Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 11 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    tra il 30 novembre e il 12 dicembre del 2015 si è svolta, a Parigi, la 21a Conferenza delle parti della convenzione Onu sui cambiamenti climatici, detta COP21;
    la Conferenza, al termine di un percorso molto complesso, durato più di 20 anni, dopo settimane di trattative e sotto lo sguardo della società civile e dell'intera comunità internazionale, ha prodotto un accordo che, seppur con molti limiti e timidezze, risulta vincolante per le parti, nell'obiettivo di contenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei 2 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali, perseguendo sforzi per limitare tale incremento a 1,5 gradi centigradi;
    i limiti dell'accordo consistono principalmente nell'assenza di una reale efficacia vincolante sui singoli punti del testo, che denotano, ancora oggi, la prevalenza dell'utilizzo dei contributi volontari, nonostante la comunità scientifica internazionale sia unanime nel riconoscere i disastrosi effetti, presenti e futuri, del cambiamento climatico;
    è evidente come, in un contesto del genere, gli impegni che i singoli Stati saranno in grado di assumere risultino di fondamentale importanza. Ciò non soltanto per conseguire l'obiettivo relativo all'innalzamento delle temperature, ma anche per non alimentare quel meccanismo perverso che negli ultimi decenni ha condotto le parti ad accusarsi a vicenda, pur di non mettere in atto un radicale processo di riconversione ecologica delle proprie economie;
    si segnala, tra l'altro, come il quinto rapporto dell'Ipcc (Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici) abbia lanciato nel 2014 un allarme di eccezionale gravità, che individuava un valore soglia di innalzamento delle temperature rintracciato nei 2 gradi centigradi;
    secondo l'Ipcc, al di sopra dei 2 gradi centigradi, le conseguenze del cambiamento climatico saranno devastanti (scioglimento dei ghiacci in Groenlandia ed Antartico occidentale, siccità e desertificazione molto estese in vaste aree del globo, conseguente estinzione di molte specie animali e vegetali), poiché già tale limite è in grado di produrre conseguenze poco prevedibili sulle condizioni climatiche globali, essendo un valore di confine tra cambiamento climatico pericoloso e molto pericoloso;
    il nostro Paese ha ratificato il protocollo di Kyoto, accordo giunto al termine della COP3, attraverso la legge n. 120 del 2002, che recava anche alcune misure per il raggiungimento degli obiettivi di abbattimento delle emissioni;
    l'Italia ha tuttavia un atteggiamento discontinuo in tal senso, con enormi progressi nel settore delle energie rinnovabili e, di contro, il devastante effetto di alcune politiche che producono effetti totalmente opposti e che, ancora oggi, assegnano ai combustibili fossili un ruolo preminente nei modelli di sviluppo e di approvvigionamento energetico;
    il riferimento primario è al decreto cosiddetto «sblocca Italia» (decreto-legge n. 133 del 2014), che aveva definito le attività di prospezione, ricerca ed estrazione degli idrocarburi, attività strategiche, indifferibili e urgenti, in linea con la «Strategia energetica nazionale», ma in totale contrasto con gli obiettivi di progressivo abbandono dei combustibili fossili;
    si segnala come l'opposizione delle regioni e delle comunità locali, che hanno promosso negli scorsi mesi alcuni quesiti referendari per l'abrogazione di determinate parti dello «sblocca Italia» abbiano spinto il Governo a modificare parzialmente la normativa, ma non a mutare il proprio atteggiamento in modo radicale;
    molti esponenti della maggioranza di Governo hanno infatti, negli ultimi giorni, invitato i cittadini ad astenersi dal voto per ciò che concerne l'unico quesito referendario rimasto, che avrà luogo il 17 aprile 2016, dopo avere, di fatto, impedito l'accorpamento con le elezioni amministrative di giugno. È evidente a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo come il Governo miri, sostanzialmente, al fallimento del referendum stesso, che potrebbe invece imprimere una svolta nella politica energetica nazionale, nel senso di un reale abbandono dei combustibili fossili;
    si ricorda come il Governo, in occasione della discussione che ha avuto luogo nelle aule parlamentari a margine della Conferenza di Parigi, si sia impegnato con numerose mozioni e risoluzioni, tra cui la 1-00485 della senatrice De Petris, aventi l'obiettivo di non svuotare di significato la partecipazione dell'Italia alla COP21, promuovendo invece politiche maggiormente ambiziose verso la riconversione ecologica e per la lotta ai cambiamenti climatici. Lo stesso è avvenuto nella discussione avvenuta alla Camera dei deputati, in particolare con l'approvazione della risoluzione 6-00178 a prima firma dell'onorevole Zaratti;
    nel corso di tali sedute parlamentari, propedeutiche alla Conferenza di Parigi, il Governo si è impegnato su numerosi fronti, tra cui la riduzione dei sussidi alle fonti fossili e obiettivi scadenzati, in grado di condurre alla progressiva esclusione di tali fonti energetiche, in modo da contenere le emissioni di anidride carbonica sino a raggiungere la neutralità emissiva nel 2050;
    in ambito internazionale, il Governo si era impegnato anche a favore dell'inserimento di un esplicito riferimento all'eliminazione di qualsiasi minaccia connessa a una guerra nucleare nell'ambito della futura approvazione della «Déclaration universelle des droits e devoìrs de l'humanité»;
    la prossima, essenziale, tappa del percorso sarà la ratifica dell'accordo, che sarà aperto alla firma il 22 aprile 2016 a New York, ed entrerà in vigore quando almeno 55 parti, che rappresentino, al minimo il 55 per cento delle emissioni mondiali, lo avranno ratificato;
    è di fondamentale importanza che il Governo italiano si faccia promotore di iniziative in ambito internazionale, che conducano alla tempestiva entrata in vigore dell'accordo e, sul piano nazionale, rispetti quanto previsto dallo stesso, implementando politiche sempre più ambiziose che fungano da traino verso gli Stati membri dell'Unione europea e la comunità internazionale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per applicare nell'immediato quanto previsto dall'accordo di Parigi, approvato il 12 dicembre 2015;
   a revisionare radicalmente la «Strategia energetica nazionale», in modo da consentire l'abbandono delle fonti fossili e la totale decarbonizzazione dell'economia, promuovendo in tal senso un piano nazionale di riconversione ecologica ed energetica;
   ad adottare obiettivi scadenzati in ambito nazionale che consentano il drastico abbattimento delle emissioni e il raggiungimento della neutralità emissiva nel 2050;
   ad assumere iniziative per predisporre la progressiva riduzione, sino alla soppressione, di qualsiasi tipo di facilitazione o sussidio alle fonti fossili in favore di investimenti nel settore delle energie rinnovabili, della resilienza al cambiamento climatico e della lotta al dissesto idrogeologico;
   ad agire in tutte le sedi, a partire dall'Unione europea, affinché venga riconosciuto dalla comunità internazionale il soggetto giuridico di «umanità», tutelando in tal senso il suo diritto a sopravvivere e, soprattutto, a vivere senza la minaccia dell'inquinamento termico e della guerra termonucleare;
   a dare seguito con la massima sollecitudine agli impegni previsti dalla mozione 1-00485, approvata dal Senato, e dalla risoluzione 6-00178 approvata dalla Camera, di cui in premessa;
   ad avviare, anche nel rispetto dell'impegno accolto dal Governo, e previsto dalla citata risoluzione 6-00178, approvata dalla Camera, tutte le iniziative opportune, affinché all'interno della «Déclaration universelle de droits et de devoìrs de l'humanité», che sarà presentata dal presidente francese Hollande alla prossima Assemblea Onu e preannunciata alla COP21 di Parigi, venga inserito un esplicito riferimento all'eliminazione di qualsiasi minaccia connessa con una guerra nucleare e al diritto al disarmo nucleare.
(1-01222) «Zaratti, Pellegrino, Ricciatti, Ferrara, Palazzotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini».

Risoluzioni in Commissione:


   La III e la XII Commissione,
   premesso che:
    dal 19 al 21 aprile 2016 si terrà a New York una sessione speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni unite sulle sostanze stupefacenti (Ungass);
    la precedente sessione speciale dell'Ungass (sessione speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni unite) sulle droghe, si svolse sullo stesso tema al termine della quale gli Stati membri hanno approvato la dichiarazione sulla «Politica Globale sul Controllo delle Droghe»;
    essa fu convocata con lo slogan ambizioso: «Un mondo senza droga è possibile in 10 anni». Trascorso tale periodo è però a tutti evidente che l'obiettivo non è stato raggiunto, anche perché, negli anni successivi, non è mai prevalso un orientamento razionale mirante ad avviare un percorso di stima oggettiva delle politiche adottate, ovvero di vera e propria valutazione dei risultati ottenuti, a oltre 50 anni dall'adozione della prima convenzione Onu in materia di sostanze stupefacenti;
    non uno degli studi o stime prodotti negli ultimi tre decenni dall'Ufficio sulle droghe e il crimine della Nazioni unite (Unodc), ha dimostrato una diminuzione significativa della produzione, consumo e commercio delle sostanze proibite dalle tre convenzioni delle Nazioni unite;
    al contempo, sono state altresì inventate, scoperte e censite, centinaia di nuove sostanze chimiche, tutte prontamente proibite, il cui reperimento è ugualmente facile come il suo conseguente consumo;
    si ricordano positivamente le dichiarazioni del Segretario generale delle Nazioni unite Ban ki-Moon relative alla necessità di promuovere un «dibattito onesto e aperto» durante il processo preparatorio della Ungass del 2016;
    i firmatari del presente atto di indirizzo plaudono alla tenuta, il 4 marzo 2016 presso il Dipartimento per le politiche antidroga, di una giornata di confronto tra il Governo, le associazioni e le organizzazioni non governative interamente dedicata alla Ungass; giornata articolata attorno ai tempi del diritto penale, della salute e dei diritti umani;
    si lamenta il fatto che sia stato scelto, col consenso unanime dell'Unione europea, di far definire i documenti preparatori della Ungass da un gruppo ristretto di Paesi, organizzati in «board» all'interno della Commissione stupefacenti di Vienna, un organo dove siedono di diritto solo 53 Stati membri dei 193 che compongono l'Onu, creando grossi problemi ai Paesi non membri, e comunque senza rappresentanza diplomatica in Austria, a partecipare attivamente al processo preparatorio;
    si rileva con favore il fatto che l'Organizzazione mondiale della sanità, il programma per lo sviluppo (Undp), Unaids e l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani si sono recentemente espressi per una revisione complessiva di una parte considerevole delle politiche derivanti dall'interpretazione e dall'applicazione delle tre convenzioni Onu in materia di sostanze stupefacenti, a partire dalla depenalizzazione per l'uso personale;
    si accolgono, inoltre, con particolare soddisfazione, le osservazioni dell'Alto Commissario Onu sui diritti umani presentate il 4 settembre 2015 nel documento A/HRC/30/65 discusso al Consiglio dei diritti umani di Ginevra il 28 di quel mese relative alle seguenti questioni:
     il diritto alla salute, inteso come diritto per assicurare a tutte le persone che usano droghe il diritto all'informazione e alle cure, senza che ne subiscano alcun tipo di discriminazione. I programmi di riduzione del danno, in particolare le terapie sostitutive con oppiacei, i quali devono esser disponibili e offerti alla persone con problemi di dipendenza, specialmente per coloro che sono reclusi in prigione o in altri regimi di custodia che privi loro della piena libertà di movimento. Il godimento del diritto alla salute richiede un miglior accesso alle medicine essenziali, con particolare riguardo ai Paesi in via di sviluppo;
     la proibizione degli arresti e della detenzione arbitraria, la tortura e tutte le altre forme di maltrattamenti, nonché il diritto a un giusto processo devono esser protette in accordo con le norme internazionali, incluso il rispetto delle persone che sono arrestate, detenute o incriminate per reati connessi alle droghe. Alle persone con problemi di dipendenza in regime di custodia non possono essere negate le terapie sostitutive anche come mezzo per estorcere confessioni o altre informazioni. I centri di detenzione obbligatoria per persone con dipendenze devono esser chiusi;
     il diritto alla vita delle persone recluse per crimini legati alle droghe deve esser protetto e garantito, nel rispetto della previsione dell'articolo 6 del patto internazionale sui diritti civili e politici e della giurisprudenza del Comitato Onu sui diritti civili e politici. Queste persone non devono esser soggette alla pena di morte. Il diritto alla vita deve prevalere e quindi deve esser sempre protetto e garantito dalle forze dell'ordine nei loro sforzi relativi al perseguimento dei crimini relativi alle droghe e tenuto di conto nell'eventuale uso della forza in modo proporzionale;
     le minoranze etniche e le donne, che hanno droghe in loro possesso, o che sono dei «micro-distributori» devono esser protetti dalle discriminazioni. Occorre fornire una preparazione specifica agli operatori delle forze dell'ordine e dei servizi sociali che entrano in contatto con chi consuma droghe al fine di eliminare le discriminazioni;
     prendere in seria considerazione il grave impatto che un arresto per motivi di droga può avere sulla vita di una persona. È necessario immaginare e proporre soluzioni alternative all'incriminazione e all'incarcerazione di chi è responsabili di condotte minori e «non-violente» collegate agli stupefacenti. Conseguentemente, è necessario proporre riforme miranti al ridurre l'eccessiva carcerizzazione dovrebbero esser prese in considerazione;
     i diritti dei fanciulli devono esser protetti al meglio, mediante una maggiore attenzione e focalizzazione sulla prevenzione e comunicando, in modo appropriato a bambini, e persone in tenera età, le informazioni relative ai rischi di trasmissione dell'Hiv e altri virus trasmessi per vie ematiche e per l'assunzione di sostanze per endovena. I bambini non devono esser soggetti a procedimenti giudiziari, le risposte a tali problemi devono esser trovate nell'educazione sanitaria, nelle cure, inclusi i programmi di riduzione del danno e reintegrazione sociale;
     i popoli indigeni hanno il diritto di seguire le loro pratiche tradizionali, culturali e religiose. Là dove le droghe sono parte di queste pratiche, il diritto all'uso per questi specifici scopi deve esser protetto nel rispetto delle limitazioni previde dalle norme relative ai diritti umani;
    si denuncia inoltre il fatto che:
     in alcuni Paesi come la Repubblica islamica dell'Iran, l'Arabia Saudita, il Vietnam, l'Indonesia, Singapore e il Pakistan, la detenzione o il commercio di sostanze illecite può essere sanzionata con la condanna a morte e che, in particolare in Iran, circa il 70 per cento delle donne e il 65 per cento degli uomini sono giustiziati per reati legati alle droghe;
     recentemente, anche in Indonesia sono state eseguite condanne a morte per una decina di persone, tra le quali alcuni cittadini dell'Unione europea;
     alcuni dei programmi di cooperazione giudiziaria portati avanti sotto l'egida dell'Unodc godono di finanziamenti di Stati membri dell'Unione europea, ovvero della Commissione europea e che, in passato, anche l'Italia ha fornito sostegno alla formazione di corpi speciali di polizia anche in Paesi che prevedevano la pena di morte per reati connessi al narco-traffico come l'Iran;
     nei Paesi democratici che comunque penalizzano la produzione, il consumo, il commercio delle sostanze proibite, il numero delle persone detenute, uomini o donne, per comportamenti collegati alle sostanze stupefacenti rappresenta dal 20 al 30 per cento del totale della popolazione penitenziaria, Italia inclusa;
    si nota anche il fatto che:
     nonostante il permanere di un impianto normativo proibizionista, negli anni alcuni Stati membri dell'Unione europea hanno avviato percorsi alternativi rispetto all'uso privilegiato della penalizzazione dei comportamenti connessi alla produzione, consumo e commercio delle sostanze illecite. In particolare, si distinguono i Paesi Bassi, dove da 40 anni il consumo personale di derivati della cannabis viene tollerato, la Spagna, il Portogallo e la Repubblica Ceca, che hanno modificato sostanzialmente le proprie legislazioni depenalizzando il possesso personale sulla falsariga di quanto conquistato col referendum indetto dal Partito radicale in Italia nel 1993 e vinto con oltre il 54 per cento dei voti validamente espressi;
     in Svizzera, da oltre 20 anni, esistono programmi di somministrazione di eroina sotto stretto controllo medico confermati, anche recentemente, per via referendaria;
    se segnala inoltre che:
     dalla primavera del 2014 l'Uruguay, primo Stato al mondo, ha legalizzato la produzione e il commercio della marijuana creando un monopolio pubblico e regolamentando strettamente la quantità acquistabile fissandone il prezzo;
     gli Stati Uniti, il Paese che all'inizio degli anni Settanta ha lanciato una vera e propria «Guerra alla Droga», successivamente promossa in tutto il mondo indipendentemente dai partner, hanno visto recenti positivi sviluppi di segno diametralmente opposto a quanto praticato in passato. Sono infatti 23 gli Stati che hanno legalizzato la cannabis per fini terapeutici, a cui si aggiunge il Distretto di Columbia, mentre gli Stati federali del Colorado, di Washington, l'Oregon, l'Alaska e il Distretto di Columbia hanno legalizzato in toto la produzione e il commercio della marijuana, consentendone il consumo ai maggiorenni con incoraggianti risultati in termini socio-sanitari, economici e ordine pubblico;
    si ricorda anche che, nel novembre 2016, sono previsti referendum anche in California, Nevada, Arizona, Maine, Massachusetts, Michigan e probabilmente di nuovo in Ohio;
    si lamenta che:
     in virtù della minaccia di sanzioni penali e/o amministrative, la produzione e la detenzione delle sostanze proibite a fini di ricerca scientifica, pur consentita in quantità molto limitate dalle Convenzioni Onu sugli stupefacenti, ha ostacolato la realizzazione di studi e trial clinici a livello nazionale e internazionale, i quali sono stati condotti in modo non sistematico o pubblicamente verificabile;
     la proibizione ha quindi posto, a giudizio dei firmatari del presente atto, seri limiti alla ricerca, rallentando il progresso scientifico e la ricerca di cure per le malattie più disparate, causando ingiuste e sproporzionate limitazioni al pieno godimento del diritto alla salute riconosciuto come fondamentale dalla nostra Costituzione, così come codificato nell'articolo 32 e così come disposto nell'articolo 15 del Patto sui diritti economici sociali e culturali agli articoli 15,1b e 15,3;
    si ricorda la posizione comune assunta dall'Unione europea su Ungass, riguardante i diritti umani, il ruolo della società civile, la riduzione della domanda, incluse la prevenzione e la cura, nonché questioni relative alla salute, accesso e disponibilità di misure di «riduzione del danno», disponibilità di sostanze controllate per fini medici e scientifici, riduzione dell'offerta e questioni correlate, sviluppo alternativo, politiche sulle droghe e gruppi vulnerabili (donne, giovani e bambini), nuove sfide, minacce e realtà del controllo degli stupefacenti;
    si segnala il costante lavoro di analisi, critica, stimolo e proposta di riforme svolto dalle organizzazioni non-governative italiane, dall'Associazione Luca Coscioni a Forum droghe, dal Cartello di Genova al Partito radicale nonviolento affiliato alle Nazioni unite fino a quello dalla rete dell’International Drug Policy Consortium;
    si auspica che:
     il Governo sappia farsi garante di un dibattito approfondito e inclusivo nelle fasi preparatorie della Sessione speciale e garantisca il medesimo impegno, successivamente, durante i lavori presso l'Assemblea generale dell'Onu, al fine di includere attivamente in quella sede analisi, opinioni e proposte provenienti da tutte le agenzie delle Nazioni unite, da esperti e organizzazioni non-governative, proponendo quindi la presenza di rappresentanti di Ong nella delegazione nazionale,

impegnano il Governo:

