle piccole emittenti dislocate sul territorio di evitare impopolari tagli al personale;
   il coordinamento autonomo multimediale (Cam) raggruppa numerosissime emittenti radio televisive italiane e funge da interlocutore con la Commissione europea, con l'Agcom e con il Ministero dello sviluppo economico;
   purtroppo, quanto su scritto si scontra con la realtà; infatti, sussistono gravi ritardi, da parte del Ministero dello sviluppo economico, all'erogazione dei fondi previsti, ex legge n. 448 del 1998, in favore delle emittenti sul territorio nazionale, che hanno causato e causano tuttora gravissimi danni alla libertà di stampa e alle aziende con conseguenti ricadute sull'occupazione e aumento del rischio di fallimenti delle stesse;
   all'interrogante risulta che il coordinamento autonomo multimediale abbia più volte richiesto appuntamenti e informazioni presso il Ministero per discutere di tali gravissime problematiche e conoscere i motivi per i quali, pur essendo disponibili i fondi sin dal dicembre 2015, ad oggi non siano stati erogati, ma ad oggi nessuna risposta sarebbe pervenuta da parte del Ministero stesso;
   da informazioni pervenute all'interrogante, sembrerebbe che il problema sia stato amplificato da azioni riorganizzative nel personale del Ministero, che avrebbe interrotto quella linea di comunicazione con il coordinamento autonomo multimediale che funzionava in maniera precisa e puntuale –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intraprendere un'iniziativa di verifica sull'efficienza degli uffici preposti alle attività su espresse, in modo da non vanificare gli sforzi finora programmati dal Governo. (4-13095)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione De Girolamo e altri n. 1-01205, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palmieri.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Sibilia n. 4-13080, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dell'Orco.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cenni e altri n. 5-08580, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zanin.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Simonetti n. 5-07850 del 19 febbraio 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Benedetti n. 4-10450 del 23 settembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02244;
   interrogazione a risposta scritta Fucci e altri n. 4-10482 del 24 settembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02247;
   interrogazione a risposta in Commissione Ginefra e altri n. 5-07029 del 18 novembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02241;
   interrogazione a risposta in Commissione Gallinella e altri n. 5-07358 del 14 gennaio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02240;
   interrogazione a risposta in Commissione Fregolent n. 5-07505 del 26 gennaio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02239;
   interrogazione a risposta scritta Pastorelli n. 4-11977 del 5 febbraio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02245;
   interrogazione a risposta scritta Villarosa e altri n. 4-12201 del 23 febbraio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08605;
   interrogazione a risposta in Commissione Burtone e altri n. 5-08572 del 4 maggio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02242.