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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 19 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni si è assistito ad una diffusione del cosiddetto turismo procreativo, vale a dire di quel fenomeno per cui coppie italiane che non possono avere figli si avvalgono della tecnica della surrogazione di maternità in un Paese estero in cui la stessa è consentita;
    questa pratica è, infatti, illegale nel nostro e nella maggior parte dei Paesi europei, con eccezione di Regno Unito, Grecia, Paesi Bassi, Romania, Russia e Ucraina;
    la surrogazione di maternità può assumere due forme distinte: nella prima si tratta specificamente di una surrogazione di concepimento e gestazione, ossia la situazione in cui l'aspirante madre demanda ad un'altra donna sia la produzione di ovociti, sia la gestazione, non fornendo alcun apporto biologico;
    nella seconda si dà corso, invece, a una surrogazione di gestazione, comunemente detta «affitto di utero» o «surrogazione di utero», nella quale l'aspirante madre produce l'ovocita il quale, una volta fecondato dallo spermatozoo dell'aspirante padre, viene impiantato nell'utero di un'altra donna che fungerà esclusivamente da gestante;
    la diffusione del turismo procreativo discende dal divieto di surrogazione di maternità previsto nel nostro ordinamento dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita», che all'articolo 12 stabilisce che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    il ricorso a pratiche di surrogazione di maternità effettuato all'estero, tuttavia, non è in Italia penalmente sanzionabile per effetto di tale norma;
    di conseguenza, sotto il profilo della responsabilità penale afferente alla surrogazione di utero effettuata all'estero la giurisprudenza ha utilizzato approcci diversi, concentrandosi prevalentemente, almeno in una prima fase, sull'analisi della configurabilità del reato di alterazione di stato, di cui al secondo comma dell'articolo 567 del codice penale, che punisce con la reclusione da cinque a quindici anni «chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità»;
    in dottrina si è ampiamente discusso se l'indicazione della madre biologica nel certificato di nascita rilasciato nel Paese estero sia circostanza idonea ad integrare la fattispecie di cui al citato articolo, posto che nel certificato di nascita rilasciato dall'autorità straniera appare il nome della madre biologica, anziché quello della donna che ha partorito, e la parte maggioritaria ha ritenuto applicabile tale fattispecie di reato alla surrogazione di utero;
    in via generale, la dottrina italiana maggioritaria si è, infatti, mostrata restia ad accettare un'attribuzione della qualifica di madre alla donna non gestante, adottando come parametro fondante il concetto giuridico di madre l'esperienza della maternità e non il mero dato biologico, come anche sembra discendere dal citato articolo 269 c.c.;
    si è quindi ritenuto che per integrare il concetto giuridico di madre non sia sufficiente il mero dato biologico, ma sia necessario non solo considerare lo strettissimo legame che intercorre durante la gravidanza, ma anche che l'apporto biologico sia accompagnato dalla decisione responsabile di giungere alla generazione di una nuova vita;
    la giurisprudenza, sinora, si è pronunciata in rare occasione sul tema generale della surrogazione di maternità e, solo recentemente, si è trovata a far fronte alle conseguenze giuridiche del cosiddetto turismo procreativo;
    con riferimento all'applicabilità del reato di cui al citato articolo 567 del codice penale, una interpretazione diversa è stata fornita nell'aprile dal 2014 con una sentenza del tribunale di Milano, nella quale si è affermato che la trascrizione del certificato di nascita estero non avrebbe effetto costitutivo dello status filiationis, ma solamente un mero effetto di pubblicità del registro di stato civile dell'atto formatosi all'estero, negando, di conseguenza, la configurabilità del delitto di alterazione di stato nella mera richiesta di trascrizione del certificato di nascita estero;
    di contro, la sentenza del tribunale di Milano ha, invece, riconosciuto i due coniugi indagati colpevoli del reato di cui all'articolo 495 del codice penale, «Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri», il quale punisce con la reclusione da uno a sei anni «chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o le altre qualità della propria o dell'altrui persona» a causa della falsa dichiarazione resa dal marito in ordine alla qualifica di madre biologica della moglie;
    in base alla sentenza, la falsa dichiarazione che si effettua nei casi di surrogazione di maternità sarebbe diretta a sottrarre al patrimonio conoscitivo dell'ufficiale d'anagrafe un elemento potenzialmente valutabile ai fini del rifiuto della trascrizione, ai sensi dell'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, in forza del quale gli atti formati all'estero non possono essere trascritti se sono contrari all'ordine pubblico;
    il giudice di Milano nella sentenza ha, inoltre, rilevato come seppure sia vero che il desiderio di genitorialità è pregevole e che la famiglia, intesa in senso lato, sia oggetto di specifica tutela costituzionale, tanto non vale «allorché tale desiderio sia soddisfatto ad ogni costo, anche a probabile discapito del nascituro»;
    la legislazione nazionale sul tema della filiazione, dalla Costituzione in poi, e quella sulle adozioni, dedicano grandissima attenzione a che il desiderio di genitorialità non urti contro i diritti del minore e non travalichi il dato materiale, cioè, per dirla con il giudice di Milano, «le condizioni per mezzo delle quali due soggetti possono naturalmente generare»;
    la maternità surrogata sta diventando un vero e proprio business, basato sullo sfruttamento del corpo delle donne e realizzato in spregio dei diritti più elementari dei bambini che sono trasformati in merci sul mercato internazionale della riproduzione;
    in India il business della maternità surrogata vale oltre due miliardi di dollari l'anno: le «volontarie» sono reclutate nelle zone più povere e producono più di millecinquecento bambini all'anno; la maggior parte della domanda viene dall'estero, spinta dai prezzi bassi: tra i venticinquemila e i trentamila dollari, rispetto ai cinquantamila dollari del trattamento in Usa;
    le «volontarie» che entrano nel circuito legale delle cliniche per la maternità surrogata guadagnano tra gli ottomila e i novemila dollari a gestazione, una cifra che in India corrisponde a dieci anni di lavoro di un operaio non specializzato, mentre quelle che ne rimangono al di fuori sono reclutate da veri e propri « scout», attivi nelle zone più povere, sono pagate molto meno – tra tre e cinquemila dollari – e sono costrette a firmare dei contratti che non prevedono alcun supporto medico post-parto;
    anche negli Stati Uniti il business della maternità surrogata aumenta a ritmo esponenziale, con un numero di nascite di oltre duemila bambini ogni anno, ma i costi complessivi sono molto più elevati e si assestano tra centotrentamila e duecentomila dollari;
    le madri surrogate non hanno alcun diritto sui bambini che pure portano in grembo, e tantomeno sono tutelati in alcun modo quelli dei neonati, costretti a separarsi dalla madre biologica subito dopo il parto, evento assolutamente traumatico;
    il 17 dicembre 2015, nel corso dell'assemblea plenaria del Parlamento europeo, è stato approvato il «Rapporto annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo riguardo il 2014 e le politiche dell'Unione europea in materia»;
    nel Rapporto è stato recepito un emendamento con il quale si afferma che il Parlamento europeo «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani» a disposizione dell'Unione europea nel dialogo con i Paesi terzi;
    il 18 marzo 2016, il Comitato nazionale per la bioetica, organo di consulenza al Governo, al Parlamento e alle altre istituzioni, ha approvato una mozione con la quale definisce la maternità surrogata come «un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione», ritenendo che «l'ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i princìpi bioetici fondamentali»;
    la legge sulla procreazione medicalmente assistita ha lasciato un vuoto normativo, nulla prevedendo in ordine alla liceità o meno della surrogazione di utero, e più in generale di maternità, attuata all'estero da cittadini italiani;
    appare doveroso affermare dei princìpi chiari e ideare strumenti legali in ambito nazionale e internazionale allo scopo di prevenire l'abuso di diritti umani come lo sfruttamento delle donne e il traffico di essere umani, con messi alla pratica della maternità surrogata e realizzare, al contrario, la protezione dei diritti e il benessere dei bambini,

impegna il Governo:

   ad adottare le opportune iniziative normative volte a far sì che il reato di surrogazione di maternità, di cui alla legge n. 40 del 2004, sia in ogni caso punibile anche se commesso all'estero da cittadini italiani;
   a sostenere ogni iniziativa in ambito europeo e internazionale volta a prevenire e contrastare il ricorso a pratiche di surrogazione di maternità, e a riaffermare in ogni sede la tutela e il rispetto per i diritti delle donne e dei bambini;
   nel rispetto dell'autonomia scolastica, a favorire la realizzazione nelle scuole superiori di iniziative di informazione e comunicazione sulla maternità e paternità come scelta consapevole e responsabile, anche attraverso il coinvolgimento degli alunni e delle famiglie.
(1-01228) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VIII e IX,
   premesso che:
    in data 23 febbraio 2016 i carabinieri del Ros hanno dato esecuzione al provvedimento n. 194/15 RSS e 1/16 R. Seq. del 12 febbraio 2016 della sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania, su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia, che ha disposto l'amministrazione giudiziaria delle società Tecnis spa, Artemis spa e Cogip Holding srl, nonché il sequestro delle relative quote ed azioni per un valore di oltre un miliardo e mezzo di euro;
    l'intervento colpisce tre importanti società del gruppo imprenditoriale Costanzo-Bosco Lo Giudice, già coinvolto nella recente indagine della procura di Roma sulle tangenti per gli appalti dell'Anas. Le società, da quanto risulta dalla motivazione del provvedimento, sarebbero state, asservite alla cosca mafiosa di Catania alla quale sono state garantite ingenti risorse economiche ed è stata consentita l'infiltrazione del redditizio settore degli appalti pubblici;
    la società Tecnis spa, operante nel settore della realizzazione di grandi opere infrastrutturali sia in Italia sia all'estero, ha un capitale sociale di 32 miliardi di euro interamente versato e le relative azioni sono suddivise in uguale misura tra le società Artemis spa e Cogip Holding srl. Tra le numerosissime attività in cui è impegnato il colosso imprenditoriale si possono citare, ad esempio, la realizzazione dell'anello ferroviario di Palermo, della metropolitana di Catania e, in Calabria, dei nuovi ospedali della Sibaritide e della Piana di Gioia Tauro. In Sardegna alla società Tecnis spa è stata affidata la realizzazione del quinto e del sesto lotto della Sassari-Olbia, l'allargamento a quattro corsie della rete esistente, costituita dalle strade statali 199 e 597, unico collegamento trasversale interno tra la costa occidentale e quella orientale del nord dell'isola;
    secondo quanto riportato dal sito internet di Anas, la realizzazione della nuova tratta Sassari-Olbia, che si sviluppa per un totale di ottanta chilometri, permetterà di raggiungere importanti risultati come l'aumento della velocità di percorrenza fino a 110 chilometri orari, l'aumento della capacità potenziale della rete fino a 23.000 veicoli al giorno e l'aumento della sicurezza di circolazione con il miglioramento delle intersezioni stradali;
    l'opera è stata a suo tempo prevista nella programmazione Anas con il relativo inserimento nel piano degli investimenti 2007-2011. Successivamente, come riportato dal sito internet di Anas, la Sassari-Olbia è stata ricompresa nel piano degli interventi relativi alla Presidenza italiana del G8 che, come noto, a seguito del sisma che ha colpito l'Abruzzo nell'aprile 2009, è stato trasferito all'Aquila. Nel 2010 è stato dichiarato lo stato di emergenza nel settore del traffico e della mobilità nelle province di Sassari Olbia-Tempio, in relazione ai lavori di rifacimento e messa in sicurezza della strada statale Sassari-Olbia. Con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3869 del 2010, recante «Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare l'emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità nelle province di Sassari ed Olbia-Tempio, in relazione alla strada statale Sassari-Olbia», il Presidente della regione autonoma della Sardegna è stato nominato commissario delegato per l'emergenza, il quale ha nominato Anas soggetto attuatore. Nel marzo del 2013, in relazione al termine della gestione commissariale previsto dalla legge, l'Anas è stata individuata quale amministrazione pubblica competente, in regime ordinario, all'esecuzione degli interventi sulla strada statale;
    in data 6 marzo 2013 il Ministero della coesione territoriale, il Ministero dei trasporti, la regione Sardegna ed Anas hanno sottoscritto il contratto istituzionale di sviluppo (C.I.S.) con cui sono stati definiti le responsabilità, i tempi e le modalità di attuazione degli interventi;
    il costo complessivo dei lavori, finora previsto, è di 930,67 milioni di euro finanziati come segue:
     606,45 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo sviluppo e coesione 2007-2013 assegnate alla regione Sardegna e attribuiti al progetto dalla delibera del CIPE 93 del 2012;
     162,00 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo sviluppo e coesione assegnate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e attribuiti al progetto dalla delibera CIPE 120 del 2009;
     21,63 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione 2000-2006 assegnate alla regione Sardegna e attribuiti al progetto dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3841 del 2010;
     14,00 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo sviluppo e coesione assegnate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per «opere minori» dalla delibera del CIPE 103 del 2009;
     21,59 milioni di euro provenienti dall'adeguamento del piano di azione coesione assegnati al progetto con delibera del CIPE 93 del 2012;
     105,00 milioni di euro a valere sulle risorse liberate dalla rendicontazione alla Commissione europea dei cosiddetti «Progetti volano» relativi al programma operativo regionale 2000-2006;
    il complesso degli interventi è suddiviso in undici lotti, relativi a:
     lotto 0 – tratto di collegamento alla SS 131;
     lotti da 1 a 8 – adeguamento al tipo «B» (4 corsie) dell'itinerario esistente a 2 corsie;
     lotto 9 – adeguamento a 4 corsie della penetrazione alla città di Olbia;
     adeguamento della sezione stradale del ponte sul rio Padrongianus sulla statale 125;
    si riscontrano già notevoli ritardi rispetto agli iniziali tempi previsti per la realizzazione complessiva dell'opera. I lavori, infatti, proseguono con tempi molto più lunghi rispetto alle scadenze inizialmente indicate a causa di numerose criticità, le maggiori di ordine burocratico, che sono subentrate nel corso dei mesi, le quali hanno ostacolato l'avvio e l'avanzamento degli interventi. Si segnala, per citare un esempio, l'avvio della procedura di rescissione del contratto con l'impresa che ha vinto il bando di gara per la realizzazione del lotto 4, i cui lavori ancora non sono partiti. Oggi la situazione appare particolarmente problematica in quanto per alcuni dei lotti, stando alle informazioni ufficiali fornite dall'Anas, non è indicata una data precisa per l'ultimazione dei lavori;
    degli undici interventi, da quanto risulta dal sito internet dell'Anas nella pagina che riporta informazioni sullo stato di realizzazione dell'opera, soltanto il lotto relativo al ponte sul Rio Padrongianus è stato aperto al traffico. Per quanto riguarda i lotti 0, 1, 7, 8 e 9 sono in corso i lavori di realizzazione, ma non è riportata una data ultima per la consegna dei lavori; i lavori sui lotti 2 e 4, per cui si prevede un costo rispettivamente di 110 milioni e 80 milioni di euro, non sono ancora partiti; il lotto 3 dovrebbe essere ultimato entro il mese di marzo del 2017; i lotti 5 e 6, affidati alla suddetta società Tecnis spa, stando ai dati ufficiali dovrebbero essere consegnati rispettivamente entro il 24 giugno 2016 ed entro il 13 febbraio 2017. In particolare, lo stato di avanzamento dei lavori del lotto 6, circa sei chilometri per un costo di oltre 66 milioni di euro, è pari all'8,66 per cento. I lavori del lotto 5, di 10 chilometri, costo 54 milioni di euro, realizzati per il 2,65 per cento, sono partiti soltanto dopo che il Tar ha assegnato l'appalto, prima vinto da un'altra azienda, alla Tecnis spa in seguito al ricorso presentato dalla società siciliana;
    risulta quindi verosimile che, anche alla luce dell'esecuzione del citato provvedimento del tribunale di Catania, le date di ultimazione degli interventi, in riferimento in particolare ai lotti 5 e 6, non saranno rispettate con conseguenti aumenti di spesa e disagi per la popolazione del territorio;
    la realizzazione della nuova strada di collegamento tra i due principali centri del nord Sardegna, che i cittadini sardi aspettano da ormai troppo tempo, appare di fondamentale importanza e utilità per la garanzia del diritto alla mobilità all'interno del territorio nonché per lo sviluppo dell'economia turistica dell'isola, visti i collegamenti viari esistenti che si caratterizzano per standard di qualità e di sicurezza estremamente bassi;
    in generale si registrano pesanti difficoltà di circolazione all'interno dell'intero territorio insulare a causa di una rete stradale fortemente inadeguata, inefficiente e insicura;
    le rilevazioni sull'incidentalità stradale, pur registrando una complessiva diminuzione dell'indice di pericolosità delle infrastrutture dell'isola, registrano un numero sempre elevato di incidenti, molti dei quali mortali, sul collegamento Sassari-Olbia;
    gli incidenti stradali rappresentano un costo sociale assai elevato e tale da rendere opportuno un nuovo impulso al completamento della infrastruttura di collegamento tra le due province del Nord della Sardegna, al fine di ridurre il numero di vittime della strada, consentire una circolazione più sicura e dotare la regione di un sistema di infrastrutture moderno e adeguato;
    i lunghi lavori di refflizzazione della nuova infrastruttura stanno altresì mettendo a dura prova il sistema di circolazione nel nord dell'isola a causa dei continui rallentamenti, delle deviazioni programmate e delle interdizioni al traffico veicolare in alcuni tratti di tale importante arteria e i ritardi che si registreranno nel completamento dell'opera in relazione ai fatti sopra descritti non potranno che peggiorare tale situazione, esasperando i cittadini che ogni giorno utilizzano l'infrastruttura per motivi di lavoro e di studio;
    a questo si aggiunge la cronica carenza di infrastrutture ferroviarie al servizio della Sardegna, che rende la strada l'unico mezzo di collegamento realmente accessibile per spostamenti efficaci. La Sardegna registra, infatti, l'indice infrastrutturale delle ferrovie in assoluto più basso in Italia, una situazione critica all'attenzione di Governo e Parlamento da molti anni, alla quale però non vengono date risposte concrete ed efficaci in termini di investimenti e risorse;
    la crisi infrastrutturale della Sardegna aggrava quella più generale di carattere economico e sociale; tuttavia non sembra ai firmatari del presente atto di indirizzo che il Governo intenda assumere iniziative adeguate per un effettivo miglioramento nella regione della qualità delle infrastrutture stradali o ferroviarie e, in generale, alla mobilità dei cittadini, che a sua volta potrebbe fornire un contributo importante anche per la ripresa del tessuto economico;
    dal recente studio della Confederazione nazionale dell'artigianato e delle piccola e media impresa «Infrastrutture e territorio, studio sulla dotazione infrastrutturale della Sardegna», presentato a Cagliari il 12 dicembre 2015, condotto prendendo in considerazione tutti gli investimenti in infrastrutture a partire dagli anni Sessanta, emerge che in Sardegna il costo per la realizzazione delle opere pubbliche è fra i più alti d'Italia. Dai dati prodotti da CNA Sardegna, infatti, l'isola si è posizionata al quarto posto in Italia sia per quanto riguarda la spesa per le infrastrutture pro capite, con oltre 1.240 euro all'anno per residente contro una media nazionale di 764 euro, sia per incidenza media annua degli investimenti in infrastrutture sul prodotto interno lordo (circa il 6 per cento rispetto al 3 per cento nazionale). Posto il dato medio italiano pari a 100, secondo l'analisi effettuata utilizzando una stima del valore economico di tutte le opere pubbliche che insistono sul territorio regionale (il cosiddetto stock di capitale fisso pubblico) e gli indici di dotazione Tagliacarne (indice di dotazione fisica e di funzionamento delle infrastrutture), la Sardegna mostra un indice di costo pari a 209, inferiore soltanto a quello della Basilicata (344) e del Trentino Alto Adige (234);
    secondo la CNA, inoltre, che ha preso in esame un campione di 200 opere pubbliche aggiudicate tra il 2000 e il 2015, la realizzazione di un'opera pubblica, iniziando dalla fase di affidamento fino ad arrivare all'esecuzione, richiede un tempo medio pari a 4,2 anni. Il ritardo nell'esecuzione delle opere rispetto ai tempi previsti è mediamente pari a circa 1,2 anni, la percentuale di contratti appaltati che sono stati rescissi o sospesi è pari all'11 per cento e le opere incompiute nell'isola sono 67;
    in generale i dati relativi al costo delle opere pubbliche, al ritardo nella loro esecuzione rispetto ai tempi previsti e ai lavori incompiuti in riferimento a tutta la regione Sardegna mostrano una situazione che desta particolare allarme per cui risultano necessari maggiori controlli sulle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche stanziate per la realizzazione delle opere infrastrutturali nonché urgenti interventi sia a livello regionale sia a livello nazionale finalizzati a garantire maggiore efficienza nel processo di esecuzione delle stesse,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative, per quanto di competenza, anche intervenendo presso ANAS, al fine di evitare ulteriori rallentamenti e ritardi nella realizzazione della nuova tratta Sassari-Olbia, che oggi appaiono verosimili anche alla luce dell'esecuzione del citato provvedimento del Tribunale di Catania;
   ad adottare tutte le iniziative opportune, per quanto di competenza, per potenziare la dotazione infrastrutturale della regione Sardegna e per garantire l'adeguatezza delle infrastrutture di trasporto ferroviarie e stradali, con particolare riferimento ai collegamenti tra i principali centri e, per quanto concerne la rete viaria, con una specifica attenzione ai profili della sicurezza e della facilità della circolazione stradale.
(7-00974) «Nicola Bianchi, Busto, Micillo, De Lorenzis».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAROCCI, MARIANI, TULLO, GIACOBBE e VAZIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2016 vi è stato un grave incidente all'oleodotto Iplom che partendo da Multedo arriva fino a Busalla con lo sversamento di migliaia di litri di greggio in località Fegino;
   è stato immediatamente constatato dalle autorità il preoccupante danno ambientale causato in termini di inquinamento dei torrenti Fegino e Polcevera e del mare e di presenza di agenti inquinanti nell'aria;
   in tal senso, è stata immediatamente posta in essere un'azione di contenimento da parte dei vigili del fuoco e della capitaneria di porto;
   inoltre, la procura della Repubblica ha ritenuto di avviare un'indagine e di disporre il sequestro dell'impianto;
   tale grave incidente ha causato un forte disagio per le popolazioni interessate –:
   se non si ritenga opportuno verificare se le misure di sicurezza dell'impianto fossero adeguate e se siano state immediatamente attivate;
   se si intenda vigilare, per quanto di competenza, affinché si concretizzino nel più breve tempo possibile le operazioni di verifica del danno ambientale dei torrenti e del territorio e l'attivazione dei procedimenti risarcitori che si rendano necessari, alla luce dei risultati delle analisi e dei sopralluoghi condotti da Arpal e dagli organismi competenti sul territorio interessato dall'incidente;
   se non ritenga urgente, dopo aver provveduto a tutti gli approfondimenti necessari per valutare lo stato d'emergenza, assumere iniziative per attivare le risorse che sarà possibile mettere in campo al fine di rispondere tempestivamente ai danni ambientali provocati da questo grave incidente. (5-08421)


   DI VITA, SPADONI, GRILLO, LOREFICE, BARONI, COLONNESE, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, mira a facilitare l'accesso ad un indennizzo per i cittadini dell'Unione che, vittime di un reato intenzionale e violento in uno Stato membro diverso da quello di residenza, non siano riusciti ad ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi non possiede le risorse necessarie oppure non può essere identificato o perseguito. La richiesta d'indennizzo può essere presentata dalla vittima alle autorità del proprio Stato di residenza, le quali procedono a trasmetterla alle competenti autorità dello Stato in cui il reato è stato commesso, che a sua volta provvede all'erogazione dell'indennizzo;
   la direttiva citata prevede dei sistemi di indennizzo interni di ciascuno Stato membro, come del resto appare chiaramente alla lettura dell'unico articolo (il 12) di cui è composto il secondo capo della direttiva stessa, intitolato appunto «sistemi di indennizzo nazionali»;
   il primo paragrafo di tale articolo prevede che «[l]e disposizioni della [...] direttiva riguardanti l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori». Viene perciò confermato che il sistema di cooperazione stabilito dalla direttiva deve andare ad innestarsi sui singoli e differenti sistemi nazionali di indennizzo, così come regolati da ciascuna legislazione interna, senza alcuna armonizzazione degli stessi;
   è tuttavia evidente che un'eccessiva disomogeneità di tali meccanismi nazionali rischierebbe di compromettere gravemente l'efficacia del sistema di cooperazione basato su di essi, soprattutto in considerazione del fatto che alcuni ordinamenti nazionali non prevedono alcuna normativa in materia di indennizzo delle vittime di reato;
   il secondo paragrafo dell'articolo 12 stabilisce dunque che «[t]utti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime»;
   in altri termini la direttiva impone agli Stati l'adozione di un sistema d'indennizzo nazionale, pena la completa inoperabilità dei meccanismi di cooperazione che su tale sistema avrebbe dovuto fondarsi. Ed a riprova della necessità di creare — laddove già non esistenti — siffatti sistemi di indennizzo, la direttiva ha altresì fissato un termine per la trasposizione delle disposizioni di cui all'articolo 12, paragrafo 2 (1o luglio 2005) anticipato rispetto a quello previsto per le altre disposizioni della stessa (1o gennaio 2006);
   nel novembre 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha accertato la mancata adozione, da parte dello Stato italiano, di qualsivoglia misura di attuazione della direttiva entro i termini dalla stessa previsti (sentenza 29 novembre 2007, causa C-112/07, Commissione c. Italia);
   tutt'oggi, a distanza di diversi anni da quella prima sentenza, l'inadempimento dell'Italia ai propri obblighi ai sensi della suddetta direttiva continua ad essere oggetto di controversie dinnanzi alla Corte di giustizia e ai tribunali nazionali;
   da una parte, infatti, la tardiva adozione del decreto legislativo n. 204 dei 6 novembre 2007 ha rappresentato una trasposizione solamente parziale della direttiva 2004/80/CE, inducendo la Commissione europea ad adire nuovamente la Corte di giustizia europea (si veda la causa C-601/14), nel dicembre 2014, al fine di ottenere una seconda pronuncia di accertamento della violazione da parte dello Stato italiano. D'altra parte, i tribunali nazionali continuano ad adottare soluzioni divergenti circa la possibilità per le vittime di reati di intentare azioni di risarcimento nei confronti del Governo italiano in ragione dalla non completa trasposizione della direttiva 2004/80;
   la Repubblica italiana, come detto, ha provveduto a trasporre la direttiva 2004/80 in maniera tardiva e parziale. Allo scadere del termine per la trasposizione, fissato dalla direttiva (con il limite di cui sopra in relazione all'articolo 12, paragrafo 2) al 1o gennaio 2006, il legislatore italiano non aveva infatti ancora adottato alcuna misura in tal senso. La Commissione europea ebbe dunque gioco facile ad ottenere una prima decisione della Corte di giustizia europea che constatasse l'inadempimento della Repubblica italiana (si veda la citata sentenza del 29 novembre 2007, nella causa C-112/07), all'esito di una procedura d'infrazione nel corso della qual lo stesso Governo italiano aveva ammesso la mancanza di qualsivoglia trasposizione;
   su impulso di tale procedura d'infrazione, l'Italia ha parzialmente adempiuto ai propri obblighi mediante l'adozione del citato decreto legislativo n. 204 del 2007. Il decreto legislativo traspone infatti in maniera corretta la direttiva nella parte concernente l'istituzione del sistema di cooperazione per l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, individuando le competenti autorità di assistenza e di decisione, creando un punto centrale di contatto presso il Ministero della giustizia e disciplinando il regime linguistico applicabile. Tuttavia, né il decreto legislativo, né alcuna norma di legge precedente o successiva, istituiscono un comprensivo sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati. Alcune risalenti leggi, che trovano applicazione anche in ipotesi transnazionali e sono a tal fine richiamate dal decreto legislativo, prevedono in effetti l'indennizzo delle vittime di alcuni specifici reati (quali quelli di stampo mafioso o terroristico), ma trattasi soltanto di una piccola frazione dei «reati intenzionali violenti» rispetto ai quali i meccanismi di indennizzo e di cooperazione previsti dalla direttiva 2004/80 dovrebbero operare;
   in sostanza, se da una parte lo Stato italiano ha approntato un meccanismo di cooperazione che permette ai cittadini dell'Unione europea residenti in uno Stato membro diverso dall'Italia di accedere al sistema nazionale d'indennizzo, dall'altra, ha omesso di rendere applicabile tale sistema al di fuori di alcune isolate fattispecie di reato. L'esperienza italiana rappresenta dunque una dimostrazione di come il meccanismo di cooperazione instaurato dalla direttiva sia pressoché, se non completamente, inutile a giudizio degli interroganti in mancanza di una per quanto minima armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia, volta in particolare a garantire per lo meno l'effettiva adozione di un sistema d'indennizzo in ciascuno Stato membro;
   per tali motivi la Commissione europea è infatti tornata a interessarsi della questione, avviando una nuova procedura d'infrazione nei confronti dello Stato italiano e chiedendo l'estensione del sistema nazionale d'indennizzo a qualunque fattispecie di reato qualificabile, ai sensi dell'ordinamento interno, come intenzionale e violento. Non essendosi l'Italia uniformata a parere motivato della Commissione, il 22 dicembre 2014, quest'ultima ha provveduto a depositare un ricorso presso la Corte di giustizia europea la citata causa C 601/14, Commissione c. Italia) al fine di ottenere — come accennato — una seconda censura del nostro Stato, seppur in merito, in questo caso, alla non corretta trasposizione non dell'intera direttiva, bensì del solo articolo 12, paragrafo 2;
   nelle more della completa trasposizione della direttiva 2004/80/CE alcune vittime di reati commessi in Italia hanno agito in giudizio contro lo Stato al fine di vederlo condannare al risarcimento del danno arrecato loro a causa dell'inadempienza agli obblighi comunitari, e in particolare della mancata istituzione di un efficace sistema d'indennizzo;
   a tal proposito è tristemente nota alle cronache la vicenda di Chiara Insidioso Monda, una ragazza che massacrata di botte a Roma dal fidanzato, Maurizio Falcioni, e uscita dal coma dopo molti mesi e che oggi versa in uno stato di minima coscienza, ridotta su una sedia a rotelle, e bisognosa di continue cure e assistenza. Secondo i parenti della vittima, promotori di una petizione in merito sulla piattaforma change.org, è una vergogna che l'Italia sia l'unico Paese in Europa a non aver ancora recepito integralmente la citata direttiva;
   limitare l'applicazione dell'articolo 12 della suddetta direttiva alle situazioni transfrontaliere porterebbe a risultati del tutto inaccettabili, in quanto permetterebbe a ciascuno Stato membro di limitarsi a garantire un indennizzo ai cittadini dell'Unione europea residenti all'estero, disinteressandosi della protezione dei cittadini residenti sul proprio territorio;
   senza dubbio, una tale interpretazione limiterebbe radicalmente il numero dei casi in cui l'indennizzo è dovuto, minimizzando l'impatto della direttiva sulle casse dello Stato. Tuttavia, ciò rappresenterebbe altresì per gli interroganti un caso di discriminazione sostanziale a danno dei cittadini dell'Unione residenti in Italia, in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione;
   una simile discriminazione è inoltre vietata, con specifico riferimento ai cittadini italiani residenti in Italia, dall'articolo 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, ai sensi del quale «[n]ei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell'ordinamento italiano ai cittadini dell'Unione europea» –:
   se e quali iniziative urgenti di carattere normative il Governo intenda intraprendere al fine di dare completa attuazione alla direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004 e per istituire il fondo a garanzie delle italiane vittime di violenza, evitando così il rischio di incorrere in ulteriori condanne da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito. (5-08422)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARZANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione nazionale volontarie del Telefono rosa con sede a Roma in Viale Mazzini 73, è una Onlus (categoria di diritto tributario ai sensi del decreto legislativo n. 460 del 1997), nonché un'associazione con personalità giuridica secondo iscrizione al registro della prefettura di Roma (n. 462 del 2006);
   l'associazione Telefono rosa onlus, che è una delle prime realtà d'Italia ad aver affrontato in maniera organica e continuativa il dramma delle donne vittime di violenza, ha tra i propri scopi statutari: promuovere e realizzare iniziative per combattere la violenza sessuale, fisica, psichica, psicologica, morale, patrimoniale di cui spesso le donne sono vittime all'interno e all'esterno delle proprie case; sollecitare le istituzioni e i mezzi di informazione ad intervenire affinché le vittime vengano difese e si sviluppi e diffonda la cultura della non violenza; intervenire in proprio nei processi penali per fatti di violenza; avvalersi degli strumenti processuali e amministrativi previsti dall'ordinamento per partecipare ai momenti decisionali inerenti gli interessi tutelati dall'Associazione; elaborare studi, promuovere convegni, corsi di formazione e dare impulso e sostegno ad attività d'innovazione e sperimentazione in campo educativo e formativo; promuovere la creazione di «Case delle donne», centri di accoglienza e orientamento che assolvano il compito di aiutare le donne in difficoltà e i loro figli minori;
   la missione associativa si realizza ininterrottamente dal 1990 con ascolto e accoglienza e consulenza totalmente gratuite;
   il centralino del «Telefono rosa» è attivo tutti i giorni, 24 ore su 24, con il contributo, oltre che delle volontarie, anche di un avvocato, civilista o penalista, iscritto al patrocinio a spese dello Stato e di uno psicologo iscritto all'Ordine degli psicologi del Lazio;
   nei casi più gravi (uxoricidio o femminicidio, violenza sessuale di gruppo o su donna incinta) l'Associazione si costituisce parte civile nei processi;
   l'Associazione organizza gruppi di mutuo autoaiuto, nonché corsi di formazione e di aggiornamento, e gestisce due case rifugio: «Casa Internazionale dei diritti umani delle donne» e «La ginestra»;
   da tre anni, presso la propria sede, gestisce per conto della Presidenza del Consiglio, dipartimento per le pari opportunità, il numero di pubblica utilità «1522» che offre un servizio di accoglienza telefonica multilingue, attivo ogni giorno 24 ore su 24;
   il 21 marzo 2016, a quanto consta all'interrogante, l'Associazione ha ricevuto una raccomandata dal comune di Roma con in richiesta tassativa di liberare i locali nei quali l'associazione ha operato con regolari concessione fino al 2015 pagando il canone mensile di circa 500 euro, e per la quale era in attesa di rinnovo, avendo peraltro ricevuto continue rassicurazioni  –:
   se siano a conoscenza della specifica situazione concernente la richiesta tassativa di liberare i locali ricevuta dall'Associazione Telefono rosa e delle conseguenze che potrebbe avere l'interruzione dei servizi forniti dall'Associazione medesima, ivi compresa la gestione, per conto della Presidenza del Consiglio, dipartimento per le pari opportunità, del numero di pubblica utilità «1522»;
   se il Governo non ritenga necessario adottare iniziative, per quanto di competenza, affinché quest'Associazione non sia costretta a ricorrere al tribunale amministrativo regionale per far valere i propri diritti. (4-12882)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo studio « Südtiroler Sprachbarometer – Sprachgebrauch und Sprachidentitat in Südtirol», in italiano «Barometro linguistico dell'Alto Adige – Uso della lingua e identità linguistica in provincia di Bolzano» (212 pagine), edito nel 2014 dal Landesinstitut für Statistik, in italiano Istituto provinciale di statistica (ASTAT) della provincia autonoma di Bolzano, ha analizzato le conoscenze linguistiche della popolazione altoatesina e diversi aspetti relativi alla convivenza fra i gruppi linguistici presenti sul territorio;
   tra i temi trattati dalla suddetta pubblicazione: le prime esperienze con la madrelingua, la seconda lingua e le lingue straniere, il vivere in un contesto caratterizzato dalla presenza di molteplici culture, la dimensione culturale del multilinguismo, i dati e le opinioni sull'esame di bi e trilinguismo e l'utilizzo delle lingue nella quotidianità e nell'ambito lavorativo;
   su una popolazione totale di 422.200 persone di 16 anni e oltre residente in provincia di Bolzano: 275.000 sono di madrelingua tedesca (circa il 65 per cento); 115.500 sono di madrelingua italiana (27,4 per cento) 17.200 di madrelingua ladina (4,1 per cento) e 36.100 appartenenti ad altri gruppi linguistici (8,6 per cento);
   il capitolo 5 della pubblicazione «Le conoscenze linguistiche attuali e il loro uso nel quotidiano» mostra un livello considerevole di conoscenza delle lingue maggiormente parlate nella provincia: la quota delle persone con competenze molto buone nella seconda lingua – che cioè capiscono tutto, parlano correntemente e sanno scrivere testi complessi – è compresa fra il 40 per cento ed il 75 per cento. La quota di quanti non conoscono o quasi il tedesco nelle quattro categorie esaminate (comprensione alla lettura, produzione scritta, produzione orale e comprensione all'ascolto) è dell'11 per cento mentre è il 5 per cento a non sapere o quasi l'italiano, ovvero circa 21.000 persone;
   stando all'autovalutazione degli intervistati e sommando le categorie «capisco tutto» e «capisco il contesto», una quota compresa fra il 75 per cento e oltre l'80 per cento di tutti gli altoatesini sa relativamente bene le due lingue parlate in provincia. Con ciò si situano allo stesso livello di competenze nella seconda lingua degli svedesi, che a livello europeo sono la popolazione meglio classificata in materia (Commissione europea (2012), First European Survey on Language Competencies, Brussel). Si registrano invece divergenze marcate tra le varie forme comunicative: le competenze meno sviluppate sono quelle nella scrittura e nella lettura: solo il 40-50 per cento legge e scrive molto bene in italiano, in tedesco la quota è compresa fra il 55 per cento e il 66 per cento. Tre quarti della popolazione comprendono quasi tutto se si parla in tedesco mentre due terzi della popolazione comprendono quasi tutto se si parla in italiano, mentre i ladini delle valli Gardena e Badia presentano le competenze linguistiche migliori in assoluto;
   sebbene fra gli altoatesini di lingua tedesca la conoscenza dell'italiano sia superiore alla conoscenza del tedesco fra gli italiani, in termini assoluti, rimane una parte significativa della popolazione a non avere una comprensione ottimale della lingua italiana. Nella comprensione all'ascolto dell'italiano da parte del gruppo linguistico di lingua tedesca il 55,1 per cento degli intervistati dichiara di essere in grado di comprendere tutto, il 28,8 per cento di comprendere il contesto, il 12,9 per cento di comprendere espressioni semplici mentre il 3,2 per cento di non comprendere nemmeno una parola. La somma di coloro che comprendono l'italiano molto bene (55,1 per cento) e abbastanza bene (28,8 per cento) tocca quindi quasi l'85 per cento mentre coloro che dichiarano di avere una comprensione insufficiente o scarsa sono il 15 per cento circa 41.250 persone;
   nella società attuale il tempo passato davanti al televisore è molto: in Alto Adige, sono mediamente circa due ore al giorno; escludendo le persone che non guardano mai la televisione, il numero di ore giornaliere sale quasi a tre. I media svolgono tre funzioni importanti: quella dell'informazione e dell'istruzione, quella dell'intrattenimento e di passatempo e una funzione commerciale (pubblicità). Le tre funzioni si intrecciano spesso e in vari modi. La funzione dell'intrattenimento, ad esempio, non è riservata alle sole produzioni fiction e similari che occupano larghissima parte del programma, ma si riscontra in parte anche nei telegiornali. Nei media a più ampia diffusione, quali la stampa scandalistica e la televisione pubblica, non è sempre facile distinguere fra informazione e pubblicità politica; pertanto, la concentrazione dei media – fenomeno molto presente anche in Alto Adige – è un argomento di scottante attualità. Ovvio quindi che l'enorme consumo quotidiano di media conferisce importanza fondamentale alla lingua in cui i programmi sono trasmessi e gli ascoltatori/spettatori li seguono;
   si osserva che l'ascolto della radio fa parte del quotidiano della maggioranza degli altoatesini: meno del 5 per cento degli altoatesini di lingua tedesca e ladina non ascolta mai la radio, circa l'80 per cento la ascolta molto spesso, per lo meno più volte alla settimana;
   d'interesse la percentuale degli altoatesini rispettivamente di lingua tedesca e italiana che ascoltano trasmissioni nell'altra lingua. Spicca che in ambedue i gruppi, la quota di ascolto relativamente frequente (più volte alla settimana) è pressoché uguale, attestandosi quasi su un quarto. Coloro che non ascoltano mai programmi radio nell'altra lingua sono invece molto più numerosi nel gruppo italiano: 57,1 per cento. La corrispondente quota presso il gruppo tedesco è del 43,1 per cento, ovvero 118.000 persone;
   la televisione è più seguita della radio; in tutti i gruppi linguistici è al massimo il 5 per cento a non guardare praticamente mai la televisione nella propria madrelingua. Sempre nella propria madrelingua, tre quarti abbondanti degli altoatesini di lingua tedesca e di lingua italiana la seguono praticamente ogni giorno: la percentuale sicuramente non è inferiore fra i ladini;
   essi si distinguono per il fatto che guardano molto spesso programmi in tutte e tre le lingue locali (dal 57 per cento al 67 per cento quasi ogni giorno). Nei due gruppi maggiori la situazione si presenta del tutto diversa. Quasi la metà delle persone di lingua italiana e più di un terzo degli altoatesini di lingua tedesca non guarda pressoché mai programmi televisivi nell'altra lingua. Ciò significa che almeno 90.000 soggetti con età superiore a 16 anni non guardano mai programmi televisivi in lingua italiana;
   nella popolazione di lingua tedesca, il settore in cui è percepita una certa condizione di svantaggio è quello dell'amministrazione e degli uffici pubblici, con il 50 per cento circa. Vi incide sicuramente la situazione linguistica, in quanto in determinati ambiti può capitare tuttora di avere problemi se il cittadino non conosce bene l'italiano;
   nell'interrogazione n. 4/12720 venivano sollevati i problemi inerenti alla mancata attuazione dell'articolo 4 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, i quali sono stati generati dal decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle economia e delle finanze, del 30 ottobre 2015, registrato alla Corte dei conti l'11 dicembre 2015, con n. Reg.ne Prev. 4189, che ha disposto il taglio degli stanziamenti per i messaggi autogestiti gratuiti che avrebbero dovuto essere stati assegnati alle emittenti radiofoniche e televisive locali delle province autonome di Trento e Bolzano;
   il documento «Disposizioni in materia di comunicazione politica, tribune, messaggi autogestiti e informazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo in relazione alla campagna per il referendum popolare indetto per il giorno 17 aprile 2016 (Documento n. 8)» approvato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il marzo 2016, pur prevedendo spazi di discussione e la possibilità di trasmissione di spazi autogestiti in italiano da trasmettere sul territorio nazionale, non regolamenta esplicitamente la comunicazione in altre lingue minoritarie presenti in Italia;
   RAI Sender Bozen, seguita da una elevata percentuale della popolazione in lingua tedesca, non ha accolto la richiesta di trasmissione di messaggi autogestiti da parte dalle associazioni ambientaliste locali che appoggiano il comitato nazionale «Vota SI per fermare le trivelle»;
   la combinazione delle succitate situazioni che includono a) una comprensione insufficiente della lingua italiana di una parte di una quota non insignificante del gruppo linguistico tedesco; b) la bassa attitudine del gruppo linguistico tedesco a seguire i programmi in lingua italiana; c) il taglio degli stanziamenti dei messaggi autogestiti gratuiti alle emittenti locali, d) la mancata previsione della regolamentazione della comunicazione politica sull'emittente pubblica in altre lingue minoritarie presenti in Italia, ha determinato una diffusione insufficiente delle informazioni in ordine al referendum del 17 aprile 2016 sul rinnovo delle concessioni alle attività di estrazione di gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane; mediante i citati provvedimenti, lo Stato, in una materia di competenza esclusiva statale, ha smesso di garantire i livelli minimi essenziali in un campo pertinente alla comunicazione politica e al diritto degli elettori di essere informati sulle proposte dei soggetti politici durante le competizioni elettorali e referendarie nazionali –:
   se ritenga di assumere eventuali iniziative di competenza con riferimento ai rapporti finanziari fra Stato e province autonome di Trento e di Bolzano, assegnando a queste ultime gli stanziamenti previsti dalla legge n. 28 del 2000, al fine di assicurare, anche agli altoatesini di lingua tedesca, l'esercizio dei diritti fondamentali dei cittadini di partecipare alla politica nazionale e di essere informati. (4-12888)


