Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 6 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la lotta al terrorismo, soprattutto di matrice islamica, ha assunto grande attualità ed importanza alla luce dei gravissimi attentati che hanno colpito la Francia ed il Belgio: infatti, il problema del terrorismo fondamentalista, che è tornato a colpire il cuore dell'Europa, ha messo in evidenza la necessità di ulteriori interventi con riferimento alle azioni finora attuate;
    allo stato attuale, pertanto, in ragione del crescente rischio di infiltrazione terroristica e del gravoso impegno dei magistrati, è ineludibile una più concreta, efficace azione nella lotta al terrorismo. Il punto di partenza deve essere la presa d'atto che tale fenomeno presenta un'evidente dimensione sovranazionale;
    le minacce che il nostro continente deve affrontare in materia di sicurezza risultano sempre più complesse, sofisticate e pericolose. Nonostante tutto l'Europa, pure in tale contesto, intende preservare i propri valori politici di società aperta e di libertà civili;
    attuare una politica di sicurezza efficace in Europa richiede un « unicum» di strumenti che vanno dall'applicazione della legge, alle informazioni, alla giustizia, all'economia, alle finanze, agli aspetti tecnologici, e altro;
    l'Europa deve operare unita per prevenire e contrastare gli atti terroristici, per assicurare la protezione delle infrastrutture e dei cittadini affrontando le cause del fenomeno e contrastando sul campo il terrorismo. Per tale motivo risulta essenziale lo scambio di informazioni, la cooperazione ed il coordinamento tra «servizi» e uffici giudiziari dell'Unione europea, proprio per di garantire l'efficacia del contrasto contro questo fenomeno transnazionale;
    fino ad ora, l'Unione europea (la cui strategia privilegia la democrazia, il dialogo e la buona gestione degli affari pubblici per contrastare le cause della radicalizzazione) ha sviluppato una strategia di lotta antiterrorismo basata sulla prevenzione, la protezione, il perseguimento e la risposta. Con l'Organizzazione delle Nazioni Unite, essa ha elaborato una strategia di portata globale;
    il capitolo «prevenzione» è costituito dalla lotta alla radicalizzazione ed al reclutamento, individuando i metodi, la propaganda e gli strumenti utilizzati dai terroristi. Anche se sono gli Stati membri a dover affrontare queste sfide, l'Unione europea contribuisce a coordinare le politiche nazionali, a riconoscere le buone pratiche e a scambiare informazioni;
    il capitolo «protezione» mira a ridurre la vulnerabilità dei bersagli di attentati e a limitare le conseguenze di questi ultimi. Propone un'azione collettiva a livello della protezione delle frontiere, dei trasporti e di tutte le strutture transfrontaliere;
    il capitolo «perseguimento» mira a perseguire i terroristi al di là delle frontiere nel rispetto dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale. L'Unione europea intende in primo luogo ostacolare l'accesso alle attrezzature che permettono di compiere attentati, smantellare le reti terroristiche e i loro agenti di reclutamento e contrastare l'utilizzazione improprio delle associazioni senza scopo di lucro. Il secondo obiettivo in materia di perseguimento dei terroristi mira a bloccare le loro fonti di finanziamento conducendo inchieste, congelando i beni e ostacolando il trasferimento di capitali. Il terzo obiettivo consiste nell'impedire la pianificazione di azioni ostacolando la comunicazione e la diffusione di tecniche terroristiche, soprattutto attraverso internet;
    il quarto capitolo prevede la «risposta» agli attentati di terrorismo. Spetta agli Stati membri affrontare questo fenomeno quando si presenti: ma, per prevederli, è opportuno sfruttare le strutture esistenti e i meccanismi europei di protezione civile;
    l'articolo 83 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) consente al Parlamento europeo e al Consiglio di stabilire «norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente gravi che presentano una dimensione transnazionale», mentre, per quanto attiene all'aspetto processuale, l'articolo 86 del TFUE ha fornito un'adeguata base giuridica per la creazione del pubblico ministero europeo;
    fondamentale, per il contrasto al terrorismo risulta, pertanto, l'istituzione di una procura europea. A tal fine, si possono proporre alcune linee guida per istituire la stessa Procura;
    nel definirne la base giuridica occorre sottolineare che la istituzione di tale procura non richiede una modifica formale dei Trattati, che in questo momento sarebbe di assai difficile realizzazione. È invece opportuno fare uso delle norme semplificate previste dagli articoli 82.2 e 86.4 in modo da armonizzare la materia penale relativa ai reati di terrorismo;
    innanzitutto la procura europea dovrebbe essere creata come organismo dell'Unione, dotato di personalità giuridica e caratterizzato da una struttura centrale, competente per individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori dei reati che concernono il terrorismo, prevedendo norme per assicurarne l'indipendenza;
   dovranno anche essere previste norme che consentano alla procura europea di rispondere delle attività generali al Parlamento europeo ed ai Parlamenti nazionali nonché alla Commissione;
    l'architettura generale dell'organismo dovrebbe prevedere una struttura decentrata e integrata e fondata su un procuratore europeo (assistito dai sostituti) e sui procuratori europei delegati aventi sede negli Stati membri;
    la Procura europea dovrà poter disporre di atti di indagine riconducibili a quanto normalmente previsto per le procure nazionali: ad esempio perquisizioni, intercettazioni, monitoraggio e congelamento delle operazioni finanziarie, sorveglianza in luoghi non aperti al pubblico, operazioni di infiltrazione;
    è necessario, inoltre, oltre alle iniziative normative già predisposte dal Governo italiano, armonizzare le legislazioni penali dei Paesi europei al fine di favorire un sistema efficace per prevenire e reprimere il fenomeno del terrorismo internazionale;
    da ultimo è opportuno intensificare la negoziazione di accordi bilaterali con gli Stati non membri dell'Unione europea al fine di contrastare in modo efficace il terrorismo internazionale;

impegna il Governo:

   a promuovere una iniziativa della Commissione, sulla base dell'articolo 86, paragrafi 1, 2, 3, 4 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e, sotto il profilo sostanziale, ai sensi dell'articolo 83 dello stesso Trattato, che istituisca una procura europea la quale abbia i poteri e le funzioni come indicate in premessa al fine di prevenire e contrastare i reati concernenti il terrorismo;
   a promuovere in sede europea un'iniziativa normativa al fine di favorire l'armonizzazione delle norme penali dei singoli Stati membri per contrastare in modo più efficace il terrorismo internazionale;
    a promuovere accordi bilaterali con Paesi non appartenenti all'Unione europea al fine di favorire il contrasto al terrorismo internazionale.
(1-01217) «Buttiglione, Marotta, Bosco, Sammarco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'utero in affitto è una pratica per cui una donna si impegna mediante contratto a sottoporsi a fecondazione assistita e a cedere per sempre a terzi il nato appena partorito;
    tali contratti di surrogazione di maternità dettagliano comportamenti personali ed obblighi della madre surrogata per tutto il periodo della gravidanza, e sono finalizzati a garantire la salute del nascituro secondo criteri stabiliti dalla coppia (o singola persona) che commissiona la gravidanza, criteri che determinano un controllo strettissimo della vita della gestante, e solitamente includono anche l'aborto nel caso di malformazioni del feto o l'aborto selettivo in caso di gravidanza multipla non prevista;
    è evidente che solo donne in condizioni di subalternità sociale, di vulnerabilità e di necessità economica possono consentire a tali pratiche, profondamente irrispettose della dignità della donna e lesive dei diritti del nascituro;
    i nati da surrogazione di maternità hanno sempre – a parte rarissime eccezioni – una madre genetica diversa da quella gestazionale, in modo che la madre che partorisce non possa rivendicare, in caso di ripensamento, il bimbo come proprio, dato che esiste anche una madre biologica; il contratto di surroga prevede solitamente, quindi, anche l'acquisto di ovociti da parte dei committenti;
    i contratti di surroga hanno spesso connotazioni razziste: la scelta della madre genetica avviene a seconda delle caratteristiche desiderate (colore della pelle, degli occhi, qualità estetica, quoziente intellettivo, livello degli studi) (e tali caratteristiche determinano il prezzo dei gameti, mentre per le madri surrogate è sufficiente un buono stato di salute, e anzi, sono spesso scelte tra donne di Paesi terzi, per motivi di convenienza economica e di minori garanzie per le gestanti;
    mentre la madre genetica, mediante analisi del dna, può teoricamente essere sempre rintracciabile da parte del nato, per le madri surrogate questo non può ovviamente avvenire, e va ricordato che nella gran parte dei casi dei contratti di surroga non resta alcuna traccia nell'anagrafe dei nati;
    la surrogazione di maternità, per la molteplicità di figure committenti e genitoriali coinvolte a vario titolo, è una nuova forma di tratta di donne e bambini al di fuori di qualsiasi controllo, anche negli Stati dove è regolata da leggi, tanto che non esistono dati attendibili neppure sul numero dei nati con questa procedura, e gli studi in proposito sono scarsi;
    le stime parlano comunque di un mercato internazionale fiorente e in continua crescita, intorno a vere e proprie organizzazioni internazionali con team di medici, legali e mediatori di vario tipo, che hanno basi anche nel nostro Paese, in aperta violazione della legge n. 40 del 2004, che al comma 6 dell'articolo 12 recita «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro»;
    il divieto e le sanzioni previste dalla legge vigente non sembrano essere applicate né alle coppie italiane che fanno ricorso all'utero in affitto all'estero (nonostante il reato commesso all'estero sia perseguibile attraverso il ricorso all'articolo 9 del codice penale anche quando la pena prevista sia inferiore ai tre anni) né a chi organizzi e pubblicizzi in Italia la maternità surrogata, predisponendo il ricorso alla pratica fuori dal nostro Paese;
    si assiste alla assidua presenza sui media di coppie che hanno fatto ricorso a una pratica vietata, aggirando o violando la legge italiana, in popolari trasmissioni di approfondimento e di intrattenimento, in cui della procedura di surrogazione di maternità si offre un'immagine nettamente positiva, ignorando tutti gli aspetti contrattuali, commerciali e di sfruttamento finora illustrati;
    in Italia si sta consolidando una prassi per cui i tribunali interpellati consentono alle coppie che hanno fatto ricorso all'utero in affitto all'estero di trascrivere l'atto di nascita dei nati con questa procedura senza incorrere in alcuna sanzione, ma, al contrario, riconoscendo le coppie committenti come genitori legali del nato,

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative di propria competenza, in particolare alla luce dell'articolo 9 del codice penale, per far sì che possano essere applicate le sanzioni già previste dalla legge n. 40 del 2004 per la surrogazione di maternità;
   ad adottare iniziative per intervenire sul comma 6 dell'articolo 12 della legge n. 40 del 2004 al fine di evitare interpretazioni ambigue, estendendo in modo esplicito le sanzioni previste a chi realizzi e organizzi la pratica della surrogazione di maternità per se stesso;
   ad assumere iniziative volte a prevedere che per consentire la trascrizione in Italia dell'atto di nascita dei nati a seguito di surrogazione di maternità all'estero, sia necessario fornire copia originale del contratto di surroga, da depositare all'anagrafe del nato, dal quale si evincano con chiarezza sia l'identità della madre surrogata sia gli estremi degli eventuali fornitori di gameti, in modo che al nato sia sempre garantita la possibilità di conoscere le modalità del proprio concepimento e le proprie origini biologiche, perché non vi siano discriminazioni in merito al diritto alle origini.
