Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 29 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    solo pochi giorni fa, il 22 aprile 2016 per la precisione, per iniziativa del Ministro della salute, l'onorevole Beatrice Lorenzin, è stata celebrata la «Giornata nazionale dedicata alla salute della donna», come previsto dalla direttiva del 1o giugno 2015 del Presidente del Consiglio dei ministri. In quella occasione è stato pubblicato un manifesto con 10 punti chiave, di cui si possono ricordare almeno i primi tre:
     a) approccio alla salute femminile secondo la medicina di «genere», per il contrasto alle malattie croniche non trasmissibili, e attenzione alla ricerca scientifica mirata specificamente alle esigenze e peculiarità delle donne;
     b) strategie di comunicazione per accrescere la consapevolezza delle donne sulle tematiche di salute, per sé e per la sua famiglia;
     c) tutela e promozione della salute sessuale e riproduttiva, anche attraverso la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmesse e la tutela della fertilità, favorendo una procreazione responsabile e consapevole e sostenendo la salute materna e neonatale;
    per dare concretezza al manifesto appena pubblicato è necessario parlare di endometriosi, per imparare a riconoscere prima questa patologia esclusivamente femminile, vero e proprio paradigma della medicina di genere, per tutelare la fertilità femminile e per ridurre i rischi della sterilità;
    l'endometriosi è una malattia poco conosciuta ma più frequente di quel che si creda: colpisce il 10-20 per cento delle donne in età riproduttiva e può provocare disturbi invalidanti e infertilità. Non è facile da riconoscere, perché i sintomi possono essere poco specifici e quindi comuni ad altre patologie. Oggi, però, ci sono gli strumenti a disposizione per affrontarla e curarla. Ed è giunto il momento perché il Parlamento faccia qualcosa di più per le donne che ne soffrono, per ridurre le conseguenze che una maternità intensamente desiderata ma non realizzata può avere sul vissuto della donna e dell'intera famiglia;
    con endometriosi si indica la presenza di endometrio, che ricopre la cavità interna dell'utero o al di fuori della cavità uterina in altre zone del corpo femminile, normalmente nella pelvi, dove interessa ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. È una malattia cronica e invalidante, che viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
    l'endometriosi può colpire le donne dal momento dello sviluppo fino alla menopausa, anche se dopo i 40 anni la crescita del tessuto endometriale presente fuori dalla cavità uterina sembra più lenta. A volte può persistere anche dopo la menopausa in presenza di terapie ormonali. La malattia si sviluppa indipendentemente dal fatto di aver avuto gravidanze, ma dopo ogni gravidanza sembra avere una crescita più accelerata. Le cause dell'endometriosi sono ancora ben lungi dall'essere chiarite;
    dal punto di vista epidemiologico il numero di donne con endometriosi è vicino al 10 per cento delle donne in età riproduttiva. Si parla di una patologia che colpisce circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. Le sue cause sono ancora ignote e si parla di fattori genetici, immunitari, infiammatori e vascolari. Ma anche di sostanze inquinanti ambientali, che aumenterebbero la predisposizione all'endometriosi. Di certo si sa che è una malattia i cui numeri stanno crescendo rapidamente;
    i due sintomi più importanti sono il dolore e la sterilità; la donna sperimenta il primo sintomo fin dai primi anni del suo sviluppo e del secondo si rende conto quando desidera avere un figlio. Ma il sintomo del dolore pelvico può apparire aspecifico e quindi rendere difficile una diagnosi differenziale, soprattutto perché può essere causato da disturbi di diversa origine, ginecologici, riproduttivi, gastrointestinali, urinari, muscolo-scheletrici. È spesso un dolore profondo e diffuso, accompagnato da nausea, vomito, ansia e depressione;
    l'endometriosi interferisce in diversi modi sulla fertilità spontanea della donna. La causa che la provoca può essere localizzata nelle ovaie, nelle tube o nel peritoneo circostante. Approssimativamente dal 30 per cento al 40 per cento delle donne con endometriosi è sterile; la malattia è infatti una delle prime tre cause di sterilità femminile. Alcune donne scoprono la loro endometriosi, nel momento in cui si rendono conto di avere difficoltà a restare incinta. Si tratta, infatti, di una malattia difficile da diagnosticare e molte donne ricevono una corretta diagnosi solo dopo molti anni di visite mediche e dopo numerosi accertamenti diagnostici;
    oggi si inizia a pensare che anche nella sindrome mestruale caratteristica delle adolescenti, accompagnata da forti dolori e da disagio generale, ci possa essere una componente di tipo endometriosico, che, se opportunamente riconosciuta e trattata, potrebbe ridurre il rischio sterilità. Si tratta di un problema sociale di grande rilevanza, proprio per le conseguenze che la sterilità ha nella vita di una donna e di una famiglia; per tali motivi la ricerca in materia costituisce un'area di particolare rilevanza scientifico e sociale;
    il trattamento dell'endometriosi può essere effettuato per via chirurgica e/o per via medica. La rimozione dei focolai endometriosici, con contemporanea conservazione e ripristino dell'integrità degli organi colpiti, esige tecniche chirurgiche particolarmente delicate. Gli interventi per sanare le tube e le ovaie, eseguiti con precisione, portano all'eliminazione dell'endometriosi e, inoltre, rendono spesso possibile la comparsa spontanea di una gravidanza. L'endometriosi non può essere definitivamente curata, tuttavia è possibile raggiungere un soddisfacente controllo dei sintomi con il ricorso all'utilizzo della pillola contraccettiva che, prevenendo l'ovulazione, riduce l'ingrossamento dell'endometrio e il dolore associato al ciclo. Un problema da non sottovalutare è il fatto che l'endometriosi ha spesso un decorso cronico e può rinfiammarsi. Ciò significa che, anche dopo un successo iniziale del trattamento, le recidive sono possibili;
    nel luglio del 2009 il Ministro per le pari opportunità, l'Inps, l'Inail, l'Istituto affari sociali e la Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa della durata di 5 anni sul tema dell'endometriosi. Quel protocollo, scaduto nel 2014, impegnava le diverse parti:
     a) a promuovere campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi;
     b) a promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia;
     c) a favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
     d) a porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
     e) a stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
    in mancanza di una normativa nazionale su un tema così delicato, rivestono un certo interesse alcune leggi regionali: la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia e la n. 40 del 2014 della Puglia, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione;
    è necessario valutare la possibilità che l'endometriosi possa costituire una patologia invalidante ai fini dell'inserimento nelle tabelle a cui fa riferimento il decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione alla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per aggiornare le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dal ticket sanitario per esami diagnostici specialistici e l'esenzione dal ticket per l'acquisto di farmaci necessari alla cura e al controllo dei sintomi;
   ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica che faciliti nella maggior parte dei casi una diagnosi precoce certa;
   ad assumere iniziative per istituire un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia, a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
   ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
   ad assumere iniziative per istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici o privati esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale.
(1-01235) «Binetti, Calabrò, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    la riforma delle pensioni del 2011 prevede l'innalzamento dell'età pensionabile, con la conseguente necessità di una maggiore permanenza attiva nel mondo del lavoro;
    la vicenda dei cosiddetti salvaguardati evidenza l'assoluta mancanza di strumenti di politica attiva, finalizzati alla riqualificazione e alla rioccupazione dei lavoratori coinvolti in processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale;
    la stessa vicenda denota una difficoltà di comprensione del fenomeno a causa della carenza di dati statistici adeguati;
    l'introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti ha ricadute sulla gestione dei licenziamenti collettivi, con particolare riferimento alla possibilità di non tener conto dei criteri di scelta previsti dalla normativa vigente, vale a dire anzianità anagrafica e di servizio, carichi familiari, rispetto delle percentuali di genere;
    l'Osservatorio sulle politiche occupazionali e del lavoro dell'Inps del novembre del 2015, su dati 2014, gli ultimi disponibili, certifica il forte impatto della disoccupazione nella fascia di età compresa fra i 45 anni ed oltre:
    il numero dei beneficiari dell'Aspi è pari a 385.281 unità, vale a dire il 36,7 per cento;
    il numero dei beneficiari della mini Aspi è di 131.706 unità, pari al 25,6 per cento;
    il numero dei beneficiari dell'indennità di disoccupazione agricola è di 243.770 unità, pari al 46,4 per cento;
    nel complesso, i beneficiari di un'indennità di disoccupazione, nella fascia di età fra 45 anni ed oltre, sono 760.757 su un totale di 2.088.675 (36,4 per cento);
    i beneficiari dell'indennità di mobilità, nel periodo considerato, sono 117.960 su un totale di 218.664 (53,9 per cento);
    sempre lo stesso Osservatorio evidenzia la ridotta propensione delle aziende ad assumere personale rientrante nella cosiddetta categoria dei lavoratori maturi:
    su un totale di 296.810 assunzioni agevolate di disoccupati o beneficiari di cassa integrazione guadagni straordinaria da almeno 24 mesi, quelle che riguardano la fascia di età interessata sono appena il 14,3 per cento, mentre, su un totale di 18.184 assunzioni agevolate di ultracinquantenni e di donne, quelle che interessano la fascia di età considerata sono soltanto il 20,3 per cento.
    la formazione continua nel nostro Paese coinvolge una percentuale di lavoratori molto inferiore rispetto alla media europea; con il 7,1 per cento degli uomini e il 7,8 per cento delle donne l'Italia sopravanza soltanto la Grecia, il Belgio, la Polonia e l'Irlanda;
    il Governo, per favorire la sottoscrizione di contratti di lavoro a tempo indeterminato, ha previsto una decontribuzione nelle leggi di stabilità per gli anni 2015 e 2016, senza alcun riferimento al regolamento (CE) 800/2008 sui lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati;
    il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, ha istituito l'Agenzia nazionale per le politiche attive,

impegna il Governo:

   a rafforzare le politiche di sostegno al reddito dei lavoratori cosiddetti maturi, anche attraverso un percorso di accompagnamento per la fascia più immediatamente vicina al pensionamento;
   ad assumere iniziative per prevedere un esplicito richiamo al regolamento (CE) 800/2008 nelle misure di decontribuzione per favorire l'assunzione di personale a tempo indeterminato;
   a rafforzare le politiche attive attraverso un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza sindacale e datoriale, nonché dei fondi interprofessionali per la formazione continua nella definizione delle linee programmatiche dell'Agenzia nazionale per le politiche attive;
   ad assumere iniziative per destinare una quota del cosiddetto inoptato dello 0,30 per cento della retribuzione ad attività formative rivolte nello specifico ai lavoratori maturi;
   a favorire, sull'esempio del programma «Garanzia giovani», un'attività di profilazione dei lavoratori disoccupati con più di 45 anni, al fine di avere un quadro, anche statistico, più chiaro delle professionalità disponibili.
(1-01236) «Polverini, Occhiuto».

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il Governo sta affrontando un ampio disegno di ristrutturazione del sistema bancario italiano con l'obiettivo di rafforzarlo, renderlo più resistente agli shock, mettere gli istituti nelle condizioni di finanziare adeguatamente l'economia reale e quindi favorire la crescita e l'occupazione;
    l'intervento nel suo complesso si pone la finalità di garantire che la liquidità disponibile si trasformi in credito a famiglie e imprese e favorire la disponibilità di servizi migliori e prezzi più contenuti;
    tra i principali interventi legislativi in questa direzione si ricorda:
     la riforma delle banche popolari approvata nel 2015 con l'obiettivo di rafforzare il settore bancario e adeguarlo allo scenario europeo, innovato dall'unione bancaria, preservando il ruolo delle banche con vocazione territoriale e al tempo stesso adeguando alle prassi ordinarie la governance degli istituti di credito popolari di maggiori dimensioni;
     la riforma delle banche di credito cooperativo (BCC) volta a superare le criticità della vigente disciplina di settore dovute all'andamento dell'economia del territorio di riferimento, agli assetti organizzativi e alla dimensione ridotta;
     il recepimento nella legislazione dell'accordo raggiunto con la Commissione europea sullo schema di garanzia per agevolare le banche nello smobilizzo dei crediti in sofferenza;
     il processo di autoriforma delle fondazioni di origine bancaria, che prevede un sistema di rappresentanza territorialmente più omogeneo secondo quanto previsto dal protocollo d'intesa che il Ministero dell'economia e delle finanze (autorità di vigilanza sulle fondazioni di origine bancaria) e l'Acri, l'associazione rappresentativa delle stesse, hanno firmato il 23 aprile 2015, con l'obiettivo di migliorare le pratiche operative e rendere più solida la governance;
    nell'ambito di questa riforma di settore, data la complessiva aggregazione delle realtà che svolgono attività nell'ambito cooperativo, risulta fondamentale riconsiderare e incoraggiare le mutue di autogestione (Mag) – società cooperative finanziarie che operano in Italia da più di trent'anni nell'ambito della finanza etica e critica svolgendo un ruolo sociale importante per le collettività di riferimento;
    sottoposti alla vigilanza da parte della Banca d'Italia, le Mag possono finanziare solo i propri soci e non soggetti terzi, sono pertanto prima di tutto società tra persone e si basano quindi sul rapporto fiduciario con i soci e le realtà finanziate;
    gli articoli 111 e 113 del Testo unico bancario (Tub), di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, come riformati dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, in attuazione della direttiva comunitaria 2008/48/CE, hanno disciplinato le caratteristiche generali del microcredito quale strumento di sviluppo economico che consente alle persone in condizioni di povertà ed emarginazione di accedere ai servizi finanziari, rimandando ad un successivo decreto ministeriale le disposizioni attuative;
    il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, in accordo con la Banca d'Italia, del 17 ottobre 2014, n. 176, che ha previsto la disciplina attuativa dei citati articoli del Tub, ha stabilito determinati limiti oggettivi e soggettivi ai finanziamenti che possono essere erogati da coloro che svolgono attività di microcredito, ed ha equiparato l'attività delle predette Mag a quella dei richiamati soggetti del microcredito;
    i limiti quantitativi e soggettivi all'operatività nell'ambito del microcredito e ancor più all'operatività delle mutue di autogestione rischiano di comprometterne la funzione fondamentale e la stessa sopravvivenza;
    il disegno di legge delega per la riforma del terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale, attualmente all'esame del Parlamento prevede tra l'altro, con l'obiettivo di dare maggiore stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, agli enti del terzo settore, la definizione di un trattamento fiscale di favore per «titoli finanziari etici», così da premiare quei cittadini che investono nella finanza etica i loro risparmi;
    durante il percorso legislativo di riforma delle Bcc, è stata espressa da più parti, anche governative, l'opinione che sarebbe opportuno e auspicabile prevedere forme di incentivazione fiscale per gli operatori che operano nel campo della finanza etica;
    in questo ambito, appare importante fornire in via normativa una definizione di finanza etica, per non rischiare che tale termine, contrapposto all'attività di tipo speculativo, di breve periodo e non orientata alla comunità, al territorio e allo sviluppo sostenibile, diventi appannaggio di coloro che, attratti dalla maggiore visibilità, dai vantaggi fiscali o più in generale da misure agevolative, non sopportano lo sforzo sostanziale di sostegno al settore,

impegna il Governo:

   nell'ambito della complessiva riforma del sistema bancario italiano, ad assumere opportune iniziative normative volte a valorizzare il microcredito come strumento di inclusione sociale, di supporto all'imprenditorialità e al lavoro e di contrasto all'esclusione finanziaria in particolare attraverso:
    a) l'incremento del limite di importo massimo di credito concedibile fino a 100.000 euro rispetto agli attuali 75.000 euro;
    b) ampliamento dei limiti al tipo di imprese finanziabili da parte dei soggetti che svolgono attività di microcredito ai sensi dell'articolo 111 del Tub;
    c) la promozione dell'ampliamento dell'attività di microcredito, attraverso la possibilità di prevedere il sostegno all'avvio e allo sviluppo di attività di lavoro autonomo o di impresa, organizzate in qualsiasi forma, e l'inserimento di persone fisiche nel mercato del lavoro;
    d) per gli operatori di finanza mutualistica e solidale, la previsione di un'apposita sezione separata del Tub al fine di evitare l'equiparazione dell'attività delle Mag a quella di microcredito, in termini di procedure di autorizzazione all'attività e di rispetto dei vincoli previsti per tali soggetti;

   al fine di valorizzare le banche orientate a finanziare, spesso con modalità innovative e in via prevalente, attività che rispecchiano determinati requisiti di responsabilità sociale e ambientale, ad assumere iniziative normative per:
    a) stabilire una definizione di finanza etica cui collegare forme di incentivazione fiscale;
    b) salvaguardare gli istituti di finanza etica dagli eventuali versamenti aggiuntivi che potrebbero essere richiesti da parte del Fondo di risoluzione nazionale;
    c) prevedere meccanismi premiali per l'investimento in capitale proprio, attraverso agevolazioni fiscali e incentivazione alla destinazione degli impieghi in particolari forme di investimento nel no-profit.
(7-00985) «Ginato, Pelillo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZO e NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Caltagirone, è un comune italiano di 38.828 abitanti della città metropolitana di Catania in Sicilia;
   l'ente è stato governato dal 1992 al 2012 da sindaci espressione di centro-sinistra e, a seguito delle elezioni amministrative del 2012, da una giunta espressione di una lista civica riconducibile a partiti di centro-destra;
   caso unico in Italia, alla data di presentazione del presente atto, il comune di Caltagirone è dotato, come ultimo bilancio approvato, di quello deliberato dal consiglio comunale il 28 gennaio 2013, relativo al rendiconto di gestione dell'esercizio finanziario 2011; quindi sono ben cinque anni che la città è governata con un bilancio riferito al 2011;
   l'11 marzo 2013 con deliberazione di consiglio comunale n. 6 è stato adottata dichiarazione di dissesto finanziario dell'ente;
   a seguito del dissesto finanziario, in applicazione della normativa vigente, è stata presentata al Ministero dell'interno l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato distribuita in tre anni (articolo 259, comma 1-ter del TUEL);
   il 15 gennaio 2015 con decreto ministeriale n. 4527, il Ministero dell'interno ha comunicato la mancata approvazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. Nel medesimo decreto così si statuiva: «Articolo 2 – È prescritto all'Ente, ai sensi dell'articolo 261, comma 4, del TUEL, di presentare, previa deliberazione consiliare e dentro il termine perentorio di 45 giorni, decorrenti dalla data di notifica del presente decreto, una nuova ipotesi di bilancio idonea a rimuovere le cause che non hanno consentito alla COSFEL (Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali) di esprimere parere favorevole, tenendo conto delle criticità emerse in sede d'istruttoria»;
   la giunta comunale in data 11 marzo 2015 con deliberazione n. 38 ha sottoposto all'approvazione del consiglio comunale lo schema della nuova ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato 2012-2013-2014 ritenuta «idonea a rimuovere le cause che non hanno consentito alla COSFEL di esprimere parere favorevole, tenendo conto delle criticità emerse in sede d'istruttoria»;
   il consiglio comunale in data 19 marzo 2015 con deliberazione n. 10 non ha approvato la nuova ipotesi di bilancio così come presentata dalla giunta comunale;
   il 21 aprile 2015, con delibera consiliare n. 12 è stata votata favorevolmente una mozione di sfiducia al sindaco pro tempore, dottor Nicola Bonanno;
   con decreto del Presidente della regione siciliana n. 163/Serv.1o/S.G. del 12 maggio 2015, è stato nominato il commissario straordinario nella persona dell'ingegner Mario La Rocca che si è insediato il 19 maggio 2015;
   a seguito dell'introduzione del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, che, fra l'altro, ha modificato l'articolo 259, comma 1-ter, del TUEL, l'ipotesi di bilancio che l'ente locale deve presentare al Ministero dell'interno è stata estesa ad un arco temporale di quattro anni dalla dichiarazione di disseto finanziario;
   la precedente ipotesi di bilancio 2012-2013-2014 aveva ricevuto il parere negativo del collegio dei revisori dei conti (che così scrivevano «A parere del Collegio dei revisori dei conti, l'equilibrio di parte corrente così come risultante nell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato non realizza la condizione prevista dall'articolo 162, comma 1) e 6) del TUEL, poiché non consente (l'anno 2014) di assorbire il disavanzo complessivo di parte corrente 2012». E ancora «Relativamente alle entrate previste nell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato al titolo I con riferimento al tributo IMU, il Collegio ritiene sovrastimata la previsione di entrata in rapporto alla riscossione»;
   il 16 marzo 2016 è stata presentata, all'attenzione del commissario straordinario, da parte del ragioniere generale dell'ente, l'attività istruttoria attuata per la redazione dell'ipotesi di bilancio riequilibrato 2012/2015, che così terminava: «L'equilibrio di parte corrente così come risultante dai dati indicati nel prospetto non realizza la condizione dell'articolo 162, comma 6, del TUEL, poiché l'anno 2014 e il 2015 non consentono di assorbire il disavanzo complessivo di parte corrente dell'anno 2012 e 2013. Lo squilibrio di parte corrente finale, per gli anni riguardanti l'ipotesi di bilancio 2012-2013-2014-2015, si attesta complessivamente a euro 8.504.863,90»;
   l'approvazione della menzionata relazione con deliberazione del commissario straordinario n. 50 del 7 aprile 2016, fa sì che, la situazione finanziaria del comune di Caltagirone, a parere degli interroganti, non rientri in nessun dettame normativo di riferimento utile a definire come l'ente stesso debba procedere per garantire il proprio funzionamento amministrativo;
   in virtù delle prossime elezioni amministrative per l'elezione del nuovo consiglio comunale e del nuovo sindaco della città, l'interrogante, è stato portato a conoscenza che in un video intervista da parte del candidato sindaco espressione del Partito Democratico, all'affermazione dell'intervistatore: «c’è una mezza intesa a livello nazionale con una specie di “salva-Caltagirone”», abbia dichiarato: «È chiaro che farò pesare che a me e stato chiesto, a livello nazionale, di accettare la candidatura perché è chiaro che, da questo, ne devono derivare anche la disponibilità e gli strumenti perché un sindaco possa governare», citazioni riscontrabili anche su un articolo del giornale La Sicilia del 31 marzo 2016, in cui il giornalista, M. Barresi, affermava «Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E dunque il “Pigna” (fratello di Giacomo, rettore dell'università di Catania) s’è deciso. Anche perché da Roma – e questa sarà una carta da giocarsi in campagna elettorale, fra consensi e veleni – gli avrebbero sussurrato l'ipotesi di una legge “salva Caltagirone” per rimettere un po’ di conti a posto» –:
   se queste ultime affermazioni corrispondano ad intenzioni o iniziative promosse dal Governo;
   se il Governo intenda assumere iniziative per una modifica del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, per garantire il funzionamento degli enti locali che si troveranno nelle condizioni del comune di Caltagirone, che, si ribadisce, rappresenta il primo caso in Italia;
   se si intenda verificare la possibilità di assumere iniziative per creare un fondo all'interno dei capitoli di spesa del bilancio dello Stato necessario a salvaguardare i livelli minimi di sussistenza degli enti locali che, con i dovuti accertamenti, anche attraverso il coinvolgimento della Corte dei conti attestante la piena riduzione della spesa pubblica e la mancanza di danni erariali, possano trovarsi nelle condizioni del comune di Caltagirone;
   se non ritenga di valutare la sussistenza dei presupposti per inviare una task force ministeriale, presso il comune di Caltagirone, in grado di verificare la piena applicazione dei tagli di spesa previsti per i comuni in dissesto finanziario, accertando l'effettiva riduzione dei costi dell'ente anche rispetto alla media degli enti locali su base nazionale;
   se non intenda favorire la creazione di un tavolo tecnico di studio che permetta ai Ministeri e agli enti regionali di poter meglio definire modalità, strategie e interventi normativi necessari a coprire il vuoto normativo evidenziato dal caso indicato in premessa. (5-08541)


   CAPONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei primi anni ‘90 molte persone contrassero l'epatite C e l'Aids a seguito di trasfusione con sangue infetto o emoderivati infetti;
   alla fine degli anni ‘90 iniziarono le battaglie giudiziarie per ottenere il risarcimento dei danni;
   con le leggi n. 222 e n. 224 del 2007 lo Stato italiano ha aperto la procedura transattiva per risarcire i danni;
   le domande di transazione sono state presentate, al più tardi, nel gennaio 2010, come previsto dalla circolare ministeriale n. 28 del 20 ottobre 2009;
   successivamente tali domande sono state respinte in base ai criteri indicati nel decreto ministeriale n. 162 del 2012 che disciplina l'accesso alle transazioni in questione;
   nel mese di giugno 2012 l'associazione giovanile talassemici della provincia di Lecce ha proposto ricorso innanzi alla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo contro l'azione dello Stato italiano;
   nel mese di aprile 2014 la causa è stata dichiarata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo «causa pilota» ed a questa sono state riunite altre cause proposte sul territorio nazionale;
   successivamente a tale decisione il decreto-legge n. 90 del 24 giugno 2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014, ha aperto la possibilità a tutti coloro che avevano presentato una domanda di transazione stragiudiziale entro e non oltre il 19 gennaio 2010 di ricevere, a titolo di equa soddisfazione, un importo di 100 mila euro. Quarantacinque ricorrenti hanno comunicato alla Corte di aver presentato domanda per avvalersene, ponendo fine alle procedure di risarcimento;
   il 14 gennaio 2016 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha pubblicato la sentenza con la quale ha accolto il ricorso dell'associazione giovanile talassemici di Lecce ed ha condannato lo Stato italiano a pagare i danni morali sia ai giovani leccesi che agli altri soggetti infettati sparsi in tutta Italia;
   in particolare, partendo dalla causa pilota ex articolo 61 e seguenti del regolamento, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato lo Stato italiano a pagare i danni morali e le spese legali già quantificati in sentenza, maggiorati dell'interesse semplice al tasso BCE, con l'aggiunta di 3 punti percentuali;
   il termine indicato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per l'esecuzione spontanea da parte dell'Italia è di 3 mesi dalla pubblicazione della sentenza, trascorso il quale la pronuncia della Corte europea diverrà esecutiva;
   inoltre la Corte ha preannunciato la condanna dello Stato qualora entro il 31 dicembre 2017 non sarà corrisposta ai ricorrenti vincitori la somma di euro 100.00,00, prevista quale equa riparazione dal decreto-legge n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014;
   successivamente, da parte dei componenti l'associazione giovanile talassemici è giunto atto di diffida e messa in mora al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, con il quale gli istanti sollecitano di dare esecuzione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 14 gennaio 2016 sia per quanto riguarda il pagamento delle somme liquidate in favore dei sottoscritti a titoli di danni morali e spese, sia relativamente alla conclusione della procedura di equa riparazione, attraverso la corresponsione della somma stabilita di euro 100.000;
   gli effetti pratici delle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo proiettano nella fase esecutiva, che richiede un imprescindibile apporto dello Stato condannato. In questa prospettiva, la prassi del Comitato dei Ministri si è orientata nel senso di specificare a carico degli Stati, oltre a quello riparatorio, un ulteriore obbligo: adottare tutte le misure necessarie per evitare la reiterazione delle violazioni sia sul ricorrente stesso, che su tutti coloro che vengano a trovarsi nella medesima situazione;
   il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, che ha ricevuto l'atto di diffida dei firmatari il 4 aprile 2016, ha dato riscontro prontamente il 6 aprile 2016 con apposita nota, con la quale ha comunicato che allo spirare del termine di tre mesi concessi allo Stato Italiano per l'esecuzione spontanea della sentenza Corte europea dei diritti dell'uomo del 14 gennaio 2016, provvederà ad assumere ogni utile iniziativa nei confronti dello Stato per l'applicazione dell'articolo 46 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e quali determinazioni stia assumendo dal momento che il nostro Paese è stato condannato a pagare i danni morali ai cittadini ricorrenti, che sono già trascorsi i tre mesi concessi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per l'esecutività della sentenza e che, come emerge con chiarezza nello stesso dispositivo della sentenza Cedu sussiste l'obbligo del riconoscimento ai ricorrenti insieme ai danni morali della somma di 100 mila euro da versare inderogabilmente entro il 31 dicembre 2017;
   se relativamente alle somme da versare sia stato definito un criterio di erogazione delle somme e quale sia e se, a questo fine, sarà data priorità secondo l'ordine di trattazione e decisione dei ricorsi innanzi alla Corte di Strasburgo.
(5-08544)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   per il ciclo di programmazione 2014-2020, il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) è stato rifinanziato dall'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) nella misura complessiva di 54.810 milioni;
   le risorse sono destinate a sostenere esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto dell'80 per cento nelle regioni del Mezzogiorno e del 20 per cento nelle aree del Centro-nord;
   la norma ha previsto l'iscrizione in bilancio di tali risorse limitatamente alla misura dell'80 per cento (43.848 milioni di euro). La restante quota del 20 per cento (10.962 milioni di euro) verrà iscritta in bilancio – come precisato nella relazione tecnica al disegno di legge di stabilità 2014 – soltanto all'esito di una apposita verifica di metà periodo (da effettuare precedentemente alla predisposizione della legge di stabilità per il 2019, quindi nella primavera-estate 2018) sull'effettivo impiego delle prime risorse assegnate;
   con la legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) è stata ridefinita la cornice di programmazione delle risorse FSC 2014-2020, con nuovi elementi di riferimento strategico, di governance e di procedura;
   in particolare, il comma 703 dell'articolo 1 ha previsto che la dotazione finanziaria del FSC sia impiegata per obiettivi strategici relativi ad aree tematiche nazionali, articolati in piani operativi definiti da apposita cabina di regia composta da rappresentanti delle amministrazioni centrali, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Tali piani operativi devono tener conto della destinazione ai territori delle regioni del Mezzogiorno di un importo non inferiore all'80 per cento della dotazione complessiva e devono indicare, per ciascuna area tematica nazionale, i risultati attesi, le azioni, la tempistica ed i soggetti attuatori. La ripartizione per aree tematiche nazionali e la successiva approvazione dei singoli piani operativi sono attribuite al CIPE attraverso proprie deliberazioni;
   lo stesso comma 703 ha inoltre previsto che – in attesa dell'individuazione delle aree tematiche e dell'adozione dei piani operativi e su proposta dell'autorità politica per la coesione – il CIPE possa approvare, in anticipazione della programmazione complessiva e con assegnazione delle risorse necessarie, piani stralcio per la realizzazione di interventi ad immediato avvio dei lavori destinati a confluire nei piani operativi, in coerenza con le aree tematiche cui afferiscono. Per le medesime finalità di accelerazione degli interventi, il CIPE, sempre su proposta dell'autorità politica per la coesione, può disporre l'assegnazione definitiva delle risorse destinate agli interventi già approvati con propria deliberazione in via programmatica a carico delle disponibilità FSC per il periodo di programmazione 2014-2020. È infine attribuito al CIPE, in base ai riscontri sulla effettiva attuazione dei piani operativi, il potere di disporre una diversa ripartizione della dotazione tra le aree tematiche nazionali, la rimodulazione delle quote annuali di spesa per ciascuna area e la revoca di assegnazioni a causa di impossibilità sopravvenute, di mancato rispetto dei tempi o di inadempienze;
   le risorse sono state iscritte nel bilancio 2014-2016 nella misura di 50 milioni di euro nel 2014, 500 milioni di euro nel 2015 e di 1 miliardo di euro nel 2016. La determinazione della quota annuale dell'ulteriore importo di 42.298 milioni di euro è stata invece rinviata alla Tabella E delle successive singole leggi di stabilità;
   a seguito di alcune allocazioni e riduzioni decise dal Governo, la dotazione a legislazione vigente del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, esposta nella Tabella E della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), ammonta a poco più di 38 miliardi di euro (980,2 milioni per il 2016, a 2.481,7 milioni per il 2017, a 2.161,7 milioni per il 2018 e a 32.994 milioni per il 2019 e annualità successive). Di questo manca una informativa di dettaglio;
   su tali disponibilità relative al ciclo di programmazione 2014-2020 del Fondo per lo sviluppo e coesione, la medesima Tabella E della legge di stabilità 2016 è intervenuta disponendo:
    a) una rimodulazione, attraverso una anticipazione agli anni 2016-2018 delle risorse previste per il 2019, per complessivi 3.551,4 milioni. In particolare, in termini di competenza, con la rimodulazione si aumentano di 1.289,8 milioni le risorse per il 2016, di 923,3 milioni quelle per il 2017 e di 1.338,3 milioni gli importi del 2018. Si segnala, peraltro, che, in termini di cassa, l'incremento dell'autorizzazione di spesa per il 2016 ammonta a soli 600 milioni;
    b) una riduzione degli stanziamenti del Fondo della programmazione 2014-2020, di complessivi 367 milioni per il 2016, 382 milioni per il 2017 e il 2018 e di 367 milioni di euro per il 2019. Tale riduzione è correlata, per 367 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, agli oneri recati dai commi da 98 a 108 della medesima legge di stabilità che hanno introdotto il credito d'imposta per il Mezzogiorno, e per ulteriori 15 milioni di euro per il 2017 e 2018 a parziale copertura finanziaria degli oneri recati dalle misure in tema di sicurezza nazionale;
   per effetto delle riduzioni e delle rimodulazioni disposte dalla Tabella E della legge di stabilità 2016, le autorizzazioni pluriennali di spesa del FSC del ciclo 2014-2020 ammontano ora a 1.903 milioni di euro per il 2016, a 3.018 milioni di euro per il 2017, a 3.118 milioni di euro per il 2018 e a 29.075,6 milioni di euro per il 2019 e annualità successive –:
   se nel riparto delle risorse tra Centro-nord e Mezzogiorno sia stata rispettata la clausola «80-20»;
   quale sia la ripartizione delle risorse tra quota nazionale e quota assegnata alle regioni;
   quale sia la quota di ripartizione tra le diverse regioni meridionali;
   quali siano le linee strategiche che il Governo sta seguendo nella programmazione delle risorse (quota nazionale e regionale);
   se il Governo non ritenga indispensabile ed urgente, alla luce di tutti gli indicatori economici e statistici che testimoniano la drammatica situazione economica e sociale del Mezzogiorno, assumere iniziative per ripristinare le risorse destinate alle regioni del Sud che negli ultimi anni sono state tagliate o destinate ad altri interventi. (4-13036)


   PAGANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 è stato istituito presso il dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri un importante sistema nazionale di allerta per le droghe, costruito con una fitta rete di collegamenti a centri collaborativi per intercettare il prima possibile le nuove sostanze psicoattive in entrata sul territorio nazionale, vendute illegalmente sui siti Internet e per monitorare i rave party illegali dove tali sostanze vengono consumate;
   sembra che in ambito governativo sia stato ipotizzato di passare le competenze, la struttura e l'organizzazione nonché le relative responsabilità e il coordinamento tecnico-scientifico all'Istituto superiore di sanità, nonché ad un dipartimento del Ministero della salute, facendo cessare le attività dell'unità operativa di Verona. Altre voci parlano della creazione di una specifica Agenzia;
   la decisione prospettata appare priva di qualunque motivazione di ordine organizzativo o derivante da inefficienze e costi esuberanti che non ci sono mai stati. A giudizio dell'interrogante, tale decisione rischia di mettere in crisi un'organizzazione già rodata e ben funzionante e che ha prodotto risultati eccellenti come possono dimostrare tutte le riviste e la letteratura del settore;
   il sistema di allerta del dipartimento è collegato a tutti i laboratori delle forze dell'ordine (RIS, LASS, polizia scientifica e altro) che dipendono dal Ministro dell'interno e che in questi anni hanno mandato migliaia di segnalazioni di sequestri di sostanze stupefacenti eseguiti, su cui il sistema generava messaggi di informazione e di allerta per tutti i pronto-soccorsi in Italia. Tutto materiale altamente riservato derivante dai procedimenti penali correlati a tali operazioni di sequestro, spesso esitate anche in arresti a carico di spacciatori;
   il sistema in questi anni è stato gestito dall'unità operativa di Verona ed ha funzionato in maniera così efficiente da essere menzionato dall'Osservatorio europeo come «il miglior sistema di allerta tra gli Stati Membri». Esso ha tre unità operative tra loro ben coordinate con funzioni diversificate in base alle competenze:
    Roma: ISS — Coordinamento degli aspetti bio-tossicologici;
    Pavia: Centro Antiveleni — Coordinamento degli aspetti clinico-tossicologici e delle emergenze;
    Verona: ULSS 20 — Coordinamento operativo e gestione dei flussi, monitoraggio della rete Internet per la prevenzione sanitaria;
   un'eventuale decisione in tal senso appare anche in contrasto con la recente attività del Governo in tema di politiche antidroga: il 7 aprile 2016 è stato siglato l'accordo esecutivo del protocollo d'intesa per la «Promozione di interventi in materia di politiche antidroga e di tutela della salute pubblica attraverso il contrasto dell'incidentalità causata dall'uso di sostanze stupefacenti», tra il dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri ed il dipartimento della pubblica sicurezza; l'accordo è stato sottoscritto dal consigliere Patrizia De Rose per il dipartimento delle politiche antidroga e dal direttore centrale delle specialità della Polizia di Stato Roberto Sgalla;
   il 19 aprile 2016 è stata presentata all'ONU una denunzia di totale fallimento delle politiche antidroga in corso che «hanno creato un vasto mercato illecito che ha arricchito organizzazioni criminali, corrotto governi, innescato violenze esplosive, distorto mercati economici e minato i più basilari valori morali»; la denunzia è stata sottoscritta da oltre mille leader globali, inclusi 27 deputati della Camera dei rappresentanti Usa e sei ex senatori, 24 capi ed ex capi di agenzie di pubblica sicurezza, 37 prelati, 230 professionisti medici e una serie di celebrità, atleti e grandi imprenditori;
   si assiste peraltro in Italia ad un generale depotenziamento del contrasto alla diffusione della droga nelle fasce giovanili: recentissima la notizia dell'azzeramento dei fondi per la lotta alla droga nelle scuole; sono sei anni che non si celebra la conferenza per le politiche di contrasto, così come sono stati sospesi i tavoli di lavoro sul tema, con le associazioni no profit –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in materia di politiche per il contrasto alla diffusione della droga e per il contrasto delle dipendenze, in particolare nelle fasce giovanili;
   se non ritenga opportuno esaminare la questione esposta in premessa in sede di Consiglio dei ministri tenendo conto che, in termini politici, la decisione di ridurre le competenze della Presidenza del Consiglio in materia di contrasto alla diffusione della droga, ad avviso dell'interrogante di fatto esclude questa tematica dagli obiettivi centrali della politica del Governo. (4-13038)


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Palermo possiede il 100 per cento delle società AMAT Palermo s.p.a.;
   tale società, come ben evidenziato nella deliberazione n. 53 del 17 aprile 2012 del commissario straordinario con poteri della giunta comunale di Palermo, esercita contemporaneamente attività riconducibili sia a servizi pubblici locali a rilevanza economica sia servizi strumentali;
   in particolare, eserciterebbe il servizio pubblico locale a rilevanza economica di servizio di trasporto pubblico urbano e il servizio strumentale di servizio di apposizione, installazione a manutenzione della segnaletica;
   come opportunamente riportato all'interno della citata deliberazione, ai sensi di quanto disposto dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, «per le società che in aggiunta ai servizi pubblici locali a rilevanza economica svolgono anche “attività strumentali”, queste ultime dovranno essere disgiunte e, a tal fine, l'amministrazione potrà scegliere di: a) scorporarle al fine della messa in liquidazione dei relativi rami d'azienda; b) affidare a terzi le medesime attività, mediante appalti pubblici; c) in via del tutto residuale, costituire una nuova società “strumentale” partecipata dal comune [...]»;
   ciò è confermato da quanto previsto al secondo comma dell'articolo 13 del decreto-legge n. 248 del 2006, che impone che gli enti locali prevedano per le società strumentali un oggetto sociale esclusivo;
   l'impossibilità per una società di esercitare contemporaneamente servizi pubblici locali e strumentali e stato poi ribadito dalla Corte dei conti, in particolare la deliberazione n. 517/2011/PAR del 17 ottobre 2011 emanato dalla sezione regionale di controllo per la Lombardia, che testualmente stabilisce, tra l'altro, che «il legislatore ha dettato regole precise e differenziate per la gestione delle varie funzioni ed attività, stabilendo, altresì, specifiche incompatibilità fra la gestione di attività strumentali che vedono quale destinatario ed interlocutore l'ente locale e le attività a rilevanza economica che presentano un'incidenza sul mercato, sia pure locale»;
   ancora tramite deliberazione n. 074/2012/PAR del 17 gennaio 2012 emanato dalla sezione regionale di controllo per il Veneto, testualmente si stabilisce, tra l'altro, che «I soci che detengono partecipazioni in società alle quali siano state affidate contemporaneamente attività riconducibili a servizi strumentali ed attività riconducibili a servizi pubblici locali a rilevanza economica se non hanno ancora provveduto ad eliminare l'anomalia, debbono provvedere alla loro liquidazione, anche per evitare di incorrere nelle specifiche violazioni previste dallo stesso articolo 13 della legge n. 248 del 2006, che sanziona con la nullità i contratti relativi ai servizi strumentali gestiti impropriamente da una società affidataria»;
   inoltre, la netta separazione tra società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica e società che gestiscono servizi strumentali è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza e dalla normativa europea in materia di concorrenza;
   il medesimo decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, articolo 13, comma 3, più volte modificato, imponeva agli enti locali il termine di 42 mesi per conformarsi alle previsioni normative, termine scaduto il 4 gennaio 2010, molto prima della deliberazione del 17 aprile 2012 sopra richiamata, e imponeva, quale sanzione, la nullità di contratti siglati in modo non conforme alle norme ivi contenute;
   ad oggi non risulta all'interrogante che il comune di Palermo abbia provveduto entro i termini sopra descritti a conformarsi agli obblighi di legge;
   inoltre, scorrendo la citata deliberazione dell'aprile 2012, il commissario straordinario evidenzia opportunamente che la società AMAP s.p.a., controllata al 100 per cento dal comune di Palermo, svolgerebbe due servizi pubblici locali a rilevanza economica, nello specifico il servizio idrico integrato ed il servizio accessorio legato al ciclo dei rifiuti, confermati all'articolo 2 del nuovo contratto di servizio siglato nel novembre 2015 col comune di Palermo, che potrebbero essere riconducibili, con innegabili risparmi per le finanze pubbliche, all'affidamento già in essere a favore della società AMIA s.p.a., che risulta essere fallita e le sue attività cedute alla società di nuova costituzione RAP s.p.a. –:
   se il Governo non intenda, per quanto di competenza, attivare iniziative ispettive da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso la ragioneria generale dello Stato e dell'Ispettorato per la funzione pubblica presso il dipartimento per la funzione pubblica, al fine di verificare la regolarità della situazione amministrativo-contabile presso l'ente comune di Palermo. (4-13043)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAZZOLI, BRATTI, TERROSI, BORGHI, MANFREDI e BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella zona di Graffignano, in provincia di Viterbo, risultano venti tonnellate di rifiuti tossici interrati da quasi dieci anni, con il pericolo concreto di contaminazione della catena alimentare nonché di effetti devastanti sulla salute dei cittadini;
   la vicenda trae origine da un accertamento del Corpo forestale dello Stato, Comando Provinciale di Viterbo, avvenuto nei giorni 7 e 8 novembre 2007 in località Pascolaro;
   secondo le indagini del Nipaf (nuclei investigativi provinciali di polizia ambientale e forestale), i materiali di smaltimento provenienti dal Nord Italia, anziché giungere alla Manufatti centro Italia di Alviano (Terni), sarebbero stati interrati nel sito in questione;
   l'ispezione ha consentito il ritrovamento di una grande quantità di materiale fangoso palpabile, riconducibile, a un esame olfattivo, alla presenza di prodotti chimici a una profondità variabile tra 0,50 e 4,00 metri;
   le venti tonnellate sono state sversate, spalmate nel terreno, per poi essere ricoperte, anche a causa delle esondazioni del fiume Tevere; la zona è infatti da considerarsi «golenale» ovvero naturalmente predisposta ad allagamenti fisiologici e persino necessari in tale tratto appena successivo alla diga costituita dalla centrale idroelettrica di Alviano e da quella di Corbara;
   in un'area di circa 50 ettari – utilizzata per coltivazioni di cereali, ortaggi, pascolo di animali, allevamento, caccia, pesca e con una falda acquifera a circa 2,5 metri –, è emersa la presenza di cadmio, cromo, cobalto, stagno-antimonio in concentrazioni superiori alla norma;
   a oggi non è dato ancora conoscere la qualità dell'agente inquinante interrato nel sottosuolo nel comune di Graffignano. Gli unici dati certi riguardano le analisi effettuate dall'Arpa e quelle eseguite dai tecnici della procura della Repubblica di Viterbo che evidenziano un innalzamento dei valori dei metalli pesanti e di sostanze legate alla presenza di idrocarburi;
   la concentrazione di stagno arriva, infatti, a 50 mg/kg mentre il valore massimo consentito dalla legge nei terreni agricoli è di l; il cobalto raggiunge livello 38 mg/kg anziché 20; l'antimonio arriva a 43 mg/kg, ben 4 volte il limite; la diossina supera addirittura 7 volte il valore autorizzato;
   il procedimento penale, presso il tribunale di Viterbo, che ha individuato quali responsabili della contaminazione i F.lli Nocchi di Nocchi Roberto & C., l'ICI srl, si è concluso con una estinzione del reato per intervenuta prescrizione;
   trasformare le cave in siti di smaltimento dei rifiuti non solo costituisce un pericolo per la salute ma anche per l'economia. Infatti, la citata area a forte vocazione agricola, potrebbe essere esclusa, per il reale rischio ambientale, dal programma di sviluppo rurale (2014 al 2020), che prevede per la regione Lazio un investimento di 780 milioni di euro;
   l'ordinanza 06/2014 del comune di Graffignano impone alcuni limiti all'utilizzo dei terreni siti in località Pascolaro per i danni che l'eventuale lavorazione del terreno potrebbe comportare alla popolazione, per il sollevamento di polveri e particelle inquinanti;
   l'obiettivo primario da perseguire è l'approvazione del piano di caratterizzazione che definisce l'area dalla quale verranno prelevati i campioni delle matrici ambientali (suolo e acque sotterranee), sui quali successivamente verranno effettuate le analisi per quantificare la presenza di sostanze tossiche;
   la messa in sicurezza e la bonifica del sito si renderà necessaria qualora la contaminazione delle matrici ambientali, rilevata nel sito, superasse le concentrazioni «soglia di contaminazione» e le concentrazioni «soglia di rischio»; il passo successivo sarà la stima economica dell'operazione di eventuale bonifica;
   è, tuttavia, evidente che tali attività, compresa quella di recupero prevista dal decreto legislativo n. 152 del 2006, si fondano su una disponibilità economica che l'amministrazione comunale di Graffignano non può garantire se non supportata da adeguati finanziamenti di pertinenza stanziati dalla regione, come avvenuto per le altre discariche abusive nella provincia di Viterbo, peraltro potenzialmente meno pericolose –:
   se i Ministri interrogati intendano sostenere concretamente, per quanto di competenza, l'indagine epidemiologica e il piano di caratterizzazione al fine di verificare gli accumuli di sostanze nocive quali diossina, cadmio, cromo, cobalto, stagno antimonio e sul grado di rischio sanitario e ambientale delle aree in questione;
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo relativamente alle necessarie politiche di tutela della salute dei cittadini, anche prevedendo attività di screening sulla popolazione residente nei territori contaminati e in quelli limitrofi. (5-08543)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva del Consiglio, del 19 luglio 2011, n. 70, 2011/70/Euratom, definisce il quadro normativo comunitario ai fini della gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;
   in particolare, l'articolo 11 della stessa prevede che ciascuno Stato membro assicuri l'attuazione della succitata direttiva definendo un proprio programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, comprendente tutti i tipi di combustibile esaurito e di rifiuti radioattivi soggetti alla sua giurisdizione e tutte le fasi della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, dalla generazione allo smaltimento;
   la medesima direttiva prevede, altresì, l'obbligo per ogni Stato di aggiornare e rivedere periodicamente il proprio programma nazionale, l'istituzione di un'autorità di regolamentazione competente in materia di sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, e l'obbligo di trasmettere alla Commissione una relazione sullo stato di attuazione della direttiva, scadenza che doveva essere adempiuta entro il 23 agosto 2015;
   il Governo italiano, in attuazione della delega conferita dalla legge n. 96 del 2013 (legge di delegazione europea 2013), ha emanato il decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 45, che, a sua volta, ha istituito nel nostro ordinamento un «programma nazionale» per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi comprendente tutti i tipi di combustibile esaurito e di rifiuti radioattivi soggetti alla giurisdizione nazionale, e l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN);
   nonostante il progetto sia già al vaglio dei Ministeri competenti, l'Italia ad oggi non si è ancora dotata di un programma operativo nazionale disciplinato all'articolo 11 della direttiva 70/2011 che, sulla base di quanto previsto dal decreto legislativo n. 45, doveva essere adottato entro il 31 dicembre 2014. Inoltre, l'autorità di regolamentazione competente (ISIN), che dovrebbe controllare la corretta gestione del combustibile radioattivo, non è ancora in pieno esercizio, e le sue funzioni sono attualmente di competenza del dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale dell'ISPRA;
   il 13 marzo 2015 l'Ispra ha consegnato ai Ministeri competenti (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dello sviluppo economico) la carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) alla localizzazione del deposito nazionale e parco tecnologico dei rifiuti radioattivi, effettuata dalla società di Stato SO.G.I.N. s.p.a.;
   l'11 dicembre 2015, la Commissione europea, per mano di Dominique Ristori, in risposta all'europarlamentare Rosa D'Amato, ha reso noto che in tal data non era pervenuto alla Commissione il programma nazionale italiano sulla gestione dei rifiuti tossici né il report nazionale sull'applicazione della direttiva come da articolo 14 della direttiva 2011/70/Euratom. La Commissione ha contattato direttamente le autorità italiane per conoscere le tempistiche di consegna del programma e del report stabilendo come data ultima per presentare i documenti il 13 gennaio 2016;
   il nostro Paese è stato messo in mora dalla direzione generale energia (messa in mora articolo 258 del TFUE), che ha aperto così ufficialmente la procedura d'infrazione 2016–2027 della Commissione europea in merito al programma nazionale di gestione delle scorie radioattive e del combustibile nucleare esaurito, il quale sarebbe stato trasmesso alla Commissione solo a febbraio 2016, visto il termine di consegna dell'agosto 2015, prorogato al 13 gennaio 2016;
   diversi quotidiani nazionali, tra cui Il Fatto Quotidiano del 28 aprile 2016 hanno riportato la notizia della messa in mora dell'Italia da parte della Commissione europea avanzando come motivazione la decisione del Governo di congelare la questione per evitare ripercussioni sul consenso elettorale –:
   quali siano le motivazioni che ad oggi hanno impedito ai Ministri di ottemperare alle scadenze già definitive, stabilite in parte dalla direttiva n. 70 — 2011/70/Euratom, in altra parte dal decreto legislativo n. 45 del 31 dicembre 2014;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per rendere operativa in ogni sua parte la direttiva per la gestione delle scorie nucleari anche nel nostro Paese;
   quali siano le linee del programma trasmesso alla Commissione nel febbraio 2016, al fine dell'attivazione di un piano strategico e politico;
   quando i Ministri interrogati renderanno note all'opinione pubblica le aree territoriali potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale, al fine di attivare un percorso di confronto con le comunità locali nonché di informare adeguatamente la popolazione interessata.
(4-13040)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (cosiddetto «Decreto Ronchi») ha soppresso la tassa per lo smaltimento dei rifiuti (cosiddetta Tarsu), istituendo specifica tariffa per la gestione dei rifiuti urbani (cosiddetta Tia) ad integrale copertura dei costi del relativo servizio;
   sulla natura della nuova tariffa si aprì quasi immediatamente una controversia, relativa al fatto che essa dovesse essere considerata un corrispettivo per servizio, oppure avesse specifica natura tributaria; nel primo caso essa sarebbe stata assoggettata al regime di applicabilità dell'Iva;
   nel corso del tempo, nonostante l'intervento del legislatore con la legge n. 248 del 2005, si è succeduta un'intensa attività giurisprudenziale, tra cui si annovera la sentenza della Consulta n. 238/09 la quale ha avuto modo di affermare, in via incidentale rispetto al quesito di merito, che la tariffa rifiuti (Tia), avendo comunque natura tributaria come la vecchia tassa sui rifiuti (Tarsu), non può essere assoggettata al pagamento dell'Iva;
   sulla scorta di tale orientamento, molti cittadini utenti hanno iniziato a chiedere alle aziende che gestiscono la Tia la restituzione delle somme di Iva versate all'atto del pagamento delle bollette o fatture relative al servizio di igiene urbana;
   per giurisprudenza consolidata, infatti, va distinto il rapporto tra consumatore finale/committente e prestatore del servizio, che ha natura privatistica, con conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario della controversia che abbia ad oggetto la domanda direstituzione delle somme Iva indebitamente addebitate in via di rivalsa, dal rapporto tra prestatore di servizio/soggetto passivo Iva ed amministrazione finanziaria, che ha natura tributaria, con conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice tributario della controversia che abbia ad oggetto la domanda di restituzione delle somme Iva erroneamente versate all'erario;
   le sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 5078/2016, hanno confermato che la Tia «non è assoggettabile ad IVA in quanto essa ha natura tributaria mentre l'imposta sul valore aggiunto mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non quando si paga un'imposta sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente»;
   le aziende erogatrici del servizio di igiene urbana, per uniformarsi a quanto stabilito dalle ripetute sentenze che si sono susseguite, hanno formalmente richiesto all'Agenzia delle entrate la restituzione dell'Iva che era stata riversata, ai fini del rimborso successivo agli utenti e ai consumatori interessati;
   L'Agenzia delle entrate, per suo conto, ha fin qui denegato – in forma esplicita ovvero con il proprio silenzio alle istanze delle aziende – alla richiesta di restituzione, in ciò agendo secondo una prassi amministrativa consolidata che trova riscontro in alcune circolari del Ministero delle finanze (n. 111/1999, n. 3/DF/2010) e almeno due risoluzioni dell'Agenzia delle entrate (n. 25/2003 e n. 250/2008), che hanno confermato l'applicabilità dell'Iva alla Tia, in ciò confliggendo con quanto determinato dalla giurisprudenza, da ultimo con la citata sentenza a sezioni unite della Cassazione n. 5078/2016;
   le aziende erogatrici del servizio di igiene urbana non possono disporre motu proprio le somme dell'Iva versata dagli utenti, perché esse non sono mai state nella disponibilità delle stesse aziende, e del resto non possono essere utilizzate a tal fine le risorse interne, a pena di esporre ad insolvenza i gestori;
   la situazione determinatasi è pertanto paradossale, giacché le aziende del settore, che riversano all'Agenzia delle entrare l'Iva riscossa, sono in questo momento costrette da un lato a resistere alle richieste di rimborso da parte degli utenti, e, dall'altro, hanno aperto un contenzioso con l'Agenzia delle entrate avanti al giudice tributario, per ottenere il rimborso delle somme erogate a fronte dei provvedimenti di condanna del giudice ordinario –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per risolvere tale situazione di indubbia criticità, dando esecuzione a quanto stabilito dalla citata sentenza delle sezioni unite della Cassazione in merito alla non assoggettabilità ad Iva della Tia, e per addivenire alla risoluzione del contenzioso tra Agenzia delle entrate ed aziende erogatrici del servizio. (5-08540)

Interrogazione a risposta scritta:


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dall'articolo pubblicato in data 2 aprile 2016 sul quotidiano La Stampa Torino, i vigili hanno scovato 24 alberghi a Torino che non hanno versato l'imposta di soggiorno – l'imposta che grava su chi alloggia nelle strutture ricettive – al comune, generando un danno da 450 mila euro su cui indaga la procura per peculato; i turisti hanno pagato regolarmente l'imposta di soggiorno, ma di quest'ultima il Palazzo civico non ha visto un euro;
   l'accusa è peculato, cioè appropriarsi del denaro di cui si è entrati in possesso come pubblici ufficiali; infatti, dal giorno in cui il comune ha deciso di applicare la tassa di soggiorno, gli albergatori riscuotono denaro per conto di un ente pubblico;
   sebbene il decreto-legge n. 23 del 2011 stabilisca che il gettito derivante dall'imposta di soggiorno deve «essere destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali», dalla rilevazione effettuata dall'Osservatorio nazionale sulla tassa di soggiorno curato dal centro studi Panorama Turismo, emerge soprattutto che le amministrazioni comunali, a causa della forte corruzione, faticano a dichiarare con chiarezza gli investimenti che effettuano con i proventi dell'imposta di soggiorno –:
   a valutare se sussistano i presupposti per assumere iniziative normative volte a modificare l'articolo 4 del decreto legislativo n. 23 del 2011 in modo da prevedere che la quota di almeno il 50 per cento di questi fondi sia destinata a quella parte dei servizi pubblici locali maggiormente visibile al visitatore, ovvero al trasporto, alla viabilità interna e alla pulizia e decoro urbano. (4-13039)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ, MARTI, FUCCI, ALTIERI, CHIARELLI e LATRONICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 28 aprile 2016 inizieranno le prove scritte per il concorso a posti e a cattedre per il personale docente, così come stabilito dalla legge n. 107 del 13 luglio 2015, con il quale sono messi a bando un totale di 63.712 posti che verranno assegnati nel corso del triennio 2016/2018;
   l'organizzazione del concorso ha registrato già numerose incongruenze e diversi errori che minano la credibilità della prova pesano sui docenti che aspirano ad un posto indeterminato all'interno della scuola;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 110, della legge n. 107 del 13 luglio 2015 i soli ai quali il concorso sarebbe aperto sono gli abilitati con tirocinio formativo attivo (TFA), ma ci sarebbero decine di ricorrenti sprovvisti del titolo abilitativo che con ogni probabilità verranno ammessi con riserva, ma legittimamente, alla procedura concorsuale, poiché il Tar del Lazio già si sarebbe espresso con esito positivo. Il 30 marzo 2016, Ministro interrogato si era pronunciata così sulla questione «Il Ministero sta seguendo con attenzione tutta la procedura del concorso e anche la questione dei ricorsi. Siamo tranquilli. Stiamo lavorando per garantire a chi ha fatto domanda, avendone i requisiti, che tutto si svolga nel migliore dei modi e secondo quanto previsto dalla legge che è chiara e inequivoca: il bando è riservato ai soli abilitati», ma ad oggi non c’è stata alcuna chiarezza e certezza in merito;
   a ciò si aggiungano i problemi legati alla valutazione degli abilitati in strumento musicale che, dopo essersi a lungo formati, nel 2013 si sono visti affiancati dagli abilitati tramite PAS (percorsi abilitanti speciali), decisione che ha alterato il fabbisogno regionale per l'accesso all'insegnamento e per la quale non hanno potuto usufruire del bonus TFA previsto a causa di un'incongruenza all'interno del decreto ministeriale n. 353 del 2014;
   il bando del concorso prevede, inoltre, che almeno quindici giorni prima della data stabilita i concorrenti conoscano giorno e luogo della propria prova, tuttavia, in relazione a quelle del 28 aprile e del 2 maggio, gli uffici scolastici regionali, dopo la pubblicazione ufficiale di tali liste, hanno ritenuto opportuno intervenire per apportare importanti modifiche. In prima istanza, infatti, la ripartizione sulle varie sedi d'Italia era stata fatta sulla base dell'anno di nascita, contrariamente a quanto prescritto dal bando stesso che stabilisce una ripartizione su base alfabetica. A questo punto gli uffici regionali, ai quali spetta l'organizzazione logistica, sono intervenuti per sanare l'incongruenza, ripubblicando, in alcuni casi fuori tempo limite, gli elenchi corretti e rivisti. Le modifiche e gli aggiustamenti di tale portata in corso d'opera hanno arrecato danni anche economici a quanti, sulla base della prima pubblicazione, avevano provveduto a riservare treni e alloggi, senza considerare la probabile quantità di ricorsi di cui molti docenti si avvarranno;
   a pochi giorni dall'inizio delle prove non sono ancora state trasmesse ai candidati le griglie di valutazione secondo le quali essere giudicati e la composizione delle commissioni risulta ancora incerta –:
   come il Ministro interrogato intenda assicurare la corretta procedura di selezione in queste condizioni;
   se intenda intervenire con iniziative normative per scongiurare il ripetersi di «errori tecnici» di tale portata in futuro;
   se non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative per prevedere un secondo canale di assunzione almeno per gli abilitati con tirocinio formativo attivo, già selezionati con una prova de facto, e a tutti gli effetti abilitati, anche al fine di rendere meno gravoso lo svolgimento delle stesse operazioni concorsuali.
(4-13037)


