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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 13 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    con l'espressione «procreazione medicalmente assistita» (PMA) la legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), si riferisce a quel fenomeno comunemente conosciuto con il nome di «fecondazione artificiale», che può essere sinteticamente definito come l'insieme delle tecniche mediche che consentono di dare luogo al concepimento di un essere umano senza la congiunzione fisica di un uomo e di una donna, operando all'interno (fecondazione artificiale intracorporea o in vitro) oppure al di fuori (fecondazione artificiale extracorporea o in vitro o, come si dice più comunemente, in provetta) delle vie genitali della donna e impiegando gameti appartenenti alla stessa coppia che si sottopone alle tecniche (fecondazione omologa) oppure provenienti in tutto o in parte da donatori esterni (fecondazione eterologa);
    secondo l'articolo 12, comma 6, «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    allo stato attuale la maternità surrogata è consentita dalla legge con modalità differenti nei seguenti Paesi: Stati Uniti, Brasile, Canada, Repubblica Ceca, Romania, Ucraina, Russia, Sudafrica, Armenia, India, Cambogia, Tailandia, Australia, mentre tra i Paesi membri dell'Unione europea la maternità surrogata a titolo gratuito è consentita con modalità legislative diverse in Danimarca, Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio e Grecia;
    tra i Paesi membri del Consiglio d'Europa, la Russia non ha ancora firmato la Convenzione di Istanbul, mentre la Romania e l'Ucraina hanno provveduto solo a firmarla;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) è entrata in vigore in Italia nel giugno 2013;
    ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 3 (Capitolo III – prevenzione) della suddetta convenzione «Tutte le misure adottate ai sensi del presente capitolo devono prendere in considerazione e soddisfare i bisogni specifici delle persone in circostanze di particolare vulnerabilità, e concentrarsi sui diritti umani di tutte le vittime»;
    ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 3 (Capitolo IV – sostegno e protezione) le Parti si accertano che le misure adottate in virtù del presente capitolo: siano basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica e si concentrino sui diritti umani e sulla sicurezza della vittima; mirino ad accrescere l'autonomia e l'indipendenza economica delle donne vittime di violenze; soddisfino i bisogni specifici delle persone vulnerabili, compresi i minori vittime di violenze e siano loro accessibili;
    secondo l'articolo 47 (Condanne pronunciate sul territorio di un'altra Parte contraente) «Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per prevedere la possibilità di prendere in considerazione, al momento della decisione relativa alla pena, le condanne definitive pronunciate da un'altra Parte contraente in relazione ai reati previsti in base alta presente Convenzione»;
    il Consiglio dell'Unione europea ha approvato il rapporto annuale «Diritti umani e democrazia nel mondo nel 2014», redatto dal servizio europeo per l'azione esterna (EEAS). Il rapporto illustra il ruolo dell'Unione nel panorama comunitario e internazionale rispetto alla promozione dei diritti umani, sottolineando i risultati raggiunti e gli ostacoli incontrati;
    in primo luogo, il rapporto sottolinea il costante impegno dell'Unione europea nel promuovere con 37 Paesi terzi e gruppi regionali dialoghi e consultazioni sul tema dei diritti umani, così come indicato nelle linee guida del giugno 2001 sulla Promozione dei diritti umani nelle azioni esterne dell'Unione europea. Lo stesso è stato fatto con la maggior parte dei 79 Paesi dall'Africa, Pacifico e Caraibi che sono parte della Convenzione di Cotonou;
    il 17 dicembre 2015, il Parlamento europeo ha discusso e approvato la risoluzione riguardo alla succitata relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia;
    nell'ambito della tutela delle donne e delle ragazze, al paragrafo 115 della risoluzione approvata, il Parlamento europeo «condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce; ritiene che la pratica della gestazione surrogata che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché i Paesi membri e non del Consiglio d'Europa firmino, ratifichino e rispettino la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e contro la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), in particolare i Governi membri rumeno, ucraino e russo, prendendo in considerazione nello specifico l'articolo 47 della suddetta convenzione;
   ad intervenire nelle sedi opportune affinché, nell'ambito del più ampio dialogo sul rispetto dei diritti umani e della tutela della donna, sia favorito, con i Paesi membri e non, un confronto riguardo alla pratica della maternità surrogata, come descritta nel citato paragrafo 115 della risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 17 dicembre 2015.
(1-01223) «Spadoni, Di Vita, Grillo, Colonnese, Lorefice, Mantero, Silvia Giordano, Baroni, D'Incà».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    uno studio del WWF raccolto in un ebook realizzato con il contributo di scienziati ed esperti rivela che quasi la metà degli impianti di trivellazione in mare nella fascia protetta, ossia all'interno delle 12 miglia dalla costa, non sono mai state sottoposte a valutazione di impatto ambientale;
    secondo i dati dello sviluppo economico sono 88 le piattaforme e strutture emerse entro le 12 miglia che fanno capo a 31 concessioni a coltivare. Di queste ben 42, ossia il 47,7 per cento delle piattaforme interessate dall'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono state costruite prima del 1986 e quindi non sono mai state sottoposte alla valutazione di impatto ambientale;
    le piattaforme in questione sono di proprietà dell'Eni o di sue controllate (26), dell'Edison (9) e Adriatica Gas (5) e si trovano sia nel mare Adriatico che nello Ionio e in Sicilia;
    nello studio si sottolinea come il 48 per cento delle piattaforme, delle strutture di appoggio e delle infrastrutturazioni ad esse connesse, abbiano un'età maggiore ai 40 anni, mentre l'età media di tutte quelle comprese nelle 12 miglia dalla costa hanno un'età media che va dai 35 ai 40 anni;
    in uno studio dell'Unione europea viene evidenziato che uno dei maggiori fattori di rischio in questo tipo di impianti è proprio l'obsolescenza;
    un altro dato emerso dalle anticipazioni emerse dal lavoro del WWF riguarda l'operatività delle piattaforme. Lo studio rivela che delle 88 piattaforme presenti nelle 12 miglia dalla costa ce ne sono 8 classificate «non operative», 31 tutte per giacimenti di gas sono classificate «non eroganti», ossia non estraggono gas. Questo significa che il 44 per cento delle piattaforme attualmente non stanno lavorando;
    il decreto legislativo n. 152 del 2006 prescrive che a termine delle attività di estrazione il concessionario debba smantellare le infrastrutture procedere al ripristino dei luoghi. In caso di inattività prolungata e in assenza di termine della durata della concessione i concessionari non si trovano nell'obbligo di procedere con questi interventi;
    la bonifica delle aree interessate dagli impianti di estrazione risulta essere quanto mai urgente se si considerati i dati rivelati da uno studio condotto da Greenpeace secondo i quali i «sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati. A seconda degli anni considerati, il 76 per cento (2012), il 73,5 per cento (2013) e il 79 per cento (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre, i limiti per almeno due sostanze nel 67 per cento degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71 per cento nel 2013 e nel 67 per cento nel 2014. Non sempre le piattaforme che presentano dati oltre le soglie confermano i livelli di contaminazione negli anni successivi, ma la percentuale di piattaforme con problemi di contaminazione ambientale è sempre costantemente elevata»;
    lo studio è stato condotto sui piani di monitoraggio, realizzati da ISPRA (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) con la committenza di ENI (sulla base di una apposita convenzione ENI-ISPRA) delle piattaforme attive in Adriatico che scaricano direttamente in mare, o iniettano/reiniettano in profondità, le acque di produzione. Si tratta di 34 impianti (33 nel 2012 e 2014) che estraggono gas, tutti di proprietà di ENI. I dati si riferiscono agli anni 2012, 2013 e 2014;
    a preoccupare sono soprattutto i valori relativi alla concentrazione dei metalli pesanti quali cromo, nichel, piombo mercurio, cadmio e arsenico, e di alcuni idrocarburi come fluorantene, benzo[b]fluorantene, benzo[k]fluorantene, benzo[a]pirene e la somma degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) a causa della frequenza con la quale superano i valori definiti dagli standard di qualità ambientale (SQA, definiti nel decreto ministeriale n. 56 del 2009 e nel decreto ministeriale n. 260 del 2010). Alcune di queste sostanze sono cancerogene e in grado di entrare nella catena alimentare dove l'uomo rappresenta l'ultimo anello;
    in talune zone d'Italia si sono registrati episodi di grave inquinamento con rischio di danno ambientale laddove le piattaforme hanno illecitamente smaltito i residui originati dalla loro attività quali acque di strato, acque di lavaggio e acque di sentina, attraverso la reimmissione di esse in sottosuolo marino;
   a tale riguardo, – come noto – il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, costituitosi parte civile nell'ambito del procedimento giudiziario per smaltimento illecito di rifiuti in corso presso la procura di Ragusa, ha recentemente chiesto un risarcimento per ingiusto profitto pari a 69 milioni di euro alla società Edison in relazione alla piattaforma petrolifera Vega A nel canale di Sicilia,

impegnano il Governo:

   ad attivarsi per avviare azioni in grado di monitorare l'operatività e lo stato di manutenzione degli impianti offshore verificando in maniera dettagliata la quantità di idrocarburi ancora presenti nei giacimenti in relazione al loro costo di estrazione e, quindi, gli anni effettivamente necessari al completo sfruttamento delle singole concessioni, considerando un ritmo di estrazione non inferiore alle effettive capacità di ogni singolo impianto;
    ad assumere iniziative, anche a livello normativo, in modo tale da garantire che le operazioni di smantellamento e di bonifica delle piattaforme, e delle strutture ad esse connesse, siano eseguite, anche prima del termine della durata della concessione, nel caso in cui gli impianti risultino non operanti e in condizioni di obsolescenza;
   a disporre accurate ispezioni e verifiche attraverso il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente (C.C.T.A.) in tutti quei siti in cui le piattaforme, nella fase di esercizio, abbiano illecitamente reimmesso nel sottosuolo acque di strato, acque di lavaggio e acque di sentina in relazione al grave rischio di danno ambientale;
   ad assumere iniziative per rafforzare gli obblighi relativi alla dismissione e alla messa in sicurezza delle piattaforme attraverso la predisposizione di un apposito documento recante una «strategia di abbandono del sito» che utilizzando le best-practices internazionali sul punto, definisca il livello di clean-up da raggiungere, nonché la prestazione di garanzie finanziarie cauzionali e preveda anche obiettivi legati al riciclo dei materiali con cui sono realizzate le istallazioni.
(7-00971) «Terzoni, Crippa, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Zolezzi, Vignaroli, Cancelleri, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Vallascas».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107, ha delegato al Governo il riordino, l'adeguamento e la semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria;
    il citato comma 181, lettera b), della legge n. 107 del 2015 disciplina in particolare un nuovo sistema per il reclutamento dei docenti nella scuola secondaria statale che prevede – previo il superamento di un concorso, al quale si accede con la laurea magistrale, o con un diploma accademico di secondo livello per le discipline artistiche e musicali coerente con la classe disciplinare del concorso – l'ammissione dei vincitori, sulla base di un contratto a tempo determinato triennale retribuito e l'inserimento in una istituzione scolastica o in una rete di istituzioni scolastiche, ad un meccanismo di formazione e apprendistato professionale. Il primo anno del triennio a tempo determinato i vincitori del concorso conseguono un diploma di specializzazione per l'insegnamento secondario, e per i successivi due anni, svolgono tirocini formativi che possono comportare anche la sostituzione di docenti assenti. A conclusione del periodo di formazione e lavoro i vincitori del concorso sono assunti a tempo indeterminato a seguito di una positiva valutazione del periodo di tirocinio;
    la disposizione ha lo scopo, nel quadro complessivo della riforma, di rendere funzionale il sistema di formazione iniziale ed accesso ai ruoli alla valorizzazione sociale e culturale della professione, disincentivando – altresì – il fenomeno del precariato;
    i principi e i criteri direttivi in base ai quali la delega relativa al reclutamento del personale docente nella scuola secondaria, indicati ai numeri da 1 a 8 della lettera b), del comma 181 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, sia pure nella loro puntualità, lasciano irrisolte, secondo il presentatore del presente atto di indirizzo, alcune questioni tra cui se e come venga rilasciata un'abilitazione all'insegnamento, come garantire la necessaria formazione pedagogico-didattica e metodologica che costituisce il fondamento della professione docente e come sia possibile realizzare una connessione tra saperi disciplinari e competenze trasversali, dato che il sistema attuale prevede non una interconnessione ma una successione lineare tra laurea magistrale e contratto retribuito a tempo determinato;
   i principi di delega prevedono che la nuova disciplina affidi i diversi momenti e percorsi formativi alle università o alle istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e alle istituzioni scolastiche statali, con una chiara distinzione dei rispettivi ruoli e competenze in un quadro di collaborazione strutturata;
    in questo quadro, la formazione iniziale dovrebbe comprendere oltre ad un titolo accademico non finalizzato anche una cultura psico-pedagogico-didattica, competenza da verificare nella fase di selezione attraverso il concorso nazionale;
    si segnala, altresì, che viene prevista la possibilità, ai sensi del punto 3.4 della lettera b), del comma 181 della suddetta legge n. 107 del 2015, per coloro che non hanno partecipato o non sono risultati vincitori nei concorsi nazionali di cui al citato numero 2, di iscriversi a proprie spese ai percorsi di specializzazione per l'insegnamento secondario di cui al numero 3,1, rischiando così di vanificare la selezione operata con il concorso stesso;
    si ritiene opportuno salvaguardare la possibilità di dare una formazione organica nel sistema universitario che coniughi «fare e sapere», ovvero le conoscenze specifiche della disciplina di insegnamento, con una cultura psico-pedagogico-didattica e che tale obiettivo può essere assicurato rafforzando le competenze dei vincitori dei concorso nel percorso di formazione in ingresso con le attività di specializzazione e formazione nel triennio a tempo determinato;
    in mancanza di una decisa azione in sede universitaria, la formazione potrebbe essere incentrata solo sulle discipline di studio con il rischio di mancare l'obiettivo di selezionare i migliori insegnati in coerenza con gli indirizzi europei, mentre occorre demandare al sistema universitario, oltre alle intrinseche responsabilità formative, anche il raccordo tra i soggetti in formazione e il mondo della scuola;
    in tale contesto si segnala, altresì, che l'8 luglio 2015 – in sede di approvazione definitiva della citata legge 13 luglio 2015, n. 107 – è stato accolto con parere favorevole l'ordine del giorno n. 9/2994-B/2, a filma della presentatrice del presente atto di indirizzo, il quale impegnava il Governo a comprendere nei requisiti per l'accesso al concorso nazionale un adeguato numero di crediti formativi relativi alle competenze antropo-psico-pedagogico-didattiche e metodologiche anche oltre il numero minimo previsto dalla legge, e una specifica verifica sulle conoscenze didattiche in sede concorsuale, a garantire nel secondo biennio di inserimento a tempo determinato una efficace integrazione tra aspetti teorici e pratici per affiancare alla sperimentazione attiva l'osservazione riflessiva attraverso una supervisione pedagogico-didattica assicurata dall'università, ad assicurare – altresì – elevati standard nazionali per la valutazione del periodo di apprendistato per quanto riguarda le competenze antropo-psico-pedagogico-didattiche e metodologiche»,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni idonea iniziativa di competenza per assicurare regolarità ai concorsi nazionali per:
    l'assunzione in considerazione dell'alto numero di docenti già abilitati all'insegnamento il cui numero è superiore ai posti messi a concorso con il decreto n. 106 del 23 febbraio 2016, a cui si dovranno aggiungere gli abilitati che hanno concluso il terzo ciclo di tirocinio formativo attivo (Tfa);
    prevedere di vincolare il conseguimento del titolo del concorso al superamento di prove di didattica, come la simulazione di lezioni, che permettano in particolare di accertare, attraverso adeguato punteggio, le capacità e le abilità dei candidati nell'insegnamento;
    consentire un rapido adeguamento degli ordinamenti universitari, specificando in particolare un limite minimo di ventiquattro crediti formativi nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e le tecnologie didattiche, «conseguibili sia come crediti curricolari che come crediti aggiuntivi» e che tali crediti vadano previsti all'interno del curricolo del corso per evitare che dopo una laurea quinquennale i candidati al concorso debbano ricorrere a una formazione extracurricolare in questi campi a loro spese;
    chiarire se e in quale punto del percorso formativo venga previsto il conseguimento di una «abilitazione»;
    prevedere nei concorsi un test psico-attitudinale che consenta di preselezionare, anche dal punto di vista della personalità dei docenti, il personale immesso nella scuola;
    assumere iniziative per ammettere ai percorsi di specializzazione a loro spese coloro che non hanno partecipato a concorsi o non sono risultati vincitori, vanificando così la selezione operata con i concorsi;
    chiarire le modalità di realizzazione dei tirocini formativi, garantendo, sia nel primo anno, finalizzato al conseguimento di un diploma di specializzazione, sia nel successivo biennio di tirocinio, i ruoli diversi ma interconnessi delle università e della scuola, assicurando altresì un reale collegamento tra formazione teorica e formazione pratica;
    prevedere, nel corso del primo anno di contratto, in particolare, una formazione attiva basata su laboratori didattici, impartita da esperti di didattiche disciplinari, evitando la riproposizione di una formazione teorica, già acquisita nei cinque anni di frequenza universitaria necessari per poter accedere al concorso;
    destinare risorse alle scuole e alle università per retribuire la supervisione e il tutoring dei docenti in formazione.
(7-00970) «Santerini».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'aeroporto di Grottaglie fu costruito, agli inizi del secolo scorso, principalmente per difendere il porto di Taranto, e durante la seconda guerra mondiale servì da base per i velivoli da guerra italiani e tedeschi; nel 1943 subì pesanti bombardamenti e nel dopoguerra fu ricostruito divenendo la base per una nuova scuola di pilotaggio. Nel 1964 divenne aeroporto civile, ma, a seguito del rapporto Lino sulla sicurezza degli aeroporti italiani, fu chiuso e successivamente riaperto nel 1985 ed adibito principalmente ad uso militare. Attualmente è utilizzato in parte dalla Marina militare, Guardia di finanza e vigili del fuoco e dal gruppo Alenia Aeronautica, che nel 2006 è divenuta partner della Boeing per la costruzione delle fusoliere e del piano di coda del nuovo Boeing 787. Per facilitare il trasporto dei materiali nel 2006 venne inaugurata la nuova pista di atterraggio, la più lunga d'Italia, e utilizzata per i voli cargo;
    il 28 ottobre 1989 all'aeroporto di Grottaglie atterrò l'aereo che trasportava l'allora Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua visita alla città di Taranto ove si fermo due giorni;
    l'aeroporto, infatti risulterebbe funzionante per i voli passeggeri, ma attualmente destinato ad uso esclusivamente cargo, destinazione che pone la società di gestione Aeroporti di Puglia al centro di numerose polemiche. Diverse associazioni cittadine, come risulta da stampa locale, sosterrebbero che la società di gestione Aeroporti di Puglia voglia impedire l'avvio dei voli passeggeri per non ostacolare il bacino di utenza degli aeroporti di Bari e Brindisi;
    negli ultimi anni sono state numerose le proposte di attivazione di voli passeggeri, tra cui quella effettuata dall'Air Italy nel maggio 2011 e dalla CityLine Swiss nel Gennaio 2014; la questione dei voli passeggeri dall'Aeroporto di Taranto-Grottaglie ha portato a diverse manifestazioni di piazza e ad una delibera del consiglio comunale di Grottaglie che impegna la società di gestione a far ripartire i voli passeggeri. Nell'aprile del 2014 anche il consiglio comunale di Statte ha approvato una identica delibera mentre nel settembre 2013 l'associazione «Taranto Futura» ha presentato una denuncia presso la procura della Repubblica di Taranto;
    inoltre, la stessa camera di commercio di Taranto e numerose associazioni del territorio jonico continuano a richiedere alla società di gestione Aeroporti di Puglia di accogliere le richieste di voli passeggeri da parte delle compagnie aeree per incentivare il rilancio dell'economia della provincia;
    è parere dell'interrogante che sia di fondamentale importanza affrontare in maniera concreta la questione delle infrastrutture, che giocano un ruolo chiave nella ripresa economica dell'area tarantina. Attualmente, infatti, le infrastrutture sono fortemente deficitarie e impediscono all'area tarantina di uscire da un isolamento internazionale attestato, che è anche la causa principale della rigidità della sua economia al ciclo economico generale;
    strade, ferrovia, porto ed aeroporto andrebbero sanati, potenziati e modernizzati. In particolare, l'aeroporto Taranto-Grottaglie è una infrastruttura che potrebbe essere utilizzata per fini commerciali e turistici, migliorando anche l'accessibilità alla regione Puglia ed alla provincia di Taranto soprattutto in vista di Matera 2019;
   a seguito dell'atto di pianificazione concernente la rete aeroportuale di interesse nazionale e le azioni di razionalizzazione ed efficientamento del settore e relativi servizi, adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in data 25 settembre 2014, è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 2015, n. 201, concernente «Regolamento recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale, a norma dell'articolo 698 del codice della navigazione» ed entrato in vigore il 2 febbraio;
    secondo tale decreto del Presidente della Repubblica sono stati identificati gli aeroporti di interesse nazionale in applicazione dei criteri fissati – dall'articolo 698 del codice della navigazione, ruolo strategico, ubicazione territoriale, dimensioni e tipologia di traffico, previsioni progetti europei TEN, e tra questi sono stati individuati, in base ai medesimi criteri di cui al citato articolo, gli aeroporti di particolare rilevanza strategica;
    tale decreto del Presidente della Repubblica individua l'aeroporto «Arlotta» di Taranto tra gli scali di interesse nazionale unitamente a quelli di Bari e Brindisi, e tra questi l'aeroporto di Bari è stato scelto quale aeroporto a rilevanza strategica;
    a penalizzare l'aeroporto di Taranto-Grottaglie in favore dell'aeroporto di Bari quale «strategico» è sicuramente stato il fatto che non siano mai stati attivati dall'ENAC voli civili,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative, per quanto di competenza, volte a valorizzare l'aeroporto Arlotta di Grottaglie attivando i voli passeggeri, in particolare in vista dell'evento Matera 2019, e a inserirlo tra gli aeroporti strategici;
   ad attivarsi al fine di rilanciare la città e la provincia di Taranto attraverso il potenziamento delle infrastrutture connesse ai trasporti, che darebbero ossigeno ad una terra devastata da atavici problemi legati all'economia, disoccupazione, microcriminalità, immigrazione, inquinamento ed emergenza sanitaria.
(7-00969) «Bruno, Labriola».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il 6 aprile 2016, il quotidiano Repubblica ha pubblicato l'intervista a Silvia Della Monica, presidente della Commissione adozioni internazionali (CAI);
   la presidente, rispondendo alla domanda della giornalista sul motivo per il quale avesse riunito la Commissione una sola volta dal 2014, anno del suo insediamento nella Commissione, ha dichiarato: «Prima di tutto perché, per lavorare, la Commissione non ha bisogno di sedute plenarie, ma soprattutto perché esiste un conflitto d'interessi. La Commissione adozioni ha il compito di tutelare e sovrintendere sull'operato degli enti autorizzati. Al mio arrivo ho trovato che all'interno della Commissione, seppure in modo indiretto, erano presenti enti che non dovrebbero invece partecipare ai lavori»;
   dalle gravi affermazioni rilasciate dalla Della Monica si evincerebbe, ad avviso degli interpellanti, che i soggetti controllati sorveglino il controllore, invertendo così i ruoli. Infatti, la stessa Della Monica ha ribadito che «Riunirà la commissione quando avrà sanato questa anomalia»;
   essa, inoltre, ha ammesso che alcuni enti che sono stati condotti con gestioni dai criteri discutibili sotto il profilo economico nonché in difformità alle norme che regolano le procedure adottive, causando gravi disagi alle coppie in attesa di risposta alla domanda di adozione. Infatti ha ulteriormente dichiarato di voler «sottoporre gli enti a vigilanza e controlli in quanto le gestioni precedenti hanno usato in modo scriteriato i fondi della Commissione. Per questo migliaia di famiglie sono rimaste senza rimborsi. Con i fondi del 2016 potremo iniziare, in parte, a sostenere di nuovo le coppie»;
   ha proseguito sostenendo che i genitori che aspirano all'adozione di un minore «devono andare avanti, avere fiducia. Però si devono affidare a un ente serio. È l'unica vera garanzia»;
   ad avviso degli interpellanti risulta letteralmente incredibile il fatto che la presidente Della Monica denunci tali fatti a un giornalista e non alla magistratura. Il fatto che, a suo avviso, esistano enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali che abbiano operato senza tenere in conto il doveroso rispetto del principio di legalità secondo gli interpellanti avrebbe dovuto indurla ad agire di conseguenza;
   in seguito alle dichiarazioni sopra riportate, fatte da un autorevolissimo componente dall'organo preposto al controllo della legalità dell'operato degli enti autorizzati dalla stessa Commissione a rilasciare l'autorizzazione necessaria per ottenere l'adozione, sono state portate nello smarrimento numerose famiglie interessate;
   le famiglie in attesa dei figli adottivi possono ragionevolmente domandarsi se gli enti a cui si sono rivolti siano affidabili o meno;
   le dichiarazioni potrebbero inoltre provocare nei figli adottati un disagio ancor maggiore di quello sofferto dalle famiglie in attesa di adozioni, potendosi domandare se essi sono stati adottati legalmente o meno;
   a fronte di quanto dichiarato nell'intervista suddetta, appare singolare agli interpellanti il fatto che l'organo di controllo riporti fatti circostanziati e, contemporaneamente, permetta di far proseguire l'operare degli enti che svolgono la propria missione in violazione della legge;
   si ricorda che la CAI è un organo collegiale, non monocratico, come previsto dalla legge istitutiva, e come tale dovrebbe rispondere del suo operato e della sua manifesta inattività nonché del fatto vigilare per ottenere trasparenza e controllo effettivo di quanto posto in essere dagli enti autorizzati –:
   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa, se essi corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere, a seguito delle gravissime dichiarazioni rilasciate dalla presidente Della Monica circa le presunte illegalità perpetrate da alcuni enti autorizzati ad operare dalla Commissione adozioni internazionali, ad iniziare dall'assunzione d'iniziative per la rimozione dall'incarico della presidente stessa, poiché dalle sue stesse affermazioni emerge il fatto che dal 2014 a oggi non ha ancora provveduto ad assumere gli opportuni provvedimenti nei confronti degli enti che hanno agito contro il dettato legislativo;
   se non ritenga necessario assumere iniziative affinché la Commissione adozioni internazionali, in quanto organo di controllo, sospenda precauzionalmente le autorizzazioni rilasciate in favore degli enti che non rispettano la legge secondo quanto detto dalla presidente, facendo sì che le famiglie possano avere garanzie sulla bontà dell'operato svolto dagli enti autorizzati dallo Stato per le procedure loro affidate al fine di ottenere le adozioni internazionali.
(2-01342) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Matarrelli».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, PESCO e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o aprile 2016, sul sito online «lavoce.info», veniva pubblicato un articolo riguardante la qualità del lavoro in Italia;
   nell'articolo si faceva riferimento ad un'indagine OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che ha permesso di delineare un quadro della qualità del lavoro in vari Paesi. Da questa indagine è risultato che l'Italia sia tra gli ultimi della classe, vicina alla media nelle remunerazioni, debole nelle condizioni dell'ambiente lavorativo e agli ultimi posti per la protezione nel mercato del lavoro;
   l'OCSE ha elaborato un quadro di analisi per misurare con indicatori oggettivi la qualità del lavoro secondo tre dimensioni quali la qualità delle remunerazioni, per misurare quanto i redditi da lavoro contribuiscano al benessere dei lavoratori considerando sia salari medi in parità di potere d'acquisto sia la loro distribuzione; la protezione nel mercato del lavoro, per misurare la probabilità di perdere il proprio posto di lavoro e nel caso ricevere un sussidio per attutire lo shock economico che ne consegue; la qualità dell'ambiente di lavoro, per misurare gli aspetti non economici, tra cui la natura e il contenuto del lavoro svolto, gli orari di lavoro e le relazioni lavorative. I risultati a cui si è giunti hanno mostrano una grande diversità tra i paesi OCSE. Considerando contemporaneamente i tre indicatori sopraindicati, i Paesi con una qualità del lavoro più elevata sono quelli scandinavi insieme a Germania, Austria, Svizzera e Australia. All'estremo opposto si trovano i Paesi dell'Est e del Sud dell'Europa, tra cui l'Italia. I fattori rilevanti di tali dati negativi per il nostro Paese sono dovuti, soprattutto, ad una scarsa protezione nel mercato del lavoro e ad una qualità non eccellente dell'ambiente lavorativo;
   più nel dettaglio, in Italia la qualità delle remunerazioni, a parità di potere d'acquisto, è vicina alla media OCSE. Nonostante salari medi inferiori, le disuguaglianze salariali sono relativamente più basse rispetto a molti altri Paesi. L'unione di questi ultimi due elementi, permette di collocare l'Italia nel gruppo intermedio, lontana dai Paesi scandinavi ma anche dai Paesi dell'Est Europa;
   per il nostro Paese, molto più debole risulta essere, invece, il livello di protezione nel mercato del lavoro. L'Italia è terzultima dopo Grecia e Spagna e allo stesso livello del Portogallo. Tale risultato è determinato da una probabilità elevata di perdere il posto di lavoro e non trovarne un altro in tempi brevi e da un sistema di sostegno al reddito per i disoccupati ancora parziale, dovuto anche al fatto che le recenti riforme non sono ancora entrate in vigore completamente. Più in generale, il risultato riflette il dualismo del mercato del lavoro italiano, cioè lo scarto che esiste tra i lavoratori con contratto a tempo indeterminato e gli altri, non solo in termini di regole per il licenziamento ma anche di coperture previdenziali più basse;
   per ciò che riguarda la qualità dell'ambiente di lavoro, l'Italia è nella parte bassa della classifica dei Paesi dell'OCSE. Quasi la metà dei lavoratori italiani risulta essere «sotto pressione», cioè esposta a ritmi elevati e, in alcuni casi, a rischi per la salute non compensati da risorse adeguate per svolgere le mansioni richieste. Oltre a Grecia e Spagna, l'Italia fa meglio solo di alcuni Paesi dell'Est Europa;
   una conferma che emerge ulteriormente dall'indagine OCSR, è che la crisi ovviamente non ha migliorato la situazione. La qualità dei salari è diminuita, il grado di protezione è peggiorato sensibilmente (l'Italia risultava essere a due terzi della classifica OCSE, nel 2007 mentre ora è terzultima), la qualità dell'ambiente di lavoro è migliorata leggermente, in parte in conseguenza del fatto che i posti di lavoro più «sotto pressione» sono andati persi, con un effetto meccanicamente positivo sulla media generale;
   viene evidenziato inoltre che la qualità del lavoro in Italia varia di molto tra i diversi gruppi socio-economici. Infatti, i giovani e i lavoratori poco qualificati sono i più esposti a una bassa qualità del lavoro. Tali lavoratori risultano averi livelli di remunerazione in generale più bassi e con più dispersione. Il rischio di disoccupazione è più elevato ed è maggiore la difficoltà di accesso ai sussidi. Per le persone poco qualificate, esiste un maggiore stress lavorativo con i giovani che, però, a differenza della media OCSE sono meno sotto pressione degli adulti e dei senior;
   i lavoratori altamente qualificati hanno invece una qualità del lavoro relativamente elevata in tutte le dimensioni. Questo dimostra che il possedere un titolo di studio giova in termini sia di maggiori che di migliori opportunità lavorative;
   le donne italiane non solo soffrono ancora di una partecipazione nel mercato del lavoro molto più bassa degli uomini e della media OCSE, ma anche la qualità dei loro lavori è scarsa. La qualità dei redditi e dell'ambiente lavorativo risultano essere inferiori a quelle degli uomini, mentre in termini di protezione nel mercato del lavoro i risultati tra donne e uomini sono simili;
   dall'indagine effettuata risulta che, solo sulla carta, le nuove norme introdotte dal Jobs act fanno fare dei passi avanti all'Italia. Il contratto a tutele crescenti con l'esonero contributivo per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e il riordino dei sussidi di disoccupazione con l'estensione ai lavoratori parasubordinati, potranno contribuire ad aumentare la protezione nel mercato del lavoro. Le norme su conciliazione vita-lavoro o quelle su maternità, congedi parentali, telelavoro e sul welfare aziendale dovrebbero aiutare a migliorare la qualità dell'ambiente lavorativo. Il problema principale rimane, però, l'effettiva attuazione di queste norme così come di quelle volte a rilanciare investimenti, produttività e quindi la crescita non solo quantitativa ma anche qualitativa dei posti di lavoro;
   a giudizio degli interroganti, i dati emersi dalla sopraindicata indagine dell'OCSE risultano essere inquietanti e mettono a nudo le incapacità del Governo che in tre anni di riforme, criticate più e più volte dagli interroganti stessi perché considerate del tutto velleitarie e sterili per una reale ripresa del Paese, non sia riuscito ad attuare una seria politica di rilancio del mondo del lavoro e della qualità dei posti di lavoro;
   nell'indagine sopraindicata, vengono rilevati aspetti che gli interroganti hanno ribadito svariate volte al Governo in fase di discussione del Jobs act in ogni opportuna sede, ossia che la legge n. 183 del 2014 non abbia assolutamente tenuto conto di uno degli aspetti fondamentali per i lavoratori: la qualità dei posti di lavoro creati e di quelli esistenti –:
   a seguito dei dati che confermano una forte diminuzione della qualità del lavoro, se e quali politiche i Ministri interrogati abbiano previsto per la ripresa della qualità del lavoro nel nostro Paese;
   se abbiano considerato di dover assumere iniziative differenti e più efficaci rispetto a quelle sinora adottate dal Governo, visto che, come dimostrato dai fatti, tali politiche non hanno portato beneficio alcuno alla qualità dei posti di lavoro;
   per quanto rilevato dall'indagine dell'OCSE indicata in premessa, se non ritengano più che lacunosa la legge n. 183 del 2014 cosiddetto Jobs act anche per gli aspetti riguardanti la qualità dei posti di lavoro e quali iniziative di competenza intendano assumere, nello specifico della legge in questione, per porre rimedio a queste problematiche. (5-08393)