   a livello internazionale:
    a) ad adoperarsi affinché tutti gli aspetti della posizione comune espressa dall'Unione europea su Ungass relativa ai diritti umani, il ruolo della società civile, la riduzione della domanda, incluse la prevenzione e cura, nonché le questioni relative alla salute, accesso e disponibilità di misure di «riduzione del danno», disponibilità di sostanze controllate per fini medici e scientifici, riduzione dell'offerta e questioni correlate, sviluppo alternativo, politiche sulle droghe e gruppi vulnerabili (donne, giovani e bambini), nuove sfide, minacce e realtà del controllo degli stupefacenti, vengano ripresi dal documento finale dell'Assemblea generale delle Nazioni unite sulle sostanze stupefacenti;
    b) ad assumere iniziative per garantire che la dichiarazione conclusiva lanci un percorso di valutazione scientificamente corretto delle implicazioni sociali, sanitarie, giuridiche, economiche e di violazione dei diritti umani dell'attuale sistema di «controllo delle droghe»;
    c) ad assumere iniziative affinché cessi ogni finanziamento, diretto o indiretto, a progetti e programmi di cooperazione bilaterale o multilaterale con Paesi che prevedano pene irragionevolmente sproporzionate, fino alla pena di morte, per reati connessi alle sostanze stupefacenti illecite;
    d) a promuovere, in seno all'Unodc, la creazione di un meccanismo di controllo dei finanziamenti in Paesi nei confronti dei quali le Nazioni unite stesse abbiano adottato risoluzioni di denuncia di violazione dei diritti umani o che siano sotto sistema sanzionatorio regionale o internazionale;
    e) di assumere iniziative per ridurre, di concerto coi partner europei, i limiti imposti alla ricerca medico-scientifica sulle piante controllate, e loro derivati, oltre che ad altri prodotti chimici contenuti nelle tabelle delle tre convenzioni Onu in materia di sostanze stupefacenti;
   a livello nazionale:
    a) ad assumere iniziative per l'istituzione di una struttura presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, per le questioni attinenti alle sostanze illecite e le dipendenze;
    b) a convocare la VI conferenza nazionale, successivamente allo svolgimento dei lavori dell'Ungass, sui problemi relativi alle sostanze stupefacenti;
    c) ad assumere iniziative per rinominare il dipartimento politiche anti-droga in dipartimento per le sostanze e le dipendenze.
(7-00967) «Brignone, Locatelli, Bechis, Schirò, Artini, Baldassarre, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    all'analisi pubblicata sul periodico statistico «Dati Inail» emerge che nel quinquennio 2009-2013, a fronte di una flessione degli incidenti denunciati pari al 23,5 per cento (da 52 mila a 40 mila casi), il settore agricolo ha registrato un incremento eccezionale (+141 per cento), delle tecnopatie, passate da circa quattromila a quasi 9.500;
    in Italia le denunce di infortunio sul lavoro in agricoltura, che nel 2014 impiegava circa 812 mila addetti (+1,6 per cento rispetto all'anno precedente), nel quinquennio 2009-2013 hanno registrato una flessione del 23,5 per cento passando da 52.686 a 40.291. Nello stesso arco di tempo, però, il numero delle malattie professionali ha subito un aumento eccezionale, pari al 141,7 per cento; dalle 3.928 denunce del 2009 alle 9.494 del 2013;
    uno dei comparti più a rischio sono questi alcuni dei dati più significativi segnalati dal periodico statistico «Dati Inail», tradizionalmente uno di quelli a più alto rischio infortunistico sia in termini assoluti sia, soprattutto, in termini relativi (49 indennizzati ogni mille addetti contro i 24,33 dell'industria e servizi), secondo solo alle costruzioni per numero di casi mortali (un centinaio l'anno);
    il 56 per cento dei casi di infortunio in agricoltura avviene con i trattori, il 49 per cento degli eventi infortunistici con conseguenze gravi in agricoltura coinvolge il trattore, lo stesso trattore è presente nel 51 per cento degli eventi infortunistici in agricoltura con conseguenze mortali;
    sono questi alcuni dei dati pubblicati da Inail nel report annuale sugli infortuni mortali e con feriti gravi verificatisi in agricoltura nel 2014 nel settore agricolo e forestale, rapporto curato dall'Osservatorio Inail sugli infortuni nel settore agricolo e forestale, che si avvale a sua volta del dipartimento Inail Innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici. L'Osservatorio in questione è stato istituito da Inail nell'ambito delle proprie attività di ricerca e tra le attività previste dal piano nazionale per la prevenzione in agricoltura e selvicoltura, allo scopo di raccogliere e consegnare alla consultazione metodica, dati e informazioni in merito agli infortuni gravi o mortali in agricoltura, che riguardino sia operatori professionalmente addetti che professionalmente non addetti, sia lavoratori assicurati Inail che non assicurati;
   si tratta di un'entità che raccoglie quindi dati di differente provenienza, affiancato in questo anche dal gruppo agricoltura del coordinamento tecnico delle regioni, e che a seconda della tipologia di infortunio, segue le modalità di analisi previste da Infor.Mo, quindi le segnalazioni delle ausl (regioni), comunicazioni dell'autorità giudiziaria, quotidiani e agenzie stampa;
    rapporto 2014 è strutturato in due parti essenziali: i dati generali sugli infortuni nel settore; i dati sulle attrezzature che causano infortuni la cui frequenza è maggiormente rilevante: trattori e motocoltivatori. A loro volta gli stessi dati vengono scorporati e aggregati per: distribuzione regionale degli infortuni, agente materiale, fascia d'età, giorno della settimana, sesso, luogo di accadimento;
    come evidenziato il trattore rappresenta la maggiore causa di infortunio, sia mortale che grave. Le altre macchine che più di frequente sono coinvolte in incidenti sono motocoltivatori/motozappatrici (10,5 per cento), motoseghe 9 per cento. È significativo il dato degli infortuni causati dall'albero cardanico. Si tratta dello 0,7 per cento del totale degli infortuni, ma gli stessi in questo caso hanno avuto un esito mortale per il 66 per cento dei casi;
    dei 189 casi di infortunio mortale, 121 sono quindi attribuiti a un trattore, 22 ad alberi e piante, 10 a motocoltivatori e motozappatrice, 4 ad attrezzature collegate al trattore, 4 a piattaforma elevabile, 3 a rotoimballatrice, 3 a trattorino rasaerba, 2 all'albero cardanico, 2 a rimorchio, 1 a scala, animali e motosega;
   i firmatari del presente atto sono dell'opinione che una buona percentuale degli infortuni in ambito agricolo collegabili a macchine agricole sia anche imputabile alle mancate revisioni delle macchine stesse e purtroppo in questo ambito la legislazione vigente è carente;
    il programma di sviluppo rurale (Psr) è lo strumento di governo dello sviluppo del sistema agroalimentare, approvato con decisione della Commissione europea n. 3530 del 26 maggio 2015; esso indica il conseguimento di 6 priorità: promuovere il trasferimento di conoscenze e l'innovazione, potenziare la redditività delle aziende agricole e la competitività dell'agricoltura in tutte le sue forme e promuovere tecnologie innovative per le aziende agricole e per la gestione delle foreste, promuovere l'organizzazione della filiera agroalimentare, compresa la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli, il benessere animale e la gestione dei rischi nel settore agricolo, preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi connessi all'agricoltura e alla silvicoltura, incentivare l'uso efficiente delle risorse e il passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima, adoperarsi per l'inclusione sociale, la riduzione della povertà e lo sviluppo economico delle zone rurali;
    con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 20 maggio 2015 (Gazzetta Ufficiale del 30 giugno 2015 n. 149) «Revisione generale periodica delle macchine agricole ed operatrici, ai sensi degli articoli 111 e 114 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, si sono stabilite le tipologie di macchine che devono essere grado di vetustà si veda tabella allegata al decreto). La prima scadenza è fissata per il 31 dicembre 2017;
    tale decreto prevede, all'articolo 5, che le modalità di esecuzione della revisione siano definite con successivo decreto dei Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali;
   con la legge 25 febbraio 2016, n. 21, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, l'entrata in vigore della revisione è stata ulteriormente procrastinata dal dicembre 2015 al 30 giugno 2016;
    la revisione delle macchine agricole consentirebbe di accertare in tempi ragionevoli su gran parte del parco macchine circolante la rispondenza ai requisiti per la sicurezza del lavoro e per la circolazione stradale;
    è stato da tutti riconosciuto che la revisione rappresenta uno strumento essenziale per la riduzione degli infortuni sul lavoro e che un ulteriore ritardo nella sua applicazione comporterebbe certamente un prolungamento del verificarsi degli eventi infortunistici legati all'uso delle macchine agricole;
    un maggior investimento sulla prevenzione in termini di adeguamento delle macchine e costi per la revisione avrà come effetto principale un notevole risparmio in termini di spesa sia sanitaria che previdenziale,

impegna il Governo:

   ad adottare nel più breve tempo possibile il decreto atto a specificare le modalità di esecuzione della revisione delle macchine agricole e operatrici ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 20 maggio 2015 (Gazzetta Ufficiale del 30 giugno 2015 n. 149) «Revisione generale periodica delle macchine agricole ed operatrici, i sensi degli articoli 111 e 114 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285»;
   ad assumere iniziative normative al fine di prevedere che la revisione si effettui secondo modalità semplici, efficaci, ed economicamente sostenibili effettuando controlli visivi e strumentali adeguati e facendo ricorso, ove necessario ed in accordo con le regioni, anche ad officine mobili presso le aziende o punti di raccolta che facilitino il conferimento delle macchine agricole oggetto di revisione, in considerazione della specificità di tali tipologie di macchine;
   ad assumere iniziative normative atte ad individuare soluzioni semplificate per l'aggiornamento dei documenti di circolazione per i trattori sui quali sono state attuate modifiche nel rispetto delle condizioni di sicurezza del lavoro e della circolazione stradale;
   ad assumere iniziative per evitare duplicazioni nei controlli previsti dalla normativa sulla sicurezza sul lavoro e da quella sulla circolazione stradale;
   ad assumere iniziative per prevedere incentivi per la rottamazione, superando il limite « de minimis» posto a 15.000 euro in tre esercizi finanziari;
   a valutare la possibilità di promuovere, in accordo con le regioni, idonee iniziative volte ad incentivare l'adeguamento del parco macchine e delle attrezzature agricole, al fine di prevenire e ridurre i rischi nel settore agricolo, di incentivare l'uso efficiente delle risorse energetiche e di ridurre le emissioni di carbonio e gli altri fattori di resilienza climatica.
(7-00965) «Spessotto, Massimiliano Bernini, Parentela, Gagnarli, Lupo».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nei prossimi mesi l'Unione europea dovrà decidere se la normativa europea sugli Ogm si applica anche alle nuove tecniche di ingegneria genetica, tra cui quelle erroneamente ribattezzate di genome editing (New Breeding Techniques – NBT);
    l'industria delle biotecnologie e la Commissione europea fanno riferimento al termine NBT rispetto a varie tecniche di ingegneria genetica;
    le compagnie di biotecnologie sostengono che tali nuovi tecniche non rappresentino caratteristiche Ogm, sponsorizzandole come tecniche alternative agli Ogm e conseguentemente introducendo una moratoria de facto sugli Ogm all'interno dell'Unione europea;
    questa impostazione si basa, secondo il presentatore del presente atto, su una visione molto ristretta della legislazione europea sugli Ogm appositamente sviluppata per evitare tale legislazione; molte di queste tecniche possono essere utilizzate in modo combinato tra di loro, più volte nel tempo, al fine di ottenere l'effetto desiderato. Le tecniche di gene-editing, cisgenesi e intragenesi possono essere applicate sia alle piante che agli animali, inclusi gli animali da fattoria, gli insetti e i pesci ed, in definitiva, anche al genoma umano. Il gene-editing, può essere utilizzato anche per creare meccanismi di gene-drive con l'obiettivo di diffondere specifici tratti genetici come la resistenza alle malattie;
    tra le nuove tecniche emergenti sui quali si dovranno assumere impostazioni legislative, sia in ambito nazionale che europeo, vi sono certamente quelle legate al concetto di gene-editing o genome-editing;
    le tecniche di gene-editing (o genome-editing) permettono la modifica diretta del materiale genetico delle piante in specifici punti del genoma. Generalmente ciò avviene mediante l'utilizzo di nucleasi, enzimi spesso chiamati «forbici molecolari», che recidono il dna in punti specifici e innescano meccanismi di riparazione della pianta stessa (che comportano l'incorporazione nel genoma dei tratti desiderati). Tecniche che prevedono l'impiego di queste forbici molecolari includono la zinc finger nucleases (ZFNs) la transcription activatorlike effector nucleases (TALENs), le meganucleasi (MN) e il sistema clustered regularly interspaced short palindromic repeat (CRISPR/Cas);
    la mutagenesi indotta da oligonucleotidi (ODM) è una tecnica di gene-editing che non impiega forbici molecolari. Con l'ODM, brevi frammenti (oligonucleotidi) di dna (o dna – rna) vengono introdotti nelle cellule dove inducono la cellula stessa a modificare il proprio dna in modo da integrarsi con i frammenti di dna introdotti. Tutte le tecniche di gene-editing (inclusa la ODM) hanno la capacità di modificare, inserire o eliminare una o più coppie di basi di dna. Le applicazioni di queste tecniche portano anche all'introduzione di nuovi geni all'interno del codice genetico della pianta, analogamente a quanto accade con l'ingegneria genetica «tradizionale»;
    come l'ingegneria genetica «tradizionale», anche le tecniche di gene-editing possono indurre modifiche non volute o non prevedibili del materiale genetico, anche se vengono alterate solo una o poche coppie di basi. Ad esempio, la ODM e le «forbici molecolari» generalmente danno luogo ai cosiddetti «off-target effects», vale a dire che recidono e/o alterano il dna anche in altri punti, diversi da quelli in cui si intende «intervenire». Sia le modifiche volute sia quelle sconosciute, impreviste o indesiderate possono generare conseguenze importanti in termini di produzione di proteine e flussi metabolici. Pertanto, è possibile – e in realtà probabile – che l'ODM e altre tecniche di gene-editing diano luogo a effetti indesiderati e imprevedibili con implicazioni per la sicurezza di alimenti, mangimi e ambiente;
    comunque applicate, queste nuove tecniche di ingegneria genetica consentono di richiedere brevetti industriali e un numero importante di tali brevetti è già in attesa di registrazione presso l'ufficio europeo dei brevetti (EPO) depositati in massima parte da istituzioni di ricerca ed imprese multinazionali olandesi. Se tali brevetti venissero accettati fuori dalla legislazione e dalle procedure europee vigenti, sarebbero immessi sul mercato prodotti Ogm senza etichettatura specifica. Molte di queste richieste di brevetto, inoltre, sono riferite a caratteri come resistenza agli erbicidi, resistenza agli insetti, gli stessi caratteri dei «vecchi Ogm» i cui benefici sono stati da tempo confutati;
    risulta chiaro che alla luce della normativa europea (direttiva 2001/18/EC) e internazionale, non ci si debba chiedere se gli organismi viventi ottenuti con le cosiddette NBT siano degli Ogm da un punto di vista giuridico, ma se si debbano esentare questi prodotti dal rispetto della regolamentazione italiana, europea ed internazionale vigente. In questo caso dovrebbe essere identificata la catena delle responsabilità in caso di biocontaminazione o altro possibile danno conseguente;
    l'intenzione del Governo, ribadita anche in occasione di recenti risposte ad atti parlamentare di sindacato ispettivo, è quella di mettere in atto tutti gli atti comunitari necessari per classificare queste nuove tecnologie diversamente, così da farle ricadere al di fuori dall'ambito giuridico che disciplina gli Ogm;
    è stato anche affermato che le tecniche di gene-editing porterebbero a modificazioni del genoma della pianta simili a quelle risultanti da mutagenesi. La mutagenesi classica utilizza sostanze chimiche o radiazioni per indurre modifiche random all'interno del genoma della pianta. Le piante che manifestano le caratteristiche desiderate vengono poi selezionate per ulteriori incroci. Le piante sviluppate attraverso questa tecnica sono escluse dai regolamenti dell'Unione europea;
   l'ODM e le altre tecniche di gene-editing sono completamente diverse dalla mutagenesi, in quanto tecniche di biotecnologie in vitro: la modifica genetica viene adottata da materiale ereditabile (o materiale che causa modifiche ereditabili) che, almeno in una parte della procedura, è stato «lavorato» dai biotecnologi in sistemi artificiali, al di fuori dell'organismo;
    più in generale, in ambito di negoziati comunitari, è stato ipotizzato che la ODM e le altre tecniche di gene-editing potrebbero essere escluse dai regolamenti dell'Unione europea sugli Ogm. Una delle motivazioni date è che le modifiche genetiche sarebbero piccole rispetto a quelle provocate dall'ingegneria genetica «tradizionale», troppo piccole per essere classificate come ricombinantivi. È però evidente che l'entità delle modifiche al dna della pianta è irrilevante, secondo i regolamenti dell'Unione europea e secondo quanto previsto dal protocollo di Cartagena (CBD), nella «definizione» dell'Ogm;
    la vera questione riguarda le tecniche di modificazione direttamente utilizzate per ottenere il «nuovo» organismo vivente, tecniche che la legislazione europea non enumera tra quelle da esentare dalle procedure previste (l'articolo 2.2 della direttiva 2001/18/EC nella quale è presente una definizione relativa agli organismi Ogm);
    escludere piante prodotte attraverso tecniche di gene-editing dalle normative dell'Unione europea sugli Ogm significherebbe quindi non solo rinunciare alla valutazione dei potenziali effetti sul sistema agrario nazionale – così come previsto dalla vigente legislazione sementiera nazionale (impatto degli Ogm sui sistemi agrari), sulla sicurezza di alimenti, mangimi e ambiente – ma anche esentare tali prodotti dall'obbligo di etichettatura, riducendo in questo modo la libertà di scelta dei consumatori europei che, nella grande maggioranza, vogliono evitare alimenti derivati da piante Ogm;
    se da un lato, dunque, appare legittimo l'impegno assunto nel campo della ricerca in biotecnologie, orientare la stessa su determinate tecniche, come quelle descritte in precedenza, piuttosto che altre, rischia di avvantaggiare determinati processi industriali e commerciali a esclusivo vantaggio di imprese a carattere transnazionale o di centri di ricerca dotati già di un notevole portafoglio di depositati brevettuali, senza garantire adeguata regolamentazione, informazione e trasparenza nei confronti dei cittadini europei ed italiani,

impegna il Governo:

   ad istituire una commissione scientifica indipendente ed autorevole, volta ad appurare gli effetti delle nuove tecniche di genome editing (New Breeding Techniques – NBT) in termini di impatto sui sistemi agrari nazionali, sulla biosicurezza, sulla tutela della salute umana e della sicurezza alimentare;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'introduzione in ambito nazionale e comunitario di norme volte a regolare le nuove tecniche Ogm all'interno della vigente legislazione europea, con particolare riferimento alla:
    a) valutazione comprensiva del rischio caso per caso;
    b) all'identificazione di metodologie per identificare e quantificare gli Ogm già esistenti sulla base della creazione di un database unico;
    c) all'introduzione di documentazione per il tracciamento e l'identificazione dei prodotti Ogm durante tutta la fase della catena di produzione;
    d) all'introduzione di strumenti di monitoraggio e valutazione dell'impatto per i prodotti Ogm già in circolazione sul mercato;
   a valutare gli effetti sull'economia agricola ed agroalimentare, con particolare riferimento agli effetti socio-economici derivanti dalla brevettazione dei ritrovati vegetali, derivante dallo sviluppo delle nuove tecniche di genome editing.
(7-00966) «Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nell'adunanza del 23 ottobre 2014 la Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni della Stato, con deliberazione n. 16/2014/G, ha approvato la relazione concernente la destinazione e gestione dell'8 per mille dell'Irpef;
   vale la pena fare una serie di riflessioni sul punto 18, sull'istituto dell'8 per mille, «Valutazioni conclusive e raccomandazioni»:
    la destinazione del contributo è determinata solamente dai contribuenti optanti. Chi non manifesta la propria volontà, suo malgrado, è comunque coinvolto nel meccanismo dato che «Il riparto anche delle scelte non espresse avvantaggia, soprattutto, i maggiori beneficiari», risultati dalla scelta dei contribuenti optanti, che negli anni ha portato quasi a far triplicare le risorse dirette alle confessioni. «Il sistema, pertanto, risulta non del tutto rispettoso dei principi di proporzionalità, di volontarietà e di uguaglianza»;
    maggiore dovrebbe essere l'informazione per meglio far conoscere ai contribuenti il meccanismo che distribuisce i fondi delle scelte non espresse;
    nonostante l'Italia si trovi in un periodo di grave crisi economica e sociale, le risorse alle confessioni continuano ad aumentare, avendo superato il miliardo di euro annuo e «si è assistito al sovrapporsi delle assegnazioni previste dal diritto pattizio con quelle – che raggiungono cifre, in taluni casi, ancora più consistenti – di diritto comune». Questo aumento non dovrebbe più giustificare il meccanismo finanziario dell'8 per mille voluto dallo Stato italiano che ha «contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana». Sarebbe opportuna una rinegoziazione del sistema di finanziamento a favore delle confessioni, come già auspicato dalla Commissione paritetica Italia-Cei del 9 febbraio 1996;
    da allora, la parte governativa non ha mai riproposta tale revisione, nonostante l'ulteriore aumento delle risorse dirette alle confessioni;
    ai fini della trasparenza e di un controllo dei contribuenti per una loro scelta consapevole, sarebbe opportuno che sul sito web della Presidenza del Consiglio dei ministri comparissero sia le attribuzioni annuali alle varie confessioni, sia la destinazione dei contributi ricevuti che attualmente non risultano. Il quadro completo dei finanziamenti, forniti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministero dell'economia e delle finanze e dall'Agenzia delle entrate, per un principio trasparenza nei confronti del Parlamento e dei contribuenti, dovrebbe essere di immediata e facile disponibilità;
    l'assenza di una legge sulla libertà religiosa, idonea a garantire, per tutte le confessioni, contributi economici, impedisce l'accesso all'8 per mille per molte confessioni che oggi non possono esserne destinatarie; sarebbe opportuno distribuire le risorse di cui all'8 per mille dell'Irpef in modo più equo;
    sorprende la totale assenza di campagne pubblicitarie sulle attività a cui lo Stato indirizza le risorse derivanti dalle scelte a suo favore, tanto da far diminuire negli anni il numero degli optanti che scelgono di destinare l'8 per mille allo Stato;
    sin dai primi anni dell'introduzione dell'istituto, la decurtazione della quota statale dell'8 per mille, in contrasto con le scelte dei contribuenti, è stata dirottata su altre finalità, spesso a scopi legati alle confessioni, nonostante i contributi degli optanti per le confessioni siano molto più consistenti di quelli statali. Inoltre, il residuo della quota statale è stato utilizzato, prevalentemente, erogando a pioggia finanziamenti per attività secondarie di enti spesso privati, con una selezione non sempre trasparente; «per garantire la piena esecuzione della volontà e della libera scelta di tutti, la decurtazione della quota dell'8 per mille di competenza statale va eliminata», perché, oltre a non rispettare la volontà e la buona fede dei contribuenti, infrange il principio di uguaglianza, penalizzando gli optanti che scelgono lo Stato e rispettando invece quelli che scelgono le confessioni;
   la Corte dei conti, con la deliberazione n. 16/2014/G ha disposto che: «le amministrazioni interessate comunichino alla Corte e al Parlamento, entro sei mesi dalla data di ricevimento della presente relazione, le misure consequenziali adottate, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge n. 20/1994, come modificato dall'articolo 1, comma 172, della legge n. 266/2005, comunicando, inoltre, alla Presidenza della Corte, entro trenta giorni dalla ricezione della presente relazione, un provvedimento motivato, ai sensi dell'articolo 3, comma 64, della legge n. 244/2007, ove ritengano di non ottemperare ai rilievi formulati»;
   il 14 marzo 2016 l'Istat ha presentato i dati del «Rapporto sulla povertà in Italia»: un milione e 470 mila famiglie residenti in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta, su un totale di 4 milioni e 102 mila persone povere, pari al 6,8 per cento dell'intera popolazione del Paese;
   il rapporto di Action Aid, «L'Italia e la lotta alla povertà del mondo», stima che in Italia per intervenire sui 4 milioni di poveri sarebbero necessari 7 miliardi di euro. Per il 2016 sono previsti invece solo 600 milioni di euro per la lotta alla povertà;
   l'Uaar (Unione atei e agnostici realistici) ha deciso di dar vita a una piattaforma pubblica e facilmente consultabile on line sui costi della Chiesa per lo Stato italiano: l'obiettivo è di presentare una stima di massima che sia la più attendibile e accurata possibile, che cita le fonti e utilizza metodologie trasparenti. Nella tabella riepilogativa, aggiornata al 23 novembre 2015, oltre alle assegnazioni provenienti dall'8 per mille, pari a 995.462.000 milioni di euro (il 60 per cento proveniente da scelte non espresse) vengono elencati i capitoli di spesa a favore della Chiesa Cattolica, provenienti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli enti pubblici, dalle società a partecipazione pubblica (agevolazioni, esenzioni, contributi, riduzioni, servizi, finanziamenti, sconti, stipendi, benefici, e altro), il cui totale approssimativo ammonterebbe a oltre 6 miliardi di euro soltanto per l'anno 2015 –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se intenda chiarire quali siano i motivi che fino ad oggi hanno impedito di attenersi a quanto indicato dalle disposizioni della delibera n. 16/2014/G della Corte dei conti;
   se non ritenga urgente, data la situazione di grave crisi sociale che attanaglia ormai da anni l'Italia, assumere le iniziative di competenza per una revisione del sistema di sostegno alla Chiesa Cattolica attraverso l'istituto dell'8 per mille, così come auspicato dalla Commissione paritetica Italia-Cei del 9 febbraio 1996, per recuperare risorse da destinare alla lotta alla povertà nel nostro Paese.
(2-01337) «Andrea Maestri, Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Alta valle del Tronto occupa una posizione geo-politica molto importante per la sua centralità nella dorsale appenninica. È luogo d'incontro di quattro regioni e di cinque province, area protetta da due parchi nazionali «Monti Sibillini e Monti della Laga», attraversati dal fiume Tronto, ed è territorio a prevalente economia zootecnica e a vocazione turistica;
   il bacino idrografico del fiume Tronto infatti, ricomprende territori della provincia di Teramo (regione Abruzzo) e della provincia di Rieti (regione Lazio);
   l'attenzione sullo stato del fiume è ritornata alle cronache in questi giorni, dopo le dichiarazioni del sindaco di Amatrice, paese a ridosso delle sponde del fiume che denuncia lo stato di abbandono, sia da parte delle istituzioni che degli enti preposti, nel quale versa il corso d'acqua;
   il primo cittadino facendo riferimento all'ultima frana dei giorni scorsi sulla Picente, strada di accesso alla città di Amatrice, sottolinea che questo: «(...) è solo l'ennesimo sintomo del degrado ambientale in cui versa. Un fiume non più tenuto in equilibrio dal lavoro agricolo attraverso il controllo delle rive dei fiumi, la manutenzione del sottobosco, il taglio selettivo della vegetazione, la rimozione del legno morto sulle sponde o nel letto del fiume. Insomma tutta la cura e la manutenzione assicurata in passato dalle popolazioni, oggi non può più essere assicurata dalle istituzioni»;
   è, allora, evidente ed indispensabile che l'alveo e le aree di pertinenza del fiume Tronto vengano rese sicure attraverso interventi vari atti a non ostacolare, in caso di piena, il normale deflusso delle acque;
   infatti, il permanere dello stato di degrado aumenta la pericolosità del fiume che, allo stato attuale, potrebbe in caso di piene eccezionali, riprodurre la drammatica situazione dell'esondazione dell'aprile del 1992 –:
   quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, abbia intenzione di porre in essere anche attraverso l'istituzione di un tavolo di confronto con gli enti locali e gli organi preposti alla cura e alla manutenzione del suddetto fiume al fine di monitorare il dissesto idro-geologico, di garantire l'incolumità della cittadinanza e di prevenire eventuali pericoli per le popolazioni residenti. (4-12797)


   GUIDESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 15 settembre 2014 è strato siglato un protocollo d'intesa triennale tra l'ANCI, l'Istituto per il credito sportivo e la Lega nazionale dilettanti al fine di «agevolare le procedure, le sinergie e il reperimento delle risorse necessarie ad intervenire sull'impiantistica pubblica di proprietà comunale destinata alla pratica del calcio dilettantistico per la messa in sicurezza e l'efficientamento energetico»;
   lo scopo che voleva raggiungere tale intesa era quello di favorire «una pratica sportiva sicura ed una gestione meno onerosa degli impianti sportivi di proprietà comunale concessi in uso alla società ed associazioni sportive dilettantistiche della LND»;
   il protocollo ha inoltre disciplinato le modalità di ammissione alle suddette facilitazioni, accordate attraverso presentazione di progetti da parte degli impianti sportivi, al fine di accedere alle risorse stanziate da LND di importo pari a 2 milioni di euro ad anno solare per 40 nuovi piccoli stadi, sicuri e sostenibili;
   il protocollo, infatti, stabilisce, all'articolo 2, la concessione, da parte di LND, alle società ed associazioni sportive dilettantistiche di contributi a fondo perduto per un importo complessivo di 6 milioni rivenienti dalla mutualità prevista dal decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9, assegnate alla Lega per la messa a norma e l'utilizzo delle energie rinnovabili, finalizzate alla riduzione dei costi gestionali, sull'impiantistica di base di proprietà comunale;
   ulteriori 6 milioni di euro di mutui sono concessi, da parte dell'Istituto per il credito sportivo, come stabilito dallo stesso articolo 2 del protocollo, ai comuni proprietari degli impianti concessi in uso alle società e associazioni, allo stesso fine di realizzare progetti per la messa a norma e l'utilizzo delle energie rinnovabili, affiancati dalla concessione, sempre da parte dell'Istituto per il credito sportivo, di contributi in conto interesse finalizzati all'abbattimento totale della quota interessi a valere sui predetti mutui;
   già a fine luglio 2015, sono stati ufficializzati i primi 40 impianti ammessi a beneficiare dei contributi della prima annualità, ma, ad oggi, a quasi nove mesi dall'assegnazione, i lavori non sono ancora iniziati in nessuno dei 40 impianti sportivi, a causa di ritardi imputabili, per la maggior parte, alle difficoltà burocratiche che le amministrazioni comunali hanno riscontrato per l'accesso al cofinanziamento realizzato con i mutui;
   infatti, su 40 impianti sportivi che hanno ottenuto il finanziamento, 27 hanno già richiesto e ottenuto lo slittamento di termini previsti, mentre 4 sono in attesa dell'arrivo del progetto esecutivo e 3 in attesa di richiesta di slittamento –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare iniziative al fine di erogare un finanziamento annuale compensativo pari, almeno, al valore dell'importo a fondo perduto concesso dalla Lega nazionale dilettanti, corrispondente a 6 milioni di euro, in attesa che venga sbloccata la mutualità prevista, come chiarito in premessa, in modo da consentire l'immediato inizio dei lavori e permettere, nel più breve tempo possibile, la riduzione dei costi gestionali e la messa in sicurezza dell'impiantistica di base di proprietà comunale, che dovrebbe essere lo scopo fondamentale da raggiungere in questo ambito come bene della collettività.
(4-12799)


   DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle indagini condotte dalla procura della Repubblica di Potenza che hanno portato alle dimissioni del Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, oltre ai gravi fatti emersi in ordine allo smaltimento dei rifiuti nell'impianto di Centro Olio Val d'Agri di Viggiano e alla gestione del progetto Tempa Rossa di Corleto Perticara, sembrerebbe emergere un quadro fosco in merito alle nomine di alcuni Ministri e Sottosegretari di Governo che sarebbero stati indicati da comitati di affari per seguire i loro interessi all'interno delle istituzioni;
   in particolare, Claudio De Vincenti ex Vice Ministro dello sviluppo economico e dal 10 aprile 2016 Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, seppur non indagato, risulterebbe coinvolto nelle intercettazioni dell'ex Ministro Guidi. Secondo la ricostruzione della procura di Potenza e della squadra mobile riportata dal quotidiano il Fatto Quotidiano, Gianluca Gemelli, compagno dell'ex Ministro Guidi e tra i principali indagati, era in grado di «manovrare» il Ministero dello sviluppo economico, non soltanto attraverso la Guidi, ma anche attraverso il suo sottosegretario De Vincenti;
   secondo quanto riportato dalla stampa l'indagine riporterebbe delle intercettazioni che non solo rivelerebbero le pressioni del Gemelli sul Ministro Guidi ma anche il radicamento delle lobby all'interno del Ministero stesso. Secondo la procura infatti Gemelli nel gestire i propri affari, curava al contempo gli interessi di un intero, determinato «gruppo» di soggetti stabilmente dediti e decisi a «manovrare» decisioni e che Guidi definisce «combriccola», «clan», «quartierin»;
   nelle intercettazioni con il suo compagno l'ex Ministro Guidi spiegherebbe esplicitamente anche il ruolo di De Vincenti al Ministero dello sviluppo economico: ribadiva infatti che De Vincenti «è diciamo amico di quel tuo clan lì», e ancora: «Sai chi lo ha messo lì Padoan; Innocenti, l'hai capito chi glielo ha messo Padoan ? Sempre quel quartierino lì. Oltre al fatto che si conoscono perché andavano a scalare insieme da vent'anni, lui De Vincenti e Padoan... ma glielo ha messo sempre quel quartierino lì... Quelle pedine, cioè De Vincenti da me, non è un caso, non è per farmi un favore, perché De Vincenti è bravo, capito ? Come non hanno messo lì Piercarlo per fare un favore a Matteo, perché Piercarlo è bravo»;
   tali intercettazioni sembrerebbero spiegare anche il ruolo giocato dal Vice Ministro in occasione dell'esame parlamentare inerente all'emendamento di «sblocco» del progetto «Tempa Rossa» durante il provvedimento «Sblocca Italia» quando l'allora Viceministro dello sviluppo economico De Vincenti si presentò in Commissione ambiente per sostenere in tutti i modi quell'emendamento;
   va inoltre ricordato che De Vincenti risulterebbe coinvolto, sempre non indagato, anche in un'altra inchiesta simile a Tempa Rossa, ossia quella di Tirreno Power, la centrale a carbone ex gruppo Cir (De Benedetti). L'impianto di Vado Ligure è finito nel mirino della procura di Savona con accuse terribili, tra cui spiccano il disastro ambientale colposo, il disastro sanitario colposo e l'omicidio colposo plurimo. De Vincenti, pur non accusato di nulla, secondo quanto riportato dalla stampa, sarebbe indicato come l'uomo che – secondo i carabinieri del Noe, il nucleo ecologico dell'Arma – stava dando una mano ai vertici della Tirreno Power «per aggirare le prescrizioni ambientali» e predisporre «un'ispezione del Csm per bloccare il titolare delle indagini»;
   alla luce delle suddette vicende sembra all'interrogante non solo inammissibile che circoli il nome di De Vincenti come possibile Ministro dello sviluppo economico, ma non risulti neppure chiaro quali siano le ragioni di opportunità che hanno portato alla nomina di De Vincenti a Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Presidente del Consiglio non intenda chiarire quale siano state le ragioni di opportunità che hanno portato alla nomina di De Vincenti a Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   se il Presidente del Consiglio intenda escludere De Vincenti dalla rosa dei nomi per ricoprire il ruolo di Ministro dello sviluppo economico;
   nell'attesa che la magistratura faccia piena luce sui fatti in premessa, se, a garanzia delle istituzioni, non si intenda portare in Consiglio dei ministri la questione della revoca dall'incarico di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per il dottor De Vincenti. (4-12803)
* * *