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sugli organi di stampa (Corriere dell'Umbria e www.umbria24.it del 27 aprile 2016), si apprende che: «Dovranno rifondere 95 mila euro per lo spreco di denaro pubblico che ci fu nella vicenda dell'affitto dell'ex Contrappunto. L'ex rettore dell'Università per stranieri di Perugia e attuale Ministro dell'istruzione, Stefania Giannini, l'attuale rettore Giovanni Paciullo e altre persone all'epoca dei fatti in posizioni di vertice dell'Ateneo, sono state condannate dalla Corte dei conti per il danno erariale causato. La notizia è riportata da alcuni quotidiani locali. I giudici contabili (presidente Angelo Canale, consigliere relatore Fulvio Maria Longavita) hanno ridimensionato il computo dei canoni mai riscossi per morosità e quelli iniziali prescritti, passando dai 339 mila euro ipotizzati dalla procura ai 95 mila della sentenza, divisi a vario titolo dalle persone citate in giudizio (in particolare 9 mila euro Giannini e 3.900 euro Paciullo). La vicenda risale al 2008 (Giannini rettore e Paciullo componente del Cda della Unistra), quando l'Ateneo prese in affitto il Contrappunto, affidandolo in gestione per creare un polo di attività culturali e ricreative per gli studenti, in particolare una “Scuola di cucina italiana”. Questo progetto non trovò mai compimento, con la conseguenza che i canoni di affitto pagati sono stati classificati dalla Corte dei conti come “danno erariale”»;
   effettivamente i fatti di indagine per cui il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini ora è stata condannata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale dell'Umbria per danno erariale pari a euro 9.187,50 non sono nuovi e hanno – tra l'altro – già formato oggetto anche di precedenti atti di sindacato ispettivo dell'interrogante (interrogazione a risposta scritta n. 4-04797 e n. 4-07412), in risposta ai quali il Ministro sulla base della «fondamentale premessa» secondo la quale «Non può mancarsi di rilevare che ad oggi, per il periodo di cui all'interrogazione, non è stata accertata, dall'autorità competente in materia, alcuna responsabilità per irregolare gestione contabile e amministrativa riferita all'università per stranieri di Perugia», declinava ogni responsabilità per l'addebito contestatole;
   ora la Corte dei conti ha accertato una responsabilità a carico del Ministro per danno erariale: quel danno definito sia come un «indebito esborso di denaro pubblico», in quanto ad esso non corrisponde nessuna utilità acquisita, sia come un «mancato introito di denaro nelle casse della pubblica amministrazione» riconducibile ad una responsabilità amministrativa e/o contabile dei dipendenti o funzionari pubblici;
   gli atti compiuti dal Ministro durante il suo incarico di rettore dell'università per stranieri di Perugia accertati da una sentenza della magistratura contabile al termine di un regolare processo sono lesivi degli interessi pubblici ed inevitabilmente vanno, secondo gli interroganti, ad inficiare anche il prestigio e l'autorità morale necessari per ricoprire un incarico di tale importanza istituzionale quale è il ruolo di Ministro della Repubblica –:
   se il Ministro interrogato non intenda fornire con urgenza i propri intendimenti e, preso atto dell'esito del procedimento contabile per danno erariale, non ritenga opportuno assumersi ogni responsabilità consequenziale anche valutando l'opportunità di dimettersi dall'incarico, così da fugare ogni dubbio, anche di carattere etico e di responsabilità politica, che possa inficiare il prestigio e l'autorità morale necessari per ricoprire l'incarico istituzionale di Ministro della Repubblica. (4-13041)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2008 è entrata in vigore in Italia, una carta acquisti contro la povertà assoluta che fu destinata ad aiutare i nuclei familiari più deboli;
   si è trattato di una social card con un bonus fisso tra gli 80-120 euro pro capite, con corsie preferenziali per i casi di estremo bisogno. In pratica prevede un'erogazione di 40 euro mensili per spesa alimentare, prodotti farmaceutici e parafarmaceutici e pagamento delle bollette della luce e del gas;
   questa tessera è stata concessa agli anziani di età superiore o uguale ai 65 anni o ai bambini di età inferiore ai tre anni (in questi casi i titolari della carta sono i genitori) il cui reddito «Isee» risultasse di un valore bassissimo;
   tuttavia, per lo scorso anno (2015), il limite «Isee» è salito da 6.781,76 a 6.795,38 euro, ma tale incremento dell'indicatore non è stato accompagnato dalla fruizione di nuove soglie da parte degli enti locali per i cittadini che hanno diritto alle agevolazioni;
   ciò ha fatto ritrovare migliaia di cittadini più poveri, in quanto di fatto, anche per poche decine di euro, sono stati esclusi molti beneficiari dalla social card che ne avevano usufruito fino all'anno precedente;
   la richiesta per tale carta doveva essere fatta obbligatoriamente tramite l'ente Poste o il sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che la trasmettevano a sua volta per via telema tica all'Inps per le necessarie verifiche, secondo il reddito sia pro capite che famigliare:
   tale burocrazia comportava spesso errori di collegamento e sovente i richiedenti si trovavano dinanzi alla sensazione di impotenza quando, scorrendo le varie voci (scheda di sintesi, esempi di situazione economica dei cittadini e modalità di adesione degli enti locali) si leggeva che gli «aggiornamenti erano rimasti al novembre 2009»;
   questi, infatti, sembrerebbero gli ultimi dati relativi alla social card, con il solito rimpallo di responsabilità da parte degli enti coinvolti;
   oggi, secondo gli ultimi dati «Istat», tali disposizioni hanno riguardato solo il 5,7 per cento delle famiglie (per un totale di oltre 4 milioni di persone);
   poco importa se otto anni fa su 900 mila richieste ne sono state accolte 527 mila, visto che i requisiti erano meno stringenti e, soprattutto, erano state utilizzate campagne di comunicazione con l'invio a casa di circa 600 mila lettere ai potenziali beneficiari;
   sebbene questa social card avesse pertanto dimostrato tutti i suoi limiti, nell'anno 2014 è stata introdotta dal Governo la «Sia» (sostegno per l'inclusione attiva), una nuova carta sperimentale (con questa formula si va da 231 euro per due componenti del nucleo familiare a 404 euro mensili per 5 componenti), richiedibile dai residenti di 12 città italiane (Roma, Milano, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Torino, Venezia, Verona e Bari). Il target di riferimento è sempre la lotta alla povertà minorile, a partire dalle famiglie in cui chi lavorava ha perso il posto di lavoro e non ha più diritto a sussidi;
   anche con tale integrazione, comunque, è stato difficile rientrare nelle condizioni per accedervi e anche il relativo iter burocratico è costellato da intrecci tortuosi; infatti, occorre non essere intestatari di più di una utenza elettrica domestica e di più di due utenze del gas né proprietari di più di due autoveicoli né proprietari, con una quota superiore o uguale al 25 per cento, di più di un immobile ad uso abitativo o titolari di un patrimonio mobiliare superiore a 15 mila euro –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, ai fini della semplificazione e dell'alleggerimento dell'attuale burocrazia che comporta sia il doppio controllo di comune e Inps, sia il coinvolgimento di due Ministeri (Ministero del lavoro e delle politiche sociali e Ministero dell'economia e delle finanze), oltre all'intervento delle Poste Italiane, in ragione del fatto che, in tutti questi anni, non si sono registrati significativi miglioramenti per i potenziali beneficiari;
   quali siano i dati oggettivi, in quanto, per quel che si apprende dai vari report pubblicati sia dai media che dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si evince che, anche con queste social card la situazione sociale della classe meno abbiente non è migliorata minimamente, e che i requisiti sono talmente stringenti (perdita del lavoro negli ultimi 36 mesi, aver avuto un reddito inferiore ai 4 mila euro nei sei mesi precedenti la richiesta e i soliti vincoli sull'abitazione e sulle automobili) che il numero delle famiglie che alla fine ha ottenuto il beneficio è inferiore alla metà del totale dei richiedenti;
   se non sia il caso di adottare un nuovo sistema di carta, con un meccanismo più rapido e semplificato, visto che in questi ultimi anni la «carta acquisti» non ha lasciato traccia e gli effetti sono stati poco visibili e anzi in alcuni casi questo stato di cose ha contribuito all'impoverimento della classe media, con il coinvolgimento, tra l'altro, di due Ministeri (lavoro ed economia), di Inps e di Poste Italiane e con una procedura per accedere al modulo di domanda che prevede l'accesso al sito dell'Istituto di previdenza, nella sezione ad hoc carta acquisti ordinaria, e da qui a un altro indirizzo delle Poste che, però spesso non funziona. (4-13042)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, TERZONI, MICILLO, MANNINO, ZOLEZZI e DE LORENZIS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 19 dicembre 2013, n. 153, il Parlamento ha autorizzato la ratifica dell'accordo per il gasdotto transadriatico (TAP) del 13 febbraio 2013 che attua un memorandum d'intesa siglato dall'Italia, la Grecia e l'Albania in data 27 settembre 2012 quale accordo preliminare sulla cooperazione allo sviluppo della realizzazione del progetto Trans Adriatic Pipeline — TAP;
   in seguito al presentarsi dell'epidemia di Xylella fastidiosa, che ha colpito numerose piante di olivo principalmente nel territorio pugliese, il Governo ha proceduto all'emanazione di diversi decreti ispirati al quadro normativo europeo;
   il decreto 19 giugno 2015, recante misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e l'eradicazione di Xylella fastidiosa nel territorio della Repubblica italiana, all'articolo 12, comma 1, stabilisce, in merito allo spostamento delle piante specificate all'interno dell'Unione, che «È vietato lo spostamento all'interno dell'Unione, all'interno o all'esterno delle zone delimitate, di piante specificate che sono state coltivate per almeno parte del loro ciclo di vita in una zona delimitata stabilita ai sensi dell'articolo 6»;
   il tracciato del metanodotto Snam, che dovrebbe collegare il Tap dall'approdo di Melendugno allo snodo di Mesagne, attraversa i territori su cui sono stati rinvenuti i maggiori focolai di Xylella fastidiosa e su cui sono previsti gli abbattimenti più massicci, a Veglie, Oria e Torchiarolo;
   secondo la norma citata, le piante di olivo non avrebbero potuto essere spostate, rallentando in questo modo le procedure per l'autorizzazione del metanodotto e portando la data dell'apertura dei lavori prossima al termine massimo del 16 maggio 2016;
   a questo punto però viene posto subito rimedio attraverso un nuovo decreto. Il nuovo decreto di modifica, è il decreto n. 736 del 18 febbraio 2016 il quale modifica il precedente decreto del 19 giugno 2015. In particolare viene aggiunto il comma 9 dell'articolo 12 del decreto del 19 giugno 2015 che prevede che «9. In deroga al comma 1, il Servizio Fitosanitario Regionale può autorizzare lo spostamento di piante specificate per la realizzazione di opere dichiarate di pubblica utilità che hanno conseguito le previste autorizzazioni e di cui è stata svolta, con esito positivo la valutazione di impatto ambientale, se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
    a) le piante sono spostate sotto controllo ufficiale in aree caratterizzate dalle stesse condizioni fitosanitarie (spostamento da zona infetta a zona infetta o da zona cuscinetto a zona cuscinetto), per il periodo di tempo necessario alla realizzazione delle opere;
    b) le piante sono mantenute isolate dall'ambiente circostante mediante reti anti-insetto per evitare contaminazioni;
    c) durante tutto il periodo è realizzato il controllo degli insetti vettori mediante i previsti trattamenti fitosanitari e l'eliminazione della vegetazione erbacea;
    d) prima dell'espianto e prima del reimpianto nell'area originaria, tutte le piante sono sottoposte ad ispezione visiva ufficiale, campionamento ed analisi molecolare secondo metodi di analisi convalidati a livello internazionale e riscontrate sane;
    e) prima dello spostamento e prima del reimpianto nell'area originaria, tutte le piante sono sottoposte a trattamenti fitosanitari contro i vettori dell'organismo specificato;
    f) nelle zone di reimpianto è condotto un monitoraggio per almeno i successivi 8 mesi»;
   il progetto TAP era stato prontamente dichiarato in precedenza opera di pubblica utilità;
   dal documento presentato da TAP, intitolato «Adempimenti Ex. DM 18 febbraio 2016, depositato in atti presso la regione Puglia, si apprende che in data 15 marzo 2016 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concluso la procedura di ottemperanza alla prescrizione A.29 del decreto ministeriale n. 223 dell'11 settembre 2014 inerente anche allo spostamento delle vegetazione arborea dal tracciato del gasdotto Melendugno-Mesagne di 55 chilometri che sarà pagato in bolletta dai cittadini, ciò significa che saranno spostati anche gli ulivi affetti da CoDiRO;
   dall'approvazione del «progetto esecutivo delle interferenze per i lotti 1 e 1B», risulta al contempo, che gli organi regionali e nello specifico l'Arpa, abbiano dato parere positivo anche per la prescrizione A.45 e secondo indiscrezioni ci sarebbe stato un orientamento positivo della regione anche per la A.44 che si riferiscono rispettivamente alle opere di monitoraggio e alla gestione dei neoecosistemi e a quelle di mitigazione ambientale e ripristini;
   tuttavia, il decreto del 2016 ha tralasciato di modificare l'articolo 5 del decreto 19 giugno 2015 che stabilisce che «È fatto divieto a chiunque di detenere o movimentare materiale vivo di Xylella fastidiosa o ogni materiale infetto da essa» –:
   se la mancata modifica dell'articolo 5, comma 1, del decreto del 19 giugno 2015 non possa rappresentare tuttora un elemento ostativo alla rimozione delle piante di olivo nella zona del cantiere di approdo del TAP e nella zona del tracciato del metanodotto Melendugno-Mesagne. (5-08542)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Lorefice e altri n. 1-00698, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Agostinelli, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spessotto, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio e altri n. 4-12988, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lombardi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lorefice n. 1-00698, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 362 del 14 gennaio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una malattia della quale sono affette circa 3 milioni di donne in Italia, 14 milioni in Europa e 150 milioni nel mondo. È una malattia cronica e invalidante, che consiste nella presenza di tessuto endometriale, che normalmente riveste la cavità uterina, in siti ectopici, cioè al di fuori dell'utero dove forma noduli, lesioni, impianti o escrescenze. Esse si localizzano più frequentemente nell'addome interessando ovaie, tube, peritoneo, intestino, ma anche altri organi. Viene classificata in quattro gradi diversi (I stadio minima, II stadio lieve, III stadio moderata e IV stadio severa o grave), dal più lieve al più serio, in base all'estensione e alla localizzazione della lesione;
    tale malattia è molto difficile da diagnosticare. Molte donne ricevono una corretta diagnosi mediamente dopo circa dieci anni di visite mediche, pubbliche e private, queste ultime molto costose. A causa dei pochissimi fondi stanziati per la ricerca esistono pochissime équipe specializzate nella diagnosi e nella cura della patologia e spesso operanti nel privato. Esiste, infatti, ancora molta disinformazione in materia, tanto che nella maggior parte dei casi i forti dolori avvertiti dalle donne, soprattutto nei primi giorni del ciclo mestruale, sono ricondotti ad una causa di tipo psicologico;
    sono sempre più numerosi gli studi e le ricerche che evidenziano l'incidenza della diffusione della malattia in quei territori esposti a fattori inquinanti, fra questi alcuni in particolare hanno l'azione di interferenti endocrini (diossine e ipa in particolare) ; tali sostanze sono correlate allo sviluppo di gravi patologie del sistema endocrino (oltre che a incremento della mortalità oncologica) ed è stato riscontrato l'incremento proprio dell'endometriosi;
    l'endometriosi è sicuramente una malattia invalidante, in quanto costringe le donne che ne sono affette a modificare il proprio stile di vita, rimodulando le proprie abitudini sia nei rapporti sociali che nella vita lavorativa e privata;
    il 22 luglio 2009 il Ministro per le pari opportunità, il presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, il presidente dell'Istituto nazionale per l'assicurazione infortuni sul lavoro, il presidente dell'Istituto affari sociali e il presidente della Fondazione italiana endometriosi hanno stipulato un protocollo d'intesa sul tema dell'endometriosi;
    con tale convenzione le parti si sono impegnate nella promozione di campagne di sensibilizzazione, informazione e comunicazione pubblica sulla tematica dell'endometriosi; si sono impegnate a costituire un tavolo tecnico presso il Ministero per le pari opportunità per la verifica e la valutazione di strumenti normativo-istituzionali tesi a «promuovere pratiche di sostegno alle donne affette da endometriosi o esposte a rischio di malattia» (articolo 1);
    con l'articolo 4 della suddetta convenzione le parti hanno concordato di dare priorità alle seguenti tematiche e aree di intervento:
     a) aumentare la consapevolezza che la corretta informazione e la prevenzione sull'endometriosi rappresentano lo strumento per combattere la patologia;
     b) favorire una sinergia con tutte le realtà locali interessate al fine di diffondere una presa di coscienza dei problemi che la patologia può avere nella vita delle donne;
     c) porre particolare attenzione ai luoghi di lavoro e ai fattori che possono avere un ruolo nella progressione della malattia;
     d) stimolare un maggiore interesse per la ricerca scientifica al fine di stimare il reale impatto della malattia sulla vita delle donne;
    tale protocollo d'intesa aveva validità 5 anni a decorrere dalla data di stipula, termine scaduto il 22 luglio 2014;
    sono già state approvate in Italia quattro leggi regionali, la n. 18 del 2012 del Friuli Venezia Giulia, la n. 40 del 2014 della Puglia, la n. 26 del 2014 della Sardegna e la n.1 del 2015 del Molise, che, oltre a promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce dell'endometriosi al fine di migliorare la qualità delle cure, istituiscono un osservatorio e un registro regionale e promuovono campagne di sensibilizzazione e formazione. E varie proposte di legge sono state depositate in altre regioni;
    da diversi ambiti della società si sente da tempo l'esigenza di dare una spinta alle istituzioni, a tutti i livelli, per ottenere il riconoscimento della patologia ai fini dell'invalidità civile e il relativo inserimento nelle tabelle di cui al decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329, «Regolamento recante norme di individuazione delle malattie croniche e invalidanti ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», come modificato dal decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 296, «Regolamento di aggiornamento del decreto ministeriale 28 maggio 1999, n. 329», che individua le condizioni di malattia croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, anche normative, affinché siano aggiornate le tabelle di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999, ai fini dell'inserimento dell'endometriosi tra le malattie invalidanti, riconoscendo alle donne affette dalla patologia il diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria correlate;
   ad avviare iniziative di sostegno sociale ed economico per le donne affette da endometriosi, finalizzate alla riduzione degli enormi costi che le pazienti si trovano ad affrontare prima e dopo la diagnosi certa della malattia, prevedendo l'esenzione dal ticket sanitario per esami specialistici, quali ecografie pelviche e transvaginali, risonanze magnetiche con contrasto e altro, e prevedendo, altresì, l'esenzione per l'acquisto di farmaci destinati a lenire il dolore e a bloccare i sintomi della patologia, intervenendo anche con azioni volte alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni offerte dal servizio sanitario nazionale;
   ad adottare iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dalla promozione della conoscenza della malattia per arrivare al sostegno della ricerca scientifica affinché si arrivi, per la maggior parte dei casi, ad una diagnosi precoce certa;
   ad assumere iniziative per istituire il fondo nazionale per l'endometriosi e un registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali della malattia, ponendo a carico delle regioni l'onere di trasmettere al registro nazionale periodicamente i dati relativi alla diffusione della malattia nel rispettivo territorio;
   ad attuare campagne di sensibilizzazione e di informazione sulla malattia e a sostenere iniziative di formazione e aggiornamento del personale medico, di assistenza e dei consultori familiari;
   ad attuare una politica di tutela della lavoratrice affetta da endometriosi, al fine della salvaguardia del posto di lavoro;
   ad istituire presso il Ministero della salute una commissione nazionale per l'endometriosi, composta da un rappresentante del Ministero della salute, da un rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, da tre rappresentanti delle regioni e da sette rappresentanti degli enti di ricerca pubblici esperti della materia, che abbia il compito di emanare le linee guida sulla malattia e di redigere le graduatorie per l'assegnazione di risorse del fondo nazionale, nel rispetto della trasparenza e dell'assenza di conflitti d'interessi, secondo requisiti e criteri predefiniti;
   a fornire elementi sulle tempistiche esatte relative all'emanazione del decreto di revisione dei livelli essenziali di assistenza, considerato che da circa due anni, e anche in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute ha annunciato a mezzo stampa e attraverso i social network l'inserimento dell'endometriosi nei livelli essenziali di assistenza.
(1-00698)
(Nuova formulazione) «Lorefice, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Gagnarli, Rizzo, Corda, Frusone, Spadoni, Di Battista, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Lombardi, Cozzolino, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Colonnese, Di Vita, Baroni, Cecconi, Ruocco, Cancelleri, Tofalo, Basilio, Alberti, Cominardi, Tripiedi, Terzoni, Agostinelli, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Rosa, Della Valle, Dell'Orco, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Paolo Nicolò Romano, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spessotto, Toninelli, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Nicola Bianchi e altri n. 7-00974, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 609 del 19 aprile 2016. Alla pagina 36662, prima colonna, alla riga trentunesima, deve leggersi: «i lunghi lavori di realizzazione» e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALBERTI, BASILIO, COMINARDI e SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il caso Brescia-Caffaro è ormai tristemente noto come uno dei peggiori casi di inquinamento da Pcb e diossine della storia;
   con il decreto del 24 febbraio 2003 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha definito la perimetrazione del sito di interesse nazionale di Brescia Caffaro, aggiungendolo all'elenco dei SIN di cui la legge n. 426 del 1998;
   alla data odierna non si conoscono ancora gli oneri necessari per portare a termine la bonifica del sito, in quanto non è ancora stato redatto un progetto complessivo di bonifica;
   in data 25 ottobre 2013 il Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, in risposta ad un'interrogazione parlamentare, riteneva «in via generale che i commissariamenti sono spesso la spia delle difficoltà in cui versano le istituzioni pubbliche che non riescono a far funzionare le cose in modo adeguato. Tuttavia, nel caso specifico del Sito Caffaro-Brescia, la particolare situazione di degrado e i risultati dei nuovi campionamenti in corso potrebbe indurre a rivedere tale giudizio e considerare la figura commissariale quale utile strumento (la «sciabola» di Sieyès ?) di un tavolo di coordinamento che, ad onor del vero, nei fatti si è già realizzato»;
   in data 23 dicembre 2013 con l'articolo 4-ter del decreto-legge n. 145 che prevede «Misure urgenti per accelerare l'attuazione di interventi di bonifica in siti contaminati di interesse nazionale», è stato previsto che «al fine di coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel sito contaminato di interesse nazionale Brescia Caffaro, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa individuazione delle risorse finanziarie disponibili, può nominare un commissario straordinario delegato ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. Il compenso del commissario di cui al presente comma è determinato ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Per lo svolgimento delle attività di cui al presente comma è istituita una contabilità speciale nella quale confluiscono le risorse pubbliche stanziate per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica del predetto sito contaminato»;
   il commissario avrà il delicato compito di curare le fasi progettuali, la predisposizione dei bandi di gara, l'aggiudicazione dei servizi e dei lavori, le procedure per la realizzazione degli interventi, la direzione dei lavori, la relativa contabilità e il collaudo, promuovendo anche le opportune intese tra i soggetti pubblici e privati interessati;
   per le attività connesse alla realizzazione degli interventi, i commissari sono autorizzati ad avvalersi degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di società specializzate a totale capitale pubblico e degli uffici delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali;
   si apprende dalla stampa locale che secondo le dichiarazioni dell'assessore all'ambiente del comune di Brescia, sarebbe ormai deciso il nome del commissario straordinario per l'emergenza Caffaro e che verrebbe identificato nel dottore Roberto Moreni;
   il dottore Roberto Moreni ha ricoperto il ruolo di dirigente del settore urbanistica del comune di Brescia in pieno scandalo Caffaro, ha contribuito a definire le destinazioni d'uso dell'area Caffaro all'epoca della scoperta del secolare inquinamento provocato dall'azienda chimica di via Milano in Brescia, trasformandola da area industriale a residenziale prima dello scandalo e ripristinandone la destinazione industriale successivamente, con il conseguente aumento dei valori limite di tolleranza della contaminazione da pcb, cosa che di fatto ha evitato ai proprietari l'onere della completa tempestiva bonifica. Il dottor Moreni, attualmente in pensione, è in quiescenza dall'anno 2012;
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, prevede espresso divieto di incarichi dirigenziali a soggetti in quiescenza, salvo incarichi e collaborazioni prestati esclusivamente a titolo gratuito e per una durata non superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione;
   sempre secondo le dichiarazioni dell'assessore all'ambiente del comune di Brescia, il Ministero avrebbe chiesto una figura gradita al territorio, ma soprattutto tecnica, le cui competenze siano spendibili in modo pratico e che abbia anche una conoscenza del contesto;
   per quanto risulta agli interroganti, il dottor Moreni non avrebbe le qualifiche tecniche necessarie per la complessità del sito in questione e le sue precedenti esperienze lavorative lo porrebbero in una condizione di conflitto di interessi rilevante, in quanto lo hanno visto coinvolto in prima persona nelle dinamiche urbanistiche e autorizzative dei comparti rientranti nel SIN –:
   se i Ministri siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se ritengano che gli interventi necessari per la bonifica del SIN Brescia-Caffaro, debbano rientrare tra quelli programmati nell'ambito del quadro strategico nazionale, ritenuti prioritari per i connessi riflessi sociali, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale;
   se sia già stata istituita una contabilità speciale nella quale confluiscono le risorse pubbliche stanziate per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica del predetto sito contaminato;
   a chi spetti la definizione del piano complessivo di bonifica del sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro e del piano finanziario e per quale motivo non siano ancora stati redatti;
   quali siano le effettive modalità, i tempi e i criteri che verranno presi in considerazione per la nomina del commissario per il sito di Brescia-Caffaro;
   quali siano le deroghe previste e concesse per il commissario che verrà nominato;
   quali siano le modalità di vigilanza e controllo sul suo operato;
   se non ritengano opportuno che la figura del commissario venga individuata tra persone competenti, prive di possibili conflitti di interessi e del tutto esterne alle vicende che hanno portato al sorgere delle problematiche da gestire e risolvere;
   se non ritengano opportuno, vista la complessità ed i tempi necessari per la bonifica del sito in questione, che il commissario da individuare venga incaricato per un periodo superiore ad un anno, pur nel rispetto del limite dei tre anni ai sensi dell'articolo 15, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
   se pertanto non ritengano opportuno individuare un commissario non in quiescenza. (4-07440)


   ALBERTI, SORIAL, COMINARDI e BASILIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 ottobre 2015, nell'Auditorium dell'Associazione Industriale Bresciana, si è tenuto il seminario «Caffaro e Brescia. I nuovi dati», organizzato da regione Lombardia e ARPA Lombardia per illustrare i risultati delle indagini svolte negli ultimi due anni dal dipartimento bresciano di ARPA Lombardia sulle componenti ambientali maggiormente interessate dalla contaminazione prodotta dallo stabilimento Caffaro (fonte: http://ita.arpalombardia.it);
   sul sito internet di ARPA Lombardia, il seminario è stato così presentato: «Il “Progetto Caffaro”, finanziato da regione Lombardia e attuato da ARPA, ha consentito di comprendere meglio la reale dimensione dell'inquinamento in termini di estensione territoriale e di gravità di compromissione dell'ambiente, nell'ambito dei contesti urbani e agricoli interessati, affrontando in maniera multidisciplinare e integrata la problematica. Le attuali conoscenze forniscono indicazioni fondamentali da cui partire per la gestione e programmazione degli interventi di risanamento e di utilizzo del territorio» (fonte: http://ita.arpalombardia.it);
   il sito d'interesse nazionale (di seguito SIN) «Brescia-Caffaro» identifica un'area di quasi 7 chilometri quadrati che si estende dal centro della città di Brescia sino ai suoi confini meridionali, e che per oltre mezzo secolo è stata soggetta ad un massivo inquinamento da parte dell'azienda chimica Caffaro, specializzata – dagli anni ’30 fino al 1985 – nella lavorazione del cloro e nella produzione di suoi derivati, in particolare policlorobifenili (PCB);
   al fine di comprendere l'entità della produzione del componente tossico nello stabilimento bresciano – del cui brevetto era titolare l'azienda statunitense Monsanto, che ne ha cessato la produzione nel 1977, poi bandito dal Congresso degli Stati Uniti d'America su tutto il territorio nazionale nel 1979 – si consideri che fra il 1983 e il 1984 la Caffaro è arrivata a produrre 150.000 tonnellate di PCB, mentre in oltre 50 anni di attività in tutti gli Stati Uniti ne erano state prodotte 670.000 tonnellate (Fonte: «Un secolo di cloro e ... PCB. Storia delle industrie Caffaro di Brescia», di Marino Ruzzenenti, Jaca Book, Milano, 2001);
   il «Caso Caffaro» scoppia il 13 agosto 2001, con la pubblicazione sul quotidiano La Repubblica dell'articolo «A Brescia c’è una Seveso bis», a firma di Giovanni Maria Bellu e Carlo Bonini, che anticipa i risultati di una ricerca condotta dallo storico dell'ambiente Marino Ruzzenenti sulla storia dell'industria chimica bresciana Caffaro;
   il SIN «Brescia-Caffaro» è oggi uno dei 57 siti d'interesse nazionale presenti in Italia, 7 dei quali situati in Lombardia; istituito con la legge 31 luglio 2002, n. 179, è di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   soltanto sotto il perimetro dell'azienda – circa 110 mila metri quadrati – si contano oltre 3 milioni di metri cubi di terreno contaminati da PCB e diossine, con insinuazioni a profondità di 40-50 metri, con punte di 70; i veleni diffusi dai fusti o dalle cisterne della Caffaro, «sono scesi per decine di metri sotto terra. Non ci sono ad oggi reagenti da iniettare nel sottosuolo per neutralizzare i veleni. Si dovrebbe asportare una montagna di terra grande come il colle Cidneo, oltre 30 milioni di metri cubi» (fonte: «Il Pcb della Caffaro inquina ancora le rogge. L'impianto di filtraggio dell'acqua di falda non trattiene tutti i veleni: una parte continua a finire nell'ambiente», di Pietro Godoni. Corriere della Sera, 13 aprile 2013, http://brescia.corriere.it);
   gli inquinanti diffusi nel sito hanno grande varietà e persistenza – dai PCB, PCDD e PCDFA ai metalli pesanti, al mercurio – ed è accertata l'esposizione di quasi 25.000 persone, con rischi per la salute ben noti: cancerogenicità, problemi di fertilità sia maschile che femminile, tumori al fegato, al seno, linfomi non Hodgkin; rimane tuttavia incalcolabile il numero di persone effettivamente colpite dal disastro, poiché gli sversamenti hanno diffuso gli inquinanti in tutta la rete delle rogge presenti sul territorio circostante abitualmente utilizzate per irrigare i campi, penetrando nella catena alimentare dell'uomo;
   il comune di Brescia emette ordinanze periodiche di non praticabilità dei parchi, giardini e campi contaminati;
   uno studio prodotto dall'asl nel 2008 certifica che i cittadini residenti nel sito Caffaro presentano concentrazioni di diossine in corpo quasi 10 volte superiori a quelli che vivono nei pressi dell'Ilva di Taranto;
   all'interno dell'azienda Caffaro sono operative – 24 ore al giorno, 365 giorni l'anno – 7 pompe idrovore calibrate per emungere 1.500 metri cubi di acqua all'ora (13,5 milioni di metri cubi l'anno) dalla falda acquifera; l'obiettivo è mantenere basso il livello della falda, affinché la contaminazione non si diffonda;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa locale in seguito al seminario citato in premessa, dall'indagine avviata di ARPA Brescia nel 2013 risulta che «dei sette pozzi utilizzati per emungere bene l'acqua di falda solo due vengono filtrati [...]. La barriera idraulica funziona bene per i PCB, visto che i nuovi filtri del pozzo “7” trattengono il 98 per cento dell'inquinante. Non così per il mercurio: nel pozzo “2” i filtri hanno dieci anni e non trattengono nulla del metallo cancerogeno. Ci sono poi gli altri quintali di solventi e cromo. Il gruppo Todisco, che nel 2011 lì dentro lavora al posto della Caffaro, non riesce a gestire i costi di altri filtraggi» (fonte: «Brescia, la Caffaro continua a diffondere veleni: nuovo allarme per cromo e mercurio. Filtrati solo due dei sede pozzi che pescano l'acqua di falda», di Pietro Gorlani, Corriere della Sera Brescia, 21 ottobre 2015;
   la dottoressa Tiziana Frassi del dipartimento di Brescia di ARPA Lombardia ha spiegato che «negli ultimi dieci anni la falda è salita di otto metri, e per farvi fronte è stata raddoppiata la portata del pozzo 7 (ricalibrata quella degli altri). Va da sé che si è notato subito un aumento del Pcb allo scarico nella roggia Fiumicella, e si è corsi ai ripari raddoppiando anche il sistema di filtraggio»; tuttavia, mentre i due filtri intercettano il PCB con un'efficienza media prossima al 100 per cento, il filtro per il mercurio in uso al pozzo 2 «è ormai esaurito, e non è più in grado di ripulire l'acqua. Il metallo pesante, dunque, va nella roggia, da quella al reticolo irriguo, e poi nel terreno» (fonte: «Il filtro non funziona e il mercurio va in roggia», di Mimmo Varone, Bresciaoggi, 21 ottobre 2015);
   per consentire un'immediata percezione della grave entità dei veleni che ancora oggi vengono diffusi dalla Caffaro, «l'Arpa ha deciso di tradurli in chilogrammi. Non in microgrammi (i milionesimi di grammo) l'unità di misura che regola i limiti di legge per gli inquinanti più pericolosi. Si scopre così che nell'acqua di falda emunta da sotto la Caffaro, annualmente si trovano 280 chili di cromo esavalente. Due quintali di solventi clorurati. Cinque chili di mercurio. E “solo” 2 etti di pcb. Inquinanti che non vengono filtrati. Che finiscono quindi nella roggia Fiumicella [...]. L'inquinamento prosegue inesorabile verso la Bassa attraverso le rogge. E non solo ha avvelenato 1.263 ettari a sud della Caffaro ma altri 330 ettari tra Fiero, Castel Mella e Capriano. Rogge che andrebbero bonificate, anche se prima si dovrà fermare le fonti d'inquinamento, se non si vuole che finiscano ancora, in futuro, sui terreni agricoli. Quelli indagati dal geologo Enrico Alberico e da Maria Luigia Tedesco, scoprendo che quasi la metà presenta valori oltre i limiti». (fonte: «Brescia, la Caffaro continua a diffondere veleni: nuovo allarme per cromo e mercurio. Filtrati solo due dei sette pozzi che pescano l'acqua di falda», di Pietro Gorlani, Corriere della Sera Brescia, 21 ottobre 2015);
   in seguito alla diffusione dello studio sopra richiamato, il commissario straordinario del Sin Roberto Moreni – descritto dalla stampa come «fiducioso» – ha dichiarato: «Non siamo in uno scenario Pcb-apocalittico, non siamo certo in una terra dei fuochi e il quadro non è così allarmante» (Fonte: «Caffaro, non c’è solo il PCB. Moreni: “Ma non è l'apocalisse«», Giornale di Brescia, 21 ottobre 2015);
   contestualmente alla nomina del commissario straordinario per il SIN Caffaro, avvenuta il 3 settembre 2015, in una nota pubblicata sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si riportava la seguente dichiarazione del Ministro, Gian Luca Galletti: «Entriamo così a tutti gli effetti – afferma il Ministro Galletti – in una nuova fase operativa per il Sin Caffaro. Dobbiamo accelerare nella bonifica di un'area molto delicata sotto il profilo ambientale, che ha bisogno di risorse pubbliche e del rispetto degli obblighi di bonifica da parte dei privati: su questo, la mia ordinanza chiarisce ogni responsabilità. Moreni, cui rinnovo i miei auguri di buon lavoro, può contare sulla massima collaborazione del Ministero dell'ambiente» (fonte: «Ambiente: Galletti, Moreni commissario SIN Brescia Caffaro parte nuova fase operativa», sito internet Ministero dell'ambiente);
   poco più di un anno fa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, ha dichiarato: «Nella proposta di rifinanziamento del programma nazionale di bonifica, a valere sui fondi di sviluppo e coesione, abbiamo stimato un'esigenza complessiva per tutti i Sin di circa due miliardi di euro. Per il sito di Brescia Caffaro la previsione è di circa 50 milioni. Ovviamente l'effettivo stanziamento dipenderà dalle risorse che verranno assegnate sulla programmazione proposta. Mi impegnerò per ottenere fondi sufficienti per operare su Brescia tutti gli interventi necessari. Il recente stanziamento di 2 milioni di euro, con il decreto del settembre 2014, va in questa direzione, per un totale di 9,8 milioni stanziati od oggi» (Fonte: «Galletti: “Sito Caffaro, servono 50 milioni”», Bresciaoggi, 24 settembre 2014;
   recentemente, il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, ha auspicato che «venga mantenuta la promessa dei Ministro Galletti di stanziare per Brescia 42 milioni» (Fonte: La Caffaro inquina ancora: Pcb nei fossi, solo due pozzi trattati, di Pietro Gorlani, Corriere della Sera Brescia, 27 agosto 2015);
   in occasione della presentazione dello studio dell'ARPA citato in precedenza, l'assessore all'ambiente della regione Lombardia, Claudia Terzi, ha dichiarato: «Per la bonifica del sito il Ministro dell'ambiente aveva promesso il finanziamento di 42 milioni entro settembre – spiega l'assessore regionale Claudia Terzi, presente al convegno –. Non si sono visti. Ma Brescia non può aspettare oltre» (fonte: «Brescia, la Caffaro continua a diffondere veleni: nuovo allarme per cromo o mercurio. Filtrati solo due dei sette pozzi che pescano l'acqua di falda», di Pietro Gorlani, Corriere della Sera Brescia, 21 ottobre 2015);
   in una fase in cui la messa in sicurezza dei SIN dovrebbe essere già consolidata ed effettuata in maniera puntuale, rigorosa ed efficace, e si dovrebbe già da tempo provvedere alla bonifica del SIN, e parere degli interroganti è inaccettabile che la bonifica non solo non proceda, ma che addirittura il sito Caffaro accumuli e diffonda ancora inquinamento –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   quali interventi intenda promuovere al fine di ripristinare la funzionalità dei filtri dedicati all'intercettazione del mercurio nel pozzo 2 citato in premessa, e quali iniziative intenda adottare affinché anche i restanti pozzi che emungono acqua dalla falda acquifera riescano ad intercettare gli inquinanti presenti nell'acqua emersa; più in generale quali interventi e misure intenda promuovere al fine di garantire una messa in sicurezza del sito di interesse nazionale puntuale, rigorosa ed efficace;
   in riferimento alla promessa di stanziamento di 42 milioni di euro per la bonifica del sito di interesse nazionale, quando ritenga che questi potranno essere nelle disponibilità del commissario straordinario Moreni, al fine di utilizzarli per promuovere immediate iniziative di bonifica dell'area. (4-10865)

  Risposta. — Con riferimento alle interrogazioni in esame relativa alle criticità ambientali del sito di bonifica di interesse nazionale di «Brescia Caffaro», sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Con l'articolo 14 della legge n. 179 del 2002 è stato aggiunto all'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale (SIN), di cui alla legge n. 426 del 1998, il sito di «Brescia-Caffaro» (aree industriali e relative discariche da bonificare).
  Tale inclusione trova la sua motivazione nelle evidenze, di contaminazione diffusa da metalli pesanti e policlorobifenili (PCB) riscontrata nel territorio del comune di Brescia, in particolare in prossimità dello stabilimento Caffaro, e soprattutto nel rinvenimento di elevate concentrazioni di PCB negli alimenti prodotti nella zona e nel sangue delle persone residenti.
  Il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 24 febbraio 2003 ha definito una triplice perimetrazione del SIN, che si sviluppa prevalentemente a sud dello stabilimento Caffaro, seguendo il sistema delle rogge:
   perimetrazione matrice ambientale suolo;
   perimetrazione matrice ambientale acque sotterranee;
   perimetrazione sistema delle rogge.

  Le indagini di caratterizzazione eseguite all'interno della perimetrazione dei SIN di «Brescia-Caffaro» hanno evidenziato una grave situazione di inquinamento nei terreni superficiali, nelle acque di falda, nelle acque superficiali delle rogge e nei sedimenti delle rogge stesse.
  Oltre alla predetta contaminazione da PCB, PCDD/PCDF, è stata infatti rilevata la presenza di ulteriori contaminanti, quali:
   per i suoli: metalli (Arsenico, Antimonio, Mercurio, Nichel, Piombo ed Alluminio), IPA, alifatici clorurati cancerogeni, clorobenzeni e fitofarmaci;
   per le acque di falda: Cromo VI, Mercurio, MTBE, solventi clorurati, IPA, clorobenzeni, fitofarmaci ed idrocarburi totali.
  Tanto premesso, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio c del mare, adottato ai sensi dell'articolo 4-ter, comma 2, del decreto-legge n. 145 del 2013, il 17 giugno 2015, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e registrato alla Corte dei Conti il 31 agosto 2015, il dottor Roberto Moreni è stato nominato commissario straordinario delegato al fine di coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel sito contaminato di interesse nazionale «Brescia-Caffaro».
  Per quanto riguarda la funzionalità dei pozzi e la messa in sicurezza del SIN, si precisa in primo luogo che nel sito «Caffaro» opera attualmente la Caffaro Brescia s.r.l., titolare dei soli impianti, che mantiene in esercizio la barriera idraulica presente nel sito come misura di messa in sicurezza; le acque emunte sono riutilizzate a scopo industriale nello stabilimento.
  Le attività di Caffaro Brescia s.r.l. sono sottoposte a autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), la cui titolarità è in capo alla provincia di Brescia. È in tale ambito che ricade anche la valutazione dell'efficienza dei sistemi di trattamento della acque emunte dalla falda.
  In data 9 dicembre 2015 presso la provincia di Brescia si è tenuta una conferenza di servizi in ambito AIA che si è espressa in merito ai limiti allo scarico per le acque industriali di Caffaro Brescia s.r.l.. La provincia, sulla base degli esiti della predetta conferenza di servizi, ha chiesto alla direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque (STA) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di valutare e di adottare i provvedimenti di competenza in ordine alla verifica della funzionalità e alla necessità di implementazione dell'attuale barriera idraulica della messa in sicurezza attiva nel sito Caffaro.
  In data 27 gennaio 2016 la direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque (STA) ha formulato alcune richieste alla Caffaro s.r.l. in amministrazione straordinaria e alla Caffaro Brescia s.r.l. (titolate dei soli impianti):
   al commissario straordinario della società Caffaro s.r.l. e alla società Caffaro Brescia s.r.l., per quanto di rispettiva competenza, di fornire, con la massima urgenza e comunque entro e non oltre 30 giorni, un riscontro in merito alle richieste formulate dalla conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015, con particolare riferimento alle richieste di implementare l'efficacia idrochimica e l'efficienza idraulica della barriera esistente e di trasmettere l'aggiornamento della modellazione idraulica;
   alla luce di quanto segnalato da ARPA Brescia, di prevedere il trattamento delle acque emunte dal pozzo 2 con abbattimento del parametro Cromo VI e di integrare la configurazione della barriera idraulica prevedendo l'emungimento (e il successivo trattamento) delle acque di falda dal piezometto n. 10, limitrofo alla sorgente di contaminazione da Cromo VI;
   ad ARPA Brescia di valutare, sulla base dei risultati dei monitoraggi delle acque di falda, la necessità che le acque emunte dai pozzi n. 3, 4, 5 e 6 siano inviate nei sistemi di trattamento prima del riutilizzo negli impianti produttivi, nel rispetto di quanto stabilito dal citato articolo 243 del decreto legislativo n. 152 del 2006.

  Si ricorda, infine, che conferenza di servizi istruttoria del 14 maggio 2014 ha chiesto ai soggetti titolari delle aree interne al SIN di «Brescia Caffaro» di coordinarsi con ARPA Lombardia per l'esecuzione dei monitoraggi delle acque di falda, al fine di consentire all'agenzia medesima di elaborare i dati dei monitoraggi delle singole aree e di trasmettere una relazione conclusiva. Ciò implica, necessariamente, che le analisi delle acque di falda siano effettuate utilizzando le metodiche analitiche stabilite da ARPA stessa, con particolare riferimento il parametro PCB.
  La società Caffaro Brescia s.r.l. ha fornito un riscontro alle predette richieste a febbraio 2016 e, in particolare, ha inviato alla provincia di Brescia, con riferimento alla procedura di AIA, una proposta per il trattamento del tetracloruro di carbonio e del tetracloruro di etilene ed ha comunicato a marzo 2016 la sostituzione delle resine nel pozzo 2 al fine di ripristinare l'efficienza di abbattimento del mercurio.
  Si fa presente, inoltre, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stanziato risorse finanziarie a favore del sito di interesse nazionale di «Brescia Caffaro», per un ammontare complessivo di, euro 13.069.806,00 ripartiti come segue.
  I. euro 6.752.727,00 a valere sui fondi ministeriali del decreto ministeriale n. 308/2006. Il predetto importo è stato trasferito alla regione Lombardia in data 14 aprile 2011 e disciplinato nell'accordo di programma del 29 settembre 2009.
  Al predetto accordo di programma è stata data attuazione mediante la sottoscrizione degli atti convenzionali di seguito elencati: a) convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – comune di Brescia – Sogesid s.p.a. (soggetto attuatore) del 24 aprile 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 3.900.000,00; b) convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – istituto superiore di sanità (soggetto attuatore) dell'8 maggio 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 100.000,00; c) convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – ASL di Brescia (soggetto attuatore) del 24 aprile 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 100,000,00; d) convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – ARPA Lombardia (soggetto attuatore) del 22 maggio 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 152.727,00. All'accordo di programma è stata data attuazione anche mediante l'attribuzione di: e) euro 450.000,00 al comune di Passirano (soggetto attuatore degli interventi ricadenti nel proprio territorio comunale); f) euro 600.000,00 al comune di Castegnato (soggetto attuatore degli interventi ricadenti nel proprio territorio comunale).
  II. euro 1.106.064,00 di risorse ordinarie del Ministero dell'ambente e della tutela del territorio e del mare. Tali risorse sono state trasferite alla regione Lombardia in data 8 novembre 2013 e destinate alla prosecuzione degli interventi di bonifica del SIN di «Brescia Caffaro».
  Gli interventi da finanziare con le citate risorse, che sono stati individuati dalla regione Lombardia quali prioritari, sono i seguenti: a) comune di Castegnato; euro 350.450,00 per il completamento del primo stralcio di interventi sulla discarica Pianeta; b) comune di Passirano: euro 186.356,71 per il completamento del piano di caratterizzazione dell'area della discarica Vallosa; c) Sogesid s.p.a.; euro 500.000,00 a integrazione delle risorse assegnate per la messa in sicurezza di emergenza delle rogge e, al riguardo, si segnala che in data 1o aprile 2015 è stato sottoscritto, tra il Ministero dell'ambiente, la regione Lombardia, il comune di Brescia e la Sogesid s.p.a., l'atto integrativo alla convenzione stipulata in data 24 aprile 2013; d) ASL Brescia: euro 69.257,29 per un progetto di valutazione del passaggio di contaminanti nelle produzioni agricole delle aree interessare dall'inquinamento della Caffaro s.r.l., Sul punto, si segnala che l'utilizzo del citato importo è subordinato alla stipula di una convenzione attuativa da sottoscrivere tra la regione Lombardia e ASL di Brescia.
  III. euro 2.000.000,00 di risorse ordinarie del Ministero. Tali risorse sono state impegnate a favore della regione Lombardia in data 5 settembre 2014.
  IV. euro 1.500.000,00, di risorse ad oggi in perenzione amministrativa, rinvenienti dalla riprogrammazione del II atto integrativo all'accordo di programma quadro «Ambiente e Energia» del 23 dicembre 2008 (destinate alla bonifica Campo Calvesi e dei parchi pubblici di proprietà del comune di Brescia).
  V. euro 1.711,015,00, di risorse stanziate con decreto del settembre 2015, in favore del commissario straordinario delegato per la prosecuzione degli interventi di bonifica nel SIN di «Brescia Caffaro».
  Da ultimo, si segnala che la regione Lombardia, nel corso dell'anno 2014, ha segnalato un fabbisogno di 50 milioni, poi rideterminato nel 2015 dalla medesima in 40 milioni, da destinare alla prosecuzione dei predetti interventi di messa in sicurezza delle rogge. Al riguardo, il Ministero dell'ambiente ha avviato le necessarie interlocuzioni con la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, per il reperimento delle risorse nell'ambito degli interventi in materia ambientale, finanziati dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) all'interno della programmazione 2014-2020, di cui all'articolo 1, commi 6 e 7, della legge n. 147 del 27 dicembre 2014 (legge di stabilità 2014).
  Inoltre, per quanto riguarda le attività e gli interventi previsti in carico alla ASL Brescia, ferma restando la competenza dell'azienda sanitaria, si rappresenta quanto segue.
  L'ASL di Brescia ha trasmesso a questo Dicastero gli elaborati «Convenzione del 24 aprile 2013 stipulata tra MATTM, regione Lombardia e ASL Brescia – Relazione sullo stato di avanzamento al 27/11/2014» e «convenzione del 24 aprile 2013 stipulata tra MATTM, regione Lombardia e ASL Brescia – Relazione sullo stato di avanzamento al 26 maggio 2015», contenenti lo stato di avanzamento delle attività rispetto al piano operativo e al cronoprogramma, definiti nella Convenzione del 24 aprile 2013. Le attività prevedono valutazioni epidemiologiche (studio caso-controllo sui linfomi non Hodgkin e melanomi) e attività di biomonitoraggio e monitoraggio delle matrici alimentari (orto sperimentale). L'elaborazione e valutazione dei dati nonché la relazione finale sono previste per il primo trimestre 2016 e, non appena si sarà completata tale analisi, verranno informati tutti i soggetti interessati.
  Per quanto concerne gli interventi in carico all'ARPA Lombardia, si rappresenta quanto segue.
  Il predetto accordo di programma del 29 settembre 2009 prevede, tra l'altro, il monitoraggio della qualità delle acque di falda nel sito di interesse nazionale, mediante predisposizione e attuazione di un piano di monitoraggio periodico ed il soggetto attuatore individuato è ARPA Lombardia. Il rappresentante di ARPA Brescia ha illustrato i risultati del monitoraggio nel corso della conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015. I dati ambientali raccolti sono disponibili sul sito web istituzionale di ARPA Brescia.
  La stessa conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015 ha preso atto dei risultati dei monitoraggi del giugno 2014 e ha chiesto alla provincia di Brescia di fornire un aggiornamento dei procedimenti avviati e conclusi, per l'individuazione dei soggetti responsabili della contaminazione delle acque di falda, anche alla luce della relazione presentata da ARPA. Sul punto, appena acquisiti ulteriori elementi, verranno informati tutti i soggetti interessati.
  Per quanto riguarda gli interventi in carico all'ISS, si rappresenta quanto segue.
  Il citato accordo di programma del 29 settembre 2009 prevede, altresì, valutazioni epidemiologiche e attività di biomonitoraggio e monitoraggio delle matrici alimentari. I soggetti attuatori sono ISS e le competenti ASL. Per le predette attività sono state sottoscritte due convenzioni con ISS e ASL Brescia.
  Al riguardo, si fa presente che l'ISS ha chiesto una proroga della convenzione al 24 aprile 2016. La richiesta di proroga è stata motivata con la necessità di completare le attività in essere, strettamente correlate alle attività, svolte dalla ASL Brescia che a sua volta ha chiesto la proroga.
  Per quanto riguarda gli interventi in carico alla Sogesid s.p.a., si rappresenta quanto segue.
  La società Sogesid s.p.a., è stata individuata come soggetto attuatore dell'intervento di cui alla lettera A dell'accordo di programma del 29 settembre 2009, relativo allo «Studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda» nell'area perimetrata del SIN «Brescia – Caffaro».
  Nell'ambito dello studio di fattibilità, Sogesid s.p.a. ha elaborato un modello idrogeologico, che è stato illustrato nella conferenza di servizi del 14 ottobre 2014. La successiva conferenza di servizi istruttoria del 10 dicembre 2014 ha richiesto a Sogesid s.p.a. di trasmettere al Ministero dell'ambiente, nei tempi tecnici strettamente necessari, l'elaborato relativo al modello idrogeologico già illustrato nella conferenza di servizi del 14 ottobre 2014, per il successivo invio ad ARPA Brescia così da garantire il costante aggiornamento del modello idrogeologico, sulla base dei dati di monitoraggio acquisiti. Tale documentazione, per il tramite della direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque di questo dicastero, è stata trasmessa all'ARPA di Brescia.
  La conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015 ha preso atto dell'elaborato «Modello numerico di flusso della falda e di trasporto degli inquinanti del SIN Brescia Caffaro» e ha chiesto a Sogesid s.p.a. di trasmettere l'ulteriore documentazione descrittiva a supporto del modello, entro il 31 luglio 2015, nonché lo «Studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di faida», entro settembre 2015.
  Inoltre, Sogesid s.p.a. ha trasmesso anche il progetto «Messa in sicurezza di emergenza delle Rogge ricomprese nel SIN Brescia Caffaro — I Stralcio (Rev. 0), di cui alla lettera C dell'accordo di programma del 29 settembre 2009, che è stato esaminato dalla conferenza di servizi istruttoria del 10 dicembre 2014, che ha chiesto un elaborato progettuale integrato sulla base delle osservazioni formulate dalla conferenza di servizi stessa.
  La conferenza di servizi istruttoria del 22 luglio 2015 sulla revisione della «Messa in sicurezza di emergenza delle rogge ricomprese nel SIN Brescia-Caffaro — I stralcio funzionale» ha formulato a Sogesid s.p.a. alcune osservazioni delle quali tenere conto in fase di progettazione esecutiva.
  La Sogesid s.p.a. ha poi trasmesso il report sintetico dello stato di attuazione delle attività come da convenzione sottoscritta in data 24 aprile 2013, nel quale ha indicato come termine previsto per la realizzazione dell'intervento di messa in sicurezza delle rogge il mese di ottobre 2016.
  La Sogesid s.p.a. ha infine trasmesso gli elaborati progettuali relativi alla «Messa in sicurezza di emergenza delle rogge ricomprese nel SIN Brescia-Caffaro – II stralcio funzionale», che saranno esaminati dalla conferenza di servizi programmata nel corso del 2016. Sul punto appena acquisiti ulteriori elementi, verranno informati tutti i soggetti interessati.
  Tanto esposto, si fa presente che in data 23 febbraio 2016 si è tenuta la suddetta conferenza di servizi istruttoria/decisoria. In tale circostanza il commissario straordinario del SIN ha fornito un aggiornamento in merito alto stato di avanzamento degli interventi di caratterizzazione, monitoraggio ambientale, messa in sicurezza e bonifica previsti dall'accordo di programma del 29 settembre 2009 e, in particolare, ha riepilogato la rimodulazione dei finanziamenti stabilita in data 13 ottobre 2015 dal comitato di indirizzo dell'accordo di programma.
  Nel corso della conferenza di servizi, inoltre, sono sfati esaminati n. 5 elaborati; è stato approvato il progetto di bonifica delle acque di falda dell'area Finmeccanica (ex OTO Melara); è stato dato parere favorevole all'avvio delle attività per la messa in sicurezza delle rogge – II stralcio funzionale (soggetto attuatore Sogesid s.p.a.), ed è stata chiesta una implementazione dello studio di fattibilità per la bonifica della falda dell'intero SIN (soggetto attuatore Sogesid s.p.a.).
  Allo stato attuale, rimangono da affrontare ancora talune questioni problematiche e, in particolare, si segnala che è allo studio della regione una proposta di riperimetrazione del SIN, non ancora formalizzata.
  Con riferimento, invece, alla possibile delocalizzazione della Caffaro Brescia s.r.l. dal sito di Brescia, sono in corso approfondimenti tra il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di far fronte alle criticità di carattere industriale, occupazionale ed ambientale connesse a tale annunciata delocalizzazione.
  Alla luce delle informazioni esposte, ed al fine di individuare e sollecitare ogni possibile modalità di messa in sicurezza del sito in parola, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, anche al fine di valutare eventuali ed ulteriori interventi da parte di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Pantelleria dista appena 38 miglia dalle coste tunisine e si configura quindi come ideale testa di ponte del Nord Africa verso l'Europa;
   la Libia e la Tunisia sono significativamente infiltrate da nuclei jihadisti che si sono già macchiati di gravissimi atti di terrorismo;
   la propaganda islamista più radicale fa costante riferimento alla volontà di esportare il jihad in Europa;
   battelli nordafricani approdano a Pantelleria, a quanto consta all'interrogante, senza subire alcun controllo, vendendovi tra l'altro illegalmente il proprio pescato, d'incerta origine, e danneggiando quindi i pescatori locali;
   si ha quindi l'impressione che al mantenimento della sicurezza dell'isola di Pantelleria e di chi la abita non venga prestata sufficiente attenzione –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per rafforzare la protezione del territorio di Pantelleria, sottoponendo a controlli tutti i natanti esteri che vi giungono, sia per scongiurare l'infiltrazione di pericolosi terroristi che per impedire a pescherecci nordafricani di vendervi illegalmente il proprio pescato, d'origine ignota. (4-10720)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione sulla situazione della sicurezza dell'isola di Pantelleria che costituisce, per la sua posizione, un ideale ponte di collegamento con il Nord Africa, chiedendo quali iniziative si intendano porre in essere per scongiurare l'infiltrazione di terroristi e l'arrivo di pescherecci che illegalmente mettono in vendita il proprio pescato di origine ignota.
  Si rappresenta, innanzitutto, che l'attività di prevenzione dalla minaccia derivante dal terrorismo internazionale, con particolare riguardo a quello di matrice politico-confessionale, comporta, tra le altre iniziative di sicurezza, anche l'adozione di una adeguata strategia di controllo delle frontiere.
  I significativi flussi migratori che interessano il nostro Paese, originati da molteplici fattori connessi soprattutto alle perduranti crisi internazionali, hanno spinto ad incrementare l'azione di raccolta info-investigativa, al fine di impedire che estremisti islamici o soggetti collegati a formazioni terroristiche possano avvalersi delle rotte utilizzate dai trafficanti di esseri umani per raggiungere il territorio nazionale.
  A tal proposito, è stata ulteriormente incrementata la già esistente sinergia operativa tra dispositivi di controllo frontalieri e gli apparati specializzati nel contrasto al terrorismo, supportata dal riscontro tra le risultanze delle procedure di identificazione e le evidenze investigative di settore acquisite, al fine di enucleare quelle posizioni particolarmente significative sotto il profilo della sicurezza.
  Per quanto riguarda l'area di Pantelleria, si precisa che i compiti di polizia di frontiera vengono effettuati dalla locale stazione dei carabinieri che, avvalendosi di personale specializzato, svolge le prescritte attività di vigilanza ed esegue i controlli sui passeggeri di aerei ed imbarcazioni con provenienza extra-Schengen.
  In relazione alle procedure connesse al rintraccio dei migranti, si rappresenta come, una volta sbarcati, gli stessi vengano trasferiti, non appena possibile, a Trapani dove, dopo le previste attività di natura burocratico – amministrative di competenza dell'ufficio immigrazione della questura, laddove non richiedenti protezione internazionale, vengono espulsi con contestuale provvedimento di trattenimento presso il locale centro di identificazione ed espulsione di Trapani o presso quello di Caltanissetta.
  Secondo i dati in possesso di questa Amministrazione nel 2014, a fronte di 29 sbarchi – in relazione ai quali sono state sequestrate, dalla locale Capitaneria di Porto, 13 imbarcazioni – hanno raggiunto le coste dell'isola 235 migranti, di cui 215 di nazionalità tunisina.
  Nel 2015, invece, si sono registrati 25 sbarchi – con contestuale sequestro di 8 natanti da parte della locale capitaneria di porto –, nel corso dei quali sono approdati 195 extracomunitari, di cui 167 di nazionalità tunisina.
  Quanto ai provvedimenti adottati, si precisa che nel 2014, dei 235 migranti, 4 sono stati rimpatriati in Tunisia, 214 sono stati trasferiti presso il centro di identificazione e espulsione di Caltanissetta e 4 sono stati allontanati con relativo ordine del questore di Trapani.
  Nel 2015, invece, dei 192 stranieri sbarcati, 10 sono stati rimpatriati in Tunisia, 176 sono stati trasferiti presso il Centro di identificazione e espulsione di Caltanissetta, 2 sono stati allontanati con ordine del questore e 3 per decorrenza dei termini di trattenimento.
  Per quanto riguarda l'asserita illegale immissione sul mercato di pescato di origine ignota da parte di pescherecci nordafricani, si comunica che non si hanno elementi di riscontro.
  Si precisa, al riguardo, che nell'ambito dell'attività di controllo sulla filiera della pesca condotta nel corso del mese di agosto 2015, dopo apposite verifiche negli esercizi commerciali abilitati alla somministrazione di alimenti, non sono state rilevate partite di pescato di origine ignota o incerta.
  Più in generale si rappresenta che vengono svolti controlli sui pescherecci e sulla relativa filiera commerciale.
  Nell'anno 2014, sono stati controllati 32 pescherecci di cui 4 in alto mare e 28 in banchina, senza rilevare alcun illecito, mentre nell'anno appena finito sono stati controllati 39 pescherecci di cui 10 in alto mare e 29 in banchina e anche in questo caso nessun illecito è stato riscontrato.
  Si sottolinea che i controlli hanno sempre consentito di verificare la tracciabilità dei prodotti, ad eccezione di un caso – non riconducibile al fenomeno indicato nell'interrogazione – per il quale è stata comminata la prescritta sanzione amministrativa.
  In tema di controllo delle persone, si informa, per completezza, che risulta vigente un'apposita ordinanza dell'ufficio circondariale marittimo, in base alla quale i concessionari di strutture asservite alla nautica da diporto, al momento dell'arrivo di unità navali battenti bandiera non comunitaria o con a bordo soggetti di nazionalità extra Unione europea devono inviare alle amministrazioni competenti un'apposita comunicazione contenente i dati dell'unità navale, il numero e la nazionalità dei membri dell'equipaggio e dei passeggeri nonché trasmettere la copia del passaporto di tutti i soggetti presenti sulle imbarcazioni.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   STELLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013 ha stabilito che i consigli direttivi dei parchi nazionali siano composti da 8 membri nominati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dei quali: 4 designati dalla comunità del Parco e 4 nominati in rappresentanza, rispettivamente, dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole alimentari e forestali, dell'Ispra e delle associazioni ambientaliste;
   si tratta di cariche che vengono svolte a titolo gratuito e che sono indispensabili per la funzionalità dell'ente, infatti per l'operatività dei Parchi Nazionali è necessario che siano stai nominati almeno quattro consiglieri;
   attualmente dei 23 parchi nazionali italiani solamente 3 hanno i consigli direttivi incaricati, nei rimanenti 20, dove opera solamente il presidente, non sono stati nominati i consiglieri di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che non richiedono le designazioni delle comunità del parco;
   anche laddove le comunità del parco hanno provveduto a designare i consiglieri di loro competenza il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha provveduto alla loro nomina: 7 comunità hanno designato i consiglieri entro dicembre 2013 altre 5 entro febbraio 2014;
   in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013 entro la fine di agosto 2014 i presidenti dei parchi nazionali perderanno la possibilità di operare con i poteri del consiglio e anche atti di ordinaria amministrazione non potranno essere adottati con il rischio di paralizzare la gestione di questi enti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e entro quanto tempo intenda procedere alle nomine dei consiglieri. (4-05030)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla nomina dei consigli direttivi degli enti parco nazionali, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Allo stato, risultano istituiti i consigli direttivi dei seguenti parchi nazionali: Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, Parco nazionale Alta Murgia, Parco nazionale Appennino Lucano, Parco nazionale Val d'Agri, Parco nazionale Tosco-Emiliano, Parco nazionale Arcipelago della Maddalena, Parco nazionale arcipelago toscano, Parco nazionale dell'Asinara, Parco nazionale dell'Aspromonte, Parco nazionale del Circeo, Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, Parco nazionale delle foreste casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Parco nazionale del Gargano, Parco nazionale del Gran Paradiso, Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, Parco nazionale della Maiella, Parco nazionale dei Monti Sibillini, Parco nazionale del Pollino, Parco nazionale della Val Grande, Parco nazionale delle Cinque Terre.
  Inoltre, si fa presente che attualmente sono commissariati i seguenti parchi; Parco nazionale della Sila, Parco nazionale del Vesuvio, Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
  Infine, si segnala che per i parchi commissariati del Vesuvio e del Cilento sono state acquisite le formali intese da parte delle regioni interessate circa le designazioni dei presidenti ed è attualmente in corso la procedura per la nomina, ai sensi dell'articolo 9 comma 3 della legge 394 del 1991.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   organizzazioni umanitarie della regione di Aleppo e Idlib, dove prosegue l'offensiva lealista a nord di Aleppo protetta dall'aviazione russa, riferiscono che due ospedali sono stati colpiti da raid aerei russi e governativi siriani nel nord della Siria, con il risultato che sette persone sono state uccise e almeno altre otto mancino ancora all'appello e si presume siano morte;
   le fonti non governative puntualizzano che in un raid aereo sono stati colpiti la clinica ginecologica e il reparto di pediatria dell'ospedale di Azaz, tra Aleppo e il confine turco; in un altro raid russo è stato invece abbattuto un ospedale a Marrat Numan, nella regione di Idlib. Questo secondo ospedale è stato sempre gestito da Médecins Sans Frontières;
   un uomo all'organizzazione non governativa ha dichiarato: «Mi stavo recando in ospedale per aiutare con l'ammissione dei pazienti colpiti dai raid aerei, ma appena sono arrivato, sono rimasto io stesso ferito. È successo tutto molto in fretta. Ho visto una sorta di esplosione e un flash di luce, poi sono svenuto per circa cinque minuti. I miei colleghi mi hanno visto steso a terra, coperto di sangue e mi hanno portato dentro in fretta. Sono rimasto ferito sia a un braccio che a una gamba dai frammenti del proiettile»;
   più di 20 mila residenti delle cittadine in queste zone limitrofe all'ospedale di medici senza frontiere hanno lasciato le proprie case e si sono rifugiati nelle campagne circostanti per sfuggire ai raid aerei;
   non è la prima volta che bombardamenti colpiscono gli ospedali in queste zone, danneggiando parzialmente gli edifici e mettendo fuori gioco tutti i servizi di assistenza sanitaria come quello molto prezioso del servizio di ambulanza;
   si tratta solo dell'ultima struttura medica, in ordine di tempo, colpita dai raid aerei nel sud della Siria in un’escalation di attacchi verificatasi negli ultimi due mesi;
   (Medici senza Frontiere) sottolinea che questo ennesimo incidente contribuisce a impoverire un sistema sanitario già allo stremo e impedisce a molte persone di accedere alle cure mediche di cui hanno un disperato bisogno;
   l'organizzazione medica internazionale – presente in oltre 70 Paesi in tutto il mondo e attiva in molti scenari di guerra – denuncia che, mentre il conflitto siriano entra nel sesto anno, i bombardamenti nel sud del Paese sono in aumento, così come il numero delle vittime;
   l'uso di bombardamenti indiscriminati ha un impatto devastante sia sui civili che sulle strutture mediche –:
   se i Ministri interrogati intendano mettere in atto iniziative affinché i raid aerei vengano fermati, in quanto questa situazione sembra essere diventa la norma e, dall'inizio del 2016, 13 strutture mediche sono state colpite, confermando che ospedali e cliniche non sono più posti dove i pazienti feriti possono guarire in tutta sicurezza. (4-12101)