(1-01218) «Roccella, Piso, Caon, Bueno, Prataviera, Matteo Bragantini, Vaccaro, Distaso, Fucci, Corsaro, Chiarelli, Palese, Laffranco, Palmieri».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI e la X Commissione,
   premesso che:
    il calo demografico, che ha colpito i comuni montani, fino agli anni settanta e ottanta aveva registrato una positiva inversione di tendenza, a partire dal 2010, a causa della crisi economica, è ripreso con dimensioni rilevanti;
    uno dei fattori che può contribuire a combattere il fenomeno del calo demografico è, come rilevano diverse analisi, il mantenimento della rete dei piccoli esercizi pubblici e commerciali nelle zone più decentrate, in particolare quelle montane, in virtù della funzione non soltanto economica ma anche e soprattutto sociale che questi svolgono;
    l'Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM) già da tempo denuncia la situazione di alcuni comuni in cui non si trova più nemmeno un negozio creando non soltanto problemi nell'accesso ai servizi e nel reperire prodotti di prima necessità (soprattutto per le persone anziane), ma generando serie conseguenze dal punto di vista della tenuta sociale ed economica, poiché rappresentano luoghi di aggregazione oltre che di acquisto;
    l'Uncem ha recentemente rilanciato lo slogan «Compra in valle, la Montagna vivrà», ideato alcuni anni fa dalla camera di commercio di Cuneo con un'operazione transfrontaliera;
    i territori montani trovano ben poco spazio nell'agenda politica nazionale tanto che dal 2010, proprio in coincidenza del calo demografico, non vi sono più finanziamenti riservati a questi territori e soltanto nella legge di stabilità 2016 è stato rifinanziato, seppur in misura minima (una dotazione triennale di 15 milioni di euro) il fondo per la montagna;
    la tendenza degli ultimi anni ha favorito un ritorno verso una politica centralistica, con misure generiche a favore dei piccoli comuni (esempio 6000 campanili) e con scarsi criteri selettivi che aumentano, il rischio di dispersione delle già scarse risorse e di marginalizzazione del ruolo regionale di programmazione territoriale;
    è necessario difendere e valorizzare le attività commerciali nei comuni montani in quanto i negozi nei comuni montani rappresentano un ancoraggio della comunità, un luogo di aggregazione prima ancora che di acquisto; spesso si tratta di punti multifunzionali che rappresentano in quelle realtà veri punti di incontro della comunità;
    si rilevano, in diverse porzioni delle Alpi e degli Appennini, nuove scelte di giovani e non solo, che decidono di aprire imprese, negozi, avviare start up, newco e partite iva, in particolare nei settori del turismo, della green economy, dei servizi innovativi, dell’information and communication technology, credendo nel rilancio del territorio montano;
    sono necessarie scelte politiche e iniziative chiare, concrete ed efficaci, per la difesa dei negozi e delle botteghe nei comuni montani, ma anche la crescita di una diversa consapevolezza da parte della comunità che vive su un territorio montano;
    salvare i piccoli negozi nei comuni di montagna passa da una nuova consapevolezza e da nuove scelte culturali, anche di chi fruisce, vive e frequenta la montagna;
    occorre, quindi, individuare misure fiscali vantaggiose per esercizi commerciali e imprese presenti nelle aree montane e interne del Paese, così da compensare il naturale svantaggio geografico e territoriale, colmando un gap che rischia di avere conseguenze dirette molto negative e tra queste un nuovo abbandono dei territori montani e aumento della povertà;
    il consiglio regionale del Piemonte ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che prevede lo studio di una serie di sgravi fiscali e burocratici per le zone montane e altre regioni stanno promuovendo percorsi di detassazione, in particolare dell'IRAP, e di misure di sostegno stabili per supportare la dinamicità del sistema produttivo in queste zone,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per rendere possibile l'attuazione di un regime fiscale agevolato e semplificato, affrancato dagli studi di settore per gli esercizi commerciali in comuni di montagna;
   ad assumere iniziative per definire, anche d'intesa con la Conferenza delle regioni e l'Uncem, sgravi fiscali e minor carico burocratico per chi possiede un negozio, per chi avvia un'attività, per chi vuole potenziare una piccola impresa, per chi apre una partita iva, in comuni montani anche prevedendo apposite «zone a fiscalità di vantaggio»;
   ad assumere iniziative per incentivare e favorire, per la parte di competenza, i centri multifunzionali, ovvero negozi che vendono prodotti e allo stesso tempo svolgono dei servizi, anche attivando o sostenendo opportune intese con associazioni locali presenti nei piccoli comuni, quali ad esempio le Pro Loco;
   ad assumere iniziative per favorire l’e-commerce con corsi di formazione specifici, in accordo con le associazioni di categoria, rivolti ai piccoli commercianti e produttori agricoli delle aree montane, evidenziando l'importanza della vendita on line dei loro prodotti, quale nuovo canale per aumentare il fatturato;
   a sostenere, per quanto di competenza, la campagna dell'Uncem «Compra in valle, la Montagna vivrà» attraverso apposite campagne informative a carattere locale e nazionale favorendo così lo sviluppo di azioni possibili di marketing territoriale individuate dalle Unioni montane di comuni;
   a sostenere e a favorire, d'intesa con le regioni, nuovi progetti di sostegno agli esercizi commerciali di prossimità nei piccoli comuni montani.
(7-00960) «Ricciatti, Fassina, Ferrara, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fava, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    il decreto ministeriale concernente «Riordino del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208», firmato in data 23 gennaio 2016, prevede una nuova articolazione territoriale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con 41 soprintendenze su tutto il territorio nazionale, di cui 39 soprintendenze uniche e 2 soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei;
    per la Puglia, tale decreto prevede la soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la città di Bari, con sede a Bari, la soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, con sede a Foggia, e la soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, con sede a Lecce;
    di fatto, la riforma elimina la soprintendenza archeologica della Puglia con sede a Taranto, istituita con la legge n. 386 del 27 gennaio 1907 che prevedeva l'istituzione delle «Soprintendenze Territoriali» dipendenti dal Ministero della pubblica istruzione;
    si ricorda che a Taranto, fin dal 1880 è attiva la direzione degli scavi per la Puglia, estesa anche alla zona di Matera e della Calabria, inoltre, il museo archeologico fu istituito nel 1887 con sede dell'ex convento di San Pasquale di Baylon, edificato nel XVIII secolo, che ospita numerose collezioni greche-romane ed apule tra cui gli antichi ori che hanno reso famoso il museo in tutto il mondo;
    in difesa della soprintendenza archeologica di Taranto si sono attivati numerosi studiosi ed archeologi, che hanno inviato una lettera alle più alte cariche istituzionali, tra cui il Presidente del Consiglio Renzi e lo stesso Ministro Franceschini per chiedere il mantenimento della sede nella città ionica;
    il 17 febbraio 2016 il consiglio provinciale di Taranto ha approvato una delibera, la n. 14, che ha successivamente inviato alle autorità politiche e di governo nazionale e locale, avente ad oggetto: «Decreto ministeriale: Riorganizzazione del Ministero e dei beni e delle attività culturali del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; ruolo della Soprintendenza Archeologica della Puglia con sede a Taranto», con cui si propongono una serie di emendamenti al decreto ministeriale per riportare a Taranto la sua soprintendenza proprio per l'alto valore culturale che essa rappresenta per la città;
    aver tolto la soprintendenza archeologica di Taranto, che sorgeva nel cuore della città vecchia, significa aver tolto un punto di riferimento essenziale per l'intera comunità tarantina, già provata da numerosi problemi economici, ambientali e sociali. È parere dell'interrogante che per rilanciare la città e dare fiducia alla collettività sia necessario ripartire dalla cultura e dalle bellezze di quel territorio per dare ossigeno a un tessuto sociale lasciato solo ad affrontare le piaghe della microcriminalità, delle carenze infrastrutturali, del bisogno e della mancata integrazione,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative al fine di restituire alla città di Taranto la sede della soprintendenza archeologica di cui in premessa e di prevedere a Lecce una succursale, proprio per l'alto valore storico e culturale che tale istituzione rappresenta non solo per la comunità tarantina, ma per l'intera nazione.
(7-00958) «Bechis, Labriola».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    con delibera n. 19/2009 il CIPE ha approvato il progetto preliminare del raddoppio della linea ferroviaria «Parma-La Spezia» (cosiddetta «Pontremolese»), prendendo atto del carattere prioritario del lotto Parma-Osteriazza, a sua volta suddiviso in tre sub lotti funzionali (Parma-Vicofertile, Vicofertile-Collecchio, Collecchio-Osteriazza) e ha assegnato 234,6 milioni di euro per lo sviluppo della progettazione definitiva e per la realizzazione del primo sub lotto Parma-Vicofertile;
    il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha disposto la revoca dei finanziamenti per le opere che entro il 31 dicembre 2011 non avessero ancora prodotto obbligazioni vincolanti verso terzi. In ragione di ciò, il 20 gennaio 2012 il CIPE, a seguito della dichiarazione di RFI di non cantierabilità dell'opera, non ha potuto fare altro che revocare il finanziamento destinando le risorse alla realizzazione di altri interventi infrastrutturali, mantenendo sul tracciato «Pontremolese» lo stanziamento di 35 milioni di euro per il «potenziamento tecnologico della stazione di Parma» e di 87 milioni di euro per il completamento degli interventi di raddoppio della tratta ferroviaria Solignano-Osteriazza;
    la regione Emilia-Romagna ha recentemente ribadito, nel proprio programma delle infrastrutture strategiche, la priorità assegnata al raddoppio dell'itinerario ferroviario «Pontremolese». Priorità sostenuta anche dall'assemblea dei sindaci della provincia di Parma,

impegna il Governo

ad adottare tutte le iniziative necessarie al perfezionamento e all'approvazione della progettazione definitiva degli interventi di raddoppio della linea ferroviaria Parma-La Spezia e allo stanziamento delle risorse necessarie alla sua realizzazione anche per sub lotti funzionali.
(7-00959) «Tullo, Patrizia Maestri, Romanini, Nardi, Zardini, Gandolfi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   da qualche giorno è entrato in funzione nel porto di Taranto un hotspot predisposto per ospitare temporaneamente 360 migranti;
   la struttura è dotata di aree di prima accoglienza sanitaria, uffici per l'identificazione di polizia il controllo documenti, la fotosegnalazione e rilevamento di impronte digitali;
   l’hotspot dovrebbe servire alla identificazione di migranti che dovessero sbarcare in Puglia;
   dal suo avvio si sono verificati due arrivi, ognuno di circa 400 migranti sbarcati in altre regioni (Calabria in particolare);
   il trasferimento a Taranto è avvenuto con utilizzo di autobus;
   di quanto sta accadendo non si hanno comunicazioni ufficiali, così come risulta che sia vietato l'accesso alla struttura agli organi di informazione;
   in riferimento all'ultimo arrivo della fine di marzo 2016 si apprendono le seguenti notizie dalle agenzie di stampa: «Oltre un centinaio di migranti marocchini, accolti nei giorni scorsi nel nuovo hotspot di Taranto, sono stati muniti di provvedimento di espulsione firmato dal questore di Taranto, Stanislao Schimera, dopo essersi rifiutati di avvalersi di «protezione internazionale». Lo riporta l’ANSA. Entro sette giorni devono lasciare l'Italia e sono liberi di circolare sul territorio nazionale. Circa 40 migranti ieri sera, si sono recati alla stazione ferroviaria con l'intento di partire per il Nord: non tutti sono riusciti a farlo per mancanza dei soldi necessari all'acquisto dei biglietti. Alcuni hanno trascorso la notte nell'ex palestra Ricciardi sede della locale Protezione civile. Nel foglio di via si precisa che il migrante colpito dal provvedimento «è sprovvisto del permesso di soggiorno» e risulta «irregolare sul territorio nazionale»;
   i migranti che hanno rifiutato la «protezione internazionale» a seguito del provvedimento di espulsione si sono riversati in città senza alcun tipo di assistenza, privi di risorse, senza alcuna forma di sostegno;
   il sindaco di Taranto ha segnalato la volontà di individuare soluzioni abitative per ospitare temporaneamente i migranti, di fatto espulsi dal nostro Paese, mentre risulta che alcuni volontari abbiano organizzato collette per l'acquisto di biglietti ferroviari;
   quanto sopra avviene in un contesto sociale ed economico notoriamente gravato da una particolare crisi che evidenzia una disoccupazione giovanile superiore al 50 per cento, una preoccupante crisi abitativa, nonché ampie sacche di povertà –:
   se il Governo intenda rivedere la decisione di mantenere a Taranto l’hotspot, mancando i presupposti perché tale struttura possa funzionare senza incidere sulle già precarie condizioni di vita della popolazione locale, che impediscono di fatto di garantire la richiesta accoglienza, soprattutto al ripetersi degli episodi narrati in premessa;
   se, nelle more di assumere decisioni più coerenti con la realtà di Taranto, non si ritenga di limitare l'accesso all’hotspot solo a quanti dovessero sbarcare in Puglia;
   allo stato, se non si ritenga ragionevole, e assolutamente necessario, assumere iniziative per effettuare a monte la verifica della volontà di avvalersi della «protezione internazionale», evitando di inviare a Taranto non intendono richiedere asilo al nostro Paese.