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come riportato sul sito istituzionale del Ministero della giustizia, si parla di sottrazione internazionale quando un minore avente la residenza abituale in un determinato Stato è condotto in un altro Stato senza il consenso del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale, che comprende il diritto di determinare il luogo di residenza abituale del minore;
   per proteggere i minori e risolvere le controversie derivanti dall'illecito trasferimento in uno Stato diverso da quello di residenza abituale, sono state stipulate convenzioni internazionali che definiscono regole applicabili in tutti gli Stati aderenti. La convenzione di specifico riferimento è la Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori;
   la Convenzione dell'Aja del 1980 è stata ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 15 gennaio 1994, n. 64, ed è attualmente applicata nelle relazioni tra l'Italia ed altri Stati, compresa la Slovacchia;
   l'interrogante, supportato da informazioni ricevute dai genitori interessati e come confermatogli direttamente dall'Ambasciata Italiana a Bratislava, è al corrente di numerosi casi di sottrazione internazionale di minori che coinvolgono genitori italiani, genitori slovacchi e bambini nati e cresciuti in Italia, ma illegalmente sottratti e portati in Slovacchia dal genitore slovacco;
   l'interrogante, sollecitato il dipartimento della giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia, è stato informato che dal 2000 ad oggi l'Italia ha inoltrato nella Repubblica Slovacca n. 24 istanze di restituzione di minorenni abitualmente residenti in Italia e n. 4 istanze relative all'esercizio del diritto di visita. Alla data odierna risultano pendenti n. 2 istanze, di cui n. 1 di restituzione e n. 1 per l'esercizio del diritto di visita, mentre tutte le altre sono state archiviate;
   l'interrogante, sollecitati alcuni genitori coinvolti, ha appreso che nella stragrande maggioranza dei casi, l'archiviazione è il frutto di una rinuncia da parte dei genitori italiani a procedere con le istanze di restituzione, al fine esclusivo di salvaguardare i bambini e la loro incolumità psico-fisica, fermo restando il mancato rispetto da parte della Slovacchia della Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 e della convenzione sul diritto del fanciullo di New York;
   come è possibile verificare sul sito www.sottrazionislovakia.it un numero cospicuo di genitori italiani, tra coloro i quali si trovano a dover subire il mancato rispetto della Convenzione dell'Aja del 1980 da parte della Slovacchia, il 16 gennaio 2016 hanno scritto una lettera aperta al Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, segnalando una condotta a dir poco discutibile dell'attuale mediatrice per i casi di sottrazione internazionale di minore, Maired Mc Guinness, che «ha dimostrato di non aver nessun interesse per i nostri bambini e nessuna coscienza per le responsabilità assunte con la funzione a cui lei l'ha delegata»;
   il 17 settembre 2013, una interrogazione al Parlamento europeo segnalava le numerose difficoltà lamentate da genitori non slovacchi nell'ottenere, da parte delle autorità slovacche competenti, la corretta applicazione del regolamento (CE) n. 2201/2003-Brussels II ed il trascorrere di tempi lunghissimi per il riconoscimento e l'esecuzione in Slovacchia di sentenze giudiziarie di altri Stati membri relative a minori di coppie bi-nazionali. Nell'interrogazione, si segnalava altresì le difficoltà di ordine pratico incontrate nell'esecuzione, in Slovacchia, delle sentenze giudiziarie che prevedono il rimpatrio di minori in altri Stati membri, che di fatto ne impediscono l'esecuzione rendendo così vano l'intero procedimento espletato ai sensi del regolamento (CE) n. 2201/2003-Brussels II;
   nella suddetta interrogazione, si segnalava la non corretta applicazione da parte delle autorità slovacche competenti della convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, specificatamente in relazione alla richiesta di condizioni «speciali» non previste dalla convenzione stessa per ordinare il rimpatrio del minore nella sua residenza abituale in un altro Stato membro;
   nella risposta all'interrogazione di cui sopra, la Commissione europea ha affermato che «i casi di sottrazione trans-frontaliera di minori da parte di uno dei genitori all'interno dell'Unione europea sono disciplinati dal regolamento (CE) n. 2201/2003 (il regolamento “Bruxelles II bis”), che integra la convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori. Il regolamento prevede un procedimento rapido e uniforme grazie al quale il genitore leso nei suoi diritti può ottenere il rientro di un minore che è stato trasferito o trattenuto illecitamente. Per quanto riguarda l'esecuzione, il regolamento permette che le decisioni emanate in uno Stato membro siano eseguite in un altro, in linea con le norme e le procedure nazionali»;
   tra il 2014 ed il 2015 la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato la Slovacchia per ben tre volte per sottrazione internazionale di minori (https://goo.gl/iKc4JS https://goo.gl/rpvsxJ https://goo.gl/MdxsCs);
   il 2 giugno 2015, la Commissione per le petizioni del Parlamento europeo ha avviato l'esame della petizione n. 0639/2014 presentata dall'associazione sul «Mancato rispetto da parte delle Istituzioni slovacche delle Convenzioni europee ed internazionali sulla sottrazione internazionale dei minori, con sistematica violazione dei diritti fondamentali dell'umanità e del fanciullo in particolare»;
   il 3 luglio 2015, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni ha incontrato in Slovacchia in visita ufficiale il suo omologo ministro e vice premier slovacco Miroslav Lajcak. Si apprende dal sito internet buongiornoslovacchia.sk (http://goo.gl/TxZxQF) che i due capi abbiano discusso di diverse questioni;
   durante la conferenza a margine dell'incontro, il ministro Lajcak ha dichiarato: «L'Italia è un Paese che sentiamo vicino, una nazione per la quale noi abbiamo interesse, e con la quale condividiamo opinioni simili su tematiche chiave della scena internazionale. Tra i nostri due Paesi ci sono relazioni stabili, un dialogo intenso e visioni analoghe sulle questioni più importanti a livello internazionale». Gli ha risposto Gentiloni: «Per me è una bellissima occasione, questa mia prima visita da Ministro degli Esteri a Bratislava, una occasione per confermare relazioni eccellenti tra i nostri Paesi»;
   il Ministro Gentiloni nella mattina dello stesso giorno aveva anche reso visita al Consiglio nazionale della Repubblica Slovacca, dove era stato accolto dal presidente Peter Pellegrini. Anche qui si sono fatte valutazioni estremamente positive della cooperazione bilaterale, e si è discusso di possibili nuovi sviluppi in futuro –:
   se il Ministro interrogato, in occasione dell'incontro menzionato in premessa, abbia affrontato anche la questione delle sottrazioni internazionali di minori in riferimento ai due Paesi e quali siano stati gli esiti di tale dialogo nonché, visti gli ottimi rapporti di cui in premessa tra Italia e Slovacchia, se ritenga che ci siano le condizioni per una soluzione condivisa ed immediata delle controversie sopra richiamate, e, qualora si rinvenissero tali condizioni, se il Governo intenda adoperarsi nelle sedi opportune per richiedere la procedura d'infrazione e la diffida presso la Corte di giustizia europea contro la Slovacchia per la mancata garanzia del diritto di visita da parte dei genitori italiani presso i figli illegalmente rapiti e tenuti in Slovacchia e per il mancato rimpatrio dei bambini italiani rapiti e trattenuti illegalmente in Slovacchia.
(5-08378)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, SARTI, FERRARESI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, DELL'ORCO, SPADONI, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da recenti articoli di stampa Giuseppe Giglio, pentito di Aemilia, nelle sue deposizioni sta ricostruendo dal febbraio 2016, davanti ai pm della direzione distrettuale antimafia di Bologna, la sua carriera criminale, rapporti con i vertici della cosca e i suoi affari con tanta parte dell'imprenditoria emiliana, da Reggio a Parma passando per Modena e Mantova. In una parte della sua deposizione racconta del business della vendita della ghiaia in nero: centinaia di milioni di metri cubi ceduti sottocosto con svariati sotterfugi. Al centro degli affari c'era una cava di ghiaia di Pozzolo (MN), ma ci sono riferimenti ad altre cave in altre province. La gestione delle cave fra Emilia Romagna e Lombardia e della ghiaia risulta critica e a rischio di infiltrazioni criminali almeno dagli inizi degli anni ’90 e la deposizione di Giglio sembra chiarire le metodiche lucrative di clan e imprenditori. L'interrogatorio di Giglio è del febbraio di quest'anno, i fatti partono dal 1996 (quando Giglio torna a Gualtieri dalla Calabria) e arrivano fino ai primi anni Duemila. Inizia con un camion per il trasporto inerti, poi si allarga sempre più;
   dalle deposizioni si evincono aspetti economici (sovrafatturazione dei materiali venduti e dei trasporti, parte della ghiaia venduta in nero), aspetti ambientali (riempimento delle aree escavate con rifiuti), scarsità dei controlli. Analizzando la questione anche oltre queste ultime deposizioni, si ritrova un settore decisamente fuori controllo sia in Lombardia che in Emilia Romagna;
   dal punto di vista economico apparentemente migliaia di camion hanno attraversato Emilia e Lombardia con carichi non a norma, danneggiando l'asfalto e frodando il fisco; dal punto di vista ambientale sono stati estratti enormi quantitativi di ghiaia (molto oltre le autorizzazioni), è stata aspirata ghiaia da aree dove non era autorizzata l'estrazione tramite le correnti fluviali, è stato danneggiato l'assetto idrogeologico ed è stato messo ulteriormente a rischio lo stato chimico delle acque superficiali (SCAS) e profonde (in queste stesse aree si vedono solo zone «rosse» relativamente alla SCAS secondo gli studi dell'ISPRA);
   fra le cave vanno segnalate la Cava Margonara a Reggiolo (RE), la cava di Gualtieri (RE) dove la ditta Bacchi, ora interdetta dalla white list della prefettura, è stata condannata, insieme al comune di Gualtieri a risarcire la regione Emilia Romagna con una sanzione da quasi 10 milioni di euro per l'estrazione di sabbia non autorizzata dalle sponde del Po; l'alveo del Po negli ultimi venti anni si è abbassato di oltre tre metri provocando la risalita del cuneo salino nell'area del delta, un minore apporto di sabbia sulle spiagge adriatiche con vistosi fenomeni di erosione, una grave compromissione delle sponde con un aumento del rischio di inondazioni;
   in un'interrogazione regionale, il consigliere M5S Sassi ha fra l'altro chiesto se la cifra sia stata in effetti incassata dalla regione. Lo stesso si potrebbe dire per l'attività della stessa ditta Bacchi s.p.a. in provincia di Mantova, dove Cava Caselli a Viadana è rimasta attiva fino al 2006, ma la convenzione prevedeva che a carico della ditta Bacchi venisse eseguita una riqualificazione ambientale che però, a distanza di 9 anni, a quanto risulta agli interroganti non è ancora stata completata. A tal proposito, la provincia di Mantova, rilevando l'inadempienza della ditta reggiana, aveva inviato gli atti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Mantova; si attendono gli esiti. La ditta Bacchi, inoltre, aveva versato una fidejussione di 323mila euro che né il comune di Viadana, dato che cava Caselli è sotto la competenza dell'amministrazione comunale viadanese, né la regione Lombardia, scaduti i termini di 30 giorni dal mancato incasso della tesoreria comunale di Viadana, hanno provveduto ad incamerare, con una escussione tardiva (maggio 2015) che da notizie di stampa non ha ancora garantito la rinaturalizzazione della cava stessa. La ditta Bacchi spa risulta aver finanziato legalmente la Lega Nord nel 2006, 5000 euro regolarmente registrati;
   in provincia di Modena sono segnalate possibili interferenze ambientali di «Cava Rubbiani 2012» con gli habitat e le specie protette del vicino SIC IT 4040011 «Cassa di Espansione del Fiume Panaro»; tale attività estrattiva è sita in territorio del comune di Modena e di proprietà della ditta «Granulati Donnini spa», con sede in Modena Via Cave Montorsi 27/A. Le possibili influenze negative legate alla richiesta di scavo sotto al livello di falda potrebbero essere dovute a:
    disturbo da rumore e transito (mezzi di cantiere, mezzi pesanti, pompe, generatori e altro);
    aumento dell'inquinamento atmosferico locale indotto da parte dei mezzi di trasporto;
    produzione polveri ed emissioni da attività di cantierizzazione e movimentazione materiali estratti;
    aumento dell'inquinamento atmosferico locale;
    incremento dei rischi d'incidente (p.e. legati alle attività interne di escavazione o movimentazione e altro);
    disturbi significativi da rumore da parte dei veicoli che verranno utilizzati nel cantiere oppure produzione occasionale di rumori di elevata potenza;
    inquinamento di acque superficiali o sotterranee (dilavamento meteorico, ingresso di acque superficiali in cava, sversamenti accidentali);
   altra cava, citata da Giglio, è la Rondelli di San Benedetto Po (MN), già oggetto dell'interrogazione del primo firmatario del presente atto n. 5/04503 in cui si evidenziava anche in quella situazione un grave rischio idrogeologico dovuto al prelievo di ghiaia che ha verosimilmente determinato alterazioni strutturali del Ponte di San Benedetto, in via di sostituzione senza alcun accenno nei progetti alla necessità di eliminazione della cava stessa (in alveo) e all'assetto strutturale del nuovo ponte che in pratica rischia di poggiare su una cavità irregolare in riva destra;
   in sostanza, appare verosimile la mancanza di reali controlli sia sul versante legale, fiscale e ambientale di tutto il settore della cavatura di ghiaia e sabbia in Emilia Romagna e Lombardia, con ulteriori rischi di aggravamento legati a progetti di costruzione ponti senza tenere conto degli scempi ambientali precedenti, sia per quanto attiene all'ampliamento di discariche per rifiuti speciali senza alcuna necessità territoriale e alla richiesta di riempimento di cave con rifiuti, come Cava Pirossina a Castiglione delle Stiviere (MN);
   la direttiva europea 2000/60 impone la tutela della qualità delle acque di falda e l'Italia sta rischiando l'ennesimo pagamento di sanzioni, almeno per quel che riguarda il distretto idrico padano –:
   se i Ministri interrogati intendano promuovere, per quanto di competenza, accertamenti in merito a quanto riferito nelle deposizioni dell'inchiesta Aemilia;
   se i Ministri interrogati intendano, in particolare, disporre una verifica insieme all'unità di missione contro il dissesto idrogeologico della situazione degli argini del fiume Po in Lombardia ed Emilia Romagna, nelle aree interessate da escavazione;
   in che modo i Ministri interrogati intendano ottemperare alla direttiva (UE) 2000/60 relativamente alla qualità delle acque superficiali e profonde e se intendano rivedere i piani infrastrutturali apparentemente correlati a fenomeni di traffico e interramento di rifiuti legati anche all'attività di escavazione e non a una pianificazione mirata alla mobilità sostenibile. (5-08370)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Società Salemme spa, azienda partecipata dal Gruppo Acea spa (una delle principali multiutility italiana, con oltre 7000 dipendenti, quotata in borsa dal 1999 – socio di maggioranza comune di Roma – e attiva nella gestione e nello sviluppo di reti e servizi nei business dell'acqua, dell'energia e dell'ambiente), ha recentemente presentato, all'amministrazione provinciale di Viterbo, un progetto per la realizzazione di un impianto di stoccaggio e trattamento dei fanghi prodotti dalla depurazione delle acque reflue urbane, nei pressi della località «Madonnella» nel comune di Montefiascone (VT);
   i fanghi di depurazione sono a tutti gli effetti dei rifiuti e in quanto tali disciplinati dal decreto legislativo n. 152 del 2006; e pertanto possono essere smaltiti o per incenerimento finalizzato al recupero di energia, o in discariche controllate di rifiuti speciali ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003 e decreto ministeriale 3 agosto 2005 o recupero mediante compostaggio e digestione anaerobica;
   le linee generali del Piano di gestione dei rifiuti della regione Lazio, approvato con delibera di consiglio regionale n. 112 del 10 luglio 2002, prevede che gli impianti per la gestione dei rifiuti, ad eccezione delle discariche, possono essere localizzate nelle aree destinate ad insediamenti produttivi;
   il territorio del comune di Montefiascone (VT) è noto soprattutto per la pregevole produzione di vini Doc, per interessanti siti di interesse storico, archeologico ed ambientale (lago di Bolsena, e al periodo etrusco risalgono due aree sacre Templari Cornos e la Rocca);
   il sito dove è prevista l'allocazione dell'impianto, da piano regolatore generale è zona agricola e andrebbe comunque cambiata la sua destinazione d'uso, dista circa 50 metri da numerose abitazioni civili e ciò provocherebbe inevitabilmente ulteriori problemi sociali e sanitari. Nei fanghi spesso si trovano anche microorganismi, che possono comprendere agenti patogeni quali salmonella e streptococchi, anche per questo motivo risultano inidonee le zone abitate ed a vocazione agricola e turistica come quella del comune di Montefiascone;
   nella prima conferenza dei servizi i rappresentanti della regione Lazio e della provincia di Viterbo hanno già sollevato una serie di dubbi e rilievi sia su particolari vincoli tecnici che normativi. Del tutto contrario è stato il parere dell'amministrazione comunale di Montefiascone, e sempre più forte la mobilitazione dei cittadini contro l'ipotesi di realizzazione del suddetto impianto;
   i fanghi, almeno 80 mila tonnellate annue, dovrebbero arrivare non solo da Roma ma anche da diverse città d'Italia, trasportati da numerosi Tir su strade, come quella della Tuscia, del tutto inidonee al traffico pesante e che inevitabilmente provocheranno ulteriori disagi ed inquinamento –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di tutelare i siti di interesse storico ed archeologico, come la Rocca dei Papi e le due aree sacre risalenti agli etruschi, presenti nelle vicinanze del previsto impianto di stoccaggio e trattamento dei fanghi prodotti dalla depurazione delle acque reflue, che produrrebbe effetti sociali, ambientali e sanitari deleteri per il territorio della Tuscia. (4-12801)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS e DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con il supplemento n. 1 all'ordine del giorno n. 060 per il 29 febbraio 2016 del comando aeroporto di Sigonella, al fine di garantire la continuità di comando per l'assenza del comandante titolare, veniva nominato il comandante interinale del suddetto ente con decorrenza dal 3 marzo 2016 al 14 marzo 2016;
   risulta agli interroganti che il comandante interinale del comando aeroporto, sia stato anche precedentemente eletto membro del consiglio di base della rappresentanza militare (COBAR) e che nonostante quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 883, comma 2, lettera d) e 889, comma 5, lettere a) del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare) – non sia stata contestualmente avviata la prevista procedura di surroga del predetto delegato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda appurare le motivazioni per le quali non sia stata immediatamente avviata la prevista procedura di cessazione anticipata dal mandato di membro del COBAR – data l'evidente incompatibilità – all'atto di nomina dello stesso nella funzione di comandante interinale del comando aeroporto di Sigonella. (5-08379)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   i precari vigili del fuoco sono parte del personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e prestano, indiscussa e professionale, attività lavorativa tanto da essere considerati figura strategica del comparto per un efficace servizio di soccorso pubblico. Si tratta di personale sempre in prima linea, che per le attività che è tenuto a svolgere, mette spesso a rischio la propria incolumità;
   eppure, non è ancora stata riconosciuta la giusta dignità a tale categoria, poiché, nel tempo, è stata disattesa ogni iniziativa, anche normativa, di suo inquadramento e stabilizzazione dopo anni di valoroso servizio; al riguardo, sono intervenute anche sentenze della giustizia amministrativa che, tuttavia, non hanno condotto ad una risoluzione della questione ma contribuito a mantenere uno stato di assoluta incertezza;
   un iniziale provvedimento per la stabilizzazione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco è intervenuto con il decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007, con il quale il Ministero dell'interno ha indetto una procedura selettiva e i relativi criteri per parteciparvi; il bando è stato rivolto al personale volontario del corpo nazionale dei vigili del fuoco iscritto negli appositi elenchi, di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, da almeno tre anni e con non meno di 120 giorni di servizio;
   solo dopo la scadenza delle domande di ammissione al bando, è poi intervenuto l'articolo 3, comma 91, della legge n. 244 del 2007 (la legge finanziaria 2008), che ha stabilito l'applicazione allo stesso del limite massimo del quinquennio previsto dal comma 519 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, vincolando la possibilità di accesso alle forme di stabilizzazione del personale precario del Corpo dei vigili del fuoco alla sussistenza nel predetto quinquennio del requisito «dell'effettuazione di non meno di 120 giorni di servizio». Pertanto, il sopravvenuto requisito ha comportato l'esclusione dalla procedura selettiva di un notevole numero di volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   tali esclusioni dalla procedura selettiva, che avrebbe dato la possibilità di accedere alla tanto attesa stabilizzazione, ha determinato una serie di ricorsi al TAR del Lazio e ai TAR del territorio nazionale; successivamente, anche il Consiglio di Stato è stato chiamato a decidere sulla richiesta di annullamento delle esclusioni, a seguito di numerosi appelli contro il rigetto dei ricorsi proposti in primo grado;
   il Consiglio di Stato nell'adunanza plenaria del 2 febbraio 2011, con sentenza del 24 maggio 2011, ha deciso di rigettare tutti i ricorsi proposti, sostenendo che quanto eccepito in ordine alle esclusioni dalla procedura selettiva di stabilizzazione, erano in pratica «lagnanze» infondate e, quindi, ha riconosciuto le ragioni dello Stato;
   invece, una successiva sentenza emessa dal Consiglio di Stato, n. 4573/15 del 20 settembre 2015, ha riconosciuto le ragioni dei ricorrenti, ribaltando nettamente la predetta pronuncia e dichiarando l'annullamento della loro illegittima esclusione dalle procedure selettive per la stabilizzazione; il collegio ha dunque valutato la questione sulle medesime eccezioni fatte valere in precedenza dai precari vigili del fuoco e rigettate dal Consiglio di Stato in seduta plenaria;
   va da sé, che l'ingiustizia di tale vicenda dà luogo ad un'evidente violazione dei fondamentali principi di uguaglianza e certezza del diritto, che rende ancora più insostenibile la situazione dei precari vigili del fuoco, che da tempo attendono provvedimenti di salvaguardia della loro categoria, che consentano la loro stabilizzazione –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti esposti in premessa, per quanto di competenza;
   se e quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, affinché non si verifichino vicende come quella descritta in premessa, con violazione dei principi di uguaglianza e di certezza del diritto, intervenendo affinché venga tutelata la categoria in questione e siano, dunque, stabilizzati tali lavoratori. (5-08368)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   RICCIATTI, SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO, FERRARA, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Indesit Company è un'azienda multinazionale leader nel settore degli elettrodomestici che nella parte più lunga e importante della sua storia ha avuto il cuore produttivo e decisionale nelle Marche ed è appartenuta alla famiglia Merloni;
   l'azienda marchigiana ha vissuto, come altre realtà economiche nazionali, la crisi economica che l'aveva portata a perdere nel 2009 il 17 per cento dei ricavi, situazione che era tuttavia migliorata negli anni successivi grazie all'andamento positivo di alcuni mercati esteri;
   nel 2013 l'amministratore delegato Marco Milani subentrava alla presidenza ad Andrea Merloni. Per la prima volta nella storia della Indesit un manager esterno alla famiglia Merloni guidava l'azienda;
   in data 4 giugno Indesit aveva annunciato l'esubero di 1400 lavoratori in Italia, per poter rendere più competitiva l'azienda;
   a seguito di trattative tra le organizzazioni sindacali, l'azienda e le Istituzioni – Ministero dello sviluppo economico e regione Marche tra le più attive –, il 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato siglato l'accordo relativo alla vertenza tra l'azienda, il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Campania e Marche, Confindustria Ancona e Caserta, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, ad eccezione della Fiom, che vi ha aderito successivamente ad un referendum dei lavoratori dell'azienda;
   tale accordo prevede un investimento della azienda pari ad 83 milioni di euro e la ridefinizione delle missioni produttive per ogni sito del gruppo, l'impegno dell'azienda sino a tutto il 2018 di non ricorrere all'utilizzo di procedure unilaterali di mobilità, l'uso dei contratti di solidarietà, un limite alla cassa integrazione a zero ore di 4 mesi per ogni lavoratore, nei cinque anni di durata del piano, nonché la realizzazione di un centro di ricerca sui prodotti elettrodomestici, all'interno dello stabilimento Indesit di Melano nelle Marche, finanziato da diverse Istituzioni, tra le quali lo stesso Ministero dello sviluppo economico, le regioni Marche e Campania ed il Consiglio nazionale delle ricerche;
   in data 11 luglio 2014 la stampa ha reso noto che la famiglia Merloni attraverso la società Fineldo, ha ceduto alla società americana Whirlpool la partecipazione del 60,4 per cento del capitale (ossia il 66,8 per cento dei diritti di voto) della fabbrica di elettrodomestici. Il prezzo di acquisto era stato fissato a 11 dollari per ogni azione di Indesit, per un prezzo totale previsto pari a 758 milioni di dollari;
   nonostante le diverse sollecitazioni, ad oggi non è ancora chiaro se Whirlpool riconoscerà il piano industriale siglato dalla Indesit, salvaguardando così i livelli occupazionali e gli impianti produttivi nel territorio marchigiano e campano, così come stabilito tra le parti e le Istituzioni nell'accordo del 3 dicembre 2013;
   le preoccupazioni, soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali e dai lavoratori, risiedono nell'evidenza che Whirlpool produce prodotti della stessa tipologia merceologica della Indesit e possiede già diversi stabilimenti in Italia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle intenzioni della acquirente Whirlpool circa il riconoscimento del piano industriale siglato da Indesit il 3 dicembre 2013;
   quali strumenti di loro competenza intendano attuare, i Ministri interrogati, per salvaguardare livelli occupazionali e impianti produttivi nei territori interessati. (3-02172)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per sapere – premesso che:
   l'articolo 45 della Costituzione afferma che «la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità»;
   è noto che la cooperazione è nata come salvagente per lavoratori senza tutele, ha avuto per decenni il ruolo sociale fondamentale di mitigare le distorsioni del sistema capitalista e rappresenta il primo atto con il quale i lavoratori assunsero coscienza di classe;
   oggi il mondo cooperativo ha un ruolo non secondario nella nostra economia: da dati del 2013, le cooperative attive in Italia risultano essere circa 70.000, di cui 376 banche di credito cooperativo e 1.904 consorzi. Le 67.062 cooperative hanno generato, nell'anno, un valore della produzione pari a 90,7 miliardi di euro, mentre i consorzi 17,6 miliardi. Il valore della produzione stimato è pari all'8,5 per cento del PIL italiano;
   le coop di tipo A svolgono servizi socio-sanitari o educativi rivolti alla persona e quelle di tipo B operano in altri settori come il commerciale, agricolo o nei servizi. Queste ultime sono caratterizzate per impiegare una percentuale fissa di persone svantaggiate;
   secondo il rapporto Euricse del 2015, tra il 2008 e il 2013, in presenza di tassi di variazione del prodotto interno lordo negativi, le oltre 28.000 cooperative analizzate hanno registrato una crescita del 14 per cento del valore della produzione. In termini assoluti, l'incremento è stato di oltre dieci, miliardi, dai 72,2 del 2008, agli 82,4 del 2013;
   l'analisi per settore d'attività evidenzia che, tra le cooperative di primo grado, le attività più dinamiche sono state quelle della sanità e assistenza sociale, con una crescita sull'intero periodo del 31,1 per cento (ossia 1,5 miliardi di euro), e dell'agroalimentare, con un aumento del 22,6 per cento (+3,5 miliardi di euro). Leggermente inferiori, ma comunque oltre la media, sono risultati i tassi di crescita del commercio, con un apprezzabile +16,4 per cento (+4,1 miliardi di euro), e degli altri servizi +14,6 per cento (+1,3 miliardi di euro);
   le cooperative sono presenti in tutta Italia, ma permane, tuttavia, una forte disomogeneità rispetto alla dislocazione geografica del tessuto imprenditoriale cooperativo. Infatti, il 45 per cento delle cooperative agricole italiane è concentrato nel Nord Italia e da solo genera addirittura l'82 per cento del fatturato totale, contro il restante 18 per cento diviso quasi equamente tra Centro e Sud;
   tuttavia, l'originario spirito di solidarietà e mutualità una volta espresso dal sistema cooperativo è da tempo sempre più sacrificato alla logica del mercato, della competizione e del profitto, alla pari delle imprese di capitale e difatti non accennano a diminuire i fenomeni di sfruttamento del lavoro ad opera di alcune cooperative operanti nell'area industriale e commerciale sul territorio nazionale;
   sul «fenomeno» delle cooperative, che si ritiene molto positivo, si intreccia oggi, purtroppo, il sistema delle false cooperative, dette «spurie» (non legittime, non autentiche, false): queste imprese anomale hanno ben poco in comune con le cooperative. Esse inquinano il mercato, offrendosi a prezzi più bassi rispetto a quelle che agiscono correttamente rispettando i diritti di chi lavora: pagano meno i lavoratori, non adottano le misure di sicurezza nei posti di lavoro, spesso eludono il fisco, chiudendo e riaprendo le attività sotto un nuovo nome. I controlli, anche per l'inadeguatezza di organico di chi sarebbe tenuto a farli e per la carenza delle normative, sono rarissimi e le sanzioni insufficienti;
   le attività delle cooperative spurie sono di vario tipo: autotrasporto, logistica e facchinaggio, costruzioni ed infrastrutture, attività di consulenza e noleggi, servizi impropri nel ricco ed esteso settore della lavorazione delle carni ed agroalimentare;
   il lavoro nelle società cooperative ha caratteristiche particolari perché, nella definizione giuridica, una società cooperativa non ha fini di lucro ma persegue scopi mutualistici. La figura di riferimento è quella del socio lavoratore, che, in quanto tale, dovrebbe: a) versare la quota sociale; b) partecipare all'assemblea dei soci e alle altre istanze previste per assumere le decisioni comuni; c) partecipare alla divisione degli utili della cooperativa. La concreta esperienza ha portato a scoprire situazioni in cui spesso la cooperativa è un paravento rispetto a realtà di brutale sfruttamento, basate su retribuzioni inferiori ai minimi contrattuali, sulla riduzione delle tutele sociali, sulla precarietà del rapporto di lavoro, su alcune situazioni in cui i soci si trovano senza nessun diritto a partecipare alle decisioni e al capitale della cooperativa, con la sola possibilità di scegliere tra tale condizione e la disoccupazione. Infatti, alcune cooperative di produzione e lavoro sono state costituite con l'obiettivo di aggirare le leggi e i contratti di lavoro, nell'unica logica di ridurre i costi di produzione. In questo modo, sono stati negati i tradizionali obiettivi sociali delle cooperative e i soci lavoratori si sono trovati in una condizione peggiore non solo dei normali lavoratori dipendenti, ma anche degli altri lavoratori atipici, come quelli che hanno contratti a termine, perché avevano maggiori difficoltà nel ricorrere alla magistratura e non avevano nemmeno il diritto di organizzarsi sindacalmente;
   dunque le «false cooperative» approfittano di vuoti normativi e dell'assenza di controlli e agiscono sul mercato in modo scorretto su due piani: da un lato, attraverso il mancato rispetto dei contratti di lavoro e, dall'altro, dal punto di vista contributivo;
   sempre più spesso la costituzione di cooperative diventa anche veicolo per realizzare operazioni di esternalizzazioni con trasferimento di personale con il quale un'azienda decide di dare in appalto o in affidamento ad una impresa esterna (spessissimo cooperativa) un determinato servizio in precedenza internalizzato al fine di ottenere un risparmio in termini di costi, oppure allo scopo di ottenere maggiori margini di flessibilità gestionale e di adeguamento dei processi alle esigenze del business;
   recentemente, ad esempio, in Umbria, l'azienda Eskigel di Terni ha ipotizzato l'esternalizzazione della manodopera attraverso il ricorso alla forma di affidamento del servizio una società cooperativa, con l'effetto di indebolire il trattamento normativo e retributivo dei dipendenti (interrogazione n. 5/7430);
   ad oggi, sono tuttora innumerevoli le segnalazioni di sindacati ed operatori del settore che lamentano patologie sistemiche in seno al mondo cooperativistico, tanto sul piano della tutela dei diritti dei lavoratori, quanto per quello che riguarda le problematiche che ne derivano da un punto di vista della concorrenza, laddove il pur legittimo favor legis a vantaggio delle cooperative non può e non deve alimentare incongruenze rispetto alle rigide normative europee in tema di concorrenza;
   il fenomeno della cooperazione ha però assunto caratteri anomali non solo dal punto di vista del trattamento previsto in materia di lavoro e di governance della cooperativa non più rispondente allo spirito mutualistico originario, ma soprattutto dal punto di vista del rapporto e legame che, nel corso degli anni, si è venuto a creare tra il mondo economico che ruota intorno, in particolare modo, alle grandi cooperative e il mondo della politica; dirigenti delle cooperative che entrano in politica o ex politici rimasti senza occupazione che sono diventati dirigenti delle cooperative e/o delle organizzazioni della Lega coop o Confcooperative: il caso più recente e vistoso è, a esempio, quello dell'attuale presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, assunta come direttore di Lega Coop Umbria nel 2007 dopo aver fatto il sindaco di Todi e la dirigente dell'Anci, prima di essere eletta al Parlamento europeo e attualmente in aspettativa da Legacoop;
   è evidente che questa permeabilità delle classi dirigenti tra due ambiti che dovrebbero rimanere separati rappresenta una questione economica ma anche democratica, di trasparenza ed imparzialità dell'amministrazione e delle istituzioni assai rilevante poiché tale legame può dar vita, a parere degli interroganti, a fenomeni di «conflitto d'interessi» con dirigenti e management di cooperative che hanno ricoperto o ricoprono tuttora incarichi istituzionali;
   persino il giornalista Claudio Lattanzi nel libro I padrini dell'Umbria, pubblicato da Intermedia edizioni, stigmatizza tale fenomeno: «A livello generale, il caso delle coop rappresenta il più grande e generalizzato conflitto d'interessi che l'Italia del dopoguerra abbia conosciuto seppur i media nazionali siano poco inclini a mettere in evidenza questa realtà che è caratterizzata da rapporti organici tra i vertici nazionali del partito democratico e universo coop e, a livello regionale, da una simbiosi ricorrente tra le amministrazioni locali di sinistra e questa realtà economico-associativa» (pag. 147);
   anche nel settore pubblico ed in particolare negli enti locali e nelle Asl, da diversi anni si ricorre all'appalto esterno, principalmente da parte degli enti locali, dove, a causa di tagli di bilancio o di vincoli come il patto di stabilità e del blocco del turn over, molti servizi che prima erano svolti da uffici pubblici con proprio personale dipendente, ad esempio i lavori di pulizia e manutenzione del verde pubblico, ed anche la manutenzione dei sistemi informatici o il lavoro di segreteria o anche i servizi di portierato e vigilanza, sono affidati a personale esterno;
   negli ospedali spesso per una parte del personale infermieristico e del servizio del 118 si ricorre a cooperative di personale;
   non è un mistero, come riferito dal giornalista Lattanzi, che alcune cooperative «esercitano in vari settori della vita cittadina in virtù di un “rapporto privilegiato” con l'amministrazione municipale» (pag. 179);
   a Terni, per tornare alla realtà umbra, la super cooperativa Actl che riunisce più cooperative, attiva in numerosi campi, da quello dell'assistenza socio sanitaria, dal turismo fino alla cultura, gestendo per numerosi anni alcuni importanti servizi socio sanitari del comune, è guidata da Sandro Corsi esponente dirigente del Partito democratico ternano;
   inoltre, l'attuale normativa riserva loro particolari trattamenti e agevolazioni senza che, a fronte delle mutazioni in atto, vi sia un conseguente adeguamento nelle tutele e nella verifica delle effettive condizioni mutualistiche;
   basti pensare che la vigilanza sulle stesse cooperative se associate è affidata direttamente alle stesse Legacoop, Aggi e Confcooperative;
   si assiste sovente, ad alcune situazioni poco chiare, come quelle legate a cooperative che dichiarano fallimento alla fine di ogni anno, per poi ricostituirsi cambiando denominazione e sede sociale;
   è nota anche l'inchiesta e il processo tuttora in corso della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma che ha smascherato un giro di malaffare che coinvolgeva seriamente cooperative sociali che da anni collaboravano con il comune;
   persino il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, in audizione in commissione Antimafia, sollecitando una riflessione sul ruolo delle cooperative ha affermato: «C’è da chiedersi se alla luce delle agevolazioni fiscali di cui beneficiano le cooperative, della simpatia di cui gode l'intero ambiente e dei controlli sicuramente meno penetranti rispetto agli altri operatori economici non sia il caso di fare una riflessione sulla legislazione complessiva»;
   parrebbe pertanto opportuno, a distanza di molti anni dagli ultimi interventi legislativi in materia, soffermarsi su un'attenta analisi rispetto al sistema cooperativistico, ponendo l'attenzione sulla necessità di garantire la tutela dei diritti dei lavoratori del settore, oltre che un'accurata analisi relativa alle ipotesi di violazione del regime di concorrenza tra le aziende –:
   quali iniziative, di tipo normativo, intenda adottare il Governo al fine di rafforzare i controlli in ordine al rispetto del requisito vero della mutualità delle cooperative, tutelare i lavoratori del settore e attuare una reale politica nazionale di contrasto agli abusi derivanti dall'uso distorto della pratica delle «esternalizzazioni» aziendali, nonché volte ad elidere rapporti tra il mondo economico-cooperativo e il mondo politico, in modo tale da evitare conflitti di interesse tra incarico politico istituzionale e la carica di amministratore e/o dirigente di società cooperativa o consorzio di cooperative, affinché l'assegnazione di servizi, somministrazioni o appalti con le pubbliche amministrazioni risponda a requisiti di trasparenza e piena tutela dell'interesse pubblico. (5-08369)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   AlmavivA Contact è una delle società leader nel mercato italiano dell’outsourcing di servizi CRM;
   quest'azienda si occupa di fornire ai propri clienti un servizio di assistenza telefonica tramite call center, e negli anni è sempre stata considerata un colosso nel mondo delle telecomunicazioni;
   ciononostante, il 21 marzo 2016 AlmavivA Contact ha emesso una procedura di mobilità per 3.000 dipendenti sul territorio nazionale;
   considerato che il totale dei dipendenti in Italia di AlmavivA Contact raggiunge le 8.000 unità, si sta parlando di un 40 per cento dei lavoratori attualmente sotto contratto destinati a rimanere senza lavoro nel giro di poche settimane;
   la quasi totalità degli esuberi dichiarati da AlmavivA Contact, peraltro, è localizzata al Sud;
   si tratta di un ulteriore terribile colpo ad un'area del Paese già martoriata dalla crisi, come dimostrano i dati sulla disoccupazione (specie giovanile e femminile) –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere al fine di garantire la tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolti dalla procedura di mobilità ed il mantenimento dei livelli occupazionali. (4-12800)


   PALLADINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 giugno 2013 la Indesit annunziava l'esubero di ben 1.400 lavoratori in Italia. Dopo numerose trattative tra le organizzazioni sindacali, la società e la regione Marche, il 3 dicembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico, siglarono l'accordo relativo alla vertenza tra l'azienda, il Ministero dello sviluppo economico, le regioni Campania e Marche, Confindustria di Ancona e Caserta, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, fatta eccezione per la Fiom, che vi ha aderito solo successivamente a seguito di un referendum aziendale;
   tale accordo prevedeva per la Indesit Company spa la ridefinizione delle missioni produttive per ogni sito del gruppo ed un investimento di 83 milioni di euro con l'impegno fino alla fine del 2018 di non ricorrere all'utilizzo di procedure unilaterali di mobilità. Inoltre, era stato stabilito un limite alla cassa integrazione a zero ore di 4 mesi per ogni lavoratore, nei cinque anni di durata del piano, l'utilizzo dei contratti di solidarietà, nonché la realizzazione di un centro di ricerca sui prodotti elettrodomestici finanziato da diverse Istituzioni, tra le quali lo stesso Ministero dello sviluppo economico, le regioni Marche e Campania ed il Consiglio nazionale delle ricerche;
   in data 11 luglio 2014 la famiglia Merloni, attraverso le società Fineldo, cedeva alla società americana Whirlpool la partecipazione del 60,4 per cento del capitale (ossia il 66,8 per cento dei diritti di voto) della fabbrica di elettrodomestici (il prezzo di acquisto era stato fissato a 11 dollari per ogni azione di Indesit, per un prezzo totale previsto pari a 758 milioni di dollari);
   l'acquisizione non ha mancato di suscitare preoccupazioni, soprattutto da parte dei lavoratori, in considerazione del fatto che Whirlpool produce elettrodomestici della stessa tipologia merceologica della Indesit e possiede già diversi stabilimenti in Italia e ciò con potenziali ricadute negative sul mantenimento dei livelli occupazionali;
   il 27 gennaio 2015 il Ministero dello sviluppo economico affermava di aver «chiesto ed acquisito l'impegno da parte della Whirlpool a confermare integralmente quanto è stato oggetto di intesa con Indesit, nel dicembre del 2013, sia riguardo alla produzione sia all'occupazione», vale a dire nessun licenziamento – almeno sino alla fine del 2018 – ed il mantenimento di tutti gli stabilimenti, con investimenti per 83 milioni di euro in Italia da parte dell'azienda;
   il 25 luglio 2014 l'Agenzia Invitalia ha siglato un contratto di sviluppo con il gruppo Whirlpool, che prevede un investimento di 31 milioni di euro, 10 dei quali finanziati da Invitalia, per il potenziamento dello stabilimento di Napoli;
   la Whirlpool ha recentemente fatto riferimento all'eccesso di capacità produttiva del settore elettrodomestici, paventando una mancanza di lavoro per migliaia di dipendenti attualmente in cassa integrazione di Indesit;
   la chiusura degli stabilimenti di Carinaro, Albacina e None causerebbe in totale 1.350 esuberi (i nuovi esuberi sono 400, i restanti 950 sono «vecchi» esuberi Whirlpool e Indesit);
   durante il primo di tre incontri programmati, e tenuti lo scorso 29 aprile 2015 al Ministero dello sviluppo economico, azienda e sindacati hanno confermato le proprie posizioni: la prima confermando il piano industriale presentato il 16 e già ribadito il 27 aprile, i secondi chiedendo di cancellare dal piano la chiusura degli stabilimenti di Carinaro in Campania e di Albacina nelle Marche e i conseguenti licenziamenti;
   nel confronto con le parti sociali il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha chiesto l'apertura di un confronto senza pregiudiziali, sostenendo la necessità di evitare chiusure e altri esuberi;
   nel 2013, come detto, la Whirlpool ha rilevato l'Indesit con l'impegno di rilanciare i siti industriali, sarebbe singolare, a parere dell'interrogante, parlare di chiusure, dal momento che Carinaro, ad esempio, ha tutte le potenzialità per ritornare ad essere produttivo e competitivo;
   Governo e regioni si dicono disponibili a dare sostegno alle iniziative aziendali pur di conservare impianti produttivi e organici;
   anche in considerazione del recente impegno assunto dalla regione Campania di un finanziamento fino a 50 milioni di euro per le politiche attive del lavoro e l'ammodernamento della struttura –:
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per fare fronte alla situazione descritta in premessa, in modo di garantire il rispetto degli accordi sottoscritti ed evitare le drammatiche ricadute occupazionali sulle migliaia di lavoratori e di famiglie dell'intero indotto in provincia di Caserta, e nello specifico nel sito di Carinaro (CE). (4-12802)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARICCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2008/90/CE del Consiglio riguarda la commercializzazione all'interno della Unione dei materiali di moltiplicazione di piante da frutto e delle piante da frutto destinate alla produzione di frutti, indicando l'opportunità di «stabilire norme comunitarie per i generi e le specie fruttifere che rivestono una particolare importanza economica nella Comunità, istituendo una procedura comunitaria che consenta di aggiungere successivamente altri generi e specie all'elenco dei generi e delle specie cui si applica la presente direttiva. I generi e le specie elencati dovrebbero essere quelli ampiamente coltivati negli Stati membri e per i cui materiali di moltiplicazione e/o per le cui piante da frutto vi è un mercato consistente in più di uno Stato membro»;
   il decreto legislativo 25 giugno 2010, n. 124, che recepisce la predetta direttiva nell'ordinamento nazionale, stabilisce, tra l'altro:
    all'articolo 6, i requisiti delle varietà che possono essere commercializzate le quali devono essere:
     a) giuridicamente protette da una privativa per ritrovati vegetali conformemente alle disposizioni sulla protezione di nuove varietà vegetali; o
     b) registrate ufficialmente; o
     c) comunemente note; una varietà è comunemente nota se:
      1) è stata registrata ufficialmente in uno Stato membro; o
      2) è oggetto di domanda di registrazione ufficiale in uno Stato membro o di domanda di privativa di cui alla lettera a);
      3) è stata commercializzata prima del 30 settembre 2012 sul territorio dello Stato membro interessato o di un altro Stato membro, purché abbia una descrizione ufficialmente riconosciuta dall'autorità unica a livello nazionale;
   all'articolo 7, l'istituzione, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di seguito denominato Mipaaf, del registro nazionale delle varietà delle piante da frutto ammesse alla commercializzazione;
   in data 15 marzo 2012, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali scriveva alle regioni e province autonome segnalando che «stanno per arrivare in scadenza i primi termini di applicazione delle norme comunitarie in materia di propagazione e commercializzazione delle piante da frutto previste dalla Direttiva 2008/90/CE del Consiglio e recepita, nell'ordinamento nazionale, con l'adozione del decreto legislativo 25 giugno 2010 n. 124, di cui si allega copia»;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali indicava che tra gli adempimenti più importanti vi è «l'istituzione, presso questo Ministero, del registro nazionale delle varietà (Articolo 7), appartenenti ai ventitré generi e specie di piante da frutto elencati nell'allegato al decreto legislativo 124/2010»;
   nello specifico, le caratteristiche ed i criteri di identificazione di una varietà ai fini della commercializzazione sono indicati all'articolo 6 del decreto legislativo n. 124 del 2010 (articolo 7, della direttiva 2008/90/CE) che prevede, appunto la presenza nel registro solo per le varietà che soddisfano i seguenti requisiti:
    a) giuridicamente protette da una privativa per ritrovati vegetali conformemente alle disposizioni sulla protezione di nuove varietà vegetali;
    b) registrate ufficialmente ai sensi del paragrafo 4 del citato articolo;
    c) comunemente note; una varietà è considerata comunemente nota se:
     i) è stata registrata ufficialmente in un altro Stato membro;
     ii) è oggetto di domanda di registrazione ufficiale in uno Stato membro o di domanda di privativa di cui alla lettera a);
     iii) è già stata commercializzata prima del 30 settembre 2012 sul territorio dello Stato membro interessato o di un altro Stato membro, purché abbia una descrizione ufficialmente riconosciuta;
   alla luce di quanto sopra esposto e di quanto finora emerso nei lavori preparatori in ambito comunitario, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha, altresì segnalato alle regioni e alle province autonome che sta predisponendo una bozza di registro nazionale, comprendente i generi e le specie elencati nell'allegato al decreto legislativo n. 124 del 2010;
   secondo un progetto di direttiva comunitaria, facente parte delle misure applicative della direttiva 2008/90/CE, attualmente in corso di approvazione, il registro comprenderà due liste di varietà: una lista A le cui varietà potranno essere commercializzate come materiali certificati e CAC ed una lista B, le cui varietà potranno essere commercializzate solo come CAC;
   nella lista A potranno entrare tutte le varietà che rispondono ai requisiti di cui alle lettere a), b), c)-i) e c)-ii); si tratta quindi di varietà che sono: in certificazione, dotate di descrizioni esaurienti pubblicate su monografie, brevettate a livello nazionale o europeo presso l'ufficio comunitario delle varietà vegetali (CPVO); nella lista B rientreranno quasi totalmente le varietà che rispondono ai requisiti del punto c)iii), quindi identificate attraverso una descrizione ridotta, che andrà comunque ufficialmente riconosciuta;
   la scadenza più importante è quindi fissata al 30 settembre 2012, poiché dopo tale data le varietà, potranno essere iscritte e solo in lista A, con descrizione completa e confermata dai test DUS (distinguibilità, uniformità e stabilità), mentre la lista B sarà chiusa, proprio per la caratteristica della commercializzazione avvenuta prima del 30 settembre 2012;
   sulla base di quanto premesso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali invitava le regioni e le province autonome a fornire l'elenco delle varietà di interesse locale da inserire nel suddetto registro, secondo le modalità esposte, accompagnate da opportuna descrizione, anche in forma ridotta, che potrà essere effettuata sulla base dei descrittori UPOV o seguendo le indicazioni sulle schede pomologiche così come indicato nei decreti ministeriali 20 novembre 2006, relativi alle norme tecniche per la produzione di materiali di moltiplicazione certificati di alcune specie da frutto;
   il 10 agosto 2012, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, scriveva nuovamente alle regioni e alle province autonome ribadendo e meglio chiarendo i criteri da osservare per redigere le descrizioni varietali semplificate, da utilizzare per identificare varietà antiche o di diffusione limitata e quindi destinate ad esser inserite nella «lista B» del registro e richiesto per l'accesso della varietà alla «Lista B» ribadendo comunque il termine per l'iscrizione al 30 settembre 2012;
   con D.D. 4 giugno 2012, n. 499 la regione Piemonte segnalava un elenco di n. 129 varietà locali di melo, n. 36 varietà locali di pero, n. 46 varietà locali di ciliegio, n. 5 varietà locali di castagno, n. 1 varietà di susino, n. 1 varietà di pesco, n. 1 varietà di albicocco e n. 1 varietà di nocciolo;
   nel caso del nocciolo la regione comunicava che «la varietà, conosciuta sino al 2007 con il nome «Tonda Gentile delle Langhe», sarà proposta per l'iscrizione con la denominazione «Tonda Gentile Trilobata», assunta a seguito di un incontro, avvenuto in data 6 marzo 2007, a cui hanno partecipato le Organizzazioni Professionali Agricole regionali, il Consorzio di Tutela della Nocciola Piemonte, le Organizzazioni dei Produttori Piemonte Asprocor e Ascopiemonte»;
   a tale riguardo la regione Piemonte precisava inoltre:
    che il cambio di denominazione si è rivelato necessario per tutelare l'I.G.P. «Nocciola Piemonte», riconosciuta ai sensi del Regolamento (CE) n. 510/2006, in quanto l'uso del toponimo «Langhe», contenuto nella precedete denominazione, poteva creare confusione nei consumatori ed essere impropriamente utilizzato da operatori che commercializzano la medesima-varietà;
    in particolare, la regione Piemonte (con nota prot. 1903/AGR del 23 novembre 2006) e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (con nota prot. n. 986 del 15 dicembre 2006), a tutela e salvaguardia dell'IGP «Nocciola Piemonte» hanno chiesto ed ottenuto dal competente Ministero argentino, la modifica della denominazione «Tonda Gentile delle Langhe», allora iscritta presso il registro tenuto dall'Istituto Nacional de Semillas, in «Tonda Gentile»;
    il 30 maggio 2007 l'organizzazione di produttori Piemonte Asprocor ha presentato domanda di registrazione presso «l'ufficio comunitario delle varietà vegetali» della predetta varietà con la denominazione «Tonda Gentile», poi variata in «Tonda Gentile Trilobata», poiché la denominazione proposta, in quanto parzialmente omonima della varietà «Tonda gentile romana» che risultava già registrata in Argentina, era stata ritenuta inammissibile dal predetto ufficio comunitario;
   di conseguenza il Consorzio per la valorizzazione e tutela Nocciola Piemonte I.G.P., in data 26 febbraio 2008, ha chiesto al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali di modificare l'articolo 2 del disciplinare di produzione della I.G.P. «Nocciola Piemonte» introducendo la nuova denominazione varietale. Tale modifica è già stata approvata dal predetto Ministero ed è attualmente all'esame dei competenti uffici della Commissione Europea;
   il «Disciplinare di produzione della indicazione geografica protetta «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» all'articolo 2 recita «La denominazione «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» designa il frutto della varietà di nocciolo «Tonda Gentile Trilobata» coltivato nel territorio idoneo della regione Piemonte, definito nel successivo articolo 3.»;
   l'articolo 6 del regolamento (CE) n. 637/2009 della Commissione del 22 luglio 2009, che stabilisce le modalità di applicazione per quanto riguarda l'ammissibilità e denominazioni varietali delle specie di piante agricole e delle specie di ortaggi, indica i casi in cui si ritiene che una denominazione varietale possa indurre in errore o creare confusione e tra questi è compreso al paragrafo 1, lettera f), il caso di: «un nome geografico che potrebbe fuorviare il pubblico riguardo alle caratteristiche o al valore della varietà»;
   risulterebbe che il CIVI ITALIA Consorzio nazionale vivaisti che associa consorzi vivaistici operanti su scala nazionale, che rappresentano una quota importante del vivaismo italiano organizzato nei settori della produzione delle piante da frutto, agrumi, olivo, fragola e piantine orticole, oltre ad Unioni nazionali dei produttori ortofrutticoli ed olivicoli, si starebbe occupando della realizzazione di un progetto nazionale per la qualificazione del materiale vivaistico del nocciolo e avrebbe inviato ai vivai piemontesi aderenti al progetto sopra menzionato i cartellini da apporre sulle piante di nocciolo da commercializzare con la menzione «Tonda: gentile Langhe sinonimi Tonda Gentile Trilobata»;
   risulterebbe, inoltre, che ad oggi il Ministero non sia ancora intervenuto per impedire la messa in commercio di piante di nocciolo con cartellini con la menzione «Tonda: gentile Langhe sinonimo Tonda Gentile Trilobata» e che detta ipotesi, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto dal decreto legislativo 25 giugno 2010, n. 124 e da quanto previsto dal regolamento (CE) n. 637/2009 della Commissione del 22 luglio 2009, rischi di generare una errata informazione al futuro consumatore dei frutti di dette piante, inducendolo ad acquistare un prodotto credendolo proveniente dal territorio citato nella denominazione varietale;
   proprio per questo motivo la regione aveva comunicato nel 2012 al Ministero che «la varietà, conosciuta sino al 2007 con il nome «Tonda Gentile delle Langhe», sarà proposta per l'iscrizione con la denominazione «Tonda Gentile Trilobata», assunta a seguito di un incontro, avvenuto in data 6 marzo 2007, a cui hanno partecipato le Organizzazioni Professionali Agricole Regionali, il Consorzio di Tutela della Nocciola Piemonte, le Organizzazioni dei Produttori Piemonte Asprocor e Ascopiemonte. A tale riguardo si precisa inoltre che il cambio di denominazione si è rivelato necessario per tutelare l'I.G.P. «Nocciola Piemonte», riconosciuta ai sensi del Regolamento (CE) n. 510/2006, in quanto l'uso del toponimo «Langhe», contenuto nella precedete denominazione, poteva creare confusione nei consumatori»; per lo stesso motivo nel 2006 aveva provveduto a modificare l'iscrizione presso il registro varietale argentino tenuto dall’Istituto Nacional de Semillas, allora presente con l'indicazione «Tonda Gentile delle Langhe», in «Tonda Gentile»;
   risulterebbero, infine, una registrazione di materiale vivaistico con il nome «Tonda Gentile delle Langhe», in Olanda dal 2012, ed altre analoghe registrazioni in altri Paesi europei –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo abbia intrapreso o intenda intraprendere:
    a) per bloccare la distribuzione di cartellini da apporre sulle piante di nocciolo da commercializzare con la menzione «Tonda: gentile Langhe sinonimo Tonda Gentile Trilobata»;
    b) per evitare l'eventualità che possa essere iscritto nel registro nazionale delle specie il riferimento territoriale «delle Langhe» connesso al nome varietale «Tonda Gentile», sia come nome principale sia come sinonimo;
    c) per tutelare la denominazione «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte» che designa il frutto della varietà di nocciolo «Tonda Gentile Trilobata» coltivato nel territorio idoneo della regione Piemonte definito nel disciplinare;
    d) per bloccare le registrazioni di «Tonda Gentile delle Langhe» e garantirne la revisione qualora già effettuate, sia in Paesi della Unione europea che in altri Paesi;
    e) per tutelare i produttori piemontesi che si vedrebbero penalizzati qualora ciò non accadesse, con il rischio di vedere compromesso il lavoro di qualificazione territoriale connesso alla coltivazione corilicola, che hanno svolto negli anni anche con il percorso di riconoscimento della indicazione geografica protetta «Nocciola del Piemonte» o «Nocciola Piemonte»;
    f) per non compromettere il settore corilicolo piemontese, un settore di qualità che rischia di essere pesantemente penalizzato, con forti ripercussioni sulla economia regionale e con pesanti ricadute sul territorio. (5-08367)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA, BARONI, MANTERO, LOREFICE, GRILLO, SILVIA GIORDANO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia, insieme ad altre regioni italiane, e sottoposta a piano di rientro finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni e a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministero della salute, attraverso il Siveas affianca le regioni in questa difficile operazione, cercando di aiutare gli enti regionali, anche quelli a statuto speciale come la Sicilia, al raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani di rientro;
   il difficile compito di rimettere in equilibrio il sistema di salute pubblica tra deficit finanziario ed erogazione di livelli essenziali di assistenza non dovrebbe, appunto, precludere l'erogazione di assistenza essenziali e, oltre ciò, dovrebbe suggerire ai vertici delle varie aziende sanitarie locali la massima prudenza e la totale osservanza della normativa vigente in modo da limitare al massimo il rischio di spese inutili derivanti da eventuali nomine di dubbia legittimità;
   l'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo del 30 novembre 1992, n. 502, indica i requisiti che devono essere posseduti da coloro i quali svolgono l'incarico di direttore amministrativo delle aziende del Servizio Sanitario, in particolare, la norma in questione specifica che «il direttore amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione»;
   con decreto dell'assessore alla salute della regione siciliana n. 21/2009, pubblicato nella G.U.R.S. n. 21, parte I, del 15 maggio 2009, sono stati approvati gli avvisi pubblici per la formazione dell'elenco permanente ed aggiornamento periodico degli idonei alla nomina di direttore amministrativo delle aziende del servizio sanitario della regione siciliana;
   detto avviso, nel richiamare la disciplina di cui all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 502, specifica (lettera c)) che l'aspirante all'inserimento nell'elenco deve «avere svolto, per almeno cinque anni, qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa, in enti o strutture sanitarie pubbliche o private, di media o grande dimensione con qualifica dirigenziale e diretta responsabilità delle risorse umane, finanziarie e strumentali», precisando anche che «per esperienza quinquennale di direzione tecnico-amministrativa verrà considerata esclusivamente l'effettiva attività di direzione con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie – svolta a seguito di formale inquadramento nella qualifica di dirigente – con riguardo all'intera organizzazione dell'ente, azienda, struttura od organismo ovvero ad una delle principali articolazioni e, comunque, con riguardo a strutture complesse, escludendo le funzioni di mero studio, consulenza, ricerca, ispezione», inoltre, «la permanenza dell'iscrizione nell'elenco, tenuto conto del periodico aggiornamento dello stesso effettuato dall'Assessorato regionale della Salute, è subordinato al permanere nel tempo dei requisiti sopra elencati»;
   pertanto, il compendio normativo sopra citato prescrive che, ai fini dell'accesso e della permanenza nell'elenco in questione, necessita il contemporaneo possesso, in capo all'aspirante direttore amministrativo ed al soggetto che già ricopre detto incarico, fra gli altri, anche del seguente requisito: esperienza di effettiva attività di direzione tecnico-amministrativa quinquennale continuativa, a seguito di formale inquadramento nella qualifica di dirigente, almeno con riguardo ad unità operative complesse (U.O.C.);
   a fronte della predetta normativa, nel sopra menzionato elenco degli idonei alla nomina di direttore amministrativo delle aziende del servizio sanitario della regione siciliana, allegato al decreto assessoriale, del 22 ottobre 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana n. 48, parte I, del 1o novembre 2012, ed emanato a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana n. 22, parte I, del 1o giugno 2012, dell’«Avviso per l'aggiornamento degli elenchi degli idonei alla nomina a direttore amministrativo ed a direttore sanitario delle Aziende del servizio sanitario della regione siciliana», risulta inserita, a seguito di sua istanza, corredata da curriculum vitae, la dottoressa Daniela Costantino, sebbene a giudizio degli interroganti non presenti requisiti adeguati;
   invero, alla data di pubblicazione del decreto assessoriale, la dottoressa Costantino aveva ricoperto incarichi rilevanti al fine dell'inserimento nell'elenco per un periodo inferiore ai cinque anni richiesti dalla superiore normativa che a quanto consta agli interroganti, erano peraltro non continuativi. Inoltre, in conseguenza dell'inserimento nell'elenco del 2012, il commissario straordinario dell'A.s.p. di Messina, dott. Manlio Magistri, con delibera n. 1519/CS del 22 aprile 2014, ha nominato direttore amministrativo la dottoressa Daniela Costantino, la quale ha, quindi, ricoperto l'ufficio, in assenza dei presupposti legittimanti. Alla data di affidamento dell'incarico (22 aprile 2014) la dottoressa Costantino a giudizio degli interroganti non possedeva detti presupposti, poiché si trattava di incarichi non esclusivamente di direzione di UOC e non continuativi;
   con deliberazione n. 2293/DG del 2 luglio 2014 del nuovo direttore generale dell'A.s.p. di Messina, dottor Gaetano Sirna, è stato conferito l'incarico di direttore amministrativo dell'azienda sempre alla dottoressa Daniela Costantino, stavolta traendola dall'elenco permanente di cui al decreto assessoriale n. 819/14 del 20 maggio 2014. L'inserimento in detto elenco era stato effettuato, ancora una volta, a seguito di presentazione, da parte della dottoressa Daniela Costantino, di apposita domanda corredata da curriculum vitae al 18 aprile 2014;
   tuttavia, già dal curriculum vitae si apprende dell'assenza, alla data di inserimento nell'elenco, del possesso, in capo aria dottoressa Daniela Costantino, del requisito temporale sopra più volte menzionato. In realtà, persino alla data di nomina, a quanto risulta agli interroganti, i requisiti in questione non sarebbero stati maturati, e ciò anche laddove si ritenesse di contabilizzare pure il periodo in cui ha espletato l'incarico di direttore amministrativo a seguito della succitata delibera n. 1519/CS del 22 aprile 2014, esitata dal commissario straordinario dell'A.s.p. di Messina;
   ma a tutto voler concedere, se pure si considerasse rilevante un incarico secondo gli interroganti assegnato con dubbia legittimità, la dottoressa Daniela Costantino non avrebbe, comunque, posseduto il requisito Consistente nell'aver maturato un'esperienza di effettiva attività di direzione tecnico-amministrativa quinquennale, continuativa, con riguardo ad unità operative complesse (U.O.C.);
   inoltre, ed in generale, l'esperienza quinquennale rilevante è, per gli interroganti solo quella svolta a seguito di formale inquadramento nella qualifica di dirigente di unità operative complesse, invece la stessa dottoressa Daniela Costantino ha dichiarato nel curriculum vitae di essere vincitrice di concorso pubblico per dirigente amministrativo a tempo indeterminato presso l'azienda Usl n. 5, oggi A.s.p), assegnata all'unità operativa programmazione e controllo di gestione, la quale è una unità operativa semplice e non una unità operativa complessa; basterebbe già solo questo elemento ad impedire secondo gli interroganti l'accesso agli elenchi sopra menzionati;
   da tutto quanto sopra esposto discende che tutt'oggi la dottoressa Daniela Costantino ricopre un ufficio pubblico che non avrebbe potuto esserle affidato ed è stata inserita con dubbie modalità a parere degli interroganti nell'elenco permanente di cui al decreto assessoriale 819/14 del 20 maggio 2014 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   occorrerebbe approfondire le motivazioni che hanno consentito l'inserimento della dottoressa Daniela Costantino nell'elenco permanente pubblicato sulla G.U.R.S. n. 48, Parte I, del 9 novembre 2012, secondo gli interroganti in assenza dei requisiti necessari, nonché nell'elenco permanente di cui al decreto assessoriale 819/14 del 20 maggio 2014 e che le hanno permesso l'assunzione dell'incarico di direttore amministrativo dell'A.s.p. di Messina a seguito di delibera n. 1519/CS del 21 aprile 2014 del commissario straordinario della medesima A.s.p., dottor Manlio Magistri, nonché l'incarico attualmente espletato su nomina operata da parte del direttore generale in carica, sempre della stessa A.s.p., dottor Gaetano Sirna, con deliberazione n. 2293/DG del 2 luglio 2014 –:
   se intenda, per quanto di competenza, anche nell'ottica del contenimento della spesa, in particolare per le regioni sottoposte a piano di rientro, assumere iniziative per arginare il gravissimo fenomeno di emanazione di atti di dubbia legittimità destinati a soccombere in un eventuale giudizio e aventi come conseguenza un ulteriore aggravio di spesa e, contestualmente, se non ritenga opportuno che questi atti siano oggetto di attenzione nell'ambito del tavolo di verifica del disavanzo sanitario. (4-12804)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 20.15, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, all'articolo 10, prevede una delega legislativa per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, anche mediante la modifica e il riordino delle disposizioni legislative che attualmente regolano la materia;
   dalla riorganizzazione deriverebbe un taglio delle sedi delle camere di commercio e la riduzione a un massimo di 60 sedi delle citate camere; il taglio delle sedi potrebbe produrre una riduzione del personale del 15 per cento, che potrebbe salire al 25 per cento, del personale una volta che saranno finiti gli accorpamenti;
   in sostanza potrebbero subire la mobilità circa tremila dipendenti, che senza un percorso di ricollocamento rischiano di restare senza lavoro;
   una eventuale ricollocazione dei lavoratori delle camere di commercio nell'ambito della pubblica amministrazione, appare problematico tenuto ma è un tema che va affrontato in una sede adeguata e con la partecipazione di tutti i soggetti interessati;
   il previsto ridimensionamento del sistema delle camere di commercio rischia di trasformarsi in un aggravio dei costi per lo Stato, infatti a fronte di un budget annuo da circa un miliardo di euro, circa 800 milioni arrivano sotto forma di contributi delle imprese italiane; la riforma prevede un taglio dei contributi del 40 per cento per quest'anno e del 50 per cento dal 2017. In questo modo rischia di crollare l'intero sistema, atteso che il 46% dei ricavi serve a pagare stipendi e a gestire gli uffici;
   le riduzioni di personale che deriverebbero dal taglio delle camere di commercio si sommerebbero alle riduzioni di personale già messe in atto negli ultimi anni che hanno visto una riduzione del personale del 12 per cento rispetto al 2003, mentre nello stesso periodo si è registrata una riduzione di personale nella pubblica amministrazione del 6 per cento;
   è del tutto evidente che diventa prioritario salvaguardare i posti di lavoro messi in pericolo dal taglio delle sedi delle camere di commercio e questo non può avvenire se non attraverso un tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico che veda la partecipazione di Unioncamere e sindacati dei lavoratori, finalizzato ad evitare che migliaia di lavoratori perdano il posto di lavoro e al contempo disperdendo un patrimonio di professionalità ed efficienza necessario nel contrasto della crisi –:
   se non ritenga necessario ed improcrastinabile avviare in tempi brevi un tavolo, che veda la partecipazione di Unioncamere e dei sindacati dei lavoratori, finalizzato alla definizione di un percorso di ricollocazione dei lavoratori interessati dalla riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, che eviti per tremila lavoratori, che rappresentano uno straordinario patrimonio di professionalità, il rischio della messa in mobilità e della perdita del posto di lavoro. (5-08371)