  Risposta. — Gli eventi bellici che hanno condotto alla distruzione di ospedali e altre strutture civili all'interno della Siria, rappresentano violazioni gravi e odiose, soprattutto perché perpetrate ai danni dei civili. Per tale motivo, l'Italia sostiene con convinzione l'attività della Commissione internazionale indipendente di inchiesta dell'Onu, che sta effettuando un'approfondita indagine allo scopo di accertarne le responsabilità e che, ha presentato un recente rapporto in merito il 15 marzo 2016, nell'ambito della 31ma sessione del Consiglio diritti umani dell'Onu a Ginevra. In ambito Nazioni unite, l'Italia, anche in raccordo con i partner dell'Unione europea, sostiene fortemente il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, condannando le violazioni sopra descritte e assicurando pieno sostegno alla citata Commissione d'inchiesta.
  Più in generale, l'Italia sta sostenendo in tutti i rilevanti consessi internazionali una soluzione negoziale del conflitto in corso e la concreta attuazione del percorso politico-diplomatico, tracciati più recentemente dal «Gruppo di Supporto internazionale per la Siria» (ISSG), di cui siamo parte. L'Italia è altresì fortemente impegnata, insieme ai partner dell'ISSG, a incoraggiare le parti belligeranti affinché venga effettivamente rispettata la cessazione delle ostilità propiziata dall'ISSG, richiesta reiterata dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione 2268 del 26 febbraio 2016.
  Il nostro Paese continua inoltre ad assicurare pieno e costante sostegno all'azione dell'inviato speciale Staffan de Mistura, al quale il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha affidato il difficile compito di mediare tra le parti siriane, sulla base del principio di inclusività del processo politico, tanto nella sua dimensione regionale (coinvolgimento degli attori più influenti, quali Arabia Saudita e Iran), quanto sul piano delle componenti politiche, etniche e confessionali siriane.
  Il Governo sostiene coerentemente da tempo la percorribilità di una soluzione negoziale, mantenendo uno stretto raccordo con Washington e, allo stesso tempo, un dialogo costruttivo con Mosca e con i principali attori regionali, quali Iran e Turchia. L'Italia ha sempre seguito un approccio costruttivo e pragmatico, che ha permesso di concordare e realizzare obiettivi importanti di breve e medio termine in vista di una possibile una soluzione politica.
  Vorrei inoltre evidenziare l'impegno dell'Italia sul versante umanitario, al fine di garantire l'invio tempestivo di aiuti alle popolazioni in zone assediate e difficili da raggiungere. Subito dopo intesa raggiunta a Monaco di Baviera per l'inizio di una tregua umanitaria, la Cooperazione italiana ha disposto un primo pacchetto di aiuti umanitari, del valore di 3,25 milioni di euro, per attività di distribuzione di cibo e di altri generi di prima necessità a favore della popolazione civile nella Regione di Aleppo ed in altre aree del Paese, la cui realizzazione è stata affidata alle Nazioni unite (PAM e OCHA). Nuove iniziative umanitarie verranno realizzate dalla Cooperazione italiana nei prossimi mesi. L'attuazione delle misure sul versante umanitario, indispensabile per ricreare un clima propizio alla ripresa del negoziato, è in larga parte nelle mani di Damasco e della Russia, su cui l'Italia e l'Europa sono intervenute per sollecitare segnali concreti e immediati. Gli sviluppi sul terreno sono cautamente incoraggianti, ma occorre ancora molto lavoro, per poter garantire un accesso libero e regolare degli aiuti a tutta la popolazione in difficoltà.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   BORGHESI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 850 del 27 ottobre 2015 è un provvedimento applicativo della legge 107 del 2015 della riforma della scuola, voluta da questo Governo;
   il provvedimento ministeriale include tra i destinatari del periodo di formazione del personale docente neo-assunto, anche i docenti che abbiano ottenuto il passaggio di ruolo, nonostante si tratti di insegnanti già titolari di contratto a tempo indeterminato, che hanno già effettuato l'anno di prova e formazione all'atto della loro originaria immissione in ruolo;
   inoltre la disciplina riguardante la mobilità dei docenti, compresa quella professionale, è riservata per espressa previsione dei decreti legislativi n. 165 del 2001 e n. 297 del 2004 alla contrattazione collettiva e pertanto non può soggiacere a decisioni discrezionali dell'amministrazione;
   la stessa amministrazione, con la nota 3699 del 29 febbraio 2008, aveva peraltro precisato con chiarezza che «l'anno di formazione va effettuato una sola volta nel corso della carriera», riconoscendo come illogico e irragionevole richiedere a un docente che passa a un diverso ordine di scuola, avendo già maturato una consistente esperienza di servizio, la medesima formazione prevista per un docente neo-immesso in ruolo. A tutto ciò si aggiunge il fatto che al momento della presentazione delle domanda di passaggio di ruolo la legge n. 107 non era ancora legge dello Stato –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro e se intenda apportare le necessarie modifiche al decreto ministeriale n. 850 del 2015 alla luce di quelle che l'interrogante ritiene notevoli forzature e degli effetti retroattivi di dubbia legittimità descritti in premessa nonché della invasione delle competenze riservate alla contrattazione in materia di organizzazione del lavoro. (4-11915)

  Risposta. — In merito ai quesiti posti dall'interrogante evidenzio, preliminarmente che il periodo di formazione e prova dei docenti neo-assunti è stato oggetto, con la legge n. 107 del 2015, di una incisiva riforma che ne ha rimodulato – in larga parte – obiettivi e finalità.
  Non solo è cambiata la durata e la ripetibilità, ma è stata definitivamente superata la divisione fra «periodo di prova» e «periodo di formazione», come, invece, disponeva il Testo unico in materia di istruzione.
  I commi dal 115 a 119 della legge n. 107 parlano, infatti, di «periodo di formazione e prova», al positivo esito del quale si è confermati nel ruolo. Quindi, i due momenti (prova e formazione) sono diventati inscindibili.
  Pertanto, diversamente che in passato, anche per i passaggi di ruolo, dovrà essere effettuato il periodo di prova congiuntamente a quello di formazione.
  L'obiettivo primario della riforma è quello di garantire la qualità del sistema nazionale di istruzione e formazione attraverso una formazione che coinvolga non solo i neoassunti ma anche i docenti che cambiano grado di istruzione.
  Faccio il caso di un docente della scuola primaria che ottenga il passaggio di ruolo ad una scuola secondaria di secondo grado per insegnare italiano e latino.
  In questa situazione appare quanto mai evidente la necessità di un periodo di formazione e prova che consenta al docente di conoscere il nuovo contesto: diverse, infatti, sono le problematiche relative alla scuola primaria rispetto a quelle della scuola secondaria, completamente differenti sono poi le metodologie didattiche.
  In tutti questi casi è fondamentale il percorso di formazione, che accompagni il docente nel nuovo e diverso ruolo.
  Per questo motivo, nel decreto ministeriale n. 850 del 27 ottobre 2015, ho previsto che la formazione sia svolta proprio con specifico riferimento al posto e alla classe di concorso relativi al proprio ruolo.
  Personalizzando quanto più possibile il percorso formativo di accompagnamento nello spirito di un rapporto tra pari professionalizzante, la formazione assume un ruolo di significativo supporto al docente, rafforzandone le competenze trasversali e consentendogli così di assicurare un adeguato insegnamento nel nuovo ruolo.
  Sottolineo, infine, come per la prima volta, con la legge n. 107, la formazione sia diventata obbligatoria, permanente e strutturale garantendo la qualità del sistema nazionale di istruzione e formazione attraverso la valorizzazione delle competenze professionali dei docenti e la loro formazione sia in ingresso che in servizio.
  Alla luce di questa rinnovata impostazione, ritengo che anche per i docenti che effettuano un passaggio di ruolo, così come per i neoassunti, non si possa prescindere da un percorso di formazione che li guidi nel nuovo e diverso contesto scolastico.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, affida ad un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il compito di adottare, entro il 12 dicembre 2014, ovvero 90 giorni dall'entrata in vigore del sopraddetto decreto-legge, disposizioni di riordino e semplificazione finalizzate a «rendere più agevole la realizzazione degli interventi», per quel che riguarda:
    a) la disciplina semplificata del deposito preliminare alla raccolta e all’end of wast delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di sottoprodotto;
    b) la disciplina delle terre e rocce da scavo con presenza di materiali di riporto e delle procedure di bonifica di aree con presenza di materiali di riporto;
   tra i quattro «principi e criteri direttivi», si segnala che la lettera d) del comma 1 dell'articolo 8 pone il «divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli previsti dall'ordinamento europeo» –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire notizie sull’iter di dette disposizioni di riordino della materia per le «terre e rocce da scavo» e su come intenda dare attuazione alla normativa sopra richiamata. (4-10625)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al procedimento di riordino della disciplina sulle terre e rocce da scavo, si rappresenta quanto segue,
  Com’è noto, il provvedimento in questione è stato predisposto sulla base dell'autorizzazione all'esercizio della potestà regolamentare del Governo, contenuta nell'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, con la legge 11 novembre 2014, n. 164.
  Per quanto riguarda l’iter normativo delle suddette disposizioni di riordino della materia delle «terre e rocce da scavo, si fa presente che lo schema di regolamento e stato esaminato in via preliminare dal Consiglio dei ministri del 6 novembre 2015. Lo scorso 15 gennaio lo schema di decreto del Presidente della Repubblica è stato nuovamente approvato in secondo esame preliminare. Rispetto al primo esame, il testo è stato ulteriormente integrato e modificato sia a seguito della consultazione pubblica rivolta a cittadini, associazioni e stakeholders del settore – che dal 19 novembre al 19 dicembre scorso hanno potuto presentare sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare osservazioni e proposte di modifica – sia sulla base del parere espresso dalla conferenza Unificata.
  In data 26 gennaio 2016, lo schema di regolamento è stato trasmesso al Consiglio di Stato per il relativo parere che è stato espresso, in senso favorevole, in data 11 febbraio 2016.
  Per dare seguito ad alcune osservazioni del Consiglio di Stato, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota prot. 0004610/GAB del 26 febbraio 2016, ha chiesto un supplemento di istruttoria al Ministero della salute relativamente al tema della percentuale di amianto ammessa nelle terre e rocce da scavo per la loro gestione in qualità di sottoprodotto. Il Ministero della salute ha consultato il Consiglio superiore di sanità, che dovrà rilasciare il proprio parere in merito.
  A partire dall'1o marzo 2016, lo schema di decreto del Presidente della Repubblica in commento, corredato delle prescritte relazioni e del parere favorevole del Consiglio di Stato, è stato trasmesso al Parlamento, ai fini dell'acquisizione del parere delle competenti commissioni parlamentari, come atto di Governo n. 279.
  Lo scopo dell'intervento normativo è di semplificare la disciplina vigente in materia di gestione delle terre e rocce da scavo, riducendola ad un unico testo, integrato, autosufficiente e internamente coerente. A tal fine, lo schema di regolamento si propone di ricomprendere, in un unico corpo normativo, le disposizioni attualmente vigenti che riguardano la gestione delle terre e rocce da scavo.
  In coerenza con la normativa europea di settore sui sottoprodotti, un ulteriore elemento di semplificazione è stato realizzato con il passaggio dal modello del «controllo preventivo», basato sul rilascio di autorizzazioni, al modello del «controllo ex post», basato su meccanismi di autodichiarazione da parte degli operatori economici e sul rafforzamento del sistema dei controlli. In tal senso la nuova procedura non subordina più la gestione e l'utilizzo delle terre e rocce da scavo qualificate sottoprodotti alla preventiva approvazione del piano di utilizzo da parte dell'autorità competente.
  Nella stesura dello schema di regolamento sono state inoltre recepite le richieste formali presentate dalla Commissione europea nell'ambito della procedura Eu-Pilot n. 5554/13/ENVI, avviata nei confronti dell'Italia con riferimento al decreto ministeriale del 10 ottobre 2012, n. 161, recante il «Regolamento sulla disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo», al fine di evitare che tale progetto pilota si evolva in una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano.
  Per quanto riguarda le modalità di attuazione della normativa in parola, si evidenzia che, tra le principali novità introdotte anche a seguito della consultazione pubblica, è previsto:
   l'allineamento della normativa italiana a quella europea e un più stretto raccordo, proprio in termini normativi, con le procedure di valutazione di impatto ambientale;
   la semplificazione delle procedure e la fissazione di termini certi per concludere le stesse, anche prevedendo meccanismi in grado di superare eventuali situazioni di inerzia da parte degli uffici pubblici. In questo modo si evitano i lunghi tempi di attesa cui erano costretti i soggetti che operano nel settore delle terre e rocce da scavo, obbligati, finora, ad attendere la preventiva approvazione del piano di utilizzo delle terre e rocce da parte delle Autorità competenti;
   una stretta interazione tra i soggetti che operano nel settore delle terre e rocce da scavo e le strutture deputate ai controlli, prevedendo che, fin dalla fase di predisposizione del piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo, i primi possano interagire con le Agenzie regionali e provinciali di protezione ambientale per le preliminari verifiche istruttorie e tecniche, anticipando lo svolgimento dei controlli previsti per legge;
   procedure più veloci per attestare che le terre e rocce da scavo soddisfino i requisiti stabiliti dalle norme europee e nazionali per essere qualificate come sottoprodotti e non come rifiuti;
   il rafforzamento del sistema dei controlli e una disciplina più dettagliata ed efficace per il deposito intermedio delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti;
   tempi certi in cui Arpa e Appa svolgano le attività di analisi.
  Ad oggi, si è in attesa di conoscere le valutazioni di competenza da parte delle commissioni parlamentari interessate, in merito allo schema di decreto del Presidente della Repubblica in questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono stati resi noti i risultati di un'inchiesta della LAV – Lega anti vivisezione, associazione riconosciuta dal Ministero ex legge 349 del 1986, che ha documentato anche con rilievi video e foto sistematiche e ripetute violazioni da parte dei delfinari del decreto del Ministro dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare 6 dicembre 2001, n.469 Regolamento recante disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie Tursiops Truncatus, in applicazione dell'articolo 17, comma 6 della legge 23 marzo 2001, n. 93;
   in particolare, nei delfinari di Zoomarine (Torvaianica-Roma), Oltremare (Riccione), Fasanolandia (Fasano-Brindisi) e Rimini, sono emerse le seguenti rilevazioni:

  Educazione:
   in nessuno dei delfinari è presente un opuscolo o un volantino informativo/educativo che riporti informazioni sui cetacei, sul loro habitat, sulla loro etologia, eccetera (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n.469: Allegato, Punto A-1-d)
   due delfinari su quattro non avevano alcun tipo di pannello informativo visibile nelle aree accessibili gratuitamente né inerente i cetacei né inerente i progetti di ricerca e conservazione di cui il delfinario era parte. Dei rimanenti uno dei delfinari aveva pochi cartelli con informazioni generiche che potevano essere visitati a seguito dello spettacolo ma non è stato possibile vederli tutti in quanto il percorso è stato chiuso, insieme al delfinario, poco tempo dopo la fine dello spettacolo. Solo uno dei delfinari aveva molteplici pannelli informativi sui cetacei e le loro caratteristiche e anche diversi pannelli che illustravano alcune delle ricerche che erano state condotte, per quanto questi ultimi fossero solamente in lingua inglese. (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 496: Allegato, Punto A-1-b);
   due su quattro delfinari non prevedevano alcun tipo di visite guidate con un educatore o altro personale in grado di fornire informazioni sui cetacei. Uno (Zoomarine) prevedeva una visita a pagamento del costo di euro 40 a persona. Solo uno dei delfinari (Oltremare) prevedeva una visita gratuita della durata di circa 20 minuti (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto A-1-b);
   uno dei delfinari non forniva alcun tipo di spiegazione o commento scientifico sui cetacei nel corso dello spettacolo, per gli altri la media dei commenti inerenti la biologia e l'etologia dei Tursiopi e degli esercizi dimostrativi correlati era di circa 5 minuti e 47 secondi su un totale di 26 minuti e 41 secondi. Le informazioni fornite erano scarse e si concentravano primariamente sulla descrizione del delfino e su alcuni dei comportamenti che questa specie tiene in natura. Assolutamente insignificanti, quando non proprio inesistenti, erano invece le informazioni sulla loro etologia, sul loro habitat, sulle problematiche di conservazione, e altro come sarebbe invece richiesto dalla normativa. (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto A-1-e);

  Condizioni di detenzione

   gestione dei delfini:
    in tutti i delfinari il periodo estivo si rivela completamente privo di possibilità di riposo per gli animali. Non esistono giornate di chiusura dei parchi e i tursiopi sono costretti ad esibirsi da due a cinque spettacoli al giorno. A questo vanno aggiunte, inoltre, tutte le altre attività a contatto con il pubblico (tour guidati, attività in vasca come «addestratori» per un giorno, foto, e altro). (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-III-35);
   in almeno due delfinari (Zoomarine, Oltremare) nel corso della giornata i delfini vengono tenuti separati per diverso tempo in funzione dello spettacolo o dello svolgimento di altre attività. (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-13);

   contatto con il pubblico:
    in almeno tre delfinari (Fasano, Zoomarine, Oltremare) è possibile fere una foto con il «bacio del delfino» (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-III-38);
    in alcuni delfinari uno o più individui del pubblico vengono fatti entrare nell'area destina agli addestratori per eseguire alcuni esercizi con i delfini (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punti B-III-38 e B-III-39);
    due strutture hanno programmi in cui il pubblico può improvvisarsi «addestratore» di delfini a seguito di una breve formazione teorica. Questi programmi prevedono il contatto con gli animali e in un delfinario l'ingresso in vasca.
  Una struttura promuove anche veri propri corsi di addestramento (Introductory and for Professional) con sessioni teoriche e pratiche (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punti B-I-1, B-III-38 e B-III-39);
   una delle strutture pubblicizza attività di Pet-teraphy con i delfini (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punti B-I-1, B-III-37, B-III-38. Ministero della salute: posizione sulla Delfinoterapia – in allegato);
   manipolazione e gestione degli animali durante lo spettacolo. Nel corso degli spettacoli di ogni delfinario i delfini venivano manipolati più volte da uno o più addestratori e in tre delfinari venivano fatti uscire dalle vasche più volte per essere mostrati al pubblico o per entrare in contatto con esso (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegati, Punti B-III-32, B-III-34, B-III-38);
   vasche:
    uno dei delfinari era costituito da una sola vasca e la «vasca sanitaria» poteva essere identificata come una divisoria all'interno della vasca stessa. L'acqua, e quindi gli eventuali agenti patogeni, erano quindi condivisi. Negli altri delfinari le vasche sanitarie non erano identificabili e, dato quanto visibile della struttura, erano probabilmente assenti (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-9);
    in due dei delfinari (Oltremare) le vasche vengono utilizzate per altri scopi: tuffatori, accesso del pubblico per i programmi a pagamento, accesso personaggi del mondo dello sport (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-1);
    in funzione dello spettacolo alcuni delfini o il gruppo intero non hanno accesso a tutta la superficie della vasca ma solo ad alcune aree. Questo accade in tutti i delfinari tranne che in quello di Rimini perché costituito da un'unica vasca (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-4);
    uno dei delfinari mancava completamente di ombreggiatura, due strutture avevano un'area coperta ma i delfini non potevano accedervi durante lo spettacolo e potenzialmente in altri momenti della giornata nel corso dello svolgimento delle altre attività, nella quarta struttura alcune aree delle piscine non erano visibili al pubblico e quindi non è possibile sapere se fossero o meno ombreggiate; le aree visibili al pubblico, nelle quali i delfini rimanevano per lo spettacolo, erano prive di ombreggiatura se non quella costituita dalle gradinate (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-II-17 – decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73: Allegato 1, punto C-2);
    le vasche erano completamente prive di arricchimenti ambientali di ogni tipo. Solo una delle vasche aveva un unico pallone sospeso che veniva utilizzato nel corso delle esibizioni (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, Punto B-I-8 – decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73: Allegato 1, punti B-1, D-1);
    due delle vasche (Fasano, Rimini) erano recintate da una ringhiera metallica che consentiva potenzialmente a chiunque di gettare oggetti estranei in vasca (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegati, Punti B-II-24, B-III-38);

   rumore:
    tre dei delfinari (Fasano, Zoomarine, Oltremare) si trovano inseriti in parchi divertimento e hanno nelle vicinanze attrazioni meccaniche quali, ad esempio montagne russe. In almeno due di questi parchi divertimento si svolgono inoltre eventi, manifestazioni e concerti. Il quarto è posto vicino al mare, tra alcune spiagge, una strada trafficata e a poche decine di metri da diversi locali notturni (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, B-III-36 – decreto legislativo 21 marzo 2005, n. 73: Allegato 1, punti A-3 e A-4);
    nel corso dello spettacolo in tutti i delfinari vengono utilizzate musiche ad alto volume (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, B-III-36);
    in due delfinari nei momenti precedenti lo spettacolo il personale del parco intrattiene il pubblico utilizzando fischietti, invitandoli a battere le mani, e altro (decreto ministeriale 6 dicembre 2001, n. 469: Allegato, B-III-36);

   il Decreto Ministeriale citato recita che «devono essere rispettate le prescrizioni contenute» e che «Il mantenimento di esemplari appartenenti alla specie Tursiops Truncatus è permesso solo nel caso in cui siano garantiti i programmi di educazione, ricerca e riproduzione di cui ai successivi paragrafi 1, 2 e 3;
   i delfinari di Oltremare, Fasanolandia e Rimini non hanno l'autorizzazione prevista dal Decreto Legislativo 73 del 2005 –:
   quali azioni intende intraprendere per sanzionare le violazioni riscontrate procedendo anche alla chiusura dei delfinari;
   si chiede anche di sapere quali azioni di recupero sono previste per i delfini di Gardaland (provincia di Verona) a seguito della decisione della nuova proprietà di non far eseguire più spettacoli;
   si chiede di conoscere sulla base di quali riscontri oggettivi il Ministero abbia potuto autorizzare ai sensi del Decreto Legislativo 73 del 2005 il delfinario di Zoomarine, poiché una semplice presenza come normali spettatori ha permesso la constatazione di numerose violazioni normative. Molto spesso, inoltre, tali violazioni vengono pubblicizzate attraverso il loro stesso sito internet;
   si chiede inoltre di conoscere gli atti del Ministero riguardo al Delfinario di Rimini poiché tale struttura aveva presentato istanza di esclusione dalla previsioni del Decreto Legislativo 73 del 2005 che non è stata accolta dal Suo Ministero. (4-01383)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Come disposto, in applicazione dell'articolo 17, comma 6, della legge 23 marzo 2001, n. 93, questo Ministero nel 2001, ha disciplinato i delfinari presenti sul territorio nazionale con il decreto ministeriale n. 469 del 2001, ove è inserito il regolamento recante disposizioni in materia di mantenimento in cattività di esemplari di delfini appartenenti alla specie di Tursiops truncatus. A quella data erano presenti sul territorio nazionale solo due delfinari, quello di Gardaland e quello di Rimini.
  Ad oggi il decreto ministeriale n. 469 del 2001 appare rientrare in un quadro normativo più ampio di tutela e benessere della biodiversità che vede la sua naturale integrazione in una rifusione all'interno del decreto legislativo n. 73 del 2005, di recepimento dalla direttiva 1999/22/CE, che disciplina le strutture denominate zoo ed acquari in cui sono presenti per definizione esemplari appartenenti a specie a rischio di estinzione e per le quali devono essere attuati piani di studio e di ricerca al fine della loro salvaguardia, come i cetacei.
  Tali esemplari, com’è noto, rientrano tra quelle specie prioritarie che necessitano una più ampia attenzione alla loro conservazione e ad una gestione del loro benessere e, in questo senso, il decreto ministeriale in questione non prevede alcun tipo di effetto sanzionatorio il che rende, di fatto, insufficiente l'applicazione degli stessi criteri di tutela e benessere in esso inseriti. Non sono, dunque, apparsi efficaci i reiterati inviti all'adeguamento delle strutture preesistenti per i delfinari storici e, pertanto, poiché il decreto legislativo n. 73 del 2005 possiede concreti elementi atti a perseguire questi obiettivi, questo Ministero, con decreto del 28 maggio 2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2015, ha provveduto alla modifica degli allegati del decreto legislativo n. 73 del 2005, inserendo delle norme tecniche in base alle quali si è provveduto alla chiusura dei delfinari di Gardaland e di Rimini.
  Nel far adottare e rispettare le normative in vigore, questo Ministero si avvale di personale qualificato c di collaborazioni interministeriali e tramite azioni di sopralluogo e di ispezioni può valutare in loco il reale recepimento delle norme.
  Inoltre, relativamente alle richieste esposte dall'interrogante, il Ministero dell'ambiente ha provveduto ad istituire una Task force a supporto delle iniziative legate al decreto legislativo n. 73 del 2005 e, quindi, anche del decreto ministeriale n. 469 del 2001. In particolare, si sono svolte operazioni di ispezione atte a valutare quelle strutture ritenute a rischio non solo nell'ambito dei delfinari, bensì in un'ottica di più ampio raggio.
  Nel rispondere dettagliatamente ai quesiti che vengono posti, si evidenzia quanto segue:
   quando la struttura, durante l'intervento di Task force, viene riconosciuta in difetto in merito ai requisiti del decreto legislativo n. 73 del 2005, vengono applicate severe sanzioni amministrative e penali, agendo di concerto con il Corpo forestale dello Stato, che possono comportare il sequestro degli esemplari fino alla loro confisca e la conseguente chiusura della struttura stessa;
   riguardo la chiusura dei delfinari, si ricorda che in Italia, la presenza di queste strutture sul territorio è subordinata al rispetto dei requisiti di cui al decreto ministeriale n. 469 del 2001;
   relativamente alle azioni di recupero previste per gli esemplari che erano presenti presso la struttura di Gardaland, questo Ministero ha disposto lo spostamento degli esemplari presso una sede adeguata identificata nell'Acquario di Genova. Nello specifico, gli esemplari sono ospitati presso il nuovo padiglione cetacei. Questa struttura è un'opera sui generis in Italia e, grazie al fatto che le vasche del padiglione rispondono in pieno ai requisiti richiesti dal decreto oltre che per la presenza di personale altamente specializzato, nonché di elevato valore scientifico, si è ritenuto fosse la sede idonea di destinazione degli esemplari;
   per quanto attiene il delfinario di Fasano, il Ministero ha già provveduto nel comunicare alla società titolare della struttura «Leo3000» s.p.a. la non idoneità del delfinario in quanto l’iter autorizzativo per detta struttura deve rispondere all'articolo 4 del decreto ministeriale n. 469 del 2001, che prevede, oltre alla presentazione della documentazione attestante i requisiti previsti dal medesimo decreto ministeriale n. 469 del 2001 e dal decreto legislativo n. 73 del 2005, anche il parere della Commissione scientifica CITES. Ad oggi la struttura ospita esemplari di otaridi;
   in riferimento alla struttura del delfinario di Rimini, essa rientra in quelle operazioni congiunte di Task force sopra citate già effettuate, il cui esito ha portato alla chiusura dell’iter di licenza di giardino zoologico, con decreto pubblicato il 21 gennaio 2015 sulla Gazzetta Ufficiale n. 16;
   in riferimento al parco zoomarine di Pomezia si fa presente che si è provveduto, in seguito ai controlli ispettivi previsti dal decreto legislativo n. 73 del 2005, a richiedere gli adeguamenti necessari.
  Come rappresentato, la modifica degli allegati al decreto legislativo n. 73 del 2005 con l'inserimento dei requisiti presenti nel decreto ministeriale n. 469 del 2001 permette una maggiore efficacia del dispositivo integrato e la possibilità di avere una applicazione in rispondenza in particolare ai principi di benessere animale, che, riguardo ai tursiopi, sono dettagliatamente espressi nel decreto ministeriale. Questo permette di evitare che tali strutture non siano più assimilabili a circhi fissi, ove gli esemplari impegnati effettuano un vero e proprio spettacolo di intrattenimento, ma a soggetti che evidenziano nelle loro libere e naturali movenze una più stretta rispondenza alle caratteristiche proprie di specie. Non sono quindi ammesse attività improprie come il contatto con il pubblico, utilizzo promiscuo delle vasche, il «bacio del delfino», la Pet therapy (come è noto utilizzabile solo tramite l'utilizzo di animali domestici e non selvatici e a seguito di specifiche autorizzazioni), esercizi non rispondenti all'etologia degli esemplari ed altresì deve essere messa in evidenza un'informazione didattico-divulgativa più approfondita e curata.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nei confronti dei soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRAMBILLA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 4 dicembre 2015 è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale della regione Veneto la legge del 1° dicembre 2015, n. 20, recante «Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio»;
   la norma introduce due nuove tipologie di appostamenti da caccia denominati «appostamenti precari allestiti a terra» e «appostamenti precari per la caccia al colombaccio», non contemplati nella disciplina quadro nazionale di riferimento, legge n. 157 del 1992, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio»; si tratta di previsioni, a giudizio dell'interrogante, di dubbia legittimità costituzionale;
   la stessa legge regionale dispone che per l'allestimento dei suddetti appostamenti precari a terra e degli appostamenti precari per la caccia al colombaccio, non sia necessario ottenere il titolo abilitativo edilizio;
   sul tema dell'esenzione dalla richiesta del titolo abilitativo edilizio per gli appostamenti da caccia, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha già promosso, con ricorso notificato il 10 settembre 2012, un giudizio di legittimità costituzionale nei confronti della legge della regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio»);
   con sentenza 13 giugno 2013, n. 139, la Corte Costituzionale ha censurato la disposizione impugnata, affermando molto chiaramente che «il carattere stagionale dell'attività venatoria e, conseguentemente, dell'impiego dell'appostamento non vale ad escludere, sulla base della legislazione vigente, il rilievo che quest'ultimo assume sul piano edilizio» pertanto disponendo che «l'appostamento fisso per la caccia è soggetto a permesso di costruire, in base agli articoli 3 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001» –:
   se non intenda, visto quanto sopra riportato, sollevare con urgenza la questione di legittimità costituzionale nei confronti della legge regionale del Veneto 1° dicembre 2015, n. 20. (4-11646)

  Risposta. — Nel corso dell'istruttoria avente ad oggetto la legge regionale Veneto n. 20/2015, l'ufficio per l'esame di legittimità della legislazione regionale e delle province autonome ed il contenzioso costituzionale del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport ha richiesto alle amministrazioni interessate (tra le quali, in particolare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) di trasmettere un parere in merito alla legittimità costituzionale della legge in esame entro il 10 gennaio 2016, con l'avvertenza che il mancato inoltro del suddetto parere entro tale data sarebbe stato considerato «nulla da osservare».
  In risposta alla suddetta richiesta, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha sollevato dubbi in ordine alla legittimità costituzionale della legge veneta, nella parte in cui stabiliva che gli appostamenti precari di caccia allestiti a terra e per la caccia ai colombacci non fossero soggetti ad autorizzazione paesaggistica. Il Ministero ha rilevato che non spetta al legislatore regionale individuare gli interventi per i quali è esclusa l'autorizzazione paesaggistica e che pertanto la norma poteva presentare possibili profili di illegittimità costituzionale per violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, e delle norme interposte di cui agli articoli 146 e 149, decreto legislativo n. 42 del 2004, nonché dell'allegato 1 del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139.
  Il Ministero ha tuttavia rappresentato che l'impugnativa avrebbe potuto essere evitata nel caso in cui gli organi regionali competenti avessero assicurato che la norma censurata sarebbe stata modificata, nella prima sede normativa ritenuta opportuna, in senso conforme alla normativa statale.
  In ossequio al principio di leale collaborazione tra lo Stato e le autonomie, i rilievi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sono stati trasmessi alla regione Veneto, la quale ha fatto pervenire una nota di contro deduzioni.
  La regione ha chiarito che la norma in esame non riguarda gli «appostamenti fissi», ma quelli «temporanei», che hanno natura precaria, hanno dimensioni massime predefinite e specifiche caratteristiche costruttive. Pertanto, a giudizio della regione, i suddetti appostamenti sarebbero da ricondurre all'attività edilizia libera ai sensi dell'articolo 6 del testo unico per l'edilizia.
  Inoltre, la regione ha osservato che gli appostamenti disciplinati dalla norma censurata costituiscono espressione di attività agro-silvo-pastorale e che pertanto sono esclusi dall'autorizzazione paesaggistica in applicazione dell'articolo 149, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 42 del 2004. Gli appostamenti, inoltre, sono destinati ad operare «per lo stretto tempo necessario all'esercizio dell'attività venatoria», che solo in alcuni casi potrebbe superare, di alcuni giorni, l'estensione temporale di 120 giorni prevista dal punto 78 all'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010.
  La regione ha inoltre osservato che la legge regionale non fa venir meno la validità, e quindi l'applicabilità, della disposizione statale in materia di autorizzazione paesaggistica, laddove ne sussistano i presupposti. Gli uffici della regione hanno quindi reso noto che è allo studio un riesame della normativa introdotta finalizzato anche a fare chiarezza sulla questione.
  Le argomentazioni regionali sono state trasmesse al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che, prendendo atto di quanto comunicato dalla regione, ha ritenuto di non insistere nella richiesta di impugnativa.
  Per quanto riguarda il profilo della legittimità costituzionale della legge in esame nella parte in cui esclude gli appostamenti precari per il prelievo venatorio dall'ambito degli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica, dunque, alla luce dell'istruttoria svolta non è stato ritenuto necessario proporre l'impugnativa della legge regionale Veneto n. 20 del 2015.
  Per quanto concerne, invece, il diverso profilo della legittimità dell'esclusione degli appostamenti precari dagli interventi soggetti al titolo abilitativo edilizie, si sottolinea che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, amministrazione prevalentemente competente nella materia del «governo del territorio», alla quale va ricondotta la disciplina dei titoli abilitativi all'esercizio dell'attività edilizia, non ha formulato osservazioni in merito alla legittimità costituzionale della legge in esame.
  All'esito dell'istruttoria svolta, preso atto della mancanza di osservazioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del fatto che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non ha ritenuto di insistere nell'impugnativa, l'ufficio per l'esame di legittimità della legislazione regionale e delle province autonome ed il contenzioso costituzionale del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per un ricorso alla Corte costituzionale e ha proposto al Consiglio dei ministri la non impugnativa della legge regionale Veneto n. 20 del 2015.
  Il Governo ha deliberato in tal senso nella seduta del Consiglio dei ministri del 28 gennaio 2016.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGianclaudio Bressa.


   BRIGNONE e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto per la costruzione del gasdotto denominato «Rete adriatica» è stato proposto nel 2004 dalla società Snam Rete Gas con lo scopo di potenziare la rete di trasporto nazionale di metano;
   il progetto consiste in un metanodotto di acciaio largo 1,2 metri e lungo 687 chilometri, situato a 5 metri di profondità, che dalla Puglia corre fino all'Emilia Romagna, interessa il territorio di Sulmona e di numerose centraline di diramazione;
   l'impianto, una volta operativo, lavorerà bruciando gas ed emettendo ossidi di azoto, monossido di carbonio e nanoparticelle;
   la realizzazione di un gasdotto, nonostante la presenza di gas naturale già ampiamente diffusa nel nostro Paese, avrebbe solo mere ragioni speculative considerando da una parte l'aumento di portata che permetterebbe la vendita negli altri Paesi europei e di contro la diminuzione negli ultimi anni dei consumi in Italia;
   le zone interessate dal progetto sono fra quelle di maggiore rischio sismico del territorio nazionale ed europeo. La realizzazione di «Rete Adriatica» da parte del gruppo Snam metterebbe quindi in forte pericolo le popolazioni coinvolte poiché il tratto interessato dal gasdotto è quello appenninico centrale. Un tratto di paese di elevato valore ambientale e paesaggistico;
   nel tratto concernente l'Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche, su 28 località attraversate dal progetto di metanodotto, 14 sono classificate in zona sismica 1 e 14 in zona sismica 2. Anche la centrale di compressione, localizzata a Sulmona, ricade in zona sismica di primo grado;
   oltre al devastante impatto ambientale non è da trascurare l'aspetto che ricadrebbe e sui contesti socio-economici locali. La faraonica realizzazione farebbe perdere l'interesse turistico a zone ricche di natura, arte e cultura, senza offrire alcuna reale utilità alle popolazioni interessate;
   i numerosi appelli e azioni legali da parte di associazioni, comitati e popolazione residente sono stati disattesi da parte del Governo, ad avviso del Governo dimenticando totalmente la tutela dei cittadini coinvolti –:
   se il Ministro sia a conoscenza del rischio ambientale di un progetto di così elevato impatto in zone fortemente a rischio sismico;
   se non ritenga maggiormente importante e di priorità assoluta la tutela dell'ambiente e delle popolazioni coinvolte e la difesa delle attività economiche/turistiche locali e del patrimonio culturale rispetto alla realizzazione di una devastante e costosissima opera a giudizio geli interroganti inutile e dannosa per ambiente e persone. (4-10651)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla reali nazione del gasdotto denominato «Rete adriatica», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il progetto per la costruzione del gasdotto denominato «Rete adriatica» è stato proposto nel 2004 dalla società Snam rete gas con lo scopo di potenziare la rete di trasporto nazionale di metano e consiste in un metanodotto di acciaio largo 1,2 metri e lungo 687 chilometri, situato a 5 metti di profondità, che dalla Puglia corre fino all'Emilia Romagna, interessa il territorio di Sulmona e di numerose centraline di diramazione.
  Al riguardo si segnala che la realizzazione di tutte le tratte funzionali della rete adriatica relative al gasdotto oggetto dell'interrogazione, è stata sottoposta a valutazione di impatto ambientale con esito positivo, e pertanto nell'ambito della relativa istruttoria tecnica sono stati puntualmente valutati gli impatti dell'intervento su tutte le componenti ambientali.
  In particolare si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si segnala altresì che, nell'ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale, la normativa, nazionale e comunitaria, prevede una fase di consultazione del pubblico che assicura la possibilità ad enti locali, associazioni e privati cittadini di esprimere le proprie osservazioni in merito al progetto.
  Tutte le osservazioni pervenute e maggiori dettagli sul progetto sono disponibili sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero all'indirizzo www.va.minambiente.it.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli altri soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRIGNONE, CIVATI, PASTORINO e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Désirée, sedicenne regolarmente iscritta dal 2013 al liceo linguistico Carlo Alberto di Novara è affetta da disprassia;
   la disprassia è un disturbo evolutivo specifico della funzione motoria che coinvolge diversi aspetti legati alla coordinazione motoria e alle funzioni adattive del soggetto, determinando spesso significative difficoltà nelle operazioni della quotidianità;
   in Italia la disprassia non rientra propriamente tra i DSA, come si può evincere dalla legge n. 170 del 2010, mentre nei Paesi anglosassoni è considerata un vero e proprio disturbo specifico dell'apprendimento. Un bambino con disprassia può presentare delle difficoltà nel vestirsi autonomamente, nell'uso della gestualità come forma di comunicazione degli stati emotivi, nella scrittura (disgrafia), nella lettura e in tutte le forme di apprendimento;
   la studentessa a causa della malattia ha grosse difficoltà nel movimento ed è costretta a usare il deambulatore. Tuttavia, test specifici effettuati da specialisti di neuropsichiatria sulla ragazza, dimostrano che la stessa, nonostante le difficoltà nel pensiero astratto ha una grande predisposizione per le lingue straniere;
   per i motivi sopra indicati la madre decideva di iscriverla al liceo linguistico Carlo Porta di Novara;
   alcuni giorni fa la madre affidava agli organi di stampa la storia della figlia Désirée e le difficoltà che la stessa ragazza ha nel frequentare la scuola poiché gli appelli fatti in precedenza al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ai dirigenti scolastici e alle associazioni che si occupano di disprassia sono rimasti inevasi;
   la madre di Désirée lamenta la mancanza di sensibilità della scuola nei confronti della figlia, poiché, a suo dire, si permette che sia ignorata la sua condizione;
   la madre della studentessa ha inoltre dichiarato che la ragazza ha superato il primo anno di liceo, ma successivamente è stata bocciata nella seconda classe che ora sta ripetendo;
   nonostante Désirée sia seguita da un'insegnante di sostegno le viene negato il diritto di svolgere il programma limitatamente a «obiettivi minimi» previsti per chi ha una disabilità come la sua secondo la normativa vigente in materia di studenti disabili e di poter utilizzare strumenti di compensazione per limitare il suo handicap nell'affrontare le prove come, ad esempio, rispondere con le crocette a un test invece di svolgere uno scritto;
   il dirigente scolastico del liceo, Professor Sergio Botta, a conoscenza della situazione di Désirée ha dichiarato «Il suo disagio mi dispiace molto. La scuola è stata corretta e ha fatto quanto doveva ma le proposte avanzate non sono state condivise dalla famiglia che ha una visione della realtà diversa dalla nostra» –:
   se i fatti riportati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se sia stato informato della situazione della studentessa disabile frequentante il liceo linguistico Carlo Porta di Novara e quali iniziative gravi e urgenti intenda assumere per conoscere i motivi che hanno costretto la studentessa a non ricevere mai un piano educativo individualizzato, come previsto per gli studenti con la disabilità di cui è affetta Desiree;
   quali siano gli ostacoli che non hanno consentito alla studentessa di beneficiarie del diritto a un programma scolastico personalizzato che prevede, tra le altre cose, il conseguimento del diploma con obiettivi minimi;
   se intenda conoscere e far conoscere chi si sia assunto la responsabilità di imputare a Désirée il carico di studio a lei assegnato, identico a quello di tutti gli altri compagni normodotati, trattando, a giudizio degli interroganti illegittimamente, l'alunna disabile al pari degli altri alunni, pur conoscendo il fatto che il metodo didattico applicato è lesivo e peggiorativo della condizione della studentessa.
(4-11460)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, vertente sul caso della studentessa affetta da disprassia regolarmente iscritta dal 2013 al liceo classico e linguistico Carlo Alberto di Novara, riferisco le informazioni acquisite dal responsabile dell'ufficio scolastico regionale per il Piemonte, competente territorialmente, il quale ha a sua volta interpellato opportunamente la suddetta istituzione scolastica ed ha pertanto fornito all'amministrazione centrale utili elementi di risposta ai tre quesiti posti dall'interrogante con l'interrogazione de qua.
  Nello specifico si precisa che i fatti riportati nelle premesse dell'atto di sindacato ispettivo non corrispondono al vero.
  Infatti, la condizione della studentessa era ed è conosciuta dall'ufficio scolastico periferico competente (ufficio scolastico territoriale-UST di Novara), il quale ha preso in carico la vicenda a partire dal maggio 2015, in occasione di un incontro con la famiglia.
  In occasione del colloquio sono stati rappresentati dettagliatamente gli aspetti della vicenda (ad esempio la condizione di sofferenza, il desiderio di avere un piano didattico personalizzato e il chiaro rifiuto nel sottoscrivere il piano educativo individualizzato-PEI elaborato dalla scuola).
  L'UST di Novara, alla luce di quanto rappresentato nel colloquio, aveva avviato una verifica presso l'istituzione scolastica frequentato dalla studentessa, chiedendo una relazione dettagliata.
  L'istituzione scolastica aveva trasmesso all'ufficio periferico il PEI e la richiesta relazione dettagliata; dalla verifica della documentazione, era emerso che l'istituzione aveva regolarmente presentato alla famiglia, in data 10 dicembre 2014, il PEI con il quale si proponeva una programmazione differenziata. In tale occasione, la famiglia aveva dichiarato la propria contrarietà alla sottoscrizione del piano; tale dichiarazione era stata confermata per iscritto in data 19 gennaio 2015. Pertanto, il consiglio si era orientato verso la realizzazione di una programmazione per obiettivi minimi.
  L'UST di Novara, inoltre, aveva chiesto alla famiglia della studentessa una revisione della diagnosi funzionale, in quanto non era più rappresentativa della condizione della studentessa. Tale certificazione, che era stata resa in data 9 dicembre 2015, aveva evidenziato che la studentessa presentava difficoltà cognitive, su base disprassica, da correlare alla patologia di cui era affetta sin dalla nascita.
  Tale certificazione, inoltre, aveva richiesto la redazione di un PEI che includesse le indicazioni contenute in quest'ultima documentazione medica. Per cui, attualmente, la scuola sta lavorando a tale revisione da presentare alla famiglia.
  In merito al secondo quesito vertente sulle difficoltà di attuare il diritto ad un programma personalizzato che preveda il conseguimento del diploma con obiettivi minimi, si rappresenta che l'istituzione scolastica in parola ha provveduto, in ossequio alla normativa vigente, a predisporre piani didattici individualizzati ed adeguati alle capacità della studentessa.
  Purtroppo, nonostante il grande impegno profuso dalla studentessa, essa non è riuscita a raggiungere gli obiettivi minimi nella maggior parte delle materie.
  Conseguentemente, nel corrente anno scolastico il consiglio di classe, insieme agli specialisti di neuropsichiatria infantile, ha immediatamente tentato nuovamente di proporre obiettivi minimi in tutte le materie. In particolare, l'organo collegiale ha ritenuto di poter proporre un PEI con obiettivi differenziati ed ha provveduto a convocare la famiglia per la relativa presentazione.
  Pertanto, non si ravvisano ostacoli nel beneficiare di un programma scolastico personalizzato quanto, piuttosto, si sono evidenziate oggettive difficoltà non superabili dalla ragazza nel seguire tutte le discipline, seppur a livello di obiettivi minimi.
  Con riferimento, infine, al terzo quesito relativo a chi si sia assunto la responsabilità di imputare alla studentessa il carico di studio a lei assegnato, identico a quello di tutti gli altri compagni normodotati, si rammenta che il consiglio di classe ed i singoli docenti sono investiti dell'autorità decisionale in merito alle scelte didattico-educative secondo la legge.
  Inoltre, dalla documentazione fornita dalla scuola, non risulta che la studentessa sia stata sottoposta alla programmazione della classe bensì a programmi adeguati per obiettivi semplificati.
  In conclusione, si evidenzia che all'interno delle dinamiche testé esposte, la famiglia, ampiamente coinvolta, ha esercitato il potere di scelta rifiutando la programmazione differenziata proposta.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 13 novembre 2015, la Francia è stata nuovamente e duramente colpita da vili attacchi terroristici che hanno provocato numerose vittime civili e dimostrato che la sicurezza interna al proprio Paese non va mai sottovalutata e che non dovrebbe mai essere fattore di tagli di bilancio;
   la nostra Nazione, visto l'altissimo ruolo internazionale ricoperto ed il grande patrimonio storico e culturale che ha al suo interno, potrebbe essere tra le Nazioni europee messe sotto osservazione da tali vili assalitori;
   purtroppo, da anni, sul territorio italiano si riscontra sempre meno sicurezza, a causa di continui e costanti tagli di bilancio, che hanno ridotto gli organici delle forze di polizia, dedite alla sicurezza e dei vigili del fuoco, dediti al soccorso pubblico ed alla difesa civile al minimo;
   a breve avrà inizio il Giubileo straordinario indetto da Papa Francesco I, Giubileo che porterà uno straordinario afflusso di fedeli e pellegrini sul suolo della capitale. Straordinarie saranno le misure di sicurezza alle quali si farà ricorso ma che potrebbero, visto quanto accaduto di recente sul suolo francese, essere non sufficienti;
   da anni, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco vive in uno stato di costante e cronica carenza di personale, nonostante le assunzioni straordinarie effettuate;
   occupandosi di difesa civile, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco si occupa a 360°, della sicurezza interna non armata della Nazione;
   l'attuale carenza di organico è stata compensata con il solo anticipo del turn-over per sole 355 unità;
   le aspettative dei vigili del fuoco erano che vi fosse, da parte del Governo, lo stanziamento di ulteriori fondi per l'immissione in ruolo di ulteriore personale proveniente dalle graduatorie in corso di vigenza;
   a ciò si aggiunge che al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, da anni, non viene rinnovato il contratto collettivo nazionale di lavoro –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, anche in base a quanto accaduto di recente sul territorio francese, ai fini dello stanziamento di fondi extra per le assunzioni straordinarie di nuovo personale collocato all'interno delle graduatorie vigenti, nonché di fondi che consentano al personale già in servizio il giusto riconoscimento economico.
(4-11277)

  Risposta. — Con riferimento ai temi evidenziati con l'interrogazione in esame, si informa innanzitutto che, con il 2016, il turn over del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è stato ripristinato nella sua totalità, dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle varie manovre di contenimento della spesa pubblica.
  In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio intervenute nell'anno 2014, per l'anno in corso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  D'altra parte, si evidenzia che in questi anni il Ministero dell'interno ha dedicato una particolare attenzione al potenziamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale.
  Solo in questa legislatura tali dotazioni sono state incrementate di oltre 2 mila unità di personale, grazie alle previsioni dei decreti-legge 31 agosto 2013, n. 101, e 24 giugno 2014, n. 90.
  Inoltre, con il decreto-legge n. 78 del 2015, è stata autorizzata l'assunzione straordinaria, in via eccezionale, di 250 vigili, per le esigenze del soccorso pubblico connesse allo svolgimento del Giubileo a valere sulle facoltà assunzionali del 2016, previste dall'articolo 66, comma 9-bis, del citato decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112.
  Si ricorda, poi, che, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per vigile del fuoco, questa amministrazione è stata autorizzata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2015, a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica. Questa misura consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano organizzativo che su quello funzionale.
  In relazione alla richiesta di stanziare ulteriori risorse finanziarie per l'assunzione straordinaria di nuove unità di personale operativo, si rappresenta che tale iniziativa, pur essendo auspicata da questo Ministero, è rimessa alla volontà legislativa.
  In merito al rinnovo degli accordi negoziali relativi agli aspetti economici del rapporto di lavoro del personale del Corpo nazionale, questa Amministrazione, in qualità di componente della delegazione interministeriale di parte pubblica nell'ambito del procedimento negoziale di cui agli articoli 34 e 80 del decreto legislativo n. 217 del 2005, è in attesa di essere convocata per l'apertura, a cura della Presidenza del Consiglio dei ministri, delle trattative con le organizzazioni sindacali di categoria.
  In ordine allo «stanziamento di fondi che consentano al personale già in servizio il giusto riconoscimento economico», si fa presente che è allo studio dell'amministrazione una proposta normativa per l'istituzione di uno specifico fondo per il riconoscimento economico connesso al ruolo svolto dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco in attuazione dei principi di cui all'articolo 19, della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante «Specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco», nonché per la previsione, a valere sulle risorse di tale fondo, di un assegno di specificità, avente natura retributiva, pensionabile, da corrispondere in via fissa e continuativa al personale del Corpo nazionale.
  Si soggiunge che in questi anni vi sono stati svariati interventi legislativi volti a migliorare il trattamento economico del personale del Corpo nazionale.
  Particolarmente significativo è il riconoscimento della specificità dei compiti e delle condizioni di stato e di impiego del personale del comparto «soccorso pubblico», introdotto dall'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, e ribadito dall'articolo 19 della citata legge 4 novembre 2010, n. 183, ai fini della definizione degli ordinamenti e della tutela economica, pensionistica e previdenziale.
  Con il citato decreto-legge n. 185 del 2008, tra l'altro, sono state destinate risorse aggiuntive all'attuazione dei patti per il soccorso pubblico da stipularsi annualmente tra il Governo e le parti sindacali e all'istituzione di una speciale indennità operativa per il servizio di soccorso tecnico urgente espletato all'esterno.
  Si fa presente poi che, sempre in favore del personale dei vigili del fuoco:
   è stata ripristinata l'indennità di missione (decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39), analogamente a quanto già previsto per il personale dei comparti sicurezza e difesa;
   è stata riconosciuta l'indennità di trasferimento (decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195);
   sono stati introdotti il trattamento economico aggiuntivo per infermità dipendenti da causa di servizio e, a decorrere dal 1o gennaio 2014, il diritto agli assegni vitalizi ai familiari di invalidi vittime del terrorismo con invalidità non inferiore al 50 per cento (legge n. 147 del 2013, legge di stabilità 2014);
   è stato destinato, al pari di quanto previsto per il personale dei Corpi di polizia e delle Forze armate, un contributo straordinario pari a 960 euro per l'anno 2016, quale riconoscimento dell'impegno profuso per fronteggiare le eccezionali esigenze di sicurezza nazionale (legge n. 208 del 2015, legge di stabilità 2016).
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CIMBRO, CHAOUKI, PAOLA BRAGANTINI, CAPONE, D'INCECCO, FOSSATI, IACONO, TIDEI, ZANIN e GULLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è sempre più necessario che le scuole con elevate percentuali di alunni con background migratorio siano poste al centro delle politiche e delle azioni di promozione dell'integrazione;
   dal 2006 al 2014, le scuole con tassi di incidenza del 30 per cento e più di alunni stranieri per istituto sono passate dall'1 per cento al 5 per cento del totale delle strutture educative italiane: 2,851 sedi scolastiche. È da rilevare poi come proprio gli istituti con elevate percentuali, 50 per cento e oltre, di allievi non italiani, siano quelli che abbiano avuto nelle ultimissime annate l'aumento più significativo, arrivando a toccare il numero di 510 scuole: l'1 per cento del totale;
   per queste ultime, in particolare, l'aumento si è registrato in modo sensibile nelle scuole dell'infanzia, il cui numero è passato dai 269 istituti, dell'anno scolastico 2012/13 ai 322 dell'annualità successiva: 53 in più, per una crescita del 20 per cento;
   è da segnalare anche la fascia comprendente scuole con percentuali di alunni stranieri tra il 40 per cento e il 50 per cento; incidenze comunque elevate. Là vi si trovano numeri significativi anche degli altri ordini scolastici: 200 scuole primarie, 35 secondarie di primo grado, 78 secondarie di secondo grado;
   è palese come tali istituti si trovino a gestire una realtà estremamente complessa; oltre al pesante dato quantitativo, impattante di per sé, e in costante crescita, vanno infatti considerate altre variabili. Vi sono differenze tra scuole dell'infanzia, e secondarie di secondo grado; tra istituti ordinari, e scuole in situazioni di sostegno da parte di enti locali e associazioni; tra bambini stranieri nati in Italia, e ragazzi neoarrivati;
   il quadro è poi ulteriormente complicato dalla variabile geografica: la distribuzione sul suolo nazionale dei ragazzi stranieri non è, ovviamente, uniforme. In rapporto al loro territorio, le province con la più alta percentuale di scuole ad elevata presenza di alunni con background migratorio sono Prato, Piacenza, Reggio Emilia, Brescia, Mantova. Guardando invece ai numeri assoluti, gli istituti considerati sono concentrati, con l'eccezione di Brescia, nelle province di grandi città: Roma, Torino, Milano. L'area metropolitana di quest'ultima da sola ne conta 65, di cui 19 sono scuole dell'infanzia;
   sempre considerando le scuole ad elevate percentuali stranieri, meritano una nota quelle secondarie di II grado. Sono 43, tutte statali, e in gran parte istituti professionali (35); gli istituti tecnici sono solo 7, e non c’è nessun istituto liceale. La maggioranza, ben 25 istituti, è poi costituita da scuole serali;
   è interessante la geografia territoriale che emerge da questo gruppo di scuole: ai primi posti, con percentuali che superano addirittura il 75 per cento, di presenze di studenti stranieri, ci sono scuole delle grandi città del nord del paese; ma nell'elenco si incontrano anche istituti di piccole città come Conegliano, Leno, lesi, Oderzo, Novellara;
   è evidente come gli istituti professionali ad elevata presenza di studenti stranieri costituiscano un segmento scolastico di particolare complessità e fragilità; è questo un settore che più di altri avrebbe bisogno di misure specifiche di sostegno, di risorse, di investimento in formazione del personale scolastico;
   a fronte di tutto questo, si rende ovvio perciò fornire al sistema educativo del nostro Paese strumenti adeguati ai tempi e al nuovo contesto sociale, oltre che alle specifiche variabili sopraelencate. Al riguardo, quindi, sarebbe grandemente utile prevedere almeno un centinaio di insegnanti distaccati per l'integrazione degli alunni con background migratorio, operanti nell'ambito delle reti di scuole del nostro territorio;
   tali nuove figure dovrebbero avere competenze glottodidattiche, in modo particolare quelle specifiche per predisporre percorsi di facilitazione dell'italiano come L2, nozioni di pedagogia interculturale ed un'esperienza professionale di progetti di integrazione linguistico – culturale. Tale bagaglio di conoscenze, competenze ed esperienze è necessario per dare un contributo fattivo non solo all'accoglienza degli studenti con background migratorio, ma anche per rimodellare l'offerta educativa – formativa del sistema scuola in uno scenario sempre più interculturale;
   sono varie le funzioni degli insegnanti distaccati: insegnamento dell'italiano L2 ad alunni il cui livello d'interlingua non è assimilabile a quello degli italofoni; allestimento e cura di centri risorse e di consulenza per le scuole e per gli insegnanti, in presenza e on line; segnalazione e diffusione di materiali e strumenti didattici innovativi ed efficaci; collaborazione con associazioni ed enti locali per iniziative di aiuto allo studio, doposcuola, orientamento, accompagnamento e tutoraggio in orario extrascolastico; momenti di coordinamento e confronto con i referenti delle scuole della rete –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Ministero circa il tema sollevato, e se intenda prevedere l'individuazione di un numero adeguato di insegnanti distaccati, specializzati nelle tematiche dell'inclusione e dell'integrazione, da dislocare nelle aree a più forte presenza di alunni stranieri, e in situazioni di particolare complessità e fragilità sociale. (4-12196)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, l'interrogante chiede quali iniziative intenda mettere in atto il Ministro circa il tema rappresentato dell'aumento del numero di alunni stranieri per istituto e del conseguente bisogno di misure specifiche di sostegno, di risorse, di investimento in formazione del personale scolastico e se intenda prevedere l'individuazione di un numero adeguato di insegnanti distaccati, specializzati nelle tematiche dell'inclusione e dell'integrazione, da dislocare nelle aree a più forte presenza di alunni stranieri e in situazioni di particolare complessità e fragilità sociale.
  A tal proposito, occorre preliminarmente ricordare che il Ministero è da sempre impegnato alla realizzazione di interventi che favoriscano l'inclusione e l'integrazione degli alunni stranieri all'interno delle istituzioni scolastiche italiane.
  Con riferimento alle iniziative più recenti, si ricorda che il Ministero ha destinato un milione di euro per migliorare l'integrazione e l'accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana. In particolare, con due bandi emanati con decreti direttoriali prot. n. 829 e 820 del 24 luglio 2015, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha messo a disposizione 500.000 euro per il potenziamento dell'italiano come lingua seconda, con particolare attenzione agli studenti di recente immigrazione, e, per la prima volta, altri 500.000 euro per progetti di accoglienza e di sostegno linguistico e psicologico dedicati a minori stranieri non accompagnati.
  È stato, altresì, inviato all'inizio di quest'anno scolastico agli istituti scolastici il documento «Diversi da chi ?». Un vademecum con dieci raccomandazioni e proposte operative desunte dalle migliori pratiche scolastiche esistenti per una più efficace e corretta organizzazione dell'accoglienza e dell'integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana.
  Rammentato ciò, con particolare riferimento alle richieste contenute nell'atto di sindacato ispettivo, si evidenzia che la legge n. 107, al comma 65, prevede che il riparto della dotazione organica triennale tra le regioni sia effettuato, a decorrere dal prossimo anno scolastico, sulla base del numero delle classi, per i posti comuni, e sulla base del numero degli alunni, per i posti del potenziamento.
  Il riparto dovrà tener conto, non solo della presenza di aree montane o di piccole isole, di aree interne, a bassa densità demografica o a forte processo immigratorio, ma anche di aree caratterizzate da elevati tassi di dispersione scolastica.
  Il riparto considererà ancora il fabbisogno per progetti e convenzioni di particolare rilevanza didattica e culturale espresso da reti di scuole o per progetti di valore nazionale.
  Pertanto, sarà cura di questo Ministero, nella definizione del decreto interministeriale sull'organico triennale, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, cercare di rispondere all'esigenza rappresentata dall'interrogante, vuoi attraverso l'organico di potenziamento vuoi attraverso i progetti di rete e di rilevanza nazionale.
  Va, peraltro, considerato che già l'attuale organico di potenziamento, assegnato alle istituzioni scolastiche nel mese di dicembre 2015, può soddisfare alle esigenze descritte nell'interrogazione in discussione, come del resto previsto dal comma 7, lettera r), della medesima legge n. 107, il quale prevede che le istituzioni scolastiche, nel progettare l'utilizzo dell'organico per il potenziamento, possano impiegarlo, tra l'altro, per il raggiungimento dell'obiettivo dell’«alfabetizzazione e perfezionamento dell'italiano come lingua seconda attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana, da organizzare anche in collaborazione con gli enti locali e il terzo settore, con l'apporto delle comunità di origine, delle famiglie e dei mediatori culturali».
  In questa direzione si muove, inoltre, la previsione di un'apposita classe di concorso nel regolamento di riordino delle stesse classi di concorso recentemente emanato. In esso, infatti, è stata istituita la classe di concorso A-23 «Lingua italiana per discenti di lingua straniera (Alloglotti)».
  Infatti, non è sufficiente dedicare docenti delle ordinarie discipline di insegnamento letterario o di scuola primaria all'alfabetizzazione degli studenti stranieri ma occorre altresì dotarsi di un corpo docente specializzato in quest'attività, avendo ovviamente cura che l'intervento di questi docenti non sia alternativo alla normale attività didattica, stante la necessità della permanenza costante di questi studenti nel gruppo classe per la loro integrazione e per l'importante contributo che nell'apprendimento della nuova lingua può essere fornito loro dalla peer education.
  Infine, per quanto riguarda le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado con un'alta presenza di alunni stranieri, ferma restando la necessaria distinzione tra neo-arrivati e studenti che hanno già alle spalle un percorso scolastico in Italia, oltre all'attenzione che va riservata all'alfabetizzazione, occorre tenere in alta considerazione la questione della prevenzione alla dispersione scolastica. Anche in tale ambito può trovare ampio impiego l'organico per il potenziamento.
  Infine, altro aspetto da mettere in primo piano è la formazione di questi studenti al linguaggio specifico/tecnico delle singole discipline, competenza quest'ultima che può essere senza dubbio fornita da personale dedicato ma che deve nel tempo divenire una capacità specifica di ogni docente, anche attraverso i percorsi di formazione incentivati dalla medesima legge n. 107.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 dicembre 2014 in tutta Italia si sono svolte manifestazioni per la giornata di sciopero indetto dai sindacati Cgil e Uil;
   la mattina del 12 dicembre anche a Bologna si è svolto un corteo durante il quale si è appresa la presenza della Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione Madia presso la Spisa (Scuola di specializzazione in studi sull'amministrazione pubblica), in via Belmeloro, che avrebbe presenziato assieme al rettore Ivano Dionigi all'inaugurazione dell'anno accademico della suddetta scuola;
   il sito che pubblicizzava l'evento lo annunciava ad ingresso libero;
   alle ore 14,40 circa, un gruppo di studenti e ricercatori universitari si dirigeva dunque verso la suddetta sede, con l'intento di entrare all'evento con l'intento di incontrare la Ministra Marianna Madia e il rettore Ivano Dionigi, e prendere la parola pubblicamente sui motivi già accennati della protesta;
   una modalità di contestazione simile era già avvenuta il precedente 14 ottobre in occasione di un incontro in Sala Borsa con il rettore Dionigi e il sindaco Merola: in quell'occasione ci fu l'esposizione di uno striscione, un volantinaggio e un intervento per spiegare pacificamente le ragioni della protesta;
   a quanto consta agli interroganti, un gruppo di quattro studentesse, entrato nella sala destinata all'incontro, veniva avvicinato dal personale dell'università; veniva loro chiesto il perché della partecipazione all'incontro. Alla risposta che intendevano assistere ad un evento pubblico con la partecipazione della Ministra, venivano fatte scortare fuori dalle forze dell'ordine in maniera brusca, adducendo che la sala fosse piena, mentre la sala risultava palesemente vuota per metà;
   nel frattempo, fuori dalla Spisa, gli studenti, che non portavano con sé oggetti atti ad offendere, si avvicinavano alla spicciolata all'ingresso convinti di poter entrare come regolarmente previsto da un incontro pubblico, ma subito venivano bloccati dalle forze dell'ordine, che non adducendo alcuna motivazione specifica, rifiutavano qualunque forma di dialogo;
   nel momento in cui le studentesse presenti all'interno dello stabile venivano fatte uscire in malo modo (nello specifico, con spinte), gli altri presenti si avvicinavano alle forze dell'ordine per tutelare le giovani e accoglierle nel gruppo;
   nei momenti successivi, le forze dell'ordine avrebbero posto in essere comportamenti aggressivi (ad alcuni manifestanti venivano ripetutamente pestati i piedi con il tallone dell'anfibio in dotazione agli agenti, ad altri venivano messe le mani in faccia e alcune ragazze denunciano addirittura delle spinte che si sono tradotte in palpeggiamenti del seno) e pronunciavano frasi provocatorie («Ma quanti anni hai ?» «Ma ce li hai diciotto anni ?» «Hai capito che te ne devi andare o no ?»), accompagnate da strattoni e spinte;
   di fronte a tali atteggiamenti, e di fronte al diniego di accedere ad un incontro dichiarato pubblico all'interno dell'università, gli studenti rifiutavano di andare via e gridavano slogan nel tentativo di far sentire la loro protesta all'interno dello stabile, vista l'impossibilità di accedervi;
   dopo alcuni minuti, dalla porta – precedentemente chiusa – posta subito dietro lo schieramento di forze dell'ordine, secondo quanto risulta agli interroganti compariva un funzionario che distribuiva manganelli agli agenti, i quali iniziavano a fare uso dello strumento per allontanare i manifestanti. È da sottolineare che gli agenti, in quel momento, non si sono posizionati, come avviene solitamente, «a testuggine», ma iniziavano a manganellare gli studenti dalle file posteriori (essendo quelle che avevano ricevuto per prime lo sfollagente), facendo dunque uso del manganello dall'alto verso il basso, rischiando di ferire seriamente alla testa i manifestanti, e, di fatto, colpendo i colleghi posti nelle file anteriori;
   i manifestanti si difendevano con le braccia dai colpi sferrati, vista anche la pericolosità della struttura dell'immobile: questi si trovavano infatti in cima a delle scale, chiusi da un muretto con ringhiera su entrambi i lati. La carica, infatti, faceva retrocedere le prime file di studenti sulle seconde, poste immediatamente a ridosso delle scale, che creavano quindi una sorta di «tappo» nel tentativo di non cadere e ferirsi in modo serio, impedendo al gruppo di defluire e mantenendolo esposto ai colpi delle forze dell'ordine;
   studenti e ricercatori restavano ancora diversi minuti nel piazzale antistante l'ingresso, per spiegare le ragioni della protesta e raccontare quanto era avvenuto. Dopo aver appreso del rinvio dell'incontro, si allontanavano da via Belmeloro;
   il 14 maggio 2015 venivano notificati 5 arresti domiciliari per il reato di resistenza a: Francesco Bedani, Ivan Bonin, Parvis Jashin Tirgan, Francesca Ioannilli, Luigi Roggero per i fatti del 12 dicembre –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e perché sia stato impedito a studenti e ricercatori dell'università l'ingresso a un evento dichiarato pubblico. (4-09470)