   RICCIATTI, NICCHI, GREGORI, COSTANTINO, QUARANTA, PIRAS, DURANTI, MELILLA, SANNICANDRO, KRONBICHLER e FERRARA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa ha prodotto lo studio «Espad Italia» sul consumo di sostanze stupefacenti illegali (cannabis, cocaina, eroina, allucinogeni o stimolanti), esaminando circa 30 mila studenti tra i 15 e i 19 anni;
   dallo studio è emerso che circa 650 mila studenti delle scuole superiori hanno fatto uso, nell'ultimo anno, di sostanze stupefacenti, assumendo anche sostanze diverse contemporaneamente;
   a destare particolare allarme è il raddoppio, rispetto alle rilevazioni dell'anno precedente, dell'uso di eroina tra i maschi quindicenni (Repubblica.it, 11 Aprile 2016);
   lo studio precisa che in questa fascia di età si registra la prevalenza più alta dell'uso corrente dell'eroina, che si attesta come la sostanza stupefacente più comune dopo la cannabis;
   è stato rilevato, infatti, che il 2 per cento dei maschi 15enni, circa 5.000 soggetti, ha dichiarato di aver fatto uso di eroina almeno una volta nel mese precedente all'indagine;
   risulta altrettanto allarmante, inoltre, il dato dell'assunzione di sostanze ad uso iniettivo, che nel 2015 ha coinvolto circa 3.000 adolescenti della stessa età, che hanno dichiarato di aver provato sostanze di tale natura. Nello specifico gli assuntori sono maschi (l'1,4 per cento contro lo 0,6 per cento delle donne) e giovanissimi (dall'1,3 per cento dei 15enni, allo 0,9 per cento dei 19enni) (Fonte: Ansa, 8 aprile 2016);
   la tipologia di sostanze assunte varia rispetto all'area geografica di residenza degli assuntori: Sardegna ed Emilia Romagna risultano essere le regioni dove il consumo di sostanze stupefacenti è più elevato, quasi per tutte le tipologie di sostanze, con picchi per l'utilizzo di cocaina in Sardegna (4 per cento) e droghe sintetiche per l'Emilia Romagna (allucinogeni 3 per cento; stimolanti 4 per cento);
   occupano una posizione di rilievo per l'utilizzo di eroina e sostanze stimolanti Molise e Marche (Corriereadriatico.it, 8 aprile 2016) –:
   se il Governo sia a conoscenza dello studio richiamato in premessa;
   quali iniziative il Governo intenda adottare, anche alla luce di tale studio, per arginare il fenomeno dell'utilizzo di sostanze stupefacenti illegali tra gli adolescenti. (5-08395)

Interrogazioni a risposta scritta:


   AMODDIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento del 15 dicembre 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri ha diffidato comune di Augusta e la regione siciliana a realizzare le seguenti attività relative alla discarica sita in località campo sportivo di Augusta: predisporre il progetto definitivo di messa in sicurezza permanente dell'area della discarica entro 90 giorni dal ricevimento della diffida; approvare il progetto definitivo di messa in sicurezza permanente entro i successivi 30 giorni; eseguire i lavori di bonifica messa in sicurezza permanente entro i successivi 90 giorni; rilasciare, entro 30 giorni dalla sede lavori di cui sopra, il provvedimento di conclusione del procedimento ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo del 3 aprile 2006 numero 152;
   nella diffida è riportato che: la sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea del 26 aprile 2007 nella causa 135 dell'anno 2005 ha condannato la Repubblica italiana per non aver adempiuto agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE del consiglio, del 15 luglio 1975 e dell'articolo due paragrafo uno della direttiva 91/689/CEE del consiglio, del 12 dicembre 1991, dell'articolo 14, lettere da a) a c) della direttiva 1999/31/CE del consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di rifiuti; la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014 nella causa C-196/13, ha condannato la Repubblica italiana per non aver adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza nella causa C-135/05, venendo meno agli obblighi di cui all'articolo 260, paragrafo uno, TFUE;
   nella diffida è riportato che il ritardato o non totalmente completo adeguamento alla normativa vigente delle discariche oggetto della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014 da parte delle amministrazioni regionali e locali determina un grave pregiudizio degli interessi nazionali, nonché il pagamento di un ingente sanzione pecuniaria a carico della Repubblica italiana;
   nella diffida è riportato che l'accertamento dell'inadempimento da parte delle istanze regionali locali risale alla sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea del 26 aprile 2007 nella causa C-135/05;
   nella diffida è riportato che: il sito ricade all'interno del sito di interesse nazionale di Priolo Gargallo; in data 25 giugno 2015 è stato sottoscritto un accordo di programma quadro per l'attuazione del progetto di risanamento delle aree contaminate finalizzato allo sviluppo sostenibile del sito di interesse di Priolo, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del mare, l'agenzia per la coesione territoriale, il Ministero dello sviluppo economico e la regione siciliana; l'intervento è finanziato con risorse ordinarie di bilancio del Ministero dell'ambiente e tutela del territorio del mare, per un lavoro pari a euro 6.751.494,62; l'area, utilizzata come campo da gioco per attività ricreative, è caratterizzata dalla presenza di sbancamento di ceneri di pirite derivanti dalla produzione di acido solforico. L'intervento di ripristino è inserito nel piano nazionale delle bonifiche. Per quest'area è stato redatto progetto preliminare di messa in sicurezza permanente, esaminato con indicazione prescrizione nella conferenza di servizi decisorio del 5 marzo 2013;
   non è dato comprendere all'interrogante per quale motivo il comune di Augusta sia destinatario della diffida atteso che: la discarica ricade nel territorio individuato quale sito di interesse nazionale e per il quale le competenze sono attribuite dal testo unico ambientale al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; la mancata bonifica dell'area oggetto della diffida è dovuta a molteplici e risalenti nel tempo inadempimenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della regione siciliana;
   infatti: con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 31 maggio 1999 il presidente della regione siciliana è stato nominato commissario delegato per la predisposizione di un piano di interventi di emergenza nel settore della gestione dei rifiuti e l'articolo 6 della menzionata ordinanza poneva in capo al medesimo commissario le competenze relative alla messa in sicurezza bonifica delle discariche autorizzate non più attive nonché delle aree a qualsiasi titolo divenuto discariche abusive e dei siti comunque inquinati; lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 30 marzo 2009; con decreto del Ministero dell'ambiente n. 380 del 28 novembre 2006 è stato affidato ad Ispra, attraverso specifica convenzione, il compito di definire le modalità di caratterizzazione fini della bonifica dei siti di interesse nazionale; l'articolo 2 del menzionato decreto prevede che l'individuazione dei soggetti beneficiari nonché le modalità, le condizioni di termini per l'erogazione dei finanziamenti previsti dal programma di bonifica e ripristino ambientale, sono regolamentati mediante il ricorso agli accordi di programma da sottoscrivere da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali territorialmente competenti; l'articolo 6 del citato decreto prevede la possibilità per il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del mare di avvalersi, per gli interventi di propria competenza nei siti di bonifica di interesse nazionale, di enti o soggetti pubblici particolarmente qualificati, operando, per l'utilizzo delle risorse finanziarie attribuite ai siti di interessi nazionali, lo strumento dell'accordo di programma con la regione interessata;
   l'area oggetto della diffida è stata già inserita nell'accordo di programma sottoscritto nel 2008, modificato nel 2009 e nel quale erano state individuate e rese disponibili risorse finanziarie per oltre 106 milioni di euro;
   nonostante la disponibilità in capo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ed alla regione siciliana di ben 106 milioni di euro per la realizzazione delle bonifiche dell'area SIN, al 2015, risultavano spesi solo 3 milioni di euro per studi di caratterizzazione e progettazione;
   l'accordo di programma, citato nella diffida, sottoscritto in data 25 giugno 2015 è stato stipulato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del mare, dall'Agenzia per la coesione territoriale, dal Ministero dello sviluppo economico e dalla regione siciliana, senza che il comune di Augusta sia stato parte del procedimento e men che meno sottoscrittore dell'accordo di programma;
   il progetto di bonifica del sito oggetto della diffida è stato affidato ad INVITALIA Attività Produttive S.p.A. dal commissario delegato per l'emergenza bonifiche e la tutela delle acque della regione siciliana, oggi Assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità;
   non è dato comprendere in ragione di quale norma o fatto possa essere attribuita qualsivoglia responsabilità al comune di Augusta per la mancata esecuzione della bonifica della discarica sita in località campo sportivo di Augusta;
   al contrario il comune di Augusta e la collettività che rappresenta sono soggetti lesi dagli inadempimenti decennali dell'amministrazione statale e regionale;
   per ultimo, secondo quanto riportato nel comunicato stampa di Legambiente di Augusta con nota del 1o aprile 2016 il Ministero dell'economia e delle finanze sembrerebbe avere avviato nei confronti del comune di Augusta per la mancata bonifica sia del campo sportivo contaminato dalle ceneri di pirite e addirittura anche per i fondali del porto di Augusta la rivalsa per circa 800.000 euro per la quota parte di infrazione;
   l'interrogante ha presentato già dal 2013 diverse interrogazioni aventi ad oggetto le bonifiche dell'area SIN di Priolo Gargallo invitando il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ad eseguire le bonifiche e comunque a esercitare i poteri sostitutivi nei confronti della regione siciliana soggetto attuatore degli interventi di bonifica;
   in nessuna delle risposte alle interrogazioni è mai stato riportato che le mancate bonifiche siano addebitabili a ritardi dell'amministrazione comunale;
   gli atti posti in essere per ultimo (diffida) dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e (rivalsa) dal Ministro dell'economia e delle finanze oltre ad essere ingiusti risultano lesivi della collettività augustana –:
   quali siano, alla luce di quanto esposto in premessa, le ragioni dell'atto di rivalsa inviato dal Ministero dell'economia e delle finanze al comune di Augusta;
   se il Governo intenda prendere atto dell'assenza di responsabilità del comune di Augusta in relazione alla bonifica della discarica sita in località campo sportivo di Augusta;
   se si intenda ritirare l'atto di rivalsa nei confronti del comune di Augusta.
(4-12833)


   MARZANO, MAZZOLI, MATTIELLO, MARCHETTI, TENTORI, TERROSI, MALPEZZI e ROCCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'atleta Nicoleta Stefanova campionessa italiana della disciplina di tennis tavolo, e unica atleta azzurra ad aver conquistato 11 titoli nazionali di singolo, è stata recentemente esclusa dalla Federazione Italiana Tennis Tavolo (FITET) dalla selezione delle atlete che prenderanno parte ai prossimi Giochi Olimpici di Rio de Janeiro in agosto;
   Nicoleta Stefanova, a meno di un anno dalla nascita della sua secondogenita, era tornata ad essere la prima italiana nel ranking mondiali (150ª nel ranking ITTP e 66ª nella classifica olimpica);
   il tennis tavolo è una disciplina sportiva individuale nella quale il valore della performance è strettamente connesso ai risultati delle gare vinte;
   alla luce di quanto riportato dalla testata La Gazzetta dello Sport in data 5 aprile 2015 sembra emergere che il motivo che avrebbe indotto il direttore tecnico a questa decisione sarebbe stata la recente maternità dell'atleta, e la conseguente breve interruzione della sua attività con la nazionale italiana;
   la Carta Costituzionale sancisce all'articolo 3 il principio di eguaglianza e di non discriminazione che deve necessariamente trovare piena attuazione anche in ambito sportivo, professionale e dilettantistico, anche in ragione degli elevati valori di lealtà ed uguaglianza di cui lo sport è ontologicamente portatore anche a livello internazionale — valori che rischiano pertanto di essere corrotti, e con essi l'immagine stessa dell'Italia di cui lo sport di alti livelli è veicolo nel mondo, da qualsiasi discriminazione di genere, tanto più se connessa ad un altro istituto costituzionalmente protetto quale è quello della maternità, che la Repubblica dichiara di proteggere, assieme ad infanzia e gioventù, all'articolo 30, comma secondo, Cost.;
   l'articolo 27 dei principi fondamentali del CONI, approvati con deliberazione del Consiglio nazionale n. 1523 del 28 ottobre 2014, prevede che «1. Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate devono garantire la tutela della posizione sportiva delle atlete madri in attività per tutto il periodo della maternità fino al loro rientro all'attività agonistica. 2. Le atlete in maternità che esercitano, anche in modo non esclusivo, attività sportiva dilettantistica anche a fronte di rimborsi o indennità corrisposti ai sensi della vigente normativa, hanno diritto al mantenimento del tesseramento, nonché alla salvaguardia del merito sportivo acquisito, con la conservazione del punteggio maturato nelle classifiche federali, compatibilmente con le relative disposizioni di carattere internazionale e con la specificità della disciplina sportiva praticata»;
   la FITET, come ogni Federazione sportiva Nazionale, è tenuta a tutelare la posizione e la carriera sportiva delle atlete madri anzitutto con il divieto di assumere a danno della loro professionalità e dignità decisioni dagli effetti discriminatori e punitivi, che pregiudichino le donne e la maternità come libera scelta priva di condizionamenti di sorta –:
   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza della specifica situazione concernente l'atleta Nicoleta Stefanova e la sua recente esclusione dalla selezione delle atlete che prenderanno parte ai prossimi Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, in agosto 2016;
   se non ritenga opportuno, data la candidatura italiana ai Giochi olimpici, assegnare la delega allo sport ad un Ministro ovvero ad un Sottosegretario. (4-12836)


