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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 2 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia cronica in cui tessuto simile a quello endometriale, che fisiologicamente riveste la parete interna dell'utero, viene a trovarsi in sedi anomale, principalmente a livello di ovaie, tube, utero (se tessuto endometriosico si addentra nello spessore della parete muscolare dell'utero si parla più propriamente di adenomiosi), legamenti utero-sacrali, cavo del Douglas, vescica, retto, ureteri, reni, setto retto-vaginale, genitali esterni; può trovarsi anche a livello di ombelico, arti, polmoni e in qualunque organo del corpo; è possibile una localizzazione a livello di cicatrici di interventi chirurgici precedenti;
    il tessuto cosiddetto ectopico (fuori posto) subisce gli stessi influssi ormonali del tessuto eutopico (il tessuto endometriale che correttamente riveste la cavità dell'utero), perciò ciclicamente prolifera, si sfalda e sanguina, mimando la mestruazione. Questo sangue però non ha una naturale via d'uscita e perciò diventa fortemente irritativo causando reazioni infiammatorie, mentre le lesioni, proliferando, producono aderenze che irrigidiscono gli organi su cui si formano ostacolandone la funzionalità;
    nonostante sia stata diagnosticata per la prima volta già nel 1690, la causa dell'endometriosi non è ancora nota. L'endometriosi è una malattia multifattoriale, cioè è determinata da fattori sia genetici sia ambientali. Si nota una certa familiarità. Alcuni studi la correlano alla presenza di sostanze presenti nell'ambiente come conseguenza delle lavorazioni industriali o come residui di prodotti usati in agricoltura tipo pesticidi (esempio: diossina);
    l'eziologia, cioè le cause precise che provocano lo sviluppo dell'endometriosi, rimangono ancora sconosciute. Certamente però si può parlare al plurale. Infatti, si è compreso che si tratta di una malattia multifattoriale, nel determinare la quale intervengono sia fattori di tipo genetico sia fattori di tipo ambientale;
    i fattori genetici che sottostanno all'endometriosi sembrano legati ad una fragilità del sistema immunitario che non funzionerebbe in modo adeguatamente efficace. Si è osservato infatti che le donne che abbiano familiari di primo grado (madre e/o sorelle) affette da endometriosi avrebbero più probabilità di contrarre la malattia; studi effettuati su gemelle omozigoti (che condividono cioè interamente il loro patrimonio genetico) confermerebbero questo dato. In ogni caso, si tratta di fattori predisponenti e non determinanti la malattia in modo necessario;
    si stima ne sia colpito il 10-17 per cento delle donne in età fertile. L'incidenza è spesso sottovalutata e ciò determina un ritardo di diagnosi che si calcola in una media di 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (secondo dati americani, per la metà delle donne occorre incontrare una media di 5 ginecologi prima di ottenere una diagnosi di endometriosi);
    il periodo di insorgenza va dall'adolescenza alla menopausa; una volta instaurata, la malattia può continuare a manifestarsi anche dopo la menopausa; sono testimoniati anche casi di insorgenza prepubere;
    recenti ricerche hanno evidenziato che le donne sofferenti di endometriosi possono avere un rischio più alto di patologie cardiache rispetto alle altre donne. A dichiararlo sono i medici del Brigham and Women's Hospital di Boston, Usa, che hanno pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Circulation. L'endometriosi prevede la crescita di tessuti tipici dell'utero al di fuori dell'utero che può provocare dolore, sanguinamenti, infiammazioni croniche e infertilità. Lo studio, spiegano gli stessi esperti, «potrebbe essere il primo a tracciare un collegamento tra le patologie coronariche e l'endometriosi»;
    i ricercatori hanno studiato i dati relativi ad oltre 116 mila donne con o senza endometriosi, scoprendo che le pazienti avevano «il 35 per cento di probabilità in più di aver bisogno di un intervento chirurgico o di inserire uno stent per liberare delle arterie bloccate; il 52 per cento di probabilità in più di avere un attacco di cuore; e il 91 per cento di sviluppare dolore toracico e angina». Le donne con meno di 40 anni e con endometriosi «avevano una probabilità tre volte più alta di avere un attacco di cuore, dolore toracico o di aver bisogno di uno stent rispetto a donne della stessa età ma senza endometriosi». I ricercatori dichiarano che questa patologia «potrebbe essere in parte responsabile di questo aumento di rischio cardiovascolare», dato che verrebbero a mancare gli effetti protettivi degli ormoni femminili sul cuore. Le donne con endometriosi devono «adottare stili di vita che favoriscano la salute del cuore – concludono gli esperti – fare controlli periodici ed essere consapevoli di quali siano i sintomi, dato che le patologie cardiache sono causa primaria di morte per il sesso femminile»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte all'immediato inserimento dell'endometriosi nell'elenco delle patologie con esenzione per i test diagnostici e per la terapia;
   a predisporre misure di tutela efficaci per le donne affette da tale patologia nel mondo del lavoro;
   ad attivarsi per l'istituzione di un registro nazionale per la valutazione della reale incidenza della patologia, mancando dati certi sia in Italia che in Europa, essendo stati predisposti esclusivamente studi su piccole porzione di popolazione in Paesi del nord Europa;
   ad assumere iniziative per la costituzione di un tavolo tecnico composto da esperti, presso il Ministero della salute, con la finalità di fornire alle donne affette da tale patologia la maggior quantità di informazioni basate su linee guida internazionali e sistematiche revisioni della letteratura medica, anche alla luce delle nuove scoperte, per un approccio rispettoso, non aggressivo ed economicamente sostenibile basato sul valore dell'evidenza medica.
(1-01237) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia caratterizzata dalla presenza e dall'accrescimento progressivo di isole di mucosa uterina in sede abnorme, cioè nella parete muscolare dell'utero (endometriosi interna), oppure in altri organi (endometriosi esterna, ovaio, tube, vulva, intestino, pleura, polmone);
    le lesioni più caratteristiche sono le cosiddette cisti endometrioidi;
    l'endometriosi è anche nota sotto altri nomi, endometrioma, adenosi benigna e coriblastoma dell'utero;
    trattasi di una malattia di cui sono affette circa tre milioni di donne in Italia, quattordici milioni in Europa ed oltre centocinquanta milioni nel mondo;
    è una malattia cronica ed invalidante e viene classificata dall'Organizzazione mondiale della sanità in quattro stadi (I stadio con gradazione minima, II stadio con gradazione lieve, III stadio con gradazione moderata e IV stadio con gradazione grave) determinati in base all'estensione e localizzazione della lesione;
    essendo malattia fortemente invalidante, costringe le donne a modificare le loro abitudini, lo stile di vita e la vita lavorativa;
    tale malattia presenta notevoli difficoltà diagnostiche anche a causa delle poche équipe specializzate nella diagnosi e nella cura dell'endometriosi, sull'intero territorio nazionale;
    mediamente si arriva ad una corretta e precisa diagnosi dopo non meno di dieci anni con le pazienti costrette a girovagare da un ospedale all'altro, da uno specialista all'altro, spesso costrette ad avvalersi di professionisti e strutture privati;
    il Ministro pro tempore per le pari opportunità, il Presidente della Fondazione italiana endometriosi, il presidente dell'Inps, il presidente dell'Inail, il presidente dell'Istituto affari sociali, hanno stipulato, nel luglio del 2009, un protocollo di intesa con validità quinquennale;
    a causa della disinformazione in materia con il suddetto protocollo di intesa le parti si sono impegnate a promuovere apposite campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnati inoltre a costituire un tavolo tecnico presso il Dipartimento delle pari opportunità per verificare la possibilità di intervento attraverso strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia»;
    in particolare, l'articolo 4 della suddetta convenzione prevede le seguenti iniziative:
     a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere detta patologia;
     b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
     c) porre particolarmente attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
     d) stimolare un maggior interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
    ad oggi solo due regioni (Puglia e Friuli Venezia Giulia) hanno legiferato sulla materia promuovendo la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi e istituendo un osservatorio ed un registro regionale;
    da diversi anni si attende il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e l'inserimento dell'endometriosi tra le malattie croniche ed invalidanti per avere il diritto all'esenzione dai ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'istituzione, fermo restando il rispetto dei parametri e dei vincoli di finanza pubblica concordati con l'Unione europea, di un fondo nazionale per l'endometriosi e di un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia;
   a concordare con le regioni le modalità di trasmissione periodica al registro nazionale dei dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio e ad attivare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia;
   a valutare l'opportunità, fermo restando il rispetto dei parametri e dei vincoli di finanza pubblica, di assumere iniziative per aggiornare le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni inserendo l'endometriosi tra le malattie invalidanti, nonché per prevedere il diritto all'esenzione da tutti ticket per le prestazioni di assistenza sanitaria;
   a tutelare le lavoratrici affette da endometriosi, per la salvaguardia del posto di lavoro.
(1-01238) «Palese, Fucci, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia ancora poco conosciuta, cronica e spesso invalidante, che colpisce le donne, e tipica dell'età fertile, ad insorgenza spesso precoce persino in età preadolescenziale. Non si conoscono ancora le cause di questa malattia. Si stanno conducendo ricerche, ci sono orientamenti, ma non è ancora conosciuta la causa scientifica della sua genesi;
    si tratta di una patologia complessa, di difficile approccio diagnostico e terapeutico, e che deve essere affrontata in modo multidisciplinare con il coinvolgimento di più figure specialistiche. Il trattamento deve essere individualizzato, prendendo in considerazione il problema clinico nella sua interezza;
    il principale sintomo dell'endometriosi è il dolore, che in alcuni casi può divenire cronico e invalidante, tanto da non permettere di svolgere le normali attività quotidiane. Spesso la dismenorrea (dolore durante la mestruazione) si associa a dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali) e a dischezia (dolore nell'evacuazione), rendendo la vita di relazione estremamente difficile, con importanti ricadute sociali per la minore produttività sul lavoro e per le frequenti assenze dovute alla malattia. Inoltre l'endometriosi è responsabile di almeno il 30 per cento dei casi di infertilità;
    nella valutazione della gravità della malattia si fa riferimento a varie classificazioni, che prendono in considerazione l'estensione e la profondità delle lesioni, il coinvolgimento ovarico, le aderenze eventualmente presenti, la presenza di lesioni «profonde», l'eventuale ripercussione sulla fertilità;
    secondo stime internazionali, questa patologia colpisce 150 milioni di donne nel mondo, e circa il 10 per cento della popolazione femminile in Europa. In Italia, nel 2004, una rilevazione del Census bureau (un'indagine statunitense) ha evidenziato che sono circa 3 milioni le donne affette da tale malattia;
    l'endometriosi viene considerata una malattia sociale dalla Written Declaration on Endometriosis (WDE), adottata con delibera n. 30/2004 e sottoscritta da 266 membri del Parlamento europeo il 19 aprile 2004. In questo documento è stato evidenziato il grandissimo impatto economico e sociale, con costi diretti e indiretti annui valutati attorno ai 30 miliardi di euro. La conoscenza della malattia è scarsissima, non solo tra le pazienti, ma anche tra i medici, con gravi ritardi nella diagnosi e nella scelta di una terapia appropriata;
    la WDE ha invitato dunque i Governi nazionali degli Stati membri dell'Unione europea ad affrontare i problemi legati a questa patologia, sollecitando, altresì, l'inserimento dell'endometriosi nei programmi di prevenzione per la salute pubblica, nonché l'istituzione di giornate annuali dell'endometriosi, al fine di migliorarne la conoscenza;
    chi soffre di endometriosi può non riuscire, a causa dei sintomi, a svolgere le normali attività quotidiane e a coltivare le proprie relazioni sociali;
    è inoltre una patologia che ha fortissime ripercussioni sulla vita personale e familiare della donna che ne soffre;
    lo studio europeo EAPPG (Endometriosis All Party Parlamentary Group) ha evidenziato come molte donne hanno dovuto adattare la propria vita lavorativa a questa malattia: almeno 5 giorni lavorativi al mese sono persi a causa dei vari sintomi dolorosi; il 14 per cento delle donne affette da endometriosi ha ridotto l'orario di lavoro; il 14 per cento ha abbandonato/perso l'attività lavorativa o richiesto il prepensionamento; il 40 per cento teme di parlare della propria malattia al datore di lavoro per paura delle conseguenze;
    i costi economici sostenuti da chi ne è affetto, e per il servizio sanitario nazionale per accertamenti diagnostici, terapie farmacologiche croniche (alcune non rimborsate dal servizio sanitario nazionale), ricoveri ospedalieri, trattamenti chirurgici, eccetera, sono alti;
    a carico di molte donne affette da questa patologia rimangono gli alti costi dei medicinali – molti non mutuabili – e delle visite mediche private, a cui sono troppo spesso «costrette» per superare le lunghe liste d'attesa;
    dal punto di vista strettamente sanitario, il dolore associato all'endometriosi è spesso sconosciuto, non compreso, non accettato nella sua durezza e, di conseguenza, la donna viene spesso lasciata troppo sola;
    come evidenziato dall'Indagine conoscitiva sul «fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale», svoltasi nella XIV legislatura al Senato, «il 58 per cento delle suddette pazienti ha ritenuto che fossero sintomi normali e la maggior parte non immaginava affatto potesse trattarsi di endometriosi; il 21 per cento dei medici consultati ha affermato che queste pazienti non erano affette da endometriosi: in questi casi è evidente che vi è stato un mancato riconoscimento. Inoltre, il 35 per cento delle pazienti non si è sentita presa seriamente in considerazione dal proprio medico ed il 38 per cento non ha trovato aiuto da parte del medico stesso»;
    il tempo medio per la diagnosi arriva anche a nove, dieci anni, in quanto occorrono circa quattro anni prima che la paziente consulti il medico e altri quattro anni per l'identificazione e la conferma della diagnosi, dopo una media di circa cinque medici consultati. La diagnosi certa arriva, pertanto, tardiva, a seguito di una ricerca diagnostica lunga e dispendiosa, subita dal corpo della donna spesso in modo invasivo;
    a sostegno del percorso diagnostico-assistenziale, è quindi indispensabile puntare sulla formazione e l'aggiornamento dei professionisti che sono a vario titolo coinvolti;
    nulla si sa delle nuove tabelle dell'invalidità civile che erano state predisposte da una commissione ministeriale nel novembre 2011, e che includevano l'endometriosi, e il cui iter si è interrotto per un parere negativo delle regioni a causa della loro inadeguatezza;
    attualmente per i casi più gravi di questa patologia l'invalidità riconosciuta non supera il 30 per cento, e non si possono chiedere i permessi retribuiti riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992. Alcune aziende sanitarie riconoscono – a discrezione del medico – una percentuale di invalidità registrandola come altra patologia,

impegna il Governo:

   a non ritardare ulteriormente l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, prevedendo, come più volte promesso, anche l'aggiornamento delle malattie croniche, ivi compresa l'endometriosi medio/grave;
   ad assumere iniziative per esentare conseguentemente l'endometriosi dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria ai sensi del decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
   ad assumere iniziative per includere l'endometriosi, nei suoi quattro stadi clinici, nelle nuove tabelle dell'invalidità civile da predisporre in accordo con le regioni modificando quelle predisposte dalla commissione ministeriale nel novembre 2011, al fine di aumentare l'invalidità riconosciuta per questa malattia e poter chiedere i permessi retribuiti riconosciuti dalla legge n. 104 del 1992;
   ad assumere opportune iniziative volte a garantire maggior tutela alle donne lavoratrici affette da detta patologia per la salvaguardia e la garanzia del posto di lavoro;
   ad assumere le iniziative di competenza per istituire il registro nazionale dell'endometriosi e opportuni registri regionali, per la raccolta, l'analisi e la condivisione dei dati clinici e sociali riferiti alla malattia, al fine di favorire e di stabilire strategie di intervento condivise sulla base dell'analisi dei dati specifici per ambito geografico, di verificarne l'efficacia, di monitorare l'andamento e la ricorrenza della malattia, nonché di rilevare le problematiche e le eventuali complicanze connesse;
   a garantire la massima condivisione, nel pieno rispetto della privacy, dei suddetti dati, anche attraverso la loro pubblicazione e la messa in rete sul web, che permetta di conoscere i dati epidemiologici, clinici e sociali;
   a includere l'endometriosi tra gli obiettivi prioritari della ricerca sanitaria, in modo particolare per quanto riguarda la genesi della malattia, la terapia specifica, il trattamento delle recidive, la prevenzione dell'infertilità, anche al fine di porre la donna al centro di un percorso il più veloce possibile per la diagnosi e la successiva cura;
   ad assumere iniziative per avviare efficaci campagne di formazione e informazione per i medici ginecologi, i medici e gli operatori dei presìdi consultoriali, e per i medici di medicina generale;
   ad assumere iniziative per attivare opportune reti di eccellenza impegnate nella formazione degli operatori sanitari e nella massima trasmissione del know how clinico-diagnostico e terapeutico;
   ad avviare quanto prima un processo che promuova la realizzazione di centri di riferimento e di eccellenza, per il primo approccio e quindi le prime diagnosi, per la cura in ambito nazionale della patologia;
   ad assumere iniziative per istituire la giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi, affinché le amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con le associazioni senza fini di lucro e con gli organismi operanti nel settore, possano predisporre iniziative volte a promuovere campagne di sensibilizzazione sulle caratteristiche, sulla sintomatologia e sulle pratiche di prevenzione dell'endometriosi.
(1-01239) «Nicchi, Gregori, Costantino, Duranti, Martelli, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Giancarlo Giordano, Melilla».


