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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 4 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    per maternità surrogata (secondo la terminologia utilizzata dall'articolo 12, comma 6, della legge n. 40 del 2014) altrimenti detta «gestazione per altri» - gpa (secondo la terminologia utilizzata dalla Corte europea dei diritti umani), si intende una pratica fondata sulla disponibilità di una donna a portare a termine la gravidanza per realizzare un progetto di genitorialità altrui;
    la pratica è vietata in Svezia, Norvegia, Finlandia, Germania, Austria, Francia, Spagna, Portogallo e consentita se gratuita e con un articolato livello di restrizioni in Canada, Inghilterra, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Australia e alcuni Stati Usa e dell'est Europa come Armenia, Georgia, Ungheria, Bielorussia, Ucraina e Russia, ammessa in Asia India, Nepal, Thailandia, Hong Kong e in Sudafrica;
    in Grecia è consentita in forma gratuita e previa autorizzazione di un tribunale;
    relazioni recenti hanno mostrato un incremento diffuso di tale pratica, documentando il flusso della domanda verso i Paesi che ne consentono l'attuazione a condizioni economiche e giuridiche più vantaggiose;
    tale documentazione evidenzia l'inserimento della maternità surrogata in un sistema di produzione gestito da agenzie di intermediazione, in cui il processo della gestazione e il neonato sono oggetto di sfruttamento;
    il 15 marzo 2016 la Commissione affari sociali del Consiglio d'Europa ha respinto la relazione «Diritti umani e problemi etici legati alla surrogacy» della senatrice e ginecologa belga Petra De Sutter, volta a regolamentare la maternità surrogata nei 47 Stati membri, in virtù dell'apporto della delegazione italiana presso il Consiglio;
    il 15 dicembre del 2015 il Parlamento europeo, in assemblea plenaria, ha condannato la pratica della gestazione per altri, approvando una risoluzione (2015/2229(INI)) sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia, il quale (testo votato, paragrafo 115) «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata che implica lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani»;
    la «Convenzione sui diritti dell'infanzia», approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 (ratificata dall'Italia con la legge del 27 maggio 1991, n. 176), impegna gli Stati ad adottare tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione e, in particolare, il diritto dei bambini a non essere privati degli elementi costitutivi della loro identità (articolo 8) e il diritto ad essere protetti contro ogni forma di sfruttamento economico (articolo 32);
    conseguentemente, gli ordinamenti, nazionali ed internazionali, non possono contenere previsioni che violino il diritto dei minore all'identità personale, indipendentemente dalle modalità con cui è venuto al mondo;
    la Corte europea dei diritti umani ha stabilito, condannando la Francia, nel 2014, sentenze Menesson e Labasse, che non può essere negata la trascrizione dell'atto di nascita di un minore, nato da maternità surrogata all'estero, nonostante tale pratica sia vietata e penalmente perseguita in quel Paese;
    la mancata trascrizione, infatti, provoca incertezza giuridica nella vita del minore e determina una violazione del suo diritto all'identità personale; secondo la Corte, la legge dello Stato non può far ricadere nella sfera giuridica dei bambini, il cui interesse è sempre preminente, gli effetti della scelta dei genitori di ricorrere ad una tecnica di fecondazione vietata nel loro Paese;
    nella sentenza Paradiso - Campanelli, del gennaio 2015, anche l'Italia è stata condannata per aver sottratto e dato in adozione il figlio di nove mesi di una coppia eterosessuale che aveva fatto ricorso in Russia alla fecondazione eterologa e alla maternità per altri, con la motivazione del preminente interesse del minore alla stabilità affettiva indipendentemente dall'esistenza di una genitorialità biologica;
    il principio della non commerciabilità del corpo umano, ribadita dall'articolo 21 della Convenzione di Oviedo, sottoscritta nel 1997, e ratificata dall'Italia nel 2001, prevede che il corpo umano e le sue parti non debbano essere fonte di profitto; la Convenzione sottolinea anche come il principio della indisponibilità del corpo umano non sia assoluto e che donare organi o parti del proprio corpo non è quindi contrario al principio di dignità;
    il principio della non commerciabilità del corpo umano e delle sue parti è inoltre espressamente sancito dall'articolo 3, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che stabilisce: «il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro»;
    conseguentemente, la commercializzazione e lo sfruttamento della capacità riproduttiva del corpo della donna rappresentano lesioni del principio universale di rispetto della dignità umana, nonché violazione dei diritti umani;
    in Italia il comma 6 dell'articolo 12 della legge 40 sancisce che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    in alcuni dei Paesi dove la maternità surrogata è consentita, i rapporti tra le persone coinvolte vengono regolamentati da accordi privati, come i contratti pre-nascita frequenti negli Usa, mentre in Paesi, come la Cambogia, la Thailandia o il Nepal, si verificano con frequenza fenomeni di sfruttamento di donne in stato di difficoltà economica, fenomeno diffuso anche in alcuni Paesi dell'est Europa;
    in alcuni Paesi la maternità surrogata è consentita soltanto in presenza di protocolli specifici (gravidanza altruistica); nei Paesi in cui la gestazione per altri è consentita se gratuita, ed è chiamata altruistica, il fondamento teorico e culturale richiamato è quello del dono, che vede la donna mettere a disposizione il proprio corpo e la propria gestazione in modo libero, volontario e gratuito, come scelta solidale in aiuto a chi non può avere figli in relazione a problemi fisici;
    si è sviluppato un dibattito che sottolinea come le relazioni che si stabiliscono attraverso la gratuità del dono siano coerenti con la tradizione giuridica dell'Unione europea, in particolare con la Carta dei diritti fondamentali che ribadisce il divieto, nell'ambito della medicina e della biologia di fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro, senza però vietarne la sua utilizzazione a titolo gratuito;
    a livello nazionale e internazionale si sono moltiplicati gli appelli per la messa al bando della maternità surrogata, nei quali si è affermato che gravidanza altruistica è un fenomeno limitato a rarissimi casi e si è denunciata come la scomposizione in segmenti indipendenti della gravidanza, del parto e della nascita, porti ad un impoverimento del valore affettivo simbolico e culturale della maternità e dell'evento umano della nascita, consentendo la loro riduzione a merce e la loro scambiabilità;
    il Comitato nazionale di bioetica, il 18 marzo 2016, ha approvato una mozione sulla maternità surrogata a titolo oneroso, in cui si afferma che la commercializzazione e lo sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive sotto qualsiasi forma di pagamento sia in contrasto con i principi bioetici fondamentali e ha rimandato ad una successiva trattazione l'argomento della surrogazione di maternità senza corrispettivo economico;
    la Corte costituzionale definisce la scelta di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli come espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà riconducibile agli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione: conseguentemente le limitazioni di tale libertà sono ragionevolmente giustificate dalla impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza n. 162 del 2014);
    la riforma dunque, della normativa sulle adozioni appare sempre più urgente e necessaria al fine superare i meccanismi farraginosi che la rendono spesso poco accessibile,

impegna il Governo:

   a fronte del divieto della maternità surrogata, previsto dalla legge n. 40 del 2004, ad avviare un confronto sulla base del paragrafo 115 della risoluzione del Parlamento europeo (2015/2229 (INI)) sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia, approvata in assemblea plenaria il 17 dicembre 2015, di cui in premessa;
   ad attivarsi nelle forme e nelle sedi opportune, per il pieno rispetto, da parte dei Paesi che ne sono firmatari, delle convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino e a promuovere a livello nazionale e internazionale, iniziative che conducano al riconoscimento del diritto dei bambini alla identità personale e alla loro tutela, indipendentemente dalla modalità in cui sono venuti al mondo;
   ad attivarsi per completare il recepimento della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica.
(1-01248) «Rosato, Mauri, Di Salvo, Fregolent, Grassi, Gribaudo, Martella, Morani, Bini, Marco Di Maio, Cinzia Maria Fontana, Garavini, Giorgis, Giuseppe Guerini, Pollastrini, Stumpo, Marantelli, Gebhard, Paola Bragantini».


   La Camera,
   premesso che:
    la questione della presenza di detenuti stranieri nelle carceri è uno dei temi attualmente più condizionanti il sistema penitenziario italiano, data l'incidenza sull'annoso problema del sovraffollamento. Il fenomeno è poi strettamente connesso al considerevole aumento dei flussi migratori e delle inevitabili ripercussioni sul fronte della criminalità;
    il principale strumento per attuare il trasferimento delle persone condannate è la Convenzione del Consiglio d'Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, che l'Italia ha ratificato nel 1988: la Convenzione ha infatti lo scopo di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo paese d'origine;
    la procedura di trasferimento delle persone condannate prevede, quindi, per il condannato che sta già scontando la pena, il trasferimento in un altro Paese, generalmente quello d'origine, per ivi proseguire e terminare l'esecuzione della pena. Essa opera su un piano diverso rispetto all'estradizione e agli altri strumenti di cooperazione giudiziaria: ha finalità prevalentemente di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate avvicinandole al loro Paese d'origine, in modo tale da superare tutte quelle difficoltà che, su un piano umano, sociale e culturale, oltreché per l'assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall'esecuzione della pena in un paese straniero;
    in tale prospettiva, risulta comprensibile la necessità del consenso della persona interessata, diversamente da quanto avviene generalmente nelle procedure estradizionali o di consegna, che prescindono dal consenso dell'interessato, come nel caso dell'applicazione della decisione quadro 2008/909/GAI (sul mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e altre misure limitative della libertà personale), che ha un ambito applicativo limitato ai soli Paesi europei, ma che non richiede il consenso;
    l'ambito applicativo della Convenzione di Strasburgo è invece esteso a ben 65 Paesi: aperto alla firma anche degli Stati non membri del Consiglio d'Europa, ad oggi è stato ratificato da tutti i Paesi membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco, nonché da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Panama, Stati-Uniti d'America, Tonga, Trinidad e Tobago, Venezuela;
    la Convenzione stabilisce che il trasferimento del condannato possa essere richiesto sia dallo Stato nel quale la condanna è stata pronunciata (Stato di condanna) sia dallo Stato di cittadinanza del condannato (Stato dell'esecuzione), che dal condannato stesso, e che esso sia comunque subordinato al consenso degli Stati interessati oltre che a quello del condannato, precedentemente richiamato;
    allo stesso modo il Trattato individua anche la procedura per l'esecuzione della condanna dopo il trasferimento, in base alla quale, tra l'altro, una sanzione privativa della libertà non può mai essere convertita in una sanzione pecuniaria;
    le strutture carcerarie italiane sono caratterizzate da sovraffollamento cronico, carenza di organico degli agenti penitenziari e insufficiente presenza di psicologi e operatori per l'assistenza e il recupero sociale dei detenuti;
    la condizione carceraria appare troppo spesso distante dal dettato costituzionale e dagli impegni internazionali dell'Italia sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e delle dignità delle persone;
    lo stesso rapporto esplicativo della Convenzione, redatto sulla base delle discussioni del Comitato di esperti governativi che hanno redatto il Trattato, e sottoposto alla lettura Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa, sottolinea come la finalità dell'Accordo sia quella di «stabilire una procedura semplice, veloce e flessibile» per il trasferimento dei condannati stranieri, tenuto conto del fatto che l'accresciuta mobilità delle persone e la semplificazione delle comunicazioni ha favorito l'internazionalizzazione del crimine. Che i condannati scontino la pena nel loro Paese di origine, argomentavano gli esperti già all'inizio degli anni ’80, è utile alla loro riabilitazione, che sicuramente non può svolgersi appieno in un Paese di cui non conoscano bene la lingua e di cui non condividano gli usi. Allo stesso modo, le differenze linguistiche rendono difficile anche per gli operatori carcerari la comprensione dei detenuti e, quindi, la prevenzione di fenomeni di delinquenza in carcere e finanche, si deve aggiungere oggi, di radicalizzazione terroristica;
    l'Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) per le condizioni inumane in cui vivono i detenuti nelle proprie carceri, mentre i sindacati degli agenti penitenziari non cessano di sottolineare le difficili condizioni in cui lavorano gli operatori in carcere;
    nell'anno 2015 in Italia si è registrato un numero di detenuti di circa 54.000 unità. Tra questi, i detenuti stranieri erano circa 17.500, ovvero circa il 32 per cento dell'intera popolazione carceraria; i dati aggiornati al 31 marzo 2016 sono assolutamente in linea con quelli dell'anno precedente: dei circa diciottomila stranieri presenti nelle carceri italiane (17.920), 11.000 sono provenienti da Paesi di religione islamica e sette o otto mila praticanti islamisti (dati forniti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria);
    il trasferimento dei detenuti stranieri condannati in Italia nel proprio Paese di origine, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche di matrice terroristica;
    di recente, lo stesso Ministro della giustizia ha avuto modo di riportare i, dati (forniti anche al Copasir da Santi Consolo, capo del Dipartimento della amministrazione penitenziaria) relativi al rischio del proselitismo e della radicalizzazione jihadista nelle carceri: le persone coinvolte in un percorso di radicalizzazione, con diverse gradazione di adesione, sono circa 360. Un fenomeno che coinvolge un numero di persone comunque non trascurabile, che interessa anche il circuito minorile, e che risulta, in ogni caso, allarmante;
    stando ai dati dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione pubblicato dall'associazione Antigone, il costo per ogni singolo detenuto nelle carceri italiane si attesta sui 150 euro al giorno. Si può dunque stimare in oltre 2,6 milioni di euro il costo giornaliero relativo alla popolazione carceraria straniera detenuta in Italia nel solo 2015;
    le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle nostro carceri, con percentuali maggiori o uguali al 10 per cento del totale, secondo i dati del Ministero della giustizia, sono quella marocchina (16 per cento), rumena (15 per cento), albanese (14 per cento) e tunisina (10 per cento);
    Romania e Albania, come sopra riportato, hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo: il trasferimento dei condannati verso questi Paesi è quindi già oggi possibile. Per quanto riguarda gli altri Paesi, questi possono essere invitati a ratificare la stessa Convenzione, ovvero si possono firmare accordi bilaterali con gli stessi finalizzati ad ottenere lo stesso risultato;
    né il Governo né i Ministeri competenti, invece, incentivano l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
    il numero di trasferimenti di detenuti stranieri, infatti, è talmente irrilevante che questi non vengono neppure conteggiati nelle statistiche ufficiali dell'Istat e del Ministero della giustizia. Tuttavia, il Governo, opportunamente interrogato sul punto dai sottoscrittori del presente atto di indirizzo, ha comunicato che negli anni 2014-2015, si è registrata una sia pur contenuta crescita del numero complessivo dei detenuti trasferiti nei Paesi di origine, in numero di 133 per l'anno 2014 e 149 per il 2015; la Romania è il Paese che ha registrato il maggiore incremento nelle consegne, passando dalle 70 unità del 2014 alle 110, censite nel 2015;
    lo stesso Ministero della giustizia, nell'ambito della discussione dell'atto di sindacato ispettivo citato, ha dichiarato che, ad oggi, sono in vigore accordi per il trasferimento dei condannati con Cuba, Hong Kong, Perù, Thailandia, India, Kazakhstan, Repubblica Dominicana ed Egitto. Il Parlamento ha, inoltre, autorizzato la ratifica sul trattato con il Brasile;
    è poi in corso di esame presso la Commissione affari esteri e comunitari della Camera il disegno di legge di ratifica della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate, fatta a Rabat il 1o aprile 2014, già approvata dal Senato,

impegna il Governo:

   a promuovere accordi bilaterali volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti provenienti dai Paesi che fanno registrare il maggior flusso di immigrazione verso l'Italia, e, più in generale, con quei Paesi i cui cittadini registrano un alto tasso di presenza nelle carceri italiane;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad incentivare l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo, al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
   ad adoperarsi, presso le sedi internazionali, per invitare i Paesi non firmatari ad aderire alla Convenzione di Strasburgo;
   a promuovere ogni iniziativa volta a semplificare le procedure di trasferimento dei detenuti stranieri, anche attraverso la promozione della conoscenza dello strumento del trasferimento e il confronto con gli organi giudiziari competenti nazionali e dei Paesi i cui cittadini hanno il più elevato tasso di presenza negli istituti penitenziari, come l'Albania e la Romania;
   ad informare annualmente il Parlamento in merito ai dati relativi all'attuazione di accordi bilaterali per il rimpatrio dei detenuti stranieri, nonché in riferimento all'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo.
(1-01249) «Bergamini, Ravetto, Centemero, Brunetta».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni I e III,
   premesso che:
    il 16 e 17 aprite 2015 si è svolta a Berlino, presso il Ministero della cooperazione economica e sviluppo del Governo tedesco, la Conferenza internazionale delle e dei parlamentari del G7 e del G20 She matters. Empowering women and girls to lead self-determined, healthy and productive lives;
    alla Conferenza hanno partecipato 90 parlamentari di 50 Paesi, tra cui, per l'Italia, alcune parlamentari dell'intergruppo di lavoro informale «Salute globale e diritti delle donne», composto da 25 deputate e senatrici. Tra i compiti dell'intergruppo vi è il monitoraggio dell'attuazione degli impegni internazionali assunti dal Governo italiano in materia di salute globale e diritti delle donne. A livello europeo, il gruppo è collegato con lo European Parliamentary Forum on Population and Development (EPF); la Conferenza internazionale di Berlino aveva lo scopo di rappresentare ai Paesi del G7, che si riuniranno in Germania nel mese di giugno 2015, e ai Paesi del G20, che si riuniranno in Turchia nel novembre 2015, l'urgenza di un maggiore impegno a favore della cooperazione internazionale allo sviluppo e per la salute globale, in particolare in ambito di parità di genere e di salute e diritti sessuali e riproduttivi. Tutto ciò in linea con la grande attenzione posta dal Governo tedesco all’empowerment economico delle donne, uno dei temi in agenda al Vertice del G7;
    al termine della Conferenza è stato redatto il Berlin Parliamentarians’ Appeal che raccoglie le raccomandazioni e gli impegni dei e delle parlamentari presenti affinché le donne possano decidere della propria vita, condurre una esistenza sana ed esercitare un ruolo attivo nell'economia, e per un rinnovato impegno al finanziamento per lo sviluppo;
    l'appello, che contiene anche pregnanti richieste rivolte ai Paesi componenti il G7 e G20, è stato consegnato – al termine dei lavori – al professor Lars-Hendriik Roelter, sherpa tedesco per il G7, responsabile del processo preparatorio del vertice e coordinatore della stesura della dichiarazione finale;
    l'appello dei e delle parlamentari afferma la necessità di aumentare le risorse destinate all'aiuto pubblico allo sviluppo (APS), destinando almeno il 10 per cento dei fondi per promuovere la salute e i diritti sessuali e riproduttivi, la parità di genere, i diritti umani delle donne e delle ragazze e il loro empowermnent, sia nella cooperazione allo sviluppo sia in contesti umanitari;
    è quanto mai necessario riaffermare il programma d'azione della Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo del Cairo e la dichiarazione e la piattaforma d'azione di Pechino, le azioni-chiave per la loro ulteriore implementazione, gli esiti dei processi di follow up compresi i documenti finali delle conferenze regionali di revisione e altri importanti documenti in materia di diritti umani;
    l'Assemblea generale delle Nazioni Unite sta elaborando l'agenda per io sviluppo post-2015, che fornirà un quadro di riferimento universale per lo sviluppo sostenibile in campo sociale, economico e ambientale per i prossimi quindici anni anche in tema di diritti e salute sessuali e riproduttivi, parità di genere, diritti umani delle donne e delle ragazze e il loro empowermnent;
    il segretario generale delle Nazioni Unite e l'Organizzazione mondiale della sanità (QMS) stanno lavorando alacremente per promuovere lo sviluppo di una rinnovata strategia globale per la salute di donne, bambini/e e adolescenti contenuti nell'iniziativa «Ogni donna, ogni figlio/a» che sarà lanciata all'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2015;
    sono previsti entro il corrente anno il vertice del G7 che si terrà a Elmau nel mese di giugno, la Conferenza sul finanziamento allo sviluppo ad Addis Abeba a luglio, il Vertice post-2015 a New York a settembre, il Vertice dei G20 a novembre a Izmir e il Vertice sul Clima a Parigi a dicembre,

impegnano il Governo:

   in occasione dei prossimi appuntamenti internazionali:
    a promuovere e rafforzare la tutela dei diritti e della salute sessuali e riproduttivi, la parità di genere, i diritti umani delle donne e delle ragazze e il loro empowermnent in tutti i settori, al fine di favorire le condizioni per una vita autodeterminata, sana, produttiva;
    ad affrontare le cause strutturali della discriminazione basata sul genere e a promuovere le condizioni che favoriscono la trasformazione nelle relazioni di genere per renderle egualitarie;
    a rispettare e rinnovare il sostegno politico e finanziario all'iniziativa assunta dal G8 a Muskoka il 25 e 26 giugno 2010 in merito alla salute materna e infantile, finalizzata alla riduzione della mortalità materna, neonatale, prenatale nei Paesi in via di sviluppo;
    a garantire il pieno rispetto per l'autonomia del corpo delle donne il loro diritto ad averne il controllo e decidere liberamente e responsabilmente riguardo alla propria sessualità, come previsto dalla Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo svoltasi al Cairo nel 1994 e dalla Quarta Conferenza mondiale dell'ONU sulle donne di Pechino nel 1995 e i loro follow-up;
    a garantire alle donne l'effettiva partecipazione e la possibilità di assumere la leadership a tutti i livelli decisionali, politici, economici e sociali, compresa la gestione della riduzione del rischio di catastrofi, la prevenzione e la mediazione dei conflitti e la costruzione dei processi di pace;
    a rinnovare e rispettare – unitamente agli altri Paesi del G7 e con quelli ad alto reddito – l'impegno di contribuire, con lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo, finalizzato all'aiuto pubblico allo sviluppo e garantire la sostenibilità, la ristrutturazione del debito e la sua cancellazione, ove necessario;
    a farsi promotore affinché tutti i Paesi adottino e attuino le leggi e le politiche che promuovono e tutelano i diritti umani e si impegnino ad abolire – laddove ancora presenti – le discriminazioni di qualunque natura, ivi comprese quelle afferenti allo status di migrante;
    a sostenere tutte le raccomandazioni e le richieste inclusi nel Berlin parliamentary Appeal e a dare seguito agli impegni e ai piani di azione sottoscritti negli anni dall'Italia in materia di gender equality e women's empowerment.
(7-00988) «Zampa, Roberta Agostini, Locatelli, Marzano, Cimbro, Piazzoni, Centemero, Nicchi, Carnevali, Giuliani, Labriola, Amato, Capone, Di Salvo, Carrozza, Gribaudo, Gnecchi, Iacono, Patriarca, Braga, Marchi, Cenni, Stella Bianchi, Albini, Patrizia Maestri, D'Incecco, Tinagli, Zanin, Simoni, Galgano, Vargiu, Matarrese, Catania, Pinna, Valeria Valente, Iori, Quartapelle Procopio».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
   negli ultimi anni la redditività delle produzioni di grano duro in Italia si è costantemente ridotta con prezzi di vendita del prodotto sempre più bassi per gli agricoltori e costi di produzione sul campo in progressiva salita;
   nello stesso tempo, il mercato globale del grano duro si sta caratterizzando anche e soprattutto per le difficoltà di approvvigionamento di prodotto di qualità;
   l'Italia, a causa della sua dipendenza dall'estero per il proprio fabbisogno di grano duro, sta risentendo, più di ogni altro Paese, dello squilibro internazionale dei mercati cerealicoli, manifestando pertanto la sua particolare vulnerabilità nel settore;
   la dipendenza italiana dai mercati esteri è legata, oltre che all'insufficiente offerta nazionale, anche alla possibilità di poter disporre di forniture che si caratterizzano sia per una qualità omogenea che per la costanza nel tempo;
   il settore cerealicolo del grano duro italiano ha una complessità e una valenza strategica che emerge facilmente quando si valutano:
    la complessa articolazione della filiera;
    la primaria importanza nell'alimentazione, qualificandosi come matrice originaria del nostro made in Italy più tipico: la pasta, la pizza, i dolci tipici;
    il ruolo delle farine per la panificazione;
    il ruolo e il peso dell'industria e dell'artigianato a valle del sistema produttivo primario;
    il ruolo agronomico-paesaggistico derivante dal carattere estensivo delle colture, con una ricaduta ambientale non marginalizzabile;
   il frumento duro è destinato in misura pressoché totale all'alimentazione umana e, nel nostro Paese, in particolare alla produzione di semola per paste alimentari. Il prodotto pasta riveste grande importanza sia per i consumi interni (consumo pro capite in Italia: 28 kg annui) che per l’export, che assorbe circa il 50 per cento della produzione. Partecipano a questa filiera: le ditte sementiere e le aziende di moltiplicazione; le imprese agricole di produzione; gli stoccatori cooperativi e privati (soprattutto al Sud), consorzi agrari (nel Centro-Nord); i semolifici ed i pastifici;
   è notevole la dipendenza dell'industria molitoria e pastaria dalle importazioni. Su un fabbisogno annuo di poco più di 5 milioni di tonnellate, più di 2 milioni (35 per cento) devono essere importate dall'estero, per lo più da Paesi terzi appartenenti all'area del dollaro;
   le importazioni non riguardano solamente il prodotto «base», quanto soprattutto il grano duro per fabbisogni «tecnici»: il livello qualitativo, che nel frumento duro si esprime soprattutto in termini di percentuale di proteine, è nel nostro Paese spesso insufficiente per soddisfare i requisiti richiesti dalla normativa per la qualità della semola;
   l'industria molitoria utilizza annualmente circa 5 milioni di tonnellate di grano duro (dei quali 2 milioni di tonnellate di importazione), equivalenti a 3,4 milioni di tonnellate di semola di grano duro; di questi 3,4 milioni di tonnellate di semola, 1,6 milioni sono impiegati per la produzione di pasta per il mercato interno, altri milioni per la produzione di pasta destinata all'esportazione (la pasta è il secondo prodotto alimentare esportato in valore;
   dopo il vino, e contribuisce in misura notevole all'equilibrio della bilancia commerciale agroalimentare) e 200.000 tonnellate per altri impieghi alimentari. Oltre a dipendere fortemente dalle importazioni, l'industria molitoria e pastaria (due fasi gestite spesso da un'unica unità produttiva, data l'elevata integrazione verticale in questo comparto) si trova a fronteggiare un'offerta nazionale di materia prima in forte squilibrio rispetto alla localizzazione della domanda. Le regioni italiane si presentano quasi tutte come fortemente deficitarie, soprattutto lì dove sano maggiormente concentrate le capacità di trasformazione (Puglia, Emilia Romagna);
   l'elevata integrazione verticale tra semolifici e pastifici, ai quali si aggiunge la concentrazione della domanda facente capo ad un numero non elevato di industrie leader comporta che ai produttori e stoccatori nazionali di materia prima sia richiesto un adeguamento strutturale che consenta loro di restare competitivi sul mercato, rispetto alla concorrenza estera;
   nel breve periodo, risulta della massima importanza concentrare gli sforzi sugli aspetti organizzativi, soprattutto con la creazione di impegni contrattuali basati sulla reciprocità e sul contenuto di servizio che è possibile incorporare al prodotto grano duro;
   al momento, l'offerta nazionale appare complementare rispetto alle importazioni. Di fronte alla necessità di «coprire» i propri fabbisogni nel medio periodo, la programmazione delle industrie è infatti rivolta in primo luogo all'estero (Canada, Paesi Est-Europa, Grecia Australia), in grado di offrire partite di qualità omogenea e soprattutto in lotti di consegna significativi, mentre l'approvvigionamento sul mercato interno assume carattere di complementarietà in alcuni periodi dell'anno (estate, inizio inverno), mentre in altri periodi il mercato nazionale è praticamente fermo;
   il maggior punto di forza della filiera del frumento duro è senz'altro l'immagine consolidata del prodotto «pasta», che ha prodotto negli anni un'elevata cultura sia industriale che del consumo;
   in effetti, pur essendo molte delle materie prime di provenienza estera, la pasta continua a mantenere, in Italia ed all'estero, l'immagine di un tipico prodotto made in Italy. La pasta è universalmente riconosciuta come il pilastro della dieta mediterranea. Dietologi e medici nutrizionisti concordano nell'assegnare alla pasta un elevato contenuto dietetico e salutistico. Nel confronto con altri carboidrati, la pasta è facilmente digeribile (salvo per i soggetti intolleranti al glutine), altamente nutriente e apporta al metabolismo una gran quantità di sostanze utili. Inoltre, ulteriori specificità del valore della pasta consistono nella gran quantità di formati diversi, che si prestano a molteplici preparazioni culinarie e nel know how artigianale e industriale dei nostri mugnai e pastai. Nonostante i tentativi in alcuni Paesi esteri (ad esempio Francia, USA, ma anche alcuni Paesi del Sudamerica) di realizzare un'industria pastaria, nessun competitor è ancora riuscito a mettere seriamente in dubbio il primato italiano;
   a ciò si aggiunge, in alcune zone del Paese, la presenza di veri e propri distretti del frumento duro, in particolare in Puglia, e recentemente anche in Emilia Romagna;
   molti dei punti di debolezza della filiera del frumento duro sono comuni a tutte le filiere cerealicole. In particolare si fa riferimento a:
    polverizzazione produttiva: la maggior parte delle aziende coltivatrici di frumento duro non superano le dimensioni minime per garantire un minimo di redditività aziendale;
    scarsa «cultura» produttiva e scarsa attenzione alla qualità nelle fasi di coltivazione: negli anni dell'aiuto accoppiato sono venuti parzialmente meno gli incentivi per una coltivazione di qualità, che però sta dando segni di ripresa al Centro-Nord;
    scarso livello organizzativo nella concentrazione dell'offerta, soprattutto nel Mezzogiorno. Secondo alcune stime, al Centro-Nord, la ripartizione tra stoccaggio «organizzato» (cooperative e CAP) e privati è rispettivamente del 50 per cento, mentre al Sud le strutture organizzate non raggiungono il 20 per cento del prodotto stoccato;
    la maggior parte degli stoccaggi inoltre non sono idonei a stoccare il prodotto in maniera differenziata a seconda della qualità, comportando una scarsa omogeneità del prodotto stoccato e una scarsa differenziazione delle partite;
    la prevalenza del conto deposito, nel quale la merce permane di proprietà dell'imprenditore agricolo, fa sì che gli stoccatori non dispongano realmente del prodotto e che non possano di conseguenza pianificare la commercializzazione in accordo con le esigenze delle industrie clienti;
    l'inadeguatezza degli strumenti di determinazione dei prezzi rende molto aleatoria la stipula di contratti «in avanti»; il problema colpisce in particolare i contratti di coltivazione e vendita stipulati prima delle semine;
   l'opportunità più rilevante per la filiera è il consolidamento sui mercati esteri della dieta mediterranea e di conseguenza dei consumi di pasta di semola di grano duro. Questa però potrà essere colta pienamente solo se si garantirà l'equivalenza tra pasta di qualità e made in Italy (altrimenti può trasformarsi in una minaccia, data la crescente concorrenza estera);
   minacce evidenti per gli operatori della filiera sono rappresentate dall'incremento dei costi di produzione le cui conseguenze si possono riassumere in:
    tendenza a non coltivare da parte dei produttori agricoli oppure ad adottare percorsi produttivi tesi al risparmio (e la qualità andrà a risentirne);
    tendenza per le imprese a valle della produzione a delocalizzare parte dell'attività di trasformazione oppure a rendere «organico» il processo di importazione delle partite all'estero;
    emergere di nuovi concorrenti internazionali in grado di competere sui costi industriali (manodopera);
   dal punto di vista governativo, si evidenzia che, a valere sulle disponibilità previste dal comma 1084, dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), con cui è stata disposta un'autorizzazione di spesa pluriennale per l'attuazione dei piani nazionali di settore di competenza del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, lo stesso Ministero ha, tra gli altri, elaborato un piano di settore per il sistema cerealicolo. In tale piano sono affrontate le principali criticità del sistema nazionale del grano duro e sono indicate le azioni e le strategie per superarle, individuando strategie di sviluppo e fattori di competitività per la filiera nazionale;
   il piano cerealicolo nazionale è stato approvato in Conferenza Stato-regioni il 26 novembre 2009;
   tale piano, tuttavia, non è ancora stato reso esecutivo e, ad ogni modo, necessiterebbe di una congrua dotazione di risorse finanziarie volte a consentirne l'attuazione, in maniera particolare per quanto concerne le specifiche misure che riguardano il comparto del grano duro e la creazione di una filiera di valore della pasta made in Italy che risponda ai requisiti di qualità risalenti alle prerogative nutrizionali della dieta mediterranea,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni più utile ed immediata iniziativa per fare fronte alle criticità che sta attraversando il settore del grano duro in Italia, segnatamente nelle regioni del Sud, ed in tale ambito, ad attivarsi, per quanto di competenza, affinché si pervenga all'attuazione, con il corredo di un opportuno finanziamento, del piano cerealicolo nazionale e delle relative misure che riguardano la creazione di una relativa filiera di valore, formata dalle imprese produttrici della materia prima e delle industrie di trasformazione delle relative produzioni, anche allo scopo di assicurare la creazione di un sistema organizzato della pasta made in Italy;
   ad attivarsi affinché nell'ambito dell'attuazione del predetto piano, o in alternativa attraverso l'assunzione di iniziative specifiche anche di carattere normativo, siano attuate specifiche azioni in favore delle regioni vocate del Mezzogiorno finalizzate al rafforzamento della filiera del grano duro per come sopra indicato.
(7-00987) «Mongiello, Michele Bordo, Boccia, Ginefra, Ventricelli, Grassi, Losacco, Capone, Mariano, Pelillo, Vico, Fregolent, Montroni, Terrosi, Petrini, Antezza, Galperti, Amoddio, Marchi, Venittelli, Iacono, Arlotti, D'Incecco, Schirò, Carloni, Culotta, Rubinato, Amato, Bossa, Albanella, Zardini, Porta, Capodicasa, Oliverio, Capozzolo, Ribaudo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e che abroga il regolamento (CE) n. 1698/2005 del Consiglio stabilisce norme generali a disciplina del sostegno dell'Unione a favore dello sviluppo rurale, finanziato dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale («FEASR») e istituito dal regolamento (UE) n. 1306/2013. Esso definisce gli obiettivi che la politica di sviluppo rurale contribuisce a conseguire e le priorità dell'Unione in materia di sviluppo rurale. Esso delinea il contesto strategico della politica di sviluppo rurale e definisce le misure da adotta al fine di attuare la politica di sviluppo rurale. Inoltre, esso stabilisce norme concernenti la programmazione, la creazione di reti, la gestione, il monitoraggio e la valutazione, sulla base di responsabilità condivise tra gli Stati membri e la Commissione e norme che assicurano il coordinamento tra il FEASR e altri strumenti dell'Unione europea;
    la strategia per il miglioramento della competitività del sistema agro-alimentare e forestale si articolerà in due componenti: il sostegno all'evoluzione strutturale e organizzativa per la competitività delle singole imprese dell'agricoltura e il potenziamento degli investimenti nelle filiere agricole, agro-alimentari, forestali, della pesca e dell'acquacoltura, con l'obiettivo di generare effetti diffusi sulla vitalità delle imprese e sul miglioramento complessivo della competitività dei territori;
    tale sostegno in tema di evoluzione strutturale e organizzativa per la competitività delle singole imprese dell'agricoltura dovrà essere basato su un'attenta selezione delle iniziative proposte. La promozione dell'evoluzione strutturale e organizzativa dell'impresa include necessariamente anche le diverse forme di diversificazione dell'agricoltura verso attività collegate e complementari (multifunzionalità) che consentono all'impresa agricola di integrare il reddito aziendale in forma più o meno importante e che vedono coinvolti i membri della famiglia rurale come soggetti imprenditoriali. Tale sostegno va assicurato in tutte le aree, in ragione del fatto che la multifunzionalità dell'azienda agricola consente il mantenimento dell'agricoltura non solo nelle aree meno sviluppate, ma anche in quelle periurbane, dove lo sviluppo urbano sottrae costantemente suolo all'uso agricolo e riduce la base produttiva per la produzione di beni primari. Tuttavia, al fine di favorire una concentrazione delle risorse nelle aree con maggiori fabbisogni, occorre che i PSR regionali allochino nelle aree C e D una percentuale adeguata di risorse programmate per questo tipo di interventi e in ogni caso superiore al peso che queste aree hanno in termini di popolazione residente sulla popolazione regionale. Inoltre, il supporto alle iniziative di diversificazione nelle aree periurbane dovrà essere indirizzato prioritariamente verso progetti innovativi ovvero progetti che consentano il recupero/valorizzazione di territori o risorse lavorative sottoutilizzate. Tra le varie forme di multifunzionalità, particolare attenzione va posta all'uso delle aziende agricole per l'agricoltura sociale: la strategia di intervento dovrà coinvolgere in primo luogo quelle realtà aziendali che operano in collaborazione con le istituzioni socio-sanitarie competenti per territorio;
    nell'ambito del potenziamento degli investimenti nelle filiere agricole, agro-alimentari, forestali, della pesca e dell'acquacoltura, tale strategia si pone l'obiettivo di generare effetti diffusi sulla vitalità delle imprese e sul miglioramento complessivo della competitività dei territori. La strategia di sostegno all'evoluzione strutturale e organizzativa delle imprese agricole, agro-alimentari, forestali, della pesca e dell'acquacoltura, dovrà prevedere criteri di selezione che assegnino priorità settoriali o territoriali precise, in funzione dei fabbisogni che verranno individuati nella diagnosi settoriale di ciascun PSR ovvero, nella diagnosi settoriale del PO del settore pesca e acquacoltura;
    l'intervento per sostenere l'evoluzione strutturale e organizzativa delle singole imprese punterà su quattro linee prioritarie: il rafforzamento strutturale delle aziende agricole, promuovendo l'innovazione, l'accesso al mercato e l'accesso al credito; l'internazionalizzazione del settore agricolo, agroalimentare, della pesca e dell'acquacoltura; il ricambio generazionale e le politiche a favore dei giovani; la salvaguardia del reddito aziendale, attraverso un programma Nazionale di gestione del rischio;
    per ciò che riguarda l'internazionalizzazione, gli interventi Feasr si concentreranno su attività di formazione, consulenza all'impresa, informazione e promozione – svolte da reti di impresa, consorzi, associazioni di produttori, cooperative, organizzazioni interprofessionali e così via – per favorire la competitività di prodotti di qualità sui mercati. Sarà data una particolare priorità a partenariati rivolti alla realizzazione di progetti pilota nel campo dell'internazionalizzazione. Essi saranno affiancati da interventi complementari sui servizi per l'internazionalizzazione con il supporto del Fesr (si vedano azioni Fesr rivolte all'internazionalizzazione);
    la nuova programmazione dei fondi comunitari potrà stimolare ulteriormente sia l'innovazione ma anche la diffusione dei sistemi già esistenti tra gli agricoltori. Sul fronte delle innovazioni gestionali, operate soprattutto dai Consorzi di Bonifica, si debbono citare: i metodi di misurazione dei volumi e i sistemi di sollevamento ad alta efficienza (anche sfruttando l'energia fotovoltaica), i sistemi di telecontrollo, gli apparati di sicurezza, le paratoie automatiche per i canali a cielo aperto e molto altro,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per favorire il ricambio generazionale nelle imprese agricole cercando di supportare l'ingresso nel mondo agricolo dei giovani, attraverso azioni di tutoraggio e attivazioni di servizi e supporto (accesso al credito e alla terra) per processi di start-up di nuove imprese;
   ad assumere iniziative per rafforzare il sistema della gestione dei rischi nell'agricoltura, elaborando strumenti finanziari e assicurativi per favorire il ripristino del potenziale produttivo agricolo danneggiato da calamità naturali e da eventi catastrofici, ivi comprese quelle derivanti da fitopatie ed epizoozie, l'introduzione di adeguate misure di prevenzione, investimenti in ammodernamento ed efficientamento degli impianti produttivi;
   nell'ambito delle filiere agricole, a favorire una migliore organizzazione delle relazioni ed un potenziamento della competitività, attraverso investimenti di ammodernamento e razionalizzazione dei processi di produzione, trasformazione e commercializzazione, miglioramento della qualità dell'agro-alimentare, dei sistemi di produzione e dei metodi di allevamento;
   a favorire una governance basata sulla concertazione tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e le regioni nella fase di programmazione degli interventi, al fine di realizzare ogni sinergia utile con le altre attività di ricerca programmate, imprimendo una forte qualità alle proposte progettuali provenienti dai gruppi di interesse attivi nel mondo agricolo e ambientale;
   elaborare una posizione univoca sul costo dell'acqua in agricoltura da inserire nelle linee guida da adottare per l'analisi economica prevista dalla «Direttiva delle acque» nell'ambito dei piani di gestione dei distretti idrografici; 
   ad assumere iniziative per impiegare i finanziamenti ed i fondi disponibili per attuare l'efficienza idrica in agricoltura, favorendo la diffusione delle migliori innovazioni tecnologiche, con l'obiettivo di aumentare la competitività delle imprese in un'ottica di sviluppo economico e della creazione di nuova occupazione, considerato che tra le migliori pratiche per attuare l'efficienza idrica da diffondere ed incentivare in ambito agricolo, si citano quelle di tipo tecnico, relative all'introduzione di sistemi irrigui ad alta efficienza (precision farming) e l'uso di modelli colturali previsionali per la gestione dei fabbisogni.
(7-00989) «Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 13 luglio 2015, n. 107 — recante la riforma nota come «la Buona scuola» — stabilisce che a decorrere dall'anno scolastico 2016/2017 è costituito annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, un ulteriore contingente di posti non facenti parte dell'organico dell'autonomia né disponibili, per il personale a tempo indeterminato, per operazioni di mobilità o assunzioni in ruolo. Inoltre, si prevede che per l'anno scolastico 2015/2016, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è autorizzato ad attuare un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell'organico di diritto, rimasti vacanti e disponibili all'esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per il medesimo anno scolastico, ai sensi dell'articolo 399 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, al termine delle quali sono soppresse le graduatorie dei concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012. Per l'anno scolastico 2015/2016, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è altresì autorizzato a coprire gli ulteriori posti di cui alla Tabella 1 allegata alla suddetta legge;
   con l'interrogazione n. 4-10970 si sottoponeva all'attenzione del Governo il contrasto tra l'articolo 485 del decreto legislativo n. 297 del 1994, che prevede che, all'atto della ricostruzione di carriera di cui usufruiscono i docenti immessi in ruolo che hanno superato l'anno di prova, il periodo di precariato sia «riconosciuto come servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero, per i primi quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai soli fini economici per il rimanente terzo» e la direttiva comunitaria 1999/70/CE che prescrive il principio di non discriminazione del lavoro precario rispetto a quello a tempo indeterminato se non per ragioni oggettive;
   a seguito di detto contrasto tra la norma nazionale e comunitaria, il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca è risultato più volte soccombente in sede giurisdizionale, avendo i giudici ritenuto che la richiamata normativa sia lesiva delle norme comunitarie sulla parità di trattamento del personale, a partire dalla direttiva suddetta;
   con l'interrogazione sopracitata si chiedeva ai Ministri se e quali iniziative normative il Governo intendesse adottare al fine di riconoscere per intero il periodo pre-ruolo per il personale della scuola neo-immesso in ruolo, ai fini della ricostruzione della carriera e della relativa progressione, così come previsto dalla normativa comunitaria, rivedendo conseguentemente gli effetti, anche ai fini contributivi, su pensioni e trattamento di fine rapporto;
   successivamente con l'accoglimento dell'ordine del giorno n. 9/03444-A/230, nella seduta dell'Assemblea del 19 dicembre 2015, il Governo assumeva l'impegno a valutare l'opportunità di porre in essere tutte le iniziative, anche di carattere normativo, volte a garantire il diritto alla ricostruzione di carriera per intero dei docenti immessi in ruolo;
   essendo trascorsi quasi 5 mesi dall'approvazione dell'ordine del giorno citato ed in vista del passaggio di ruolo, di numerosi insegnanti, dal prossimo settembre 2016 previsto dal piano di assunzioni della legge 13 luglio 2015, n. 107 — recante la riforma de «La Buona scuola», non risultano agli interroganti attività concrete volte all'attuazione ed al rispetto degli impegni assunti dal Governo –:
   quale sia lo stato di attuazione dell'impegno assunto a seguito dell'accoglimento dell'ordine del giorno n. 9/03444-A/230, a garanzia del diritto alla ricostruzione di carriera per intero dei docenti immessi in ruolo e quali iniziative normative intendano assumere al riguardo.
(3-02237)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERZONI, VACCA, DEL GROSSO, COLLETTI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, VIGNAROLI e GAGNARLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Abruzzo ha approvato la legge n. 11 del 13 aprile 2016 che contiene, all'articolo 4, una modifica alla legge regionale 38 del 1996 «Legge-quadro sulle aree protette della Regione Abruzzo per l'Appennino Parco d'Europa»;
   in particolare, la normativa prevede la possibilità di condurre l'attività cinofila e cinotecnica (tra le quali rientra, come è notò, anche l'addestramento cani) nelle aree protette regionali come, parchi regionali (è il caso del Parco regionale «Sirente-Velino») e alcune decine di riserve naturali regionali;
   la norma prevede che l'attività cinofila sia resa possibile comunque per un periodo minimo di 8 mesi. In realtà, fino all'adozione delle modifiche ai relativi piani di assetto delle aree protette, l'attività sarebbe autorizzata per tutto l'anno e su tutto il territorio dell'area protetta in questione. Inoltre, anche la stessa eventuale pianificazione dovrà prevedere che l'attività sia comunque consentita per almeno 8 mesi l'anno e in una porzione consistente del territorio dell'area protetta;
   molte delle aree protette in questione sono all'interno della Rete Natura2000 e, cioè, direttamente interessate dall'applicazione delle due direttive comunitarie 147/2009/CE «Uccelli» e 43/92/CEE «Habitat»;
   lo Stato italiano ha inteso fissare criteri nazionali minimi di tutela dell'ambiente con la legge 11 febbraio 1991 n. 157 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» e con la legge 6 dicembre 1991 n. 394 «Legge quadro sulle aree protette»;
   ad una primissima lettura della norma appaiono agli interroganti evidenti violazioni dei seguenti articoli delle norme sopra citate, come, a mero titolo di esempio: l'articolo 10, comma 8, lettera e), della legge 11 febbraio 1992, n. 157; l'articolo 21, comma 1 lettera b) della legge 11 febbraio 1992, n. 157; l'articolo 6, comma, 4 della legge 394 del 1991 con specifico riferimento al divieto di cui all'articolo 11, comma 3 lettera a); l'articolo 5 lettera d), della direttiva 147/2009/CE; articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 43/1992/CE; l'articolo 6, paragrafi 1, 2, 3 e 4 della direttiva 43/1992/CEE. In particolare, rispetto a quest'ultimo articolo per i commi 3 e 4 emerge un contrasto per l'obbligo, previsto dalla legge regionale, di inserimento da parte degli enti gestori nei piani delle aree protette di periodi minimi in cui l'attività cinofila è comunque consentita, in ciò determinando la violazione dei suddetti commi relativi alla valutazione di incidenza ambientale per piani e programmi qualora l'attività cinofila sia considerata dannosa per le specie protette a livello comunitario presenti nelle aree; l'articolo 3 comma 1 della Direttiva 43/1992/CEE; l'articolo 7 della Direttiva 43/1992/CEE; l'articolo 12 comma 1, lettere b) e d) della Direttiva 43/1992/CEE;
   la Corte Costituzionale con la sentenza n. 350 del 1991 e, con un pronunciamento più recente, il n. 193 del 2013, ha già affrontato la materia, almeno per alcuni degli aspetti. Infatti nella sentenza n. 193 del 2013 ha stabilito che «A tal fine assume rilievo la natura dell'attività in questione, e al riguardo costituisce un punto fermo l'affermazione di questa Corte, secondo cui: “nessun dubbio può sussistere (...) in ordine al fatto che l'addestramento dei cani”, in quanto attività strumentale all'esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia della caccia» (sentenza n. 350 del 1991). Di conseguenza ha bocciato una norma della regione Lombardia addirittura meno invasiva di quella abruzzese visto che si limitava a consentire l'attività cinofila in tutto il territorio regionale tranne che nelle aree protette;
   per comprendere l'impatto sulle specie animali delle attività cinofile basterà richiamare il parere dell'ISPRA citato proprio dalla Corte costituzionale nella sentenza 193 del 2013 «l'ISPRA abbia avuto modo di esprimersi, affermando che consentire l'allenamento e l'addestramento dei cani durante il periodo riproduttivo degli uccelli e dei mammiferi selvatici determina un evidente ed indesiderabile fattore di disturbo, in grado di comportare in maniera diretta od indiretta una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate,...»; la norma votata dal Consiglio regionale della regione Abruzzo appare in contrasto ancora più stridente con le norme nazionali visto che permette per l'addestramento dei cani, un'attività collegata all'attività venatoria, per l'intero anno e all'interno delle aree protette dove la caccia è vietata dalle norme nazionali;
   tra le specie potenzialmente interessate negativamente dal provvedimento, a mero titolo di esempio, citiamo: – Orso bruno, per il disturbo in vari periodi, come quello dell'iperfagia autunnale e della riproduzione; – Lupo (Canis lupus), per il disturbo nel periodo della riproduzione; Camoscio (Rupicapra pyrenaica ornata), durante tutto l'anno; varie specie di uccelli, con particolare riferimento a quelle che nidificano a terra o in cespugli bassi: Calandro (Anthus campestris), Ortolano (Emberiza hortulana), Tottavilla (Lullula arborea), Coturnice (Alectoris graeca). In generale si può registrare anche un forte disturbo sia su queste specie sia su altre (ad esempio, Gracchio corallino Pyrrhocorax pyrrhocorax) nelle aree di foraggiamento (con interruzione delle attività di ricerca alimentare);
   tale norma regionale appare contrastare anche con l'accordo PATOM per la tutela della popolazione appenninica di Orso bruno (Ursus arctos). A tal proposito, ricordiamo che la Commissione europea ha finanziato nelle aree protette in questione numerosi progetti di conservazione della specie attraverso vari progetti, Life il cui costo complessivo ha superato i 10 milioni di euro;
   appaiono, infine, violati anche diversi principi della Convenzione di Bonn sulla conservazione delle specie migratrici e della Convenzione di Berna sulla protezione delle specie, entrambe ratificate da tempo dall'Italia e dall'Unione europea;
   le norme in contrasto con il diritto comunitario devono essere disapplicate anche dagli organi amministrativi secondo la nota sentenza della Corte costituzionale n. 389 del 1989 in cui la Corte ha stabilito che «si deve concludere, con riferimento al caso di specie, che tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge) – tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi – sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le norme stabilite dagli articoli 52 e 59 del Trattato C.E.E. nell'interpretazione datane dalla Corte di giustizia europea. Ciò significa, in pratica, che quei soggetti devono riconoscere come diritto legittimo e vincolante la norma comunitaria che, nell'accesso alla proprietà o alla locazione dell'abitazione e al relativo credito, impone la parità di trattamento tra i lavoratori autonomi cittadini di altri Stati membri e quelli nazionali, mentre sono tenuti a disapplicare le norme di legge, statali o regionali, che riservano quei diritti e quei vantaggi ai soli cittadini italiani.». Lo stesso principio è stato dettato dalla Corte di giustizia europea con l'altrettanto nota sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88 «F.li Costanzo» che così ha chiarito «33 Pertanto, la quarta questione dev'essere risolta nel senso che, al pari del giudice nazionale, l'amministrazione, anche comunale, è tenuta ad applicare l'articolo 29, n. 5, della direttiva 71/305 del Consiglio e a disapplicare le norme del diritto nazionale non conformi a questa disposizione». –:
   se il Governo intenda ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale in relazione alla legge regionale de quo;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sulla base delle norme che assegnano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il compito di sorveglianza e coordinamento sulla corretta applicazione delle direttive comunitarie in materia di tutela della biodiversità, al fine di scongiurare effetti negativi immediati sull'ambiente, intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché nelle aree protette sia assicurato il pieno rispetto del diritto comunitario, potendo determinare il mancato adeguamento allo stesso un danno concreto, reale e potenzialmente irrimediabile al patrimonio faunistico nazionale nonché un danno economico in caso di apertura di una procedura d'infrazione da parte della Commissione europea.
(5-08589)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LIBRANDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi due anni, il Governo italiano ha dato prova di una rinnovata ed efficace capacità di leadership europea, affrontando da protagonista le principali sfide all'ordine del giorno dell'Unione europea: la crisi finanziaria della Grecia, la questione dei rifugiati politici, la stabilizzazione della Libia, la modernizzazione dei parametri economici di stabilità e crescita;
   tra le questioni aperte di natura politica ed economica, su cui l'Unione europea è oggi chiamata ad esprimersi, c’è senza dubbio il rapporto con la Federazione russa, deterioratosi a seguito della crisi del 2014 tra Russia e Ucraina;
   l'annessione unilaterale della Crimea da parte della Russia e il supporto più o meno esplicito offerto ai separatisti di Donetsk e di Lugansk sono considerate dall'Unione europea delle gravi violazioni del diritto internazionale;
   la reazione dell'Unione europea e dei suoi Paesi membri è stata positiva e inequivocabile, perché ha mostrato all'opinione pubblica internazionale quanto i valori di democrazia, pace, libertà e rispetto assoluto dei diritti umani siano per gli europei un pilastro irrinunciabile ed una prospettiva a cui la stessa Russia deve tendere;
   lo strumento adottato — le misure sanzionatorie alla Russia, a cui il governo di Mosca ha inevitabilmente reagito con delle contro-sanzioni — aveva ed ha lo scopo di indurre la Russia ad accettare il piano del dialogo e del confronto con la comunità internazionale e, in particolare, con l'Unione europea; da questo punto di vista, è molto apprezzabile la posizione del Governo italiano, che ha sempre evidenziato (da ultimi in occasione del Consiglio Europeo di dicembre 2015, che ha esteso le sanzioni fino al luglio 2016) come le sanzioni non siano e non possano essere un fine in sé, ma esclusivamente un mezzo temporaneo;
   in ottica economica, è evidente come, nell'ultimo biennio, le sanzioni abbiano provocato danni evidenti alla produzione e all’export europeo: per l'Italia, secondo recenti stime della Associazione artigiani e piccole imprese (Cgia) di Mestre, si sono persi circa 3,6 miliardi di euro di export annuale verso la Russia (da 10,7 miliardi di euro nel 2013 a 7,1 miliardi di euro nel 2015), in prevalenza nel settore manifatturiero e agroalimentare, ma anche in quelli della difesa, dell'energia e della finanza; nell'importante settore dei macchinari si è passati da quasi 2,9 miliardi di esportazioni nel 2013 a 2,2 miliardi nel 2015, con un calo di quasi 700 milioni; in prospettiva, per i comparti più identificativi del made in Italy, il rischio è la diffusione nel mercato russo di prodotti di imitazione, l'allentamento dei tradizionali legami tra industria italiana e russa e il consolidamento di rapporti commerciali con altri Paesi, secondo la Coldiretti, i prodotti agroalimentari italiani più colpiti dall'embargo sono stati la frutta, le carni, i formaggi e i latticini, per un valore nel 2015 stimato in 240 milioni di euro; agli effetti diretti vanno aggiunti quelli indiretti, dovuti alla mancanza di sbocchi di mercato che ha fatto crollare le quotazioni di alcuni prodotti agricoli europei nel lattiero caseario, nella carne e nell'ortofrutta;
   da più parti è stato osservato come lo strumento delle sanzioni non abbia dimostrato particolare efficacia, soprattutto rispetto ad un paese come la Russia unanimemente considerato, determinante per garantire la sicurezza internazionale, in un quadro euroasiatico particolarmente instabile e attraversato dai grandi rischi del terrorismo di matrice islamista –:
   quali iniziative il Governo stia assumendo e intenda assumere nei prossimi mesi, in ambito bilaterale con la Federazione russa e nell'ambito dell'Unione europea, per la normalizzazione dei rapporti tra l'Unione europea e la Russia, la ripresa di una piena collaborazione politica ed economica tra le due realtà e dunque il superamento del regime sanzionatorio, i cui costi economici e sociali hanno purtroppo depotenziato la capacità di ripresa e di sviluppo dell'economia italiana negli ultimi due anni. (4-13081)