   SBERNA e GIGLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in tutti gli atti relativi ai bambini, incluso nell'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente, come previsto da diverse convenzioni internazionali, inclusa la Carta europea dei diritti fondamentali dell'Unione europea (articolo 24, paragrafo 2) cui il nostro Paese aderisce;
   la Commissione per le adozioni internazionali (CAI) ha il compito di garantire che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. Essa è l'autorità centrale del nostro Paese in materia e necessita di un funzionamento ottimale per evitare tutte le anomalie che ne compromettano il ruolo politico delicato di coordinamento, supervisione e monitoraggio delle procedure di adozioni internazionali;
   tra le competenze di maggiore rilievo ci sono quelle relative alla gestione dei rapporti con i Paesi esteri e con le altre autorità nazionali; quelle volte a tutelare e sovraintendere all'operato degli enti autorizzati attraverso i quali si realizza l’iter adottivo e quelle relative all'ingresso dei minori provenienti dagli stati stranieri;
   in applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 108 del 2007 le funzioni della CAI sono attribuite ad un organo collegiale composto, oltre che dalle separate figure di presidente e vicepresidente, da un totale di 20 membri, ma non risulta noto, non essendo stato pubblicato sul sito internet della Commissione né altrove, se le 13 cariche attualmente scadute siano state o meno rinnovate;
   tuttavia, da un articolo di stampa pubblicato in data 6 aprile 2016 sul quotidiano di rilevanza nazionale  Repubblica, dal titolo «No a speculazioni sulla pelle dei bimbi ora le adozioni tornano a crescere», risulta che la CAI, nella persona della vicepresidente/presidente Cons. Silvia Della Monica, abbia dichiarato che «per lavorare la Commissione non ha bisogno di sedute plenarie», che alcuni enti hanno gestioni discutibili e che le gestioni precedenti hanno usato in modo scriteriato i fondi della Commissione;
   dalle dichiarazioni della vicepresidente Della Monica a giudizio degli interroganti sembrerebbe evincersi che l'iscrizione degli enti all'albo non garantisca la «serietà» degli enti e dunque la sussistenza dei requisiti per essere autorizzati. È tuttavia compito della Commissione controllare l'attività degli enti che la stessa autorizza, sanzionando o anche rimuovendo dall'albo quelli che non si comportano secondo quanto previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, e dalle linee guida per gli enti autorizzati, con decisioni validamente espresse dal collegio nella sua interezza; le coppie che desiderano adottare hanno il diritto di poter confidare nella serietà degli albi pubblici e anche eventualmente di sapere come individuare, tra gli enti iscritti all'albo, quali possiedano o meno i requisiti di legge, posto che dovrebbero tutti possederli;
   dalle dichiarazioni riportate nell'articolo citato risulterebbe in ogni caso confermato che l'unica riunione di insediamento della CAI risale a quasi due anni fa e dunque che per l'efficacia dei provvedimenti è necessario che, nel rispetto del decreto del Presidente della Repubblica 108 del 2007, sia dimostrata la sussistenza di motivazioni e l'urgenza, essendo in ogni caso necessario che la Commissione ratifichi tutti gli atti pena la loro inefficacia;
   resterebbero inoltre confermate anche altre carenze da tempo segnalate, come la mancata pubblicazione di dati statistici relativi alle adozioni internazionali, la mancata liquidazione dei progetti di sussidiarietà per prevenire l'abbandono di bambini nel mondo realizzati, conclusi e rendicontati da alcuni enti entro l'agosto 2014, nonostante risulti all'interrogante che gli enti dichiarano di avere consegnato le rendicontazioni dei progetti di cooperazione alla CAI da quasi due anni;
   decine di atti di sindacato ispettivo presentati in sede parlamentare nel corso della presente legislatura e rimasti ad oggi senza risposta evidenziavano già ulteriori anomalie nella gestione della CAI sotto il profilo del coordinamento ed effettivo dialogo tra la CAI e gli stessi enti autorizzati, che per legge devono essere periodicamente convocati dalla Commissione;
   il mancato funzionamento della collegialità prevista aggiunge a procedure già di per sé lunghe e complesse dei rallentamenti e perfino dei blocchi con dolorose ripercussioni sulle famiglie adottanti e sui minori;
   le anomalie che coinvolgono la CAI, e ogni altra violazione delle norme in materia, qualora fossero confermate, non possono essere accettate e vanno sicuramente rimosse, conseguendone altrimenti un danno all'immagine della pubblica amministrazione nonché lo scoraggiamento delle famiglie accoglienti;
   agli interroganti, alle persone ed associazioni che hanno segnalato queste problematiche oggi, come in passato ai precedenti colleghi, interessa che siano fatti passi concreti per assicurare che alla Commissione stessa e alle procedure di adozione sia restituito il ruolo e la funzione propria, soprattutto in un momento storico in cui i dati forniti da diverse associazioni parlano di una riduzione del numero delle adozioni internazionali che sfiora il 50 per cento –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali urgenti iniziative intenda assumere il Presidente del Consiglio per sbloccare l'attività della Commissione e garantirne il funzionamento collegiale al fine ultimo di tutelare, in tempi ragionevoli, l'interesse prioritario dei bambini, sia italiani che stranieri, di vivere e crescere in una famiglia chiarendo, altresì, quali strumenti la Commissione utilizzi per verificare la correttezza dell'attività degli enti autorizzati inseriti nell'albo nazionale. (4-12838)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, ALBERTI e PESCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 aprile 2016, sul sito di informazione online «Ristretti Orizzonti», veniva pubblicata la notizia di un cittadino italiano, Cristian Provvisionato, detenuto nello Stato della Mauritania da 8 mesi;
   come confermato dalla Farnesina, il 42enne residente a Cornaredo (MI), è stato fermato dalle autorità mauritane nella capitale Nouakchott nell'agosto 2015, dopo circa due settimane dal suo arrivo nel Paese, dove si era recato per conto di una società che commercializza prodotti tecnologici per le intercettazioni e il controllo remoto di dispositivi elettronici. Provvisionato è attualmente detenuto all'interno di un'accademia di polizia nella stessa capitale della Mauritania per una presunta truffa informatica. Nello specifico, l'accusa risulta essere quella di far parte di una banda internazionale finalizzata alla truffa informatica ai danni dello Stato mauritano nel settore della sicurezza;
   ad occuparsi del caso in Italia, sono gli avvocati milanesi Vinicio Nardo e Giovanni Pasceri. Nardo ha affermato che insieme al suo collega hanno adottato iniziative giudiziarie per avviare un procedimento penale in Italia volto ad accertare che il trattenimento del loro assistito, al di fuori di ogni elementare principio di civiltà, possa costituire un reato perseguibile anche in Italia, individuando i responsabili che lo hanno messo in questa condizione. Anche alla luce di quello che dice l'avvocato mauritano, il legale Boumiya Hamoud, gli avvocati italiani hanno appreso che la forma di trattenimento è contraria a ogni principio giuridico. Provvisionato non è mai stato interrogato alla presenza di un avvocato e non è mai comparso davanti a una corte in 8 mesi. L'avvocato Nardo ha poi dichiarato che la vicenda da loro seguita, più che un processo sembra un sequestro di persona di cui deve rispondere chi lo ha mandato in quel Paese;
   la Farnesina ha reso noto che il suo caso è costantemente seguito dalla delegata ambasciata italiana di Rabat. A ottobre 2015, il console italiano a Rabat ha svolto una missione che ha consentito di accertare le condizioni in cui si trova Cristian Provvisionato;
   a gennaio 2016 anche l'ambasciatore italiano in Marocco, Roberto Natali, ha fatto visita a Provvisionato e ha appreso che la legge della Mauritania impone che l'uomo debba essere trattenuto durante lo svolgimento delle indagini, ma che la detenzione potrebbe durare molto tempo. La Farnesina specifica anche che 1'11 marzo 2016, il direttore generale Ravaglia ha convocato l'ambasciatore della Mauritania a Roma, signora Aoufià, la quale ha anticipato che presto potrebbe essere celebrato il processo. La comunicazione ha creato parecchio stupore dal momento che a Provvisionato non è stata mai notificata alcuna accusa;
   a metà aprile 2016 è stata prevista un'altra missione diplomatica italiana in Mauritania allo scopo di individuare la miglior strada per liberare Cristian dalla sua prigionia;
   la madre di Provvisionato ha spiegato che il figlio fu contattato per partire in Mauritania dal figlio del proprietario dell'azienda per cui lavora, la «Vigilar» di Milano. Ciò che ha creato più di un sospetto all'avvocato mauritano e ai due avvocati italiani che stanno seguendo la vicenda, è che il cittadino italiano era andato nello Stato africano per un lavoro assegnato dalla sua agenzia, ma di fatto ha sostituito un professore — personaggio di cui al momento non si conosce il nome — che a quanto pare aveva subito identico trattamento. Tale evento rappresenta per gli inquirenti una sorta di scambio di ostaggi;
   destano particolari preoccupazioni le condizioni di salute del lavoratore italiano detenuto a Nouakchott. La madre di Provvisionato ha fatto sapere che il figlio è diabetico e che quindi necessita di insulina e medicinali specifici. Nel corso di questi mesi ha perso numerosi chili. A febbraio 2016, insieme al marito si è recata in Mauritania per andarlo a trovare, ma stava così male che è stato riconosciuto dai genitori solo dopo essersi alzato in piedi. I genitori hanno chiesto al Governo di quello Stato di rilasciare loro figlio quanto prima. Considerano sia necessario farlo perché ritengono sia innocente, ma soprattutto perché le sue condizioni di salute si stanno rapidamente aggravando. Sempre i genitori hanno la convinzione che il figlio sia stato volutamente coinvolto in un'azione tesa a suo discapito;
   la madre dell'uomo ha anche inviato una lettera al presidente della Mauritania. L'avvocato che i genitori di Provvisionato hanno preso in loco, il sopraindicato Boumiya Hamoud, ha presentato la richiesta di libertà provvisoria, purtroppo rigettata;
   gli interroganti ritengono che l'azione diplomatica svolta dai preposti rappresentanti istituzionali in Italia e in Marocco, sia stata costante e molto intensa. Considerano però necessario fare un ulteriore sforzo per poter riportare in Italia il signor Cristian Provvisionato al più presto, soprattutto a causa delle sue condizioni di salute sempre più precarie –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo al fine di assicurare le regolari cure per la patologia diabetica di cui soffre il sopraindicato signor Cristian Provvisionato, agli arresti in Mauritania;
   quali ulteriori iniziative diplomatiche intenda intraprendere il Governo al fine di arrivare alla liberazione o alla richiesta di estradizione del sopraindicato signor Cristian Provvisionato, in funzione del fatto che quelle sinora adottate non hanno ancora sortito gli effetti sperati e che lo stesso soggetto soffre di una patologia che, se non curata adeguatamente, può portare ad importanti danni fisici. (5-08391)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, NACCARATO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni è iniziata l'attività di disboscamento e scavo relativo al progetto «Derivazione delle Falde del Medio Brenta all'interno del Modello Strutturale degli Acquedotti del Veneto (MOSAV) e dello Schema Acquedotti Veneto Centrale (SAVEC)», nei pressi e nel letto del medio corso del fiume Brenta, destando fondati timori sia fra i cittadini che fra gli amministratori;
   nel corso degli ultimi decenni, il medio corso del Brenta (fra Bassano e Padova) è stato sottoposto all'escavazione di milioni di tonnellate di ghiaia, che hanno portato a rilevanti modifiche morfologiche e a gravi scompensi e rischi di dissesto ambientale;
   tra i vari interventi, si annovera anche la creazione del cosiddetto bacino Giaretta, sulla sponda destra del Brenta in località Camazzole (comune di Carmignano, Padova), un'enorme depressione profonda fino a 15 metri ed estesa per 90 ettari costruita negli anni 1986-88 con la motivazione di creare una vasca di laminazione, peraltro mai autorizzata come tale dall'autorità di bacino, che non ha però mai visto realizzare il completamento delle sponde arginali, e che, di fatto, ha sconvolto l'assetto idrogeologico dell'area, senza portare alcun vantaggio dal punto di vista della sicurezza idraulica;
   negli ultimi anni poi sono state proposte nuove attività di modifica morfologica del corso del Brenta, di diversa natura: scavo di nuovi pozzi per il prelievo di acqua dolce in falda; rafforzamento degli argini, ma con il prelievo «a compensazione» di ulteriore materiale; interventi per favorire la ricarica della falda;
   tali interventi, specialmente quelli di escavazione dei pozzi per il prelievo di acqua dolce, hanno conosciuto nelle ultime settimane una forte accelerazione, con l'idea di aumentare i prelievi direttamente dalla falda, con l'obiettivo di rifornire gli acquedotti della bassa pianura veneta, recentemente minacciati dalla presenza di inquinanti chimici;
   in particolare, desta perplessità la costruzione di cinque nuovi pozzi in alveo del Brenta in comune di Carmignano, per la cui protezione si prevede l'escavazione in alveo di circa centomila metri cubi di materiale, dato che quattro nuovi pozzi a ovest, fuori alveo – già previsti e autorizzati – porteranno a un prelievo di 950 litri/secondo a regime se dimostrabile, mentre i quattro pozzi già esistenti, gestiti dalla società Etra, prelevano già 800 l/s. I lavori per la costruzione di tali pozzi in alveo sono iniziati in questi giorni, destando allarme fra i cittadini e gli amministratori;
   negli ultimi mesi i rappresentanti del Gruppo ambiente di Carmignano e del Comitato «Giù le mani dal Brenta» hanno sottoposto all'attenzione del Ministero dell'ambiente, della regione Veneto, delle amministrazioni provinciali di Padova e Vicenza, del Consorzio di bonifica Brenta, del Consiglio di bacino Brenta, dei sindaci del territorio interessato e dell'Arpav numerose osservazioni e richieste di chiarimento in merito ai progetti della regione Veneto per la realizzazione di nuovi pozzi a Carmignano di Brenta;
   per quanto riguarda il progetto di difesa della sponda sinistra del Brenta, tra Cittadella, Carmignano e Fontaniva (tutti comuni siti in provincia di Padova), che prevede l'escavazione di circa 600 mila metri cubi di ghiaia a compensazione per la realizzazione di un argine di circa 600-700 metri, si evidenzia che l'intervento porterebbe a un sistematico abbassamento dell'area, in alcuni punti anche di quattro metri e mezzo, esteso da argine ad argine per qualche chilometro di lunghezza; ciò significa che tutto quello che c’è all'interno degli argini – golene, aree verdi, habitat fluviale, habitat faunistico e floreale – dovrebbe essere completamente spianato. L'ingente materiale dovrebbe essere trasportato fuori dagli argini del Brenta con l'impiego di decine di migliaia di camion e lungo una viabilità inadeguata con conseguente inquinamento ambientale;
   nel contempo, non si vede traccia di interventi sulla sponda destra del Brenta, a difesa del comune di Carmignano, che – particolarmente nella succitata località Camazzole, sul lato nord-est del bacino Giaretta – risulta fortemente indebolita, come risulta anche dalle note dell'autorità di bacino del 28 marzo 2001 e precedenti;
   sembrerebbe, invece, più ragionevole, nel caso specifico, prima di scavare nuovi pozzi in alveo, valutare l'effetto sulla falda dei già previsti nuovi pozzi costruiti extra-alveo e garantire il previsto Progetto di rimpinguamento della falda;
   va tenuto conto della grande rilevanza che il fiume Brenta occupa nell'idrografia e nell'assetto idrogeologico della pianura Padano-Veneta –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in atto per quanto di competenza, per:
    a) garantire il giusto equilibrio fra le esigenze di approvvigionamento idrico della bassa pianura veneta, il mantenimento del livello di falda nell'alta pianura e la protezione dell'ambiente fluviale del medio corso del Brenta;
    b) accelerare le opere di messa in sicurezza degli argini del medio corso del Brenta, evitando nel contempo che, con la scusa di interventi di protezione, si realizzino con il metodo della compensazione ulteriori e devastanti escavazioni di ghiaia, che rischiano di causare danni maggiori rispetto a quelli che si vorrebbero evitare. (4-12826)


   TERZONI, ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   al Governo, con l'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto «sblocca Italia», convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, è stata attribuita la facoltà di predisporre un piano nazionale per l'incenerimento da approvare attraverso un successivo decreto;
   l'articolo 35 del decreto-legge è stato successivamente impugnato davanti alla Corte costituzionale dalla regione Lombardia; l'udienza è prevista per l'autunno inoltrato;
   lo schema di decreto è stato presentato alla Conferenza Stato-regioni a settembre 2015, ricevendo un parere favorevole il 5 febbraio 2016, con il voto sfavorevole di Campania e Lombardia e la richiesta di alcuni emendamenti da parte di altre regioni, in particolare sui contenuti dei piani regionali sui rifiuti;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato il 15 marzo 2016 la procedura di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica del programma nazionale da approvare con il decreto, pubblicando il rapporto preliminare ambientale relativo al programma nazionale di impianti di incenerimento per rifiuti urbani ed assimilati;
   nel rapporto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i redattori interpretano la normativa ritenendo che il piano nazionale sarà sovraordinato ai piani regionali esistenti e a quelli in fase di redazione, che dovranno adeguarsi al quadro tracciato dal Governo. Resterà alle regioni, secondo i funzionari ministeriali, la localizzazione e l’iter amministrativo per la costruzione degli impianti che sulla base del decreto assumeranno la classificazione di «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale»;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel rapporto preliminare rivolto alle sole autorità con competenze ambientali, sostiene che il piano debba essere escluso dalla fase pubblica di valutazione ambientale strategica. I redattori del rapporto sostengono, infatti, che non è possibile procedere a valutare gli effetti ambientali del piano essendo questa una fase programmatica;
   se il piano non verrà sottoposto a valutazione ambientale strategica completa verrà meno il confronto con cittadini, associazioni ed enti locali, obbligatorio per la fase completa;
   il piano prevede la costruzione di oltre dieci nuovi impianti per incenerire 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti in più all'anno nel Paese;
   da un punto di vista tecnico basterebbe prendere in considerazione le emissioni (di polveri, diossine, metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici e altro) per tonnellata di rifiuti incenerita in un impianto italiano e moltiplicarlo per le quantità di rifiuti che il Ministero vorrebbe far incenerire per avere un dato certo di inquinamento da cui partire per valutare gli effetti sull'ambiente di questo programma;
   nello scorso inverno l'intero Paese per settimane si è bloccato a causa dell'inquinamento da polveri sottili con gravi conseguenze sanitarie ed economiche;
   l'Italia è altresì sotto procedura d'infrazione proprio perché già ora non rispetta gli standard ambientali per la qualità dell'aria, con conseguenze catastrofiche dal punto di vista della salute dei cittadini e morti a decine di migliaia secondo le massime autorità comunitarie in campo ambientale;
   le ceneri derivanti dall'incenerimento di una così ampia quantità di rifiuti dovranno comunque essere oggetto di smaltimento e di tutto ciò non vi è traccia nel documento ministeriale;
   sul tema è stata presentata l'interrogazione n. 4-12675, a firma dell'onorevole Zolezzi, ancora in attesa di risposta –:
   se il rapporto preliminare ambientale abbia recepito le richieste espresse da diverse regioni in Conferenza Stato-regioni circa la validità dei propri piani, già approvati o in via di aggiornamento, qualora escludano il ricorso all'incenerimento;
   se non ritenga che un piano di così vasta portata debba essere assoggettato ad una valutazione ambientale strategica completa, includendo quindi la fase di confronto con i cittadini e le organizzazioni sociali nonché gli enti locali come i comuni, tenendo conto che l'impatto sulla qualità dell'aria e sulle altre matrici ambientali nonché sulla salute umana è facilmente desumibile. (4-12827)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la necessità di procedere alla revisione della normativa in materia di concessioni demaniali marittime è stata sollevata dall'apertura di una procedura di infrazione comunitaria nel 2008 (n. 2008/4908) nei confronti dell'Italia circa la disciplina che prevedeva la preferenza accordata al concessionario uscente (articolo 37, comma 2, secondo periodo, del codice della navigazione di cui al regio decreto n. 327 del 1942, modificato dal decreto-legge n. 400 del 1993);
   la legislazione italiana è quindi intervenuta con l'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 1994 (convertito dalla legge n. 25 del 2010), abrogando l'articolo 37 del codice della navigazione nella parte inerente il «diritto di insistenza», disponendo la proroga delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2015;
   in seguito, con l'articolo 105 del decreto legislativo n. 112 del 1998, lo Stato ha trasferito alle regioni le funzioni relative al rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia;
   la Commissione europea, con la messa in mora complementare 2010/2734, ha evidenziato ulteriori profili di illegittimità della normativa italiana. In seguito ai suddetti ulteriori rilievi, con l'articolo 11 della legge n. 217 del 2011 (legge comunitaria 2010) è stato abrogato il comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 400 del 1993 (convertito dalla legge n. 494 del 1993), il quale fissava in sei anni la durata delle concessioni demaniali marittime e prevedeva il loro rinnovo automatico alla scadenza per la stessa durata. L'articolo 11 della medesima legge ha inoltre delegato il Governo ad emanare, teoricamente entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime;
   a seguito di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012;
   successivamente, la legge n. 221 del 2012 ha prorogato la scadenza delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2020;
   in seguito, in base al comma 732 dell'articolo unico della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), il termine per il riordino complessivo della materia delle concessioni demaniali marittime è stato da ultimo prorogato al 15 ottobre 2014. Tale riordino non risulta peraltro al momento ancora attuato;
   il comma 9-septiesdecies dell'articolo 7 del decreto-legge n. 78 del 2015 (convertito dalla legge n. 125 del 2015) demanda alle regioni una ricognizione delle rispettive fasce costiere, finalizzata anche alla proposta di revisione organica delle zone di demanio marittimo ricadenti nei propri territori. La proposta deve essere poi inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'Agenzia del demanio, che nei 120 giorni successivi al ricevimento della proposta, attivano, per gli aspetti di rispettiva competenza, i procedimenti previsti dagli articoli 32 (Delimitazione di zone del demanio marittimo) e 35 (Esclusione di zone dal demanio marittimo) del codice della navigazione, anche convocando apposite conferenze di servizi. Tale procedimento è propedeutico alta revisione della disciplina relativa alle concessioni demaniali marittime, previsto dall'articolo 11 della legge n. 217 del 2011 (legge comunitaria 2010) il cui termine, come già detto, risulta scaduto il 15 ottobre 2014;
   la necessità di una nuova normativa, nasce dalla direttiva dell'Unione europea 2006/123/CE, conosciuta come «direttiva Bolkestein», che l'Italia ha recepito con il decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010. La direttiva si concentra sui servizi del mercato unico europeo e prevede, per quanto riguarda in particolare le attività dei bagnanti, la possibilità a tutti gli operatori anche di altri Paesi dell'Unione europea di partecipare ai bandi pubblici per l'assegnazione delle concessioni demaniali;
   la «direttiva Bolkestein» è stata accusata di causare del dumping sociale fomentando una corsa al ribasso per quanto riguarda le tutele sociali, i diritti dei lavoratori e gli stipendi. La Commissione europea, al contrario, sostiene che l'apertura alla libera concorrenza permetta di garantire una migliore qualità dei servizi e prezzi più convenienti. In Italia, invece, gli oppositori della «Bolkestein» avvertono che la sua applicazione segnerebbe la fine del made in Italy perché le spiagge italiane finirebbero gestite da multinazionali straniere;
   a complicare ulteriormente la situazione, si attende anche il responso della Corte di giustizia europea che, interpellata dal Tar Sardegna e dal Tar Lombardia per verificare l'automatismo della proroga al 31 dicembre 2020 con la compatibilità con il diritto comunitario, in caso di bocciatura annullerà la scadenza del 31 dicembre 2020 delle concessioni, portandole a quella precedente del 31 dicembre 2015;
   la Conferenza delle regioni e delle province autonome, in data 25 marzo 2015, ha approvato un documento sulla revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime (12/22/CR09/C5). La posizione è stata consegnata al Governo nel corso della Conferenza Stato-regioni dello stesso giorno;
   il documento riconosce che la necessità di adeguare il quadro normativo italiano in materia di demanio marittimo ai principi comunitari in materia di trasparenza, non discriminazione, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi è un'esigenza indifferibile – anche in riferimento al vuoto normativo che una pronuncia negativa delle Corte di giustizia potrebbe comportare – e può costituire l'occasione per riformare ed aggiornare l'intera materia,  con ciò venendo anche incontro alle richieste delle varie categorie economiche che operano sul demanio marittimo;
   il documento, inoltre contiene una serie di richieste, tra le quali:
    la convocazione urgente di un tavolo di confronto con il Governo e gli enti locali richiesto dalla Conferenza Stato-regioni del 22 gennaio 2015, per favorire per il futuro una migliore sinergia tra le diverse Istituzioni che hanno il compito di gestire questa materia così strategica per il Paese;
    chiarezza con la Commissione europea sulla possibilità di un regime transitorio delle attuali concessioni demaniali marittime, così come già accaduto in altri Paesi dell'Unione dove le concessioni demaniali marittime sono state prolungate di 75, 50 o 30 anni, a seconda della tipologia (Spagna), oppure che sono state mantenute forme di preferenza in favore del concessionario uscente (Portogallo);
    che sia confermata la possibilità di attivare un «doppio binario» che distingua le concessioni attualmente in vigore da quelle nuove, con una proroga di lunga durata per le prime, anche attraverso investimenti e procedure di evidenza pubblica subito applicati per le seconde;
   con netto ritardo, il Governo sta predisponendo un disegno di legge quadro di riforma in materia di demanio marittimo che dovrebbe produrre un quadro normativo di chiarezza, basato su equità e sostenibilità per un settore strategico dell'economia e del presidio del territorio quale quello del turismo balneare. Tale legge dovrà rispondere alle esigenze di adeguamento ai principi comunitari in materia di trasparenza, non discriminazione, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi e, al contempo, consentire di aggiornare e superare il precario quadro esistente, raccogliendo le istanze degli enti territoriali e delle categorie economiche che operano sul demanio marittimo;
   contestualmente, il Governo ha avviato un percorso di negoziazione con la Commissione europea per applicare al tema delle concessioni demaniali balneari il criterio del «doppio binario»: un congruo periodo di proroga rispetto alla scadenza del 2020 agli operatori già titolari di concessioni demaniali e l'avvio di bandi di gara per l'assegnazione degli spazi ancora concedibili. Stime preliminari sulle spiagge libere e occupabili (dati che escludono le aree naturalistiche protette, le basi militari e quanto non assegnabile in concessione) restituiscono una consistenza pari a circa il 30 per cento del demanio marittimo a disposizione di assegnazione attraverso bando di gara, una percentuale, secondo la Conferenza delle regioni e delle province autonome, non residuale e di conseguenza adeguata per assicurare l'applicabilità del criterio del «doppio binario»;
   di conseguenza, la strategia del «doppio binario» proposta dal Governo e sostenuta anche dal documento della Conferenza delle regioni e delle province autonome consentirebbe di rispondere alle richieste della Commissione europea tutelando, al contempo, il modello dell'impresa balneare italiana e la capacità di investimenti, innovazione, tutela del territorio e controllo della cementificazione delle spiagge che è stato realizzato negli anni;
   ad avviso degli interroganti è indiscutibile che il provvedimento di riforma in materia di demanio marittimo dovrà contenere regole chiare rispetto al libero accesso alle spiagge, al controllo sul corretto smaltimento dei rifiuti e degli scarichi di reflui a mare, al rispetto delle delimitazioni concessorie, ai limiti sulla cementificazione delle spiagge, definendo precise sanzioni rispetto alle violazioni –:
   se il Governo non ritenga opportuno convocare in tempi brevi il tavolo di confronto con gli enti locali richiesto dalla Conferenza Stato-regioni il 22 gennaio 2015, al fine di varare le nuove norme di riordino del demanio marittimo;
   se intenda fornire elementi sugli sviluppi del percorso di negoziazione avviato con la Commissione europea volto a tutelare e valorizzare la filiera del turismo balneare italiano e, in caso di «bocciatura» della Corte di giustizia europea sulla data di proroga delle concessione demaniali marittime al 31 dicembre 2020, come intenda agire affinché dalla Commissione europea sia concessa anche all'Italia la proroga richiesta, così come già accaduto per altri Paesi dell'Unione. (4-12839)


   FRUSONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Viscolube è un'azienda che si occupa di rigenerazione degli oli usati. In Italia Viscolube ha due stabilimenti di produzione con oltre 170.000 tonnellate/anno di capacità di trattamento olio usato, uno dei quali insiste sul territorio di Ceccano (FR);
   da quanto si apprende dai giornali, con una nota del 2 febbraio, l'Arpa Lazio comunicava che «i campionamenti e le relative analisi del sito Viscolube, hanno evidenziato sul bacino di landfarming la concentrazione del parametro "idrocarburi pesanti" maggiore del 368% rispetto al valore previsto e che nelle acque di falda è stata riscontrata l'elevata concentrazione di inquinanti sia nei piezometri all'interno del sito che quelli posti a valle idrogeologica della barriera idraulica, dimostrando l'inefficacia della barriera con conseguente diffusione della contaminazione all'esterno del sito con grave rischio di inquinamento delle falde acquifere»;
   il sindaco di Ceccano a seguito della suddetta nota, emette un'ordinanza che vieta di attingere l'acqua dai pozzi privati presenti a meno di 500 metri dallo stabilimento Viscolube srl di via Monti lepini;
   anche sindaco del comune di Frosinone si dimostra preoccupato per i terreni inquinati, in quanto una porzione di essi riguarda proprio il territorio di Frosinone;
   in data 11 marzo 2016, il comune di Ceccano chiedeva, senza risposte, al mistero dell'Ambiente di riesaminare il progetto di messa in sicurezza del sito Viscolube alla luce delle analisi dell'Arpa;
   sempre da giornale di apprende che la Viscolube dal 2012 attenderebbe l'approvazione da parte del Ministero, di un piano volto a migliorare la messa in sicurezza, il quale resterebbe tuttora in attesa di una valutazione;
   da quanto dichiarato dall'amministratore delegato Lazzarinetti nel 2014 e nel 2015 sarebbe stata chiesta la convocazione di una conferenza di servizi per l'analisi della documentazione tecnica sui progetti di miglioramento presentati –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se il Governo sia a conoscenza di tali ritardi e quali iniziative di competenza intenda assumere per superare tali lungaggini e per accelerare le procedure di ripristino ambientale;
   se, in nome della sicurezza ambientale e della salute dei cittadini, il Ministro interrogato non reputi doveroso, per quanto di competenza, riesaminare urgentemente il progetto di messa in sicurezza del sito e dei territori adiacenti, convocando al più presto possibile una Conferenza dei servizi. (4-12841)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Gran Bretagna per la sua posizione geografica per la quale, rispetto alle altre nazioni, è maggiormente utilizzato l'aereo quale mezzo di trasporto per raggiungere le località turistiche europee, rappresenta un interessante bacino per favorire il turismo incoming in Italia;
   in Europa i primi 50 tour operator, secondo i dati del FTW operano in 10 Paesi. La Germania è al primo posto con ben 15 tour operator e nel corso del 2015 il giro d'affari complessivo ha superato i 59 miliardi di euro (Germania 56 per cento e Gran Bretagna 16 per cento) che rappresenta 1/3 del totale del turismo italiano;
   valutando i cataloghi pubblicati dei tre principali tour operator inglesi (Thomson, Monarch, Airtours/Thomas Cook), dal 1o maggio al 19 ottobre 2016 (25 settimane) dai 22 aeroporti della GB sono state programmate 1.769 partenze alla settimana, per un totale, a fine stagione, di ben 44.225 voli (Thomson 43 per cento, Airtour/Thomas Cook 34 per cento, Monarch 23 per cento);
   con una capacità di riempimento pari all'85 per cento dei posti a bordo, settimanalmente dovrebbero partire circa 310.720 passeggeri per un totale di 7.768.000 nell'arco delle 25 settimane e un totale di presenze pari a 54.376.000;
   sul totale dei voli e dei passeggeri la prima destinazione è la Spagna col 45 per cento che, insieme a Grecia e Turchia detengono il 75 per cento del totale dei turisti che scelgono località marine. In totale i paesi proposti sono 13: Spagna, Portogallo, Italia, Malta, Cipro, Croazia, Bulgaria, Marocco, Grecia, Turchia, Tunisia, Israele, Egitto e le località 80;
   i tre tour operator dispongono di una flotta di 130 aerei con una offerta complessiva di 28.910 posti a bordo (Thomson 48 per cento, Monarch 23 per cento e Airtour/Thomas Cook 29 per cento) e una capacità di imbarco per ogni aereo di 190-220 posti;
   i tre tour operator nei 13 Paesi scelti per le vacanze estive hanno programmato convenzioni con 1.017 Hotel, che complessivamente hanno una capacità ricettiva di 274.473 stanze;
   tutti gli alberghi convenzionati sono dotati di piscine e le categorie degli hotel sono così suddivise: 9 per cento a 5 stelle, 43 per cento a 4 stelle, 46 per cento a 3 stelle e 2 per cento a 2 stelle;
   il pacchetto offerto dai tre tour operator prevede la sistemazione di due persone per camera e, a scelta, il tutto incluso, la mezza pensione è, infine il pernottamento con la sola colazione al mattino;
   l'Italia in questi programmi vedrà l'arrivo di 1.226 voli, con 194.000 arrivi e 1.358.000 in hotel convenzionati in Veneto, Campania, Sicilia e Sardegna. Solamente il 2,5 per cento delle presenze sul totale movimentato nelle 25 settimane;
   negli stessi cataloghi è possibile individuare il numero delle camere per ogni hotel convenzionato con una media che si attesta su 344 stanze in Spagna, 363 in Turchia e 393 in Egitto. Fanalino di coda, l'Italia con una media di 103 stanze –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di adoperarsi per un'iniziativa di promozione verso l'importante bacino di turisti provenienti dalla Gran Bretagna con un'azione coordinata tramite Enit;
   se non ritenga il Ministro di mettere in atto iniziative volte a favorire la realizzazione e/o l'ampliamento delle strutture alberghiere per consentire di intercettare i flussi dei grandi tour operator, in particolare, promuovendo e sostenendo reti di imprese turistiche di prossimità che consentano di aumentare la capacità di offerta di un numero di camere adeguate a questi flussi. (5-08388)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS, DURANTI e SCOTTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da diversi organi di stampa – fra cui Repubblica e il Corriere della Sera – una denuncia sarebbe stata inviata ai più alti livelli istituzionali, tra cui la Presidenza del Consiglio ed il Ministro della difesa circa l'operato dell'ammiraglio De Giorgi in qualità di Capo Stato Maggiore della marina;
   nello specifico il documento – presumibilmente inviato da un ex collega dell'Ammiraglio, come trapela alla stampa – sarebbe molto dettagliato e correlato di numerosi atti ufficiali oltre che da documentazione in originale;
   in particolare sono due gli episodi da menzionare, a detta degli interroganti, per definire la condotta illecita dell'ammiraglio:
    a) nel giugno del 2013, durante una visita a una fregata di Fincantieri a Muggiano (La Spezia) per cui, in quei giorni, si stavano completando le fasi di allestimento della nave, il Capo di Stato Maggiore ordinò ai dirigenti del cantiere di apportare diverse modifiche, non «gradendo» la ripartizione delle aree destinate al quadrato ufficiali e all'eventuale ammiraglio presente a bordo. In seguito – si apprende sempre dalla ricostruzione fatta – De Giorgi «ufficializzò questa sua volontà specificando di avviare i lavori richiesti anche in assenza dei preventivi e dei necessari atti amministrativi». Successivamente a questo episodio, l'ammiraglio Ernesto Nencioni cercò di allestire una pratica amministrativa che giustificasse l'operato del Capo di Stato Maggiore. Proprio nell'ambito di quella pratica, il 25 luglio 2013 Fincantieri avrebbe presentato un «punto di situazione» chiedendo il pagamento di 12 milioni 986 mila euro per la modifica dei quadrati e di 30 milioni per le modifiche dei camerini. Da sottolineare che, nell'ambito di tali operazioni, l'Ammiraglio Nencioni espresse diverse volte perplessità – ponendo elementi di difficoltà – per quanto richiesto dal superiore. Tali difficoltà furono superate con missiva e Capo di Stato Maggiore della Marina con cui si chiedeva di procedere con le modifiche;
    b) il secondo caso riguarda invece uno dei contratti varati con il cosiddetto «programma navale» (già oggetto di atti di sindacato ispettivo da parte di appartenenti al gruppo parlamentare della Camera di Sinistra Italiana-SEL), cioè lo stanziamento straordinario di oltre 5 miliardi per l'ammodernamento della flotta navale. Tale questione ha innanzitutto interessato l'indagine di Potenza, per cui secondo l'accusa dei PM lucani l'ammiraglio De Giorgi avrebbe chiesto l'intervento di Gianluca Gemelli – allora compagno del Ministro dello sviluppo economico Guidi – per far sì che dal Ministero venissero sbloccati i fondi necessari. In cambio di ciò avrebbe fatto nominare al vertice del porto di Augusta una figura gradita al Gemelli stesso. Inoltre, tra le navi finanziate con la suddetta legge, ve ne sarebbe una con particolari caratteristiche «combat»: un mezzo lungo 32 metri capace di raggiungere, a pieno carico, i 70 nodi. Fra i compiti di questa imbarcazione vi sarebbe quello di trasportare squadre di incursori del «Comsubin» alla massima velocità: è previsto infatti che tra uomini e anni, lo scafo arrivi a un carico di 36 tonnellate. Il tutto con materiali «stealth» invisibili ai radar. Il contratto risulta essere stato affidato da De Giorgi alla società «Aeronautical service» (azienda con sede a Fiumicino) senza nessuna gara e con una spesa di 30 milioni di euro. Tutti gli atti sull'acquisto del superscafo risultano secretati e non sono mai state diffuse informazioni sul disegno del mezzo. Inoltre, a quanto si apprende, diverse voci si sarebbero levate nel dubitare circa le competenze della stessa «Aeronautical service», che non sembra aver mai realizzato progetti simili a questo;
   nelle autorizzazioni alle spese militari, avrebbe avuto a lungo un ruolo chiave l'ex capo ufficio bilancio della difesa – ed amico stretto di Gianluca Gemelli – Valter Pastena, che risulta indagato alla procura di Potenza. Fra gli elementi a suo carico vi sarebbe una intercettazione in cui lo stesso discute con De Giorgi circa nomine e appalti, dichiarandosi disponibile a manovre parlamentari utili a agevolare appunto il flusso di finanziamenti, partendo anche da una ferma e alternativa opposizione alla riforma della Difesa della Ministra Pinotti;
   ad avviso degli interroganti, le indiscrezioni trapelate dalla inchiesta della procura di Potenza sulle spese «pazze» dei vertici della Marina – con particolare riferimento al Capo di Stato Maggiore – se provate costituirebbero caso gravissimo e profondamente lesivo sia dell'immagine della Marina stessa che delle istituzioni repubblicane;
   sempre a giudizio degli interroganti, già il reiterato sospetto di condizioni di privilegio e spreco – in anni in cui si procede sulla linea della «spending review» in ogni ramo della pubblica amministrazione e degli apparati dello Stato – da parte di chi per primo dovrebbe consegnare esempio di sobrietà, rigore e attaccamento alle istituzioni, costituirebbe elemento sufficiente per rassegnare le dimissioni;
   per quanto appreso dalla stampa, al Ministero della difesa in molti sarebbero stati a conoscenza delle azioni del capo di Stato Maggiore della Marina;
   pur restando fermo il principio della presunzione di non colpevolezza ex articolo 29 della Costituzione, resta in ogni evidenza la necessità di fare piena luce sui fatti trapelati a mezzo stampa –:
   se i Ministri interrogati fossero effettivamente a conoscenza di quanto esposto in premessa e perché non abbiano tempestivamente agito per eliminare ogni possibile profilo di illeicità nella condotta dei vertici della Marina militare, con particolare riferimento alle azioni dell'ammiraglio De Giorgi;
   se non ritengano opportuno e doveroso fornire chiarimenti circa le condotte di cui sopra, assumendo iniziative in via cautelativa per l'immediata sospensione dal servizio del Capo di Stato Maggiore della Marina, valutando l'opportunità di invitarlo a successive e piene dimissioni.
(5-08399)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO, RIZZO, TOFALO e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 maggio 2015, un articolo apparso sul quotidiano «Libero», riportava alcuni «virgolettati» relativi a potenziali dichiarazioni di militari impegnati per la sicurezza di EXPO 2015, mentre una settimana dopo, il 14 maggio 2015, a seguito di un fortissimo nubifragio, diversi organi di stampa riportavano le foto scattate nel campo tende di Bellinzago Novarese, che ospitava i militari italiani impegnati per la sicurezza dell'evento;
   a seguito di tali episodi l'11 febbraio 2016 l'interrogante presentava un atto di sindacato ispettivo (n. 5-07577), a cui faceva riscontro la risposta del Sottosegretario alla difesa onorevole Rossi, che sui fatti di Bellinzago Novarese e le punizioni inflitte ad uno dei 3 militari che aveva pubblicato le foto sui social, così rispondeva: «In merito agli ulteriori aspetti riportati nell'atto, si rende noto che non risulta essere svolto alcun monitoraggio dei profili del personale militare presenti sui Social Network; tuttavia, nell'ambito delle attività di verifica riferite alla fattispecie in esame, l'ufficiale incaricato, analizzando la pagina di Facebook pubblica di una giornalista – autrice dell'articolo oggetto degli accertamenti, pubblicato sul quotidiano Libero – è risalito ai profili Facebook, anch'essi pubblici, dei militari interessati, rilevando in tal modo condotte passibili di vaglio disciplinare»;
   risulta all'interrogante che, con formale atto datato 15 marzo 2016, lo Stato Maggiore dell'Esercito abbia provveduto a sanzionare un Caporal Maggiore Capo Scelto con 7 giorni di consegna di rigore, con decurtazione anche di indennità stipendiali, con la seguente motivazione: «In seguito ai fatti occorsi a BELLINZAGO NOVARESE nel mese di maggio 2015, la S.V. trattava sui Social Network argomenti di interesse militare inerenti il servizio. In particolare, in data 15 maggio 2015, pubblicava sulla propria bacheca Facebook molteplici immagini inerenti al servizio (foto di tende da campo allagate) con opinioni e commenti negativi all'immagine della Forza Armata. Con tale condotta avventata e superficiale, la S.V. si poneva in contrasto con i principi etici che costituiscono i fondamenti dell'identità militare quali disciplina, l'integrità morale e lo Spirito di Corpo, trasgredendo in modo rilevante ai doveri attinenti al grado e alle funzioni del proprio stato. Mancanza commessa in data 15 maggio 2015 (con pubblicazione su Social Network) nei grado di Caporal Maggiore Capo Scelto»;
   da una verifica dei documenti dell'inchiesta sommaria prodotta dal generale di divisione E.I. Marcello Bellacicco, emergono alcune anomalie riconducibili a possibili violazioni della privacy dei militari, ma in particolare del militare colpito dalla predetta sanzione, a cui viene contestato il fatto di aver pubblicato sul profilo Facebook alcune foto, omettendo di riferire che trattasi, per una parte dei commenti che sarebbero stati acquisiti dall'ufficiale inquirente, di immagini ed espressioni pubblicate su un profilo chiuso, cioè con il «diario» reso in modalità privata, visionabile solo dai soggetti indicati dal proprietario del profilo stesso;
   la medesima inchiesta avrebbe, altresì, sottratto atti, immagini ed espressioni dal predetto gruppo chiuso e riservato ai profili social di soggetti appartenenti alla categoria «Graduati in Servizio Permanente d'Italia», protetto da controlli esperiti dagli amministratori del gruppo stesso;
   è noto che tutti i contenuti presenti all'interno di un gruppo chiuso su Facebook possono essere assimilabili allo scambio della «corrispondenza privata», in considerazione del carattere fondamentalmente «predefinito e circoscritto» dei destinatari dei messaggi, sicché a giudizio degli interroganti la loro indebita sottrazione rappresenta, di fatto, una violazione della privacy dei componenti del gruppo e dello stesso articolo 15 della Costituzione;
   ove ciò sia confermato, oltre ad aver visionato il profilo chiuso del militare sanzionato senza il suo consenso, lo stesso ufficiale inquirente a giudizio degli interroganti avrebbe leso il diritto alla segretezza della «corrispondenza privata» sottraendo con modalità di dubbia legittimità i predetti commenti e violando contestualmente quanto definito dal codice in materia di trattamento dei dati personali che reca disposizioni in materia di tutela della vita privata nel settore delle telecomunicazioni, in attuazione della direttiva 97/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, valutata la gravità dell'inchiesta e delle sanzioni irrogate ai militari interessati, non ritenga opportuno adottare iniziative finalizzate ad assicurare la privacy, la riservatezza, la libertà di pensiero e di corrispondenza privata del personale delle Forze armate. (4-12837)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIGLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   numerosi medici ex condotti hanno chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri con vari atti, in ultimo nel mese di aprile 2014, di procedere all'ottemperanza delle sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio — I sezione bis — n. 649 del 1994 e del Consiglio di Stato — IV sezione — n. 2537 del 2004;
   con tali pronunce è stato disposto l'annullamento dell'articolo 133 del decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 28 novembre 1990, recante «Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 6 aprile 1990 concernente il personale del comparto del Servizio sanitario nazionale, di cui all'articolo 6, decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68», nella parte in cui era stato previsto il congelamento del trattamento economico della categoria e la esclusione dal percepimento delle indennità previste per il restante personale medico e questo in violazione del principio della perequazione retributiva, di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761 del 1979;
   in seguito alle suddette decisioni, si sarebbe dovuta effettuare una immediata azione di ripristino con l'introduzione di una normativa economica in favore della categoria, mediante la quale dovevano essere riconosciuti, per i dovuti periodi, un incremento del 50 per cento della retribuzione base, che ammontava a lire 8.640.000 annue lorde, ed inoltre il diritto al percepimento della retribuzione individuale di anzianità (cosiddetta RIA) e di altre indennità spettanti;
   nonostante questo, le sentenze non sono state ottemperate per il periodo contrattuale previsto, per cui le retribuzioni della categoria non sono mai state rideterminate in misura adeguata, con notevole pregiudizio economico per gli interessati, il cui credito complessivo in essere è oltremodo rilevante e, maggiorato di interessi e rivalutazioni dal 1988 ad oggi, costituirà un gravoso onere di pagamento da parte dello Stato;
   si ritiene che, alla luce di quanto esposto, dovrebbe essere interesse dell'amministrazione pubblica definire, entro breve, ogni relativa pendenza, provando magari a percorrere una via transattiva che riduca gli importi a carico dello Stato, stabiliti nelle sentenze citate;
   è da sottolineare, inoltre, che nel corso dell’iter della legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208), in 5a Commissione permanente (programmazione economica e bilancio) del Senato della Repubblica, è stato accolto dal Governo — nella persona del Vice Ministro Morando — un ordine del giorno su tale tema;
   tale ordine del giorno impegnava il Governo «ad assumere iniziative in ordine al pagamento delle somme dalle sentenze definitive stabilite in favore degli aventi diritto, a valutare la definizione di ogni pendenza anche attraverso una soluzione transattiva di quanto sopra esposto, consentendo in tal modo un notevole risparmio di spesa per la pubblica amministrazione, che diversamente sarà giudiziariamente costretta a soggiacere ad oneri ulteriori molto pesanti in termini di interessi, rivalutazione monetaria e risarcimento dei danni sofferti dagli appartenenti alla categoria nonché ad assumere iniziative volte alla rideterminazione con effetto retroattivo della intera disciplina contrattuale che ha disciplinato a far tempo dalla entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 384 del 1990 l'inquadramento economico del personale medico ex condotto, in ottemperanza delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione I bis, n. 640 del 1994 e del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 2537 del 2004 ed in conformità al principio della perequazione retributiva in esse sancito, con ogni conseguenziale determinazione ed adempimento anche in ordine al pagamento delle maggiori somme derivanti dalla esecuzione delle predette sentenze definitive a favore degli aventi diritto»;
   in seguito all'approvazione del citato ordine del giorno, avvenuta nel mese di novembre 2015, non risultano ancora adottati atti di ottemperanza del Governo agli impegni assunti durante i lavori della 5a Commissione;
   tale situazione necessita di una soluzione chiara, concreta e definitiva –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, in riferimento a quanto esposto in premessa, e, conseguentemente, quali iniziative di competenza intendano intraprendere per porre rimedio alla questione dei medici ex condotti, anche al fine di evitare aggravi di spesa al bilancio dello Stato, derivanti da ulteriori rivalutazioni giudiziarie. (4-12835)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), ai commi 842 e seguenti, ha recepito il contenuto del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, attraverso cui sono state applicate in Italia le nuove regole europee (appena recepite con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180) per il salvataggio bancario delle quattro banche Cariferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti;
   non sembra che la soluzione adottata abbia tutelato «i risparmi di famiglie e imprese» né che questa abbia assicurato l'interesse dei territori in cui le banche sono insediate: nonostante, infatti, il Governo abbia dichiarato che l'intero onere del salvataggio sia ricaduto sul sistema bancario, questa sembra piuttosto essere ricaduto sugli azionisti e sui titolari delle obbligazioni subordinate delle quattro banche, coinvolgendo circa 140 mila persone che hanno visto andare in fumo i risparmi di una vita;
   molti risparmiatori affermano, infatti, di non essere stati sufficientemente informati dai loro istituti circa la pericolosità delle azioni e delle obbligazioni che sono stati invitati a sottoscrivere, vedendo azzerarsi l'intero capitale investito dopo l'avvio della procedura di risoluzione;
   sotto pressione delle proteste delle opposizioni, in Parlamento, e dei risparmiatori truffati, in piazza, è stato quindi previsto, nelle stesse disposizioni della legge di stabilità 2016, un fondo di solidarietà per il ristoro dei risparmiatori rientranti nelle categorie degli investitori persone fisiche, degli imprenditori individuali, nonché degli imprenditori agricoli e dei coltivatori diretti;
   la soluzione promossa dal Governo, però, già al tempo della sua adozione sembrava essere insufficiente: innanzitutto è stata prevista una disponibilità di soli 100 milioni di euro che, secondo le stime rappresentate in Parlamento, non sarebbero sufficienti a compensare tutte le perdite subite dai risparmiatori;
   in secondo luogo, è stato previsto che i risparmiatori siano ammessi ad usufruire del ristoro da parte del fondo soltanto dopo una procedura di arbitrato prevista dalla medesima legge di stabilita;
   infine, ad oggi, è sicuro che il ristoro non arriverà, considerata quella che l'interrogante giudica una gravissima negligenza riservata dal Governo alla questione, perché, per avviare, la procedure, infatti, sarebbero necessari, almeno, due decreti, uno ministeriale e l'altro presidenziale, che, nonostante le rassicurazioni dell'Esecutivo sulla celerità dell'emanazione (nelle promesse nel Governo avrebbero dovuto essere già in vigore da gennaio di quest'anno), non sono stati emanati neanche entro il 31 marzo 2016, facendo scadere i termini fissati dalla legge di stabilità 2016;
   a questo proposito, l'Associazione Federconsumatori Toscana ha giustamente giudicato il fatto come «gravissimo» e ha ribadito come il Governo abbia «giocato» con i diritti dei cittadini più deboli, promettendo addirittura, per mezzo di dichiarazioni prima del Viceministro Zanetti e poi dello stesso Presidente del Consiglio dei ministri, un incremento delle risorse messe a disposizione del fondo (da 100 a 300 milioni) e l'allargamento erga omnes del ristoro;
   il Governo, invece, non soltanto non ha mantenuto quest'ultimi impegni, ma non ha neanche emanato i decreti necessari per avviare la procedure di ristoro, i cui termini, come già detto, sono ormai scaduti;
   in questo modo ha precluso, alle fasce più deboli previste dalla legge di stabilità, la possibilità di accedere al ristoro e impedisce, di fatto, a tutti, di poter procedere per le vie ordinarie per il rimborso, considerate le succitate disposizioni in vigore previste nella stessa legge che sembrerebbero escludere il ricorso giudiziale per il risarcimento del danno, violando in questo modo, in maniera gravissima, le disposizioni costituzionali sulla tutela dei diritti e degli interessi legittimi e i principi di diritto civilistico sul risarcimento del danno proveniente da responsabilità contrattuale ed extracontrattuale;
   questo Esecutivo dimostra, ancora una volta, secondo l'interrogante di fare gli interessi delle lobby, tenuto anche conto del fatto che per salvare le quattro suddette banche (e i relativi vertici, molto vicini, in alcuni casi, ad ambienti di Governo), sia stato emanato in fretta (e in una seduta di un giorno festivo) un decreto-legge che anticipa addirittura l'entrata in vigore delle procedure di risoluzione, ma non è in grado di emanare, in un lasso di tempo di 90 giorni, due decreti per avviare il ristoro – dovuto – ai piccoli risparmiatori che, tratti in inganno dagli istituti bancari in cui riponevano la propria fiducia, hanno perso tutti i loro fondi, faticosamente accumulati nel corso di una vita;
   l'11 aprile 2016, lo stesso viceministro dell'economia e delle finanze, ha dichiarato che «In tempi molto brevi arriverà un decreto-legge per risolvere il nodo dei ristori agli obbligazionisti delle quattro banche» –:
   se il Ministro interrogato intenda rendere noto entro quale data il Governo assumerà le iniziative normative urgenti di cui in premessa per ottemperare alle indicazioni contenute nella legge di stabilità 2016 al fine di definire tutte le modalità e le procedure necessarie per il ristoro dei risparmiatori e se non ritenga altresì opportuno, per ragioni di equità e giustizia sociale, assumere iniziative per incrementare le risorse del fondo di solidarietà che, come specificato in premessa, sono già state valutate insufficienti, e permettere l'accesso al ristoro erga omnes, come il Governo ha già promesso, ma mai attuato. (4-12842)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta dell'11 dicembre 2015 il Consiglio nazionale forense (CNF) ha adottato il regolamento rimborsi spese e gettoni di presenza, in vigore dal 1o gennaio 2016 e pubblicato sul sito istituzionale il 12 febbraio 2016, con cui per la prima volta nella storia dell'Istituzione si deliberava il pagamento di «gettoni di presenza» forfetariamente determinati in novantamila euro a beneficio del presidente, cinquantamila euro per il vicepresidente, settantamila euro a favore del consigliere segretario e cinquantamila euro per il tesoriere, nonché nella misura di seicentocinquanta euro, oltre accessori di legge, in favore di ciascun consigliere nazionale per ogni seduta amministrativa e/o giurisdizionale;
   tale regolamento desta forti perplessità, in virtù delle norme contenute nella legge 31 dicembre 2012, n. 247, che disciplina funzioni e prerogative dei CNF;
   ai sensi dell'articolo 24, comma 3, della legge, «il CNF e gli Ordini circondariali [...] sono dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria, sono finanziati esclusivamente con i contributi degli iscritti, determinano la propria organizzazione con appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge, e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza dei Ministero della giustizia», e in base all'articolo 35, «il CNF adotta i regolamenti interni per il proprio funzionamento e, ove occorra, per quello degli ordini circondariali»;
   dal combinato disposto delle norme sopra richiamate deriva che il CNF gode di una potestà regolamentare limitata, in forza della quale può adottare regolamenti interni solo per disciplinare il proprio funzionamento interno, al fine di garantire il pieno ed efficace espletamento delle funzioni dell'ente stesso, potendo in tale ottica decidere in ordine alle spese e potendo disporre di entrate autonome;
   il CNF può, dunque, adottare regolamenti per disciplinare e garantire il suo pieno e corretto funzionamento, e in tal senso, del tutto leciti appaiono i «rimborsi spese», id est dotazioni finanziarie messe a disposizione dall'ente al fine di consentire ai consiglieri nazionali e ai componenti l'Ufficio di presidenza del Consiglio di esercitare le attività connesse allo svolgimento dell'incarico, partecipando attivamente alle attività del Consiglio stesso, seppure appaia il quantum del rimborso, esageratamente lauto e generoso;
   di assai dubbia liceità, invece, appare il «gettone di presenza», in quanto esso si qualifica secondo l'interrogante come indennità di funzione, destinato a garantire un'utilità reddituale a chi lo percepisce, capace di compensare la deminutio che i redditi dei consiglieri nazionali e dei componenti l'Ufficio di Presidenza dei CNF presumibilmente subiscono a causa dell'attività da essi ivi svolta, in virtù di una carica da sempre squisitamente onorifica ed autonomamente premiante;
   il «gettone di presenza» non nulla a che vedere con il funzionamento interno del CNF che, evidentemente, può funzionare anche laddove i consiglieri subiscano un eventuale decremento dei propri redditi, in ragione dell'attività consiliare prestata;
   appare doveroso evidenziare che l'introduzione dei «gettoni di presenza» – peraltro effettuata a consiliatura in corso e con efficacia immediata – svilisce la funzione onorifica che l'impegno individuale nelle istituzioni forensi da sempre ha e deve mantenere, e che la forzatura operata dal CNF potrebbe aprire la strada ad analoghe decisioni da adottare dai Consigli dell'Ordine in sede locale; alla luce del quadro normativo e delle considerazioni esposte i «gettoni di presenza» sopra indicati, in quanto per nulla funzionali al funzionamento del CNF, appaiono all'interrogante ex se di dubbia legittimità, non ultimo in considerazione del fatto che nel prevedere tali utilità per i propri consiglieri e componenti l'Ufficio di Presidenza, il Consiglio ne ha determinato l'ammontare in assenza di un valido parametro di riferimento;
   il 16 dicembre 2015, in occasione dell'Agorà degli Ordini forensi, il Presidente del CNF Andrea Mascherin ha annunciato che il CNF stesso aveva deciso di diventare «editore di un giornale quotidiano, nazionale, che si chiamerà IL DUBBIO, e di un sito internet e di una web tv [...]. Giornale, sito e web tv saranno l'espressione delle idee dell'Avvocatura italiana, della sua cultura, dei suoi valori. IL DUBBIO sarà un giornale d'informazione, completo, che si occuperà di politica e di giustizia, di esteri, di cronaca, di cultura e di spettacoli»; il CNF è un soggetto istituzionale, con sede presso il Ministero della giustizia, e desta all'interrogante non poche perplessità il fatto che un soggetto di tale natura abbia un suo organo di stampa, e che al fine di realizzare detta iniziativa editoriale il CNF abbia all'uopo costituito, attraverso la sua Fondazione Avvocatura Italiana – F.A.I., una società di capitali («Edizioni Diritto e Ragione s.r.l.») con sede legale in Bolzano, e che sia nella fondazione che nella società editoriale sono previsti compensi per compensi per gli amministratori;
   il CNF è un ente pubblico economico, e non è chiaro come abbia potuto costituire una società di capitali;
   l'iniziativa editoriale del CNF non è secondo l'interrogante in alcun modo compresa tra le prerogative che la legge attribuisce allo stesso, posto che dà all'ente solo la facoltà di curare «mediante pubblicazioni, l'informazione sulla propria attività e sugli argomenti d'interesse dell'avvocatura», senza fare alcun accenno all'informazione generalista;
   inoltre, la legge n. 416 del 1931 sull'editoria, all'articolo 1, comma 13, stabilisce che «gli enti pubblici e le società a prevalente partecipazione statale, nonché quelle da esse controllate, non possono costituire, acquisire o acquisire nuove partecipazioni in aziende editoriali i giornali o di periodici che non abbiano esclusivo carattere tecnico inerente all'attività dell'ente o della società»;
   nel bilancio di previsione per l'anno 2016, approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 10 dicembre 2015, si legge: «il bilancio si chiude con un disavanzo di amministrazione di 1.599.100 euro, dovuto a un incremento delle uscite di natura eccezionale, legate al progetto editoriale in corso di attuazione, dato che si è dovuto dotare la FAI dei relativi importi necessari»;
   in un momento storico di enorme difficoltà, non solo economica, che gli avvocati italiani stanno vivendo, e che purtroppo costringe molti di loro a cancellarsi dall'albo, questa previsione di spesa appare paradossale, quasi surreale;
   quelle stesse risorse economiche destinate ai «gettoni di presenza» e al quotidiano potrebbero essere destinate ai giovani avvocati, alle donne avvocate, al sostegno degli avvocati che attraversano un momento di difficoltà, essere utilizzate in nuovi ambiti di intervento e operatività per la professione forense, o avrebbero potuto, ad esempio, essere utilizzate per sostenere gli avvocati nel passaggio dal processo, cartaceo al processo telematico, visto che ogni professionista è stato costretto a dotarsi di apparecchiature e programmi che ha dovuto acquistare a sue spese;
   le predette iniziative assunte dal CNF determinano secondo l'interrogante serio nocumento all'Avvocatura italiana, sia di natura economica che sul piano dell'immagine e del decoro della professione forense, oltre a dare luogo a situazioni che appaiono in contrasto con la legge;
   la sorprendente mutazione della carica elettiva di consigliere nazionale da impegno gratuito a lavoro retribuito, la trasformazione di dubbia legittimità del CNF da rigoroso e imparziale giudice degli avvocati ad impresa editoriale, utilizzo secondo l'interrogante incauto dei beni non propri e del denaro degli avvocati, nonché la straordinaria onerosità delle nuove spese, paiono eticamente assai opinabili e di incerta legittimità tanto da arrecare discredito all'intero Ordine forense, con danno irreversibile alla già fragile unità dell'Avvocatura –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa, e se non ritenga di intervenire, nella sua qualità di organo vigilante sulla professione ex articolo 24, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di attuare un sistema che tuteli gli avvocati italiani restituendo loro dignità e rendendoli nuovamente competitivi. (4-12820)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha appena pubblicato il «Quadro di valutazione Ue della giustizia 2016», che passa in rassegna l'efficienza, la qualità e l'indipendenza dei sistemi giudiziari dei Paesi membri. Principale obiettivo del documento è fornire alle autorità nazionali dati comparativi che servano a migliorare i propri sistemi nazionali;
   dal documento emerge la necessità di ulteriori sforzi per migliorare la formazione in materia di competenze giudiziarie e l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per i sistemi di gestione delle cause;
   relativamente ai tempi della giustizia civile, nel quadro di valutazione dell'Unione europea della giustizia 2016, l'Italia è agli ultimi posti per efficienza. Nel quadro di valutazione di Bruxelles, l'Italia risulta infatti al quintultimo posto tra i Paesi per cui sono disponibili i dati, se si guarda al «tempo necessario a risolvere le cause civili, commerciali, amministrative e di altro tipo», al terzultimo posto con riferimento al «tempo necessario a risolvere contenziosi civili e commerciali» e al quartultimo posto per «il tempo necessario a risolvere le cause amministrative». Peggio dell'Italia fanno, nel primo caso, Malta, Grecia, Portogallo e Cipro, nel secondo caso, Malta e Cipro e, nel terzo, ancora Grecia, Malta e Cipro –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per dare soluzione al problema narrato in premessa e dare effettiva e piena attuazione ai principi costituzionali, poiché la giustizia resa dopo troppo tempo dal compimento dell'atto o dall'accadimento del fatto non può considerarsi pienamente garantita, ulteriormente considerando che la funzione giurisdizionale incide concretamente sui processi reali di formazione del diritto. (4-12823)