   DURANTI, PIRAS, PALAZZOTTO, SCOTTO, COSTANTINO, D'ATTORRE, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, MARCON, MELILLA, NICCHI, PANNARALE, RICCIATTI e SANNICANDRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l’hub di accoglienza per migranti situato nel porto di Taranto è operativo dal 17 marzo 2016 e insieme a quelli aperti a Pozzallo, Lampedusa e Trapani, (a cui se ne aggiunge uno «mobile», con un team in partenza da Catania che all'occorrenza si reca a fare le identificazioni direttamente sui luoghi di sbarco), rappresenta il sistema italiano dell'accoglienza ai rifugiati e profughi basato sul modello degli hotspot;
   attualmente, gli hotspot, nell'assenza di una esplicita regolamentazione, sono configurati come luoghi chiusi nei quali operano le forze di polizia italiane, supportate dai rappresentanti delle agenzie europee (Frontex, Europol, Eurojust ed EASO, l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo);
   al loro interno, o comunque con il sistema «mobile», vengono sottoposti a rilievi fotodattiloscopici gli stranieri appena sbarcati in Italia ai fini della loro identificazione e quindi per poi essere distinti e qualificati come richiedenti asilo o migranti economici;
   conseguentemente a questa sommaria «catalogazione», i migranti vengono inviati alle strutture di accoglienza per richiedenti asilo oppure sarebbero destinatari, come avvenuto nella maggioranza dei casi osservati fino ad ora, dall'apertura degli hotspot, di un provvedimento di respingimento per ingresso illegale e poi lasciati sul territorio italiano senza alcuna misura di accoglienza, non essendo comunque possibile alcun rimpatrio;
   una parte di coloro che rientrano nella prima categoria, ossia non vengono catalogati come migranti economici, vengono infine destinati alla cosiddetta «relocation», ovvero hanno accesso alla procedura di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea. Questa procedura, ad oggi, ha prodotto minimi effetti, con solo 530 profughi totali trasferiti verso altri Paesi dell'Unione europea;
   con specifico riferimento al centro di Taranto non risulta chiara la natura della struttura in cui, tra le altre cose, è stato accertato — anche attraverso visite degli interroganti — la presenza di migranti trattenuti senza la comunicazione all'autorità giudiziaria entro le 48 ore come prevista dalla legge e, quindi, senza convalida del fermo di polizia;
   alcuni dei migranti che sono passati per l’hotspot di Taranto sono stati trattenuti per oltre 72 ore dopo le procedure di fotosegnalazione, quindi a giudizio degli interroganti, illegittimamente e in assenza di motivi che giustificassero il trattenimento, i considerato che il centro dovrebbe avere come funzione unica quella dell'identificazione;
   ulteriormente, dai colloqui effettuati durante le visite con i migranti trattenuti, emerge uno scarso lavoro di informativa da parte degli organi competenti sui diritti in capo ad essi prima che essi vengano pre-identificati, come del resto previsto dalle normative nazionali e internazionali in materia;
   risulta particolarmente grave, a quanto consta agli interroganti, l'assenza di un'informativa circa il diritto di richiedere protezione internazionale che dovrebbe essere fatto prima di qualsiasi tipo di identificazione;
   a tal fine è bene ricordare che ogni straniero soccorso in mare e sbarcato ha il diritto di ricevere informazioni complete e comprensibili sulla sua situazione giuridica e ha il diritto di manifestare in qualsiasi momento (anche quando già si trova da tempo in Italia) la volontà di presentare domanda di asilo;
   la mancata informativa, o comunque l'informativa parziale e somministrata a persone appena sbarcate e ancora in grave stato di choc è risultata evidente nel più recente trasferimento all’hotspot di Taranto del 31 marzo 2016 dove persone di nazionalità marocchina a quanto consta agli interroganti si sarebbero viste notificare un respingimento differito, dichiarando di non essere stati informati e di non aver avuto la possibilità di richiedere asilo, malgrado quanto previsto dalla circolare del prefetto Morcone dell'8 gennaio 2016;
   la mancata informativa sarebbe quindi, a quanto risulta agli interroganti, alla base dei respingimenti differiti eseguiti sull'accertamento della sola nazionalità;
   il caso accertato a Taranto il 31 marzo 2016 fa il paio con quanto avvenuto con altri cittadini di nazionalità gambiana negli hotspot siciliani e portato all'attenzione del Ministro interrogato con l'interrogazione n. 4-11563 del 22 dicembre 2015;
   la pratica dei respingimenti differiti sulla sola base discriminante della nazionalità oltre a violare la Convenzione di Ginevra genera situazioni di estrema vulnerabilità delle persone lasciate senza nessun mezzo di sostentamento alle porte dell’hotspot, escludendole dal sistema nazionale d'accoglienza;
   il 1o aprile 2016 quindi, circa 250 migranti di nazionalità marocchina, sarebbero stati accompagnati alle porte dell’hotspot e sarebbe stato consegnato loro un provvedimento di respingimento differito. Questi non avrebbero potuto fare altro che riversarsi nella stazione ferroviaria cittadina, abbandonati a loro stessi, senza denaro, senza sostegno di alcun tipo;
   la situazione che si è venuta a creare, ad opinione degli interroganti, oltre a non essere conforme alla normativa vigente, si configura come una vera e propria emergenza sociale di cui le prime vittime sono i migranti –:
   alla luce di quelle che gli interroganti giudicano come l'inefficacia e la sommarietà del sistema degli hotspot, quali iniziative intenda assumere il Governo in merito e se in particolare non ritenga di adottare iniziative per chiuderli;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per supportare gli impegni straordinari degli enti locali che devono provvedere, per le proprie competenze, a garantire condizioni dignitose in emergenza per numerosi migranti abbandonati a sé stessi e quindi come si intenda intervenire per sostenere lo sforzo dei comuni che in particolare ospitano gli hotspot. (4-12889)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il giacimento VEGA, localizzato nel Canale di Sicilia nella parte prospiciente la costa della Provincia regionale di Ragusa, è situato ad una profondità sotto il livello del fondale marino variabile da 2.400 a 2.800 metri, ricade nella concessione di coltivazione «C.C6.EO», intestata alla società Edison;
   la concessione ha ad oggetto un'area che si estende su una superficie di 184,8 chilometri quadrati ed è stata autorizzata con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato il 17 febbraio 1984. Il programma di sviluppo allegato al citato decreto ministeriale prevedeva lo sfruttamento delle risorse disponibili nell'area di concessione – originariamente denomina «C.C6.IS» – mediante la realizzazione di: a) due piattaforme fisse VEGA A e VEGA B per un numero complessivo di 24 pozzi ciascuna, b) un sistema di condotte sottomarine;
   la piattaforma VEGA A è stata installata nel febbraio del 1987 ed è ubicata ad 11,7 miglia marine dalla linea di base delle acque interne, in direzione del comune di Pozzallo. L'esercizio definitivo del complesso VEGA è stato autorizzato con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato il 15 febbraio 1988;
   il procedimento penale n. 1156/07 RGNR, in corso presso il tribunale di Modica, vede imputati alcuni soggetti (Costa Marcello + altri) che, in concorso tra loro, a diverso titolo, contribuivano alla gestione del Campo minerario Vega, sito destinato alla coltivazione e produzione di idrocarburi, in concessione alla Edison spa. In particolare, sono imputati il direttore e il responsabile della sicurezza del Campo Vega e l'amministratore delegato della Edison spa, nonché i comandanti del «galleggiante» utilizzato nel Campo per lo stoccaggio del greggio. A costoro si imputa il reato di «attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti» previsto attualmente dall'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per avere concorso, con la messa in opera di attività continuative e organizzate, all'illecito smaltimento di elevatissimi quantitativi di rifiuti (acque di strato, acque di lavaggio e acque di sentina) nel sottosuolo marino. I fatti contestati si riferiscono ad un periodo compreso tra il 1989 e il 2007, il processo è a serio rischio prescrizione;
   l'Ispra, a seguito del procedimento penale sopra citato, ha effettuato nel 2010 una valutazione del danno ambientale;
   dalla relazione dell'Ispra si evince come: «durante i processi di lavorazione del Campo Vega vengono prodotti elevati quantitativi di rifiuti, distinguibili in tre tipologie di acque: 1. Acque di strato – Prodotte nelle cisterne della Vega Oil, rappresentano le acque derivanti dalla separazione fisica (attraverso il processo di decantazione) della miscela acqua – idrocarburi, estratta dai pozzi petroliferi. 2. Acque di lavaggio – Rappresentano il prodotto del lavaggio delle cisterne della Vega Oil che hanno contenuto gli idrocarburi. 3. Acque di sentina – Sono costituite dalle miscele oleose derivanti dagli scoli dei motori a combustione interna, che si depositano sul fondo della sala macchine della nave Vega Oil»;
   dalla relazione dell'Ispra si evince come: «i rifiuti prodotti durante le attività del Campo Vega venivano sistematicamente smaltiti dagli imputati con modalità assolutamente non conformi alle disposizioni normative. In particolare, le acque di strato, le acque di lavaggio e quelle di sentina venivano reimmesse in un pozzo sterile del Campo, denominato VEGA 6, ad una profondità nel sottosuolo di circa 2800 metri. Nel dettaglio, la reimmissione delle acque di strato nel pozzo VEGA 6, a partire dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 152 del 1999 e, successivamente, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sarebbe dovuta essere autorizzata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. La Edison spa, invece, era in possesso di un'autorizzazione rilasciata nel 1987 dal Ministero per le attività produttive e non più valida a partire dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 152 del 1999. Peraltro, tale reimmissione non avrebbe potuto comunque essere autorizzata in quanto il pozzo VEGA 6 non è mai stato produttivo e quindi non può essere sfruttato come unità geologica profonda di ricezione (articolo 104 decreto legislativo n. 152 del 2006). Il consulente tecnico della procura C.F. Gianino ha accertato che tale reimmissione è avvenuta sistematicamente, a dispetto della norma, dal 2000 ad oggi»;
   dalla relazione dell'Ispra si evince come: «per quanto riguarda le acque di lavaggio, lo stesso consulente ha accertato dal Registro degli Idrocarburi che sin dal 1989 le stesse venivano reimmesse nel pozzo VEGA 6; tale, attività non era autorizzata ed inoltre, la normativa vigente (decreto legislativo n. 183 del 2003) prevede l'obbligo di stoccare e smaltire le acque di lavaggio come rifiuti. Un discorso analogo riguarda le acque di sentina reimmesse nel pozzo VEGA 6 sin dal 1993, anche in questo caso senza alcuna autorizzazione e, secondo il decreto legislativo n. 183 del 2003, da smaltire come rifiuti. (...) Le attività di illecito smaltimento prevedevano, inoltre, l'aggiunta di diverse sostanze chimiche ai rifiuti prodotti durante l'attività estrattiva. In particolare, inibitori di corrosione, biocidi e de-ossigenanti erano tutti prodotti utilizzati per mantenere in buono stato di conservazione le strutture del pozzo VEGA 6. A ciò si aggiunge una documentata iniezione, nello stesso pozzo, di acido cloridrico al fine di aumentarne la capacità di assorbimento dei rifiuti liquidi reimmessi nel sottosuolo (consulenza Gianino). In conclusione, gli imputati hanno illecitamente smaltito, attraverso una reimmissione non autorizzata nel pozzo VEGA 6, una miscela di rifiuti contenenti acque di strato, acque di lavaggio e acque di sentina, con l'aggiunta di una serie di prodotti di sintesi»;
   dalla relazione dell'Ispra si evince come: «il danno ambientale generato dalle attività di illecito smaltimento dei rifiuti provenienti dal Campo Vega ha assunto le forme sia di una contaminazione dell'area della formazione geologica recettrice dello scarico sia, attraverso il trasferimento degli inquinanti, di una contaminazione su vasta area che ha interessato altre porzioni di sottosuolo comprese le riserve di acqua dolce in esso presenti e, presumibilmente, le acque marine ed i sedimenti»;
   dalla relazione dell'Ispra si evince come: «ai fini del risarcimento del danno ambientale, in conformità alla parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006, è necessario valutare in via prioritaria la possibilità di effettuare una riparazione primaria per riportare le risorse naturali danneggiate (formazioni geologiche del sottosuolo, ambiente marino e riserve idriche d'acqua dolce) alle condizioni originarie. In questa situazione, considerando la natura particolare delle matrici ambientali danneggiate, si ritiene che dal punto di vista tecnico un ripristino primario non sia realizzabile. Infatti, l'elevata profondità alla quale la contaminazione si è verificata (circa 2800 m) e il trasferimento degli inquinanti su vasta area sono elementi che impediscono di effettuare degli interventi che possano riportare le risorse lese alle loro condizioni originarie. L'eliminazione della contaminazione in tale contesto non è dunque una strada percorribile. Egualmente non praticabili, anche in relazione all'impossibilità tecnica di un ripristino primario, sono la riparazione complementare e quella compensativa così come descritte nell'allegato 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Come previsto dalla normativa vigente, nell'impossibilità di effettuare le riparazioni precedentemente citate, il risarcimento del danno deve essere effettuato per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato (per finanziare gli interventi di cui all'articolo 317, comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006). Si ritiene che tale equivalente in termini monetari possa essere rappresentato dai costi di smaltimento dell'intero quantitativo di rifiuti che gli imputati hanno illecitamente smaltito nel corso degli anni. In particolare, il quantitativo totale di rifiuti smaltito è pari a 496.217 m3, comprensivo di tutte e tre le tipologie di acque (tabella 1, paragrafo 3.2) e il costo unitario di smaltimento è stimabile in 140 euro/m3, comprensivo di ritiro, trasporto e smaltimento (Allegato 2 preventivo ACIF Servizi srl). Nel complesso il costo di smaltimento totale è pari a 69.470.380 euro (496.217 * 140) e tale somma corrisponde al risarcimento del danno ambientale per equivalente monetario. Questo valore rappresenta la cifra minima da corrispondere quanto, considerando in quanto, considerando l'enorme valore attribuibile, dal punto di vista ambientale, alle formazioni geologiche del sottosuolo, all'ambiente marino e alle riserve d'acqua dolce del pianeta, certamente tale valore è una sottostima del patrimonio naturale leso dalle attività illecite condotte dagli imputati»;
   il 26 luglio 2012, la società titolare della concessione presenta domanda di pronuncia della compatibilità ambientale al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativa al progetto denominato: «Sviluppo del Campo Vega B – Concessione di Coltivazione C.C6.E0». Tale richiesta, quindi, afferisce in particolare alla realizzazione della seconda piattaforma fissa, denominata VEGA B, la quale secondo il progetto approvato in origine, avrebbe dovuto collegare e completare il complesso produttivo in questione;
   con nota del 12 dicembre 2014 il Ministero dello sviluppo economico, guidato dal Ministro pro tempore Federica Guidi, ha: «confermato che la società istante ha ottemperato, nei termini di buona gestione del giacimento, agli obblighi del decreto di conferimento della concessione di cui è stata chiesta proroga e che il programma lavori proposto per il prossimo decennio risulta finalizzato all'ottimizzazione e al completamento del drenaggio delle risorse»;
   dopo la fase istruttoria e di valutazione da parte della «Commissione Tecnica di Verifica dell'Impatto Ambientale VIA e VAS (CTVA)», conclusasi con parere positivo n. 1319 del 2 agosto 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto n. 0000068 del 16 aprile 2015, ne ha dichiarato la compatibilità ambientale con prescrizioni. Nel contempo, con medesimo provvedimento ministeriale, è stata rilasciata l'AIA per il «successivo esercizio del complesso produttivo piattaforma VEGA A e VEGA 13». Il 13 novembre 2015 il Ministero dello sviluppo economico, guidato dal Ministro pro tempore Federica Guidi, ha concesso il permesso per 10 anni;
   lo specchio acqueo all'interno del quale dovrebbe essere realizzata la piattaforma VEGA B, rientra all'interno del perimetro delle 12 miglia marine dal sito di interesse comunitario «SIC ITA0800010» denominato «Fondali della foce del fiume Irminio», la cui individuazione è stata comunicata dalla regione siciliana al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'agosto 2012;
   nella documentazione fornita dalla Edison, nella parte relativa all'inquadramento territoriale ed ambientale, è la stessa società ad affermate che il sito ove dovrà essere realizzata la piattaforma VEGA 13 ricade all'interno delle 12 miglia dai confini dell'area protetta. Tuttavia, la stessa società richiedente aggiunge che occorre considerare la novella introdotta dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, che pone un limite al divieto previsto dal decreto legislativo n. 128 del 2010, facendo salvi i provvedimenti concessori posti in essere alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo. In tal modo, la società Edison SpA ha ricondotto la richiesta relativa alla costruzione della piattaforma VEGA 13 alla concessione autorizzata ab origine con decreto ministeriale del 17 febbraio 1984 –:
   secondo quali criteri sia stata concessa la compatibilità ambientale, anche se con prescrizioni, alle strutture VEGA A e VEGA B (di cui al decreto del Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare n. 0000068 del 16 aprile 2015), sebbene nel 2010 lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela, del territorio e del mare – attraverso un report dell'Ispra e a riprova che la società non ha ottemperato di termini di buona gestione da giacimento – certificava l'elevato danno ambientale generato dall'attività di illecito smaltimento dei rifiuti provenienti dal Campo Vega, tanto da costituirsi parte civile al processo per chiedere un risarcimento danni pari a 69.470.380 euro.
(2-01345) «Mannino, Busto, Daga, De Rosa, Micillo, Terzoni, Zolezzi, D'Incà».

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata:


   PIRAS, DURANTI, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da diversi organi di stampa – fra cui la Repubblica e Il Corriere della Sera – una denuncia sarebbe stata inviata ai più alti livelli istituzionali, tra cui la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministro della difesa circa l'operato dell'ammiraglio De Giorgi in qualità di Capo stato maggiore della Marina;
   nello specifico il documento – presumibilmente inviato da un ex collega dell'ammiraglio, come trapela alla stampa – sarebbe molto dettagliato e correlato di numerosi atti ufficiali oltre che da documentazione in originale;
   in particolare sono due gli episodi da menzionare, a detta degli interroganti, per definire la condotta illecita dell'ammiraglio:
    a) nel giugno del 2013, durante una visita a una fregata di Fincantieri a Muggiano (La Spezia) per cui, in quei giorni, si stavano completando le fasi di allestimento della nave, il Capo di stato maggiore ordinò ai dirigenti del cantiere di apportare diverse modifiche, non «gradendo» la ripartizione delle aree destinate al quadrato ufficiali e all'eventuale ammiraglio presente a bordo. In seguito – si apprende sempre dalla ricostruzione fatta – De Giorgi «ufficializzò questa sua volontà specificando di avviare i lavori richiesti anche in assenza dei preventivi e dei necessari atti amministrativi». Successivamente a questo episodio, l'ammiraglio Ernesto Nencioni cercò di allestire una pratica amministrativa che giustificasse l'operato del Capo di stato maggiore. Proprio nell'ambito di quella pratica, il 25 luglio 2013 Fincantieri avrebbe presentato un «punto di situazione» chiedendo il pagamento di 12 milioni 986 mila euro per la modifica dei quadrati e di 30 milioni per le modifiche dei camerini. Da sottolineare che, nell'ambito di tali operazioni, l'ammiraglio Nencioni espresse diverse volte perplessità – ponendo elementi di difficoltà – per quanto richiesto dal superiore. Tali difficoltà furono superate con missiva del Capo di stato maggiore della Marina con cui si chiedeva di procedere con le modifiche;
    b) il secondo caso riguarda invece uno dei contratti varati con il cosiddetto «programma navale» (già oggetto di atti di sindacato ispettivo da parte di appartenenti al gruppo parlamentare della Camera dei deputati di Sinistra Italiana-Sel), cioè lo stanziamento straordinario di oltre 5 miliardi per l'ammodernamento della flotta navale. Tale questione ha innanzitutto interessato l'indagine di Potenza, per cui secondo l'accusa dei pubblici ministeri lucani l'ammiraglio De Giorgi avrebbe chiesto l'intervento di Gianluca Gemelli – allora compagno del Ministro dello sviluppo economico Guidi – per far sì che dal Ministero venissero sbloccati i fondi necessari. In cambio di ciò avrebbe fatto nominare al vertice del porto di Augusta una figura gradita al Gemelli stesso. Inoltre, tra le navi finanziate con la suddetta legge, ve ne sarebbe una con particolari caratteristiche combat: un mezzo lungo 32 metri capace di raggiungere, a pieno carico, i 70 nodi. Fra i compiti di questa imbarcazione vi sarebbe quello di trasportare squadre di incursori del «Comsubin» alla massima velocità: è previsto infatti che tra uomini e anni, lo scafo arrivi a un carico di 36 tonnellate. Il tutto con materiali stealth invisibili ai radar. Il contratto risulta essere stato affidato da De Giorgi alla società Aeronautical service (azienda con sede a Fiumicino) senza nessuna gara e con una spesa di 30 milioni di euro. Tutti gli atti sull'acquisto del superscafo risultano secretati e non sono mai state diffuse informazioni sul disegno del mezzo. Inoltre, a quanto si apprende, diverse voci si sarebbero levate nel dubitare circa le competenze della stessa Aeronautical service, che non sembra aver mai realizzato progetti simili a questo;
   nelle autorizzazioni alle spese militari, avrebbe avuto a lungo un ruolo chiave l'ex capo ufficio bilancio della difesa – ed amico stretto di Gianluca Gemelli – Valter Pastena, che risulta indagato alla procura di Potenza. Fra gli elementi a suo carico vi sarebbe un'intercettazione in cui lo stesso discute con De Giorgi circa nomine e appalti, dichiarandosi disponibile a manovre parlamentari utili a agevolare appunto il flusso di finanziamenti, partendo anche da una ferma e alternativa opposizione alla riforma della difesa del Ministro interrogato;
   ad avviso degli interroganti, le indiscrezioni trapelate dalla inchiesta della procura di Potenza sulle spese «pazze» dei vertici della Marina – con particolare riferimento al Capo di stato maggiore – se provate costituirebbero caso gravissimo e profondamente lesivo sia dell'immagine della Marina stessa che delle istituzioni repubblicane;
   sempre a giudizio degli interroganti, già il reiterato sospetto di condizioni di privilegio e spreco – in anni in cui si procede sulla linea della spending review in ogni ramo della pubblica amministrazione e degli apparati dello Stato – da parte di chi per primo dovrebbe consegnare esempio di sobrietà, rigore e attaccamento alle istituzioni, costituirebbe elemento sufficiente per rassegnare le dimissioni;
   per quanto appreso dalla stampa, al Ministero della difesa in molti sarebbero stati a conoscenza delle azioni del Capo di stato maggiore della Marina;
   pur restando fermo il principio della presunzione di non colpevolezza ex articolo 27 della Costituzione, resta in ogni evidenza la necessità di fare piena luce sui fatti trapelati a mezzo stampa –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno e doveroso fornire chiarimenti, per quanto di competenza, circa ogni possibile profilo di illiceità nella condotta dei vertici della Marina militare, con particolare riferimento alle azioni dell'ammiraglio De Giorgi, assumendo iniziative in via cautelativa per l'immediata sospensione dal servizio del Capo di stato maggiore della Marina, valutando l'opportunità di invitarlo a successive e piene dimissioni. (3-02199)