  Risposta. — In merito alla richiesta di chiarimenti sui fatti accaduti a Bologna il 12 dicembre 2014 durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2014/2015 della scuola di specializzazione in studi sull'amministrazione pubblica, alla presenza del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Maria Anna Madia, del rettore dell'università di Bologna e delle autorità locali, si fa presente quanto segue.
  Al fine di contestare la presenza del predetto esponente del Governo, un gruppo di manifestanti appartenenti ai collettivi universitari Hobo e Labàs ha tentato di accedere alla struttura ove si svolgeva l'evento, sebbene la cerimonia non fosse aperta al pubblico né pubblicizzata dalla stampa.
  Dopo aver tentato di forzare il presidio del personale dipendente in servizio, spintonando gli agenti e colpendo al viso con un posacenere il dirigente del dispositivo di ordine pubblico, i dimostranti sono stati respinti.
  Al termine dell'attività investigativa condotta dalla D.I.G.O.S., sono stati deferiti all'autorità giudiziaria dieci persone per i reati di resistenza aggravata e lesioni aggravate a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato, imbrattamento di beni pubblici, getto pericoloso di cose, accensioni pericolose e porto abusivo di oggetti atti ad offendere.
  In data 13 maggio 2015, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bologna ha emesso nei confronti di cinque indagati, ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, successivamente eseguita.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DAGA, NESCI, DIENI, PARENTELA, MICILLO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche che l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico con delibera 523/14 ha multato il comune di Saracena per il costo dell'acqua applicato ai propri cittadini. Secondo il Governo infatti, le tariffe del servizio idrico integrato del comune in provincia di Cosenza sarebbero troppo basse e così l'Authority ha chiesto al sindaco Mario Albino Gagliardi di adeguarle a quelle nazionali facendole quintuplicare (http://tv.ilfattoquotidiano.it);
   l'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico rimprovera a Saracena di non aver trasmesso tutti gli elementi (dati) necessari per la determinazione della tariffa secondo il suo metodo;
   grazie al fatto che il paese alle pendici del parco del Pollino gestisce direttamente l'intero ciclo delle acque non affidandolo alla Sorical (e quindi alla regione Calabria), la bolletta del servizio idrico oscilla tra i 26 centesimi per le fasce basse fino a un massimo di 90 centesimi per gli esercizi commerciali;
   si legge sul sito del comune di Saracena che questo comune è riconosciuto come l'unico della regione Calabria ad aver anticipato e applicato gli obiettivi del referendum sull'acqua pubblica del 2011 (avendo unificato tutti e 4 i passaggi per il ciclo dell'acqua pubblico e cioè adduzione, captazione, distribuzione e depurazione di competenza comunale), e che ora viene preso di mira dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico perché non otterrebbe dei profitti nell'erogazione dell'acqua pubblica dai suoi cittadini (http://saracena.asmenet.it);
   il comune ha approvato in data 26 maggio 2015 una delibera di consiglio che conferma gli attuali indirizzi programmatici e tariffari attuati dall'amministrazione comunale in merito al ciclo integrato dell'acqua (http://albosaracena.asmenet.it) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non ritenga opportuno, visti i diversi casi sollevati relativamente all'operato dell'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, assumere iniziative normative per riportare nell'ambito delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la fissazione dei criteri e del metodo tariffario relativo al servizio idrico, sottraendo quindi all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. (4-09968)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  L'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (Aeegsi) con deliberazione n. 523 del 23 ottobre 2014, ha multato il comune di Saracena, in provincia di Cosenza, e provveduto alla determinazione d'ufficio della relativa tariffa del servizio idrico integrato.
  Al riguardo, si premette che l'articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 prevede che l'Autorità «approva le tariffe del servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono, compresi i servizi di captazione e adduzione a usi multipli e i servizi di depurazione ad usi misti civili e industriali, proposte dal soggetto competente sulla base del piano di ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo 6 aprile 2006, n. 152, impartendo, a pena d'inefficacia, prescrizioni. In caso di inadempienza, o su istanza delle amministrazioni e delle parti interessate, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas intima l'osservanza degli obblighi entro trenta giorni decorsi i quali, fatto salvo eventuale esercizio del potere sanzionatorio provvede in ogni caso alla determinazione in via provvisoria delle tariffe sulla base delle informazioni disponibili, comunque in un'ottica di tutela degli utenti».
  Ciò premesso, si evidenzia che l'Aeegsi, con la deliberazione n. 523 del 2014, ha provveduto a determinare d'ufficio le tariffe praticate dal comune di Saracena, non già perché troppo basse rispetto alla media nazionale, ma perché le informazioni inviate dal comune all'Aeegsi per l'approvazione delle tariffe erano incomplete e «tali da non consentirne l'utilizzo ai fini tariffari, con riferimento al primo periodo regolatorio 2012-2015».
  Si segnala altresì che in data 18 luglio 2014, l'Autorità ha preliminarmente provveduto a diffidare le gestioni operanti nel territorio della regione Calabria che, alla medesima data, non risultavano aver adempiuto agli obblighi di trasmissione dei dati e di predisposizione tariffaria previsti, per le annualità 2014 e 2015, dalla deliberazione 643/2013/R/IDR, ovvero non risultavano aver osservato le prescrizioni recate, per gli anni 2012 e 2013, dalle deliberazioni 347/2012/R/IDR, 585/2012/R/IDR e 88/2013/R/IDR, preavvisando altresì della circostanza che, in caso di mancata ottemperanza a tali obblighi entro trenta giorni dalla ricezione della diffida, si sarebbe proceduto, ai sensi della normativa vigente, alla determinazione d'ufficio della tariffa.
  Si fa presente, infine, che la specifica funzione regolatoria in materia di tariffa, nell'ambito del servizio idrico integrato, è stata affidata dal legislatore ad un'autorità indipendente per assicurare una maggiore concorrenza nel settore, oltre che una maggiore efficienza nell'erogazione del servizio, attraverso la tipica attività di regolazione e controllo.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 luglio 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dipartimento per i Trasporti, la navigazione, gli affari generali e il personale, ha emanato una circolare in ordine all'ambito applicativo del decreto, dallo stesso adottato di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, n. 79 del 2 marzo 2012, che reca misure generali per limitare o vietare il transito delle navi mercantili finalizzate alla protezione di aree sensibili nel mare territoriale. Detto decreto dispone che nella fascia di mare che si estende per due miglia marine dai perimetri esterni dei parchi e delle aree protette nazionali, marini e costieri, istituiti ai sensi delle leggi 31 dicembre 1982, n. 979 e 6 dicembre 1991, n. 394, e all'interno dei medesimi perimetri sono vietati la navigazione, l'ancoraggio e la sosta delle navi mercantili adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori alle 500 tonnellate di stazza lorda. Resta, in ogni caso, la possibilità per le autorità marittime competenti, in relazione alla tipologia dei traffici che ordinariamente interessano le fasce di mare individuate, di disporre, per la fascia esterna ai predetti perimetri, limiti di distanza differenti allo scopo di garantire la sicurezza anche ambientale della navigazione e per l'accesso e l'uscita dai porti;
   nella richiamata circolare si precisa, invece, che l'ambito di applicazione del decreto è limitato al «naviglio mercantile», intendendo il solo riferimento a quelle navi adibite al trasporto merci e passeggeri che costituiscono il carico utile della nave stessa. Se ne distingue (e quindi si esclude dal campo applicativo della richiamata normativa del 2012) il «naviglio da diporto» che, «prescindendo dalla dimensione», è destinato a scopi sportivi e ricreativi. Per cui si finirebbe per operare un discrimine fra le unità ammesse alla navigazione e al transito fondato sul numero delle persone ma disancorato dalla considerazione delle dimensioni dell'unità stessa che, invece, costituisce il dato di maggiore impatto specie sulla sicurezza e sull'ambiente dei luoghi interessati, come dimostrano i tragici eventi legati al naufragio della Costa «Concordia» e il problema delle «grandi navi» a Venezia;
   tali determinazioni sono altresì condivise dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la nota n. 13438 dell'8 luglio 2015 per cui il campo applicativo del decreto n. 79 sarebbe limitato alle sole unità mercantili;
   a fondamento si porrebbe la considerazione di un possibile «disequilibrio applicativo» per chi esercitasse un'attività diportistica pura con «ripercussioni negative sulle economie locali» — secondo quanto si legge nel recente provvedimento ministeriale — cui si aggiungerebbe — secondo fonti di stampa — la volontà di approntare una misura per venire incontro alle lamentele delle capitanerie di porto per il gran numero dei controlli da svolgere e sulla possibile disaffezione dei fruitori di «mega yacht» rispetto alle attività ed alle infrastrutture turistiche nei luoghi interessati;
   tra le condizioni enucleate, infatti, si menziona la circostanza che, ai fini dell'esclusione dall'applicazione del decreto, le unità, pur classificate come passenger ship, «di fatto svolgono attività diportistica sia nella fattispecie del cosiddetto diporto puro sia nella configurazione di unità da diporto commerciale». Ai fini dell'accertamento di tali ultime circostanze, in forza della semplificazione operata nel citato provvedimento, sarebbe sufficiente una dichiarazione del comandante e del proprietario/armatore nella quale venga espressamente dichiarato sotto la propria responsabilità quanto precede. Ne seguirà un visto dell'autorità marittima competente –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, siano in grado, a fronte delle recenti determinazioni assunte con i richiamati provvedimenti, di fornire elementi specifici a garanzia della sicurezza delle persone, dei luoghi interessati e dell'ambiente ed in particolare se ritengano sufficiente, a fini di sicurezza, l'operata semplificazione delle procedure di dichiarazione;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti possa fornire elementi in ordine al numero di dichiarazioni ricevute sulla sussistenza delle condizioni per l'esclusione dal campo applicativo del decreto n. 79 e sugli esiti degli eventuali controlli disposti sulle stesse;
   se i Ministri interrogati intendano rivalutare le rispettive determinazioni assunte in merito alla questione dell'ambito applicativo del decreto n. 79 del 2012, in considerazione delle esposte problematiche di sicurezza ed ambientali e, se del caso, ritengano di includere come condizione per l'operatività dell'esclusione dell'ambito applicativo del decreto non solo il numero delle persone ma anche la valutazione delle dimensioni dell'unità navali. (4-11404)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Con la circolare n. 13147 del 15 luglio 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il vaglio e il concerto del competente Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha inteso chiarire, tra l'altro, che l'ambito di applicazione del cosiddetto decreto Clini/Passera del 2 marzo 2012 non ricomprende il naviglio da diporto, sia quando utilizzato privatamente sia commercialmente.
  La circolare costituisce il risultato di una intensa attività di approfondimento e collaborazione con le istituzioni che, a vario titolo, potevano avere competenze dirette sulla materia, così da sviluppare delle linee interpretative che tenessero conto di tutti gli importanti aspetti della questione, che vanno dalle problematiche ambientali a quelle della sicurezza della navigazione, senza dimenticare quelle di ordine giuridico e tecnico-economiche. In proposito, si è avuto il coinvolgimento in particolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto che, una volta chiarito il quadro normativo e operativo della navigazione da diporto, hanno esplicitamente condiviso i contenuti e i chiarimenti forniti.
  Nel merito, si evidenzia che le valutazioni espresse nella circolare risultano perfettamente coerenti con il dettato normativo di cui al decreto n. 79 del 2 marzo 2012, il cosiddetto decreto «anti inchini»; in particolare, l'articolo 1 individua una precisa tipologia di navi a cui l'applicazione della norma deve essere riferita: si tratta delle navi mercantili adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori a 500 tonnellate di stazza lorda (TSL). Tutto ciò essenzialmente all'indomani dei ben noti e tragici eventi che hanno determinato il naufragio della nave da crociera Costa Concordia, sicuramente rientrante nella tipologia delle navi cui va applicato il citato decreto.
  La circolare n. 13147 trova ampia legittimazione non solo sotto un profilo squisitamente giuridico, ma anche su quello delle considerazioni logico-pratiche. Infatti, l'impatto ambientale di una grande nave da crociera, ove spesso sono mediamente imbarcati tra equipaggio e passeggeri oltre 3000 persone, non è certamente paragonabile a quello di uno yacht da diporto, seppur di dimensioni notevoli, ove viaggiano poche decine di passeggeri, al massimo 36 per non rientrare nella categoria del trasporto passeggeri.
  L'esclusione del naviglio da diporto dall'applicazione del decreto n. 79 del 2012, di fatto comporta la possibilità di un maggior avvicinamento alla costa rispetto al limite fissato delle 2 miglia marine e, di conseguenza, della maggiore fruizione dei porti turistici appositamente attrezzati e di aree marine di particolare interesse naturalistico o ambientale.
  Tale possibilità era stata peraltro richiesta da numerosi operatori commerciali e auspicata anche dalle principali associazioni di categoria che hanno ribadito a più riprese la necessità di attirare verso le località costiere nazionali flussi, indubbiamente ed economicamente molto importanti, di diportisti di alta gamma. Tutto ciò per l'indotto economico diretto, connesso ad esempio all'uso delle infrastrutture dei marina turistici e alle operazioni di gestione tecnico-nautica delle unità, per l'indotto economico indiretto prodotto dall'effettiva presenza di un maggior numero di turisti nelle località di mare, nonché per l'aspetto promozionale dovuto alla presenza stessa degli yachts in acque nazionali.
  Tuttavia, questa possibilità di avvicinamento, proprio per non pregiudicare in termini di sicurezza la navigazione e consentire la preservazione integrale delle aree marittime frequentate, resta subordinata al rispetto di tutte le altre regole di circolazione particolari stabilite dalle autorità marittime ovvero, specie per le aree marine protette, direttamente dagli Enti gestori, ove sono sovente previsti per qualunque tipo di naviglio anche ingressi contingentati o aree di assoluto divieto di navigazione, senza possibilità di deroga.
  Ebbene, per effetto delle disposizioni impartite a fronte di una maggiore fruibilità di tutte le coste nazionali, che si traduce evidentemente in un ritorno di maggior indotto economico, non vi è una compromissione dei livelli di sicurezza della navigazione o maggiori rischi riguardo alla tutela ambientale, anche perché generalmente il livello del naviglio coinvolto (spesso si tratta di prestigiose unità, conosciute a livello internazionale) risponde a requisiti e standard tecnologici e costruttivi di altissima qualità.
  La circolare è stata perciò favorevolmente accolta dagli operatori commerciali e dalle associazioni di categoria che l'hanno giudicata come un primo adeguato strumento per contrastare e invertire il trend economico degli ultimi anni, ove si era verificata una netta recessione del settore con perdita di posti di lavoro e crisi anche delle imprese di gestione delle infrastrutture turistiche.
  Inoltre, da ulteriori approfondimenti svolti sull'argomento, si è avuto modo di constatare che spesso anche gli stessi responsabili dei parchi marini hanno espresso il loro apprezzamento per il chiarimento fornito, e che, in ogni caso, la gestione in tutela delle aree marine a loro affidate non viene minimamente inficiata dalle disposizioni della circolare in esame.
  Per quanto concerne, poi, la scelta di stabilire adempimenti amministrativi snelli per il comando di bordo ovvero proprietario/armatore per dimostrare l'appartenenza al diporto, essa risponde ad una politica di semplificazione delle procedure che l'Amministrazione pubblica persegue da tempo e che, pur nello snellimento generalizzato dei vari adempimenti richiesti, consente sempre all'Amministrazione di mantenere strumenti giuridici in grado di verificare ed eventualmente perseguire comportamenti e documentazioni irregolari o mendaci.
  Per quanto riguarda, infine, l'impatto delle disposizioni in esame sulla trascorsa stagione balneare, si precisa che non sono state rilevate particolari criticità nell'applicazione delle istruzioni fornite e, al momento, non vi è notizia di eventuali episodi o avvenimenti negativi come inquinamenti o incidenti consequenziali alle stesse disposizioni, mentre i dati riguardanti gli aumenti di traffico di yachts in acque nazionali sembrano avere numeri positivi.
  In ordine al numero di autocertificazioni di sussistenza delle condizioni di deroga dal campo applicativo del decreto n. 79 del 2012, il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto ha comunicato di averne ricevute 14.
  Si ricorda da ultimo che nella stessa circolare n. 13147 è stato disposto un monitoraggio dell'attività diportistica da parte delle Autorità marittime interessate, soprattutto per i grandi yacht; non appena tutte le autorità avranno trasmesso a questa Amministrazione i dati richiesti saranno effettuate le opportune valutazioni di merito.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   DIENI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 104 del 1992 riconosce e tutela la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nei luoghi per essa fondamentali: la scuola, durante l'infanzia e l'adolescenza e il lavoro, nell'età adulta;
   un quadro delle disposizioni normative sulla materia è stato raccolto, peraltro, nelle «Linee guida per l'integrazione degli alunni con disabilità», diramate con nota del 4 agosto 2009 dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   in questo documento si ricorda che «l'integrazione scolastica degli alunni con disabilità è un processo irreversibile, e proprio per questo non può adagiarsi su pratiche disimpegnate che svuotano il senso pedagogico, culturale e sociale dell'integrazione trasformandola da un processo di crescita per gli alunni con disabilità e per i loro compagni a una procedura solamente attenta alla correttezza formale degli adempimenti burocratici»;
   è per questo doveroso vigilare affinché il diritto delle persone disabili, costituzionalmente tutelato, a partecipare alla vita sociale e ad accedere ai servizi pubblici come tutti gli altri cittadini venga garantito;
   uno degli elementi imprescindibili su cui si fonda il suddetto diritto è ricollegabile alla presenza di assistenti educativi che possano occuparsi, con professionalità e competenza degli studenti colpiti da disabilità; 
   a quanto emerge, tuttavia, da alcune segnalazioni e da diverse notizie riportate sulla stampa, la provincia di Reggio Calabria starebbe adottando atti tali da non consentire di fatto il reclutamento di personale per l'assistenza educativo-specialistica negli istituti secondari di secondo grado, con norme che si pongono peraltro in netto contrasto con l'esigenza di assicurare un trattamento dignitoso del lavoratore;
   secondo l'articolo «Reggio, Libri (Sul) sugli assistenti educativi: “il trattamento a cui sono sottoposte è sconcertante” apparso il 21 dicembre 2015 sulla testata www.strettoweb.com, per quanto riguarda il suddetto personale, secondo segretario provinciale del Sul Aldo Libri “la paga oraria è pari a 5 euro l'ora per coloro che sono avviati in relazione al bando della Provincia di Reggio Calabria e di 9 euro l'ora per coloro che sono avviati con il bando del Comune di Reggio Calabria. In entrambi i casi – prosegue – si tratta di trattamenti stipendiali molto distanti dal minimo della civiltà e del riconoscimento della professionalità e dell'utilità del servizio espletato”»;
   oltre a questo, va segnalato che «il bando di selezione che non ha tenuto sufficientemente conto delle anzianità di servizio prestato e dei titoli specifici posseduti», dato che si è proceduto, secondo la circolare della, dottoressa Alessandra Sarlo della provincia di Reggio Calabria, inviata ai dirigenti scolastici, a redigere una « short list» pubblicata sul sito della stessa provincia;
   nella stessa circolare si conferma la paga oraria di 5 euro;
   sul punto gli assistenti educativi hanno tentato di avere un confronto con le istituzioni, inutilmente;
   un tale salario, essendo fuori dalle logiche di mercato, rischia di rappresentare una condizione inaccettabile per gli educatori e, conseguentemente, di portare all'impossibilità di reperire professionisti che affianchino gli studenti portatori di handicap;
   la delibera della provincia di Reggio Calabria che stanzia i fondi per gli interventi a favore degli alunni disabili delle scuole superiori è stata inoltre approvata solo il 29 ottobre, in ritardo di due mesi rispetto all'inizio dell'anno scolastico –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di consentire anche a Reggio Calabria la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nella scuola, attraverso il sostegno dell'assistenza educativo-specialistica;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per pervenire ad un riconoscimento della figura professionale dell'assistente educativo e dell'assistente alla comunicazione tale da consentire un eguale trattamento tanto dei lavoratori del settore, quanto degli studenti colpiti da disabilità. (4-11571)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali iniziative di competenza, il Ministro interrogato, intenda adottare al fine di consentire anche a Reggio Calabria la partecipazione alla vita sociale delle persone con disabilità, in particolare nella scuola, attraverso il sostegno dell'assistenza educativo-specialistica e se non ritenga opportuno assumere iniziative per pervenire ad un riconoscimento della figura professionale dell'assistente educativo e dell'assistente alla comunicazione tale da consentire un eguale trattamento tanto dei lavoratori del settore quanto degli studenti colpiti da disabilità.
  Occorre subito precisare che, in ordine al reclutamento degli assistenti educativi, la provincia di Reggio Calabria ha autonomamente stabilito le modalità di reclutamento sulla base di una
short list redatta dalla stessa amministrazione provinciale nonché le condizioni relative alla paga oraria di tali figure.
  Ciò premesso, si fa presente che in ordine alla paga oraria degli assistenti educativi, la scuola non ha competenze per intervenire in quanto la figura dell'assistente educativo va garantita dall'ente locale.
  Nello specifico, l'articolo 13, comma 3, della legge n. 104 del 1992 (legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) stabilisce che «nelle scuole di ogni ordine e grado, fermo restando, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, l'obbligo per gli enti locali di fornire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con
handicap fisici o sensoriali, sono garantite attività di sostegno mediante l'assegnazione di docenti specializzati».
  Oltre a ciò, occorre precisare che prima dell'inizio dell'anno scolastico, agli alunni che ne hanno la necessità, il dirigente scolastico assegna un assistente di base igienico-personale ossia un collaboratore scolastico, preferibilmente dello stesso sesso dell'alunno/a con disabilità, che deve aver frequentato uno specifico corso di formazione e che fornisce assistenza negli spostamenti all'interno ed all'esterno del plesso scolastico, oltre che l'accompagnamento ai servizi igienici e la cura dell'igiene personale.
  È la scuola, infine, ad avere il compito di prevedere corsi di formazione per gli addetti all'assistenza di base ai sensi dell'articolo 13, comma 3, della legge n. 104 del 1992 e del regolamento sull'autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi (decreto del Presidente della Repubblica dell'8 marzo 1999, n. 275).

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   FASSINA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e le attività culturali è stato oggetto di una riforma nel 2014, riforma in cui la distribuzione funzionale degli organici stava raggiungendo il necessario assestamento dopo oltre un anno di modifiche dovute alla introduzione dei poli museali, dell'accorpamento delle Sopraintendenze e dei musei autonomi;
   il 22 gennaio 2016 è stata varata una nuova riforma senza confronto, né dialogo, con le parti sociali, le associazioni di categoria, e con i comitati tecnico scientifici;
   tale riforma introduce le Soprintendenze archeologia belle arti e paesaggio, 10 nuovi poli museali autonomi, accorpa le soprintendenze archivistiche e bibliografiche;
   tale riforma presenta aspetti di criticità rilevati dalle associazioni di settore e dai lavoratori del Ministero, con particolare riguardo a: cancellazione della tutela archeologica; parcellizzazione di aree come il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo e dei poli museali appena creati in ulteriori poli autonomi, come il Polo dell'Eur o il polo tiburtino nel Lazio; soppressione dei ruoli dirigenziali in capo all'Istituto centrale per la demoetnoantropologia a favore dell'istituzione di una nuova dirigenza del polo museale dell'Eur, polo volto esclusivamente alla valorizzazione dei musei delle civiltà; accorpamento della tutela delle biblioteche già in capo alle regioni alle Soprintendenze archivistiche, attualmente senza personale e senza competenze adeguate per la tutela delle biblioteche;
   appena approvata tale riforma, il Ministero ha inteso emanare il 25 gennaio 2016 un provvedimento interno di mobilità volontaria proponendo ai lavoratori le destinazioni pre-riforma, vale a dire posti di lavoro in via di soppressione o modifica, quali quelli presso il Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, l'Istituto centrale per la demoetnoantropologia e la Soprintendenza per il Lazio e l'Etruria. Tale decisione ha avuto l'effetto di generare confusione e incertezza nei lavoratori interessati alla procedura –:
   se il Ministro interrogato intenda avviare iniziative, anche normative, al fine di favorire un confronto con le associazioni di settore e le parti sindacali e di procedere a un percorso condiviso legato ai contenuti della nuova riorganizzazione delle attività e delle competenze del Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo;
   se s'intendano avviare iniziative volte al ritiro del provvedimento di mobilità volontaria, così da adeguarlo alla nuova geografica funzionale del Ministero e dare possibilità ai lavoratori di assumere volontariamente scelte lavorative corrispondenti alle competenze acquisite nel tempo nelle varie sedi di assegnazione, e ancora, se il Ministro interrogato non intenda promuovere iniziative a carattere ispettivo per verificare se l'effettiva risistemazione legata al nuovo Polo museale dell'Eur sia effettivamente adeguata. (4-11917)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, con riferimento al nuovo intervento di riforma del Ministero del gennaio 2016 – che segue quello già attuato nel 2014 e che sarebbe stata varato «senza confronto né dialogo, con le parti sociali, le associazioni di categoria, e con i comitati tecnico-scientifici» – nonché alla procedura di mobilità volontaria del personale attivata con provvedimento del 25 gennaio 2016 del direttore della direzione generale organizzazione, la quale propone ai «lavoratori le destinazioni pre-riforma» del gennaio 2016, l'interrogante chiede: se si intendano avviare iniziative per favorire un confronto con le associazioni di settore e le parti sindacali sui contenuti della nuova riforma; se si intenda ritirare il provvedimento di mobilità per adeguarlo alla «nuova geografia funzionale del Ministero», introdotta dalla riforma del gennaio 2016, dando così maggiori certezze ai lavoratori interessati; se non si intenda promuovere iniziative, anche ispettive, per valutare l'effettiva adeguatezza del previsto polo museale dell'Eur.
  La riforma del Ministero, oggetto dell'atto ispettivo cui si risponde, è contenuta nel decreto ministeriale 23 gennaio 2016, Riorganizzazione del Ministero dei beni e della attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, registrato dalla Corte dei conti in data 29 febbraio 2016 e pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale.
  Con tale provvedimento si dà attuazione alla disposizione contenuta al comma 327 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), per la quale, nelle more dell'attuazione dei decreti legislativi attuativi dell'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, al fine di dare efficace attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 17-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (che ha introdotto il silenzio-assenso qualora non siano acquisiti, entro il termine di novanta giorni, assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico territoriale e dei beni culturali), nonché di garantire il buon andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo provvede, con proprio decreto, alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale del Ministero, nel rispetto delle dotazioni organiche determinate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il suddetto comma 327 della legge di stabilità dispone inoltre che il decreto ministeriale sia emanato entro il termine di trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità stessa.
  Il decreto sopra citato, come anche indicato nelle premesse del provvedimento stesso, è stato emanato dopo aver ascoltato le organizzazioni sindacali del Ministero in data 18 gennaio 2016 e il Consiglio superiore «Beni culturali e paesaggistici» nella seduta di pari data.
  Inoltre, il progetto di riorganizzazione è stato personalmente illustrato dal Ministro nel corso della seduta del 19 gennaio 2016 delle Commissioni riunite cultura, scienza e istruzione della Camera e istruzione pubblica, beni culturali del Senato.
  Con il provvedimento sopra citato il Ministero viene ridisegnato a livello centrale e a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Il nuovo assetto organizzativo prevede la creazione delle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio. Con questo intervento aumentano i presidi di tutela sul territorio nazionale, che, proprio per l'archeologia, passano dalle attuali 17 soprintendenze Archeologia alle nuove 39 soprintendenze unificate (cui si sommano le due soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei).
  La nuova articolazione territoriale realizza una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente ed è stata definita tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori.
  Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici. In un unico ufficio, responsabile di un'area territoriale più circoscritta e quindi più vicino a cittadini, amministratori locali e imprese, si concentrano e si coordinano le diverse competenze tecnico-scientifiche, con riduzione dei costi amministrativi e incremento di efficienza ed efficacia dell'attività di tutela.
  Ogni nuova soprintendenza verrà articolata in sette aree funzionali (organizzazione e funzionamento; patrimonio archeologico; patrimonio storico e artistico; patrimonio architettonico; patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio; educazione e ricerca) per garantire una visione complessiva dell'esercizio della tutela, assicurando anche la presenza delle specifiche professionalità. Per cittadini e imprese sarà così più semplice e rapido rapportarsi con l'amministrazione, con una notevole riduzione degli oneri burocratici. Ciascuna soprintendenza costituirà un riferimento univoco per la valutazione di qualunque aspetto di ogni singolo progetto, dalla tutela di beni archeologici per arrivare all'impatto paesaggistico, passando per gli aspetti di carattere artistico e architettonico: a un'unica domanda corrisponderanno un unico parere e un'unica risposta. Al centro ci sarà una sola direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, che garantirà il coordinamento delle soprintendenze su tutto il territorio nazionale.
  Appare evidente come non ci sia «cancellazione della tutela archeologica» come paventato dall'interrogante, quanto piuttosto la volontà di un rafforzamento dell'azione di tutela del patrimonio storico e artistico, considerando che, nel nuovo disegno organizzativo, si rafforza e si razionalizza la distribuzione delle soprintendenze sul territorio; si concentrano e si coordinano, in un unico ufficio, le diverse competenze tecnico-scientifiche, con riduzione dei costi amministrativi e incremento di efficienza ed efficacia dell'attività di tutela.
  Con riguardo alle nuove attribuzioni delle soprintendenze archivistiche, si rammenta la novella introdotta dall'articolo 16, comma 1-
sexies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, che, modificando l'articolo 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha restituito allo Stato la tutela su «manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, libri, stampe e incisioni»; pertanto, per dare attuazione a tale disposizione, le soprintendenze archivistiche (che hanno ambito almeno regionale) svolgeranno anche funzioni di tutela dei beni librari, fatto salvo quanto previsto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e Bolzano. Conseguentemente le soprintendenze archivistiche assumono la nuova denominazione Soprintendenze archivistiche e bibliografiche, ad eccezione che nelle regioni Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia.
  Vengono, poi, istituiti dieci nuovi musei e parchi archeologici autonomi, di livello dirigenziale, retti da altrettanti direttori che saranno selezionati con un nuovo bando internazionale. Nel provvedimento è prevista, anche, la possibilità di attribuire a queste nuove strutture l'autonomia speciale già riconosciuta ad altri istituti museali dal precedente provvedimento di riorganizzazione del 2014.
  Tra i nuovi istituti, il decreto ministeriale 23 gennaio 2016 individua, quale ufficio di livello dirigenziale generale, il Museo nazionale romano e, quali uffici di livello dirigenziale non generale: il complesso monumentale della Pilotta, il museo della civiltà, con sede a Roma Eur, il museo nazionale etrusco di Villa Giulia, il Museo storico e il parco del Castello di Miramare, il parco archeologico dei Campi Flegrei, il parco archeologico dell'Appia antica, il parco archeologico di Ercolano, il parco archeologico di Ostia antica, villa Adriana e villa d'Este.
  In tal modo si prosegue nella strada della valorizzazione dei beni e dei luoghi della cultura, senza operare una «parcellizzazione» di istituti già esistenti o di poli museali di recente costituzione, ma riconoscendo la peculiare identità di importanti luoghi culturali che, grazie anche al conferimento dell'autonomia speciale, potranno meglio svolgere la loro funzione di promozione e diffusione della conoscenza del patrimonio culturale.
  L'Istituto centrale per la demoetnoantropologia viene mantenuto ma opererà, quale ufficio non avente qualifica dirigenziale, presso la direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio.
  Riguardo al bando di mobilità volontaria emanato il 26 gennaio 2015, si precisa che esso è stato emanato dopo una attenta ricognizione delle risorse umane esistenti negli uffici prima della riforma operata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 e una altrettanto attenta individuazione dei fabbisogni dei nuovi uffici istituiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sopra citato, allo scopo di meglio riallocare il personale e consentire una piena attuazione del nuovo assetto organizzativo.
  L'Amministrazione intende portare a termine, con la massima celerità possibile, il processo di riorganizzazione avviato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 sopra richiamato e per questo è necessario lo svolgimento di questo primo processo di mobilità. Ad esso ne seguirà uno successivo, non appena sarà attuata la riforma avviata con il citato decreto ministeriale del 23 gennaio 2016. Peraltro, tale decreto ministeriale interessa solo una parte delle strutture, mantenendo pressoché inalterata la distribuzione territoriale degli uffici. In aggiunta i nuovi uffici saranno operativi solamente tra diverse settimane e, in alcuni casi, tra mesi. Di conseguenza, non vi era alcun motivo per interrompere o posticipare un processo di mobilità atteso da tempo e comunque riguardante per la maggior parte strutture che resteranno invariate anche una volta data piena attuazione al decreto ministeriale 23 gennaio 2016.
  Infine, per venire incontro alle difficoltà di questo primo processo di mobilità volontaria, si segnala che il termine per le domande è stato prorogato fino all'8 marzo 2016 e sono state ampliate le possibilità di scelta delle sedi da parte del personale, cui è stata data la possibilità di esprimere preferenze anche per sedi che non hanno attualmente carenze, opzioni che verranno valutate appena conclusa la prima fase di assegnazioni.
  Nel processo di mobilità sono state coinvolte anche le organizzazioni sindacali del personale, che hanno sottoscritto, in data 22 dicembre 2015, un accordo sui criteri da seguire per le procedure di mobilità urbana ed extraurbana e, successivamente, hanno partecipato e contribuito nelle forme prescritte dalla vigente normativa.
  In merito all'ultimo quesito posto dall'interrogante, riguardante l'adeguatezza del nuovo polo museale dell'Eur, si ritiene di aver, in parte, già risposto esponendo le ragioni che hanno condotto all'istituzione dei dieci nuovi musei e parchi archeologici e che richiamano una delle linee guida della riforma del Ministero avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  171 del 2014, ovvero la valorizzazione del «sistema museale italiano».
  Un punto dolente dell'amministrazione dei beni culturali in Italia è sempre stata la sottovalutazione dei musei: privi di effettiva autonomia, tutti, salvo casi sporadici e non legati a un disegno unitario, articolazioni delle soprintendenze e dunque privi di qualifica dirigenziale.
  La riforma operata col decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 ha inteso mutare radicalmente questo aspetto, assicurando al contempo che fosse mantenuto il legame dei musei con il territorio e con le soprintendenze e fatte salve le prioritarie esigenze di tutela e dell'unitarietà del patrimonio culturale della Nazione.
  È stata istituita una nuova direzione generale musei, cui affidare il compito di attuare politiche e strategie di fruizione a livello nazionale, favorire la costituzione di poli museali anche con regioni ed enti locali, svolgere i compiti di valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura, dettare le linee guida per le tariffe, gli ingressi e i servizi museali, favorire la costituzione di fondazioni museali aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati, favorire la partecipazione del Ministero ad associazioni, fondazioni, consorzi o società per la gestione e la valorizzazione dei beni culturali.
  Ad un significativo numero di musei è stata attribuita la qualifica di ufficio dirigenziale, riconoscendo così il massimo
status amministrativo ai musei di rilevante interesse nazionale, i cui direttori sono stati scelti tramite selezione pubblica tra interni o esterni all'amministrazione, anche stranieri.
  Sono stati creati i poli museali regionali, articolazioni periferiche della Direzione generale musei, incaricati di promuovere gli accordi di valorizzazione previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e di favorire la creazione di un sistema museale tra musei statali e non statali, sia pubblici, sia privati.
  Tutti i musei sono dotati di autonomia tecnico-scientifica e di un proprio statuto, in linea con i più elevati
standard internazionali.
  Questo complesso e vasto, ma necessario, disegno di riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha suscitato consensi e dissensi. Con il decreto del 23 gennaio 2016 si è intervenuti, da un lato, per superare alcune criticità emerse in fase di attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014 e, dall'altro, si è proseguito nel percorso rivelatosi già valido.
  In questo processo non è mai mancato, né mancherà, il dialogo e il confronto con le Commissioni parlamentari, con le organizzazioni sindacali, con il Consiglio superiore del Ministero, con gli studiosi e con tutte le realtà associative interessate alle sorti del patrimonio culturale italiano.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   FRACCARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comma 515, articolo 1, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 stabilisce che «mediante intese tra lo Stato, la regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano, da concludere entro il 30 giugno 2014, sono definiti gli ambiti per il trasferimento o la delega delle funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti [...] al Parco nazionale dello Stelvio, per le province autonome di Trento e di Bolzano. Con apposite norme di attuazione si provvede al completamento del trasferimento o della delega delle funzioni statali oggetto dell'intesa»;
   in data 19 marzo 2014 l'interrogante ha presentato l'interrogazione a risposta scritta 4/04106 alla quale non è stato ancora fornito riscontro nonostante i solleciti rivolti al Governo in data 2 settembre e in data 17 dicembre 2014;
   in data 17 dicembre 2014 il consiglio della provincia autonoma di Trento ha approvato all'unanimità la proposta di ordine del giorno n. 8 al disegno di legge 51-52/XV «Coinvolgimento del Consiglio provinciale nell'esame delle norme di attuazione sulla delega di funzioni statali concernenti il Parco dello Stelvio». L'atto politico impegna la giunta a coinvolgere il consiglio della provincia autonoma di Trento nell'esame dello schema di Norma di attuazione relativa alla «delega di funzioni amministrative statali concernenti il Parco Nazionale dello Stelvio», con particolare riferimento alle sue ricadute economiche e finanziarie sul bilancio provinciale, prima dell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri, nonché a illustrare al consiglio della provincia autonoma di Trento la bozza d'intesa tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, provincia autonoma di Trento, provincia autonoma di Bolzano e regione Lombardia — «concernente l'attribuzione di funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti al Parco Nazionale dello Stelvio, ai sensi dell'articolo 1, comma 515 della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 e dell'articolo 11, comma 8 del Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116», prima della sua sottoscrizione;
   lo statuto speciale di autonomia per il trentino Alto Adige prevede che le norme di attuazione dello statuto vengano emanate nell'ambito di una procedura che prevede, tra l'altro, l'acquisizione dei necessari pareri degli organi di volta in volta competenti; al riguardo, viene in considerazione il parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle modifiche dello schema di norme di attuazione dello statuto, recante modifica al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, in materia di delega di funzioni amministrative statali concernenti il parco nazionale dello Stelvio. Tale parere deve essere necessariamente reso pubblico allo scopo di consentire un dibattito informato in seno agli organi legislativi provinciali competenti –:
   se il Ministro interrogato sia conoscenza dei fatti indicati in premessa;
   se sia stato reso il prescritto parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare quali siano i contenuti di tale parere;
   quali iniziative intenda adottare in relazione al parco nazionale dello Stelvio allo scopo di favorire un controllo più diffuso sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di concorrere ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche. (4-07738)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto relativa al Parco nazionale dello Stelvio si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che l'intesa prevista dall'articolo 1, comma 515, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 e dall'articolo 11, comma 8, del decreto-legge n. 91 del 24 giugno 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 116 dell'11 agosto 2014, è stata sottoscritta in data 11 febbraio 2015 dal sottosegretario al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dottoressa Barbara Degani, dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, onorevole Gianclaudio Bressa, dai presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano, dottor Ugo Rossi e dottor Arno Kompatscher, dall'architetto Ugo Parolo per la regione Lombardia.
  Tale Intesa prevede che tutte le funzioni di tutela e di gestione del parco sono trasferite dallo Stato alle due province autonome di Trento e Bolzano e alla regione Lombardia, secondo le forme, nei limiti e con le modalità stabilite dall'intesa medesima e dal regolamento allegato e, comunque, debbono essere esercitate dai citati enti territoriali in armonia con le finalità e i principi dell'ordinamento statale in materia di aree protette, nonché con la disciplina dell'Unione europea relativa alla rete Natura 2000.
  La configurazione unitaria del Parco nazionale è assicurata attraverso la previsione di un unico piano e di un unico regolamento del parco, predisposti e approvati dalle due province autonome e dalla regione per le parti di rispettiva competenza territoriale in conformità alle linee guida e agli indirizzi approvati dal comitato di coordinamento e di indirizzo, secondo il modello previsto dalla normativa nazionale in materia di aree protette.
  La stessa Intesa prevede che al fine di garantite l'effettività della configurazione unitaria del Parco nazionale e della relativa tutela, le proposte di piano e di regolamento sono sottoposte al preventivo parere vincolante del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale dovrà verificare la conformità alle linee guida e agli indirizzi approvati dal comitato di coordinamento e di indirizzo.
  In base al regolamento di funzionamento allegato all'intesa, il comitato è composto da un rappresentante per ciascuna delle province autonome, uno per la regione Lombardia, uno per il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, tre per i comuni compresi nel territorio del Parco, uno delle associazioni ambientaliste riconosciute, designato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, uno infine designato da Ispra. Tutte le deliberazioni del Comitato sono prese con la partecipazione almeno della metà più uno dei componenti e, comunque, con il voto favorevole dei rappresentanti delle province autonome, della regione e del Ministro.
  Grazie alle previsioni appena richiamate, sussistono senz'altro i presupposti affinché possano essere perseguite le finalità istitutive del Parco dello Stelvio, nel rispetto della sua valenza di area protetta di rilievo nazionale.
  Sotto l'attenta supervisione dell'ufficio legislativo del Ministero e della direzione generale per la protezione della natura e del mare, l'intesa è stata correttamente recepita nell'ordinamento della regione Lombardia e delle due province autonome. Nel primo caso, con la legge regionale 22 dicembre 2015, n. 39, recante «Recepimento dell'intesa concernente l'attribuzione di funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti al Parco nazionale dello Stelvio, ai sensi dell'articolo 1, comma 515, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e dell'articolo 11, comma 8, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116», entrata in vigore il 1o gennaio 2016. Nel secondo caso con il decreto legislativo 13 gennaio 2016, n. 14, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Trentino-Alto Adige, recante modifiche ed integrazioni all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, in materia di esercizio delle funzioni amministrative concernenti il Parco nazionale dello Stelvio», in vigore dal 23 febbraio 2016.
  Da tale ultima data, quindi, essendo divenuta efficace l'intesa, il consorzio del parco nazionale dello Stelvio deve considerarsi soppresso e tutte le funzioni amministrative concernenti la gestione del parco sono da ritenersi trasferite alla regione Lombardia ed alle due province autonome di Trento e Bolzano.
  Ciò nondimeno, in base alla espressa previsione contenuta nell'articolo 3, comma 3, dell'intesa, fino all'approvazione del piano e del regolamento del parco, continua ad applicarsi la disciplina di tutela e salvaguardia del parco vigente alla data di sottoscrizione dell'intesa medesima.
  Allo stato attuale è in corso di definizione, entro i prossimi giorni, la costituzione del comitato di coordinamento e di indirizzo che dovrà provvedere, si auspica entro il corrente anno, a stabilire le linee guida e gli indirizzi per l'approvazione del piano e del regolamento del parco.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FRACCARO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, norma di rango costituzionale approvata con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, prevede che nelle materie non appartenenti alla competenza della regione, ma che presentano per essa particolare interesse, il consiglio regionale può emettere voti e formulare progetti. Gli uni e gli altri sono inviati dal presidente della regione al Governo per la presentazione alle Camere e sono trasmessi in copia al commissario del Governo;
   nella corrente legislatura il consiglio regionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol ha approvato un voto. Il titolo è il seguente: «Affinché si ripristini immediatamente l'operazione Mare Nostrum e si intervenga presso l'Unione europea per attuare rapidamente un programma di aiuto e coordinamento per i flussi di migranti provenienti dall'Africa e dal Medio Oriente»;
   l'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, prevede che ai consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 31, 32, 34, 35 e 38. I voti e i progetti approvati a livello provinciale sono pertanto equiparati ai voti approvati in consiglio regionale;
   il regolamento interno del consiglio provinciale di Trento, recependo le disposizioni dello statuto speciale disciplina con l'articolo 146-bis le procedure di esame dei voti di cui agli articoli 35 e 49 dello statuto speciale, in quanto possibile, con le modalità dettate per le mozioni. Tuttavia, per essere sottoposti al consiglio, i voti devono essere sottoscritti da almeno cinque consiglieri, non possono riguardare materie appartenenti alla competenza della provincia e devono presentare per essa particolare interesse. Ai sensi dell'articolo 35 dello statuto speciale, i voti approvati dal consiglio sono inviati dal presidente della provincia al Governo per la presentazione alle Camere e sono trasmessi in copia al commissario del Governo;
   il consiglio provinciale di Trento nella legislatura in corso ha approvato un solo voto; tale voto riguarda il monitoraggio sull'andamento del negoziato sul partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) e indirizzi per il mantenimento di norme e di standard a livello europeo;
   il consiglio provinciale di Bolzano, all'articolo 85-bis del regolamento del consiglio tratta il voto in modalità analoga al consiglio provinciale di Trento e si differenzia dallo stesso per la maggiore frequenza nell'utilizzo dell'istituto;
   nella legislatura in corso, in provincia di Bolzano, sono stati approvati n. 16 voti sulle seguenti materie: eliminazione delle tariffe per telefonate, sms e trasmissione dati in roaming; riduzione del costo del lavoro; passaggio alla provincia delle infrastrutture ferroviarie; scambi di servizi; revisione generale delle autovetture; messa al bando degli alimenti ogm; trattato transatlantico su commercio e investimenti; doppia domiciliazione; aumento della potenza di allacciamento per il servizio di fornitura di energia elettrica ad uso domestico in regime di maggior tutela a costi invariati; tutela della domenica e dei giorni festivi; festività altoatesina invece della «Festa della Repubblica»; esclusione dell'inno di Mameli nelle scuole dell'Alto Adige; ritiro dell'interpretazione dell'Italia del protocollo dei trasporti; finanziamento ai partiti; partecipazione dei giovani migranti stabilmente residenti al servizio civile nazionale; concessione della grazia agli attivisti sudtirolesi;
   i voti approvati dai consiglio provinciali di Trento e Bolzano sono stati puntualmente comunicati alle autorità statali, rispettivamente, per tramite del commissario del Governo di Trento e Bolzano. Gli atti relativi alla presentazione, alla trattazione, alla votazione e alla comunicazione al Governo sono pubblicati sulle banche dati degli atti dei consigli provinciali e del consiglio regionale in caso di voto ai sensi dell'articolo 35 dello statuto di autonomia;
   per nessuno dei voti approvati in questa legislatura, al pari dei voti approvati nelle scorse legislature, risulta alcun atto ufficiale che ne documenti il recepimento, la trattazione o il rigetto a livello statale, né da parte del Governo né da parte del Parlamento. È quindi naturale supporre che i voti approvati dalle assemblee legislative delle autonomie locali non siano oggetto di un iter definitivo che ne prevede una conclusione nonostante questi siano previsti da una norma di rango costituzionale come il decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972;
   la valorizzazione dell'istituto del voto, attraverso una completa regolamentazione dell’iter di trattazione a livello statale degli indirizzi politici provenienti dalle regioni, permetterebbe un rapporto istituzionale tra Stato e regioni più proficuo e dinamico. In particolare, in riferimento alla configurazione dell'ordinamento regionale repubblicano, ciò apparirebbe ancora più necessario in una fase di accentramento dei poteri decisionali a livello statale che mette a rischio i poteri riconosciuti alle regioni autonome e che ne consentono il buon governo –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per assicurare la conclusione dell’iter relativo ai voti approvati dalle assemblee legislative delle autonomie locali, anche relazionando alle medesime assemblee legislative, al fine di favorire il consolidamento dei rapporti istituzionali con la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e le province autonome di Trento e Bolzano nell'ambito di uno scenario di modernizzazione istituzionale e nel segno di un regionalismo più maturo. (4-11086)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo in esame, con il quale si chiede di conoscere quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare la conclusione dell’iter relativo ai «voti» approvati dal consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e dai consigli provinciali di Trento e di Bolzano.
  Al riguardo, si rappresenta che, ai sensi dell'articolo 35 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, il voto è un motivato invito rivolto al Parlamento nazionale ad adoperarsi in materie che non sono di competenza della regione (facoltà estesa ai sensi dell'articolo 49 del medesimo statuto ai Consigli provinciali di Trento e di Bolzano), ma che risultano di particolare interesse regionale o provinciale.
  I voti approvati, vengono trasmessi al Governo nazionale ed in copia al commissario di Governo, a cura del presidente della regione o della provincia, per l'inoltro al Parlamento.
  Nell'interrogazione, sostanzialmente, si segnala l'assenza in questa legislatura, come pure a suo avviso nella precedente, di un atto ufficiale del Governo o del Parlamento che ne documenti il recepimento, la trattazione o il rigetto a livello statale.
  Pur non rientrando la questione nell'alveo di stretta competenza, l'ufficio per le autonomie e per gli interventi di valorizzazione, sviluppo e tutela del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport, si è adoperato per verificare, quantomeno sotto il profilo procedurale, quali
iter ed interlocutori la trasmissione dei riferiti voti abbia coinvolto nella legislatura in corso.
  Interessato al riguardo, il commissariato di Governo di Bolzano ha riferito per le vie brevi che effettivamente nel corso del 2015 ha ricevuto, in copia, circa 10 delibere dal consiglio provinciale di Bolzano ai sensi dell'articolo 35 dello Statuto. Anche se l'invio, per norma, è previsto che venga effettuato dal presidente della provincia al Governo, l'ufficio di gabinetto ha sempre trasmesso, per posta elettronica certificata, le copie al Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri e, nel caso, al ministero interessato al voto stesso.
  In via più generale, alla luce di una complementare ricerca effettuata sull'argomento, si può dire che per quanto riguarda l'esame dei voti che l'unica disposizione esistente, sul piano dei regolamenti parlamentari, è rinvenibile nel regolamento del Senato, il quale stabilisce che i voti, dopo essere stati comunicati all'Assemblea, vengano trasmessi alla commissione competente per materia; se i voti hanno attinenza con disegni di legge già pendenti presso la commissione sono discussi congiuntamente con questi. È infine previsto che il loro esame possa concludersi o con una relazione all'Assemblea o con una risoluzione che inviti il Governo a provvedere in merito.
  In conclusione, si segnala che al citato ufficio per le autonomie e per gli interventi di valorizzazione, sviluppo e tutela, nel corso dell'anno 2015, non sono pervenuti «voti».

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGianclaudio Bressa.