   GIOVANNA SANNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto del Nord-Ovest della Sardegna riveste un'importanza fondamentale e strategica, la sua attività e il suo ruolo hanno, infatti, ricadute dirette sull'economia del territorio del nord ovest che deve poter contare su uno scalo aeroportuale in grado di garantire una molteplicità di collegamenti sulle principali rotte nazionali ed internazionali, a vantaggio, non solo dei residenti, ma anche dello sviluppo turistico e dunque economico del territorio stesso. Esso garantisce al contempo il necessario mantenimento di un adeguato numero di collegamenti in regime di continuità territoriale e dunque a prezzi che permettano di colmare il gap naturale rappresentato dalla condizione di insularità;
   risultano altrettanto strategici per sviluppo economico territoriale la presenza e il ruolo delle compagnie aeree low-cost che hanno consentito e devono continuare a poter coprire numerose rotte a costi contenuti. In questo contesto non può che esser visto con grande preoccupazione il possibile ridimensionamento della presenza e delle rotte offerte dalla compagnia irlandese Ryan Air, in particolare per quanto riguarda i collegamenti da e per lo scalo aeroportuale di Sassari-Alghero, per il quale la compagnia ha comunicato di rinunciare alla base operativa a seguito anche della decisione del Governo di aumentare di 2,5 euro a passeggero le tasse aeroportuali;
   le condizioni date da normativa comunitaria, seppure stringenti in materia di aiuti di Stato, possono consentire comunque interventi ammissibili ed immediati a tutti i livelli per fare in modo che possano mantenersi costanti i collegamenti del territorio con il resto dell'Europa;
   la situazione attuale impone interventi immediati a tutti i livelli per fare in modo che venga scongiurato il rischio di un ulteriore isolamento del nostro territorio;
   l'iniziativa di imprenditori e cittadini con l'attivazione del fondo cosiddetto «salva rotte» non può essere risolutiva, ed è pertanto necessario che le istituzioni affrontino con urgenza la problematica in oggetto, sollecitando interventi volti a consentire il mantenimento di un numero ed un livello di collegamenti adeguato –:
   se il Governo si possa impegnare ad assumere iniziative in tempi brevi affinché la Commissione europea concluda celermente la procedura di infrazione aperta contro la regione Sardegna per gli aiuti alle compagnie di volo e in istruttoria ormai da due anni e mezzo, adoperandosi altresì perché questa procedura si concluda senza danni nei riguardi della società di gestione dell'aeroporto di Alghero;
   se il Governo possa verificare ogni possibile percorso o iniziativa volti a garantire all'aeroporto di Sassari-Alghero di mantenere inalterati e se possibile incrementare i collegamenti con le principali rotte nazionali ed internazionali. (4-13084)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE, PORTA, CUOMO e BATTAGLIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Governo venezuelano presieduto da Nicolàs Maduro ha decretato che i dipendenti pubblici del Paese sudamericano lavorino solo due giorni alla settimana per risparmiare energia elettrica;
   sono stati altresì programmati anche blackout di quattro ore al giorno nei dieci Stati più popolati e industrializzati dei 24 che formano il Venezuela;
   le interruzioni nella fornitura di luce hanno suscitato forti proteste tra i cittadini scatenando atti di vandalismo e predatori con conseguente repressione da parte delle forze di polizia, aggravando di fatto una già profonda crisi politica, economica e sociale del Venezuela;
   è a rischio l'attività di scuole e ospedali e scarseggiano beni alimentari e medicine;
   la siccità, la peggiore in duecento anni di storia, che sta mettendo in crisi le centrali idroelettriche, costruite negli anni Sessanta e settanta, che coprono due terzi del consumo elettrico interno, non basta a giustificare tale precipitare della situazione;
   stanno emergendo criticità e ritardi Sempre del Governo e la crisi del petrolio complica di molto la vita ad un Paese dove l'oro nero rappresenta l'88 per cento delle esportazioni;
   la povertà è tornata a crescere e la spesa sociale si è conseguentemente contratta proprio a causa del prezzo del petrolio;
   la comunità italiana in Venezuela è tra le più numerose tant’è che negli anni ’80 si contavano circa 400 mila italiani di prima e seconda generazione;
   imprese, attività economiche e commerciali hanno sempre distinto il dinamismo della comunità italiana nel Paese venezuelano e non va dimenticato che due presidenti della Repubblica Venezuelana sono stati di origine italiana;
   negli ultimi anni la presenza degli italiani si è contratta a causa dei processi di nazionalizzazione adottati dal Governo Chavez e molti sono rientrati non senza difficoltà;
   il rischio di tensioni sociali è già oltre il livello di guardia e si ritiene indispensabile una adeguata attenzione da parte del Governo italiano –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare per monitorare costantemente l'evolversi della crisi in Venezuela e per assicurare alla comunità italiana il massimo sostegno in una condizione di oggettiva criticità, soprattutto per quanto riguarda la mancanza di generi di prima necessità, ponendo il tema anche nell'ambito degli organi internazionali. (5-08572)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, DE ROSA, VIGNAROLI, DE LORENZIS, SPESSOTTO e LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio nel 2009 ha pubblicato il bando di cofinanziamento per la diffusione di azioni finalizzate al miglioramento della qualità dell'aria nelle aree urbane ed al potenziamento del trasporto pubblico locale rivolto ai comuni non rientranti nelle aree metropolitane;
   i destinatari del finanziamento erano gli enti locali ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 e gli enti pubblici che svolgono attività di interesse pubblico non economico, singoli o associati, con abitanti superiori a 30.000 inseriti nella delibera regionale che istituisce le zone ex articolo 8 del decreto legislativo n. 351 del 1999;
   gli interventi previsti nel progetto 2007/2013 intendevano favorire il miglioramento della qualità dell'aria attraverso la realizzazione di parcheggi di interscambio da localizzare nei principali punti di ingresso alle aree metropolitane per ridurre la circolazione dei mezzi privati nelle zone centrali e favorire l'intermodalità ed un maggiore servizio di trasporto pubblico;
   il comune di Fabriano ha partecipato al bando con delibera di giunta n. 125 del 2009 «Mobilità sostenibile – realizzazione di una stazione per autobus e pullman in via Bellocchi – sistema di bike sharing – approvazione progetto definitivo» con cui è stato appunto approvato il progetto definitivo in questione «per complessivo di euro 570.000 di cui euro 309.632,71 per lavori a base d'asta, euro 9.288,98 per oneri di sicurezza, euro 243.765,35 per somme a disposizione, ai soli fini della partecipazione al bando ministeriale scadenza 20 maggio 2009, precisando che successivamente, in caso di ammissione a finanziamento, l'intervento verrà inserito nel programma triennale 2009/2011 e verranno redatti gli atti conseguenti»;
   nel progetto venivano individuate diverse spese tra cui:
    opere di sistemazione a verde comprensiva di impianto di irrigazione: 36.000 euro;
    pensiline in acciaio zincato e verniciato: 20.000 euro;
    realizzazione impianto fotovoltaico: 34.200 euro;
    bike sharing: 111.335 euro;
   l'importo totale era previsto sarebbe stato coperto in parte con finanziamento diretto del bando (399.000 euro) e in parte con voce di bilancio (171.000 euro);
   in seguito con delibera di giunta n. 24 del 2010 «Mobilità sostenibile – realizzazione di una stazione per autobus e pullman in via Bellocchi – riapprovazione progetto definitivo e approvazione Programma operativo di Dettaglio (POD)» sono state riviste alcune cifre a causa della riduzione dell'apporto derivante dal finanziamento ministeriale passato da 399.000 euro a 247.896,68 euro. In questo documento si legge, inoltre, espressamente che, per poter far fronte al minore finanziamento, il progetto è stato rivisto e «che in particolare sono stati stralciati gli interventi relativi: al sistema bike sharing, alla realizzazione delle pensiline e dei relativi pannelli fotovoltaici»;
   infatti, anche nelle tabelle riassuntive delle spese si leggono le variazioni relative a tali stralci:
    pensiline in acciaio zincato e verniciato: 0 euro;
    realizzazione impianto fotovoltaico: 0 euro;
    bike sharing: 0 euro;
   per quanto riguarda la realizzazione degli spazi verdi invece la cifra riportata nel documento risulta essere la stessa prevista nella precedente delibera, ossia di 36.000 euro;
   in data 25 maggio 2010 viene emanata una nuova delibera di giunta n. 133 «Bando di cofinanziamento per la diffusione di azioni finalizzate al miglioramento della qualità dell'aria nelle aree urbane e al potenziamento del trasporto pubblico – Notifica decreto DSA-DEC-2009-1344 del 14 ottobre 2009 – Accettazione contributo» nella quale viene di nuovo modificata la ripartizione dei fondi e in particolare viene azzerata la somma destinata alla realizzazione degli spazi verdi e ricompresa invece quella per le pensiline e del sistema bike sharing. All'interno della delibera viene anche specificato che è per questo necessario produrre un nuovo POD. La nuova ripartizione è la seguente:
    realizzazione impianto fotovoltaico di potenza 3,6 kWp: euro 65.000,00;
    bike sharing euro 52.000,00;
   ad oggi, 8 aprile 2016, il sistema di bike sharing è privo di biciclette che risultano essere state sistemate all'interno di un capannone di proprietà del comune e mai messe a disposizione della cittadinanza;
   nella seduta di consiglio comunale del 14 ottobre 2014 rispondendo all'interrogazione presentata dal MoVimento 5 Stelle inerente a questo progetto l'allora assessore competente Galli affermò che la mancata attivazione del bike sharing «effettivamente potrebbe diventare motivo di nullità perché è un finanziamento pubblico pertanto deve essere rendicontata la ultimazione dei lavori e l'attivazione anche del servizio per cui direi di no qualora chiaramente il progetto si completi con la messa a servizio anche del sistema» –:
   se il Ministro ritenga di attivare controlli per verificare che nel progetto citato in premessa sia stato rispettato quanto indicato dal POD e quanto previsto nel progetto con il quale il comune di Fabriano ha ricevuto il cofinanziamento da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se il Ministro sia in grado di fornire indicazioni riguardo alle modalità di controllo che vengono messe in atto per verificare l'effettiva attuazione dei progetti che ricevono un cofinanziamento da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. (3-02238)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 179 del 2002, la Valbasento situata in Basilicata, è stata dichiarata sito di interesse nazionale (SIN) a causa della situazione ambientale compromessa;
   Tecnoparco Valbasento spa società controllata da Eni e a compartecipazione regionale al 40 per cento, ha un impianto per il trattamento chimico-fisico e biologico dei reflui, provenienti dalle imprese presenti nell'area industriale della Val Basento, e dei rifiuti liquidi rivenienti dalle attività regionali ed extraregionali;
   da alcuni anni a Pisticci Scalo (MT) e, in misura minore nelle località limitrofe tra cui Pisticci Centro e le località Tinchi, Marconia e Casinello, si diffondono odori nauseabondi. Questi ultimi impediscono alla popolazione interessata lo svolgimento di una vita normale. I cittadini costretti a barricarsi in casa, limitano le loro attività sociali e lavorative;
   a causa dell'aumento della temperatura, i suddetti danni si acuiscono nel periodo estivo tanto da non permette neanche l'aerazione delle abitazioni. Tale situazione causa un danno alla salute psicofisica della popolazione che vive nella zona di Pisticci (MT);
   alla luce di quanto emerso dalle denunce dei cittadini, il danno succitato sarebbe causato non solo dall'attività di depurazione dei reflui esercitata negli impianti di Tecnoparco spa ma anche dalle istituzioni che non svolgono controlli adeguati al fine di impedire danni ambientali e alla salute delle persone;
   in data 11 dicembre 2013, il sindaco di Pisticci, per l'inquinamento in Valbasento, ha emesso un'ordinanza urgente (n. 194, prot. 29680), con la quale ha vietato l'attingimento delle acque sotterranee e di falda e l'utilizzo delle stesse a qualunque scopo;
   dalle informazioni correnti nel pubblico e dalle notizie diffuse dagli organi di informazione, nonché anche dai comunicati emessi dal Consorzio di sviluppo industriale di Matera, proprietario degli impianti di depurazione dei rifiuti liquidi speciali, al fine di eliminare i cosiddetti miasmi, sono state realizzate le coperture di due delle vasche di trattamento dei rifiuti con cosiddetti « scubber», ma il fenomeno non è stato eliminato;
   a seguito di quanto descritto nei paragrafi precedenti, i cittadini di Pisticci (MT) hanno indetto una raccolta firme per la sottoscrizione di un documento di denuncia indirizzato a tutti gli enti pubblici locali, ai Ministri competenti e alla direzione generale dell'ambiente dell'Unione europea. Nell'atto, gli scriventi, chiedono l'intervento dello Stato – in concertazione con gli enti locali – mediante un provvedimento urgente, affinché cessi tale situazione ormai insostenibile, richiamando i principi delle norme, europee e nazionali, che tutelano il diritto alla salute alla salvaguardia dell'ambiente al risarcimento del danno;
   ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005 n. 195 chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può accedere alle informazioni relative allo stato dell'ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale;
   l'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 sancisce che la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante un'adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla finte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio «chi inquina paga» che, ai sensi dell'articolo 174, paragrafo 2, del TUE, che regola la politica dell'Unione europea in materia ambientale;
   gli articoli 3-quater e 3-quinquies del decreto legislativo n. 152 del 2006 sanciscono rispettivamente il principio dello sviluppo sostenibile e il principio di sussidiarietà;
   l'articolo 32, primo comma della Costituzione italiana, volto alla tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività;
   l'articolo 41 della Costituzione, pone alcuni limiti all'esercizio dell'attività privata la quale non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana;
   Tecnoparco spa è oggetto di inchiesta su traffico e smaltimento illecito di rifiuti nella recente inchiesta Eni;
   nel mese di aprile 2014, il Forum ambientale permanente di Pisticci ha elaborato un documento sulla situazione in cui versa la Valbasento che mette in luce tre aspetti fortemente problematici della questione:
    i ritardi e le inadempienze della regione Basilicata in riferimento all'attuazione degli interventi previsti dall'accordo di programma quadro per le opere di caratterizzazione e bonifica dei Sin di Tito e Valbasento e del relativo protocollo previsto dalla convenzione sottoscritta tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e regione Basilicata, che individua in quest'ultima il soggetto attuatore e definisce gli iter procedurali per le attività di bonifica, sanati solo superficialmente grazie alle proroghe concesse dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'inchiesta Eni-Tecnoparco che getta ombre sulle modalità di smaltimento dei reflui derivanti dall'attività di estrazione petrolifera in Val d'Agri, oggi core business di Tecnoparco;
   la vigente autorizzazione integrata ambientale (Aia) relativa allo smaltimento di enormi quantità di reflui industriali nelle vasche di trattamento di Tecnoparco, causa, peraltro, della nota e perdurante problematica dei miasmi a Pisticci Scalo e zone limitrofe. Predette autorizzazioni oggi vanno collegate con la valutazione dell'impatto ambientale sull'intera area, aggiornata alla luce dei dati emersi in relazione allo stato di salute dell'acqua, dell'aria e dei suoli, che delineano un evidente quadro di sostenibilità ambientale esaurita della Valbasento, inconciliabile con la tutela della salute e l'esercizio delle ordinarie attività antropiche –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra citati;
   se i Ministri interrogati abbiano provveduto a dare risposta alla denuncia dei cittadini citata in premessa;
   alla luce della normativa vigente e della peculiarità dell'area che costituisce sito da bonificare di interesse nazionale se, intendano assumere iniziative per quanto di competenza e con gli enti locali, affinché cessino le attività che causano danni ambientali e i miasmi di cui in premessa. (5-08581)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, FRUSONE, CORDA, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   durante recenti audizioni al Congresso degli Stati Uniti, i responsabili del programma F-35 hanno rivelato l'esistenza di ulteriori problemi riguardanti i software di missione del velivolo e il sistema di gestione della logistica ALIS (Autonomic Logistics Information System), il cui buon funzionamento è decisivo per l'operatività del caccia;
   il rapporto del Government Accountability Office (GAO) «F-35 Sustainment – DOD Needs a Plan to Address Risks Related to Its Central Logistics System» del 14 aprile 2016 (http://www.gao.gov/assets/680/676576.pdf) ha rivelato seri problemi di funzionamento di ALIS, in particolare la problematicità di un suo impiego in condizioni operative reali a causa della struttura accentrata e con un unico server centrale al quale debbono necessariamente connettersi tutti i reparti dei mondo dotati del velivolo F-35 per garantirne l'operatività;
   lo stesso rapporto indica come il sistema ALIS avrebbe dovuto completare i prescritti test per l'operatività iniziale nel 2010, ma tale data è ora slittata alla metà del 2017, con un ritardo di oltre sette anni che si riverbererà naturalmente sulla data di effettiva operatività degli aerei ai reparti;
   il rapporto del GAO afferma anche che i ritardi dei programma ALIS e i problemi irrisolti di software potrebbero fare crescere la spesa per il ciclo di vita del sistema logistico dai 16,7 miliardi di dollari attualmente previsti di una cifra aggiuntiva indeterminata compresa tra i 20 e i 100 miliardi di dollari;
   contemporaneamente, nelle citate audizioni al Congresso statunitense, i responsabili del programma hanno rivelato l'esistenza di ulteriori ritardi nello sviluppo del software di missione dell'F-35;
   secondo il rapporto 2015 del Defence Department's director of operational test and evaluation, la versione Block 2B utilizzata dagli F-35B (destinati anche all'Aeronautica e alla Marina italiane) è attualmente incapace di gestire più di due bombe o due missili aria-aria; analoghi problemi presenta il Block 3i di cui sono dotati gli F-35A (versione acquistata dall'Aeronautica italiana);
   lo stesso rapporto del Pentagono indica che bisognerà attendere il Block 3F del software per disporre di un sistema relativamente maturo, ma esso non sarà disponibile prima dell'inizio del 2018;
   oltre a ritardare enormemente l'effettiva entrata in servizio degli aerei acquistati dalle Forze armate italiane, l'incapacità di fornire prestazioni adeguate da parte dei software attualmente installato anche a bordo degli aerei italiani in consegna imporrà costosi interventi di modifica degli aerei consegnati o in via di consegna, costi che andranno ad aumentare ulteriormente la spesa per il programma F-35;
   tuttavia, neppure la versione 3F del software darà al velivolo tutte le capacità inizialmente previste tanto che, secondo la testimonianza del 23 marzo 2016 al Congresso di Michael J. Sullivan, responsabile dei programmi militari del GAO, sarà necessario sviluppare un nuovo software, denominato Block 4, il cui costo di sviluppo previsto sarà di 3-4 miliardi di dollari e la cui versione finale, denominata Block 4.4, non sarà pronta prima del 2023;
   di tutti questi inquietanti, ma non imprevisti, sviluppi del programma F-35, il Governo a giudizio degli interroganti ha tenuto e tiene all'oscuro il Parlamento e i cittadini italiani con il rischio per le Forze armate di un gap capacitivo se non dovessero essere valutate appieno le conseguenze concrete di questi rilevantissimi ritardi e probabili incrementi di costo, anche tenendo conto della decisione del Ministero della difesa di ridurre fortemente il programma Eurofighter in favore dell'acquisizione degli F-35;
   anziché chiarire le gravi problematiche che affiggono il programma, il Governo continue a rimandare a futuri documenti (prima il Libro bianco, oggi il Documento programmatico della Difesa) la valutazione dello stato del programma con rimandi a quelle che appaiono agli interroganti improbabili rimodulazioni dello stesso –:
   quali informazioni abbia il Ministro interrogato sullo stato del programma F-35, in particolare in relazione allo stadio di sviluppo del software di missione e alle effettive funzionalità dei sistema logistico centralizzato ALIS;
   quale sia la situazione e quali siano gli orientamenti del Ministero della difesa in relazione all'installazione del software di missione sugli esemplari dell'F-35 consegnati o in via di consegna alle Forze armate italiane;
   se siano stati presi in considerazione programmi alternativi nel caso in cui i ritardi nello sviluppo del velivolo F-35 dovessero continuare, mettendo o rischio la stessa operatività delle Forze aeree italiane. (5-08584)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 229 del 29 dicembre 2011, recante attuazione dell'articolo 30, comma 9, lettere e), f) e g), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti, all'articolo 1 stabilisce che le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e i soggetti destinatari di finanziamenti a carico del bilancio dello Stato finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche, nell'ambito della propria attività istituzionale sono tenuti tra l'altro a detenere ed alimentare un sistema gestionale informatizzato contenente le informazioni anagrafiche, finanziarie, fisiche e procedurali relative alla pianificazione e programmazione delle opere dei relativi interventi nonché a detenere ed alimentare un sistema informatizzato di registrazione e conservazione dei dati contabili relativi a ciascuna transazione posta in essere per la realizzazione delle opere ed interventi, idoneo ad assicurare la relativa evidenza e tracciabilità;
   ai sensi dell'articolo 2 del citato decreto legislativo i dati anagrafici, finanziari, fisici e procedurali relativi alle opere pubbliche rilevati mediante i sistemi informatizzati, sono resi disponibili dai soggetti sopra citati alla banca dati delle amministrazioni pubbliche – BDAP – istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze – ragioneria generale dello Stato, ai sensi dell'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196;
   il Ministero dell'economia e delle finanze gestisce, attraverso un portale, il sistema di alimentazione delle citate informazioni necessarie al monitoraggio degli investimenti pubblici relative alle opere pubbliche aventi finanziamenti statali;
   secondo quanto previsto dal documento operativo del Portale BDAP per il monitoraggio opere pubbliche redatto dalla ragioneria generale dello Stato, l'accesso al sistema sarebbe consentito soltanto in determinati orari prestabiliti: dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 19;
   al di fuori degli orari determinati la procedura di inserimento dati non darebbe la possibilità di completare l'operazione restituendo un messaggio di errore per accesso al sistema al di fuori dell'orario prestabilito –:
   quali siano le motivazioni che hanno indotto il Ministero dell'economia e delle finanze a stabilire un orario di funzionamento del portale utile per completare la procedura di inserimento dei dati al fine di ottenere la notifica di avvenuta ricezione e se non ritenga utile estendere tale orario di utilizzo del portale medesimo, permettendo comunque l'inserimento dei dati per una successiva revisione e rielaborazione e per la convalida finale da parte del responsabile dei progetti. (5-08574)