   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia cronica originata dalla presenza del tessuto che fisiologicamente riveste la parete interna dell'utero (endometrio) in altre sedi anomale, quali principalmente: ovaie, tube, utero, legamenti utero-sacrali, cavo del Douglas, vescica, retto, ureteri, reni, setto retto-vaginale, genitali esterni. Eccezionalmente, tale presenza anomala può trovarsi anche a livello di: ombelico, arti, polmoni e in qualunque organo del corpo;
    il tessuto cosiddetto ectopico (cioè «fuori posto») subisce le stesse sollecitazioni ormonali del tessuto eutopico (cioè del tessuto endometriale che normalmente riveste la cavità dell'utero) perciò ciclicamente prolifera, si sfalda e sanguina, mimando la mestruazione e provocando spesso in sede ovarica o comunque atipica lo sviluppo di cisti endometriosiche. Il tessuto di sfaldamento e la componente ematica relativa alle localizzazioni endometriosiche ectopiche non trova la fisiologica via d'uscita utero-vaginale all'esterno e perciò rischia di raggiungere sedi inappropriate, organizzandosi o causando reazioni infiammatorie e producendo aderenze tessutali cicatriziali che alterano la struttura e la dinamica degli organi su cui si formano, ostacolandone la funzionalità;
    si stima che nel mondo l'endometriosi colpisca una donna su dieci in età fertile, senza distinzione di paese o classe sociale e che coinvolga in assoluto almeno 150 milioni di donne (dati ONU), di cui circa 5,5 milioni nel Nord America e circa 14 nell'Unione europea (quasi il 10 per cento). (European Society of Human Reproduction and Embryology; Reproductive Science and the Journal of Endometriosis, 2014);
    nel nostro Paese, l'esatta incidenza e prevalenza dell'endometriosi non sono conosciute. Pertanto, in assenza di dati epidemiologici precisi e aggiornati che consentano di avere la dimensione nazionale del fenomeno, è possibile esclusivamente far riferimento ai dati numerici internazionali, che stimano intorno ai 3 milioni le donne italiane affette da endometriosi;
    l'età di insorgenza dell'endometriosi va dall'adolescenza alla menopausa (una volta instaurata, la malattia può continuare a manifestarsi anche dopo la menopausa e sono testimoniati anche casi di insorgenza prepubere), ma il picco di incidenza si colloca in età fertile, soprattutto tra i 25 e i 35 anni;
    la frequente sottovalutazione di questa patologia provoca spesso un ritardo della sua diagnosi, quantificato mediamente in 7 anni dalla comparsa dei primi sintomi (secondo dati americani, la metà delle donne debbono essere visitate in media da 5 ginecologi prima di ottenere una diagnosi di endometriosi);
    nel 20-25 per cento dei casi l'endometriosi è asintomatica. Per il restante 75-80 per cento i sintomi prevalenti sono: dolore pelvico cronico, dismenorrea, dispareunia, dolore alla defecazione e alla minzione in corrispondenza del ciclo, dolore nella regione lombare e/o lungo l'arto inferiore, cefalea, proctorragia, ematuria, diarrea e/o stitichezza, gonfiore addominale, affaticamento cronico, febbricola e spotting intermestruali;
    il percorso diagnostico si basa su svariati e numerosi accertamenti: la visita ginecologica (inclusa l'esplorazione rettale), l'ecografia pelvica transvaginale, la Tac, l'urografia, la cistoscopia, la rettocolonscopia e la ricerca di marcatori ematici. Tuttavia, la diagnosi certa si ottiene con l'analisi del tessuto prelevato in fase di intervento chirurgico, in genere effettuato con tecnica laparoscopica;
    l'eziopatogenesi dell'endometriosi non è ancora nota, dal momento che si tratta di una malattia multifattoriale, determinata sia da fattori genetici (soprattutto correlati al sistema immunitario) che ambientali. Le teorie patogenetiche sono comunque le più accreditate, in particolare la cosiddetta mestruazione retrograda (ad ogni ciclo mestruale, una parte del sangue e delle cellule in esso contenute raggiunge, attraverso le tube, la cavità peritoneale dove può proliferare, dando origine alle lesioni endometriosiche). In altre parole, è probabile che un ruolo importante lo giochi proprio il numero medio di cicli mestruali nella vita. Il numero di cicli è aumentato in maniera considerevole nelle donne occidentali e in particolar modo nelle italiane perché, procreano sempre di meno;
    il 30 per cento delle cause di infertilità in Italia è riconducibile all'endometriosi: una situazione che aggrava un dato già allarmante. Nel nostro Paese si registrano ogni anno 150 mila nascite in meno di quelle necessarie per mantenere la curva della previdenza sociale. Pertanto, il continuo aumento di questa complessa patologia, combinato con uno dei più bassi tassi di fecondità del mondo (1,39 figli per donna) e con un'età media al primo parto decisamente elevata (31,4 anni), può trasformarsi in un vero e proprio disastro demografico per il nostro Paese;
    attualmente, non esiste una cura definitiva per l'endometriosi che raramente diventa patologia talmente grave da comportare rischi per la vita della paziente. Le conseguenze più frequenti dell'endometriosi restano infatti il dolore ed eventualmente la sterilità. Per gli spasmi (che possono variare da lievi a estremamente intensi fino a diventare insopportabili), si prescrivono usualmente i FANS, ovvero i più comuni analgesici, ma molto spesso il dolore tende a diventare farmaco-resistente, nel qual caso la paziente deve ricorrere a terapie più impattanti. L'eventuale insorgenza del dolore neuropatico resistente, insieme alla capacità dell'endometriosi di localizzarsi a distanza (cioè di «metastatizzare») e alla possibilità di ripresentarsi dopo il trattamento terapeutico con recidive a livello locale e a distanza di tempo rappresentano alcune delle caratteristiche che l'endometriosi condivide con le neoplasie;
    le terapie per il trattamento dell'endometriosi sono in prima battuta di tipo ormonale. Si ricorse a composti estroprogestinici (pillola anticoncezionale) somministrati per lunghi periodi, ovvero a farmaci a contenuto solo progestinico che inducono uno stato di pseudogravidanza. Per terapie a più breve termine sono in uso analoghi degli ormoni ipotalamici che inducono uno stato di pseudo menopausa. Ciascuno dei suddetti trattamenti farmacologici ha significativi effetti collaterali e si rivela molto faticoso da sopportare e accettare per una giovane donna;
    le terapie chirurgiche sono soprattutto costituite dall'intervento laparoscopico che permette di asportare le formazioni endometriosiche. Questa tecnica è mediamente invasiva e permette, grazie a strumenti a fibre ottiche, di esplorare il quadro addominale e pelvico della paziente. Talvolta, la laparoscopia non è possibile e si opta per una laparotamia, assai più impattante chirurgicamente e psicologicamente;
    nonostante si cerchi di effettuare interventi conservativi degli organi genitali interni, nei casi più gravi si rischia di arrivare all'isterectomia e/o alla annessiectomia, molto spesso difficilmente accettabili per la giovane età delle pazienti. La disseminazione peritoneale delle localizzazioni ectopiche, talora comporta interventi di resezione intestinale o di asportazione di organi interni. Ciò avviene quando l'endometriosi ha già intaccato quegli organi, compromettendo in modo pesante la loro funzionalità e la qualità di vita della donne. Sfortunatamente, la malattia essendo cronica, tende facilmente a ripresentarsi dopo le terapie, rendendo necessari nuovi trattamenti;
    l'endometriosi è spesso invalidante e crea una condizione cronica che destabilizza profondamente la qualità di vita della donna che ne è colpita, con elevati costi sociali ed economici di sistema (il solo costo del ricorso alle cure è quantizzato in circa 500 euro al mese). Questo impatto non riguarda tuttavia solo la sfera fisica, emotiva e relazionale, ma ha anche significative ripercussioni indirette nell'ambito lavorativo, provocando frequenti assenze dal lavoro, l'arresto delle progressioni di carriera, la perdita o l'abbandono dell'impiego, ovvero assenteismo scolastico nel caso di adolescenti;
    alcune regioni italiane (Friuli Venezia Giulia e Puglia) hanno provveduto ad approvare proprie normative che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, hanno portato all'istituzione dell'osservatorio e del registro regionale;
    anche a livello nazionale, appare ormai inderogabile l'istituzione di tali due organismi (un Osservatorio nazionale sulla malattia e un registro nazionale dell'endometriosi) aventi il compito di diffondere la conoscenza di questa patologia, creare un sistema stabile e aggiornato di monitoraggio epidemiologico della stessa, promuoverne la diagnosi precoce, organizzare strategie appropriate di gestione dei costi sanitari e sociali e minimizzare gli sprechi. Soltanto la diagnosi precoce della malattia nelle prime fasi di insorgenza significherebbe infatti ridurre di 25 volte la spesa sanitaria e previdenziale;
    le ricadute sociali ed economiche dell'endometriosi sul servizio sanitario nazionale e la moral suasion delle società scientifiche e delle associazioni di pazienti spiegano l'attenzione che il Parlamento ha sempre dimostrato verso le problematiche connesse a questo tipo di affezione. Solo negli ultimi due anni sono state presentate in merito otto iniziative legislative e tredici atti di sindacato ispettivo. Durante la XIV legislatura, la commissione igiene e sanità del Senato ha svolto un'indagine conoscitiva (il «fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale», documento conclusivo del 24 gennaio 2006 di cui al doc. XVII, n. 24) mirata a fotografare la situazione italiana con l'obiettivo di quantificarne l'impatto economico, di individuare i percorsi di diagnosi e di cura che ruotino intorno alla donna (e non solo alla patologia), fornendo elementi di conoscenza e di orientamento per l'adozione di politiche pubbliche alla luce delle linee guida europee e mondiali;
    l'interesse del Senato ad affrontare un'indagine conoscitiva è in parte conseguente all'iniziativa del Parlamento europeo (delibera, 30/2004), denominata «Written Declaration on Endometriosis» e sottoscritta da 266 parlamentari europei. Tale documento richiamava l'attenzione sull'incidenza di questa affezione in Europa (una donna su dieci), sull'onere annuale dei congedi malattia ad essa connessi (circa 39 miliardi di euro) ed invitava la Commissione europea ad inserire la prevenzione dell'endometriosi nei futuri programmi comunitari per la salute pubblica con lo scopo di favorirne la ricerca delle cause, la prevenzione e il trattamento, nonché di promuovere una maggiore consapevolezza sulla gravità del problema, anche attraverso l'istituzione di giornate annuali dedicate;
    nell'ambito dell'alleanza terapeutica, il ruolo delle associazioni delle pazienti riveste un ruolo centrale. A livello mondiale, il punto di riferimento è l'American Endometriosis Association – EA, un'organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 1980 che raccoglie 60 paesi; a livello europeo, il punto di riferimento è l’European Endometriosis Alliance – EEA una coalizione fondata nel 2004 che raccoglie le associazioni nazionali di donne affette da endometriosi di 11 paesi, tra cui l'Italia: Nell'ambito di questi circuiti internazionali, agiscono l'Associazione italiana endometriosi onlus – AIE e l'Associazione progetto endometriosi onlus – APE (www.endoassoc.it e www.apeonlus.it), le cui mission sono: dare sostegno alle donne, costruire networking, sensibilizzare gli stake holder coinvolti e promuovere la ricerca scientifica;
    grazie alla EEA e al Written Declaration on Endometriosis, dal 2005 si celebra ogni anno la «awareness week», la settimana europea della consapevolezza dell'endometriosi (l'11o edizione si è tenuta dal 7 al 13 marzo 2016) che prevede incontri aperti, convegni e feste di sostegno al lavoro volontario delle associazioni. La awareness week coincide con la giornata mondiale della endometriosi che cade ogni anno il 16 marzo, in occasione della quale in 50 città, da San Francisco a Londra, si organizza la Worldwide Endomarch. (www.endomarch.org);
    in concomitanza dell'ultima giornata mondiale della endometriosi, il Ministro della salute Lorenzin ha dichiarato che, a seguito della conclusione dell’iter di aggiornamento dei nuovi lea, l'endometriosi sarebbe rientrata nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione e che una specifica attenzione particolare alla patologia sarebbe stata dedicata anche nell'ambito del Piano nazionale per la fertilità,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per inserire l'endometriosi nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria (ambulatoriali e specialistiche, per l'acquisto di farmaci e di diagnostica) a mezzo dell'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 226 del 25 settembre 1999;
   ad assumere iniziative per apportare le necessarie modifiche al decreto del Ministro della salute 12 settembre 2006, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2006 per l'introduzione di tariffe differenziate relative alle prestazioni sanitarie per il trattamento e la cura dell'endometriosi, nell'ambito del sistema di classificazione Diagnosis related group (DRG), tenendo conto della tipologia e dell'intervento effettuato;
   ad assumere iniziative per istituire presso l'Istituto superiore di sanità, il registro nazionale dell'endometriosi e i relativi registri regionali, con le seguenti finalità:
    a) permettere la raccolta e lo scambio di dati specifici e aggiornati in materia di endometriosi che, conseguentemente, siano alla base delle strategie condivise di intervento sulla patologia, per ambito geografico;
    b) monitorare l'andamento del fenomeno, rilevare le problematiche ad esso connesse e le eventuali complicanze, allo scopo di conoscerne l'esatta incidenza e prevalenza, anche su base regionale;
    c) sviluppare le necessarie analisi epidemiologiche, cliniche e sociali in grado di migliorare la conoscenza della malattia, gli standard assistenziali e gli aspetti chirurgici, nonché i risvolti psicologici e sociali che essa inevitabilmente comporta;
    d) consentire una migliore razionalizzazione delle risorse umane ed economiche con effetti positivi sulla diagnosi precoce, sul trattamento più adeguato e sulla qualità di vita delle pazienti affette;
   ad adottare iniziative per potenziare la risposta alla patologia, favorendo lo sviluppo e il radicamento di strutture aziendali e regionali di riferimento, correlate tra loro, che contribuiscano alla crescita dell'appropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici, in particolare abbreviando i tempi di diagnosi;
   a promuovere adeguate campagne di sensibilizzazione del personale sanitario che consentano di migliorare la capacità di rapida individuazione delle pazienti a rischio in modo che vengano indirizzate ai centri regionali di riferimento e – nei casi più complessi – alle strutture hub della rete nazionale di riferimento, che devono garantire una presa in carico raffinata, capace di limitare al minimo le sequele invalidanti per le pazienti, riducendo il rischio di complicanze gravi e di recidive;
   a verificare la possibilità di costruire un'adeguata azione di supporto psicologico per le donne affette dalle forme più gravi di endometriosi che aiuti nella gestione delle possibili complicanze e, in particolare, supporti le pazienti per tutte le problematiche connesse alla riduzione della fertilità;
   ad affiancare le associazioni delle pazienti, valorizzandone la capacità di intermediazione e le attività di supporto alla conoscenza e alla diffusione delle informazioni e sostenendole in tutte le azioni di sostegno psicologico e materiale diretto e indiretto nei confronti delle donne e delle loro famiglie;
   ad istituire presso il Ministero della salute una commissione di esperti nel settore dell'endometriosi, ai cui lavori partecipino anche le associazioni delle pazienti, alla quale sia attribuito il compito di predisporre apposite linee guida per la buona pratica della cura e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti e dei medici, nonché il compito di individuate azioni e iniziative per la prevenzione;
   a presentare ogni anno alle Commissioni parlamentari competenti una relazione di aggiornamento sullo stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni scientifiche in tema di endometriosi, con particolare riferimento al registro nazionale di monitoraggio e alla spesa sanitaria e farmacologica.
(1-01240) «Vargiu, Monchiero, Vezzali, Capua, Molea, Matarrese, Vecchio, Librandi, Galgano, Dambruoso».


   La Camera,
   premesso che:
    la disoccupazione in età matura colpisce moltissimi nuclei familiari producendo devastanti effetti personali, in quanto essa sovente interessa persone coniugate con prole (almeno l'80 per cento). Pertanto le conseguenze di disoccupazione, si riflettono negativamente su tutto il nucleo familiare e quindi su almeno il triplo delle persone disoccupate;
    il fenomeno della disoccupazione e della diffusa precarietà dei lavoratori, anche in età matura, affonda le radici nel radicale mutamento delle politiche occupazionali intervenuto in Italia negli ultimi anni; prima con l'approvazione del «pacchetto Treu», poi con la legge n. 30, sono state precostituite le condizioni per lo sviluppo di un mercato del lavoro caratterizzato da precarietà diffusa. È questo uno dei primi fattori di responsabilità che vanno oggi richiamati; la possibilità di «reclutare» lavoratori, diplomati o laureati, di ingaggiarli con forme contrattuali capestro unita all'opportunità di liberarsene in qualsiasi momento, tutti fattori che hanno contribuito tra gli altri, ad acuire le difficoltà di mantenimento e/o inserimento lavorativo per i lavoratori cosiddetti «maturi», i quali spesso provenivano da situazioni più garantite che si è cercato di soppiantare per far spazio alla diffusa precarietà;
    la condizione di precarietà si è dunque estesa in modo non marginale anche ai lavoratori «maturi» che si sono trovati ad accettare essi stessi condizioni di lavoro diverse dal passato o talora si sono visti addirittura espellere dal mondo del lavoro;
    è peraltro sufficiente analizzare la miriade di interventi autorizzati dai vari Governi su richiesta di medie e grandi imprese che invocano un sostegno per le proprie esigenze di ristrutturazione pena il licenziamento di consistenti gruppi di lavoratori. Questa semplice analisi permette di scoprire che nella stragrande maggioranza dei casi molti lavoratori inseriti nelle liste di mobilità, nei provvedimenti di cassa integrazione e, per ovvi motivi, di prepensionamento, appartengono a fasce di età medio-alta con evidenti difficoltà di ricollocamento e con situazioni personali individuali appesantite dalle responsabilità familiari proprie di quella stesse fasce di età;
    allo scenario fin qui descritto manca il tassello della miriade di «riforme» previdenziali che, a partire dalla metà degli anni ’90 sono state varate, tutte nel segno del peggioramento dei requisiti temporali per l'accesso alla pensione nonché del valore finale della rendita delle pensioni stesse. Riforme che proprio nella fase di crescita del fenomeno dell'espulsione dal ciclo produttivo dei lavoratori «over» hanno totalmente e consapevolmente ignorato le conseguenze devastanti per quei lavoratori che, a pochi anni dal traguardo, perdevano il lavoro e contestualmente, si vedevano prorogare nel tempo il requisito anagrafico e/o contributivo per accedere a quella pensione che avrebbe potuto rappresentare l'unica possibile fonte di reddito;
    come altresì sostenuto da più parti, non va altresì trascurato il disagio psicologico provocato dalla disoccupazione in età adulta. Essa crea una ferita all'identità della persona e appunto disagio sociale. La perdita del lavoro, anche se conseguenza di una crisi aziendale e non dovuta a incapacità della persona, provoca un crollo fortissimo di autostima che porta le persone a nascondere anche a lungo la condizione di disoccupato;
    dal punto di vista delle possibilità di ricollocazione nessuno può ignorare il fatto che è sufficiente scorrere gli annunci di lavoro o visitare una agenzia per il lavoro per rendersi conto delle enormi difficoltà di reinserimento nel ciclo produttivo dopo una certa età;
    tuttavia, porre l'accento sulla questione dei lavoratori cosiddetti «over» non significa disconoscere l'esistenza di specificità proprie di questa o quella categoria sociale, ma, richiama la necessità di affrontare il tema dei diritti, della riforma del sistema del welfare, della previdenza, e altro, con una attenzione rivolta a tutto il mondo del lavoro, perché introducendo nuove forme di tutela esclusive per questa o quella categoria l'unico risultato possibile è quello di accentuare discriminazioni che già dilagano nel nostro Paese;
    occorre riproporre obiettivi comuni a tutto il mondo del lavoro subordinato, come a quello oggi da considerarsi, in molti casi, fittiziamente, «autonomo»;
    occorre una decisa inversione di tendenza, una riforma del welfare che punti sull'introduzione di una forma universale di sostegno al reddito, che si ponga in discontinuità con i tradizionali ammortizzatori sociali oramai sempre più inadatti a turare le falle di un sistema che non tutela;
    oggi una grande massa di disoccupati appartiene anche alla fascia dei ceti medi, del lavoro intellettuale impiegatizio, dei professionisti, dei quadri e dei dirigenti. Il rapporto con queste nuove categorie che sono andate ad ingrossare la fascia dell'esclusione sociale richiede la presenza di operatori pubblici con elevata qualifica professionale, azioni sul territorio al fine di intercettare le reali esigenze in un Paese che deve fare i conti con un sistema basato fondamentalmente sulla piccola impresa e, infine, di investimenti mirati allo sviluppo di un forte rapporto di collaborazione con le imprese stesse;
    intorno al blocco decrescente dei lavoratori stabili e garantiti che in Italia sono rappresentati da un nucleo sempre più basso di unità rispetto all'intera forza lavoro, vi è una massa crescente di lavoratori, appunto anche adulti, capaci di produrre ricchezza e tuttavia esclusi dal mondo produttivo. È necessario porre in essere ogni iniziativa utile a favorire la valorizzazione di queste risorse ai fini del loro reinserimento oltre che intervenire in modo incisivo per sostenerne il reddito;
    infine, in un'ottica di medio-lungo periodo, è evidente che ampie schiere di lavoratori oggi attivi, che oggi non contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico perché non occupati, si avvicineranno all'età di pensionamento, peraltro con ampi «vuoti» contributivi. Ciò impone di affrontare il problema anche nell'ottica della salvaguardia dei lavoratori o disoccupati in età matura che potrebbero moltiplicarsi nei prossimi anni adottando misure volta a prevenire l'aggravarsi del fenomeno,

impegna il Governo:

    a incentivare l'occupazione di questa categoria di lavoratori e comunque, in un più ampio quadro di tutela, ad assumere iniziative per introdurre una forma universale di sostegno che ne garantisca il reddito;
    ad assumere iniziative al fine di promuovere l'uso di strumenti quali il part-time, lo «smart working», il «job sharing», l’«home working» e, comunque, a promuovere l'evoluzione di modelli organizzativi del lavoro funzionali al miglioramento delle condizioni sociali, di vita, occupazionali e previdenziali dei lavoratori con conseguente relativo beneficio anche per i lavoratori in età matura;
    a promuovere, anche attraverso misure di favore fiscale e di più agevole accesso al microcredito, iniziative dei lavoratori in età matura volte ad avviare l'impresa o a salvaguardare la sopravvivenza dell'impresa, ove i medesimi siano stati in precedenza occupati;
    a porre in essere ogni iniziativa utile a favorire le realtà organizzative che, in un contesto sociale ed economico in piena difficoltà, pongano come proprio scopo sociale la salvaguardia dei diritti e la tutela del reddito di lavoratori in età matura espulsi dai processi produttivi;
    a porre in essere concrete iniziative – posto che in un'ottica di medio-lungo periodo ampie schiere di lavoratori oggi attivi non contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico, perché non continuativamente occupati – finalizzate ad arginare il moltiplicarsi del numero di persone che potrebbero trovarsi senza lavoro e senza pensione;
    a porre in essere iniziative volte a rinsaldare il patto tra le generazioni attraverso l'adozione di misure che tengano conto degli orizzonti futuri della previdenza nel nostro Paese.
(1-01241) «Tripiedi, Ciprini, Cominardi, Dall'Osso, Lombardi, Chimienti, D'Incà».


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma delle pensioni Monti-Fornero, che ha innalzato repentinamente l'età pensionabile senza alcuna previsione di gradualità, ha creato diverse nuove emergenze sociali, tra le quali quella dei cosiddetti «lavoratori maturi»;
    in tale ambito si ricomprendono i lavoratori troppo giovani per andare in pensione e troppo anziani per trovare facile ricollocazione lavorativa una volta espulsi dal ciclo produttivo, finendo con il diventare soggetti a rischio di esclusione sociale;
    la perdita di occupazione e la difficoltà ovvero impossibilità di trovarne un altro rischiano, appunto, di gettare in condizioni di povertà i lavoratori maturi e le relative famiglie, accrescendo il fenomeno della marginalità sociale;
    l'occupazione, infatti, non rappresenta solo una fonte di reddito, ma conferisce anche uno status ed un ruolo nella società, una partecipazione attiva alla comunità; la sua perdita, specie se d'improvviso e per motivi non imputabili al lavoratore, crea nel medesimo un senso di vuoto ed inutilità che talvolta porta a patologie silenziose ma drammatiche o addirittura a gesti estremi;
    tutte le misure messe in campo negli ultimi Governi a maggioranza di Centro-sinistra, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, hanno acuito il conflitto generazionale: dalla «riforma Fornero» che ha bloccato il ricambio nel mercato del lavoro, impedendone l'ingresso ai giovani e non salvaguardando i disoccupati maturi, al recente jobs act, proiettato quasi esclusivamente verso la riduzione del tasso di disoccupazione giovanile;
    giovani e anziani, invero, sono portatori di capitale umano qualitativamente diverso – approccio innovativo dei primi, esperienza e pratica dei secondi – la cui combinazione per un datore di lavoro non può che essere proficua;
    quali recenti misure di sostegno alla ricollocazione lavorativa degli ultracinquantenni, si ricordano la riduzione del costo dei contributi pari alla metà del dovuto sulle assunzioni con contratto a tempo determinato di lavoratori disoccupati con più di 50 anni e la deroga al requisito anagrafico per il ricorso al contratto di apprendistato: due interventi estemporanei e limitati nel tempo e, come tali, non risolutivi del problema, ma destinati a riproporlo in maniera più accentuata al termine degli sgravi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rimuovere i fattori di ostacolo alla ripresa della domanda interna, come gli elevati livelli di tassazione sui redditi e sui consumi, al fine di garantire maggiore inclusione nel mercato del lavoro del lavoratori maturi;
   a definire celermente programmi di old guarantee e/o old employment, volti ad accrescere l'occupabilità dei lavoratori maturi espulsi dal ciclo produttivo;
   ad assumere iniziative volte a reperire le occorrenti risorse finanziarie per rendere strutturali le misure di decontribuzione in favore dei lavoratori disoccupati ultra 50enni nonché per introdurre forme flessibili di accesso alla pensione, al fine di garantire loro una copertura reddituale e contenere il rischio di creare una nuova categoria di poveri ed emarginati.
(1-01242) «Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