   MOSCATT, AIELLO, PAOLA BOLDRINI, BOLOGNESI, BONOMO, D'ARIENZO, FERRO, FONTANELLI, FUSILLI, GALPERTI, LORENZO GUERINI, LACQUANITI, MARANTELLI, SALVATORE PICCOLO, PAOLO ROSSI, SCANU, STUMPO, VALERIA VALENTE, VILLECCO CALIPARI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   a margine del vertice Nato di Newport nel settembre 2014, è stata decisa la formazione di una coalizione guidata dagli Stati Uniti e con la presenza di Regno Unito, Francia, Italia e di altri Paesi, per giungere all'obiettivo di contrastare l'Isis in Iraq e Siria senza tuttavia l'utilizzazione di truppe di terra, coinvolgendo altresì i vari attori regionali, in primis la Turchia;
   la coalizione anti-Daesh (composta da 61 Paesi), perseguendo un approccio multidimensionale, articola i propri sforzi secondo 5 principali linee di azione: contributo militare, contrasto al flusso dei foreign fighters, confronto sul terreno della narrativa jihadista, lotta alle fonti di finanziamento e assistenza umanitaria, rinnovo dell'impegno per l'Iraq (secondo quanto stabilito il 3 dicembre 2014, a margine della riunione ministeriale Nato);
   uno small group, composto da 21 Paesi, tra cui l'Italia ha il compito di supervisione politica della strategia collettiva;
   una riunione a livello di Capi di Stato e di Governo («Leaders’ summit on cuntering isil and violent extremism»), si è svolta il 29 settembre 2015 a margine dell'Unga, su invito del Presidente Obama, con l'obiettivo di focalizzare le priorità della comunità internazionale nella lotta al terrorismo ed alla radicalizzazione;
   il 30 settembre 2015 gli Stati della coalizione hanno emesso una dichiarazione congiunta in cui ribadiscono che: in Iraq, la coalizione sostiene il Governo del Primo ministro Haider al-Abadi nel suo processo di riforma, riconciliazione e decentralizzazione indispensabili per sanare divisioni etniche e settarie; sostiene altresì la sua cooperazione con il Governo regionale curdo e i rappresentanti delle aree a prevalenza sunnita, le comunità etniche e religiose;
   l'impegno italiano nella coalizione anti-Daesh appare evidente –:
   in ordine alle iniziative anti-terrorismo della coalizione anti-Daesh, ed in particolare al disegno strategico che sottende le attività militari svolte in territorio iracheno, quale ruolo svolga effettivamente l'Italia sia nell'individuazione dei settori prioritari di intervento, anche in un'ottica di lungo periodo, sia nel contributo alle concrete attività poste in essere. (3-02200)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   per il funzionamento dei suoi servizi in tempo di pace, di guerra o di grave crisi internazionale la Croce rossa italiana dispone di un corpo militare, ausiliario delle Forze armate, il cui personale è sottoposto a tutti gli effetti al codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66;
   i militari della Croce rossa italiana sono impiegati con funzioni di protezione civile in caso di calamità naturali o disastri, assicurano il soccorso sanitario di massa in caso di conflitti e costituiscono uno strumento di fondamentale importanza per fronteggiare le emergenze legate al fenomeno migratorio e al terrorismo internazionale;
   ciononostante con il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, è stata disposta una riorganizzazione della Croce rossa italiana che ne ha, di fatto, stravolto la natura giuridica e l'intera struttura, con una privatizzazione che sta mettendo a rischio la sua presenza sul territorio nazionale e i servizi sinora resi allo Stato ed ai cittadini;
   con riferimento al corpo militare il decreto legislativo n. 178 del 2012 prevede che esso debba rimanere costituito solo da personale volontario in congedo, attraverso la completa smilitarizzazione del contingente di personale permanentemente in servizio entro il 31 dicembre 2017 –:
   se non ritenga di promuovere le opportune iniziative normative, volte a rivedere l'impianto della riorganizzazione della Croce rossa con particolare riferimento alla sua componente militare, salvaguardando l'operatività e la professionalità rappresentate dalla stessa all'interno dell'ente. (3-02201)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 15 aprile 2016 si è tenuto, a Firenze, presso l'Auditorium Regione Toscana, il Convegno intitolato «Amianto e altri cancerogeni. La strage di militari. Più morti che in guerra.»;
   risulta all'interrogante che lo Stato Maggiore dell'Aeronautica non abbia autorizzato i delegati del Cocer dell'Aeronautica a partecipare all'evento, se non a titolo privato, come se discutere e approfondire questioni relative alla salute di colleghi ammalati, anche a causa dell'amianto, fosse un fatto privato e non riferibile alle competenze della rappresentanza militare e, quindi, di servizio –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per impedire che in futuro possano ripetersi simili episodi di limitazioni del diritto di parola e di espressione dei militari, e soprattutto di quelli che sono componenti degli organi di rappresentanza militare. (5-08418)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   Atlante è il nome del fondo d'investimento alternativo promosso dal Governo con risorse private per il settore bancario, lanciato dalla Sgr Quaestio di Alessandro Penati, Cariplo e aperto ad altri investitori per sostenere la ricapitalizzazione delle banche italiane e favorire la cessione delle sofferenze del sistema (che oggi ammontano a circa 80 miliardi di euro);
   in termini generali, il piano del Governo prevede la creazione di un fondo dotato di un capitale iniziale che oscilla tra i 5 e 7 miliardi di euro (a giudizio dell'interpellante del tutto insufficienti), le cui risorse provengono da banche, fondazioni, assicurazioni e da alcuni fondi pensione, e che vede anche la partecipazione di Cassa depositi e prestiti;
   l'obiettivo, a detta di Quaestio, è innanzitutto quello di «assicurare il successo degli aumenti di capitale richiesti dall'Autorità di Vigilanza a banche che oggi si trovano a fronteggiare oggettive difficoltà di mercato, agendo da back stop facility». Il secondo obiettivo sono «le sofferenze». Atlante «concentrerà i propri investimenti sulla tranche junior di veicoli di cartolarizzazione, potendo far leva su quelle a maggior seniority per le quali c’è un manifesto interesse da parte degli investitori»;
   in sostanza, però, l'obiettivo principale del Governo a giudizio dell'interrogante potrebbe essere quello di aggirare le regole europee che impongono dure condizioni in caso di sostegno pubblico, ovvero di aiuti di Stato alle banche, ed evitare così il lungo «braccio di ferro» con Bruxelles;
   il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, pur apprezzando lo spirito con cui intenda risolvere l'annoso problema del traballante sistema bancario italiano, ha già avuto modo di dichiarare che ne condiziona la fattibilità al giudizio delle istituzioni europee;
   la Commissione europea non ha infatti ancora avuto nessuna discussione di sostanza con il Governo italiano sui dettagli di questo «nuovo schema». Qualora la Commissione dovesse riscontrare la presenza nel piano italiano di elementi che possano costituire aiuti di Stato, scatterebbero le regole europee che prevedono misure drastiche per tutte le banche che ottengono aiuti pubblici, che si traducono in perdite per i creditori privati, compresi gli obbligazionisti privilegiati (a seguito delle nuove regole sul bail in entrate in vigore dall'inizio dell'anno);
   a fronte dell'incertezza dell'operazione, la reazione degli investitori non è stata infatti particola ente entusiasta. La pubblicazione di un documento informativo sul progetto Atlante, infatti, ha mandato in rosso i titoli bancari quotati a Piazza Affari, sintomo chiaro dei dubbi sull'effettiva efficacia e bontà del piano presentato dal Governo;
   per la Commissione europea, Atlante rischia infatti di essere considerato «aiuto di Stato», non solo perché prevede (anche se in forma limitata) l'intervento della Cassa depositi e prestiti (detenuta dal Ministro dell'economia e delle finanze), ma soprattutto perché l'ideazione del fondo e le scelte su come e quando utilizzarlo sono in ogni caso imputabili al decisore pubblico;
   l'interpretazione dell'Unione europea di ciò che equivale ad un aiuto di Stato può essere ampia: secondo le attuali linee guida di Bruxelles, infatti, anche un fondo interamente privato può essere definito come aiuto di Stato se il Governo agisce come «custode» delle risorse del fondo e se influenza o prende decisioni su come e quando usare i fondi;
   la dipendenza del settore privato per salvare altre banche senza far scattare le regole sugli aiuti di Stato è problematica anche perché rischia di danneggiare la forza delle banche sane che sono chiamate a contribuire. Si tratta di uno schema, come richiamato in un articolo del Financial Times, che aumenta le interconnessioni tra le banche, in piena contraddizione con l'obiettivo chiave dei regolatori dalla fine della crisi finanziaria del 2008, ovvero scoraggiare le banche dal detenere debito o azioni di altre banche per evitare, in caso di fallimento di un grande istituto di credito, perdite massicce per tutto il sistema finanziario;
   stesso concetto espresso anche dal think tank Bruegel (Brussels European and Global Economic Laboratory) secondo il quale l'idea di avere un fondo, finanziato dalle banche, che compra azioni bancarie invendute è pericoloso, poiché, con l'aumento delle interconnessioni nel sistema bancario italiano, aumenta esponenzialmente il rischio sistemico che potrebbe avere conseguenze molto gravi su un settore potenzialmente ancora debole;
   tra l'altro, se fosse così semplice «risolvere» tutti i problemi del settore bancario italiano, attraverso un fondo che si faccia carico della ricapitalizzazione e dei crediti in sofferenza degli istituti, per salvare l'economia italiana il Governo potrebbe varare per l'interpellante, paradossalmente, non uno ma tanti fondi quanti servono per le diverse categorie e settori: un fondo per i commercianti, un fondo per gli artigiani, un fondo per gli agricoltori, un fondo per i liberi professionisti. Con le stesse caratteristiche di Atlante: «privato», ma con partecipazione della Cassa depositi e prestiti; un fondo attraverso il quale si possa beneficiare di misure pubbliche straordinarie di welfare per i dipendenti in esubero. Cambiando, nello stesso tempo, nei punti che servono, il diritto fallimentare, e abbandonando il mercato per approdare a un modello di economia socialista di mutua assistenza;
   d'altra parte, in oltre due anni di Governo, l'Esecutivo guidato da Renzi ha dimostrato di non essere in grado di risolvere i problemi strutturali del Paese. Il fondo Atlante per le banche, che rischia di fallire prima ancora di aver visto la luce, così come è già accaduto per la « bad bank», è solo l'ultima dimostrazione, a giudizio dell'interpellante, della incapacità di agire del Governo e della sua ipocrisia –:
   quali siano i documenti in possesso del Governo in merito al progetto Atlante esposto in premessa;
   quali siano, nel dettaglio, gli obiettivi del progetto Atlante e i soggetti che hanno manifestato concretamente l'intenzione di aderire al fondo;
   se il Governo abbia valutato il rischio che la Commissione europea blocchi l'operazione in quanto si potrebbe configurare come «aiuto di Stato», e come intenda evitare che ciò accada;
   se vi sia da parte del Governo l'intenzione di replicare l'operazione per ulteriori categorie e settori, promuovendo fondi con i medesimi obiettivi di «salvataggio» per i diversi soggetti in difficoltà.
(2-01349) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIGLI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   numerosi medici ex condotti hanno chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri con vari atti, in ultimo nel mese di aprile 2014, di procedere all'ottemperanza delle sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio – I sezione bis – n. 649 del 1994 e del Consiglio di Stato – IV sezione – n. 2537 del 2004;
   con tali pronunce è stato disposto l'annullamento dell'articolo 133 del decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 1990, n. 384, recante «Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del servizio sanitario nazionale, di cui all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68», nella parte in cui era stato previsto il congelamento del trattamento economico della categoria e l'esclusione dal percepimento delle indennità previste per il restante personale medico e questo in violazione del principio della perequazione retributiva, di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979;
   in seguito alle suddette decisioni, si sarebbe dovuta effettuare un'immediata azione di ripristino con l'introduzione di una normativa economica in favore della categoria, mediante la quale dovevano essere riconosciuti, per i dovuti periodi, un incremento del 50 per cento della retribuzione base, che ammontava a lire 8.640.000 annue lorde, ed inoltre il diritto al percepimento della retribuzione individuale di anzianità (cosiddetta ria) e di altre indennità spettanti;
   nonostante questo, le sentenze non sono state ottemperate per il periodo contrattuale previsto, per cui le retribuzioni della categoria non sono mai state rideterminate in misura adeguata, con notevole pregiudizio economico per gli interessati, il cui credito complessivo in essere è oltremodo rilevante e, maggiorato di interessi e rivalutazioni dal 1988 ad oggi, costituirà un gravoso onere di pagamento da parte dello Stato;
   si ritiene che, alla luce di quanto esposto, dovrebbe essere interesse dell'amministrazione pubblica definire, entro breve, ogni relativa pendenza, provando magari a percorrere una via transattiva che riduca gli importi a carico dello Stato, stabiliti nelle sentenze citate;
   è da sottolineare, inoltre, che nel corso dell’iter della legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), in 5o Commissione permanente (programmazione economica e bilancio) del Senato della Repubblica, è stato accolto dal Governo – nella persona del Viceministro Morando – un ordine del giorno su tale tema;
   tale ordine del giorno impegnava il Governo «ad assumere iniziative in ordine al pagamento delle somme dalle sentenze definitive stabilite in favore degli aventi diritto, a valutare la definizione di ogni pendenza anche attraverso una soluzione transattiva di quanto sopra esposto, consentendo in tal modo un notevole risparmio di spesa per la pubblica amministrazione, che diversamente sarà giudiziariamente costretta a soggiacere ad oneri ulteriori molto pesanti in termini di interessi, rivalutazione monetaria e risarcimento dei danni sofferti dagli appartenenti alla categoria, nonché ad assumere iniziative volte alla rideterminazione con effetto retroattivo dell'intera disciplina contrattuale che ha disciplinato a far tempo dalla entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990 l'inquadramento economico del personale medico ex condotto, in ottemperanza delle sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I bis, n. 640 del 1994 e del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 2537 del 2004 ed in conformità al principio della perequazione retributiva in esse sancito, con ogni conseguenziale determinazione ed adempimento anche in ordine al pagamento delle maggiori somme derivanti dall'esecuzione delle predette sentenze definitive a favore degli aventi diritto»;
   in seguito all'approvazione del citato ordine del giorno, avvenuta nel mese di novembre 2015, non risultano ancora adottati atti di ottemperanza del Governo agli impegni assunti durante i lavori della 5a Commissione del Senato della Repubblica;
   tale situazione necessita di una soluzione chiara, concreta e definitiva –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere, in riferimento a quanto esposto in premessa, e, conseguentemente, quali iniziative di competenza intenda intraprendere per porre rimedio alla questione dei medici ex condotti, anche al fine di evitare aggravi di spesa al bilancio dello Stato, derivanti da ulteriori rivalutazioni giudiziarie. (3-02205)


   TANCREDI. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   Area popolare ritiene essenziale, indispensabile (nel momento stesso in cui il Governo si impegna al rilancio del Paese, nonostante le grandi difficoltà interne ed internazionali in cui si dibatte) che il nostro Paese affronti, con decisione ed in termini prioritari, il tema della famiglia e delle più immediate questioni ad essa collegate;
   questa esigenza è avvertita anche da altri Paesi europei che, in tal senso, hanno già varato misure concrete e significative. Si cita, ad esempio, la Francia che ha già sperimentato importanti politiche fiscali volte al sostegno della famiglia, considerando quest'ultima come fattore di sviluppo e di crescita, pervenendo a risultati molto positivi;
   particolarmente importante risulta favorire, attraverso misure di agevolazione fiscale, l'incremento del tasso di natalità: elemento che, oltre a costituire fattore di reale incremento dello sviluppo e del benessere sociale, rappresenta anche un significativo vantaggio per la stessa economia sia nel medio che nel lungo periodo. Attraverso tale incremento si produrranno, infatti, effetti benefici per il nostro Paese con un maggior numero di occupati, di consumatori e di contribuenti;
   sarebbe, quindi, opportuno introdurre nell'ordinamento fiscale il cosiddetto «fattore famiglia» che potrebbe (confermando il sistema delle detrazioni esistenti ed elevandone gli attuali massimali per chi ha figli a carico, ovvero favorendo una più accentuata progressione per le famiglie più numerose) consentire un forte sostegno per le famiglie italiane, con benefici effetti sullo sviluppo socio-economico di grande valore per l'intero Paese;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha recentemente dichiarato l'importanza e la volontà di intervenire con misure fiscali a sostegno delle famiglie;
   tra le possibili misure, peraltro indicate dal gruppo di Area popolare, si evidenziano l'introduzione di un fattore famiglia nell'ambito del calcolo dell'isee, le detrazioni fiscali per l'infanzia e il puerperio, l'aumento delle detrazioni per carichi di famiglia, il credito d'imposta alle imprese per maternità e paternità, le agevolazioni fiscali sugli immobili concessi in locazione a giovani coppie –:
   in tale contesto, quali misure fiscali il Governo intenda porre in essere al fine di favorire la famiglia e la natalità. (3-02206)


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER, SCHULLIAN, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   le norme in materia di voluntary disclosure, di cui alla legge 15 dicembre 2014, n. 186, prevedono una procedura di collaborazione volontaria del contribuente con l'amministrazione fiscale per l'emersione e il rientro in Italia di capitali detenuti all'estero;
   la Corte costituzionale, interpellata dalla regione Valle d'Aosta, con la sentenza n. 66 del 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 7, della legge sopra citata, nella parte in cui la riserva di gettito allo Stato, derivante dalle procedure di collaborazione fiscale volontaria, si applica anche alla regione Valle D'Aosta;
   la Corte costituzionale ha chiarito come, nel caso in esame, non sia applicabile l'articolo 8, comma 1, della legge n. 690 del 1981 della regione Valle d'Aosta, il quale prevede che costituisca riserva all'erario il provento derivante alla regione da maggiorazioni di aliquote e da altre modificazioni dei tributi ad essa devoluti, ove sia destinato per legge, ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, per la copertura di nuove o maggiori spese che sono da effettuare a carico del bilancio statale;
   in sostanza la Corte costituzionale ha, quindi, confermato come la procedura di collaborazione volontaria, non determinando alcuna maggiorazione di aliquota, né una generale modifica dei tributi, trattandosi a legislazione fiscale sostanzialmente immutata, del gettito tributario originariamente dovuto ed illecitamente sottratto, non comporti l'applicazione della disciplina relativa alle riserve all'erario;
   anche l'articolo 75-bis, comma 3-bis, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, come recentemente modificato in seguito all'accordo del 15 ottobre 2014, recepito con l'articolo 1, commi da 406 a 413, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che ha ridefinito i rapporti finanziari tra lo Stato, la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e Bolzano, prevede che costituisca riserva all'erario il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi se destinato alla copertura, ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province;
   conseguentemente, anche per il gettito tributario delle province autonome di Trento e di Bolzano, riscosso in base alla procedura di collaborazione volontaria, dovrebbe trovare applicazione il regime delle devoluzioni di tributi erariali previsto dallo statuto di autonomia come da ultimo modificato –:
   se il Governo intenda assumere iniziative volte a devolvere anche alle province autonome di Trento e di Bolzano le quote di maggior gettito derivanti dalla procedura di collaborazione volontaria riscosse nel territorio del Trentino-Alto Adige a titolo di imposte sui redditi e delle relative addizionali, di imposte sostitutive di quelle sui redditi, di imposta regionale sulle attività produttive (irap), di imposta sul valore aggiunto (iva), di ritenute a titolo d'acconto o d'imposta e di ogni altro tributo spettante alle province autonome nel rispetto dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione. (3-02207)


   GIAMMANCO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo Cir-Compagnie industriali riunite (holding della famiglia De Benedetti) e F2i (fondo partecipato da Cassa depositi e prestiti e dalle principali banche italiane) hanno raggiunto un accordo con Ardian per l'acquisto per 292 milioni di euro del 46,7 per cento di Kos, società in cui Cir detiene già il 51,3 per cento del capitale e tra i principali operatori nazionali del settore socio-sanitario; Kos opera nel settore della sanità con ospedali, residenze per anziani, centri di riabilitazione, cliniche psichiatriche e comunità terapeutiche;
   in dettaglio, al perfezionamento dell'operazione, F2i health management, società controllata dal secondo Fondo F2i, acquisterà da Ardian una quota di Kos per 240 milioni di euro, mentre Cir rileverà la parte restante per 52 milioni di euro. Contestualmente, Cir rileverà le quote residue del management e di altri azionisti minoritari per 33 milioni euro. Cir, pertanto, passerà dall'attuale 51,3 al 62,7 per cento del capitale di Kos per un investimento complessivo di 85 milioni di euro e F2i deterrà il 37,3 per cento;
   a vendere dunque è Ardian, società di investimenti indipendente, entrata nell'azionariato di Kos nel 2010; il suo ingresso doveva preludere alla quotazione delle case per anziani in Borsa: le cose però sono andate diversamente e Ardian, che nel 2010 aveva investito 150 milioni di euro, sarebbe uscita dall'operazione solo ad un prezzo prefissato estremamente elevato;
   l'operazione tra Cir e F2i ha, a parere dell'interrogante, diversi profili di ambiguità; innanzitutto, nel portafoglio di F2i compaiono perlopiù società aeroportuali, energia, fibra ottica: pertanto, non risulta molto chiaro cosa possa indurre un fondo che si occupa di infrastrutture e di grandi dorsali a servizio del Paese ad investire circa 300 milioni in residenze per anziani, quando per il suo primo azionista, Cassa depositi e prestiti, è una società a controllo pubblico (che tra l'altro gestisce una parte consistente del risparmio nazionale), sarebbe quantomeno più opportuno investire – ad esempio – in banda larga, di cui il nostro Paese ha certamente bisogno. E, soprattutto, non risulta evidente il motivo per cui si decide di investire circa 300 milioni sul 37 per cento di una società che fa 17 milioni di utile netto;
   a seguito delle vicissitudini che hanno caratterizzato l'universo Cir – si pensi in particolare alla crisi di Sorgenia, che fino a qualche tempo fa rappresentava, assieme al gruppo Espresso e alla componentistica auto di Sogefi, il grosso del fatturato – le cliniche Kos, con i loro 7.300 posti letto, 5 mila dipendenti e 430 milioni di fatturato garantiti per il 70 per cento dal servizio sanitario nazionale, potrebbero restare il core business della famiglia De Benedetti, la quale però non disponeva dei circa 380 milioni necessari per pagare l'uscita di Ardian e mantenere il controllo dell'azienda; alla luce di ciò, l'intervento di F2i secondo l'interrogante può considerarsi più che «provvidenziale» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda chiarire i motivi per cui un fondo d'investimento a capitale pubblico, nato per sviluppare settori d'avanguardia come energia, aeroporti e linee telefoniche, investa circa 300 milioni per l'acquisto di quote partecipative di un gruppo che gestisce in gran parte residenze per anziani e case di cura. (3-02208)

Interrogazione a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto stabilito dall'articolo 1, comma 494, dell'ultima legge di stabilità (legge n. 208 del 2015), per l'acquisto di carburanti per autotrazione, gli enti locali possono effettuare affidamenti al di fuori del regime Consip e delle centrali di committenza regionale, purché si prevedano corrispettivi inferiori almeno «del 3 per cento per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip SpA e dalle centrali di committenza regionali»;
   lo stesso comma prevede poi che i contratti vengano trasmessi all'Autorità nazionale anticorruzione e che gli stessi, per il 2016, debbano essere sottoposti a condizione risolutiva «con possibilità per il contraente di adeguamento ai migliori corrispettivi nel caso di intervenuta disponibilità di convenzioni Consip e delle centrali di committenza regionali che prevedano condizioni di maggior vantaggio economico in percentuale superiore al 10 per cento rispetto ai contratti già stipulati»;
   in merito alla questione, all'interrogante sono pervenute diverse segnalazioni, da parte di amministratori di enti locali, da cui sono emerse le difficoltà di molti piccoli comuni di rispettare suddetta disciplina per l'impossibilità dei piccoli distributori locali di operare lo sconto del 3 per cento;
   in questi casi, infatti, gli automezzi comunali sono costretti a dover fare rifornimento nei comuni limitrofi dove sono presenti impianti in grado di operare lo sconto, con considerevole pregiudizio dell'ente locale sia in termini economici, perché gli automezzi devono percorrere distanze più lunghe solo per rifornimento, sia in termini di produttività, per il maggior tempo impiegato per questa operazione e la maggiore usura dei mezzi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questo disagio che interessa diversi comuni italiani e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di evitare che il maggior risparmio previsto dalla citata norma della legge di stabilità 2016 si traduca, per le specifiche realtà in cui si riscontrano gli impedimenti oggettivi descritti in premessa, in spese economiche di diversa natura derivanti dall'applicazione della stessa;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per prevedere delle misure di deroga per quei comuni in cui si riscontrano le condizioni descritte in premessa al fine di evitare che l'applicazione pedissequa della norma si riveli in contrasto con la ratio della stessa che dovrebbe invece perseguire lo scopo di operare, nel migliore dei modi un risparmio razionale di risorse pubbliche.
(4-12883)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   secondo quanto sembra evincersi dalla risposta al question time del sottosegretario on. Migliore, la permanenza di un istituto penitenziario nelle scuderie del complesso dell'Ambrogiana non è assolutamente in contrasto con la valorizzazione, o meglio dire tutela (articolo 9 della Costituzione), della parte nobile e l'inserimento della villa nel circuito delle ville medicee, poiché i due corpi di fabbrica, villa in senso stretto e zona detentiva, sono fisicamente distanti, e inoltre la manodopera potrebbe essere impiegata per i lavori manutentivi e di pulizia nel pieno rispetto dell'articolo 27 della Costituzione;
   se, da un lato si sono risparmiate le risorse dell'appalto, pur pagando una penale di un certo rilievo, per ristrutturare l'ala che avrebbe dovuto accogliere le detenute della struttura di Empoli, che secondo le linee ministeriali doveva essere superata, dall'altro si perderanno comunque circa sette milioni e mezzo di euro spesi per adeguare la zona detentiva alla normativa vigente (l'ultimo oneroso lavoro – impianto riciclo aria – risale a pochi anni fa);
   se è vero che la popolazione detenuta toscana è sensibilmente scesa – e comunque la capienza regolamentare resta insufficiente – è altrettanto vero che molte carceri toscane, tra le quali quella fiorentina di Sollicciano, versano in condizioni difficili e al limite del disumano;
   nella relazione del Ministero sull'amministrazione della giustizia dell'anno 2015 nel paragrafo dedicato all’«Edilizia penitenziario e di servizio» alle pagine 449/450 si legge «È proseguita l'attività istituzionale volta alla riqualificazione e valorizzazione del patrimonio demaniale in uso governativo all'Amministrazione Penitenziario, con l'obiettivo di contrastare l'emergenza sovraffollamento e conferire adeguate condizioni di dignità e vivibilità ai ristretti ed agli operatori in carcere; (...) l'attività si è concentrata sull'incremento dei posti regolamentari in tutta Italia»;
   non risponde a criteri di economicità e di ragionevolezza mantenere il vicino carcere di Empoli per poche detenute e superare il complesso dell'Ambrogiana, che potrebbe ospitare almeno centocinquanta detenuti, considerando che la soppressione della struttura di Empoli consentirebbe di assorbirne il personale nella vicina Montelupo, mentre con il superamento della struttura dell'Ambrogiana, il personale di Montelupo sarebbe costretto a spostarsi a Firenze;
   nei documenti di programmazione ministeriale non vi è traccia della soppressione della struttura dell'Ambrogiana, idea emersa alla fine 2014;
   la soppressione dell'istituto è, ad avviso degli interpellanti, irragionevole, antieconomica ed in piena controtendenza rispetto alle linee programmatiche ministeriali;
   un'eventuale prelazione di cessione del complesso demaniale che attualmente ospita l'ospedale psichiatrico giudiziario è vincolata alla presentazione di un accordo di programma da parte dell'ente interessato;
   nella struttura sono attualmente impiegati medici internisti con un contratto di diciotto ore settimanali (tre al giorno), in base a quanto disposto dalla legge n. 740 del 1970. Detto rapporto di lavoro è legato all'esistenza della struttura carceraria, con il venir meno della quale si verificherebbe la contestuale risoluzione del contratto di lavoro stipulato con il Ministero della giustizia, e la stessa sorte toccherebbe ai rapporti di lavoro in essere con i sei medici di guardia che coprono la vigilanza ventiquattrore su ventiquattro. Verrebbero altresì meno anche le convenzioni stipulate con la ex ASL 11, ora ASL Toscana centro, sui cosiddetti «sumaisti» e sul servizio di supporto psicologico operato da tre psicologi dell'ex ASL 11, ora ASL Toscana centro;
   ad oggi i lavoratori, sia della polizia penitenziaria sia della parte sanitaria, non hanno alcuna certezza sul loro futuro –:
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere il Ministro interpellato, di concerto anche con gli altri Ministri ed enti competenti, per la tutela della professionalità e del posto di lavoro di tutti i lavoratori, sia sanitari sia della polizia penitenziaria, dell'attuale struttura detentiva di Montelupo Fiorentino e quali iniziative intenda porre in essere per salvaguardare le strutture di Montelupo Fiorentino e della vicina Empoli;
   quali siano le ragioni per le quali il Ministro interpellato reputi impossibile la convivenza di una struttura detentiva in un corpo del complesso mediceo con la presenza di altre attività destinate alla cittadinanza in un altro corpo del complesso, e dunque non reputi realizzabile la sinergia fra le due attività che potrebbe fare della struttura dell'Ambrogiana un'esperienza all'avanguardia nel reinserimento sociale dei detenuti secondo i canoni costituzionali;
   se il Governo ritenga compatibile il superamento della struttura detentiva dell'Ambrogiana con quanto indicato nella relazione del Ministero della giustizia sull'amministrazione della giustizia anno 2015 nel paragrafo dedicato all’«Edilizia penitenziaria e di servizio», nel quale si sottolinea la necessità di implementare l'edilizia penitenziaria per far fronte alle condizioni dei carcerati;
   in quale sede, sia stata espressa la manifestazione di volontà ufficiale del Governo di superare la struttura detentiva dell'Ambrogiana;
   quali siano gli accordi o gli intendimenti raggiunti con la regione Toscana e il comune di Montelupo Fiorentino sul futuro della struttura, e in cosa consista l'eventuale accordo di programma raggiunto fra i suddetti enti, il Ministero della giustizia e l'Agenzia del demanio;
   quali rassicurazioni e garanzie il Ministro della giustizia e l'Agenzia del demanio abbiano ricevuto in merito alla capacità economica della regione Toscana e del comune di Montelupo Fiorentino per far fronte agli investimenti e ai progetti eventualmente presi in considerazione per il futuro della struttura ovvero se siano stati reperiti canali di finanziamento, anche privati, in grado di dare le suddette garanzie;
   quale cura il Governo e l'Agenzia del demanio stiano ponendo in essere per garantire la conservazione del complesso della Villa Medicea in vista del superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari;
   se si ritengano accettabili le condizioni dei vicini carceri di Sollicciano e Prato a tal punto da disporre il superamento di una struttura detentiva capiente come quella di Montelupo Fiorentino, già pronta e ristrutturata a norma di legge.
(2-01346) «Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Pisicchio».

Interrogazione a risposta scritta:


   MARZANA, D'UVA, RIZZO, VILLAROSA, LOREFICE e GRILLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 marzo 2010 la Cir Componenti s.p.a., società impegnata nell'attività di produzione e commercializzazione di porte di vario genere, presentava ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo a causa del proprio dissesto intervenuto a seguito della crisi nel relativo settore di competenza;
   precedentemente, in un'ottica di riduzione dei costi e di ottimizzazione delle risorse, la società aveva attivato una cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale, per trenta unità di personale;
   purtroppo per l'aggravarsi della crisi l'azienda collocava in mobilità gli ultimi 31 lavoratori, tentando una moratoria con i creditori nell'ottica di una liquidazione volontaria;
   in seno al ricorso, la società depositava perizia di stima del proprio patrimonio attestante i dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario proposto;
   il tribunale di Siracusa, con provvedimento del 30 aprile/3 maggio 2010, dichiarava aperta la procedura di concordato preventivo e sospendeva il procedimento volto alla dichiarazione di fallimento della CIR Componenti s.p.a. proposto dagli ex dipendenti della società sino all'esito della procedura di concordato preventivo;
   gli ex dipendenti, pertanto, presentavano atto di opposizione avverso il decreto emesso dal tribunale di Siracusa, anche contestando la documentazione contabile presentata dalla Cir, in particolare, questi evidenziavano che la società in data 8 ottobre 2009 aveva cessato la sua attività produttiva, ma, poco prima e precisamente in data 2 settembre 2009, aveva dato in affitto, con contratto regolarmente registrato per la durata di 10 anni, alla Porte & Arredi S.r.l. tutti i suoi beni mobili e immobili, contestualmente la Porte & Arredi S.r.l. iniziava a produrre gli stessi articoli della Cir;
   tra l'altro — evidenziavano sempre gli ex dipendenti della società – i soci della Porte & Arredi erano per l'82 per cento Montagno Grillo Manuela, figlia di Montagno Grillo Salvatore, socio per il 92,30 per cento della Cir Componenti s.p.a., per il 18 per cento Palazzi Stefania, cognata del predetto signor Montagno Grillo Salvatore, mentre amministratore unico delle Porti & Arredi s.r.l. era la figlia Montagno Manuela;
   dalla visura storica della Porte & Arredi s.r.l. risultava che il primo amministratore unico era stato il più volte citato Montagno Grillo Salvatore, poi sostituito dal signor Consiglio Gianfranco, cognato del Montagna Grillo Salvatore, ed ancora sostituito dalla signora Montagno Grillo Manuela;
   secondo gli ex dipendenti pertanto «...sorge spontaneo il sospetto che il contratto di locazione predetto sia fittizio...». Tra i motivi di opposizione, poi, si lamentava come la effettiva cessione dei beni ai creditori sarebbe potuta avvenire soltanto al termine del contratto di locazione, divenendo quindi impossibile monetizzare a breve scadenza i crediti spettanti agli opponenti;
   inoltre, si riscontravano delle incongruenze nella relazione presentata dalla società sulla propria situazione patrimoniale ed economico-finanziaria;
   nonostante la presentata opposizione, contenente una dettagliata analisi negativa delle risultanze peritali, con decreto del tribunale di Siracusa dell'11 novembre 2011, la procedura di concordato preventivo veniva omologata;
   il 19 settembre 2011 gli ex dipendenti presentavano per il tramite del loro legale una querela scritta presso gli uffici della Guardia di finanza di Siracusa nei confronti della CIR Componenti s.p.a.;
   dal giornale on line « La Civetta di Minerva» del 9 febbraio 2015 apprende che: «(...) Proprio l'8 gennaio scorso, a causa di un vizio di forma, è stata rinviata al 19 febbraio l'udienza nell'ambito del procedimento penale a carico di Montagno scaturito dall'indagine della Guardia di finanza di Augusta a seguito della già citata denuncia presentata nel settembre 2011 solo da alcuni degli ex dipendenti Cir “...esasperati dalla inutilità delle loro richieste di verifica delle incongruenze riscontrate nella relazione presentata dalla società sulla propria situazione patrimoniale ed economico-finanziaria...”. Denuncia che, esattamente un anno dopo viene integrata per i nuovi elementi emersi: “...Nell'agosto 2012, infatti, l'avvocato Spadaro, nella sua veste di commissario giudiziale, informa i lavoratori del fatto che la CIR ha distratto ingenti somme di denaro, somme destinate al soddisfacimento dei creditori concorsuali. Eppure – lamentano i denuncianti – in diverse occasioni abbiamo chiesto al Tribunale di controllare se le scritture contabili fossero state depositate in modo che il giudice delegato potesse apporre le firme necessarie a separare attività compiute in azienda prima dell'apertura del concordato da quelle successive. Una richiesta inascoltata. Perché abbiamo dovuto aspettare fino al 30 agosto 2012 che il commissario giudiziale si accorgesse degli illeciti commessi dalla CIR nel periodo che va, dal 24 marzo 2010 al 31 dicembre 2011 ?...Se da una parte i lavoratori sono informati dal commissario – tardivamente secondo loro – prima, del mancato versamento dell'affitto della Porte & Arredi alla CIR e dell'ingiunzione per il pagamento degli oltre 190 mila euro, poi della necessità di un'azione giudiziaria per ottenere il rilascio forzoso degli immobili, dall'altra solo casualmente, in un'udienza del 28 maggio 2013, apprendono che lo stesso Spadaro ha attivato il procedimento per ottenere la risoluzione del concordato preventivo. ’Perché solo ora ?’ è la domanda...”. Si evidenzia, inoltre, che altri creditori stanno seguendo la stessa strada ma, nonostante ciò il tribunale ha rigettato l'istanza.
  Intanto, all'interno delle aree dell'azienda, a seguito del rilascio degli immobili da parte della Porte & Arredi s.r.l. il compendio immobiliare della Cir rimasto incustodito è stato oggetto di ripetuti furti ed atti vandalici, che hanno provocato ingentissimi danni: “...Stante la carenza di disponibilità liquide da parte della procedura per assicurare un adeguato servizio di vigilanza, si è deciso di concedere in godimento parte degli immobili al fine di garantire adeguata sorveglianza... così da dissuadere eventuali malintenzionati da ulteriori attività criminose. Il legale rappresentante della CIR si è dichiarato disponibile ad abitare la foresteria esistente all'interno. La Società Emmeporte di Montagno Manuela si è dichiarata disponibile a condurre in comodato gratuito il locale (show room) del corpo C2 del compendio e le aree esterne antistanti, mantenendone la destinazione d'uso, provvedendo a tutte le spese di gestione e all'attivazione dell'illuminazione notturna, con la installazione anche di un impianto di video sorveglianza...”. Al riguardo, gli ex dipendenti hanno evidenziato: “...la figlia di Montagno, titolare della Porte & Arredi, pur avendo subito lo sfratto dai locali della CIR, e malgrado la dichiarazione di fallimento della sua azienda, riceve a titolo gratuito egli stessi locali. A quanto pare non c’è nulla da eccepire quindi, se il giudice Salvatore Leuzzi ha autorizzato la stipula dei relativi contratti di comodato, fino alla vendita degli immobili. Ma a che gioco stiamo giocando ?”»;
   si rilevano probabili irregolarità nella vicenda riguardante la Cir Componenti s.p.a. –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e si ritenga che sussistono i presupposti per promuovere iniziative ispettive presso il tribunale di Siracusa. (4-12895)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il signor Cosimo Indaco è stato nominato, ai sensi e per gli effetti della legge 28 gennaio 1994, n. 84, «Riordino della legislazione in materia portuale», commissario straordinario dell'autorità portuale di Catania, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 13 ottobre 2015. Questa nomina consegue alle analoghe e precedenti nomine a commissario straordinario avvenute con decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 22 settembre 2014, n. 383 e del 9 aprile 2015, n. 120;
   nei citati decreti di nomina vengono attribuiti al commissario straordinario, signor Cosimo Indaco, i poteri e le competenze ordinariamente attribuiti al presidente dell'autorità portuale. L'interessato risulta essere socio non amministratore (nominato con atto 13 maggio 2013) della società di spedizioni doganali «Angelo Perez di Cosimo Indaco & c. snc», che opera nel porto di Catania, come da visura camerale del 21 settembre 2015;
   in ragione dell'evidente conflitto d'interessi, con note del 6 ottobre 2015 e del 20 gennaio 2016 alcuni parlamentari del gruppo M5S, insieme ad una deputata della regione siciliana, hanno chiesto all'Anac di verificare la sussistenza di una presunta situazione di inconferibilità/incompatibilità ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, e sul punto è stata presentata anche un'interrogazione del gruppo M5S al Ministro interpellato;
   più precisamente, in tale atto gli interroganti ritenevano che potesse sussistere una situazione d'inconferibilità, come delineata all'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2013, che stabilisce «A coloro che, nei due anni precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato o finanziati dall'amministrazione o dall'ente pubblico che conferisce l'incarico ovvero abbiano svolto in proprio attività professionali, se queste sono regolate, finanziate o comunque retribuite dall'amministrazione o ente che conferisce l'incarico, non possono essere conferiti: omissis b) gli incarichi di amministratore di ente pubblico, di livello nazionale, regionale e locale»;
   il presidente dell'Anac, Raffaele Cantone, con delibera 378 del 6 aprile 2016, ha dato riscontro alle note suddette, precisando che:
    il signor Cosimo Indaco, in funzione del ruolo ricoperto e dei poteri conferiti dalla legge n. 84 del 1994, è senza dubbio un amministratore di un ente pubblico secondo la definizione fornita all'articolo 1, comma 2, lettera l) del decreto legislativo n. 39 del 2013;
    l'attività professionale di spedizioniere doganale del signor Cosimo Indaco, svolta attraverso la società di spedizioni doganali «Angelo Perez di Cosimo Indaco & c. snc», che opera nel porto di Catania, rientra senza dubbio nel concetto di attività professionali regolate dall'autorità portuale di Catania, così come richiamato dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2013;
    per ritenersi però verificata la fattispecie di inconferibilità del citato articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2013 è necessario che l'attività professionale debba essere regolata dall'amministrazione che conferisce l'incarico e nel caso di specie l'amministrazione che ha conferito l'incarico non è stata l'autorità portuale, ma il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ragion per cui non risulta essersi perfezionata la fattispecie prospettata all'articolo 4 del decreto legislativo n. 39 del 2013;
    nel caso in esame si ritiene, tuttavia, integrata un'ipotesi di conflitti di interessi che non trova espressamente il suo riferimento in una norma di legge; l'incompatibilità in esame non è quindi di tipo formale ma «materiale» tra la carica di Presidente dell'autorità portuale e quella di socio di una società la cui attività è regolata dalla stessa autorità. Tale situazione di interferenza è di natura tale da influenzare l'esercizio indipendente, imparziale e obiettivo della funzione pubblica rivestita, non sanabile con il solo dovere di astensione previsto dal legislatore (articolo 6-bis della legge n. 241 del 1990, così come introdotto dalla legge n. 190 del 2012);
    rimette, infine, alla valutazione dell'amministrazione vigilante, la validità degli atti e/o provvedimenti adottati dal signor Cosimo Indaco, nella situazione di interferenza sopra descritta;
   l'interpretazione dell'Anac riguardo al succitato articolo 4, nella parte in cui non ritiene sussistente la situazione d'inconferibilità laddove l'incarico consegua ad una nomina proveniente dall'amministrazione vigilante desta, ad avviso degli interpellanti, non poche perplessità per la evidente conseguenza della inapplicabilità dell'articolo 4 alla maggior parte degli enti pubblici sia nazionali che locali i cui amministratori sono nominati proprio dalle amministrazioni vigilanti;
   tale interpretazione sembra porsi in evidente contrasto con il principio sotteso alla norma ovvero impedire che «la titolarità d'interessi privati possa porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate» (legge n. 190 del 2012) ed evitare d'inficiare, anche in maniera generalizzata, la validità degli atti e/o provvedimenti adottati, come per l'appunto l'Anac medesima ha rilevato nel caso del signor Cosimo Indaco e dell'autorità portuale di Catania; al fine di prevenire queste conseguenze il decreto n. 39 del 2013 prevede anche conseguenze sanzionatorie per il soggetto che ha proceduto al conferimento d'incarico dichiarato inconferibile ovvero l'inibizione, per un certo periodo di tempo, a fare altre nomine;
   la delibera dell'Anac rileva, comunque, una situazione di conflitto d'interesse non sanabile con la mera astensione nell'adozione degli atti di competenza poiché tale conflitto è da considerarsi generalizzato e permanente e il signor Cosimo Indaco, in qualità di presidente dell'autorità portuale di Catania con i suoi provvedimenti interviene, anche in maniera generalizzata, sull'attività della società «Angelo Perez di Cosimo Indaco & c. snc», nella quale lo stesso è portatore di interessi specifici;
   i recenti fatti di cronaca giudiziaria, noti come «trivellopoli», che hanno coinvolto gravemente diversi esponenti del Governo, mettono in luce quanto le autorità portuali rappresentino uno snodo nevralgico per i biechi interessi delle potenti lobby del petrolio e dalle intercettazioni è emerso l'interesse a volere illegittimamente pilotarne le nomine; in tal senso appare necessario che nell'esercizio della cosiddetta «delega Madia» in materia di trasparenza e prevenzione della corruzione, riguardo alle autorità portuali, non si proceda ad alcun intervento legislativo volto a indebolire gli obblighi di trasparenza di questi enti, come appare agli atti in esame alle Commissioni parlamentari, ma si rimuova piuttosto ogni elemento di opacità, anche potenziale, che sia funzionale ad eventi corruttivi di ogni genere;
   dalla delibera dell'Anac consegue una rilevante responsabilità riguardo alla nomina del signor Cosimo Indaco, peraltro rimasta indiscussa anche a seguito di precedenti segnalazioni e interrogazioni del M5S, inviate anche al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, responsabilità che, a giudizio degli interpellanti, si configura rilevante in termini politici per non avere condotto un'adeguata e preliminare verifica delle condizioni di assenza di conflitto d'interesse, verifica che avrebbe evitato il conseguente danno all'amministrazione riguardo alla compromissione generalizzata della validità degli atti e/o provvedimenti adottati dal signor Cosimo Indaco;
   risulta agli interpellanti che l'incarico del signor Cosimo Indaco sia scaduto il 13 aprile 2016 e che con decreto del 15 aprile 2016 il comandante del porto di Catania, Nunzio Martello, sia stato nominato il nuovo commissario straordinario dell'autorità portuale –:
   se e quali iniziative intenda intraprendere riguardo alla validità degli atti e/o provvedimenti adottati dal signor Cosimo Indaco, alla luce della sussistenza di un conflitto d'interessi generalizzato e permanente come descritto dall'Anac.
(2-01347) «Grillo, Dell'Orco, Cancelleri, Di Benedetto, Di Vita, Lupo, Mannino, Nuti, D'Uva, Lorefice, Marzana, Rizzo, Villarosa, De Lorenzis, D'Incà».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2016 è aumentata una delle voci che compongono il prezzo dei biglietti aerei, ossia quella delle tasse aeroportuali. Tale incremento, pari a 2,50 euro in più a passeggero, porta a quota 9 euro l'ammontare dell’«addizionale comunale sui diritti d'imbarco dei passeggeri sugli aerei» (per gli scali romani di Fiumicino e Ciampino tale addizionale è pari a 10 euro);
   il nuovo aumento che grava sul prezzo finale di ciascun volo, pur essendo un'addizionale comunale, non porterà risorse aggiuntive ai comuni aeroportuali: i proventi dell'aumento sono infatti destinati a finanziare per i prossimi tre anni (fino al 2018) il Fondo speciale che garantisce ammortizzatori sociali aggiuntivi ai lavoratori del trasporto aereo (nato nel 2004 come salva-Alitalia);
   la finalità dell'incremento della tassa di imbarco, seppure generalizzato e rivolto all'intero comparto, ha assunto agli occhi dell'opinione pubblica la veste di un ingiustificato prelievo subito dai passeggeri aerei, in particolare quelli a più basso reddito e più portati a viaggiare su voli economici;
   tale incremento, che è pari a circa il 40 per cento per ciascun passeggero in partenza dall'Italia, ha destato molte polemiche, anche perché questa addizionale rappresenta solo una delle molte voci che compongono le tasse aeroportuali e rischia di penalizzare l'attrattività dell'Italia come meta turistica rispetto ad altre destinazioni sud-europee come Spagna, Portogallo o Grecia. Non a caso, il Governo spagnolo ha bloccato ogni possibile aumento delle tasse aeroportuali fino al 2022, vedendo peraltro crescere rispetto all'Italia il numero dei passeggeri dall'Inghilterra e dalla Polonia (di tre volte) e dalla Germania (di una volta e mezza);
   come avvertito da Assoaeroporti, l'associazione di categoria dei gestori aeroportuali, l'aumento «rischia di deprimere ulteriormente lo sviluppo del turismo». L'Osservatorio Nazionale Liberalizzazione dei Trasporti (Onlit) ha annunciato un esposto all'Autorità di Regolazione dei Trasporti: «Una gabella che si aggiunge alle già alte tasse aeroportuali che renderà ancor meno competitivo il già inefficiente sistema aeroportuale nazionale» dice il Presidente dell'Osservatorio Dario Balotta, sottolineando che le risorse finiranno a finanziare la «cassa integrazione d'oro» di alcune categorie aeroportuali;
   secondo le analisi effettuate da IATA (International Air Transport Association), l'organizzazione che riunisce la maggior parte delle compagnie aeree, l'incremento della tassazione indiretta sui biglietti aerei genera ricadute dirette sui volumi di passeggeri e di movimenti aerei. E mentre in tutto il mondo (sempre secondo lata) si registrerà un calo del costo dei ticket pari al 61 per cento dal 1995, l'Italia sarà l'unico Paese dove il costo dei biglietti rischia di aumentare, a causa dell'aumento fiscale e del mancato o insufficiente adeguamento dovuto al ribasso del costo dei carburanti;
   l'Associazione internazionale del trasporto aereo in una nota ufficiale, condannando l'aumento delle tasse aeroportuali deciso in Italia (scelta che secondo lata è stata fatta senza alcun tipo di consultazione), ha rimarcato: «Questo comporta un danno alla competitività economica italiana riducendo il numero dei passeggeri di circa 755 mila unità e il Pil di 146 milioni l'anno ma può causare una perdita di 2.300 posti di lavoro l'anno». Inoltre, ha precisato lata, «nessuno dei proventi derivanti dalla tassa viene reinvestito in aviazione». Ha altresì aggiunto che in altri Paesi europei, come ad esempio nei Paesi Bassi e in Irlanda, al contrario la rimozione delle imposte aumenta il traffico e avvantaggia l'economia del Paese.
   i Presidenti di Federconsumatori e Adusbef hanno sottolineato: «A conti fatti si tratta di un aumento complessivo di oltre 385 milioni di euro che inciderà in particolare sul costo dei biglietti low cost, raggiungendo percentuali anche del 5-10 per cento (che variano, ovviamente, a seconda dell'importo del biglietto)». «È intollerabile che, per un biglietto su una tratta interna come la Milano-Roma, con un prezzo base in classe Economy, ben 67,7 per cento del costo sia riconducibile alle tasse. Se è questo il modo in cui si vuole incentivare il turismo nel nostro Paese c’è molto di cui preoccuparsi». Per contrastare questo ulteriore rincaro le Associazioni sta o studiando ricorsi ed interventi di carattere legale per annullarne l'applicazione;
   a seguito dell'aumento delle tasse aeroportuali, la compagnia aerea Ryanair – che negli ultimi anni è divenuto il primo vettore in Italia con 26,1 milioni di passeggeri nel 2014, quasi 3 milioni in più di Alitalia – ha deciso di chiudere due delle sue 15 basi italiane e interrompere 16 collegamenti italiani, con la conseguente perdite di 800 mila clienti. Nello specifico, dal prossimo ottobre Ryanair taglierà otto rotte ad Alghero (pari al 60 per cento), cinque a Pescara (cioè il 70 per cento) e tre a Crotone (tutte);
   la decisione della compagnia irlandese, pur temperata dal contestuale incremento di rotte internazionali da e per gli scali di Roma e di Milano, comporterà gravi conseguenze sull'occupazione (circa 600 posti di lavoro andrebbero persi, senza considerare gli effetti indiretti sull'indotto), sulla mobilità degli italiani, in primis dei residenti delle regioni colpite, e sull'attrattività economica e turistica delle città interessate al taglio dei voli;
   il direttore commerciale dell'aviolinea low cost irlandese, David O'Brien, nel corso di una conferenza stampa, durante la quale ha annunciato uno spostamento dagli aeroporti regionali agli scali di Roma e Milano e, in particolare, l'apertura di quattro nuove rotte dalla capitale, è stato molto polemico sia nei confronti del governo italiano, che «per raccogliere pochi milioni fa sì che le Regioni perdano centinaia di milioni di spesa turistica», sia di Alitalia, ricordando che le tasse aeroportuali vanno a finanziare il Fondo di integrazione al reddito dei dipendenti del trasporto aereo e pertanto, in gran parte, il trattamento del personale Alitalia in esubero;
   inoltre, con l'aumento delle tasse sui passeggeri di circa il 40 per cento per finanziare il fondo per la cassa integrazione degli ex piloti Alitalia, continua il direttore commerciale di Ryanair, «Quale compagnia aerea più grande in Italia, volando su 26 aeroporti e trasportando 27 milioni di clienti all'anno da e per l'Italia a Ryanair non è stata lasciata altra scelta se non quella di chiudere due delle sue 15 basi italiane (Alghero e Pescara) e spostare i suoi aeromobili, piloti ed equipaggi verso Paesi con costi più bassi per il turismo. Interromperemo anche tutti i nostri voli all'aeroporto di Crotone e saremo costretti ad effettuare ulteriori tagli alle rotte sui nostri aeroporti regionali italiani»;
   Ryanair ha messo in guardia dal danno che l'aumento di questa tassa avrà negli aeroporti regionali italiani, che perderanno non solo rotte e traffico, ma anche i visitatori che Ryanair porta in queste regioni, oltre ai posti di lavoro creati e sostenuti dal turismo. «Questo aumento della tassa – ha aggiunto O'Brien – danneggerà seriamente il turismo italiano, particola ente negli aeroporti regionali dove la Ryanair porta milioni di visitatori ogni anno, contribuendo all'economia locale per milioni di euro attraverso turisti che spendono molto, supportando migliaia di posti di lavoro»;
   ricordando che in questo momento la disoccupazione giovanile supera il 40 per cento e «il turismo è uno dei pochi settori che può stimolare la rapida creazione di posti di lavoro per i giovani delle regioni d'Italia», O'Brien ha fatto presente che «l'Italia si è resa poco competitiva e meno attrattiva per le compagnie aeree ed i turisti e poiché sempre più clienti evitano quest'a o il Medio Oriente ed il nord Africa per prenotare vacanze nel Mediterraneo, l'Italia consegnerà una opportunità d'oro di crescita ad altre destinazioni in Spagna, Portogallo e Grecia che hanno minori costi per il turismo»;
   il presidente dell'Osservatorio nazionale sulle liberalizzazioni nei trasporti (Onlit), Dario Balotta, pur definendo l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco, «una tassa iniqua e ingiusta», polemizza con Ryanair: «Il suo ritiro parziale da Alghero, Crotone e Pescara è dovuto a problemi di mercato più che alla tassa aeroportuale, che si applica in tutti gli scali nazionali compresi quelli in cui il vettore irlandese ha confermato e ampliato la sua presenza». Secondo Balotta «appare chiaro che la compagnia low cost opera voli negli scali che più la sussidiano con svariati contributi a passeggero in partenza, meglio conosciuti come co-marketing»;
   la compagnia aerea Ryanair ha annunciato tagli anche nei collegamenti da e verso l'aeroporto di Perugia. Nel dettaglio, vengono sospese le rotte da/per Cagliari e Brindisi e quelle su Barcellona-Girona e Dusseldorf-Weeze, rotte che nel 2015 avevano operato complessivamente con un load factor medio di oltre l'80 per cento;
   questa decisione causerà la riduzione drastica dei passeggeri dello scalo umbro San Francesco d'Assisi esponendo l'infrastruttura a rischio declassamento essendo stato inserito tra gli aeroporti di interesse nazionale che per rimanere tali «devono raggiungere una quota di presenza di un piano industriale, corredato da un piano economico-finanziario, che dimostri – almeno sulla base di un triennio – il raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario anche tendenziale nonché di adeguati indici di solvibilità patrimoniale»;
    stando al bilancio approvato da Sase, la società partecipata che gestisce lo scalo umbro, nel 2015 la perdita è stata pari a 850 mila euro con una riduzione della metà rispetto all'anno precedente. Il taglio delle rotte da parte di Ryanair e l'annuncio di Alitalia di voler eliminare i voli Perugia-Roma, andranno ovviamente a ripercuotersi sul bilancio dell'aeroporto minando la capacità di recupero della perdita e dunque le possibilità di rimanere nell'elenco degli scali di interesse nazionale;
   i tagli delle compagnie, inoltre, produrrà o effetti negativi anche sull'economia dell'Umbria che rischia di diventare ancora meno attrattiva per gli investitori nazionali e internazionali. Il sistema infrastrutturale della regione, infatti, sconta una pesante mancanza di investimenti da parte delle istituzioni locali e del Governo: si pensi soltanto alle ferrovie con il raddoppio della Spoleto-Terni che non è ancora iniziato a causa della mancanza di risorse, e quello della tratta Spoleto-Campello di appena 9 chilometri che, dopo quattordici anni, non è stato ancora completato;
   è evidente come in questo contesto la presenza e la permanenza dell'aeroporto San Francesco d'Assisi diventa condizione indispensabile per lo sviluppo economico e turistico di tutta la regione;
   alla richiesta di Ryanair all'esecutivo italiano di eliminare questo dannoso aumento delle tasse aeroportuali, così come ha o fatto i Governi di Belgio, Irlanda e Paesi Bassi con tasse simili, proprio per salvare il turismo, il traffico aereo e i posti di lavoro, il Governo ha risposto con un'apertura facendo sapere, attraverso il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio, che sta «studiando quali misure alternative si possano adottare, alla fine del primo semestre, per ridurre l'aumento delle tasse aeroportuali». Il Ministro ha riferito: «Ho incontrato i vertici di Ryanair e EasyJet, abbiamo discusso di questo. Voglio comunque ricordare che i voli di queste compagnie low cost molto spesso godono di aiuti da parte degli aeroporti. Comunque il nostro impegno è di ridurre al minimo le tasse. Sia chiaro che, comunque, le minacce di ridurre voli e personale non sono accettabili e non aiutano certo alla soluzione del problema»;
   rispondendo in Assemblea alla Camera all'interrogazione a risposta immediata n. 302044 del 23 febbraio 2016, il Ministro Delrio ha altresì ribadito: «Ho già avuto modo di discutere di questo con l'amministratore delegato di Ryanair ad Amsterdam e con l'amministratore delegato di EasyJet in un dibattito pubblico. Certamente, però, dobbiamo fare in modo che l'aumento delle tariffe – che peraltro è proporzionato a quelle di tutti gli altri Paesi europei, non è assolutamente sproporzionato – non deprima il mercato. Abbiamo specificato già che l'aumento non era retroattivo, non agiva retroattivamente sui biglietti già venduti, lo abbiamo specificato in maniera chiara, e il nostro impegno a ricercare delle soluzioni che alimentino il Fondo speciale per il trasporto aereo non attraverso l'aumento progressivo delle addizionali c’è ed è tutto in campo, specialmente in considerazione del fatto che la legge Fornero ha previsto che questo fondo del trasporto aereo venisse sostituito dal Fondo di solidarietà, alimentato, quindi, in gran parte poi dai contributi delle imprese, come per tutti i fondi di solidarietà di questo tipo. Quindi è in atto una discussione tra il Governo, l'INPS, il Ministero del lavoro e il Ministro dell'economia per fare partire questo nuovo fondo, che è in ritardo rispetto alle previsioni, e per aggiustare appunto l'entità dell'addizionale in esame nei termini minimi previsti, perché sappiamo che comunque l'attrattività aerea, la capacità di aumentare i passeggeri dei nostri scali, è un volano importante per l'economia. Quindi, da un lato non accettiamo l'impostazione che si va via perché aumenta di 2 euro e mezzo, perché complessivamente le tariffe non valgono solo per l'addizionale comunale, ma valgono per una serie di altre entità, quindi quella è una piccola parte di quello che si paga; dall'altro lato, però, è vero che vogliamo, come in tutte le politiche del Governo, tenere al minimo le tasse, quindi in questa fase di start-up di questo fondo si è deciso di mettere queste addizionali per le previsioni, ma verrà verificato in queste settimane, proprio da qui a giugno, la possibilità di ridurre al minimo questa addizionale, usando anche tutti i risparmi e gli avanzi patrimoniali già in essere nello stesso fondo» –:
   alla luce di quanto sopra esposto, se il Governo abbia valutato o stia effettivamente valutando la possibilità di ridurre o eliminare questo da oso aumento dell'addizionale sui diritti di imbarco per passeggero, dato che l'incremento delle tasse aeroportuali genera pesanti ricadute sul traffico aereo italiano, riducendo fortemente i volumi di passeggeri e di movimenti aerei, rende meno competitivo il sistema aeroportuale nazionale per le compagnie aeree, comporta un grave da o allo sviluppo economico italiano, nonché rischia di penalizzare l'attrattività turistica del nostro Paese rispetto ad altre destinazioni europee che invece hanno ridotto o congelato gli incrementi dei prezzi dei biglietti aerei;
   se il Governo stia ricercando delle soluzioni alternative che non alimentino il fondo speciale per il trasporto aereo attraverso l'aumento progressivo delle addizionali sui diritti di imbarco, dal momento che per garantire ammortizzatori sociali aggiuntivi ai lavoratori del trasporto aereo in esubero si rischia di compromettere ulteriori posti di lavoro.
(2-01348) «Galgano, Sottanelli, Librandi, Vargiu, Bombassei, Monchiero».

Interrogazioni a risposta immediata:


   GRIMOLDI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   lunedì 11 aprile 2016, il Ministro interrogato, dopo oltre un'ora di confronto con l'assemblea dei sindaci della Brianza, ha prospettato la soluzione della costituzione di un tavolo per la revisione del progetto «Pedemontana lombarda», negando la disponibilità del Governo ad individuare le risorse finanziarie occorrenti per l'ultimazione dell'infrastruttura;
   l'incontro è stato organizzato per esprimere le preoccupazioni delle amministrazioni locali legate alla mancanza di fondi per far decollare le infrastrutture e per assicurare un livello adeguato di servizi alla cittadinanza;
   da quanto è emerso dall'incontro, opere come la metrotranvia «Milano-Desio-Seregno» o il prolungamento della linea 5 della metropolitana da Milano a Monza o il prolungamento della linea 2 della metropolitana fino a Vimercate sono indispensabili e improcrastinabili per i cittadini, ma in questo momento a mettere addirittura in crisi uno dei territori più produttivi del Paese è la Pedemontana, un'opera concepita proprio per rilanciare la Brianza e dare competitività alle industrie locali e che per mancanza di fondi pubblici e per la diminuzione delle entrate da traffico rispetto alle previsioni rischia di restare incompleta;
   ha tanto colpito una frase del Ministro interrogato, riportata dalle agenzie stampa: «lo Stato non può essere un bancomat», in quanto ha ferito cittadini che, per lo più, hanno sempre finanziato le opere pubbliche con il project financing, magari anche in cofinanziamento ma comunque sopperendo le carenze dello Stato;
   gli interroganti ritengono fuori luogo la frase del Ministro interrogato, soprattutto perché è stata rivolta ad un territorio come quello lombardo che, ogni anno, con le tasse dei cittadini e delle imprese finanzia le casse dello Stato con circa 54 miliardi di euro;
   non risulta che queste risorse tornano sul territorio come servizi per i cittadini;
   al contrario l'Anas, con le risorse statali, per anni ha finanziato e continua a finanziare la realizzazione e la gestione di una serie di opere autostradali sulle altre regioni del territorio nazionale; si pensi al finanziamento infinito della Salerno-Reggio Calabria, autostrada senza pedaggio che ancora non ha concluso i lavori e già richiede risorse cospicue per la manutenzione, o alla gestione del grande raccordo anulare di Roma e della Roma-Fiumicino;
   la Pedemontana lombarda è un'opera prioritaria per la Lombardia e ciò sembrerebbe comprovato anche dallo stesso Governo che ha inserito tale opera tra le 25 infrastrutture strategiche per il Paese –:
   se il Ministro interrogato intenda assicurare, per quanto di competenza, un paritario trattamento dei cittadini in tutto il Paese tramite le infrastrutture necessarie per la difesa e il rilancio delle potenzialità territoriali, industriali e commerciali, garantendo l'individuazione delle risorse finanziarie occorrenti per l'ultimazione dell'infrastruttura autostradale Pedemontana lombarda. (3-02202)


   MONCHIERO e RABINO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A33, che collega Asti a Cuneo, in tutto 93 chilometri, attualmente in parte aperta al traffico, in parte in costruzione e in parte ancora solo in progetto, è gestita dall'Autostrada Asti-Cuneo spa, costituita il 1o marzo 2006 (partecipata al 60 per cento dalla società Autostrada Ligure Toscana spa, al 35 per cento dall'Anas spa e al 5 per cento da Itinera spa), in qualità di concessionaria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   dei lotti ancora da completare, i più nevralgici sono quelli 2.5 e 2.6, soprattutto nel tratto che interessa il territorio di Castagnito-Alba e di Cherasco-Alba;
   si è quindi creata una situazione assurda, con la Asti-Cuneo quasi completata ma interrotta nel bel mezzo, fra Alba e Cherasco, ove il traffico viene deviato sulla viabilità ordinaria del tutto inadeguata, con gravi penalizzazioni per i cittadini e per le imprese della zona;
   negli anni scorsi la società concessionaria, avanzando problemi nel reperimento dei fondi, aveva chiesto di rinviare l'esecuzione del lotto 2.5 e la costruzione della galleria sotto il fiume Tanaro e di utilizzare, come soluzione alternativa, temporanea e senza pedaggio, la tangenziale di Alba, consentendo quindi un primo efficace collegamento a scorrimento veloce e a doppia carreggiata senza soluzione di continuità tra Asti e Cuneo;
   gli enti territoriali avevano accettato questa soluzione, pur temendo aggravi ai problemi della circolazione di collegamento con la città di Alba, a condizione che l'utilizzo della tangenziale fosse provvisorio e che, contemporaneamente alla costruzione del lotto 2.6, venissero realizzate dalla società concessionaria alcune opere complementari indispensabili per non gravare in modo insopportabile sulla viabilità locale;
   le conferenze dei servizi, tenutesi ai sensi e per gli effetti del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, presso la direzione generale per lo sviluppo del territorio del Ministero delle infrastrutture e trasporti in data 14 marzo 2012 e 19 aprile 2012, alla presenza dei rappresentanti degli enti locali interessati, della società concessionaria e dell'Anas, si sono concluse con un accordo fra le parti che prevedeva l'adeguamento della tangenziale di Alba per il suo utilizzo transitorio, la costruzione da parte della società concessionaria di alcune opere complementari e l'impegno a realizzare tali opere prima della conclusione dei lavori del lotto 2.6, l'approvazione da parte dell'Anas del progetto definitivo del lotto 2.6 entro il 30 settembre 2012;
   sono trascorsi quattro anni dalla firma della convenzione, sottoscritta nella primavera 2012 dal Ministero e da tutte le parti interessate, e si attende ancora l'avvio dei lavori del lotto 2.6 per il completamento dell'autostrada Asti-Cuneo;
   da allora, la situazione dell'Asti-Cuneo è stata oggetto di due interrogazioni: la prima nel settembre 2014, rivolta al Ministro pro tempore, onorevole Maurizio Lupi, e la seconda il 16 giugno 2015;
   a seguito della prima interrogazione, il Ministro Lupi venne ad Alba, in occasione dell'annuale Fiera internazionale del tartufo, a garantire il suo fattivo interessamento che, in effetti, si tradusse nella proposta da parte del Governo di una specifica norma, approvata dal Parlamento nel contesto del decreto-legge cosiddetto «sblocca Italia». L'adozione della predetta norma non ha, tuttavia, avuto l'effetto sperato e nel giugno del 2015 gli interroganti sollecitavano il Ministro a riprendere in mano la complessa situazione;
   sono seguite varie prese di posizione, anche informali, da parte degli interroganti e di altri parlamentari del cuneese, dei rappresentanti delle istituzioni locali, degli imprenditori della provincia, culminate in una riunione svoltasi al Ministero con tutti i parlamentari cuneesi il 3 febbraio 2016;
   nonostante il personale interessamento del Ministro, da allora nulla è mutato e la situazione di stallo si protrae a tutt'oggi;
   a parere degli interroganti, è necessario un intervento risolutivo: occorre procedere immediatamente o alla revisione delle clausole contrattuali, come richiesto dal concessionario, ovvero, se tali proposte fossero ritenute inaccettabili, all'avvio della procedura di risoluzione del contratto –:
   quali atti siano stati compiuti negli ultimi mesi dal Ministero e/o dalla società concessionaria per giungere al superamento dell'attuale situazione. (3-02203)