   RUOCCO, PESCO, ALBERTI, VILLAROSA e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, sesto comma del decreto-legge n. 95 del 1974 convertito dalla legge n. 216 del 1974, istitutivo, della Consob, pone una chiara e assoluta incompatibilità per il personale della medesima Consob con ogni altro impiego, incarico o attività («Al personale in servizio presso la Commissione è in ogni caso fatto divieto di assumere altro impiego o incarico o esercitare attività professionali, commerciali o industriali»); la richiamata norma, di rango primario, è ulteriormente specificata nel regolamento del personale della Consob il quale, all'articolo 20, comma 1, dispone: «Al personale è fatto divieto (...) e) di svolgere comunque attività lavorativa subordinata od autonoma, sia pure occasionalmente ovvero in periodi nei quali non presti effettivo servizio (...)»: da quanto si desume, il combinato disposto delle richiamate disposizioni sancisce un divieto assoluto volto ad eliminare alla radice possibili situazioni di conflitto di interessi e ad assicurare il dovuto impegno del dipendente verso l'organo di vigilanza, sia in termini qualitativi che quantitativi, anche in considerazione dell'importanza e delicatezza dell'attività lavorativa svolta: proprio per questa ragione, l'attività lavorativa svolta per la Consob è adeguatamente retribuita, evidenziandosi che la medesima legge istitutiva dispone l'applicazione del contratto di Banca d'Italia;
   il Presidente della Consob, Giuseppe Vegas, in virtù del ruolo svolto, si presuppone sia a conoscenza delle richiamate disposizioni in materia di conflitto di interessi ed incompatibilità; Come noto, il medesimo presidente ha promosso il conferimento al dottor Gaetano Caputi, mediante contratto a tempo determinato, prima dell'incarico di segretario generale e poi, a distanza di pochi mesi, quello di direttore generale; il conferimento degli incarichi è stato disposto dalla Consob nonostante le disposizioni ed i divieti di cui all'articolo 2, comma 6, della legge n. 216 del 1974 e nonostante il fatto che – così come dichiarato dal medesimo – il presidente Vegas fosse, perfettamente a conoscenza che il dottor Gaetano Caputi, all'atto della sua assunzione in Consob, ricoprisse altri incarichi; si apprende altresì da fonti stampa che gli incarichi ulteriori rispetto al ruolo ricoperto presso la Consob sono stati mantenuti dal dottor Gaetano Caputi fino a quando è aumentata l'attenzione pubblica da parte degli organi di stampa;
   tra gli incarichi ulteriori rispetto al ruolo ricoperto presso la Consob da parte del dottor Gaetano Caputi – di cui il presidente Vegas era a conoscenza – si evidenziano l'incarico componente del consiglio di amministrazione della società «Difesa servizi» s.p.a., l'incarico di membro della commissione consultiva per le infrazioni in materia valutaria e di lotta al riciclaggio, lo status di socio delle società di consulenza GECO s.r.l., GE.CO.RE. s.r.l. e GLM s.r.l., l'incarico di professore della scuola superiore di economia e finanza ed infine l'incarico di componente della commissione di garanzia per l'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali;
   gli interroganti intendono apprendere se il presidente Vegas consideri la posizione giuridica del dottor Gaetano Caputi perfettamente compatibile con i divieti e le incompatibilità previste dal combinato disposto dal decreto-legge n. 95 del 1974 e del regolamento del personale della Consob;
   si precisa che il dottor Gaetano Caputi ha rassegnato le dimissioni in data 12 gennaio 2015 ed il successivo 11 febbraio – così come si apprende da fonti stampa – ha assunto l'incarico di presidente del consiglio di amministrazione della società quotata «Conafi Prestitò s.p.a.» (iscritta come intermediario finanziario nell'elenco generale ex articolo 106 del testo unico bancario e nell'elenco speciale ex articolo 107 del testo unico bancario; in virtù delle attività svolte ed in relazione alla quotazione della società Conafi Prestitò non si esclude che future attività poste in essere dalla richiamata società possano essere oggetto di un controllo da parte dell'organo di vigilanza Consob; altresì è bene ricordare che, in base a quanto disposto dall'articolo 22 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, della legge n. 114 dell'11 agosto 2014: «I componenti degli organi di vertice e i dirigenti della Commissione nazionale per le società e la borsa, nei due anni successivi alla cessazione dell'incarico, non possono intrattenere, direttamente o indirettamente, rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego con i soggetti regolati né con società controllate da questi ultimi. I contratti conclusi in violazione del presente comma sono nulli. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai dirigenti che negli ultimi due anni di servizio sono stati responsabili esclusivamente di uffici di supporto»; a giudizio degli interroganti anche in questo caso la volontà del legislatore appare chiara, da un lato, ad evitare che gli organi di vertice ed i dirigenti della Consoli possano sfruttare il loro incarico per acquisire crediti presso i soggetti vigilati in modo tale da ottenere, successivamente alla cessazione dei relativi incarichi, impieghi, consulenze o altre forme di remunerazione presso medesimi soggetti vigilati, e, dall'altro, ad evitare che i soggetti vigilati possano condizionare l'attività degli organi di vertice e dei dirigenti della Consob con promesse future di vario genere;
   a giudizio degli interroganti appare fin troppo evidente come, ancora una volta il, dottore Gaetano Caputi adotti comportamenti di dubbia conformità alle disposizioni legislative: infatti si precisa che:
    a) la carica di direttore generale non rientra tra le figure di «organi di vertice» a cui la citata legge si riferisce;
    b) la legge istitutiva della Consob l'articolo 2, comma 4 della legge n. 216 del 1974) dispone che «Il regolamento di cui all'articolo 1, ottavo comma, prevede per il coordinamento degli uffici le qualifiche di direttore generale» e l'articolo 22 della legge n. 114 prevede come unica ipotesi di esenzione dall'applicabilità del divieto la circostanza che i dirigenti «negli ultimi due anni di servizio sono stati responsabili esclusivamente di uffici di supporto». Si evidenzia che la figura del direttore generale che coordina tutti gli uffici della Consob (compresi quelli cui spetta la vigilanza) ragionevolmente non rientri in tale ipotesi di esenzione dal divieto;
    c) l'assunzione di cariche sociali (nel caso di specie, presidente del consiglio di amministrazione), non rientri in quei «rapporti di collaborazione, di consulenza o di impiego» che vengono invece preclusi dalla legge n. 114 dell'11 agosto 2014;
   il rispetto della citata disciplina in materia di divieti, incompatibilità e conflitto di interessi trova quale primo garante il Presidente della Consob, in particolar modo in relazione alle sue facoltà di sovrintendenza dell'attività istruttoria della Consob –:
   se risulti al Governo quali siano le iniziative poste in essere dal presidente della Consob al fine di accertare la violazione delle disposizioni legislative e regolamentari richiamate in premessa, sia in relazione agli incarichi assunti dal dottore Gaetano Caputi nel corso della vigenza del rapporto di lavoro presso la Consob, sia in relazione agli incarichi assunti successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro presso la Consob e, comunque, nel caso di eventuali violazioni legislative e regolamentari poste in essere dal Presidente della Consob e dal dottore Gaetano Caputi, se il Ministro interrogato ritenga di dover assumere le iniziative di competenza volte a revocare l'incarico di presidente della Consob al dottore Giuseppe Vegas, e, ove riconducibili alla sua competenza, le eventuali iniziative strumentali alla dichiarazione di nullità del contratto di lavoro del dottore Gaetano Caputi in relazione alla disciplina di cui all'articolo 22 del decreto-legge n. 90 del 2014. (5-08579)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane le organizzazioni sindacali rappresentative degli agenti del Corpo di polizia penitenziaria di stanza presso gli istituti penitenziari di Parma hanno, con forza, denunciato le gravi criticità nell'assicurare adeguati standard di sicurezza a causa dell'ormai insostenibile carenza di personale in servizio presso la struttura;
   sulla base dei dati forniti, a fronte di una pianta organica, definita con decreto ministeriale 27 giugno 2014, che prevedrebbe l'assegnazione di 461 unità, ne risulterebbero effettivamente in servizio solamente 300. Questo anche in conseguenza del fatto che 97 agenti sarebbero distaccati presso altre sedi del gruppo operativo mobile, anche da diversi anni;
   tale situazione viene quotidianamente affrontata con la richiesta al personale di uno sforzo e di un impegno che va ben oltre il semplice adempimento del dovere istituzionale e che denota un grande senso di responsabilità degli agenti, ma che tuttavia rischia di ingenerare situazioni di pressione e stress eccessivo non compatibili con il lavoro svolto e con la necessità di garantire un adeguato livello di sicurezza all'istituto. In specifico, si segnala che, in assenza del ricorso quotidiano al lavoro straordinario e alla revoca dei riposi settimanali, si rischierebbe di non garantire la regolarità dell'attività amministrativa finalizzata anche a garantire alla popolazione detenuta taluni servizi essenziali e i diritti ad essa riconosciuti;
   si rammenta in proposito che il carcere di Parma, oltre ad ospitare un reparto ospedaliero sempre attivo e funzionante (120 detenuti sono assegnati alla struttura proprio per questa ragione), accoglie detenuti che per oltre la metà afferiscono a circuiti di alta sicurezza (AS1 e AS3) e 41-bis oltre a detenuti sottoposti a grande sorveglianza per sicurezza attiva per rischio evasione o radicalizzazione politico-religiosa  –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e denunciata con forza dalle organizzazioni sindacali di categoria e se non ritenga di avviare tutte le procedure necessarie a reintegrare il personale del Corpo di polizia penitenziaria effettivamente in servizio presso gli istituti penitenziari di Parma. (5-08577)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Repubblica di Vicenza ha scoperto che nel carcere di Montorio – Verona – si è tenuto un momento conviviale organizzato da un detenuto per festeggiare il proprio compleanno;
   la foto dei festeggiamenti sarebbe stata posta sul social Facebook;
   dalla stampa si apprende che il medesimo detenuto avrebbe fatto uso di un cellulare per comunicare all'esterno dell'istituto di detenzione;
   emerge, quindi, che dall'interno del penitenziario sia possibile l'uso di internet, nonché l'utilizzo di telefoni, entrambe concessioni vietate ai detenuti;
   se tutto venisse confermato, sarebbero manifesti il disagio e l'imbarazzo per le palesi violazioni delle regole;
   sarebbe negativo l'impatto sugli operatori della polizia penitenziaria, in quanto si creerebbe una sorta di «franchigia» nei confronti di situazioni analoghe;
   l'interrogante ritiene imprescindibile la tutela, la salvaguardia e l'incolumità del personale di polizia in servizio che, nei fatti, potrebbe risultare intimorito a svolgere la propria attività se dovesse prevalere una sorta di impunità da parte di chiunque;
   la credibilità della polizia penitenziaria è condizione essenziale per l'attuazione pratica del principio della rieducazione della pena detentiva;
   il carcere di Montorio già in passato è stato al centro di situazioni che hanno motivato specifici approfondimenti da parte dei livelli dirigenziali di competenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti;
   se il festeggiamento in parola sia stato autorizzato;
   se non sia utile approfondire l'accaduto con una specifica attività ispettiva, per quanto di competenza, finalizzata all'assunzione delle iniziative previste nei casi di specie. (4-13069)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   CASTIELLO e CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con due delibere del Comitato interministeriale per la programmazione economica, la n. 32/2010 e la n. 6/2012, è stato varato un programma straordinario stralcio di interventi urgenti sul patrimonio scolastico finalizzati alla messa in sicurezza e alla prevenzione e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi, anche non strutturali, negli edifici scolastici;
   l'articolo 7, comma 10, della legge n. 21 del 2016 «Milleproroghe 2015» ha differito il termine perentorio per la trasmissione al Ministero interrogato dell'aggiudicazione provvisoria dei lavori previsto dall'articolo 1, comma 165, della legge n. 107 del 2015 al 30 aprile 2016;
   i piccoli comuni non possono eseguire gare d'appalto per importi uguali o superiori a 40 mila euro, compito che deve essere svolto dalle centrali uniche di committenza;
   almeno 50 comuni siciliani hanno avuto i finanziamenti di cui sopra e hanno chiesto all'ispettorato delle opere pubbliche siciliane di svolgere dette gare in nome e per conto delle amministrazioni territoriali; richieste che sono state accettate dall'ispettorato;
   nel breve lasso di tempo che è intercorso fra l'accettazione da parte dell'ispettorato opere pubbliche siciliano del ruolo di stazione appaltante per conto dei comuni e la comunicazione da parte dei, comuni degli elementi fondamentali affinché l'ispettorato potesse bandire le gare e aggiudicarle provvisoriamente, lo stesso provveditorato ha comunicato ai comuni interessati di non poter svolgere il ruolo di stazione appaltante a causa dell'entrata in vigore del nuovo codice degli appalti;
   questa comunicazione porterà tutti i comuni alla perdita del finanziamento con le catastrofiche ed immaginabili conseguenza economiche per le economie locali, per le infrastrutture scolastiche e per la salute e la sicurezza dei ragazzi che frequentano quei plessi scolastici;
   a giudizio degli interroganti è urgente ed essenziale un intervento chiarificatore del Ministro interrogato per evitare che questi finanziamenti vengano restituiti e persi a causa di una norma di legge, sì importante come il nuovo codice degli appalti, ma che non deve comportare tali disastri alle infrastrutture scolastiche siciliane;
   i comuni hanno presentato domanda, nei termini previsti dalla normativa, al momento della trasmissione degli atti all'ispettorato e non possono essere i soli a pagare le conseguenze di una nuova norma, approvata da pochi giorni e che non ha tenuto in alcun conto i procedimenti di aggiudicazione delle vecchie gare d'appalto e, a giudizio degli interroganti, deve essere concessa un'ulteriore proroga di almeno 30 giorni per definire le vecchie gare d'appalto –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (5-08582)