  La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia cronica uterina che colpisce circa tre milioni di donne italiane: le colpisce nel fisico – si impianta al di fuori dell'utero, viene stimolata dal ciclo mestruale ed è associata a forti dolori invalidanti, causa spesso l'infertilità e può compromettere una normale vita sessuale – e le emargina sul lavoro, determinando spesso spietate espulsioni dal ciclo produttivo;
    in mancanza di registri nazionali, i dati epidemiologici più attendibili sono quelli che sono stati utilizzati dal Senato della Repubblica Italiana per la predisposizione dell'indagine conoscitiva approvata dalla 12a Commissione permanente igiene e sanità nella seduta del 18 gennaio 2006: in quel documento si riportano dati Onu che stimano che le donne colpite da endometriosi in Europa siano 14 milioni, 5,5 milioni nel Nord America e 150 milioni nel mondo;
    l'esatta prevalenza (stima della popolazione di donne sottoposte a management per endometriosi in un dato tempo) e l'incidenza (numero di nuovi casi diagnosticati in un anno) dell'endometriosi non sono conosciute. Pertanto, in assenza di precisi dati numerici nazionali sull'entità del fenomeno, è possibile far riferimento a quelli internazionali, che mostrano una prevalenza della malattia pari a circa il 10 per cento nella popolazione generale femminile in Europa. In Italia, nel 2004, una rilevazione del Census Bureau ha evidenziato una prevalenza di 2.902.873 su una popolazione stimata di 58.057.477;
    sin dal 19 aprile 2004, duecentosessantasei membri del Parlamento europeo (con delibera 30/2004) avevano fumato la Written Declaration on Endometriosis nella quale veniva segnalata la scarsa conoscenza della malattia, sia tra i medici sia nella popolazione. Nel documento, inoltre (che stimava in 39 miliardi di euro l'onere annuale dei congedi in malattia causati da questa patologia all'interno dell'Unione europea) si invitavano i Governi nazionali degli Stati membri e la Commissione europea ad adoperarsi per l'istituzione di giornate annuali sull'endometriosi nell'intento di accrescere l'informazione sulla malattia. La Commissione europea veniva sollecitata, infine, a inserire la prevenzione del endometriosi nei futuri programmi europei per la salute pubblica ed a favorire la ricerca sulle cause, la prevenzione e il trattamento della patologia;
    pur essendo tendenzialmente benigna, l'endometriosi agisce in modo progressivo ed è di difficile individuazione, motivo per il quale si calcola che sia diagnosticata in media nove anni dopo il suo emergere, quando circa il 75-80 per cento delle donne da essa colpite sono ormai soggette ai numerosi sintomi citati: forte dolore, infertilità, stanchezza;
    il fatto che l'endometriosi emerga con tanta lentezza e con sintomi non immediatamente percepibili da parte delle donne colpite fa sì che molte malate non si sottopongono alle visite mediche presso le strutture pubbliche, per le quali – non essendo la malattia (che oltretutto è cronica e quindi necessita di continua assistenza medica senza soluzione di continuità) esentata dal ticket in base al regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 329 del 1999 – risulta necessario partecipare al costo della prestazione effettuata dal Servizio sanitario nazionale;
    alla luce di tale contesto, è necessario non solo accendere i riflettori sulla malattia e sul disagio vissuto dalle donne, per sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni, ma è fondamentale promuovere altresì una vera cultura della prevenzione, anche sostenendo la ricerca con finanziamenti ad hoc. In questo modo, si potrà mettere in atto un'adeguata prevenzione e si potranno individuare nuovi test di diagnostica precoce;
    nel 2009, l'allora Ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna, si fece promotrice di un protocollo d'intesa sottoscritto assieme ad Inps, Inail, Istituto per gli affari sociali e Fondazione italiana endometriosi: il protocollo intendeva mettere in campo una sinergia istituzionale di alto profilo per sostenere tutte le azioni necessarie ad aiutare le donne che soffrono di endometriosi, con pesanti risvolti sulla vita privata, lavorativa e sociale; tra gli obiettivi del protocollo vi erano quelli di implementare il sistema di informazione e prevenzione della malattia, stimolare l'interesse per la ricerca scientifica e porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro;
    la validità del suddetto protocollo (siglato il 22 luglio 2009) è scaduta nel luglio 2014; sul mancato rinnovo dello stesso, pesa anche l'assenza, nella compagine di Governo, di un Ministro per le pari opportunità, particolarmente attento a questo tipo di tematiche;
    nel 2012 il Friuli Venezia Giulia ha adottato una legge specifica che tutela le donne affette da endometriosi (legge regionale n. 18 del 2012); nel 2014, le misure sono state approvate dalla regione Puglia e dalla Sardegna (legge regionale Sardegna n. 26 del 2014, legge regionale Puglia n. 40 del 2014); nel 2015, anche la regione Molise ha stabilito norme specifiche sul tema, con la legge regionale n. 1 del 2015;
    è necessario sostenere la straordinaria rilevanza nazionale della questione, e misure per affrontare l'endometriosi quale patologia invalidante, che tocca da vicino, e con conseguenze importanti, le donne,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta alla tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dall'inserimento della malattia nell'elenco delle patologie per le quali si ha diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria tramite l'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
   ad adottare specifiche iniziative per sostenere le donne affette da endometriosi, anche finalizzate alla riduzione dei costi che le pazienti affrontano, con misure volte all'esenzione dalla partecipazione al costo per prestazioni di diagnostica, ambulatoriali e specialistiche correlate all'endometriosi, nonché per l'acquisto di farmaci;
   a favorire opportune campagne di sensibilizzazione, che puntano a diffondere una presa di coscienza dei problemi che l'endometriosi comporta nella vita delle donne, anche attraverso specifiche campagne di informazione indirizzate alla classe medica e alla popolazione potenzialmente a rischio;
   a promuovere, con ogni iniziativa di competenza, la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, con specifiche iniziative di supporto alla ricerca scientifica, con l'obiettivo di individuare nuovi test diagnostici e cure farmacologiche efficaci, che permettano di ridurre la sofferenza delle pazienti e i costi della malattia, anche coordinando ricerche e statistiche sulla fenomenologia e ricerche epidemiologiche sulle cause dell'endometriosi;
   ad assumere iniziative per favorire un percorso di assistenza alle donne affette da endometriosi, stimolando con opportune azioni una migliore gestione del problema soprattutto nei luoghi di lavoro, a piena garanzia del diritto alla salute delle donne e a tutela del posto di lavoro;
   a monitorare quantitativamente e qualitativamente i casi di endometriosi tramite l'istituzione di un apposito registro nazionale per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali riferiti all'endometriosi.
(1-01243) «Milanato, Occhiuto, Prestigiacomo, Bergamini, Calabria, Centemero, De Girolamo, Giammanco, Nizzi, Polidori, Polverini, Elvira Savino, Sandra Savino».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi due decenni, le modifiche della struttura demografica della popolazione e la dinamica di crescita della spesa previdenziale hanno posto in primo piano la problematica del riequilibrio del sistema pensionistico e dell'innalzamento dell'età pensionabile. Infatti, si è assistito in Europa ad una divaricazione crescente tra l'evoluzione demografica, (caratterizzata dall'aumento delle speranze di vita) e la riduzione effettiva del pensionamento. Questa divaricazione ha costituito, anche nel nostro Paese, una delle cause principali alla base dei problemi del sistema pensionistico. Pertanto, anche l'Italia, in materia, ha adottato una legislazione considerata a livello europeo come una buona riforma;
    la grave crisi economica-sociale, che ha interessato il nostro Paese a partire dal 2008, ha colpito pesantemente la base produttiva ed occupazionale delle imprese, imponendo onerose ristrutturazioni aziendali ed aprendo nuovi e più immediati fronti di emergenza sociale;
    interessati a questi cambiamenti sono stati soprattutto i lavoratori anziani, cioè i lavoratori che, affrontando già le maggiori difficoltà di ricollocazione, hanno visto negli ultimi anni allontanarsi l'età della pensione, per effetto delle modifiche alla disciplina del settore;
    ciò ha anche aumentato la spesa per gli ammortizzatori sociali non consentendo, al contempo, la tutela del reddito per i lavoratori anziani;
    occorre altresì evidenziare che, per quanto concerne le politiche di invecchiamento attivo nel nostro Paese a partire dagli anni ’90, il rapporto tra invecchiamento e lavoro ha iniziato a configurarsi come uno specifico e significativo problema, bisognoso di interventi che andassero oltre la rimodulazione dell'età pensionabile;
    i cambiamenti dovuti all'affermarsi del processo di globalizzazione hanno comportato un rapido «svecchiamento» degli organici per fare posto a lavoratori più giovani che meglio si adattano all'evoluzione del mondo del lavoro e che sono più disposti ad accettare le nuove regole del mercato globalizzato;
    la disoccupazione dei lavoratori anziani è un fenomeno preoccupante non solo riconducibile a motivazioni legate al costo del lavoro o alla flessibilità. Uno dei fattori preponderanti di questa situazione deve essere ricercato anche nella diversa organizzazione delle attività produttive, indotta da un crescente livello di automazione che porta a sminuire il valore delle esperienze lavorative;
    secondo il rapporto Osce del maggio 2015, dal 2007 al 2013, la quota di disoccupati di lunga durata è salita nel nostro Paese dal 45 per cento al 60 per cento: fenomeno che ha investito soprattutto i lavoratori anziani;
    lavoratori che, peraltro, costituiscono una parte fondamentale della forza lavoro nelle società moderne, possedendo notevoli capacità e competenze diverse rispetto alle altre generazioni. Senza la loro partecipazione al mondo del lavoro si rischiano carenze in materia di capacità professionali e di know how e il trasferimento delle conoscenze alle nuove generazioni, che risulta essere fondamentale per tutti i settori produttivi;
    occorre, quindi, affrontare la particolare situazione dei lavoratori anziani (ovvero di quelli rimasti privi di occupazione prima della maturazione dei requisiti di accesso al pensionamento) che non dispongono di alcun tipo di tutela sia dal punto di vista previdenziale, che sotto forma di specifico ammortizzatore sociale riservato a questa particolare tipologia di soggetti. In tale caso, potrebbe risultare utile intervenire attraverso gli incentivi alla loro ricollocazione, riqualificazione e formazione professionale permanente;
    il Governo, con la legge di stabilità per il 2016, ha previsto una misura, quella del part-time agevolato, che rappresenta il primo tentativo di dare una risposta a quel fenomeno sociale definito come «invecchiamento attivo». La norma riguarda i lavoratori del settore privato a cui mancano tre anni al pensionamento di vecchiaia: all'azienda ed al lavoratore viene offerta un'opportunità, quella della riduzione del 50 per cento del tempo di lavoro;
    con questa misura il lavoratore avrà un orario dimezzato, un salario pari al 65 per cento di quello precedente e, dopo tre anni, una pensione pari al 100 per cento di quella che avrebbe dovuto percepire;
    lo Stato garantisce i contributi figurativi e l'azienda versa la sua quota di contributi nella busta paga del lavoratore;
    la soluzione del problema richiede comunque equilibrio e razionalità (specie alla luce delle difficoltà economiche con le quali il Paese si sta confrontando); sicché, non è immaginabile affrontare il problema attraverso un generico ed insostenibile pensionamento anticipato per tutti. Si ribadisce che, al contrario, risulta necessario attivare politiche di sostegno anche fiscali, innanzitutto per le imprese che desiderino assumere gli stessi lavoratori «maturi», attraverso la concessione di benefici economici alle imprese ed aiuti finalizzati a promuovere una continua formazione professionale per assicurare una maggiore facilità di ricollocazione nel mondo del lavoro,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per ampliare la sfera dei soggetti interessati al part-time agevolato, estendendolo anche al settore del pubblico impiego;
   ad approntare soluzioni adeguate che tengano conto della necessità di non creare nuovi squilibri del nostro sistema previdenziale, evitando di ricorrere ad insostenibili misure come quella del pensionamento anticipato per tutti ma adottando iniziative per introdurre, ad esempio, misure fiscali a favore dei datori di lavoro dirette ad incentivare l'assunzione dei lavoratori «maturi»;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per attivare misure di sostegno alla promozione del lavoro autonomo per i cosiddetti lavoratori «maturi», attraverso un programma che preveda benefici economici e riduzione degli oneri burocratici per l'avvio di imprese da parte degli stessi, nonché aiuti per promuovere una continua formazione professionale.
(1-01244) «Pizzolante, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    come è noto, gli Stati europei stanno attraversando un periodo di transizione demografica che pone al centro il rapido e progressivo invecchiamento della popolazione e, di conseguenza, la necessità di promuovere iniziative a favore della qualità della vita e del benessere delle persone più mature per garantire un invecchiamento attivo della forza lavoro. In Italia, se nel 2013 si contavano 17 milioni di individui over 50, si prevede che nel 2033 saranno 22,5 milioni;
    da diversi anni, il tema dell'occupazione dei cosiddetti older workers (lavoratori maturi) è all'attenzione delle politiche di programmazione europee e nazionali, ed è sempre più attuale il dibattito in merito ai criteri da utilizzare per poter definire un lavoratore «maturo»;
    le ricerche inerenti la partecipazione al mondo del lavoro specificano come il range più utilizzato sia quello di un'età compresa tra i 50 e 55 anni in quanto si tende a identificare il lavoratore maturo come colui per il quale la percentuale di partecipazione al mercato del lavoro diventa sempre più bassa; un lavoratore destinato a fuoriuscire, nel breve termine, dal mondo del lavoro e sul quale non vengono effettuati investimenti a lungo termine;
    se infatti, per oltre un secolo il sistema di tutele sociali ritagliate sui rischi prevedibili delle singole fasi del corso di vita (gioventù, maturità, vecchiaia) aveva svolto efficacemente il suo ruolo protettivo, nella situazione attuale, caratterizzata da condizioni di minore stabilità e da ingressi più tardivi nell'occupazione regolare, la questione è divenuta quella di trovare nuove combinazioni fra flessibilità e sicurezza che consentano alle imprese di valorizzare le risorse possedute, coniugando le proprie esigenze di sviluppo con le esigenze individuali di protezione e di promozione sociale dei lavoratori che in esse operano;
    la crescita della disoccupazione nelle fasce più adulte della popolazione è un fenomeno che si è diffuso anche a livello nazionale negli ultimi anni, esito di una crisi che, in assenza di processi di riconversione, all'interno dei settori in difficoltà, ha generato l'espulsione dal mercato del lavoro di un'ampia fascia di lavoratori cosiddetti «maturi», i quali trovano oggi grande difficoltà di reinserimento;
    si tratta generalmente di lavoratori che, in possesso di esperienze di lavoro polivalenti, maturate nel contesto di imprese medio-piccole o artigiane, sono arrivati alla soglia dei 50 anni di età senza contratti di lavoro regolarizzati, oppure non sono mai entrati nel mercato del lavoro, oppure di persone la cui domanda di servizio si attiva in rapporto ad eventi di perdita del lavoro connessi a crisi aziendali o di settore che interessano anche fasce di professionalità con responsabilità gestionali o dirigenziali, ed il cui sviluppo è strettamente connesso con le caratteristiche del mercato del lavoro locale, nonché alla capacità di gestione del sistema degli ammortizzatori sociali; lavoratori inattivi per i quali l'ingresso nel mercato del lavoro si è spostato in avanti, e anche la data d'uscita lo ha fatto. Effetti che risultano dilatati dall'innalzamento dell'età pensionabile previsto dagli interventi legislativi degli ultimi anni;
    l'allungamento della vita media ed i continui cambiamenti legislativi inerenti l'età pensionabile hanno reso sempre più centrale il tema dell'invecchiamento della popolazione al lavoro: un aspetto dei tempi moderni da affrontare inevitabilmente; i prossimi decenni saranno caratterizzati dall'invecchiamento della popolazione, che porrà una delle sfide globali più complesse dal punto di vista sociale, economico e culturale;
    i dati Istat dimostrano che dal 2005 al 2015 il tasso di disoccupazione delle persone fra i 55 e i 64 anni (pari a 5,5 per cento a livello nazionale nel 2015) è aumentato in tutte le ripartizioni: nel 2015 ha raggiunto il 7,7 per cento nel Mezzogiorno, il 4,8 per cento al centro e il 4,5 per cento al nord, con un gap di genere sfavorevole agli uomini, che soffrono più delle donne la difficoltà di permanenza o di reinserimento nel mercato del lavoro. Fra gli uomini, il tasso di disoccupazione raggiunge infatti l'8,9 per cento nel Mezzogiorno (5,4 per cento fra le donne), il 5,7 per cento al centro (3,7 per cento fra le donne) e il 4,9 per cento al nord (3,9 per cento fra le donne);
    il tasso di inattività nella classe di età 55-64 anni, seppure in costante calo nell'ultimo decennio, conferma la bassa partecipazione al mercato del lavoro di questa fascia di popolazione, presentando un accentuato gap di genere a sfavore delle donne in tutte ripartizioni geografiche. A livello Italia, nel 2015, il tasso di inattività registrato è del 48,9 per cento, a sintesi del 36,7 per cento degli uomini e del 60,4 per cento delle donne. A livello territoriale, il centro è l'area con i tassi più contenuti, sia per le donne (52,4 per cento) che per gli uomini (31,8 per cento), il nord si attesta su un valore intermedio (il 37,0 per cento per gli uomini e il 57,4 per cento per le donne), mentre il Mezzogiorno è quella con i valori più elevati (il 39,1 per cento per gli uomini e il 69,0 per cento fra le donne) e il divario più esteso;
    un ripensamento complessivo della logica e delle modalità di inclusione delle persone anziane nel mercato del lavoro è necessario per rendere lavoratrici e lavoratori giovani e meno giovani complementari e non antagonisti;
    la valorizzazione del lavoro delle classi di età mature e anziane è il focus di riferimento principale, da sviluppare con attenzione sia al livello delle politiche pubbliche o di sistema, sia a quello delle linee di azione nell'ambito delle organizzazioni private e pubbliche;
    la capacità di non appiattire, ma anzi di valorizzare il contributo delle donne e degli uomini, dei giovani e degli anziani, di chi possiede competenze, abilità e culture diverse può consentire, nel contesto attuale, e sempre di più in futuro, all'impresa di fare un reale balzo in avanti. In particolare, di guadagnare un vantaggio competitivo sul mercato, di adattarsi ed anticipare i cambiamenti demografici in atto, di garantire la creazione di un clima di reciproco scambio e di collaborazione che incoraggia le persone a rimanere nell'azienda e a crescere;
    una prima risposta è stata offerta dall'articolo 4, comma 8, della legge 28 giugno 2012, n. 92, con il quale si è introdotto, a decorrere dal 2013, una specifica tipologia di incentivi all'occupazione consistenti nella riduzione, nella misura del 50 per cento, per 18 mesi, dei contributi di previdenza ed assistenza sociale a carico del datore di lavoro, in caso di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori ultracinquantenni;
    successivamente, il decreto legislativo n. 22 del 4 marzo 2015, in attuazione della legge delega n. 183 del 2014, a previsto il cosiddetto contratto di ricollocazione, prevedendo il diritto del lavoratore ad un'assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore da parte dell'agenzia per il lavoro; è stato inoltre riconosciuto il diritto del lavoratore alla realizzazione, da parte dell'agenzia stessa, di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti ed appropriati, in relazione alle capacità del lavoratore ed alle condizioni del mercato del lavoro nella zona in cui il soggetto sia stato preso in carico;
    in tale prospettiva, un ruolo strategico viene riconosciuto ai servizi per il lavoro, quali strutture deputate alla gestione di azioni ed interventi di politica attiva e passiva orientati a rispondere alle nuove domande sociali connesse al prolungamento della vita lavorativa;
    a tale fine, la riforma delle politiche attive del lavoro portata avanti dal Governo in carica, attraverso la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione, grazie al ruolo dell'Agenzia nazionale per le politiche del lavoro, istituita con il decreto legislativo n. 150 del 14 settembre 2015, dovrà trovare il più sollecito perfezionamento operativo;
    parimenti, un ruolo centrale potrà essere svolto dai fondi di solidarietà, come disciplinati dal decreto legislativo n. 148 del 2015, con la finalità di assicurare a tutti i lavoratori e le lavoratrici una tutela in costanza del rapporto di nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per le cause previste dalla normativa in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e cassa integrazione guadagni straordinaria; nonché, in particolare, di prevedere assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all'esodo, a coloro che raggiungano i requisiti previsti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato nei successivi cinque anni; contribuire al finanziamento di programmi formativi di fondi europei;
    da ultimo, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'articolo 1, comma 284, ha introdotto per il settore privato, una specifica disciplina transitoria, relativa ad una fattispecie di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale del rapporto di lavoro subordinato per i lavoratori a cui mancano tre anni alla pensione, i quali potranno scegliere di passare al part-time, mantenendo uno stipendio pari a circa il 65 per cento rispetto a quello percepito fino a quel momento e senza nessuna penalizzazione sulle pensioni;
    il fenomeno dell'alta presenza dei lavoratori maturi diverrà un tema centrale di cui le aziende, insieme alle istituzioni e alle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, dovranno occuparsi nel quotidiano. A fronte di una popolazione sempre più ageé, dunque, diviene indispensabile interrogarsi sulle strategie per sfruttare in chiave competitiva tali mutamenti e avviare azioni di valorizzazione della fascia « over», tal fine di garantirsi lavoratori «attivi» fino al momento dell'uscita dal mercato del lavoro;
    un percorso sull'invecchiamento attivo permette all'azienda di valorizzare meglio le sue risorse in termini di capitale umano, ma anche di ripensare le sue politiche di risorse umane, nell'ottica della gestione delle carriere dei lavoratori in azienda lungo tutto l'arco della vita, contribuendo in questo modo ad una migliore pianificazione delle politiche di risorse umane e all'ideazione di diversi percorsi di crescita professionale,

impegna il Governo:

   a proseguire nell'azione di sperimentazione di iniziative di sostegno di modalità di impiego flessibile dei lavoratori ultracinquantenni, anche prevedendo forme di scambio generazionale delle competenze, senza penalizzazioni sia per i giovani, sia per i lavoratori più anziani;
   a favorire, per quanto di competenza, anche attraverso, specifiche misure di sostegno fiscale o contributivo, l'adozione di formule organizzative delle imprese e di gestione del personale, d'intesa con le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, volte a riconoscere e valorizzare le professionalità dei lavoratori ultracinquantenni;
   a monitorare gli effetti dei diversi strumenti legislativi adottati finora, per il sostegno dell'occupazione dei lavoratori ultracinquantenni, anche al fine di un più efficace coordinamento e di una ridefinizione degli interventi esistenti;
   a procedere con la massima sollecitudine al perfezionamento del processo di costituzione dell'Agenzia nazionale per le politiche attive, delineando specifiche linee di azione rivolte all'orientamento e al sostegno nella ricerca di nuova occupazione per i lavoratori ultracinquantenni, anche attraverso la definizione di appositi percorsi formativi, volti a moltiplicare le occasioni di apprendimento e di riqualificazione in età adulta.
(1-01245) «Miccoli, Damiano, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Di Salvo, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Camera dei Comuni Inglese ha respinto, per 294 voti contro 276, un emendamento alla legge sull'immigrazione presentato dai laburisti che chiedeva di accogliere tremila bambini profughi che si trovano già in Europa;
   nessuna accoglienza, dunque, per tremila bambini siriani rimasti soli a Calais e in altri campi profughi d'Europa;
   ha prevalso la linea del Governo Cameron, che la scorsa settimana aveva offerto l'accoglienza a tremila tra piccoli profughi e loro familiari però in arrivo dai campi del Medio Oriente. L'Esecutivo britannico ha sempre rifiutato qualsiasi suddivisione di quote rispetto ai migranti europei sostenendo che questo alimenterebbe nuovi viaggi della disperazione e limitandosi ad accettare contingenti modesti da Paesi come Giordania e Libano;
   il «Ministro ombra» per l'immigrazione, Keir Starmer, ha promesso che «la battaglia continuerà» per portare il Regno Unito a fare di più per aiutare migliaia di profughi-bambini che si aggirano per l'Europa senza genitori. «Non possiamo voltare le spalle a questi bambini bisognosi in Europa. La storia ci giudicherà per questo», ha detto Starmer, parlando alla radio della Bbc;
   uno dei Ministri dell’Home Office, James Brokenshire, ha convinto i potenziali conservatori ribelli nell'animato dibattito che ha preceduto il voto che il Paese stava già facendo abbastanza per aiutare i rifugiati minorenni in Siria e nei Paesi vicini e che si poteva creare un pericoloso precedente. Il Governo, ha detto, non può sostenere una politica che «può inavvertitamente creare una situazione nella quale le famiglie potrebbero vedere un vantaggio il fatto di mandare avanti i figli da soli nelle mani di trafficanti senza scrupoli mettendo a rischio le loro vite nelle pericolose traversate verso l'Europa»;
   l'emendamento era sostenuto dal Labour, dallo scozzese Snp e dai liberal democratici. Solo una manciata di conservatori ha votato a favore. La proposta di accoglienza dei tremila bambini era stata presentata da lord Alf Dubs, un laburista che da bambino aveva beneficiato dell'operazione Kindertransport, il programma sostenuto dall'allora governo britannico per accogliere in Inghilterra i bambini rifugiati dalla Germania prima della seconda guerra mondiale. «Il mio messaggio ai conservatori è che nel 1938-’39 il nostro Paese accolse 10 mila piccoli rifugiati dalla Germania, dall'Austria e dalla Cecoslovacchia, ed io ero uno di loro», ha detto Dubs. «Oggi si tratta di accettare un numero assai minore di bambini siriani ed è vergognoso che la Gran Bretagna non lo faccia» –:
   se non intendano assumere iniziative, con uno sforzo coraggioso da parte dell'Italia, per accogliere i tremila bambini di Calais nel nostro Paese al fine di dare conforto a persone innocenti e indifese e dare una «lezione morale» a tutta l'Europa;
   se non intendano portare all'attenzione dell'Europa il caso dei tremila bambini di Calais al fine di sensibilizzare altri Paesi a costruire una alleanza della solidarietà con questi minori non accompagnati. (4-13044)