   DE LORENZIS, DELL'ORCO, CASTELLI, FRUSONE, LIUZZI, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi due anni si è registrata, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, una serie di nomine commissariali presso le diverse autorità portuali del Paese. Tra queste, a titolo esemplificativo, vi sono quelle del commissario straordinario di Olbia e Golfo Aranci, Pietro Preziosi, al suo secondo mandato semestrale; di Livorno, Giuliano Gallanti, al suo secondo mandato semestrale; di Piombino, Luciano Guerrieri, al suo settimo mandato commissariale dopo due mandati da presidente della medesima autorità portuale; in situazioni analoghe si trovano le autorità portuali di Augusta, Catania, Cagliari, Bari, Brindisi, Taranto, Trieste, Napoli e Genova;
   in particolare per quanto riguarda l'autorità portuale di Augusta, il commissario straordinario, Alberto Cozzo, al suo terzo mandato semestrale, nominato inizialmente con decreto ministeriale del 13 novembre 2014, confermato successivamente con decreto ministeriale del 14 maggio 2015 e 15 novembre 2015, la cui scadenza è prevista per maggio 2016, è oggi al centro delle vicende giudiziarie riguardanti l'inchiesta sugli «appetiti» riguardanti lo stesso porto siciliano;
   secondo le ricostruzioni la nomina del Cozzo sarebbe giunta a seguito di pressioni indebite da parte di un gruppo, più volte definito «clan» nell'ambito delle intercettazioni, e dagli stessi inquirenti bollata come «associazione a delinquere» di cui avrebbero fatto parte i lobbisti Nicola Colicchi e Gianluca Gemelli, quest'ultimo avrebbe sfruttato il proprio legame con l'allora Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi per perseguire interessi delle sue aziende e di quelle di riferimento (in particolare per l'emendamento inserito in legge di stabilità per il 2015 a favore di attività estrattive tra la Basilicata e la Puglia), il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, nonché il dirigente del Partito Democratico, Paolo Quinto, e il Capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, che risulta indagato per una presunta connessione tra il programma navale (di cui alla legge di stabilità per il 2014 e all'atto del Governo n. 128) e lo scandalo petroli che ha portato alle dimissioni del richiamato Ministro dello sviluppo economico;
   risulterebbe che Gemelli chiese aiuto all'ammiraglio De Giorgi per evitare problemi sulle concessioni nel porto di Augusta nell'attrezzare il pontile necessario all'attracco delle petroliere, nell'installazione dei tubi necessari al trasbordo, nell'autorizzare la serie di serbatoi destinati a conservare il greggio;
   in tal senso il commissario Alberto Cozzo, considerato favorevole ai piani del gruppo sopra citato per la concessione del pontile del porto di Augusta, si sarebbe guadagnato la riconferma per la quale lo stesso Lo Bello sarebbe intervenuto nei confronti del Ministro interrogato. Al tempo stesso l'ammiraglio Roberto Camerini, considerato scomodo dallo stesso Gemelli, veniva trasferito a La Spezia al comando Marina nord, evidentemente dando seguito a quanto emerso dalle intercettazioni: «l'ipotesi di portarlo a Taranto non va bene, perché avrebbe presa su Augusta. Deve andare da Roma in su (...) Uno perché così si neutralizza, due perché ci sono tempi più stretti»;
   la nomina del commissario straordinario dell'autorità portuale e le conferme successive al medesimo incarico non sono oggi disciplinate da alcuna norma di legge, posto che, ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 1-bis, della legge n. 184 del 1994, il presidente dell'autorità portuale è nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la regione interessata, e all'articolo 7, comma 3, è previsto che lo stesso Ministro possa revocare il mandato del presidente e sciogliere il comitato portuale con proprio decreto qualora «il piano operativo triennale non sia approvato» e «il conto consuntivo evidenzi un disavanzo». Al successivo comma 4 si dispone che con il medesimo decreto di revoca e scioglimento il Ministro nomini un commissario per un periodo massimo di sei mesi;
   la citata legge, che disciplina le autorità portuali, non prevede pertanto alcun caso di commissariamento o deroga nella nomina dei vertici dell'autorità portuale diversi da quelli richiamati. Altresì, come ribadito anche dalla giurisprudenza costituzionale, è possibile ai sensi del decreto-legge n. 293 del 1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 444 del 1994, al fine di assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'organizzazione amministrativa, prorogare per non più di quarantacinque giorni gli organi amministrativi non ricostituiti entro la scadenza del termine di durata;
   ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 14 del 1978, recante norme per il controllo parlamentare sulle nomine negli enti pubblici, ivi comprese le autorità portuali, le nomine, le proposte o designazioni effettuate dal Consiglio dei ministri o dai Ministri devono essere comunicate entro quindici giorni alle Camere. Tali comunicazioni, a quanto risulta agli interroganti, non sono ancora pervenute, in contrasto con l'obbligo previsto a norma di legge. Si richiama peraltro il secondo periodo dell'articolo 9 in cui si specifica che «tali comunicazioni devono contenere l'esposizione dei motivi che giustificano le nomine, le proposte o designazioni, le procedure seguite ed una biografia delle persone nominale o designate»;
   ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera f), della legge n. 124 del 2015 (cosiddetta legge delega Madia); il Governo ha approvato in via preliminare lo schema di decreto legislativo di riorganizzazione delle autorità portuali, con l'espresso obiettivo di inaugurare «un nuovo modello di governance» orientato a concentrare ulteriormente il potere decisionale in un numero ristretto di soggetti e di consessi, direttamente sottostanti al Governo nazionale, nell'ottica di «velocizzare le procedure»;
   in tal modo, a parere degli interroganti, si rischia di offrire un pericoloso combinato disposto di concentrazione dei poteri e speditezza decisionale che, come nel caso della nomina del commissario straordinario di Augusta, potrebbe contribuire o quanto meno facilitare il perseguimento di interessi particolari, come quelli della richiamata «cricca dei porti e delle navi», che avrebbe dimostrato un'evidente capacità infiltrativa e interferenziale di alcuni soggetti nei confronti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nonché in quello della difesa e più in generale nel Governo;
   l'inchiesta della procura di Potenza sta portando alla luce diverse prove a dimostrazione dell'esistenza, oltre che di sodalizi di dubbia natura, di un cordone di comando esterno alle istituzioni democraticamente scelte dai cittadini peraltro non sempre riconducibili prima facie a situazioni illecite –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per affrontare quelle che appaiono agli interroganti evidenti interferenze di interessi rilevate e quelle di cui è soggetto a rischio l'intero sistema di governance portuale e infrastrutturale in genere, posto che la riforma delle autorità portuali, di cui allo schema di decreto legislativo citato in premessa, così come pensata non può rappresentare un valido strumento. (3-02204)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento stradale tra il porto di Ancona e l'autostrada A14, con bretella di collegamento alla variante alla strada statale 16 (cosiddetta uscita ad ovest) è opera di fondamentale importanza per il porto di Ancona, per le Marche e per lo sviluppo, in particolare, delle regioni dell'Italia centrale;
   l'intervento riguarda la realizzazione di un collegamento viario ad elevata capacità tra il porto di Ancona, l'autostrada A14 e la variante alla strada statale 16;
   il collegamento stradale tra il porto di Ancona e l'autostrada A14, con bretella di collegamento alla variante alla strada statale 16, è compreso nel 1o programma delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale di cui alla delibera CIPE n. 121/2001 e confermato dal documento «infrastrutture prioritarie» redatto dal Ministero delle infrastrutture nel novembre 2006;
   l'opera fa parte dell'intesa generale quadro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Marche, sottoscritta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 24 ottobre 2002;
   il progetto preliminare redatto dall'Anas è stato approvato con delibera del consiglio di amministrazione in data 15 marzo 2005; è stato sottoposto a procedura di valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 190 del 2002, ed ha ottenuto parere favorevole, con prescrizioni, dalla commissione speciale VIA in data 31 marzo 2006;
   il consiglio di amministrazione dell'Anas del 20 febbraio 2006 ha deliberato l'inclusione del progetto nel master plan delle opere da realizzare mediante l'istituto del project financing. Nel corso del mese di luglio 2007 l'Anas ha pubblicato l'avviso indicativo per la selezione del promotore per la progettazione, realizzazione e gestione, con il sistema del project financing, del collegamento stradale tra il porto di Ancona e la grande viabilità; alla scadenza del termine fissato (16 novembre 2007) per la presentazione delle domande l'Anas ha ricevuto 10 proposte da parte degli aspiranti promotori;
   in data 23 aprile 2008 il consiglio di amministrazione dell'Anas ha dichiarato di pubblico interesse la proposta presentata dall'ATI «Passante Dorico» (Impreglio-Astaldi-Pizzarotti-Itinera);
   in data 14 luglio 2008 il progetto preliminare presentato dal promotore è stato trasmesso alla struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la conseguente istruttoria per la sottomissione del progetto preliminare all'approvazione del CIPE;
   in data 16 gennaio 2009 si è provveduto alla pubblicazione del progetto e lo stesso è stato trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero per i beni e le attività culturali e alla regione Marche, per il rilascio da parte degli stessi delle integrazioni ai pareri, a suo tempo rilasciati, necessari per la successiva approvazione del progetto preliminare e della proposta presentata dal promotore, da parte del CIPE;
   in data 29 luglio 2009 la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha espresso parere positivo con prescrizioni, rilevando che il progetto del promotore sostanzialmente non varia rispetto a quello già presentato da Anas nel 2005, se non per aspetti di dettaglio;
   dal 21 settembre 2009 al 22 ottobre 2009 si è tenuto il collegio tecnico, istituito ai sensi dell'articolo 165 comma 6, lettera b) del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e composto dai rappresentanti della struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Marche, comune di Ancona, autorità portuale di Ancona, R.F.I., Multiservizi s.p.a., ed ANAS s.p.a., che al termine dei lavori ha definito un quadro prescrittivo di varianti progettuali;
   il progetto preliminare e la proposta del promotore sono stati approvati dal CIPE con delibera n. 34 del 13 maggio 2010;
   in data 11 agosto 2010 è stato pubblicato il bando di gara ai sensi dell'articolo 155, comma 1, del decreto legislativo n. 163 del 2006 per l'individuazione del concessionario. Alla scadenza del 30 settembre 2010 sono state presentate sei domande di prequalifica, tutte ammesse alla fase successiva della procedura;
   in data 26 novembre 2010 è stata pubblicata la delibera CIPE n. 34 del 13 maggio 2010, registrata dalla Corte dei conti in data 12 novembre 2010;
   in data 5 maggio 2011 il CIPE ha approvato con prescrizioni, lo schema di convenzione;
   in data 26 novembre 2011 è stata pubblicata la delibera CIPE n. 9 del 5 maggio 2011. Lo schema di convenzione disciplina il rapporto tra il concedente (ANAS s.p.a.) ed il concessionario per la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento viario;
   in data 15 dicembre 2011 sono state trasmesse le lettere di invito ai soggetti prequalificati;
   ai sensi dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 98 del 2011 (convertito dalla legge n. 111 del 2011), in seno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è stata istituita l'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali, che compie opera di vigilanza e controllo in nome per conto del Ministero. Tale Agenzia ha sostituito l'ANAS in qualità di stazione appaltante;
   in data 15 febbraio 2012, non risultando pervenute ulteriori offerte oltre a quella del promotore, è stata avviata la procedura negoziata per l'aggiudicazione definitiva dell'opera (rif. articolo 56 del decreto legislativo n. 163 del 2006);
   il 1o ottobre 2012 le attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e il relativo personale dell'Ispettorato di vigilanza in capo ad Anas, sono stati trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (rif. articolo 11, comma 5, del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito dalla legge n. 14 del 2012);
   con decreto ministeriale n. 341 del 1o ottobre 2012 tutte le concessioni in capo all'Anas sono passate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella istituenda struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali nell'ambito del dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale;
   il 18 dicembre 2013 è stata sottoscritta la convenzione fra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Società Passante Dorico, poi integrata il 2 settembre 2014 e, dopo il successivo decreto interministeriale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze relativo all'approvazione della concessione, la concessionaria ha presentato il progetto definitivo per la realizzazione dell'uscita ad Ovest dal porto di Ancona;
   dopo mesi e mesi l'istruttoria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze non risulta conclusa e da notizie apparse sulla stampa locale il motivo è da ricercarsi nella verifica della sostenibilità economica del progetto alla luce dei dati di traffico stimati, di quelli reali e della determinazione dei conseguenti costi di pedaggio;
   con il decreto-legge n. 179 del 2012 (il cosiddetto «decreto sviluppo»), è stata data la possibilità di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture previste in contratti di partenariato pubblico-privato per le quali venga accertata la non sostenibilità economico-finanziaria, con agevolazioni e cofinanziamenti utili a ripristinare l'equilibrio del piano economico-finanziario –:
   quale sia lo stato dell'istruttoria del procedimento dell'uscita ad ovest dal porto di Ancona e se il Ministro interrogato ritenga che sussistano i presupposti per l'eventuale ricorso, ove necessario, a quanto previsto dall'articolo 33 del decreto-legge n. 179 del 2012. (5-08416)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, recante «Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici», convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, istituisce presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, con una dotazione pari a 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015;
   il comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, «Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per l'Expo 2015», convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 2014, n. 80, incrementa il fondo per la morosità incolpevole con la somma di 15,73 milioni di euro per l'anno 2014 e di 12,73 milioni di euro per l'anno 2015;
   il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 14 maggio 2014 stabilisce i soggetti a favore dei quali i comuni dispongono l'erogazione dei contributi: a) inquilini, nei cui confronti sia stato emesso «provvedimento di rilascio esecutivo per morosità incolpevole», che sottoscrivano con il proprietario dell'alloggio un nuovo contratto «a canone concordato»; b) inquilini la cui ridotta capacità economica non consenta il versamento di un deposito cauzionale per stipulare un nuovo contratto di locazione (in tal caso il comune deve prevedere le modalità per assicurare che il contributo sia versato contestualmente alla consegna dell'immobile); c) inquilini che, ai fini del ristoro, anche parziale, del proprietario dell'alloggio, dimostrino la disponibilità di quest'ultimo a consentire il differimento dell'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile;
   lo stesso decreto stabilisce che i comuni devono comunicare ai prefetti l'elenco dei soggetti che richiedano il contributo e abbiano i requisiti per l'accesso allo stesso. In seguito a tale comunicazione, i prefetti compiono «le valutazioni» per la programmazione (in via generale) «dell'intervento» della forza pubblica;
   con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 19 marzo 2015 n. 84214 si procede alla ripartizione per l'anno 2015 del fondo per la morosità incolpevole e per la dotazione complessiva di 32,73 milioni di euro, in proporzione al numero di provvedimenti di sfratto per morosità emessi, registrato dal Ministero dell'interno al 31 dicembre 2013, per il 30 per cento tra le regioni Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia e, per il 70 per cento tra tutte le altre regioni e province autonome;
   diversi comuni risultano non aver utilizzato gli stanziamenti provenienti dal fondo per la morosità incolpevole sia per la complessità nella definizione dei criteri presupposti per l'accesso alla misura, sia per le difficoltà insite nell'espletamento delle conseguenti attività istruttorie;
   non ultimo, a parere dell'interrogante, persiste una situazione di inadeguata pubblicità/notizia in ordine all'esistenza del predetto fondo –:
   se le misure definite dal decreto-legge n. 102 del 2013, istitutivo del fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, si siano dimostrate efficaci per il sostegno delle locazioni;
   se ritenga opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza, atte a superare le difficoltà indicate in premessa interessanti gli enti locali;
   se dal monitoraggio effettuato dalle regioni sia possibile conoscere l'impiego effettivo del fondo per le annualità 2014 e 2015 e le previsioni per il corrente anno;
   se le somme assegnate alla singole amministrazioni locali e non utilizzate debbano essere restituite. (4-12884)


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il recepimento da parte dell'Italia della convenzione «Manila 2010», che stabilisce gli standard di addestramento per il personale marittimo sta creando non pochi problemi;
   la convenzione, infatti, stabilisce che i Paesi aderenti possono fino al 1o gennaio 2017 rinnovare le certificazioni di tutti i marittimi, utilizzando la vecchia normativa senza applicare le nuove disposizioni;
   l'Italia, invece, sta procedendo al rinnovo di tutte le certificazioni ponendo il 1o gennaio 2017 quale data di scadenza della validità, di fatto annullando l'efficacia quinquennale delle certificazioni;
   secondo le circolari esplicative della norma, inviate a tutte le capitanerie, al 1o gennaio 2017 tutti i marittimi (e quindi migliaia, considerato che tutti hanno il rinnovo in quella data) dovranno presentarsi a riconvalidare la propria certificazione per lavorare con tutti i corsi, « refresh» e novità introdotte con la nuova norma, peraltro recepita dall'Italia solo nel mese di marzo 2016;
   ciò significa che nei prossimi otto mesi i marittimi che lavorano imbarcati in giro per il mondo dovrebbero rientrare tutti e concentrarsi in pochissimo tempo nei centri predisposti (a pagamento) per fare i corsi e refresh richiesti;
   molti centri, tuttavia, ad oggi sono ancora in attesa delle direttive ministeriali per avviare i corsi;
   un'altra problematica riguarda la nuova regola della convenzione «Manila 2010» secondo la quale chi ha un certificato con una qualifica deve imbarcarsi e quindi lavorare con quella qualifica;
   ad oggi vige l'imbarcazione per titolo e qualifica (ad esempio, un marittimo con titolo di capitano di lungo corso può ad oggi imbarcarsi su una qualunque imbarcazione con la qualifica di comandante, primo ufficiale o secondo ufficiale) e molte compagnie – specie nel campo delle crociere – imbarcano personale con «titolo» superiore per svolgere mansioni di «qualifiche» inferiori proprio per avere standard di sicurezza ed esperienza del personale a bordo più elevati;
   la nuova normativa comporterebbe a molti marittimi di ritrovarsi con titolo superiore che al 1o gennaio 2007 non sarà riconosciuto, perché imbarcati nel frattempo con «qualifica» inferiore –:
   se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, i Ministri interrogati intendano adottare per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-12887)


   LOMBARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i complessi immobiliari siti in Roma, via Madre Teresa Napoli 28 e 32 e via delle Cerquete 180 del comune di Roma sono stati costruiti nell'ambito del piano di zona B4-bis «Castel Verde», realizzato in base alla legge 18 aprile 1962, n. 167, per interventi di edilizia abitativa a basso costo a vantaggio delle fasce sociali più deboli;
   nel 1987 la DEMO S.r.l. otteneva il primo finanziamento pubblico;
   il 24 giugno 1992 la CEE S.r.l. (subentrata nel 1991 alla DEMO s.r.l.) otteneva dal Comitato per l'edilizia residenziale (C.E.R.) del Ministero dei lavori pubblici un finanziamento, sotto forma di contributo in conto interessi, in conformità al titolo III della legge n. 457 del 5 agosto 1978 sui mutui edilizi agevolati concessi dagli istituti e sezioni di credito fondiario ed edilizio, nel limite di impegno annuo massimo di lire 123.000.000 per la realizzazione di minimo n. 30 alloggi nel Comune di Roma – La Mistica a valere sui fondi stanziati dall'articolo 3, comma 7-bis, della legge n. 118 del 5 aprile 1985;
   il 19 novembre 1998, con la delibera del consiglio comunale n. 234, venivano assegnate alla CEE s.r.l. in diritto di superficie le aree comprese nel P.d.Z. B4 «Castel Verde» per la realizzazione di una cubatura residenziale di mc. 11.432 virtuali sul comparto e/p+d/p;
   il 13 dicembre 1999, essendo l'intervento risultato inattuabile per preesistenze di natura archeologica, il diritto di superficie viene trasferito dal comparto e/p al comparto f/p, ferma restando la cubatura precedentemente assegnata e, a seguito del parere espresso dalla S.A.R., veniva predisposta una variante urbanistica al piano di zona e, conseguentemente, con delibera del Consiglio comunale n. 194 del 20 novembre del 2000, veniva adottata la variante n. 36/87 al P.d.Z. B4 «Castel Verde» che, pertanto, assume la denominazione di B4-bis «Caste Verde»;
   nel frattempo, il 6 maggio 2002 tra la CEE s.r.l. e la Coop. Edilizia a.r.l. MIDICOOP ARTIGIANATO PRIMA interveniva una scrittura privata con cui la cooperativa acquisiva l'intera operazione immobiliare di cui la CEE S.r.l. era titolare;
   il 18 luglio 2003 Ministero delle infrastrutture e dei trasporti rilasciava la concessione edilizia n. 38 protocollo 378, la quale prevedeva l'inizio dei lavori entro tre mesi e la loro ultimazione entro sedici mesi dall'inizio;
   il 14 ottobre 2003 iniziavano i lavori di costruzione, che, dovendo completarsi in base alla concessione edilizia n. 38 entro sedici mesi dall'inizio, avrebbero dovuto essere ultimati entro il 15 febbraio 2005;
   il 14 dicembre 2005 veniva stipulata tra CEE s.r.l. e il comune di Roma la convenzione (con atto a rogito del notaio Giovanni Ungari Trasatti, Repertorio n. 37871, raccolta n. 19552) con cui era prevista la concessione del diritto di superficie sul terreno sopra descritto. In particolare, nella citata Convenzione il corrispettivo di concessione del terreno veniva fissato in euro 927.235,13 di cui euro 359.650,72 quale quota provvisoria soggetta ad eventuale conguaglio del corrispettivo per l'acquisizione dell'area, euro 35.424,81 per quanto dovuto a titolo di indennità presunta di occupazione ed euro 532.159,60 quale quota per oneri di urbanizzazione;
   il 26 gennaio 2006 Unipol Banca s.p.a. e CEE s.r.l. sottoscrivevano un contratto di mutuo per euro 3.530.000,00 erogato alla stipula per euro 800.000,00 senza che i lavori fossero terminati e senza il rispetto delle clausole previste per l'erogazione;
   il 26 ottobre 2006 il comune di Roma (dipartimento IX) rilasciava alla CEE s.r.l. il permesso di costruire n. 116 protocollo 73167;
   nonostante la consegna degli immobili sarebbe dovuta avvenire, in forza di quanto disposto dalla concessione edilizia n. 38, entro il 15 febbraio 2005, il IX dipartimento del comune di Roma concede una serie di proroghe per l'ultimazione dei lavori (determinazione dirigenziale n. 1814 del 17 novembre 2008 con proroga al 31 dicembre 2008);
   determinazione dirigenziale n. 1391 del 27 ottobre 2009 con proroga al 31 dicembre 2009; determinazione dirigenziale n. 174 del 1o febbraio 2010 con proroga al 30 giugno 2010);
   con raccomandata A/R del 15 febbraio 2010, il direttore dei Lavori Architetto Marco Maria Cupelloni comunicava che il termine dei lavori era avvenuto in data 12 febbraio 2010, certificando con regolare documento attestazione di ultimazione lavori emesso da Roma Capitale il 5 aprile 2011;
   successivamente, i promissari acquirenti sottoscrivevano un atto di prenotazione con la CEE s.r.l. con cui dichiaravano e garantivano di possedere i requisiti di legge per assumere la titolarità e la proprietà degli alloggi;
   tale atto di prenotazione stabiliva, in primo luogo, l'indicazione del prezzo di acquisto e le modalità di pagamento;
   l'atto di prenotazione sottoscritto, inoltre, statuiva che «...la consegna dell'unità immobiliare è programmata dopo sedici mesi naturali e consecutivi, salvo proroghe e/o cause di forza maggiore, dal verbale di inizio lavori giusto quanto previsto dal CIPE, con deliberazione dell'8 aprile 1987 in merito ai programmi ordinari di edilizia agevolata...» e che «...la stipula dell'atto notarile di compravendita dell'unità immobiliare...dovrà avvenire entro 120 giorni dalla data del verbale di ultimazione dei lavori...»;
   la Cee s.r.l., però, sebbene trasmettesse ai promissari acquirenti una scheda riepilogativa dei costi «chiavi in mano» di ciascun appartamento, non vi si atteneva, pretendendo successivamente, con dubbi e modalità la corresponsione di somme di gran lunga superiori rispetto a quelle inizialmente previste, costringendo i promissari acquirenti ad affrontare enormi sacrifici economici;
   la Cee non ha adempiuto all'atto di prenotazione: non ha provveduto all'ultimazione dei lavori nel termine previsto e non ha provveduto al trasferimento della proprietà degli alloggi, tant’è che i prenotatari si vedevano costretti a rivolgersi al giudice civile per il trasferimento coattivo degli alloggi per cui avevano in precedenza corrisposto buona parte del prezzo di acquisto;
   addirittura, i promissari acquirenti venivano informati dalla stessa Midicoop che alcuni creditori della CEE s.r.l. stavano intraprendendo delle azioni di recupero fino a che, nel 2009, il complesso immobiliare veniva pignorato e, nell'ambito di tale procedura, interveniva, quale parte creditrice, la Banca Unipol erogatrice del mutuo;
   non solo, la Banca Unipol avrebbe iscritto ipoteca sul diritto di superficie dei terreni di proprietà del comune di Roma, il quale era stato, invece, concesso alla CEE s.r.l. esclusivamente per la costruzione di alloggi di tipo economico-popolare;
   inoltre, i promissari acquirenti, a quanto risulta all'interrogante, hanno dovuto pagare per opere di urbanizzazione primarie e secondarie che non sono mai state compiute, ma che sono state comunque imputate loro;
   i promissari acquirenti, a questo punto, allarmati dalla situazione verificatasi, si rivolgevano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al comune di Roma chiedendo una verifica sulla regolarità dello svolgimento delle operazioni di costruzione del complesso immobiliare in questione, sulla regolare applicazione della convenzione e sulla regolarità delle operazioni di concessione del mutuo da parte della Banca Unipol;
   a conferma dell'obbligo di vigilanza e controllo gravante sul comune di Roma, il quale avrebbe dovuto verificare che la società costruttrice applicasse quanto statuito nella Convenzione o, in mancanza, avrebbe dovuto intervenire, pena la sua responsabilità, il Ministero delle infrastrutture e dei, trasporti con nota del 27 settembre 2012 prot. n. 0010999 affermava che: «...le procedure dell'articolo 3, comma 7-bis della legge 118/85, attivate da questo Ministero non prevedono controlli sulla convenzione stipulata tra comune ed Impresa restando il primo responsabile ad ogni effetto dell'attuazione. Tuttavia, attesa la gravità di quanto rappresentato, al fine di comprendere meglio la questione, è stata chiesta copia della convenzione al comune di Roma in data 30 agosto 2012 e si è tuttora in attesa di risposta...»;
   nonostante le evidenti lacune nei controlli, però, in data 10 luglio 2014, veniva disposto lo sgombero degli alloggi;
   alcuni dei promissari acquirenti, dunque, dopo aver pagato ingenti somme per diventare assegnatarie di immobili a cui avevano diritto si sono viste addirittura additare quali occupanti senza titolo e si trovano tuttora costretti a dover rilasciare gli alloggi dopo averli praticamente acquistati;
   invece, altri promissari acquirenti tra il 2007 e il 2008 hanno sottoscritto un verbale di consegna provvisorio di alloggio nel quale era specificatamente indicato che «...la predetta consegna avviene tra le parti sopra identificate al solo scopo di permettere al prenotatario sig. (...) di potere custodire ed utilizzare il sopra descritto immobile per deposito di beni mobili, e pertanto, il medesimo non potrà essere utilizzato, a fini abitativi, fino a quando non sarà rilasciato dalle autorità preposte il certificato di abitabilità, così come prescritto dalle normative vigenti (...)»;
   con nota protocollo 0006709 del 13 maggio 2014, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in persona del direttore generale Costanza Pera, interpellato sullo stato della procedura per il finanziamento agevolato disposto dal citato Ministero a favore della CEE s.r.l. dal Comitato per la Casa «Cerquete 2003», affermava:
    a) «...si fa presente che questa Direzione ha preso atto della ultimazione dei lavori (nota del Comune di Roma, protocollo N. 96042, del 25 luglio 2012), nonché dell'avvenuta concessione del mutuo fondiario alla Costruzioni Edilizie Europee s.r.l. da parte della Unipol Banca s.p.a., per il quale è prevista la garanzia sussidiaria da parte dello Stato ai sensi dell'articolo 44 della legge 5 agosto 1978, n. 457, riferita a mutui non fruenti di contributi statali...»;
    b) «...Non risulta agli atti, alcuna convenzione tra Unipol banca s.p.a. ed il Ministero delle infrastrutture, relativa al programma edilizio in oggetto...»;
    c) «...nel prendere atto pertanto, che l'intervento edilizio è stato realizzato senza il contributo statale, si conferma che per quanto attiene agli obblighi derivanti dall'utilizzo di un'area in diritto di superficie, la regolamentazione è definita attraverso la convenzione stipulata tra il comune di Roma e la CEE s.r.l. ai sensi dell'articolo 35 della legge 865/71...»;
   nel corso del 2015 il Comitato Cerquete 2003 contattava l'assessore alla trasformazione urbanistica di Roma Capitale Architetto Caudo, il quale (con lettera protocollo n. 113762 del 7 luglio 2015 e protocollo 118844 del 15 luglio 2015) trasmetteva la documentazione della vicenda PdZ B4 Castelverde comp G/p al procuratore Pignatone, per una valutazione degli atti conseguenti di sua competenza;
   a conferma del fatto che la procedura burocratica ed amministrativa di gestione del programma di edilizia economica e popolare non è del tutto limpida e chiara si evidenzia che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, recentemente interpellato dalla dalla interrogante, ha comunicato con una nota protocollo n. 7042 dell'8 luglio 2015, che «...è stato richiesto agli assessori competenti del comune di Roma e della Regione Lazio voler far conoscere quali iniziative abbiano attivato sull'argomento nell'ambito dell'esercizio del potere di vigilanza di propria competenza con riferimento al comporto dell'edilizia residenziale pubblica...» –:
   se gli assessori competenti del comune di Roma e della regione Lazio abbiano informato il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti circa le iniziative attivate nell'ambito dei propri poteri di vigilanza sulle opere di edilizia residenziale pubblica;
   come sia stato possibile che la Unipol Banca s.p.a. abbia potuto concedere un mutuo fondiario alla CEE s.r.l. ai sensi dell'articolo 44 della legge n. 457 del 1978 – per il quale è prevista la garanzia sussidiaria dello Stato – laddove, invece, il direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti afferma che non sussiste alcuna convenzione tra la Unipol e il Ministero stesso;
   come la Unipol Banca abbia potuto stipulare il contratto di mutuo con la CEE srl e poi procedere con il pignoramento del complesso immobiliare de quo, se essa non rientra tra le banche convenzionate con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   per quale motivo il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, una volta venuto a conoscenza della mancanza della convenzione tra il Ministro e Unipol, non abbia in alcun modo reso nota tale circostanza alle autorità competenti;
   se, dinanzi ad una situazione tanto nebulosa come quella descritta in premessa, non si reputi necessario evitare l'enorme dispiegamento di forze dell'ordine a cui si assiste ormai da tempo per gli sgomberi degli alloggi di Castelverde, anche alla luce dei costi che ciò comporta per la collettività. (4-12893)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   QUARANTA, DURANTI, COSTANTINO e D'ATTORRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 – disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (stabilità 2016), al comma 754, si stabiliva che: «Alle province e alle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario è attribuito un contributo complessivo di 495 milioni di euro nell'anno 2016, 470 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 e 400 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021, di cui 245 milioni di euro per l'anno 2016, 220 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2020 e 150 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021 a favore delle province e 250 milioni di euro a favore delle città metropolitane, finalizzato al finanziamento delle spese connesse alle funzioni relative alla viabilità e all'edilizia scolastica. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro delegato per gli affari regionali e le autonomie, da adottare entro il 28 febbraio 2016, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, è stabilito il riparto del contributo di cui al periodo precedente, tenendo anche conto degli impegni desunti dagli ultimi tre rendiconti disponibili relativi alle voci di spesa di cui al primo periodo»;
   come si evince dall'ultimo periodo del predetto comma, il riparto del contributo si sarebbe dovuto stabilire con decreto del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 28 febbraio 2016;
   per quanto a conoscenza degli interroganti – sentita anche la segreteria del capo di gabinetto del Ministero dell'economia e delle finanze – alla data del 7 aprile 2016, suddetto decreto non è stato ancora emanato –:
   se il Ministro interrogato non intenda dare tempestivamente seguito a quanto previsto dal comma 754, dell'articolo 1, della Legge di stabilità 2016. (5-08428)


   SOTTANELLI e GALGANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   una recente indagine dell'Eurispes che ha misurato l'indice di organizzazione criminale (IOC) nell'ambito del quarto rapporto agromafie afferma che Perugia e Terni, con un indice di organizzazione criminale di 55,9 e 30, fanno posizionare l'Umbria nella prima metà della classifica delle regioni d'Italia a più forte penetrazione mafiosa;
   l'intensità dell'associazionismo criminale è elevata nel Mezzogiorno, ma emerge con chiarezza come nel Centro dell'Italia il grado di penetrazione sia forte e stabile e particolarmente elevata in Abruzzo ed in Umbria;
   le Agromafie hanno realizzato un business che ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015;
   per raggiungere l'obiettivo, dice il rapporto, «i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell'estorsione e dell'intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare»;
   dalla riunione della Commissione parlamentare antimafia riunitasi di recente a Perugia è risultato che, se l'Umbria non è un territorio mafioso, non si possono sottovalutare i fenomeni di infiltrazione che si sono verificati negli anni;
   la provincia di Perugia e l'Umbria si confermano territori in cui non si può parlare certamente di insediamento mafioso come invece succede per la Lombardia o altre regioni del Nord. Ma non bisogna sottovalutare il fenomeno che esiste, è importante tenere alta l'attenzione, perché anche qui sono presenti organizzazioni italiane e internazionali e ci sono evidenti segnali della loro presenza: sia in rapporto alla «questione Gesenu» che ai traffici di stupefacenti;
   proprio il «modello Gesenu» necessita di un approfondimento della questione; si ritiene infatti necessario andare avanti per capire se questo modello di infiltrazione delle partecipate sia stato utilizzato anche in altre regioni —:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative di competenza ritenga utile intraprendere al fine di monitorare e contrastare il fenomeno mafioso in Umbria. (5-08429)


   DIENI, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO e TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco fornisce importanti servizi alla cittadinanza, ma, come avviene in molti altri settori dell'amministrazione pubblica, esso sconta negli ultimi anni situazioni di disagio dovute alla carenza di personale, all'inefficiente dislocazione delle sedi e ad alcune situazioni d'incertezza normativa che si ripercuotono gravemente sulla sua capacità di esercitare efficacemente i compiti cui è chiamato;
   questo vale in special modo in Calabria, dove le condizioni dei vigili del fuoco sta o diventando insostenibili;
   in questi ultimi anni, solo nei periodi estivi e per una durata di uno o due mesi, è stato attivato il distaccamento dei vigili del fuoco di San Giovanni in Fiore, centro che viene attraversato da una delle più trafficate arterie stradali della Calabria, la strada statale 107, che collega la costa ionica con quella tirrenica da Crotone a Paola;
   il territorio di San Giovanni, e degli altri paesi limitrofi, è così distante dalla sede permanente di soccorso dei vigili del fuoco di Cosenza che, per abbreviare i tempi d'intervento, moltissime volte i soccorsi per quegli abitanti partono dal comando dei vigili del fuoco di Crotone;
   proprio quest'ultima circostanza ha causato la cancellazione dei vigili del fuoco di San Giovanni in Fiore come distaccamento permanente;
   nel nuovo progetto nazionale di riordino dei vigili del fuoco sul territorio, infatti, la sede silana è stata declassata a distaccamento volontario vanificandone l'apertura permanente: ciò è avvenuto tuttavia sulla base dei dati degli interventi del comando di competenza che è Cosenza anche se, nella realtà, i dati di riferimento dovrebbero essere cumulati con gli interventi del comando di Crotone, con un risultato certamente diverso;
   analoga situazione di difficoltà si starebbe per profilare anche nel distaccamento del porto di Crotone dove, secondo notizie trapelate sulla stampa il Ministro interrogato starebbe valutando di utilizzare la struttura come centro d'identificazione per immigrati;
   tale eventualità risulterebbe contrastante con qualsiasi logica di sviluppo dell'infrastruttura portuale, dato che durante la stagione estiva è necessario un presidio per la sicurezza, anche in virtù dell'espansione delle attività turistiche del diporto e della crocieristica;
   sarebbe dunque indispensabile individuare un altro luogo, tra i tanti disponibili, per svolgere le attività d'identificazione, e non certo una struttura fondamentale per il rilancio del porto, come l'attuale distaccamento dei vigili del fuoco, che attende con la redazione del piano regolatore portuale l'inizio di una nuova e importante fase di sviluppo e di crescita delle attività portuali, delle presenze e degli scali;
   inoltre, alla luce delle recenti riforme sul riordino del corpo vigili del fuoco, sarebbe utile prendere in considerazione l'ipotesi di dotare la fascia ionica di un nucleo di sommozzatori dei vigili del fuoco;
   a dover essere ripensata integralmente è l'intera dislocazione e la strutturazione del servizio, specie sulla parte jonica della Calabria;
   la fascia jonica comprende circa 170.000 abitanti e si estende su 130 chilometri, lungo la strada statale 106, da Saline Joniche a Monasterace, senza contare l’hinterland, la cui presenza incide notevolmente sulla distanza media tra i distaccamenti che già supera i 40 chilometri;
   oltre alla natura montuosa del territorio, a compromettere la gestione del dispositivo di soccorso, entra in gioco anche il ridotto numero di personale operante durante le normali turnazioni di servizio, ridotto a sole 15 unità, distribuite sui distaccamenti di Melito, Bianco e Siderno;
   a questo deficit di personale si cumula la notevole distanza che separa il distaccamento di Siderno dal vasto comprensorio di Monasterace, anch'esso in una situazione problematica;
   a Monasterace infatti il comune avrebbe proceduto già da qualche anno, con fondi stanziati dal Ministero dell'interno, alla ristrutturazione di un immobile da destinare a sede dei vigili del fuoco, ma mancherebbe il personale da collocarvi;
   analoga carenza di organico si registrerebbe al porto di Gioia Tauro, dove mancherebbe una squadra terrestre a quella di mare già operativa –:
   quali iniziative intenda adottare per una più efficiente copertura dei territori di San Giovanni in Fiore, Porto di Crotone, Monasterace, porto di Gioia Tauro da parte del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a tal fine anche attingendo, per sanare la carenza di personale, dalle liste degli idonei all'ultimo concorso a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco del ruolo dei vigili del fuoco. (5-08430)