(2-01333) «Chiarelli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   è nota, anche per le diverse ripetute condanne inflitte al nostro Paese da parte della Commissione europea per i diritti umani (vedi, tra le tante, la nota sentenza Torreggiani), la situazione di assoluta criticità delle strutture carcerarie italiane;
   è altresì noto che tale situazione critica è dovuta ad una serie di circostanze che possono sinteticamente indicarsi in: 1) tagli alle spese per l'adeguamento delle strutture 2) sottodimensionamento degli organici di polizia carceraria e in generale, del personale che opera nelle carceri italiane 3) numero significativo di detenuti in attesa di giudizio, di cui molti stranieri;
   il carcere di Taranto, in particolare, soprattutto negli ultimi anni, ha evidenziato, nonostante una encomiabile e meritoria gestione da parte della direttrice e di tutto il personale impiegato, molti episodi che hanno messo a rischio la sicurezza dei detenuti e degli operatori;
   mercoledì 23 marzo 2016 è giunta la notizia che verso le 15.30, un cittadino di origine egiziana di circa 30 anni, in attesa di giudizio (sembrerebbe uno scafista di profughi), avrebbe tentato il suicidio attraverso una corda rudimentale attaccata alle inferriate del bagno. In questo caso, il pronto intervento dell'agente che ha dato subito l'allarme, seguito dal personale medico, ha evitato che ci fossero gravi conseguenze;
   un detenuto italiano, sembrerebbe originario di Massafra (TA), anch'esso in, attesa di giudizio per reati contro la famiglia, avrebbe tentato il suicidio attraverso il solito metodo (corda rudimentale). In questo caso nonostante il rapido intervento dell'addetto alla vigilanza e dei sanitari, il detenuto è apparso molto grave, tanto da essere trasportato presso il locale ospedale per essere ricoverato in rianimazione;
   nel corso della recente Messa di precetto Pasquale presso suddetto carcere, un gruppo di detenuti, all'arrivo dell'arcivescovo di Taranto, hanno inscenato una forma di protesta, allontanandosi dalla sala, creando ad avviso dell'interrogante situazioni di potenziale pericolo, prontamente e positivamente gestite dal personale di custodia;
   quanto sopra evidenziato in presenza di un organico di polizia penitenziaria assolutamente sottodimensionato;
   il perdurare dell'attuale stato di cose lascia ipotizzare che quanto accaduto nei giorni scorsi, non solo possa ripetersi, ma si possa assistere ad un ulteriore escalation, con grave rischio per tutta la popolazione carceraria, detenuti e personale –:
   se il Ministro interrogato ritenga di adottare iniziative urgenti per l'invio con immediatezza a Taranto del personale necessario a completare l'organico, che si valuta in almeno trenta unità di polizia penitenziaria;
   se ritenga di affrontare in generale il problema del sovraffollamento delle carceri attraverso iniziative straordinarie, soprattutto in caso di carcerazione cautelare, quali l'impiego del braccialetto elettronico, salvo che non ritenga di assumere le iniziative di competenza ai fini dell'adozione di più utili iniziative straordinarie di clemenza.
(2-01334) «Chiarelli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 12 febbraio 2016 è stata pubblicata sul bollettino ufficiale della regione Toscana la legge n. 10 del 9 febbraio 2016, n. 20, «Legge obiettivo per la gestione degli ungulati in Toscana. Modifiche alla legge regionale n. 3 del 1994»;
   la norma detta misure straordinarie in ordine alla gestione delle popolazioni di ungulati e quindi alla redazione del piano faunistico venatorio, del calendario venatorio e di piani di controllo della fauna selvatica, al fine del ripristino, raggiungimento e mantenimento di densità sostenibili degli ungulati in Toscana, rispetto all'impatto che queste specie producono sulle colture agricole, sui boschi, sull'ambiente, sulle altre specie e sulle attività antropiche;
   per quanto attiene ai piani di controllo della fauna selvatica, l'articolo 19 della legge n. 157 del 1992 impone che l'attuazione degli abbattimenti sia affidata esclusivamente ai seguenti soggetti:
    a) guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali;
    b) proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l'esercizio venatorio;
    c) guardie forestali e guardie comunali munite di licenza per l'esercizio venatorio;
   nonostante tale precisa disposizione, l'articolo 5 della legge regionale Toscana n. 10 del 2016, amplia il numero di soggetti, includendo, oltre a quanto sopra riportato:
    le guardie addette alla vigilanza dei parchi regionali e nazionali;
    gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria;
    le guardie giurate e le guardie forestali e campestri delle comunità montane;
    le guardie venatorie volontarie;
    le guardie ambientali volontarie;
    le guardie private riconosciute ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza;
    i soggetti che abbiano frequentato appositi corsi di preparazione organizzati dalla Regione stessa sulla base di programmi concordati con l'ISPRA;
    i cacciatori iscritti nel registro regionale per la caccia di selezione;
    le squadre di caccia al cinghiale;
   sul tema delle figure abilitate al controllo faunistico, così come disposto dall'articolo 19 della legge n. 157 del 1992, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha già promosso, con delibera del 26 febbraio 2015, l'impugnazione avanti la Corte costituzionale, della legge regionale Liguria n. 29 del 30 dicembre 2015 pubblicata sul BUR n. 23 del 31 dicembre 2015, che prevede che i piani di abbattimento siano eseguiti da soggetti non ricompresi nell'articolo 19 della legge n. 157 del 1992;
   la citata delibera del Consiglio dei ministri, afferma che la Corte Costituzionale ha già riconosciuto che «l'identificazione delle persone abilitate all'attività in questione compete esclusivamente alla legge dello Stato e che, al riguardo, l'articolo 19 della legge n. 157 del 1992 contiene un elenco tassativo (sentenza n. 392 del 2005; ordinanza n. 44 del 2012)» (sentenza n. 107 del 2014)» –:
   se, sulla base di quanto esposto in premessa, il Governo non ritenga che sussistano i presupposti per procedere con urgenza a sollevare la questione di legittimità costituzionale nei confronti della legge regionale Toscana n. 10 del 9 febbraio 2016. (5-08319)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi cinque anni, i governi che si sono alternati hanno compiuto la scelta politica di far pagare la crisi anche ai dipendenti pubblici, che nella stragrande maggioranza dei casi già percepiscono stipendi molto bassi, bloccando la contrattazione collettiva e gli adeguamenti automatici loro spettanti. Tale scelta, compiuta dapprima dal Governo Berlusconi nell'estate del 2011 quando l'Italia era sotto lo «scacco» dell'attacco speculativo al debito, è stata prorogata dopo il primo triennio di applicazione, anche dai successivi esecutivi, compreso l'attuale;
   come molto spesso accade, per sanare una simile e reiterata ingiustizia, è dovuta intervenire la Corte costituzionale, che – con la sentenza n. 178 del 24 giugno 2015 – ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del regime della sospensione della contrattazione collettiva per il personale pubblico dipendente di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   l'articolo 136 della Costituzione stabilisce che «quando la Corte (costituzionale) dichiara l'illegittimità di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione»;
   tuttavia, nonostante la citata sentenza, i pubblici dipendenti non hanno ancora ricevuto gli adeguamenti stipendiali e ciò rappresenta un danno gravissimo non solo per i dipendenti pubblici, ma proprio per l'immagine dello Stato: da un lato si mortifica una categoria di lavoratori di cruciale importanza per il funzionamento della macchina amministrativa dello Stato, e dall'altro si rende sempre meno attraente per i giovani la carriera nelle pubbliche amministrazioni in ragione di quella che sembra essere una deliberata scelta di campo per distruggere il servizio pubblico a favore di quello privato;
   alcune organizzazioni sindacali hanno addirittura inviato al Governo degli atti di diffida volti a dare immediata esecuzione alla sentenza citata in premessa provvedendo al contempo ad avviare le procedure contrattuali e negoziali relative al nuovo triennio 2016-2018 per il personale di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   nel rapporto annuale dell'ISTAT per l'anno 2015 presentato il 20 maggio 2015 dello scorso anno si può leggere: «nel settore pubblico, con il blocco dei rinnovi la dinamica delle retribuzioni contrattuali è ferma al 2011 e le retribuzioni di fatto in rapido declino. Nel settore a prevalenza pubblica sono evidenti gli effetti delle misure per il contenimento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti varate con il decreto legge n. 78/2010 e confermate con successive modifiche a tutto il 2014. La quota dei dipendenti pubblici con il contratto scaduto, scesa notevolmente nel 2009 (38,1 per cento), ritorna al 100 per cento negli anni successivi a causa del blocco dei rinnovi contrattuali. La dinamica delle retribuzioni contrattuali in questi settori risulta sostanzialmente stazionaria dal 2012. L'andamento delle retribuzioni di fatto dal 2009 declina rapidamente: dal 4,1 per cento del 2008 si passa al 2,1 per cento del 2009 e all'1,3 per cento del 2010. Dall'anno successivo si registra una diminuzione media delle retribuzioni pari allo 0,3 per cento annuo»;
   si apprende da fonti di stampa che nella notte tra il 4 e il 5 aprile 2016 le organizzazioni sindacali e l'Agenzia di rappresentanza della pubblica amministrazione nelle trattative sui contratti di lavoro (ARAN) hanno sottoscritto un accordo che riduce i comparti del pubblico impiego dagli attuali 12 a 4, per aree omogenee: funzioni locali, funzioni centrali, sanità e istruzione. Tale accordo prevede anche un quinto comparto della Presidenza del Consiglio e appare del tutto anomalo — a fronte di quattro aree con centinaia di migliaia di dipendenti — prevedere un comparto a parte per circa 1.500 dipendenti. Ciò, ad avviso dell'interrogante, ingenera il sospetto che si voglia creare una categoria di privilegiati a scapito delle altre;
   a questo punto non si comprende veramente la ragione per cui non si proceda tempestivamente al riavvio delle trattative per i rinnovi contrattuali e al conseguente sblocco dei salari –:
   per quale ragione il Governo abbia disatteso per quasi un anno quanto disposto da una sentenza della Corte costituzionale;
   se il Governo non ritenga che sia giunta l'ora di assumere iniziative per porre fine a questa vergognosa sperequazione nei confronti dei dipendenti pubblici e quali intenzioni abbia, per quanto di competenza, in merito allo sblocco dei salari di costoro;
   per quale ragione sia stato creato uno specifico comparto per la Presidenza del Consiglio dei ministri e se possa essere esclusa una immotivata disparità di trattamento. (4-12747)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sono passati 7 anni dall'approvazione della direttiva europea sulle fonti rinnovabili 2009/28/CE e quasi 5 dal recepimento della medesima in Italia e gli operatori italiani aspettano, a giudizio dell'interrogante, con motivata impazienza, che si completi il quadro normativo e regolatorio per la produzione di biometano, per poter iniziare la costruzione degli impianti, che daranno anche importanti opportunità di lavoro qualificato;
   dopo 7 anni dall'approvazione della direttiva europea, in Italia non è dato sapere quando tale percorso terminerà. Il Ministero dello sviluppo economico, anziché porre fine a questo ritardo, usa, a giudizio dell'interrogante e di AssoRinnovabili, impropriamente la «scusa» del cosiddetto standstill, dovuto al processo di normazione M/475, per continuare a impedire il concreto avvio di iniziative, molte delle quali iniziate già diversi anni fa con investimenti di operatori che hanno confidato nel completamento del quadro normativo;
   lo standstill non impedisce agli Stati membri di emanare norme tecniche, ma al contrario ne consente espressamente l'adozione, a condizione che queste non siano in contrasto con una norma tecnica europea (se) esistente;
   infatti, l'articolo 7, comma 1, della direttiva 98/34/CE1 prevede che gli Stati membri adottino le disposizioni necessarie affinché, durante l'elaborazione di una norma tecnica europea, i loro organismi di normalizzazione «non intraprendano alcuna azione che possa recare pregiudizio all'armonizzazione prevista e, in particolare, nel settore in questione essi non pubblichino una norma nazionale nuova o riveduta che non sia interamente conforme a una norma europea già esistente»;