   SIMONE VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da numerosi articoli apparsi sulle più importanti testate sportive nazionali si apprende che la Ryder Cup, la gara che si svolge con cadenza biennale alternativamente negli USA e in Europa, approderà per la prima volta in Italia nel settembre 2022 e sarà ospitata all'interno del Marco Simone Golf&Country di Guidonia Montecelio. La competizione, che rappresenta il terzo evento sportivo al mondo e seguito da oltre due miliardi di telespettatori, prende il nome dal trofeo donato dall'inglese Samuel Ryder alla federazione americana ed è cogestita dalla PGA of America e dallo European Tour; essa si svolge su sei giornate complessive, di cui tre di pratica e tre di gara, nelle quali i migliori 24 giocatori europei e americani si contendono il prestigioso trofeo;
   l'evento viene solitamente trasmesso in circa 200 Paesi in tutto il mondo, da circa 50 emittenti televisive, con un bacino complessivo di circa 500.000 telespettatori, che si aggiunge ai circa 45.000 spettatori presenti in media ogni giorno sul campo;
   per quanto concerne la candidatura dell'Italia alla manifestazione golfistica, tra i partner ufficiali figurano la Federazione italiana golf, il Coni, il comune di Roma e la regione Lazio;
   in occasione degli Stati generali del golf tenutisi a Milano nel mese di gennaio 2016 è stata annunciata la predisposizione di un apposito progetto ad opera di consulenti esperti in materia e di studi di fattibilità condotti da strutture qualificate che hanno coinvolto il Coni e l'Istituto per il Credito sportivo; secondo questi studi di previsione l'assegnazione in Italia della Ryder Cup determinerebbe un rafforzamento delle relazioni politiche, oltre allo sviluppo del turismo golfistico e a un forte ritorno economico. Sotto il profilo economico e commerciale la Ryder Cup 2022 avrebbe tutte le necessarie garanzie sotto il profilo finanziario e porterebbe benefici a tutti i soggetti coinvolti. A ciò si aggiunge che sarebbe stato istituito anche un Fondo di garanzia che permetterebbe di accedere ai finanziamenti in maniera ancor più agevolata;
   sempre secondo quanto si apprende dalle testate, la scelta di accogliere la candidatura italiana deriverebbe non soltanto dalla solidità di un massiccio piano di investimenti straordinari promossa sul piano delle infrastrutture ma anche dal forte sostegno manifestato dal Presidente del Consiglio e da otto Ministeri;
   tuttavia, dall'indirizzo web ufficiale riferito alla candidatura di Roma non si ricavano al momento informazioni dettagliate sull'organizzazione e gestione, in particolare non si ha evidenza alcuna circa le risorse che si prevede di stanziare e in che modo la Presidenza del Consiglio e gli otto suindicati Ministeri potrebbero contribuire; sul sito web, nella sezione relativa al «supporto istituzionale» si rileva unicamente come l'evento dimostrerà che sia il Governo centrale sia le altre istituzioni lavoreranno insieme per garantire l'organizzazione del grande evento sportivo;
   anche sul sito web dell'Istituto per il credito sportivo non si ricavano particolari informazioni se non un riferimento ad una copertura finanziaria e ad un finanziamento grazie al quale il campo da golf di Guidonia Montecelio verrebbe completamente rinnovato;
   sempre lo stesso sito, inoltre, riferisce di un'apposita convenzione che intercorre tra la Federazione italiana golf e l'Istituto per il credito sportivo che avrebbe l'obiettivo di migliorare la rete di infrastrutture sportive destinate alla pratica del golf con la messa a disposizione, da parte delle società sportive associate alla federazione, di un plafond di risorse agevolate pari a euro 50.000.000.00; le suddette risorse agevolate dovrebbero essere utilizzate per finanziare progetti ed iniziative per la realizzazione, l'ampliamento, la messa a norma, l'efficientamento energetico, la ristrutturazione e l'attrezzatura di impianti sportivi e strutture strumentali all'attività sportiva –:
   se e quanto il Governo preveda di stanziare per la buona realizzazione dell'evento;
   quali siano nello specifico i Ministeri coinvolti e in che modo offriranno il loro contributo alla realizzazione della competizione sportiva nonché i soggetti che hanno partecipato alla stesura del progetto Ryder Cup 2022;
   in che modo la convenzione tra la Federazione italiana golf e l'Istituto per il credito sportivo verrà a conciliarsi con il progetto Ryder Cup 2022. (4-13047)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   LO MONTE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi, il Parlamento venezuelano ha decretato lo stato di emergenza sanitaria; una decisione che si attendeva da mesi, vista la mancanza cronica di medicine e nuovamente la presenza di malattie che erano state debellate dal Paese nel secolo scorso;
   malattie nuove, come il virus Zika; altre conosciute e bene o male controllate, come i virus del dengue e del chicunguya; e altre ancora debellate dal secolo scorso, come il paludismo, la scabbia, la tubercolosi e il «mal de Chaga» sono tutte patologie che oggi destano preoccupazione per la repentina diffusione;
   la mancanza di medicine sta mettendo seriamente in pericolo la vita dei venezuelani. Stando alle cifre offerte da Ferfaven (Federación de Farmacias de Venezuela), si stima in oltre il 60 per cento la mancanza di farmaci. Ma altre fonti offrono cifre ancora più drammatiche;
   la carenza di medicinali, stando a quanto affermano gli esperti, sarebbe la conseguenza logica del debito del Governo con i laboratori farmaceutici; un debito che sembrerebbe attestarsi attorno ai 3 mila milioni di dollari e che non permette ai laboratori d'importare le materie prime per la produzione di medicinali;
   è sempre più difficile per i venezuelani trovare una medicina in farmacia. Gli scaffali dei negozi delle grandi catene farmaceutiche, ma anche quelli delle piccole farmacie, sono pieni di bevande gassate, patatine fritte, a volte biscotti ma non medicine. Sono queste le grandi assenti. Mancano gli antidolorifici e gli antifebbrili per bambini, le pasticche per il dolore di testa e il mal di gola, i farmaci antiacidi e digestivi, gli sciroppi per la tosse;
   insomma, mancano le medicine più elementari e di uso comune. Ma non solo. Grandi assenti, nelle farmacie, sono anche gli antibiotici, gli antidepressivi, i farmaci antipertensivi e ipoglicemizzanti, gli anticoncezionali e le soluzioni per combattere l'aids;
   negli ospedali pubblici, la carenza cronica di medicamenti si è andata aggravando sempre di più: mancano i biochimici e i reagenti per i laboratori, le lastre per gli esami di radiologia, e le materie prime per gli esami di medicina nucleare;
   il servizio di cardiologia dell'ospedale universitario di Caracas ha denunciato recentemente il decesso di 13 malati per mancanza di materiale chirurgico e la morte di altri 42 infermi che, rimandati a casa, erano in attesa di un'operazione al cuore;
   il 13 febbraio 2016 anche il presidente della commissione «Giustizia e Pace» della Conferenza episcopale del Venezuela, monsignor Roberto Liickert León, arcivescovo di Coro, in un documento pubblicato in occasione della Giornata del malato ha denunciato: «Negli ultimi mesi si è intensificata in modo sistematico la mancanza di farmaci per tutti i tipi di malattie, ma soprattutto per il diabete, l'epilessia, l'Hiv, le malattie cardiovascolari, che ha già provocato la morte di molte persone, senza avere nessuna risposta dalle agenzie governative ... Allo stesso tempo la crisi dovuta alla carenza di cibo causa altre minacce per la salute della popolazione venezuelana tra cui: la malnutrizione per mancanza di apporto di nutrienti e vitamine, un basso indice glicemico incontrollato provocato dall'assenza di una dieta corretta, causa di una condizione mentale e sociale alterata che genera ansia, paura e angoscia ..... la salute è un diritto umano, e non può essere sottomessa agli interessi ideologici di gruppi, enti o amministrazioni» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere, anche in collaborazione con le autorità europee, al fine di intervenire con misure appropriate per diminuire o quantomeno ridurre le sofferenze del popolo venezuelano dovute alla mancanza di medicinali;
   quali iniziative, in collaborazione con le istituzioni europee, si possano intraprendere al fine di limitare e contenere la possibile crisi umanitaria e sanitaria che potrebbe valicare i confini del Venezuela. (4-13050)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da alcuni test effettuati dal magazine il «Salvagente» per il dossier «Glifosato – il veleno nascosto», nelle acque di alcune località del biellese e del modenese, precisamente nei comuni di Brusnengo e Campogalliano, sono state riscontrate tracce della sostanza «Ampa», un metabolita del glifosato. Ciò significa che l'acqua è entrata in contatto col glifosato e che la sostanza si è accumulata e poi trasformata ovvero metabolizzata;
   oltretutto, come sottolinea, Giovanni Dinelli, professore di agronomia e culture erbacee all'università di Bologna, «i campioni sono stati raccolti all'inizio di marzo, momento dell'anno in cui è più difficile riscontrare tracce di questa molecola che, tuttavia, è sempre di difficile ricognizione e non tutti i laboratori sono in grado di riuscirci»;
   il glifosato è un principio attivo più usato al mondo negli erbicidi diserbanti. Fa parte dei cosiddetti erbicidi totali — quelli che agiscono su tutte le specie vegetali e, pertanto, sugli infestanti sia mono sia dicotiledoni. Il glifosato è un prodotto del gruppo americano Monsanto, che finora vende erbicidi con glifosato sotto il nome di «Roundup». Nella prassi il glifosato non è usato come principio attivo unico, ma in combinazione con agenti bagnanti (tensioattivi), che aumentano in modo mirato la velenosità dell'erbicida;
   la Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), nel marzo 2015, ha classificato il glifosato come «probabilmente cancerogeno per l'essere umano». Per questo la ISDE (International society of doctors for environment) ha chiesto al Parlamento europeo e alla Commissione europea di bandire la produzione, il commercio e l'utilizzo di queste sostanze su tutto il territorio europeo;
   i rischi causati da questo principio attivo sono ormai noti. Al riguardo, bisogna ricordare che recentemente, in Germania, si è riusciti a rilevare la presenza di glifosato e dei suoi metaboliti nella popolazione in generale non solo nell'urina, ma anche nel latte materno;
   in Italia, ad oggi, nessuno monitora la presenza di glifosato o del suo metabolita «Ampa» nell'acqua potabile. E la situazione non migliora sul fronte delle acque di superficie visto che l'unica regione che cerca l'erbicida della discordia è la Lombardia. Quello che più preoccupa è la sicurezza dell'acqua che sgorga nei nostri rubinetti visto che le analisi del «Test-Salvagente», in due case, hanno trovato positività superiori ai limiti. Ma né le Arpa regionali, né le aziende che forniscono l'acqua ai cittadini controllano non essendo obbligate a farlo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione;
   se non ritengano opportuno, anche per tramite delle agenzie specializzate dei rispettivi dicasteri e per quanto di competenza, mettere in campo iniziative volte a rendere obbligatorio il monitoraggio, da parte degli enti preposti su tutto il territorio nazionale, della presenza del glifosato e di sostanze chimiche ad esso correlate nell'acqua potabile e ad uso agricolo. (4-13048)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la ferriera di Servola (Trieste) è uno stabilimento industriale dedito principalmente alla produzione di ghisa, destinata ai settori metalmeccanico e siderurgico passato, nel 2014, dalla Lucchini in A.S. alla siderurgica triestina srl, società del gruppo Arvedi; le vicende relative alla ferriera, alla luce delle numerose criticità di natura industriale, ambientale e sanitaria legate all'impianto, sono state esaminate e sollevate dall'interrogante in diversi atti di sindacato ispettivo;
   il 27 luglio 2015, durante una conferenza stampa organizzata a Trieste, sono stati presentati i dati relativi ad un'indagine di microscopia elettronica effettuata su alcuni campioni di polvere depositatasi in due diverse zone del rione di Servola, commissionata dal primo firmatario del presente atto e dal senatore Lorenzo Battista alla Nanodiagnostics srl. La dottoressa Gatti, nel presentare i risultati delle analisi, ha confermato, in funzione della specifica composizione chimica degli elementi individuati, la chiara origine siderurgica delle polveri: «Per composizione, morfologia e dimensione, le polveri raccolte hanno caratteristiche tali da farle risalire quanto ad origine alla fabbrica di ghisa sita nel quartiere triestino di Servola. Nella totalità dei casi le particelle hanno mostrato di contenere ferro, elemento sempre unito ad altri come avviene di regola per i materiali usati nelle fonderie. Polveri simili, se disperse nell'ambiente e, in particolare, in aria, sono potenzialmente patogene per chi ne è esposto. Quelle di diametro aerodinamico pari o inferiore ai 10 micron sono normate dalle leggi comunitarie, mentre quelle di diametro aerodinamico pari o inferiore ai 2,5 micron sono classificate come cancerogeni di classe 1, cioè cancerogeni certi, dallo IARC, l'ente dell'OMS che si occupa di cancro»;
   l'Arpa Friuli Venezia Giulia nel mese di luglio 2015 ha prodotto uno studio relativo alle analisi in microscopia elettronica a scansione (SEM) e di caratterizzazione chimica di un campione di polveri prelevato nel maggio precedente in una residenza privata sita a Servola. Il testo (prot. 023307 dd 14 luglio 2015 ) riporta che «sulla base delle evidenze analitiche riportate, si ritiene di attribuire l'origine siderurgica del materiale esaminato. In particolare si segnala la contestuale presenza di elevate concentrazioni di ferro e la presenza di importanti concentrazioni ponderali di idrocarburi policiclici aromatici» e si conclude indicando che «in merito alle valutazioni di rischio sanitario, si fa presente che lo scrivente non è titolato ad esprimersi in merito» e che «tali valutazioni sono di stretta competenza dell'Autorità sanitaria»;
   il 20 luglio 2015, in concomitanza con tale visita e con un ciclo di audizioni organizzate a Trieste dalla Commissione ambiente del Senato, il dottor Valentino Patussi, direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 triestina, ha inoltrato al sindaco e all'assessore all'ambiente del comune di Trieste una comunicazione nella quale riporta che «stante la provenienza di una quota rilevante delle polveri dallo stabilimento siderurgico di via di Servola 1, in parte derivante dall'altoforno (particelle ferrose), in parte dalla cokeria e dai parchi (Ipa e carbon fossile), visti i rilievi delle deposizioni, sulla base delle segnalazioni dei cittadini, relative alla rilevante diffusione di polveri dallo stabilimento, provocante grave disturbo, si ritiene che, indipendentemente dalle rilevazioni delle centraline, la situazione in essere, associata al contesto stagionale, quali le ondate di calore subentranti, che fanno si che elementari misure di difesa, quali il tenere chiuse le finestre nei momenti più critici, siano impossibili da adottare, comporti un importante problema di salute della popolazione, sulla base della stessa definizione che ne da l'OMS (uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia od infermità)». La comunicazione si conclude con: «Tanto si segnala per l'adozione, da parte di codesto ente di azioni mirate a ridurre la situazione di inquinamento segnalata»;
   in data 29 dicembre 2015, il direttore del dipartimento di prevenzione azienda sanitaria n.1 triestina, il dottor Valentino Patussi e l'assessore all'ambiente, energia, riqualificazione ambientale dei siti inquinati, agricoltura, pesca e tutela ed educazione zoofilo-ambientale del comune di Triste, il dottor Umberto Laureni, in risposta alla richiesta di una cittadina sulle «Deposizioni di polveri. Norme comportamentali nelle operazioni di pulizia domestica» hanno comunicato che: «(...) vanno adottate nelle operazioni di pulizia domestica precauzioni analoghe a quelle già indicate dall'A.A.S. n. 1 Triestina nella nota del 1o settembre 2015. Si raccomanda pertanto vengano utilizzati idonei sistemi aspiranti (aspirapolvere/scope elettriche, eccetera) dotati di filtro HEPA (rientrante tra i cosiddetti “filtri assoluti”, con elevata efficienza di filtrazione, reperibili nei normali negozi), cui far seguire, se necessario, una pulizia ad umido (stracci bagnati, eccetera) con l'adozione di comuni detergenti. Nelle operazioni di pulizia più impegnative, nelle quali si devono rimuovere deposizioni di lunga data, si raccomanda l'utilizzo di guanti in gomma e maschere per polveri di tipo usa e getta»;
   il primo firmatario del presente atto in data 1o aprile 2016, ha depositato l'interrogazione n. 4-12716 ancora senza risposta, con la quale ha chiesto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute se intendano assumere iniziative per chiarire, in accordo con gli enti locali, in maniera puntuale, le corrette pratiche che i residenti devono adottare nelle pulizie domestiche, alla luce dell'acclarata pericolosità delle polveri e se, alla luce delle risultanze delle analisi effettuate, intendano chiarire come debbano essere considerate, classificate e, dunque, trattate le polveri che i residenti raccolgono sulle proprie pertinenze;
   l'allegato B «Limiti e prescrizioni sulle componenti ambientali del decreto del Direttore del Direzione centrale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia» in relazione al «Riesame ell'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l'esercizio dell'installazione della Società Siderurgica Triestina srl, sita nel comune di Trieste e relativa alle attività di produzione di coke, sinterizzazione di minerali metallici, produzione di ghisa, di cui ai punti 1.3, 2.1 e 2.2, dell'Allegato VIII, alla Parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006 ed all'attività di laminazione a freddo», approvato in data 28 gennaio 2016, indica, tra le altre, diverse azioni che la proprietà dovrà concordare con l'Arpa del Friuli Venezia Giulia. Il punto 5.1.2. dell'allegato «Interventi urgenti e straordinari di mitigazione acustica» prevedeva in relazione ai limiti previsti dalla normativa vigente, entro il 28 febbraio 2016, quattro interventi di mitigazione sulle emissioni di rumore dei seguenti componenti dell'impianto: 1. insonorizzazione E42; 2. insonorizzazione E35; 3. scarico condensa; 4. riparazione soffiante;
   in data 20 febbraio 2016, l'interrogante ha inoltrato alla direzione generale dell'Arpa del Friuli Venezia Giulia una mail con la quale chiedeva «se e quali misurazioni siano state – predisposte da ArpaFVG nelle giornate immediatamente successive alla scadenza del 28 febbraio per verificare il buon esito degli interventi indicati, se dal rilascio dell'AIA sia stato verificato il rispetto del limite previsto dalla vigente normativa in merito al rumore e se, in caso di superamento dei limiti, ne sia stata data informazione alle Amministrazioni competenti»;
   in data 25 febbraio 2016, l'interrogante ha inoltrato la medesima richiesta al direttore del dipartimento centrale ambiente ed energia del Friuli Venezia Giulia, all'assessore all'ambiente del comune di Trieste, al direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 ed alla procura della Repubblica di Trieste;
   in data 26 febbraio 2016, la direzione centrale ambiente ed energia, per voce dell'ingegner Agapito, ha replicato segnalando che, «con nota n. 41 dd. 19 febbraio 2016, acquisita al prot. n. 4651/2016, Siderurgica ’Triestina, ha chiesto una proroga del termine del 28 febbraio 2016 al 15 aprile 2016» comunicando che «l'istruttoria sia in corso»;
   in data 27 febbraio 2016, alla luce della notizia della richiesta di proroga inoltrata da Siderurgica Triestina, il primo firmatario del presente atto ha inviato tramite mail alla direzione regionale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia, ed in copia ad Arpa Friuli Venezia Giulia, all'assessorato ambiente del comune di Trieste, alla procura della Repubblica del tribunale di Trieste, al dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1, l'auspicio che tale richiesta non venisse accolta e che, anzi, fossero predisposte le misurazioni dei livelli di rumore per verificarne il rispetto dei limiti di legge;
   sempre il 27 febbraio 2016, è pervenuta una risposta dall'assessorato ambiente del comune di Trieste con la quale l'ingegner Laureni ha comunicato che il parere negativo del comune alla richiesta di Siderurgica Triestina fosse già stato comunicato;
   in data 2 marzo 2016, a scadenza ormai superata, il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una mail alla direzione regionale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia ed in copia ad Arpa Friuli Venezia Giulia, all'assessorato ambiente del comune di Trieste, alla procura della Repubblica del tribunale di Trieste, al dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1, con la quale si è richiesto quale sia stato l'esito dell'esame della richiesta di proroga e, visti i continui reclami in merito agli elevati livelli di rumorosità dell'impianto, è stato chiesto se la direzione non ritenesse opportuno anticipare la campagna di monitoraggio dell'inquinamento acustico prevista entro il 31 marzo 2016, onde poter prevedere ulteriori azioni in caso di non rispetto della normativa vigente;
   sempre il 2 marzo l'ingegner Agapito, direttore della direzione regionale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia ha risposto alla mail indicando che l'istruttoria non si sia ancora conclusa;
   in data 4 marzo 2016, il primo firmatario del presente atto ha inoltrato, all'attenzione dell'assessore all'ambiente della regione Friuli Venezia Giulia ed in copia alla direzione regionale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia, una mail con la quale si è richiesto l'esito dell'istruttoria attivata da parte degli uffici dell'assessorato. Richiesta che non ha ancora avuto una risposta;
   a detta del primo firmatario del presente atto, da una lettura degli scambi di mail avuti sia con la direzione ambiente ed energia che con le altre istituzioni interessate, appare evidente come la realizzazione di quanto previsto nell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) non abbia rispettato le tempistiche previste, né si sia provveduto, e si stia provvedendo, a misurazioni del rumore che verifichino il rispetto dei limiti di legge;
   in data 10 marzo 2016, il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una mail, ancora senza replica, alla presidente della regione Friuli Venezia Giulia e in copia all'assessorato ambiente alla regione Friuli Venezia Giulia per invitarla, anche in qualità di commissario per l'Area di crisi industriale complessa di Trieste e presidente della regione Friuli Venezia Giulia, a verificare il rigido rispetto delle prescrizioni e delle scadenze indicate nell'Aia concessa a Siderurgica Triestina Srl, nonché di predisporre il costante controllo ed il rispetto dei limiti sulle emissioni previsti dalla normativa e dallo stesso documento;
   in data 21 marzo 2016, un comunicato stampa pubblicato sul sito internet della regione Friuli Venezia Giulia, ha annunciato che, a seguito del sopralluogo presso l'impianto in questione compiuto dalla regione in data 7 marzo 2016 in occasione del quale è stato accertato il mancato rispetto della prescrizione dell'Aia relativa agli interventi urgenti e straordinari di mitigazione acustica, la regione, il 16 marzo 2016, ha attivato la procedura di diffida nei confronti di Siderurgica Triestina Srl, concedendo all'azienda 20 giorni di tempo per presentare le proprie controdeduzioni;
   in data 9 aprile 2016, trascorso il termine indicato, il primo firmatario del presente atto ha inviato una mail al dottor Luciano Agapito (direttore del servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico) e in copia all'assessore all'ambiente del comune di Trieste, all'assessore all'ambiente della regione Friuli Venezia Giulia, al direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1, alla procura della Repubblica di Trieste; con la quale a richiesto l'esito dell'istruttoria ed il relativo responso della regione. La questione è stata nuovamente sollecitata in data 18 aprile 2016 a mezzo mail indirizzata all'assessore all'ambiente ed energia del comune di Trieste e in copia al dottor Luciano Agapito (direttore del servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico) al direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1, alla procura della Repubblica di Trieste, all'assessorato ambiente della regione Friuli Venezia Giulia e alla direzione generale di Arpa Friuli Venezia Giulia;
   trascorsi due mesi dalla scadenza iniziale del 28 febbraio 2016 prevista dall'Aia, superato abbondantemente il termine del 15 aprile indicato nella richiesta di proroga di Siderurgica Triestina e trascorsi i 20 giorni concessi all'azienda per le controdeduzioni nonostante le sollecitazioni del primo firmatario del presente atto, non e stato fornito alcun chiarimento;
   nelle giornate del 15, 16, 17 e 18 aprile 2016, la centralina dell'Arpa Friuli Venezia Giulia posizionata in via San Lorenzo in Selva ha registrato il superamento medio giornaliero consecutivo dei limiti delle polveri sottili PM10 (15 aprile μg/m3 53, 16 aprile μg/m3 59, 17 aprile μg/m3 56, 18 aprile μg/m3 55), portando il numero di superamenti dall'inizio del 2016 ad un totale di 25. Anche in questo caso è stata inviata alla direzione generale di Arpa Friuli Venezia Giulia una mail di segnalazione. In merito alle emissioni di benzo(a)pirene, la stessa centralina ha registrato, nel gennaio 2016, una media mensile di 1,6 ng/m.cubo, il febbraio 2016 una media mensile di 0,9 ng/m.cubo;
   giova ricordare che, in ordine alle misurazioni delle polveri sottili Pm10, nel 2015, il limite dei 35 giorni massimi di sforamento annuo consentito è stato superato dalle centraline posizionate in via Pitacco, via Svevo (giardino del plesso scolastico) e via S. Lorenzo in Selva; quest'ultima ha raggiunto un totale di 144 giornate, quadruplicando il valore limite;
   in data 21 aprile 2016, a seguito di alcune segnalazioni pervenute e della pubblicazione sul gruppo Facebook «Basta Ferriera» di diversi video e fotografie realizzate il 20 aprile 2016 alle ore 19.51 ed alle ore 20.58 ed il 21 aprile alle ore 08.45 raffiguranti delle «fumate» nerastre provenienti dall'area a caldo della ferriera, il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una mail alla direzione generale di Arpa Friuli Venezia Giulia e in copia al presidente della regione Friuli Venezia Giulia, all'assessore all'ambiente ed energia del comune di Trieste, al direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1, alla procura della Repubblica di Trieste, al dottor Luciano Agapito (direttore del servizio tutela da inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico) al fine di «ricevere dei precisi chiarimenti circa le origini, la tipologia ed i possibili effetti di quanto visibile nelle immagini allegate»;
   in data 22 aprile 2016, a seguito di una nuova fumata ripresa alle ore 09.03, il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una mail rivolta alla direzione generale di Arpa Friuli Venezia Giulia, alla presidenza della regione Friuli Venezia Giulia, all'assessorato ambiente della regione Friuli Venezia Giulia, alla direzione centrale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia, all'assessorato ambiente del comune di Trieste, alla direzione del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 ed alla procura della Repubblica presso il tribunale di Trieste, segnalando l'evento e richiedendo dei chiarimenti circa «le origini, la tipologia ed i possibili effetti di quanto visibile nell'immagine allegata»;