   MARCO DI MAIO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la questura di Forlì-Cesena si trova in una condizione di carenza di personale. Durante l'anno 2016 la situazione potrebbe ulteriormente aggravarsi a causa di una serie di eventi concomitanti (pensionamenti, congedi e concorsi) che a breve potrebbero pregiudicare la qualità dei servizi dell'ente;
   i dirigenti e i funzionari della struttura si trovano da tempo in una situazione di vuoto di organico. Gli uffici sono diretti da direttori prossimi alla pensione o da funzionari o ancora da personale con altre funzioni;
   i dipendenti nel ruolo di assistenti e agenti sia della questura che del commissariato di Cesena sono 160 con un'età media di 49 anni. Il personale effettua tutti i servizi ordinari, ma in alcuni casi l'organico assegnato non è sufficiente a garantire il servizio di vigilanza. L'organico potrebbe essere ulteriormente impoverito con la partecipazione di molti agenti al corso di formazione per l'accesso alla qualifica di vice sovraintendente;
   sono 15 i dipendenti che sono andati in pensione o che andranno in pensione tra la fine del 2015 e durante tutto il 2016. A questo si aggiunge che il 12 percento dell'organico (36 persone) si avvale della legge n. 104 del 1992 e in caso di disabilità grave c’è la possibilità di richiedere un congedo biennale (3 unità ne hanno già fatto richiesta);
   in caso di avvio di voli di tipo commerciale dell'aeroporto «Ridolfi» di Forlì, la questura di Forlì-Cesena dovrebbe riprendere anche le funzioni di Polizia di Frontiera;
   il territorio della provincia di Forlì-Cesena risulta, da una indagine condotta dal Censis, quello in cui più di tutti gli altri in Italia sono aumentati i furti in abitazione negli ultimi 10 anni, con un incremento pari al 312,9 per cento;
   il territorio della provincia di Forlì-Cesena presenta picchi di flussi turistici che impattano enormemente sull'attività dei presidi di polizia, anche per la vicinanza ad altre zone ad alta densità turistica come la provincia di Ravenna e quella di Rimini;
   l'attuale sede della questura di Forlì-Cesena risulta essere notevolmente inadeguata allo scopo, tanto di, essere stata recentemente oggetto di lavori che hanno condizionato lo svolgimento di alcuni servizi e o si ravviserebbe l'esigenza, già segnalata, di individuare una nuova collocazione –:
   se non ritenga necessario provvedere, anche tenendo conto della necessità di una rapida ricognizione delle posizioni dirigenziali in essere, ad un adeguamento degli organici della questura di Forlì-Cesena al fine di rispondere alle esigenze di personale attuali e future, alla luce dei pensionamenti previsti. (5-08431)


   PLANGGER, ARTINI, BALDASSARRE, BIANCONI, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dispositivo di sicurezza aeroportuale interforze previsto dal piano nazionale di sicurezza Leonardo Da Vinci, che ne delinea gli incarichi attribuendo compiti di vigilanza fissa e dinamica, compiti di controllo, di reazione ed allarme antiterrorismo, e di tutela e monitoraggio del flusso dei passeggeri nei punti sensibili dell'aerostazione, è composto da personale della polizia di Stato, della guardia di finanza e dell'Arma dei carabinieri ed è coordinato dalla polizia di Stato (organo di pubblica sicurezza che sovraintende al DSA) attraverso la sala operativa della Polaria, al cui interno è presente nell'arco orario 7,00/19,00 anche un sottufficiale di collegamento dell'Arma;
   risulta tuttavia mancare la trasmissione sulla stessa frequenza radio, ma ciascuna forza di polizia utilizza la propria esponendo, nei casi di emergenza quali possono essere gli attentati terroristici, il suddetto dispositivo a deficienze e ritardi nella reazione, a causa soprattutto del difficoltoso coordinamento delle diverse pattuglie interforze del dispositivo sicurezza aeroportuale, quando sarebbe sufficiente utilizzare il sistema Polaria per tutte le pattuglie in dispositivo;
   la polizia di Stato ha appositamente creato un'unita speciale voli sensibili detta «Squadra Laser» equipaggiata con armamenti speciali e dotata di uniformi operative per fronteggiare adeguatamente la minaccia terrorismo e la guardia di finanza analogamente ha schierato l'unità speciale «Baschi Verdi pronto impiego Anti-terrorismo» con la medesima finalità; l'Arma dei carabinieri invece, con la locale Compagnia, ha messo a disposizione di un'aliquota sicurezza composta da personale proveniente dall'arma territoriale in uniforme di istituto senza alcuno specifico addestramento, che non rappresenta un'unità specializzata al pari della polizia e della guardia di finanza;
   per la sicurezza dell'aeroporto di Fiumicino, inoltre, non sono state approntate delle zone di filtraggio già presenti in altri Paesi, con finalità antiterroristiche in prossimità dell'aeroporto stesso;
   è sempre più urgente la necessità di innalzare l'efficienza del personale, del loro addestramento, dell'armamento e dell'organizzazione logistica delle forze di sicurezza, creando un efficace dispositivo, inserito nel «piano di sicurezza nazionale Leonardo Da Vinci», che sia decisamente proattivo rispetto ai rischi da attentato terroristico in ambito aeroportuale –:
   quali iniziative e in che tempi il Ministro interrogato intenda intraprendere, al fine di utilizzare per tutto il dispositivo sicurezza aeroportuale un'unica maglia radio della Polaria, di permettere il coordinamento tra le pattuglie interforze del dispositivo sicurezza aeroportuale di Fiumicino e di apprestare un dispositivo di sicurezza efficace ed efficiente per quanto concerne il complesso addestramento/equipaggiamento, comprensivo delle pattuglie messe a disposizione dai tre corpi armati, prevedendo anche delle aree di filtraggio con finalità antiterroristiche in prossimità dell'aeroporto stesso. (5-08432)


   SISTO e GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Bergamo soffre da sempre di un pesante deficit di organico delle forze dell'ordine, con un rapporto tra cittadini e rappresentati delle forze dell'ordine tra i più bassi d'Italia;
   l'organico delle forze di polizia non solo è fermo dal 1989, ma la mancanza di turnover ha portato l'organico nel 2015 anche sotto del 20 per cento;
   nella sua recente visita a Bergamo (6 febbraio 2016) il Viceministro Bubbico ha annunciato un completo turnover degli agenti in pensione con nuove forze, oltre a una dislocazione mirata in base alle necessità di ogni provincia;
   alcune aree, con particolare riferimento alla zona della pianura bergamasca, con il completamento di alcune grandi opere, risultano in forte espansione economica e demografica;
   la Polfer, in tutta la provincia di Bergamo ed in particolare nella stazione di Treviglio, risulta in forte carenza di organico;
   l'Operazione «strade sicure», attivata nel 2008 e soppressa a Bergamo nel 2014, è stata recentemente riattivata a Monza e a Brescia –:
    quale sia l'orientamento del Governo in ordine all'adeguatezza degli organici delle forze di polizia in provincia di Bergamo, e quali siano le eventuali iniziative che si intendano assumere in ordine al rafforzamento delle forze di polizia nella suddetta provincia e, in quali tempi, tali eventuali rinforzi potranno giungere ad una piena operatività sul territorio.
(5-08433)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la locale questura di Pescara ha opposto un informale rifiuto alla comunicazione di utilizzo, nei giorni 16 e 17 aprile 2016, degli spazi pubblici per la raccolta di firme del referendum per l'abrogazione di alcune norme della legge cosiddetta « Italicum» da parte del Comitato per la democrazia costituzionale, con la motivazione della necessità di mantenere, in quei giorni, il silenzio elettorale stante il concomitante voto per il referendum sulle trivelle. Analogo comportamento è stato assunto anche da altre questure italiane e dunque si tratta di un problema di valenza nazionale;
   tale rifiuto ad avviso dell'interrogante, presenta profili di dubbia legittimità;
   l'articolo 9 della legge n. 211 del 1956 dispone, tra le altre cose, il divieto di riunioni di propaganda, diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico nel giorno precedente a quelli stabiliti per le elezioni, ma è altrettanto indubbio che la norma intende vietare le manifestazioni di vera e propria propaganda e, per giunta, tra di esse, soltanto quelle che possono turbare o alterare la votazione in corso perché aventi ad oggetto temi coincidenti con quelli sottoposti a scrutinio elettorale;
   sicché, da un lato, l'utilizzo dei summenzionati spazi, per la raccolta delle firme per il referendum, in merito all’« Italicum», non è qualificabile per l'interrogante come attività di propaganda, perché meramente strumentale all'esercizio, da parte della cittadinanza, del diritto-dovere di partecipare alla vita civile del Paese, contribuendo allo svolgimento di un fondamentale istituto di partecipazione popolare costituzionalmente previsto e garantito, quale è appunto quello del referendum ex articolo 138, comma 2, della Costituzione;
   andando verso nuove elezioni amministrative, il problema verrebbe a ripetersi per altri due fine settimana a giugno 2016 e sarebbe un evidente danno per i comitati referendari cui verrebbe vietato di poter informare i cittadini per 3 fine settimane di seguito, di seguito limitando nei fatti il diritto alla raccolta delle firme per il referendum in merito all’Italicum e per gli altri su cui sono in corso le raccolte delle firme;
   ciò per l'interrogante non appare accettabile dato che non c’è nessun «conflitto» in essere, trattandosi di richieste di referendum su temi completamente diversi tra loro e non riconducibili a propaganda di parte politica –:
   se il Ministro interrogato non intenda formulare un diverso indirizzo alle questure e alle prefetture lasciando piena libertà ai comitati di informare i cittadini anche nei giorni del prossimo voto amministrativo incluse le giornate dedicate agli eventuali ballottaggi nelle tante città interessate consentendo il rilascio dei permessi necessari per l'attività informativa da parte dei comitati referendari laddove richiesti. (4-12891)


   CAON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'analisi delle operazioni delle forze dell'ordine del 2015 mostra, ancora una volta, come la criminalità organizzata, in particolare la Camorra e la ’Ndrangheta, stiano consolidando il loro potere criminale nel litorale romano, in particolar modo nei comuni di Anzio e Nettuno, zone storicamente appetibili per gli affari della criminalità organizzata;
   nel litorale tra Anzio e Nettuno (quest'ultima unica città sciolta per mafia nel Lazio), da oltre trent'anni è attiva una consorteria di ’ndrangheta, retta dalla famiglia dei Gallace-Novella così come accertato dalle numerose indagini delle forze di polizia e dai provvedimenti del tribunale di Velletri (Roma);
   in queste comunità, distante solo 60 chilometri da Roma, insiste una popolazione di circa 100.000 abitanti, hanno messo radici due delle più pericolose organizzazioni criminali mondiali: la camorra e la ’ndrangheta più un nutrito gruppo di malavita locale — come il clan degli Hamidovic — che da anni svolge un ruolo significativo nel traffico internazionale di cocaina. Organizzazioni capaci di condizionare la vita sociale, i rapporti economici e le scelte delle amministrazioni locali;
   il Cosip — Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia — da tempo evidenzia, nelle opportune sedi istituzionali, la carenza di uomini e mezzi in cui versa il commissariato di Anzio-Nettuno, mancanze che diventano ancor più intollerabili in estate, quando un manipolo di circa 80 poliziotti deve salvaguardare la sicurezza di oltre 200.000 persone tra abitanti e turisti;
   troppo spesso si assiste inermi alla totale mancanza di efficacia delle politiche di contrasto ai fenomeni criminosi, e si evidenzia con chiarezza disarmante una mancanza di programmazione concreta, capace di arrestare un fenomeno che grazie alla grande disponibilità economica, dei gruppi criminali, e all'alto livello di organizzazione sta assumendo caratteristiche di controllo assoluto del territorio;
   la crisi economica, così come denunciato anche dal commissario antiusura Elisabetta Belgiorno, degli ultimi anni non ha fatto altro che determinare un numero sempre maggiore di persone che sono cadute nelle morsa di usurai e criminali e i dati relativi a questi reati tra Anzio e Nettuno hanno registrato, in maniera sorprendente, un aumento;
   recentemente l'operazione «Mondo di Mezzo» ha scoperchiato un terrificante «vaso di Pandora» e si prefigge come obiettivo quello di travolgere buona parte del tessuto criminale che ha messo radici nel cuore della capitale d'Italia e nel litorale romano –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per assicurare la legalità nel territorio dei comuni di Anzio e Nettuno e se, in particolare, non ritenga opportuno rinforzare significativamente i presidi delle forze dell'ordine;
   quali iniziative intenda assumere al fine di contrastare il crescente allarme sociale evidenziato sia nelle premesse che nei costanti report delle forze dell'ordine e nelle denunce dei cittadini e delle istituzioni locali. (4-12892)


   BRESCIA, COLONNESE e LOREFICE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione, e a norma della Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio che istituisce norme temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, è stata prevista la creazione di punti di crisi, cosiddetti hotspot, funzionali alle operazioni di ricollocamento in altri Paesi membri di richiedenti asilo;
   nell'ambito della Road map di attuazione degli impegni assunti dall'Italia, risulta operativo, tra gli altri, l’hotspot del comune di Taranto;
   come già ribadito in diverse sedi, gli hotspot risultano non avere alcuna base giuridica nell'ordinamento italiano né tantomeno all'interno della normativa dell'Unione europea in quanto di derivazione diretta da impegni politici;
   la Costituzione italiana non prevede in alcun modo il trattenimento dei migranti per soli fini identificativi;
   la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già condannato l'Italia, con la sentenza Khlaifia e altri c. Italia, per il trattenimento illegittimo a Lampedusa nel 2011 di alcuni cittadini tunisini, in seguito raggiunti anche da provvedimento di respingimento del questore;
   l’hotspot di Taranto risulta gestito direttamente dal comune di Taranto a seguito di convenzione stipulata con la prefettura di Taranto;
   il comune di Taranto ha stipulato delle convenzioni per l'erogazione di specifici servizi con la Croce Rossa Italiana – comitato provinciale di Taranto a.p.s., e l'Associazione di volontariato penitenziario Noi e voi Onlus, con procedura di affidamento diretto;
   i migranti all'interno dell’hotspot di Taranto a quanto risulta agli interroganti sarebbero di fatto trattenuti per periodi non definiti, anche superiori a 5 giorni, ed impossibilitati ad allontanarsi dal campo;
   la struttura in questione non appare agli interroganti in alcun modo idonea a garantire la permanenza dei migranti per più giorni in condizioni dignitose;
   per quanto consta agli interroganti non risulta garantita in maniera efficace ai migranti l'informativa sulla normativa e nello specifico sulla possibilità di richiedere protezione internazionale ai sensi dell'articolo 8 della direttiva 2013/32/UE, principio ribadito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 5926 del marzo 2015, e per giunta richiamato dalla circolare ministeriale del 26 gennaio 2016;
   la selezione tra migranti richiedenti la protezione internazionale e migranti cosiddetti economici avviene per il tramite della compilazione di un «foglio notizie» che ad avviso degli interroganti non è in alcun modo strumento legittimo nonché idoneo a determinare in maniera efficace la condizione e la volontà del migrante;
   si è giunti a conoscenza che molti migranti presenti all'interno dell’hotspot di Taranto sarebbero giunti già dopo aver subito una pre-identificazione con relativa sottoscrizione del «foglio notizie» ad opera della questura di Reggio Calabria;
   in data 3 aprile 2016 la questura di Taranto ha emesso provvedimenti di respingimento nei confronti di 200 migranti di origine marocchina che, non avendo presentato domanda di protezione internazionale, a seguito della compilazione del foglio notizie, sono stati accompagnati presso la stazione ferroviaria di Taranto, a quanto risulta agli interroganti, privi di utili informazioni ed indicazioni;
   si è appreso che tra il 13 ed 14 aprile, a seguito di un ulteriore sbarco, la presenza dei migranti nell’hotspot ha raggiunto quota di circa 700 unità, di gran lunga superiore ai posti disponibili;
   in data 14 aprile un numero non meglio specificato di migranti ha cercato di lasciare il centro, salvo essere poi rintracciati e li ricondotti dalle forze dell'ordine;
   da mezzi di stampa si apprende che alcuni migranti, per evitare l'identificazione, avrebbero cercato di cospargersi i polpastrelli di colla e che la polizia si sarebbe dotata di «solventi» per ovviare a questo impedimento;
   si è potuto verificare come all'interno dell’hotspot di Taranto non risulti presente il personale previsto dalla stessa road map che spesso è richiamata, in maniera del tutto inappropriata, come fonte di legittimazione di tali centri –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto in premessa e della rilevanza e gravità delle situazioni in atto secondo gli interroganti non conforme alle leggi;
   se e quali urgenti iniziative il Governo intenda attuare per porre fine alle violazioni rilevate, in particolar modo circa le misure limitative della libertà personale in contrasto con l'articolo 13 della Costituzione, dando giustificazione della natura giuridica degli hotspot e della condizione giuridica dei migranti trattenuti;
   se e come intenda porre fine alla selezione secondo gli interroganti arbitraria a mezzo della compilazione del cosiddetto foglio notizie che risulterebbe essere utilizzato, in maniera ancor più di dubbia legittimità, anche al di fuori degli hotspot individuati, garantendo invece la dovuta informativa e ponendo termine ai respingimenti collettivi;
   se e quali urgenti interventi intenda attuare per garantire che in alcun modo la polizia ricorra all'uso della forza per identificare i migranti;
   se intenda prevedere iniziative affinché venga garantito l'accesso regolare all'interno dell’hotspot di Taranto di associazioni ed organizzazioni del terzo settore con comprovata esperienza nel settore dell'immigrazione al fine di supportare i migranti presenti in particolar modo rispetto al diritto di informazione. (4-12896)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   Giulio, 14 anni, è uno studente di Livorno. La sua classe, di una scuola media, è andata in gita ma lui non lo sapeva e quando l'altra mattina il ragazzino, che soffre di una forma di autismo, è arrivato nell'aula si è trovato solo con il suo insegnante di sostegno;
   un caso analogo è accaduto a Luigi, 15 anni autistico, che si è ritrovato solo nell'aula dell'istituto comprensivo di Pozzilli dove non ha trovato nessuno il giorno in cui i suoi compagni di classe sono andati in gita. Lo ha raccontato suo padre Mauro Cantile, originario della provincia di Caserta, ma da anni, per lavoro, residente a Venafro;
   si tratta di casi gravissimi di discriminazione su cui è necessario andare a fondo per evitare che possano ripetersi –:
   come intenda intervenire il Ministro interrogato per accertare ogni responsabilità in merito alle vicende di cui in premessa e impartire direttive rigorose in grado di impedire nel futuro il ripetersi di tali situazioni così gravi e diseducative. (4-12886)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'articolo 45 della Costituzione afferma che «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità»;
   è noto che la cooperazione è nata come salvagente per lavoratori senza tutele, ha avuto per decenni il ruolo sociale fondamentale di mitigare le distorsioni del sistema capitalista e rappresenta il primo atto con il quale i lavoratori assunsero coscienza di classe;
   oggi il mondo cooperativo ha un ruolo non secondario nella nostra economia: da dati del 2013, le cooperative attive in Italia risultano essere circa 70.000, di cui 376 banche di credito cooperativo e 1.904 consorzi. Le 67.062 cooperative hanno generato, nell'anno, un valore della produzione pari a 90,7 miliardi di euro, mentre i consorzi 17,6 miliardi. Il valore della produzione stimato è pari all'8,5 per cento del PIL italiano;
   le coop di tipo A svolgono servizi socio-sanitari o educativi rivolti alla persona e quelle di tipo B operano in altri settori come il commerciale, agricolo o nei servizi. Queste ultime sono caratterizzate per impiegare una percentuale fissa di persone svantaggiate;
   secondo il rapporto Euricse del 2015, tra il 2008 e il 2013, in presenza di tassi di variazione del prodotto interno lordo negativi, le oltre 28.000 cooperative analizzate hanno registrato una crescita del 14 per cento del valore della produzione. In termini assoluti, l'incremento è stato di oltre dieci, miliardi, dai 72,2 del 2008, agli 82,4 del 2013;
   l'analisi per settore d'attività evidenzia che, tra le cooperative di primo grado, le attività più dinamiche sono state quelle della sanità e assistenza sociale, con una crescita sull'intero periodo del 31,1 per cento (ossia 1,5 miliardi di euro), e dell'agroalimentare, con un aumento del 22,6 per cento (+3,5 miliardi di euro). Leggermente inferiori, ma comunque oltre la media, sono risultati i tassi di crescita del commercio, con un apprezzabile +16,4 per cento (+4,1 miliardi di euro), e degli altri servizi +14,6 per cento (+1,3 miliardi di euro);
   le cooperative sono presenti in tutta Italia, ma permane, tuttavia, una forte disomogeneità rispetto alla dislocazione geografica del tessuto imprenditoriale cooperativo. Infatti, il 45 per cento delle cooperative agricole italiane è concentrato nel Nord Italia e da solo genera addirittura l'82 per cento del fatturato totale, contro il restante 18 per cento diviso quasi equamente tra Centro e Sud;
   tuttavia, l'originario spirito di solidarietà e mutualità una volta espresso dal sistema cooperativo è da tempo sempre più sacrificato alla logica del mercato, della competizione e del profitto, alla pari delle imprese di capitale e difatti non accennano a diminuire i fenomeni di sfruttamento del lavoro ad opera di alcune cooperative operanti nell'area industriale e commerciale sul territorio nazionale;
   sul «fenomeno» delle cooperative, che si ritiene molto positivo, si intreccia oggi, purtroppo, il sistema delle false cooperative, dette «spurie» (non legittime, non autentiche, false): queste imprese anomale hanno ben poco in comune con le cooperative. Esse inquinano il mercato, offrendosi a prezzi più bassi rispetto a quelle che agiscono correttamente rispettando i diritti di chi lavora: pagano meno i lavoratori, non adottano le misure di sicurezza nei posti di lavoro, spesso eludono il fisco, chiudendo e riaprendo le attività sotto un nuovo nome. I controlli, anche per l'inadeguatezza di organico di chi sarebbe tenuto a farli e per la carenza delle normative, sono rarissimi e le sanzioni insufficienti;
   le attività delle cooperative spurie sono di vario tipo: autotrasporto, logistica e facchinaggio, costruzioni ed infrastrutture, attività di consulenza e noleggi, servizi impropri nel ricco ed esteso settore della lavorazione delle carni ed agroalimentare;
   il lavoro nelle società cooperative ha caratteristiche particolari perché, nella definizione giuridica, una società cooperativa non ha fini di lucro ma persegue scopi mutualistici. La figura di riferimento è quella del socio lavoratore, che, in quanto tale, dovrebbe: a) versare la quota sociale; b) partecipare all'assemblea dei soci e alle altre istanze previste per assumere le decisioni comuni; c) partecipare alla divisione degli utili della cooperativa. La concreta esperienza ha portato a scoprire situazioni in cui spesso la cooperativa è un paravento rispetto a realtà di brutale sfruttamento, basate su retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali, sulla riduzione delle tutele sociali, sulla precarietà del rapporto di lavoro, su alcune situazioni in cui i soci si trovano senza nessun diritto a partecipare alle decisioni e al capitale della cooperativa, con la sola possibilità di scegliere tra tale condizione e la disoccupazione. Infatti, alcune cooperative di produzione e lavoro sono state costituite con l'obiettivo di aggirare le leggi e i contratti di lavoro, nell'unica logica di ridurre i costi di produzione. In questo modo, sono stati negati i tradizionali obiettivi sociali delle cooperative e i soci lavoratori si sono trovati in una condizione peggiore non solo dei normali lavoratori dipendenti, ma anche degli altri lavoratori atipici, come quelli che hanno contratti a termine, perché avevano maggiori difficoltà nel ricorrere alla magistratura e non avevano nemmeno il diritto di organizzarsi sindacalmente;
   dunque le «false cooperative» approfittano di vuoti normativi e dell'assenza di controlli e agiscono sul mercato in modo scorretto su due piani: da un lato, attraverso il mancato rispetto dei contratti di lavoro e, dall'altro, dal punto di vista contributivo;
   sempre più spesso la costituzione di cooperative diventa anche veicolo per realizzare operazioni di esternalizzazioni con trasferimento di personale con il quale un'azienda decide di dare in appalto o in affidamento ad una impresa esterna (spessissimo cooperativa) un determinato servizio in precedenza internalizzato al fine di ottenere un risparmio in termini di costi, oppure allo scopo di ottenere maggiori margini di flessibilità gestionale e di adeguamento dei processi alle esigenze del business;
   recentemente, ad esempio, in Umbria, l'azienda Eskigel di Terni ha ipotizzato l'esternalizzazione della manodopera attraverso il ricorso alla forma di affidamento del servizio una società cooperativa, con l'effetto di indebolire il trattamento normativo e retributivo dei dipendenti (interrogazione n. 5/7430);
   ad oggi, sono tuttora innumerevoli le segnalazioni di sindacati ed operatori del settore che lamentano patologie sistemiche in seno al mondo cooperativistico, tanto sul piano della tutela dei diritti dei lavoratori, quanto per quello che riguarda le problematiche che ne derivano da un punto di vista della concorrenza, laddove il pur legittimo favor legis a vantaggio delle cooperative non può e non deve alimentare incongruenze rispetto alle rigide normative europee in tema di concorrenza;
   il fenomeno della cooperazione ha però assunto caratteri anomali non solo dal punto di vista del trattamento previsto in materia di lavoro e di governance della cooperativa non più rispondente allo spirito mutualistico originario, ma soprattutto dal punto di vista del rapporto e legame che, nel corso degli anni, si è venuto a creare tra il mondo economico che ruota intorno, in particolare modo, alle grandi cooperative e il mondo della politica; dirigenti delle cooperative che entrano in politica o ex politici rimasti senza occupazione che sono diventati dirigenti delle cooperative e/o delle organizzazioni della Lega coop o Confcooperative: il caso più recente e vistoso è, a esempio, quello dell'attuale presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, assunta come direttore di Lega Coop Umbria nel 2007 dopo aver fatto il sindaco di Todi e la dirigente dell'Anci, prima di essere eletta al Parlamento europeo e attualmente in aspettativa da Legacoop;
   è evidente che questa permeabilità delle classi dirigenti tra due ambiti che dovrebbero rimanere separati rappresenta una questione economica ma anche democratica, di trasparenza ed imparzialità dell'amministrazione e delle istituzioni assai rilevante poiché tale legame può dar vita, a parere degli interroganti, a fenomeni di «conflitto d'interessi» con dirigenti e management di cooperative che hanno ricoperto o ricoprono tuttora incarichi istituzionali;
   persino il giornalista Claudio Lattanzi nel libro I padrini dell'Umbria, pubblicato da Intermedia edizioni, stigmatizza tale fenomeno: «A livello generale, il caso delle coop rappresenta il più grande e generalizzato conflitto d'interessi che l'Italia del dopoguerra abbia conosciuto seppur i media nazionali siano poco inclini a mettere in evidenza questa realtà che è caratterizzata da rapporti organici tra i vertici nazionali del partito democratico e universo coop e, a livello regionale, da una simbiosi ricorrente tra le amministrazioni locali di sinistra e questa realtà economico-associativa» (pagina 147);
   anche nel settore pubblico ed in particolare negli enti locali e nelle Asl, da diversi anni si ricorre all'appalto esterno, principalmente da parte degli enti locali, dove, a causa di tagli di bilancio o di vincoli come il patto di stabilità e del blocco del turn over, molti servizi che prima erano svolti da uffici pubblici con proprio personale dipendente, ad esempio i lavori di pulizia e manutenzione del verde pubblico, ed anche la manutenzione dei sistemi informatici o il lavoro di segreteria o anche i servizi di portierato e vigilanza, sono affidati a personale esterno; negli ospedali spesso per una parte del personale infermieristico e del servizio del 118 si ricorre a cooperative di personale;
   non è un mistero, come riferito dal giornalista Lattanzi, che alcune cooperative «esercitano in vari settori della vita cittadina in virtù di un rapporto privilegiato con l'amministrazione municipale» (pagina 179);
   a Terni, per tornare alla realtà umbra, la super cooperativa Actl che riunisce più cooperative, attiva in numerosi campi, da quello dell'assistenza socio sanitaria, dal turismo fino alla cultura, gestendo per numerosi anni alcuni importanti servizi socio sanitari del comune, è guidata da Sandro Corsi esponente dirigente del Partito democratico ternano;
   inoltre, l'attuale normativa riserva loro particolari trattamenti e agevolazioni senza che, a fronte delle mutazioni in atto, vi sia un conseguente adeguamento nelle tutele e nella verifica delle effettive condizioni mutualistiche; basti pensare che la vigilanza sulle stesse cooperative se associate è affidata direttamente alle stesse Legacoop, Aggi e Confcooperative;
   si assiste sovente, ad alcune situazioni poco chiare, come quelle legate a cooperative che dichiarano fallimento alla fine di ogni anno, per poi ricostituirsi cambiando denominazione e sede sociale;
   è nota anche l'inchiesta e il processo tuttora in corso della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma che ha smascherato un giro di malaffare che coinvolgeva seriamente cooperative sociali che da anni collaboravano con il comune;
   persino il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, in audizione in commissione Antimafia, sollecitando una riflessione sul ruolo delle cooperative ha affermato: «C’è da chiedersi se alla luce delle agevolazioni fiscali di cui beneficiano le cooperative, della simpatia di cui gode l'intero ambiente e dei controlli sicuramente meno penetranti rispetto agli altri operatori economici non sia il caso di fare una riflessione sulla legislazione complessiva»;
   parrebbe pertanto opportuno, a distanza di molti anni dagli ultimi interventi legislativi in materia, soffermarsi su un'attenta analisi rispetto al sistema cooperativistico, ponendo l'attenzione sulla necessità di garantire la tutela dei diritti dei lavoratori del settore, oltre che un'accurata analisi relativa alle ipotesi di violazione del regime di concorrenza tra le aziende –:
   quali iniziative, di tipo normativo, intenda adottare il Governo al fine di rafforzare i controlli in ordine al rispetto del requisito della mutualità delle cooperative, tutelare i lavoratori del settore e attuare una reale politica nazionale di contrasto agli abusi derivanti dall'uso distorto della pratica delle «esternalizzazioni» aziendali, nonché al fine di elidere rapporti tra il mondo economico-cooperativo e il mondo politico, in modo tale da evitare conflitti di interesse tra incarico politico istituzionale e la carica di amministratore e/o dirigente di società cooperativa o consorzio di cooperative, affinché l'assegnazione di servizi, somministrazioni o appalti con le pubbliche amministrazioni risponda a requisiti di trasparenza e piena tutela dell'interesse pubblico.
(2-01344) «Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, D'Incà, D'Uva, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Lupo, Marzana, Nesci, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Vacca, Simone Valente, Vignaroli, Villarosa».