   da un lato, il Ministero dello sviluppo economico ha espressamente vietato l'immissione in rete di biometano derivante da biogas ottenuto da processi di gassificazione di biomasse o da gas da discarica o dalla frazione organica dei rifiuti urbani (articolo 8, comma 9, decreto ministeriale 5 dicembre 2013) e, dall'altro, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (Aeegsi) ha consentito l'immissione in rete del biometano soltanto a condizione che sia «tecnicamente libero» da tutte le componenti di cui al rapporto tecnico UNI/TR 11537 allegato A, deliberazione 46/2015/R/gas del 12 febbraio 2015), condizione che implica la totale assenza di qualsiasi sostanza potenzialmente pericolosa e che non è tecnicamente realizzabile;
   l'introduzione di tali divieti e ostacoli, a giudizio dell'interrogante e di AssoRinnovabili, appare assolutamente di dubbia legittimità;
   con queste disposizioni, travalicando i confini del dettato europeo, si sta impedendo la realizzazione di molte iniziative, creando così una disparità di trattamento tra chi opera in Italia e chi opera negli altri Stati membri;
   non può valere come giustificazione il ritardo del Comitato CEN nel completare il processo di normazione tecnica M/475, prevalentemente dovuto a mancati accordi tra Stati membri. Fino alla formale approvazione di tale norma — apparentemente prossima, ma di fatto a lungo rinviata — esiste, paradossalmente, il rischio che il processo di normazione non si concluda e che gli operatori italiani (a differenza dei concorrenti europei) non possano mai avviare un'iniziativa di produzione del biometano;
   il danno è che gli operatori italiani sono costretti «a stare alla finestra», mentre in Germania, Paesi Bassi o Svezia, per esempio, da anni si produce biometano, perché i rispettivi Stati, benché anche essi coinvolti nel processo di normazione M/475, non hanno paralizzato il settore ma l'hanno sostenuto e promosso;
   gli operatori italiani che hanno avviato iniziative in questo settore non possono più sopportare questa condizione di stallo;
   nella risposta data dal sottosegretario allo sviluppo economico all'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06537, si può leggere, tra le altre cose, che «il decreto interministeriale del 5 dicembre 2013, cosiddetto decreto “Biometano”, all'articolo 3, ha definito: lo specifico, incentivo spettante al biometano immesso nelle reti del gas naturale; la durata dell'incentivazione; la differenziazione dell'incentivo in funzione delle taglie dell'impianto in modo da tenere in conto le differenze dei costi di investimento; l'eventuale maggiorazione; dell'incentivo per il biometano prodotto esclusivamente a partire da alcuni sottoprodotti e rifiuti. Ciò premesso si rappresenta che, per quanto concerne le condizioni tecniche ed economiche per la connessione degli impianti di produzione di biometano, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, dopo aver raccolto le posizioni degli operatori di mercato con la relativa consultazione, ha emanato, con apposita delibera del 12 febbraio 2015, le direttive per le connessioni degli impianti di biometano alle reti del gas naturale e le disposizioni in materia di determinazione delle quantità di biometano ammissibili agli incentivi. Omissis. Con riferimento ai parametri di qualità del biometano da immettere nella rete del gas naturale, si precisa che la sopra citata delibera dell'Autorità stabilisce che, per l'intera durata dell'obbligo di “standstill” previsto dalla normativa comunitaria, ai fini della definizione e della pubblicazione delle specifiche di qualità, il gestore di rete deve fare riferimento alle disposizioni vigenti di cui al decreto del Ministero dello sviluppo economico del 19 febbraio 2007 e alle condizioni individuate dal decreto interministeriale del 5 dicembre 2013. In particolare, il biometano immesso nelle reti del gas naturale deve essere tecnicamente libero da tutte le componenti previste dall'apposita norma tecnica UNI. Infine, si evidenzia che il Ministero ha incontrato a più riprese i rappresentanti di associazioni di settore ed ha condiviso alcune delle criticità evidenziate anche dall'onorevole interrogante. Gli Uffici del Ministero stanno, infatti, lavorando ad ipotesi di revisione del testo del decreto interministeriale del 5 dicembre 2013 tesa a superare le criticità manifestatesi e a favorire l'uso del biometano nel settore dei trasporti. In particolare si sta valutando l'idea di spostare almeno al 2020 il termine entro il quale gli impianti devono entrare in esercizio per poter accedere agli incentivi, nonché ulteriori stimoli per riconvertire gli esistenti impianti di produzione elettrica da biogas alla produzione di biometano per i trasporti.»;
   a giudizio dell'interrogante e di Assorinnovabili, se il Governo intende realmente dare seguito alla emanata legge che consente anche in Italia la produzione di biometano, è necessario che vengano rimossi urgentemente gli ostacoli introdotti, ingiustificatamente, dalla normativa nazionale e, in particolare, occorre che il Ministero dello sviluppo economico: faccia ripartire il termine di 5 anni per l'entrata in esercizio degli impianti ai fini dell'accesso all'incentivazione del biometano (di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto ministeriale 5 dicembre 2013), facendolo decorrere dalla data di effettivo completamento del quadro normativo di riferimento; elimini il divieto di immissione nella rete del gas naturale del biometano derivante da biogas ottenuto da processi di gassificazione di biomasse o da gas da discarica o dalla frazione organica dei rifiuti urbani (articolo 8, comma 9 del decreto ministeriale 5 dicembre 2013), in modo da allinearci agli altri Paesi europei citati; riconosca direttamente al produttore l'incentivo per il biometano utilizzato nei trasporti (Cic) al fine di permettere la bancabilità del progetto, anziché, come previsto oggi, al soggetto che «lo immette in consumo» (articolo 4, comma 1 del decreto ministeriale 5 dicembre 2013);
   a giudizio dell'interrogante e di Assorinnovabili, se si intende realmente dare seguito alla emanata legge che consente anche in Italia la produzione di biometano, è necessario che vengano rimossi urgentemente gli ostacoli introdotti, ingiustificatamente, dalla normativa nazionale e, in particolare, occorrerebbe che l'Aeegsi: elimini la prescrizione impossibile da applicare (infatti non esiste per il gas naturale) – che consente l'immissione in rete di biometano soltanto a condizione che sia «tecnicamente libero» da qualsiasi componente elencata nel rapporto tecnico UNI/TR 11537 (articolo 3.2, allegato A, Deliberazione 46/2015/R/gas del 12 febbraio 2015); adotti, nelle more della emananda normativa europea, una deliberazione che consenta l'immissione in rete del biometano, a condizione che abbia le medesime caratteristiche previste dalla normativa tedesca (Allegato 1) o, in alternativa, quelle previste nel rapporto tecnico UNI/TR 11537, paragrafo 6 (Allegato 2); approvi e pubblichi il codice di rete SNAM, già aggiornato rispetto alle procedure di immissione in rete del biometano, in modo che il GSE possa riconoscere i relativi incentivi per il biometano trasportato attraverso la rete del gas naturale;
   a giudizio dell'interrogante e di Assorinnovabili, inoltre, occorre che il Comitato italiano gas (Cig): concluda i lavori di revisione della norma UNI/TR 11537, iniziata da oltre un anno, e adotti limiti e procedure di misura sui microinquinanti non più restrittivi o complicati di quelli in vigore in Germania;
   oltre a quanto sopra, per risolvere le ulteriori problematiche esistenti, già più volte segnalate da AssoRinnovabili, sarebbe opportuno che il GSE: pubblichi un valore di riferimento dei Certificati di immissione in consumo (Cic), affinché gli operatori possano elaborare una previsione affidabile di quale sia il livello effettivo di incentivo alla produzione di biometano; preveda l'obbligo di ritiro dei Cic, allo scadere di un determinato termine dall'assegnazione, ad un prezzo minimo definito;
   nelle more dell'adozione di tutti questi auspicati provvedimenti, è necessario individuare una misura che «salvi» le iniziative già avviate da coloro i quali avevano fatto affidamento sulla normativa di incentivazione adottata nel 2011 e sulla possibilità di una sua ragionevole attuazione;
   è noto, infatti, come molti operatori abbiano già investito nello sviluppo di questi progetti, siano stati aggiudicatari di gare d'appalto e, avendo quindi assunto obblighi nei confronti della pubblica amministrazione, siano in procinto o abbiano già iniziato i lavori e, per questi casi, ove l'impianto di produzione di biometano venga realizzato, sarebbe opportuno ammettere la valorizzazione dell'energia elettrica di biogas con una tariffa incentivante basata su quelle esistenti;
   inoltre, bisognerà che la successiva conversione di tale impianto alla produzione di biometano, una volta completato il quadro di riferimento che ne consentirebbe finalmente l'utilizzo, sia qualificata, ai fini della disciplina di incentivazione, come impianto di nuova costruzione e non come intervento di riconverzione di impianto esistente –:
   in riferimento alla risposta fornita dal sottosegretario allo sviluppo economico il 21 gennaio 2016, all'interrogazione n. 5-06537 quando si procederà alla modifica del decreto ministeriale citato in detta risposta;
   se e come il Governo intenda chiarire la problematica della qualità del biometano per autotrazione in quanto, formalmente, il quadro normativo sembra all'interrogante completo ma, in realtà, nessuno sembra all'interrogante sapere quali norme regolino la qualità del gas per autotrazione visto che il Gse sostiene di rifarsi alla norma Comitato italiano gas il quale, a sua volta, sostiene di aver regolato solo l'immissione in rete;
   come intenda risolvere il problema dei certificati immissione in consumo, in quali termini e con quali tempi;
   quali iniziative normative, di carattere generale, intenda assumere il Governo per risolvere le problematiche esposte in premesse. (4-12759)


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del suo mandato, il Governo ha adottato numerosi provvedimenti rivelatisi non solo idonei a configurare i profili tipici del conflitto di interesse in capo a esponenti governativi, ma funzionali a esigenze delle maggiori lobby economiche del Paese, quali quelle bancarie, finanziarie e petrolifere;
   la recente indagine della direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Potenza — soltanto l'ultima in ordine temporale — condotta anche attraverso il supporto di intercettazioni telefoniche, svela l'operato di un articolato e consolidato «comitato d'affari», che occupava la scena e il retroscena governativo, per garantire gli interessi di rilevanti compagnie petrolifere e di società legate a soggetti in rapporti personali con membri dell'Esecutivo, anche in relazione a esponenti della classe politica locale e nazionale;
   tutto questo ingenera nell'opinione pubblica il sospetto che tali comportamenti e provvedimenti posti in essere da autorevoli membri del Governo siano condizionati da finanziamenti che soggetti privati possono aver erogato, nel rispetto della normativa vigente, ai partiti politici della maggioranza;
   la perfetta liceità di tali finanziamenti non esclude tuttavia la possibilità che i citati comportamenti e provvedimenti siano stati da essi condizionati configurando i profili tipici del conflitto d'interesse di cui sopra;

la trasparenza in relazione a tali finanziamenti, purtroppo non è perfettamente garantita dalla normativa vigente, ovvero il terzo comma dell'articolo 5 del decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, concernente «Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore»;
   tale norma prevede, infatti, che «i rappresentanti legali dei partiti beneficiari delle erogazioni sono tenuti a trasmettere alla Presidenza della Camera dei deputati l'elenco dei soggetti che hanno erogato finanziamenti o contributi di importo superiore, nell'anno, a euro 5.000, e la relativa documentazione contabile (...) L'elenco dei soggetti che hanno erogato i predetti finanziamenti o contributi e i relativi importi sono pubblicati in maniera facilmente accessibile nel sito internet ufficiale del Parlamento italiano (...) Gli obblighi di pubblicazione nei siti internet di cui al quinto e al sesto periodo del presente comma concernono soltanto i dati dei soggetti i quali abbiano prestato il proprio consenso», ai sensi della vigente normativa in materia di protezione dei dati personali (comma 12 dell'articolo 22 e comma 4 dell'articolo 23 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196);