   nella medesima giornata, attraverso una nota stampa, l'azienda Siderurgica Triestina Srl ha dichiarato che «con riferimento allo sbuffo proveniente dall'altoforno della Ferriera di Servola, avvenuto nella mattinata (ore 8.59) e durato circa 20 secondi, Siderurgica Triestina riferisce che è stato dovuto all'apertura di due valvole bleeder, causata da un repentino aumento della pressione nell'altoforno. Le valvole bleeder rappresentano un sistema di sicurezza per gestire eventuali sovrapressioni che si possono generare durante il funzionamento dell'impianto. Siderurgica Triestina, dispiacendosi per l'episodio che ha destato allarme, nonostante la minima durata, ha dato pronta comunicazione agli enti di controllo come previsto dall'Autorizzazione Integrata Ambientale (allegato C punto 8). Le cause che nella fattispecie hanno portato all'evento sono al vaglio dei tecnici dell'altoforno, che individueranno e applicheranno le possibili azioni correttive, di cui sarà data relazione agli enti di controllo»;
   il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una mail ad Arpa Friuli Venezia Giulia, alla presidenza della regione Friuli Venezia Giulia, all'assessorato ambiente della regione Friuli Venezia Giulia, alla direzione centrale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia, al sindaco del comune di Trieste, alla direzione del dipartimento prevenzione dell'azienda sanitaria n. 1 ed alla procura della Repubblica presso il tribunale di Trieste, contenente l'immagine delle ore 10.20 di un'emissione rossastra proveniente dalla Ferriera, prontamente ripresa da diverse zone della città e pubblicata sui social network da molti utenti, scandalizzati e preoccupati dall'entità del fenomeno, e dal quotidiano on line TriestePrima, con la quale ha segnalato l'accaduto ed ha richiesto i dovuti chiarimenti «circa le origini, la tipologia ed i possibili effetti di quanto visibile nell'immagine in allegato». Una seconda fumata rossastra simile alla precedente si è sprigionata dall'impianto alle ore 13.00, come riportato anche da TriestePrima;
   Siderurgica Triestina, in data 24 aprile 2016, attraverso una nota ha comunicato che «la causa individuata dai tecnici dell'altoforno è il comportamento anomalo della massa refrattaria (massa a tappare), utilizzata per la chiusura del foro di colata, la quale era stata già precedentemente sostituita per risolvere un analogo problema occorso. L'azione correttiva immediata è stata la sostituzione del lotto di materiale in campo»;
   una emissione rossastra analoga si era già verificata il 15 marzo 2016, in quell'occasione, il comunicato stampa di Siderurgica triestina aveva riferito che si era trattato di «un singolo episodio anomalo accaduto in fase di apertura del foro di colata per lo spillaggio della ghisa dell'altoforno, rispetto al quale sono prontamente state realizzate le attività di analisi delle cause e di intervento correttivo». Mentre la causa era «stata individuata nel deterioramento del materiale utilizzato per tappare il foro di colata dell'altoforno ed è stata immediatamente messa in atto la relativa azione correttiva, ovvero la sostituzione del materiale»;
   il direttore generale di Arpa Friuli Venezia Giulia Luca Marchesi, ha replicato alla mail succitata in data 25 aprile 2016, comunicando che «Le possibili cause dell'evento, i suoi effetti, le spiegazioni fornite da Siderurgica Triestina ed ogni ulteriore necessario elemento di valutazione saranno verificati attraverso la rete di monitoraggio e gli altri presidi tecnici, nonché approfonditi nel corso della imminente seconda verifica ispettiva ordinaria. Gli esiti delle valutazioni e dell'intervento ispettivo saranno resi pubblici dalle competenti strutture di controllo dell'Agenzia non appena disponibili»;
   il 25 aprile 2016, il primo firmatario del presente atto, a mezzo mail, ha segnalato alla direzione generale di Arpa Friuli Venezia Giulia e in copia alla presidenza della regione Friuli Venezia Giulia, all'assessorato ambiente della regione Friuli Venezia Giulia, alla direzione centrale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia, al sindaco del comune di Trieste, all'assessorato ambiente del comune di Trieste, alla direzione del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 ed alla procura della Repubblica presso il tribunale di Trieste, la fumata avvenuta alle ore 19,53 e prontamente registrata da molti residenti da più parti della città, chiedendo di ricevere dei precisi chiarimenti circa le origini, la tipologia ed i possibili effetti di quanto accaduto nell'impianto;
   in data 26 aprile 2016, a seguito delle continue emissioni avvenute durante la mattinata, e precisamente alle ore 8.41, alle 9.19, alle 10.21 e alle 11.37 il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una mail, corredata dalle relative immagini, alla direzione generale di Arpa Friuli Venezia Giulia e in copia alla presidenza della regione Friuli Venezia Giulia, all'assessorato ambiente della regione Friuli Venezia Giulia, alla direzione centrale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia, al sindaco del comune di Trieste, all'assessorato ambiente del comune di Trieste, alla direzione del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 ed alla procura della Repubblica presso il tribunale di Trieste, con la quale ha segnalato il ripetersi degli eventi e chiesto chiarimenti sulle origini, la tipologia ed i possibili effetti di quanto accaduto;
   in data 5 aprile 2016, inoltre, alla luce della conclusione dei test (Topsoil) sui campioni di terreno prelevati in tre aree cittadine di Trieste (Piazzale Rosmini, pineta di Servola e via Cossetto) per verificare la presenza di inquinanti, il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una mail all'assessore all'ambiente del comune di Trieste, al direttore del dipartimento prevenzione dell'azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 Triestina ed al direttore generale di Arpa Friuli Venezia Giulia chiedendo le tempistiche di pubblicazione dei risultati e le eventuali azioni nel caso i valori fossero preoccupanti;
   analoghe mail sono state inviate anche in data 12 aprile e 20 aprile 2016 senza ricevere alcun riscontro;
   in data 28 aprile 2016, dopo la conferenza stampa durante la quale l'assessore all'ente del comune ha reso noti i risultati delle analisi in questione, il sito Retecivica del comune di Trieste ha diffuso un comunicato e l'ordinanza sindacale di limitazione all'accesso di due delle aree esaminate (piazzale Rosmini e area verde della pineta Stefano Miniussi di via di Servola);
   l'ordinanza recita che, a causa «del superamento delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) di alcuni Idrocarburi Aromatici (IPA), indicate nella Colonna A, Tabella I, Allegato 5, Titolo V della Parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, in un punto di indagine nel terreno dell'area a verde della pineta Stefano Mintussi di via Servola e, rispettivamente, del giardino del piazzale Antonio Rosmini» e che, «al fine di evitare un possibile contatto degli inquinanti da parte della popolazione», si dispone «il divieto di accesso a chiunque alle aree verdi pubbliche succitate ad eccezione dei soggetti titolati ad effettuare gli opportuni interventi ambientali e manutentivi»;
   sempre in data 28 aprile 2016 il primo firmatario del presente atto ha inoltrato una mail alla direzione generale di Arpa Friuli Venezia Giulia e in copia al presidente della regione Friuli Venezia Giulia, all'assessore all'ambiente ed energia del comune di Trieste, al direttore del dipartimento prevenzione dell'Aas n. 1, alla procura della Repubblica di Trieste alla direzione regionale ambiente ed energia della regione Friuli Venezia Giulia, al fine di ricevere dei precisi chiarimenti circa le origini, la tipologia ed i possibili effetti di una nuova nube rossastra fuoriuscita dall'impianto alle ore 17,14;
   in data 27 aprile 2016 il quotidiano il Piccolo ha riportato le dichiarazioni di Umberto Laureni, assessore comunale all'ambiente, secondo cui «l'Arpa dovrebbe gestire una situazione a regime, mentre siamo in presenza di un quadro che non si può più definire anomalo, anche se non viene registrato dai livelli medi misurati, su tempi più lunghi, dalle centraline. È preoccupante che dopo tanto tempo certi problemi non siano stati ancora risolti»;
   un articolo del quotidiano il Piccolo del 16 aprile 2016 riporta le parole di Gian Luca Galletti, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a Trieste in occasione della partecipazione all'assemblea nazionale di Anci giovani. A proposito della Ferriera di Servola, il Ministro ha affermato che «per quel che riguarda l'area a caldo se non rientrerà nei parametri verrà chiusa. A tal riguardo sono però fiducioso che la situazione si possa salvare sia da un punto di vista ambientale, che occupazionale»;
   a parere degli interroganti risulta ormai evidente che la situazione complessiva dell'impianto, alla luce di quanto esposto, risulta incompatibile con il tessuto residenziale in cui è inserito e con il principio di precauzione a tutela della salute della popolazione che deve orientare l'operato delle amministrazioni pubbliche –:
   se siano al corrente di quanto esposto in premessa;
   se i Ministri interrogati intendano intervenire convocando i soggetti firmatari degli accordi di programma per verificare l'attuazione degli interventi previsti e la loro reale efficacia;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla luce di quanto esposto, consideri compatibile l’«area a caldo» con la zona residenziale in cui è inserita e se intenda assumere iniziative di competenza per dare seguito a quanto dichiarato a Trieste il 16 aprile 2016;
   se i Ministri interrogati intendano promuovere iniziative di competenza al fine di programmare la dismissione dell’«area a caldo» in favore delle attività di logistica e laminazione già previste nel piano finanziario 2014-2016 di Siderurgica Triestina Srl. (4-13052)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, in vigore dal 24 giugno prevedeva una riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBAC) trasformandolo in Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT) e prevedeva che il Ministero stesso dovesse dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione riducendo le figure dirigenziali;
   detta operazione è stata necessaria al fine di intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che da decenni segnano l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia: la assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo; la eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia; il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni; la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limitano grandemente le potenzialità; il ritardo del Ministero nelle politiche di innovazione e di formazione;
   con l'approvazione del decreto-legge n. 83 del 2014, convertito dalla legge n. 106 del 2014 (cosiddetto decreto art bonus) si è previsto il potenziamento dei collegamenti tra gli uffici operanti nei due settori e per questo le direzioni regionali sono trasformate in uffici di coordinamento amministrativo e sono dotate di specifiche competenze in materia di turismo, rafforzando l'interazione con regioni ed enti locali, nonché di promozione delle attività culturali; inoltre le direzioni generali centrali competenti per i beni culturali sono arricchite di funzioni rilevanti anche per il turismo, come ad esempio le realizzazioni di itinerari e percorsi culturali e paesaggistici di valenza turistica e le stesse competenze della direzione generale turismo sono aggiornate per assicurare la massima integrazione tra i due settori;
   il 19 gennaio 2016 è stata annunciata la seconda fase della riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) finalizzata alla creazione delle «Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio», con l'aumento dei presidi di tutela sul territorio nazionale, che, per l'archeologia, passano dalle attuali 17 soprintendenze archeologiche alle nuove 39 soprintendenze unificate (a cui si sommano le due soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei);
   la nuova articolazione territoriale realizza una distribuzione dei 41 presidi di tutela più equilibrata ed efficiente, definita, tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori: si parla di 39 soprintendenze uniche totali distribuite sul territorio cui si sommano le 2 Soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei;
   per quanto concerne il territorio piemontese, la nuova organizzazione prevede la seguente dislocazione: Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Torino, con sede a Torino; Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo, con sede ad Alessandria; Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli, con sede a Novara;
   lo spirito della riforma è di per se condivisibile ed il tema delle unificazioni non genera di per sé problemi né per i territori, né per gli amministratori locali;
   desta invece preoccupazione la scelta delle dislocazioni territoriali per le ipotetiche future sedi uniche, in special modo per il territorio di Cuneo e provincia, dal momento che questo territorio, pur rappresentando circa i due terzi del totale delle pratiche di competenza della Soprintendenza del Piemonte sud, vedrebbe i propri amministratori, tutti gli enti, tutte le persone ed imprese interessate costretti a far riferimento alla sede di Alessandria;
   questo implicherebbe un grave disagio per tutto il territorio, per gli addetti, gli operatori e quanti necessitino per motivi professionali di doversi recare in sede, dal momento che, i mezzi pubblici eventualmente necessari ed i collegamenti siano seriamente difficoltosi: il trasporto ferroviario prevedrebbe infatti una tratta con cambio alla stazione Torino Lingotto, nella, migliore delle ipotesi, oppure due cambi, uno su Fossano l'altro su Torino Lingotto, nella peggiore delle ipotesi, comportando una durata anche superiore alle due ore di viaggio; e l'ipotesi di trasporto su gomma potrebbe addirittura peggiorare la situazione, dilatando addirittura i tempi di viaggio;
   risulterebbe quindi evidente quanto quest'ipotesi di dislocazione territoriale ad Alessandria, per la provincia di Cuneo, rischi di inficiare seriamente la bontà della riforma e del servizio per un territorio che come sopra esposto ha numeri di gran lunga superiori ad altre realtà territoriali dell'area di competenza della stessa Soprintendenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno valutare soluzioni complementari o alternative e più consone ai bisogni del territorio piemontese, garantendo un servizio che sia più facilmente accessibile e fruibile per tutto il territorio del Piemonte nel suo complesso;
   se non ritenga opportuno, in fase di attuazione della riorganizzazione delle aree territoriali prevista dalla riforma, prevedere – per quanto di competenza – che la provincia di Cuneo possa far riferimento al capoluogo regionale, essendo Torino di gran lunga più facilmente raggiungibile tramite trasporto pubblico, o, in alternativa, individuare una forma di mantenimento di una sede operativa distaccata tale da permettere un accessibilità più agevole per tutti i soggetti della provincia che ne hanno necessità e sono interessati, ed una sede di lavoro e base di partenza per i tecnici della Soprintendenza sul territorio, o anche attivare sedi decentrate diffuse laddove maggiori siano le pratiche da evadere, cosa che riguarderebbe la provincia di Cuneo ma anche, come pare dimostrino i dati disponibili sull'attività, anche altre realtà territoriali. (5-08546)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI, SIMONETTI e FEDRIGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è di muovo allarme sui conti dell'Inps, dopo che nella giornata di giovedì 28 aprile 2016, il CIV – Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'istituto previdenziale, ha rinvenuto una «posizione debitoria non chiara» dell'Ente, deliberando all'unanimità di non approvare la proposta della prima nota di variazione al bilancio di previsione per il 2016;
   il Civ ha ribadito la propria «posizione consapevolmente critica» rispetto al documento in esame per ragioni «di ordine formale e sostanziale» relative alla mancanza di una «informativa dettagliata relativamente alla consistenza e alla gestione del patrimonio immobiliare ed all'assenza di criteri di investimento e disinvestimento; al mancato controllo sulla posizione debitoria verso l'Inps degli enti pubblici; alla gravità della situazione dei residui attivi e passivi»;
   già nel mese di febbraio il bilancio di previsione 2016, che indicava un disavanzo economico di 11,2 miliardi (2 miliardi in più rispetto al 2015) ed un disavanzo finanziario di competenza intorno ai 3,2 miliardi, era stato approvato dal Consiglio di indirizzo e vigilanza con il voto contrario del consigliere in quota Uil; ora la nota di variazione è stata bocciata dall'intero Consiglio, perché sono tutti convinti che le misure messe in campo per fronteggiare l'atteso disavanzo di 11,2 miliardi non siano sufficienti;
   nel dettaglio sembra che ai componenti Civ non sia piaciuto che l'Inps non abbia fornito adeguati ragguagli sui 168 miliardi di euro di crediti vantati nei confronti di enti pubblici e privati, che continuano a rimanere in bilancio senza un'adeguata svalutazione o comunque senza la prospettiva di alcuna operazione di finanza straordinaria come le cartolarizzazioni; parimenti, si contesta la mancanza di informativa circa i programmi di investimento e disinvestimento dello straordinario patrimonio immobiliare dell'ente;
   è evidente che tale bocciatura segnala una sfiducia ed un malcontento nella gestione Boeri, già in altre occasioni criticato – dagli interroganti ma anche da esponenti della stessa maggioranza di Governo che lo ha nominato – di rivestire il ruolo di ministro-ombra del welfare invece che occuparsi di governance dell'Istituto;
   le perdite registrate nei bilanci dell'ultimo quinquennio, insieme all'accorpamento dell'Inpdap con un buco di oltre 10 miliardi di euro, ha fatto volatilizzare oltre 40 miliardi di euro;
   a preoccupare maggiormente è, dunque, la totale mancanza di proposte lungimiranti a salvaguardia del patrimonio Inps, che nel 2017 potrebbe essere azzerato;
   un default dell'Inps è impensabile, per la natura delle prestazioni essenziali che l'ente eroga e perché depositario dei fondi, in termini di contributi versati, di una intera vita lavorativa di dipendenti e autonomi; ma è altrettanto impensabile ipotizzare un aumento dei trasferimenti dello Stato nella prossima legge di stabilità;
   si rammenta, infatti, che nel 2008, prima della crisi, erano sufficienti 73 miliardi di euro di trasferimenti dal bilancio dello Stato per coprire i disavanzi, mentre nel quinquennio di maggior crisi socioeconomica 2008-2013, l'esborso è aumentato di 39 miliardi di euro (cioè il 53 per cento in più), con una quota di trasferimento Sato-Inps nel 2013 di 112,5 miliardi di euro;
   nell'ultima legge di stabilità; l'adeguamento degli importi dei trasferimenti dovuti dallo Stato all'ente di previdenza ha portato ad incremento di 281,94 milioni di euro per il 2016; solo per la gestione ex Inpdap, gli importi complessivamente dovuti dallo Stato sono pari a 2.366,35 –:
   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda urgentemente adottare, posto che i contributi versati devono essere garantiti e salvaguardati ed un'ipotesi di aumento dei trasferimenti dallo Stato all'Inps corrisponde inevitabilmente ad un aumento della tassazione sui cittadini. (5-08545)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tratta ferroviaria che unisce Catanzaro e Cosenza da sei anni è interrotta a causa di due frane. L'interruzione è nel tratto che da Soveria Mannelli arriva a Marzi: 31 chilometri di ferrovia immersi nel cuore del Reventino e della Sila abbandonati all'incuria e al dissesto idrogeologico;
   questi 31 chilometri «sono l'esempio lampante di come la mancanza o l'abbandono di infrastrutture ferroviarie – afferma Roberto Galati dell'Associazione ferrovie in Calabria – causi una spirale negativa di crollo demografico, crollo dell'economia e quindi ulteriore abbandono dei centri abitati da parte della popolazione. La battaglia di civiltà ha come obiettivo primario quello di evitare la morte di quei piccoli (o divenuti tali) centri abitati precedentemente serviti dai treni, e che chiaramente non hanno trovato nel bus un mezzo sostitutivo altrettanto veloce, comodo, sicuro e frequente». Si tratta, in particolare, dei comuni di Vaccarizzo, Bianchi, Colosimi, Scigliano, Pedivigliano e Carpanzano, rimasti isolati tra il 2009 e il 2010, a seguito dell'interruzione della Soveria Mannelli-Rogliano, dal 2014 ripristinata da Rogliano a Marzi;
   a Decollatura c’è la prima frana, situata attorno al chilometro 42, tra la fermata di Celsita e la stazione di Scigliano-Pedivigliano. In questa zona sono presenti alcuni smottamenti di lieve entità e alcuni alberi caduti sulla sede ferroviaria. Tra Celsita e Scigliano, invece, oltre ad alcuni lievi abbassamenti della sede ferroviaria, insiste la frana che ha provocato i maggiori danni in assoluto, su tutto il tratto interrotto. Frana che si trova al chilometro 42, a poco più di 1 chilometro di distanza dalla stazione di Scigliano-Pedivigliano. Lo scenario che si trova è desolante: del rilevato ferroviario non è rimasto praticamente nulla, se non la micropalificazione per il contenimento del terreno rimasta «appesa». Dalla stazione di Carpanzano, dotata ancora di uno storico apparato centrale a leve «Max Judel» per la manovra di scambi e segnali, si arriva poi alla seconda frana, posta attorno al km 33, lato Cosenza. Il tragitto prosegue fino a Parenti e in fine a Marzi. Trentuno chilometri mozzafiato che potrebbero, se ripristinati, togliere dall'isolamento numerose comunità;
   l'interrogante ha già ricordato nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-09678 del 2 luglio 2015, per giunta senza risposta, che non esistono infatti scuse infrastrutturali, nei collegamenti tra i principali capoluoghi di regione, al nord come al sud, devono essere garantiti collegamenti diretti su treni moderni che possano circolare con velocità competitive nei confronti delle automobili. Non è accettabile che scompaiano i collegamenti interregionali perché le regioni hanno deciso di tagliare le linee più periferiche e il Ministero non intervenga. Al Ministero spetta il compito di verificare che siano garantiti gli stessi diritti di accesso al trasporto ferroviario in tutta Italia –:
   se non si ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza per garantire ai cittadini calabresi gli stessi diritti di accesso al trasporto ferroviario dei residenti delle altre regioni e provvedere alla messa in sicurezza dei 31 chilometri indicati in premessa e relativi alla tratta che unisce Catanzaro a Cosenza. (4-13045)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la questione dei collegamenti ferroviari è uno dei temi principali per lo sviluppo sociale ed economico della Basilicata che è fortemente penalizzata dal deficit infrastrutturale, gestionale ed organizzativo;
   la tratta ferroviaria Taranto-Metaponto-Potenza-Salerno-Roma è un'arteria di fondamentale importanza per i collegamenti tra la regione Basilicata e i grandi snodi delle dorsali tirrenica e adriatica con le connessioni alla rete dell'Alta Velocità e la presenza dei porti di Salerno e Taranto. È una tratta vitale per una parte del Mezzogiorno, che soffre un grande isolamento, con servizi ferroviari certamente non all'altezza delle sfide che Matera, Capitale europea della cultura per il 2019, e la regione Basilicata devono affrontare;
   la tratta presenta problematiche divenute oramai strutturali: disservizi, guasti motrici e convogli privi di comfort e carenti di servizi a bordo, trascuratezza e scarsa manutenzione dei mezzi, ritardi quotidiani e tempi di percorrenza lunghi, anche determinati dal tratto a binario unico da Battipaglia a Potenza;
   la Città dei «Sassi» Matera e l'area del Metapontino con il suo potenziale turistico e con le sue numerose attività produttive, non può non avvalersi di un trasporto ferroviario rapido e di qualità che attivi connessioni adeguate con i principali snodi della rete nazionale e con la rete dell'alta velocità;
   alla Basilicata deve essere garantito un trasporto ferroviario di qualità, efficiente che colleghi la regione verso le città che sono servite dall'alta velocità Salerno, Napoli, Bari per potenziare la sua offerta turistica ricettiva in vista dell'appuntamento di Matera Capitale della cultura 2019 e in considerazione dell'aumento dei flussi turistici che diventa strategico per l'intero Mezzogiorno;
   per l'interrogante non è più rinviabile l'assunzione di atti per accrescere e migliorare l'offerta ferroviaria in occasione della stipula del nuovo contratto di servizio per il 2017-2021, affinché anche nella regione Basilicata possa essere garantito il diritto alla mobilità dei pendolari e un servizio ferroviario efficiente –:
   quale sia l'orientamento del Governo sulla vicenda descritta in premessa e se ritenga necessario attivare, per quanto di competenza, un tavolo istituzionale con la regione Basilicata e Trenitalia affinché siano garantiti collegamenti ferroviari rapidi ed efficaci con le connessioni alla rete dell'alta velocità;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per risolvere definitivamente l'annosa questione dei treni che percorrono la tratta Roma-Salerno-Potenza-Taranto, evitando così disagi legati alla mobilità dei pendolari;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda attivare nei confronti di Trenitalia e Rete ferroviaria italiana affinché venga inserito nel nuovo contratto di programma 2017-2021 un nuovo collegamento su Roma in vista del 2019, anno in cui Matera sarà città della cultura, e la velocizzazione della tratta Roma-Salerno-Potenza-Taranto, per consentire ai viaggiatori di effettuare gli spostamenti con minori tempi di percorrenza. (3-02226)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la carenza di interventi e di controlli specifici in relazione alle tensioni che si realizzano tra gruppi di stranieri in molte parti sensibili del territorio nazionale sta raggiungendo livelli intollerabili, suscettibili di mettere in discussione l'ordine pubblico e la civile convivenza;
   il riferimento specifico è ad un gravissimo episodio, occorso a Soresina nella notte tra domenica e lunedì 25 aprile, che la stampa (numerosi articoli tra i quali quello intitolato «Rissa da Far West a Soresina, la rabbia dei residenti» su Cremona Oggi del 28 aprile 2016) ha riportato evidenziando che «in via XX Settembre le persone coinvolte hanno divelto cartelli stradali che hanno usato come armi» in «una scena che i testimoni hanno definito “da guerriglia urbana”» che «ha interessato diverse vie del paese e tenuto svegli diversi cittadini»;
   il ripetersi costante di fatti di questa portata deve essere necessariamente ricollegato alle continue denunce da parte dei sindacati delle forze dell'ordine per i quali tali situazioni, in particolare nella provincia di Cremona, si verificano in una situazione complessivamente caratterizzata da fattori quali «le pesanti carenze di organico (riduzione di 45 mila unità nelle forze dell'ordine di cui 18 mila nella sola polizia di stato), la macroscopica inadeguatezza dell'attrezzatura (caschi marci, armi vecchie anche di 40 anni o poco meno, giubbetti antiproiettile scaduti, auto non efficienti, divise insufficienti, eccetera), il deficit di addestramento (preparazione specifica antiterrorismo per un numero ridottissimo di operatori, mentre per gli altri solo con un corso teorico di poche ore), lo sfacelo di molte strutture in cui alloggia e opera il personale e la mancata fornitura di strumenti come spray antiaggressione e videocamere in ogni teatro operativo che possono evitare tante tragedie e altrettanti calvari giudiziari»; gli agenti a cui è attribuita la responsabilità del controllo e della sicurezza sono «costretti ad operare nel contesto di un apparato della sicurezza ormai debilitato e dove le libertà fondamentali di espressione in dissenso vengono represse finanche con provvedimenti amministrativi costruiti con motivazioni assurde» (si veda il comunicato pubblicato su Cremona Oggi dell'11 febbraio 2016) –:
   se il Ministro sia a conoscenza del verificarsi del fatto di cui in premessa e di fatti analoghi occorsi nel medesimo territorio, notoriamente a rischio sotto il profilo dei rapporti tra comunità di stranieri;
   quali iniziative abbia adottato o intenda adottare al proposito;
   quali iniziative intenda adottare per far fronte alle gravissimi carenze di organico e materiali denunciate dalle forze dell'ordine nei termini esposti. (4-13046)