   GALGANO e BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Nestlé-Perugina è un'azienda che rappresenta la storia industriale della città di Perugia e dell'Umbria e una delle realtà imprenditoriali più significative per la regione, nonché un punto di riferimento per l'occupazione e l'intera economia del territorio;
   Perugina è un marchio storico dei prodotti dolciari italiani: l'azienda alimentare, specializzata nel settore della produzione di cioccolato e nella produzione e vendita di prodotti dolciari, venne fondata a Perugia il 30 novembre 1907 da Francesco Buitoni, Annibale Spagnoli, Leone Ascoli e Francesco Andreani che costituirono la «Società Perugina per la fabbricazione dei confetti». Successivamente, arrivarono i prodotti da raccolta e dall'iniziale laboratorio artigianale si passò, nel 1913, al primo stabilimento situato alla periferia della città;
   la ripresa post-bellica dei consumi, seguita dal boom economico, accentuò l'idea di trasformare il cioccolato da prodotto da regalo in un vero e proprio prodotto alimentare; tra il 1953 ed il 1962 la produzione nazionale duplicò e quella di Perugina quintuplicò, rendendo inadeguato il vecchio stabilimento. Nel 1963 iniziò l'attività produttiva dell'attuale stabilimento di San Sisto (PG);
   la crisi petrolifera del 1973, l'inflazione, il peso degli oneri finanziari incisero sull'evoluzione societaria: alla IBP (Industrie Buitoni Perugina), una sorta di holding familiare con un peso preponderante della famiglia Buitoni, successe la CIR di Carlo De Benedetti (1985) con l'obiettivo di creare una global corporation alimentare. Il mondo politico ed industriale ostacolò l'inglobamento della Sme, società che accorpava le partecipazioni pubbliche in campo alimentare, e impedì al progetto di decollare. Di fronte alla prospettiva di ripiegare su mercati di nicchia, l'industriale preferì nel 1988 cedere la proprietà del gruppo alla Nestlé;
   oggi Perugina costituisce la divisione dolciari della Nestlé italiana e nello stabilimento di San Sisto si producono importanti marchi quali Baci Perugina, Nero Perugina, Latte Perugina, Ore Liete, Rossana e Galak esportati in 55 Paesi con circa 300 milioni di pezzi venduti ogni anno;
   attualmente lo stabilimento della Perugina Nestlé di San Sisto impiega circa mille dipendenti (di cui 860 nei livelli produttivi) che dal 1o settembre 2015 sono in contratto di solidarietà della durata di ventiquattro mesi;
   questo contratto di solidarietà è stato ottenuto dai dipendenti dopo un lungo confronto della dirigenza Nestlé con Confindustria ed i sindacati, a seguito dell'annuncio dell'azienda di volere la cassa integrazione per 867 unità dello stabilimento dolciario di San Sisto, a causa della forte contrazione dei consumi dovuta all'attuale crisi economica, con conseguente riduzione dei volumi produttivi e delle commesse;
   nello specifico, l'accordo sottoscritto prevede l'apertura del contratto di solidarietà per tutto l'anno per i profili intermedi, impiegati e quadri, con un impiego mensile medio del 25 per cento e con un tetto massimo individuale mensile del 50 per cento. Per gli altri profili l'attuazione del contratto di solidarietà è demandato alla stipula del calendario di lavoro che, come tutti gli a i, dovrà circoscrivere il periodo di curva bassa dello stabilimento; anche per questi, nei mesi in cui sarà attuato il contratto di solidarietà vige il tetto massimo individuale del 50 per cento;
   nei mesi scorsi, le rappresentanze sindacali unitarie hanno denunciato agli organi di informazione il preoccupante calo della produzione, la dismissione di produzioni perché considerate troppo costose e fuori mercato, la perdita di commesse, i mancati investimenti in nuovi prodotti e tecnologie, la mancata assunzione di lavoratori stagionali anche nei periodi di picco dell'attività produttiva, il ricorso da parte dell'azienda agli ammortizzatori sociali e ai contratti di solidarietà per sopperire al calo della produzione;
   da notizie apparse sulla stampa si è appreso che i sindacati hanno definito la situazione allo stabilimento di San Sisto della Perugina Nestlé «drammaticamente pesante» e la Rsu, ha annunciato in una nota di essere stata informata che le previsioni per il 2015 dei volumi produttivi saranno ulteriormente in calo rispetto all'anno precedente e, «per la prima volta nella storia della fabbrica, si assesteranno ben al di sotto delle 25.000 tonnellate». Per il sindacato l'azienda subirà un «forte calo di lavoro», sommato alle «varie perdite avute negli ultimi anni». La rappresentanza sindacale ha ribadito con forza che «esistono tutte le condizioni per un rilancio della Perugina e dei suoi marchi, quello che però manca è l'impegno concreto da parte di Nestlé»;
   a febbraio la presidente della regione Umbria, Catiuscia Marini, e il sindaco di Perugia, Andrea Romizi, hanno incontrato l'amministratore delegato della multinazionale Gianluigi Toia, il direttore generale della divisione dolciaria Corrado Castrovillari e il direttore dello stabilimento di San Sisto François Pointet, che hanno annunciato che «in un contesto di mercato domestico difficile, il Gruppo Nestlé sta lavorando ad un piano industriale e commerciale finalizzato al rilancio della produzione e alla crescita sostenibile del business nel lungo periodo, a garanzia della continuità occupazionale nella fabbrica di San Sisto»;
   a distanza di sei mesi, tuttavia, le organizzazioni sindacali sono tornate a denunciare che, ancora una volta, «il silenzio della Nestlé è ormai intollerabile e la vertenza adesso sfocia in un vero e proprio stato di agitazione che chiamerà in causa anche il Ministero dello sviluppo economico. Abbiamo ancora un anno di solidarietà — hanno ribadito – ma questo non ci deve far stare tranquilli, il contratto di solidarietà non è la soluzione del problema, ma un semplice tampone. Adesso è il momento di pensare al futuro della Perugina, altrimenti tra un anno ci troveremo a ragionare su tagli da lacrime e sangue»;
   il piano della Nestlé prevedeva l'esubero di 220 lavoratori al termine del contratto di solidarietà e i sindacati hanno evidenziato come «visto che i volumi produttivi continuano a calare, il timore è che se non ci sarà un repentino cambio di tendenza, gli esuberi possano anche aumentare». Da qui la paura di dover fronteggiare almeno 300 tagli. Per questo le organizzazioni sindacali hanno deciso di proclamare lo stato di agitazione e richiedere al Ministero dello sviluppo economico la convocazione di un tavolo di crisi;
   a seguito di tali istanze, il 27 agosto 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha annunciato che la situazione dello stabilimento Nestlé Perugina di San Sisto sarà fra gli argomenti al centro dell'incontro istituzionale promosso con la multinazionale Nestlé per esaminare le prospettive produttive del Gruppo in Italia;
   il 7 ottobre 2015 si è svolto l'incontro al Ministero dello sviluppo economico tra Governo, regione Umbria, comune di Perugia, il responsabile delle relazioni industriali di Nestlé Italia, Gianluigi Toia, e il direttore corporate affairs, Manuela Kron, che hanno illustrato la strategia della multinazionale per lo stabilimento di San Sisto: rilancio del canale pasticceria e una sempre maggiore focalizzazione sull’export, facendo leva sui prodotti iconici del marchio Perugina;
   il 10 febbraio 2016, nella sede di Confindustria a Perugia, le Rsu della Perugina hanno presentato il loro piano industriale alla multinazionale. Tra le proposte il rilancio dei comparti caramelle e confiserie, l'introduzione della produzione delle cialde del caffè per superare la stagionalità del cioccolato e una politica di marketing spinta per promuovere i prodotti di San Sisto;
   il 2 marzo 2016 è toccato a Nestlé, sempre nella sede di Confindustria del capoluogo umbro, presentare il proprio piano industriale per la Perugina. È stato il capo mercato Italia, Leo Wencel, ad annunciare investimenti complessivi per 60 milioni di euro in tre anni sullo stabilimento con prodotto portante il famoso «Bacio», nessun esubero, nuova struttura manageriale e innovazione delle tecnologie produttive e del modello organizzativo. In particolare, il «Bacio» sarà utilizzato come brand anche per lanciare il marchio Perugina sui mercati esteri: a questo scopo, Nestlé ha varato la Confectionery International Business Unit, che sarà guidata da Valeria Norreri, nota per il rilancio dell'acqua San Pellegrino. La nuova Business Unit nasce all'interno della divisione dolciari di Nestlé Italiana, di cui Business Executive Manager sarà Bruno Emmenegger;
   caute sono state le reazioni di istituzioni e sindacati dello stabilimento di San Sisto che, pur riconoscendo l'importanza degli investimenti annunciati dalla multinazionale, hanno evidenziato la totale contrarietà alla possibile cessione degli storici marchi Rossana e Ore Liete, ritenuti da Nestlé non redditizi e dunque non inclusi nella strategia di rilancio;
   quali iniziative di competenza intenda il Governo adottare per salvaguardare nel territorio umbro la produzione dei marchi storici Rossana e Ore Liete e quali ulteriori misure intenda mettere in atto in relazione alla vertenza Perugina-Nestlé per tutelare un'azienda vitale per il tessuto produttivo cittadino e regionale, già marcatamente colpito dalla crisi industriale in corso, e scongiurare gravi conseguenze economiche, sociali e occupazionali. (5-08372)