   quest'ultimo periodo, non presente nella versione originaria del decreto-legge, è stato inserito in sede di conversione con l'approvazione di un emendamento 5.400 della relatrice, l'allora senatrice del Partito Democratico, Isabella De Monte;
   già in sede di dibattito parlamentare il senatore Vito Crimi ebbe modo di chiarire la posizione del MoVimento 5 Stelle dichiarando che «l'emendamento 5.400 sembra adempiere ad un dovere di rispetto della privacy, quando in realtà non è affatto così. Nel momento in cui si fa un'erogazione liberale al partito si deve sapere prima che la propria erogazione verrà resa pubblica con quelle modalità; se si ritiene che il proprio nome e cognome non debba apparire, allora non si fa l'erogazione. Non è pertanto questione di tutela della privacy: nel momento in cui si decide di fare una erogazione liberale, automaticamente si deve dare il consenso, perché così è previsto nella legge, e non è necessario prestare un ulteriore consenso, altrimenti si annulla totalmente l'effetto della norma. A quel punto infatti qualunque persona può non acconsentire alla pubblicazione dei dati, annullando totalmente la pubblicità dell'erogazione prevista dalla norma. Quindi, mi sembra una disposizione fuori luogo»;
   nel bilanciamento dei diritti fondamentali in campo, è di tutta evidenza come in questo caso l'indispensabile necessità della trasparenza prevalga sulla tutela della privacy;
   tale necessità, peraltro, va ben oltre la trasparenza: i cittadini italiani debbono sapere se le decisioni e i comportamenti dei propri rappresentanti siano condizionate da finanziamenti privati, in altre parole se vi siano dei conflitti d'interesse;
   pertanto, una simile norma ad avviso dell'interrogante può ingenerare il sospetto di voler garantire l'anonimato ad alcuni inconfessabili finanziatori del partito;
   a parere dell'interrogante, anche la norma che prevede il limite annuale dei 5.000 di euro di finanziamento per la pubblicità è del tutto inopportuna, dal momento che tale limite andrebbe di molto abbassato se non del tutto eliminato;
   alla luce delle considerazioni svolte, è indispensabile l'abrogazione dei citati limiti alla trasparenza del finanziamento di soggetti privati ai partiti politici, che creano una inammissibile opacità in merito ad un aspetto molto delicato della dinamica politica –:
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alle considerazioni svolte e se non ritenga di dover attivare i suoi poteri normativi, anche mediante il ricorso alla decretazione d'urgenza, ai fini dell'abrogazione di una norma che crea un'inammissibile deroga alla indispensabile trasparenza dei finanziamenti di soggetti privati ai partiti politici. (4-12764)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con istanza formulata ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, la VBIO1 società agricola srl ha richiesto alla regione Marche – P.F. rete elettrica regionale, autorizzazioni energetiche, gas ed idrocarburi –, l'autorizzazione alla realizzazione e all'esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica da biogas, ottenuto dalla digestione anaerobica di biomasse di potenza nominale pari a 999 kwe, impianto ricadente nel Comune di Corridonia (Mc);
   la legge regione Marche n. 7 del 2004, vigente all'epoca della presentazione della domanda, prevedeva la sottoposizione del progetto a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (così detto screening);
   la società aveva, altresì, proposto, in data 4 ottobre 2011, apposita istanza alla Provincia di Macerata, competente in materia di valutazioni ambientali la quale il 26 gennaio 2012, archiviava il procedimento di verifica di assoggettabilità, avendo l'articolo 24 della intervenuta legge regione Marche n. 20 del 2011, in vigore dal 9 novembre 2011, modificato la lettera n-terdecies) del punto 6) dell'allegato B2 alla legge regione Marche n. 7 del 2004, nel senso di escludere dalla valutazione impatto ambientale i progetti sotto la soglia potenziale termica di 3 Mwt;
   la regione Marche con «decreto del dirigente della P.F. rete elettrica regionale autorizzazioni energetiche, gas ed idrocarburi» n. 52/EFR del 5 giugno 2012 rilasciava quindi alla predetta società l’«autorizzazione a realizzare ed esercitare l'impianto di produzione di energia elettrica da Biogas nel comune di Loro Piceno (MC)»;
   con ricorso promosso innanzi al tribunale amministrativo regionale delle Marche, il comune di Corridonia ha impugnato il predetto decreto; il Tribunale amministrativo regionale con sentenza 10 ottobre 2013 n. 659, ha accolto il ricorso, decisione poi confermata dal Consiglio di Stato (Sez. IV sentenza del 22 settembre 2014 n. 4730);
   le suddette decisioni hanno annullato l'autorizzazione regionale, dichiarando non applicabile la citata legge regionale n. 20 del 2011 e, in ogni caso, in ragione del contrasto tra l'articolo 24 della legge della regione Marche n. 20 del 2011 e la direttiva 2011/92/UE (con conseguente disapplicazione della norma interna), anche alla luce della sentenza del 22 maggio 2013 n. 93 della Corte costituzionale, con la quale sono stati dichiarati incostituzionali gli allegati alla legge della legge regione Marche n. 3 del 2012 nella parte in cui una serie di progetti erano esonerati dalla verifica di assoggettabilità a VIA unicamente in base a soglie numeriche relative alla potenza o all'estensione territoriale degli impianti e non già alla luce dei criteri di cui all'allegato III della direttiva 2011/92/UE;
   successivamente al deposito della sentenza del Tar, la VBIO1, ha presentato domanda di avvio della procedura di impatto ambientale di cui al combinato disposto dell'articolo 23 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 12 e seguenti della legge della regione Marche n. 3 del 2012;
   con determina dirigenziale n. 374 del settore 10 – ambiente del 15 novembre 2013 è stato disposto l'assoggettamento a VIA del progetto;
   con determinazione dirigenziale n. 243 – 10o settore del 7 luglio del 2014 del dirigente del settore ambiente provincia di Macerata, è stato espresso il giudizio positivo di compatibilità ambientale con prescrizioni;
   contro tale atto ha ricorso il comune di Corridonia deducendo tra l'altro, la violazione e/o elusione e/o falsa e/o erronea applicazione dell'articolo 191 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, della direttiva 85/337/CEE (ora 2011/92) articolo 2, numeri 1-3, primo comma, sostenendo che l'impianto già realizzato non poteva essere sottoposto a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (cosiddetto screening) VIA;
   il giudizio è stato sospeso dal Tar Marche al fine di richiedere alla Corte di giustizia dell'Unione europea una decisione in ordine alla compatibilità comunitaria dell'esperibilità della verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale articolo 4, comma 2, direttiva 2011/92/UE) e, conseguentemente, alla VIA, relativamente ad un impianto già realizzato;
   all'epoca dell'adozione del provvedimento autorizzativo successivamente annullato (autorizzazione regionale n. 52/EFR del 25 giugno 2012), la normativa nazionale prevedeva la verifica di assoggettabilità alla VIA solo per gli impianti per la produzione di energia elettrica (e di vapore e acqua calda) con potenza termica complessiva superiore a 50 MW (si veda il punto 2-a dell'allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006);
   in attuazione di quanto previsto dalla legge nazionale, la legge regione Marche n. 20 del 2011 (in vigore dal 9 novembre del 2011) prevedeva l'esenzione della verifica di assoggettabilità a VIA per gli «Impianti termici, inclusi quelli a celle a combustibile, per la produzione di energia elettrica vapore e acqua calda alimentati a biomasse, a olii combustibili vegetali o a biodiesel, di potenza termica nominale inferiore a 3 MW»;
   l'archiviazione del procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, sulla base dell'entrata in vigore della legge appena richiamata, e quindi la mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale ha portato all'annullamento dell'autorizzazione rilasciata dalla regione Marche, con l'impianto già in funzione, che è stato successivamente spento, con avvio della procedura di verifica di assoggettabilità di cui al combinato disposto dell'articolo 23 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 12 e seguenti della legge regionale n. 3 del 2012;
   la legge Regione Marche n. 20 del 2011 è stata modificata dalla legge regionale n. 3 del 2012 (quest'ultima legge, che confermava l'esenzione da verifica di assoggettabilità a VIA sulla base di soglie numeriche, come già accennato è stata dichiarata incostituzionale, per tale parte, dalla sentenza n. 93 del 22 maggio del 2013 della Corte costituzionale;
   infine, quest'ultima legge è stata modificata dalla legge della regione Marche 19 ottobre del 2012 n. 30, con la quale la regione ha provveduto ad introdurre modifiche sia all'articolo 3 che all'allegato C della legge regionale n. 3 del 2012, recanti l'esplicita previsione della necessità di tener conto, caso per caso ed indipendentemente dalle soglie dimensionali, di tutti i criteri di selezione dei progetti indicati negli allegati della direttiva;
   la nuova procedura di VIA è stata effettuata secondo le previsioni di cui sopra, nonché secondo quelle della normativa nazionale;
   è da ricordare, con riguardo alla normativa nazionale, che articolo 15 comma 4, del decreto legge del 25 giugno 2014 n. 91 recava la previsione che, nei casi in cui dovessero essere sottoposti a verifica di assoggettabilità postuma, anche a seguito di annullamento dell'autorizzazione in sede giurisdizionale, impianti già autorizzati e in esercizio per i quali tale procedura era stata a suo tempo ritenuta esclusa sulla base delle soglie individuate nell'Allegato IV alla parte seconda del decreto legislativo del 3 aprile del 2006, n. 152, e nella legislazione regionale di attuazione la procedura di verifica di assoggettabilità fosse svolta a norma dell'articolo 6, comma 7, lettera c), del predetto decreto legislativo, ferma restando la prosecuzione dell'attività fino all'adozione dell'atto definitivo da parte dell'autorità competente e, comunque, non oltre il termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto;
   la norma è stata soppressa in sede di conversione per cui non ha trovato applicazione;
   con la modifica all'articolo 6, comma 7-c, del decreto legislativo n. 152 del 2006 introdotta dall'articolo 15, comma 1-c, del già citato decreto legislativo del 24 giugno 2014 n. 91 è stata prevista l'introduzione di nuove soglie mediante decreto ministeriale, con la precisazione che nel frattempo la valutazione circa la verifica di assoggettamento doveva essere effettuata caso per caso sulla base dei criteri stabiliti nell'allegato V alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   come è noto, in precedenza, la Commissione europea aveva avviato la procedura d'infrazione 2009/2086 per non conformità delle norme nazionali (parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006) con la direttiva VIA 2011/92/UE relativamente, tra l'altro, alla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA;
   con il decreto ministeriale n. 52 del 30 marzo 2015 sono state emanate le «Linee guida nazionali destinate a ridefinire i criteri e le soglie per determinare l'assoggettamento alla procedura di verifica dei progetti dell'Allegato IV del decreto legislativo n. 152 del 2006», portando all'archiviazione della procedura in data 19 novembre 2015. Il decreto però non è applicabile ratione temporis ai procedimenti definiti in precedenza;
   ne consegue, ad avviso del Tar delle Marche, che nell'ordinamento interno italiano non sia attualmente presente alcuna norma che disciplini la valutazione di impatto ambientale cosiddetta postuma, ad impianto realizzato;
   per gli impianti già autorizzati, l'articolo 29, comma 1, de decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce semplicemente che i provvedimenti di autorizzazione o approvazione adottati senza la previa valutazione di impatto ambientale sono annullabili per violazione di legge;