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'attività lavorativa nella comunità di Sciacca, in provincia di Agrigento, attraverso le presenze turistiche stimate in oltre 500 mila all'anno, è impostata prevalentemente su un'offerta di tipo stagionale, limitata al periodo estivo, attraverso contratti di lavoro che, nella maggior parte dei casi, non superano i sei mesi;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia come l'economia del comune suindicato (circa il 40 per cento), come peraltro la maggior parte di quelli siciliani, in particolare di piccole dimensioni, sia basata su un tipo di contratto di lavoro stagionale che priva dell'attività lavorativa, i lavoratori nel periodo invernale, considerando tra l'altro la presenza di numerose aziende del settore ittico, la cui attività garantisce il lavoro per circa 3 mila occupati;
   l'interrogante, a tal fine, rileva come, a partire dal 1o maggio 2015, il sussidio di disoccupazione sia stato dimezzato del 50 per cento, determinando di conseguenza, la perdita per circa 3/8 delle loro entrate annue, a causa delle nuove disposizioni previste dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 recante: «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183», che hanno istituito un nuovo meccanismo per i requisiti e la durata dell'indennità di disoccupazione, che di fatto penalizza fortemente i lavoratori con i contratti di lavoro stagionale a tempo determinato;
   a giudizio dell'interrogante, la suindicata normativa, oltre a colpire in maniera ingiusta e sfavorevole tale tipologia di lavoratori, come in precedenza rilevato, determina ulteriori effetti negativi determinati dalla nuova Naspi (la nuova assicurazione sociale per l'impiego) in vigore proprio dal 1o maggio 2015, ed istituita per gli eventi di disoccupazione involontaria, in quanto non garantisce alcun tipo di continuità contributiva e pertanto una pensione futura, per i lavoratori stagionali, non essendo in grado di soddisfare le esigenze minimo-sociali;
   l'interrogante a tal fine rileva come dalle osservazioni in precedenza richiamate, siano a suo parere evidentemente gravi e penalizzanti le condizioni dei destinatari della Naspi, istituita dal decreto legislativo n. 22 del 2015, attuativo della legge delega n. 183 del 2014 (cosiddetto jobs act), con cui si è provveduto al riordino degli ammortizzatori sociali e siano necessarie rapide misure correttive, finalizzate a rivedere la disciplina in materia, in grado di riequilibrare i diritti dei lavoratori stagionali, ad un livello accettabile e decoroso, al fine di assicurare un futuro più sereno per i lavoratori stagionali, che attraversano un periodo particolarmente angosciante;
   l'attuale normativa in precedenza richiamata, che nella sostanza dimezza il periodo di disoccupazione, riducendolo praticamente a 3 mesi, lasciando scoperto il periodo rimanente, risulta per l'interrogante altamente negativa e penalizzante per tale tipologia di lavoratori stagionali, la cui funzioni legate alle prestazioni della Naspi, che sostituisce l'indennità di disoccupazione ordinaria Aspi e Mini-Aspi, non garantiscono adeguate tutele, con riferimento agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato con riferimento a quanto in precedenza esposto;
   quali iniziative normative urgenti e necessarie intenda prevedere al fine di modificare l'attuale disciplina in materia di ammortizzatori sociali, i cui effetti a parere dell'interrogante distorsivi, contribuiscono ad aggravare la situazione esistente in termini occupazionali nella regione Siciliana, anche con riguardo a migliaia di lavoratori stagionali, che in prossimità dell'imminente avvio della stagione estiva, rischiano di indirizzarsi verso altri settori professionali, determinando così la privazione di risorse qualificate, come ad esempio nel comparto turistico, che rappresenta un computo fondamentale dell'economia siciliana. (4-12885)


   FRACCARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2015 è stata rappresentata sulla stampa locale della provincia di Bolzano la necessità di una riforma del sistema delle basi logistiche e di altri immobili di proprietà del Ministero della difesa, soprattutto ex basi militari, trasformate in alberghi, o soggiorni montani e marini. Tale sistema, che è causa di enormi sprechi di denaro pubblico, comporta l'impiego di personale militare con mansioni e per scopi che esulano dalle funzioni istituzionali dell'Esercito che, secondo quanto previsto dalla legge n. 382 del 1978, sono «la difesa della Patria e concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni e il bene della collettività nazionale nei casi di pubbliche calamità»;
   all'interno delle basi, oltre al personale dipendente di ditte private, risultano impiegati militari con funzione di albergatori e di vigilanza sul personale esterno. In questa veste, sono presenti tutti i gradi della gerarchia militare dai colonnelli ai semplici soldati contravvenendo, a giudizio dell'interrogante, ai più elementari principi di uso razionale e produttivo delle risorse pubbliche;
   l'affidamento a ditte esterne della gestione delle basi militari trasformate in strutture alberghiere avviene mediante appalto o concessione a ditte private, mentre le tariffe per gli ospiti, esclusivamente militari, ex militari e loro familiari, sono assolutamente al di sotto dei valori di mercato di ogni azienda alberghiera. Per esempio, una pensione completa va dai 26 euro a ospite fino a 35 euro a ospite;
   da quanto riportato dal quotidiano Corriere dell'Alto Adige, pubblicato in provincia di Trento nella versione intitolata Corriere del Trentino, negli articoli pubblicati il 4, 5 e 6 mese di giugno 2015, emergerebbero:
    inadempienze e ritardi nei pagamenti da parte delle ditte appaltatrici/concessionarie di servizi nei confronti dei fornitori privati;
    un uso diffuso dell'impiego di voucher presso la struttura alberghiera Soggiorno Montano di Colle Isarco dove, su 58 dipendenti utilizzati dal Marconi group, 35 sono stati impiegati con formula voucher per un importo corrispondente a euro 50 al giorno;
    una lunghissima serie di irregolarità che, almeno per quanto riguarda il personale, sarebbero state riscontrate anche dall'Inps;
   inoltre, si rileva come l'impiego di lavoratori con voucher è vietato per i concessionari pubblici, in quanto il lavoro subordinato è l'unica forma di lavoro prevista, in tal caso, dall'articolo 36 dello Statuto dei Lavoratori e dall'articolo 118, comma 6, del «codice dei contratti pubblici». L'impiego di voucher, in quanto lavoro accessorio e occasionale, derogatorio « in peius» delle tutele del lavoro dipendente, in caso di appalto o di servizi prestati a terzi è peraltro espressamente vietato dal decreto legislativo 81 del 2015, articolo 48, comma 6 e dalla prassi precedente (circolari del Ministro del lavoro 4/2013 e dell'INPS 88/2009 e 17/2010). Irrilevante in merito è inoltre la differenza tra servizi pubblici resi a terzi in regime di appalto o in regime di concessione, secondo quanto statuito dalla sentenza della Corte Costituzionale 226/1998;
   in aggiunta a ciò, in considerazione del costo del lavoro per il personale e delle spese di gestione delle strutture potrebbe ragionevolmente ipotizzarsi che le tariffe succitate abbiano ripercussioni sul privato concessionario o appaltatore di servizi alberghieri gravato dal costo delle retribuzioni dei lavoratori e dagli oneri fiscali e previdenziali nei confronti dello Stato (FISCO, INAIL e INPS). Il costo orario del lavoro di un cameriere di V livello, ritenute fiscali escluse, per l'anno 2015 è infatti di euro 15,16 al quale vanno aggiunti tutti gli altri costi di gestione che gravano sul concessionario o appaltatore come, ad esempio, l'acquisto del materiali per le pulizie e di alimenti o le spese per l'animazione;
   infine, dalle informazioni riportate dalla stampa locale non emerge quanti lavoratori con le mansioni di animatore risultino impiegati nelle basi militari, con quale contratto di lavoro e con quali tutele retributive e previdenziali. Non è pertanto specificato se sia stato rispettato l'obbligo di applicare il CCNL pubblici esercizi — personale artistico con iscrizione all'ENPALS — impiegando personale con qualifica di animatore in strutture alberghiere o se siano stati stipulati tipologie contrattuali, quali co.co.pro, voucher o collaborazioni occasionali –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quale sia il numero e il grado dei militari, distinti per Corpo di appartenenza, occupati come albergatori presso le basi sul territorio nazionale che sono state trasformate in strutture alberghiere o soggiorni montani e marini;
   quanti interventi a garanzia delle retribuzioni e dei contributi previdenziali dei lavoratori siano stati effettuati dalle stazioni appaltanti o concedenti dell'Esercito per i soggiorni montani e marini;
   se la Guardia di finanza o gli organi di vigilanza in materia di lavoro abbiano eseguito accertamenti ispettivi nei confronti delle ditte concessionarie o appaltatrici di servizi all'interno delle basi militari, nonché quanti siano i lavoratori impiegati a tempo pieno e quanti a part time;
   se appalti e concessioni siano o siano stati, in tutto o in parte, eseguiti da personale impiegato tramite agenzie interinali con sede all'estero o che impiegano lavoratori assicurati nel Paese d'origine e distaccati o somministrati dallo stesso. (4-12894)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da circa due anni molte pratiche relative alla politica agricola comune della regione Marche sono bloccate da un'inchiesta della guardia di finanza («Bonifica» anomalia D12) che risulta ostativa per tutti i pagamenti;
   numerose liquidazioni di procedimenti caratterizzati da mere irregolarità burocratiche, che nulla hanno a che vedere con ipotesi di reato di frode, sono in sospeso;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali con decreto n. 1922 del 20 marzo 2015 aveva espresso la volontà di dare una soluzione a tali pratiche e disposto specifiche indicazioni;
   nonostante il decreto di cui sopra e le procedure nello stesso previste, la staticità ed il forte ritardo di AGEA nel dare ad esso seguito per risolvere tali problemi, in particolare quello dei contratti verbali unilaterali comunque regolarmente registrati all'Agenzia delle entrate, sta creando gravi difficoltà economiche con rischio di fallimento per tante aziende marchigiane coinvolte in questa situazione;
   nella maggior parte dei casi sono bloccati anche i pagamenti relativi alla programmazione regionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti e se e quali iniziative intenda intraprendere con urgenza affinché AGEA dia sollecita e concreta attuazione a quanto previsto dal decreto n. 1922 del marzo 2015. (5-08417)

SALUTE

Interrogazioni a risposta orale:


   SALTAMARTINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Caterina Viscomi, si trova in stato vegetativo all'ospedale Sant'Anna di Crotone. La donna, di professione oncologa, la notte del 6 maggio 2014, dopo aver dato alla luce all'ospedale «Pugliese» di Catanzaro il primogenito Aldo, è entrata in coma, proprio perché nessuno, in sala parto, si è accorto che la puerpera stava andando in debito d'ossigeno;
   l'evento è scaturito dall'assurda circostanza che il volume degli strumenti era stato posto su «manuale», anziché «meccanico»; ciò per mantenere il volume basso perché l'anestesista dell'ospedale Pugliese, Loredana Mazzei (ormai deceduta) non sopportava il suono degli strumenti che avvertivano la riduzione della saturazione dell'ossigeno nei pazienti e quindi ogni volta che c'era lei in sala operatoria la citata anestesista veniva abbassato il volume degli strumenti che avvertivano la riduzione della saturazione dell'ossigeno nei pazienti;
   come è stato evidenziato anche da testate dell'informazione, e precisamente dal Corriere della Sera del 10 aprile 2016, «... Misticismo in Ospedale. Molti suoi colleghi conoscevano la situazione anche perché sono accaduti episodi che hanno creato enormi difficoltà di gestione del ruolo della collega, nell'ambito pediatrico. La dottoressa Mazzei da diversi anni presentava un quadro clinico contrassegnato da comportamenti ispirati al «misticismo esasperato». Al punto che il primario dell'Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, Fabrizio Gennari — con il quale il «Pugliese» aveva avviato una collaborazione — in data 14, novembre 2012 aveva inviato una email al dottor Mario Verre, primario del reparto di anestesia e rianimazione «affinché alla dottoressa Mazzei non venga più assegnata la conduzione di nessuna delle sedute operatorie afferenti al Centro di chirurgie pediatriche». Dopo quel richiamo la Mazzei subì un provvedimento disciplinare che si concluse comunque con una archiviazione, ma con un obbligo: «In sala operatoria doveva andarci con un “Tutor”, come “supporto psicologico”». Metodi Stravaganti. Comportamenti stravaganti l'anestesista li aveva manifestati anche con i familiari dei pazienti. Racconta a verbale la rianimatrice Annamaria Grandi, il 30 giugno 2014: «La Mazzei è emotivamente instabile. Un giorno eravamo entrambe di turno in chirurgia pediatrica e lei, dopo aver preso in braccio un bambino per portarlo in sala operatoria, si inginocchiò davanti ai genitori dicendo: “Siamo tutti nelle braccia degli angeli”». In un altro caso — come ha testimoniato Antonio Raffaele Billa, medico di ostetricia e ginecologia, «la dottoressa mentre si trovava in servizio nel reparto di chirurgia pediatrica, prima di un intervento, ha poggiato una immaginetta della Madonna sul petto di un bambino e ha invitato la madre a pregare prima dell'intervento, dicendo che se fosse andato male, la Madonna avrebbe portato il figlio in cielo così diventava un angelo»;
   se, dunque, l'instabilità dell'anestesista Mazzei era stata già evidenziata addirittura dal primario di una tra le più eccellenti strutture ospedaliere italiane – l'Ospedale pediatrico Bambin Gesù – e avvalorata dai racconti di alcuni medici colleghi, a parere dell'interrogante la vicenda denota una grave superficialità da parte dell'Ospedale Pugliesi di Catanzaro nella gestione dell'incarico alla Mazzei;
   dai fatti emerge che all'ospedale Pugliese il primario del reparto, di anestesia e rianimazione) fosse a conoscenza dei problemi dell'anestesista Mazzei, eppure nessuno sembra abbia agito per rimuoverla dall'incarico o abbia evitato che la stessa continuasse a svolgere un compito così delicato;
   ancor più vergognoso a giudizio dell'interrogante, perché palesa le carenze della giustizia italiana, è l'attesa da oltre due anni del marito di Caterina Viscomi, Paolo Lagonia, di sapere cosa sia realmente accaduto quella notte;
   una prima inchiesta è stata archiviata ma ora che l'anestesista Loredana Mazzei è morta, per il marito di Caterina sarà più difficile ottenere giustizia. Il suo avvocato ha presentato un'istanza di prosecuzione delle indagini. Accolta dal giudice delle indagini preliminari di Catanzaro che ha inviato gli atti a un nuovo pubblico ministero. Nella richiesta il legale ricostruisce la storia professionale della dottoressa Mazzei facendo anche riferimento alle patologie di cui soffriva l'anestesista. Nei giorni scorsi il sostituto procuratore di Catanzaro Debora Rizza, titolare della nuova indagine, ha incaricato un collegio di periti, tra cui il professor Introna, per nuovi accertamenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda urgentemente assumere al fine di contribuire a fare piena luce sulla vicenda, nel rispetto delle competenze della magistratura inquirente che sta svolgendo ulteriori indagini, anche promuovendo, come accaduto in altri tragici casi, un'ispezione per verificare se i protocolli adottati in sala parto dell'ospedale Pugliese di Catanzaro fossero adeguati in relazione alle patologie della dott.ssa Loredana Mazzei e se i protocolli attuali, normalmente adottati durante il parto, siano conformi a quelli solitamente applicati in altri ospedali, con ciò consentendo al sig. Paolo Lagonia di avere le risposte che da anni attende. (3-02198)


   SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione sancisce all'articolo 32 che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   la mortalità materna correlata al travaglio e/o al parto è un fenomeno sempre più raro nei Paesi socialmente avanzati;
   la morte materna rappresenta un evento drammatico e un indicatore cruciale, benché complesso, delle condizioni generali di salute e di sviluppo di un Paese;
   in Italia, in analogia con gli altri Paesi industrializzati, il rapporto di mortalità è progressivamente diminuito da 133 per 100.000 nel 1955, a 53 nel 1970, 13 nel 1980, 9 nel 1990 per essersi poi stabilizzarsi negli ultimi anni;
   ogni anno nel nostro Paese circa 50 donne muoiono di parto. Il rapporto più basso è stato stimato in Toscana (4,6 ogni 100 mila nati vivi), quello più alto in Campania (13,4 ogni 100 mila nati vivi);
   le indagini stimano che circa la metà delle morti materne rilevate potrebbe essere evitata grazie a migliori standard assistenziali;
   a Bassano del Grappa (Vicenza) si è verificata la morte di una neonata in seguito a complicazioni post-parto: la piccola sarebbe nata e subito dopo le sue condizioni sono apparse molto critiche; è deceduta qualche ora più tardi, dopo essere entrata in coma;
   la neonata era stata presa in carico dalla pediatria dell'ospedale di Bassano del Grappa e monitorata costantemente, ma successivamente considerato il peggioramento delle condizioni cliniche, è stato deciso il trasporto alla terapia intensiva neonatale del San Bortolo di Vicenza, in base a quanto previsto dal protocollo regionale Veneto. Ma per la bimba non c’è stato nulla da fare;
   la procura di Vicenza ha aperto un'inchiesta chiedendo l'acquisizione delle cartelle cliniche del reparto di ostetricia dell'ospedale bassanese;
   solo pochi mesi fa, a dicembre 2015, nella stessa struttura si erano verificati altri casi tragici nei quali una giovane mamma aveva perso la vita durante il parto e nel giorno di Natale un altro neonato, il piccolo Kevin Brandalise, era morto in seguito alle complicanze del parto solo dopo pochi minuti dalla nascita –:
   se il Governo sia informato dei fatti esposti;
   se non ritenga di dover promuovere, come accaduto in casi analoghi, un'ispezione, presso il reparto di ostetricia, ginecologia e pediatria dell'ospedale San Bassiano di Bassano del Grappa (Vicenza), per verificare le eventuali criticità dal punto di vista organizzativo e clinico in relazione a questo ennesimo decesso all'interno dell'ospedale di Bassano;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per migliorare la prevenzione sanitaria così da ridurre l'incidenza della mortalità materna correlata al travaglio o al parto. (3-02209)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la malattia celiaca (o Celiachia) è un'infiammazione cronica dell'intestino tenue, scatenata dall'ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. L'unica cura per le persone affette da questa malattia è la dieta aglutinata;
   nel 2014, a uno studente di otto anni frequentante il convitto nazionale Cirillo di Bari, viene diagnostica la celiachia;
   i genitori del bambino fanno richiesta alla dirigenza del convitto Cirillo di somministrare, come impone la legge 123 del 2005, un menu senza glutine;
   la cucina dell'istituto non essendo attrezzata per le allergie alimentari e per la gestione separata dei cibi senza glutine, non fornisce allo studente il diritto alla somministrazione dei pasti separati e privi di glutine;
   a maggio 2015,l'istituto scolastico trova una sorta di soluzione e al bambino vengono somministrati pasti idonei alla sua dieta grazie all'azienda di ristorazione Ladisa di Bari, che rifornisce con menu differenziati scuole e ospedali cittadini;
   durante l'anno scolastico in corso allo stesso istituto si iscrive un'altra bambina anche lei affetta da celiachia e che quindi necessita dello stesso menu aglutinato;
   l'azienda di ristorazione Ladisa all'inizio dell'anno scolastico in corso non offre più la propria disponibilità a fornire i pasti ai due studenti celiaci e, infatti, gli stessi devono accontentarsi durante la mensa, per i mesi di settembre e ottobre 2016 di un menu «normale», lasciando a loro la responsabilità di evitare cibi pericolosi per il loro stato di salute;
   nel mese di novembre 2016, la scuola firma un contratto con un laboratorio barese che produce prodotti idonei ai due bambini celiaci; tuttavia il costo per ogni pasto aglutinato è di euro 15;
   infatti, i genitori dei due studenti celiaci hanno commentato: «Rispetto a tale soluzione abbiamo manifestato le nostre perplessità relativamente non alla qualità del pasto, sicuramente eccellente, ma a una serie di annessi, come l'acqua in bottiglia o la frutta imbustata singolarmente con posate e bicchieri, inutili rispetto alla celiachia e rilevanti sul costo del pasto. Inoltre il pasto non è formulato da una dietista, come previsto dalla linee guida della ristorazione scolastica»;
   il costo per pasto al giorno di 15 euro pesa notevolmente sul bilancio scolastico quindi l'istituto delibera che per due studenti la retta annuale passa da 1.100 a 3mila 100 euro;
   la dirigente dell'Istituto Cirillo, Margherita Viterbo nello specifico ha dichiarato: «Non posso non accettare i bambini celiaci, sarebbe discriminante ma ci siamo dovuti fare i conti e aumentare le rette. Le famiglie pretendono che paghiamo noi, ma non è possibile perché useremmo i soldi delle altre famiglie. E poi già i celiachi ricevono un contributo mensile dalla Asl, non siamo noi che dobbiamo risolvere il problema. Comunque sono persone che se lo possono permettere»;
   tali affermazioni della dirigente scolastica del Cirillo sono, secondo gli interroganti, molto gravi, poiché la legge n. 123 del 2005 ha definito la celiachia una «malattia sociale». Tale comportamento è secondo gli interroganti senza dubbio discriminante nei confronti di chi è affetto dalla malattia celiachia e non ha altre cure se non quella di ricevere parti adeguati;
   inoltre, la quota che il servizio sanitario nazionale eroga attraverso le regioni per l'approvvigionamento di prodotti idonei ai celiaci è, di fatto, una quota parte ripartita in fasce di età e non supera i novanta euro/mese per i celiaci bambini e adolescenti;
   infatti, a seguito della smisurata differenza di retta, anche l'Associazione italiana celiachia (Aic) ha denunciato il caso e la vicenda è riportata anche nel corso di un convegno regionale della stessa Associazione;
   il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale, Anna Cammalleri, più volte sollecitata a dare risposte non ha ancora comunicato, a quanto risulta agli interroganti, nessuna informazione ufficiale rispetto a quanto sta accadendo agli studenti;
   la preside Viterbo rimarca dichiarando ancora: «Se mi arriva un vegano, allora, io che faccio ? Poi vengono tutti al Cirillo. Non intendo essere denunciata per distrazione di fondi. La nostra è una mensa collettiva, la possono usare tutti, ma se ci sono costi aggiuntivi li devono pagare loro»;
   tenuto conto che la dirigente del Cirillo, nelle sue affermazioni ha espressamente detto che se ci sono costi aggiuntivi per diete speciali, questi devono essere a carico delle famiglie, occorrerebbe ribadire che la celiachia è una vera e propria malattia e come tale la struttura scolastica deve somministrare i pasti senza glutine senza nessuna differenziazione di retta a carico delle famiglie –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se ritengano doveroso intervenire presso l'Istituto Cirillo di Bari per garantire agli studenti pasti idonei e i più possibili analoghi a quelli dei compagni in base alla legge n. 123/2005;
   se intendano chiarire, con una nota congiunta ai dirigenti scolastici regionali, l'obbligo della normativa vigente per le mense scolastiche pubbliche e private di garantire un pasto gluten free agli studenti celiaci;
   se non ritengano di dover sensibilizzare maggiormente i dirigenti scolastici e delle strutture pubbliche e private al fine di evitare discriminazioni sociali, poiché la celiachia è una malattia considerata «sociale». (5-08419)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALBANELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» («decreto Balduzzi») ha modificato il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, per quanto riguarda la procedura di nomina dei direttori di struttura complessa. In particolare, il citato decreto-legge prevede che, ai fini del conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa, la selezione venga effettuata da una commissione composta da tre direttori di struttura complessa appartenenti alla stessa disciplina dell'incarico da conferire. I componenti della commissione vanno sorteggiati da un elenco nazionale che raccoglie gli elenchi regionali dei direttori di struttura complessa;
   la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, in data 26 settembre 2013, ha approvato l'accordo ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano recante «Elenco nazionale dei direttori di struttura complessa ai fini della composizione delle commissioni di valutazione per il conferimento degli incarichi di struttura complessa per i profili professionali della dirigenza del ruolo sanitario». In questo accordo il Ministero della salute è stato individuato quale soggetto deputato alla gestione dell'elenco nazionale dei direttori di struttura complessa;
   per consentire la corretta alimentazione dell'elenco nazionale da parte di ciascuna regione è stato attivato il flusso informativo «elenco nazionale direttori di struttura complessa»;
   sulla base delle disposizioni contenute dal «decreto Balduzzi» prima richiamato, l'azienda ospedaliera per l'emergenza «Cannizzaro» di Catania, azienda di riferimento regionale per l'emergenza-urgenza ha indetto un nuovo bando per la nomina del direttore di struttura complessa di pronto soccorso che ha sollevato da più parti alcuni dubbi circa la correttezza dei requisiti richiesti per ricoprire tale incarico;
   il bando richiede, infatti, ai candidati il possesso di requisiti tanto specifici nonché l'assegnazione di punteggi elevati a coloro che abbiano operato in strutture di emergenza che possono insistere di fatto solo al Cannizzaro stesso;
   in particolare, i criteri preferenziali critici in relazione al punteggio che assegnano su un massimo di 50 punti con cui viene valutato il curriculum sarebbero, a quanto risulta all'interrogante:
    a) aver lavorato in un pronto soccorso con volumi di accesso superiore a 50.000 in un contesto ospedaliero con competenze specialistiche ad alta complessità (20 punti);
    b) aver lavorato in una struttura di medicina d'urgenza con più di 20 posti letto (l'unica in Italia al Cannizzaro con 24 posti letto) (6 punti);
   chi ha lavorato al Cannizzaro, al di là degli anni di servizio e delle funzioni esercitate ottiene 26 punti sui 50 disponibili, mentre chi ha svolto ruoli di posizione autonoma può raggiungere massimo 10, chi ha svolto attività didattica nella disciplina specifica ottiene 2 punti e chi ha fatto attività scientifica 4 punti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopraesposta e se non ritenga opportuno, nei limiti delle proprie competenze e nel rispetto di quelle regionali in materia sanitaria, assumere iniziative volte ad acquisire elementi sul caso di cui in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per modificare il «decreto Balduzzi» nella parte in cui si disciplina il procedimento di nomina dei direttori di struttura complessa al fine di rendere il più trasparente possibile, tale procedura. (4-12890)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   GALGANO, BOMBASSEI e QUINTARELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   «Hacking team» è una società information technology con sede a Milano che vende servizi di intrusione offensiva e sorveglianza a Governi, organi di polizia e servizi segreti di tutto il mondo: sono stati costruiti rapporti e relazioni anche a diretto riporto del Presidente degli Stati Uniti d'America, lavorando con NSA, CIA ed FBI;
   i suoi sistemi di controllo remoto (RCS Galileo) permettono di monitorare le comunicazioni degli utenti internet, decifrare i loro file e le loro e-mail criptati, registrare le conversazioni telefoniche, Skype e altre comunicazioni Voice over IP, attivare a distanza microfoni e videocamere sui computer presi di mira, tenere sotto controllo telefoni cellulari (telefonate, rubriche, sms, spostamenti, calendari eccetera), leggere e rilevare anomalie nel modo dei social network;
   le società è stata criticata per aver fornito tali servizi a Governi scarsamente rispettosi dei diritti umani;
   sin dal 2012 gli strumenti di Hacking team sono stati associati a numerosi attacchi a dissidenti politici, giornalisti e difensori dei diritti umani, in almeno 21 Paesi;
   Hacking team dichiara di essere in grado di disabilitare i software distribuiti in caso di uso non etico, tuttavia la società, posta dinanzi a prove stringenti che dimostravano l'utilizzo dei suoi strumenti da parte dei Governi accusati di sistematiche violazioni dei diritti umani, ha sostanzialmente deciso di non confermare o negare le accuse;
   secondo il report pubblicato da «Privacy international» del febbraio 2016, Hacking team avrebbe venduto sofisticati strumenti di controllo remoto alla Technical Research Department (TRD), un'unità segreta legata al servizio generale di intelligence egiziano;
   in tale report Hacking team sostiene di avere l'autorizzazione delle autorità italiane alle vendite in Egitto;
   per prodotti «dual use» si intendono quei beni, anche a carattere immateriale (quali il software e le tecnologie), suscettibili di essere utilizzati per fini sia civili che militari;
   l'esportazione dei beni e delle tecnologie duali è disciplinata da una varietà di norme, criteri e procedure e tecnologie a duplice uso che figurano nell'allegato I;
   rileva in particolare il regolamento (CE) n. 428/2009, successivamente modificato dal regolamento (UE) n. 338/2012, il quale istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso che figurano nell'allegato I;
   in Italia le disposizioni del regolamento (CE) n. 428/2009 sono state recepite con il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 96, recante «Attuazione di talune disposizioni del regolamento n. 1334/2000/CE che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso, nonché dell'assistenza tecnica destinata a fini militari, a norma dell'articolo 50 della legge 1o marzo 2002, n. 39»;
   essendo prodotti e tecnologie ad elevato valore strategico sono assoggettati ad alcuni accorgimenti relativi al loro trasferimento internazionale;
   tali accorgimenti, di fatto, si traducono nel rilascio di un'apposita autorizzazione preventiva (la quale può essere di diverso tipo, ad esempio specifica-individuale, globale-individuale o nazionale-generale) per la loro esportazione e nell'adozione di una serie di procedure particolarmente restrittive della loro circolazione (ad esempio tenuta di dettagliati registri commerciali o di una documentazione dettagliata delle loro esportazione conformemente al diritto nazionale o secondo la prassi in vigore nel rispettivo Stato membro, come fatture, manifesti, documenti di trasporto o altri documenti di spedizione);
   nell'ordinamento italiano l'autorità competente per l'esportazione dei prodotti e delle tecnologie a duplice uso è il Ministero dello sviluppo economico, Divisione IV della Direzione generale per la politica commerciale;
   secondo notizie apparse sugli organi di stampa, il 31 marzo 2016 la direzione generale per la politica commerciale internazionale (Autorità per l'esportazione beni a duplice uso), che fa capo al dicastero dello sviluppo economico, ha deciso di revocare «con decorrenza immediata», due anni prima della scadenza fissata al 30 aprile 2018, l'autorizzazione globale concessa solo dodici mesi fa all'azienda milanese Hacking Team alla commercializzazione delle Remote control system «Galileo», il sistema che consente di spiare a distanza dati e informazioni che transitano su computer e smartphone. A seguito di tale revoca l'azienda dovrà richiedere un visto per ogni singola operazione commerciale per il sistema Galileo;
   nella lista dei 46 Stati verso i quali la società italiana Hacking Team (che nel luglio scorso ha subito l'intrusione illegittima e la divulgazione di 400 gigabyte di file riservatissimi) aveva ottenuto, il 3 aprile 2015, il via libera alla commercializzazione del software figura anche l'Egitto, da due mesi teatro di un durissimo braccio di ferro con l'Italia che pretende chiarimenti sull'omicidio del giovane ricercatore friulano Giulio Regeni;
   Giulio Regeni è stato trovato morto mercoledì 3 febbraio 2016 ai margini dell'autostrada tra El Cairo e Alessandria, nella periferia della capitale egiziana, dopo che si erano perse le sue tracce dal 25 gennaio, giorno dell'anniversario della rivoluzione anti Mubarack;
   due autopsie hanno confermato che Regeni è stato brutalmente torturato;
   le circostanze della morte sono tuttora da chiarire e le versioni non coincidenti che provengono dalle autorità egiziane non fanno che indurre sospetti ed inquietudine nel nostro Paese. Si affaccia l'ipotesi dell'omicidio politico legato all'attività del giovane, che lo portava a contatto con i sindacati indipendenti egiziani ed a collaborare in Italia con il quotidiano Il Manifesto, testata giornalistica nella quale avrebbe, in periodi recenti, firmato articoli con pseudonimi, temendo per la propria incolumità;
   di particolare rilievo in merito è il lavoro che Giulio Regeni faceva da tempo come studente della Cambridge University a Oxford e, al Cairo, come dottorando dell'American University; difatti, uno degli ambiti di ricerca riguardava le «Indagini sull'uso delle piattaforme digitali e gli strumenti di mobilitazione in rete nei movimenti per il cambiamento politico in Medio Oriente, al fine di creare “sfere di dissidenza” e “nuove culture di attivismo”»;
   secondo numerose fonti giornalistiche, a determinare il sequestro e l'uccisione dello studente sarebbero stati i contatti e i numeri di cellulare presenti sul cellulare di Regeni che, oltretutto, non è mai stato ritrovato –:
   se il Ministro interrogato abbia approfondito a quale organizzazione governativa egiziana fosse destinato il software e se esistano elementi per escludere che esso sia stato usato, in qualche modo, contro Regeni, nonché se sia vero e per quali motivi sia stata revocata alla società «Hacking Team» l'autorizzazione globale alla commercializzazione. (5-08423)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento ha delegato il Governo, con la legge 7 agosto 2015, n. 124, a procedere nella riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, affrontando modifiche alle disposizioni legislative e oggi vigenti materia;
   la delega che prevede la riorganizzazione delle camere di commercio dovrebbe comportare un taglio delle sedi delle camere di commercio, e dalla riduzione delle sedi potrebbe derivare una pesante riduzione del personale tra il 15 e il 25 per cento;
   dalla riorganizzazione delle camere di commercio potrebbero essere interessati circa tremila dipendenti, e per i quali in assenza di percorso di ricollocamento il rischio del posto di lavoro potrebbe diventare un effetto reale;
   il tema della ricollocazione del personale, derivante dalla riorganizzazione delle camere di commercio va affrontato in un apposito tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico, al quale partecipino sia i rappresentanti di Unioncamere che i rappresentanti dei lavoratori, finalizzato ad evitare che migliaia di lavoratori perdano il posto di lavoro, al contempo, disperdendo un patrimonio di professionalità ed efficienza necessario nel contrasto della crisi;
   nell'ambito della riorganizzazione delle camere di commercio di cui alla delega prevista dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, figura tra l'altro un taglio dei contributi del 40 per cento per quest'anno e del 50 per cento dal 2017. In questo modo rischia di crollare l'intero sistema, atteso che il 46 per cento dei ricavi serve a pagare stipendi e a gestire gli uffici;
   la riduzione delle sedi delle camere di commercio che si risolvesse in ulteriore riduzioni di personale aggraverebbe la questione occupazionale dei lavoratori tenuto conto delle riduzioni di personale nella misura del 12 per cento, già intervenute negli ultimi anni;
   a parere degli interroganti è prioritario salvaguardare i posti di lavoro messi in pericolo dalla riorganizzazione delle camere di commercio, in quanto in questo modo si eviterebbe anche la dispersione di un qualificato patrimonio di professionalità ed efficienza, base necessaria per un efficace contrasto della crisi economica che ancora fa sentire i suoi effetti nei settori produttivi –:
   quali iniziative intenda avviare e in quali tempi per avviare un tavolo istituzionale, che veda la partecipazione di Unioncamere e dei sindacati dei lavoratori e che abbia come compito preciso l'individuazione di un percorso di ricollocazione dei lavoratori interessati dalla riforma delle camere di commercio, attraverso il quale evitare il rischio, per tremila lavoratori in possesso di uno straordinario patrimonio di professionalità, della messa in mobilità e della perdita del posto di lavoro. (5-08424)


   DELLA VALLE, VALLASCAS, CRIPPA, FANTINATI, DA VILLA e CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015 (legge stabilità 2016) consente di protrarre la durata delle concessioni per l'estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine dalla costa «per la durata di vita utile del giacimento»;
   la legge in materia prevedeva che le concessioni di coltivazione avessero una durata trentennale (prorogabile attraverso apposita richiesta per periodi di ulteriori 5 o 10 anni) e i permessi di ricerca una durata di 6 anni (con massimo due proroghe consentite di 3 anni ciascuna);
   la norma promessa dal Governo, a giudizio degli interroganti, potrebbe essere illegittima, in quanto prevedendo una durata a tempo indeterminato delle concessioni violerebbe le regole sulla libera concorrenza;
   la previsione di legge, in altri termini, si pone in contrasto con il diritto dell'Unione europea e, segnatamente, con la Convenzione di Aarhus e la direttiva 94/22/CE relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi (recepita dall'Italia con decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625); proprio quest'ultima, al fine di realizzare taluni obiettivi, tra cui il rafforzamento della competitività economica e la garanzia dell'accesso non discriminatorio alle attività di prospezione, di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi e al loro esercizio, secondo modalità che favoriscono una maggiore concorrenza nel settore, prescrive che «la durata dell'autorizzazione non superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa stata concessa» e che solo in via eccezionale (e non in via generale e a tempo indeterminato) il legislatore statale possa prevedere proroghe della durata dei titoli abilitativi, «se la durata stabilita non è sufficiente per completare l'attività in questione e se l'attività stata condotta conformemente all'autorizzazione»;
   d'altra parte, la vicenda è simile al caso dell'applicazione della «direttiva Bolkestein», in relazione alle proroghe delle concessioni balneari (sulla quale la Corte di giustizia si pronuncerà a breve);
   indipendentemente da una procedura di infrazione che l'Unione europea potrebbe aprire nei confronti dell'Italia, qualora la norma sulla durata delle concessioni arrivasse sul tavolo della Corte costituzionale, questa ne potrebbe dichiarare l'illegittimità costituzionale per violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione. Se ciò accadesse, le concessioni tornerebbero di nuovo a scadere secondo la data originariamente prevista, proprio come si è proposto con il referendum del 17 aprile 2016 –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, condivida quanto espresso in premessa e se ritenga di adottare ulteriori iniziative al fine di evitare un'eventuale procedura di infrazione da parte dell'Unione europea o una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale.
(5-08425)