   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il mancato rinnovo del regime di essenzialità per la Sardegna sta creando un vero effetto domino nell'area industriale di Ottana;
   di fatto, a rischio sono tutte le imprese esistenti e gli investimenti già effettuati;
   il blocco della centrale elettrica, avvenuto nel gennaio del 2016, infatti, non rappresenta un problema a se stante, danneggiando in modo molto pesante anche tutte le imprese legate alla centrale elettrica;
   se il blocco fosse definitivo, inoltre si pregiudicherà il riavvio di Ottana Polimeri e andranno in crisi imprese come Corstyerene che dipendono dalla produzione di vapore della centrale, mentre dal 26 aprile 2016 anche i lavoratori di Ottana Energia, dopo quelli di Ottana Polimeri, verranno collocati in cassa integrazione;
   inoltre, la fermata della centrale determinerà a cascata anche la crisi del Consorzio Industriale Provinciale, le cui entrate dipendono per il 90 per cento da Ottana Energia, e fino ad un anno fa anche da Ottana Polimeri;
   la crisi del Consorzio sopra citato, a sua volta, avrà gravi ripercussioni anche sulle imprese insediate nella zona, la cui l'Antica Fornace Villa di Chiesa, Eurozinc, Tirreno Gas, Denti & Company, che si servono dei servizi del Consorzio;
   vive sono le preoccupazioni per la sopravvivenza del Consorzio, che già ora versa in gravi difficoltà economiche, che si aggraverebbero con la fermata di Ottana Energia;
   la centrale elettrica, infatti, ha ruolo strategico per tutta l'area industriale e il mancato rinnovo dell'essenzialità, oltre a determinare la fermata della centrale, causerà la fine dell'intero insediamento che conta circa 430 addetti diretti (di cui già 90 in cassa integrazione), più indotto;
   le preoccupazioni per il mancato rinnovo del regime di essenzialità per la Sardegna erano già state sollevate con atti di sindacato ispettivo: si tratta, in particolare dell'interrogazione risposta scritta n. 4/05841, a firma Capelli, presentata il 7 agosto 2014 e dell'interpellanza urgente n. 2/01154, a firma Capelli-Dellai, presentata il 6 novembre 2015;
   nei succitati atti di sindacato ispettivo si indicavano con chiarezza i rischi legati al mancato rinnovo del regime di essenzialità per la Sardegna, e le risposte del Governo non hanno fugato timori più che giustificati;
   in particolare, nella risposta scritta alla citata Interrogazione n. 4/05841, l'allora sottosegretario De Vincenti affermava che: «Nel merito, si fa presente che, secondo i dati del Gestore dei mercati energetici, il valore medio del prezzo dell'energia sul mercato del giorno prima (Mgp) nel 2013 in Sardegna si è attestato al valore di 61,52 euro/MWh, addirittura inferiore al valore del prezzo unico nazionale (Pun), il cui valore è stato 62,99 euro/MWh. Occorre precisare che il prezzo dell'energia elettrica in Sardegna si è allineato al Pun [prezzo unico nazionale] solo negli ultimi due anni, infatti fino al 2011 si attestava su valori di circa 10-15 euro superiori ai valori del Pun; a tal riguardo è di rilievo il ruolo del cavo Sapei, entrato in servizio nel 2012 e che ha contribuito ad allineare il prezzo della Sardegna a quello delle altre zone continentali. (...). Sul fronte della domanda, pertanto, la Sardegna la quale, essendo ormai da due anni allineata ai prezzi continentali, ricaverà un evidente beneficio da tale norma (diminuzione del Pun). Sul fronte dell'offerta, invece, il provvedimento appare neutro nei confronti dei produttori in Sardegna, il cui prezzo zonale è ormai allineato a quello delle altre zone grazie al Sapei, appare quindi neutra per i produttori sardi anche la decisione di eliminare le macro-zone insulari (..)». Al contrario, risulta che oggi Terna spende di più di quanto non accadeva nel 2015, ossia prima della cancellazione del sistema di essenzialità per la Sardegna, con ovvie conseguenze sui costi in bolletta per gli utenti;
   oltre a compromettere il quadro esistente, il blocco della centrale con la conseguente crisi del Consorzio rischia di pregiudicare la possibilità di avviare i nuovi investimenti previsti e la nuova occupazione, spegnendo così ogni speranza per la ripartenza di un sito industriale che avrebbe, invece, ancora possibilità di rilancio;
   da una parte, infatti, tra investimenti previsti già avviati ed altri potenziali, le aziende hanno messo sul tavolo circa 117 milioni di euro per progetti di ampliamento e rilancio aziendale;
   inoltre, circa 20 milioni sono già destinati ad interventi di riqualificazione industriale: banda larga, illuminazione pubblica, rete elettrica, videosorveglianza antincendio, e altro;
   quindi, mentre da un lato si mettono in campo investimenti privati e risorse pubbliche per rilanciare le attività produttive e le infrastrutture, come previsto da tempo, dall'altro, con il mancato rinnovo dell'essenzialità rischia di compromettere in modo irreversibile la tenuta dell'intero sito industriale;
   si ribadisce, infatti, che la centrale è strategica e se si dovesse giungere al blocco definitivo di Ottana Energia si comprometterebbe l'intera area industriale. Appare, dunque, necessario il massimo impegno della politica per risolvere la questione relativa alla centrale elettrica;
   attorno al rilancio dell'area di Ottana ruotano tre iniziative strategiche strettamente collegate tra loro: 1) il riavvio della centrale elettrica: dopo la scadenza del regime di essenzialità a dicembre 2015, oggi la centrale è ferma. L'azienda ha proposto il servizio di riaccensione per riattivare la rete elettrica regionale in caso di black-out. 2) La realizzazione di un centro di stoccaggio di gas naturale liquido (GNL) a Oristano. L'iniziativa è di una joint venture internazionale e il progetto è propedeutico alla conversione della centrale in un impianto a gas più piccolo da 30 MW. Si garantirebbe così la produzione di energia a prezzi di mercato e la produzione di vapore e altre utilities per Ottana Polimeri e le altre aziende. Il progetto è in attesa delle autorizzazione da giugno 2015. Tra la realizzazione del centro di stoccaggio a Oristano e la conversione a gas della centrale si prevede un investimento di 100 milioni di euro. 3) Il riavvio della filiera del polietilentereftalato (PET) per Ottana Polimeri ferma da oltre un anno, con la conseguente collocazione in Cassa Integrazione dei lavoratori in cig. L'azienda sta lavorando per acquisire l'impianto Eni-Versalis di Sarroch (fermo da un anno) e riavviare la produzione di paraxilene, materia prima per il PET. Su questa partita si è in attesa di una risposta da parte di Eni-Versalis;
   si tratta di iniziative importanti ma che non avranno alcuno sbocco se la centrale elettrica di Ottana rimarrà inerte;
   la situazione che si è venuta a creare con il blocco di Ottana, rischia, tra l'altro, di creare tensioni anche per l'ordine pubblico turbato da una crisi sempre più grave e che sembra non avere prospettive di soluzione positiva –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere, il Governo per evitare che la fermata della centrale elettrica di Ottana diventi definitiva, con le evidenti conseguenze sopra citate e che inevitabilmente colpiranno un'area importante di una regione, la Sardegna, già in grave crisi economica e occupazionale. (5-08373)