   in caso di realizzazione degli impianti senza la previa sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o di valutazione, il medesimo articolo 29 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dispone, al comma 4, che l'autorità competente, valutata l'entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, dispone la sospensione dei lavori e può disporre la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e spese del responsabile, o, in caso di inottemperanza, d'ufficio. Il successivo comma 5 prevede che «in caso di annullamento in sede giurisdizionale o di autotutela di autorizzazioni o concessioni rilasciate previa valutazione di impatto ambientale o di annullamento del giudizio di compatibilità ambientale, i poteri di cui al comma 4 sono esercitati previa nuova valutazione di impatto ambientale»;
   con riguardo alla posizione del giudice interno, recenti pronunce hanno affermato la compatibilità comunitaria, della VIA successiva alla realizzazione dell'impianto. Essa non sarebbe in contrasto con le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria, la quale si preoccupa di chiarire quali conseguenze derivino dalla mancata previa effettuazione della VIA o della verifica di assoggettabilità alla VIA. Si è argomentato che l'omissione comporta, in generale, la sospensione o l'annullamento dell'autorizzazione, salvo casi eccezionali in cui risulti preferibile per l'interesse pubblico che gli effetti del provvedimento siano conservati, ma il vero vincolo per le autorità e i giudici nazionali è che le conseguenze della violazione del diritto comunitario siano cancellate (Corte di giustizia del 28 febbraio 2012, C-41/11, InterEnvironnement Wallonie, punto 63);
   la sospensione o l'annullamento sono quindi soluzioni giuridiche strumentali, il cui scopo è consentire l'applicazione del diritto comunitario, anche attraverso l'effettuazione della valutazione non eseguita in precedenza, o in alternativa attraverso il risarcimento chiesto dai soggetti che abbiano subito pregiudizi a causa dell'omissione (Corte di giustizia sentenza del 14 marzo 2013 C-420/11, Leth, punto 37; Corte di giustizia sentenza del 7 gennaio 2004, C201/02, Wells, punto 65);
   si è quindi ritenuta, sulla base delle predette argomentazioni, la possibilità di effettuare in un secondo momento l'esame necessario per escludere la verifica di assoggettabilità alla VIA (Tar di Brescia 4 giugno 2015, sentenza n. 795: in questo caso la verifica di assoggettabilità è stata successiva ma ha avuto esito negativo, per cui l'impianto non è stato sottoposto a VIA). Al contrario, il Consiglio di Stato ha più volte escluso la possibilità di una VIA postuma, seppure con riferimento alla possibilità di mantenere in esercizio gli impianti (in particolare, si veda in sede cautelare Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza del 19 febbraio 2014 n. 798);
   anche nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. III del 5 marzo 2013, n. 1324 si è affermato il necessario carattere preventivo della VIA, in una decisione che però non riguardava un caso di VIA cosiddetta postuma, ma l'annullamento di un'autorizzazione per l'omesso svolgimento della procedura di VIA:
   il problema riguarda quindi l'esperibilità della valutazione di impatto ambientale ad impianto già realizzato nel caso di annullamento dell'autorizzazione per mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a VIA;
   l'articolo 191 del trattato sul funzionamento dell'unione europea definisce i principi della politica dell'Unione europea in materia ambientale e in particolare, al punto 2, afferma che La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga». L'articolo 2 della direttiva 2011/92/UE (e, in precedenza, l'articolo 2 della direttiva 85/337/CEE) stabilisce che gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell'autorizzazione, per i progetti per i quali si prevede un significativo impatto ambientale, in particolare per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, sia prevista un'autorizzazione e una valutazione del loro impatto;
   pur in presenza di una chiara enunciazione del carattere preventivo della VIA, la giurisprudenza della Corte di Giustizia citata in precedenza sembra non escludere del tutto la possibilità di rimediare al mancato esperimento dalla procedura. È però ben noto che, in un'altra sentenza, la Corte di giustizia si è espressa per la contrarietà al diritto comunitario di una norma generale che permettesse la realizzazione della VIA a posteriori (Corte di giustizia sentenza del 3 luglio 2008, causa C-215/06, Commissione contro Irlanda), ribadendo la natura preventiva della procedura di VIA (in particolare punto 51);
   il Tar delle Marche, con ordinanza ha ritenuto necessaria la rimessione alla Corte di Giustizia dell'Unione europea per chiarire se, in riferimento alle previsioni di cui all'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'unione europea e all'articolo 2 della direttiva 2011/92/UE, sia compatibile con il diritto comunitario l'esperimento di un procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (ed eventualmente a VIA) successivamente alla realizzazione dell'opera, qualora l'autorizzazione sia stata annullata dal giudice nazionale per mancata sottoposizione a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, in quanto tale verifica era stata esclusa in base a normativa interna in contrasto con il diritto comunitario –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per fare chiarezza agli enti e alle imprese che operano nel settore delle fonti rinnovabili di energia in merito alla possibilità o meno, nell'ordinamento italiano, di rimediare ex-post al mancato esperimento della procedura di valutazione di impatto ambientale. (5-08320)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI, PARENTELA e DIENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sono diversi gli atti parlamentari rivolti al Ministro interrogato, in cui si segnala il deturpamento del territorio nei pressi del sito archeologico di Capo Colonna, nel comune di Crotone, per far spazio ad agriturismi e strutture ricettive, come denunciato ad esempio dal deputato Paolo Parentela nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-08024 rimasta senza risposta;
   è passato circa un anno dalla seconda, decisiva sospensione del cantiere del sito archeologico di Capo Colonna, con la quale il Ministero interrogato, preso atto che la protesta popolare scoppiata a gennaio 2015 per la cementificazione dell'area del foro aveva assunto carattere nazionale, tratte le ormai inevitabili conseguenze, decise il ripensamento parziale di quella parte del progetto cosiddetto «APQ SPA 2.4» e rinunciò pure alla prevista copertura di due stanze dell'attiguo edificio termale con una inconcepibile tettoia d'acciaio;
   secondo però quanto raccontato in un'inchiesta giornalistica realizzata da «Il Crotonese» di martedì 5 aprile 2016, dal titolo «Piccoli tombaroli crescono», «da qualche tempo non si può fare a meno di notare le decine di buche che, nottetempo, ignoti praticano all'interno del cantiere»;
   tali «buche» sarebbero opera dei cosiddetti «tombaroli»: «gli attuali esponenti della categoria sono gli ideali discendenti di quanti, sollecitati dagli instancabili emissari di rigattieri e antiquari napoletani, fin dal tardo Settecento e nell'Ottocento praticavano scavi illegali o acquistavano da privati fortuitamente venuti in possesso di reperti archeologici i manufatti metallici (soprattutto monete) vendibili con profitto sul mercato dei collezionisti di antichità»;
   secondo la ricostruzione dell'articolista Margherita Corrado, «nella stagione in cui, in città, lo sviluppo edilizio incontrollato ha moltiplicato le occasioni di scavi profondi, Crotone ha avuto la sua nutrita e agguerritissima pattuglia di scavatori clandestini, oggi in pensione o comunque in relativo declino. Nel circondario, dove la ricchezza del patrimonio archeologico è pari o assimilabile a quella della polis achea, questa “tradizione” non ha, invece, conosciuto cedimenti negli anni e, anzi, nell'ultimo ventennio le opportunità offerte da inediti scavi condotti capillarmente nel territorio – prima quelli per le antenne della telefonia mobile poi, devastanti, quelli per l'impianto dei parchi eolici – hanno permesso ai “vecchi tombaroli” di restare in attività e di formare generazioni di nuovi adepti. Complice il disagio economico diffuso, le nuove leve si sono moltiplicate a Strongoli, a Cirò, a Cutro, a Isola di Capo Rizzuto, per restare negli immediati dintorni di Crotone. A Capo Colonna, perciò, i tombaroli di Isola hanno progressivamente sostituito quelli locali nella sistematica opera di svuotamento delle favisse prossime alla scogliera sottostante il tempio»;
   gli ultimi arresti di «tombaroli» sono avvenuti solo nel 2014, quando il ripristino della telecamera che serve il parco ha consentito persino di vederli in faccia, grazie allo zoom, intenti al lavoro di pala e piccone già prima del calare delle tenebre;
   peccato, però, che nell'ultimo periodo Capo Colonna sia diventata, vista la quantità di buche, una sorta di «campo scuola»: «i neofiti – si legge ancora nell'inchiesta de “Il Crotonese” – vi esercitano la loro abilità nell'uso del metal detector, imparando a tararlo in modo da distinguere agevolmente il segnale prodotto dai laterizi da quello del metallo, ad intuire senza neppure scavare la presenza dell'inutile stagnola o del tappo di bottiglia, a riconoscere il suono del piombo da quello del ferro, del bronzo, dell'argento ecc. L'evoluzione di detti “strumenti di lavoro” impone, inoltre, un continuo aggiornamento anche a quanti siano già avvezzi al loro utilizzo, obbligandoli a prendere confidenza sul campo con i modelli più evoluti. Solo così si spiega l'accanimento che punteggia di buche persino le zone in cui, in presenza di avvallamenti naturali, sono state eseguite colmature con terreno sterile, come gli stessi tombaroli hanno potuto verificare frequentando i luoghi durante il giorno da spettatori»;
   tale drammatica situazione desta legittimo sdegno, specie considerando che, stando ancora alla cronaca giornalistica, funzionari e tecnici «che progettarono gli interventi da compiere sul Lacinio nell'ambito dell'APQ SPA 33, realizzato nei biennio 2013-2014», certificarono la corretta esecuzione del succitato accordo di programma quadro, «nonostante che la prevista sostituzione di tutte le telecamere precedentemente in uso con strumenti in grado di funzionare anche nelle ore notturne e la prevista estensione della rete di videosorveglianza all'intero parco: siano rimaste lettera morta»;
   a oggi, infatti, l'intera estremità Nord-Est del promontorio, dove si concentrano le vestigia già parzialmente indagate e rimesse in luce dell'abitato romano e insistono anche la Torre Nao e la chiesa rinascimentale, sono rimaste scoperte e sprovviste di sorveglianza;
   ciò, ovviamente, consente ai «tombaroli» di agire praticamente indisturbati all'interno del cantiere in corso, facendosi beffe pressoché giornalmente delle forze dell'ordine e, alla fin fine, di tutta la comunità cittadina;
   come se non bastasse, anche il museo del parco archeologico di Capo Colonna è privo di qualsiasi presidio notturno, nonostante qui siano conservati ceramiche, manufatti metallici e parte del cosiddetto «tesoro di Hera», che proprio per tale motivo è in parte conservato al museo nazionale di Crotone, dotato di sorveglianza notturna;
   agli interroganti preme sottolineare che anche il cosiddetto «APQ SPA 2.4», partito a luglio 2014, prevedeva cinque interventi finalizzati all’«ampliamento delle conoscenze della realtà archeologica di Capo Colonna e messa in sicurezza delle strutture archeologiche portate in luce». Tra tali interventi, tuttavia, «non compare, evidentemente per non ammettere la lacuna nella esecuzione dello SPA 33, alcun provvedimento atto ad estendere la videosorveglianza del parco e a renderla efficiente nelle ore notturne»;
   le conseguenze non sono di poco conto sia sul piano della sicurezza dei resti archeologici, problema che forse richiede, per essere colto, una speciale sensibilità, sia dell'incolumità dei visitatori, di più immediata evidenza. Non sono mancati, ad esempio, nella giornata di Pasqua, casi sfuggiti alle telecamere di genitori spavaldi che hanno spinto i figli oltre le recinzioni del cantiere per affacciarsi imprudentemente con loro sul limite della scogliera nord, correndo un oggettivo pericolo anche di vita –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro interrogato per la tutela e la salvaguardia del sito archeologico di Capo Colonna, in particolare prevedendo un sistema di videosorveglianza efficace, atto al contrasto del fenomeno ricordato in premessa dei «tombaroli». (4-12754)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   FRUSONE, BASILIO, CORDA, TOFALO, RIZZO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Giuseppe De Giorgi risulta indagato dalla magistratura di Potenza in merito ad una supposta connessione tra il programma navale (legge di stabilità 2014 e Atto Governo n. 128) e lo scandalo petroli che ha portato alle dimissioni del Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi;