   TERZONI, CANCELLERI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dagli organi di stampa dell'operazione Damanera2 in merito a vicende corruttive gravi nell'ANAS, operata dalla Guardia di finanza, culminata con gli arresti dell'il marzo 2016, il quotidiano on line Meridionews scriveva. «Un marciume diffuso all'interno di uno degli enti pubblici più in vista nel settore economico degli appalti». A scriverlo è il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, che successivamente firmato le nuove ordinanze di custodia cautelare nell'ambito del secondo capitolo dell'inchiesta Dama Nera, l'indagine su appalti sospetti e mazzette che riguarda Anas e imprenditori. Anche stavolta, tra i nomi delle 19 persone – in tutto sono 36 gli indagati – per le quali la Procura di Roma ha disposto le misure restrittive, ci sono gli imprenditori Mimmo Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, vertici del colosso dell'edilizia catanese Tecnis, che di recente è stato sequestrato su impulso della direzione investigativa antimafia. Le accuse vanno dalla corruzione alla turbata libertà degli incanti, passando per l'autoriciclaggio e favoreggiamento personale. Secondo gli inquirenti, i vertici Anas avrebbero facilitato l'aggiudicazione di gare d'appalto a specifiche imprese, nei confronti delle quali si sarebbero mossi anche per sbloccare contenziosi, disapplicare penali e assicurare indebiti indennizzi in relazione a procedure di esproprio. A finire al centro dell'attenzione della magistratura diversi appalti: dall'itinerario basentano – compreso il raccordo autostradale SicignanoPotenza – ai lavori sulla statale 117 Centrale Sicula. Le altre gare condizionate sarebbero quelle per i lavori alla ss96 Barese e alla ss268 del Vesuvio, ma anche quella per la realizzazione, nel 2011, della nuova sede Anas a Campobasso. A proposito delle indagini su Damanera2 la Voce delle Voci ha scritto il 12 marzo 2016: «Eccoci ora a due sigle che fanno capolino tra le carte investigative. E che ci conducano ad altri politici di riferimento (anche se non inquisiti). Si tratta di due semplici «fondazioni onlus», di prassi costituite per fini umanitari e solidaristici, stavolta messe in vita per raggiungere scopi un pò più prosaici. Di stretto sapore Onu la prima, nientemeno che «Fondazione della libertà per il bene comune», alla guida Altero Matteoli, ex ministro dell'Ambiente e delle Infrastrutture, inquisito dalla procura di Venezia per lo scandalo del Mose. Al suo fianco il neo indagato nella seconda tranche dell'inchiesta Anas, il deputato toscano Marco Martinelli, che disegna lo stesso tragitto politico del «capo»: da colonnello di An a forzista doc. Membro della commissione lavori pubblici alla Camera, Martinelli è il vice presidente della Fondazione che si batte per libertà e beni comuni (sic). Siamo solo all'inizio, perché l'organigramma della Fondazione-onlus è ancora tutto da scoprire: del team, infatti, fanno parte Roberto Serrentino, per molti anni componente del collegio sindacale dell'Anas ed Erasmo Cinque, grande amico di Matteoli, costruttore, coinvolto nell'inchiesta sul Mose. Ma, soprattutto, Giovan Battista Papello, faccendiere a tutto campo, Papello, il cui nome fa capolino diverse volte nelle inchieste dell'ex pm di Catanzaro Luigi De Magistris in Calabria. Commissario straordinario per l'emergenza idrica e ambientale in quella regione, Papello ha fatto parte del cda di Anas, per diventarne poi consulente. Passiamo alla seconda società che compare tra le carte degli inquirenti impegnati nella «Dama Nera connection». Evocativo il suo nome, «Formiche». Al timone Alberto Brandani, alias ’O professore, altro nome altra storia. Un buon tratto della sua carriera, guarda caso, viene percorso sotto il protettivo ombrello del Monte dei Paschi di Siena, crocevia di tanti affari e troppi misteri (tre anni fa veniva «suicidato» il capo delle piene David Rossi, un anno dopo l'archiviazione, da qualche mese la riapertura del giallo). Poi passa all'Anas, Brandani, e il suo tragitto comincia con la presidenza di Vincenzo Pozzi, nominato nel 2002 dal ministro-progettista Pietro Lunardi, berlusconiano doc: Brandani fa il suo ingresso nel consiglio d'amministrazione. Ma è con Ciucci che fa il salto, quando passa a capeggiare la strategica area della «Sorveglianza» di tutti i lavori Anas (...). Elisabetta Parise. Ed eccoci alla seconda «Dama» più o meno nera della story. Arrestata 1'11 marzo scorso dai finanzieri del Gico e del nucleo tributario, responsabile delle «risorse umane» in casa Anas, la Parise è accusata di alcuni episodi di corruzione, agevolati, stando alle imputazioni, «dalle relazioni da lei vantate con il mondo della politica». Il Fatto quotidiano dell'11 marzo 2016 rendeva noto che, secondo gli inquirenti le trattative per una parte delle «mazzette» Anas di cui alla indagine «Damanera» si tenevano all'interno degli uffici romani della Fondazione della Libertà per i Beni comuni; a parere degli interroganti è pure particolarmente inquietante l'intreccio, emerso dalle indagini della Guardia di finanza, tra determinati gruppi politici nazionali e locali con alcune fondazioni, che delinea anomalie; in particolare, emerge il ruolo della Fondazione della libertà per il bene comune il cui Presidente, Matteoli, già più volte Ministro, è indagato per le vicende Mose e Damanera, il cui vicepresidente, Martinelli, è indagato per Damanera, il cui socio fondatore Erasmo Cinque è indagato per la vicenda Mose ed è più volte presente in vari passi delle intercettazioni di molti imputati di cui al processo Mafiacapitale/Mondodimezzo –:
   se il Governo non ritenga opportuna una dettagliata attività di audit sulla macrostruttura dell'Anas per correggere eventuali punti critici che possano prevenire e rispondere ad atti corruttivi, rigenerando così i meccanismi che inibiscono la libera concorrenza tra imprese, contestualmente assumendo iniziative per riformare il sistema delle fondazioni in considerazione delle relazioni pericolose che possono intercorrere tra politica, finanziamenti e attività di lobbying. (5-08583)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 9 gennaio 1989, n. 13, e successive modificazione e integrazioni, recante disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, all'articolo 9, comma 1, stabilisce che per la realizzazione di opere direttamente finalizzate al superamento e all'eliminazione di barriere architettoniche in edifici già esistenti, anche se adibiti a centri o istituti residenziali per l'assistenza ai soggetti di cui al comma 3, sono concessi contributi a fondo perduto con le modalità di cui al comma 2. Tali contributi sono cumulabili con quelli concessi a qualsiasi titolo al condominio, al centro o istituto o al portatore di handicap. Il comma 3 precisa che hanno diritto ai contributi, con le procedure determinate dagli articoli 10 e 11 della medesima legge, i portatori di menomazioni o limitazioni funzionali permanenti, ivi compresa la cecità, ovvero quelle relative alla deambulazione e alla mobilità, coloro i quali abbiano a carico i citati soggetti ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché i condomini ove risiedano le suddette categorie di beneficiari;
   l'articolo 10, comma 1, della legge n. 13 del 1989 e successive modificazioni e integrazioni istituisce «presso il Ministero dei lavori pubblici il Fondo speciale per l'eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati»;
   a norma del comma 2 dell'articolo 10, tale fondo «è annualmente ripartito tra le regioni richiedenti con decreto del Ministro dei lavori pubblici di concerto con i Ministri per gli affari sociali, per i problemi delle aree urbane e del tesoro, in proporzione del fabbisogno indicato dalle regioni ai sensi dell'articolo 11, comma 5 della legge stessa. Le regioni ripartiscono le somme assegnate tra i comuni richiedenti»;
   a quanto risulta all'interrogante è dall'anno 2002 che il Ministero non finanzia più la legge n. 13 del 1989, lasciando alle regioni il compito di sopperire con notevoli difficoltà alle carenze dello Stato –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative nel più breve tempo possibile per rifinanziare il fondo di cui alla legge n. 13 del 1989 al fine di evitare che i cittadini, già afflitti da gravissime difficoltà fisiche, in relazione alle quali devono ricorrere alla legge per eliminare le barriere architettoniche nelle proprie abitazioni, siano vittime di aspettative non corrisposte, tenuto conto che alle amministrazioni locali è fatto obbligo di accettare richieste che mai avranno soddisfazione. (4-13071)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferroviaria Milano-Cremona-Mantova, il cui gestore risulta essere Rete ferroviaria italiana (RFI), controllata da Ferrovie dello Stato s.p.a., le cui azioni sono detenute dal Ministero dell'economia e della finanze, presenta gravi problematiche, che contribuiscono ad aumentare gli importanti disagi del trasporto ferroviario utilizzato dai pendolari;
   alle 6 circa del giorno 2 maggio 2016 l'annuncio da parte del servizio Twitter di Trenord annunciava il primo ritardo di circa mezz'ora per un problema legato agli impianti di circolazione tra Codogno e Pizzighettone;
   la situazione è andata peggiorando, con ritardi a cascata, ed i pendolari hanno per l'ennesima volta subito disagi importanti. Il treno 2647 (Milano Centrale 6,20 – Mantova 8,14) alle 7,23 viaggiava già con 20 minuti di ritardo che sono diventati un'ora, alle 8,22 anche il treno 2650 (Mantova 6,41 – Milano Centrale 8,40) è stato annunciato con 40 minuti di ritardo, il 2648 partito da Mantova alle 6,10 è arrivato a Milano con 20 minuti di ritardo, alle 8,22 il treno 2650 (partenza Mantova 6,41 e arrivo a Milano Centrale 8,40) ha accumulato 40 minuti di ritardo;
   la situazione pare sia stata risolta verso le ore 9, ma nel frattempo i pendolari hanno subito ritardi gravi sui luoghi di lavoro e studio;
   la vicenda denunciata è una delle tante che si aggiunge ad un lungo elenco di ritardi e disservizi;
   i pendolari sono esasperati da una situazione sempre più difficile e sempre più compromessa, poiché la manutenzione ordinaria delle linee risulta insufficiente per un servizio che risulti decoroso;
   i ritardi e le soppressioni di convogli dovuti anche alle problematiche infrastrutturali della linea fanno sì che le popolazioni e le attività dei territori coinvolti, cremonese e mantovano, risultino pesantemente penalizzate da questi continui disservizi –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché da parte di Rete ferroviaria italiana venga attuata una manutenzione della suddetta linea ferroviaria consona ad un dignitoso ed efficiente trasporto ferroviario locale;
   a quanto ammontino gli investimenti di manutenzione ordinaria e straordinaria già attivati sulla linea Milano Cremona-Mantova e quelli previsti;
   quale tipologia di interventi si intenda attuare e con quale crono programma. (4-13074)


   SIBILIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto per la realizzazione della cosiddetta metropolitana leggera di Avellino ha visto la luce nel lontano 2005 e prevedeva un sistema filoviario lungo 11 chilometri, con una distanza media tra le fermate di circa 300 metri (per 36 fermate in totale) e con un passaggio – ogni sei minuti nelle ore di punta – di undici veicoli a emissioni zero, capaci di trasportare ognuno circa 70 persone e dotati di pianali ribassati per l'accesso ai disabili;
   l'opera, per cui è stato previsto un investimento di circa 24 milioni di euro, il 60 per cento provenienti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il 40 per cento dei fondi europei, non è stata ancora realizzata nonostante siano trascorsi più di 10 anni;
   l'attuale tragitto dovrebbe andare dalla rotonda di borgo Ferrovia a rione Valle, andata e ritorno, passando per via Francesco Tedesco, via Circumvallazione, via Guerini, via Testa, piazza D'Armi, via Colombo, via Cavour. In via Roma i veicoli, il cui costo complessivo ammonta a 6,5 milioni di euro, si sganceranno dai fili elettrificati per proseguire, grazie a un motore a diesel, fino a piazza Castello;
   secondo quanto si legge sul sito on line di informazione locale www.ilcarluccio.net, in un articolo pubblicato il 10 gennaio 2016 ed intitolato «Metro leggera, spesi 2 mln a chilometro: più della Salerno-Reggio», «i lavori per la metro leggera di Avellino hanno viaggiato alla ragguardevole media di 1,1 chilometri l'anno. Tre metri e 5 centimetri al giorno. Senza considerare che quest'opera ha visto avvicendarsi ben tre assessori regionali ai trasporti, quattro assessori comunali ai trasporti e quattro all'ambiente, due sindaci ed almeno una generazione di Avellinesi, passata per intero all'altro mondo senza aver avuto mai il piacere di salire sugli undici mega bus, ad alimentazione ibrida, elettrica e diesel (con certificazione Euro 5 già superata dalla normativa europea prima ancora della messa su strada)»;
   nonostante le dichiarazioni pubbliche di imminente completamento dell'opera, salvo poi i continui slittamenti della data, ad oggi mancano tutti gli elementi di corredo come le pensiline e i pannelli informativi alle fermate, mentre la posa della palificazione è avvenuta in maniera selvaggia in tantissime arterie cittadine, creando non solo disagi ai pedoni e alla mobilità delle persone diversamente abili lungo i marciapiedi, ma anche preoccupazioni ai proprietari di appartamenti che si sono visti installare i pali a distanza di poche decine di centimetri dai balconi con il rischio di un aumento dei furti nelle case più facilmente raggiungibili;
   questa palificazione selvaggia ha dato il via ad una mobilitazione generale, che è sfociata in una petizione popolare, e ha suscitato l'attenzione anche dei media nazionali;
   in data 29 aprile 2016 l'interrogante ha presentato al sindaco di Avellino una richiesta di sospensione dei lavori della metropolitana leggera per motivi di sicurezza al fine di avviare una seria riflessione sulla installazione dei pali e rimediare a scelte discutibili che stanno creando malumori nei cittadini avellinesi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quale sia il costo dettagliato di quel 60 per cento del finanziamento posto a carico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e se non ritenga opportuno – per quanto di competenza – porre in essere ogni iniziativa di competenza per concludere una vicenda che dura da oltre 10 anni. (4-13080)


   PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e MATARRELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono trascorsi ben 41 giorni dal 19 marzo 2016 quando una frana ha invaso l'Aurelia ad Arenzano al punto da renderla interdetta al traffico che ad oggi non è ancora stato possibile riaprire;
   poco più di 11 chilometri di strada statale isolano Arenzano e Voltri e l'unica strada che si profila percorribile è il segmento autostradale della A10 fra le due località;
   il progetto esiste e anche i fondi, ma, per liberare l'Aurelia dalla frana che la spezza in due e riaprire almeno un senso di marcia, ci vorranno ancora più di due mesi;
   non è da escludere l'incognita dell'instabilità del versante, che comporterebbe per il Ponente e in particolare per Arenzano e Vesima, gravi perdite per gran parte della stagione balneare. Inoltre, l'intervento, destinato a partire soltanto una volta perfezionata una laboriosa trafila burocratica, non sarà risolutivo e il territorio a ridosso della galleria del Pizzo e Terrarossa, che già era considerato estremamente vulnerabile alle frane, resterà tale;
   gli ultimi sviluppi non sono confortanti visto che il sindaco di Arenzano Maria Luisa Biorci, partecipando a un incontro in regione per fare il punto, non ha nascosto la propria delusione: «L'area è stata sequestrata – dice – e dunque non è stato possibile procedere coi lavori in somma urgenza. Ora i tempi sono scaduti. Il risultato ? Anas dovrà procedere con una gara normale»;
   la via d'uscita, per ridurre almeno in parte i tempi tecnici, è allo studio della prefettura di Genova e a presentare il progetto sono stati i vertici di Anas, alla presenza dei tecnici della regione, e dell'assessore all'ambiente, Giacomo Giampedrone, ipotizzando l'inizio dei lavori e entro una quindicina di giorni, tempo necessario per ottenere tutte le autorizzazioni del caso comunali della Soprintendenza, oltre a un via libera della prefettura, che dovrebbe essere rilasciato ai sensi del codice della strada;
   Anas e regione hanno raggiunto un'intesa per dividere le spese (rispettivamente 2 terzi e 1 terzo), pari a 1,6 milioni di euro e, come precisato dal presidente della regione Giovanni Toti e dall'assessore Giampedrone «Il lavoro verrà effettuato in danno ai privati e in anticipo e a questo proposito abbiamo scritto al prefetto di Genova perché avvii il necessario iter autorizzativo»;
   percorrere la strada alternativa comporta pagamento di un pedaggio autostradale fra Arenzano e Voltri (e viceversa) pari a 0,90 euro che, per chi è costretto a percorrere il tratto due volte al giorno, si trasforma in 1,80 euro che in un mese di lavoro fanno mediamente 45 euro;
   l'importo che i «pendolari» devono affrontare per recarsi quotidianamente al lavoro fra l'una e l'altra località è del tutto incomprensibile e soprattutto sarebbe superabile con un azzeramento del pedaggio almeno nelle fasce orarie in cui i lavoratori si devono servire obbligatoriamente di quest'unica via di collegamento –:
   se il Ministro interrogato non reputi opportuno assumere iniziative per provvedere all'istituzione di due fasce orarie per chi entra ad Arenzano ed esce a Genova Voltri che comportino un esonero dal pagamento del pedaggio per chi è costretto a percorrere la strada alternativa per motivi di lavoro. (4-13082)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è da sempre contraddistinto per il suo impegno straordinario, in termini qualitativi e quantitativi, al servizio dei cittadini in tutti gli ambiti e le funzioni attribuitigli per legge, per i quali si trova quotidianamente ad operare su richiesta di soggetti pubblici e privati;
   sicurezza e soccorso pubblico sono condizioni irrinunciabili per la crescita del Paese e per il miglioramento della vita dei cittadini, per i quali i Corpi di polizia ed in particolare i vigili del fuoco, principali operatori del soccorso, sono i responsabili tecnici materiali;
   infatti, il Colpo nazionale ha tra i suoi compiti istituzionali anche un ruolo esclusivo nella difesa civile contro la minaccia di attentati terroristici non convenzionali;
   inoltre, la difesa civile consiste nell'attività di salvaguardia svolta da parte dello Stato nei confronti del Paese in occasione di «aggressione alla Nazione», proteggendo e riducendo l'impatto degli eventi di crisi sulla popolazione. L'articolo 14 del decreto legislativo n. 300 del 30 luglio 1999 (e successive modificazioni e integrazioni) attribuisce la competenza in materia di difesa civile al Ministero dell'interno, nonché alle prefetture, che la esercitano attraverso il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile;
   in questo periodo storico la dimensione internazionale della sicurezza e l'aumentare delle ipotesi di rischio hanno indotto ad elevare livello di guardia in tutto il Paese. Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è chiamato a garantire, in via esclusiva, il soccorso specializzato con appositi nuclei (provinciali e regionali avanzato), soprattutto in caso di pericolo nucleare, batteriologico, chimico e radioattivo le cui iniziali vanno a formare il noto acronimo N.B.C.R.;
   le manovre di finanza pubblica, attuate dai Governi degli ultimi anni, come è noto, hanno ridotto in modo significativo le dotazioni finanziarie ed organiche destinate al funzionamento delle strutture del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed alle attività di soccorso pubblico;
   in particolare, i numerosi blocchi del turn over, operati negli ultimi anni, hanno prodotto, a detta delle stesse rappresentanze sindacali del settore, gravissimi effetti sugli organici già inadeguati ed oggi carenti di circa 3.000 unità;
   con la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge stabilità 2013), ai commi 89-90 dell'articolo 1, è stata introdotta la facoltà di utilizzare con finalità di assunzione a tempo indeterminato i risparmi derivanti dalla riprogrammazione delle dotazioni dei programmi di spesa, con particolare riferimento alle spese di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196 –:
   se si intenda procedere all'assunzione di ulteriore personale operativo nel ruolo di vigile del fuoco permanente, utilizzando la copertura economica dei risparmi di spesa sopra citati, così come già previsto dalla normativa vigente, in che modo e quale sia la tempistica. (5-08576)

Interrogazione a risposta scritta:


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 aprile 2016 la sede della società Euroedil srl di via Turazza 48 a Padova è stata colpita da un attentato incendiario;
   la società è di proprietà di Italo Cavestro e della moglie Patrizia Uccheddu;
   nelle prime ore del giorno ignoti hanno infranto la vetrata dell'immobile, dove ha sede l'azienda e hanno appiccato il fuoco utilizzando due taniche di benzina;
   l'attentato ha evidentemente natura dolosa e ha colpito un immobile al piano terra di un palazzo con numerosi appartamenti suscitando allarme tra gli abitanti che ha o rischiato di essere danneggiati;
   la Euroedil srl è nata circa vent'anni fa e ha sempre lavorato nel settore edilizio appoggiandosi a due grosse imprese di Milano che, con regolarità, le appaltavano commesse nel milanese;
   due anni fa con il fallimento delle due aziende, la Euroedil srl ha cominciato ad incontrare grosse difficoltà accumulando molti debiti, e una forte esposizione con gli istituti di credito sino a subire, proprio nel mese di aprile, lo sfratto esecutivo per la sede di via Turazza;
   la vicenda ha suscitato allarme e preoccupazione per le modalità violente e pericolose dell'attentato –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti e di quali elementi disponga circa la matrice dell'episodio;
   quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per prevenire e contrastare il ripetersi di simili episodi; (4-13085)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ, SECCO, PALESE, LATRONICO, ALTIERI, FUCCI, DISTASO e MARTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i docenti a tempo determinato inclusi nella legge n. 128 del 2013, di cui al decreto ministeriale n. 526 del 30 giugno 2014, hanno conseguito gli incarichi di docenza attraverso concorsi nazionali per titoli (a cui potevano partecipare anche professionisti provenienti da altri Paesi comunitari) ove l'idoneità era acquisita solo con il raggiungimento di 24 punti sui titoli artistici (come previsto dalla nota n. 3154 del 9 giugno 2011);
   potevano essere inclusi, dietro rivalutazione dei titoli culturali e di servizio, nella graduatoria di cui al decreto ministeriale n. 526 del 2014 solo con il requisito di 3 anni accademici di insegnamento, conseguiti a seguito di concorso selettivo pubblico, come previsto dal decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013; articolo 19 che fa riferimento a personale «...che abbia superato un concorso selettivo ai fini dell'inclusione nelle graduatorie di istituto e abbia maturato almeno tre anni accademici...»;
   il requisito fondamentale per l'accesso dei docenti alle graduatorie nazionali ex lege n. 143 era l'aver maturato 360 giorni di servizio e solo a seguito di questo sono stati valutati i titoli artistici che avevano unicamente la funzione di meglio collocare i concorrenti in graduatoria;
   l'articolo 3 della costituzione sancisce che non si possono trattare in maniera differente lavoratori con medesime qualifiche;
   a tutt'oggi manca un regolamento per il reclutamento a tempo indeterminato nelle istituzioni AFAM;
   i contratti dell'AFAM, a giudizio degli interroganti, violano tutte le disposizioni nazionali varate per recepire la direttiva comunitaria 1999/70/CE. Infatti le recenti sentenze della Corte di giustizia hanno denunciato la non compatibilità del sistema del reclutamento scolastico, di cui le accademie e i conservatori fanno parte, con il diritto comunitario;
   la quasi totalità del docenti precari del comparto AFAM ha istruito ricorsi sulla base della sentenza della Corte di giustizia europea (terza sezione) del 26 novembre 2014, con un prevedibile e consistente danno economico per lo Stato;
   la Corte di Cassazione ha recentemente ammesso, seppur in via incidentale, che la conversione del contratto nel settore scuola è di fatto lecita e ammissibile. L'ordinamento nomofilattico sta quindi giungendo ad individuare nel rispetto del decreto legislativo n. 368 del 2001 la sanzione applicabile in caso di abuso;
   questi docenti ricoprono i posti vacanti, previsti negli organici delle istituzioni AFAM già da prima della pubblicazione della legge n. 508 del 1999, e ad oggi hanno maturato un minimo di 5 anni consecutivi di insegnamento;
   il numero dei docenti iscritti nelle graduatorie nazionali di cui al decreto ministeriale n. 526 del 30 giugno 2014 non è stato sufficiente a ricoprire tutti i posti vacanti, tanto che si è dovuto attingere a graduatorie d'istituto in scadenza (come previsto dalla nota ministeriale 30020 del 28 novembre 2014 e successiva) e/o crearne di nuove;
   il precariato AFAM nella sua globalità ha raggiunto le percentuali del 25 per cento nei conservatori del 35 per cento nelle accademie con considerevoli difficoltà nella costituzione degli organi accademici di governo (visto che il personale di ruolo ha un numero limitato di mandati da poter espletare), nell'apertura degli anni accademici e nella garanzia della continuità didattica per la popolazione studentesca;
   solo per il prossimo anno sono previsti 120 pensionamenti e si possono prevedere i pensionamenti dei prossimi 3 anni –:
   se non intenda assumere adeguate iniziative urgenti al fine di porre finalmente rimedio a questa situazione, così da tutelare il personale iscritto nelle graduatorie nazionali ex lege n. 128 del 2013 di cui al decreto ministeriale n. 526 del 30 giugno 2014, e considerare tali docenti utili sia per incarichi a tempo determinato che indeterminato, con l'obiettivo di stilare un adeguato piano, con relative modalità e una tempistica certa, per l'assorbimento di dette graduatorie. (4-13072)


   TARICCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il liceo Virgilio di Roma a fine novembre 2015 è stato oggetto per due settimane di una occupazione da parte di un centinaio di studenti che ha impedito di fatto ad altri oltre 1.300 ragazzi di poter partecipare alle regolari lezioni;
   il dirigente dell'Istituto ha manifestato da subito forte contrarietà al presidio e alcuni genitori avevano, infatti, espresso la volontà di richiedere l'intervento delle forze dell'ordine per sbloccare lo stallo del liceo e ricreare le condizioni per un sereno svolgimento delle lezioni come auspicato dalla maggioranza degli studenti; al fine di tutelare i diritti della maggioranza degli allievi all'insegnamento e per sbloccare la situazione creatasi che rischiava di degenerare, è stato richiesto l'intervento della pubblica sicurezza, sembrerebbe soprattutto per il rischio d'una possibile circolazione di stupefacenti;
   la situazione stava talmente degenerando che è stato necessario l'intervento Sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca Davide Faraone che ha subito convocato un incontro presso il Ministero al quale hanno partecipato i leader dell'occupazione, alcuni genitori e insegnanti del consiglio di istituto nonché il direttore dell'ufficio scolastico regionale, Gildo De Angelis;
   successivamente a tale incontro, la situazione si è sbloccata il 10 dicembre e le lezioni sono riprese regolarmente il 14 dicembre a seguito di lavori di igienizzazione e di risistemazione dei locali, e risulterebbe con riscontro di danni e sottrazioni di beni;
   a seguito di una serie di segnalazioni relative alla circolazione di droga, riscontrate da genitori, alunni e personale scolastico — il 22 marzo 2016 con l'intervento dei carabinieri nel cortile della scuola uno studente maggiorenne del liceo Virgilio è stato arrestato in flagranza di reato ed altri segnalati alla procura della Repubblica;
   a seguito dell'arresto, una minoranza di studenti supportati da genitori e soggetti esterni alla scuola, avrebbero animato azioni di protesta nei confronti del dirigente scolastico e delle forze dell'ordine, contestando le modalità di intervento delle forze dell'ordine e arrivando a porre in essere un corteo non autorizzato di fronte alla scuola che ha richiesto l'intervento della polizia di Stato;
   il problema della circolazione della droga al liceo Virgilio, come purtroppo in tantissimi istituti, è spesso oggetto di denuncia –:
   se il Governo non intenda mettere in atto iniziative affinché lo spaccio di droga nelle scuole sia contrastato efficacemente e come, altresì, intenda tutelare i dirigenti ed il personale scolastico impegnati ad assolvere ai propri doveri e alle proprie responsabilità, come nel caso del liceo Virgilio di Roma. (4-13075)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI, BARUFFI, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, PAGANI, MONTRONI, ARLOTTI, BOLOGNESI, ZAMPA, PAOLA BOLDRINI, MARCO DI MAIO, LENZI, LATTUCA, MARCHI, GHIZZONI, DE MARIA e GANDOLFI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti sindacali che in Emilia Romagna nell'ultimo anno sarebbero circa 30.000 lavoratori senza ammortizzatori sociali;
   i ritardi nell'erogazione delle prestazioni sarebbero imputabili, secondo i sindacati, tanto al Governo quanto ad Inps, alla luce delle nuove procedure introdotte dal primo e dai tempi di liquidazione impiegati dal secondo;
   problema parrebbe di portata nazionale e deriverebbe in primo luogo dalle nuove norme in materia di ammortizzatori sociali. Le nuove procedure, a giudizio dei sindacati, avrebbero di fatto bloccato l'effettiva liquidazione per migliaia di accordi sottoscritti da molti mesi, che in Emilia-Romagna coinvolgerebbero oltre 15.000 lavoratori. Inoltre, a questi si aggiungerebbero i circa 4.500 addetti che non percepiscono nulla da giugno 2015 per la mancata copertura dell'Aspi. Infine, ammonterebbero a circa 10.000 i lavoratori in grave difficoltà per i ritardi da parte del Governo nella copertura per la cassa in deroga;
   rispetto alla vecchia procedura, che prevedeva un ruolo attivo delle commissioni provinciali, la nuova pone in capo all'Inps l'intera gestione della pratica, non consentendo tra l'altro di tenere monitorato in modo efficace lo stato di avanzamento della stessa. E in ogni caso, ad una prima analisi, risulterebbero generalmente allungati i tempi dell'effettiva liquidazione. Inoltre, senza la certezza del buon esito della pratica, le banche non sarebbero disponibili ad erogare le anticipazioni, in ogni caso sempre più difficili visti i tempi dilatati, nonostante l'intesa stipulata in regione Emilia-Romagna in tal senso –:
   se sia a conoscenza della situazione suesposta e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché questi lavoratori nel caso specifico e più in generale, tutti gli aventi diritto, possano beneficiare degli ammortizzatori sociali loro spettanti. (5-08573)


   BINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159 è stata data attuazione alla revisione delle modalità di determinazione e di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), strumento di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate, entrato in vigore dal 1o gennaio 2015;
   l'articolo 2 del citato decreto stabilisce che l'ISEE è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate che viene calcolato, con riferimento al nucleo familiare di appartenenza del richiedente;
   con particolare riguardo alle prestazioni per il diritto allo studio universitario, l'articolo 8, comma 2, del medesimo decreto stabilisce che in presenza di genitori non conviventi con lo studente che ne fa richiesta, il richiedente medesimo fa parte del nucleo familiare dei genitori, a meno che non ricorrano entrambi i seguenti requisiti: a) residenza fuori dall'unità abitativa della famiglia di origine, da almeno due anni rispetto alla data di presentazione della domanda di iscrizione per la prima volta a ciascun corso di studi, in alloggio non di proprietà di un suo membro; b) presenza di una adeguata capacità di reddito, definita con il decreto ministeriale di cui all'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68;
   dai chiarimenti forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in merito all'applicazione della citata normativa è stata prevista una deroga nel caso di studenti che risultino coniugati, per i quali sembrerebbe che si tenga in considerazione il reddito del coniuge fermo restando tuttavia il possesso dei requisiti della residenza fuori dalle unità abitative delle famiglie di origine e dell'adeguata capacità di reddito di cui alla lettere a) e b) del citato articolo 8;
   in tal caso, il Ministero ritiene così superata l'interpretazione letterale della norma, in quanto non vi sarebbe più titolo giustificativo per l'attrazione del soggetto alla sua famiglia d'origine; in tale ipotesi, pertanto, si ritiene possibile far riferimento, nella DSU ai fini ISEEU, al solo nucleo familiare formato col coniuge;
   la necessità del possesso, comunque, dei requisiti di cui al citato articolo 8 anche nel caso di studenti coniugati rischia di produrre una interpretazione restrittiva in quanto il requisito anagrafico attrarrebbe ai fini del calcolo dell'ISEE i redditi della famiglia di origine anche nel caso di studenti coniugati a nulla rilevando il cambio di residenza qualora non siano trascorsi i due anni richiesti dalla normativa stabilita dall'articolo 8, comma 2, lettera a);
   il riscontro da parte di alcune direzioni regionali dell'INPS sembrerebbe avvalorare questa interpretazione restrittiva che danneggerebbe coloro che con molti sacrifici tentano di intraprendere un nuovo progetto di vita senza il supporto della famiglia di origine –:
   se non intenda assumere iniziative per chiarire la portata della norma, con riguardo alle prestazioni per il diritto allo studio universitario, al fine di specificare, in modo conforme a quanto stabilito dal citato articolo 2 del decreto del Presidente dei Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, che l'indicatore della situazione economica equivalente è calcolato con riferimento al nucleo familiare di appartenenza del richiedente escludendo in tal modo, nel caso di studenti coniugati, che rilevi il requisito della residenza anagrafica previsto dall'articolo 8, comma 2, lettera b) del medesimo decreto, che comporterebbe l'attrazione dei redditi della famiglia di origine qualora non siano trascorsi almeno due anni dal cambio di residenza, dandone pubblicità nelle modalità previste dalla legislazione vigente e integrando il documento che fornisce i citati chiarimenti disponibile sul sito del Ministero e dell'Inps. (5-08575)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sull'intero territorio nazionale si susseguono segnalazioni relative a casi di pensionati che ricevono lettere di addebito da parte dell'Inps per errori di calcolo ripetuti per varie annate consecutive;
   da numerose e diverse fonti di stampa risulta che ai pensionati interessati dalle intimazioni di pagamento da parte dell'Inps vengano poi automaticamente detratti importi ben superiori al limite del minimo vitale;
   se la notizia in questione venisse confermata, ci si troverebbe di fronte ad un irragionevole uso della potestà pubblica, atteso che l'Inps, ad avviso dell'interrogante, si autoliquida a discrezione somme particolarmente elevate e, comunque, correlate ad errori dell'ente stesso, che non devono ricadere sui cittadini;
   si ritiene utile riportare il caso pubblicato da «Il Messaggero Veneto» di una signora residente nel comune di Sacile, in provincia di Pordenone che si è vista praticamente azzerare l'importo delle mensilità percepite, a seguito della nota di contestazione ricevuta dall'Inps, con la quale l'ente previdenziale ha richiesto alla pensionata un versamento di 20 mila euro, a fronte di versamenti errati corrispondenti agli anni dal 2008 al 2013;
   la sede provinciale dell'Inps aveva garantito prelievi graduali per la restituzione dei versamenti eccedenti (circa 20 euro al mese, a fronte dei circa 500 euro di pensione percepiti dalla signora); dal mese di gennaio 2016 però i prelievi sono diventati molto più consistenti, nell'ordine dei 400 euro al mese, pari quasi all'80 per cento dell'intero importo mensile della pensione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle notizie esposte, se esse trovino conferma e, in caso di risposta affermativa, se sia conforme alla normativa vigente l'automatico prelievo di importi molto significativi, pari quasi all'importo totale della pensione spettante, a fronte di errori di calcolo non imputabili ai cittadini, ma commessi dall'ente previdenziale e quali iniziative di propria competenza intendano assumere, con urgenza, al riguardo. (4-13068)


   CAON. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'ente nazionale per gli agenti e i rappresentanti di commercio – Enasarco – nato nel 1938 come ente previdenziale, in ottemperanza alle disposizioni del decreto legislativo n. 509 del 1996, il 27 novembre 1996, insieme ad altri enti previdenziali di diritto pubblico, viene privatizzato ed assume la forma giuridica della fondazione;
   ai sensi dell'articolo 38 della Costituzione, pur essendo un soggetto di diritto privato, l'Enasarco, svolge un servizio pubblico di tipo previdenziale, poiché si occupa della previdenza integrativa, a contribuzione obbligatoria, degli associati ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   come tutti gli enti previdenziali, il consiglio di amministrazione è formato sia dalle rappresentanze sindacali (agenti di commercio), sia delle rappresentanze datoriali (aziende firmatarie dei contratti collettivi);
   lo statuto della Fondazione Enasarco, approvato con delibera del consiglio di amministrazione del 14 maggio 2015 e con decreto interministeriale dell'8 luglio 2015 dai Ministeri vigilanti, all'articolo 2 individua gli scopi istituzionali della fondazione facendo espresso rinvio, tra l'altro, alla legge 2 febbraio 1973, n. 12, disponendo che l'Ente eroga agli agenti e rappresentanti di commercio la pensione di invalidità, vecchiaia e superstiti integrativa di quella istituita dalla legge 22 luglio 1966, n. 613. Pertanto, i compiti pensionistici integrano – secondo la normativa vigente – la ragione d'essere dell'Ente stesso e della sua operatività;
   l'articolo 12 (Composizione dell'assemblea dei delegati) stabilisce che l'assemblea è composta da sessanta membri, dei quali: a) quaranta in rappresentanza degli agenti; b) venti in rappresentanza delle imprese preponenti;
   l'articolo 13 dello statuto dispone che i componenti l'assemblea dei delegati sono eletti con le modalità stabilite nel regolamento elettorale e il diritto di voto è esercitato con modalità telematiche;
   per la prima volta, rappresentanti di commercio e ditte mandanti sono stati chiamati, dal 1o al 14 aprile 2016, a scegliere direttamente, con le elezioni per la costituzione dell'assemblea dei delegati, i nuovi organi di vertice della cassa;
   a quanto risulta all'interrogante, in contrasto con alcune disposizioni normative e con regolamenti elettorali di enti similari sarebbero stati esclusi dall'elettorato attivo pressoché tutti i soggetti destinatari della sopracitata funzione istituzionale, cioè tutti coloro che godono di pensione diretta e che pertanto non svolgono l'attività di agenzia;
   inoltre, si sarebbe potuto esprimere il voto con modalità elettroniche anche attraverso la pec (poste elettronica certificata);
   alla fine risulta all'interrogante che abbia partecipato al voto circa il 16 per cento degli aventi diritto –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i loro orientamenti in merito;
   se non si ritenga di dover avviare immediatamente una verifica sulla correttezza delle procedure per il rinnovo delle cariche dell'Enasarco, anche valutando se sussistano i presupposti per assumere iniziative volte ad annullare le recenti votazioni, al fine di far partecipare una platea numericamente più numerosa e qualificata e con procedure idonee a rendere il voto segreto;
   quali iniziative, amministrative e normative, si intendano promuovere affinché anche gli agenti in pensione, che non svolgono l'attività di agenzia, possano partecipare all'elettorato attivo così come peraltro avviene per il rinnovo di enti similari come E.P.A.P., E.N.P.A.P. ed E.N.P.A.B..
(4-13070)


   MINARDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge del 12 marzo 1999, n. 68, «Norme per il diritto al lavoro dei disabili» ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il fondo per il diritto al lavoro dei disabili;
   le risorse del fondo citato finanziano la corresponsione da parte dell'INPS degli incentivi ai datori di lavoro che assumono lavoratori con disabilità e i progetti sperimentali di inclusione lavorativa delle persone da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   per l'anno 2016 al fondo di cui alla legge n. 68 del 1999 sono stati assegnati euro 21.950.742;
   l'incentivo è concesso anche ai datori di lavoro privati ed agli enti pubblici economici che, pur non essendo soggetti agli obblighi della legge 12 marzo 1999, n. 68, procedono all'assunzione di lavoratori disabili;
   le risorse sono attribuite, per il tramite delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, sulla base delle linee guida adottate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   le regioni devono istituire un fondo determinandone il funzionamento e la composizione con propria normativa che preveda la rappresentanza paritetica dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei disabili. Il Fondo nazionale di cui alla legge n. 68 del 1999 è ripartito annualmente per regione ed è finalizzato al: a) finanziamento delle agevolazioni per le assunzioni e delle somme dovute per l'assicurazione dei disabili occupati per tirocini; b) finanziamento dell'adattamento del posto di lavoro, dell'abbattimento delle barriere architettoniche sul luogo di lavoro, in concorso con il fondo regionale;
   il fondo regionale per l'occupazione dei disabili è alimentato: 1) dagli stanziamenti del Governo centrale; 2) dalle sanzioni previste per i datori di lavoro che non rispettano le norme previste dalla legge n. 68 del 1999; 3) dai contributi di quelle aziende che ottengono l'esonero parziale all'assunzione; 4) da donazioni; 5) da leggi regionali;
   la regione siciliana non ha assunto lavoratori con il 75 per cento di disabilità, in quanto le risorse economiche sono state utilizzate soltanto per l'assunzione di lavoratori con il 100 per cento di disabilità –:
   se sia a conoscenza della situazione dei lavoratori della regione Sicilia ove non sono stati più assunti lavoratori con disabilità al 75 per cento;
   se gli stanziamenti del fondo nazionale per l'occupazione dei disabili siano sufficienti per permettere nella regione Sicilia, di assumere anche lavoratori con il 75 per cento di disabilità;
   se non sia necessario, in una prossima iniziativa normativa o con il prossimo disegno di legge di stabilità, prevedere un incremento del fondo nazionale per l'assunzione di lavoratori disabili per permettere uniformità di trattamento per tutti i lavoratori disabili. (4-13079)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MATARRESE, DAMBRUOSO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dal disposto dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea», presso l'Inps è istituita la «Rete del lavoro agricolo di qualità», organismo autonomo nato per rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e delle criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo, attraverso la certificazione etica delle aziende che rispettano le normative vigenti;
   la «Rete del lavoro agricolo di qualità» è finalizzata a redigere — a domanda delle aziende agricole che decidano di parteciparvi – un elenco delle imprese agricole in regola con le disposizione in materia di lavoro, in modo da orientare l'attività di vigilanza nei confronti delle imprese non appartenenti al predetto elenco;
   alla «Rete» possono partecipare le imprese agricole di cui all'articolo 2135 del codice civile, in possesso dei seguenti requisiti: a) non avere riportato condanne penali e non avere procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; b) non essere state destinatarie, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive per le violazioni di cui alla lettera a); c) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi;
   alla Rete del lavoro agricolo di qualità sovraintende una cabina di regia composta da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, uno del Ministero delle politiche agricole e forestali, uno del Ministero dell'economia e delle finanze, uno dell'Inps e uno della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Fanno parte della cabina di regia anche tre rappresentanti dei lavoratori subordinati e tre rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi dell'agricoltura;
   secondo quanto si evince dagli organi di informazione, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha invitato le aziende agricole interessate a fare richiesta di adesione alla «Rete del Lavoro agricolo di qualità» a partire dal 1o settembre 2015;
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa e da quanto affermano i rappresentanti delle associazioni di categoria, sembrerebbe che il numero delle aziende effettivamente iscritte alla rete si attesti solo a 200 su tutto il territorio nazionale, su un totale di circa duecentomila;
   pare che la cause siano da attribuirsi a difficoltà legate alle modalità di iscrizione tramite il portale dell'Inps, tenute farraginose e che richiedono procedure, tempi di verifica dei requisiti e di completamento delle registrazioni più lunghe del previsto;
   tra i compiti della cabina di regia vi è quello di deliberare sulle istanze di partecipazione alla rete del lavoro agricolo di qualità inoltrate dalle aziende entro 30 giorni dalla presentazione delle domande. Secondo quanto si evince dagli organi di informazione, i tempi di verifica dei requisiti posseduti dalle aziende, in base a quanto disposto dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, risultano lunghi e non avrebbero consentito ancora a molte aziende di potersi iscrivere. Pare, infatti, che siano state evase soltanto 200 istanze su 1000;
   la mancata registrazione da parte delle aziende alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» sta causando in questi giorni rilevanti problemi al comparto agricolo in quanto sembrerebbe che molti operatori commerciali, soprattutto della grande distribuzione organizzata, abbiano scelto di acquistare prodotti preferendo solo quelli delle aziende iscritte a tale rete;
   le prime conseguenze di questa nuova politica di acquisto si sono manifestate in questo periodo in Puglia. Sono tanti, infatti, gli operatori della grande distribuzione organizzata che non acquistano i primi raccolti di ciliegie dalle aziende agricole pugliesi che, per motivi diversi, non sono ancora iscritte alla rete. I raccolti, dunque, restano invenduti e i prezzi nei supermercati italiani per tali prodotti sono più che raddoppiati. Esiste, dunque, un evidente danno non solo per le aziende che non riescono a vendere i loro prodotti, ma anche per i consumatori che subiscono rilevanti aumenti dei prezzi;
   in Puglia la situazione determinatasi appare critica in quanto le aziende non ancora iscritte alla rete non riusciranno ad ottenere la registrazione in tempo utile per la campagna delle ciliegie che dura poco meno di due mesi e che è già iniziata. Questa situazione ha causato rilevanti danni alle imprese agricole di Bari e della provincia di Barletta-Andria-Trani nelle quali si concentrano il 40 per cento della produzione nazionale di ciliegie, con circa 7.000 aziende agricole dedite all'ortofrutta e un giro d'affari che supera i 100 milioni di euro;
   pare che le associazioni di categoria abbiano già da tempo evidenziato non solo le predette anomalie e difficoltà per le aziende, ma anche una serie di problematiche legate alla calibrazione dei requisiti di accesso alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» disposti dalla normativa vigente;
   per quanto le finalità della rete siano totalmente condivisibili, infatti, il requisito di accesso che inibisce l'iscrizione alla rete alle imprese che siano destinatarie, nell'ultimo triennio, di sanzioni amministrative in materia di lavoro, legislazione sociale, imposte di redditi e sul valore aggiunto apparirebbe agli interroganti eccessivamente severo rispetto alla finalità della norma quando questi illeciti risultino, come spesso accade, di lieve entità. Il rigetto dell'istanza di iscrizione alla rete, infatti, potrebbe avvenire anche per una sanzione dovuta alla comunicazione di cessazione del rapporto, di lavoro oltre il termine previsto dalla legge di 5 giorni o all'accertamento fiscale con adesione per differenze retributive di modesta entità;
   il fatto che molti operatori commerciali ritengono che l'iscrizione alla rete del lavoro agricolo di qualità sia condizione indispensabile per la fornitura dei prodotti agricoli, ha di fatto snaturato secondo gli interroganti lo strumento della rete che, in questo momento, rischia non solo di inibire l'accesso ai mercati alle aziende non ancora iscritte o che non possono iscriversi per illeciti di lieve entità che, in alcuni casi, nulla hanno a che vedere con la regolarità del lavoro, ma che rischiano anche di alterare la libera concorrenza e limitare l'attività delle imprese;
   quali urgenti iniziative di competenza i Ministeri interrogati intendano adottare al fine di favorire l'accesso alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» alle aziende del comparto agricolo che non hanno ancora ottenuto l'autorizzazione alla registrazione per problemi legati a lungaggini burocratiche e alle tempistiche e alle modalità di verifica, dei requisiti, affinché sia possibile limitare nell'immediato i danni economici che le imprese stanno subendo a causa della impossibilità di vendita dei loro prodotti a molti operatori della grande distribuzione organizzata;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative per circoscrivere e puntualizzare i requisiti di accesso alla «Rete del lavoro agricolo di qualità», limitando le cause di esclusione alle violazioni più gravi in materia di lavoro non dichiarato, intermediazione illecita, sfruttamento del lavoro, impiego di cittadini extracomunitari, sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie, nonché della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; violazioni tali da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale al fine di evitare che imprese destinatarie di sanzioni amministrative per violazioni lievi, di carattere meramente formale, rispetto alle quali si sia già provveduto alla regolarizzazione della violazione contestata ed al pagamento delle somme dovute, siano escluse dalla rete stessa.
(5-08578)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Irpinia è stata colpita da una gelata tardiva che il 26 aprile 2016 ha arrecato danni ingentissimi ai vigneti, in particolar modo a quelli ubicati nelle vicinanze dei torrenti d'acqua, nelle conche e nelle zone più basse;
   tali danni sono stati acuiti dalla stagione anticipata che vede le piante giunte nella fase fenologica di «grappoli separati» e, pertanto, maggiormente vulnerabili alle gelate;
   non potendo più fruttificare, la produzione è compromessa;
   secondo gli esperti del settore, i danni si ripercuoteranno anche sull'annata successiva: per le varietà allevate a guyot, difficilmente si potrà ottenere un tralcio fruttifero; per le varietà allevate a cordone, molti speroni non emetteranno germogli;
   i comuni colpiti per l'area del Taursai docg sono: Taurasi, Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano, Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemiletto, Paternopoli, Pietradefusi, S. Angelo all'Esca, S. Mango sul Calore, Torre le Nocelle e Venticano;
   i comuni colpiti per l'area del Fiano sono: Avellino, Lapio, Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato, S. Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Parolise, S. Potito Ultra, Candida, Manocalzati, Pratola Serra, Montefredane, Grottolella, Capriglia Irpina, S. Angelo a Scala, Summonte, Mercogliano, Forino, Contrada, Monteforte Irpino, Ospedaletto D'Alpinolo, Montefalcione, Santa Lucia di Senno e San Michele di Serino;
   i comuni colpiti per l'area del Greco di Tufo d.o.c.g. sono: Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni;
   sono giunte notizie di danni anche nei comuni di Ariano Irpino, Nusco, Bisaccia, Torella dei Lombardi, Frigento, Villamaina e Grottaminarda –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare a sostegno dei tanti viticoltori irpini così duramente colpiti dalla gelata tardiva del 26 aprile 2016. (4-13073)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   CALABRÒ. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le aziende ospedaliere universitarie svolgono una triplice missione di didattica, ricerca ed assistenza strettamente legate tra loro;
   le Aou giocano un ruolo decisivo nella formazione del personale medico che, a tutt'oggi, mantiene elevati standard di qualità;
   la ricerca e l'innovazione tecnologica rappresentano fattori determinanti per poter rispondere alle sfide che attendono il sistema sanitario;
   la legge di stabilità 2016, legge n. 208 del 2015, introduce, ai commi 524 e seguenti dell'articolo 1, i piani di rientro aziendali, ai quali dovranno assoggettarsi le aziende sanitarie, le Aou e gli Irccs in presenza di uno scostamento tra costi e ricavi pari o superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro o per il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure;
   l'impatto di questa nuova disciplina sui soggetti giuridici nei quali si realizza la sinergia tra sistema universitario e sistema sanitario sarà immediato a partire dal 2016 e ciò potrebbe produrre conseguenze ed effetti negativi nei confronti del sistema universitario;
   attraverso un decreto ministeriale saranno fissate le modalità di individuazione dei costi e le modalità di determinazione dei ricavi –:
   quali siano i criteri che si intendono adottare nella determinazione dei piani di rientro delle aziende ospedaliere universitarie e se sia prevista la presenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al tavolo di concertazione per la definizione di contenuti che incideranno sulle funzioni universitarie e, in particolare, sulla ricerca e sulla didattica.
(5-08586)


   LENZI, FRAGOMELI, MIOTTO e CASATI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono in corso in tutte le regioni iniziative per riordinare e razionalizzare i punti nascita operanti in ciascun territorio, in attuazione degli accordi intervenuti fra Stato e regioni, allo scopo di garantire parti più sicuri nel rispetto degli standard di qualità e sicurezza, validati anche dalle società scientifiche;
   conseguente all'attività di riordino ed alla chiusura di alcuni reparti, si rende necessario ricollocare il personale in esubero tenendo in considerazione la circostanza che talvolta presso le strutture sanitarie ove sono chiusi i punti nascita, permangono altre attività ginecologiche, comprese attività chirurgiche su utero, ovaio, e altro;
   la ricollocazione del personale in esubero è demandata alla trattativa tra i soggetti istituzionali interessati, le rappresentanze sindacali e, nel caso di strutture private accreditate, la proprietà;
   il reimpiego/trasferimento del personale – connesso alla predetta riorganizzazione – in particolare attinente al profilo professionale di ostetrica è attuato nel rispetto di quanto previsto dal decreto ministeriale 14 settembre 1994, n. 740;
   da una lettura del sopracitato decreto ministeriale n. 740 non si esclude la possibilità che, nel profilo professionale di ostetrica, possano essere contemplate attività di natura ginecologica (in particolare quelle relative all'apparato genitale femminile, alla mammella, nonché a quelli uroginecologici) tra le quali: prevenzione e accertamento dei tumori della sfera genitale femminile (partecipazione ai pap-test, percorsi ambulatoriali e di ricovero diagnostici per neoplasie di utero, ovaio e mammella) prericoveri, somministrazione di farmaci su indicazione medica, gestione terapie endovenose, attività medicale, rilevazione bisogni assistenziali emergenti, ivi compresi interventi di BLS. Inoltre l'ostetrica contribuisce alla formazione del personale di supporto e concorre direttamente all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca –:
   se non ritenga opportuno confermare che rientrano nelle competenze e nelle funzioni attribuibili alle ostetriche tutte quelle elencate in premessa, contenute nel decreto ministeriale n. 740 del 1994, e che possono essere esercitate anche nei reparti di ginecologia riconoscendo alle ostetriche una funzione di supporto. (5-08587)