   CRIPPA, VALLASCAS, DA VILLA, CANCELLERI, DELLA VALLE, FANTINATI e LOREFICE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha recentemente dato il via libera al raddoppio della piattaforma petrolifera Vega A, nel canale di Sicilia, gestita dalla società Edison;
   nonostante il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si sia costituito parte civile contro 6 manager e dirigenti del colosso energetico italo-francese in un processo per smaltimento illecito di rifiuti in corso presso la procura di Ragusa;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto un risarcimento per ingiusto profitto pari a 69 milioni di euro, come ha riportato il mensile siciliano «S», diretto da Antonio Condorelli. Il procedimento giudiziario è aperto dal 2007, ma tra rinvii e vizi di forma non si è ancora chiuso il primo grado. Il 5 maggio 2016 a Ragusa si svolgerà l'udienza che probabilmente sancirà la prescrizione dei reati per i manager di Edison;
   i termini di prescrizione del processo si stanno avvicinando, senza che lo stesso sia giunto ancora alla sentenza di primo grado;
   il 16 aprile 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dato parere positivo alla Valutazione di impatto ambientale per il raddoppio della piattaforma «VEGA A», nel canale di Sicilia, gestita dalla società Edison S.p.A.;
   il 13 novembre dello stesso anno il Ministero dello sviluppo economico ha concesso il rinnovo dello stesso permesso per i successivi 10 anni;
   a meno di 12 miglia dalla riserva naturale del fiume Irminio, tra Ragusa e Scicli, Edison potrà quindi costruire una seconda piattaforma petrolifera offshore, «VEGA B», al fine di continuare a sfruttare il giacimento, attivo dal 1984;
   quella proroga consente addirittura di realizzare nuovi pozzi nel campo Vega. Il «piano di lavoro» prevede infatti la realizzazione di un'altra piattaforma (Vega B) e la trivellazione di altri 12 nuovi pozzi: che si faranno nonostante il divieto di trivellazione entro le 12 miglia perché autorizzati prima;
   a quanto consta agli interroganti l'autorizzazione è arrivata subito prima dello stop alle nuove perforazioni sotto le 1.2 miglia deciso dal Governo con l'ultima legge finanziaria, entrata in vigore il 1o gennaio 2016;
   le motivazioni del via libera ministeriale appaiono paradossali: «La società ha ottemperato ai termini di buona gestione del giacimento...», scrive il Ministero dello sviluppo economico in una nota del 12 dicembre 2014;
   lo stesso Governo che chiede ad Edison i danni in giudizio, la promuove a pieni voti nel momento in cui concede il rinnovo del permesso. In sintesi: grazie alla prescrizione, Edison non pagherà i danni procurati, ma incassa dal Governo un rinnovo della concessione per un decennio, alla modica cifra di un canone di appena 87 euro l'anno a chilometro quadrato, e con royalties da pagare allo Stato pari ad appena il 7 del cento dei proventi (le royalties italiane sono le più basse d'Europa) –:
   quali siano i motivi per cui il Ministero dello sviluppo economico abbia concesso una proroga alla continuazione delle attività della Edison Spa di cui in premessa la quale realizzerà dodici nuovi pozzi nonostante il divieto di trivellazione e la costituzione come parte civile dello stesso Governo nel procedimento penale contro la società Edison.  (5-08374)


   BENAMATI, BARGERO, SENALDI, BASSO, VICO, ARLOTTI, IACONO, MONTRONI e CAMANI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il teleriscaldamento o riscaldamento urbano a rete è un servizio energetico che consiste nella distribuzione di acqua calda o surriscaldata a mezzo di reti interrate, destinata al riscaldamento degli edifici e alla produzione di acqua calda igienico-sanitaria;
   l'energia termica immessa nelle reti di teleriscaldamento può avere diverse provenienze: può essere prodotta da una centrale termica convenzionale di grosse dimensioni, può essere prodotta tramite una centrale di produzione combinata elettricità-calore, può provenire dall'incenerimento dei rifiuti solidi urbani, da processi industriali (calore di scarto a bassa temperatura), da fonte geotermica a bassa, media e alta temperatura, da fonti rinnovabili (biomasse, biogas da discariche, scarti di lavorazioni, e altro);
   il teleriscaldamento produce un miglioramento dell'efficienza energetica, agendo sia sulla produzione di energia (impiego di fonti rinnovabili e assimilate, rendimenti elevati connessi alle taglie delle centrali delle grandi reti), sia sui consumi finali (riduzione della singole potenza termica installata);
   il teleriscaldamento è una tecnologia in espansione che permette l'ottimizzazione delle risorse energetiche impiegate, con conseguenze positive sia in termini di risparmio economico che di impatti ambientali;
   dal rapporto AIRU-Legambiente sui teleriscaldamento 2014 si evince che le valutazioni effettuate stimano in circa 1.358 milioni di metri cubi la volumetria totale teleriscaldabile, a livello nazionale, entro l'orizzonte temporale del 2035. A fine 2012, e sempre con riferimento ai soli centri urbani aventi popolazione superiore ai 25.000 residenti, risultano già teleriscaldati circa 247 milioni di metri cubi, corrispondenti al 18 per cento del potenziale. Risulta pertanto che l'ulteriore volumetria tele riscaldabile è dell'ordine 1.100 Mm3, cioè 4,5 volte l'utenza già tele riscaldata;
   il primo impianto di TLR in Italia nasce nel 1971 a Modena e, da allora, questa tecnologia ha continuato a svilupparsi fino ad arrivare ad oltre 300 reti, tra grandi, piccole e «a circuito chiuso» (dette impropriamente reti di teleriscaldamento);
   sono 192 le reti di teleriscaldamento (TLR) censite nel rapporto citato e riferite all'anno 2012, ovvero quelle di cui si conosco dati certi e verificati, distribuite in 150 città italiane: dalla rete di Torino (la più estesa: ben 467 chilometri) alle piccole reti di quartiere di pochi chilometri;
   sono 70 i comuni teleriscaldati attraverso l'uso di fonti rinnovabili con 88 reti, concentrati in due aree geografiche particolari del nostro Paese: in Toscana, dove è ricca la risorsa geotermica ed impianti ad alta entalpia producono gran parte del fabbisogno energetico termico della regione, e in Trentino Alto Adige, dove sono noti gli impianti a biomassa, spesso di tipo cogenerativo, alimentati dalle risorse legnose provenienti dagli scarti delle lavorazioni locali e dalla manutenzione dei boschi;
   a fine 2015, sono presenti in Italia 86 impianti di teleriscaldamento a biomasse: tali strutture rappresentano, soprattutto nelle zone marginali e montane non raggiunte dal metano (in particolare nelle zone climatiche «E» ed «F», ed in alcuni casi nelle zone climatiche «D»), uno strumento irrinunciabile per offrire alla popolazione un servizio a costi contenuti, per valorizzare l'utilizzo sostenibile di risorse locali, per promuovere l'economia territoriale e per incentivare l'utilizzo di fonti energetiche pulite;
   la Commissione europea ha rilevato in numerose occasioni l'importanza del contributo offerto dalle biomasse per raggiungere gli obiettivi preposti sul clima e sull'energia al 2020 (20 per cento di riduzione delle emissioni, 20 per cento di aumento di efficienza energetica, 20 per cento di rinnovabili negli usi finali di energia);
   la stessa Commissione europea ha recentemente fissato nuovi obiettivi, rispetto al 1990, da raggiungere entro l'anno 2030: riduzione delle emissioni di CO2 del 40 per cento, aumento della quota di energia rinnovabile ad almeno il 27 per cento ed incremento dell'efficienza energetica di almeno il 27 per cento;
   gli obiettivi di cui sopra andranno probabilmente rivisti in maniera significativa al rialzo sulla base di quanto deciso nella COP 21 di Parigi del recente dicembre 2015;
   il decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, ha recepito nell'ordinamento nazionale la direttiva europea 2012/27/UE/di promozione dell'efficienza energetica, attribuendo all'Aeegsi specifiche funzioni in materia di teleriscaldamento e teleraffrescamento;
   il teleriscaldamento è da considerarsi come un'opportunità per l'Italia, con potenzialità importanti per ottimizzare i consumi energetici e minimizzare l'impatto ambientale in particolare nelle aree urbane e in quei territori compresi nelle fasce climatiche E ed F;
   la X Commissione si è già espressa ripetutamente sul teleriscaldamento con i pareri espressi sul decreto legislativo n. 102 del 2014 (atto del Governo n. 96) e sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative al decreto n. 102 del 2014 (atto del Governo n. 201);
   a breve inizierà l'esame della COM (2016)51 «Comunicazioni della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni: Una strategia dell'UE in materia di riscaldamento e raffreddamento –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere sul tema della diffusione di questa tecnologia, nell'ottica di adottare strategie finalizzate al raggiungimento degli obiettivi già previsti per il Paese per il 2030, anche al fine di rivederli, al rialzo, rispetto a quanto previsto alla Commissione europea. (5-08375)


   ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 4-quater, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, ha sancito l'applicazione della legge 9 gennaio 1991, n. 10, alle aziende di distribuzione elettrica con meno di 5.000 punti di prelievo, prevedendo per esse l'applicazione delle stesse semplificazioni previste per le aziende ubicate nelle isole minori, in considerazione del fatto che anche il territorio di confine possa rappresentare un ostacolo all'esercizio dell'attività di distribuzione elettrica;
   l'articolo 38, comma 3, del decreto legislativo 1o giugno 2011, n. 93, ha abrogato il citato comma 4, dell'articolo 3, del decreto-legge n. 78 del 2009 e affidato all'Autorità per l'energia elettrica e il gas il compito di individuare per le imprese di distribuzione elettrica con meno di 5.000 punti di prelievo, appositi meccanismi di perequazione specifica aziendale;
   in attuazione dell'articolo 38, comma 3, del citato decreto legislativo, l'Autorità, con la delibera 24 novembre 2011, ARG/elt 168/11, ha approvato le modalità di applicazione del regime di perequazione specifica aziendale per le piccole gestioni elettriche;
   il metodo di calcolo del PSA, risentendo, secondo l'interrogante, dell'influenza discrezionale dell'Autorità, è stato applicato in maniera diversa alle aziende ad esso sottoposte, penalizzando principalmente le gestioni elettriche minori;
   infatti, lo stesso si discosta da quanto stabilito dalla delibera Aeeg n. 96/04, istitutiva del regime di perequazione specifica aziendale, la quale tiene conto dell'impatto delle variabili esogene sul ricavo ammesso solo se queste sono utili a giustificare i maggiori costi sostenuti, cioè solo se le variabili esogene presentano un valore positivo e non negativo;
   le istruttorie relative al riconoscimento del regime di perequazione specifica aziendale condotte fino ad oggi dall'Autorità si sono concluse senza considerare il potenziale effetto negativo delle variabili esogene, in conformità con quanto stabilito dalla citata delibera n. 96/04;
   fino ad oggi, l'orientamento adottato dall'Autorità, ai sensi del comma 6.1, dell'allegato A, della deliberazione, Aeeg n. 168/11, ha, secondo l'interrogante, danneggiato i comuni che svolgono direttamente l'attività di distribuzione dell'energia elettrica a meno di 5.000 punti di prelievo, in considerazione del fatto che gli stessi presentano valori altamente negativi della variabile esogena relativa alla dispersione dell'utenza nel territorio servito dall'impresa;
   le esigenze delle piccole aziende di distribuzione elettrica sono state recentemente accolte nel documento 499/14/EEL dell'Autorità; a tale documento, tuttavia, non ha ancora fatto seguito alcun atto di compensazione delle somme dovute per legge alle suddette aziende;
   la mancata attribuzione di tali somme costringerebbe molti piccoli comuni a dover svendere le aziende partecipate con il rischio che i nuovi soggetti subentranti garantiscano un servizio di scarsa qualità a costi più elevati;
   oltretutto, a quanto consta all'interrogante che il Governo vorrebbe mettere mano ad una riforma della disciplina per assoggettare nuovamente le piccole gestioni elettriche alla citata legge n. 10 del 1991 e conseguentemente abrogare l'attuale regime di perequazione specifica; se così fosse, le imprese elettriche correrebbero il rischio di perdere le risorse riconosciutegli per legge –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere le necessarie iniziative affinché venga data immediata attuazione alle disposizioni di cui alla delibera 499/14/EEL dell'Autorità, facendo sì che, per quanto di competenza, eventuali future modifiche normative alla disciplina non andranno ad inficiare i benefici spettanti per legge alle piccole gestioni elettriche, a garanzia del mantenimento di un elevato standard qualitativo del servizio. (5-08376)


   POLIDORI e GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015 è avvenuta la cessione del gruppo Italcementi alla tedesca Heidelberg, che hanno acquistato la partecipazione di Italmobiliare in Italcementi pari al 45 per cento;
   il gruppo Italcementi nel nostro Paese ha circa 2.700 dipendenti, di cui 629 solo nella sede centrale di Bergamo;
   il gruppo Heidelberg Cement ha annunciato un piano di riorganizzazione che prevede per i prossimi anni la perdita di centinaia di posti di lavoro, ed in particolare sarebbero previsti esuberi, 430 lavoratori unità solo sul territorio bergamasco;
   il territorio bergamasco, duramente colpito dalla crisi, ha già subito in passato situazioni analoghe, anche se mai di questa portata, che sono poi terminati con una drastica riduzione del personale e in alcune occasioni con la chiusura degli impianti;
   fino ad oggi inspiegabilmente il Governo, ed in particolare il Ministero dello sviluppo economico, non è ancora intervenuto per stabilire un contatto con l'azienda e i sindacati al fine di aprire un tavolo di confronto per fronteggiare la crisi Italcementi, che colpisce varie realtà italiane e, in particolare, la provincia di Bergamo –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito a questa operazione industriale e quali iniziative in particolare il Ministero dello sviluppo economico, intenda mettere in campo per seguire da vicino la crisi aziendale al fine di proteggere i lavoratori e di far sì che sia rivisto il piano industriale con l'obbiettivo di ridimensionare il numero dei posti di lavoro messi in discussione. (5-08377)

Interrogazione a risposta scritta:


   PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la «Idea Motore spa», azienda di motori elettrici e componenti di elettrodomestici di Nuoro, occupava sino al 2013 circa 80 dipendenti. In seguito ad una mancanza di liquidità – ed in seguito alla mancata erogazione di un prestito per dei problemi di assetto societario — l'azienda ha prima proceduto a dei tagli di personale, sino a giungere alla dichiarazione di fallimento ed alla messa in cassa integrazione della totalità del personale;
   contestualmente, alla dichiarazione dello stato fallimentare, venivano messi all'asta sia i macchinari che il capannone in uso alla azienda;
   nel 2013 l'azienda «AM Italia motor appliances» prendeva in affitto sia il capannone che i macchinari precedentemente in uso alla «Idea Motore spa», dando continuità occupazionale a meno della metà dei suoi dipendenti;
   nel luglio 2015 anche la «AM Italia» dichiarava lo stato di fallimento, in seguito a dei problemi societari, costringendo quindi la decina di dipendenti rimasti ex Idea Motore a ricorrere agli ammortizzatori sociali;
   il 16 marzo 2016, il colosso giapponese «Sole Nidec» – davanti al giudice fallimentare del tribunale di Brescia – si è aggiudicato i macchinari di «Am Italia», ma non il capannone. A quanto si apprende anche da organi di stampa, la «Sole Nidec» – al contrario di quanto proposto da una cordata di piemontesi, altra parte interessata all'acquisto – avrebbe intenzione di spostare i macchinari nell'Est Europa per utilizzare costi di manodopera più vantaggiosi;
   a quanto dichiarato anche da ex dipendenti della Am Italia, non vi erano problemi di produttività e vi erano anche diverse commesse non ancora evase prima della definitiva chiusura dello stabilimento;
   ad oggi, la maggior parte dei dipendenti inizialmente occupati dalla ex-Idea Motore risultano totalmente inoccupati ed hanno esaurito dal 2014 ogni tipo di ammortizzatore sociale, stesso destino cui vanno incontro i 10 dipendenti successivamente occupati da Am Italia. In tal modo, si acuisce ed aggrava la già difficile situazione – dal punto di vista sociale ed occupazionale – del territorio nuorese;
   a quanto si apprende da organi di stampa e dalle parti interessate alla vertenza, in questi giorni ci sarebbero stati degli incontri informali fra rappresentanti della «Sole Nidec», rappresentanti dei lavoratori e della regione Sardegna. Da quanto emerso, l'azienda giapponese avrebbe acquistato, oltre ai macchinari, anche l'ultima commessa di Am Italia con ordini per almeno due anni. Contestualmente l'azienda avrebbe confermato la volontà di spostare i macchinari in Paesi europei con un costo della manodopera più basso, dando però la disponibilità a rimanere a Nuoro sino ad esaurimento della predetta commessa;
   il capannone in cui sono posti i macchinari andrebbe all'asta per la metà di maggio 2016. Senza un «acquisto controllato» (in tal senso, ci sarebbe, a quanto risulta agli interroganti, l'interessamento di un ex proprietario della «Am Italia»), la possibilità della temporanea continuità produttiva – come proposto da «Sole Nidec» – cadrebbe –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative intenda promuovere per salvaguardare gli operai licenziati, data anche la specificità del territorio interessato, provando a preservare la continuità produttiva in loco, dati anche i recenti sviluppi della vertenza. (4-12798)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Bruno Bossio e altri n. 4-12767, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Albini, Fossati, Nicchi.

Apposizione di una firma ad una interrogazione e cambio di presentatore.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Antimo Cesaro n. 5-05540, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2015, è da intendersi sottoscritta dal deputato Palladino che ne diventa il primo firmatario.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Ricciatti e altri n. 4-05967 del 10 settembre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-02172.
   interrogazione a risposta in Commissione Palladino n. 5-05540 dell'8 maggio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12802.