   il Capo di Stato maggiore della Marina in seguito alle prime informazioni stampa sull'indagine a suo riguardo ha affermato: «Non conosco sulla base di quali fatti il mio nome venga associato a questa vicenda. La cosa mi sorprende e mi amareggia, e tutelerò la mia reputazione nelle sedi opportune». Da fonti di stampa si apprende invece che l'avviso di garanzia della magistratura sarebbe stato emesso a fine 2015 e che, conseguentemente, l'ammiraglio De Giorgi doveva essere informato del procedimento a suo carico. Non si sa se, come prassi, l'ammiraglio De Giorgi abbia informato del ricevimento dell'avviso di garanzia il Capo di Stato Maggiore della Difesa generale Claudio Graziano e il Ministro della difesa Roberta Pinotti;
   il Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio Giuseppe De Giorgi risulta inoltre rinviato a giudizio su un'altra vicenda quella in cui perse la vita il marinaio nocchiere Alessandro Nasta;
   il gruppo del M5S nella interrogazione a risposta immediata in commissione (5-07739) chiedeva lumi in merito ad indiscrezioni stampa secondo le quali era volontà del Governo di prorogare l'incarico all'ammiraglio De Giorgi «nonostante al compimento del 62o anno di età (giugno 2016) l'ammiraglio dovrebbe essere messo in pensione e il Ministero della difesa dovrebbe provvedere all'avvicendamento dei vertici della Marina militare»;
   nella risposta a giudizio degli interroganti del tutto evasiva all'interrogazione richiamata il sottosegretario Rossi affermava: «in attuazione di quanto disposto dall'articolo 32 del Codice dell'Ordinamento Militare, i Capi di Stato maggiore di Forza armata sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della difesa, sentito il Capo di Stato maggiore della Difesa»;
   proprio perché la procedura è quella enunciata dal sottosegretario Rossi appare evidente che il Governo si assume la responsabilità politica della nomina del Capo di stato maggiore della marina e dei suoi atti e non si comprende per quale ragione la Ministra Roberta Pinotti, chiamata in un comunicato dai parlamentari del M5S a riferire al Parlamento, abbia annunciato di aver dato mandato ai suoi legali «in relazione alla dichiarazioni del M5S che tende ad accostare il responsabile del Ministero della difesa alle vicende giudiziarie di Potenza (...) al fine di tutelare la propria immagine e la propria reputazione nei confronti degli autori delle dichiarazioni nonché nei confronti di chiunque dovesse riportare tali gravissime falsità» –:
   se non reputi il Governo di dover valutare se sussistono i presupposti per sospendere o revocare a fini cautelativi dal proprio incarico l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi ed in particolare sospendere gli atti di acquisizione delle navi (legge navale) oggetto dell'inchiesta della magistratura. (5-08346)


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   i tragici attacchi terroristici condotti da terroristi dell'ISIS a Bruxelles il 22 marzo 2016 hanno confermato ancora una volta come la sicurezza aeroportuale rappresenti una questione assolutamente strategica per la tutela dell'incolumità dei cittadini europei;
   l'azione terroristica condotta nell'aeroporto di Bruxelles ha dimostrato che c’è ancora molto da fare per rendere adeguatamente sicuri gli scali internazionali, anche quelli dei Paesi più avanzati d'Europa; tuttavia il fatto che il commando terroristico abbia optato per entrare in azione in una zona dell'aeroporto raggiungibile senza dover superare i controlli di sicurezza lascia supporre che proprio le misure antiterrorismo adottate nello scalo belga abbiano scoraggiato i terroristi dal tentare di effettuare una tipologia di attacco dal potenziale ancora più devastante;
   così non è stato nel caso dell'attentato che il 31 ottobre 2015 ha portato alla distruzione in volo di un Airbus A321-100 della compagnia russa Kolavia provocando la morte di 224 persone; tale attacco sarebbe stato condotto introducendo a bordo del velivolo una bomba nascosta all'interno di un bagaglio che, evidentemente, ha superato i controlli di sicurezza dell'aeroporto di Sharm el-Sheikh, da cui l'aereo era decollato per San Pietroburgo;
   risulta dunque evidente come i dispositivi di sicurezza presso gli obiettivi sensibili, e in particolare presso gli scali aeroportuali, assumono, un'importanza fondamentale e i fattori chiave per ottenere un adeguato livello di sicurezza riguardano: 1) «metodologie» (organizzazione, strategia, tattica, procedure); 2) «equipaggiamenti e tecnologia» (difese fisiche e tecnologiche attive e passive, armi sempre più avanzate e intelligenti); 3) «risorse umane» (attitudini, competenze e addestramento costante);
   un importantissimo ruolo nel «dispositivo sicurezza aeroportuale», oltre a quello indispensabile delle misure di protezione dei dati e dei sistemi telematici (apparati radar/IFR/radio/computer/server/sistemi anti incendio, e altro) è affidato al fattore umano, ossia alla qualità delle risorse, all'efficienza e all'efficacia degli operatori, ad ogni livello e a tale aspetto appunto si correla il concetto chiave degli «anelli di sicurezza», secondo il quale la minaccia va intercettata il più lontano possibile dal cuore delle difese: la prevenzione affidata all’intelligence è l'anello più esterno, quello primario; dalla prevenzione si passa ad anelli via via sempre più interni che competono alla sfera della dissuasione e, come « extrema ratio», alla neutralizzazione della minaccia;
   presso gli aeroporti internazionali sono presenti dispositivi di sicurezza che hanno l'obbligo di articolare la propria organizzazione in considerazione delle normative internazionali in materia di security aeroportuale emanate-dall'ICAO e recepite dagli altri Enti per la sicurezza del trasporto aereo;
   tuttavia, alcuni Paesi, soprattutto in Medio Oriente, Africa e Asia, non sembrano disporre di adeguate risorse umane e tecnologiche per garantire un adeguato livello di sicurezza;
   il 18 novembre 2013 nell'ambito della discussione del «decreto Missioni», il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/03393-A/002 presentato dall'Onorevole Artini, che impegna il Governo a «valutare l'opportunità di sfruttare le competenze dell'Arma dei Carabinieri e delle altre Forze Armate e di polizia per fornire specifico training in materia di “Sicurezza Aeroportuale” alle forze di sicurezza dei paesi in favore dei quali sono effettuate missioni MIADIT o, in subordine, a prevedere specifiche attività addestrative “spot”, con la finalità di innalzare l'efficienza dei dispositivi di sicurezza anti-terrorismo e del complesso personale/addestramento/armamento/logistica, creando un efficace apparato che sia decisamente proattivo rispetto ai rischi da attentato terroristico in ambito aeroportuale/portuale; a valutare l'avvio di attività di collaborazione con i suddetti paesi relative alla fornitura di strumenti tecnici atti a consentire loro di raggiungere gli standard previsti dalle normative ICAO, che risultano essenziali per consentire le operazioni di aviazione civile commerciale su uno scalo aeroportuale» –:
   se siano state avviate, per quanto di competenza, le iniziative previste dall'ordine del giorno n. 9/03393-A/002 e in quali tempi e modi saranno portate a compimento. (5-08347)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO, FURNARI, CRISTIAN IANNUZZI, LABRIOLA e PASTORELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il sistema pubblico per la gestione dell'Identità Digitale – SPID costituisce l'insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell'Agenzia per l'Italia Digitale – AGID, gestiscono i servizi di registrazione e di messa a disposizione delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete nei riguardi di cittadini e imprese per conto delle pubbliche amministrazioni;
   in conformità con quanto prescritto dall'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2014, l'AGID, con determinazione n. 44 del 2015 del 28 luglio 2015, ha provveduto a emanare i quattro regolamenti necessari a rendere operativo lo SPID;
   come esposto sul sito dell'AGID, dal 15 marzo 2016 i primi tre gestori di identità digitale accreditati da AgiD hanno reso disponibili le prime identità digitali ed i privati hanno ora la possibilità di rivolgersi a InfoCert, Poste Italiane e Tim per richiedere l'identità digitale SPID, che consente l'accesso con credenziali uniche ai servizi online di amministrazioni e privati aderenti al sistema;
   dalla medesima fonte, si apprende che le prime amministrazioni di cui è prevista l'adesione sono «Agenzia delle Entrate, Equitalia, Inps, Inail, Comune di Firenze, Comune di Venezia, Comune di Lecce, Regione Toscana, Regione Liguria, Regione Emilia Romagna, Regione Friuli Venezia e Giulia, Regione Lazio, Regione Piemonte e Regione Umbria»;
   non risulta invece all'interrogante il termine previsto per l'adesione allo SPID del Ministero della difesa –:
   a che punto sia il processo di digitalizzazione degli archivi cartacei del Ministero della difesa;
   se il Ministro non ritenga di far sì che il Ministero della difesa aderisca allo SPID e di mettere a disposizione dei militari, previa autenticazione del singolo interessato, le informazioni di propria pertinenza conservate negli archivi elettronici del Ministero della difesa. (5-08348)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BUSIN e GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 72-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 attribuisce all'Agente della riscossione, ossia ad Equitalia, il potere di ordinare a terzi, senza richiedere alcun intervento del giudice, il versamento di quanto dovuto dal debitore direttamente nelle proprie casse fino a concorrenza del debito iscritto a ruolo;
   questo comporta, quindi, anche la possibilità, da parte di Equitalia, di ordinare alla banca di versare nelle casse erariali le somme di denaro presenti sul conto corrente del contribuente debitore fino alla concorrenza del credito;
   se il conto corrente è cointestato, per procedere al pignoramento nel limite della quota del debitore, è necessario invece seguire la procedura ordinaria giudiziaria;
   ad esclusione di una serie di categorie di crediti (come i crediti pensionistici, quelli alimentari, quelli per i sussidi per maternità e per malattie), tutti gli altri, tra cui quelli derivanti da stipendi e indennità per cessazione di rapporto di lavoro, sono pignorabili nel limite massimo di un quinto;
   spesso, però, il pignoramento non viene notificato, almeno non tempestivamente, al contribuente-debitore, nonostante i doveri di trasparenza e di informazione a cui la banca è tenuta e, soprattutto, in violazione dei doveri di diligente e corretta esecuzione del mandato;
   se invece venisse sempre notificato l'atto di pignoramento, il debitore avrebbe 60 giorni di tempo per versare l'importo dovuto ad Equitalia ed evitare che il conto corrente venga bloccato;
   in particolare, Equitalia non potrebbe pignorare le somme dovute a titolo di stipendio o pensione in misura superiore a 1/10 per importi tra i 2.500 e i 5.00 euro e 1/ 5 per somme superiori a 5.000 euro, ma spesso si assiste al mancato rispetto dei suddetti limiti: infatti, essendo depositate sullo stesso conto corrente somme provenienti da crediti diversi e confondendosi quest'ultime con ricavi e risparmi, ne risulta che stipendi, Tfr o stipendi possono essere pignorate anche al 100 per cento;
   una sentenza del tribunale di Savona ha infatti stabilito che si può impedire che un creditore pignori tutto il conto corrente del pensionato o del dipendente qualora si dimostri al giudice che nel conto confluiscono solo la pensione o lo stipendio;
   il contribuente-debitore può difendersi soltanto con la contestazione dell'atto di pignoramento davanti al giudice dell'esecuzione, ma per i crediti tributari le opposizioni non si possono esercitare in tutti i casi, se non per contestare la pignorabilità dei beni e per i casi che non riguardano la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo;
   non è dunque possibile opporsi per la mancata notifica o irregolarità formale della cartella esattoriale di Equitalia e quindi al contribuente non resta che rivolgersi al giudice per contestare il pignoramento sul fatto che la banca non ha rispettato la corretta esecuzione dei propri obblighi di mandato;