   BARONI, ZOLEZZI, GRILLO, DI VITA, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione italiana registri tumori (Airtum Onlus) è nata a Firenze nel 1996 con l'intento di coordinare le attività dei registri tumori già presenti in Italia;
   l'Associazione Airtum non ha fini di lucro e si propone diversi scopi, nel campo dell'assistenza sociosanitaria e segnatamente quello di rendere disponibili alle autorità amministrative, agli organi del servizio sanitario nazionale e alla comunità scientifica i dati sulla frequenza dei tumori, nell'interesse della ricerca, della prevenzione, della pianificazione dell'assistenza, della facilitazione dell'accesso alle cure e della valutazione della loro efficacia;
   sono organi dell'associazione: l'assemblea dei soci; il consiglio direttivo; la segreteria; il collegio dei revisori dei conti; il consiglio direttivo è composto da otto membri eletti dall'Assemblea;
   in data 13 e 15 aprile 2016 si è tenuta a Reggio Emilia la XX riunione scientifica annuale dell'Airtum in occasione della quale si è provveduto alla elezione degli otto componenti del nuovo consiglio direttivo, per il triennio 2016-2018 ed in tale occasione è stato eletto, con la carica di consigliere, il dottor Melchiorre Fidelbo, previo accoglimento della candidatura da parte del Presidente in carica dell'Airtum, Emanuele Crocetti, ora sostituito da Lucia Mangone (già presente nel precedente direttivo) e, a quanto consta agli interroganti, senza che i soci fossero informati della posizione d'imputato di Melchiorre Fidelbo;
   Melchiorre Fidelbo, infatti, è noto alla cronaca anche per essere stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio nell'ambito di un'inchiesta concernente il presidio ospedaliero di Giarre ove, secondo l'accusa, è stato effettuato l'affidamento diretto del servizio d'informatizzazione, per quasi due milioni di euro, alla società Solsamb Srl, amministrata dal medesimo Fidelbo. Come si evince da numerose fonti giornalistiche l'inchiesta disegna un quadro inquietante di commistione d'interessi privatisti, politici e pubblici ove lo stesso Fidelbo, oltre a ricoprire il ruolo di amministratore della società Solsamb Srl veniva nominato anche in una sottocommissione regionale incaricata di studiare proprio il nuovo piano relativo all'organizzazione dell'assistenza ospedaliera siciliana;
   la società Solsamb Srl è stata costituita in data 17 ottobre 2007 e come si evince dal sito le sue attività imprenditoriali sono numerosissime e riguardano principalmente la sanità e i servizi sanitari fino ad arrivare anche alla materia ambientale, all'energia alternativa, alla pianificazione paesaggistica e alla realizzazione di mostre, fiere ed eventi regionali, nazionali ed internazionali;
   dal curriculum di Melchiorre Fidelbo, come rinvenibile in internet nel sito dell'università di Catania, si evincono numerosissimi incarichi di natura politica, presso commissioni e organismi di vario genere, ivi inclusa la carica di componente della Commissione nazionale ECM, in rappresentanza del Ministero della salute, per il triennio conseguente al decreto ministeriale del 2008 ed evidenziano altresì che Melchiorre Fidelbo «dal 1978 a tutt'oggi svolge attività di medico di medicina generale convenzionato SSN»; il suo percorso specialistico spazia dalla ginecologia-ostetricia alla medicina di famiglia;
   oltre ai suoi numerosi incarichi in organismi tecnico-politici regionali e nazionali e docenze a contratto ed oltre ad essere amministratore della Solsamb Srl, Melchiorre Fidelbo è il coordinatore del Registro tumori integrato delle province siciliane di Catania-Messina-Siracusa-Enna, istituito presso il dipartimento di igiene e sanità pubblica dell'Università di Catania con la legge regionale n. 13 del settembre 2003 cui hanno fatto seguito successive leggi regionali per l'annessione di altre province; il Registro è accreditato Airtum e Airc;
   con decreto del 6 luglio 2004 dell'assessorato alla salute della regione siciliana sono stati stabiliti i «Criteri di erogazione dei contributi per la gestione dei Registri tumori costituiti in Sicilia» e come si evince dal bilancio presente sul sito del Registro tumori integrato delle province siciliane, i contributi pubblici ammontano a 908.000,00 euro e di questi, per l'anno 2014, euro 149.216,00 sono stati spesi solo per il Comitato tecnico scientifico;
   dal sito del registro tumori integrato delle province siciliane di Catania-Messina-Siracusa-Enna, tenuto conto dell'integrale finanziamento pubblico e della istituzione avvenuta con legge regionale del medesimo registro, non si evince a giudizio degli interroganti una sufficiente trasparenza atta ad individuare ad esempio chi siano gli organi d'indirizzo politico e amministrativo;
   appare quindi inquietante per gli interroganti che Melchiorre Fidelbo sia eletto consigliere dell'Airtum nazionale nonostante le pendenze penali a suo carico e l'evidente commistione d'interessi e ruoli pubblicistici e sanitari con interessi privatistici, costituisce anche la base inquirente che lo vede oggi imputato per il grave reato di abuso d'ufficio;
   sono attualmente all'esame della Commissione affari sociali della Camera diverse proposte di legge inerenti all'istituzione del registro tumori che prevedono per l'Airtum un ruolo istituzionale rilevante; desta inoltre non poche perplessità per gli interroganti che l'Airtum non si sia dotato di un codice etico che rilevi, ad esempio, i conflitti d'interesse o le cause d'incompatibilità o inconferibilità delle cariche sociali;
   tali proposte di legge sono in attesa di essere unificate in un testo base e le difficoltà maggiori sono correlate alla necessità di trovare il giusto raccordo o coordinamento con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo dell'articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012 che il Governo evidentemente non è in grado di adottare, stante le difficoltà conclamate di dare vita al fascicolo sanitario elettronico ed ai correlati Registri tumori, talché appare opportuno convenire ad una soluzione atta a rendere compatibili le finalità e gli obiettivi della proposta di legge d'iniziativa parlamentare anche con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non ancora emanato –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente intervenire affinché sia data attuazione piena all'articolo 12 del decreto-legge n. 179 del 2012 e, dunque, alla istituzione dei registri tumori, adottando ogni eventuale iniziativa di competenza affinché anche in questo delicato ambito sia assicurata l'assenza di ogni forma di conflitto di interessi. (5-08588)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARNEVALI, LENZI, MIOTTO, BENI, AMATO, CAPONE, SBROLLINI, PATRIARCA, D'INCECCO, PICCIONE, PAOLA BOLDRINI, PIAZZONI, GRASSI e BURTONE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come si legge dall'ultima relazione Annuale su droga e dipendenze 2015, presentata dal Governo al Parlamento, in Italia, il fenomeno del gioco d'azzardo è in continua crescita e in questi anni sta assumendo dimensioni sempre più rilevanti, come osservabile dall'andamento delle statistiche dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli (ex AAMS) relative alla quantità di denaro giocato. In parallelo, si stanno anche rafforzando le evidenze scientifiche che portano a connotare quanto la pratica del gioco d'azzardo può esitare in sviluppo di forme di vera e propria dipendenza (gioco d'azzardo patologico) o comportamenti a rischio (gioco d'azzardo problematico);
   «la dimensione del fenomeno in Italia è difficilmente stimabile in quanto ... non esistono studi accreditati, esaustivi e validamente rappresentativi del fenomeno. In ogni caso i dati epidemiologici disponibili in Italia non si discostano molto da quelli internazionali. Secondo i dati del Rapporto Eurispes 2009, in Italia il gioco d'azzardo coinvolge fino al 70-80 per cento della popolazione adulta (circa 30 milioni di persone). La popolazione, italiana è stimata in circa 60 milioni di persone, di cui il 54 per cento ha giocato d'azzardo con vincite in denaro almeno una volta negli ultimi 12 mesi. La stima però dei giocatori d'azzardo “problematici” (cioè di coloro che giocano frequentemente investendo anche discrete somme di denaro ma che non hanno ancora sviluppato una vera e propria dipendenza patologica pur essendo a forte rischio evolutivo) varia dall'1,3 per cento al 3,8 per cento della popolazione generale (da 767.000 a 2.296.000 italiani adulti), mentre la stima dei giocatori d'azzardo “patologici” (cioè con una vera e propria malattia che si manifesta con una dipendenza patologica incontrollabile) varia dallo 0,5 per cento al 2,2 per cento (da 302.000 a 1.329.00 italiani adulti)»;
   «si tratta di soggetti particolarmente vulnerabili che per una serie di fattori, individuali (di tipo neuro psichico), familiari ed ambientali, se esposti allo stimolo del gioco e/o a pubblicità incentivanti il gioco, possono sviluppare una vera e propria patologia. Questo dato, ormai consolidato dalle evidenze scientifiche, impone a tutte le amministrazioni di riferimento l'adozione di strategie e misure contenitive del fenomeno». È così che la relazione ritrae insieme i giocatori e le azioni delle pubbliche amministrazioni e delle strutture sanitarie, ricordando infine come l'indagine conoscitiva (student population survey) condotta negli anni 2012-2013 dal DPA sulla popolazione studentesca (15-19 anni), ha messo in evidenza la pratica del gioco d'azzardo nel 49,4 per cento degli intervistati. Questa popolazione è composta da una quota di giocatori sociali (39 per cento), da giocatori problematici (7,2 per cento) e da giocatori patologici (3,2 per cento). L'ultima annotazione riguarda la «preoccupante associazione è stata trovata tra frequenza della pratica del gioco d'azzardo e consumo di sostanze che evidenzia una correlazione lineare tra le due condizioni sia nella popolazione giovanile (15-19 anni) sia in quella generale (15-64 anni). Il problema esiste ed è andato crescendo in questi ultimi anni anche a causa della sempre maggiore diffusione delle opportunità di gioco tramite internet e le nuove applicazioni degli smart-phone»;
   fino ad ora l'azione legislativa è intervenuta in primis, con il cosiddetto «decreto Balduzzi», nel 2012, che ha previsto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza per la prevenzione, cura e riabilitazione dei soggetti affetti da ludopatia, tutt'ora in fase di approvazione, anche se da diversi anni le regioni hanno preso in carico i soggetti affetti da disturbo da gioco d'azzardo, compatibilmente con le risorse esistenti, attraverso i propri servizi per le dipendenze, fornendo loro assistenza e trattamenti; poi con la legge 23 dicembre 2014, n.190, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015), che, all'articolo 1, comma 133, ha stabilito di destinare «a partire dal 2015, una quota annua di 50 milioni di euro per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d'azzardo. [...] Un milione di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, è destinato per la sperimentazione di modalità di controllo dei soggetti a rischio di patologia, mediante l'adozione di software che consentano al giocatore di monitorare il proprio comportamento generando conseguentemente appositi messaggi di allerta». La medesima legge stabilisce, inoltre, che il Ministero della salute adotti linee di azione per garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da patologie connesse al gioco d'azzardo e che venga trasferito a Ministero della salute, l'osservatorio istituito dal cosiddetto «decreto Balduzzi» presso l'Agenzia delle dogane e i monopoli di Stato, «al fine di realizzare il monitoraggio della dipendenza dal gioco d'azzardo e della efficacia delle azioni di cura e di prevenzione intraprese»; infine, con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) che, all'articolo 1, comma 946 ha istituito, «“al fine di garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette dal gioco d'azzardo patologico (GAP), come definito dall'Organizzazione mondiale della sanità, presso il Ministero della salute, il Fondo per il gioco d'azzardo patologico (GAP)”. Il Fondo è ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro della salute, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Per la dotazione del Fondo di cui al periodo precedente è autorizzata la spesa di 50 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016» –:
   quali siano ad oggi i dati aggiornati sul fenomeno del gioco d'azzardo in Italia;
   quale sia, allo stato attuale, l'iter di approvazione delle linee d'azione per garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette dalle patologie connesse al gioco d'azzardo, che devono essere adottate dal Ministero della salute. (5-08571)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROTTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'unità locale socio-sanitaria n. 20 di Verona ha dato vita, nel 2012, a un'offerta attiva degli screening oncologici di provata efficacia alle donne immigrate (in possesso di tessere STP/ENI;
   negli anni scorsi, grazie a un finanziamento statale, la ULSS 20 è riuscita a chiamare centinaia di migliaia di donne italiane e straniere al pap test ottenendo ottimi risultati di adesione; sono state invitate 335.077 donne di cui 48.657 nate all'estero; il tasso di adesione è stato del 49,9 per cento per le italiane e del 45,8 per cento per le nate all'estero;
   le evidenze hanno riscontrato un'incidenza di tumori al collo dell'utero molto più alta di quello delle donne italiane (dato che queste vengono monitorate regolarmente);
   concluso lo studio pilota nel 2012, i cui risultati sono riportati negli atti del 45o congresso nazionale SITI 2012, la direzione della ULSS ha ritenuto che sulla base dell'accordo Stato-regioni del 24 dicembre 2012 sull'assistenza alla popolazione immigrata, l'iniziativa potesse essere ripresa e allargata a tutto il territorio regionale;
   la lettera inviata all'assessore regionale alla sanità della regione Veneto, dottor Luca Coletto che ricopre attualmente l'incarico, da parte della ULSS 20, a quanto risulta all'interrogante, avrebbe ricevuto una risposta negativa e il progetto sarebbe stato abbandonato –:
   quali iniziative di competenza il Governo, che si è mostrato fortemente sensibile sul tema della prevenzione e che ha lanciato la giornata nazionale della salute della salute della donna per il prossimo 22 aprile, intenda assumere al fine di concretizzare un importante strumento di tutela della salute come lo screening oncologico a favore delle donne straniere che risultano essere all'interno di quei sottogruppi di popolazione meno oggetto di interventi di prevenzione e più soggetti a specifici rischi per la salute. (4-13076)


   ROTTA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa (L'Arena 28 aprile 2016) emergerebbe un dato inquietante e drammatico sulla diffusione dei tumori alla mammella, per gli anni 2012 e 2013, tra le donne che nella Ulss 22 di Verona erano state, fino al 2011, oggetto di screening su invito dell'azienda. Lo screening sarebbe stato sospeso dall'azienda sanitaria dall'inizio del 2011 fino al giugno 2012. Dal registro regionale dei tumori emergerebbe un'incidenza di questa patologia dell'8,8 per cento superiore al 5 per cento di media regionale. Come scrive la fonte di stampa: «L'ipotesi era quella che molte signore, non ricevendo più lettere di invito a casa da parte dell'Ulss avessero aspettato più dei canonici due anni per rifare l'esame». Ancora peggiore sarebbe il dato 2013 con una incidenza di tumori quasi doppia rispetto alla media regionale. Ancora più sconcertante risulterebbe la circostanza che il dirigente pro tempore dell'azienda sanitaria avrebbe ricevuto un premio per i risparmi realizzati nella sua gestione. L'articolo in questione si basa soprattutto su quanto espresso dalla Federazione italiana medici generali. La FIMG richiama l'attenzione anche sul dato dei successivi rapporti;
   nella Ulss 22 rimane molto bassa la percentuale di donne che, dopo la ripresa degli esami a inviti, hanno aderito effettuando lo screening. In pratica si sarebbe creato un clima di sfiducia nelle pazienti che ha danneggiato l'opera di prevenzione –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto denunciato nell'articolo in questione e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, se emergesse una correlazione tra la sospensione dello screening deciso dall'azienda sanitaria e la crescita delle patologie tumorali alla mammella tra le donne pazienti della Ulss 22, al fine di evitare che possano verificarsi casi analoghi. (4-13077)


   BORGHESI e CAPARINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   già dal 2014 studi certificavano come a Brescia ci si ammalasse di tumore più che nel resto d'Italia;
   la correlazione diretta tra i pcb e le diossine, i veleni dell'industria chimica che hanno devastato il territorio, e l'aumento delle neoplasie veniva certificato dal nuovo rapporto «Sentieri» dell'Istituto superiore di sanità e dell'Airtum, l'Associazione italiana registri tumori, che ha confermato l'eccesso di tumori nella popolazione del sito Brescia-Caffaro rispetto al resto del nord Italia, smentendo le autorità sanitarie locali;
   nel corso degli anni, diversi rapporti sulla città lombarda hanno rilevato una falda di 21 chilometri quadrati con acque inquinate da cromo esavalente e solventi clorurati, cinquanta chilometri di rogge e corsi d'acqua pieni di diossine e mercurio, e tonnellate di terra contaminate da arsenico, Ddt e Pcb (policlorobifenili) — molecole a base di cloro che, nel 2013, sono state inserite dall'Organizzazione mondiale della sanità nel «gruppo 1» dei cancerogeni certi per l'uomo;
   tutto questo sarebbe il risultato degli scarti industriali e dei veleni rilasciati per 50 anni dalla «ex Caffaro» uno stabilimento dello storico gruppo industriale omonimo che ha prodotto Pbc per più di 50 anni, e che nell'ultima fase della sua esistenza ha fatto capo alla società chimica Snia, oggi in amministrazione straordinaria;
   si trattava dell'unico polo chimico in Italia ad avere prodotto le molecole di Pcb. Lo ha fatto dal 1936 al 1984, dopo aver acquistato l'esclusiva sul brevetto della Monsanto. La sostanza è stata usata per decenni in svariati settori: fra gli usi commerciali più diffusi spiccavano quelli come isolanti termici ed elettrici, fluidificanti nell'idraulica e additivi nelle vernici e nei pesticidi;
   la produzione di Pcb è stata vietata in Italia nel 1983, dopo oltre 15 anni da un disastro ambientale in Giappone che provocò la morte di 1.000 persone intossicate da riso contaminato da suoi derivati. La messa al bando della molecola a base di cloro da un lato portò al declino dello stabilimento Caffaro, dall'altro fu l'inizio di un'agonia che dura da decenni;
   la storia di questo disastro ambientale a Brescia è nota da tempo, e la stampa italiana se ne è occupata a più riprese denunciando la gravità delle conseguenze dei ritardi nella bonifica –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire predisponendo un nuovo studio che aggiorni la situazione di contaminazione dei luoghi ed il rapporto con l'aumento delle neoplasie nella popolazione al fine di contribuire al bene primario della tutela della salute pubblica. (4-13083)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   recenti disposizioni normative hanno previsto l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altre forze di polizia;
   in proposito, va rilevato che la Conferenza unificata ha proposto di inserire tra le amministrazioni presso cui ricollocare il personale del Corpo forestale dello Stato anche i Corpi forestali delle regioni a statuto speciale e delle province autonome –:
   se il Governo, in vista della prossima riorganizzazione dell'organico del Corpo in argomento, non ritenga quantomeno opportuno valutare la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative volte a prevedere la facoltà del personale dei ruoli del Corpo forestale dello Stato di transitare anche in altre amministrazioni pubbliche, ovvero in quelle dell'ultimo elenco stilato dall'Istat (Gazzetta Ufficiale n. 227, 30 settembre 2015), anche in sovrannumero, così come è stato consentito ai dipendenti della Croce Rossa ai sensi dell'articolo 1, comma 397, della legge di stabilità 2016, anche al fine di evitare futuri contenziosi legali. (4-13078)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CENNI, TERROSI e SENALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   anche nel nostro Paese è cresciuta negli anni una sensibilità, una attenzione alla sostenibilità, alla provenienza ed alla filiera che sta dietro a prodotti artigianali, industriali, ed alimentari che sta influenzando in modo consistente i consumi;
   certificazioni, marchi, definizioni, etichette, definizioni, attestanti attenzione all'uso dell'acqua, dell'energia, al non utilizzo di prodotti impattanti o inquinanti, di imballaggi da smaltire, ricorrono sugli scaffali dei supermercati, o nei siti di e.commerce, e non sempre tali richiami sono effettivamente corrispondenti a pratiche e processi realmente corrispondenti a pratiche etiche o ecosostenibili;
   sono nati negli anni numerosi strumenti di certificazione complessi, ma attestanti un valore di filiera o di prodotto;
   la dichiarazione ambientale di prodotto, meglio nota come Epd (Environmental Product Declaration) è uno strumento pensato per migliorare la comunicazione ambientale fra produttori, distributori e consumatori. La Epd è prevista dalle politiche ambientali comunitarie, e derivante dalle norme della serie ISO 14020. Pur mantenendo l'attenzione al prodotto, sia esso merce o servizio, le aziende hanno la possibilità di comunicare le proprie strategie e l'impegno ad orientare la produzione nel rispetto dell'ambiente valorizzando il prodotto stesso;
   nell'agroalimentare, da sempre, tale esigenza di consumo sostenibile può contare sulle certificazioni biologiche o biodinamiche, su reti di vendita locali, e disciplinari facenti riferimento a pratiche e marchi collettivi;
   la dichiarazione ambientale di prodotto è uno strumento di comunicazione e trasparenza, per quelle aziende ed organizzazioni che, volontariamente, decidono di rispettare determinati parametri ambientali riferiti al proprio processo di produzione o al ciclo di vita del prodotto;
   sono presenti, in tutto il mondo, oltre 450 tipologie di certificazioni e marchi ambientali: un numero che cresce ogni anno in media di 15 unità;
   esistono, ad esempio, tre diversi tipi di etichettature ambientali, istituite dalle norme ISO serie 14020:
    Tipo I: Etichette ecologiche volontarie basate su un sistema multicriteria che considera l'intero ciclo di vita del prodotto, sottoposte a certificazione esterna da parte di un ente indipendente (tra queste rientra, ad esempio, il marchio europeo di qualità ecologica Ecolabel – ISO 14024);
    Tipo II: Etichette ecologiche che riportano autodichiarazioni ambientali da parte di produttori, importatori o distributori di prodotti, senza che vi sia l'intervento di un organismo indipendente di certificazione (tra le quali: «Riciclabile», «Compostabile» — ISO 14021);
    Tipo III: Etichette ecologiche che riportano dichiarazioni basate su parametri stabiliti e che contengono una quantificazione degli impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto calcolato attraverso un sistema Lca. Sono sottoposte a un controllo indipendente e presentate in forma chiara e confrontabile (tra di esse rientrano, ad esempio, le «Dichiarazioni Ambientali di Prodotto» – ISO 14025);
   esistono poi le certificazioni Eco-Management and Audit Scheme (Emas): uno strumento anch'esso volontario proposto dalla Comunità europea ed al quale possono aderire volontariamente le organizzazioni (aziende o enti pubblici) per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali e fornire al pubblico e ad altri soggetti interessati informazioni su una corretta gestione ambientale;
   va sottolineato in questo contesto che per le certificazioni Emas l'organismo preposto all'esecuzione della diagnosi energetica è l'Ispra, in collaborazione con l'Enea; le certificazioni ISO serie 14020 del Tipo, I e del Tipo III vengono verificate da appositi organismi indipendenti, mentre per le certificazioni di Tipo II è invece sufficiente solo una autocertificazione da parte dell'azienda;
   è stato appurato che le certificazioni ambientali aiutano la qualità delle imprese e l'innovazione, aumentano le esportazioni, il fatturato e l'occupazione;
   secondo l'ultimo rapporto «Certificare per competere» di Fondazione Symbola e Cloros, tra il 2009 e il 2013, le imprese «amiche dell'ambiente» hanno visto i loro fatturati aumentare mediamente del 3,5 per cento, quelle non certificate del 2 per cento: le certificazioni portano in dote 1,5 punti percentuali. Ancora meglio nell'occupazione, dove lo spread arriva a 3,8 punti percentuali: le aziende certificate hanno visto crescere gli addetti del 4 per cento, le altre dello 0,2 per cento;
   anche sul fronte export, le imprese con certificazione ambientale esportano nell'86 per cento dei casi, mentre le non certificate nel 57 per cento. È stato poi rilevato come le certificazioni giovino a tutte le imprese ed in particolare alle aziende medio piccole: le piccole e medie imprese (fino a 50 addetti) con certificazione ambientale registrano uno spread di +4 punti nel fatturato (contro un +1,1 delle medie, fino a 250 addetti, e un +0,6 punti delle grandi) e di 1,2 punti negli occupati (contro lo 0,6 o 0,7 delle altri classi);
   l'Italia con oltre 24 mila certificazioni è il secondo Paese al mondo per numero di certificati ISO 14001; la prima nazione per numero di certificazioni di prodotto Epd ed il terzo per Ecolabel ed Emas;
   la sostenibilità ambientale rappresenta oggi una delle componenti prioritarie dei processi produttivi: concetto ribadito anche negli accordi raggiunti lo scorso anno Parigi nel corso della 21o Conferenza delle Nazioni Unite sul clima («Cop 21») dove è stata ribadita la necessità di incentivare e promuovere filiere e meccanismi virtuosi ed ecologicamente compatibili per tutti i comparti industriali;
   sta crescendo negli ultimi anni, anche in Italia, il fenomeno denominato « greenwashing». Si tratta, in sintesi, di una pratica ingannevole adottata da alcune aziende che, per migliorare la loro reputazione, adottano una strategia di comunicazione il cui obiettivo è la costruzione di un'immagine positiva dal punto di vista del rispetto dell'ambiente, senza però di fatto applicare delle regole vere, che aiutino la sostenibilità dei processi produttivi;
   alcune imprese utilizzerebbero quindi messaggi, sia nelle etichette dei prodotti sia nelle campagne pubblicitarie, volutamente ingannevoli rispetto alle buone pratiche green di realizzazione dei prodotti, al fine di orientare le scelte dei consumatori, in un mercato internazionale che premia le certificazioni Epd;
   il « greenwashing» è, a tutti gli effetti, una forma di contraffazione che inganna i consumatori e conseguentemente crea gravi danni all'ecosistema, incentivando di fatto l'acquisto di prodotti e lo sviluppo di metodi di produzione non compatibili con la sostenibilità ambientale;
   la contraffazione sottrae ingenti risorse allo Stato, all'economia trasparente, al lavoro regolare e pulito, inganna i consumatori;
   tali azioni scorrette sarebbero «favorite» essenzialmente dalla mancanza di controlli. In primo luogo, come è stato precedentemente evidenziato, per le certificazioni ISO serie 14020 di Tipo II è sufficiente soltanto una autocertificazione da parte dell'azienda; in secondo luogo manca in Italia una'ente preposto a vigilare sulle false campagne pubblicitarie « green»;
   sono comunque presenti in ambito internazionale esempi di controllo per contrastare il greenwashing. Negli Stati Uniti esiste, ad esempio, un ente denominato Federal Trade Commission, il quale, fra le varie funzioni di vigilanza, persegue anche i casi di pubblicità ecologica ingannevole, perché si tratta di concorrenza scorretta nei confronti delle aziende serie che investono molte risorse per migliorare i loro prodotti riducendone gli impatti ambientali. Va aggiunto che l'Australia sanziona con multe fino a 1,1 milioni di dollari le aziende che comunicano comportamenti ambientali non corrispondenti alla verità mentre divieti, in questa direzione, sono già attivi nel Regno Unito, in Francia e in Norvegia;
   uno degli aspetti del « greenwashing» nel campo agroalimentare può essere rappresentato dai falsi prodotti «bio»: un fenomeno in rapida ascesa che presenta come «bio» o genericamente «naturali», prodotti che, in realtà, non potrebbero essere certificati come tali: solo nel comparto biologico agroalimentare quasi il 9 per cento dei prodotti controllati si è rivelato irregolare, ed i sequestri nel 2015 hanno raggiunto i 18 milioni di euro (quintuplicando di fatto i 3 milioni di euro requisiti nel 2014);
   è entrato in vigore il 27 marzo 2016 l'articolo 12 denominato «Tutela ambientale» del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale che si pone l'obiettivo di porre un limite al greenwashing, rispondendo all'esigenza del controllo dei « green claim», ovvero dei messaggi pubblicitari che contengono rivendicazioni ambientali;
   tale articolo 12 cita testualmente: «La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell'attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono»;
   questa norma, presente comunque in un codice di autoregolamentazione, impone direttive certe per poter utilizzare claim ambientali, vietando di alludere a caratteristiche del prodotto qualora non vengano provati scientificamente;
   lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è, come riporta il sito istituzionale del dicastero, «particolarmente impegnato sul terreno della “certificazione ambientale” con diverse attività che riguardano principalmente: il supporto agli schemi tradizionali di certificazione di sistema (Emas) e di prodotto (Ecolabel); la promozione della diffusione dello strumento Lcae delle attività riguardanti la messa a punto di un nodo nazionale della banca dati europea Lca» –:
   se il Governo non ritenga necessario mettere in campo, al fine di dare maggiore credibilità ed efficacia al sistema della «dichiarazione ambientale di prodotto» e contrastare con efficacia il fenomeno del greenwashing, iniziative urgenti di carattere organizzativo o di natura normativa per sanzionare gli enti e le aziende che dichiarano il falso, soprattutto nelle autodichiarazioni previste dalla disciplina ISO 14021 e nelle strategie di comunicazione, anche al fine di coadiuvare e rafforzare le finalità dell'articolo 12 del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, e rafforzare l'attività di contrasto a forme di contraffazione che andrebbero a colpire i consumatori più attenti e le imprese che sono invece impegnate a certificare le loro filiere di qualità. (5-08580)