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 31 maggio 2015 si sono svolte le elezioni amministrative nel comune di Cervinara (Avellino) dove si sono contrapposte due liste: la n. 1 «Movimento Bene Comune» ha candidato a sindaco Vincenzo Tubano conseguendo n. 2168 voti pari al 33,98 per cento e la n. 2 «Lista civica-Cervinara nel cuore», che ha candidato a sindaco Filuccio Tangredi il quale conseguendo n. 4211 voti, pari al 66,01, è stato eletto primo cittadino dell'importante comune della Valle Caudina;
   pochi giorni dopo lo svolgimento della consultazione elettorale amministrativa, il 2 giugno 2015, il signor Clemente Pasquale, cittadino di Cervinara, consegnava al signor, Passariello Benito, presidente del Comitato elettorale della lista elettorale n. 1, quattordici schede elettorali di colore azzurro munite di timbro di seggio e di firma di uno degli scrutatori in esso presenti, precisando che le aveva ritrovate in una abitazione del paese dove si era recato per svolgere un lavoretto manutentivo, precisamente dove risiedeva il dottor Francesco Taddeo nominato in extremis dal sindaco pro tempore di Cervinara presidente del seggio n. 7 , a seguito di rinuncia del presidente già designato dalle autorità competenti;
   dal verbale della D.I.G.O.S. di Avellino risultava che spontaneamente il signor Taddeo Francesco dichiarava di essere un fedelissimo del sindaco Filuccio Tancredi e che era stato proprio quest'ultimo, in qualità di sindaco uscente in carica, a chiedergli di sostituire alla sezione n. 7 il presidente rinunciatario;
   il giorno successivo, 3 giugno 2015, il signor Benito Passariello consegnava le suddette schede elettorali alla D.I.G.O.S. di Avellino che redigeva apposito verbale;
   il 17 giugno 2015 la D.I.G.O.S. di Avellino consegnava al signor Passariello Benito il verbale di notifica del decreto di convalida di sequestro emesso dalla procura della Repubblica di Avellino presso il tribunale di Avellino, sostituto procuratore, dottoressa Antonella Salvatore;
   nello specifico dall'indagine emergeva che i verbali di seggio elettorale n. 5, 7 e 12 alla rispettiva pagina n. 29 non riportavano il numero delle «schede autenticate ma non utilizzate» per cui si rendeva difficile definire l'esatto conteggio complessivo delle schede assegnate ai singoli seggi nonché di quelle effettivamente mancanti;
   il 29 giugno 2015, a seguito dei fa innanzi esposti, il candidato a sindaco Vincenzo Iuliano più altri, a mezzo dell'avvocato Edoardo Silvestro presentavano ricorso al T.A.R. della Campania-sezione di Salerno per chiedere «l'annullamento delle operazioni elettorali per il Comune di Cervinara tenute il 32/05/2015... o, in subordine annullandosi e modificandosi gli atti impugnati nelle parti interessate, correggendosi i risultati secondo le legittime risultanze»;
   il 21 agosto 2015 viene depositata la memoria per la prima udienza da tenersi il 23 settembre 2015 confermando le richieste originarie e l'impugnazione del «verbale di proclamazione degli eletti» a firma degli avvocati Dimitri Monetti e Nicola Di Modugno;
   il T.A.R. il 17 dicembre 2015 richiede incombenti istruttori alla prefettura di Avellino, al fine di completare la relazione istruttoria e accertare i motivi dei ricorrenti;
   il 9 febbraio 2016, a seguito di ordinanza istruttoria del T.A.R. Campania-sezione prima di Salerno n. 2647/2015 del 17 dicembre 2015, la prefettura di Avellino, al fine di predisporre l'espletamento degli incombenti istruttori disposti dal suddetto T.A.R., trasmette al tribunale di Avellino richiesta di documentazione elettorale, in particolare «i seguenti plichi elettorali, limitatamente, per ora, alle sezioni elettorali n. 5, 7 e 12 del Comune di Cervinara, che si sono svolte il 31 maggio 2015»;
   l'11 febbraio 2016 il tribunale di Avellino provvede alla ricerca della documentazione richiesta dalla prefettura di Avellino e stila apposito verbale nel quale, tra l'altro, si riporta che: «i plichi relativi alla sezione n. 7 di Cervinara sono stati oggetto di sequestro da parte della Procura della Repubblica mentre per la sezione n. 12 di Cervinara non è stata rinvenuta la busta n. 3 © ma solo quella omologa contraddistinta dal n. 3 ® destinata, però, a contenere le schede avanzate delle elezioni regionali, tenuto conto che queste ultime consultazioni si sono anch'esse svolte il 31 maggio 2015 contestualmente alle elezioni comunali di Cervinara; è presumibile, pertanto che le schede avanzate delle elezioni comunali della succitata sezione n. 12 siano state, per errore, inserite nella busta 3 ®»;
   il 25 febbraio 2016 il sostituto procuratore della Repubblica di Avellino comunicava, a seguito di istanza rivolta dalla prefettura di Avellino, che «le schede in sequestro e versate in consegna agli atti provenienti dalla sezione n. 7 e che dalle indagini effettuate non risultano reperite n. 233 schede elettorali relative alle elezioni comunali autenticate dalla sezione n. 7 e non utilizzate per la votazione, sebbene risulti che tali schede sono state consegnate dalla sezione n. 7 al Comune di Cervinara al termine delle operazioni elettorali»; invece dal verbale di accertamenti di atti acquisiti dalla D.I.G.O.S. di Avellino e dall'esame della scatola avvolta con la busta denominata n. 3 © atta a contenere le schede comunali avanzate a chiusura votazione – risulta anche: che vi erano n. 85 schede non firmate e n. 99 schede firmate e non timbrate, tutte riferite alle elezione del Presidente della Giunta Regionale e del Consiglio Regionale della Campania del 31 maggio 2015, per complessive 184 schede di colore verde;
   all'udienza del 15 marzo 2016 i richiedenti chiedono rinvio al fine di consentire alla prefettura di Avellino di completare la relazione istruttoria in quanto mancano dei documenti della procura della Repubblica di Avellino;
   per quanto innanzi esposto in modo circostanziato e documentato, si palesano a giudizio dell'interrogante, degli incontestabili accadimenti che di fatto hanno inficiato la trasparenza e il genuino svolgimento delle operazioni di voto, gettando un'ombra sulla stessa regolarità dell'esito –:
   quali iniziative di competenza abbia eventualmente assunto o intenda assumere per favorire l'accertamento dei gravi fatti accaduti affinché si possa ottenere con la massima tempestività quanto richiesto dal TAR della Campania-sezione di Salerno alla prefettura di Avellino. (4-13051)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 febbraio 2016 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca pubblicava il bando di concorso per il reclutamento del personale docente (Prot. n. 0000106 – 23 febbraio 2016). Da tale bando si apprende – fra le altre cose – che alcune prove, per alcune classi di concorso, saranno accorpate fra regioni;
   nell'avviso con oggetto «DD.DD.GG nn. 105, 106 e 107 del 23.02.2016 “concorsi per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per i posti comuni e di sostegno dell'organico dell'autonomia della scuola dell'infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado”. Nella parte relativa alle prove scritte si legge poi: “Ai sensi e per gli effetti di quanto previsto all'articolo 7, comma 1, dei DD. DD. GG. n. 105, n. 106 e n. 107 del 23 febbraio 2016, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (IV serie speciale – Concorsi) n. 16 del 26 febbraio 2016, si comunica che le prove scritte del concorso a posti e cattedre per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente nella scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di I e II grado, per posti comuni e di sostegno, si svolgeranno secondo il calendario allegato»;
   in suddetto calendario, sono quindi indicate le date dell'espletamento delle prove per le differenti classi di concorso. Nonostante ciò, a quanto si apprende, le relative sedi sono state invece indicate – di volta in volta – dai diversi uffici scolastici regionali;
   nello specifico, il 22 aprile 2016, l'ufficio scolastico regionale del Lazio ha pubblicato le sedi di svolgimento di diverse prove, fra le quali quelle per l'ambito disciplinare AD05: classe di concorso AA24–lingue e culture straniere negli istituti di istruzione secondaria di II grado (francese) classe di concorso AA25 – lingua inglese e seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado (francese);
   sempre nel Lazio si svolgeranno le prove delle regioni Sardegna ed Umbria. Da ciò ne scaturisce che l'ufficio scolastico regionale del Lazio sarà responsabile dello svolgimento della intera procedura concorsuale e dell'approvazione delle graduatorie per i posti delle due regioni citate, così come previsto dall'articolo 400, comma 2, del decreto legislativo n. 297 del 1994, recante testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione; 
   sempre in data 22 aprile 2016, l'ufficio scolastico regionale della Sardegna pubblicava le sedi di svolgimento di varie prove, fra le quali quelle per l'ambito disciplinare AD05: classe di concorso AB24 – lingue e culture straniere negli istituti di istruzione secondaria di II grado (inglese) classe di concorso AB25 – lingua inglese e seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado (inglese);
   oltremodo, sempre in data 22 aprile 2016 diversi insegnanti si sono resi conto che gli abilitati per le classi AA24/AA25 AB24/AB25 dovranno sostenere la prova concorsuale mercoledì 18 maggio 2016 dalle ore 14 a Frosinone per la AB24/ AB25 e giovedì 19 maggio dalle ore 8 a Nuoro per la AA24/AA25;
   in tal modo, numerosi docenti sardi saranno costretti a sostenere le prove in tutto il Lazio, non a Roma, ma in diverse città dislocate per la regione;
   tale situazione – che probabilmente si sarà verificata anche per altri insegnanti del territorio nazionale — è oltremodo penalizzate per gli abitanti della Sardegna, data la specificità del territorio e le oggettive difficoltà per i partecipanti al concorso, che dovranno affrontare un aggravio di spesa, per gli spostamenti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga gravemente discriminante una tale dislocazione delle prove dell'esame in questione e se non intenda valutare di assumere iniziative per indennizzare gli insegnati della Sardegna che hanno partecipato alle prove concorsuali di cui in premessa per il danno subito. (5-08549)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno del 2001 nel porto di Taranto è stato aperto il terminal contenitori, uno tra i più moderni nel Mediterraneo con una capacità di movimentazione di oltre 2 milioni di TEU l'anno. Tale terminal è situato sul molo polisettoriale dotato di un'area operativa di 110 ettari con 25 ettari di piazzale, dove sono disponibili 7062 posizioni a terra per container, pari ad una capacità di 35.310 TEU. La banchina utilizzata dal terminal ha una lunghezza di 1550 metri ed un fondale di 15,5 metri che consente l'attracco di navi con pescaggio fino a 14,5 metri;
   il terminal fu dato in concessione alla Taranto Container S.p.a. il cui maggiore azionista, insieme alla Evergreen, era la Hutchinson Port Holding, terminal operatore leader mondiale del settore, dal 2001 fino alla fine del 2014, occupando circa 524 lavoratori oggi in cassa integrazione;
   il terminal, attualmente oggetto di interventi infrastrutturali, si presta certamente ad un riutilizzo con coinvolgimento di più operatori e con maggiori funzioni; 
   come si apprende dall'articolo de « larimghiera.it», pubblicato il 26 aprile 2016, «tra gli ex lavoratori Tct c’è grande apprensione perché il prossimo 11 settembre scade la cassa integrazione straordinaria e l'azienda non sembra intenzionata a concedere proroghe. Un incontro in tal senso si è svolto negli uffici dell'Agenzia del Lavoro presso la Provincia di Taranto, lo scorso 21 aprile. La riunione si è conclusa con un nulla di fatto e Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno chiesto un aggiornamento»;
   inoltre, i sindacati di categoria avrebbero inviato una richiesta alla Presidenza del consiglio e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali (oltre che alle autorità locali) per chiedere: «l'attivazione di strumenti da hoc per la gestione degli esuberi nella prospettiva della piena ripresa delle attività commerciali; un aggiornamento della consultazione in sede amministrativa, prima della chiusura della stessa (11 maggio p.v.), presso Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale». La richiesta sembra non sia stata l'unica, ma segue altre precedenti sollecitazioni del 15 febbraio 2016, del 23 marzo 2016, del 12 aprile 2016;
   quindi, i sindacati starebbero lavorando per ottenere una proroga di altri sei mesi della Cassa integrazione guadagni straordinaria e chiedono al Governo che si svolga una riunione in tal senso prima dell'11 maggio quando, cioè, si chiuderà la fase amministrativa di consultazione tra le parti e verrà avviata la procedura di mobilità che terminerà con la scadenza del periodo di Cassa integrazione guadagni straordinaria l'11 settembre 2016;
   i lavoratori, a parere dei sindacati, corrono il rischio di rimanere senza lavoro e senza sussidio a pochi mesi prima del completamento delle opere di potenziamento strutturale del molo polisettoriale, previsto per dicembre, e dell'affidamento delle nuove concessioni –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare per tutelare i 524 lavoratori coinvolti;
   se ritenga, in relazione a quanto espresso in premessa, di intervenire, accogliendo le richieste dei sindacati e fissando un incontro prima dell'11 maggio 2016 per concordare la proroga di altri sei mesi di cassa integrazione per gli operai in mobilità, in attesa della riapertura del molo container e dell'avvio delle attività commerciali, e quale ne sia la tempistica. (5-08547)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO e BUSINAROLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 359 del codice di procedura penale (libro quinto – indagini preliminari e udienza preliminare – Titolo V attività del pubblico ministero (articoli 358-378)) prevede che il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare e avvalersi di consulenti, che non possono rifiutare la loro opera;
   i consulenti tecnici sono nominati dal pubblico ministero, il quale, per prassi, li nomina anche su suggerimento dei soggetti di polizia giudiziaria, tra soggetti di comprovata esperienza ed affidabilità, chiamati a fornire contributi di natura tecnico-scientifica, fondati su cognizioni specialistiche non possedute dall'organo inquirente;
   il consulente tecnico, è nominato discrezionalmente dal magistrato inquirente o dal giudice, viene investito di una pubblica funzione e svolge attività talvolta sostanzialmente giurisdizionali o di ausilio alle attività di indagine, pur senza avere uno stabile rapporto d'impiego con lo Stato;
   tra i consulenti tecnici, assumono un ruolo significativo i soggetti che procedono alla traduzione dalle lingue straniere alla lingua italiana delle conversazioni intercettate nell'ambito dei procedimenti giudiziari, al fine dell'acquisizione dei necessari elementi probatori circa il delineamento delle attività criminose finalizzate all'impedimento dell'azione delinquenziale;
   i consulenti che procedono alla traduzione delle conversazioni intercettate svolgono un'attività coordinata con il magistrato e gli ufficiali di polizia giudiziaria nel corso del procedimento giudiziario. Lavorando presso gli uffici di polizia giudiziaria a cui è assegnata l'indagine sono a piena disposizione del pubblico ministero e degli organi inquirenti e sono di norma disponibili a prestare il proprio lavoro anche nelle fasce orarie notturne e nei giorni festivi. Ciò anche per garantire un'interpretazione pressoché istantanea in occasione di pedinamenti e osservazioni, anche su lassi di tempo molto estesi, per poter sviluppare accertamenti in maniera tempestiva ed approfondita nonché per permettere in tempo reale una ricostruzione chiara e completa di situazioni o dinamiche criminose che rimarrebbero non individuabili e incomprese da parte del personale di polizia giudiziaria non specializzato. Il lavoro svolto da tali consulenti è pertanto ritenuto indispensabile per un proficuo ed efficace espletamento dell'attività giudiziaria e delle attività investigative ed in particolare relativamente ai delitti di criminalità organizzata;
   gli stessi addetti alla traduzione e all'interpretazioni possono ricevere simultaneamente più incarichi nel corso del medesimo anno solare e, non di rado, in procedimenti giudiziari che si svolgono nel medesimo arco temporale. Tuttavia, gli orari giornalieri e la durata dell'incarico sono caratterizzati da un elevato grado di incertezza essendo entrambi vincolati alle scelte investigative e di indagine e all'esito del procedimento giudiziario, la cui archiviazione, estensione o chiusura sono determinate, nella quasi totalità dei casi, da cause contingenti;
   la retribuzione dei consulenti addetti alle traduzioni delle conversazioni registrate e della documentazione prodotta nel corso delle indagini è disciplinata dall'articolo 4, «onorari commisurati al tempo», della legge 8 luglio 1980, n. 319, che regola i compensi spettanti agli interpreti e ai traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria;
   l'articolo 4 della legge n. 319 del 1980 prevede che gli onorari siano commisurati al tempo impiegato e vengano determinati in base alle vacazioni. La vacazione è di due ore. L'onorario per la prima vacazione era in origine di Lire 10.000 e per ciascuna delle successive è di lire 5.000. L'onorario per la vacazione può essere raddoppiato quando per il compimento delle operazioni è fissato un termine non superiore a cinque giorni. Può essere aumentato fino alla metà quando è fissato un termine non superiore a quindici giorni. L'onorario per la vacazione non si divide che per metà. Trascorsa un'ora e un quarto è dovuto interamente;
   l'articolo 4 della legge n. 319 del 1980 prevede altresì che il giudice non può liquidare più di quattro vacazioni al giorno per ciascun incarico e che questa limitazione non si applica agli incarichi che vengono espletati alla presenza dell'autorità giudiziaria, per i quali deve farsi risultare dagli atti e dal verbale di udienza il numero delle vacazioni. Ai sensi e per gli effetti dell'articolo 455 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, il magistrato è tenuto, sotto la sua personale responsabilità, a calcolare il numero delle vacazioni da liquidare con rigoroso riferimento al numero delle ore che siano state strettamente necessarie per l'espletamento dell'incarico, indipendentemente dal termine assegnato per il deposito della relazione o traduzione;
   il decreto 30 maggio 2002 del Ministro della giustizia di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, intitolato «Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell'autorità giudiziaria in materia civile e penale», all'articolo 1 prevede che gli onorari di cui all'articolo 4 della legge 8 luglio 1980, n. 319, sono rideterminati nella misura di euro 14,68 per la prima vacazione e di euro 8,15 per ciascuna delle vacazioni successive;
   per i procedimenti di lunga durata, la richiesta di liquidazione del lavoro svolto avviene normalmente su base mensile e contiene le ore di lavoro prestato nonché le vacazioni da retribuire. Inoltre, per prestazioni di particolare complessità che implicano l'interpretazione, la descrizione e la spiegazione di terminologie e di aspetti sociali e geografici delle località di origine degli autori delle conversazioni, quando il magistrato dichiari l'urgenza dell'adempimento o quando l'incarico si svolga collegialmente, il compenso può essere aumentato sino al doppio;
   il mandato di pagamento consegnato al consulente che si occupa di interpretazione e traduzione ha la forma del «Modello per il pagamento delle spese di giustizia». Qualora il consulente dichiari di non essere soggetto a I.V.A., nel mandato viene applicata una ritenuta IRPEF del 23 per cento nonché l'addizionale regionale. Non viene invece applicata alcuna ritenuta previdenziale sebbene l'attività lavorativa del consulente abbia tutte le caratteristiche definite dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n.81, che regola il lavoro a tempo parziale, il lavoro intermittente, il lavoro a tempo determinato, la somministrazione di lavoro, l'apprendistato e il lavoro accessorio nonché le caratteristiche definite dal precedente decreto legislativo settembre 2003, n. 276 che regolava le tipologie contrattuali a orario ridotto, modulato o flessibile e le tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Le modalità di impiego dei consulenti che si occupano di interpretazione e traduzione, pur apparendo essi a tutti gli effetti come lavoratori subordinati e come è peraltro attestato dal modello CUD (ora certificazione unica) rilasciato dalla procura della Repubblica che inserisce gli importi lordi attribuiti alla voce «Redditi di lavoro dipendente e assimilati con contratto a tempo determinato», non determinano il versamento dei contributi previdenziali sull'importo della retribuzione corrisposta da parte del datore di lavoro;
   inoltre, la procura della Repubblica, che in qualità di organo giudiziario inquirente con competenza territoriale presso il tribunale ordinario risultata essere il datore di lavoro a tutti gli effetti, al momento della nomina dei consulenti tecnici per le interpretazioni e le traduzioni o al momento della scadenza della nomina stessa, non provvede a comunicare verso il competente centro per l'impiego i rapporti instaurati, trasformati e cessati come invece prevederebbe la legge 27 dicembre 2006, n. 296 –legge finanziaria 2007 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati nelle premesse e se intenda assumere le iniziative normative di competenza per la regolarizzazione previdenziale dei consulenti tecnici per l'interpretazione e la traduzione di conversazioni e documenti in lingua straniera non titolari di partita Iva e nominati ai sensi dell'articolo 359 del codice di procedura penale, a partire dall'entrata in vigore del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 anche ai fini del riconoscimento del periodo lavorativo per il raggiungimento dei requisiti minimi pensionistici. (4-13054)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della comunicazione prot. n. 00600628 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel 2013, che segnalava la presenza anomala di sostanze perfluoro-alchiliche (PFAS) diversi corpi idrici superficiali e nei punti di erogazione pubblici delle acque della provincia di Vicenza e comuni limitrofi, il dipartimento dell'Arpav di Vicenza, in collaborazione con le altre strutture dell'Agenzia e della regione, iniziava le prime indagini necessarie alla delimitazione dell'inquinamento e all'individuazione delle relative fonti di emissione;
   nel luglio 2013 le autorità informarono i cittadini sulla presenza nelle falde acquifere del Veneto, di tali composti, una nuova classe di inquinanti persistenti globali che resistono per anni nel sangue e per decenni nelle matrici ambientali;
   i PFAS (sostanze perfluoroalchiliche chimiche di sintesi utilizzate principalmente per rendere resistenti ai grassi e all'acqua vari materiali come tessuti, tappeti, carta, eccetera) sono prodotti nel Nord-est da una multinazionale di Trissino (Vicenza) che, secondo l'ARPAV, li ha immessi per decenni direttamente nel fiume Agno e in un depuratore civile che scarica nel fiume Fratta-Gorzone, la cui acqua è usata per irrigare i campi e allevare gli animali;
   la scoperta fu del tutto casuale, ma per tre anni il fascicolo è rimasto fermo negli uffici della procura. «Non possiamo procedere perché i Pfas non sono previsti come inquinanti dalla legge italiana», avevano spiegato al ilfattoquotidiano.it fonti della procura di Vicenza, aggiungendo che «non vi è indicazione del limite di concentrazione di queste sostanze nella acqua». Per contestare il reato di inquinamento delle acque serve «almeno uno studio epidemiologico»;
   la situazione è nel frattempo degenerata e ora è allarme nelle province venete di Vicenza, Verona e Padova. Sarebbero ben 59 i comuni interessati dall'inquinamento acquifero e, secondo l'assessore regionale alla sanità, sono più di 60 mila le persone contaminate nel cui sangue sono state ritrovate varie sostanze derivanti dall'inquinamento da Pfas. Concentrazioni «significativamente superiori» rispetto al resto della popolazione si legge nel biomonitoraggio condotto dall'Istituto superiore di sanità realizzato nei mesi scorsi. Di conseguenza, nei giorni scorsi vi è stato l'annuncio, da parte della procura di Vicenza, dell'apertura di un'inchiesta per danno ambientale a seguito di notizie di stampa;
   da Trissino a Montagnana, passando per Lonigo, Cologna Veneta e Vicenza tanti sarebbero i pozzi inquinati da queste sostanze che avrebbero una persistenza di ben 60 anni nell'acqua e di 5 nel sangue. Un vero e proprio disastro ambientale che tanto ricorda la terra dei fuochi; 
   la preoccupazione di tutti si rinviene nelle pagine de  ilfattoquotidiano.it: Si fa riferimento alla riunione del tavolo tecnico regionale sui Pfas, che si è svolta il 13 gennaio 2016, ed in particolare al verbale che la testata giornalistica avrebbe potuto consultare dove è racchiusa la paura dei tecnici: «Nessuna azione a tutela della salute, pericolo può estendersi in tutta Italia»;
   si tratta di un documento inedito, di cui ilfattoquotidiano.it sembra essere in possesso, e che rivela la tensione con cui le istituzioni riunite presso la regione Veneto stanno affrontando l'emergenza sanitaria relativa. Emergenza che gli stessi funzionari della direzione tutela ambiente della regione considerano «non sotto controllo»;
   al di là delle polemiche e delle reciproche accuse apparse su alcuni quotidiani in merito agli interventi più o meno tempestivi degli uni e degli altri in tale situazione di gravissima emergenza, l'intento deve essere quello di eliminare immediatamente le cause di inquinamento ed intervenire in modo rapido sulle conseguenze –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo abbia intenzione di porre in essere, in collaborazione con la regione Veneto, con l'Istituto superiore di sanità e con tutti gli enti preposti alla tutela della salute dei cittadini veneti e al risanamento ambientale, al fine di scongiurare un nuovo e drammatico disastro. (4-13049)