   BENAMATI, BASSO, GIACOBBE, CAROCCI, TULLO e VAZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Piaggio Aerospace è un gruppo aeronautico attivo nella progettazione, costruzione e supporto di velivoli per aviazione d'affari e da pattugliamento, di sistemi a pilotaggio remoto e di motori aeronautici ad alta tecnologia, operante sia in ambito civile sia in ambito difesa e sicurezza;
   Piaggio Aerospace, fondata nel 1884 a Genova Sestri Ponente è passata dalla produzione di materiale ferroviario degli albori alla costruzione e progettazione di aerei di ultima generazione, rappresentando oggi una delle più importanti realtà italiane nel settore delle costruzioni aeronautiche e un tassello fondamentale del tessuto produttivo ligure nazionale;
   nel 1998 sono cambiati gli asset del Gruppo che sono passati dalla famiglia Piaggio ad un gruppo di imprenditori; successivamente acquistano capitale azionario la Mubadala Development, società di investimenti di Abu Dhabi (2006) e la Tata Limited, società britannica dei gruppo Tata Group (2009);
   nel 2013 Mubadala Development Company ha partecipato a un aumento di capitale, incrementando il patrimonio netto a sostegno di un piano industriale incentrato sullo sviluppo delle attività core esistenti e sull'introduzione di nuovi programmi, arrivando a detenere il 100 per cento del capitale sociale di Piaggio Aerospace;
   già il 15 aprile 2015, come segnalato nelle interrogazioni a risposta in Commissione Giacobbe e altri n. 5-07588, e Basso e altri n. 5-07915, le rappresentanze sindacali unitarie degli stabilimenti di Villanova e Sestri Ponente, unitamente alle segreterie provinciali, erano state ricevute dal prefetto di Genova, per avere risposte alle preoccupazioni derivanti da un articolo di stampa che riportava notizie su documenti riguardanti il piano industriale della società che gettavano ombre sull'accordo siglato al Ministero dello sviluppo economico, relativamente al sito di Sestri Ponente; il prefetto ha fornito rassicurazioni evidenziato che durante un incontro tra l'amministratore delegato della Piaggio, il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro della difesa in data 14 aprile 2015 erano state fornite garanzie da Piaggio Aerospace sulla validità e sulla prosecuzione degli impegni siglati al Ministero;
   il 29 settembre 2015, presso lo stabilimento di Villanova D'Albenga, è stato fornito ai sindacati un documento ufficiale da Piaggio Aerospace in cui si garantiva che ricavi e utile erano in netto miglioramento; il quadro che allora si presentava era il seguente: raggiungimento degli obiettivi del 2015 era fortemente legato alla capacità di mantenere i livelli di produzione degli ultimi 3 mesi, con particolare riferimento alla business unit velivoli e motori; le criticità industriali legate al Ramp UP produttivo avrebbero potuto comportare lo slittamento di premio di ricavi al 2016; anche nello scenario peggiore, il 2015 si sarebbe dovuto chiudere con un livello di ricavi superiore al piano industriale;
   successivamente a quell'incontro i sindacati hanno più volte segnalato, a differenza di quanto documentato dall'azienda, difficoltà di cassa e la mancanza della riorganizzazione delle attività velivolistiche al fine di ottemperare ai contenuti dell'accordo siglato in sede ministeriale e poter dare risposte convincenti ai lavoratori attualmente in cassa integrazione come eccedenze strutturali Piaggio o in attesa di chiamata da LaerH;
   con le interrogazioni n. 5-07588 del 1o febbraio 2016 e n. 5-07915 del 25 febbraio 2016 era stato chiesto al Governo di sapere quali azioni intendesse adottare per garantire il mantenimento da parte dell'azienda degli impegni presi con le istituzioni e le organizzazioni sindacali, considerato il livello strategico delle attività svolte da Piaggio Aerospace per cui la Presidenza del Consiglio dei ministri ha già in passato (29 aprite 2014) esercitato i poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale (ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56), e in considerazione delle risorse fin qui messe in campo dallo Stato sia in termini di contributi alle aziende aeronautiche (legge n. 808 del 1985) sia in termini di ammortizzatori sociali;
   il 24 febbraio 2016, durante l'incontro urgente convocato presso l'Unione Industriali di Savona l'azienda ha chiesto di allargare l'utilizzo della cassa integrazione, con la contrarierà delle parti sociali, poiché in contrasto con i carichi di lavoro 2016 prospettati verbalmente dall'azienda;
   nell'incontro presso il Ministero dello sviluppo economico del 23 marzo 2016:
    l'azienda ha dato atto al Governo di avere accreditato spettanze dovute ai sensi della legge n. 237 per 9,2 milioni di euro;
    il Ministero dello sviluppo economico ha dichiarato che sono stati emessi mandati per pagamento di 5,6 milioni di euro ai sensi della legge n. 808 e che tutti i crediti esigibili riferiti a tale casuale sono stati saldati;
    le organizzazioni sindacali hanno lamentato il fatto che l'azienda non si impegnasse a far ripartire tutte le produzioni intervenendo con proprie risorse; e che l'azienda unilateralmente avesse aumentato l'utilizzo della cassa integrazione, contrariamente agli impegni del 12 febbraio 2016 con modalità che mettono a rischio la continuità di tutte le produzioni;
    in particolare, è stata messa in risalto la mancanza di chiarimenti sulle intenzioni dell'investitore anche in merito alla ricapitalizzazione, sull'esistenza di un nuovo piano industriale, sulle varie opzioni presenti tra società, Governo e altri soggetti industriali in merito al futuro dell'azienda;
   con una nota del 7 aprile 2016 le organizzazioni sindacali hanno ulteriormente denunciato l'inaffidabilità di relazioni industriali con il management Piaggio Aerospace, e chiesto l'intervento, eventualmente anche con l'esercizio dei poteri speciali derivati dalla golden power, da parte del Governo poiché:
    a) l'azienda dichiarava in sede di Ministero dello sviluppo economico di non aver modificato il piano industriale finora condiviso, e tuttavia non è stato approvato il budget 2016 e gli investimenti sono spesi sull'area velivoli, settore difesa;
    b) a seguito dell'erogazione di 9,2 milioni di euro per crediti pregressi sulla legge n. 237, l'azienda era stata invitata dal Ministero dello sviluppo economico a far ripartire tutti i programmi aziendali, anche con finanziamenti propri: invece 494 lavoratori hanno ricevuto la lettera di cassa integrazione;
    c) il blocco o il rallentamento di importanti fasi della produzione produce inconvenienti a danno dei clienti, a partire dall'Amministrazione della difesa e desta preoccupazioni nei lavoratori e nelle comunità territoriali;
    d) tali comportamenti ingenerano la preoccupazione che l'azienda, in assenza di investimenti e del pagamento dei fornitori, che consenta l'approvvigionamento del necessario per la continuità delle produzioni, non consideri più di interesse strategico le attività della divisione motori, rischiando di pregiudicare questo business e le professionalità maturate in questo ambito;
    e) anche il rallentamento delle attività velivolistiche del settore civile contrasta con gli accordi assunti;
    f) all'interno dell'azienda si percepisce nettamente il divario tra le aree aziendali dedicate alla produzione del P1HH, nelle quali si continuano ad acquisire personale e consulenze, ed altre nelle quali la produzione è ferma o rallentata pur in presenza di commesse. I rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico, nell'incontro del 23 marzo 2016, avevano invitato l'azienda a proseguire su tutte le attività, dopo aver erogato una prima tranche di crediti arretrati e a non utilizzare la cassa integrazione;
   nel corso degli incontri sindacali con l'azienda e il Ministero dello sviluppo economico è emersa l'esistenza di un interessamento di Finmeccanica e di un iter di verifica da parte della stessa su una parte delle attività aziendali;
   il P1HH sta completando le prove sperimentali in Italia, nella base militare di Trapani, e risulta che avrà l'autorizzazione da parte del Governo per un imminente trasferimento negli Emirati e considerando la situazione di incertezza e di preoccupazione presente tra i lavoratori e nei territori liguri sedi degli stabilimenti, le rappresentanze dei lavoratori hanno avanzato la richiesta al Governo, in attesa di chiarimenti sulle intenzioni della proprietà e sulle reali prospettive dell'azienda, che si congelino le azioni di trasferimento del P1HH verso basi non italiane;
   il 15 aprile 2016, presso il comune di Villanova D'Albenga, i sindaci del territorio savonese, consiglieri e parlamentari liguri si sono incontrati con i rappresentati dei lavoratori della Piaggio Aero, rappresentanze sindacali unitarie e organizzazioni sindacali di Savona e Genova condividendo una valutazione preoccupata sulla situazione di incertezza presente, per il mancato rispetto degli accordi del giugno 2014 da parte dell'Azienda, per l'estensione dell'utilizzo della cassa integrazione, per la difficile situazione finanziaria, per la mancata conferma delle previsioni del piano industriale evidenziando come, nel frattempo, l'interessamento e le verifiche in corso da parte di Finmeccanica prefigurano un quadro nuovo, di cui non si conoscono i possibili sviluppi;
   si rende necessario quindi che l'azienda mantenga gli impegni presi con le istituzioni e le organizzazioni sindacali, considerato il livello strategico delle attività svolte da Piaggio Aerospace per cui la Presidenza del Consiglio dei ministri ha già in passato (29 aprile 2014) esercitato i poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale (ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56), e in considerazione delle risorse fin qui messe in campo dallo Stato sia in termini di contributi alle aziende aeronautiche (legge n. 808 del 1925) sia in termini di ammortizzatori sociali;
   è necessario altresì che lo Stato confermi la volontà di investire ancora sullo sviluppo del P1HH, ma a fronte di un impegno vero della proprietà, nel quadro di un solido progetto di livello internazionale;
   va garantita anche l'integrità dell'azienda, nei diversi ambiti territoriali ed industriali (velivoli, service, produzione e revisione motori), integrità che riveste carattere strategico sul piano industriale e della presenza nei siti liguri: un vincolo che deve permanere anche per altri soggetti che dovessero intervenire nella compagine azionaria di Piaggio AeroSpace;
   l'azienda dovrebbe rivedere inoltre il programma di estensione della cassa integrazione, per ridare funzionalità e continuità a tutti gli ambiti produttivi ed in particolare alla divisione motori;
   è necessario, infine, che il Governo dia conferma della prosecuzione della copertura degli ammortizzatori sociali per gli esuberi identificati negli accordi del 2014 e degli impegni per la ricollocazione dei lavoratori interessati –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per garantire che l'azienda mantenga gli impegni presi con le istituzioni e con le organizzazioni sindacali anche in considerazione delle risorse fin qui messe in campo dallo Stato sia in termini di contributi alle aziende aeronautiche (legge n. 808 del 1985) sia in termini di ammortizzatori sociali. (5-08426)


   POLIDORI e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale normativa in merito all'apertura di nuovi insediamenti commerciali di piccola, media e grande distribuzione organizzata (GDO) permettendo la nascita indiscriminata di queste strutture sui territori, sta provocando in alcune zone d'Italia degli squilibri e delle anomalie nel tessuto commerciale nazionale che, in molti casi, sta portando alla desertificazione commerciale dei centri storici. Una conferma in tal senso, ad esempio, si ricava dalle elaborazioni dell'Ufficio studi della Confcommercio Chieti sui dati forniti dall'Osservatorio nazionale sul commercio del Ministero dello sviluppo economico (MISE), dal Cresa Abruzzo e dalla Camera di commercio di Chieti;
   il rapporto tra superficie adibita alle vendite e numero di abitanti, nel quinquennio 2010/2014, è infatti aumentato da 33 (metri quadrati/100 abitanti), registrato nel 2010, a 49,5 nel 2014. Tale incremento risulta decisamente superiore rispetto alla media nazionale (da 35,3 a 37,2) ed appare in controtendenza rispetto a quello registrato in una città come Milano (da 43,6 a 43,1), dove a fronte di una significativa presenza della GDO, la superficie di vendita complessiva in rapporto al numero degli abitanti è, sia pur di poco, diminuita. L'anomalia dell'incremento è inoltre confermata dall'analisi dei dati relativi alla superficie complessiva degli GDO che a Chieti è aumentata di 65.856 metri quadrati, dato in valore assoluto assai vicino a quello registrato a Milano (72.490 metri quadrati), nonostante l'evidente differenza territoriale e demografica dei due centri;
   in particolare, nel quinquennio 2010/2014, su 41 nuovi punti vendita della GDO nell'intera regione Abruzzo, ben 29 (circa 3 quarti) sono stati aperti nella sola provincia di Chieti, dove a seguito di un deciso aumento della concentrazione della GDO è possibile riscontrare un evidente calo degli esercizi commerciali tradizionali;
   un trend analogo è riscontrabile anche sul piano dell'andamento occupazionale, considerato che in base ai dati relativi al commercio all'ingrosso e al dettaglio, nel quadriennio 2010-2013 si è registrato un calo degli occupati in tali comparti nella regione Abruzzo (non sono disponibili dati su scala territoriale inferiore) pari al 3 per cento che, scomposto, corrisponde ad una variazione del 5,3 per cento tra gli indipendenti a fronte di un calo pari a 0,5 per cento tra i lavoratori dipendenti;
   da una comparazione di tali dati emerge chiaramente che quelli relativi all'Abruzzo risultano molto più elevati sia rispetto alla media nazionale (circa il doppio), che rispetto ad una regione molto significativa sotto il profilo occupazionale quale la Lombardia, evidenziando al contempo come gran parte del calo occupazionale riscontrato sia imputabile al commercio tradizionale, cioè tra gli «indipendenti», piuttosto che alla distribuzione organizzata, che esprime principalmente lavoratori dipendenti;
   da qui ne deriva che l'attuale livello di liberalizzazione sta generando una concorrenza distruttiva dei piccoli negozi, cioè una concorrenza che produce effetti patologici sul tessuto produttivo, in contrasto con lo stesso spirito dei provvedimenti (quello di garantire un pluralismo distributivo efficace dentro un mercato concorrenziale, governato da regole ragionevoli);
   il rapporto evidenziava, inoltre, che le chiusure dei piccoli negozi e la conseguente desertificazione potenziale che minaccia le città italiane non dipendono solo dalla lunga crisi economica dalla quale l'Italia non è ancora pienamente uscita, ma dipendono anche dalla competizione estrema esercitata dalla grande distribuzione: i risultati ottenuti confermano, infatti, che con il passar del tempo e con l'approfondirsi della concorrenza, ormai priva di regole, la dinamica delle vendite presso la grande distribuzione è responsabile di una quota crescente di chiusure di piccoli negozi, con la conseguente progressiva riduzione del tessuto produttivo, infrastrutturale e sociale nelle città italiane, di qualsiasi ampiezza. Inoltre, la riduzione dei negozi di prossimità, distrugge le esternalità positive derivanti dall'attività commerciale relazionale, con un impatto negativo sul benessere della collettività (a parità di altre condizioni);
   conseguentemente il fenomeno di desertificazione commerciale dei centri storici sta determinando la morte di interi pezzi di territorio, con effetti negativi sul piano della coesione e sociale, della legalità e della sicurezza. Laddove c’è una attività commerciale, turistica o di servizi, si creano, infatti, le condizioni di vitalità e qualità dei territori, si realizzano più facilmente opportunità di sviluppo per i rapporti sociali e culturali, si limita il degrado stimolando al tempo stesso la riqualificazione urbana, lo sviluppo, la legalità;
   in nome della tutela della concorrenza si è invece finito con il favorire ed accrescere la competitività e l'aggressività di alcune imprese a danno di altre, normalmente quelle di più radicata presenza nei mercati locali, le uniche in grado di garantire che il reddito prodotto sia reinvestito nei territori di appartenenza;
   pertanto, a giudizio degli interroganti, la tutela del commercio tradizionale di prossimità non deve essere intesa come un ostacolo alla concorrenza, ma come una garanzia storica dei territori, considerato che le attività tradizionali contribuiscono in maniera fondamentale a formare quella fitta trama di relazioni sociali che animano la vita delle città, dei paesi e dei borghi storici che caratterizzano l'Italia;
   va considerato che, sottraendo alle a amministrazioni locali la possibilità di esprimere una regolazione in questi ambiti, si rischia di produrre un andamento disordinato dell'economia territoriale ed è conseguentemente preferibile puntare ad uno sviluppo equilibrato di tutte le forme distributive che rispondono alle esigenze di differenti strati della popolazione piuttosto che rimanere ancorati alla visione che ha ispirato i provvedimenti in vigore secondo cui lo sviluppo del commercio al dettaglio sarebbe legato esclusivamente a fattori quali l'apertura dei mercati e la rimozione di tutti i vincoli esistenti (di fatto, una sostanziale deregulation) –:
   se il Governo non ritenga che debba essere restituito ai territori, sui quali insistono le attività economiche, quel minimo di competenza normativa necessaria a vigilare su una maggior «correttezza» del mercato, regolando non solo gli aspetti prettamente «economici» ma anche i «fattori di contesto» quali le interazioni tra imprese e consumatori, la sicurezza urbana, l'impatto ambientale e altro, superando i tradizionali modelli di distribuzione, assecondando le istanze di alcuni tra i principali operatori di mercato e assicurando la presenza di alternative d'acquisto che si traducano nel cosiddetto «pluralismo» dell'offerta commerciale.
(5-08427)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'8 febbraio 2016 ha preso avvio in Emilia-Romagna il piano di Poste Italiane di consegnare la posta a domicilio per giorni alterni;
   secondo notizie di stampa di questi giorni nei magazzini di Poste, delle principali città della regione Emilia Romagna, giacerebbero quintali di corrispondenza non consegnata, con evidenti disagi per cittadini. Le situazioni più critiche si registrano a Parma e Piacenza con oltre 50 quintali di corrispondenza in giacenza, ma il problema è omogeneo su tutto il territorio regionale;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato il piano industriale di Poste Italiane per il 2015-2019, definendo i criteri che devono essere rispettati per individuare i comuni interessati dalla misura, in virtù delle particolari circostanze, anche di natura geografica, che caratterizzano l'ambito del recapito postale sul territorio italiano. L'attuazione del recapito a giorni alterni (secondo lo schema bisettimanale, lunedì-mercoledì-venerdì e martedì-giovedì) si sta attuando in tre fasi successive, di cui le prime due già avviate rispettivamente il 1o ottobre 2015, il 1o aprile 2016 e la terza non prima del mese di febbraio 2017. La prima fase ha coinvolto una ristretta fascia di popolazione (pari allo 0,6 per cento), fino a raggiungere il 25 per cento della popolazione nazionale nella fase conclusiva. Dopo la prima fase, nel caso in cui si verifichino criticità, l'Autorità ha il potere di intervenire inibendo l'ulteriore prosecuzione del recapito a giorni alterni o stabilendo particolari condizioni volte a salvaguardare la regolarità del servizio o la realizzazione degli obiettivi previsti di contenimento dei costi;
   la Commissione europea ha inviato una lettera all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni definendo il diritto alla comunicazione tra cittadini un obbligo, al quale Poste può venir meno solo «in circostanze o situazioni geografiche eccezionali»;
   Poste italiane riceve da tempo un contributo dallo Stato per coprire parte dei costi del servizio universale;
   le nuove tecnologie non sopperiscono al disagio recato dall'applicazione di tale piano e ad un diritto di comunicazione postale per cittadini ed imprese che sta via via peggiorando;
   la legittima esigenza di riorganizzazione, non deve e non può inficiare l'affidabilità e la competitività dell'azienda, con il rischio di perdere considerevoli quote di mercato a vantaggio di altri competitor e a discapito della collettività e degli stessi lavoratori di Poste Italiane –:
   se non ritenga opportuno fornire dettagliati elementi in merito all'applicazione di tale piano e, per quanto di competenza, intervenire per continuare a garantire il servizio postale universale, in particolare nelle zone del Paese già svantaggiate, e per risolvere una situazione penalizzante e incoerente rispetto agli obiettivi del pubblico servizio. (5-08415)


   ROSTELLATO, NARDUOLO, ZAN, NACCARATO, MORETTO e CAMANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno dell'abusivismo e della concorrenza sleale nel settore dell'acconciatura e dell'estetica ha assunto nel nostro Paese dimensioni molto preoccupanti con danni evidenti per la categoria, per i consumatori e per tutta la collettività;
   in passato l'attività abusiva nel settore del benessere era, in primis marginale, in secondo luogo ad appannaggio esclusivo di qualche dipendente/pensionato che per arrotondare lo stipendio svolgeva il lavoro a domicilio. Oggi purtroppo, con una crisi in atto assai pesante, i soggetti che operano senza requisiti e sconosciuti al fisco, sono aumentati vertiginosamente;
   spesso sono ex acconciatori o estetiste che cessano l'attività regolare e continuano a operare abusivamente, allestendo veri d propri negozi in casa o girando con la valigetta, oppure sono dipendenti di saloni che, dopo l'orario lavorativo, eseguono le prestazioni nelle case dei clienti. Diversi, ma altrettanto gravi, sono i fenomeni dei centri gestiti da cittadini di nazionalità cinese che dietro prezzi irrisori, nascondono tutta una serie di irregolarità che devono essere sanzionate e di alcuni centri estetici che si potrebbero definire a luci rosse, che compromettono gravemente l'immagine dell'intera categoria delle estetiste;
   un'indagine fatta da CNA rivela che gli abusivi sono circa un terzo degli operatori sul territorio. L'abusivismo non danneggia soltanto le imprese regolari, ma ha anche un effetto devastante sulla comunità nel suo complesso in termini di «costi sociali». Basti pensare all'ammontare delle tasse non pagate, dei contributi non versati e all'impatto che l'abusivismo ha sui servizi sociali, di cui magari l'abusivo stesso usufruisce a piene mani, perché risultante disoccupato;
   purtroppo, occorre segnalare che vi è ancora poca consapevolezza da parte dei consumatori, del rischio che corrono in termini di danno per la propria salute, quando si affidano a operatori non qualificati (che non hanno l'abilitazione richiesta dalla legge) che non rispettano i requisiti igienico-sanitari e che non sono in grado di offrire garanzie sotto il profilo dei prodotti e delle attrezzature utilizzate;
   è necessario garantire operatori qualificati, rispetto delle norme di igiene e sanità pubblica, aggiornamento continuo sull'uso delle apparecchiature a uso estetico e sull'utilizzo di prodotti cosmetici a norma;
   per contrastare questo comportamento che, nonostante tutte le possibili giustificazioni, genera concorrenza sleale nei confronti delle imprese che operano nella legalità, la CNA sull'intero territorio nazionale ha avviato indagini sul fenomeno e campagne di pubblica sensibilizzazione, rivolte a informare il mercato sui possibili rischi nell'usufruire di servizi offerti abusivamente. CNA ha firmato protocolli d'intesa con sindaci, prefetti, comandi dei carabinieri, guardia di finanza ed enti di vigilanza, si è fatta portatrice di diverse denunce di attività abusive;
   dopo anni di sforzi e di operazioni sinergiche, il fenomeno continua a espandersi. È chiaro che quanto fatto non basta a debellare il fenomeno che necessita assolutamente di un intervento normativo ad hoc a tutela del settore –:
   se il Governo sia al corrente della gravità della situazione espressa in premessa e se non ritenga opportuno adoperarsi, per quanto di competenza, al fine di ridurre l'abusivismo assumendo iniziative, anche normative, per:
    a) ottenere la piena tracciabilità delle merci in modo che i prodotti e le attrezzature professionali siano venduti solo alle imprese e non ai privati e che nelle fiere di settore per professionisti sia vietata la vendita indiscriminata a chi non è in possesso di partita iva o dell'iscrizione alla camera di commercio;
    b) sensibilizzare la clientela a non rivolgersi a operatori abusivi richiamando i rischi cui si va incontro, con particolar riguardo al mancato rispetto delle norme igienico/sanitarie a danno della salute e alla concorrenza sleale nei confronti di chi svolge la propria attività nel rispetto delle regole fiscali, di sicurezza nei luoghi di lavoro e in materia di requisiti igienico-sanitari;
    c) incentivare, anche attraverso il sostegno delle associazioni a tutela della categoria, la creazione di punti di raccolta delle segnalazioni che saranno trasmesse successivamente alle autorità competenti (AUSL, guardia di finanza, ufficio del lavoro);
    d) incentivare l'attivazione da parte delle autorità competenti, di controlli anche in borghese, per acquisire informazioni utili alle attività di repressione dell'abusivismo;
    e) prevedere che la durata del percorso professionale dell'estetista-parrucchiera sia portato dagli attuali due anni a cinque anni di scuola media superiore come previsto per tutti gli altri istituti tecnici, al fine di ottenere il titolo di diploma di scuola superiore, oggi non previsto;
    f) inasprire le sanzioni già previste dalla legge in caso di accertata attività abusiva, al fine di disincentivare sempre più il fenomeno. (5-08420)


   ARLOTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015 l'interrogante aveva presentato un'interrogazione a risposta in commissione in cui si segnalava come fosse al vaglio dell'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la possibilità di realizzare nel nostro Paese la consegna della posta a domicilio per giorni alterni, e si chiedeva al Ministero competente di intervenire urgentemente per scongiurarne l'eventualità;
   nonostante la presentazione di tale interrogazione, e nonostante ulteriori segnalazioni e interventi effettuati, è stata avviata in febbraio 2016 una sperimentazione che coinvolge l'Emilia-Romagna, oggetto di una ulteriore interrogazione da parte del sottoscritto;
   Poste italiane (con l'avallo dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e impegnandosi ad evitare ridimensionamenti dei posti di lavoro) ha infatti scelto l'Emilia-Romagna (assieme alla Sicilia) come regione dove recapitare la posta ordinaria a giorni alterni, mentre raccomandate e pacchi veloci giungono, invece, a destinazione il giorno successivo alla spedizione;
   secondo quanto segnalato dalle organizzazioni sindacali, al di là dei prevedibili disagi iniziali, il nuovo modello si sarebbe dovuto normalizzare al massimo entro le prime due settimane, mentre si registrano al momento ancora carenze notevoli con circa 150 quintali di posta in giacenza in tutta la regione Emilia-Romagna (caso limite gli oltre 800 chilogrammi nella città turistica di Cattolica in provincia di Rimini, dove saranno progressivamente interessati dalla sperimentazione 14 comuni su 26, ovvero tutta l'alta Valmarecchia e la Valconca dove si trovano i comuni già più svantaggiati);
   i sindacati segnalano inoltre le condizioni di lavoro degli addetti al recapito a un mese dalla partenza dei primi centri di recapito (mancanza di casellari appropriati, appoggi consoni ai nuovi itinerari, sistema degli orari e altro) nonché una carenza ormai cronica di organico registrata negli uffici, dove da mesi si attende il trasferimento di unità operative dal servizio di recapito alla sportelleria;
   va ricordato che complessivamente, in base al piano reso noto nel 2015, la sperimentazione dovrà interessare in 3 tranche il 25 per cento dei comuni italiani sotto i 30 mila abitanti e sotto i 200 abitanti di densità km/q, coinvolgendo oltre 5.200 comuni su poco più di 8.000 e oltre 15 milioni di cittadini;
   è da sottolineare che, con l'adozione di questo nuovo piano da parte di Poste italiane, l'Italia, a giudizio dell'interrogante, rischierebbe una procedura d'infrazione da parte dell'Unione europea, come anticipato a Poste italiane e all'Agcom in una lettera informale del giugno 2015, il cui contenuto è stato diffuso dai media;
   anche la Federazione italiana settimanali cattolici aveva espresso la propria contrarietà all'eventuale recapito a giorni alterni dei «prodotti editoriali periodici quotidiani» ipotizzato dal documento «Consultazione pubblica sull'attuazione di un modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale» del 27 marzo 2015, in quanto senza il servizio universale (la consegna a domicilio 5 giorni su 7) vi sarebbero conseguenze pesanti sulla consegna dei quotidiani e di periodici a casa degli abbonati, con la penalizzazione dei giornali quotidiani e settimanali, spediti via posta, che basano il loro rapporto con gli abbonati sulla puntualità del recapito domiciliare;
   va ricordato infine che Poste italiane riceve da tempo un contributo dallo Stato per coprire parte dei costi del servizio universale –:
   come il Ministro interrogato ritenga che la sperimentazione avviata da Poste Italiane per la consegna della corrispondenza a giorni alterni risponda alle finalità del servizio postale universale attuali, considerati i disagi ai lavoratori e il netto abbassamento della qualità del servizio ai cittadini;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire urgentemente aprendo un confronto con Poste Italiane, per quanto di competenza, affinché sia rinviato il piano di riorganizzazione per continuare a garantire il servizio postale universale quotidianamente e per risolvere una situazione penalizzante e incoerente rispetto agli obiettivi del pubblico servizio. (5-08434)


   ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 4-quater, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, ha sancito l'applicazione della legge 9 gennaio 1991, n. 10, alle aziende di distribuzione elettrica con meno di 5.000 punti di prelievo, prevedendo per esse l'applicazione delle stesse semplificazioni previste per le aziende ubicate nelle isole minori, in considerazione del fatto che anche il territorio di confine possa rappresentare un ostacolo all'esercizio dell'attività di distribuzione elettrica;
   l'articolo 38, comma 3, del decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 93, ha abrogato il citato comma 4, dell'articolo 3, del decreto-legge n. 78 del 2009 e affidato all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (Aeeg) il compito di individuare per le imprese di distribuzione elettrica con meno di 5.000 punti di prelievo, appositi meccanismi di perequazione specifica aziendale;
   in attuazione dell'articolo 38, comma 3, del citato decreto legislativo, l'Autorità, con la delibera 24 novembre 2011, ARG/elt 168/11, ha approvato le modalità di applicazione del regime di perequazione specifica aziendale per le piccole gestioni elettriche;
   il metodo di calcolo del PSA, risentendo dell'influenza discrezionale dell'Autorità, è stato applicato in maniera diversa alle aziende ad esso sottoposte, penalizzando principalmente le gestioni elettriche minori;
   infatti, lo stesso si discosta da quanto stabilito dalla delibera Aeeg 96/04, istitutiva del regime di perequazione specifica aziendale, la quale tiene conto dell'impatto delle variabili esogene sul ricavo ammesso solo se queste sono utili a giustificare i maggiori costi sostenuti, cioè solo se le variabili esogene presentano un valore positivo e non negativo;
   le istruttorie relative al riconoscimento del regime di perequazione specifica aziendale condotte fino ad oggi dall'Autorità si sono concluse senza considerare il potenziale effetto negativo delle variabili esogene, in conformità con quanto stabilito dalla citata delibera n. 96 del 2004;
   fino ad oggi l'orientamento adottato dall'Autorità, ai sensi del comma 6.1, dell'allegato A, della deliberazione Aeeg 168/11, per l'interrogante ha danneggiato i comuni che svolgono direttamente l'attività di distribuzione dell'energia elettrica a meno di 5.000 punti di prelievo, in considerazione del fatto che gli stessi presentano valori altamente negativi della variabile esogena relativa alla dispersione dell'utenza nel territorio servito dall'impresa;
   le esigenze delle piccole aziende di distribuzione elettrica sono state recentemente accolte nel documento 499/14/EEL dell'Autorità; a tale documento, tuttavia, non ha ancora fatto seguito alcun atto di compensazione delle somme dovute per legge alle suddette aziende;
   la mancata attribuzione di tali somme costringerebbe molti piccoli comuni a dover svendere le aziende partecipate con il rischio che i nuovi soggetti subentranti garantiscano un servizio di scarsa qualità a costi più elevati;
   oltretutto, sembrerebbe che il Governo voglia mettere mano ad una riforma della disciplina per assoggettare nuovamente le piccole gestioni elettriche alla citata legge n. 10 del 1991 e conseguentemente abrogare l'attuale regime di perequazione specifica; se così fosse, le imprese elettriche correrebbero il rischio di perdere le risorse riconosciutegli per legge –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere le necessarie iniziative affinché venga data immediata attuazione alle disposizioni di cui alla delibera 499/14/EEL dell'Autorità, facendo sì che, per quanto di competenza, eventuali future modifiche normative alla disciplina non andranno ad inficiare i benefici spettanti per legge alle piccole gestioni elettriche, a garanzia del mantenimento di un elevato standard qualitativo del servizio. (5-08435)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione De Girolamo e Occhiuto n. 1-01205, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2016; deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gullo.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta D'Alia n. 4-12860, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 608 del 18 aprile 2016.

   D'ALIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo n. 446 del 1997 in materia di potestà regolamentare generale delle province e dei comuni in materia di riscossione delle entrate proprie, come modificato dalla legge n. 244 del 2007, elenca i soggetti abilitati a svolgere le attività di accertamento e riscossione:
    1) i soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53, comma 1;
    2) gli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell'Unione europea che esercitano le menzionate attività, i quali devono presentare una certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento dalla quale deve risultare la sussistenza di requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore;
    3) le società a capitale interamente pubblico, di cui all'articolo 113, comma 5, lettera c), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
    4) le società miste, iscritte nell'albo di cui all'articolo 53, comma 1, dello stesso decreto, i cui soci privati siano scelti, nel rispetto della disciplina e dei principi comunitari, tra i soggetti di cui ai numeri 1) e 2), a condizione che l'affidamento dei servizi di accertamento e di riscossione dei tributi e delle entrate avvenga sulla base di procedure ad evidenza pubblica;
   citato articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997 è norma speciale che disciplina un particolare servizio pubblico, e in quanto tale contiene disposizioni più stringenti e particolari rispetto alla norma generale dell'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   ne consegue che le società miste a capitale pubblico-privato devono necessariamente o trasformarsi a capitale interamente pubblico o provvedere all'adeguamento previsto dalla nuova normativa ossia iscriversi all'albo, anche a nome proprio, rispettare la disciplina ed i principi comunitari per la scelta dei soggetti privati che deve avvenire tra i soggetti iscritti all'albo suddetto e osservare l'esperimento di una «procedura ad evidenza pubblica» per l'affidamento del servizio;
   tali prescrizioni non appaiono rispettate da Parma Gestione Entrate spa: si tratta infatti di una società a capitale misto pubblico-privato con un capitale sociale di soli 300.000 euro; né può avere rilievo, ad avviso dell'interrogante, il fatto che il socio privato di minoranza ICA Imposte comunali e affini srl, con sede a La Spezia, sia iscritto all'albo dei riscossori;
   inoltre, avendo un capitale sociale di soli euro 300.000, Parma Gestione Entrate spa, non dispone nemmeno dei requisiti finanziari per esercitare la sua attività; l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 40 del 2010 prevede infatti che nei comuni tra 100.000 e 200.00.0 abitanti (Parma ha 190.000 abitanti), il capitale della società di riscossione debba essere di almeno 5 milioni di euro interamente versati;
   tale situazione di dubbia legittimità è stata di fatto riconosciuta in un documento giudiziario firmato dallo stesso rappresentante legale pro tempore nella veste presidente del consiglio di amministrazione di Parma Gestione Entrate spa, ing. Enrico Tosi, il quale ha affermato testualmente che: «il caso specie, società mista, come noto, è oggi disciplinato dal comma 5 lettera b) n. 4. Ad oggi, pertanto, la disciplina di riferimento prevede che la stessa sia comunque iscritta all'Albo di cui al successivo articolo 53 decreto legislativo n. 446 del 1997»;
   pertanto, Parma Gestione Entrate spa, non appare all'interrogante avere i requisiti e le condizioni di legge per essere soggetto legittimato alla riscossione delle entrate patrimoniali ed alla conseguente adozione di ingiunzioni fiscali;
    nonostante la dubbia possibilità di iscrizione all'Albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997 e la apparente mancanza dei requisiti di solvibilità di cui all'articolo 3-bis del decreto-legge n. 40 del 2010, Parma Gestione Entrate spa risulta iscritta all'Albo dei soggetti abilitati ad effettuare attività di liquidazione e accertamento dei tributi a far tempo dal 6 novembre 2015;
    in una conferenza stampa in municipio l'assessore Marco Ferretti, il presidente di PGE Enrico Tosi e l'amministratore delegato Oscar Giannoni, hanno dichiarato: «Abbiamo indetto questa conferenza è, ha esordito l'assessore è, per dissipare i dubbi dei cittadini. L'iscrizione all'albo ministeriale non è altro che una conferma dei requisiti societari di idoneità finanziaria, tecnica ed organizzativa che saranno soggetti a verifica annuale da parte del Ministero –:
   per quali motivi e in base a quale autorizzazione Parma Gestione Entrate spa, pur non rispettando, a quanto risulta all'interrogante, i requisiti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo n. 446 del 1997 e dell'articolo 3-bis del decreto-legge n. 40 del 2010, sia abilitata ad esercitare la riscossione delle entrate proprie del comune di Parma. (4-12860)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Basso n. 5-07915 del 25 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-08304 del 4 aprile 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Ciprini n. 5-08369 dell'11 aprile 2016;
   interrogazione a risposta scritta Mannino n. 4-12815 del 12 aprile 2016;
   interrogazione a risposta scritta Giglio n. 4-12835 del 13 aprile 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Piras n. 5-08399 del 13 aprile 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Duranti n. 5-08412 del 18 aprile 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Sbrollini n. 4-12610 del 23 marzo 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02209.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Mannino Claudia e altri n. 4-12405 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 585 dell'8 marzo 2016. Alla pagina 35204, seconda colonna, dalla riga diciottesima alla riga ventiduesima, deve leggersi: «pertanto, in data 13 maggio 2015, giusta nota prot. n. 5999, il gruppo consiliare ha provveduto a formalizzare richiesta di convocazione di consiglio comunale», e non come stampato.

  Interrogazione a risposta immediata in Commissione Gallinella e altri n. 5-08336 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 603 del 6 aprile 2016. Alla pagina 36303, prima colonna, dalla riga venticinquesima alla riga ventisettesima, deve leggersi: «fanno parte 28 Paesi, tra cui l'Italia che è uno dei Paesi fondatori, e rappresenta, nel complesso, il 98 per cento», e non come stampato.