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo «Studio di impatto Ambientale. Incidenza dell'opera sui Siti di importanza comunitaria (SIC) e sulle Zone di protezione speciale (ZPS) nel territorio della Regione Umbria» SPC. LA-E-83013 realizzato da SNAM nell'ottobre 2004 in relazione al tracciato del metanodotto Foligno-Sestino prevedeva una valutazione di incidenza per i siti d'importanza comunitaria attraversati dal tracciato ma non per quelli che potevano essere comunque interessati negativamente dall'opera;
   è fondamentale, infatti, come si evince anche da diversi atti della stessa regione Umbria che «la necessità di redigere una valutazione di incidenza non è limitata ai piani o progetti ricadenti esclusivamente nei territori proposti come siti natura 2000 (zone SIC e ZPS), ma anche alle opere che, pur sviluppandosi al di fuori di tali aree, possono comunque avere incidenze significative su di esse. La valutazione infatti deve essere interpretata come uno strumento di prevenzione che analizzi gli effetti di interventi localizzati non solo in modo puntuale ma soprattutto, in un contesto ecologico dinamico, considerando le correlazioni esistenti fra i vari siti ed il contributo che ognuno di essi apporta alla coerenza globale della struttura e della funzione ecologica della rete Natura 2000»;
   il 16 maggio 2011, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha successivamente emanato un decreto in cui stabilisce l'obbligo di una valutazione di incidenza ambientale per il progetto del metanodotto Foligno-Sestino anche per i siti d'importanza comunitaria i cui confini fossero collocati ad una distanza inferiore ai 5 chilometri dal tracciato del metanodotto;
   il progetto attraverserà, in particolare, la zona archeologica di Plestia, a circa 200 metri dagli importanti reperti già portati alla luce vicino alla chiesa di Plestia e passerà ad una distanza di 100 metri dai confini del sito d'importanza comunitaria piani di Arvello e Annifo (SIC cod. 5210032), che, all'interno della piana di Colfiorito, e per la loro particolare caratteristica acquitrinosa e permanentemente umida rappresentano un habitat di straordinario valore ecologico ambientale, testimoniato anche dalla presenza del Tarabuso nidificante e da un immenso dormitorio di rondini;
   lo Studio d'Impatto Ambientale SPC. LA-E-83017 eseguito da SNAM nel marzo 2006 ha evidenziato che l'area di Annifo è caratterizzata a partire dalla profondità di 0,60 metri fino a 13 metri da marne e calcari marnosi, tale caratteristica geologica potrebbe far sì che gli scavi per la realizzazione del metanodotto svolgano una funzione drenante con un conseguente impatto negativo sulla formazione dei cosiddetti «laghetti» che rappresentano la caratteristica di pregio del sito d'importanza comunitaria (SIC cod. 5210032);
   le prescrizioni relative al sito d'importanza comunitaria piani di Arvello ed Annifo (SIC cod. 5210032), contenute nel decreto ministeriale succitato al punto A.12, non prevedono nulla in merito alla gestione del possibile effetto drenante né prima, né durante la realizzazione dell'opera –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, al pregio dell'area e alle caratteristiche geologiche del terreno, non sia stato valutato, per gli aspetti di propria competenza, il rischio che lo scavo del tracciato del metanodotto da parte della SNAM possa svolgere un ruolo drenante e quindi pericoloso per la preservazione dell'ecosistema dei piani di Arvello e Annifo. (4-06237)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla valutazione di impatto ambientale per il progetto del metanodotto Foligno-Sestino, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Relativamente al pregio dell'area e alle caratteristiche geologiche del terreno dell'ecosistema dei piani di Arvello e Annifo, l'interrogante afferma che non siano stati valutati gli impatti negativi che il rischio dell'effetto drenante dello scavo del tracciato del metanodotto proposto dalla Snam potrebbe provocare sulla preservazione del citato ecosistema.
  Al riguardo, preliminarmente, si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si segnala altresì che, nell'ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale, la normativa, nazionale e comunitaria, prevede una fase di consultazione del pubblico che assicura la possibilità ad enti locali, associazioni e privati cittadini di esprimere le proprie osservazioni in merito al progetto.
  Tanto premesso, si fa osservare che, relativamente al progetto del metanodotto Foligno-Sestino, nel parere della commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS n. 278 del 28 aprile 2009, sono riportati gli esiti della specifica valutazione di incidenza eseguita non solo per le aree attraversate direttamente dal metanodotto, ma anche per quei siti di interesse comunitario (SIC) e zone di protezione speciali (ZPS) situati entro un raggio di 5 chilometri dal tracciato. Ciò in ottemperanza a quanto previsto dalla commissione che, in seguito al sopralluogo del 2 dicembre 2008, ha infatti richiesto la valutazione di incidenza anche per i SIC e le ZPS situati nell'area di 5 chilometri dal metanodotto.
  Per quanto attiene eventuali impatti sul patrimonio paesaggistico e archeologico dell'area interessata dal tracciato del metanodotto, si ricorda che il provvedimento di pronuncia di compatibilità ambientale del 16 maggio 2011 relativo all'opera in questione, emanato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha previsto, in merito a tali aspetti, specifiche prescrizioni a tutela del patrimonio paesaggistico e archeologico dell'area e, pertanto, si ritiene che alcuna criticità possa attribuirsi in merito all'istruttoria di cui trattasi. Si fa, inoltre, rilevare che le prescrizioni poste al proponente dalle varie soprintendenze per i beni architettonici, paesaggistici, storico-artistici e etnoantropologici regionali interessate ammontano a circa 24.
  Come per le altre procedure di competenza statale, si ricorda che tutta la documentazione tecnica ed amministrativa afferente il progetto de quo è pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali www.va.minambiente.it.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli altri soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in merito alla richiesta di una derivazione idroelettrica sul fiume Adda in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda, presentata dalla società VIS srl, con precedente atto di sindacato ispettivo, n. 4-05799 del 6 agosto 2014, il sottoscritto ha interrogato il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa la competenza del suo Ministero in materia di valutazione di impatto ambientale, con riferimento alle conseguenze ambientali e sociali sulle specie e attività agricole che verranno sommerse dall'acqua, anche in considerazione agli impatti cumulativi con l'ulteriore derivazione idroelettrica sulla stessa asta del fiume Adda, proposta dalla Edison;
   il Ministro non a ancora dato risposta, tuttavia l'evoluzione della situazione ha dimostrato la validità della richiesta, visto che il 26 giugno 2015 la società VIS ha avviato una procedura di VIA presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la domanda prevede il posizionamento di un impianto di potenza massima di circa 3.400 kW e portata massima pari a 120,00mc/s per un salto nominale di 3m che crea un rigurgito significativo lungo circa 10 chilometri e un volume di invaso di circa 3 milioni di metri cubi di acqua;
   l'impianto interessa un'area che insiste su tre comuni: la centrale in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda, la cabina elettrica in comune di Maccastorna e altri piccoli interventi in comune di Crotta d'Adda;
   per la produzione di energia elettrica l'impianto utilizza una traversa che innalza notevolmente il livello del corso d'acqua del fiume Adda, per ben tre metri, in una zona particolarmente sensibile al livello idrico e vocata all'attività agricola con la presenza di allevamenti di bovini da latte;
   l'allarme tra le aziende agricole della zona è alto, in quanto l'innalzamento della falda comporterebbe l'impossibilità di coltivare parecchi ettari con una conseguente perdita del valore fondiario, utilizzando un bene pubblico, come l'acqua, per un tornaconto economico privato;
   l'aumento di 3 metri del livello del fiume, si svilupperà per circa 14 chilometri partendo da Castelnuovo e andando indietro fino a Crotta, Pizzighettone e Maleo, incidendo sull'equilibrio ambientale e la morfologia del fiume;
   al momento sul sito del Ministero risultano una serie di osservazioni e pareri contrari inviati da privati cittadini ed enti pubblici;
   il Consorzio dell'Adda, per un miglior inquadramento dell'opera, comunica «che attualmente alla briglia di Pizzighettone (all'inizio del tratto di monte degli studi idraulici) è in costruzione una centrale idroelettrica in sponda sinistra con concessione rilasciata recentemente dalla provincia di Cremona ad Edison Spa, mentre per la centrale di Shen srl (centrale in sponda destra) è stato avviato il procedimento da parte della provincia di Lodi per l'aggiornamento del disciplinare vigente e contestuale variante non sostanziale della concessione»;
   il comune di Crotta d'Adda ha inviato le proprie osservazioni sulle criticità del progetto, supportate da una relazione tecnico-idraulica; altri cittadini hanno inviato relazioni sulle criticità del progetto elaborate da geologi e agronomi;
   l'impianto dovrebbe essere valutato con attenzione sia ai fini della tenuta delle sponde sia ai fini degli impatti ambientali e del mantenimento del deflusso minimo vitale, anche alla luce degli ulteriori impianti evidenziati Consorzio dell'Adda –:
   se il Ministro non intenda prestare particolare attenzione al progetto di derivazione idroelettrica sul fiume Adda in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda presentato dalla società VIS srl, valutando, per quanto di competenza, le conseguenze negative ambientali e sociali che provocherebbe la realizzazione dell'impianto, come evidenziate nelle osservazioni del pubblico, e tenendo conto dell'esistenza degli ulteriori impianti evidenziati dal Consorzio dell'Adda sulla stessa asta fluviale. (4-10313)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al progetto di derivazione idroelettrica sul fiume Adda in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda, in provincia di Lodi, presentato della società VIS s.r.l., sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In data 22 giugno 2015 la società Vis s.r.l. ha presentato presso questo dicastero istanza di valutazione di impatto ambientale (VIA) in merito al progetto di derivazione di acqua pubblica ad uso idroelettrico sul fiume Adda in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda (Lodi) tra Lodi e Cremona, con relativa realizzazione dell'impianto.
  In data 19 gennaio 2016 e in data 27 gennaio 2016 sono state rispettivamente trasmesse al proponente la richiesta di integrazioni della commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale e la richiesta di integrazioni della regione Lombardia.
  In ordine alle questioni relative all'impatto ambientale del progetto e alle possibili criticità segnalate dall'interrogante, si rappresenta che, allo stato, l'attività istruttoria della Commissione tecnica di questo Ministero per la verifica dell'impatto ambientale è tuttora in corso.
  Ad ogni modo si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto. La valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Tutte le osservazioni pervenute in merito alla procedura di cui trattasi e maggiori dettagli sul progetto sono comunque disponibili sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero all'indirizzo www.va.minambiente.it.
  Ad ogni modo, non appena sarà conclusa l'attività istruttoria, saranno comunicati a tutti i soggetti coinvolti gli esiti della valutazione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   INVERNIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 9, 10 e 11 maggio 2015 presso la sponda del fiume Serio nel territorio del comune di Fara Olivana con Sola si è svolto un raduno illegale «rave party»; quasi mille giovani, provenienti da tutto il Nord Italia e anche dall'estero, sotto l'effetto di droghe e alcool, in preda ad un delirio collettivo, hanno bivaccato all'interno di una delle zone del parco pubblico;
   le misure messe in atto dall'amministrazione comunale (tra cui anche una ordinanza di sgombero fin dalla mattina del sabato 9 maggio) e dai vertici politici dell'Ente Parco non hanno potuto evitare lo svolgimento dell'evento illegale. Il cospicuo numero di partecipanti all'evento ha, infatti, fatto desistere le forze dell'ordine dal procedere all'allontanamento dei giovani;
   stando a quanto si apprende dalle notizie riportate dagli organi di stampa, i carabinieri di Romano di Lombardia hanno arrestato 4 persone trovate in possesso di 168 grammi di marijuana, 54,5 grammi di hashish, 44 bustine di ketamina e 2.495 euro in contanti con l'accusa di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. Il controllo dei carabinieri è scattato domenica 10 maggio, attorno alle 23, in via Vittorio Emanuele II a Fara Olivana: la droga e i contanti sono stati sequestrati;
   il parco del Serio è stato interessato anche in passato da questi eventi illegali;
   i sindaci dei comuni il cui territorio è limitrofo al Parco del Serio hanno interessato l'ufficio territoriale del Governo per rappresentare la necessità di mettere in atto azioni concrete per far sì che non abbiano a ripetersi tali manifestazioni. I sindaci hanno chiesto al prefetto di coinvolgere la polizia postale per prevenire la diffusione di informazione sui rave illegali. È noto, infatti che gli organizzatori sfruttano l'anonimato della rete internet per l'organizzare e comunicare data e luogo dell'evento;
   l'Ente parco del Serio ha denunciato diversi danni ambientali causati dalla manifestazione illegale: transito in zone di divieto e occupazione di aree naturali con mezzi a motore che hanno compromesso l'ecosistema floreale e faunistico –:
   se il Ministro sia stato informato dal prefetto delle richieste avanzate dai sindaci dei comuni della zona territoriale dove si è svolta la manifestazione non autorizzata e quali iniziative di competenza intenda adottare per contrastare l'organizzazione di eventi come quello descritto in premessa. (4-09202)

  Risposta. — Come riferito dall'interrogante, tra il 9 e l'11 maggio 2015 si è svolto un rave party non autorizzato nei pressi dell'area demaniale «Parco del Serio», compresa nel territorio del comune di Fara Olivana con Sola (Bergamo).
  Si evidenzia che, già nel pomeriggio del 9 maggio, il sindaco del comune interessato aveva adottato un'ordinanza contingibile ed urgente per lo sgombero degli accampamenti abusivi dei giovani partecipanti al raduno per motivi di igiene e sanità pubblica.
  Nella stessa giornata, i carabinieri della stazione dei carabinieri di Romano di Lombardia e Caravaggio (Bergamo), nel corso di un regolare servizio di perlustrazione, avevano rilevato la presenza di oltre cinquecento persone provenienti da ogni parte d'Italia e dall'estero, in prevalenza dalla Francia, che diffondevano musica ad alto volume.
  Il 14 maggio successivo, i suddetti carabinieri, a conclusione delle indagini, hanno deferito in stato di libertà alla locale autorità giudiziaria 51 persone che hanno partecipato al rave party nonché gli organizzatori dell'evento, per i reati di «invasione continuata di terreni e violazione dell'obbligo di preavviso di una pubblica manifestazione previsto dall'articolo 18 del T.U.L.P.S.».
  Altre quattro persone di nazionalità italiana sono state arrestate per l'ipotesi di reato di detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio.
  Si assicura che, al fine di prevenire il reiterarsi di nuove analoghe manifestazioni, le Forze di polizia, nell'ambito del piano coordinato di controllo del territorio provinciale, effettuano assidui servizi di vigilanza sia nella zona del Parco del Serio interessata dal rave party in questione, sia in altri siti del bergamasco potenzialmente idonei ad essere utilizzati per l'organizzazione di tali eventi.
  Più in generale, per quanto concerne le misure volte a limitare il fenomeno dei rave party a livello nazionale, si fa presente che le autorità provinciali di pubblica sicurezza, nella costante azione di prevenzione generale dei reati, riservano notevole attenzione all'acquisizione di ogni utile notizia volta all'individuazione dei promotori di tali eventi, con i quali stabilire contatti mirati a modulare insieme le scelte di tempo e luogo e a circoscrivere al massimo criticità e momenti di pericolo per gli stessi partecipanti.
  Sulla base delle informazioni acquisite, le citate autorità valutano l'impatto che la manifestazione potrebbe avere sui diversi contesti abitativi ed ambientali. Qualora la natura, il luogo e la dimensione dell'evento risultino tali da non consentire nell'immediatezza l'impiego della forza pubblica, sono pianificati adeguati servizi di osservazione e di documentazione, con l'ausilio di riprese video, diretti ad identificare gli organizzatori e i partecipanti.
  L'attività di identificazione può realizzarsi anche attraverso l'individuazione dei mezzi di locomozione utilizzati nella circostanza, con particolare riferimento a quelli impiegati per il trasporto di strumenti musicali o sonori spesso ingombranti e appariscenti.
  In tale specifico contesto e per finalità preventive, risulta prezioso il contributo che può essere reso dalla polizia stradale nel rilevare eventuali flussi anomali di traffico lungo le grandi reti stradali.
  Si rappresenta, infine, che le autorità provinciali di pubblica sicurezza procedono, in sede di riunioni tecniche di coordinamento interforze e – se del caso – anche di comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ad una mappatura delle zone abitualmente prescelte per gli eventi al fine di ottimizzare i servizi di prevenzione generale.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, in passato, ha fatto ricorso allo strumento delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale per dare un quadro di certezza normativa alle questioni di natura previdenziale e assistenziale, oltre che a quelle di carattere tributario, a beneficio dei lavoratori che si spostavano in altri stati per permanenze temporanee o definitive;
   a partire dal 2008 le stipule e le ratifiche delle convenzioni bilaterali hanno subito un freno, per ragioni legate alla grave crisi economica e finanziaria cui il Paese è andato incontro e per la conseguente difficoltà di sostenere gli oneri che diverse di esse comportavano;
   negli ultimi anni si è registrata una ripresa delle ratifiche, alcune delle quali attendevano da anni la conclusione del loro iter, con benefici diretti dei lavoratori interessati e con indiscutibile vantaggio per le relazioni bilaterali del Paese;
   la scelta da parte dei partner di questo tipo di accordi ha dovuto tener conto nel corso del tempo sia dell'evoluzione intervenuta nei flussi di emigrazione legate ai fenomeni di «nuova mobilità» e di decentramento produttivo delle aziende italiane che del fatto che in Italia si sono costituite consistenti comunità di immigrati provenienti da diverse parti del mondo, i cui componenti hanno le stesse esigenze di tutela previdenziale dei nostri lavoratori;
   il Messico, in ragione delle forti dinamiche che hanno caratterizzato la sua economia e la sua società, è diventato a livello globale uno dei Paesi più dinamici, al punto da essere incluso nel novero dei Paesi di maggiore riferimento tra gli emergenti, al pari di Cina e India;
   i rapporti di scambio tra Italia e Messico, dopo il trattato di libero scambio Europa-Messico, sono cresciuti del 270 per cento, al punto che attualmente l'Italia è il terzo partner commerciale tra i Paesi dell'Unione europea, il nono a livello mondiale; il Messico, a sua volta, è per l'Italia il secondo partner tra i Paesi dell'America latina;
   nel Paese centroamericano operano circa 1400 imprese italiane, tra le quali 350 in modo strutturato e un centinaio con un proprio stabilimento; negli ultimi anni importanti imprese italiane, come Enel Green Power, Ferrero, Pirelli, FCA, Saipem, Bonatti, Elica, Stevanato, sono impegnate nella realizzazione di significativi progetti in quella realtà;
   i rapporti tra i due Stati sono improntati a spirito di dialogo e collaborazione che, come attesta il comunicato congiunto della IV riunione della Commissione binazionale svoltasi a Città del Messico nel marzo del 2015, si è estesa ai campi della sicurezza e della giustizia, del contrasto alla criminalità, dell'interscambio commerciale e degli investimenti, del turismo, della cooperazione culturale, nonché della cooperazione scientifica e tecnologica, pervenendo anche allo stipula di diversi accordi bilaterali, ad esempio nei settori strategici dell'energia, del turismo e delle infrastrutture;
   questa complessa trama di interrelazioni in via di costante sviluppo comporta una crescente presenza di operatori e di lavoratori italiani in Messico e di cittadini messicani in Italia, una presenza, per quanto riguarda i nostri connazionali, anche più diffusa e numerosa di quella che traspare dall'elenco degli iscritti all'AIRE, che al 31 dicembre 2014 ammontavano a oltre 15.000 unità;
   nello sviluppo dei rapporti di investimento, commerciali e culturali tra i due Paesi sono restati in secondo piano gli aspetti riguardanti le protezioni previdenziali e assistenziali dei lavoratori e dei pensionati, che pure sono strettamente collegati alle dinamiche di immigrazione, di insediamento e di lavoro in ciascuna delle due realtà;
   occorre risalire al 1977, infatti, per rintracciare un protocollo di intesa per la trasferibilità delle pensioni che consente ai cittadini italiani, titolari di pensione messicana, rimpatriati di ottenere il pagamento diretto della pensione in Italia, in deroga alle limitazioni che la legislazione di sicurezza sociale messicana impone in materia di pensioni;
   più di recente, precisamente nel giugno del 2015, è stato firmato a Milano un protocollo di intesa tra l'INPS e l'Istituto messicano di previdenza sociale (IMSS), volto a sviluppare la cooperazione tra i due istituti nel campo della conoscenza e dello scambio di buone pratiche, del sostegno alla collaborazione e alla professionalizzazione del rispettivo personale, della reciproca consultazione, dello scambio di banche dati, della formazione professionale, della individuazione delle autorità di coordinamento, e altro ancora –:
   se non ritengano di avviare gli opportuni contatti con le autorità messicane per verificare la disponibilità ad adottare le procedure di definizione di un accordo bilaterale di sicurezza sociale e di superamento della doppia imposizione fiscale, da portare in tempi ragionevoli all'approvazione dei rispettivi Parlamenti. (4-11876)

  Risposta. — Come ricordato dall'interrogante, in materia di sicurezza sociale e di doppie imposizioni, è in vigore fra il nostro Paese e il Messico, un accordo del 1977 sulla trasferibilità delle pensioni ed è stata firmata l'8 luglio 1991 un'intesa per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e prevenire le evasioni fiscali, il cui protocollo di modifica è entrato in vigore il 16 aprile 2015.
  Pur nella consapevolezza degli indubbi benefici che scaturirebbero per le nostre imprese e per i lavoratori italiani operanti in Messico dall'eventuale stipula di un accordo di sicurezza sociale, gli attuali stringenti vincoli di bilancio impediscono al momento – a causa dei relativi oneri per la finanza pubblica – l'avvio di nuove trattative in vista della sottoscrizione di un'intesa in materia con il Messico.
  Del resto, anche la controparte messicana sembra aver preso una pausa di riflessione, non avendo da ultimo chiesto l'inserimento della questione nell'agenda della riunione della Commissione bi-nazionale del marzo 2015, citata dall'interrogante.
  Resta inteso che, qualora si dovessero rendere disponibili in futuro nuove e maggiori risorse finanziarie, si valuterà attentamente la possibilità di procedere all'avvio di negoziati con il Messico in vista della stipula di un tale accordo.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   recentemente in più luoghi della penisola italiana, si sono registrati significativi fenomeni alluvionali che, oltre a causare alcuni decessi, hanno procurato notevoli danni economici ai territori colpiti;
   il nostro Paese registra infatti con frequenza episodi alluvionali di seria entità che evidenziano la necessità di intervenire su scala nazionale con maggiore efficacia nell'ambito della prevenzione e della manutenzione idrogeologica;
   dal 2011 ad oggi si sono verificati molteplici eventi calamitosi sull'intera penisola, come di seguito riportato: 1°-2-3 marzo 2011: dissesto idrogeologico nelle frazioni di Marina di Ginosa (Taranto) del comune di Ginosa (versante pugliese, la più colpita) e di Metaponto del comune di Bernalda (Matera) (versante lucano); 11 giugno 2011: alluvione di Sala Baganza, Collecchio e Fornovo di Taro tutti in provincia di Parma; 25 ottobre 2011: dissesto idrogeologico nello spezzino e nella Lunigiana; 4 novembre 2011: prima alluvione di Genova; 22 novembre 2011: alluvione di Barcellona Pozzo di Gotto, Merì e Saponara (Messina); 11 novembre 2012: alluvione di Massa e Carrara; 12 novembre 2012: alluvione di Orvieto (Terni) e dell'orvietano e alluvione nella Maremma grossetana; 28 novembre 2012: alluvione a Carrara e Ortonovo (La Spezia); 18 novembre 2013: alluvione in Sardegna; 19 gennaio 2014; alluvione di Modena; 31 gennaio 2014: dissesto idrogeologico a Ponsacco (Pisa); 3 maggio 2014: alluvione di Senigallia e Chiaravalle (Ancona); 8 luglio 2014: alluvione a Milano, 21 luglio 2014: dissesto idrogeologico in Valfreddana in provincia di Lucca; 2 agosto 2014: alluvione di Refrontolo; 2-6 settembre 2014: alluvione nel Gargano: 20 settembre 2014: alluvione a Imola (Bologna) e alta Romagna; 13 ottobre 2014: alluvione a Parma e alluvione nella provincia sud di Alessandria; infine, 14 ottobre 2014: alluvione nella Maremma grossetana e Orbetello (Grosseto);
   la fragilità del territorio che si è mostrata per l'ennesima volta in tutta la sua gravità fa sorgere preoccupanti interrogativi ai quali la popolazione chiede di ricevere risposta nel più breve tempo possibile;
   secondo il rapporto mondiale dei rischi (WorldRiskReport 2012), prodotto da Alliance for development works, un gruppo di agenzie tedesche attive nel sostegno dopo grandi disastri ed emergenze, il nostro Paese occupa il posto n. 116 su 173 nella classifica degli Stati più vulnerabili alle catastrofi. La mappa mondiale dei rischi naturali, pubblicata ogni anno da Münich Re (una delle maggiori compagnie di riassicurazione del mondo), segnala come in Italia i pericoli maggiori siano connessi all'aumento dei cicloni nel Mediterraneo e delle piogge sulle Alpi, che accrescono il rischio idrogeologico. Nella penisola italiana, secondo i dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 48 per cento dei comuni è a rischio alluvione –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e quali iniziative intenda intraprendere affinché l'utilizzo delle risorse per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, o tale misura venga adottata quanto meno per gli enti locali direttamente colpiti da eventi calamitosi;
   quali iniziative intenda adottare per incentivare finanziariamente progetti di manutenzione degli alvei fluviali, diretti a migliorare lo stato dei corsi d'acqua per prevenire il rischio alluvioni, anche nell'ottica di una semplificazione delle competenze tra i vari enti che hanno autorità o competenze relative ai bacini idrici e fluviali;
   quali iniziative intenda intraprendere per poter assicurare la priorità degli investimenti e degli interventi tesi alla riduzione del rischio idrogeologico di tutto il territorio nazionale nell'ambito di un quadro organico di interventi che garantiscano innanzitutto la possibilità del sistema della protezione civile di operare in modo tempestivo ed efficace nel campo del contrasto ai danni provocati dal dissesto idrogeologico. (4-06667)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai fenomeni alluvionali che colpiscono il nostro Paese, che evidenziano la necessità di intervenire su scala nazionale con maggiore efficacia nell'ambito della prevenzione e della manutenzione idrogeologica, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento alle iniziative che il Ministro intenda adottare per incentivare finanziariamente progetti di manutenzione degli alvei fluviali, per prevenire il rischio alluvioni, e assicurare la priorità degli investimenti tesi alla riduzione del rischio idrogeologico di tutto il territorio nazionale, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare, insieme alla Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito, nel corso del 2014-15, dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web Rendis (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) Ministero dell'ambiente in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale raggiungono un importo pari a circa 20,3 miliardi di euro che rappresenta, pertanto, il fabbisogno complessivo del periodo 2014-2020. Si evidenzia che, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nel sistema Rendis, ammonta a circa a 17,5 miliardi di euro.
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, con un costo di circa 1.389 milioni di euro.
  Gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo le procedure previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativo all'individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
  Al fine di assicurare il rapido avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico e tempestivamente cantierabili per livello di progettazione, ricompresi nel suddetto piano stralcio, la delibera Cipe n. 32/2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela dei territorio e del mare l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020.
  Per la medesima finalità sono inoltre state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro costituite da risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) e la restante quota di 110 milioni di euro a carico delle risorse del fondo di sviluppo e coesione 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (cosiddetto sblocca Italia).
  A questi si devono aggiungere, nel biennio 2015-2016, ulteriori 54 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente, e della tutela del territorio e del mare ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  Il piano stralcio risulta composto di una sezione attuativa, nella quale sono riportati gli interventi da realizzare nell'immediato per un importo di oltre 650 milioni di euro, e di una sezione programmatica che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno disponibili a tal fine.
  Nella suddetta sezione programmatica sono inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  Si segnalano, infine, alcune novità previste dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 707, della legge n. 208 del 2015). In particolare, si ricorda che a decorrere dall'anno 2016 cessano di avere applicazione le disposizioni concernenti la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali, Viene tuttavia imposto agli enti il pareggio di bilancio nel solo saldo finale di competenza: pertanto, dal 2016, gli enti locali devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. Inoltre, per l'anno 2016, ai fini del pareggio del bilancio, non sono considerate le spese sostenute dagli enti locali per interventi di edilizia scolastica (comma 713) e per interventi di bonifica ambientale (comma 716), conseguenti ad attività minerarie, effettuati mediante utilizzo di avanzo di amministrazione e con assunzione di mutui. Riguardo agli interventi di bonifica ambientale, secondo quanto previsto dal citato comma 716, l'esclusione opera nel limite massimo di 20 milioni di euro.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a tenersi informato attraverso gli enti territoriali e gli altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LUPO, NUTI e DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la città di Palermo è la quinta città italiana per numero di abitanti, ed è il principale centro urbano della Sicilia e dell'Italia insulare;
   alla fine degli anni Ottanta, Palermo è stata selezionata come città per lo svolgimento dei mondiali di calcio «Italia 90»; per l'occasione fu ampliato lo stadio comunale «La Favorita» oggi rinominato «Renzo Barbera»; solo qualche anno più tardi, era l'agosto 1997, l'Italia e Palermo furono selezionate per lo svolgimento della manifestazione internazionale denominata «XIX Universiade», dal 1998, anno in cui lo sciopero dei vigili urbani mandò all'aria la Palermo Supermarathon che poi non fu mai più riproposta; ad oggi la città, ha subito una continua escalation di malfunzionamenti e di infrastrutture carenti tanto che la città è stata esclusa dalla rosa di candidati a «Capitale europea dello sport 2016». Gli osservatori hanno bocciato la candidatura perché rispetto a dieci anni fa hanno riscontrato una regressione drammatica dell'impiantistica;
   le condizioni degli impianti sportivi palermitani risultano essere disastrose, diverse strutture non godono dell'agibilità e altre sono abbandonate al vandalismo e al degrado. Solo a titolo esemplificativo, si citano le condizioni degli impianti sportivi comunali più significativi: il PalaMangano, edificio che dispone di una copertura lignea e fonoassorbente che consentirebbe l'utilizzo dell'edificio non solo per eventi sportivi ma anche musicali, è stato dichiarato inagibile dalla commissione comunale di vigilanza per i luoghi di pubblico spettacolo vista l'assenza dell'impianto UPS a norma; lo stadio di baseball soprannominato «Diamante», è costantemente preda del vandalismo, basti pensare che ultimamente è stato sottratto dalla struttura persino l'ascensore; i malviventi sono entrati indisturbati con un camion nella struttura e ne sono usciti senza che nessuno si accorgesse di nulla; la piscina comunale, oltre a subire continui atti vandalici, possiede un sistemi di riscaldamento a gas dal costo di gestione di centinaia di migliaia d'euro l'anno ma non è mai stato previsto alcuno investimento per l'ottimizzazione energetica né tantomeno un banale impianto di video sorveglianza per scongiurare i raid vandalici; il velodromo presenta all'interno un prato inesistente e spalti inagibili, tanto da costringere gli spettatori a sedersi per terra lungo il campo; in ultimo, il Palasport «Fondo Patti» negli anni è stato vittima di raid che hanno visto ladri e vandali depredare tubi e cavi in rame, arredi e quant'altro si potesse riciclare come materiale di seconda mano; negli anni la struttura è servita da discarica abusiva e da magazzino per il mobilio delle famiglie sfrattate dai quartieri limitrofi. Va sottolineato che nella struttura lavorano 10 custodi a cui è affidata la sorveglianza, ciò nonostante recentemente a causa dell'incuria e della mancata vigilanza si è sviluppato all'interno dell'edificio un incendio che ha devastato definitivamente il parquet;
   ai sensi della legge 24 dicembre 2007, n. 2441 è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l'Osservatorio nazionale per l'impiantistica sportiva, quale organismo di supporto tecnico-scientifico per l'elaborazione delle politiche nazionali per lo sport;
   all'interno dei siti internet istituzionali non risultano notizie né delle riunioni del suddetto Osservatorio, l'ultima risale al 12 aprile 2012, né risultano esiti del progetto esecutivo avviato il 27 settembre 2011 dove tra gli obiettivi principali si indicano: «a) cura una ricognizione aggiornata e ripartita per ambito territoriale degli impianti sportivi esistenti, delle relative modalità di gestione e del loro effettivo utilizzo, anche al fine di predisporre un'analisi dei loro costi e benefici; b) provvede alla rilevazione costante degli elementi informativi concernenti gli impianti sportivi, con particolare riferimento al loro stato di manutenzione ed alla loro conformità alle norme di sicurezza, costituendo un'apposita banca dati» –:
   quali siano gli esiti dell'attività dell'Osservatorio nazionale per l'impiantistica sportiva, che avrebbe dovuto indicare il rapporto costi-benefici degli impianti sportivi ed effettuare una ricognizione delle relative modalità di gestione nonché del loro effettivo utilizzo, con particolare riguardo alla situazione degli impianti sportivi della città di Palermo. (4-06755)

  Risposta.Con riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo indicato in esame si rappresenta quanto segue.
  Il Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), ha delineato, per quanto riguarda gli impianti sportivi nella città di Palermo, di «non avere evidenza della situazione dell'impiantistica sportiva nella Regione Sicilia, anche perché non vi è alcuna convenzione in proposito».
  Il Coni ha parimenti evidenziato che, al fine di acquisire un monitoraggio aggiornato delle strutture sportive sul territorio nazionale, è in fase di realizzazione un «progetto di censimento degli impianti sportivi» messo in atto con la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il supporto anche delle regioni.
  Il progetto menzionato dal Coni è frutto di un accordo tra il dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport – ufficio per lo sport ed il Coni e lo stanziamento previsto per tale iniziativa è pari a 500.000 euro, a valere del capitolo 984 – politiche per lo sport del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il 26 novembre 2014 il termine dell'iniziativa è stato fissato al 31 dicembre 2015 (il relativo provvedimento risulta registrato all'ufficio di bilancio e riscontro regolarità amministrativo contabile della Presidenza del Consiglio dei ministri il 16 gennaio 2015).
  Dal dicembre 2013, sono state assunte in campo normativo specifiche misure per il rilancio dell'impiantistica sportiva a livello nazionale.
  L'articolo 1, commi 303-305, della legge 27 dicembre 2013 n. 147 (legge di stabilità 2014) sostiene infatti lo sviluppo e l'ammodernamento degli impianti sportivi attraverso la semplificazione delle procedure amministrative per la costruzione e ristrutturazione degli impianti; l'introduzione di nuove modalità di finanziamento per assicurare l'equilibrio economico e finanziario dell'iniziativa; il potenziamento del «Fondo di garanzia per l'impiantistica sportiva» dell'Ics.
  In particolare, il comma 303 della legge finanziaria per il 2014 dispone che il Fondo di garanzia istituito presso l'Istituto per il credito sportivo (Ics), di cui all'articolo 90, comma 12, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, venga integrato con 10 milioni di euro per l'anno 2014, 15 milioni di euro per l'anno 2015 e 20 milioni di euro per l'anno 2016. Il comma 304 introduce invece una nuova procedura amministrativa, dai tempi certi e contenuti, per ottenere le autorizzazioni relative alla realizzazione e l'ammodernamento degli impianti sportivi. Nello stesso comma è prevista la possibilità di inserire nel progetto infrastrutturale, congiuntamente all'impianto sportivo, altri tipi di intervento strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico e finanziario dell'iniziativa e concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici. Il comma 305 precisa infine che gli interventi, laddove possibile, siano realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate.
  Con la legge 17 ottobre 2014, n. 146, di conversione del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, il quadro normativo in materia di impiantistica sportiva è stato semplificato ed il secondo periodo del comma 303 è stato soppresso.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 dicembre 2014 ha adottato i criteri proposti dall'Ics, sentito il Coni, per rendere operativo il «Fondo nazionale di garanzia per l'impiantistica sportiva».
  Il fondo parte con una dotazione iniziale conferita dallo Stato di 18 milioni di euro, che sarà integrata dei citati 45 milioni di euro nel corso del biennio 2015-2016. Il fondo potrà rilasciare una garanzia diretta integrativa nell'interesse di tutti gli operatori del settore che vorranno realizzare impianti sportivi di base e che sono in possesso di progetti economicamente sostenibili, ma privi di adeguate garanzie.
  Con l'attivazione di questo fondamentale strumento sarà reso più facile l'accesso al credito agli operatori del settore, aumenteranno gli investimenti in infrastrutture sportive, apriranno nuovi cantieri di edilizia sportiva.
  Sempre in data 24 dicembre 2014 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di adozione del «Piano nazionale per la promozione della pratica sportiva 2014-2015» (registrato dalla Corte dei conti il 21 gennaio 2015), su cui anche la Conferenza unificata ha reso il proprio favorevole parere in data 18 dicembre 2014.
  Il piano espone concrete iniziative per il rilancio dell'impiantistica sportiva a livello nazionale, segnatamente attraverso l'intervento dell'istituto per il credito sportivo e richiama lo specifico accordo di collaborazione stipulato nel settembre 2014 tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, l'istituto per il credito sportivo, l'Upi e l'Anci.
  Il piano individua un programma di interventi volti a promuovere 1.000 finanziamenti «a tasso zero» per realizzare/ristrutturare, a livello nazionale, altrettanti impianti di base, secondo due scenari di intervento: il primo volto alla realizzazione/ristrutturazione di 500 spazi sportivi scolastici; il secondo orientato ad ulteriori 500 infrastrutture di base.

Macro intervento I – spazi sportivi scolastici
  Le finalità sono il potenziamento e l'ammodernamento degli impianti sportivi scolastici per favorire lo sviluppo della pratica sportiva, con conseguente miglioramento delle condizioni psico-fisiche e della salute dei giovani ed i processi di socializzazione ed integrazione. L'Istituto per il credito sportivo destinerà complessivamente 75 milioni di euro di risorse finanziarie all'impiantistica sportiva scolastica, finalizzati alla concessione di n. 500 mutui da euro 150.000 ciascuno, da rimborsare in 15 anni senza interessi e senza nessuna spesa. L'azzeramento degli interessi su tali finanziamenti è reso possibile dall'utilizzo di parte della dotazione del «Fondo Speciale per la concessione di contributi in conto interessi sull'impiantistica sportiva», istituito presso l'Ics. Gli interventi saranno equamente distribuiti su base regionale in funzione della percentuale di popolazione in età scolare.
  Nello specifico, sarà possibile erogare finanziamenti ad enti locali proprietari delle scuole che intendano realizzare nuovi spazi ed impianti sportivi scolastici ovvero attuare interventi di ristrutturazione, ammodernamento, ampliamento, completamento, riconversione, adeguamento tecnologico, manutenzione straordinaria, bonifica dell'amianto, adeguamento delle normative sulla sicurezza e abbattimento delle barriere architettoniche, efficientamento energetico degli spazi ed impianti sportivi scolastici esistenti.
  Sono stati previsti singoli «plafond» regionali, con «plafond» incrementali in favore delle regioni che presentino un deficit di infrastrutture sportive più accentuato.

Macrointervento II — altri impianti sportivi di base
  Le finalità sono la ristrutturazione, l'ammodernamento, l'ampliamento, l'adeguamento tecnologico, l'efficientamento energetico degli impianti sportivi esistenti, nonché la realizzazione di nuove infrastrutture di base. Anche in questo caso, l'istituto per il credito sportivo destinerà 75 milioni di euro per la concessione di ulteriori n. 500 mutui per la realizzazione/ristrutturazione di impianti sportivi di base. L'azzeramento degli interessi su tali finanziamenti è reso possibile grazie al trasferimento all'Ics dei 16.350.000 euro derivanti dal menzionato «Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva» e presenti tra le disponibilità del cap. 984 — politiche per lo sport – del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio per l'anno 2014. Tali fondi sono previsti in capo al citato «Fondo speciale per la concessione di contributi in conto interessi» ed incrementati da ulteriori 4 milioni di euro già disponibili presso il «Fondo contributi negli interessi» dell'Ics.
  Sono previsti singoli «plafond» regionali, con «plafond» incrementali per il possibile impiego di somme non utilizzate.
  Con specifico riferimento all'attività dell'Osservatorio nazionale per l'impiantistica sportiva – Onis, si osserva che trattasi dell'organismo di supporto tecnico-scientifico per l'elaborazione delle politiche nazionali per lo sport, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con la legge 24 dicembre 2007, n. 244, e ricostituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 novembre 2011.
  L'Onis è presieduto dall'autorità di Governo con delega allo sport ed è composto da rappresentanti delle amministrazioni centrali dello Stato interessate alla materia sportiva e da rappresentanti delle regioni, delle autonomie locali, del Coni, del Cip e dell'Istat.
  Tra le funzioni attribuite, si evidenziano la ricognizione ripartita per ambito territoriale degli impianti sportivi esistenti, delle relative modalità di gestione e del loro effettivo utilizzo, anche al fine di predisporre un'analisi dei loro costi e benefici; la rilevazione costante degli elementi informativi concernenti gli impianti sportivi, con particolare riferimento al loro stato di manutenzione ed alla loro conformità alle norme di sicurezza, da inserire in un'apposita banca dati; il monitoraggio della domanda di impianti sportivi per favorire l'accesso degli utenti alle informazioni sui servizi sportivi disponibili anche mediante la costituzione di un sito web; l'individuazione delle criticità economiche, sociali e strutturali che ostacolano una congrua ed equilibrata fruizione degli impianti sportivi da parte di alcune fasce della popolazione ed in relazione a specifiche discipline sportive; la programmazione di azioni condivise, attraverso un sistema a rete con gli enti territoriali, fornendo indirizzi per un'azione coordinata degli osservatori regionali sull'impiantistica sportiva, previa intesa in sede di Conferenza unificata.
  L'ultima riunione dell'Osservatorio, non attualmente ricostituito, si è svolta il 21 dicembre 2012, registrando tuttavia le sole presenze dei rappresentanti dell'ufficio per lo sport, del Coni e dell'Ics. L'ordine del giorno dell'incontro prevedeva, tra l'altro, la ricognizione e la creazione di una banca dati nazionale in materia di impiantistica sportiva per sviluppare un modello cooperativo ad hoc per il coordinamento e la gestione delle azioni condivise e per la salvaguardia e la valorizzazione delle competenze previste dall'ordinamento.
  Si sta valutando l'opportunità di ristrutturare e semplificare l'organismo, coerentemente con quanto già avviato in relazione all'analogo «Tavolo Nazionale per la governance dello sport» – Tangos.
  Infine, il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 2016, n. 9, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2016, n. 18, recante: «Misure urgenti per interventi nel territorio. Proroga del termine per l'esercizio delle deleghe per la revisione della struttura del bilancio dello Stato nonché per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione dei bilancio di cassa», all'articolo 15, prevede misure urgenti per favorire la realizzazione di impianti sportivi nelle periferie urbane. Tali disposizioni hanno tra l'altro dotato il Coni di un fondo «sport e periferie» dell'ammontare di 100 milioni di euro nel triennio 2015-2017.
  Il fondo è finalizzato ad una serie di interventi, tra cui la ricognizione degli impianti sportivi esistenti sul territorio nazionale.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   ANDREA MAESTRI, PASTORINO, BRIGNONE e CIVATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 18 novembre 2008, con Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale concorsi ed esami, n. 90, è stato indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, a 814 posti nella qualifica di vigili del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   il 5 ottobre 2010, nel bollettino ufficiale del personale del Ministero dell'interno n. 1/32, è stata pubblicata la graduatoria definitiva (che rettificava quella già pubblicata in data 16 luglio 2010), del suddetto concorso pubblico;
   nel corso degli anni da questa graduatoria si è attinto per meno di 1/3, e questo a causa della spending review e del blocco del turn over. A questo esiguo numero va tolto il 50 per cento delle assunzioni dirette a personale proveniente da un'altra graduatoria, quella della stabilizzazione, contravvenendo così al dettato costituzionale che vuole l'accesso solo per pubblico concorso, causando un ingolfamento del sistema e rallentando ancora di più lo scorrimento della graduatoria;
   i risultati idonei al concorso del 2008 di vigili del fuoco, ma non ancora assunti, dopo anni di attesa e  sacrifici, sono giustamente preoccupati perché è prevista la chiusura delle graduatoria al 31 dicembre 2016 e l'apertura di un nuovo concorso, nonostante la presenza di oltre 4 mila giovani idonei disponibili a essere assunti;
   a tal proposito si ricorda che il Consiglio di Stato con sentenza dell'adunanza plenaria n. 14 del 28 luglio 2011, aveva affermato che lo scorrimento delle graduatorie preesistenti e vigenti dovesse rappresentare la regola, mentre l'indizione di un nuovo concorso avrebbe dovuto costituire l'eccezione, che richiedesse perciò un'approfondita motivazione, che tenesse conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e fosse motivato da preminenti esigenze di interesse pubblico;
   il cosiddetto «decreto-legge D'Alia», decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, all'articolo 4, comma 3, aveva stabilito che le amministrazioni dello Stato fossero autorizzate ad avviare nuove procedure concorsuali solo «dopo aver assunto tutti i concorrenti già dichiarati idonei, ma non vincitori, in concorsi le cui graduatorie siano ancora vigenti»;
   con la legge 125 del 30 ottobre 2013 è stato convertito il decreto-legge 101 del 2013, riguardante misure di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni. La conversione innova anche in tema di graduatorie di concorso: l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di ricorrere alle graduatorie vigenti viene ampliato ulteriormente rispetto alle disposizioni del decreto n. 101; viene infatti previsto, nel nuovo comma 3 dell'articolo 4 che:
    a) le amministrazioni dello Stato possono essere autorizzate a bandire nuovi concorsi solo se siano stati immessi in servizio tutti i vincitori per assunzioni a tempo indeterminato «per qualsiasi qualifica»;
    b) la stessa autorizzazione (per un nuovo concorso) possa intervenire solo se nella medesima amministrazione non ci sono idonei in graduatorie di concorso approvate successivamente al 1° gennaio 2007, relativamente a professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza;
   la legge n. 125 del 30 ottobre 2013 innova in un punto fondamentale: viene distinta l'ipotesi che le graduatorie da cui attingere e vigenti comprendano vincitori di concorso oppure solo idonei. Nel primo caso, basta che siano presenti vincitori di concorso «per qualsiasi qualifica» non ancora assunti nell'amministrazione procedente, che la procedura di autorizzazione si blocca. Qualora invece vi siano graduatorie esistenti ma solo con presenza di idonei, le stesse vanno ugualmente esaurite prima di indire nuove procedure di assunzione; in tal caso, però, le graduatorie da tenere in considerazione sono quelle relative a profili ritenuti equivalenti;
   altra modifica degna di rilievo è relativa alla durata delle graduatorie stesse: si fa riferimento a quelle approvate dopo il 1° gennaio 2007 (il decreto n. 101 faceva riferimento a quelle dal 1° gennaio 2008). Questa innovazione temporale riguarda solo le graduatorie di idonei, mentre per i vincitori di concorso non vi sono limiti temporali (le graduatorie vigenti ad oggi sono tutte quelle approvate successivamente al 30 settembre 2003);
   le amministrazioni dello Stato possono quindi bandire nuovi concorsi solo se:
    a) abbiano assunto tutti i propri vincitori di concorso, con riferimento a tutti i profili professionali e a tutte le graduatorie vigenti successivamente al 30 settembre 2003;
    b) abbiano assunto anche gli idonei delle proprie graduatorie, ma solo se successivamente al 1° gennaio 2007 e sfilo per i profili ritenuti equivalenti con la procedura concorsuale da attivare –:
   se trovi conferma la data di chiusura della graduatoria a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e come si intenda rispondere alla legittima richiesta degli idonei al concorso di rispettare la normativa vigente. (4-11374)

  Risposta.Come è noto, la Corte costituzionale ha costantemente riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale e ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale ai canoni di efficienza e buon andamento delle amministrazioni pubbliche.
  Tuttavia, al fine di poter utilizzare una risorsa preziosa quale il personale volontario dei vigili del fuoco in situazioni di particolari necessità e in considerazione della generalizzata carenza degli organici del personale permanente, la legge 26 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) ha previsto, a parziale deroga del suddetto principio costituzionale, una procedura di accesso ai ruoli del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, derogatoria del predetto principio costituzionale, limitata nel tempo e concorrente con quella ordinaria.
  In attuazione di tale legge, nell'agosto del 2007 è stata indetta, in particolare, una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari con almeno tre anni di anzianità di iscrizione negli appositi elenchi e 120 giorni di servizio.
  Pertanto, in questi anni, per l'immissione nei ruoli dei vigili del fuoco si è fatto ricorso allo scorrimento, in parti uguali, di due graduatorie: quella relativa alla procedura di stabilizzazione del personale volontario, introdotta dalla citata legge 26 dicembre 2006, n. 296, e quella relativa al concorso pubblico, per titoli e esami, a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008.
  Le misure di razionalizzazione della pubblica amministrazione, adottate per far fronte alla sfavorevole contingenza economica, hanno condotto tra l'altro alla scelta di mantenere aperte le graduatorie concorsuali oltre la vigenza dei tre anni prevista, per tutto il pubblico impiego, dall'articolo 3, comma 87, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e, per il personale operativo del Corpo nazionale, dall'articolo 1, comma 5, del decreto-legge n. 512 del 1996.
  I termini di validità delle suddette graduatorie sono stati, per effetto di alcuni interventi legislativi, prorogati fino al 31 dicembre 2016, permettendo una consistente immissione di idonei nell'organico del Corpo nazionale.
  Considerata l'imminente scadenza dell'ultima proroga, fissata come già detto al 31 dicembre 2016, questa Amministrazione è stata autorizzata dal dipartimento delle funzione pubblica, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2015, a bandire un nuovo concorso pubblico per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco, per un numero di 250 unità.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   quotidianamente i soggetti portatori di handicap devono combattere con una serie infinita di difficoltà che impedisce loro di potere serenamente affrontare la quotidianità;
   tra le difficoltà vi è sicuramente quella legata ai parcheggi, sia per la difficoltà di trovarli liberi, non occupati da incivili, sia nella loro esiguità;
   a Como è presente la Casa Circondariale, aperta nel 1983, che si compone di due strutture detentive separate, una maschile e una femminile. In particolare sono presenti sei sezioni maschili, una sezione protetti, una sezione infermeria e osservazione, una di semiliberi e di cui all'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, ospita circa 370 detenuti, che ovviamente sono soggetti a visite da parte dei parenti;
   da associazioni a tutela dei disabili è stato fatto notare come all'esterno non siano presenti parcheggi dedicati ai disabili;
   se il Ministro essendo a conoscenza della situazione non intenda intervenire ponendo rimedio oltre che ad un problema di civiltà ad una palese violazione di legge, infatti il decreto ministeriale – Ministero dei Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236, prevede al punto 8.2.3 che, nelle aree di parcheggio, devono comunque essere previsti, nella misura minima di 1 ogni 50, o frazione di 50, posti auto di larghezza non inferiore a metri 3,20, e riservati gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili. (4-10123)

  Risposta.Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In via generale, la normativa vigente, come peraltro precisato anche dall'interrogante, in particolare il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, all'articolo 11, comma 5, prevede che nell'ambito dei parcheggi o delle attrezzature per la sosta, muniti di dispositivi di controllo della durata della sosta ovvero con custodia dei veicoli, devono essere riservati gratuitamente ai detentori del contrassegno almeno 1 posto ogni 50 o frazione di 50 posti disponibili. La dicitura almeno non indica il numero massimo degli stalli da riservare ai disabili, ma il numero minimo da valutare in relazione alle esigenze di questa categoria di persone.
  Inoltre, il decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 (regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada) all'articolo 381, comma 5, dispone che il comune stabilisce, anche nell'ambito delle aree destinate a parcheggio a pagamento gestite in concessione, un numero di posti destinati alla sosta gratuita degli invalidi muniti di contrassegno superiore al limite minimo previsto dall'articolo 11, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, e può prevedere, altresì, la gratuità della sosta per gli invalidi nei parcheggi a pagamento qualora risultino già occupati o indisponibili gli stalli a loro riservati.
  È di tutta evidenza che le norme lasciano ampi margini di discrezionalità agli enti territoriali, sta poi alla capacità del gestore o dell'ente proprietario della strada fare in modo che l'organizzazione della sosta sia tale da facilitare al meglio la vita di relazione dei disabili e la mobilità degli stessi, istituendo stalli anche ulteriori rispetto a quelli minimi previsti.
  È da considerare, inoltre, che il legislatore lascia alla valutazione dell'ente proprietario della strada la possibilità di dislocare gli spazi di sosta da destinare ai disabili tenendo anche conto della geometria dei luoghi.
  In particolare, per quanto attiene alla specifica richiesta dell'interrogante si informa che i competenti uffici di questo Ministero l'11 settembre 2015 hanno invitato l'amministrazione comunale e la casa circondariale di Como ad uniformarsi al dettato normativo, secondo le rispettive competenze. Il successivo 21 ottobre, la direzione della casa circondariale di Como ha comunicato di aver destinato nel parcheggio antistante la struttura due posti con sosta gratuita per le persone diversamente abili.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   NARDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada provinciale di Montedivalli (comune di Podenzana) in provincia di Massa Carrara, lunga sette chilometri dal bivio di Montedivalli sino al valico di Genicciola, presenta numerosi e gravi cedimenti del piano viario;
   il movimento franoso più consistente si trova in località Fogana e ha di fatto interrotto l'accesso a 5 frazioni poste a monte;
   l'interruzione della viabilità lascia, ormai da tempo, circa 200 abitanti nell'impossibilità di accedere agevolmente ai servizi essenziali (medico-sanitari, alimentari, e altri) le famiglie con figli si trovano costrette a intraprendere spostamenti lunghi e pericolosi per raggiungere la scuola, che dista pochi chilometri ma è servita solo dalla strada provinciale 20;
   la sicurezza viaria risulta determinante per promuovere uno sviluppo sostenibile per la frazione di Montedivalli e, quindi, per il comune di Podenzana, basato sulle attività turistico-ricettive di sviluppo nei settori dell'ambiente, della cultura e dell'agricoltura biologica;
   la frana in località Fogana è molto pericolosa e potenzialmente distruttiva, l'unica azione è quella che l'interrogante giudica la «finta chiusura» della strada da parte dell'amministrazione provinciale di Massa Carrara che con la sistemazione di una transenna ha imposto il divieto di transito, senza bloccare realmente la viabilità;
   gli abitanti della zona continuano ad utilizzare la strada per necessità e per mancanza di una programmazione concreta nei lavori di ripristino;
   data la gravità della condizione, le continue allerte meteorologiche e il totale abbandono, già nell'ottobre del 2014 la provincia di Massa Carrara con delibera del commissario straordinario ha inviato agli uffici regionali del genio civile di Massa-Carrara sei progetti relativi alla viabilità della Lunigiana e che tra questi sono stati preventivati 966.900 euro per lavori di consolidamento del movimento franoso del versante in località Fogana in corrispondenza del chilometro 4+300 lungo la strada provinciale n. 20 di Montedivalli nel comune di Podenzana;
   ad oggi la regione Toscana non ha fondi per far fronte a tutte le richieste pervenute e solo una parte dei progetti ritenuti ammissibili prenderà avvio –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per mettere quantomeno in sicurezza la strada e garantire l'incolumità dei cittadini e degli utenti, valutando l'ipotesi di convocare un tavolo istituzionale con le parti interessate. (4-10471)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 15 ottobre 2015, occorre premettere che i compiti di messa in sicurezza delle strade sono in capo all'ente proprietario, così come previsto dall'articolo 14 del codice della strada.
  Nel caso di specie, trattandosi di strada provinciale, ricordo che la legge n. 56 del 2014, ha confermato in capo all'ente provincia la funzione definita fondamentale di costruzione e gestione di tali strade, nonché la regolazione della circolazione stradale ad essa inerente (articolo 1, comma 85, lettera b).
  Pertanto, in merito ai quesiti posti, sulla base delle informazioni pervenute dal Ministero dell'interno si riferisce quanto segue.
  Le forti precipitazioni atmosferiche, avvenute tra il mese di dicembre 2013 e gennaio 2014, che hanno interessato il territorio della provincia di Massa-Carrara, hanno provocato il cedimento, con conseguente abbassamento della carreggiata di circa 30-50 centimetri, della strada provinciale 20, al km. 4+300 in località Fogana del comune di Podenzana.
  Di seguito al fenomeno sopradescritto, che interessa tuttora un tratto di strada di circa 160 metri, la competente amministrazione provinciale, con l'ordinanza dirigenziale n. 8 del 23 gennaio 2014, ha disposto l'interruzione della circolazione stradale, ponendo, altresì, in essere le misure prescritte dal codice della strada per l'opportuna segnalazione della chiusura in parola.
  In particolare, sono stati apposti dei cartelli stradali che preavvisano gli automobilisti dell'interruzione e, in corrispondenza del movimento franoso, sono presenti delle barriere in calcestruzzo di tipo New Jersey e delle transenne in acciaio corredate da cartelli stradali di divieto di accesso, ove è affissa copia conforme dell'ordinanza sopracitata.
  L'ufficio competente della provincia di Massa Carrara ha riferito, altresì, che, nonostante l'esigua dotazione organica in relazione alla cospicua viabilità provinciale da gestire, provvede quotidianamente al monitoraggio del sito e all'eventuale sistemazione della segnaletica e delle barriere che di frequente vengono spostate, o addirittura rimosse, da ignoti.
  Il progetto di consolidamento della frana e di ripristino della viabilità, approvato dall'ente provincia con determinazione dirigenziale n. 3346 del 30 settembre 2014, per un importo complessivo di euro 966.900/00, è in attesa di finanziamento da parte della regione Toscana, essendo stato richiesto l'inserimento nel documento annuale di difesa del suolo della medesima regione per l'anno 2015.
  L'amministrazione comunale, per mitigare i disagi causati ai cittadini residenti a monte della frana, ha provveduto ad esonerare dal pagamento del trasporto scolastico gli alunni residenti in quelle zone ed a scontare del 50 per cento il buono pasto della mensa scolastica, consentendo, in tal modo, alle famiglie di risparmiare e coprire, seppur parzialmente, le spese di viaggio che le stesse devono sostenere per aggirare l'interruzione stradale descritta.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sui rifiuti in Calabria gli interroganti hanno già presentato una lunga e dettagliata interrogazione, n. 4-01056 del 2 luglio 2013, relativa soprattutto alla lunga fase dell'emergenza ambientale dichiarata dal Governo per risolvere i gravi problemi di smaltimento nel territorio;
   ad oggi nulla è stato risolto, purtroppo, mentre ai cittadini è richiesto di pagare ogni volta le tasse del servizio, come già osservato nell'interrogazione n. 4-02193, nonostante l'immondizia sia ammucchiata per le strade della Calabria e da ciò derivino pericoli per la salute dei cittadini;
   forti criticità igienico-sanitare sono presenti su tutto il territorio regionale, in cui di frequente si vedono strade e piazze come discariche a cielo aperto;
   la situazione della città di Catanzaro e dell'intera sua provincia appare particolarmente preoccupante, specie per gli effetti che potrebbero derivarne per la salute pubblica;
   la discarica di Alli, nel territorio catanzarese, funziona parzialmente e vi sono ripercussioni nelle vicine discariche, con frequente accumulazione nelle aree urbane della provincia;
   spesso si scaricano a vista, nel territorio catanzarese, rifiuti di ogni sorta e si registrano diversi roghi per abbassare i tanti cumuli sparsi, con tutte le conseguenze connesse ai fumi della combustione –:
   se siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa e se ritengano opportuno promuovere, negli ambiti di rispettiva competenza, iniziative per la difesa dell'ambiente e per la tutela della salute dei cittadini. (4-07351)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base delle informazioni acquisite dalla provincia di Catanzaro, si rappresenta quanto segue.
  Il sistema di smaltimento dei rifiuti nella regione Calabria presenta delle carenze sia strutturali che organizzative, ciò si ripercuote anche a livello provinciale; infatti nonostante la provincia di Catanzaro possegga due impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB) realizzati dall'ex ufficio del commissario all'emergenza rifiuti, le due discariche a servizio di tali impianti sono da tempo esaurite. Sul territorio attualmente è presente solamente un'unica discarica localizzata presso il comune di Pianopoli. Tale impianto di smaltimento risulta di proprietà privata, e non è in grado di far fronte alle esigenze regionali.
  La capacità del sistema di trattamento/smaltimento regionale non è adeguata al quantitativo di rifiuti prodotti, ciò è dovuto anche alle scarse percentuali di raccolta differenziata raggiunte (media regionale 14,7 per cento, provincia di Catanzaro 16.49 per cento – dati Arpacal 2013). Ad aggravare tale situazione si aggiungono anche i rallentamenti nel conferimento e/o le sospensioni del servizio di raccolta comunale dei rifiuti urbani che si sono registrati spesso soprattutto nel periodo estivo. Questo fa si che sul territorio si verifichino gli episodi come quelli segnalati nell'interrogazione e consistenti nella presenza di rifiuti presso i contenitori stradali per più giorni a causa della mancata raccolta.
  Relativamente al rimpianto di smaltimento noto come «discarica di Alli»: attualmente continua ad operare solo l'impianto di trattamento meccanico biologico che ha una capacità nominale di 300 tonnellate/giorno mentre la discarica di servizio a tale impianto è esaurita. Attualmente i residui del trattamento dell'impianto vengono smaltiti in provincia di Crotone, mentre la frazione secca è avviata al termovalorizzatore di Gioia Tauro. La regione Calabria sta procedendo alla riprogettazione dell'impianto per il quale ha già espletato le relative procedure di aggiudicazione.
  Tale intervento garantirà a pieno regime:
   di recuperare materia prima seconda dai RSU,
   di recuperare energia dalla frazione secca della raccolta differenziata,
   di produrre energia elettrica mediante il recupero del biogas proveniente dalla linea di trattamento anaerobico del rifiuto organico,
   produrre compost di qualità.