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 162/2014 la Corte costituzionale ha, sancito l'illegittimità del divieto di fecondazione eterologa previsto dalla legge n. 40 del 2004. Con riguardo alle possibilità di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, la Corte ha affermato che: «Deve anzitutto essere ribadito che la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini ed in un ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni di tale libertà, e in particolare un divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall'impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza n. 332 del 2000). La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch'essa attiene a questa sfera»;
   oggi, a due anni da quella sentenza, si è praticamente fermi: ostacoli, cavilli burocratici, caos normativo, regioni che sulla sanità procedono in ordine sparso per cui quello che è un diritto costituzionalmente garantito fa ancora fatica ad essere applicato;
   «Con la fecondazione assistita di tipo eterologo non siamo ancora partiti» è una delle risposte più frequenti che si ricevono dai centralini degli ospedali pubblici italiani. Il problema principale, stando a quanto riferiscono i medici responsabili dei reparti di ginecologia e medicina della riproduzione, starebbe nella pressoché totale assenza di donatori: mancano cioè gameti maschili e femminili. I motivi per cui tale approvvigionamento è estremamente difficile in Italia sono molteplici. Prima di tutto ciò è legato ad un fenomeno culturale, in quanto manca una cultura della donazione ed in tal senso bisogna rilevare una totale mancanza di una campagna informativa, sull'esempio di quelle promosse dal Ministero della salute per la donazione di sangue e organi;
   altro motivo sembra riscontrarsi sia nella mancanza di un rimborso ai donatori sia nell'assenza di previsione di spesa di copertura degli screening a cui i donatori devono sottoporsi per sicurezza sanitaria e tracciabilità; tale spesa attualmente è a carico dei donatori. A differenza per esempio della Spagna dove, per legge, i donatori possono avere 30 euro e le donatrici 800, l'Italia, invece, è tra i Paesi europei che hanno scelto di non concedere alcun rimborso spese per la donazione. «Questo, afferma uno dei pochi donatori italiani che ha accettato di concedere un'intervista anonima a FaiNotizia, non andrebbe a eliminare il concetto di gratuità della donazione. Chiedere ad un donatore di dover mettere i soldi di tasca propria in un procedimento che impiega tempo e impegno è sicuramente un disincentivo. I tempi delle analisi sono stati piuttosto lunghi, io ho iniziato a marzo dell'anno scorso e ho finito le ultime raccolte in ottobre e ho speso 230 euro. Un rimborso spese sarebbe auspicato e auspicabile dal personale medico stesso»;
   di conseguenza, senza donatori l'unica soluzione è importare gameti dall'estero. In tal senso, nell'ambito del nuovo assetto normativo, la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 nel 2014) all'articolo 1, comma 298, «Al fine di garantire, in relazione alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, la tracciabilità del percorso delle cellule riproduttive dal donatore al nato e viceversa, nonché il conteggio dei nati generati dalle cellule riproduttive di un medesimo donatore», ha previsto la creazione di un «Registro dei donatori di cellule riproduttive per tecniche di fecondazione eterologa» presso l'Istituto superiore di sanità, Centro nazionale trapianti e nell'ambito del Sistema formativo trapianti (SIT) di cui alla legge 10 aprile 1999, n. 91;
   tale registro contiene «tutti i soggetti ammessi alla donazione, mediante l'attribuzione ad ogni donatore di un codice. A tal fine, le strutture sanitarie autorizzate al prelievo e al trattamento delle cellule riproduttive comunicano al Registro i dati anagrafici dei donatori, con modalità informatiche specificamente predefinite, idonee ad assicurare l'anonimato dei donatori medesimi. Fino alla completa operatività del Registro, i predetti dati sono comunicati al Centro nazionale trapianti in modalità cartacea, salvaguardando comunque l'anonimato dei donatori». Dall'aprile 2015 al 1o luglio 2015 i dati dei donatori e le informazioni sui nati sarebbero stati trattati in violazione della legge n. 40, delle normative internazionali che l'Italia ha recepito e delle norme sulla privacy; come accertato dal Garante della Privacy è stata violata la privacy dei donatori collegati alle coppie riceventi prevedendo l'invio dei dati in chiaro e non tramite il codice criptato. Mentre in riferimento ai dati relativi all'importazione di gameti dall'estero il Centro nazionale trapianti e l'Istituto superiore della sanità mantengono l'assoluto riserbo ed in ogni caso ad utilizzarli sono soprattutto i centri privati con le conseguenze economiche che si possono immaginare;
   eppure all'indomani della sentenza della Corte Costituzionale, il Ministro della salute, in un'audizione del 29 luglio 2014 aveva affermato che la procreazione medicalmente assistita eterologa sarebbe stata inserita nei lea, i livelli essenziali di assistenza, e che in attesa di tale inserimento occorreva vincolare una quota del fondo sanitario nazionale per permettere l'accesso alla procreazione medicalmente assistita nei centri pubblici, con l'obiettivo di «mettere regioni e centri di Pma in condizione di partire subito con l'eterologa». A due anni di distanza però, nulla è cambiato e gli ultimi aggiornamenti dei lea portano la data del 2001;
   nella seduta del 22 dicembre 2014, è stato accolto come raccomandazione dal Governo l'ordine del giorno 9/2679-bis-B/117 con il quale si impegna lo stesso ad inserire le procedure di procreazione medicalmente assistita nei livelli essenziali di assistenza (LEA);
   si rileva infine che, a dare diretta attuazione alla sentenza ci hanno allora pensato le regioni, con l'approvazione del documento sulle problematiche relative alla fecondazione eterologa a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 4 settembre 2014 che fornendo «indirizzi operativi ed indicazioni cliniche omogenee rende immediatamente applicabile la decisione della Corte». Quel documento però, pur essendo stato approvato all'unanimità, non è stato recepito da tutti. All'appello mancano infatti Campania, Calabria, Sardegna e Basilicata, ma anche lì dove esistono delibere di recepimento altri casi e particolarità le rendono inapplicabili. Nonostante l'esistenza di atti giuridici validi, infatti, è ancora una volta la volontà politica ad imporre le proprie scelte, con l'inserimento di cavilli che frenano e a volte bloccano tutto il procedimento. Difficoltà se ne trovano in tutte le altre regioni italiane, ad eccezione di Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, le uniche che consentono ad oggi di poter accedere a tecniche di fecondazione assistita di tipo eterologo nel pubblico. I tempi, però, come si può immaginare, non sono affatto brevi. In Toscana, ad esempio, la prima data utile è quella del luglio 2017;
   le soluzioni, dunque, tornano ad essere ancora una volta il «turismo procreativo» o i centri privati, che però non sono accessibili a tutti, con costi che si aggirano intorno ai cinquemila euro. Per chi non volesse spostarsi poi si può ordinare seme da donatori anonimi direttamente on-line. Qui si possono scegliere tratti somatici e «razza». Basteranno, poi, un paio di giorni e poche decine di euro e si riceverà la provetta in contenitore di ghiaccio o di azoto liquido direttamente a casa. On-line è possibile trovare anche soluzioni alternative «low cost». È il «fai da te» in ambito procreativo, ultimo effetto collaterale della legge n. 40. Su forum e social network è possibile trovare annunci di uomini che si offrono di donare il proprio seme a coppie che non riescono ad avere figli. I donatori, insieme ad una breve descrizione di loro stessi, forniscono analisti del sangue e test Hiv, garantendo alte percentuali di successo –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato, dopo un'approfondita indagine, intenda intraprendere nei confronti dei responsabili del Centro nazionale trapianti che, nonostante le norme in vigore in materia, sembra abbiano richiesto i dati dei donatori con nome, cognome, codice fiscale e altre informazioni, dati collegati a coppie riceventi;
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere affinché le tecniche di fecondazione eterologa siano disponibili per tutte le coppie italiane, dando anche attuazione all'ordine del giorno accolto dal Governo in materia. (4-13053)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nel 2011 viene istituito, dal Ministero dello sviluppo economico, il registro delle opposizioni, la cui gestione viene affidata alla Fondazione Ugo Bordoni. Scopo del registro è tutelare la privacy dei cittadini;
   dalla sua istituzione al 31 dicembre 2015 sono state circa 20 mila le segnalazioni di utenti che lamentano la violazione della propria privacy ad opera di aziende di telemarketing (le più attive, quelle di telefonia, luce, gas, tv) e sono stati erogati circa 2,6 milioni di euro di multa;
   ad oggi, gli iscritti al registro delle opposizioni, sono 1,44 milioni e per iscriversi è necessario essere sull'elenco telefonico. Ma non basta l'iscrizione per non essere più chiamati. Come spiega bene Marco Pierani di AltroConsumo: «Iscrivendoci al registro delle opposizioni vietiamo alle aziende di telemarketing solo di usare il nostro numero se lo hanno trovato nell'elenco. Se lo hanno avuto in un altro modo possono chiamarci comunque, a patto di avere ottenuto il nostro consenso che spesso ce lo estorcono con l'inganno»;
   Calogero Pepe, presidente di Federconsumatori Liguria più volte ha espresso preoccupazione per una situazione che diventa di giorno in giorno più grave, soprattutto per quanto riguarda i cittadini più anziani, spesso vittime di vere e proprie truffe telefoniche. La maggior parte dei cittadini che si rivolgono alla associazione chiedono come difendersi dal telemarketing; insieme alle associazioni dei consumatori è anche il segretario generale del Garante per la privacy, Giuseppe Busia, ad affermare che le regole sono sbagliate, il registro non basta; bisogna aumentare per legge le responsabilità degli operatori in caso di abusi delle aziende di telemarketing cui si affidano per le campagne e bisogna istituire un registro delle opposizioni universali che vieti ogni tipo di chiamata pubblicata ai numeri iscritti;
   in altri Paesi europei esiste un registro delle opposizioni universale i cui iscritti non possono mai essere chiamati a scopo di telemarketing, anche se dovesse risultare che in precedenza avevano dato il loro consenso all'utilizzo dei propri dati a fini promozionali –:
   se il Ministro interpellato sia al corrente della situazione e cosa intenda fare, per quanto di competenza, per rispondere alle giuste sollecitazioni pervenute dai cittadini e dallo stesso Garante della privacy.
(2-01360) «Quaranta, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Claudio Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, FOLINO, PLACIDO, AIRAUDO, GREGORI, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, NICCHI, COSTANTINO, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Marche si è registrato un incremento delle ore di cassa integrazione guadagni nel marzo del 2016 rispetto alla rilevazione dello stesso periodo nell'anno precedente. Le ore di cassa integrazione guadagni ammontano nel marzo 2016 a 2,7 milioni suddivise in 1,3 milioni di cassa integrazione guadagni ordinaria, 1,2 milioni di cassa integrazione guadagni straordinaria e 244 mila ore di cassa integrazione guadagni in deroga (dati Inps, elaborati da Ires-Cgil Marche);
   nel primo trimestre 2016, i dati richiamati mostrano una contenuta riduzione in termini complessivi delle ore autorizzate, ma un aumento delle ore richieste ed autorizzate in alcuni settori fondamentali per l'economia regionale, come il settore meccanico (+19,3 per cento) e calzaturiero, che ha visto raddoppiare le ore di cassa nel periodo rilevato rispetto all'omologo periodo dell'anno precedente;  
   i dati mostrano, inoltre, un andamento inverso tra i mesi di febbraio e marzo 2016, rispetto al deciso aumento della cassa ordinaria, che aumenta del 35,8 per cento;
   secondo il segretario della Cgil Marche, Giuseppe Santarelli i dati mettono in rilievo non solo la mancanza di ripresa economica in regione, ma anche segnali preoccupanti per alcuni settori trainanti dell'economia marchigiana, come il sistema moda e quello della meccanica, che vedono crescere l'utilizzo della cassa integrazione (nota Cgil Marche, 29 aprile 2016);
   l'assenza di una ripresa economica stabile nella regione Marche è stata più volte segnalata dal primo firmatario del presente atto in diversi atti di sindacato ispettivo, volti a segnalare l'assenza di politiche adeguate per sostenere l'economia territoriale –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di sostenere i settori industriali richiamati in premessa. (5-08548)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Bonafede n. 2-01355, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Brescia n. 5-07134, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta scritta Brescia ed altri n. 4-11362, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Liuzzi n. 5-08104, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta scritta Nuti ed altri n. 4-12752, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta scritta Lenzi n. 4-13004, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Galli Carlo n. 1-01193, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 586 del 9 marzo 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    il grado di civiltà e di democrazia di una nazione si misura anche dal grado di diffusione delle conoscenze scientifiche e più in generale dalla consapevolezza culturale dei suoi cittadini e tali principi sono sanciti dall'articolo 9 della Costituzione secondo il quale: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»;
    le sfide poste dalla globalizzazione, dalla rivoluzione delle comunicazioni e dell'informatica e dal passaggio alla «società della conoscenza», rendono necessario adeguare le forme sin qui invalse nell'accesso al sapere e nel sostegno alla ricerca, in relazione sia alla crescente importanza delle conoscenze nella competitività internazionale, sia alla esigenza di confrontarsi con altre lingue e culture;
    l'Unione europea ha elaborato dal 2001 una apposita «strategia di Lisbona», rinnovata con la Strategia 2020, che mira ad accrescere il livello scientifico e tecnologico e a rendere l'Unione una delle aree più avanzate del pianeta e pone come obiettivo quantitativo minimo la quota del 3 per cento del prodotto interno lordo per ricerca e sviluppo;
    spetta agli Stati membri dell'Unione europea assicurare un armonioso sviluppo di ricerca e cultura, il cui snodo istituzionale è l'università pubblica, garantendone una idonea distribuzione territoriale per assicurare pari opportunità e coesione sociale;
    davanti alle sfide aperte dalla trasformazione delle società industriali e dalle esigenze di maggiore formazione e qualificazione dei cittadini e della forza lavoro, gli ultimi Governi italiani, disattendendo il dettato costituzionale e in contraddizione con gli impegni di Lisbona, hanno progressivamente ridotto ad università ed enti di ricerca il supporto finanziario necessario al loro funzionamento, al punto da metterne a volte a repentaglio la sopravvivenza;
    l'analisi del bilancio dello Stato su dati della ragioneria generale testimonia come, mentre cresce la spesa pubblica corrente, sulla ricerca si siano addensati tagli superiori a qualsiasi altro settore pubblico: la missione 17 (ricerca e innovazione) dal 2008 al 2014 è passata da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro e la missione 23 (istruzione universitaria) nel medesimo arco temporale è passata da 8,6 miliardi di euro a 7,8 miliardi di euro, con un calo totale del 20 per cento. Come dichiarato nel corso di un'audizione al Senato dalla ragioneria dello Stato tra le complessive 34 missioni che costituiscono il bilancio statale quelle maggiormente ridimensionate (nel suddetto periodo) sono state, nell'ordine, la missione, Istruzione universitaria (-19,9 per cento in media), la missione fondi da ripartire (-14,5 per cento in media) e la missione ricerca e innovazione (-12,17 per cento in media);
    la struttura dei finanziamenti pubblici alla ricerca, stanziati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca quale organo istituzionalmente deputato, è riconducibile a due tipi di fondi: il fondo ordinario all'università (FFO), che dovrebbe coprire la spesa per gli stipendi del personale docente e amministrativo, per la ricerca e per la manutenzione delle strutture; il fondo ordinario agli enti (FOE), a cui si aggiungono i finanziamenti competitivi (PRIN) e (FIRB) a università ed enti e di finanziamenti alla ricerca industriale (FAR). L'analisi dei dati relativi restituisce una immagine disastrosa: a fronte di un costante declino dei fondi ordinari, si può osservare anche l'esiguità dei finanziamenti ai ricercatori su base competitiva, essenziali per selezionare nel Paese quei gruppi che, svolgendo ricerca ai livelli più alti, potranno confrontarsi a livello internazionale. I cosiddetti PRIN (progetti di ricerca di interesse nazionale) sono rimasti inattivi dal 2012. Istituiti nel 1996 dal Governo Prodi, rappresentavano allora il principale supporto per la ricerca pubblica: da un budget di 137 milioni di euro destinati nel 2003 alle 14 aree di ricerca, si era passati, complice la spending review, ad appena 92 milioni di euro, da destinare a tutte le aree di ricerca. I progetti FIRB per i giovani ricercatori, partiti nel 2004 con 155 milioni di euro, sono andati estinguendosi progressivamente fino a cessare dal 2013. Tali riduzioni di spesa hanno portato l'Italia a retrocedere rapidamente, per risorse investite, numero di laureati, dottori di ricerca, professori e ricercatori in senso lato agli ultimi posti fra i Paesi OCSE;
    il persistente trend di flessione del finanziamento pubblico alla ricerca distingue in negativo a livello internazionale il nostro Paese, il quale nel 2014 registra un totale di finanziamenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo pari all'1,28 per cento del prodotto interno lordo a fronte di una media OCSE del 2,37 per cento. Questi scarsi fondi sono ripartiti per circa lo 0,70 per cento alla ricerca industriale, e circa lo 0,16 per cento ad enti pubblici, mentre nel 2014 i finanziamenti pubblici all'università erano pari allo 0,42 per cento contro lo 0,99 per cento della Francia, lo 0,98 per cento della Germania e lo 0,73 per cento della Spagna;
    il trend italiano mostra un Paese inginocchiato da una crisi frutto anche di mancate scelte di investimento nella conoscenza, nell'innovazione tecnologica e nei settori industriali a più alto valore aggiunto, ed evoca lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica, già occorsa in alcune aree del Paese. Dati di questi giorni della Banca d'Italia parlano di un prodotto interno lordo pro-capite del Mezzogiorno pari alla metà di quello del Nord, mentre procede un esodo di studenti dal Sud al resto del Paese che getta le basi per la genesi di una nuova «questione meridionale»;
    il mondo della ricerca italiana conosce da tempo fermenti di critica a questo orientamento, manifestatisi già nella gestazione della legge n. 240 del dicembre 2010 e che hanno assunto forme diverse in relazione a singole emergenze – dalla protesta contro i tagli e gli scatti stipendiali del 2011-2015 che discriminano i professori e ricercatori di ruolo delle università, alle modalità di valutazione della qualità della ricerca (VQR), allo sciopero alla rovescia promosso dal Coordinamento nazionale ricercatori e ricercatrici non strutturati per il riconoscimento della ricerca come attività lavorativa, o alla richiesta di estensione dell'indennità di disoccupazione «DIS-COLL» e delle tutele previdenziali e sanitarie anche agli assegnisti, ai dottorandi e ai titolari di borse di studio – istanze comunque tutte riconducibili all'assenza di prospettive nella ricerca e nella cultura per le giovani generazioni;
    per tali ragioni, assieme ad altre iniziative, è in atto una campagna di sensibilizzazione promossa dal mondo scientifico ed accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca pubblica italiana che, nell'indifferenza generale, sopravvive e mantiene una elevata produttività internazionale, nonostante la scarsità di risorse e la completa assenza di programmazione. Con il loro accorato appello, che conta oltre 45.000 adesioni, gli scienziati italiani invitano l'Unione europea a fare pressione sul Governo italiano affinché finanzi adeguatamente la ricerca portando i relativi fondi ad un livello sensibilmente superiore e congruo con la media europea del 2,2 per cento del prodotto interno lordo;
    invero, una riduttiva lettura della globalizzazione dell'economia e dell'impetuoso sviluppo di Paesi come l'India e la Cina, legata esclusivamente all'accelerazione tecnologica, ha trascurato i nodi strutturali e determinato nel nostro Paese la diffusa idea che l'obiettivo imprescindibile di aumentare la competitività dei settori produttivi potesse essere raggiunto a costo zero attraverso una scorciatoia burocratica: trasformando la ricerca di base in ricerca applicata, concentrando le risorse in pochi centri ed università di eccellenza, lasciando alle altre il ruolo di teaching university, ed infine prosciugando la cultura umanistica, ritenuta un onere superfluo allo sviluppo economico delle imprese private. In tale accezione, la ricerca pubblica rappresenterebbe soltanto uno strumento per accrescere la competitività economica delle aziende esistenti, dimenticando che la ricerca è chiamata ad assurgere al ruolo di propulsore della crescita civile oltre che economica di lungo periodo. Peraltro, elevare il livello culturale complessivo del Paese è un'esigenza segnalata dalla stessa teoria dello sviluppo economico che insiste sul nesso tra gli investimenti in ricerca e innovazione e la complessiva coesione culturale come premessa alla sua capacità di accrescere il livello di benessere nel tempo;
    non a caso la strategia «Europa 2020» mira ad accrescere la competitività globale del Vecchio continente investendo nel cosiddetto «triangolo della conoscenza» (istruzione/ricerca/innovazione), attraverso il programma «Horizon 2020» grazie al quale vengono finanziati dal 1o gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2020, i progetti di ricerca ed innovazione di università, istituti di ricerca, ricercatori, imprese e aziende attive soprattutto nel settore tecnologico. Il Consiglio europeo, già nel marzo del 2005 rilevando il ritardo della strategia di Lisbona, aveva sottolineato, oltre l'obiettivo generale del 3 per cento, l'obiettivo complementare di modificare il rapporto tra le fonti di finanziamento, facendo sostenere al settore privato almeno i due terzi della spesa per la ricerca e sviluppo da parte di imprese e settore privato non profit;
    invece di cogliere quell'opportunità per collegare imprese e ricerca con lo straordinario patrimonio culturale, e partecipare in modo non subalterno ai programmi europei, la politica italiana si è prodotta in schizofreniche disposizioni: da un lato quelle incentivanti, come il riconoscimento di un credito d'imposta per investimenti in ricerca ed innovazione; dall'altro, un accresciuto controllo burocratico ministeriale che esautora le autonomie della ricerca e dell'università, inibisce l'operatività dei programmi comunitari e blocca l'avvio dei bandi pubblici. Insomma, un mix di concause che determinano il «paradosso italiano», in virtù del quale si continua a contribuire ai fondi europei in misura nettamente maggiore rispetto all'entità dei finanziamenti che, con l'esiguo numero dei ricercatori, si riesce a catturare con progetti di ricerca. In conseguenza della carenza di attenzione e dell'incertezza delle opportunità e dei finanzia enti si depaupera il capitale umano e si finanziano i nostri concorrenti col trasferimento di ricercatori italiani (cosiddetta «fuga di cervelli»), formati a nostre spese, che negli altri Paesi trovano condizioni migliori per esprimere i propri talenti;
    la scarsa attrattività dell'Italia ha portato all'estero circa 15.000 ricercatori, creando un vero e proprio buco generazionale e facendo perdere competitività al nostro Paese rispetto agli altri Stati membri: un regalo di intelligenze non compensato da contestuali ingressi dall'estero. Secondo recenti rilevazioni, infatti, le uscite sono pari al 16,2 per cento mentre gli ingressi dall'estero sono fermi al 3 per cento. Nel 2013 operava in Italia un numero di ricercatori pubblici e privati pari a 164 mila unità (4,9 ogni 1.000 occupati), mentre negli altri maggiori Paesi europei, la presenza di ricercatori è più numerosa e capillare: 357 mila in Francia (9,8 ricercatori per 1.000 occupati); 522 mila in Germania (8,5); 442 mila nel Regno Unito (8,7); 216 mila in Spagna (6,9);
    la dispersione delle scarse risorse per la ricerca tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e altri Ministeri quali politiche agricole alimentari e forestali, salute, difesa, sviluppo economico e ambiente e tutela del territorio e del mare, imporrebbe un maggior coordinamento, mentre in senso opposto procede la creazione, a fianco del CNR e delle università, dell'IIT, ovvero una fondazione privata finanziata direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, che nel 2008 ha ricevuto in dotazione il patrimonio finanziario della fondazione IRI pari a circa 130 milioni di euro, cioè risorse pubbliche provenienti dalle spoglie della più grande holding industriale pubblica del Paese: un trattamento di favore che dovrebbe sollevare l'indignazione della comunità scientifica contro una linea emergenziale che con una mano toglie fondi e risorse alla ricerca ed all'alta formazione pubblica e, dall'altra, le affida a poteri discrezionali, in assenza di qualsiasi controllo di merito e di verifiche;
    all'IIT il Presidente del Consiglio dei ministri ha ufficialmente affidato la concessione del progetto definitivo dello Human Technopole, in associazione ai tre atenei milanesi ed a diversi istituti di ricerca di area confindustriale, progetto per il quale verranno stanziati 1,5 miliardi di euro in dieci anni. Una scelta paradossale se confrontata coi tagli mascherati al settore pubblico dell'università e della ricerca nella legge di stabilità per il 2016 che portano il definanziamento del sistema universitario a quota 1,1 miliardi di euro;
    lo stesso Presidente Renzi ha annunciato nei mesi scorsi lo stanziamento di 2,5 miliardi di euro per la ricerca pur sapendo che non si tratta di risorse aggiuntive ma della quota di cofinanziamento spettante al nostro Paese per la sua appartenenza al programma europeo «Horizon 2020». Nello stesso contesto il Premier ha confermato il varo di un programma nazionale per la ricerca 2015-2020 da 2,5 miliardi di euro, importo che non sarebbe però costituito da risorse «fresche» ma che corrisponderebbe a fondi contabilizzati da oggi al 2017, tra stanziamenti già presenti nel bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per un importo pari a 1,9 miliardi di euro e una quota relativa alla programmazione nazionale del fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020 per un importo di 500 milioni di euro: in sostanza si tratterebbe della programmazione attuativa di risorse già disponibili;
    il suddetto piano del Governo per rilanciare ricerca ed innovazione manca all'appello dal 30 gennaio 2014 quando il Consiglio dei ministri esaminava in via preliminare il teste elaborato dall'allora Ministra Maria Chiara Carrozza e mai varato. Nonostante quello che i firmatari del presente atto di indirizzo giudicano il tentato e continuo «depistaggio cognitivo» da parte del Premier resta un'amara realtà: il Governo in perfetta continuità con quelli precedenti prosegue una rotta catastrofica per il Paese ed ha stanziato per i prossimi due anni solo 100 milioni di euro con i quali poter assumere solo 861 ricercatori all'anno, mentre, invece, ne servirebbero almeno 2.400 all'anno per i prossimi otto;
    l'istruzione universitaria è un investimento pubblico che si ripaga nel medio periodo: per i giovani che la frequenta o per il quali, oltre all'acquisizione di conoscenze e competenze, che consentono di svolgere attività maggiormente retribuite, essa rappresenta il principale fattore di mobilità sociale se si pensa che nel nostro Paese oltre il 70 per cento degli studenti universitari appartiene a famiglie in cui nessuno dei genitori è in possesso di una laurea; per le imprese, perché disporre di una forza lavoro con elevato grado di istruzione aumenta la competitività e rende possibile un maggiore tasso d'innovazione;
    dunque anche le politiche di reclutamento del personale universitario sono da ripensare. È oltremodo prioritario e doveroso affrontare l'attuale condizione di gravissima carenza di personale se si vuole evitare che il sistema universitario pubblico si avviti in una spirale di declino irreversibile, sottraendo all'Italia quegli strumenti indispensabili di innovazione e crescita culturale, economica e sociale di cui le università da sempre sono centri insostituibili di sviluppo e disseminazione;
    il sotto-dimensionamento del corpo docente universitario italiano, e più in generale del complesso degli addetti alla ricerca universitaria, emerge evidente dal confronto europeo, e peggiora ogni anno di più. La consistenza numerica attuale è in Italia inferiore di almeno il 25 per cento alla media dei valori di Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, solo per limitarsi ai Paesi più simili al nostro per dimensioni e tradizioni;
    per l'effetto combinato della riduzione dei finanziamenti, dei blocchi del turnover e dei concorsi, e dell'abbassamento dell'età di pensionamento, negli ultimi sette anni si è verificato un crollo verticale del numero di docenti in servizio, pari a meno 30 per cento per gli ordinari, e meno 17 per cento per gli associati, superiore alla contemporanea modesta riduzione del numero degli studenti. A questo si aggiungano gli effetti derivanti dal graduale esaurimento della cosiddetta terza fascia prevista dalla normativa vigente;
    numerose analisi dimostrano che in assenza di interventi normativi che sblocchino l'attuale limite al turn-over previsto dall'attuale regime per le assunzioni delle università statali, si assisterà da un'ulteriore pesante contrazione del corpo docente che comporterà nel 2018 il dimezzamento del numero dei professori ordinari in servizio, rispetto a quello del 2008. Effetti analoghi si avranno sempre nel 2018, nell'ipotesi in cui nel frattempo non si proceda ad alcuna nuova assunzione o promozione dei professori associati, con una sensibile riduzione degli stessi pari al 27 per cento rispetto a quelli in servizio nel 2008. L'attuale normativa, infatti, prevede che nel 2016 risulti spendibile per il reclutamento il 60 per cento del turnover, per poi passare all'80 per cento nel 2017 e solo a partire dal 2018 a stabilizzarsi al 100 per cento;
    altrettanto improponibile è la persistente chiusura del sistema universitario ai giovani ricercatori, aggravata ancora una volta da interventi normativi (come la suddetta messa ad esaurimento della fascia dei ricercatori) che, sconvolgendo il regime ordinario di carriera nell'organico docente, per di più in un contesto di carenza di risorse, hanno innescato incertezze e meccanismi di instabilità esiziali per l'ordinaria attività didattica e di ricerca;
    di più. Sul medesimo fronte del reclutamento universitario la legge 30 dicembre 2010, n. 240, (riforma del sistema universitario), nell'individuare un percorso pre-ruolo per accedere alla docenza, ha reso meno attraente per i giovani la carriera. La stessa legge, infatti, ha previsto che il percorso che deve affrontare un ricercatore universitario e che porta alla stabilizzazione della posizione professionale duri almeno sei anni, percorso destinato ad allungarsi ulteriormente e che può portare l'età media di ingresso alla docenza a 37 anni, se invece si guarda alle variegate di figure di accesso (assegnisti di ricerca, ricercatori a tempo determinato di tipo A e di tipo B, borse post-doc);
    la figura del ricercatore a tempo determinato (cosiddetta RTD), nelle previsioni della suddetta legge n. 240 del 2010, si articola nelle due distinte fattispecie: quella del RTD-a e quella del RTD-b, molto simili tra loro dal punto di vista qualitativo e dei compiti istituzionali, essendo prevista per entrambi l'attività di ricerca e quella didattica e quindi distinti solo per aspetti quantitativi nel rapporto tra questi impegni, ma profondamente diversi dal punto di vista dell'accesso alla docenza dal momento che i ricercatori appartenenti alla categoria B, a seguito di valutazione positiva dopo un triennio, possono transitare nel ruolo di professore associato, mentre per quelli appartenenti alla categoria A, la stessa valutazione positiva dopo il triennio da loro solo il diritto di vedersi riconosciuta la proroga biennale dell'incarico e a poter aspirare al ruolo solo in presenza di un concorso disponibile;
    inoltre, la stessa legge, laddove disciplina la possibilità per le università di stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, non contempla, tra i soggetti ammessi alle procedure pubbliche di selezione, tutti i titolari di assegni di ricerca, valutando come titoli utili ai fini della partecipazione al concorso per ricercatore solo quegli assegni conseguiti nel vigore dell'articolo 51 della legge n. 449 del 1997 e non anche quelli conseguiti in forza della normativa attuale. Ed invero tale esclusione degli abilitati dal novero dei possibili candidati ha già prodotto fino ad oggi effetti paradossali, avendo costretto gli atenei a reclutare quali ricercatori di tipo B soggetti che non hanno ottenuto l'abilitazione nazionale, pur avendo partecipato alla procedura, a scapito di altri che invece l'hanno ottenuta, guadagnandosi il diritto a partecipare a concorsi per posizioni di seconda fascia, ma, paradossalmente, non a quelli per posti di ricercatore di tipo B. L'esclusione dei candidati abilitati, peraltro discriminatoria e contraria alla promozione del merito, ha aumentato il rischio per gli atenei di investire a vuoto su parte di essi essendo i primi, al termine del percorso triennale, destinati a fuoriuscire dal sistema;
    eppure la condizione del ricercatore a tempo determinato, oltre ad essere centrale nel meccanismo di reclutamento universitario, vista la sua funzione di traghettamento verso posizioni a tempo indeterminato, assolve, allo stesso tempo, seppur in modo disordinato ed improprio, il compito di supporto formale alla permanenza nei dipartimenti per tanti giovani attivi ed interessati alla ricerca, sempre più spesso diretti responsabili del funzionamento di corsi di laurea e di dottorato;
    attualmente, la gran parte dei ricercatori italiani usufruisce di assegni di ricerca, cioè di una forma di contratto di lavoro parasubordinato che però non dà luogo a tutele degne di questo nome, nemmeno nel caso di periodi purtroppo sempre più frequenti, di disoccupazione. Essi non si vedono, infatti, riconosciuta la «DIS-COLL» e ciò rende evidente quanto siano necessarie spinte «esterne», affinché all'attività di ricerca dei precari possa essere attribuito un degno riconoscimento, come nel resto d'Europa. Lasciando pertanto fuori dal sistema di protezione sociale decine di migliaia di persone già sottoposte a condizioni contrattuali ed economiche di precarietà e che, nonostante questo, contribuiscono con passione alla crescita e allo sviluppo del nostro Paese, offrendo un lavoro invisibile che si cela dietro il progredire della conoscenza: insomma, una generosità, quella dei precari, non ripagata visto che negli ultimi dieci anni più del 93 per cento di essi è stato espulso dagli atenei italiani;
    se è vero che il declino dell'università è una questione nazionale, non vi è dubbio, che una serie di fenomeni preoccupanti si stia concentrando maggiormente al Sud, acuendo quel gap economico e sociale creatosi storicamente nel Paese e meglio noto come «questione meridionale» e determinandone una tutta nuova all'interno dell'università italiana;
    la crisi del sistema universitario meridionale è ben fotografata dall'ultimo Rapporto Svimez, da cui emerge lo strettissimo rapporto tra la drammatica condizione giovanile nel Sud ed il declino dei suoi atenei e del sistema regionale di diritto allo studio. Se le risorse diminuiscono, anche le opportunità formative calano, escludendo inevitabilmente un'intera generazione dallo studio e quindi dalle prospettive di lavoro. Del resto le misure del Governo continuano a favorire una biforcazione su base territoriale del sistema universitario italiano, a parità di risorse, favorendo gli atenei del Nord, prova ne è l'investimento sullo Human Technopole, che produrrà un fortissimo effetto attrattivo di ricercatori verso l'area milanese;
    inoltre, stando all'ultimo rapporto ANVUR sullo stato del sistema universitario, negli ultimi dieci anni, le università meridionali hanno perso 45.000 immatricolazioni; non lo stesso può dirsi per quelle collocate al Centro-nord, che dopo un'iniziale perdita, hanno superato la crisi. Lo stesso rapporto evidenzia che in Italia, 7 diplomati su 10 proseguono gli studi immatricolandosi all'università, secondo un flusso migratorio di studenti dal Sud al Centro nord pari al 25 per cento. In totale, quindi, le università del Sud riescono a «trattenere» poco più del 60 per cento dei diplomati meridionali, mentre pochissimi studenti del Centro-nord si immatricolano nelle università del Sud. Il sistema universitario del Centro-nord, invece, oltre ai diplomati locali riesce ad attrarre altri 2 diplomati su 10 provenienti dal Sud;
    il suddetto fenomeno non può essere semplicisticamente motivato dall'attrazione esercitata dalle grandi università o dalle città del Nord, quanto, piuttosto, da un'iniqua distribuzione delle già scarse risorse finanziarie destinate al diritto allo studio universitario e messe in campo dalle regioni, ripartizione che, essendo paradossalmente legata allo stato dei bilanci di queste ultime, tiene solo parzialmente conto dei potenziali beneficiari, rappresentati da quegli studenti capaci e privi di mezzi ai quali la Costituzione italiana attribuisce il diritto a raggiungere i più alti gradi degli studi, e che sono maggiormente presenti al Sud;
    il suddetto progressivo abbandono delle università meridionali è il risultato anche dell'adozione, in sede di valutazione della didattica e della ricerca da parte dell'Anvur di meccanismi premiali distorti e che dietro alla presunta oggettività dei numeri, sta portando al collasso gli atenei meridionali ritenuti meno meritevoli di altri, dirottando la maggior parte delle poche risorse, insufficienti al finanziamento del sistema, verso il Nord. Inoltre, anche i criteri di ripartizione della quota premiale del fondo di finanziamento ordinario sono diventati una clava contro gli atenei meridionali, perché questi – tenendo conto del rapporto fra entrate da tasse, entrate da Fondo di finanziamento ordinario e spese – risentono della minore capacità reddituale delle famiglia di pagare tasse alte, e penalizzano quegli atenei che si trovano in territori più poveri;
    tale situazione è anche generata dall'onere finanziario che grava sugli studenti. In dimensione comparativa, il nostro Paese non solo destina poche risorse pubbliche al sistema universitario, ma ha anche la tassazione studentesca tra le più alte d'Europa. Inoltre, anche il sistema di attribuzione delle borse di studio, affidato alle regioni attraverso un meccanismo redistributivo, di fatto pone il finanziamento a carico degli stessi studenti universitari;
    in termini sociali chi patisce di più il fortissimo aumento delle tasse universitarie e l'inconsistenza del diritto allo studio sono le famiglie più povere, con un effetto negativo sulla dinamica della diseguaglianza nel nostro Paese;
    dopo le nefaste riforme dei Ministri Moratti, e successivamente, Gelmini e Profumo che hanno imposto agli atenei italiani di ragionare in termini aziendalistici costringendoli a ridurre l'offerta formativa e le proprie strutture nei territori e ad affidarsi, per sopravvivere, alle mani di finanziatori privati, i provvedimenti dell'attuale Governo, in piena continuità con i precedenti, confermano, accentuandola, la politica di smantellamento del sistema universitario pubblico, il solo capace di garantire uguali opportunità formative, in favore di poche istituzioni universitarie di eccellenza, finendo con il determinare un'odiosa discriminazione tra studenti che hanno la possibilità economica di studiare nelle sedi più prestigiose e chi, anche se più meritevole, invece non ce l'ha;
    al fine di accrescere l'attrattività a livello internazionale del sistema universitario italiano, la legge di stabilità per il 2016 ha istituito in via sperimentale il «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta» finalizzato al reclutamento straordinario, in deroga alle procedure di cui alla legge n. 240 del 2010, di 500 professori ordinari e associati per chiamata diretta per elevato merito scientifico, secondo procedure nazionali da definire con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsione che, perpetuando la possibilità di far salire in cattedra i titolari di quelle vecchie abilitazioni che secondo le previsioni originarie avrebbero dovuto avere una validità limitata a tre anni, introduce, di fatto, nel sistema un secondo canale di reclutamento dei docenti di natura extraconcorsuale. Insomma, si tratta, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, di una sorta di «pannicello caldo» presentato dal Governo come una misura risolutoria ai problemi strutturali della scienza e dell'università italiana, che potrebbe, fra l'altro, produrre effetti distorsivi tra i quali una ulteriore delegittimazione del sistema universitario, la creazione di disparità inaccettabili tra individui con professionalità comparabili, la marginalità dei possibili effetti sistemici unita al rafforzamento di alcune sedi universitarie di eccellenza ed individuate in base alle libere scelte dei vincitori;
    anche in ambito universitario si assiste, oramai da alcuni decenni, al disinvestimento che sta subendo quel settore della formazione e della ricerca italiana e che sinora ha rappresentato l'asse portante dell'identità culturale della nazione, e cioè quello degli studi umanistici, deperimento che, in una fase storica in cui il sistema economico-finanziario fa da traino indisturbato alle scelte politiche e sociali, è supportato da un «pensiero unico» tecnico-nazionale e materialista modellato su posizioni neoliberiste e secondo il quale ogni conoscenza dev'essere finalizzata ad una prestazione e tutto dev'essere orientato all'utile: una pericolosa deriva che, attraverso una continua delegittimazione del ruolo civile dell'insegnamento umanistico, porta al graduale impoverimento della capacità critica delle coscienze;
    in un mondo dominato oramai dall'economia della conoscenza, la ricerca insieme all'istruzione sono i pilastri su cui si costruisce il futuro e la prosperità, pertanto un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura è condannato a non avere futuro,