   GIANLUCA PINI, MOLTENI, FEDRIGA, GUIDESI e GIANCARLO GIORGETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto dichiarato dal procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, il rischio che le carceri del nostro Paese diventino luoghi di radicalizzazione dei giovani musulmani reclusi sarebbe molto alto;
   secondo i dati in possesso del procuratore nazionale antimafia, la metà dei reclusi nei penitenziari minorili del nostro Paese sarebbe di religione musulmana;
   nelle celle delle carceri minorili sarebbero detenuti non meno di cinquecento ragazzi musulmani cui viene consentito di navigare su internet;
   è altamente verosimile che nel corso delle proprie navigazioni in internet, i giovani musulmani reclusi si imbattano in siti dediti alla propaganda jihadista, vettore potentissimo di radicalizzazione;
   esiste il rischio che una volta restituiti alla società, questi giovani completino il percorso di radicalizzazione accettando la prospettiva della militanza in organizzazioni come quella dello Stato Islamico o di al Qaeda, trasformando se stessi in una grave minaccia all'ordine pubblico ed alla sicurezza nazionale –:
   se risponda al vero che i giovani reclusi nelle carceri minorili abbiano diritto a fruire di internet, per quante ore al giorno ed in quali condizioni;
   se il Governo ritenga o meno pericoloso per i giovani minori reclusi l'accesso alla rete;
   quali siano gli orientamenti del Governo circa la capacità di radicalizzazione di cui i siti dediti alla predicazione jihadista dispongono;
   se nelle carceri siano stati predisposti sistemi di sorveglianza ed ascolto sulle comunicazioni via internet dei minori reclusi, con particolare attenzione a quelli di religione musulmana. (4-12830)


   PLACIDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Potenza, da diverso tempo, i sindacati della scuola (CGIL, CISL e UIL) sono costretti a prendere decise posizioni nei confronti di una dirigente scolastica, dottoressa Giovanna Sardone, per i numerosi – e a dir poco inopportuni – comportamenti da questa tenuti nei confronti del personale docente e non docente delle scuole che nel corso degli anni ha diretto. In particolare, la dottoressa Sardone ha frequentemente adottato provvedimenti disciplinari nei confronti di personale scolastico, puntualmente annullati dal tribunale di Potenza e di Melfi (sentenza 274 del 5 marzo 2013; sentenza 544 del 4 ottobre 2013; sentenza 590 del 18 ottobre 2013; sentenza 842 del 17 dicembre 2013; sentenza 203 del 19 dicembre 2013; sentenza 250 del 28 febbraio 2014; sentenza 261 del 4 marzo 2014);
   la dottoressa Giovanna Sardone, per quanto consta all'interrogante, sarebbe indagata dalla procura della Repubblica di Potenza in due procedimenti per gravissimi reati ed in particolare, per il primo procedimento, per i reati previsti dagli articoli 572 (maltrattamenti) e 582 (lesioni personali) del codice penale, per il secondo procedimento per i reati previsti dagli articoli 582 (lesioni personali), 323 (abuso d'ufficio) e 476 (falso ideologico) del codice penale;
   in tale contesto i rappresentanti sindacali provinciali della CGIL, CISL e UIL hanno più volte sensibilizzato l'opinione pubblica denunciando, mediante comunicati stampa, i comportamenti della Sardone. In uno dei comunicati stampa, datato 4 aprile 2013, le organizzazioni sindacali evidenziavano la singolare condotta della citata dirigente che, a seguito di decisioni assunte collegialmente dal consiglio di classe, dava impulso ad un procedimento disciplinare nei confronti di una delle docenti dissenzienti alle decisioni propugnate dalla stessa dirigente in seno al consiglio di classe, e nel contempo indirizzava una nota di biasimo ad altri 5 docenti che si erano resi responsabili di non avallare le citate decisioni propugnate dalla dirigente;
   detto comunicato stampa veniva trasmesso dalla dirigente Sardone alla procura della Repubblica presso il tribunale di Potenza sull'assunto che le organizzazioni sindacali, con il citato comunicato stampa, avessero rivelato segreti di ufficio tanto da ipotizzare la violazione dell'articolo 326 del codice penale;
   secondo quanto riferito da fonti sindacali il sostituto procuratore della Repubblica di Potenza, all'esito delle indagini preliminari, avrebbe chiesto l'archiviazione del procedimento evidenziando, tra l'altro, come lo scritto rientrasse nel legittimo esercizio dell'attività sindacale costituzionalmente garantito. Sennonché il GIP del tribunale di Potenza – dottor Amerigo Palma – avrebbe rigettato la richiesta di archiviazione ritenendo che dal comunicato stampa potesse emergere la violazione dell'articolo 342 del codice penale (oltraggio a corpo amministrativo dello Stato). All'udienza del 22 gennaio 2016, in camera di consiglio dinanzi al GIP, il pubblico ministero avrebbe chiesto l'archiviazione anche per questa seconda ipotesi di reato e il GIP avrebbe adottato provvedimento con il quale chiedeva al pubblico ministero di formulare l'imputazione coatta;
   la professoressa Calabrese, madre del GIP di Potenza dottor Amerigo Palma, ha rivestito il ruolo di dirigente scolastico nella provincia di Potenza sino all'anno scolastico 2014/15;
   ha altresì rivestito le funzioni di ispettrice per conto del Ministero dell'istruzione;
   in tale duplice veste è stata destinataria di forti prese di posizione da parte dei segretari provinciali delle organizzazioni sindacali di categoria (oggi tratti a giudizio a seguito di imputazione coatta da parte del GIP Palma);
   in un caso la professoressa Calabrese non si sarebbe sottratta dal polemizzare apertamente e in chiave personalistica con rappresentanti sindacali della provincia di Potenza di CGIL e CISL;
   in ragione di quanto precede il dottor Amerigo Palma, GIP presso il tribunale di Potenza, a giudizio dell'interrogante, avrebbe forse dovuto, a tutela dell'immagine della magistratura, astenersi dal trattare il procedimento in questione;
   pare, all'interrogante, emerga la palese violazione dei principi costituzionali e la eccessiva ed abnorme costrizione del legittimo e costituzionalmente garantito diritto di critica sindacale diritto a fronte di gravi comportamenti tenuti dal destinatario delle critiche sindacali;
   quanto descritto determina un allarme sociale per i limiti stringenti posti all'attività sindacale –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di Potenza ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di propria competenza. (4-12843)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   un team di esperti coordinati dal professor Roberto Devoto, docente di trasporti presso la facoltà di ingegneria dell'università di Cagliari, ha recentemente elaborato uno studio sulla continuità territoriale aerea in concomitanza dei «periodi di picco»: festività, ponti, eventi e concentrazioni estive;
   da tale studio sono emerse nuove e ulteriori criticità che, sommate allo storico e ampiamente noto gap dell'insularità, rischiano di avere una doppia ricaduta negativa sulle potenzialità di sviluppo di Cagliari e dell'intera Sardegna, non solo per le esigenze correlate al turismo (una meta costosa e incerta rischia di diventare infatti «irraggiungibile»), ma anche per qualsiasi altra necessità «quotidiana e non prevedibile con largo anticipo», quali: appuntamenti di affari, colloqui di lavoro, esigenze di studio, viaggi di tipo sanitario e così via;
   una continuità territoriale degna di tal nome dovrebbe garantire ai cittadini italiani residenti in Sardegna la stessa possibilità e libertà di movimento di qualsiasi altro cittadino italiano residente sulla Penisola. Di fatto, questo trattamento paritario non è ancora assolutamente compiuto ed il trasferimento degli oneri relativi a tale garanzia alla regione autonoma della Sardegna avvenuto con l'accordo politico del 2007 tra il presidente Prodi e il Presidente Soru ha ulteriormente allontanato il raggiungimento di questo obiettivo;
   i principi base della continuità territoriale sono: la certezza dello spostamento, la certezza della tariffa e l'elevato indice di servizio, inteso come funzione di frequenze settimanali, come possibilità di andata e ritorno nella stessa giornata, nonché come servizi flessibili e regolari;
   nessuno dei suddetti tre parametri è soddisfatto dalla attuale continuità territoriale;
   nei periodi più impegnativi dell'anno, a fronte di un'offerta costantemente insufficiente, la mobilità alternativa è teoricamente garantita solo dai cosiddetti voli « low cost» che non solo non sono sempre « low cost», ma anzi praticano tariffe spesso superiori al doppio di quelle della continuità territoriale. A titolo puramente esemplificativo si riportano di seguito le tariffe medie « low cost» registrate dal 25 al 29 marzo 2016: Cagliari-Bergamo andata e ritorno 325 euro; Cagliari-Ciampino andata e ritorno 174 euro; Cagliari-Malpensa andata e ritorno 224 euro;
   nonostante i picchi di domanda siano assolutamente prevedibili (in quanto si realizzano ogni anno nelle stesse date, note a tutti, con algoritmi che si ripetono), anche quest'anno, durante la settimana pasquale, sebbene i posti disponibili siano stati incrementati di circa l'80 per cento, la domanda ha ampiamente saturato l'offerta, a conferma di una progettazione e pianificazione inadeguata;
   anche i più recenti studi sulla mobilità certificano che una parte significativa del traffico passeggeri su Roma e Milano è in realtà destinato ad aree che hanno altri aeroporti come riferimento prioritario (Torino, Verona, Bologna, Napoli, Bari) e addirittura che almeno il 15 per cento dei passeggeri utilizza i due aeroporti della CT1 come scalo di transito;
   la continuità territoriale aerea non si realizza in regime di mercato e la CT 1 costa allo Stato circa 46 milioni di euro, di cui circa 33 sono destinati alla continuità territoriale dal capoluogo;
   lo Stato ha recentemente accordato alla regione autonoma della Sardegna ulteriori 30 milioni di euro, che dovrebbero essere destinati ad un nuovo bando che consentirebbe di superare le attuali criticità. Di tali 30 milioni di euro, secondo il recente studio sopra menzionato, ben 15 milioni di euro potrebbero essere sufficienti a coprire l'intera CT2 –:
   quali iniziative urgenti il Ministro, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di superare i nuovi ed ulteriori elementi di criticità indicati in premessa;
   se intenda promuovere, nell'ambito delle, proprie attribuzioni, un'iniziativa volta a stabilire nuovi parametri di qualità che impegnino a mettere a punto un nuovo assetto (rotte, frequenze giornaliere e stagionali, penali e così via) della continuità territoriale che non si concentri esclusivamente sulla tariffa (come avviene attualmente), ma presti maggiore attenzione anche alla frequenza e alla adeguatezza dei servizi giornalieri, nelle differenti stagioni, ovvero nei diversi periodi di punta, per garantire certezza e regolarità del servizio;
   se non ritenga opportuno stabilire ed accordare alla regione Autonoma della Sardegna nuovi parametri di contribuzione, che tengano conto di una scala studiata ad hoc per ogni linea, capace di premiare proporzionalmente il vettore che uguaglia o supera di una certa percentuale la quota annuale di domanda standard sulla rotta e che soddisfi, contemporaneamente e pienamente, la domanda nei periodi critici attraverso adeguate percentuali di puntualità, in modo tale da incentivare le compagnie ad avere interesse a promuovere e «vendere posti» per la Sardegna necessari a raggiungere i valori di domanda atti ad ottenere i contributi più elevati;
   se non ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative affinché parte delle nuove risorse finanziarie disponibili siano utilizzate anche per far ripartire la CT2, sia per favorire la mobilità verso destinazioni attualmente richieste (ma non adeguatamente coperte), che per decongestionare i due scali della CT1.
(2-01341) «Vargiu».

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da fonti stampa che i nuovi treni, modello Atr. 220-Swing prodotti dalla ditta polacca Pesa, acquistati dalla regione Marche per servire la tratta interna Fabriano-Civitanova e operanti sulla stessa tratta, potrebbero avere problemi di compatibilità con il rischio di uscire dai binari per disfunzioni tecniche sulle sospensioni dei telai dei carrelli;
   i treni attualmente sono utilizzati anche in altre tratte di diverse regioni oltre alle Marche: Veneto, Toscana, Abruzzo, Basilicata e Calabria;
   Trenitalia ha diffuso una nota nella quale avverte che stanno conducendo degli accurati controlli tecnici sui telai dei carrelli e che le verifiche hanno evidenziato alcune non conformità tali da giustificare il fermo dei treni monitorati;
   i controlli sono scattati per ordine dell'Ansf, Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria su segnalazione della stessa ditta polacca;
   l'assessore regionale delle Marche ai trasporti Sciapichetti ha invece dichiarato che quelle in corso sarebbero semplici ispezioni dell'apparato elettronico e che non è in discussione la sicurezza dei convogli;
   i treni in questione erano stati presentati, a quanto risulta agli interroganti, dallo stesso assessore marchigiano come treni di ultima generazione, mentre dalle schede tecniche rintracciabili sul sito internet di Trenitalia risultano essere treni diesel euro 3, mentre lo standard europeo è euro 6 –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se sia in grado di riferire in maniera più dettagliata riguardo al risultato delle ispezioni eseguite sui convogli attenzionati dall'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria;
   se non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per fare in modo che i nuovi treni messi in servizio su tutto il territorio nazionale siano quelli di ultima generazione in grado non solo di garantire i massimi standard di sicurezza ma anche di abbattere le emissioni inquinanti in atmosfera. (3-02185)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa web di «Bari Today» del 25 marzo 2016 dal titolo «Fse, il passaggio a livello “al contrario”: le sbarre si abbassano dopo l'arrivo del treno», si apprende di un passaggio a livello in Puglia tra Locorotondo e Putignano che al transito del treno delle FSE rimane aperto e subito dopo il transito, il passaggio a livello si chiude;
   non è la prima volta che i passaggi a livello ferroviari su cui transitano i treni di FSE, riscontrano tali problematiche. Sempre da fonti stampa del 23 marzo 2016 del sito web di informazione «ILIKEPUGLIA» dal titolo «Martina Franca, il treno Fse passa ma il passaggio a livello non si chiude: tragedia sfiorata» si apprende che un automobilista è riuscito a fermare in tempo la sua corsa prima di essere travolto da un treno in transito su un passaggio a livello ferroviario rimasto aperto, evento che ha creato uno shock al cittadino che si è successivamente rivolto alle forze dell'ordine;
   da fonte stampa del 24 febbraio 2016 del sito web «Rutigliano on line», dal titolo «Ancora una volta passaggi a livello aperti col treno che passa», si apprende di un transito del treno delle FSE in un passaggio a livello aperto in pieno centro cittadino in via San Lorenzo a Rutigliano che ha visto la mobilitazione dei vigili urbani a tutela della circolazione stradale solo a seguito di una segnalazione di un cittadino ed inoltre anche i restanti passaggi al livello da via Nola fino a Conversano hanno registrato analoghi mal funzionamenti;
   simile episodio si è verificato ad Acquarica del Capo in provincia di Lecce come riportato dalla fonte stampa del «Quotidiano di Puglia» pubblicata in data 9 dicembre 2015 dal titolo «Il treno Fse attraversa il paese con il passaggio a livello aperto: choc ad Acquarica del Capo» che ha destato forti proteste da parte dei residenti;
   in data 12 settembre 2015, sempre da fonte stampa del sito web «Rutigliano On Line» dal titolo «Panico al passaggio a livello, sbarre aperte e treni transito» si apprende che un automobilista sia transitato ad un passaggio a livello qualche secondo prima del transito di treno FSE a dimostrazione che se il passaggio a livello non è chiuso, il rischio di incidenti è sempre possibile nonostante il treno transiti a velocità ridotta e «a vista»;
   sui siti di informazione web pugliesi si possono riscontrare decine e decine di notizie analoghe avvenute nel corso degli anni che riguardano principalmente le tratte ferroviarie gestite da Ferrovie Sud Est di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e attualmente gestite dal commissario Vieri per conto dello Stato;
   ad avviso dell'interrogante risulta evidente che le eventuali procedure di sicurezza che scattano nel momento del malfunzionamento dei passaggi a livello, quando scattano, non sono sufficienti a garantire la tranquillità dei cittadini e l'incolumità degli automobilisti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di risolvere tali criticità;
   se esista un registro che contenga informazioni inerenti a data, ora e località in cui si sono verificati analoghi disservizi dovuti al malfunzionamento dei passaggi a livello sulle tratte gestite da FSE e, in caso affermativo, se possa essere diffuso con pubblicazione on line sul sito web del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e delle FSE, il contenuto dello stesso;
   quanti siano i passaggi a livello che interessano le tratte ferroviarie gestite da FSE e per quanti di questi sia prevista la sostituzione con cavalcavia o sottopassi al fine di diminuire il rischio di incidenti e i disagi per la cittadinanza e se esista un progetto o uno studio di fattibilità già redatto che ne evidenzi i costi e gli interventi. (5-08396)


   AGOSTINELLI, CECCONI, DE ROSA, TERZONI, ZOLEZZI e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   « il Fatto Quotidiano» del 10 aprile 2016 ha pubblicato un articolo dal titolo «Salerno – Reggio Calabria, lo spot di Renzi costerà 20 milioni». L'articolo è dedicato al completamento dei lavori dell'autostrada Salerno – Reggio Calabria, in anticipo rispetto ai tempi contrattuali, come dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi il 22 febbraio 2016, quando ha annunciato l'inaugurazione per il 22 dicembre 2016;
   il Presidente del Consiglio, il Ministro interrogato e il presidente dell'ANAS Gianni Vittorio Armani, nell'occasione hanno omesso di rendere pubblico, durante quello che il Fatto Quotidiano definisce uno spot del Governo, che la predetta anticipazione della conclusione dei lavori del maxilotto 3, parte 2a, costerà ai contribuenti italiani 20 milioni di euro (circa 39 miliardi di lire) e che tale spesa non sarebbe prevista nella concessione affidata al contraente generale;
   con nota del 15 gennaio 2016, infatti, in possesso degli interroganti, il presidente dell'ANAS, in modo del tutto inusuale scrive direttamente al Ministro, «facendo seguito ai colloqui intercorsi sul tema, si è verificata l'opportunità di attuare una riprogrammazione dei lavori del macrolotto (...) entro la fine del 2016, in anticipo sia rispetto al termine contrattuale di novembre 2017 che a quello previsto di novembre 2018». Infatti, stando alla nota del Presidente di ANAS, il programma contrattuale prevede un completamento dei lavori in due fasi, rispettivamente relative all'apertura al traffico della seconda parte del maxilotto (circa 4,8 km) per luglio 2016 e per la prima parte (circa 15,7 km) per novembre 2017. Occorre rilevare che l'attuazione di tale programmazione iniziale risente, ad oggi, delle problematiche registratesi nel corso dei lavori, in particolare riferite ad alcune criticità emerse durante la realizzazione di una galleria, nonché alla nota vicenda del viadotto Italia, che hanno determinato una revisione del programma lavori con traslazione del termine di ultimazione a novembre 2018. In sostanza, appare agli interroganti che prima l'ANAS ha prorogato di un anno il termine di ultimazione lavori a novembre 2018 (si suppone sulla base di un'attenta verifica tecnica), e che poi la stessa ANAS proponga un anticipo persino rispetto ai tempi originari del contratto fissato a novembre 2017 proponendo al Ministro di concedere «un premio di accelerazione» per il concessionario, in cambio dell'ultimazione dei lavori a dicembre 2016 con un costo aggiuntivo di 20 milioni di euro. Il tutto senza neanche citare alcuna previsione contrattuale sulla possibilità di riconoscere detto «premio» al concessionario, a carico dello Stato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti e se condividano l'approccio dell'ANAS di procedere «ad elastico» sui tempi di esecuzione lavori e la proposta rivolta direttamente al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti «di valutare l'opportunità che questa Società proceda in tal senso, evidenziando che per la copertura della maggiore onerosità si potrà ricorrere alle risorse economiche stanziate per l'autostrada SA — RC, che risultano reperibili previa erogazione dei finanziamenti di cui al Piano per il Sud (Delibera CIPE 62/2011)»;
   se nella concessione al contraente generale sia prevista la fattispecie contrattuale del premio di accelerazione e in quale importo. (5-08397)


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il corridoio plurimodale tirrenico nord europa itinerario Agrigento – Caltanissetta – A19 S.S. n. 640 «di Porto Empedocle» ammodernamento e adeguamento alla cat.B del decreto ministeriale 5 novembre 2009 dal chilometro 44+000 allo svincolo con l'A19 costituisce uno dei maggiori assi viari regionali e la principale via di comunicazione tra Agrigento e Caltanissetta;
   la strada è oggi interessata da importanti lavori di ammoderna lento che la trasformeranno in strada extraurbana principale; il termine dei lavori è previsto per il 2016, ma si legge già di ritardi di consegna fino al 2017; l'arteria sarà costituita da due carreggiate separate, con 2 corsie per senso di marcia più corsia d'emergenza, senza incroci a raso. I lavori sono stati suddivisi in due maxilotti, il primo corrispondente al tratto agrigentino, il secondo ricadente nel nisseno;
   tra ottobre e novembre la Tecnis ed Empedocle2 discutevano sulle responsabilità di un provvedimento di sequestro di alcune aree del cantiere da parte dei carabinieri, in esecuzione di un decreto emesso dal G.I.P. del tribunale di Caltanissetta che ravvisava nel cantiere di raddoppio della 640, l'utilizzo di «calcestruzzo non conforme alle previsioni contrattuali» –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali siano le riserve espresse dal contraente generale sino alle data odierna;
   se dall'esplicitazione di tali riserve e dal loro accoglimento derivi l'approvazione dell'atto aggiuntivo del 26 marzo 2014 consequenziale alla perizia di variante, con ben 133 nuovi prezzi che, a quanto risulta all'interrogante non sarebbero previsti nel contratto principale, perizia approvata in data 27 novembre 2013, considerato che in tale caso potrebbe configurarsi un errore di progettazione vista la notevole quantità di nuovi prezzi;
   se siano stati quantificati gli importi relativi agli espropri da liquidare e già liquidati e i giudizi ancora pendenti;
   se i percorsi previsti per i mezzi pesanti prevedano l'attraversamento del centro abitato di Caltanissetta ed in questo caso se possano essere forniti dati circa:
    a) orari e giorni in cui è autorizzato tale percorso;
    b) tratti di viabilità urbana interessai;
    c) monitoraggio ambientale e attuazione delle eventuali misure di mitigazione necessarie;
   se nel progetto esecutivo fosse prevista l'utilizzazione della ex 640 nel tratto che collega lo svincolo Caltanissetta nord (SS. 12-bis) allo svincolo della SS626, ad uso esclusivo della viabilità di cantiere escludendo i percorsi ordinari previsti dalla viabilità regionale in esercizio; nel caso in cui ciò non fosse previsto dal progetto esecutivo, quali siano le motivazioni che hanno portato alla chiusura di tale tratto di viabilità per oltre 18 mesi;
   se durante la lavorazione sia prevista la collocazione di pannelli fonoassorbenti a protezione degli abitati limitrofi e quale sia l'ubicazione dei dispositivi in conformità al progetto anche post-operam;
   se in corso d'opera si siano già rilevate delle economie in corrispondenza delle interferenze e quale ne sia la quantificazione;
   se in corso d'opera siano state eseguite le verifiche di avanzamento previste all'interno del crono-programma;
   quanti metricubi di materiale possano essere scaricati nei siti di destinazione autorizzati (aree di rimodellamento e di recupero ambientale); se ci sia una classificazione di priorità per lo scarico in un luogo prima di un altro;
   quali opere di prescrizione (compensazione) siano state già realizzate e quali si intendano realizzare;
   posto che dall'esame degli atti acquisiti la fine dei lavori risulta stabilita entro il 20 luglio 2016, se tale data possa ritenersi confermata e se, decorso tale termine, sia prevista l'applicazione di penali come da contratto;
   se siano state avanzate richieste di proroga e se tali richieste abbiano avuto riscontro favorevole esplicitando le motivazioni che hanno indotto a tale accoglimento. (5-08400)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   TOTARO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 aprile 2016 presso il polo universitario delle scienze sociali di Novoli, a Firenze, quattro studenti del movimento universitarie di centrodestra «Azione Universitaria», legittimamente eletto negli organi di ateneo, nel corso di una campagna di raccolta firme per le elezioni del Consiglio nazionale degli studenti che si terranno in data 18-19 maggio 2016, sono stati aggrediti e minacciati da circa dieci persone e sono stati derubati delle bandiere e di altro materiale in distribuzione;
   gli aggressori appartengono ad un collettivo non legittimato con regolari elezioni e occupano abusivamente due aule del suddetto polo universitario –:
   di quali elementi disponga il Governo e quali iniziative intendano assumere affinché si faccia chiarezza sulla vicenda;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché gli aggressori, che sarebbero già noti alle forze dell'ordine, siano messi in condizioni di non nuocere né danneggiare ulteriormente la comunità studentesca. (4-12819)


   FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Risorse per Roma spa (RPR) è una società in house, partecipata interamente da Roma Capitale, nata nel 1995 per gestire le attività di alienazione del patrimonio immobiliare capitolino. Rappresenterebbe oggi il braccio operativo al servizio dell'amministrazione capitolina nei settori della pianificazione, progettazione e trasformazione del territorio, nel supporto gestionale ai progetti della direzione edilizia del dipartimento urbanistica, tra i quali il condono edilizio, e nel supporto alle attività di alienazione del patrimonio capitolino, disponibile e indisponibile, gestite dall'omonimo dipartimento;
   RpR si occupa anche per il periodo 2012-2013 del servizio di osservazione di sette villaggi della solidarietà presenti a Roma. In un articolo web il professor Diacetti amministratore delegato fino al 2012 e fino al 2015 direttore del dipartimento pianificazione e controllo di RpR, parlerebbe del programma di osservazione come di un progetto sperimentale della durata di un anno dove sarebbero stati impiegati 84 operatori di Risorse per Roma;
   da quanto riporta sempre la fonte, Diacetti dichiara che il personale sarebbe stato reclutato tra ex vigilantes in mobilità, per dare la precedenza a chi si trovava senza lavoro. Inoltre, il professor Diacetti dichiara che «Le società pubbliche non possono assumere direttamente, ma devono pubblicare un bando specificando la modalità selettiva e noi abbiamo rispettato questa prassi. Comunque Risorse per Roma è la prima società ad aver chiesto alle persone assunte di dichiarare di non essere parenti, fino al terzo grado, con amministratori e dirigenti sia della società che del comune, e questo mi sembra un segnale forte della nostra trasparenza nella gestione delle selezioni.»;
   da quanto risulta all'interrogante la selezione non avvenne tramite bando pubblico, ma piuttosto tramite l'Agenzia per il lavoro Etjca spa, la quale a inizio 2012 pubblica i primi annunci di ricerca per 83 figure di cui 77 addetti al controllo e monitoraggio, 4 addetti al reporting amministrativo e 2 capi progetto. In particolare, gli addetti al controllo avrebbero avuto il compito di effettuare attività di portierato e controllo all'accesso dei villaggi garantendo l'attività di monitoraggio anche per mezzo di autoveicoli aziendali predisposti come attività di video e telesorveglianza; gli addetti al reporting amministrativo avrebbero avuto il compito di assicurare la gestione amministrativa di tutto il personale impegnato nel progetto: gestione delle turnazioni, ferie, permessi ed elaborazioni presenze; il capo progetto avrebbe avuto la responsabilità di raccordare tutte le figure coinvolte nel progetto con responsabilità verso gli interlocutori istituzionali presenti nell'iniziativa;
   a febbraio 2012 le suddette figure verranno assunte con contratto della durata di un anno con CCNL «imprese di pulizia per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi», affidando quindi agli operatori il servizio di portierato e di monitoraggio dei villaggi della solidarietà gestiti da Roma Capitale;
   il contratto dapprima determinato diventa indeterminato da maggio 2013;
   da ciò che si evince dalla documentazione in possesso dell'interrogante, ma soprattutto dalle formali denunce sporte dagli stessi lavoratori, sembrerebbe che essi non svolsero solo semplici attività di monitoraggio o portierato in tali villaggi. Attraverso infatti una serie di preoccupanti testimonianze, essi descrissero le difficili condizioni in cui erano costretti a svolgere la loro attività e il pericolo in cui si trovavano ad operare come addetti nei villaggi di solidarietà;
   non sembrerebbero chiari i limiti entro cui tali risorse avrebbero dovuto compiere il loro lavoro. Degli ex vigilantes svolgevano, infatti, attività di controllo e sicurezza che avrebbe dovuto essere piuttosto esercitati dalla polizia di Roma Capitale;
   risulterebbe molto grave l'esistenza o forse la co-esistenza di una struttura di sicurezza e controllo, uno statale e l'altro non meglio specificato. Da quanto risulta all'interrogante sarebbe addirittura esistita una centrale operativa di RpR spa, alla quale gli operatori avrebbero inviato tutta la documentazione giornaliera, fatta di dati personali raccolti, spostamenti di persone e così via;
   non sarebbe stata quindi solo la polizia di Roma Capitale ad avere ottenuto tali informazioni riservate, ma tutto sarebbe passato anche nelle mani di questa pseudo centrale operativa di Risorse per Roma spa. La certezza viene data tramite la lettura di una «relazione di servizio» scritta proprio dalla polizia di Roma Capitale, precisamente dal vice comandante Antonio Di Maggio il 21 novembre 2012. Tale relazione ha per oggetto «Villaggi della Solidarietà» e in essa sono documentate tutte le attività svolte dagli operatori di RpR e si scrive testualmente «Si ritiene che si siano raggiunti, oltre che ottimi risultati, una condivisione di intenti ed una visione delle difficili situazioni che giornalmente le due strutture, Risorse per Roma e Polizia di Roma Capitale, hanno sinergicamente affrontato e risolto;
   gli operatori di RpR, assunti con il CCNL delle pulizie, sembrerebbero aver avuto dunque un ruolo di veri e propri agenti della polizia e come tali sono stati costretti a scrivere giornalmente relazioni di servizio da dover poi consegnare e questa pseudo centrale operativa di RpR;
   la «centrale operativa RpR», da quanto risulta all'interrogante, avrebbe addirittura diramato la notizia di un ricercato dalla Polizia di Roma Capitale, chiedendo informazioni sul ricercato, attività questa che non dovrebbe spettare ad una società in house ma piuttosto alla polizia giudiziaria secondo l'articolo 55 del codice di procedura penale;
   il 27 giugno 2014 è stata votata all'unanimità la mozione n. 95 del 29 maggio 2014, la quale impegnava il sindaco e gli assessori competenti, a chiarire con quali modalità s'intendevano gestire i villaggi della solidarietà, verificando inoltre le dure e pericolose condizioni di lavoro in cui si trovavano ad operare i lavoratori di RpR spa impegnati in tali villaggi –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   se, anche per il tramite del commissario straordinario di Roma Capitale, non s'intenda chiarire la posizione della società RpR nell'ambito della gestione della sicurezza e del monitoraggio di Roma e se non sia urgente verificare che tale ruolo sia svolto esclusivamente dalla polizia di Roma;
   se non ritenga urgente verificare, per quanto di competenza, che il sistema di gestione dei dati sensibili e dell'attività di sicurezza e sorveglianza all'interno dei villaggi di solidarietà e non solo sia conforme alla legge. (4-12845)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati pubblicati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, relativi al concorso a cattedre, solo un candidato su quattro passerà il concorso;
   l'85,2 per cento dei candidati sono donne (95,6 per cento se si parla di scuola primaria e dell'infanzia, 91,7 per cento per il sostegno, 66,6 per cento nella scuola secondaria di I e II grado);
   l'età media è di 38,6 anni (39 per il bando dell'infanzia, 34 per il sostegno, 38,8 per la secondaria di I e II grado), il 63 per cento degli iscritti è under 40;
   se i dati pubblicati sono veritieri, la maggior parte di coloro che dovranno cercarsi un altro lavoro sono donne e madri di famiglia; in molti casi rappresentano famiglie monoreddito;
   il 30 marzo, ultimo giorno utile all'iscrizione, le domande protocollate erano oltre 250 mila; in realtà gli iscritti effettivi potrebbero risultare molti di meno: solo 165 mila, a fronte di 63.712 posti in palio in quanto la differenza è data dagli invii multipli dovuti a problemi di compilazione della domanda;
   il criterio dell'abilitazione come requisito fondamentale per la partecipazione al concorso è già divenuto oggetto di ricorso da parte di sindacati e laureati, fatto questo che ha prodotto le prime decisioni cautelari di ammissione alle prove in attesa delle sentenze di merito (che potrebbero arrivare entro il 21 aprile);
   se le sentenze si esprimessero a favore dei ricorrenti, solo questi potrebbero essere ammessi alle prove del concorso, ma non tutti i laureati;
   una decisione in tal senso sminuirebbe il valore del titolo abilitante, già concesso con una sanatoria a molti precari storici beneficiari dei percorsi abilitanti speciali (Pas);
   decisione che costringerebbe il Ministero a ricorrere contro le ammissioni al concorso dei vincitori del ricorso;
   in questi giorni molti dei 45.000 residuali gae (graduatorie ad esaurimento) stanno inoltrando diffide «a tutela dei propri diritti e contro il cambiamento delle regole già sancite dalla legge 107/15 visto che l'assorbimento totale dell'organico di fatto per le assegnazioni provvisorie significherebbe la quasi certa indisponibilità di cattedre e di spezzoni orari per gli anni a venire, con il fortissimo e concreto rischio che gli scriventi non potranno più lavorare e con conseguente danno economico, pur rimanendo in attesa dell'immissione in ruolo» e contestualmente «si riservano di chiedere nelle sedi giudiziarie ogni sorta di risarcimento danni di natura morale ed economica» –:
   se non ritenga che questo dedalo di ricorsi possa determinare una discriminazione fra chi avrebbe (o avrebbe potuto avere) diritto e chi lo ha rivendicato;
   se abbia quantificato i costi per ammortizzatori sociali («NASpi») che la riforma determinerà visto che la lista dei disoccupati a concorso ultimato (precari, supplenti brevi o annuali) sarà di oltre centomila abilitati a cui si andranno ad aggiungere i 45 mila residuali gae (che potrebbero gravare con i loro ricorsi di ulteriori costi l'amministrazione pubblica). (5-08390)


   CAROCCI, GIACOBBE e TULLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 5 aprile 2016 si è tenuto, presso la direzione regionale dell'ufficio scolastico regionale della Liguria, l'incontro avente come oggetto l'informativa sui contratti integrativi regionali degli anni 2012/13, 2013/14 e 2014/15 dei dirigenti scolastici;
   in quella sede, l'amministrazione ha comunicato, alle organizzazioni sindacali presenti al tavolo, che l'UCB non ha validato i contratti, regolarmente sottoscritti ad ottobre e a febbraio 2015, rilevando come il metodo di calcolo della retribuzione di posizione parte variabile fosse, a suo modo di vedere, errato;
   tale rilievo appare agli interroganti pretestuoso: l'UCB, infatti, sembrerebbe scegliere di spostare, con un espediente contabile, una parte rilevante della retribuzione su quella di risultato, in contrasto con il contratto nazionale dell'area V e con pesanti ricadute sul calcolo dei contributi previdenziali;
   in tal senso, appare evidente come l'UCB non si limiti ad effettuare controlli di compatibilità finanziaria, ma entri nel merito dei contratti –:
   se sia a conoscenza di questa situazione, quali iniziative intenda intraprendere per impedire nuove formulazioni di quanto già sottoscritto, come intenda intervenire per fare in modo che siano erogate le retribuzioni di risaltato attese ormai da più di tre anni. (5-08394)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ALIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   diverse centinaia di docenti (circa 700, stima verosimile approssimativa), vincitori del concorso a cattedre del 2012, indetto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (decreto del direttore generale n. 82 del 2012), sono stati immessi in ruolo a tempo indeterminato sia con il sistema di reclutamento anteriore alla legge n. 107 del 2015: che con il piano di reclutamento straordinario previsto dalla stessa legge;
   questi docenti di cui trattasi, vengono definiti «ricorsisti soglia 30-35/50 in ruolo», poiché hanno proposto ricorso al punteggio minimo della prova preselettiva (35/50) chiedendo al tribunale regionale amministrativo del Lazio sezione terza-bis di Roma di riconoscere tale soglia illegittima e di ridimensionarla alla quota di 30/50, ottenendo in prima istanza l'ammissione con riserva alla prove successive del concorso, che hanno superato, posizionandosi con riserva nelle rispettive graduatorie di merito;
   con circa 40 sentenze di merito, depositate in data anteriore all'entrata in vigore della legge n. 107 del 2015, il Tar Lazio ha dato loro ragione ordinando all'amministrazione di sciogliere le riserve e quindi l'inserimento « pieno iure» dei ricorrenti nelle graduatorie del concorso;
   come già precisato, questi docenti hanno ricevuto proposta di contratto a tempo indeterminato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e sono oggi in ruolo e ricoprono le loro posizioni lavorative in tutto il territorio nazionale;
   l'amministrazione ha, dopo l'immissione in ruolo degli stessi, proposto appello avverso al Consiglio di Stato a molte ma non a tutte dette sentenze;
   otto di queste sentenze sono ormai definitive in quanto non appellate dall'amministrazione e sono decorsi i termini per l'appello;
   la situazione generatasi a seguito dei punti 5 e 6 costituisce palese disparità di trattamento fra ricorrenti sottoposti ad identico giudizio, in quanto esistono numerosi docenti «ricorsisti soglia 30-35/50 in ruolo» la cui posizione giuridica si è consolidata in seguito alle sentenze non appellate dall'amministrazione e definitive e, altrettanti, la cui posizione giuridica risulta pendente al secondo grado di giudizio, si ribadisce, per lo stesso tipo di ricorso e identico « thema decidendum»;
   l'amministrazione può estendere gli effetti del «giudicato» a ricorrenti in posizione analoga;
   a ulteriore conforto di quanto detto esente, con recente sentenza del 19 gennaio 2016 n. 00169/2016REG.PROV.COLL. il Consiglio di Stato sancisce «l'assorbimento» delle prove preselettive qualora superate le successive prove scritte e orali del concorso (concorso, nel caso di detta sentenza, per posti e non per abilitazioni professionali) –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda porre in essere, al fine di sanare la descritta disparità di trattamento e di superare, in tempi certi, le situazioni di incertezza che molti docenti in ruolo stanno vivendo. (4-12821)


   GIANLUCA PINI, MOLTENI, FEDRIGA, GUIDESI e GIANCARLO GIORGETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riportato da un noto quotidiano nazionale, ottanta bambini che frequentano la scuola primaria nel comune di Molinella, nei pressi di Bologna, sarebbero in procinto di recarsi in gita a Ravenna;
   obiettivo della gita a Ravenna non sarebbero però i monumenti d'epoca romano-bizantina o la tomba di Dante Alighieri, ma la locale moschea, nella quale è previsto che i bambini trascorrano l'intera giornata con l'imam;
   la gita degli ottanta bambini verrà pagata dall'associazione islamica denominata «La Speranza»;
   obiettivo della visita alla moschea e della lunga permanenza al suo interno sarebbe l'illustrazione delle modalità di preghiera alle quali i musulmani si attengono;
   non risulta che nei Paesi musulmani vi siano iniziative simili volte a far conoscere ai bambini islamici le modalità in cui si svolgono i riti cristiani –:
   se il Governo ritenga o meno la visita di una scolaresca elementare ad una moschea e la permanenza al suo interno per molte ore della giornata delle attività conformi agli obiettivi educativi dell'istruzione pubblica del nostro Paese;
   se il Governo sia a conoscenza di eventuali visite della stessa scolaresca ad altri luoghi di culto cristiano-cattolici o ebraici;
   se costituisca una prassi accettare il pagamento da parte di terzi delle spese connesse all'effettuazione di una gita scolastica;
   se il Governo non ritenga opportuno intervenire per evitare che la visita degli 80 alunni di Molinella alla Moschea di Ravenna abbia luogo. (4-12829)


   MARGUERETTAZ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 9 luglio 2015 la Camera dei deputati ha approvato, in via definitiva, la legge di riforma del sistema nazionale di istruzione;
   la legge 13 luglio 2015, n. 107, in particolare, prevede per l'anno scolastico 2015/2016 un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado;
   tale piano di assunzioni si rivolge ai vincitori presenti nelle graduatorie del concorso pubblico, bandito con decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 82 del 24 settembre 2012 ed a coloro che sono iscritti a pieno titolo nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente, di cui all'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296;
   nel piano di assunzioni, pertanto, non è incluso il personale educativo delle istituzioni educative (convitti e educandati), rientrante nella classe di concorso L030 (III), pedagogia e didattiche speciali dell'insegnamento, ordine di scuola PPPP (personale educativo);
   ai sensi dell'articolo 121 del decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1974, n. 417, il personale dei convitti è equiparato al personale docente delle scuole primarie, sia per quanto attiene allo status giuridico, sia per quanto concerne il trattamento economico;
   la Corte dei conti – sezione di controllo – 12 novembre 1992, n. 58, dichiara che l'attività svolta dal personale educativo «(...) è da qualificare come insegnamento ed è ragguagliabile a quella degli insegnanti di scuola primaria» pronunciandosi sulla «equiparazione di “status” tra istitutori ed insegnanti elementari prevista dall'articolo 121 del decreto del Presidente della Repubblica n. 417 del 1974»;
   l'articolo 398, comma 2, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, dichiara che «i ruoli del personale docente sono provinciali» e che «sono, altresì, provinciali i ruoli del personale educativo, al quale si applicano le disposizioni concernenti lo stato giuridico ed il trattamento economico dei docenti elementari»;
   non è pertanto giustificata la disparità di trattamento riservata dalla legge, che ha totalmente messo da parte un'intera categoria, che annovera al suo interno circa 2.000 docenti in tutta Italia;
   il CCNL comparto scuola, del marzo 2013, ex articolo 25, commi 1 e 2, Capo IV – docenti, dichiara che «Il personale docente ad educativo (...), è collocato nella distinta area professionale del personale docente» e che in tale area rientra anche il «personale educativo dei convitti e degli educandati femminili»;
   il Consiglio di Stato (sezione sesta), con ordinanza n. 01084/2014 R.G. Prov. Caut. – n. 01226/2014 Reg. Ric., e il T.A.R. del Lazio, con sentenza n. 07721/2014 Reg. Prov. Coll. – n. 11618/2013 Reg. Ric., hanno confermato che anche il personale educativo può partecipare ai bandi per l'ammissione ai corsi di specializzazione per le attività di sostegno, diversamente da quanto disposto dal decreto ministeriale n. 706 del 2013 (e rinvio al decreto ministeriale 30 settembre 2011), affermando la mera equipollenza tra abilitati ai posti di personale educativo e abilitati all'insegnamento nella scuola primaria; viene, inoltre, nuovamente confermato che l'abilitazione di personale educativo nelle istituzioni educative (ottenuta con il concorso per titoli ed esami del 2000), (...) è da considerarsi equipollente all'abilitazione all'insegnamento nella scuola primaria;
   nonostante quanto su scritto, il personale educativo non può ancora accedere al sistema informativo denominato «Istanza On Line» per inserire eventuali titoli professionali conseguiti nel corso degli anni, non può inoltrare domanda di trasferimento telematicamente ma deve predisporre ed inoltrare domanda cartacea con il vincolo di indicare solamente tre province, non può iscriversi telematicamente ai corsi professionali riservati ai docenti e, non ultimo, se nominato animatore digitale dal collegio dei docenti del convitto o educandato con scuole annesse dove presta servizio, non può nemmeno iscriversi ai relativi corsi di formazione appositamente predisposti dagli uffici scolastici regionali;
   al personale educativo è stato negato il bonus di euro 500,00 per la formazione che la normativa prevede sia obbligatoria anche per questa classe di concorso;
   l'ultimo concorso pubblico a posti nelle istituzioni educative è stato bandito nel 2000 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'esclusione dei sopraccitati educatori dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, e dei motivi per i quali siano stati esclusi dal beneficio aggiuntivo della premialità;
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per l'interpretazione della legge «Buona Scuola», in modo da risolvere questa problematica e tutelare tale categoria professionale, per valorizzarne il ruolo e per permettere l'inserimento in ruolo di coloro che risultano ad oggi iscritti nelle diverse graduatorie ad esaurimento e di istituto. (4-12834)


   D'UVA, VACCA, SIBILIA, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il CINECA è un Consorzio interuniversitario senza scopo di lucro, operante sotto il diretto controllo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il quale ha il compito di fornire sistemi gestionali per le amministrazioni universitarie e lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il CINECA nasce nel 1977 per fornire a cinque università elaboratori e sistemi informatici, ma nel corso degli anni aderiscono al Consorzio 80 università, comportando una conseguente estensione delle attività a settori d'intervento diversi e su tutto il territorio nazionale fino al 2008, anno in cui assume la definizione di persona giuridica privata sottoposta alla disciplina tributaria degli enti commerciali;
   il Consorzio in questi anni si è reso protagonista di macroscopici errori e malfunzionamenti che, ad avviso degli interroganti, hanno seriamente pregiudicato il buon andamento della pubblica amministrazione e la regolarità delle attività oggetto delle inefficienze;
   tra tutte assume maggior rilievo la gestione dello svolgimento delle prove per l'accesso alle scuole di specializzazione, tenutesi tra il 28 e il 31 ottobre 2014, nella cui circostanza il CINECA, invertendo le domande da inviare ai responsabili d'aula nelle varie sedi d'esame, inficiò inevitabilmente la regolarità della prova;
   pur ammettendo pubblicamente l'irregolarità il Ministero dispose prima l'annullamento e la conseguente ripetizione delle prove oggetto dell'errore determinato dal CINECA e, solo successivamente, la convalida della prova sostenuta dai candidati, attraverso la neutralizzazione delle domande oggetto dell'inversione;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha affidato in questi anni al Consorzio interuniversitario, senza scopo di lucro, ed operante sotto il controllo dello stesso Ministero, il funzionamento dei sistemi gestionali per le amministrazioni universitarie e per lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, senza effettuare alcun bando di gara, benché in nessun modo fosse possibile, almeno ai tempi degli incarichi, inquadrare il CINECA come società in house del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, così come confermato da una recente sentenza del Consiglio di Stato;
   con la sentenza del Consiglio di Stato n. 2660 del 2015, infatti, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato accusato di aver ingiustamente affidato, nel corso degli anni, i servizi offerti dal CINECA senza alcun bando di gara, dal momento che secondo il tribunale il Consorzio interuniversitario non sarebbe configurabile come una società di diritto pubblico e, quindi, dovrebbe essere invece soggetta alla procedura dell'evidenza pubblica, nonché ai relativi bandi;
   nonostante le citate inefficienze e le irregolarità di gestione, il Ministero ha inteso inserire il CINECA tra le proprie società operanti in house, continuando ad affidare al consorzio la diretta gestione dei servizi sopra richiamati;
   con l'ordinanza ministeriale 24 febbraio 2015, n. 144, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indetto per l'anno 2015, a norma dell'articolo 1, la prima e la seconda sessione degli esami di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo;
   così come previsto dalla normativa il Ministero si è avvalso ancora una volta del Consorzio interuniversitario CINECA per la stampa, la riproduzione dei quesiti e la predisposizione dei plichi individuali contenenti il materiale relativo alle prove di esame, da distribuirsi in numero corrispondente alla stima dei partecipanti comunicata dagli atenei;
   in data 5 febbraio 2016, un articolo pubblicato sulle pagine del quotidiano consultabile online Il Fatto Quotidiano, titolava «Abilitazione medici, esami ovunque tranne che a Messina. Colpa del Miur e del solito CINECA»;
   secondo quanto riportato dall'articolo «in tutta Italia si sono svolti gli esami per ottenere l'abilitazione all'esercizio della professione, meno che a Messina: da Roma non sono arrivati il numero di plichi sufficienti», rilevando come «A fronte di 145 candidati presenti, la Commissione avrebbe trovato appena 120 plichi: un intoppo organizzativo registrato alle 08:30 di ieri mattina che ha immediatamente fatto scattare l'allarme presso il Dipartimento interessato»;
   «Un disguido tecnico», sostiene l'autore dell'articolo, che, «oltre a provocare “imbarazzo” alle istituzioni coinvolte, potrebbe arrecare serio danno ai candidati; il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca potrebbe far ripetere la prova ai soli 145 candidati messinesi, oppure potrebbe anche decidere di annullare la prova negli altri atenei e farla ripetere a tutti gli 8.000 candidati medici»;
   «il responsabile della Direzione Amministrativa Servizi Didattici, Ricerca e Alta Formazione, dottor Carmelo Trommino», conclude l'articolo, ha immediatamente allertato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il quale, «verificato l'errore del CINECA, e predisposti i necessari atti, ha rinviato le prove a data da destinarsi, affinché i candidati dell'Università degli Studi di Messina non vengano ulteriormente penalizzati rispetto ai loro colleghi»;
   a seguito di tale vicenda in data 16 febbraio 2016 veniva presentata l'interrogazione a risposta in commissione n. 5-07782 al Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca, per sapere quale fosse, a seguito dell'ennesimo errore materiale in un così breve intervallo temporale, la posizione del Ministro in riferimento al Consorzio interuniversitario CINECA, le cui adeguate capacità operative e gestionali risultavano, ad avviso degli interroganti, più verificate;
   in data 30 marzo 2016 il quotidiano consultabile online Il Fatto Quotidiano pubblicava un altro articolo relativo al Consorzio dal titolo «CINECA, al vertice un manager imputato per truffa e falso ma gradito ai renziani»;
   secondo quanto riportato dal quotidiano sarebbero in corso «scontri di potere e veleni» i quali avrebbero a oggi seriamente interessato il «super consorzio che gestisce l'informatica di Stato», tanto da condurre la precedente dirigenza all'allontanamento per presunte irregolarità;
   tuttavia, secondo quanto emerso dalla lettura dell'articolo, «il gigante dell'informatica di Stato ha designato un nuovo direttore generale, con un compenso da 240 mila euro l'anno. Si tratta di David Vannozzi, 48 anni, già membro del Cda di CINECA su indicazione del Miur. È un manager di aziende pubbliche e il suo nome dice molto sull'asse Firenze-Bologna-Brescia: a lungo è rimasto parcheggiato nella Confindustria bresciana, in attesa che venisse chiarita la sua posizione su una vicenda giudiziaria nata sull'Arno nel 2012, quando era direttore amministrativo dell'Asl di Firenze»;
   sempre secondo l'articolo «il 6 marzo scorso proprio al Tribunale di Firenze si è celebrata la prima udienza del processo che lo vede imputato per una storia di immobili acquistati dall'azienda sanitaria locale a costi e condizioni che agli inquirenti fanno ipotizzare i reati di falso in atto pubblico, truffa aggravata, abuso d'ufficio e turbativa d'asta», benché lo stesso procedimento sia destinato ad una probabile prescrizione;
   il quotidiano conclude sostenendo come «in CINECA è convinzione comune che l'outstanding per superarlo sia dovuto alla vicinanza al giglio renziano»;
   così come riportato dal sito ufficiale del CINECA in data 5 ottobre 2015 veniva pubblicato «L'avviso di conferimento di incarico per la selezione del nuovo Direttore Generale del Gruppo CINECA», il quale comunicava come «a conclusione dell'iter concorsuale relativo alla individuazione della società che dovrà occuparsi della selezione del nuovo Direttore Generale del Gruppo CINECA, lo scorso 29 settembre l'incarico per l'attività oggetto del bando è stato affidato alla ditta Praxi»;
   lo stesso CINECA, quindi, aveva deciso di individuare una società che selezionasse una risorsa quale direttore generale del Gruppo CINECA, anziché disporre una nomina diretta;
   tra i requisiti e le modalità richieste per la partecipazione alla selezione veniva richiesta alla futura società affidataria la presentazione «di una short-list di candidati, non inferiore a tre e non superiore ai cinque entro massimo 50 giorni dal mandato ricevuto»;
   dalla lettura dell'articolo citato è possibile verificare come lo stesso Vannozzi si sia adoperato affinché «si facesse la gara per il nuovo dg», al termine della quale, tuttavia, il candidato più idoneo «tra 400 papabili e cinque finalisti è proprio David Vannozzi, il consigliere che ha innescato il terremoto interno al Cineca e preteso la gara. Nulla di opaco – assicura lui – la Praxi mi ha chiesto la disponibilità e io ho accettato, dando le dimissioni il 9 di marzo»;
   ad avviso degli interroganti tale nomina rappresenta l'ennesima vicenda legata al CINECA caratterizzata da insufficienti elementi di trasparenza, assenza di pubblicità nell'iter procedurale, e causa di forti perplessità circa la sussistenza delle condizioni fiduciarie minime idonee a garantire il regolare funzionamento dell'Ente ovvero ad assicurarne la necessaria professionalità e competenza –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per verificare la possibile presenza di in merito alla trasparenza e alla gestione amministrativa del Consorzio CINECA, anche in relazione alla recente nomina del nuovi direttore Generale, ovvero quali urgenti iniziative ritenga di adottare in considerazione della periodica presenza di irregolarità che hanno originato forti perplessità in merito alla sussistenza degli elementi di comprovata professionalità in capo al Consorzio in materia di gestione di test e abilitazioni;
   se intenda con urgenza rendere pubblici i verbali e il materiale documentale relativo alla procedura selettiva, a partire sin dalla prima fase di raccolta delle candidature fino alla determinazione della short-list di candidati e alla selezione finale del soggetto vincitore, per l'assegnazione del ruolo di direttore generale del Consorzio CINECA. (4-12844)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARLONI, BOSSA, GIORGIO PICCOLO e ROSTAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda «Almaviva Contact spa» con 45.000 dipendenti, di cui 13.000 in Italia e 32.000 all'estero, rappresenta il 6o gruppo privato italiano per numero di occupati al mondo, il 3o a guida imprenditoriale, con un fatturato al 31 dicembre 2015 pari a 709 milioni di euro;
   con questi numeri, Almaviva è da oltre 20 anni il leader di mercato in Italia nell'outsourcing di servizi CRM (customer relationship management) per aziende private ed enti pubblici, potendo contare su 13 impianti nel nostro Paese;
   in data 21 marzo 2016, l'azienda ha comunicato l'avvio delle procedure di riduzione del personale, ai sensi della legge 23 luglio 1991, no 223, per 218 posizioni di lavoro cosiddette full time equivalent;
   in particolare, tale riorganizzazione aziendale potrebbe tradursi, considerato l'orario ridotto mediamente già applicato, in un esubero di circa 400 lavoratori per la sede di Napoli;
   esuberi aggravati dal fatto che la classificazione aziendale di «Almaviva Contact» non è industriale, ma relativa al settore terziario, poiché svolge attività riconducibili all'ambito dei servizi; di conseguenza, tale modifica, porrebbe i lavoratori, in caso di riduzioni del personale, nella condizione di non poter usufruire degli ammortizzatori sociali;
   tali comunicazioni hanno destato grande preoccupazione nei lavoratori, i quali hanno organizzato diverse manifestazioni di protesta, con la partecipazione anche di esponenti politici ed istituzionali delle diverse realtà eventualmente toccate da tali licenziamenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti illustrati e non ritenga opportuno impegnarsi per addivenire alla sospensione delle procedure di licenziamento già comunicate dalle aziende alle organizzazioni sindacali e ai rappresentanti dei lavoratori; se intenda assumere iniziative per l'applicazione di quanto previsto dal cosiddetto «decreto appalti» in merito alle clausole sociali; se intenda attivarsi al fine di garantire l'attivazione delle procedure utili all'ottenimento degli ammortizzatori sociali; se intenda verificare la possibilità di investimenti nell'ambito delle innovazioni tecnologiche, previste dai programmi nazionali e dal nuovo ciclo di programmazione dei fondi comunitari; se intenda adoperarsi, dunque, per una rapida risoluzione di tale crisi aziendale, affinché questa non vada ad appesantire un quadro occupazionale già in forte difficoltà, soprattutto nelle regioni meridionali, e in particolare nel napoletano. (5-08387)


   SCUVERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che nell'azienda di igiene ambientale Lomellina Energia con sede a Parona, in provincia di Pavia, è stata avviata una procedura di licenziamento collettivo per 27 degli 87 lavoratori presenti, perché considerati in esubero;
   l'azienda, di proprietà al 20 per cento di Asm Isa di Vigevano e per il resto del gruppo Lgh, e che si occupa della preselezione e termovalorizzazione di rifiuti solidi urbani e rifiuti solidi non pericolosi, sta attraversando una particolare contingenza legata anche alla scadenza naturale della convenzione Cip6/92 e alla diminuzione del prezzo dell'energia elettrica da 70 euro al MW del 2013 ai 40 di oggi;
   a parere dell'interrogante l'economia in Italia e in Europa deve intraprendere una riconversione verde, con nuovi modelli di produzione e di business, puntando sull'economia circolare; con questo modello deve confrontarsi anche la realtà in questione, mettendo in campo in tal senso soluzioni anche per la crisi in questione;
   in ogni caso, è inaccettabile che si pensi di risolvere i problemi con licenziamenti (e dietro ogni licenziamento c’è una storia di una persona e di una famiglia) senza prendere prima in considerazione altre soluzioni, come ricollocazioni in altri impianti del gruppo Lgh, di cui Lomellina Energia fa parte, o ammortizzatori sociali;
   nell'ottobre 2014, grazie al grande senso di responsabilità dei lavoratori, è stato fatto un intervento sulla contrattazione di secondo livello sull'istituto delle reperibilità, a seguito del quale il costo del personale ha subito una diminuzione del 12 per cento nel 2015, corrispondente ad una riduzione mensile di circa 300/400 euro netti in busta paga per ciascun operatore;
   è stato rideterminato, a fine 2015, il contratto sull'impatto ambientale sul territorio tra il comune di Parona e Lomellina Energia srl. Il nuovo contratto prevede uno «sconto» di un milione di euro rispetto a quello precedente;
   l'eventuale licenziamento dei 27 lavoratori dichiarati in esubero comporterebbe per Lomellina Energia un risparmio di circa 1 milione e 200 mila euro, cifra insufficiente a garantire la stabilità economica dell'azienda;
   nonostante la dichiarazione di esuberi, l'azienda ha speso circa 256.502 euro in retribuzioni straordinarie, ore di straordinario e reperibilità, nel solo 2015, a fronte di un numero di esuberi dichiarati di più del 30 per cento degli addetti;
   dalla lettera di comunicazione di avvio della procedura di licenziamento inviata dall'azienda, si evince che molte delle attività e posizioni dichiarate in esubero, 16 su 27, in realtà verrebbero date in appalto a imprese esterne;
   il costo del personale, sia in relazione al valore della produzione sia rispetto ai costi operativi totali nel 2015, è in rapporto percentuale del 12 per cento nel primo caso e dell'11,72 per cento nel secondo;
   nell'ultimo incontro del tavolo di contrattazione, tra i vertici di Lomellina Energia, la rappresentanza sindacale unitaria aziendale, le organizzazioni sindacali e Confindustria Pavia, è stato richiesto all'azienda di estrapolare dalla procedura di mobilità le 16 posizioni succitate, che potrebbero venire esternalizzare come previsto dal CCNL Fise Assoambiente del 21 marzo 2012, negli articoli 3, 6 e 8, mentre per le altre posizioni in esubero è stata chiesta la chiusura della procedura di mobilità individuando come unico criterio quello della «volontarietà» o non opposizione alla risoluzione del rapporto di lavoro con previsione di un piano di incentivo all'esodo, e ai rimanenti il ricorso al contratto di solidarietà difensivo per 24 mesi o in subordine l'attivazione di una cassa integrazione guadagni straordinaria per riorganizzazione aziendale per 12 mesi con l'impegno di attivare al termine di cassa integrazione guadagni straordinaria il contratto di solidarietà;
   il tavolo suddetto non ha portato ad alcun accordo tra le parti e i lavoratori, per la prima volta in sedici anni di attività, hanno indetto una giornata di sciopero con protesta davanti ai cancelli dell'azienda –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per promuovere, per queste realtà, modelli più avanzati di economia circolare e, frattanto, salvaguardare i livelli occupazionali nel contesto descritto in premessa. (5-08392)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   per più di nove ore le ex lavoratrici della Pap di Teramo hanno occupato la sala giunta della provincia di Teramo come forma di protesta per la tutela del loro posto di lavoro;
   le 39 addette alla distribuzione pasti rimaste dal 1o aprile 2016 senza lavoro avevano contratti con l'agenzia interinale Etjca: sono state mandate a casa alla scadenza dei contratti, in coincidenza con l'avvio del nuovo appalto della ristorazione all'interno della asl;
   nonostante i ripetuti incontri non si è arrivati finora a una soluzione;
   in una nota i sindacati sono tornati a chiedere un impegno da parte della asl e della regione Abruzzo per riaprire un tavolo istituzionale;
   secondo l'azienda la gara bandita dalla asl e le condizioni dell'appalto non consentono, al momento, la piena rioccupazione degli addetti, mentre secondo le organizzazioni sindacali potevano essere previste scelte che garantivano la riassunzione di tutte le lavoratrici –:
   se non intenda verificare, per quanto di competenza, che tutte le procedure siano state correttamente seguite e se non intenda assumere iniziative per individuare eventuali soluzioni che portino alla piena occupazione delle ex lavoratrici garantendo nel contempo una corretta erogazione del servizio mensa. (4-12816)


   GIULIETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli anni e, in particolare, in questi ultimi anni il mondo delle cooperative ha subito stravolgimenti che sono anche venuti alla luce in seguito ai tristi accadimenti giudiziari che sono solo la punta dell’iceberg di un sostrato pervasivo e generalizzato che ha visto l'entità cooperativistica svilupparsi dando forma a dei fenomeni involutivi che hanno portato a dubitare fortemente che la mutualità e la solidarietà, intrinseca nei principi statutari delle cooperative, siano ancora il motore che anima i soci lavoratori, coloro che dovrebbero perseguire uno scopo condiviso e che dovrebbero portare al soddisfacimento del socio stesso e al miglioramento delle sue condizioni di vita sia lavorativa che personale;
   questa involuzione ha creato malessere fra chi, con spirito solidale, aderiva a questo patto sociale favorendo una sleale concorrenza fra le società che concorrono nell'aggiudicazione degli appalti perseguendo come unico obiettivo il fatturato e la riduzione dei costi del committente. Allo stesso tempo, l'involuzione è andata a discapito dei valori fondanti di questa espressione sociale penalizzando il servizio stesso, perché percepito solo come un mezzo per garantirsi la sopravvivenza. Le cooperative e i loro consorzi che stanno «aggredendo» il mercato e che, in alcuni casi, sono riuscite a portare il libro soci a numeri quantitativamente esorbitanti, non garantiscono più la vera partecipazione di tutta la base sociale nelle riunioni assembleari e tantomeno riescono a esercitare la giusta dose di democrazia visto che preferiscono costituire delle tecnostrutture ramificate per velocizzare i lavori decisionali (che non sempre porta a decisioni che vanno a favore del socio) e questo non può dare la possibilità a tutti i soci-lavoratori di essere fautori della propria vita, una vita dignitosa, libera e consapevole. Nella maggior parte dei casi si assiste a processi che vengono subiti dai soci stessi più che gestiti. A testimonianza di ciò ci sono i vari regolamenti interni e le varie delibere dei consigli di amministrazione che determinano sempre regole diverse che la cooperativa adotta per la gestione politica e tecnica del personale, spesso passando attraverso assemblee semi deserte o, anche se partecipate, costituite dalla maggioranza dei soci accondiscendenti e da una minoranza non adeguatamente informata quindi incapace di capire integralmente quanto viene chiesto di approvare e di opporsi –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per rivedere il contenuto della mutualità nelle cooperative e il contenuto della partecipazione e soprattutto dare finalmente attuazione all'articolo 7 (vigilanza) della legge n. 142 del 2001 e applicare la normativa sugli osservatori, considerato che quest'ultimi sono fondamentali per un controllo capillare/territoriale da parte delle istituzioni che orbitano intorno al mondo della cooperazione, cosicché i soci-lavoratori possano far maturare la forza di essere rappresentati da tutte le organizzazioni che hanno il compito di tutelare i loro diritti;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per rivedere la normativa prevedendo l'abrogazione dell'articolo 9 delle legge del 14 febbraio 2003, n. 30, che, modificando l'articolo 6 della legge n. 142 del 2001, permette ai regolamenti interni di derogare in pejus i diritti dei soci-lavoratori sanciti dal contratto collettivo nazionale di riferimento richiamato dal regolamento stesso;
   se il Governo intenda assumere iniziative anche per la definizione di una chiara e precisa normativa che stabilisca quali siano gli ambiti in cui si deve operare quando si decide di regolamentare l'aspetto societario e quando invece quello lavorativo, tenendo così separate le due parti per evitare sovrapposizioni e delegittimazioni, perché, se è giusto che il contratto collettivo nazionale (e quindi gli accordi sindacali) non interferisca con le materie societarie, d'altro canto, non è accettabile che i regolamenti (atto principe societario) intervengano per disciplinare i rapporti di lavoro. (4-12817)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o luglio 2015 è in vigore la riforma del DURC (documento unico di regolarità contributiva), per la procedura di verifica e rilascio – online e in tempo reale – del certificato unico che attesta la regolarità di un'impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa vigente, nei confronti di INPS, INAIL e Casse Edili;
   il durc viene richiesto per tutti gli appalti e subappalti pubblici, siano essi appalti di lavori pubblici che di servizi e forniture, per la verifica dei requisiti per la partecipazione alle gare, per l'aggiudicazione dell'appalto, la stipula del contratto, il pagamento degli stati d'avanzamento lavori e delle fatture, per le liquidazioni finali, per i lavori privati soggetti al rilascio della concessione edilizia o alla dichiarazione di inizio attività, per le attestazioni SOA, per l'assegnazione di agevolazioni, finanziamenti e convenzioni ove previsto da specifiche normative;
   con la nuova procedura la richiesta del durc deve essere effettuata dalle imprese e dagli intermediari per via telematica tramite il sito dello sportello unico previdenziale attraverso i portali di INAIL o INPS;
   dall'avvio della procedura, come ripetutamente segnalato dai consulenti del lavoro all'INPS, per problematiche relative agli archivi, accade spesso che le aziende risultino irregolari anche a fronte di versamenti frazionati, oppure se il pagamento del debito è stato effettuato presso il concessionario della riscossione, o ancora se si è fatto ricorso alla rateizzazione del pagamento in sede amministrativa o con il concessionario (opzione quest'ultima che secondo i consulenti è stata scelta da oltre la metà delle aziende). Di fatto, l'INPS segnala posizioni d'irregolarità non corrispondenti con la realtà della posizione aziendale, bloccando ingiustamente le attività per le quali è necessario il durc per anomalie non dipendenti dalle imprese bensì dal sistema telematico non funzionante;
   a questo si aggiunge il malfunzionamento costante e ripetuto del «cassetto» previdenziale, unico strumento di interlocuzione tra gli intermediari, le imprese e l'INPS, che rende difficoltosa se non impossibile la comunicazione con l'Istituto. Il comunicato stampa diffuso dai consulenti del lavoro negli ultimi giorni lamenta che nonostante le proteste e sollecitazioni inviate dagli stessi all'INPS, il cassetto previdenziale è ancora bloccato. È impossibile quindi interloquire per il rilascio del durc e chiedere i codici di autorizzazione necessari alla corretta gestione del rapporto tra imprese ed istituto;
   la crisi economica e sociale impone delle precisazioni e risposte immediate alle imprese, poiché la difficoltà riscontrata nell'operatività del durc, di fatto blocca le attività economiche;
   le istruzioni operative del sistema ancora sono sospese: codice di esclusione del ticket licenziamenti; edilizia e cambi di appalto; procedura di sgravio per disabili; procedura per il bonus occupazionale garanzia giovani; part-time e pensionamento –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga – in considerazione del fatto che il sistema informativo per l'ottenimento in via telematica del durc, da parte delle imprese risulta essere malfunzionante – di avviare un sistema con deposito diretto del durc presso gli sportelli dell'INPS al fine di evitare che tali disguidi creino disagi e compromettano l'attività delle imprese;
   se non ritenga di dover acquisire chiarimenti dalla direzione generale dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, anche alla luce delle proteste di imprese e consulenti del lavoro che reclamano l'impossibilità di accedere al cassetto previdenziale – unica finestra per comunicare con le sedi dell'INPS, in quanto risulta essere bloccato;
   se non ritenga di dover chiarire come l'INPS intenda rendere agevole ed efficace il servizio all'utenza – esclusivamente telematico – su cui indirizzare i rapporti fra utenza e sedi periferiche anche riguardo al durc;
   quali siano le modalità di fornitura e manutenzione dei sistemi telematici dell'INPS e, nel caso questi siano esternalizzati, quale sia il costo di tali servizi e se l'esternalizzazione abbia di fatto consentito una riduzione dei costi e un miglioramento (non registrato dai fruitori del sito) dei servizi. (4-12818)


   BARGERO, BOCCUZZI, GIACOBBE, GNECCHI e DAMIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto), prevede benefici previdenziali «per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni», stabilendo che l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche per il coefficiente di 1,25;
   nella legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190, articolo 1, commi 115, 116, 117) e nella legge di stabilità per il 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) sono state introdotte ulteriori norme destinate a particolari situazioni e condizioni di esposizione all'amianto, in relazione alle quali sono in corso di predisposizione da parte dei Ministeri competenti le norme applicative, nonché l'estensione in via sperimentale delle prestazioni, per gli anni 2015, 2016 e 2017, del fondo per le vittime dell'amianto di cui all'articolo 1, comma 241, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ai malati di mesotelioma che abbiano contratto la patologia, o per esposizione familiare a lavoratori impiegati nella lavorazione dell'amianto ovvero per esposizione ambientale comprovata (la cosiddetta «una tantum non professionale»);
   il fondo per le vittime dell'amianto di cui all'articolo 1, comma 241, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, istituito presso l'INAIL, dopo le recenti innovazioni normative eroga, dunque:
    una prestazione economica aggiuntiva ai lavoratori titolari di rendita ovvero ai familiari dei lavoratori vittime dell'amianto;
    una prestazione economica una tantum ex articolo 1, comma 116, della legge stabilità 2015 fissata nella misura di 5.600 per le vittime dell'amianto, su istanza degli aventi diritto; per coloro che siano deceduti nel corso dell'anno 2015 possono essere erogate agli eredi;
   nel 2016 le somme da erogare riguardano il conguaglio 2014, il primo e secondo acconto 2015 e il primo acconto 2016, per un totale di 51.333.000 euro;
    la prestazione una tantum non professionale è prevista essere di 28.783.164 euro per il triennio 2015/2017 a fronte di una platea di 5140 beneficiari;
   il gettito del Fondo è pari a circa 29 milioni di euro, costanti; la platea dei beneficiari è invece in progressivo aumento: dal 2007 ad oggi è cresciuta di circa 5000 unità; oggi si attesta sulle 18.000 unità e per il 2022 si calcola che raggiungerà oltre 26.200 unità;
   la possibilità di riutilizzare le risorse residue degli anni precedenti è venuta meno a partire dal 2014. Questo determina il fatto che la «prestazione aggiuntiva» destinata ai lavoratori titolari di rendita, ovvero ai familiari dei lavoratori vittime dell'amianto, abbia, ed avrà in futuro, valori fortemente decrescenti (dal 18 per cento del 2012 al 6/7 per cento del 2020);
   negli ultimi anni si è assistito alla emanazione di una serie provvedimenti riguardanti le tutele agli esposti e alle vittime dell'amianto, che suggerisce l'opportunità di una migliore messa a sistema di tali interventi;
   è previsto che gli esiti sulla salute e sulla vita delle persone che sono state esposte si manifesteranno in misura crescente nei prossimi anni, con un picco attorno agli anni 2020-2021 –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative per:
    a) predisporre un testo unico delle norme riguardanti le diverse problematiche connesse agli effetti della esposizione all'amianto, come del resto evidenziato in occasione dell'Assemblea nazionale sull'amianto tenutasi in Senato il 30 novembre 2015, promossa dalla Commissione d'inchiesta sugli infortuni del lavoro e sulle malattie professionali;
    b) prevedere l'istituzione di un fondo a favore delle vittime civili che eroghi prestazioni economiche alle famiglie delle vittime dell'esposizione all'amianto, in via continuativa;
    c) finanziare i costi relativi ai fondi per l'esposizione all'amianto prendendo come riferimento la normativa francese tenendo conto che il Fiva francese ammonta a circa 500 milioni di euro l'anno coperti per il 90 per cento dalla Cassa per l'assicurazione delle malattie professionali de la Securité sociale – finanziata dagli imprenditori – e per la restante parte dallo Stato;
    d) convocare un tavolo di coordinamento presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con INAIL, INPS, organizzazioni sindacali e associazioni che rappresentano gli esposti e i familiari delle vittime. (4-12828)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, PIRAS, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, ZARATTI, NICCHI, COSTANTINO e QUARANTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'economia e delle finanze ha reso noti i dati relativi ai redditi Irpef 2014, presenti nelle dichiarazioni del 2015;
   dai dati è emerso come il reddito medio dei residenti nella regione Marche ammonta a 18.333 euro a fronte di una media nazionale superiore di 1.400 euro;
   dai dati forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze le Marche si attestano come la regione più povera del centro-nord Italia;
   il segretario della CGIL Marche Roberto Ghiselli ha commentato i dati ribadendo la debolezza del sistema economico regionale, dovuta sopratutto ad un prolungato periodo di crisi economica che dura, oramai, da otto anni (agenzia Dire, 11 aprile 2016);
   i redditi dei residenti nelle Marche risultano essere inferiori alla media nazionale in tutte le tipologie di reddito, dal lavoro dipendente (18.795 euro contro 20.516 euro) a quello autonomo (33.326 euro contro 35.579). Si differenzia dalla generale statistica negativa, il reddito d'impresa, che risulta essere di poco superiore a quello nazionale (18.573 euro contro 18.251 euro);
   il dato rispecchia una situazione generale di arretramento delle condizioni economiche della regione, più volte segnalata dall'interrogante –:
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di stimolare la ripresa economica nella regione Marche. (4-12831)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROMANINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 296 del 27 dicembre 2006, all'articolo 1 comma 1047, ha demandato all'Ispettorato centrale repressione frodi, contestualmente rinominato «Ispettorato centrale per il controllo della qualità dei prodotti agroalimentari» (ICQRF) e istituito struttura dipartimentale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le funzioni statali di vigilanza sull'attività di controllo degli organismi pubblici e privati nell'ambito dei regimi di produzioni agroalimentari di qualità registrata;
   il decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 16 febbraio 2012 «Sistema nazionale di vigilanza sugli organismi di controllo delle produzioni agroalimentari regolamentate» ha attribuito all'ICQRF il compito di valutare l'efficacia e l'efficienza dei sistemi di controllo in seno agli organi accreditati e autorizzati al rispetto della normativa e delle procedure previste per le attività agroalimentari (biologico e dop/igp), nell'ambito del sistema dei controlli ufficiali disciplinati dal regolamento Ce 882/2004;
   sulla base di quanto riportato nel «report attività» dell'ICQRF, nel corso del 2015, l'Ispettorato ha svolto 36.864 controlli ispettivi a cui sono seguite 255 notizie di reato, oltre 4.000 contestazioni amministrative e 676 sequestri per un ammontare totale di oltre 68 milioni di euro;
   l'articolo 2 del sopraccitato decreto ministeriale, «fermo restando le competenze dell'Ispettorato (ICQRF)» attribuisce lamentata ricadenti nel territorio di propria competenza» ed inoltre sancisce che alle regioni lo svolgimento di «attività di vigilanza sulle produzioni di qualità regolamentata ricadenti nel territorio di propria competenza» ed inoltre sancisce che «Le Regioni con l'Ispettorato programmano, svolgono e monitorano l'attività di vigilanza assicurando tra loro il coordinamento e la cooperazione»;
   tale dicotomia che vede l'attribuzione tanto all'ICQRF quanto alle regioni dello svolgimento di operazioni di vigilanza sugli organi di controllo, sancisce una non chiara definizione di quei ruoli, compiti e competenze che pure avrebbero dovuto essere esplicitati e chiarificati nella legge stessa. Sono state solamente adottate alcune linee guida che tuttavia non sono mai state formalizzate e che sono quindi passibili di molteplici interpretazioni;
   tale situazione di totale indipendenza in cui ispettorato e regioni assolvono al proprio compito sta determinando situazioni di incoerenza e non univocità di intenti e comportamenti e creando le condizioni per duplici ispezioni nei confronti delle realtà vigilate. La mancanza di coordinamento tra i due organi sono inevitabilmente causa di sprechi di risorse umane ed economiche e rendono difficoltoso l'operato degli organi delegati al controllo;
   oltre ad assicurare il necessario coordinamento tra l'attività dell'Ispettorato e quella delle regioni, sarebbe necessario riorganizzare l'attività ispettiva dello stesso ICQRF attraverso l'emanazione di «linee guida», mai ufficialmente formalizzate, con un documento di legge e quindi mai diventate patrimonio comune sia del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che delle regioni;
   allo stesso modo, in attesa della definitiva operatività del RUC – registro unico dei controlli pensato proprio per rendere consultabili le informazioni ed evitare inutili ispezioni, sarebbe opportuno razionalizzare il sistema delle banche dati che, pur rappresentando un importante fonte di informazione per gli organi ispettivi e per le loro attività, talvolta rappresentano archivi di informazioni difficilmente consultabili ed elaborabili e diventano pertanto un ulteriore e inutile onere per chi le implementa;
   lo stesso Comitato nazionale vigilanza che avrebbe dovuto avere mansioni di programmazione e coordinamento e dettare le linee comportamentali e programmatorie delle operazioni di ispezione, di fatto rappresenta una realtà poco «presente» le cui funzioni rimangono troppo vaghe e indefinite per rappresentare una valida guida per gli uffici a lui referenti;
   in questo panorama di competenze e compiti inattesi o, quando peggio, sovrapposti manca uno strumento fondamentale, come una efficace normativa sanzionatoria (relativa, ad esempio all'agricoltura biologica) che quindi rende poco incisivo il lavoro degli organi istituzionali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e se non ritenga utile farsi promotore, con finalità di semplificazione, sburocratizzazione e riduzione delle duplicazioni, di una revisione organica delle normative in materia di controllo di qualità dei prodotti agroalimentari, definendo in modo chiaro ed inequivocabile il riparto delle competenze e dei ruoli dei vari organismi ad esso preposti, riorganizzando le strutture di pertinenza del Ministero e implementando un'efficace disciplina sanzionatoria che consenta di rendere maggiormente incisiva l'attività ispettiva degli organi di controllo e ridurre così duplicazioni e ridondanze che sono vissute dal sistema della imprese come inutili quanto costose vessazioni. (5-08389)