  L'amministrazione provinciale di Catanzaro comunica di aver promosso iniziative finalizzate in particolare ad implementare ed intensificare i controlli sul territorio. A tale scopo è stata stipulata una convenzione con Arpacal. In merito agli impianti di trattamento e recupero, con particolare riferimento al monitoraggio delle autorizzazioni rilasciate, vengono indicati come presenti sul territorio complessivamente 56 impianti dei quali 7 sono mobili mentre 9 risultano gestiti da privati.
  La provincia comunica che sono in programma iniziative di educazione ambientale, la promozione di intese per la corretta gestione di varie tipologie di rifiuti, l'adesione alla settimana europea per la riduzione dei rifiuti 2016 ed inoltre il rinnovo di specifici accordi di programma aventi ad oggetto i rifiuti agricoli, i rifiuti da costruzione e demolizione, i RAEE ed inoltre la raccolta selettiva dell'organico.
  Dal quadro delineato emerge che la provincia di Catanzaro è fortemente impegnata al fine di contribuire al rientro nella gestione ordinaria del ciclo dei rifiuti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è drammatica la situazione di Petilia Policastro, comune di 10.000 abitanti della Calabria jonica in provincia di Crotone, dove una frana attiva dal 31 gennaio sta provocando danni gravissimi;
   una palazzina è crollata ed altre tre abitazioni hanno subito ingenti danni a causa di una frana nella frazione «Foresta» di Petilia Policastro a poca distanza dalla chiesa. Quattro famiglie sono state sgomberate dal sindaco Amedeo Nicolazzi che ha lanciato un drammatico appello nei confronti dello Stato minacciando le dimissioni;
   nel momento del crollo della palazzina i proprietari non erano in casa. Sono intervenuti i vigili del fuoco che hanno installato le apparecchiature per monitorare costantemente la situazione della frana. Dai primi accertamenti sarebbe a rischio l'intero quartiere. Sopra la montagna c’è una segheria ed è stata sgomberata per motivi di sicurezza;
   in particolare il movimento franoso è stato alimentato dalla pioggia delle ultime ore tuttavia tale l'area, è già stata interessata da gravi movimenti franosi recentemente riattivatisi e da cedimenti strutturali;
   la Calabria vive ormai da tempo e quotidianamente, problemi legati al dissesto idrogeologico e, in particolare, la provincia di Crotone rappresenta una delle zone del territorio italiano a più elevato rischio; in particolare nel comune di Petilia Policastro;
   l'istituzione della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche voluta dal Governo e la successiva nomina di tutti presidenti di regione a commissari di Governo per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico — una delle principali finalità dell'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014 — ha creato le premesse per voltar pagina e accelerare gli interventi necessari e urgenti per pianificare l'opera pubblica nazionale di cui l'Italia ha bisogno;
   il coordinatore della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha prontamente contattato il sindaco della cittadina calabrese per valutare le azioni da intraprendere;
   la legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) contiene alcuni commi finalizzati a finanziare interventi di messa in sicurezza del territorio. Si ricorda, in particolare, il comma 111 che, al fine di permettere il rapido avvio nel 2014 di interventi di messa in sicurezza del territorio, destina ai progetti immediatamente cantierabili le risorse già esistenti (nel limite massimo di 1,4 miliardi di euro) e autorizza un finanziamento aggiuntivo di 180 milioni di euro per il triennio 2014-2016, così ripartito: 30 milioni per il 2014, 50 milioni per il 2015 e 100 milioni per il 2016;
   l'articolo 7, commi da 2 a 5 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 contiene una serie di norme principalmente finalizzate all'utilizzo delle risorse per interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, nonché disposizioni volte ad agevolare la realizzazione degli interventi stessi. Si tratta di disposizioni che si innestano su quelle dettate dal citato comma 111 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) e dall'articolo 10 del decreto-legge n. 91 del 2014, e che sono finalizzate a disciplinare il recupero delle risorse finanziarie inutilizzate e la loro programmazione a decorrere dal 2015;
   in particolare con il citato decreto-legge n. 133 del 2014 si dispone che, a partire dalla programmazione 2015, le risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di mitigazione del rischio idrogeologico sono utilizzate tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente. Gli interventi sono invece individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del medesimo Ministero, ed attuati dal presidente della regione in qualità di commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico;
   le risorse sono prioritariamente destinate agli interventi integrati, finalizzati sia alla mitigazione del rischio sia alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità, ovvero che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. Nei suddetti interventi assume priorità la delocalizzazione di edifici e di infrastrutture potenzialmente pericolosi per la pubblica incolumità. L'attuazione degli interventi è assicurata dal Presidente della regione, in qualità di Commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico, con i compiti, le modalità, la contabilità speciale e i poteri di cui all'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116;
   con il comma 3 si disciplinano le modalità di revoca delle risorse assegnate in passato alle regioni e ad altri enti (a partire dai decreti attuativi del decreto-legge n. 180 del 1998 fino ai decreti attuativi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 262 del 2006) per la realizzazione di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico per i quali alla data del 30 settembre 2014 non sia stato pubblicato il bando di gara o non sia stato disposto l'affidamento dei lavori nonché per gli interventi che risultino difformi dalle finalità suddette. L'espletamento degli accertamenti e dei sopralluoghi necessari all'istruttoria è affidato all'ISPRA, che vi dovrà provvedere entro il 30 novembre 2014. Le risorse così revocate confluiranno in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'articolo 40 dell'A.S. n. 1676 «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali» (collegato ambientale) introduce un meccanismo per agevolare, anche attraverso la messa a disposizione di risorse finanziarie (10 milioni di euro per l'anno 2014), la rimozione o la demolizione, da parte dei comuni, di opere ed immobili realizzati abusivamente nelle aree del Paese classificate a rischio idrogeologico elevato o molto elevato (R3 o R4)(29), in assenza o in totale difformità del permesso di costruire;
   sarebbe opportuna una sua pronta entrata in vigore per consentire agli enti locali di intervenire con tempestività e risorse nelle aree del Paese classificate a rischio idrogeologico elevato o molto elevato in cui ci siano situazioni di immobili realizzati abusivamente;
   per le attività di pianificazione, istruttoria e ripartizione delle risorse finanziarie finalizzate alla realizzazione degli interventi per la mitigazione del dissesto idrogeologico, la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico opera di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per quanto di competenza, con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   quali interventi urgenti il Governo intenda adottare per fronteggiare la situazione di gravissimo dissesto idrogeologico in corso nel territorio calabrese di Petilia Policastro così come previsto dalla disciplina recata dal decreto-legge n. 133 del 2014. (4-07783)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità derivanti dal dissesto idrogeologico in provincia di Crotone, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014- 2020.
  Il piano è stato definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Il piano stralcio è composto di una sezione attuativi di complessivi 33 interventi, nella quale sono riportati gli interventi immediatamente finanziabili per un importo finanziato dallo Stato di oltre 656 milioni, e di una sezione programmatica di complessivi 99 interventi, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno a tal fine disponibili. Nella sezione programmatica sono stati inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente, che individua i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in modo da garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, si segnala che le richieste avanzate e validate dalla regione Calabria fino al 24 febbraio 2016, termine per l'inserimento delle proposte nel sistema ReNDiS, ammontano a 124.908.185,97 euro per la provincia di Crotone per un totale di 89 interventi.
  In particolare, per il comune di Petilia Policastro (provincia di Crotone) la regione Calabria ha avanzato richiesta di finanziamento per 12 interventi di mitigazione del rischio frane per un importo statale complessivo di 6.480.292,50 euro.
  Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità espresse dalla stessa regione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Calabria continua a vivere gravissimi problemi legati al dissesto idrogeologico, in particolare a Triparni in provincia di Vibo Valentia, la Gazzetta del Sud del 6 dicembre 2015 mette in risalto la fragilità di quel territorio;
   questa volta ad essere coinvolta è l'intera comunità situata ai piedi della collina vibonese, dove il terreno continua a franare inghiottendo case, piazze, strade. E ciò nel disinteresse generale;
   la strada interessata risulta particolarmente importante; si tratta infatti di una arteria principale che accede direttamente al paese e giorno dopo giorno i segni del suo continuo sgretolamento si fanno sempre più evidenti e preoccupanti;
   fino a qualche tempo fa era interessata sola una parte della strada, ma, con le piogge che negli ultimi tempi hanno dato luogo a episodi risultati molto critici, anche l'altro lato della carreggiata sta finendo per essere fagocitato dal dissesto;
   richieste di urgente intervento sono state inoltrate a tutte le istituzioni locali e sottolineano la necessità di promuovere e finanziare ulteriori interventi per risolvere definitivamente le problematiche relative al dissesto, evitando il ripetersi di altri movimenti franosi con grave rischio per gli automobilisti;
   la situazione appare molto critica sia per coloro che utilizzano mezzi propri che per i pedoni, soprattutto bambini, che ogni giorno percorrono quel tratto di strada per recarsi a scuola;
   è importante anche attivare l'attenzione delle istituzioni locali e sollecitare gli organismi preposti ad effettuare gli urgenti e indispensabili interventi;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica per intervenire con urgenza al fine di salvaguardare la popolazione locale –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per adeguare le risorse finanziarie destinate alla difesa del suolo e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, assicurando che l'assegnazione delle stesse avvenga in modo da privilegiare le aree a più alto rischio franoso, come quella della provincia di Vibo valentia;
   se il Governo intenda promuovere ogni utile iniziativa di competenza, compresa la promozione di un tavolo di concertazione, che coinvolga gli enti locali interessati, per la messa in sicurezza delle strade interessate dagli eventi franosi di quest'ultimo periodo, a tutela dell'incolumità dei cittadini. (4-11859)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità derivanti dal dissesto idrogeologico in provincia di Vibo Valentia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo dilazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il Piano è stato definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web Rendis (Repertorio Nazionale degli interventi per la difesa del ruolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un Piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione.
  Il piano stralcio è composto di una sezione attuativa di complessivi 33 interventi, nella quale sono riportati gli interventi immediatamente finanziabili per un importo finanziato dallo Stato di oltre 656 milioni, e di una sezione programmatica di complessivi 99 interventi, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno a tal fine disponibili. Nella sezione programmatica sono stati inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente, che individua i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in modo da garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, si segnala che le richieste avanzate e validare dalla regione Calabria fino al 24 febbraio 2016, termine per l'inserimento delle proposte nel sistema Rendis, ammontano a 95.525.933,18 euro per la provincia di Vibo Valentia per un totale di 74 interventi.
  Al Ministero dell'ambiente non risultano richieste di finanziamento statale di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico attribuibili a Triparni (Provincia di Vibo Valentia).
  In esito ad interlocuzioni dei miei uffici con le competenti strutture regionali in materia di dissesto idrogeologico, risulta che sono stati attivati tavoli tecnici di concertazione con gli enti locali, coordinati dalla Prefettura, per la messa in sicurezza delle strade interessare da eventi franosi nella provincia di Vibo Valentia.
  Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità espresse dalla stessa regione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PES. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sulla stampa, la società di servizi petroliferi, la «Tgs-Nopec Geophisical Company Asa» con sede ad Asker vicino a Oslo, avrebbe presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un'istanza – valutazione di impatto ambientale – per l'avvio della procedura del permesso di prospezione in mare in un'area che si estende da Capo Argentiera e Alghero fino a Capo Mannu, nell'Oristanese e che coinvolgerebbe ben 11 comuni: Alghero, Villanova Monteleone Bosa, Magomadas, Tresnuraghes, Cuglieri, Narbolia, San Vero Milis, Oristano, Sassari, Stintino, Porto Torres;
   l'obiettivo principale del progetto della società norvegese sarebbe quello di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in un'area marina non ancora esplorata;
   la ricerca degli idrocarburi potrebbe essere effettuata in due fasi: prima in 2D e poi in 3D, ossia utilizzando una tecnica che si basa sulla valutazione di onde riflesse o elastiche che possono essere emesse da un sensore energetico, o da altre sorgenti artificiali;
   per l'acquisizione geofisica nell'area dell'istanza di permesso di prospezione, la società avrebbe previsto l'utilizzo della tecnologia Air-gun, utilizzata per i rilievi sismici marini, il cui impatto sull'ecosistema marino potrebbe essere devastante perché prevede una violenta onda d'urto, provocata da una sorgente energetica ad aria compressa, con intensità variabile fra circa 240 e 260 decibel, ogni quindici secondi per ventiquattro ore al giorno;
   le emissioni acustiche emesse con la suddetta tecnica comporterebbero danni alla fauna marina, con la perdita dell'udito che è una caratteristica morfologica fondamentale per diverse specie ittiche sia per orientarsi, sia per vivere;
   ingenti danni inciderebbero anche su tutto sul settore della pesca che, ancora più di altri, manifesta gli effetti negativi della crisi economica del nostro paese e dell'isola;
   l'area interessata dalla ricerca di idrocarburi dista poche miglia dal Santuario dei cetacei, area protetta tra Sardegna, Corsica e Liguria, considerata di interesse internazionale, ma risultano coinvolte dal progetto anche le aree a protezione speciale dell'Isola dell'Asinara, di Capo Caccia, Capo Conte e della Penisola del Sinis;
   anche le fasi successive la prospezione, il pozzo esplorativo e le trivellazioni, potrebbero costituire ulteriori fonti d'inquinamento ambientale;
   il 23 giugno 2014 la firmataria del presente atto ha depositato un'interrogazione a risposta in Commissione ambiente (atto 5-03055) per un progetto analogo chiesto dalla «Schlumberger Oifield Services», che in data 7 novembre 2014 ha avuto il parere negativo dalla Commissione valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, poiché l'area di prospezione è collocata all'interno della zona marina «E» di protezione ecologica, delimitata con il decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 2011, n. 209;
   nell'isola è forte l'opposizione a progetti «offshore» sia da parte di alcuni comitati cittadini che da parte di numerose associazioni ambientalisti, per i possibili danni che potrebbero creare all'ecosistema della costa occidentale della Sardegna –:
   se il Ministro possa rendere noto e chiarire il risultato dello studio d'impatto ambientale presentato dalla «Tgs-Nopec Geophisical Company Asa»;
   quali provvedimenti cautelativi intenda mettere in atto per scongiurare che da queste operazioni di prospezione delle coste vicine alla Sardegna derivino danni per la salute dei cittadini, della flora, della fauna e dell'ambiente;
   se, anche per la suddetta zona di prospezione, possa essere applicato il principio di precauzione e possano essere adottate le stesse misure cautelative contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 2011, n. 209, poiché essa è situata a poche miglia dal Santuario dei Cetacei e da alcune aree marine protette e, quindi, va considerata «area di protezione ecologica». (4-07814)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa all'esito dello studio di impatto ambientale presentato dalla società Tgs-Nopec geophisical company asa per le operazioni di prospezione delle coste vicine alla Sardegna, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo, preliminarmente, si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si segnala altresì che, nell'ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale, la normativa, nazionale e comunitaria, prevede una fase di consultazione del pubblico che assicura la possibilità ad enti locali, associazioni e privati cittadini di esprimere le proprie osservazioni in merito al progetto.
  Ad ogni modo, in merito alla procedura di valutazione di impatto ambientale all'interno dell’iter autorizzativo, si ricorda che il Ministero dell'ambiente è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale, mentre l'autorizzazione finale alla costruzione e all'esercizio di determinati impianti spetta al Ministero dello sviluppo economico, preposto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici coinvolti dalla realizzazione di determinati progetti, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Tanto premesso, si fa osservare che, relativamente agli esiti delle valutazioni che verranno svolte dalla commissione tecnica Via-Vas sul progetto di prospezione presentato dalla società Tgs-Nopec geophisical company asa, la relativa istruttoria tecnica è stata avviata il 2 febbraio 2015.
  Al riguardo si rappresenta che le attività istruttorie sono ancora in corso e che tutta la documentazione tecnica ed amministrativa afferente il progetto è pubblicata sul seguente portale delle Valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente: www.va.minambiente.it.
  Eventuali pronunce di compatibilità ambientale saranno emanate da questo Ministero in osservanza della specifica normativa nazionale ambientale in materia di idrocarburi.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli altri soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PETRAROLI, CRIPPA, SEGONI, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, DAGA e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il lago di Varese, uno dei più bei laghi d'Italia con interessi storico-culturali e ambientali, vede la presenza di un isolotto con reperti archeologici unici nel suo genere. Il lago di Varese sta morendo, anno dopo anno, per il nefasto processo di eutrofizzazione da imputarsi alle grandi quantità di fosforo presenti nelle sue acque la cui concentrazione è pari a circa 100 mg/m3 nei periodi invernali quando si ha la piena circolazione delle acque; nei periodi di stratificazione si arriva ad avere, nelle parti vicino ai sedimenti, concentrazioni pari a 700-800 mg/m3 (università degli Studi di Milano; sesto forum agenda 21 laghi). Una concentrazione pari a 100 mg/m3, secondo i parametri dell'OECD, definisce il lago inquinato, ponendolo nella categoria di lago ipertrofico, mentre dovrebbe essere mesotrofico, secondo la morfologia e tipologia del lago, con valori di concentrazione di fosforo nelle acque pari a 15-20 mg/m3 (quaderno 3- applicazione autorità del bacino del Po). Pure i sedimenti superficiali presentano elevate concentrazioni di fosforo pari ad un valore di 0,15 per cento (centro comune di ricerche della Commissione europea);
   tale situazione si ripercuote da alcuni decenni ed ha provocato uno sconvolgimento nella flora e fauna del lago;
   infatti, si è persa una importante molteplicità di specie riducendo drasticamente la biodiversità. Si susseguono morie di pesci (l'ultima in ordine di tempo è del 12 ottobre 2012, La Provincia, ASL Varese) ed abnormi fioriture algali nei mesi che vanno da maggio a luglio. In tali periodi le acque del lago si colorano di verde; tale eccessiva fioritura porta alla proliferazione di alghe tossiche e nocive per la salute della vita nel corpo idrico (università dell'Insubria Varese, water research) e, in alcuni casi, anche dei cittadini (ASL, ARPA Varese);
   inoltre la perdita di biodiversità (università dell'Insubria, ARPA Varese centro comune di ricerche della Commissione europea) ha innescato processi di selezione innaturale nel corpo vivente, vegetale e animale, del lago dove specie alloctone hanno il sopravvento aumentando a dismisura il danno ambientale; un esempio lampante è dato dalla pianta acquatica Ludvigia che sta invadendo le sponde del lago (Trans Insubria Bionet, Dario Galli commissario della provincia di Varese);
   le amministrazioni che si sono susseguite negli ultimi venti anni hanno speso senza alcun profitto milioni di euro senza risolvere minimamente il problema; i fondi spesi sono stati elargiti da regione Lombardia, provincia di Varese e comune di Varese –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti riferiti in premessa e alle azioni che si intendano promuovere per assicurare la tutela della salute e dell'ambiente a fronte della sempre più grave situazione che emerge sullo stato delle acque del lago di Varese, e se intendano assumere iniziative, anche tramite il Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di acquisire ulteriori elementi al riguardo. (4-03233)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche ambientali del lago di Varese, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali interessati per il tramite della competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La regione Lombardia ha evidenziato che nel bacino del lago di Varese è identificato un solo agglomerato denominato «AG01207201 Gavirate-Varese Lago» che comprende l'area insediata del bacino sia del lago di Varese sia del lago di Comabbio. Tale agglomerato – che si stima generi un carico di 97.501 AE (abitante equivalente) – è servito da una rete che trasporta le acque reflue all'impianto «DP01207201 Gavirate-Varese Lago» che ha una capacità di 110.000 AE. Considerato che tale impianto scarica nel fiume Bardello, corso d'acqua che sfocia nel lago Maggiore, il suo scarico non incide sulla qualità delle acque del lago di Varese.
  All'interno del bacino lacuale, inoltre, non sono censiti scarichi in ambiente non trattati.
  Spesso in concomitanza con eventi piovosi di una certa intensità entrano in funzione lungo la rete gli scaricatori di piena.
  Tenendo conto che nell'ATO (Ambito territoriale ottimale) di Varese l'organizzazione del servizio idrico integrato solo in questi ultimi mesi ha trovato una definizione di modello gestionale adeguata alle disposizioni normative, che prevedono il principio di unicità verticale ed orizzontale della gestione nell'ambito ottimale. Occorrerà pertanto del tempo prima che il processo sia concretamente portato a termine. La capacità analitica e conoscitiva che è possibile sviluppare (ad esempio, con riferimento alla modellazione della rete) è ancora parzialmente lacunosa.
  La regione Lombardia ha sottolineato che in questo periodo è in corso di realizzazione un'indagine di dettaglio sul collettore circumlacuale del lago e sui principali collettori ad esso afferenti al fine di evidenziare eventuali criticità nel funzionamento del sistema fognario sia in tempo secco che di pioggia.
  Relativamente ai controlli, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 spetta all'autorità competente effettuare il controllo degli scarichi sulla base di un programma che assicuri un periodico, diffuso, effettivo ed imparziale sistema di controlli degli scarichi. Tali controlli sono effettuati dal gestore e dall'Arpa e i risultati degli stessi sono trasmessi nel sistema informativo regionale S.I.Re. acque che raccoglie i dati di tutti i depuratori presenti nella regione Lombardia. Pertanto, è l'Arpa a valutare annualmente la conformità degli scarichi alle disposizioni vigenti.
  Le campagne annuali di controllo degli scarichi del depuratore in questione hanno fatto registrare un buon esito dal 2011 al 2014 garantendo sempre la conformità ai limiti tabellari previsti dalla normativa.
  Relativamente alla classificazione dello stato ecologico delle acque del lago di Varese la Regione Lombardia dichiara che questa risulta in qualità sufficiente.
  Infatti, sulla base del monitoraggio operativo eseguito dall'Arpa nel triennio 2012-2014, è stato evidenziato che le componenti che determinano il giudizio sufficiente sono sia il fitoplancton (elemento biologico monitorato) sia il descrittore LTLeco (Livello trofico laghi per lo stato ecologico). È risultato, invece, buono lo stato derivante dagli elementi chimici a sostegno, nonché lo stato chimico.
  Osservando i dati del triennio precedente è stato evidenziato come il permanere di uno stato ecologico solo sufficiente sia dovuto al fitoplancton e al descrittore LTLeco.
  Il lago di Varese, infatti, è caratterizzato da uno stato diffuso di eutrofizzazione che determina un generale degrado dell'ecosistema, legato principalmente a elevati livelli di fosforo nelle acque che negli ultimi 10 anni sono pressoché invariate attestandosi intorno ai 60-80 microgrammi/l. Tali concentrazioni sono collegate anche alla presenza di elevati carichi interni, paragonabili in termini quantitativi a quelli provenienti dal bacino imbrifero drenante.
  Dal 2004 è attivo un «Osservatorio del lago di Varese», istituito su proposta della provincia di Varese e finalizzato alla definizione di politiche di intervento, di tutela e di valorizzazione del lago. Tale Osservatorio, composto dai soggetti territorialmente e scientificamente interessati al lago di Varese, segue l'andamento annuale della qualità del lago, oltre a promuovere studi e ricerche finalizzati al miglioramento della qualità delle acque.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PETRAROLI, DE ROSA, DE LORENZIS e DELLA VALLE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 maggio 2011, è stato depositato lo Studio d'impatto ambientale (SIA) relativo al progetto del «Nuovo Master Plan dell'aeroporto di Milano Malpensa», con la richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   proponente dell'opera è l'ENAC (Ente nazionale per l'aviazione civile), con sede in Roma, che ha delegato la redazione e il deposito del progetto e dello studio d'impatto ambientale a SEA (Società esercizi aeroportuali) Aeroporti di Milano Spa;
   l'avviso di deposito dell'istanza e della SIA è stato pubblicato il 20 maggio 2011, ed è stata pertanto avviata la procedura regionale per l'espressione del parere al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in relazione alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale;
   la regione Lombardia, con delibera X/13 del 3 aprile 2013 ha espresso parere favorevole, con prescrizioni, al Ministero dell'ambiente e della tutela, del territorio e del mare, relativo al progetto del «Nuovo Master Plan dell'aeroporto di Milano Malpensa»;
   con nota dell'11 aprile 2013 (prot. DVA-2013–0008613) è stata concessa una sospensione, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del procedimento di 9 mesi per approfondimenti progettuali; la direzione generale del MATTM competente per materia, con nota del 23 gennaio 2014, non ha accolto la richiesta di proroga avanzata dall'ente nazionale per l'aviazione civile il 30 dicembre 2013, in quanto carente di motivazione e, pertanto, ai sensi dell'articolo 10-bis, della legge n. 241 del 1990, ha informato l'ENAC di tale decisione;
   con nota del 7 febbraio 2014 l'Enac, nel prendere atto della mancata concessione dell'ulteriore proroga, ha trasmesso un documento tecnico di sintesi riguardante la rielaborazione del progetto Master plan che conterrebbe, a suo avviso, una diminuzione del previsto ampliamento del sedime aeroportuale in funzione di quanto emerso in sede di riunioni tecniche;
   la direzione generale del Ministero, con nota del 10 febbraio 2014, nel trasmettere la documentazione alla Commissione di valutazione impatto ambientale ha disposto il riavvio dell'istruttoria tecnica;
   nella zona di Malpensa è già stata aperta una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea, la n. 2012/4096, per il danno ambientale arrecato al SIC (sito di importanza comunitaria) Brughiera del Dosso IT2010012;
   il parere motivato espresso dall'Unione europea, in data 16 aprile 2014, in merito alle procedura l'infrazione 2012/4096, richiede espressamente di sanare il ritardo relativo a misure di conservazione e designazione come Zone speciali di conservazione (ZSC) di questo sito;
   la regione Lombardia ha approvato, con dgr 1873, le Misure di conservazione relative al SIC in data 23 maggio 2014, come conseguenza del parere dell'Unione europea;
   il parco del Ticino ha proposto, come soluzione per fermare la procedura di infrazione, la costituzione di un nuovo Sito di importanza comunitaria (SIC) e Zone di protezione speciale (ZPS) da realizzarsi nella zona interessata all'ampliamento dell'aeroporto di Malpensa, in quanto zona unica e rara da un punto di vista ambientale, ricca di specie animali e vegetali tutelate dalla «Direttiva Habitat 92/43/CEE» e dalla «Direttiva Uccelli 2009/147/CE»;
   la proposta, formalizzata da parco a regione Lombardia con lettera in data 25 ottobre 2011, consiste nel fare diventare un'area di 856 ettari, che interesserebbe i comuni di Lonate Pozzolo (Va), Castano Primo e Nosate (Mi) a far parte della rete natura 2000;
   l'area è di notevole pregio naturalistico: le brughiere di Malpensa e Lonate ricoprono un ruolo strategico rispetto alle connessioni ecologiche a livello locale, provinciale e regionale;
   si tratterebbe di tutelare un immenso patrimonio di biodiversità, infatti:
    nell'area sono stati censiti 332 taxa di cui 59 alloctoni e 57 autoctoni per quanto riguarda le specie vegetali. Sono stati riconosciuti i seguenti habitat (secondo la Direttiva 92/43/CEE «Habitat»): Lande Secche Europee, Praterie magre. Querceti di Farnia e Vecchi querceti;
    per quanto riguarda l'avifauna sono state censite 228 specie: 78 nidificanti, 56 di interesse comunitario, 8 nidificanti, 48 migratrici;
    è il secondo sito lombardo come numero di specie di interesse comunitario, un sito di interesse internazionale per il Succiacapre ed il sito più importante a livello nazionale come luogo di sosta dell'Averla Piccola;
    è inoltre presente la farfalla cenoninfa di Edipo (Coenonjmpha oedippus) che ad oggi è la specie di farfalla più minacciata d'Europa;
    qualora il Masterplan dell'aeroporto di Malpensa dovesse essere approvato, potrebbero verificarsi pesanti conseguenze per il patrimonio floristico e faunistico lombardo: perdita di habitat e specie protette, nuove procedure di infrazione delle direttive Unione europea Habitat 92/43/CEE ed uccelli 2009/147/CE, interruzione della rete ecologica regionale e del parco del Ticino –:
   quali provvedimenti intendano adottare i Ministri interrogati, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, per evitare la compromissione irreversibile di una zona di rilevanza fondamentale per la biodiversità. (4-05494)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al «Nuovo Masterplan dell'Aeroporto di Malpensa» sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In data 18 maggio 2011, è stato depositato lo studio d'impatto ambientale (SIA) relativo al progetto del «Nuovo Master Plan dell'Aeroporto di Milano Malpensa», con la richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Proponente dell'opera è l'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac), con sede in Roma, che ha delegato la redazione e il deposito del progetto e dello studio d'impatto ambientale a Sea (Società esercizi aeroportuali) Aeroporti di Milano spa.
  Al riguardo, si evidenzia che, in data 9 luglio 2014, l'Ente nazionale per l'aviazione civile ha manifestato l'intenzione di ritirare l'istanza di Valutazione d'impatto ambientale (VIA), adducendo ragioni di natura sia progettuale che ambientale, riservandosi «di avviare una nuova procedura una volta attualizzati gli studi e gli approfondimenti tematici tutt'ora in evoluzione».
  Preso atto della volontà del proponente, e trattandosi di un'istanza di parte, questo Ministero, in data 18 luglio 2014, ha comunicato l'archiviazione dell'istanza, alla quale pertanto non verrà dato seguito.
  In ogni caso, in ordine alle preoccupazioni relative all'impatto ambientale del progetto e alle possibili criticità segnalate dagli interroganti, si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto. La valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si segnala altresì che, nell'ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale, la normativa, nazionale e comunitaria, prevede una fase di consultazione del pubblico che assicura la possibilità ad enti locali, associazioni e privati cittadini di esprimere le proprie osservazioni in merito al progetto.
  Ad ogni modo, nel caso dovesse essere avviata una nuova procedura, saranno coinvolti tutti i soggetti interessati.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Maruggio, nel tarantino, è un comune di 5.471 abitanti che si affaccia sul mare. All'interno del territorio comunale di Maruggio è presente l'area portuale della sua frazione, Campomarino di Maruggio;
   il porto turistico è stato, negli anni, gestito dalla Torre Moline spa, società nata nel 1999, con capitale al 51 per cento privato e 49 per cento pubblico. Tale società nacque per far fronte al completamento di quello che doveva essere un porto turistico, con rimessaggio d'imbarcazioni (di varie dimensioni) e struttura ricettiva annessa, che doveva garantire sviluppo turistico e lavoro per i residenti del posto;
   al privato era stato affidato l'intero compito di gestire l'intera struttura, compresa la manutenzione che lo stesso, non ha mai eseguito negli anni;
   il comune di Maruggio, con nota del 14 gennaio 2015, prot. n. 510, ha indetto, ai sensi degli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni, la prima riunione di Conferenza dei Servizi per la valutazione e l'approvazione del progetto avente a oggetto «MOVIMENTAZIONE DI SEDIMENTI MARINI IN AMBIENTE SOMMERSO CON NUOVE TECNOLOGIE, FINALIZZATE AL RIPRISTINO DEL PASSO DI ACCESSO DEL PORTO TURISTICO DI CAMPOMARINO MARUGGIO», proposto dalla società Torre Moline s.p.a., invitando a partecipare alla stessa le Amministrazioni pubbliche competenti, tenute a esprimersi e adottare, atti di concerto o d'intesa e a rilasciare pareri, autorizzazioni, nulla osta, sull'istanza presentata;
   dalla documentazione prodotta si evidenzia che non è stata eseguita la caratterizzazione fisica, chimica, microbiologica ed eco tossicologica dell'area marina sulla quale s'intendono spostare i sedimenti, inoltre non è stata approfondita la conoscenza delle caratteristiche del sito d'intervento con particolare riferimento alla natura geologica e geotecnica del sito;
   gli aspetti segnalati rappresentano requisiti fondamentali per affrontare in sede progettuale, autorizzativo ed esecutivo, un'attività di dragaggio (Linee guida per le problematiche connesse alle attività di dragaggio nei porti e di possibilità e modalità di riutilizzo dei materiali dragati emesse il 29 maggio 2008 dal Consiglio superiore dei lavori pubblici e decreto ministeriale del 24 gennaio 1996);
   la società Torre Moline spa ha deciso di avvalersi della procedura, invece del percorso procedimentale della VIA della conferenza dei servizi ex legge 7 agosto 1990 n. 241, strumento, a parere dell'interrogante, semplicistico per un intervento di tale portata. Si rileva, inoltre, che non è stata eseguita un'approfondita analisi delle possibili interferenze delle attività summenzionate con l'area marina inclusa nel sito d'importanza comunitaria «Dune di Campomarino», soprattutto al fine di tutelare le praterie della fanerogama marina Poseidonia oceanica ivi presenti. Si tratta, infatti, di un habitat individuato tra quelli di tipo prioritario ai sensi della Direttiva 92/43/CEE –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare per preservare, nell'area sito d'importanza comunitaria «Dune di Campomarino», le praterie della fanerogama marina Poseidonia oceanica. (4-09027)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativo all'intervento, proposto dalla società Torre Moline spa, di «movimentazione di sedimenti marini in ambiente sommerso con nuove tecnologie, finalizzate al ripristino del passo di accesso del porto turistico di Campomarino di Maruggio» sulla base degli elementi forniti dalla provincia di Taranto e dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Il progetto originario, risalente al 2012 e recante «Ripristino del passo di accesso al porto di Campomarino di Maruggio — lavori di dragaggio» è stato autorizzato dall'amministrazione provinciale con giudizio favorevole di compatibilità ambientale, rilasciato con determinazione dirigenziale n. 92 del 30 agosto 2012.
  A seguito di difformità riscontrate dal NOE in sede di cantiere rispetto al progetto approvato, la provincia di Taranto ha avviato una procedura ex articolo 29, comma 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La società Torre Moline spa, in data 20 dicembre 2013 ha avanzato istanza per la chiusura del procedimento VIA emanato con la richiamata determinazione dirigenziale del 30 agosto 2012, al fine di consentire l'archiviazione della procedura in questione e con l'intenzione di presentare una nuova soluzione progettuale mediante formale istanza di esame del nuovo progetto. Si fa presente, inoltre, che la predetta procedura, sulla base delle informazioni fornite dalla provincia di Taranto, è stata ufficialmente chiusa.
  Per quanto riguarda il nuovo progetto recante «ripristino del passo di accesso: base preliminare e propedeutica per le successive opere di manutenzione ordinaria/straordinaria delle specchio acqueo del porto di Campomarino di Maruggio» la provincia, con specifiche note rispettivamente del 25 febbraio 2015 e dell'11 giugno 2015, predisposte nell'ambito delle conferenze dei servizi convocate dal comune di Campomarino di Maruggio e finalizzate all'approvazione del progetto, ha debitamente rappresentato «la necessità di sottoporre a verifica di assoggettabilità a VIA nonché alla fase di screening della valutazione di incidenza il nuovo intervento proposto».
  L'amministrazione provinciale ha riferito che ad oggi non risulta pervenuta presso lo scrivente settore alcuna istanza di verifica di assoggettabilità a VIA o VIA appropriata per l'intervento in oggetto riportato. Sul punto, non appena acquisiti ulteriori elementi, verranno comunicati a tutti i soggetti interessati.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di Corigliano d'Otranto, alla cui realizzazione hanno partecipato il Gruppo Marcegaglia, la regione Puglia e la società Acquedotto pugliese, della quale la regione detiene l'intero pacchetto azionario, è uno dei tre impianti salentini di smaltimento dei rifiuti, sorta in un'area contigua a una vecchia discarica, in attesa di una completa bonifica, proprio nell'area dei pozzi dai quali la società Acquedotto pugliese pompa l'acqua per i rubinetti delle famiglie del Salento;
   sotto la discarica, infatti, a settanta metri di profondità, si muove uno dei più ricchi bacini idrici delle regioni meridionali, decisivo per l'approvvigionamento potabile dell'intero Salento;
   sino agli anni Novanta l'ente per l'acquedotto aveva posto un veto sull'ipotesi di realizzare una discarica in tale collocazione, ma poi in nome dell'emergenza rifiuti e di un piano compilato senza lo svolgimento di alcuno studio preliminare le amministrazioni che si sono succedute hanno posto in secondo piano le ragioni dell'acqua;
   il posizionamento dell'impianto di stoccaggio dei rifiuti proprio sopra la falda acquifera che alimenta l'Acquedotto pugliese, potrebbe determinare un deterioramento della qualità delle acque, se non il vero e proprio avvelenamento del bacino idrico;
   la realizzazione della discarica desta grande allarme per la salute pubblica e sotto il profilo della tutela ambientale, e ha dato origine alla creazione di un coordinamento civico composto da una rete di oltre quaranta associazioni, tra cui la Lega italiana lotta ai tumori e Federconsumatori, che ha presentato diverse diffide alla prosecuzione e messa in funzione dell'opera, considerato che nella zona già si registra una percentuale di tumori tra le più alte d'Italia;
   in un parere sul progetto della discarica emesso dal CNR si legge che «perseverare nel progetto della maxi-discarica sarebbe inumano e mostruoso: l'inquinamento della falda da percolato è più una certezza che un rischio», perché il percolato – il liquido che si origina dall'infiltrazione dei rifiuti derivanti dai processi biologici e fisicochimici all'interno delle discariche – andrà direttamente ad inquinare le acque;
   la discarica appare all'interrogate, inoltre, in contrasto con il piano di tutela regionale delle acque di cui alla delibera del 19 giugno 2007, n. 883;
   infine, la realizzazione della discarica viola il principio di precauzione, sancito la prima volta nel corso della Conferenza sull'ambiente e lo sviluppo dell'ONU di Rio de Janeiro del 1992, e ufficialmente adottato a livello europeo come uno strumento di decisione nell'ambito della gestione del rischio in campo di salute umana, animale e ambientale;
   il principio di precauzione prevede che «Al fine di proteggere l'ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l'assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l'adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale»;
   con riferimento alla società Acquedotto pugliese già nel maggio del 2012 la Corte dei conti ha rilevato che «Sui bilanci dell'AQP pesano la minaccia di un indebitamento crescente, oltre ad alcuni dubbi espressi sul processo decisionale e sulla governance dell'Acquedotto» –:
   quali urgenti iniziative intendano assumere anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di tutelare le popolazioni interessate dall'approvvigionamento delle acque provenienti dalla falda acquifera di cui in premessa e, più in generale, al fine di verificare lo stato dei luoghi. (4-05601)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla discarica di Corigliano d'Otranto, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali interessati, si rappresenta quanto segue.
  La provincia di Lecce ha fornito elementi sull’iter amministrativo che ha portato all'individuazione e alla realizzazione della discarica per rifiuti non pericolosi in località masseria Scomunica nel Comune di Corigliano d'Otranto, in adiacenza ad una preesistente discarica di rifiuti solidi urbani (Rsu), chiusa nel 1995 ed autorizzata dalla regione Puglia.
  La prima indicazione per la realizzazione della nuova discarica di «servizio-soccorso» per l'Ambito territoriale ottimale LE/2 è contenuta nel decreto n. 336 del 29 ottobre 2002 del commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale, presidente della regione Puglia. Tale decreto integra le previsioni del piano regionale di gestione dei rifiuti (approvato con decreto n. 41 del 6 marzo 2001 del commissario e modificato con successivo decreto n. 296 del 30 settembre 2002) che, nella sezione dedicata all'impiantistica a servizio dell'ambito LE/2, rinviava ad ulteriori approfondimenti per la realizzazione dell'impianto complesso di biostabilizzazione, con annessa discarica di servizio-soccorso.
  In seguito a tale localizzazione, il commissario delegato emanava il decreto n. 311 del 13 dicembre 2003 per l'affidamento del servizio di gestione degli impianti complessi del bacino LE/2 nel quale rientrava la discarica di Corigliano d'Otranto. L'appalto era aggiudicato all'ATI Co. Ge. Am. ed il relativo contratto sottoscritto il 3 agosto 2006.
  Con decreto n. 36 del 31 gennaio 2007 il commissario delegato approvava il progetto della discarica con la prescrizione di eseguire un approfondito studio idrogeologico in sede di progettazione esecutiva.
  Con deliberazione della giunta regionale n. 883 del 19 giugno 2007, la regione Puglia adottava il piano di tutela delle acque che, nelle prime misure di salvaguardia per gli acquiferi, individua, tra l'altro, le zone di protezione speciale idrogeologica di tipo B2 nelle quali è vietata «l'apertura e l'esercizio di nuove discariche per rifiuti urbani non inserite nel Piano di rifiuti».
  Con successivo decreto n. 89 del 1o luglio 2008 il commissario delegato, stanti:
   l'intervenuta adozione del piano di tutela delle acque che individua l'area di Corigliano come zona di protezione speciale idrogeologica;
   gli esiti dello studio idrogeologico condotto dal concessionario;
   gli esiti degli incontri con le autorità competenti presso la struttura commissariale e presso la prefettura di Lecce;

  approvava una variante migliorativa al progetto originario prevedendo l'utilizzo della discarica solo con funzioni di «servizio», escludendo quindi la funzione di «soccorso» e quindi con l'esclusivo conferimento di rifiuti con un grado più spinto di biostabilizzazione.
  Con delibera n. 230 del 20 ottobre 2009, il consiglio regionale approvava in via definitiva il piano di tutela delle acque confermando per le zone di protezione idrogeologica di tipo B2 le misure di salvaguardia precedenti. Il concessionario, nel corso dei lavori di realizzazione della discarica, ubicata in adiacenza alla preesistente utilizzata in passato dal comune di Corigliano d'Otranto e gestita dalla Monteco s.r.l., rilevata la presenza di percolato proveniente dal vecchio catino, provvedeva a realizzare, come primo intervento di messa in sicurezza, una trincea di captazione.
  Per ridurre i rischi di potenziale contaminazione delle acque di falda e dei terreni causati da tale percolazione, la regione Puglia, previa conferenza di servizi, approvava con determinazione dirigenziale n. 50 del 14 giugno 2011 il progetto di messa in sicurezza permanente (Misp) della discarica preesistente ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. L'esecuzione di tali lavori di Misp era affidata con decreto n. 48 del 25 luglio 2012 del commissario.
  Ad oggi, pur essendo conclusi i lavori per la realizzazione della nuova discarica, l'impianto non è ancora entrato in esercizio.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 5 agosto 2014 il Governo ha nominato il commissario per la costituzione del Parco nazionale della costa teatina, al quale spetterà innanzitutto il compito di provvedere alla perimetrazione del Parco e poi della sua zonizzazione, individuando le diverse misure di tutela e salvaguardia da applicare;
   la tutela del tratto di costa in questione avrebbe potuto essere ugualmente ottenuta attraverso l'adozione di adeguati strumenti urbanistici, senza l'aggravio di procedure e di costi costituito dalla creazione dell'apposito Parco e della citata nomina del commissario responsabile –:
   in base a quali criteri sia stato scelto il commissario di cui in premessa e quali saranno gli emolumenti che percepirà.
(4-05874)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alla nomina del commissario ad acta del parco nazionale della Costa Teatina, sulla base delle informazioni acquisite dalla competente direzione generale e del Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, 93, dispone che, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente, d'intesa con la regione interessata, è istituito il parco nazionale «Costa Teatina».
  Non riuscendo ad ottenere l'intesa tra le amministrazioni interessate, con una disposizione normativa contenuta nell'articolo 2, comma 3-bis del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, si era previsto che, trascorso inutilmente un dato termine, inizialmente determinato al 30 settembre 2011 e poi più volte prorogato, senza addivenire alla istituzione del parco, venisse nominato un commissario ad acta, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Trascorso l'ultimo termine fissato al 31 dicembre 2013, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2014, registrato presso la Corte in data 26 settembre e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 242 del 17 ottobre, veniva nominato il commissario ad acta, ai fini della istituzione del parco nazionale della Costa Teatina, secondo le disposizioni di cui all'articolo 34 della legge-quadro 6 dicembre 1991, n. 394.
  Sulla base delle informazioni acquisite, si fa presente che il dottor De Dominicis, è stato individuato quale commissario ad acta, tenuto conto delle numerose esperienze professionali acquisite nel corso di una carriera più che ventennale sia come vice presidente che come Presidente della provincia di Pescara.
  In particolare il dottor De Dominicis ha svolto la sua attività nell'ambito della gestione dei piani triennali e dei progetti di disinquinamento acque fluviali, di risanamento delle acque urbane per favorire i collegamenti fra alcune parti significative del tessuto urbano metropolitano, oltre che di progetti concernenti la realizzazione di itinerari di mobilità alternativa e messa in sicurezza dei corsi fluviali.
  Si è inoltre occupato dell'istituzione dell'oasi di protezione faunistica piano d'Orta, dell'istituzione dell'Oasi delle Saline, dell'istituzione del Parco del Levino, dell'istituzione dell'osservatorio provinciale del turismo, dell'istituzione dell'osservatorio provinciale del Turino, oltre che della realizzazione del piano di tutela della flora e della fauna, dell'osservatorio del paesaggio e dell'osservatorio faunistico provinciale presso il centro visite sul fiume Tirino.
  L'incarico di commissario ad acta della durata di un anno, a decorrere dalla nomina, è stato finalizzato alla predisposizione ed attuazione di ogni intervento necessario ai fini della istituzione del parco nazionale della Costa Teatina, attraverso la delimitazione provvisoria dei relativi confini, sulla base degli elementi conoscitivi e tecnico-scientifici disponibili presso i servizi tecnici nazionali, le amministrazioni dello Stato e le regioni.
  Non era prevista alcuna struttura di supporto di cui il commissario ad acta ha potuto avvalersi ai fini della predisposizione ed attuazione degli interventi connessi allo svolgimento dell'incarico.
  Per quanto attiene al compenso spettante alla commissario ad acta, il provvedimento di nomina ha previsto che fosse determinato con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
  Al riguardo, si fa presente che a seguito della riunione di coordinamento con i rappresentanti dello stesso Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero dell'ambiente tenutasi presso il dipartimento per il coordinamento amministrativo il 6 febbraio 2016, ai fini della definizione dell'ammontare complessivo degli emolumenti, è stato predisposto uno schema di decreto che riconosce quale compenso per il commissario ad acta la somma di euro 33.300,00 annuo lordo, attualmente all'esame del Ministero dell'economia e delle finanze per l'acquisizione della firma del Ministro concertante.
  Il mandato del commissario ad acta è scaduto il 4 agosto 2015, entro tale data lo stesso commissario ha predisposto e presentato alla Presidenza del Consiglio la proposta per l'istituzione del Parco nazionale della Costa Teatina.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come lamentano Federparchi e le più importanti associazione ambientaliste nazionali, i parchi nazionali del Paese, esempio migliore dell'Italia che tutela e valorizza l'ambiente, il territorio, il turismo e la green economy, rischiano la paralisi per il mancato rinnovo dei propri consigli direttivi negli enti di gestione e per tagli insostenibili ai loro bilanci;
   i maggiori parchi sono quasi tutti privi dei propri consigli direttivi, in alcuni casi attesi da anni. Su 23 parchi nazionali esistenti in Italia, attualmente solo due (Dolomiti Bellunesi, Gran Paradiso) hanno un presidente ed un consiglio direttivo operativo. Ecco il quadro della situazione:
    Parchi con presidenti in carica, ma privi di consigli direttivi:
     Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise: privo del consiglio direttivo dall'11 luglio 2012;
     Parco nazionale dell'Alta Murgia: privo del consiglio direttivo dal 26 settembre 2010;
     Parco nazionale dell'Appennino Lucano, Val d'Agri e Lagonegrese: consiglio direttivo mai nominato;
     Parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano: privo del consiglio direttivo dal 30 maggio 2012;
     Parco nazionale dell'Arcipelago della Maddalena: privo del consiglio direttivo dal 27 dicembre 2012;
     Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano: privo del consiglio direttivo dal 1° marzo 2012;
     Parco nazionale dell'Asinara: privo del consiglio direttivo dal 17 dicembre 2008;
     Parco nazionale Aspromonte: privo del consiglio direttivo dal 23 settembre 2012;
     Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni: privo del consiglio direttivo dal 31 dicembre 2013;
     Parco nazionale delle Cinque Terre: privo del consiglio direttivo dal 19 aprile 2010;
     Parco nazionale del Circeo: privo del consiglio direttivo dal 7 agosto 2012;
     Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna: privo del consiglio direttivo dal 31 dicembre 2013;
     Parco nazionale del Gargano: privo del consiglio direttivo dal 27 giugno 2008;
     Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga: privo del consiglio direttivo dal 22 gennaio 2007;
     Parco nazionale della Majella: privo del consiglio direttivo dal 20 settembre 2007;
     Parco nazionale dei Monti Sibillini: privo del consiglio direttivo dal 27 dicembre 2012;
     Parco nazionale del Pollino: privo del consiglio direttivo dal 31 dicembre 2013;
     Parco nazionale dello Stelvio: privo del Consiglio direttivo dal 26 dicembre 2010;
     Parco nazionale della Val Grande: consiglio direttivo in parte nominato nel 2012, ma non insediato;
     Parco nazionale del Vesuvio: privo del consiglio direttivo dal 31 dicembre 2013.
   accanto ai Parchi privi di «governo» si aggiunge la difficile situazione economica, nonostante qualche recente tentativo da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di garantire finanziamenti adeguati al sistema nazionale delle aree naturali, da quest'anno si deve così registrare la ripresa dei tagli lineari che finiscono per rendere ancora più problematica la gestione dei parchi nazionali e la loro reale capacità di intervento sul territorio, rendendo de facto inefficace la loro esistenza;
   dall'inizio del 2014 di almeno tre tagli ai finanziamenti previsti dallo Stato sia per le aree naturali protette a terra che per quelle a mare. A quanto risulta il capitolo di bilancio «gestione interventi Parchi nazionali» ha registrato un taglio di circa 865.000,00 euro, passando dagli originari 5.800.000 circa di inizio anno agli attuali 4.960.000,00 circa (un taglio del 15 per cento). Ancora peggio il capitolo di bilancio «gestione interventi Aree marine protette» che ha registrato un taglio di oltre 1.200.000,00 euro, passando dagli originari poco più di 5.000.000,00 di inizio anno agli attuali 3.790.000,00 euro circa (taglio di circa il 24 per cento) –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per sbloccare la governance dei parchi italiani nominando i soggetti di competenza e se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, non ritenga utile provvedere ad un nuovo riparto di fondi a favore dei parchi nazionali al fine di scongiurarne il dissesto finanziario;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno, in caso di eventuale riduzione dei fondi, garantire autonomia degli enti parco nella ripartizione della stessa.
(4-05248)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Allo stato, risultano istituiti i consigli direttivi dei seguenti parchi nazionali: parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, parco nazionale Alta Murgia, parco nazionale Appennino Lucano, parco nazionale Val d'Agri, parco nazionale Tosco-Emiliano, parco nazionale Arcipelago della Maddalena, parco nazionale Arcipelago Toscano, parco nazionale dell'Asinara, parco nazionale dell'Aspromonte, parco nazionale del Circeo, parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi, parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, parco nazionale del Gargano, parco nazionale del Gran Paradiso, parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, parco nazionale della Maiella, parco nazionale dei Monti Sibillini, parco nazionale del Pollino, parco nazionale della Val Grande, parco nazionale delle Cinque Terre.
  Inoltre, si fa presente che attualmente sono commissariati i seguenti parchi:
  parco nazionale della Sila, parco nazionale del Vesuvio, parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.
  Al riguardo, si segnala che, per i parchi commissariati del Vesuvio e del Cilento, sono state acquisite le formali intese da parte delle regioni interessate circa le designazioni dei presidenti ed è attualmente in corso la procedura per la nomina, ai sensi dell'articolo 9, comma 3, della legge 394 del 1991.
  Si forniscono, altresì, i dati relativi ai finanziamenti assegnati agli enti parco ed agli enti gestori delle aree marine protette per l'anno 2014.
  Per quanto attiene agli enti parco, sono state stanziate risorse pari ad euro 4.929.403,00, (legge n. 549 del 29.12.1995), successivamente integrate per un importo pari ad euro 450.000,00, destinate, con direttiva del Ministro, ad azioni di tutela della biodiversità ed un importo pari ad euro 66.567.763,13, destinato alla copertura delle spese di natura obbligatoria.
  Per quanto riguarda le aree marine protette, le risorse stanziate sono state pari ad euro 4.992.906,00, integrate con euro 1.200.000.00, destinati al funzionamento. Tali integrazioni si sono rese necessarie per sopperire almeno in parte ai tagli e alle diminuzioni di stanziamento avute, anche rispetto al precedente anno finanziario.
  Per quanto riguarda iniziative rivolte a «scongiurare il dissesto finanziario dei parchi nazionali», come noto, nella proposta di riforma della legge n. 394 del 1991, ora all'esame della XIII commissione ambiente del Senato, sono previste forme aggiuntive di contribuzione attraverso contributi (così detti royalties) da parte delle attività produttive insistenti sui territori dei parchi medesimi, quali, a titolo esemplificativo, attività che riguardano le concessioni di derivazione d'acqua ad uso idroelettrico e idropotabile, attività estrattive, gestione di impianti a biomasse, coltivazioni di idrocarburi liquidi e gassosi, produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, autorizzazioni all'esercizio di oleodotti, metanodotti e elettrodotti non interrati, concessioni per pontile per ormeggio imbarcazioni.
  Auspico, infine, che sia l'occasione giusta per intervenire anche sull'attuale sistema di governance ridefinendo compiti e funzioni degli organi di indirizzo e di gestione al fine di conseguire anche un'efficace razionalizzazione del settore che, peraltro, può rappresentare un volano per l'economia dei territori.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il glifosato è il principio attivo più usato al mondo negli erbicidi diserbanti. Fa parte dei cosiddetti erbicidi totali — quelli che agiscono su tutte le specie vegetali, e pertanto sugli infestanti sia mono sia dicotiledoni. Il glifosato è un prodotto del gruppo americano Monsanto, che finora vende erbicidi con glifosato sotto il nome di Roundup. Nella prassi il glifosato non è usato come principio attivo unico, ma in combinazione con agenti bagnanti (tensioattivi), che aumentano in modo mirato la velenosità dell'erbicida;
   la IARC (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) il marzo 2015 ha classificato il glifosato come «probabilmente cancerogeno per l'essere umano». Per questo la ISDE (International society of doctors for environment) ha chiesto al Parlamento europeo e alla Commissione europea di bandire la produzione, il commercio e l'utilizzo di queste sostanze su tutto il territorio europeo;
   i rischi causati da questo principio attivo sono ormai noti. Al riguardo bisogna ricordare che recentemente, in Germania, si è riusciti a rilevare la presenza di glifosato e dei suoi metaboliti nella popolazione in generale — non solo nell'urina ma anche nel latte materno;
   alcuni Paesi hanno già rinunciato all'uso del glifosato. In Danimarca l'uso dei glifosati è vietato già dal 2003. In Francia la ministra francese dell'Ecologia Ségolène Royal ha vietato l'uso dell'erbicida più famoso al mondo nei giardini privati e nelle aree verdi pubbliche;
   in Italia, ancora, gli erbicidi sono acquistabili anche da clienti privati. Ciò è allarmante, considerati i succitati rischi derivanti da un loro utilizzo non professionale. Molte aziende tedesche (gruppo Rewe), ma anche centri di bricolage e catene di supermercati svizzeri (Coop e Migros) hanno deciso di non vendere più glifosati e prodotti che li contengono, a tutela dei clienti privati;
   inoltre alcuni comuni italiani usano ancora erbicidi ai margini di strade e piazze. Anche in questi casi il glifosato può contaminare i passanti ovvero le persone prive di un'adeguata protezione –:
   se il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa non intenda assumere iniziative per:
   a) vietare l'uso del glifosato e di prodotti contenenti glifosato su tutte le aree pubbliche e da parte di strutture pubbliche (società, associazioni, comuni, istituti di ricerca e altro);
   b) far sì che il glifosato e i prodotti contenenti glifosato non possano essere venduti a clienti privati e utenti non professionali, né possano essere da essi utilizzati. (4-10012)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa all'utilizzo del glifosato (quale principio attivo di erbicidi diserbanti) e del prodotto Roundup, si rappresenta quanto segue.
  Con il decreto ministeriale 22 gennaio 2014 è stato adottato il piano di azione nazionale (PAN) per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, in linea con i contenuti della direttiva 2009/128/CE e del decreto legislativo n. 150 del 2012, con i seguenti obiettivi generali:
   ridurre i rischi e gli impatti dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità;
   promuovere l'applicazione della difesa integrata, dell'agricoltura biologica e di altri approcci alternativi;
   proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione interessata;
   tutelare i consumatori;
   salvaguardare l'ambiente acquatico e le acque potabili;
   conservare la biodiversità e tutelare gli ecosistemi.

  In particolare per quanto attiene l'ambito evidenziato dagli interroganti, il piano affronta la problematica al punto A.5.4 – Misure per la riduzione e/o eliminazione dell'uso dei prodotti fitosanitari e dei rischi sulle o lungo le linee ferroviarie, indicando che «è necessario ridurre e/o eliminare, per quanto possibile, l'uso dei prodotti fitosanitari e i rischi connessi al loro utilizzo sulle o lungo le linee ferroviarie, ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici e biologici), riducendo per quanto possibile le dosi di impiego dei prodotti fitosanitari ed utilizzando, per la loro distribuzione, le attrezzature e le modalità di impiego che consentano di ridurne al minimo le perdite nell'ambiente».
  Il piano prevede che entro due anni siano adottati criteri ambientali minimi da inserire obbligatoriamente nei capitolati tecnici delle gare d'appalto per l'esecuzione dei trattamenti fitosanitari nella rete stradale e autostradale.
  Inoltre, al punto A.5.5 (Misure per la riduzione e/o eliminazione dell'uso dei prodotti fitosanitari e dei rischi sulle o lungo le strade) del PAN si indica nello specifico che «è necessario ridurre e/o eliminare, per quanto possibile, l'uso dei prodotti fitosanitari e i rischi connessi al loro utilizzo sulle o lungo le strade, ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici e biologici), riducendo per quanto possibile le dosi di impiego dei prodotti fitosanitari ed utilizzando, per la loro distribuzione, le attrezzature e le modalità di impiego che consentano di ridurne al minimo le perdite nell'ambiente, nel rispetto della sicurezza e del ruolo della vegetazione sui cigli stradali.
  Per tale scopo sono previste le seguenti misure:
   «sostituzione, dall'entrata in vigore del Piano, dei prodotti fitosanitari che contengono sostanze classificate per la cancerogenesi, la mutagenesi e la tossicità riproduttiva, in Categoria 1A e 1B, ai sensi del regolamento (CE) n. 1272/2008;
   sostituzione e/o limitazione, entro 3 anni dall'entrata in vigore del piano, dei prodotti fitosanitari che riportano in etichetta le pertinenti frasi di precauzione SPe1, SPe2, SPe3 e SPe4, o classificati tossici, molto tossici e/o recanti in etichetta le frasi di rischio R40, R42, R43, R45, R60, R61, R62, R63, R64 e R68, ai sensi del decreto legislativo n. 65/2003 e successive modificazioni ed integrazioni o le indicazioni di pericolo corrispondenti di cui al regolamento (CE) n. 1272/2008;
   divieto di effettuare trattamenti con insetticidi e acaricidi sulle alberate stradali durante la fase fenologica della fioritura».

  In particolare, all'interno dei criteri ambientali minimi da inserire nei capitolati tecnici delle gare d'appalto, saranno introdotte misure che prevedano di utilizzare il diserbo meccanico e fisico (ad esempio, pirodiserbo) in tutti i casi in cui esso possa sostituire il diserbo chimico. Inoltre, saranno previste opportune misure di gestione del sistema dei cigli (pacciamatura verde o con materiali inerti, eccetera), tecniche o metodi alternativi all'impiego di prodotti fitosanitari anche per evitare l'insorgere di resistenze causate dall'uso ripetuto della stessa sostanza attiva e l'uso del mezzo chimico terrà conto delle previsioni meteorologiche, evitando l'utilizzo di prodotti fitosanitari nei giorni in cui sono previste precipitazioni e nei giorni immediatamente precedenti.
  Il 9 dicembre 2015 la direzione competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasmesso al servizio fitosanitario nazionale una bozza preliminare dei criteri ambientali da inserire in tali capitolati tecnici, per acquisire, come previsto dal citato decreto ministeriale 22 gennaio 2014, ogni utile contributo per l'emanazione del suddetto provvedimento. Il 10 febbraio 2016 si è tenuto un incontro convocato dalla direzione competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per un esame a livello tecnico della citata bozza preliminare all'emanazione del provvedimento e il 1o marzo 2016 il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha trasmesso le osservazioni del servizio fitosanitario centrale sulla predetta bozza, al fine di perfezionare il provvedimento in corso di predisposizione.
  Per quanto riguarda il prodotto Roundup, l'erbicida contenente il principio attivo denominato glifosato, come è noto, l'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha concluso nel novembre 2015 la valutazione dei dati presentati dall'industria produttrice e delle informazioni messe a disposizione dallo IARC (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità).
  Nell'aprile 2015, lo IARC aveva concluso la propria valutazione, ritenendo che il principio attivo in questione dovesse essere classificato come «probabile cancerogeno per gli esseri umani», mentre l'EFSA è giunta alla conclusione che il glifosato non sia un probabile cancerogeno per l'uomo.
  Alle stesse conclusioni dell'EFSA è giunto anche lo Stato membro rapporteur (Germania) che ha esaminato sia le informazioni dello IARC sia i dati sperimentali forniti dall'industria produttrice.
  In questo quadro di incertezza scientifica a livello internazionale, la Commissione europea ha ritenuto opportuno il rinvio della decisione attesa entro dicembre 2015, relativa al ritiro o al mantenimento del glifosato sul mercato, impegnandosi a presentare entro il 30 giugno 2016 una proposta di decisione da sottoporre al voto degli Stati membri, nell'ambito del comitato permanente istituito ai sensi dell'articolo 58 del regolamento (CE) n. 178/2002.
  Nella riunione del comitato permanente piante animali, alimenti e mangimi, che si è tenuta a Bruxelles il 7 e 8 marzo 2016, la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione favorevole al rinnovo dell'autorizzazione del glifosato. A fronte di tale proposta, diverse delegazioni, tra cui Italia, Francia, Paesi Bassi e Svezia, hanno manifestato il proprio avviso contrario, mentre, altre delegazioni, come quella tedesca, hanno ipotizzato di astenersi (l'astensione in tale contesto equivale ad un voto contrario).
  Oltre agli elementi di preoccupazione dovuti alle divergenti opinioni dello IARC e dell'EFSA in merito alla tossicità per l'uomo del glifosato, l'EFSA avrebbe evidenziato altri pericoli (possibile contaminazione delle acque superficiali) non adeguatamente considerati nella proposta di decisione presentata dalla Commissione europea.
  In mancanza della maggioranza qualificata richiesta per l'approvazione della decisione, la Commissione ha ritirato la proposta e si è riservata di valutare la possibilità di presentare una nuova proposta di decisione, capace di raccogliere il consenso necessario, entro la scadenza del 30 giugno 2016.
  Qualora il rinnovo dell'autorizzazione a livello europeo non dovesse aver luogo entro il 30 giugno 2016, l'uso di prodotti a base di glifosato risulterebbe, di fatto, vietato in tutti i Paesi dell'Unione europea.
  Pertanto, alla luce del processo attualmente in corso e delle decisioni che saranno assunte entro breve a livello europeo, il Governo valuterà le iniziative più opportune da adottare per assicurare la protezione dell'ambiente e la tutela della salute umana.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RIZZO, DELL'ORCO, CORDA, BASILIO e FRUSONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da organi di stampa, la Guardia costiera avrebbe a disposizione sette navi della classe CP900 e una cinquantina di motovedette della classe CP300, tutte costruite utilizzando fondi dell'agenzia europea Frontex, da impegnare nel recupero dei migranti nel Mediterraneo;
   per quanto di conoscenza degli interroganti, nel porto di Lampedusa, a turno, operano solo 3 o 4 motovedette della suddetta classe CP300 capaci di caricare fino a 150 naufraghi e dotate di bordi in gomma per evitare il ribaltamento dei barconi e le lungaggini nelle operazioni di trasbordo come avviene per le navi di stazza maggiore;
   le navi e le motovedette della Guardia costiera sono in grado di accogliere diverse centinaia di naufraghi e risultano essere più veloci e più economiche in termini di costo di navigazione rispetto alle navi impiegate nelle stesse operazioni dalla Marina militare; considerando anche il diverso impiego di equipaggi che, nel caso delle motovedette è di soli 25/40 membri, mentre sulle fregate della Marina è di 200 marinai che godono, comunque, di indennizzi di missione per le operazioni in mare;
   oltre le operazioni di ricerca e soccorso, la Guardia costiera si è sempre adoperata anche per le attività di sabotaggio delle imbarcazioni, successivamente al trasbordo dei naufraghi. Non a caso, riferendo a notizie della stampa, una loro motovedetta, lo scorso febbraio venne minacciata con armi da fuoco da parte di scafisti affinché i «Guardia Coste», dopo le operazioni di soccorso, non mettessero fuori uso il barcone;
   le navi della Guardia costiera di lunghezza pari a circa 100 metri, secondo quanto noto agli interroganti, dovrebbero avere un costo di circa 70 milioni di euro, mentre quelle di 60 metri di 15 milioni di euro. Le motovedette classe 300 «soltanto» 2 milioni. Mezzi decisamente più economici rispetto alle nuove navi «dual use» che la Marina militare ha recentemente commissionato e in consegna nel prossimo decennio e che nella migliore delle ipotesi al netto dei sistemi d'arma verrebbero a costare almeno 200 milioni di euro;
   in merito all'attività di ricerca e salvataggio nel canale di Sicilia il Consiglio di Rappresentanza a livello nazionale della Guardia costiera, in conseguenza dell'enorme sforzo in termini di uomini impiegato, con la delibera n. 124/XI del 15 aprile 2015, ha chiesto al Comando generale della Guardia costiera di «valutare l'opportunità di un aumento del personale e degli organi tabellari» al fine di razionalizzare gli incarichi del ruoli più alti;
   lo stesso Consiglio di rappresentanza con la delibera n. 125/XI del 15 aprile 2015 ha chiesto altresì di aumentare l'attività addestrativa nell'uso delle armi portati e nei corsi MGA, oltre che ottenere adeguate dotazioni di bordo (giubbotti antiproiettile, fondine cosciali e strumenti di coazione fisica) al fine di poter meglio garantire la sicurezza a bordo;
   se il Ministro intenda aumentare il dispositivo impegnato nelle operazioni di ricerca e salvataggio nel mar Mediterraneo almeno di una nave della Guardia costiera e raddoppiare la presenza delle motovedette sull'isola di Lampedusa, auspicando i giusti riconoscimenti economici (straordinari ed accessori) e morali al personale impegnato in queste attività;
   se intenda accogliere la delibera del Consiglio di rappresentanza a livello nazionale della Guardia costiera aumentando l'organico disponibile per le attività di pattugliamento nella misura di duecento militari di truppa il cui costo graverebbe, per i bilanci del Ministero, per circa 4 milioni di euro come desumibile dalla prima stesura della legge di stabilità 2015 poi emendata;
   quali programmi di addestramento all'uso delle armi portatili svolga il personale della Guardia costiera con particolare riferimento a coloro che risultano impegnati in servizio nel canale di Sicilia e con quale tipologia di armi;
   se, unitamente ai medici e ai soccorritori imbarcati sulle unità della Guardia costiera, si intenda predisporre la presenza di due «Guardia Coste» equipaggiati alla tutela del personale di bordo con idonei dispositivi di difesa;
   se il Ministero intenda stilare un programma di massima al fine di rinforzare la flotta navale per rispondere sempre più adeguatamente alle esigenze connesse con l'immigrazione del canale di Sicilia sotto l'aspetto di economicità e di operatività, ciò al fine di evitare sovrapposizioni di compiti fra chi deve esercitarsi e prepararsi per attività belliche e di difesa nazionale di propria competenza e chi deve essere pronto istituzionalmente a procedere a soccorsi e alla polizia marittima. (4-09515)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In merito all'addestramento all'uso delle armi portatili del personale militare del Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera, in ottemperanza alle indicazioni impartite dalla direttiva «ARMI 002» del 26 luglio 2012 del comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, ogni titolare di comando (sia di unità navale sia di ufficio marittimo) dispone, previo coordinamento della superiore direzione marittima, sessioni di indottrinamento teorico sul maneggio e sull'uso delle armi, sui mezzi di coazione fisica e sugli strumenti di protezione a favore di tutto il personale militare dipendente.
  L'indottrinamento in parola e il relativo aggiornamento è curato da sottufficiali del Corpo specificamente formati per tale addestramento ed in possesso della qualifica di «istruttore di tiro».
  In particolare, la citata direttiva prevede:
   la familiarizzazione all'impiego a caldo delle armi portatili, sia nel contesto statico sia dinamico delle tecniche di tiro operativo e/o difesa, mediante approfondimenti teorico-pratici;
   lo svolgimento di almeno quattro esercitazioni a fuoco per anno solare (cosiddette Arporex), da effettuarsi con cadenza trimestrale presso poligoni e/o in mare a bordo delle unità navali del Corpo;
   l'organizzazione di seminari in materia di polizia giudiziaria aventi lo scopo di analizzare, a livello teorico, le fattispecie tratte dall'esperienza operativa ed i casi giurisprudenziali più significativi in tema di responsabilità personale per uso improprio delle armi.

  È altresì prevista, a favore di una aliquota di personale individuata in ragione delle funzioni connesse all'impiego, la frequenza ai corsi:
   di addestramento all'uso delle armi portatili presso il comando subacqueo incursori (Comsubin) di La Spezia, per il personale del ruolo marescialli, sergenti e graduati in servizio permanente, tanto destinato a terra quanto imbarcato.
  di indottrinamento all'uso della mitragliera MG 42/59 presso il centro di addestramento aeronavale della marina militare (Maricentadd) di Taranto, per il solo personale del ruolo marescialli, sergenti e graduati in servizio permanente imbarcato.