   TARANTO e SENALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Osservatorio congiunturale di Aefi (Associazione esposizioni e fiere italiane) ha segnalato, per il periodo ottobre-dicembre 2015, «un quadro complessivo in ripresa rispetto al trimestre precedente e un consolidamento anche rispetto al corrispondente periodo del 2014» in riferimento al numero di manifestazioni (+23 per cento), di espositori (+23 per cento), di visitatori (+35 per cento) nonché ai dati delle superfici occupate (+19 per cento) e del fatturato (+27 per cento);
   sul versante estero, merita inoltre di essere segnalato il rinnovo, nel mese di febbraio 2016, dell'accordo, per il biennio 2016-2017, tra ICE-Agenzia e Aefi per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, accordo che, nel precedente biennio di vigenza, ha fatto tra l'altro registrare l'organizzazione, in 31 Paesi, di 61 iniziative di presentazione del sistema fieristico italiano e delle sue manifestazioni, con particolare attenzione riservata ai mercati della Germania e dell'Ucraina, dell'Egitto, della Cina e della Corea del Sud;
   in questo quadro, è intervenuto il «Piano Fiere» che – nell'ambito del «Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia» – ha previsto lo stanziamento di 76 milioni di euro, per il periodo 2015-2017, con la finalità di valorizzare i principali eventi fieristici italiani che supportano la visibilità del made in Italy;
   «l'Italia è, insieme alla Germania, il paese europeo con la maggiore concentrazione di eventi fieristici internazionali. Fra questi, alcuni appuntamenti legati ai settori trainanti della nostra industria – si osservava al riguardo nella sezione sul potenziamento dei grandi eventi fieristici del citato Piano per il Made in Italy del marzo del 2015 – sono in possesso di un chiaro vantaggio competitivo che incide in maniera significativa sulla nostra «performance esportativa», sicché «si ritiene indispensabile affiancare alcune manifestazioni fieristiche a mantenere la loro “centralità” e rimanere punto di riferimento obbligato per “decision makers” e buyers a livello internazionale, anche per fronteggiare la concorrenza di Saloni ed Enti Fiera (principalmente tedeschi, francesi, inglesi) che possono contare su economie di scala di gran lunga maggiori»;
   con una prima tranche di finanziamento, nel 2015, per circa 45 milioni di euro, sono stati così supportati 36 appuntamenti in Italia e 10 all'estero secondo un calendario che si è sviluppato da aprile 2015 al primo trimestre 2016; con la seconda tranche di finanziamento per circa 30 milioni di euro – attesa a breve – si supporteranno, ancora, 39 fiere italiane e 10 appuntamenti all'estero, secondo una selezione basata sulla rispondenza ad almeno due dei seguenti requisiti: porsi come il principale appuntamento italiano per il settore di riferimento, registrare la presenza di più di mille espositori in totale, registrare la presenza di espositori esteri per più del 20 per cento del totale espositori, registrare più di 100 mila visitatori, di cui almeno il 20 per cento esteri;
   le fiere, infatti, «continuano ad essere – come ha di recente dichiarato il Sottosegretario allo sviluppo economico Ivan Scalfarotto – un formidabile strumento di promozione dei nostri prodotti nel mondo... Raccogliendo gli input che vengono dal mondo imprenditoriale sono state individuate oltre 30 esposizioni, in alcuni casi anche le loro edizioni all'estero, nei settori che costituiscono la struttura portante del nostro export: meccanica, moda, agroalimentare, legno-arredo, cura della persona, nautica, ecc...», esposizioni selezionate, appunto, «in base a stringenti requisiti, alle potenzialità di sviluppo in grado di rafforzare la presenza diretta delle nostre aziende sui mercati esteri», fermo restando che «se ci saranno ulteriori fiere con le carte in regola, potremo valutare di inserirle e ricomprenderle nel finanziamento»;
   secondo quanto è stato segnalato in occasione dell'Assemblea Aefi del mese di marzo 2016, sul dinamismo del settore fieristico gravano, però, tre irrisolti nodi strategici: sotto il profilo societario, la necessità del riconoscimento del carattere essenziale delle partecipazioni delle Camere di commercio negli enti fieristici; sotto il profilo gestionale, l'urgenza della definizione di principi che, in coerenza con il quadro normativo europeo di settore, concorrano alla competitività nel mercato del sistema fieristico italiano; sotto il profilo fiscale, l'impatto della tassazione Imu dei padiglioni fieristici;
   si tratta di temi posti al centro anche dell'appuntamento Aefi del 3 maggio 2016 – tenutosi, in Unioncamere, sotto il titolo «Le fiere italiane: quadro giuridico ed economico, situazione attuale e prospettive nel mercato globale» – con cui l'associazione ha inteso tornare a sottolineare la necessità di «interventi immediati e chiarimenti specifici in tema legislativo», affinché «il comparto fieristico italiano possa continuare a essere competitivo a livello internazionale e a rappresentare una leva strategica della politica industriale del Paese» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga utile promuovere, per quanto di competenza, un'occasione di confronto complessivo tra gli enti fieristici italiani e le diverse amministrazioni interessate per la definizione di un percorso di soluzione delle cennate questioni aperte, e ciò proprio nella prospettiva della valorizzazione del sistema fieristico del nostro Paese e dell'ottimizzazione dell'impatto dell'intervento pubblico di cui al «Piano Fiere». (5-08585)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Nicchi e altri n. 1-01230, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Bechis e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: Nicchi, Costantino, Duranti, Gregori, Martelli, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Bechis, Brignone, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Civati, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Andrea Maestri, Melilla, Marcon, Palazzotto, Pastorino, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Zaratti.

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Lupi e altri n. 1-01195, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Gigli, Sberna, Baradello.

  La mozione Dellai e altri n. 1-01225, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Calabrò.

  La mozione Miccoli e altri n. 1-01245, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Brunetta e altri n. 3-02233, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Baldelli.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fassina e Gregori n. 5-08562, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Franco Bordo.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lupi n. 1-01195, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 595 del 22 marzo 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    la surrogazione della maternità consiste nella cessione a terzi, e per sempre, di un neonato da parte della donna che lo ha partorito; una cessione puntualmente regolata da apposito contratto stipulato fra gestante e committenti in un momento precedente al concepimento del nato;
    il contratto che regola la gestazione e la successiva cessione del bambino non può che essere intrinsecamente vessatorio nei confronti della gestante, considerando che l'obiettivo è quello di far consegnare ai committenti il neonato, imponendo alla donna di portare avanti la gravidanza secondo modalità che i committenti arbitrariamente decidono essere le migliori per il nascituro: oltre a regolare dettagliatamente la vita della gestante per tutto il periodo della gravidanza, vengono quindi imposti esami clinici e comportamenti personali della madre surrogata che includono anche importanti restrizioni della libertà personale e che prevedono sia l'aborto in caso di malformazioni del feto, sia la cosiddetta riduzione fetale in presenza di gravidanze gemellari non richieste;
    il contratto di maternità surrogata, per sua stessa natura, ha contenuto patrimoniale e carattere oneroso, tenuto conto della gravosità del periodo di gravidanza e dell'evento del parto, cui si sottopone la mamma surrogata: il corrispettivo previsto nel contratto in favore della madre surrogata è infatti diretto a retribuire il sacrificio richiesto a quest'ultima;
    tale contratto, nella forma di surroga ad oggi maggiormente diffusa, include anche l'acquisto di gameti femminili da una donna diversa dalla madre surrogata, perché senza legame genetico con il nascituro sia più facile per la gestante considerarlo appartenente ai committenti, e cederlo alla nascita: il nato in questo caso ha due madri biologiche (una genetica e una gestazionale) e di solito la madre legalmente riconosciuta è ancora una terza, il che determina un'inquietante frammentazione della figura materna e associa la maternità surrogata alla compravendita di gameti, con tutti gli aspetti economici, antropologici e sociali connessi, primo fra tutti la «scelta» dei «donatori» su appositi cataloghi di, biobanche in base al fenotipo (colore della pelle, di occhi e capelli, aspetto fisico);
    una donna che cede a terzi, dietro corrispettivo in denaro, il proprio neonato, a prescindere dalla presenza di un contratto di diritto privato vincolante fra le parti, compie un gesto perseguito come reato in gran parte del mondo, pertanto il contratto di surrogazione, nei Paesi in cui è ammesso, rappresenta a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo un'ingiustificata e incomprensibile eccezione;
    sottrarre un neonato alla donna che lo ha tenuto in gestazione e partorito integra in tutto il mondo a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, oltre che un crimine, una condotta di estrema crudeltà, una sorte generalmente destinata alle schiave nelle civiltà arcaiche;
    il legittimo desiderio di avere bambini non è un diritto esigibile;
    il contratto di surrogazione di maternità è evidentemente una nuova forma di mercato di esseri umani, e rientra per i firmatari del presente atto di indirizzo nella «tratta degli esseri umani», così come definita dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, quando indica che «il reclutamento (...) di persone (...) con l'abuso (...) della condizione di vulnerabilità (...) a fini di sfruttamento (che) comprende pratiche simili alla schiavitù e specifica che, in questi casi, il consenso della vittima allo sfruttamento è irrilevante»;
    la surrogazione di maternità viola altresì secondo i firmatari del presente atto di indirizzo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948: all'articolo 1, che recita: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti», visto che per i nati da maternità surrogata, a differenza di tutti gli altri bambini del mondo, si decide fin da prima del concepimento che non cresceranno con la donna che li ha partoriti, cioè la madre, ma con persone che vi hanno stipulato un contratto commerciale e l'hanno indotta ad abbandonarlo alla nascita; all'articolo 4, ove si afferma che «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma», considerando le condizioni vessatorie contrattuali che stabiliscono nei minimi dettagli la vita della gestante e ne definiscono gli obblighi, primo fra tutti la cessione del neonato alla nascita;
    la surrogazione di maternità viola altresì per i firmatari del presente atto di indirizzo la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, che, all'articolo 8, stabilisce che «Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità», e che, all'articolo 32, dispone che «Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico»;
    la surrogazione di maternità costituisce inoltre per i firmatari del presente atto di indirizzo una forma di violenza contro le donne secondo la definizione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (la cosiddetta Convenzione di Istanbul), in cui, con l'espressione «violenza nei confronti delle donne», si intende designare una violazione dei diritti umani comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica;
    la surrogazione di maternità contrasta a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo esplicitamente con convenzioni internazionali e pronunciamenti di istituzioni europee: la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997), che, all'articolo 21 stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»; principio ribadito dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti fondamentali (2000) sul diritto all'integrità della persona, in particolare quando prevede che si rispetti «il divieto di fare del corpo umano e sue parti in quanto tali una fonte di lucro»; la risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 che impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»;
    il Comitato nazionale per la bioetica, riunito in seduta plenaria, ha approvato il documento «mozione su maternità surrogata a titolo oneroso». Il Comitato nazionale per la bioetica, che si è espresso più volte contro la mercificazione del corpo umano (mozione sulla compravendita di organi a fini di trapianto, 18 giugno 2004; mozione sulla compravendita di ovociti, 13 luglio 2007; parere sul traffico illegale di organi umani tra viventi, 23 maggio 2013), ritiene che la maternità surrogata sia un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione. Il Comitato nazionale per la bioetica ritiene inoltre che l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali che emergono anche dai documenti sopra citati;
    va tenuto conto del divieto della maternità surrogata previsto dalla legge n. 40 del 2004, articolo 6,

impegna il Governo:

   a dare attuazione alla risoluzione approvata dal Parlamento europeo in Assemblea plenaria (2015/2229) sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo (paragrafo 115), in cui si condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce e si afferma che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, sia vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani;
   ad attivarsi nelle forme e nelle sedi opportune per il pieno rispetto da parte dei Paesi che ne sono firmatari delle convezioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino e a promuovere iniziative che conducano al riconoscimento del diritto dei bambini alla loro identità personale e alla loro tutela.
(1-01195)
(Nuova formulazione) «Lupi, Buttiglione, Binetti, Gigli, Calabrò, Bosco, Pagano, Scopelliti, Sberna, Baradello».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-13016, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 615 del 28 aprile 2016.

   PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con l'apertura ufficiale della stagione balneare, prevista per il 1o maggio, esiste l'obbligo di fornire ai cittadini le informazioni sulla condizione delle acque di ogni tratto di spiaggia comunale. E per evitare rischi alla salute dei bagnanti il Ministero della salute deve fornire i dati, aggiornati in tempo reale, rilevati e trasmessi dai comuni e dall'Arpacal;
   a titolo esemplificativo, per il comune di Lamezia Terme, attualmente, i dati sulla balneazione forniti dal Ministero della salute presentano a giudizio dell'interrogante gravi carenze che possono esporre a rischio la salute dei bagnanti. Ad esempio, i tratti di spiaggia in corrispondenza delle foci dei torrenti Turrina e Bagni, sulle mappe con ortofoto di Google Maps utilizzate dal Ministero, sono indicati come balneabili e con acque marine di qualità «eccellente». Le stesse foci sono evidenziate con il retino di colore verde, che nella legenda del Ministero della salute indica i tratti con acque idonee alla balneazione. Inoltre, alcuni tratti lontani dalle foci come, ad esempio, quello in corrispondenza del lungomare Falcone-Borselino di Lamezia Terme, della lunghezza di circa 400 metri sono privi del retino verde e, quindi, da considerare non adibiti alla balneazione. In pratica, le mappe del Ministero, in corrispondenza del lungomare di Lamezia Terme, riportano un tratto non adibito alla balneazione come per le foci dei corsi d'acqua inquinati invece, in corrispondenza delle foci con acque inquinate e divieto permanente, è riportato il retinato verde che indica tratti con acque idonee alla balneazione;
   a quelli che appaiono all'interrogante errori di mappatura, si aggiunge l'assenza di dati sulle disposizioni dei divieti di balneazione per inquinamento dei tratti in corrispondenza delle foci dei corsi d'acqua. Infatti, nello stesso sito web del Ministero della salute, per il comune di Lamezia Terme, quando si prova a cliccare su «Ordinanze sindacali di divieto di balneazione» si apre la finestra con scritto «Non sono presenti interdizioni alla balneazione nel comune selezionato». Attualmente, nel sito del Ministero, non vi sono dati, né informazioni sui divieti di balneazione per inquinamento in corrispondenza delle foci del torrente Bagni, del fiume Amato e della foce del Torrente Turrina. La cosa non può essere sottovalutata, anche perché, in passato, le condizioni delle acque marine nella zona industriale, com’è noto, hanno richiesto ordinanze sindacali come, ad esempio, la n. 235/2011, con divieti di balneazione per inquinamento: nel «Tratto di costa ricadente tra il Pontile sito in area ex Sir e foce in Dx del Torrente Turrina» della lunghezza di 800 metri; nel tratto denominato «200 metri Dx e Sx Fiume Amato» della lunghezza di 400 metri e nel tratto denominato «200 metri Dx e Sx Torrente Bagni» della lunghezza di 400 metri. Questi fatti, segnalati nei precedenti rapporti sullo Stato di salute dei mari degli «Amici della Terra» non possono essere trascurati perché espongono i bagnanti a prevedibili rischi per la salute;
   in proposito, va ricordato che, negli anni passati, proprio per la mancanza di attenzione di non pochi amministratori, i magistrati della Corte dei Conti hanno indagato sulla «gestione delle risorse pubbliche finalizzata a prevenire l'inquinamento delle coste a risanare le stesse, a migliorare la qualità delle acque destinate alla balneazione e a tutelare la salute pubblica». E, a conclusione delle indagini è stato scritto che: «il mare non è stato sinora considerato una risorsa, ma una discarica che tutti possono utilizzare pur di risparmiare soldi pubblici e privati.»;
   per consentire un futuro ai giovani che desiderano vivere nella propria terra occorre una vera svolta rispetto al passato. Bisogna far conoscere e valorizzare la ricchezza dell'intera fascia costiera lametina che, a differenza di gran parte della costa tirrenica calabrese che è in erosione preoccupante, offre ampie spiagge caratterizzate di specificità idrogeomorfologiche. Sulla rilevanza e la potenzialità dello stesso patrimonio costiero disponibile, ad esempio, nel Golfo di S. Eufemia vi è una specificità degli assetti idro-geomorfologici favorevole allo sviluppo della più grande varietà di habitat e forme di vita in ambiente acquatico e terrestre con una quantità di spiagge balneabili presenti in tutta la regione Emilia Romagna dove arrivano più di 5 milioni di turisti balneari all'anno;
   sulla base della classificazione delle acque marine effettuate dall'Arpacal, nel comune di Lamezia Terme sono nove i tratti adibiti alla balneazione. Due tratti non sono sottoposti a controllo perché permanentemente non adibiti alla balneazione per inquinamento riguardano le foci del torrente Bagni e del fiume Amato per complessivi 800 metri;
   nel resto dei comuni del lametino, altri divieti per inquinamento sono da indicare in corrispondenza della foce del fiume Savuto nel comune di Nocera Terinese, e della foce del Torrente Turrina al confine tra i comuni di Lamezia Terme e Curinga. Nei 5 comuni del lametino i tratti di costa adibiti alla balneazione sono 27, con una lunghezza complessiva di circa 30 chilometri. Una lunghezza analoga a quella dell'intera provincia di Rimini;
   per l'inizio della stagione balneare 2016, la classificazione dell'Arpacal, in corrispondenza di ogni singolo tratto per ogni comune del lametino, risulta:
    1) Comune di Curinga: Torre di mezza praia, lungo 1.731 metri, di qualità eccellente; 1 km nord torrente di mezza praia, lungo 1.022 metri, di qualità eccellente; 500 metri nord torrente S. Eufrasia, lungo 1.604 metri, di qualità eccellente;
    2) Comune di Gizzeria: Lido capo suvero, lungo 830 metri di qualità eccellente; Lido S. Antonio, lungo 580 metri, di qualità eccellente; Direzione allevamento anguille, lungo 668 metri, di qualità eccellente; 200 metri nord fiume Casale, lungo 1.828 metri, di qualità eccellente; Ristorante Pesce Fresco, lungo 639 metri, di qualità eccellente;
    3) Comune di Falerna: Eurolido, lungo 1415 metri, di qualità eccellente; 850 metri, sx punto 145, lungo 952 metri, di qualità eccellente; Bar Vittoria, lungo 2104 metri, di qualità eccellente; Hotel Torino 2, lungo 1.390 metri, di qualità eccellente; Hotel Old America, lungo 1.645 metri, di qualità eccellente;
    4) Comune di Nocera Tirinese: 200 metri sud Camping «la Macchia», lungo 1076 metri, di qualità eccellente; 200 metri a sud fiume Savuto, lungo 626 metri, di qualità eccellente; 200 metri nord fiume Savuto, lungo 1.215 metri, di qualità eccellente; ristorante Maris, lungo 757 metri, di qualità eccellente; 800 metri sx punto 143, lungo 979 metri, di qualità eccellente;
    5) Comune di Lamezia, Terme: lido Marinella, lungo 1.167 metri, di qualità eccellente; 200 metri nord Bagni, lungo 1.078 metri, di qualità eccellente; 500 metri sud Torrente Bagni, lungo 791 metri, di qualità eccellente; 200 metri a sud T. Bagni, lungo 344 metri, di qualità eccellente; 1.000 metri sud torrente Bagni, lungo 1.303 metri, di qualità eccellente; la Conchiglia, lungo 1.436 metri, di qualità eccellente; 200 metri a nord F. Amato, lungo 854 metri, di qualità buona; direzione stazione FF.SS. S. Pietro a Maida, lungo 1.211 metri, di qualità eccellente; 200 metri a sud F. Amato, lungo 847 metri, di qualità buona;
   i controlli e le analisi delle acque dei prossimi mesi, in particolare dei mesi più caldi e affollati, consentiranno, di verificare l'eventuale conferma dell'attuale classificazione con 25 tratti classificati di qualità Eccellente e solo due tratti classificati di qualità buona nel comune di Lamezia Terme;
   anche per Catanzaro nel sito web del Ministero, a quanto risulta all'interrogante, ci sono carenze:
    non sono riportate le ordinanze sindacali sui divieti alle foci dei corsi d'acqua (Fiumarella, Corace) per inquinamento;
    l'area del porto dovrebbe essere segnalata come «non adibita alla balneazione», mentre è retinata col verde delle «acque di balneazione»;
    il punto di prelievo (pallino blu) relativo al tratto denominato «Palazzo Bianco» è stato classificato di qualità buona seppur localizzato di fronte allo sbocco del fiume Corace –:
   quali iniziative di competenza, i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di garantire la tempestiva, completa ed aggiornata informazione sulle condizioni delle acque marine, come sottolineato dalle norme vigenti in tutta Europa sia per evitare rischi alla salute dei bagnanti sia per garantire la diffusione delle conoscenze su dinamiche e cause dell'inquinamento. (4-13016)

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Zampa n. 1-00868 del 20 maggio 2015.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Ruocco n. 5-08567 del 3 maggio 2016.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Mazzoli altri n. 5-08543 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 616 del 29 aprile 2016. Alla pagina 37148, seconda colonna, dalla riga ventiduesima alla riga ventitreesima, deve leggersi: «nella zona di Graffignano, in provincia di Viterbo, risultano venti mila tonnellate di», e non come stampato.