impegna il Governo:

   a rilanciare, con la massima urgenza, il settore della ricerca e della cultura italiana, abbandonando definitivamente la logica emergenziale e discrezionale con cui si è proceduto negli ultimi anni e impostando una programmazione lungimirante con cadenza almeno triennale che dia stabilità e prospettive alla ricerca ed all'università;
   a varare con urgenza l'annunciato programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e ad assumere iniziative per elevare, in prospettiva, l'attuale spesa per investimenti in ricerca e sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del prodotto interno lordo, anche al fine di accrescere i livelli di occupazione e benessere sociale del nostro Paese, e per adeguare nell'immediato i finanziamenti al sistema pubblico di formazione e ricerca alla media dei Paesi OCSE, del 2,2 per cento, ripristinando i fondi PRIN (progetti di rilevante interesse nazionale) e FIRB (fondo per gli investimenti della ricerca di base);
   ad assumere iniziative per sospendere dal 2017 il meccanismo di contingentamento delle assunzioni, eliminando dalla normativa ogni limitazione del turnover, al fine di assicurare il ricambio generazionale per tutte le figure del mondo universitario e della ricerca pubblica;
   ad affrontare il problema del co-finanziamento dei fondi europei con strumenti innovativi di sostegno che agevolino sul piano finanziario e amministrativo la partecipazione della ricerca italiana ai bandi su fondi comunitari;
   ad assumere iniziative per rivedere il sistema di valutazione della ricerca e dell'istruzione universitaria nazionale basata su fondi pubblici:
    a) affidando la valutazione ex post della ricerca ad un'autorità indipendente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, eventualmente modificando le attuali strutture e funzioni dell'ANVUR e affidandole come obiettivi oltre a quello del miglioramento della ricerca e, con riferimento al sistema universitario, quello della didattica e dei servizi, anche l'individuazione di punti di forza e debolezze della complessa stratificazione della geografia accademica italiana;
    b) creando un fondo premiale per le università, separato dal Fondo di finanziamento ordinario, da distribuire periodicamente in ragione dei progressi realizzati da ciascun ateneo nella ricerca e nei servizi, oltre che nella correttezza della gestione economica, e definendo i criteri in virtù della collocazione territoriale, anche rivedendo gli attuali criteri di distribuzione del Fondo di finanziamento ordinario per giungere a degli indicatori stabili e noti ex ante, sottoposti al vaglio rigoroso della comunità scientifica attraverso il Consiglio universitario nazionale;
   ad assumere iniziative per fare del dottorato di ricerca un titolo preferenziale di accesso alla pubblica amministrazione e agli enti locali, in modo da accrescere il livello della competenza tecnica nello Stato, nelle regioni e negli enti locali, e creare circuiti virtuosi di competenza;
    ad assumere iniziative per definire un chiaro percorso post-dottorato, non superiore a quattro anni, che recepisca quanto stabilito dalla Carta europea dei ricercatori, con un contratto unico pre-ruolo, con retribuzione, tutele e diritti di rappresentanza conformi a quelle dei lavoratori a tempo determinato;
   ad individuare strategie per l'assunzione in ruolo di ricercatori a tempo determinato sia di tipo A che di tipo B in possesso di abilitazione scientifica nazionale.
(1-01193)
«Carlo Galli, Pannarale, Giancarlo Giordano, Nicchi, Ricciatti, Gregori, Ferrara, Martelli, Scotto».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Fragomeli n. 5-04830 del 25 febbraio 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Ricciatti n. 5-07755 del 10 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione De Maria n. 5-08481 del 21 aprile 2016;
   interpellanza Quaranta n. 2-01353 del 22 aprile 2016.