  Al riguardo, si precisa che le armi utilizzate sono fornite dal ciclo logistico della Forza armata ed atte sia alla difesa delle installazioni, sia all'espletamento dei servizi d'istituto, inclusa l'attività di polizia giudiziaria.
  Dette armi costituiscono dotazioni di reparto, il cui effettivo impiego è rimesso alla facoltà del titolare del comando, in relazione alla effettiva opportunità di armare il proprio personale in caso di operazioni ritenute potenzialmente a rischio.
  Sono altresì organizzati ogni anno presso le direzioni marittime, ancora una volta a cura di istruttori qualificati, almeno due corsi di addestramento MGA (metodo globale di autodifesa) tesi all'istruzione delle procedure e tecniche operative e di difesa personale.
  In linea con i predetti adempimenti, per implementare ulteriormente la sicurezza di tutti i mezzi navali appartenenti alle classi di unità impiegate nello scenario dello Stretto di Sicilia, è in corso l'acquisizione di una adeguata quantità di dotazioni di protezione individuale, quali giubbotti antiproiettile galleggianti, elmetti balistici, metal detector portatili, rilevatori di esplosivi e altro, da destinare a bordo di ciascuna unità navale della Guardia costiera esposta al rischio connesso al fenomeno del flusso migratorio verso le coste italiane.
  Riguardo poi al possibile aumento del dispositivo impiegato nello operazioni di ricerca e soccorso nel canale di Sicilia, si fa presente che presso l'isola di Lampedusa è istituito dal 2003 il comando della VII squadriglia Guardia costiera, a cui sono assegnate permanentemente quattro motovedette specializzate nell'attività di ricerca e soccorso (Sar) classe 300 ed 1/2 motovedette classe 200.
  A ciò si aggiunga il pattugliamento costante nello Stretto di Sicilia di due unità delle classi maggiori del Corpo (per un totale di cinque unità, di cui due classe Diciotti e tre classe Fiorillo), al fine di intervenire tempestivamente nelle quotidiane attività di soccorso a migranti provenienti dalle coste libiche.
  Tale dispositivo per essere ulteriormente implementato necessita di nuove navi alturiere, dal momento che la rotazione nell'impiego in detto teatro operativo è indispensabile ad assicurare le manutenzioni periodiche e gli imprescindibili approvvigionamenti logistici.
  È, all'attualità, in fase di studio un programma di ampliamento del naviglio militare del Corpo delle Capitanerie di porto – Guardia costiera, con mirato riguardo ad unità specializzate nella predetta attività Sar maggiormente performanti e con maggiore capacità di carico, peraltro ad un costo assai ridotto rispetto a tipologie di navi costruite prioritariamente per assolvere ad altri servizi d'istituto.
  L'eventuale realizzazione di ulteriori unità maggiori dovrà poi tener conto del correlato incremento di organico, atteso che ciascuna unità classe Diciotti e classe Fiorillo prevede, rispettivamente, quarantuno e trenta membri di equipaggio.
  Alla luce delle predette considerazioni, l'attività addestrativa all'uso delle armi portatili risulta in linea con l'obiettivo di garantire al personale del Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera, compreso quello impiegato in servizio nello Stretto di Sicilia, un adeguato livello di istruzione sull'uso delle armi.
  In proposito, si richiama l'attenzione sul fatto che le unità navali della Guardia costiera risultano armate in funzione dell'impiego operativo di volta in volta disposto.
  Le unità classe 300, pertanto, prevalentemente impiegate per i soccorsi connessi al fenomeno migratorio, sono equipaggiate con un armamento di difesa personale «leggero» (armi portatili), mentre le navi alturiere con dotazioni più complesse (quali mitragliatrici del tipo Browning per la classe Fiorillo e mitragliatrici MG 42/59 per la Diciotti), nonché con personale appositamente addestrato per il relativo uso.
  Da ultimo si precisa che l'auspicato reclutamento di ulteriori duecento unità di volontari di truppa, già suggerito dal consiglio di rappresentanza con la delibera 124/XI del 15 aprile 2015, a monte di ogni iniziativa che si vorrà intraprendere a riguardo, dovrà comunque considerare una modifica dell'articolo 815 del decreto legislativo n. 66 in data 15 marzo 2010, codice dell'ordinamento militare, il quale individua le dotazioni organiche dei volontari del Corpo i cui oneri finanziari sono puntualizzati dal correlato articolo 585 del medesimo codice.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   RUSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il corpo nazionale vigili del fuoco è una delle istituzioni più significative e importanti per il nostro Paese;
   nonostante le passate assunzioni di cui al decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, articolo 8, e al decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, articolo 3, comma 3-octies, il corpo risulta ancora carente di circa 4000 unita;
   a penalizzare ancora di più il già carente Corpo sono le limitazioni del turn-over;
   affinché si possano garantire interventi rapidi ed ancor più efficienti è necessario garantire al Corpo nazionale dei vigili del fuoco un sostanzioso aumento di organico, attingendo dallo scorrimento della graduatoria del concorso pubblico per titoli ed esami ad 814 posti nella qualifica di vigili del fuoco che presenta ancora oggi 4300 idonei, e portando a termine la procedura di stabilizzazione del personale precario del Corpo ai sensi della legge n. 296 del 2006; la validità delle citate graduatorie è stata prorogata solo fino al 31 dicembre 2016;
   considerata la breve durata della proroga e le limitazioni del turn-over, si rende necessario adottare ogni tipo di provvedimento utile a garantire l'esaurimento della graduatoria del concorso pubblico per 814 vigili del fuoco, per titoli ed esami, così come è avvenuto per la procedura di stabilizzazione del personale precario portata quasi al totale esaurimento;
   oltretutto è impensabile e ingiusto, visto il numero cospicuo di idonei della graduatoria del concorso per 814 vigili del fuoco, indire a breve eventuali nuove procedure concorsuali, le quali potrebbero solo aggravare l'amministrazione del Corpo nazionale vigili del fuoco con un inutile esborso di danaro pubblico;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere idonee iniziative per stanziare ulteriori risorse economiche per l'assunzione di nuove unità di personale operativo al fine di garantire al Corpo nazionale vigili del fuoco di svolgere la propria attività nel miglior modo possibile nei confronti dei cittadini in pericolo. (4-11238)

  Risposta. — Con riferimento ai temi evidenziati con l'interrogazione in esame si informa innanzitutto che con l'anno corrente il turn over del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è stato ripristinato nella sua totalità, dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle varie manovre di contenimento della spesa pubblica.
  In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio intervenute nell'anno 2014, per l'anno in corso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  D'altra parte, si evidenzia che in questi anni il Ministero dell'interno ha dedicato una particolare attenzione al potenziamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale.
  Solo in questa legislatura tali dotazioni sono state incrementate di oltre 2 mila unità di personale, grazie alle previsioni dei decreti legge 31 agosto del 2013, n. 101, e 24 giugno del 2014, n. 90.
  Alla copertura degli oneri derivanti dal predetto potenziamento si è provveduto mediante corrispondente riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale.
  Inoltre, con il decreto-legge n. 78 del 2015, è stata autorizzata l'assunzione straordinaria, in via eccezionale, di 250 vigili, per le esigenze del soccorso pubblico connesse allo svolgimento del Giubileo a valere sulle facoltà assunzionali del 2016, previste dall'articolo 66, comma 9-bis, del citato decreto-legge del 25 giugno 2008, n. 112.
  Si ricorda, poi, che, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per vigile del fuoco, questa amministrazione è stata autorizzata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2015, a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica. Questa misura consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano organizzativo che su quello funzionale.
  Comunque le graduatorie del concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco e della procedura di stabilizzazione del personale volontario indetta nell'agosto del 2007 (in deroga al principio costituzionale dell'accesso al pubblico impiego mediante concorso), sono ancora aperte e tali rimarranno fino al 31 dicembre 2016.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Trieste ha aderito a un progetto denominato «Gioco del rispetto – Pari e dispari» che verrà proposto ai bambini di 45 scuole dell'infanzia di Trieste e che dovrebbe, secondo l'opuscolo informativo, «verificare le conoscenze e le credenze di bambini e bambine su cosa significa essere maschi o femmine, rilevare la presenza di stereotipi di genere e attuare un primo intervento che permetta loro di esplicitare e riorganizzare i loro pensieri, offrendo ai bambini anche un punto di vista alternativo rispetto a quello tradizionale»;
   il progetto, che ha visto la luce nel 2013, con una prima edizione sperimentale cofinanziata dalla regione Friuli Venezia Giulia, ha coinvolto quattro scuole dell'infanzia della regione, una per ogni provincia. Ora il progetto, uno tra i primi in Italia e in Europa, vede anche l'adesione del comune di Trieste;
   nel kit ludico-didattico a disposizione delle maestre è previsto che i bambini e le bambine possano esplorare i corpi dei loro compagni, ascoltare il battito del cuore a vicenda o il respiro per rinforzare la percezione che, dopo aver fatto un po’ di attività fisica le sensazioni provate sono uguali fra maschi e femmine; inoltre, si legge ancora nel progetto «ovviamente i bambini possono riconoscere che ci sono differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell'area genitale». Le ideatrici del progetto rilevano quanto sia «importante confermare loro che maschi e femmine sono diversi in questo aspetto e nominare senza timore i genitali maschili e femminili», spiegando che tali differenze non condizionano il modo di sentire, provare emozioni, comportarsi con gli altri;
   infine fra i giochi proposti c’è anche quello del «Se fossi» durante il quale i bambini, utilizzando dei costumi si travestono. «I bambini e le bambine — si legge nelle schede informative – potranno indossare dei vestiti diversi dal loro genere di appartenenza e giocare così abbigliati»;
   alcuni genitori hanno espresso la loro ferma contrarietà rispetto ad un progetto che non è stato in diversi casi adeguatamente presentato alle famiglie dei bambini coinvolti, non essendo stato inserito neanche nel piano di offerta formativa;
   l'interrogante condivide la posizione espressa da alcune famiglie, in base alla quale i bambini così piccoli, da sempre hanno scoperto a piccoli passi, in modo del tutto naturale la differenza tra uomo e donna, senza alcuna necessità di improvvisate lezioni ad hoc di educazione sessuale, rivolte alla scuola dell'infanzia –:
   se il Ministro interrogato, non ritenga necessario intervenire per quanto di propria competenza, anche attraverso l'attivazione di una procedura ispettiva, per sospendere il progetto denominato «Gioco del rispetto – Pari e dispari», che oltre a non avere, a parere dell'interrogante, alcuna funzione pedagogica, risulta completamente inadatto, ancor più perché rivolto a bimbi in età prescolare di 3-4 anni.
(4-08346)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, va preliminarmente chiarito che il «Gioco del rispetto – pari e dispari» è un progetto del comune di Trieste e della regione, autonoma Friuli Venezia Giulia che l'hanno predisposto autonomamente, senza coinvolgimento del Ministero, per poi proporlo a 18 scuole paritarie comunali dell'infanzia che, nella loro autonomia, sono nelle condizioni di valutare, sentite le famiglie ed i rispettivi consigli scolastici, l'eventuale adesione.
  Pertanto, riguardo al progetto in commento, riferisco le informazioni acquisite presso gli assessorati all'istruzione della regione e del comune.
  È risultato che la finalità del progetto sarebbe quella di fornire, agli e alle insegnanti della scuola dell'infanzia, elementi teorici e pratici per lavorare con le bambine e i bambini sui temi della parità e del contrasto alle discriminazioni.
  A dicembre 2014 e a gennaio 2015, si è svolto, infatti, un corso di formazione a cui hanno partecipato, su base volontaria, 68 insegnanti di 18 scuole dell'infanzia comunali di Trieste.
  Il progetto prevede che, dopo la fase di formazione degli insegnanti, l'iniziativa sia presentata dagli stessi docenti formati ai rispettivi collegi docenti, cui è demandata la decisione di proseguire nel percorso educativo intrapreso, proponendo, attraverso il kit didattico, le attività educative con i bambini.
  Laddove si decida di dar esecuzione al progetto, è prevista la convocazione di una riunione con tutti i genitori che potranno scegliere se aderire o meno al progetto stesso. Ai bambini delle famiglie che non aderiranno al progetto, la scuola offrirà attività alternative. Il progetto viene, inoltre, sottoposto al consiglio della scuola.
  Solo alla fine di questo iter, il progetto prenderà avvio con le relative attività.
  Il percorso si concluderà con la raccolta dei risultati della predetta sperimentazione, attraverso il feedback dei docenti partecipanti ai «focus group» formativi.
  Per quanto concerne il diritto alla libertà di educazione della famiglia e la scelta educativa dei genitori, si precisa che, attraverso l'emanazione delle linee di indirizzo recanti «Partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa» diramate il 22 novembre 2012, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha inteso sottolineare l'importanza della partecipazione dei genitori nella vita scolastica, sia negli istituti statali che paritari di ogni ordine e grado, trasformandola da mera presenza negli organi collegiali ad autentica cooperazione alla progettualità e ai processi formativi.
  Da qui scaturisce, quindi, l'obbligo per tutte le istituzioni scolastiche di dare piena attuazione agli indirizzi succitati introducendo modalità organizzative che favoriscano un maggiore coinvolgimento dei genitori nella vita scolastica, investendoli della corresponsabilità educativa.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   SCANU e BOCCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Budelli è un bene unico e definito riserva generale, zona B, fin dal decreto del Presidente della Repubblica istitutivo dell'Ente Parco del 17 maggio 1996;
   più volte il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha tentato negli anni di acquisire al patrimonio pubblico la preziosa isola anche in considerazione dell'incapacità dei proprietari privati di effettuare anche la più elementare attività di pulizia e tutela del bene, fino a consegnare le sorti dell'isola al ben noto procedimento fallimentare;
   quando l'isola è stata assegnata a un cittadino neozelandese e il parco, anche su sollecitazione di oltre 100.000 cittadini e di quasi tutte le associazioni ambientaliste italiane, ha deciso di esercitare il diritto/dovere della prelazione previsto dalla legge n. 394 del 1991 proprio per i beni ricadenti nelle zone di tutela, lo stesso Parlamento con voto pressoché unanime ha approvato una norma di legge per destinare i fondi necessari per esercitare suddetto diritto;
   il procuratore generale emerito della Corte dei conti, dottor Claudio De Rose, ha esplicitato in un proprio parere la doverosità dell'esercizio del diritto di prelazione, poiché «il margine di discrezionalità dell'organismo pubblico si esaurisce e al suo posto subentra una situazione di doverosità verso il dettato normativo che ha previsto il diritto di prelazione pubblica. Tale disposizione, infatti, non va intesa come una proposizione astratta o di principio, bensì come una vera e propria norma di azione, basata su un preciso ed esplicito «favor» del legislatore per il passaggio del bene naturale alla mano pubblica, per le ragioni sopraesposte. Può dirsi, pertanto, che la norma impone al destinatario innanzitutto un dovere strumentale di verifica della convenienza ed utilità di tale passaggio e, successivamente, all'esito positivo della verifica, lo specifico dovere di provvedere di conseguenza. È evidente che l'inottemperanza a tale dovere concreti un illecito amministrativo, che può altresì costituire, in relazione agli effetti lesivi del patrimonio pubblico che ne derivino, motivo di responsabilità amministrativa per danno all'Erario»;
   in ossequio anche alla decisione del Parlamento il parco ha esercitato la prelazione e dopo numerose sentenze, tutte favorevoli, ha completato l’iter con il trasferimento della proprietà con decreto n. 1, registrato presso il tribunale di Tempio in data 2 gennaio 2015, e non impugnato;
   una sentenza del Consiglio di Stato, considerata da numerosi giuristi anomala, esclude la possibilità dell'Ente di esercitare il diritto di prelazione, certamente in contrasto con l'interesse dello Stato all'acquisizione al bene pubblico di un bene soggetto, fin dal 1992, ad attenzioni contro fenomeni speculativi, prima con l'emanazione del cosiddetto «Decreto Salva Budelli» e, dal 1994, con l'istituzione del parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena;
   il tribunale civile deve ancora esprimersi e l'Avvocatura dello Stato ha rilevato elementi tali da assistere il Parco nella difesa della scelta fatta dal Parlamento;
   va rilevata l'assenza di interventi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per sostenere attivamente l'interesse pubblico alla piena proprietà di un bene tanto a lungo danneggiato dalla incapacità dei privati;
   si è alla vigilia della discussione presso il tribunale delle esecuzioni fallimentari di Tempio, sull'applicazione della sentenza del Consiglio di Stato che ribalta la sentenza del TAR Sardegna sull'acquisizione al patrimonio pubblico dell'isola di Budelli in favore del parco –:
   quale sia l'intenzione dei Ministri interrogati per tutelare l'interesse comune e garantire la volontà del Parlamento che, a suo tempo, votò affinché si rendesse concreto l'obiettivo di acquisire l'isola al bene comune;
   se non ritengano opportuno un intervento immediato al fine di garantire la tutela pubblica del suddetto bene ambientale. (4-10811)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'isola di Budelli, sulla base delle informazioni acquisite dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si ricorda che l'isola di Budelli è in regime di proprietà privata da lungo tempo già prima dell'istituzione del parco della Maddalena. Nonostante ciò essa c stata fino ad ora preservata da ogni possibile speculazione e ha mantenuto inalterato il suo inestimabile valore ambientale.
  Le misure di salvaguardia previste dal decreto istituto del parco hanno assicurato la tutela del valore ambientale e paesaggistico dell'isola, valore, di cui il piano del parco, una volta approvato, dalla regione Sardegna d'intesa con l'ente parco, si farà maggiormente garante.
  In questo quadro, non sono apparse dunque sussistenti le condizioni per procedere alla espropriazione per pubblica utilità.
  Del resto anche l'articolo 1, comma 115, della legge 7 dicembre 2013, n. 147, si è limitato ad individuare apposite risorse economiche, al fine di garantire l'effettività dell'eventuale esercizio del solo diritto di prelazione, alle condizioni e nei termini contemplati dalle norme vigenti. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito di tale vicenda si è limitato a svolgere le attività, normativamente previste nell'ambito della funzione di vigilanza sulle delibere assunte dall'ente parco.
  Secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 1854 del 13 aprile 2015 del Consiglio di Stato, la menzionata prelazione non è stata legittimamente esercitata, in ragione della mancata adozione del piano parco. La procedura di approvazione del predetto, piano versa, infatti, da troppo tempo in una situazione di stallo. Al riguardo fin dallo scorso mese di settembre, il Ministero si è adoperato sollecitando l'ente parco al fine di dare seguito alla procedura in itinere. Si evidenzia inoltre che, ai fini dell'adozione del piano, l'articolo 12 della legge n. 394 del 1991, prevede una competenza dell'Ente Parco e della regione Sardegna. L'esigenza di garantire la totale e rigorosa tutela ambientale dell'isola, troverà comunque piena tutela in occasione dell'approvazione del regolamento del parco – nel quale e disciplinato l'esercizio delle attività consentite entro il territorio del medesimo attribuita dall'articolo 11 della medesima legge al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  In tale contesto, come è noto, il magnate neozelandese signor Harte, acquisita all'asta l'isola nel 2013, ha fatto valere in Consiglio di Stato il diritto a diventare proprietario dell'isola.
  Si fa presente, altresì, che nel mese di ottobre 2015 è stata convocata una riunione tecnica, allo scopo di promuovere un confronto tra le istituzioni dell'ente parco e i rappresentanti del signor Harte, con l'obiettivo di mantenere alta l'attenzione sulle imprescindibili esigenze di salvaguardia che caratterizzano l'isola, di Budelli e di garantire anche per il futuro i più alti standard di tutela ambientale.
  In sede di riunione, i rappresentanti del signor Harte illustrarono l'idea progettuale per Budelli, proponendo la costituzione di una apposita fondazione onlus denominata «La Maddalena – Osservatorio per la vita marina» dotata di risorse proprie, richiedendo all'ente parco di farne parte.
  Nel contesto della riunione è stata evidenziata dall'ente la necessità di assicurare una tutela dell'isola che fosse conforme alle esigenze di salvaguardia della peculiare biodiversità esistente e degli ecosistemi presenti e la tutela integrale «entry, no-take» dell'isola di Budelli, con la possibilità di fruizione controllata, spostando le attività di ricerca della fondazione sull'isola di Spargi, presso la già prevista «Casa del Parco».
  Comunque, nell'ambito delle proprie competenze il Ministero, a valle della definizione dei contenuti del piano da parte della regione, d'intesa con lo stesso ente parco, assicura la propria azione finalizzata a definire il procedimento di approvazione del regolamento del parco, strumento attuativo della disciplina di Piano.
  Ad ogni modo, si segnala che le esigenze di tutela e salvaguardia dell'isola di Budelli sono già ampiamente garantite dell'efficacia della rigida normativa vigente, a prescindere dalla proprietà pubblica o privata del bene, rilevando invece ai fini della tutela del valore ambientale c paesaggistico dell'isola la corretta applicazione della disciplina di tutela individuata nel piano parco e definita con il regolamento del parco. Pertanto, l'effetto di tutela di tale valore deriva non già dalla titolarità pubblica dei diritti dominicali sul bene, quanto piuttosto dal regime vincolistico normativamente stabilito per il medesimo.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel settore dei veicoli la normativa in materia di emissioni è regolata da numerose direttive comunitarie, la cui finalità è quella di stabilire regole comuni finalizzate alla omologazione dei veicoli destinati alla circolazione su strada per garantire la sicurezza della circolazione, la protezione della salute del cittadino e la salvaguardia dell'ambiente;
   lo «scandalo Volkswagen» ha dimostrato lo strapotere delle case automobilistiche nel determinare i limiti di emissione dei veicoli che, poi, complessi sistemi elettronici consentono comunque di bypassare;
   uno dei sistemi per abbattere le emissioni è costituito dal montaggio, a posteriori, sui veicoli di impianti GPL o metano, dispositivi omologati indipendentemente dai veicoli sui quali vengono montati e a prescindere dalla preventiva approvazione delle relative case costruttrici;
   questa tipologia di impianti ha contribuito e contribuisce tuttora alla notevole riduzione delle emissioni inquinanti;
   si stanno sviluppando moltissime iniziative relative a nuovi dispositivi idonei alla riduzione di emissioni emesse da autoveicoli dotati di motore ad accensione comandata, tra i quali l'uso del cosiddetto «ossidrogeno»;
   in questo tipo di impianto, l'ossidrogeno, è prodotto da un generatore tramite elettrolisi dell'acqua, dopo essere stato filtrato, e viene immesso direttamente nel collettore di aspirazione del motore;
   l'ossidrogeno non sostituisce il normale carburante di alimentazione del motore per autotrazione (benzina, gasolio, gpl, metano), bensì si miscela con esso migliorandone le caratteristiche di combustione;
   questo miglioramento della combustione genera diversi benefici, quali la sensibile riduzione delle emissioni inquinanti;
   la direzione generale della Motorizzazione civile respinge costantemente le richieste di approvazione dei dispositivi in questione (peraltro, a quanto consta all'interrogante, questi dispositivi si vendono liberamente su internet e si montano in una condizione di non sicurezza);
   la formula di respingimento viene formulata in questi termini: «...si informa codesta società che per il dispositivo in oggetto non è prevista l'omologazione in quanto non esiste sia in ambito internazionale che nazionale, la relativa normativa di riferimento. Si invita, pertanto, a presentare la richiesta ad un costruttore di autoveicoli che è l'unico soggetto idoneo a prevedere il dispositivo come elemento già appartenente all'autoveicolo e che potrà essere, in tal caso, verificato in sede di verifiche e prove per l'omologazione dello stesso autoveicolo. In merito a quanto richiesto si fa presente inoltre che nello specifico il Codice della strada Decreto L.vo n. 252 del 3004.1992 all'articolo 78 non contempla la possibilità di modificare le caratteristiche costruttive dei veicoli in assenza di appositi decreti regolamentari...»;
   tale contenuto appalesa una dipendenza assoluta dalle sole case costruttrici che non sembrano sempre interessate al «bene pubblico» ma al loro interesse, con la conseguenza che si hanno effetti irreparabili sull'ambiente –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda intraprendere il Ministro interrogato per ovviare alle eventuali norme ostative e/o alla interpretazione restrittiva dei regolamenti europei.
(4-11314)

  Risposta. — Con riferimento a quanto evidenziato con l'atto di sindacato ispettivo in esame, circa la validità di sistemi alternativi per la riduzione di emissioni inquinanti e tra questi quelli innovativi basati sull'uso dell'ossidrogeno, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Gli uffici competenti di questo Ministero, interpellati sull'argomento, si sono espressi formalmente rappresentando che al momento non risultano norme tecniche di riferimento, né in ambito comunitario né in ambito nazionale per l'utilizzo dell'ossidrogeno quale tecnologia idonea alla riduzione di emissione inquinanti.
  La posizione espressa non deriva da una asettica presa di distanza, ma consegue a una serie di incontri e confronti con i soggetti proponenti detta tecnologia.
  Al riguardo, occorre evidenziare che sull'utilizzo dell'ossidrogeno per l'alimentazione dei veicoli a motore non è mai stata prodotta idonea documentazione comprovante la reale efficacia della tecnologia in esame, intendendo per tale, i risultati di prove certificate effettuate sulla base di procedure ad inconfutabile evidenza scientifica, né è stata fornita alcuna evidenza di esperienze positive e/o regolamentate già in essere in Paesi esteri.
  Tuttavia, in varie occasioni è stata confermata la disponibilità di questa Amministrazione a valutare dispositivi innovativi che possano contribuire alla riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli a motore laddove ne sia dimostrata, nelle forme suddette, la relativa efficacia, ferme restanti la garanzia e la salvaguardia della sicurezza della circolazione stradale.
  Infatti, nell'ipotesi di comprovata validazione, in difetto di una specifica norma comunitaria, si potrebbe prevedere una regolamentazione nazionale, in applicazione dell'articolo 75, comma 3-bis, del Codice della strada, che stabilisce l'adozione di appositi decreti da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con i quali dettare norme specifiche per l'approvazione nazionale dei sistemi, componenti ed entità tecniche, nonché le idonee procedure per la loro installazione quali elementi di sostituzione o di integrazione di parte dei veicoli, su tipi di autovetture e motocicli nuovi o in circolazione.
  Detti sistemi, componenti ed entità tecniche così disciplinati possono, in deroga all'articolo 236, comma 2, del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della strada (decreto del Presidente della Repubblica del 16 novembre 1992, n. 495) essere installati sui veicoli senza la necessità di ottenere il preventivo nulla osta da parte della casa costruttrice del veicolo.
  Per completezza d'informazione si ricorda che l'eventuale adozione della norma tecnica prevede anche la procedura d'informazione in materia di norme e regolamentazioni tecniche di cui alla legge 21 giugno 1986, n. 317, modificata ed integrata dal decreto legislativo 23 novembre 2000 n. 427.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo recenti fonti di stampa si renderebbe necessario l'abbassamento dei limiti di velocità in tangenziale sud di Brescia da 110 Km/h a 90 Km/h, come azione volta al contrasto dell'inquinamento atmosferico, ma la misura non sarebbe stata ancora presa a causa di un contenzioso per l'individuazione della competenza per l'adozione del provvedimento;
   sembra che non si riesca a chiarire a chi competa istituire la limitazione della velocità sull'unica strada extraurbana principale del Bresciano: secondo la prefettura la decisione spetterebbe alla provincia in quanto proprietaria del tratto di strada, e dunque il prefetto Valenti avrebbe emesso un'ordinanza che riguarda la tangenziale sud, ma solo per vietare la circolazione degli euro 3 diesel dalle 8 alle 18; secondo il dirigente del settore strade della provincia la competenza per l'adozione del provvedimento sarebbe invece prefettizia, poiché ha una finalità non viabilistica, ma di salute pubblica;
   la situazione dell'inquinamento atmosferico della zona è grave visto che l'11 dicembre 2015 è stato il dodicesimo giorno consecutivo in cui le polveri sottili registrate dalle centrali dell'Arpa hanno superato i limiti di legge;
   secondo quanto emerge dall'ultimo rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente, l'Italia sarebbe il Paese dell'Unione europea con il maggior numero di morti premature rispetto alla normale aspettativa di vita a causa dell'inquinamento dell'aria;
   le polveri sottili, il biossido di azoto e l'ozono nei bassi strati dell'atmosfera avrebbero causato 84.400 decessi nel nostro Paese nel corso del 2012;
   in Italia il problema delle micro polveri investe principalmente la Pianura Padana, con città come Brescia, Monza, Milano e Torino che oltrepasserebbero il limite della concentrazione media annua di 25 microgrammi per metro cubo d'aria, fissato a livello dell'Unione europea –:
   se il Governo non ritenga necessario nonché urgente fare chiarezza sul contenzioso riguardante la tangenziale sud di Brescia di cui in premessa per appurare a chi spetti la competenza sull'abbassamento del limite di velocità, necessario come misura contro l'inquinamento atmosferico, al fine di sbloccare al più presto l’impasse burocratico-amministrativa che si è creata e che mette a rischio la salute dei cittadini coinvolti;
   se il Governo, qualora fosse appurata la competenza in capo al prefetto per l'abbassamento del limite di velocità cui sopra, non consideri necessario attivarsi affinché questa misura venga attuata al più presto, per la salvaguardia della salute dei cittadini della zona interessata;
   se il Governo, qualora la competenza non fosse di semplice attribuzione, non intenda promuovere un incontro di coordinamento e concertazione tra la provincia e la prefettura in modo da trovare la modalità più corretta per superare questo ostacolo e, trovata la soluzione, non intenda poi assumere iniziative, se del caso anche attraverso una circolare in proposito, al fine di evitare future situazioni di stallo di questo genere;
   quali altre iniziative di competenza il Governo intenda mettere in atto o stia attuando per combattere l'inquinamento atmosferico di Brescia e provincia e salvaguardare la salute degli abitanti della zona. (4-11488)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Ministro dell'interno sulla necessità di individuare l'ente competente ad adottare la misura dell'abbassamento dei limiti di velocità nella tangenziale sud di Brescia, misura che appare necessaria per la tutela della salute in conseguenza dell'inquinamento atmosferico, determinato dalla concentrazione delle polveri sottili.
  Sul piano normativo, si osserva che, ai sensi dell'articolo 6 del codice della strada, il prefetto può sospendere temporaneamente la circolazione stradale per motivi di sicurezza pubblica, di sicurezza della circolazione o di tutela della salute, ma non gli sono attribuiti poteri specifici in materia di disposizione di limiti di velocità.
  Questi ultimi, infatti, sono fissati dagli enti proprietari della strada ai sensi dell'articolo 142, comma 2, in base a direttive impartite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che può modificare i provvedimenti assunti in contrasto con le proprie direttive, anche procedendo direttamente all'esecuzione delle opere necessarie, con diritto di rivalsa sull'ente proprietario.
  Premesso quanto sopra, con riferimento al tema specifico dell'interrogazione, si comunica quanto segue.
  Il 12 dicembre 2015 presso il comune capoluogo, si è tenuto un tavolo tecnico teso a verificare l'eventuale necessità dell'adozione di misure cautelative atte a contenere le elevate concentrazioni di polveri sottili (PM 10) e, in generale, l'inquinamento atmosferico sul territorio provinciale.
  Nel corso della riunione, è emerso che i valori monitorati dalla rete di rilevamento, dislocata nell'intera area provinciale, della qualità dell'aria indicavano numerosi e consecutivi episodi di superamento dei limiti stabiliti dalle normative vigenti relativamente al particolato PM 10, a causa delle emissione di «polveri sottili» da parte del traffico veicolare.
  In conseguenza di ciò, 24 comuni (compreso quello di Brescia) appartenenti alla cosiddetta «area critica», hanno adottato apposite ordinanze di limitazione della circolazione, nei territori di rispettiva pertinenza.
  La prefettura di Brescia, interessata al fine di assicurare una omogeneità dei provvedimenti e l'applicazione a tutti i comuni della misura concordata della limitazione della circolazione stradale – non potendo le autorità comunali agire sui tratti di strada provinciale non ricadenti nei centri abitati – in considerazione di quanto disposto dall'articolo 6, comma 1 e dall'articolo 7, comma 3 del codice della strada, ha provveduto, con ordinanza del 16 dicembre 2015, ad estendere il fermo della circolazione sulla strada provinciale (tangenziale sud) nel tratto interessato dalla «area critica», che era stata in tal senso individuata dall'amministrazione provinciale di Brescia, debitamente interessata al riguardo.
  L'ordinanza prefettizia, successivamente prorogata a causa del protrarsi della situazione che vi aveva dato origine, ha esplicato la sua efficacia sino al 31 dicembre 2015.
  In ordine al provvedimento sulla riduzione dei limiti di velocità sulla strada provinciale (da 110 chilometri orari a 90 chilometri orari), si rappresenta che esso non poteva che essere adottato dall'amministrazione provinciale di Brescia.
  E infatti questa, dopo a seguito dell'adozione dei citati provvedimenti comunali e del prefetto, è intervenuta disponendo la temporanea riduzione del limite di velocità da 110 a 90 chilometri orari, a decorrere dal giorno 30 dicembre e sino al 13 gennaio 2016.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SPESSOTTO, MANNINO, LOREFICE, BECHIS, D'UVA, DE LORENZIS, COZZOLINO e ABRIGNANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 92/43/CEE, recepita in Italia con il decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 e successive modificazioni, mira alla tutela e alla salvaguardia della biodiversità negli Stati membri, definendo, a tal fine, un quadro comune per la conservazione degli habitat, delle piante e degli animali di interesse comunitario;
   in base a tale direttiva, denominata «Habitat», vengono classificati i siti di importanza comunitaria (SIC) che, nella regione biogeografica di appartenenza, contribuiscono in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale in uno stato di conservazione soddisfacente e che possono inoltre contribuire in modo significativo alla coerenza della rete ecologica denominata «Natura 2000»;
   in particolare, gli allegati I e II della direttiva in oggetto contengono i tipi di habitat e le specie la cui conservazione richiede la designazione, da parte degli Stati membri, di Zone speciali di conservazione (ZSC);
   l'articolo 4, comma 4, della direttiva «Habitat» prevede espressamente, a tal fine, che ciascuno Stato membro provveda a designare come zone speciali di conservazione i siti individuati come siti di importanza comunitaria (SIC), il più rapidamente possibile e comunque entro un termine massimo di sei anni, ai fini della creazione della rete ecologica europea di zone speciali di conservazione «Natura 2000»;
   il predetto limite temporale è altresì funzionale alla creazione di una rete ecologica europea «coerente» di ZSC, come prescritto dall'articolo 3 della direttiva, nonché a garantire uno stato di conservazione soddisfacente dei siti, occorrendo altrimenti procedere ad interventi di ripristino che il ritardo nell'adozione delle misure di conservazione può rendere particolarmente gravosi;
   conformemente alle disposizioni contenute nella direttiva «Habitat», l'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 prevede che la designazione delle zone speciali di conservazione avvenga con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, adottato d'intesa con ciascuna regione interessata, entro il termine massimo di sei anni dalla definizione dell'elenco dei siti da parte della Commissione europea;
   in Italia esistono ben 2.299 siti riconosciuti, ai sensi della direttiva «Habitat», come siti d'interesse comunitario (SIC), di cui però solo 27 sono stati attualmente designati come zone speciali di conservazione (ZSC);
   il primo decreto di designazione delle zone speciali di conservazione (ZSC) italiane, con il quale sono state istituite le prime 27 zone speciali di conservazione nella regione biogeografica alpina della regione Valle d'Aosta, è stato emanato il 7 febbraio 2013;
   la Commissione, con propria decisione del 16 novembre 2012, ha adottato, in base alla direttiva 92/43/CEE del Consiglio, il sesto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale, tra i quali sono compresi anche i siti ubicati all'interno della regione Veneto;
   in particolare, secondo quanto viene riportato dal sito web della regione, in Veneto, sono complessivamente presenti 67 ZPS e 102 SIC, tra loro variamente sovrapposti, per un totale di 128 siti rientranti nella rete Natura 2000. La superficie complessiva dei siti suddetti è pari a 414.675 ettari (22,5 per cento del territorio regionale) con l'estensione delle ZPS pari a 359.882 ettari e quella dei SIC a 369.882 ettari;
   attualmente, nonostante il limite temporale di sei anni normativamente prescritto dalla direttiva «Habitat», in nessuna regione italiana appartenente all'area biogeografia continentale sono state approvate e riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le ZSC;
   come riportato dal sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la designazione delle zone speciali di conservazione rappresenta un passaggio fondamentale per la piena attuazione della Rete Natura 2000, poiché garantisce l'entrata a pieno regime di misure di conservazione del sito specifiche e offre una maggiore sicurezza per la gestione della rete e per il suo ruolo strategico finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo di arrestare la perdita di biodiversità in Europa entro il 2020;
   ciononostante, alla data odierna, risulta che l'Italia abbia provveduto alla designazione delle sole zone speciali di conservazione della regione biogeografica alpina e limitatamente alla sola regione Valle d'Aosta –:
   se i Ministri interrogati intendano intraprendere misure concrete volte alla designazione nel territorio italiano, nei tempi stabiliti dall'articolo 4 della direttiva 92/43/CEE e dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, dei siti di importanza comunitaria (SIC) come zone speciali di conservazione (ZSC), in particolare nell'area biogeografica continentale, e se intendano altresì assumere iniziative immediate, in accordo con tutte le regioni interessate, per dare piena attuazione alla direttiva «Habitat», onde evitare l'apertura di una procedura di infrazione contro l'Italia e risolvere positivamente il caso EU Pilot che eventualmente fosse stato già avviato dalla Commissione europea nei confronti del nostro Paese in materia di mancata designazione delle zone ZCS;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della mancata designazione delle zone ZCS presenti nella regione Veneto e se intendano promuovere quanto prima, e d'intesa con la regione interessata, iniziative realmente efficaci per realizzare, in tempi brevi, quanto previsto dalla direttiva Habitat, rispettando in tal modo gli impegni assunti con l'Unione europea a favore della conservazione della biodiversità e proseguendo in tal modo nell'effettiva istituzione della Rete Natura 2000, che riveste un ruolo fondamentale per la tutela degli habitat naturali in questa regione.
(4-02275)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla designazione, nel territorio italiano, dei siti di importanza comunitaria (SIC) come zone speciali di conservazione (ZSC) in attuazione della direttiva «Habitat», si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che il 23 ottobre 2015 la Commissione europea, archiviando negativamente il Pilot 4999/13/ENVI motivato dal ritardo con cui 1 Italia stava procedendo alla designazione dei siti di importanza comunitaria (SIC) in zone speciali di conservazione (ZSC), ai sensi dell'articolo 4, comma 4 della direttiva 92/43/CEE, ha inviato una lettera di messa in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, con l'avvio della procedura di infrazione 2015/2163.
  La designazione dei SIC in ZSC avviene secondo quanto previsto dall'articolo 4 della direttiva Habitat e dall'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e dall'articolo 2 del decreto ministeriale 17 ottobre 2007.
  L'articolo 4, comma 4, della citata direttiva prevede che gli Stati membri designino i siti in zone speciali di conservazione, entro il termine massimo di 6 anni dalla pubblicazione ufficiale, negli elenchi dei siti di importanza comunitaria da parte della commissione, e su tali ZSC adottino le opportune misure di conservazione.
  In base al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 di recepimento della direttiva «Habitat», la competenza della gestione della rete natura 2000 è in capo alle regioni e province Autonome, cui spetta la definizione degli obiettivi di conservazione e l'individuazione, mediante proprio atto, delle misure di conservazione funzionali alla predisposizione del decreto ministeriale di designazione delle ZSC.
  I siti di interesse comunitario rilevati nel territorio italiano sono 2314 e, così come riportato nel sito web del Ministero dell'ambiente (sezione Natura — Natura 2000 — ZSC designate – http://www.minambiente.it/pagina/zsc-designate), il numero di Zone Speciali di Conservazione ad oggi designate è 522.
  Il 4 novembre 2015 ha avuto luogo presso la direzione generale per la protezione della natura e del mare del Ministero dell'ambiente, un incontro con tutti gli assessorati regionali competenti, durante il quale è stata sollecitata la definizione dell'iter di individuazione e di approvazione delle misure di conservazione dei SIC ancora da designare.
  Conseguentemente, le regioni hanno fornito un aggiornamento sullo stato di approvazione delle misure di conservazione, in base al quale è stata elaborata la risposta all'atto di messa in mora (inoltrata in data 18 dicembre 2015 alla Presidenza del Consiglio e quindi trasmessa il 21 dicembre ai servizi della Commissione), ai sensi dell'articolo 258 del TFUE del 22 ottobre 2015, dal quale è possibile dedurre il seguente cronoprogramma:
   entro febbraio 2016 dovrebbero essere emanati i decreti per la designazione di 554 siti;
   entro giugno 2016 dovrebbero essere designati 562 siti;
   ulteriori 545 dovrebbero essere designati entro ottobre 2016;
   entro i primi mesi del 2017 dovrebbero essere designati altri 113 siti.

  Tuttavia, nell'ambito di una ulteriore riunione tenutasi il 20 gennaio scorso per richiamare le regioni al rispetto di quanto concordato nella riunione di novembre, al fine di chiudere a breve termine la procedura di infrazione evitando così la condanna, talune di esse hanno evidenziato delle difficoltà nel mantenimento degli impegni presi.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è teso disponibile a facilitare la risoluzione delle criticità evidenziate, al fine di velocizzare il processo di designazione.
  Ad ogni modo, dallo scorso novembre ad oggi le regioni si sono adoperate al fine di rispettare gli impegni presi a novembre e rinnovati a gennaio, e sono addivenute alla approvazione delle misure di conservazione per un numero significativo di altri siti, permettendo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la designazione di 119 zone speciali di conservazione di cui 118 per la Sicilia e una in Lombardia.
  Si prevede, inoltre, la designazione di ulteriori 402 ZSC entro marzo 2016. Ovviamente resterà ferma la continua azione di impulso del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, volta al rispetto della rimanente parte del cronoprogramma.
  Infine, si rappresenta che anche la regione Veneto, che deve ancora designate 104 siti, sta completando la predisposizione delle misure di conservazione che permetteranno la designazione di tutti i SIC entro luglio 2016.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgete un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competente, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TARICCO, BARGERO, BOBBA, BORGHI, FIORIO e GRIBAUDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ex Acna di Cengio, oggi Syndial, ha alle spalle una storia di inquinamento lunga oltre cento anni, a testimonianza della quale l'area interessata dall'impianto custodisce ancora oggi 4 milioni di metri cubi di rifiuti speciali;
   a seguito della sua chiusura definitiva, avvenuta nel marzo 1999, viene nominato il primo commissario straordinario per il risanamento del sito inquinato di Cengio-Saliceto e vengono siglati accordi di programma che stabiliscono le linee guida finalizzate al risanamento ambientale dell'area;
   nel marzo del 2003, il commissario straordinario per il sito Cengio – Saliceto cita in giudizio l'Acna per l'inquinamento causato ai territori piemontese e ligure, chiedendo il risarcimento per le parti lese;
   nell'aprile del 2006, la Regione Liguria avanza la richiesta di acquisto del sito ex-Acna per effettuarvi una reindustrializzazione, dopo una messa in sicurezza, ma non una bonifica integrale. Nelle bozze dell'accordo per l'acquisto dell'area, la Syndial, proprietaria dell'Acna, inserisce la clausola secondo cui essa non sarebbe responsabile di contaminazioni, passate o future, che si verificassero dopo il 6° anno dalla certificazione dell'avvenuta bonifica. Tale clausola non tiene conto degli interessi della regione Piemonte, escluso dall'accordo, poiché le conseguenze di eventuali inquinamenti ricadrebbero, in buona parte, proprio sul territorio piemontese. Vale la pena al proposito, citare uno studio pubblicato nel marzo 2009 sul quotidiano Il Sole 24 Ore, secondo il quale il risarcimento complessivo per il danno provocato dall'ACNA sarebbe quantificabile in almeno 253 milioni di euro e che in caso di cessione del sito alla regione Liguria, il Piemonte perderebbe quasi 190 milioni di Euro;
   alla fine del 2008, la Syndial propone alla regione Liguria la cessione gratuita del sito ex-Acna, in cambio della rinuncia all'azione risarcitoria;
   in data 13 ottobre 2010, dopo dieci anni di interventi e 400 milioni di euro di investimenti pubblici e privati, in occasione di un incontro a Cengio (SV), al quale hanno preso parte il Capo della protezione civile, il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, nonché i presidenti delle regioni Liguria e Piemonte ed il nuovo commissario delegato, è stata annunciata la fine dei lavori di bonifica;
   ripetutamente dal 2010 alcuni gruppi ambientalisti e comitati di cittadini della Val Bormida hanno espresso pubblicamente forti preoccupazioni in merito agli interventi di bonifica del sito chimico, che avrebbero, a loro dire, lasciato fuori alcune aree, ed alla presenza, all'interno della stessa area bonificata, come si è detto, di circa 4 milioni di metri cubi di rifiuti pericolosi;
   nel marzo del 2011, la Commissione europea invia all'Italia un «parere motivato» nel quale mette sotto accusa i lavori realizzati nel sito ex-Acna. Più precisamente, secondo l'UE le autorità italiane avrebbero autorizzato il progetto di risanamento senza effettuare la valutazione di impatto ambientale e omettendo di applicare la direttiva 99/31/CE, sulle discariche di rifiuti, in relazione alle operazioni di deposito e interramento di terreno contaminato e rifiuti giacenti nell'area industriale di cui trattasi;
   risulta agli interroganti che sulla questione, l'Associazione ambientalista WWF-Italia avrebbe presentato un esposto alla Corte dei conti per danno erariale;
   nel novembre del 2010 la comunità montana Langa Astigiana-Val Bormida ha trasmesso alla regione Piemonte un ordine del giorno, avente ad oggetto l'accordo tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Piemonte e regione Liguria per la bonifica della Valle Bormida, in cui si chiede di procedere alla nomina del gruppo di esperti per la quantificazione dell'entità del danno ambientale previsto negli accordi con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché di stabilire che la regione Piemonte debba essere destinataria del 75 per cento dell'intero risarcimento previsto, come contemplato negli accordi siglati tra le parti e, infine, di far si che le risorse vadano a beneficio di tutta la Valle Bormida di Millesimo, in proporzione rispetto alla vicinanza dei comuni al sito ex ACNA;
   dopo decenni di inquinamento subito dai cittadini liguri e piemontesi, a quattordici anni dalla chiusura dell'impianto e dopo tre anni dalla chiusura delle procedura di bonifica permangono forti dubbi sulla reale situazione del sito ex-Acna, in particolare per quanto concerne le zone dove sarebbero presenti i suddetti 4 milioni di metri cubi di rifiuti pericolosi, nonché l'area Bazzaretti nel comune di Saliceto (Cuneo), per la quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel 2008, prescrisse la messa in sicurezza, ma nella quale, ad oggi, non risulterebbe compiuto alcun lavoro di bonifica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto narrato in premessa e quali siano i suoi orientamenti al riguardo; se non ritenga opportuno verificare la fondatezza delle numerose critiche avanzate rispetto alla correttezza e completezza dei lavori di bonifica; se non ritenga necessario avviare una indagine per valutare la pericolosità del permanere nell'area industriale di cui trattasi, di una grandissima quantità di rifiuti tossici; se non reputi, infine, di dover accertare l’iter e l'esito della procedura per il risarcimento del danno ambientale, considerando un'equa ripartizione, sulla base del danno realmente subito, tra i territori delle regioni Liguria e Piemonte;
   se il Ministro sia a conoscenza della avviata procedura di messa in vendita del sito dello stabilimento Syndial ex Acna e delle modalità con cui si sta svolgendo la stessa e quali garanzie vi siano sulla manutenzione e completamento delle bonifiche, anche relativamente alla fideiussione che su tale processo era stata rilasciata dalla Syndial stessa. (4-00938)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alle criticità dell'area ex Acna di Cengio, oggi Syndial S.p.A., in base agli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Nell'ambito delle iniziative di bonifica previste nel sito di interesse nazionale di Cengio-Saliceto, allo stato attuale risultano completate tutte le attività inerenti la messa in sicurezza del sito nel suo complesso (opere di confinamento idraulico delle aree A1, A2 e A2BIS), nonché la rimozione dei terreni contaminati, conformemente ai progetti di bonifica approvati, nelle aree A2 (area destinata alla reindustrializzazione in base all'accordo di programma del dicembre 2000), A4 (Pian Rocchetta), A2BIS (area impianto trattamento ITAR e depuratore consortile) ed A3 (area golenale).
  Le attività ancora da completare risultano essere così sintetizzabili:
   AREA A3 – ricostruzione dell'argine golenale sormontabile e della briglia in zona e collegamento al sistema di rilevazione in continuo dei pienometri per il monitoraggio post operam installati;
   AREA A1 — realizzazione del capping e riprofilatura dell'area A1 e installazione del sistema di monitoraggio post operam;
   AREA A2 BIS – realizzazione dell'impianto di trattamento delle acque di falda residue (TAF) e dismissione e demolizione dell'attuale impianto ITAR.

  La chiusura complessiva di tutti gli interventi, allo stato attuale delle attività, risulta prevedibile non prima della fine del 2017. L'attività di certificazione, svolta dall'ente provinciale è stata condotta in conformità al decreto ministeriale n. 471 del 1999, norma rispetto alla quale sono stati approvati tutti i progetti di bonifica relativi al sito (anche successivamente l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 152 del 2006).
  Ad oggi l'amministrazione provinciale ha rilasciato, in funzione dello stato di attuazione degli interventi, le relative certificazioni. Restano ancora da rilasciare, una volta completati gli interventi nelle rispettive aree, le seguenti certificazioni:

   a) certificazione di avvenuta bonifica con misure di sicurezza dell'area A2BIS/2 (in corso di predisposizione);
   b) certificazione di avvenuta bonifica dell'area A3;
   c) certificazione di messa in sicurezza permanente dell'area A1 (certificazione da rilasciarsi a valle del monitoraggio di almeno 5 anni);
   d) certificazione globale delle opere di messa in sicurezza realizzate per garantire il confinamento idraulico dell'area A2 (certificazione da rilasciarsi a valle del monitoraggio di almeno 5 anni).

  In relazione allo sviluppo delle aree ex Acna, una volta bonificate, si riportano le informazioni come acquisite dal competente assessorato regionale.

  La Syndial s.p.a. nel 2013 ha posto in essere una procedura per l'individuazione di un offerente a cui cedere l'intero sito in oggetto, prevedendo anche il trasferimento a tale soggetto l'onere del completamento della bonifica. E stata ricevuta una sola proposta avanzata da associazione di imprese a vocazione, prevalentemente logistica, ma le trattative non sono andate a buon fine.
  In ragione di quanto sopra, è stata rivalutata la possibilità di individuare un percorso per il reinsediamento a fini produttivi del sito attraverso una operazione a gestione pubblica limitatamente alle aree ad oggi bonificate e certificate (area A2 e area A4), mantenendo in capo all'attuale proprietà la conclusione del processo di messa in sicurezza e bonifica sulle restanti parti dell'area.
  A fronte di quanto esposto, la regione ha ritenuto opportuno verificare, per il tramite della propria Finanziaria FILSE, modalità e condizioni per addivenire all'eventuale acquisizione della aree bonificate e certificate sopra citate avviando un'interlocuzione con la stessa Syndial s.p.a.
  La FILSE ha avviato un confronto con Syndial s.p.a., ad oggi sospeso in ragione della sopravvenuta manifestazione di interesse, nell'aprile 2015, da parte della società Phoenix Development Italia s.r.l., con sede a Milano, circa l'intenzione a strutturare un progetto di reindustrializzazione dell'area che avrebbe come momento prodromico l'acquisto del sito stesso. La trattativa è stata avviata ed è attualmente in corso.
  Infine, si ritiene utile fornire un aggiornamento per quanto attiene la questione del danno ambientale.
  La regione Liguria, anche con il supporto di FILSE, ha determinato le possibili misure volte a garantire la riparazione dei danni ambientali individuati ai sensi di quanto stabilito nell'Allegato 3 della parte VI del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In tale ambito sono state valutate e selezionate le iniziative percorribili anche alla luce delle strategie localizzative previste sull'area.
  A tal proposito è stato predisposto il documento «Danno Ambientale: iter logico metodologia)» per definire il risarcimento del danno ambientale nell'area Cengio – Valle Bormida, presentato in sede di tavolo tecnico costituito tra Ministero dell'ambiente, regione Piemonte, regione Liguria e Syndial s.p.a.. Durante il suddetto tavolo tecnico è proseguito il confronto tra le parti senza, tuttavia, giungere ad una soluzione transattiva.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TIDEI, MARCO DI MAIO, BORGHI, VICO, LUCIANO AGOSTINI, CRIVELLARI, MINNUCCI, ROMANINI, SCUVERA, D'OTTAVIO, ZAN, GADDA, BONOMO, FABBRI, CARRESCIA, PORTA, VILLECCO CALIPARI, CASELLATO, CIMBRO, MORETTO, MURA, CANI, NARDUOLO, LODOLINI, GRASSI, CARLONI, CAMPANA, QUARTAPELLE PROCOPIO, MIOTTO, PREZIOSI, IORI, ROSSOMANDO, LACQUANITI e VALERIA VALENTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni si apprende da fonti della stampa, e non solo, delle difficoltà relative al mantenimento in vita della memoria legata a quei folli e drammatici eventi che hanno caratterizzato gli anni della seconda guerra mondiale. Le deportazioni e lo sterminio degli ebrei vengono ricordati con straordinaria efficacia nel museo di Auschwitz-Birkenau;
   i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau oggi sono uno straordinario spazio dedicato alla memoria. La visita di quei luoghi rappresenta un fattore di indiscutibile importanza per conoscere quelle funeste pagine della Storia, tra le più orrende e vergognose;
   nel «Blocco 21» del museo di Auschwitz, padiglione destinato a tramandare la memoria della deportazione italiana, è installato, dal 1980, il Memoriale, vera e propria opera d'arte multimediale, realizzata da artisti e intellettuali che sperimentarono di persona la deportazione, di proprietà dell'ANED (Associazione nazionale ex deportati), che rappresenta un potente simbolo della memoria, pur riflettendo il contesto storico, culturale e politico dell'epoca in cui fu realizzato;
   da alcuni anni il «Blocco 21» è chiuso al pubblico e il Memoriale, non più accessibile ed a rischio di degrado – con grave sconcerto dei numerosissimi visitatori, in particolare italiani – a causa dei rilievi avanzati dalle autorità polacche, responsabili del complesso museale di Auschwitz, circa la non rispondenza del Memoriale stesso ai criteri museografici prescritti per i padiglioni nazionali inseriti nel complesso;
   in via di principio, la soluzione culturalmente più corretta sarebbe stata il restauro del Memoriale nella sede per la quale fu concepito, insieme ad una opportuna contestualizzazione storica e culturale, ma le autorità polacche si sono sempre fermamente opposte a ciò, giungendo da ultimo ad esigere una data per la rimozione del Memoriale dal «Blocco 21»;
   conseguentemente, negli anni si è svolta una complessa trattativa fra autorità polacche, Governo italiano e ANED, a conclusione della quale l'associazione, dando prova di moderazione e di realismo, si è piegata obtorto collo a questa richiesta, pur non condividendola, e si è detta disponibile a trasferire l'opera in Italia, così da lasciare spazio a un nuovo allestimento italiano nel Blocco 21 di Auschwitz. Pertanto l'ANED ha rivolto un appello al Governo, alle istituzioni e alle forze politiche e culturali, affinché concorressero a reperire le risorse e gli spazi necessari per una degna conclusione di una vicenda spiacevolissima e offensiva per tutti i superstiti dei campi e i familiari dei caduti. L'ANED ha quindi chiesto al Governo di proporre, in tempi stretti, una soluzione concreta e praticabile e mettere a disposizione le risorse per realizzarla;
   a seguito di una lunga e complessa istruttoria, condotta dalla Presidenza del Consiglio, con la collaborazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e grazie alla disponibilità manifestata dal comune di Firenze e dalla regione Toscana, nonché dall'ANED stessa, è stato sottoscritto, il 20 maggio 2015, un protocollo di intesa fra comune, regione, ANED e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi del quale, in sintesi:
    1) i sottoscrittori si impegnano, ciascuno negli ambiti di competenza propri, a restituire alla fruibilità ed alla memoria pubblica il Memoriale, nella pluralità dei suoi significati storici, artistici e di memoria civile;
    2) in particolare, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, grazie ai fondi messi a disposizione dalla Presidenza del Consiglio, si impegna a:
     a) espletare le procedure per l'individuazione del soggetto cui saranno affidate le operazioni di documentazione, messa in sicurezza, smontaggio e trasporto del Memoriale dalla collocazione attuale nel museo di Auschwitz a Firenze;
     b) coordinare le operazioni di cui alla lettera a) attraverso l'Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (ISCR) e l'Opificio delle pietre dure di Firenze;
     c) avviare le procedure per la dichiarazione del Memoriale quale opera di interesse culturale, ai sensi della normativa vigente in materia di diritto d'autore;
    3) il comune di Firenze si impegna a individuare e destinare uno spazio adeguato al temporaneo ricovero del Memoriale per il tempo strettamente necessario alle operazioni di trasformazione dell'intero immobile denominato «EX3» e alla funzionalizzazione della porzione destinata ad accogliere l'opera, nonché a:
     a) curare la progettazione esecutiva e la realizzazione delle opere di trasformazione dell'immobile denominato EX3, che dovranno essere condivise con i sottoscrittori del protocollo, al fine di consentire il riallestimento del Memoriale;
     b) assumere la direzione tecnica della realizzazione dei lavori;
    4) l'ANED si impegna:
     a) a consentire le operazioni di smontaggio, trasporto, restauro e deposito temporaneo del Memoriale nello spazio individuato dal comune di Firenze;
     b) a stipulare un contratto di comodato d'uso gratuito con il comune di Firenze, proprietario dell'immobile che ospiterà il Memoriale, al fine di garantire l'esposizione, in via permanente, nell'area indicata e la sua fruizione pubblica;
    5) il nuovo allestimento, ispirandosi alle esperienze museografiche internazionali più aggiornate, verrà corredato da un apparato storico-documentario che favorisca:
     a) la più ampia fruibilità culturale, formativa e didattica;
     b) la comprensione storico-critica del Memoriale, nel suo aspetto originario e documentale di testimonianza artistica multidisciplinare, della deportazione razziale e politica nell'universo concentrazionario, nel quadro del totalitarismo nazi-fascista in Italia e in Europa;
    6) la regione Toscana si impegna in particolare a riorientare le pluriennali politiche della memoria, aggregando intorno al Memoriale le seguenti attività: ricerca, formazione, diffusione di conoscenze su leggi razziali, deportazioni, sterminio; costruzione di memoria civile sui meccanismi che hanno determinato la degenerazione del sistema democratico nel fascismo e nel totalitarismo nazi-fascista, da porre in relazione con la conoscenza delle discriminazioni, violenze, esclusioni ancora perpetrate nel Novecento ed oggi a danno di popoli, categorie, settori e persone;
    7) il comune di Firenze si impegna a garantire la fruizione pubblica del monumento nella sede individuata, secondo orari di apertura in linea con gli standard nazionali e con un adeguato servizio di sorveglianza;
    8) il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si impegna a esercitare attivamente, in coordinamento con l'associazione proprietaria e gli enti sottoscrittori della presente Intesa, le proprie funzioni, ai fini della migliore tutela e valorizzazione del Memoriale, in conformità ai princìpi del codice dei beni culturali e del paesaggio;
    9) un comitato tecnico-scientifico presidierà all'elaborazione del progetto scientifico-culturale della ricontestualizzazione del Memoriale. Il comitato sarà composto dai rappresentanti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, della regione Toscana, del comune di Firenze, dell'ANED e da studiosi e personalità della cultura congiuntamente individuati;
   il Governo ha più volte informato il Parlamento sulla complessa vicenda, in particolare il Ministro Franceschini rispondendo al question time nell'Aula della Camera, nella seduta dell'11 febbraio 2015, n. 375, e fornendo risposte scritte all'interrogazione presentata alla Camera: la n. 4-03864, la cui risposta è stata pubblicata l'11 giugno 2015 (Sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo Borletti Buitoni) e alle interrogazioni presentate al Senato n. 4-07719, la cui risposta è stata pubblicata il 28 luglio 2015 (Sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo Borletti Buitoni) e n. 4-07473, la cui risposta è stata pubblicata l'8 settembre 2015 (Sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale Della Vedova);
   l'Italia non può perdere quell'inestimabile patrimonio storico perché ciò significherebbe lasciar morire la memoria. Soltanto con la salvaguardia del Memoriale e la nuova valorizzazione del «Blocco 21» è possibile tenere alta l'attenzione per quei temi tanto delicati quanto drammatici. L'antidoto più forte per contrastare l'odio razziale, il pregiudizio dominante, le guerre è, e sarà, la memoria –:
   quali iniziative il Governo abbia intrapreso, per assicurare, da un lato, la piena salvaguardia e valorizzazione del Memoriale e la sua migliore contestualizzazione storica e culturale nella nuova sede e, dall'altro, il nuovo allestimento del «Blocco 21» nel museo di Auschwitz, in conformità con i più aggiornati criteri storici, didattici e museografici, al fine comune di conservare e tramandare una memoria storica di inestimabile importanza. (4-10881)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nel quale l'Onorevole interrogante, richiamate puntualmente le vicende che hanno condotto a consentire la rimozione del Memoriale italiano dei deportati nei campi di sterminio nazisti, ospitato nel blocco 21 del museo di Auschwitz, e a decidere il suo trasferimento in Italia, chiede «quali iniziative il Governo abbia intrapreso, per assicurare, da un lato, la piena salvaguardia e valorizzazione del Memoriale e la sua migliore contestualizzazione storica e culturale nella nuova sede e, dall'altro, il nuovo allestimento del Blocco 21 nel museo di Auschwitz, in conformità con i più aggiornati criteri storici, didattici e museografici, al fine comune di conservare e tramandare una memoria storica di inestimabile importanza».
  Nell'interrogazione cui si risponde, l'interrogante ha ripercorso dettagliatamente tutta la recente vicenda che ha riguardato il Memoriale italiano dei deportati nei campi di sterminio nazisti, ospitato nel blocco 21 del museo di Auschwitz, richiamando anche le risposte fornite dal Governo al Parlamento, in occasione di diverse interrogazioni parlamentari.
  Il Governo ha da sempre ritenuto un dovere imprescindibile quello di garantire la conservazione della memoria della tragica pagina della storia italiana relativa alla persecuzione nazi-fascista e alle deportazioni nel campo di prigionia di Auschwitz, attraverso la realizzazione di ogni intervento idoneo a riallestire il blocco 21, in modo conforme alle nuove linee guida del museo e nel rispetto della volontà dell'Associazione nazionale ex deportati nei campi di sterminio (Aned), proprietaria del Memoriale. Quest'ultima, nel 2014, ha acconsentito al trasferimento del Memoriale presente nel museo di Auschwitz, a patto che fosse assicurato il mantenimento dell'integrità dell'opera, al fine di renderla successivamente fruibile dal pubblico, in considerazione del suo alto valore storico per la memoria della persecuzione nazi-fascista.
  Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact), in attuazione degli indirizzi del Governo espressi in materia nella seduta della Camera dei deputati dell'11 febbraio 2015, si è adoperato per definire le modalità di smontaggio, trasporto, ricollocazione e restauro nella nuova sede dell'opera. Tra le diverse ipotesi esplorate di collocazione in città italiane, la scelta, condivisa con l'Aned, è caduta sulla sede proposta dal comune di Firenze, con il sostegno della regione Toscana, presso la struttura denominata EX3, posta in viale Donato Giannotti 81/85, ritenuta idonea a consentirne la conservazione e la valorizzazione.
  Conseguentemente il Mibact, la Regione, il comune e l'Aned il 20 maggio 2015 hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per definire le modalità del trasferimento del memoriale a Firenze e per la sua successiva valorizzazione. In tale protocollo, in sintesi, le parti si impegnano, ciascuna negli ambiti di competenza propri, nel comune intento a sviluppare tutte le azioni necessarie per restituire alla fruibilità ed alla memoria pubblica il Memoriale, nella pluralità dei suoi significati storici, artistici e di memoria civile.
  Il 1o ottobre 2015 la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Mibact e l'istituto superiore per la conservazione e il restauro (Iscr) hanno sottoscritto una convenzione recante modalità e termini per il trasferimento in Italia del Memoriale e per il suo riallestimento nella sede di Firenze, al fine di restituirlo alla fruibilità e alla memoria pubblica.
  Per le operazioni di documentazione, messa in sicurezza, smontaggio, imballaggio, carico, trasporto e riallestimento a Firenze del Memoriale è stata destinata la somma di euro 156.960,00, quota parte dello stanziamento, pari a euro 900.000,00, autorizzato una tantum dall'articolo 50, comma 7-bis, del decreto-legge n. 248 del 2007 (convertito con modificazioni dalla legge n. 31 del 2008) e assegnato al capitolo 232 del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri, «Somme da destinare al restauro del blocco n. 21 del campo di Auschwitz»".
  Le operazioni di smontaggio dell'allestimento, compiute da una ditta specializzata, sotto la sorveglianza di personale dell'Iscr di Roma e dell'Opificio delle pietre dure di Firenze, sono iniziate il 7 dicembre 2015 e si sono concluse nei tempi previsti dal crono-programma. Lo smontaggio ha evidenziato l'eccezionalità dimensionale – oltre che simbolica – dell'opera: una volta distese le 21 tele dipinte dall'artista Pupino Samonà (esponente di primo piano della pittura del secondo Novecento in Italia e allievo di Giacomo Balla) presentano un lato lungo di circa 12,00 metri e un ingombro del lato breve di circa 2,60 metri, per un'estensione totale dell'opera che si aggira intorno ai 580 metri quadrati.
  Lo svolgimento delle operazioni di smontaggio ha consentito ai tecnici del Mibact di effettuare una attenta e accurata ricognizione dell'opera, a seguito della quale si è potuto constatare che, in generale, lo stato di conservazione delle parti in vista della pittura è piuttosto soddisfacente; viceversa tutte le zone di sacrificio sono generalmente molto abrase lungo le piegature e presentano micro cadute diffuse della pellicola pittorica e gore di umidità, da mettere in relazione al lavaggio delle passerelle lignee centrali per le pulizie periodiche.
  All'alba del 1o febbraio 2016 il Memoriale è giunto a Firenze, nello spazio EX3 nel quartiere Gavinana. Nel pomeriggio, la conclusione di questa prima fase dell'operazione di recupero e valorizzazione del Memoriale è stata presentata pubblicamente alla presenza del presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, del sindaco di Firenze, Dario Nardella e del sottosegretario del Mibact, Ilaria Borletti Buitoni. Tutto il materiale risulta, al momento, depositato in sicurezza negli spazi ad esso destinati all'interno del padiglione EX3.
  La regione Toscana ha già avviato la procedura di costituzione del Comitato tecnico-scientifico — già previsto dal protocollo di intesa del 20 maggio 2015 – che avrà il compito di elaborare il progetto culturale legato alla ricollocazione del Memoriale e di impostare i lavori di rifunzionalizzazione del padiglione EX3. In tale organismo, questo Ministero sarà rappresentato dal dirigente generale architetto Carla Di Francesco.
  La citata convenzione del 1o ottobre 2015 prevede che, fatti salvi impedimenti non prevedibili, il Memoriale sia riallestito entro il prossimo mese di settembre.
  Con riguardo al nuovo allestimento del blocco 21 nel museo di Auschwitz, con decreto del 5 marzo 2015 (successivamente integrato da altro decreto del 13 ottobre 2015), il Presidente del Consiglio dei ministri ha istituito la «Commissione per il restauro del blocco 21 del museo di Auschwitz-Birkenau e per il nuovo allestimento del percorso espositivo italiano», con il compito di proporre al Presidente del Consiglio dei ministri un progetto completo e organico per il restauro del blocco 21 del museo di Auschwitz-Birkenau e per il nuovo allestimento del percorso espositivo italiano.
  La Commissione è presieduta dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Segretario del Consiglio dei ministri ed è composta da due rappresentanti per ciascuno, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei Ministeri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dei beni e delle attività culturali e del turismo, dell'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti (Aned), della Fondazione memoria della deportazione, dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei) e della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec). Il Mibact ha designato l'architetto Gisella Capponi, direttore dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, e il dottor Marco Ciatti, direttore dell'opificio delle pietre dure.
  Con il citato decreto del 13 ottobre 2015 si è provveduto anche alla nomina dei componenti della Commissione che rimarrà in carica un anno, decorrente dalla data di entrata in vigore del decreto di nomina.
  La Commissione si è insediata in data 16 marzo 2016 e ha eletto, nel suo ambito, il Comitato tecnico scientifico.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con atti di sindacato ispettivo presentati dal sottoscritto in data 4 novembre 2015 (interrogazione a risposta scritta 4-11077) e in data 4 dicembre 2015 (interrogazione a risposta scritta 4-11390) si ponevano all'attenzione dei Ministri interrogati questioni di particolare gravità e rilevanza riguardanti la presenza di amianto in edifici pubblici quali un asilo comunale o in strutture prossime a edifici analogamente sensibili (asili, ospedali), per le quali la richiesta urgente di attenzione del Governo era motivata dalla notorietà della situazione, dall'accertamento della sua gravità da parte degli enti preposti, della natura del bene gravemente minacciato (la salute dei cittadini e in particolare dei minori) e dalla sostanziale inerzia delle istituzioni locali deputate a intervenire;
   a brevissima distanza da queste segnalazioni, l'interrogante torna a invocare un intervento urgente e una pianificazione organica per la risoluzione di questi problemi, segnalando il crollo di una tettoia in amianto collocata a meno di cento metri dall'asilo di Casanova del Morbasco, in provincia di Cremona (come riportato nell'articolo dal titolo «Amianto, crollato sito contaminato a Casanova del Morbasco, vicino all'asilo: paura tra i genitori» del quotidiano online Cremona Oggi del 18 dicembre 2015);
   anche in questo caso, così come nei precedenti, l'Ona (Osservatorio nazionale amianto) di Cremona in seguito alle numerose segnalazioni e ai sopralluoghi effettuati, aveva presentato un esposto in procura nel maggio 2015, atto rimasto ancora senza un esito. L'aggravamento della situazione esige quindi un intervento urgente, anche alla luce della considerazione per cui il pesante degrado del materiale potrebbe portare alla dispersione di particelle inquinanti nell'aria, nel terreno e nell'acqua della zona abitata circostante –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di situazioni analoghe in altre strutture pubbliche, e in particolare in strutture sensibili come asili e scuole e quali iniziative di competenza intendano adottare nell'immediato per il sito indicato, stanti le ragioni di urgenza illustrate in premessa, nonché a livello generale per risolvere il problema delle tempistiche degli interventi, inclusi quelli per le singole situazioni problematiche analoghe eventualmente già note. (4-11539)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, anche sulla base degli elementi acquisiti dalla prefettura – ufficio territoriale del governo di Cremona, per il tramite del Ministero dell'interno, si rappresenta quanto segue.
  In relazione all'attività di messa in sicurezza e bonifica di strutture e manufatti contaminati da amianto, sulla scorta delle informazioni contenute nella mappatura amianto, è possibile effettuare l'identificazione dei siti a maggior rischio. Al riguardo si precisa che la presenza di amianto non è indicativa del livello di pericolosità, la cui valutazione dipende dalla disponibilità delle fibre alla dispersione in atmosfera. Per tutti quei casi in cui la matrice risulta friabile sono stati individuati interventi prioritari.
  È inoltre incoraggiato l'uso delle migliori pratiche, utilizzando, ad esempio, materiale statistico già disponibile, ed eseguendo analisi spettrale delle immagini acquisite da aereo e da satellite, per incrociarle con i rilievi di controverifica in situ affidati alle ARPA o ad altri enti competenti.
  L'acquisizione dei dati georeferenziati consentirà l'incrocio con i dati catastali, rendendo possibile l'individuazione diretta dei proprietari delle strutture (principalmente quelle coperte) che ancora utilizzano materiali in cemento o amianto.
  L'informatizzazione, realizzabile mediante portali dedicati, interesserà l'intero processo di bonifica, dalla presentazione del piano di lavoro alla relazione riassuntiva annuale, prevista dall'articolo 9 della legge n. 257 del 1992. Tale procedura ha già superato la fase sperimentale in due regioni (Lazio e Toscana). Le informazioni saranno, così, inserite nella banca dati nazionale, ai sensi del decreto ministeriale n. 101 del 2003.
  Si evidenzia, altresì, che nella conferenza unificata dell'11 giugno scorso si è deciso di formulare uno specifico accordo per la costituzione di un tavolo interistituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che avrà il compito di accelerare l’iter per l'ultimazione del piano nazionale amianto.
  Con particolare riferimento alle messa in sicurezza e bonifica degli edifici pubblici, si sottolinea che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 maggio 2014 è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la struttura di missione per l'edilizia scolastica, finalizzata al coordinamento ed all'impulso dell'attuazione di interventi di riqualificazione degli edifici destinati ad uso scolastico.
  Detta struttura di missione, siglando lo scorso 21 luglio un protocollo d'intesa con l'agenzia per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), ha avviato, per la prima volta a livello nazionale, un programma di riqualificazione energetica e messa in sicurezza degli oltre 40 mila edifici scolastici. L'iniziativa si focalizza principalmente sugli interventi per la sostenibilità e l'efficientamento energetico degli edifici stessi ma anche su quelli per la messa in sicurezza dal rischio sismico e la bonifica da amianto.
  Tale accordo prevede, tra le altre cose, la definizione di una «task force ENEA – ItaliaSicura», ovvero uno specifico ufficio operativo costituito da tecnici e ricercatori dell'agenzia che proporrà alla struttura di missione i possibili modelli di intervento nonché le soluzioni tecnologiche ma anche i format per acquisire le informazioni necessarie alla valutazione dei progetti presentati (consumi, condizioni dell'immobile, elementi progettuali, costi).
  In ordine ai profili di sicurezza e sanitari connessi al crollo, avvenuto nel dicembre scorso, di una tettoia, contenente amianto, di un edificio posto in prossimità dell'asilo di Casanova del Morbasco, frazione del comune di Sesto ed Uniti, in provincia di Cremona, sono state acquisite le seguenti informazioni.
  Poco prima del crollo, e cioè il 28 novembre 2015, il proprietario dell'immobile in parola, tramite il proprio tecnico di fiducia, aveva presentato al Comune la valutazione dello stato di conservazione della relativa copertura in cemento-amianto.
  L'amministrazione comunale di Sesto ed Uniti, ricevuta detta documentazione, provvedeva ad interessare il dipartimento di prevenzione medica della locale A.S.L., oggi A.T.S. (agenzia di tutela della salute) della Val Padana.
  Sulla base degli atti trasmessi dall'interessato e del calcolo dell'indice di degrado del manufatto, detto ufficio sanitario informava il comune circa gli adempimenti posti a carico dell'intestatario dello stabile; in particolare, veniva reso noto che il proprietario avrebbe dovuto provvedere, entro tre anni, alla bonifica dell'area, assicurando nel frattempo un attento monitoraggio.
  In data 29 dicembre 2015, l'A.T.S., a seguito dell'improvviso crollo della tettoia in questione, segnalava la necessità di procedere ad una ancor più celere bonifica attraverso la rimozione della copertura in quanto la superficie di questa appariva gravemente danneggiata.
  Il sindaco di Sesto ed Uniti, pertanto, dopo un sopralluogo tecnico, ha emanato l'ordinanza n. 1 del 15 gennaio 2016, con cui ha disposto che la proprietà dovrà provvedere alla rimozione e allo smaltimento della copertura in parola entro 45 giorni dalla notifica dell'atto, previa presentazione di un apposito piano di lavoro – da comunicare all'A.T.S. Val Padana – e l'avvio di mirata pratica edilizia presso l'amministrazione comunale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli altri soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VALIANTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nelle «indicazioni nazionali» per i licei (decreto ministeriale n. 211 del 2010), che accompagnano il decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010 di riordino dell'istruzione superiore liceale, a proposito dell'insegnamento della letteratura italiana per il quinto anno, relativamente al pieno Novecento, su 17 autori non è citato nessun meridionale o autore nato a sud di Roma e solo un'autrice donna (Elsa Morante);
   da tre anni un movimento culturale, promosso dal Centro di documentazione sulla poesia del Sud si mobilità per denunciare la questione ricevendo il sostegno di tantissime istituzioni, sia politiche che culturali, nonché di molti organismi editoriali;
   il Ministro interrogato in un'intervista rilasciata al quotidiano Il Mattino di Napoli pubblicata il 4 aprile 2014 dal titolo «Salvare la poesia del Sud programmi da cambiare» – ha dichiarato: «Non voglio fare difese d'ufficio nei confronti dei miei predecessori ma i temi da seguire al Ministero sono davvero tanti. Comunque qui non è questione di Nobel: gli autori meridionali che meritano sono molti di più. Penso a Scotellaro, Sciascia, Vittorini ... La ricchezza della letteratura italiana è distribuita in maniera equanime sul territorio e la sua conoscenza è cemento dell'unità del Paese. Mi sono occupata a lungo di promozione della lingua italiana nel mondo e ormai tutti, non solo in Europa, ci riconoscono questa nostra specificità. Studierò la questione e mi impegno ad arricchire questo elenco»;
   ad oggi però il testo «Indicazioni» risulterebbe essere rimasto invariato rappresentando così una «geografia» della letteratura italiana quasi totalmente a trazione settentrionale e tralasciando inoltre il ruolo fondamentale che le donne hanno avuto nella cultura del Novecento;
   le «Indicazioni» non sono prescrittive, ma «indicano» ai docenti una «traccia» da seguire, e perciò, nonostante l'autonomia scolastica e la libertà di insegnamento, condizionano le case editrici nel momento in cui realizzano i libri di testo per tutti i licei italiani –:
   se non intenda provvedere – in linea con quanto previsto dall'articolo 12, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010 e come dichiarato dallo stesso Ministro – ad una revisione delle «Indicazioni», che dovrebbe precedere l'aggiunta ai 17 nomi di autori elencati di poeti e scrittori di altre regioni d'Italia e di autrici donna, che testimoniano idealmente ed esteticamente un altro modo di scrivere e di rappresentare la storia italiana;
   se non intenda integrare questo elenco entro un range temporale utile in modo così da consentire ai licei di ottemperare alle nuove prescrizioni già con la programmazione dell'anno scolastico 2014/2015. (4-04843)