Interrogazione a risposta scritta:


   MATARRELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nonostante le criticità segnalate dai Paesi produttori, in particolare Italia e Grecia, il Consiglio agricoltura dell'Unione europea ha approvato l'aumento di 35 mila tonnellate, sia nel 2016 che nel 2017, dei contingenti di olio d'oliva tunisino ammessi nell'Unione europea a dazio zero;
   la misura, proposta dalla Commissione per sostenere la Tunisia dopo gli attacchi terroristici del 2015, è priva di una valutazione d'impatto e rischia di penalizzare fortemente l'olivicoltura europea, in particolare quella domestica, considerando altresì che con il provvedimento si impone al settore agricolo un peso che compete ad altre politiche –:
   quali ulteriori iniziative intenda assumere al fine di evitare che il settore olivicolo oleario, concentrato nelle aziende olivicole nelle regioni del Sud Italia, già pesantemente penalizzato dalla crisi economica in atto, non perda la capacità di favorire la vitalità economica, in particolare delle aree rurali ancor più svantaggiate. (4-12824)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra il 12 e il 13 novembre 2015, il gruppo di audit del Ministero della salute, si è recato presso gli uffici della regione Veneto per svolgere un «audit di sistema» sul sistema regionale di prevenzione in sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria (SPVeSA), ed in particolare sui criteri operativi previsti dal regolamento 882/04, concernente l'organizzazione del controllo ufficiale in sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria, nonché il grado di utilizzo degli strumenti di governo del sistema sanitario nazionale (programmazione, management della dirigenza sanitaria, e altro) nel medesimo ambito, previsti dalle norme quadro di riferimento: legge 833 del 1978 e decreto legislativo 502 del 1992 e successive modificazioni;
   lo scopo dell'audit è stato quello di verificare le criticità di settore tenendo conto anche delle altre misure adottate a sostegno del sistema di gestione del servizio sanitario regionale quali, ad esempio, piani di azione conseguenti dagli uffici del Ministero, progressi nell'attuazione dell'accordo Stato-regioni del 7 febbraio 2013 relativo al funzionamento e miglioramento delle AC, risultanze dell'attuazione degli eventuali programmi operativi 2013-2015, per la parte di competenza alimentare e veterinaria, qualora applicabile, ed eventuali variazioni nell'organizzazione ed eventuali modifiche degli assetti regionali e territoriali;
   dal report pubblicato da Ministero della salute – Direzione Generale Per l'Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione emerge quanto segue:
    a) inadeguatezza numerica del personale a livello locale; b) carenze nella definizione di compiti, obiettivi e responsabilità del personale della struttura regionale competente in SPVeSA o tra Autorità; c) inadeguatezza delle risorse strumentali per l'effettuazione dei controlli ufficiali a locale e a livello regionale; d) mancata predisposizione di procedure per la gestione dei conflitti di interesse; e) carenze relative alle anagrafi per il controllo ufficiale, alla registrazione e riconoscimento degli stabilimenti e all'aggiornamento delle anagrafi animali; f) carente disponibilità o aggiornamento o alimentazione o disallineamento o non completo utilizzo dei sistemi informativi per la raccolta e rendicontazione dei dati relativi ai controlli ufficiali; g) carenze nel coordinamento e cooperazione tra autorità competente regionale e altri enti o e tra servizi della medesima ASL che eseguono il controllo ufficiale; h) carenze nella categorizzazione degli stabilimenti in base al rischio; i) carenze nella programmazione dei controlli, nella definizione delle frequenze dei controlli ufficiali e/o nella programmazione dei controlli basata sul rischio; j) carenze nella emanazione, aggiornamento e/o completezza e coerenza delle procedure documentate per effettuare alcuni controlli specifici; k) carenze nella esecuzione dei controlli ufficiali in alcuni ambiti specifici e nella loro efficacia ed appropriatezza; l) carente effettuazione di audit su OSA; m) carenze nella gestione delle non conformità da parte degli operatori del controllo ufficiale; n) carenze nella verifica dell'efficacia dei controlli ufficiali a livello regionale ed aziendale; o) assenza di attività di audit in alcuni settori specifici della regione sulle o nella predisposizione dei piani d'azione da parte delle ASL alla luce dei risultati degli audit; p) necessità di rafforzare la formazione mirata;
   si apprende dal report che alcune delle suddette carenze o criticità sono in parte risolte, o in avanzamento del processo di soluzione, mentre per altre non vi è ancora stato effettuato uno studio o verifica;
   fanno parte di quest'ultima categoria la carenza dovuta all'inadeguatezza numerica del personale a livello locale e l'inadeguatezza delle risorse strumentali per l'effettuazione dei controlli ufficiali a locale e a livello regionale;
   va tenuto conto degli standard di funzionamento previsti dalle linee guida contenute dall'accordo siglato il 7 febbraio 2013 concernente il funzionamento ed il miglioramento dell'attività di controllo ufficiale da parte del Ministero della salute, delle regioni e province autonome e delle asl in materia di sicurezza degli alimenti e sanità pubblica veterinaria e delle inadempienze rilevate alla regione Veneto –:
   quale sia, dai dati in possesso del Ministro interrogato il numero del personale veterinario dipendente pubblico o convenzionato distribuito per singola regione al fine di poter valutare effettivamente il fabbisogno di veterinari nella regione Veneto e di effettuare un confronto con le altre realtà regionali.
(5-08398)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dopo cinquanta anni di studi da parte della maggior parte delle case farmaceutiche italiane e straniere, si evidenzia che i due farmaci contro la tubercolosi, i primi realizzati, sono accessibili solo al 2 per cento dei 150.000 pazienti che ne avrebbero bisogno, in teoria solo dopo due anni dalla loro approvazione condizionata dalle asl;
   numerose associazioni mediche che utilizzano questi farmaci hanno constatato che l'utilizzo delle nuove molecole denominate «bedaquiline» in terapia combinata con farmaci di nuovo impiego «rivisitati» — ossia non commercializzati in modo specifico per la terapia della tubercolosi ma che hanno mostrato una certa efficacia nel trattamento della malattia — permettono di avere risultati positivi sulla salute delle persone affette da tubercolosi resistente ai farmaci;
   molti medici specialistici, asseriscono che c’è un urgente bisogno di migliorare l'accesso a questi farmaci più efficaci, rendendoli più accessibili e disponibili;
   parecchie industrie farmaceutiche asseriscono che «Il potenziale di questi farmaci sono concreti: abbiamo visto pazienti affetti da tubercolosi multi resistente uscire con le proprie gambe dall'ospedale»;
   il dottor Yoseph Tassew, coordinatore medico specialistico in Russia, dichiara che senza queste cure sarebbero decedute milioni di persone malate di tubercolosi;
   dopo mezzo secolo di attesa è frustrante avere finalmente dei nuovi farmaci contro la tubercolosi in grado di salvare vite a pazienti più gravi, ma non essere in grado di offrire questa opportunità a tutti coloro che ne hanno immediato bisogno;
   i progetti di tanti medici specialistici mondiali rappresentano l'unica possibilità di accedere al trattamento con «delamanid» in Russia;
   è necessario che le aziende e i Paesi europei lavorino per assicurare a un ampio numero di pazienti l'accesso a questi farmaci;
   nei progetti attualmente in uso in Russia (Cecenia) e Armenia, il 75 per cento e l'80 per cento delle persone che hanno ricevuto una cura «rinforzata» con «bedaquiline e delamanid» dopo sei mesi non hanno manifestato più i segni della malattia, dato valutato sul tasso di conversione della coltura. Questo dimostra che un numero significativamente maggiore di pazienti affetti da forme farmaco resistente potrebbe completare con successo la terapia raggiungendo tassi di guarigione superiori a quelli con gli attuali regimi che si fermano al 50 per cento;
   molte organizzazioni non governative stanno curando alcune delle poche persone fortunate in Sud Africa — e in effetti del mondo intero — che hanno l'opportunità di aver accesso ai protocolli di cura con bedaquiline e il delamanid, spiega il dottor Jennifer Hugues, che lavora con MSF in Sud Africa;
   il Sud Africa è uno dei paesi leader nell'accesso ai nuovi farmaci: 1.750 pazienti hanno avuto accesso alla bedaquiline dal 2013. Pochi attori, incluso MSF, stanno somministrando il delamanid a uso compassionevole a un piccolo gruppo di pazienti affetti da tubercolosi resistente, che non avrebbero altre opzioni terapeutiche;
   il delamanid non sarà disponibile finché non sarà registrato. Nonostante qualche progresso, tutti i pazienti con tubercolosi resistente ai farmaci potrebbero beneficiare di cure migliori, ma l'accesso a questi nuovi farmaci non è garantito ovunque;
   questi farmaci sono raccomandati dall'Organizzazione mondiale della sanità. Per migliorarne l'accesso, Jansenn e Otsuka dovrebbero dare la priorità alla registrazione dei farmaci nei Paesi con un ampio numero di persone affette da tubercolosi, in modo che possano essere utilizzati rapidamente e dovrebbero proporre dei prezzi accessibili ai Paesi in via di sviluppo e con alti tassi di tubercolosi. I Paesi dovrebbero rapidamente includere i due nuovi farmaci nei loro protocolli nazionali di cura e, in attesa della registrazione, concedere delle autorizzazioni temporanee d'importazione;
   MSF oggi pubblica la quarta edizione di «Farmaci per la tubercolosi multiresistente al microscopio», un rapporto che analizza le barriere e i fattori che impediscono l'accesso alle cure contro la tubercolosi multiresistente. Il rapporto mostra che le cure contro la tubercolosi multiresistente più utilizzati finora costano tra i 1.800 e i 4.600 dollari a paziente senza contare i nuovi farmaci o i farmaci di nuovo impiego «rivisitati» che potrebbero migliorarne l'efficacia. Questo costo è nettamente inferiore rispetto a quello della prima edizione del rapporto MSF nel 2011, quando le stesse cure costavano tra i 4.400 e i 9.000 dollari a persona;
   tuttavia, l'aggiunta di nuovi e rivisitati farmaci antitubercolari, che permetterebbe una maggiore tolleranza ed efficacia delle cure, potrebbe purtroppo far aumentare il prezzo;
   il prezzo del delamanid è arrivato a 1.700 dollari a persona per ciclo di terapia nei Paesi in via di sviluppo. Se una parte dei pazienti nei Paesi più poveri può ricevere la bedaquilina attraverso un programma di donazione, altri Paesi a medio reddito, pertanto al di fuori del programma di donazione, potrebbero pagare fino a 3.000 dollari –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare, posto che la tubercolosi è curabile ma risulta ad oggi la malattia infettiva che uccide il maggior numero di persone al mondo, affinché ci siano cure più tollerabili dai pazienti e più efficaci, disponibili e accessibili per prezzo, altrimenti, come al solito, saranno percorse strade senza uscita. (4-12825)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la collaborazione tra il servizio sanitario nazionale e le facoltà di medicina è disciplinata dalla normativa statuale, il decreto legislativo n. 517 del 1999 «Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell'articolo 6 della Legge 30 novembre 1998, n. 419» e il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 maggio 2001, che prevede la stipula di specifici protocolli d'intesa tra regioni e università;
   in base alla citata legge, l'attività assistenziale è svolta dall'università solo in quanto necessaria ai suoi compiti istituzionali di didattica e ricerca, mentre la funzione di assicurare l'assistenza in base ai bisogni della popolazione è competenza esclusiva della regione;
   la citata vigente normativa definisce quali devono essere le strutture nelle quali realizzare la collaborazione fra servizio sanitario regionale e università, nonché i parametri per l'individuazione delle attività e delle strutture assistenziali complesse funzionali alle esigenze e di didattica e di ricerca;
   la regione e l'università, nel protocollo d'intesa, non devono condividere pariteticamente le regole per la gestione in comune dell'intero servizio sanitario regionale, ma concordare solo la regolamentazione di quella quota di assistenza che è necessaria all'università per le sue funzioni istituzionali;
   il 19 febbraio 2016 è stato approvato, in via preliminare, con delibera della giunta regionale 251 del 2016, un protocollo d'intesa tra la regione Friuli Venezia Giulia e le università di Trieste e di Udine;
   nel protocollo d'intesa in parola si delinea, a parere dell'interrogante, in difformità alla legge, una sorta di co-gestione del servizio sanitario regionale fra università e regione, estendendo il controllo e l'influenza di quest'ultima, potenzialmente a tutte le strutture sanitarie del Friuli Venezia Giulia, con il serio rischio di far dipendere l'assistenza sanitaria pubblica, da un'istituzione caratterizzata da un'altra mission e altri interessi e, per quel che riguarda la pratica assistenziale, da costi maggiori;
   l'interrogante rileva, inoltre, l'omissione di ogni indicazione di criteri espliciti, riferiti a parametri e volumi di attività necessari all'università per effettuare didattica e ricerca, che renda trasparente la decisione di riservare all'università la direzione delle singole strutture elencate nelle tabelle allegate al protocollo, secondo l'interrogante, in palese contrasto con quanto stabilito dalla legge;
   tale gestione in comune appare, secondo l'interrogante, fortemente sbilanciata a favore dell'università, perché nel protocollo d'intesa vi sono numerosi elementi posti a garanzia dell'attività scientifica e didattica dell'università stessa o degli interessi di quest'ultima, e pochi o nessuno in grado di assicurare che l'assistenza necessaria ai cittadini non ne venga compromessa;
   si deve anche tener conto dell'evidente sbilanciamento a favore dell'università per quanto riguarda la gestione del personale, poiché:
    il numero di strutture la cui conduzione è riservata, temporaneamente o definitivamente, all'università (a Trieste 25 strutture pari al 58 per cento, a Udine 22 strutture pari al 43 per cento, più di un terzo a Udine) è, a parere dell'interrogante, del tutto sproporzionato in eccesso rispetto al numero di medici universitari e ospedalieri presenti (gli universitari, sono 55 su 500 a Trieste e 56 su 645 a Udine, rispettivamente 11 per cento e 8,7 per cento);
    sono numerose le possibilità previste per affidare «temporaneamente» (ma potrebbe facilmente voler dire 20-30 anni) una struttura ospedaliera a un universitario, mentre il caso contrario, anche se teoricamente previsto, sembra molto improbabile, e in ogni caso solo per rinuncia o impossibilità dell'università;
   ad ulteriore riprova dello sbilanciamento a favore dell'università, si evidenzia che, nel protocollo di intesa non sembra esservi alcun accenno al ruolo rilevante previsto per legge (articoli 6, commi 2 e 3, e 16-sexies del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni, e, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 maggio 2001, articolo 7), delle strutture del servizio sanitario regionale nella formazione specialistica (e delle professioni sanitarie), che invece dovrebbe esservi disciplinato;
   quanto fin qui rappresentato, oltre a costituire un iniquo trattamento verso i medici ospedalieri, che si occupano costantemente di tutelare la salute dei cittadini, azzererebbe in pratica ogni possibilità di valorizzazione professionale per i medici ospedalieri, per cui i professionisti più validi sarebbero indotti a cercare migliori opportunità fuori regione, a scapito della qualità dell'assistenza sanitaria pubblica;
   a parere dell'interrogante, il protocollo d'intesa tra la regione Friuli Venezia Giulia e le università di Trieste e di Udine risulta viziato per molteplici profili, come riscontrabile dall'esame dettagliato dei singoli articoli del protocollo in parola;
   appare, a giudizio dell'interrogante, pericolosa per i livelli di assistenza la previsione del governo del sistema sanitario di un'intera regione in co-gestione con l'università;
   sembra quanto meno inopportuna, per il buon andamento delle finanze regionali, l'espansione, seppur potenziale, di strutture a direzione universitaria in tutte le aziende sanitarie di un'intera regione;
   appare altresì ingiusto il trattamento che verrebbe riservato ai medici ospedalieri di un'intera regione, in posizione subordinata rispetto alla componente universitaria –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, se risultino casi analoghi di governo del sistema sanitario di un'intera regione in cogestione con l'università e se intendano assumere iniziative normative volte a implementare la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 517 del 1999 e dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 maggio 2001 per evitare criticità e anomalie come quelle derivanti dal protocollo di intesa tra regione Friuli Venezia Giulia e università di Trieste e Udine, a difesa della salute dei cittadini e a salvaguardia degli interessi legittimi dei medici ospedalieri e, quindi, a tutela dell'intero sistema sanitario pubblico. (4-12832)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è determinante difendere e valorizzare i negozi sotto casa, schiacciati negli ultimi due decenni dai supermercati e dai centri commerciali che comunque oggi rappresentano un modello inadeguato sotto il profilo economico e sociale. Nei comuni montani, il negozio è un ancoraggio della comunità, luogo di aggregazione prima ancora che di acquisto, punto multifunzionale dove comprare alimentari, frutta, verdura, prosciutto e formaggi, biscotti e succhi di frutta, poi sigarette e giornali, punto dove matura la comunità. Si rivelano, in diverse porzioni delle Alpi e degli Appennini, nuove scelte di giovani e non solo che decidono di aprire imprese, negozi, avviare start up, newco e partite iva – in particolare nei settori del turismo, della green-economy, dei servizi innovativi, dell’information and communication technology – credendo nel rilancio del territorio montano, luogo della «libertà» e della ricerca. Le loro storie, riprese molto spesso sui media, sono di stimolo affinché si moltiplichino le scelte di chi «ritorna» e di chi vuole far innovazione;
   servono scelte politiche chiare per la difesa dei negozi e delle botteghe di paese, ma anche una diversa consapevolezza da parte della comunità che vive su un territorio. Salvare i piccoli negozi dei comuni di montagna passa dalla nuova consapevolezza e dalle nuove scelte culturali di chi vive e frequenta la montagna: «no» al panino e all'acqua minerale portata da casa, «sì» all'acquisto nella bottega prima dell'escursione o della giornata sulla neve. Occorre individuare misure fiscali vantaggiose per esercizi commerciali e imprese presenti nelle aree montane e interne del Paese, così da compensare il naturale svantaggio geografico e territoriale, colmando un gap che si rischia di avere conseguenze dirette molto negative con nuovo abbandono dei territori e aumento della povertà;
   a tal fine, è stata presentata la proposta di legge C65, già depositata in Parlamento, recante misure per i comuni con meno di 5000 abitanti e le aree montane, ove sono previsti i «centri multifunzionali nei quali concentrare la fornitura di una pluralità di servizi, in materia ambientale, sociale, energetica, scolastica, postale, artigianale, turistica, commerciale, di comunicazione e sicurezza, nonché lo svolgimento di attività di volontariato e associazionismo culturale»  –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda mettere in atto per garantire sgravi fiscali e minor carico burocratico per chi possiede un negozio in un comune montano, per chi avvia un'attività nelle terre alte, per chi vuole potenziare una piccola impresa, per chi apre una partita iva;
   se si intendano assumere iniziative per prevedere opportune «zone a fiscalità di vantaggio» anche all'interno della strategia nazionale per le aree interne e incentivare i centri multifunzionali, «negozi che vendono prodotti e allo stesso tempo svolgono dei servizi», d'intesa anche con associazioni locali presenti nei piccoli comuni, quali ad esempio le pro loco e i gruppi dell'Associazione nazionale alpini;
   quali iniziative di competenza intendano assumere per favorire l’e-commerce con corsi di formazione specifici, in accordo con le associazioni di categoria, rivolti ai piccoli commercianti e produttori agricoli delle aree montane, evidenziando l'importanza della vendita on line dei loro prodotti, nuovo canale per aumentare il fatturato. (3-02184)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 20.15, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, all'articolo 10, prevede una delega legislativa per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica e il riordino delle disposizioni legislative che attualmente regolano la materia;
   dalla riorganizzazione deriverebbe un taglio delle sedi delle camere di commercio e la riduzione a un massimo di 60 sedi delle citate camere; il taglio delle sedi potrebbe produrre una riduzione del personale del 15 per cento, che potrebbe salire al 25 per cento, del personale una volta che saranno finiti gli accorpamenti;
   in sostanza potrebbero subire la mobilità circa tremila dipendenti, che senza un percorso di ricollocamento rischiano di restare senza lavoro;
   una eventuale ricollocazione dei lavoratori delle camere di commercio nell'ambito della pubblica amministrazione, appare problematico tenuto ma è un tema che va affrontato in una sede adeguata e con la partecipazione di tutti i soggetti interessati;
   il previsto ridimensionamento del sistema delle camere di commercio rischia di trasformarsi in un aggravio dei costi per lo Stato, infatti a fronte di un budget annuo da circa un miliardo di euro, circa 800 milioni arrivano sotto forma di contributi delle imprese italiane; la riforma prevede un taglio dei contributi del 40 per cento per quest'anno e del 50 per cento dal 2017. In questo modo rischia di crollare l'intero sistema, atteso che il 46 per cento dei ricavi serve a pagare stipendi e a gestire gli uffici;
   le riduzioni di personale che deriverebbero dal taglio delle camere di commercio si sommerebbero alle riduzioni di personale già messe in atto negli ultimi anni che hanno visto una riduzione del personale del 12 per cento rispetto al 2003, mentre nello stesso periodo si è registrata una riduzione di personale nella pubblica amministrazione del 6 per cento;
   è del tutto evidente che diventa prioritario salvaguardare i posti di lavoro messi in pericolo dal taglio delle sedi delle camere di commercio e questo non può avvenire se non attraverso un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico che veda la partecipazione di Unioncamere e sindacati dei lavoratori, finalizzato ad evitare che migliaia di lavoratori perdano il posto di lavoro e al contempo disperdendo un patrimonio di professionalità ed efficienza necessario nel contrasto della crisi –:
   se non ritenga necessario ed improcrastinabile avviare in tempi brevi un tavolo, che veda la partecipazione di Unioncamere e dei sindacati dei lavoratori, finalizzato alla definizione di un percorso di ricollocazione dei lavoratori interessati dalla riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che eviti per tremila lavoratori, che rappresentano uno straordinario patrimonio di professionalità, il rischio della messa in mobilità e della perdita del posto di lavoro. (4-12822)


   BARGERO e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 102 del 2014, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, entrato in vigore il 19 luglio 2014, prevede misure per il miglioramento dell'efficienza energetica in tutti i settori e per ridurre del 20 per cento i consumi dell'energia primaria entro il 2020;
   l'11 giugno 2015 il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare, su proposta del Presidente del Consiglio e dei Ministri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative al decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, finalizzato a sanare tutti rilievi evidenziati dalla Commissione europea nella procedura di infrazione n. 2014/2284 in materia di efficienza energetica, concernenti prescrizioni non già previste nell'ordinamento giuridico nazionale vigente;
   la Conferenza delle regioni e delle province autonome, nella premessa al parere favorevole reso sul testo nella seduta del 16 luglio 2016, ha evidenziato la necessità di introdurre alcune ulteriori correzioni volte, tra l'altro, ad apportare alcune modifiche alle definizioni e a consentire una precisa contabilizzazione del calore nei condomini. Secondo la Conferenza delle regioni, infatti, non vi sarebbe una chiara distinzione tra le diverse tipologie di contatori (di fornitura, condominiale, individuale) e, nel testo, non vi sarebbe una chiara definizione dei soggetti titolati a fornire, installare ed operare tali dispositivi, con conseguenti incertezze anche sull'attribuzione delle relative sanzioni per la mancata installazione, che vanno dai 500 ai 2500 euro. Inoltre, la Conferenza delle regioni ha rilevato la criticità emersa in alcuni condomini a seguito dell'installazione dei sistemi di termoregolazione e contabilizzazione in applicazione della norma UNI 10200, nella ripartizione delle spese per il riscaldamento e ha evidenziato l'impossibilità di introdurre all'interno della norma la previsione di coefficienti correttivi non previsti né dalla direttiva 27/2012/CE sull'efficienza energetica, né dalla normativa nazionale;
   i suddetti rilievi, in seguito, sono stati ribaditi, nella sostanza, eriche nelle condizioni e nelle osservazioni poste nel parere reso dalla Commissione attività produttive della Camera il 22 ottobre 2015 e in quello reso dalla Commissione Industria del Senato il 16 dicembre 2015. Le Commissioni, inoltre, hanno inteso portare all'attenzione del Governo altre criticità, tra le quali la necessità che sia identificato un costo di riferimento per la ripartizione dei costi relativi alle informazioni sulla fatturazione per il consumo individuale di riscaldamento e di raffrescamento nei condomini e negli edifici polifunzionali, tali da non comportare un pregiudizio economico ai soggetti operanti nel settore;
   il cosiddetto «decreto correttivo», quindi, è un provvedimento di fondamentale importanza, in quanto interviene su varie tematiche centrali per garantire una maggiore efficienza energetici;
   a distanza di oltre tre mesi dall'espressione del parere parlamentare, tuttavia, il Governo non ha ancora provveduto ad approvare lo schema di decreto legislativo in questione in via definitiva, lasciando i cittadini, gli enti locali e gli operatori di settore in una condizione di incertezza normativa;
   evidenzia, inoltre, come diverse disposizioni, tra le quali ad esempio l'obbligo di installazione di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione nei condomìni e negli edifici polifunzionali, che scatterà a partire dal 1o gennaio 2017, prevedono scadenze a breve termine, entro cui i vari soggetti coinvolti dovranno uniformarsi. Tali disposizioni, come evidenziato dalle suddette Commissioni, necessitano quindi degli opportuni chiarimenti, tanto più necessari in considerazione dell'ampiezza della platea dei soggetti coinvolti e del tempo per essi necessario per acquisire un'adeguata consapevolezza in merito –:
   quali siano le ragioni del ritardo nell'approvazione da parte del Governo del decreto legislativo recante disposizioni integrative al decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, e se non intenda attivarsi affinché il predetto decreto possa essere emanato con la massima urgenza. (4-12840)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Bruno Bossio e altri n. 4-12767, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2016; deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Berretta.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Ricciatti n. 5-08371 dell'11 aprile 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Rostellato n. 4-12468 del 10 marzo 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08398.