  Risposta. — L'interrogazione in esame verte sul riordino dell'istruzione superiore liceale ed in particolare sull'insegnamento della letteratura italiana per il quinto anno, durante il quale, relativamente al pieno Novecento, su 17 autori non sarebbe citato nessun meridionale o autore nato a sud di Roma fatta eccezione solo per un'autrice donna (Elsa Morante).
  Rispondo alla questione posta dall'interrogante sottolineando che nell'anno scolastico 2014/2015 è entrato a pieno regime il nuovo ordinamento dell'istruzione superiore liceale di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010. Un'eventuale aggiornamento delle «Indicazioni nazionali degli obiettivi specifici di apprendimento» per i licei potrà fare seguito ad una verifica complessiva dell'esperienza fin qui attuata e in tale occasione potranno essere prese in considerazione eventuali integrazioni agli autori del Novecento che vi sono ora richiamati.
  Le indicazioni nazionali, peraltro, com’è stato ricordato anche nell'interrogazione, hanno un valore orientativo rispetto al piano dell'offerta formativa, che è predisposto autonomamente da parte di ciascuna istituzione scolastica. Non si tratta, dunque, di programmi da applicare ma, appunto, di indicazioni che valorizzano il ruolo dei docenti e delle autonomie scolastiche nella loro libera progettazione, permettendo a ciascun insegnante di costruire un percorso di studi nella piena libertà del proprio ruolo. Le istituzioni scolastiche possono dunque decidere di inserire nei percorsi di studio autori non contemplati dalle suddette indicazioni nazionali.
  Per queste ragioni non appare condivisibile la preoccupazione circa il condizionamento delle indicazioni nazionali nell'elaborazione dei libri testo e nei programmi didattici dei licei.
  Sottolineo poi che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è da tempo impegnato nella valorizzazione delle diverse forme di espressione della cultura letteraria del nostro Paese. Ricordo, tra le iniziative più significative, quelle realizzate in occasione della ricorrenza del centenario della pubblicazione del romanzo «Canne al vento» di Grazia Deledda e il lavoro di ricerca nell'ambito del progetto nazionale di formazione per i docenti e gli studenti denominato «Compita», che ha coinvolto 45 scuole superiori e 10 università, con l'obiettivo di elaborare dei percorsi di studio originali, capaci di sviluppare le competenze letterarie negli studenti.
  Tali iniziative sperimentali, dunque, possono favorire eventuali proposte di revisione e aggiornamento delle indicazioni nazionali e delle linee guida.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'agosto 2006, Terna Rete Italia spa ha avviato le procedure autorizzative per la realizzazione di una nuova linea elettrica a 150kV nella zona settentrionale della Sardegna, denominata «Tempio-Buddusò» che insisterà su gran parte del territorio del comune di Berchidda e dei comuni limitrofi di Calangianus, Alà dei Sardi e Buddusò (nella provincia di Olbia Tempio). Tale linea elettrica sarà parte di un più articolato e complesso progetto che prevede una seconda linea, sempre a 150kV, denominata «Santa Teresa-Tempio»;
   nel dettaglio, le opere previste nel quadro progettuale di Terna consisteranno in:
    a) una nuova linea elettrica 150kV denominata «S. Teresa-Tempio» (provincia Olbia – Tempio Comuni di: Santa Teresa – Aglientu – Luogosanto – Luras – Tempio Pausania);
    b) una nuova linea elettrica 150kV denominata «Tempio-Buddusò (provincia Olbia – Tempio comuni di: Calangianus – Berchidda – Alà dei Sardi – Buddusò;
    c) una nuova stazione elettrica 150kV di smistamento denominata S/E TEMPIO, in adiacenza alla esistente CP Tempio, comprensiva dei relativi raccordi alla Rete AT esistente (provincia Olbia-Tempio – comune di Tempio Pausania);
    d) una nuova stazione elettrica 150kV di smistamento, denominata S/E BUDDUSÒ, nelle vicinanze della esistente CP Buddusò, comprensiva dei relativi raccordi alla Rete AT esistente (provincia Olbia – Tempio comune di Buddusò;
   le altre caratteristiche tecniche principali dei collegamenti sono:
    tipologia elettrodotto: elettrodotto aereo in semplice terna e parte in cavo interrato;
    lunghezza del tracciato: 95 chilometri (di cui 90 chilometri in aereo e 5 chilometri in cavo);
    tensione nominale: 150kV in corrente alternata;
    frequenza nominale: 50Hz;
    corrente nominale: 870A (corrente in servizio normale definita dalla norma CEI 11-60 per il periodo freddo);
    potenza nominale: 226 MVA;
    tipologia conduttore: alluminio acciaio diam. 31,5 mm;
    tipologia del cavo: n. 3 cavi A.T. unipolari in alluminio, isolati con polietilene reticolato XLPE di 1600 mmq di sezione;
    tipologia Stazioni Elettriche: n. 2 stazioni di smistamento in «aria» e in doppia sbarra AT;
    tensione nominale: 150kV in corrente alternata;
    frequenza nominale: 50Hz;
    numero stalli AT: 7 per la SE Tempio e 11 per la SE Buddusò;
    potere di interruzione interruttori: 31,5 kA;
   le procedure relative all'individuazione del tracciato sono iniziate il 2 agosto 2006 e sono proseguite per anni, fino alla scelta definitiva della «fascia di fattibilità», nell'ambito dell'ultimo tavolo tecnico di coordinamento regionale tra i comuni coinvolti e Terna S.p.a. tenutosi il 12 settembre 2012;
   il 3 novembre 2013 è stata presentata agli enti competenti un'istanza di autorizzazione alla realizzazione degli interventi previsti, contenente la comunicazione di avvio del procedimento. Al comune di Berchidda veniva anche comunicato di sospendere ogni determinazione amministrativa per un periodo di tre anni relativa alle domande di permesso a costruire nelle aree potenzialmente impegnate dai futuri impianti;
   il 4 aprile 2015 Terna ha diramato l'avviso pubblico per la richiesta di autorizzazione alla costruzione e pronuncia di compatibilità ambientale, con conseguente avvio dell'iter procedurale di apposizione del vincolo preordinato all'esproprio/imposizione in via coattiva di servitù di elettrodotto;
   il 7 aprile 2015 è stato stabilito il termine di presentazione delle osservazioni del pubblico sullo studio d'impatto ambientale;
   l'aspetto più controverso della suddetta procedura autorizzativa attiene in modo particolare al primo passaggio afferente all'individuazione della «fascia di fattibilità» del tracciato. Tale passaggio ha sollevato e solleva tutt'oggi numerose critiche relative ad una mancata correttezza della procedura stessa. La scelta del corridoio da parte di Terna sarebbe infatti venuta meno al presupposto principale che sta alla base della VAS – Valutazione ambientale strategica. La VAS si configura, infatti, come uno strumento finalizzato a favorire l'integrazione di piani e programmi con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, verificandone preventivamente l'eventuale impatto ambientale complessivo, in un'ottica di concertazione e condivisione con le amministrazioni locali ed il pubblico. Terna, al contrario, avrebbe imposto un'unica soluzione di corridoio senza proporre nessuna alternativa né in sede di concertazione con gli organi regionali, né con gli enti locali;
   l'iter procedurale sembrerebbe, inoltre, essere stato poco trasparente, essendo mancata una adeguata consultazione dell'amministrazione ione comunale di Berchidda e degli altri enti locali. I 135 proprietari dei terreni su cui graverà la servitù di elettrodotto lamentano infatti di essere venuti a conoscenza del progetto solo il 4 aprile 2015, data di pubblicazione dell'avviso. Addirittura, alcuni di essi ne sarebbero venuti a conoscenza successivamente, grazie al passaparola tra gli interessati soggetti all'imposizione in via coattiva della servitù di elettrodotto. Inoltre, ai fini della localizzazione del corridoio, Terna non avrebbe mai proposto soluzioni alternative agli enti locali interessati, ai quali avrebbe sostanzialmente «imposto» l'attuale tracciato;
   appaiono condivisibili le motivazioni fornite da Terna allorché indica la necessità di potenziare la rete nord della Sardegna (ed in particolare della Costa Smeralda) e di garantire la sicurezza e la qualità della fornitura, soprattutto durante il carico del periodo estivo. Tuttavia, per l'imponenza dei tralicci (alti fino a 40 metri), per i suoi 95 chilometri di estensione di tracciato ed i 150 kV di potenza e la sua localizzazione l'opera rischia di deturpare un'area di assoluto pregio naturalistico e di comprometterne in modo esiziale ed irreversibile il modello di sviluppo, basato sulla salvaguardia e la sostenibilità ambientale e sulla valorizzazione economica e turistica dei territori circostanti;
   l'opera, se realizzata secondo il progetto di Terna, rischierebbe infatti di mettere in sofferenza l'intero habitat, ciò sia con riferimento all'esistenza di specie faunistiche endemiche in via d'estinzione, quali l'aquila reale e l'aquila del Bonelli (quest'ultima specie è anche inserita nell'elenco della lista rossa IUCN dei vertebrati italiani 2013 ed appartiene alla categoria CR – «Critically endangered», categoria che comprende solo 6 specie d'uccelli), sia con riferimento ad una biodiversità assolutamente unica: sugherete, macchia mediterranea e aree boscate residuali di antiche formazioni, scomparse a seguito di incendi e disboscamenti;
   l'analisi critica del quadro ambientale si può quindi incentrare su due punti fondamentali: da un lato l'incidenza in corrispondenza dei siti Natura 2000 e del territorio adiacente, seppur non in essi ricompreso ma, comunque, oggetto dell'intervento di progetto, e dall'altro l'analisi dell'impatto del tracciato sulle aree ad alto pregio ambientale, quali quelle vocate alla viticoltura;
   per quanto concerne il primo punto, nel comune di Berchidda le aree protette ed i siti della Rete Natura 2000 più vicini alle opere risultano essere SIC «Monte Limbara», il parco naturale «Monte Limbara» e l'Oasi di protezione faunistica «Filogosu» e «Bolostiu». Il piano paesistico della regione autonoma della Sardegna tutela anche le aree a gestione speciale dell'Ente foreste per un totale di oltre 200.000 ettari che ricadono in gran parte all'interno di aree protette di altra tipologia. Di queste, nell'area di studio sono presenti: Filigosu, con i limiti in parte coincidenti con l'omonima oasi permanente di protezione faunistica; il SIC Monte Limbara, costituito da un'area di 16.624 ettari;
   l'istituendo parco del Limbara è uno dei parchi regionali dalla regione autonoma della Sardegna individuati ai sensi della legge regionale n. 31 del 7 giugno 1989. Esso si trova nella nuova provincia di Olbia-Tempio, a cavallo delle regioni storiche della Gallura e del Monteacuto. Si estende sui monti del Limbara comprendendo un'area di 19.833 ettari, da Tempio Pausania fino al lago Coghinas. Le montagne sono granitiche e vi si possono ammirare spettacolari forme di erosione;
   le oasi di protezione faunistica Su Filigosu e Bolostiu sono individuate nel paesaggistico della regione Sardegna come «altre aree protette», ai sensi della legge regionale n. 23 del 1998. Il tracciato dell'elettrodotto si incunea proprio tra le due oasi;
   ai sensi dell'articolo 142 della legge n. 42 del 2004 (il Monte Limbara supera ampiamente la quota altimetrica dei 1200 metri) è vietato realizzare opere che interferiscano con la visuale della montagna. A tal proposito, si è espresso anche il TAR della regione Emilia Romagna (sentenza n. 225 del 21 marzo 2013), respingendo l'istanza per la richiesta di autorizzazione alla costruzione di un parco eolico che interferiva visivamente con la montagna. È evidente che, anche in questo caso, tenuto conto dell'estrema vicinanza del tracciato alla montagna e all'area SIC in generale, la realizzazione dell'elettrodotto sarebbe assolutamente incompatibile con la salvaguardia del paesaggio;
   l'area interessata dai lavori di realizzazione dell'opera è stata peraltro in passato ripetutamente colpita da vasti incendi e pertanto è soggetta al divieto di edificabilità previsto dalla legge n. 353 del 21 novembre 2000 «Legge-quadro in materia di incendi boschivi» che all'articolo 10, comma 1 stabilisce: «Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno quindici anni. È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente. In tutti gli atti di compravendita di aree e immobili situati nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto. È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data precedente l'incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione. Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell'ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia;
   per quanto riguarda il secondo punto, il tracciato dell'elettrodotto insiste su aree di assoluto pregio vocate alla viticoltura di qualità, con particolare riferimento alle produzioni di vini DOCG (unico territorio in Sardegna a potersi fregiarsi di tale disciplinare ad alto valore qualitativo). La conca di San Michele, così come la vallata di Canaredu-Su Sueredu (i siti intersecati dall'elettrodotto) non solo presenta una considerevole estensione di vigneti che rientrano all'interno della denominazione di origine controllata e garantita Vermentino di Gallura, ma è anche sede di stabilimenti di trasformazione ed agriturismi e, quindi, meta di percorsi enogastronomici che rivestono importanza capitale per l'economia locale (si pensi che nel raggio di 400 metri dal traliccio n. 64 sono localizzate 3 cantine vinicole. Analogamente è presente una cantina in prossimità del traliccio n. 75);
   il progetto presentato da Terna ha suscitato generale contrarietà e preoccupazione da parte delle istituzioni locali, degli imprenditori agricoli, degli operatori turistici e delle comunità residenti. Da tali contrarietà e preoccupazioni sono nati un comitato popolare, denominato «No at Berchidda» ed una petizione che ha raccolto ad oggi oltre 800 sottoscrizioni;
   attualmente, l’iter autorizzativo dell'elettrodotto sta, al di là delle numerose criticità e contrarietà avviandosi alla sua fase conclusiva e si attende solo il parere finale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito alla procedura di valutazione di impatto ambientale –:
   se il Governo ritenga che la realizzazione del nuovo elettrodotto «Santa Teresa – Tempio» e «Tempio-Buddusò» e delle due nuove stazioni elettriche di «Tempio e Buddusò» sia compatibile con il territorio coinvolto, considerata la sua unicità ambientale, paesaggistica, turistica e agricola;
   per quali motivi Terna non abbia assicurato la necessaria concertazione e condivisione con le amministrazioni locali, il pubblico, i proprietari dei suoli e con tutti gli attori economici del territorio relativamente alla scelta del tracciato dell'elettrodotto, scelta che non ha favorito l'integrazione di piani e programmi con gli obiettivi di sviluppo sostenibile;
   se il Governo intenda, nell'ambito della propria competenza, proporre a Terna spa, in accordo con tutti gli attori pubblici e privati, un quadro progettuale di efficientamento e riorganizzazione della rete della Sardegna settentrionale, riconsiderando l'alternativa di un nuovo corridoio maggiormente sostenibile ed eco-compatibile. (4-09848)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al progetto «Nuovi elettrodotti a 150 chilovolt» «Santa Teresa – Tempio» e «Tempio – Buddusò», nuove stazioni elettriche 150 chilovolt di «Tempio» e «Buddusò» in provincia di Olbia Tempio, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale di questo dicastero, si rappresenta quanto segue.
  In data 2 aprile 2015 la società Terna rete Italia ha presentato istanza di pronuncia di compatibilità ambientale, integrata con la valutazione di incidenza ambientale, per il progetto «Nuovi elettrodotti a 150 chilovolt» «Santa Teresa – Tempio» e «Tempio – Buddusò», nuove Stazioni Elettriche 150 chilovolt di «Tempio» e «Buddusò», che nel dettaglio prevede la realizzazione dei seguenti interventi:
   1) una nuova linea elettrica 150 kilowatt semplice terna in conduttura aerea e in parte in cavo interrato denominata «Santa Teresa – Tempio» della lunghezza di 43 chilometri di cui 5 chilometri in cavo interrato, nei comuni di: Santa Teresa – Aglientu – Luogosanto – Luras – Tempio Pausania;
   2) una nuova linea elettrica 150 chilovolt semplice terna in conduttura aerea denominata «Tempio – Buddusò» della lunghezza di 52 chilometri, nei comuni di: Tempio Pausania – Calangianus – Berchidda – Alà dei Sardi – Buddusò;
   3) una nuova stazione elettrica 150 chilovolt di smistamento denominata «S/E Tempio» in adiacenza alla esistente «Cabina Primaria Tempio», comprensiva dei relativi raccordi a 150 chilovolt, della lunghezza complessiva di 0,7 chilometri, alla rete trasmissione nazionale esistente, in comune di Tempio Pausania;
   4) una nuova stazione elettrica 150 chilovolt di smistamento denominata «S/E Buddusò», nelle vicinanze della esistente «Cabina Primaria Buddusò», comprensiva dei relativi raccordi a 150 chilovolt, della lunghezza complessiva di 2 chilometri, alla rete trasmissione nazionale esistente e di una strada di accesso, in comune di Buddusò.

  In ordine alle questioni relative alla compatibilità degli elettrodotti con il territorio coinvolto, in considerazione della sua unicità ambientale, paesaggistica, turistica e agricola, nonché alla possibilità di interventi alternativi maggiormente sostenibili ed ecocompatibili, si rappresenta che, allo stato, l'attività istruttoria della commissione tecnica di questo Ministero per le valutazioni di impatto ambientale (VIA) e strategico (VAS) è ancora in corso.
  Ad ogni modo si evidenzia che la valutazione di impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si evidenzia, inoltre, che la società Terna rete Italia ha presentato altresì istanza per la valutazione di incidenza ambientale (VINCA): la valutazione di incidenza ambientale rappresenta uno strumento di prevenzione atto a garantire la coerenza complessiva e la funzionalità dei siti della rete Natura 2000, a vari livelli (locale, nazionale e comunitario). In particolare consente l'esame delle interferenze di piani, progetti e interventi che, non essendo direttamente connessi alla conservazione degli habitat e delle specie caratterizzanti i siti stessi, possono condizionarne l'equilibrio ambientale. La valutazione di incidenza quindi permette di verificare la sussistenza e la significatività di incidenze negative a carico di habitat o specie di interesse comunitario.
  In merito alla questione della necessaria concertazione e condivisione con le amministrazioni locali, il pubblico, i proprietari dei suoli e tutti gli attori economici del territorio relativamente alla scelta del tracciato dell'elettrodotto, si segnala che, nell'ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale, la normativa, nazionale e comunitaria, prevede una fase di consultazione del pubblico che assicura la possibilità ad enti locali, associazioni e privati cittadini di esprimere le proprie osservazioni in merito al progetto. A tal fine, l'avvio della procedura è stato pubblicizzato attraverso apposito avviso a mezzo stampa, e il pubblico può consultare la documentazione tecnica a corredo dell'istanza sia sul sito per le valutazioni ambientali VAS–VIA del Ministero sia presso le altre amministrazioni presso le quali è stata depositata la documentazione. Pertanto, chiunque abbia interesse può prendere visione del progetto e del relativo studio ambientale, presentare proprie osservazioni, anche fornendo nuovi o ulteriori elementi conoscitivi e valutativi. Tutte le osservazioni pervenute e maggiori dettagli sul progetto sono altresì disponibili sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero all'indirizzo www.va.minambiente.it.
  Ad ogni modo, non appena sarà conclusa l'attività istruttoria, saranno comunicati a tutti i soggetti coinvolti gli esiti della valutazione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Asilo della Marina, sito in via Bajlle a Cagliari, rappresenta una pietra miliare della storia recente della città, per aver ospitato dal 1864 l'attività sociale delle Figlie della Carità e, in particolare, per aver accolto il magistero educativo di suor Giuseppina Nicoli, beatificata nel 2008 e di suor Teresa Tambelli;
   le spoglie mortali della Beata Giuseppina Nicoli sono ancora oggi conservate all'interno della cappella annessa all'Asilo della Marina;
   il quartiere della Marina di Cagliari è sempre stato uno dei quartieri più problematici della vecchia città, raccogliendo, a cavallo tra l'ottocento e il novecento, una notevole quantità di sbandati e diseredati che traevano le scarse occasioni di produzione di reddito dalla attività portuale e da quella dei mercati cittadini ubicati nel vicino largo Carlo Felice;
   in particolare, le attività dei mercati cittadini nella fine dell'ottocento e nei primi anni del novecento avevano come protagonisti i «ragazzi con la cesta» (piccioccus de crobi) che, in cambio di piccole mance, scortavano «i signori» che facevano la spesa e, con le loro ceste, trasportavano la spesa delle famiglie borghesi sino al domicilio;
   la figura del «picioccu de crobi», che oggi rappresenta il simbolo della simpatia umana nell'immaginario collettivo dei cagliaritani, era a quei tempi la cartina di tornasole della sofferenza sociale e della emarginazione di una fascia di bambini e di adolescenti, destinati ad un futuro privo di cultura, educazione ed opportunità;
   in tale contesto sociale operavano le Figlie della Carità dell'Asilo della Marina, che si ponevano l'obiettivo di intercettare i ragazzini, spesso orfani e senza futuro, che gravitavano intorno alle modeste attività commerciali del quartiere, per dare loro assistenza morale ed economica, in grado di aprire qualche opportunità di futuro dignitoso;
   tale attività delle Figlie della Carità è stata universalmente riconosciuta e apprezzata dall'intera città che l'ha sempre generosamente sostenuta e, nel corso degli anni, si è adattata ai tempi moderni, senza mai stravolgere la propria, originaria missione di carità cristiana;
   anche oggi che il quartiere della Marina si presenta intensamente popolato e ricco di attività commerciali, la sua vocazione multietnica ne accentua le contraddizioni e ne sottolinea la eterogeneità di composizione sociale, mantenendo centrale il ruolo educativo delle suore vincenziane che, sino a pochi anni or sono, hanno mantenuto in funzione l'Asilo della Marina, tenendo alta la sua originaria funzione di insostituibile presidio sociale;
   la disagiata logistica dei locali dell'Asilo, che è ospitato in uno stabile vecchio e ben difficilmente riadattabile ai moderni criteri delle attività formative e i nuovi obblighi normativi relativi al rispetto dei parametri standard rendono antieconomica la gestione della struttura;
   la diseconomicità d'impresa è resa ancora più insostenibile dalla vocazione istituzionale delle suore vincenziane che, sino a quando l'Asilo è rimasto aperto, hanno accolto gratuitamente presso la propria struttura i figli delle famiglie disagiate che abitano nel quartiere e non possono permettersi di pagare la retta dell'asilo;
   neppure la recente trasformazione della istituzione «Asilo Marina e Stampace» da ex IPAB a Fondazione (dicembre 2012) ha consentito di modificare i parametri economici gestionali dell'Asilo, che ha ultimamente chiuso la propria attività senza riuscire neppure a ripianare i propri debiti nei confronti del personale docente che ha prestato negli ultimi anni di esercizio la propria attività presso l'asilo;
   proprio i debiti nei confronti del personale (che pare peraltro ammontino ad appena 237.000 euro) hanno dato corso ad una lite giudiziaria che ha portato al pignoramento dello stabile che ospita l'Asilo della Marina, di proprietà della Fondazione;
   per effetto di tale pignoramento, il bene rischia di essere messo all'asta, con il rischio reale che venga sottratto non soltanto alle attività solidaristiche, educative e caritatevoli che in esso ancora si esercitano, ma più ancora alla fruizione dell'intera città di Cagliari, alla cui memoria storica esso appartiene;
   una parte della struttura potenzialmente oggetto di alienazione giudiziaria apparteneva in passato alla contigua chiesa di Sant'Agostino, risalente al 1576, per cui nei giorni scorsi, il rettore di tale edificio di culto ha simbolicamente iniziato a picconare la parete divisoria con l'Asilo a significare la necessità di salvaguardare almeno quella parte del bene che costituisce parte integrante di Sant'Agostino –:
   quali vincoli esistano sullo stabile dell'Asilo della Marina di Cagliari e, in particolare sulla porzione di edificio che ospita le spoglie mortali della Beata suor Giuseppina Nicoli e su quella parte di stabile che costituirebbe pertinenza dell'adiacente chiesa di Sant'Agostino;
   se le parti vincolate e, in particolar modo, quelle di maggior pregio e valore storico, possano essere oggetto di alienazione per vendita giudiziaria;
   se non ritenga che sussistano i presupposti per intervenire immediatamente, anche attraverso eventuale acquisizione diretta della proprietà dell'immobile, per bloccare ogni attività di alienazione del bene per via giudiziaria e garantire all'utilizzo di pubblica utilità l'intero stabile dell'Asilo della Marina, che rappresenta un simbolo peculiare e universalmente riconosciuto della storia recente della città di Cagliari, che ben volentieri lo vedrebbe restituito all'attività di carità e solidarietà incarnata dalle suore vincenziane.
(4-10532)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, interrogante chiede notizie in merito alla situazione vincolistica dello stabile Asilo della Marina di Cagliari e se il Ministero non ritenga di intervenire per bloccare ogni attività di alienazione del bene per via giudiziaria e garantire all'utilizzo di pubblica utilità l'intero stabile, restituendolo all'antica missione di carità.
  A tale proposito si rappresenta quanto segue.
  L'edificio in questione, ubicato nel quartiere Marina della città di Cagliari, è un immobile sorto come convento degli Agostiniani alla fine del XVI secolo, in aderenza alla chiesa omonima, realizzata in forme rinascimentali nel luogo ove sorgeva una precedente chiesa dedicata a San Leonardo; l'intero complesso viene costruito quale compensazione per aver demolito la precedente chiesa di Sant'Agostino, ubicata poco distante, che costituiva un impedimento per il potenziamento della cinta muraria.
  Non compresi nella legge piemontese del 1855 sulla soppressione dei conventi e delle corporazioni religiose, gli Eremitani di S. Agostino di Cagliari lo sono invece nella legge di soppressione del 1866 e in quella successiva del 1971 relativa alla liquidazione di questo asse ecclesiastico. La chiesa e il convento vengono acquisiti dal demanio statale e da questo trasferiti, almeno in parte, alla proprietà del comune di Cagliari, che delibera la chiusura della chiesa al culto, nonostante le vivaci proteste della popolazione.
  La chiesa, oggi in capo al Fondo edifici culto del Ministero dell'interno, viene riaperta al culto solo nel 1925 ed è tuttora officiata pur tra grandi difficoltà economiche e di gestione da un Rettore, mentre l'attiguo convento diviene da subito la sede dell'Asilo Marina e Stampace che, molto presto, acquista un importante ruolo sociale per l'intero centro storico – come ben ricordato dall'interrogante – anche in considerazione dell'opera delle Figlie della carità in esso operanti e, in particolare, di quella di suor Giuseppina Nicoli, attiva tra il 1914 ed il 1924, dichiarata Beata nel 2008 e sepolta in una cappella interna al complesso.
  Dopo aver appreso dalla stampa locale della possibile alienazione all'incanto dell'immobile in argomento, la Soprintendenza paesaggistica competente per territorio con note del 4 settembre 2015 e del 29 ottobre 2015 ha preso contatti con l'amministrazione comunale di Cagliari, al fine di chiarire le modalità di trasferimento dell'immobile alla fondazione Asilo Marina e Stampace che attualmente ne detiene la proprietà, nonché con la fondazione al fine di meglio comprendere la condizione giuridica della fondazione medesima.
  È stato quindi chiarito che la ex IPAB Asilo Marina e Stampace che deteneva il bene e che derivava dall'ente morale istituito nel 1862 con il lascito di un benemerito (con il fine di «educare, istruire e custodire gratuitamente i fanciulli di ambo i sessi appartenenti alle classi meno agiate dei quartieri di Marina e Stampace») è stata trasformata in Fondazione di diritto privato in data 27 ottobre 2008, e che la fondazione, con determina della Presidenza della regione autonoma della Sardegna n. 1517/31844 del 19 dicembre 2012, è stata iscritta al n. 199 nel registro regionale delle persone giuridiche di diritto privato. Tale fondazione, come risulta dall'articolo 2 dello Statuto, «non ha fine di lucro e persegue esclusivamente finalità educative e di carattere sociale».
  Tuttavia, in virtù del fatto che l'Asilo sembrava fosse stato oggetto negli anni di numerose manomissioni e di non indifferenti interventi edilizi, alcuni dei quali legati soprattutto ai risanamenti post bellici, la Soprintendenza ha richiesto alla fondazione di poter appurare la reale consistenza del bene ed il permanere delle caratteristiche di interesse storico artistico nell'immobile, e di potere pertanto accedervi per valutare la possibilità di avviare d'Ufficio il procedimento per il formale riconoscimento di interesse culturale di tutto l'edificio o di parte di esso.
  Tale sopralluogo è stato effettuato il 2 marzo 2016.
  A seguito di tale sopralluogo, il 18 marzo 2016 è stata inviata dalla Soprintendenza paesaggistica competente, con raccomandata andata e ritorno alla fondazione Asilo Marina e Stampace e al comune di Cagliari, la comunicazione d'inizio del procedimento di verifica dell'interesse culturale ai sensi dell'articolo 12 comma 2, 10 comma 3, lettera d) del decreto legislativo n. 42 del 2004.
  Con particolare riferimento alla situazione vincolistica dell'immobile in questione, si evidenzia che esso è sottoposto alla tutela del decreto legislativo 42 del 2004 ex lege, ai sensi dell'articolo 10 (Persona giuridica privata senza fini di lucro), e non in ragione di uno specifico decreto.
  Per quanto attiene nella prospettata possibilità di acquisizione dell'immobile da parte di questo Ministero e per il tramite del demanio statale, il segretariato regionale del Ministero ha comunicato che non ritiene sussistano al momento particolari esigenze governative che possano essere soddisfatte con l'acquisizione dello stabile in questione. Resta ferma naturalmente la possibilità del maturare di valutazioni di ordine diverso, coinvolgenti anche altri soggetti e istituzioni.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale stato di sofferenza degli uffici che operano direttamente sul patrimonio (soprintendenze, poli museali, segretariati regionali), dovuto alla riforma già in atto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, e caratterizzato anche da numerose difficoltà relative all'attuale carenza di personale, alle attività di divisione e trasferimento patrimoniale, alla frammentazione delle competenze e degli incarichi, che gli uffici che operano sul territorio stanno affrontando con enormi sforzi e sacrificio dei dipendenti, impedisce di gestire con efficacia la riforma che arriva a meno di un anno dalla precedente e con questa, in palese contraddizione;
   queste problematiche, già rappresentate al Ministro e al Governo e gli appelli fatti nel corso del 2015, incidono sulle attività istituzionali penalizzando il compito e l'operatività degli uffici stessi, in particolare nel settore dell'archeologia e vanificano gli sforzi quotidiani dei lavoratori;
   il nuovo decreto prevede una riorganizzazione del personale del Ministero («legge Madia»), ma lascia agli uffici sul territorio l'onere e i disagi di trasferimenti e accorpamenti di risorse umane e strumentali (magazzini, archivi, sedi centrali, nuclei e altri); per cui le poche forze in campo, saranno impiegate nella riorganizzazione logistica, nelle mere operazioni burocratiche a scapito dell'efficacia, efficienza ed economicità dei servizi ai cittadini e della tutela;
   gli archeologi dello Stato dovrebbero prendendosi cura del territorio, dei monumenti e dei reperti, in quanto braccio operativo e organo tecnico-scientifico di ricerca che per legge svolge quella «adeguata attività conoscitiva» preliminare ad ogni forma di tutela amministrativa, conservazione, fruizione e valorizzazione;
   la riorganizzazione potrebbe far assumere responsabilità di procedimenti di scavo e conservazione del patrimonio archeologico a dirigenti con meno competenze tecnico-scientifiche specifiche rispetto ai funzionari che andranno a dirigere e ai professionisti esterni a cui daranno i pareri;
   la qualità del lavoro nel settore della tutela archeologica, senza la guida di dirigenti con competenze specialistiche, senza depositi, senza laboratori, senza archivi, senza biblioteche, non potrà che andare incontro ad uno scadimento e ad una burocratizzazione generalizzati;
   il potenziamento della salvaguardia del patrimonio archeologico all'interno delle soprintendenze uniche rischia di generare confusione di competenze e frammentazione di funzioni che dovranno essere affrontate da tecnici a cui non viene riconosciuta la specifica professionalità, che lavoreranno senza mezzi con il conseguente allungamento di tutte le procedure di controllo tecnico ed amministrativo, con inevitabili ritardi e disagio per cittadini e imprese;
   l'azione di tutela e ricerca sugli ambiti regionali, finora garantita dalle soprintendenze archeologiche, potrebbe essere penalizzata a tutto detrimento della conoscenza e della operatività dello Stato sul patrimonio archeologico presente capillarmente sul territorio;
   la mancanza di conoscenze approfondite dei meccanismi propri degli uffici che materialmente curano i beni culturali sul territorio provoca un ulteriore taglio alle poche energie rimaste in campo;
   nella bozza di riforma del codice degli appalti se dovessero scomparire gli articoli che finora hanno normato la cosiddetta «archeologia preventiva», si rinuncerebbe alla tutela nelle sue forme più avanzate, con palese tradimento dei principi sanciti dall'articolo 9 della Carta Costituzionale –:
   se la riforma possa portare alla perdita di efficacia dell'azione di tutela e conservazione del patrimonio archeologico nazionale che il personale qualificato del Ministero deve prioritariamente garantire;
   se le soprintendenze uniche possano determinare una frammentazione di funzioni e di competenze determinando un allungamento delle procedure di controllo;
   se la burocratizzazione eccessiva non possa penalizzare la qualità del lavoro nel settore archeologico che potrebbe essere affidato a dirigenti con competenze tecnico scientifiche inadeguate rispetto alle funzioni da svolgere. (4-11819)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, con riferimento al nuovo recente intervento di riorganizzazione del Ministero, l'interrogante chiede: se la riforma possa portare alla perdita di efficacia dell'azione di tutela e conservazione del patrimonio archeologico nazionale che il personale qualificato del Ministero deve prioritariamente garantire; se le soprintendenze uniche possano determinare una frammentazione di funzioni e di competenze determinando un allungamento delle procedure di controllo; se la burocratizzazione eccessiva non possa penalizzare la qualità del lavoro nel settore archeologico, che potrebbe essere affidato a dirigenti con competenze tecnico-scientifiche inadeguate rispetto alle funzioni da svolgere.
  L'intervento di riforma del Ministero, richiamato nell'atto ispettivo cui si risponde, è contenuto nel decreto ministeriale 23 gennaio 2016, Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, registrato dalla Corte dei conti in data 29 febbraio 2016 e pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale.
  Con tale provvedimento si dà attuazione alla disposizione contenuta al comma 327 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), per la quale, nelle more dell'attuazione dei decreti legislativi attuativi dell'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, al fine di dare efficace attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 17-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, 241 (che ha introdotto il silenzio-assenso qualora non siano acquisiti, entro il termine di novanta giorni, assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico-territoriale e dei beni culturali), nonché di garantire il buon andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo provvede, con proprio decreto, alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, del Ministero, nel rispetto delle dotazioni organiche determinate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della performance, a norma dell'articolo 16, comma 4 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il suddetto comma 327 della legge di stabilità dispone inoltre che il decreto ministeriale sia emanato entro il termine di trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità stessa.
  Il decreto sopra citato, come anche indicato nelle premesse del provvedimento stesso, è stato emanato dopo aver ascoltato le organizzazioni sindacali del Ministero in data 18 gennaio 2016 e il Consiglio superiore «Beni culturali e paesaggistici» nella seduta di pari data.
  Inoltre, il progetto di riorganizzazione è stato personalmente illustrato dal Ministro nel corso della seduta del 19 gennaio 2016 delle commissioni riunite Cultura, scienza e istruzione della Camera e Istruzione pubblica, beni culturali del Senato.
  Con il provvedimento sopra citato il Ministero viene ridisegnato a livello centrale e a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Il nuovo assetto organizzativo prevede la creazione delle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio.
  La riforma non porta alla perdita di efficacia dell'azione di tutela e di conservazione del patrimonio archeologico nazionale, come paventato dall'interrogante; al contrario, mira ad un rafforzamento dell'azione di tutela del patrimonio storico, artistico e archeologico. Con questo intervento, infatti, aumentano i presidi di tutela sul territorio nazionale, che, proprio per l'archeologia, passano dalle attuali 17 soprintendenze archeologia alle nuove 39 soprintendenze unificate (cui si sommano le due soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei).
  La nuova articolazione territoriale realizza una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente ed è stata definita tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori.
  Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici. In un unico ufficio, responsabile di un'area territoriale più circoscritta e quindi più vicino a cittadini, amministratori locali e imprese, si concentrano e si coordinano le diverse competenze tecnico-scientifiche, con riduzione dei costi amministrativi e incremento di efficienza ed efficacia dell'attività di tutela.
  Ogni nuova soprintendenza verrà articolata in sette aree funzionali (organizzazione e funzionamento; patrimonio archeologico; patrimonio storico e artistico; patrimonio architettonico; patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio; educazione e ricerca) per garantire una visione complessiva dell'esercizio della tutela, assicurando anche la presenza delle specifiche professionalità. Per cittadini e imprese sarà così più semplice e rapido rapportarsi con l'amministrazione, con una notevole riduzione degli oneri burocratici. Ciascuna soprintendenza costituirà un riferimento univoco per la valutazione di qualunque aspetto di ogni singolo progetto, dalla tutela di beni archeologici per arrivare all'impatto paesaggistico, passando per gli aspetti di carattere artistico e architettonico: a un'unica domanda corrisponderanno un unico parere e un'unica risposta. Al centro ci sarà una sola direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, che garantirà il coordinamento delle soprintendenze su tutto il territorio nazionale.
  Il nuovo assetto organizzativo, in conclusione, non frammenta funzioni e competenze ma le alloca in modo più ottimale, efficace e coordinato in una unica struttura burocratica. In questo modo non si opera una burocratizzazione eccessiva della funzione della tutela quanto, piuttosto, il contrario, ovvero un'azione di semplificazione e razionalizzazione.
  Il Ministero assicura comunque, nella fase di implementazione della riforma, ogni attenzione al confronto con il Parlamento, le associazioni sindacali e il mondo della cultura per assicurare la massima efficienza alla fondamentale funzione della tutela.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denuncia Europol, l'agenzia di intelligence europea, i minori stranieri entrati in Europa come migranti sarebbero ostaggio di trafficanti e nel futuro sarebbero destinati alla prostituzione e persino all'espianto di organi;
   stando ai dati forniti da Europol, una metà dei diecimila minori scomparsi si sarebbero dileguati nel nostro Paese (5000 in Italia, 1000 in Svezia);
   Save the Children parla di almeno 26 mila minori non accompagnati arrivati in Europa nel 2015. Di alcuni non vi sarebbe più traccia, altri potrebbero aver raggiunto membri della loro famiglia;
   sempre secondo Save the Children, il 27 per cento del milione di rifugiati arrivati nel 2015 in Europa ha meno di 18 anni (complessivamente 270 mila minori di cui non si sa più nulla);
   Frontex (l'agenzia europea preposta al pattugliamento delle frontiere esterne) registra gli ingressi, secondo quanto dichiarano i migranti stessi, senza avere la possibilità di effettuare verifiche in tempi rapidi: il dato potrebbe risultare, per eccesso o per difetto, lontano dai numeri reali;
   la maggior parte di questi minori ha un'età compresa fra 14 e 16 anni (nei loro Paesi questa età corrisponde a una sorta di maturità);
   questi migranti vedono l'Italia come un Paese di transito, preferiscono raggiungere Germania, Svezia (nazione, quest'ultima, che concede l'asilo ai minori dopo l'identificazione) o Regno Unito, che di recente ha mostrato disponibilità verso i minori provenienti da zone di guerra;
   la Caritas romana sostiene che in Italia ci sono 15 mila minori stranieri non accompagnati, di cui almeno 5.500 hanno fatto perdere le loro tracce, rendendosi irreperibili per gli enti a cui erano stati affidati;
   molti di questi minori sono egiziani (circa 2 mila, di cui 1182 irrintracciabili); a seguire albanesi (che non sono profughi di guerra) ed eritrei;
   questi ragazzi vengono in Europa aiutati dai genitori e hanno necessità di lavorare per rimborsare il debito (non inferiore a 3 mila euro) per il costo del viaggio e per sostenere economicamente le famiglie nel loro Paese di origine;
   l'età dei ragazzi che arriva con mezzi di fortuna è sempre più bassa e per la maggior parte di loro si apre uno scenario di schiavitù;
   da gennaio 2015, la competenza per la gestione dei minori è del Ministero dell'interno che riconosce 45 euro al giorno per ogni ragazzo ospitato nelle 10 strutture autorizzate, situate tutte al Sud d'Italia;
   la condizione di questi ragazzi non è di detenzione, ragione per la quale questi non rientrano nelle strutture cui sono affidati e non sono più rintracciabili –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative per rivedere le regole per la gestione di questi ragazzi, soprattutto per il fatto che, essendo minori, dovrebbero essere immessi in percorsi di istruzione e formazione professionale, proprio per sottrarli alla criminalità e allo sfruttamento;
   se non ritenga opportuno, considerata la complessità del fenomeno e la divergenza dei dati che vengono resi noti, di dover censire l'effettiva presenza dei minori nelle strutture, per evitare di pagare la quota giornaliera anche per quei minori che non vi fanno rientro ed evitare di creare interessi economici dietro un fenomeno tragico che non dovrebbe prestarsi a speculazioni;
   se non reputi di dover assumere iniziative per coordinare a livello europeo una strategia che consenta di seguire i minori negli spostamenti, essendo grave che migliaia di minori circolino indisturbati e in condizione di indigenza, senza che le autorità competenti abbiano idea di chi siano e cosa facciano, soprattutto per il fatto che si tratta generalmente di clandestini e la clandestinità in Italia è un reato. (4-12724)

  Risposta. — L'interrogazione dell'interrogante verte sul fenomeno dei minori stranieri non accompagnati e, in tale ambito, pone alcuni che appaiono riconducibili sostanzialmente a due aree tematiche:
   il sistema di accoglienza;
   e, soprattutto, la scomparsa dei minori dalle strutture di accoglienza e la conseguente necessità di attivare strategie di intervento volte ad evitare che essi diventino vittime della tratta e dello sfruttamento.

  Le problematiche legate all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati sono da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno, anche in ragione del fatto che, nell'ambito degli imponenti flussi migratori che stanno interessando il territorio nazionale, si registra un numero crescente di arrivi di tale categoria di soggetti particolarmente vulnerabili.
  I dati relativi ai minori in questione sono acquisiti, tenuti e aggiornati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Da essi si evince che negli ultimi quattro anni l'afflusso dei minori non accompagnati è sostanzialmente raddoppiato, essendosi passati dalle 5.821 unità presenti in Italia nel 2012 alle 11.921 dell'anno scorso.
  È diventata pressante, quindi, l'esigenza di assicurare un adeguato supporto dello Stato ai comuni, ai quali spettano – come noto – l'assistenza e la rappresentanza legale dei minori fuori famiglia.
  In tale direzione, vi è stato un radicale ripensamento della
governance del sistema nazionale di accoglienza, con una contestuale, forte assunzione di responsabilità del Ministero dell'interno.
  Il nuovo sistema ha avuto origine con il piano operativo nazionale per la gestione dei flussi migratori approvato dalla conferenza unificata nella seduta del 10 luglio 2014, la cui portata innovativa risiede nel fatto che, ferma restando la prioritaria competenza dei comuni, l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è stata ricondotta ad una logica di
partnership tra Stato e il mondo delle autonomie locali.
  Le previsioni del piano nazionale hanno poi trovato suggello e copertura normativa in due successivi interventi legislativi.
  Si fa riferimento, innanzitutto, alla legge di stabilità 2015 che ha concentrato in un unico Dicastero, quello dell'interno, gli interventi di competenza statale nel settore dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
  Nello specifico, tale legge, da un lato, ha trasferito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali al Ministero dell'interno il fondo destinato a sostenere finanziariamente i comuni che erogano i servizi di accoglienza ai minori stranieri non accompagnati.
  Dall'altro, ha previsto la possibilità di ospitare nelle strutture dello SPRAR, gestite come noto dagli enti locali con la regia unitaria e il preponderante sostegno finanziario del Ministero dell'interno, i minori stranieri non accompagnati non richiedenti protezione internazionale. Si è trattato di un'innovazione di non poco conto, atteso che il sistema SPRAR è destinato all'accoglienza dei soli richiedenti asilo e rifugiati.
  Più di recente, è intervenuto il decreto legislativo n. 142 del 2015 che, attraverso varie disposizioni di chiarificazione e chiusura del sistema, ne ha disegnato contorni con esattezza.
  Il dispositivo normativo prevede una fase di prima accoglienza del minore in strutture ad alta specializzazione gestite dal Ministero dell'interno. La permanenza in tali centri è limitata al tempo strettamente necessario e comunque non è superiore a 90 giorni.
  Il minore è successivamente ospitato nelle strutture di seconda accoglienza del sistema SPRAR gestite – come noto – dai comuni secondo un modello condiviso con il Ministero dell'interno, che valorizza l'ospitalità diffusa e mira all'integrazione.
  Qualora tali strutture siano temporaneamente indisponibili, gli enti locali provvedono comunque ad ospitare il minore attraverso i propri servizi di assistenza. In tal caso, essi possono fare richiesta di accedere, nei limiti delle risorse disponibili, al già citato fondo per i minori stranieri non accompagnati, gestito dal Ministero dell'interno.
  Si segnala, al riguardo, che il fondo ha ricevuto per l'anno in corso una dotazione finanziaria importante: si tratta di 170 milioni di euro, cioè quasi il doppio dei 90 milioni di euro assegnati per il 2015, che contribuiranno ad elevare in maniera significativa gli
standard qualitativi e quantitativi dell'accoglienza.
  Il modello concepito dal legislatore è in fase di graduale costruzione.
  Per quanto riguarda la prima accoglienza, sono in avanzato corso di predisposizione sia il decreto interministeriale sia il bando pubblico necessari all'allestimento dei previsti centri ad alta specializzazione.
  Nelle more, per fronteggiare le esigenze più pressanti, nel 2015 il Ministero dell'interno ha attivato strutture temporanee di accoglienza per oltre 700 minori al giorno, utilizzando allo scopo risorse del fondo europeo per l'asilo, la migrazione e l'integrazione, integrate con cofinanziamenti nazionali.
  Per quanto riguarda la seconda accoglienza, si informa che la rete SPRAR è stata recentemente potenziata di ulteriori 1.010 posti dedicati ai minori non accompagnati, in aggiunta ai 951 già esistenti.
  Quanto alla scomparsa dei minori stranieri non accompagnati dalle strutture di accoglienza, si rappresenta che effettivamente il fenomeno – secondo i dati forniti dal Ministero del lavoro – registra un
trend in crescita, di pari passo – d'altra parte – con l'aumento degli arrivi in Italia di tale categoria di stranieri.
  I minori resisi irreperibili sono stati 1.754 nel 2012, 2.142 nel 2013, 3.707 nel 2014 e 6.135 alla fine dello scorso anno.
  A fronte di questi numeri, si assicura che, da parte delle pubbliche autorità, non vi è alcuna sottovalutazione del problema.
  Va sottolineato preliminarmente che l'irreperibilità dei minori rappresenta un aspetto strutturale e costante del fenomeno migratorio, dovuto ad una molteplicità di fattori, tra i quali rivestono notevole rilevanza il progetto migratorio, l'aspettativa familiare e individuale, le informazioni in possesso dei minori, le reti parentali e di riferimento nei paesi di destinazione.
  A monte, vi è poi l'ulteriore considerazione che le strutture di accoglienza dei minori non hanno natura detentiva, ragion per cui la permanenza e le uscite da esse sono ispirate al rispetto delle regole di convivenza e delle indicazioni dei singoli gestori.
  In virtù dei doveri che la legge pone in tema di affidamento, i responsabili dei centri sono tenuti a denunciare tempestivamente gli allontanamenti dei minori alle Forze di polizia che, ai fini dell'immediato avvio delle ricerche attivano un circuito informativo interno e di tipo interforze, in modo che la segnalazione, indipendentemente dal fatto che sia o meno riferibile ad un'azione delittuosa, raggiunga gli uffici di polizia su tutto il territorio nazionale e quelli dei Paesi dell'area Schengen ed extra Schengen. La procedura prevede anche il coinvolgimento delle autorità diplomatiche.
  In aggiunta a ciò, l'ufficio di polizia, che ha ricevuto la denuncia, ne dà immediata comunicazione al prefetto che, oltreché interessare tempestivamente il commissario straordinario per le persone scomparse, può, all'occorrenza, attivare il piano provinciale di ricerca delle persone scomparse e decidere se coinvolgere o meno gli organi di informazione.
  Secondo i dati forniti dal commissario straordinario per le persone scomparse, l'articolato meccanismo di ricerca che ho appena descritto ha consentito, il rintraccio nel quadriennio 2012-2015 del 30 per cento circa dei minori stranieri resisi irreperibili.
  Si soggiunge che il medesimo commissario ha avviato da tempo una serie di interventi, tra cui un censimento mensile con tutte le prefetture per disporre di un quadro del fenomeno tale da agevolarne la comprensione e l'individuazione di misure di prevenzione.
  Nel medesimo senso, nell'autunno scorso il commissario ha siglato anche un protocollo operativo con la prefettura di Roma, le Forze dell'ordine, il tribunale dei minori, il comune di Roma, l'ANCI e l'università La Sapienza per la messa a punto di un sistema di monitoraggio e approfondimento delle cause di allontanamento da parte dei minori stranieri non accompagnati.
  Va anche ricordato che, a seguito di un recente incontro tenuto dal commissario con il circuito di cooperazione di polizia denominato SIRENE, sono stati individuati procedimenti finalizzati al miglioramento della collaborazione delle Forze di polizia, atti a garantire una identità certa ed univoca ai minori stranieri non accompagnati in arrivo. A tale riguardo, è stata condivisa la decisione di presentare una formale proposta di risoluzione o conclusione del Consiglio dell'Unione europea, che preveda la riconoscibilità dei minori stranieri in tutto il percorso migratorio dall'atto di ingresso nel territorio dell'Unione europea fino alla loro destinazione finale, mediante l'introduzione di nuove regole di identificazione applicabili in tutta l'area Schengen.
  Si segnala infine che dal 2009 è attivo il servizio inter-istituzionale denominato «116000 – Linea telefonica diretta per i minori scomparsi», gestito dall'associazione telefono azzurro sulla base di un protocollo d'intesa da essa siglato con il Ministero dell'interno e che, presso una Sala operativa del Dipartimento della pubblica sicurezza, opera dall'agosto 2013, un sistema che consente la massima diffusione a livello nazionale di elementi informativi utili alla ricerca dei minori scomparsi.
  Si è detto prima che la scomparsa del minore straniero è spesso connessa alla volontà del medesimo di proseguire il proprio percorso migratorio verso altri paesi per la realizzazione di un diverso progetto di vita.
  Vi è tuttavia il rischio, evidenziato anche dall'interrogante, che i minori scomparsi finiscano per incrementare le file delle vittime di tratta, di sfruttamento nelle varie forme o di altre tipologie di abusi.
  Invero, le indagini di polizia non hanno evidenziato, al momento, collegamenti significativi tra il fenomeno della scomparsa dei minori e le fattispecie delittuose richiamate.
  Non di meno, il livello di attenzione su questo specifico ambito di attività criminale è elevato, come è testimoniato, per quanto riguarda le Forze di polizia, dal fatto che, per la prevenzione e la repressione dei reati in danno dei minori, sono stati istituiti uffici
ad hoc – faccio riferimento, ad esempio, agli uffici minori delle questure – i cui operatori ricevono una peculiare formazione multidisciplinare, che pone al centro dell'attenzione le vittime e le modalità più efficaci per prevenire i fenomeni di abuso in questione.
  A parte le Forze di polizia, la grossa novità in questo campo è l'approvazione nella seduta del Consiglio dei ministri dei 26 febbraio 2016 del primo piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, che definisce le strategie di intervento per la prevenzione e il contrasto di tali fenomeni per il triennio 2016-2018.
  Per quel che interessa in questa sede, il piano individua e sviluppa gli strumenti e le procedure operative
standard per l'identificazione e il supporto dei minori che siano vittime o a rischio di tratta.
  Il piano è propedeutico all'emanazione del nuovo programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale delle vittime di tratta, che conterrà le misure e le azioni concrete che il Governo intende promuovere in questo campo.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.