   si rende dunque necessaria una modifica della normativa vigente a riguardo considerato, da un lato, che, come è stato rilevato anche dallo stesso amministratore delegato di Equitalia in sede di audizione presso la Commissione bilancio del Senato, il 20,5 per cento dei 1.058 miliardi di euro di crediti sono inesigibili perché crediti annullati dagli stessi enti creditori in quanto ritenuti «indebiti a seguito di provvedimenti di autotutela da parte degli stessi enti o di decisioni dell'autorità giudiziaria», e tenuto conto dall'altro, delle condizioni in cui versano molte piccole imprese e piccoli professionisti che scontano ancora il peso della crisi in termini di pagamenti arretrati nei tributi, fallimenti e debiti verso i fornitori –:
   se non ritenga opportuno intervenire, anche con iniziative normative urgenti per prevedere una più equa e protettiva nei confronti dei contribuenti appartenenti alle fasce più deboli della popolazione che contenga il divieto di pignoramento, da parte dell'agente della riscossione, di conti correnti di importo inferiore o pari a 100.000 euro e che preveda, al contempo, l'inefficacia del pignoramento verso terzi fino a quando non intervenga la notifica al debitore, al fine di obbligare le banche e gli istituti di credito a richiedere all'agente di riscossione l'avvenuta notifica al contribuente-debitore, prima dell'esecuzione dell'ordine. (5-08330)


   SANDRA SAVINO, LAFFRANCO, GREGORIO FONTANA e GIACOMONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 2014, ogni contribuente può destinare il due per mille della propria Irpef a favore di un partito politico, iscritto nella seconda sezione del registro dei partiti politici che possono accedere ai benefici previsti dal decreto-legge n. 149 del 2013 convertito dalla legge n. 13 del 2014;
   a tal proposito, si rileva che il sito dell'Agenzia delle entrate ha provveduto ad aggiornare i soli codici di riferimento dei movimenti politici per i quali è possibile effettuare la scelta per il 2016; l'intera sezione del «2 per mille» è infatti ferma all'aggiornamento del 2014;
   in particolare, la sezione «Modello e istruzioni», utile per scaricare l'informativa, nonché la scheda per scegliere di destinare il due per mille della propria Irpef, risale all'anno finanziario 2014, e non è più stata aggiornata –:
   se non intenda assumere iniziative affinché l'Agenzia delle entrate provveda quanto prima ad aggiornare le informazioni e la documentazione presenti sul sito relativamente alla destinazione del due per mille, per rendere i cittadini pienamente informati, e per dare loro l'effettiva possibilità di assegnare correttamente il due per mille e, per procedere secondo quanto previsto dalla legge. (5-08331)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VACCA, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI, COLLETTI, DEL GROSSO e CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie è stata recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
   la Banca d'Italia, con provvedimento del 21 novembre 2015 ha disposto, ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, l'avvio della risoluzione della Cassa di Risparmio della provincia di Chieti S.p.a., in amministrazione straordinaria, con sede in Chieti;
   il provvedimento è stato adottato in presenza dei presupposti di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, in quanto per la Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.a., in amministrazione straordinaria:
   è verificata la situazione di dissesto;
   non sussistono misure alternative di vigilanza ovvero di mercato, attuabili in tempi adeguati, per superare tale situazione;
   ricorre l'interesse pubblico, atteso che la risoluzione è necessaria e proporzionata al perseguimento dei relativi obiettivi e che la procedura di liquidazione coatta amministrativa è inidonea a conseguirli nella medesima misura;
   il 22 novembre 2015 il Consiglio dei ministri si è riunito, su proposta del Presidente Matteo Renzi e del Ministro dell'economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan, e ha approvato un decreto-legge che contiene alcune norme procedimentali volte ad agevolare la tempestiva ed efficace implementazione delle procedure di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., Banca delle Marche s.p.a., Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. Con tale decreto viene approvato il provvedimento di avvio della risoluzione della Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. in amministrazione straordinaria, di cui alla deliberazione n. 556/2015 del 21 novembre 2015 della Banca d'Italia (i «provvedimenti di avvio della risoluzione»);
   secondo le informazioni sulla soluzione delle crisi di Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a, Cassa di Risparmio di Ferrara fornite dalla Banca d'Italia, la soluzione adottata, compatibile con le norme europee sugli «aiuti di Stato», prevede per ciascuna delle quattro banche che da parte «buona» sia stata separata da quella «cattiva» del bilancio. Alla parte buona («banca buona» o «banca-ponte» o bridge bank) sono state conferite tutte le attività diverse dai prestiti «in sofferenza», cioè quelli di più dubbio realizzo; a fronte di tali attività vi sono i depositi, i conti correnti e le obbligazioni ordinarie; alla parte cattiva costituita in una bad bank, priva di licenza bancaria, sono stati attribuiti i prestiti in sofferenza che residuano una volta fatte assorbire le perdite dalle azioni e dalle obbligazioni subordinate e, per la parte eccedente, da un apporto del Fondo di risoluzione. Quest'ultimo fornisce alla banca cattiva anche la necessaria dotazione di capitale. Tali prestiti in sofferenza sono stati svalutati a 1,5 miliardi dall'originario valore di 8,5 miliardi, per poi essere venduti a specialisti nel recupero crediti o gestiti direttamente per recuperarli al meglio. Per semplicità è stata costituita un'unica banca cattiva che raccoglie le sofferenze di tutte e quattro le banche originarie;
   i prestiti in sofferenza, quindi, sono valutati solo il 17 per cento circa rispetto al valore originario;
   i documenti pubblicati dalla Banca d'Italia non specificano in alcun modo né i meccanismi adottati dai commissari per individuare i prestiti in sofferenza, né il criterio adottato per attribuire il valore rispetto all'originario;
   con i prestiti in sofferenza, attribuiti alla bad bank, sono comprese le relative garanzie; nel bilancio 2013 le garanzie ammontavano a circa 3 miliardi di euro a fronte di 1,6 miliardi di «valore esposizione netta»; di queste quasi 700 milioni erano garanzie di circa 330 milioni di crediti deteriorati, vale a dire più del doppio;
   i fondi specializzati nel recupero dei crediti deteriorati avranno un vantaggio enorme nel recuperare le sofferenze delle quattro banche salvate finite nella bad bank, in quanto la differenza tra la valutazione di circa il 17 per cento e la somma recuperata sarà a tutto guadagno delle società di recupero;
   da notizie di stampa comparse il 23 marzo 2016 su Il Fatto Quotidiano si evince che il commissario europeo per la concorrenza Vestager afferma in una relazione «che le sofferenze delle quattro banche salvate sono state violentemente sottovalutate dalla Banca d'Italia, che ha ordinato la loro cessione alla cosiddetta bad bank a un prezzo nettamente inferiore al reale valore economico. Secondo Vestager, il prezzo medio del 17,6 per cento del valore nominale dei crediti ammalorati consentirà alla bad bank un notevole profitto che sarà riversato sul Fondo di risoluzione, alimentato dai contributi obbligatori delle banche sane e governato dalla Banca d'Italia guidata da Ignazio Visco»;
   i prestiti in sofferenze attribuiti nel 2015 a Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a., secondo il documento di sintesi pubblicato dalla Banca d'Italia, dovrebbero ammontare a circa 500 milioni di euro; il 17,6 per cento di tali sofferenze sembrerebbe essere stato infatti valutato circa 100 milioni di euro e attribuito alla bad bank;
   da notizie di stampa pubblicate il 23 marzo 2016 dal quotidiano abruzzese Il Centro si apprende invece che i commissari avrebbero valutato le sofferenze, a un anno dall'ultima valutazione ispettiva di Banca d'Italia, in 860 milioni di euro;
   nel 2012 la Banca d'Italia ha avviato un'ispezione presso la Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. che si è conclusa a giugno 2013. Tale azione avrebbe fatto emergere, al 31 dicembre 2013, sofferenze per 453,8 milioni di euro e previsioni di perdite per 304,7 milioni;
   il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta della Banca d'Italia, con decreto del 5 settembre 2014, ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti s.p.a., con sede in Chieti, ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettera a), del testo unico delle leggi in materia bancaria e ha sottoposto la stessa alla procedura di amministrazione straordinaria;
   l'articolo 70, comma 1, lettera a), del decreto legislativo del 1o settembre 1993, n. 385, prevede che lo scioglimento è proposto quando risultino gravi irregolarità nell'amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della banca;
   la Banca d'Italia, con provvedimento del 16 settembre 2014, ha nominato il ragionier Riccardo Sora commissario straordinario della Cassa di Risparmio della provincia di Chieti S.p.A. Posta in amministrazione straordinaria;
   i commissari esercitano le funzioni ed i poteri di amministrazione della banca. Essi provvedono ad accertare la situazione aziendale, a rimuovere le irregolarità ed a promuovere le soluzioni utili nell'interesse dei depositanti;
   la Banca d'Italia, con provvedimento del 20 gennaio 2015, ha provveduto alla nomina di un secondo commissario. In particolare ha nominato il signor Salvatore Immordino Commissario straordinario della Cassa di Risparmio della provincia di Chieti S.p.a, con sede in Chieti, posta in amministrazione straordinaria con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze in data 5 settembre 2014;
   nonostante le ispezioni e il conseguente commissariamento della Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.A. avvenuta a settembre del 2014, la situazione generale e patrimoniale sembrerebbe aver subito un peggioramento rispetto alla situazione pre-commissariale, fino all'epilogo che ha portato alla chiusura della stessa;
   nel bilancio 2013 il patrimonio complessivo della banca ammontava a 200.318.879 euro;
   tutti i dati della Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. successivi al commissariamento non sono pubblici, pertanto non è possibile conoscere la previsione di perdita degli anni successivi, né quali siano le risultanze sulle sofferenze –:
   se il Governo intenda adottare ogni iniziativa di competenza per rendere pubblica la documentazione prodotta dai commissari della Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. e che hanno determinato i provvedimenti della Banca d'Italia del 21 novembre 2015;
   quali siano stati i presupposti giuridici e contabili adottati dai commissari prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo del 16 novembre 2015, n. 180, per l'individuazione dei prestiti collocati nel credito deteriorato;
   quale fosse lo stato patrimoniale e contabile della Cassa di risparmio della provincia di Chieti s.p.a. al momento dell'approvazione della relazione semestrale 2015, quindi poco prima del decreto legislativo del 16 novembre 2015, n. 180;
   se risulti quali siano stati i criteri giuridici e contabili adottati, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo del 16 novembre 2015, n. 180, per le previsioni di perdite relative al credito deteriorato, e se tali criteri fossero conformi alla normativa vigente e uniformi a quelli utilizzati per le altre banche omogenee per campione di riferimento selezionato in base a classe dimensionale ed ubicazione geografica. (5-08343)

Interrogazione a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   al fine di valorizzare l'area montana e il comprensorio del comune di Cinquefrondi (RC), negli anni 2000, si pensò di costruire in località «Limina», ricadente nel medesimo territorio comunale, un presidio culturale in quota;
   tale presidio montano, per come definito in una recente relazione dal sindaco di Cinquefrondi, Michele Conia, è «nodo focale tra i mari Jonio e Tirreno, in grado di promuovere un'azione didattica, di conoscenza e di studi dei luoghi, degli elementi naturali, idrogeologici e culturali oltre che di valorizzazione degli elementi infrastrutturali che lo caratterizzano, nella prospettiva di una promozione turistica del luogo stesso»;
   per realizzare il riferito presidio, le tre comunità montane «Limina», «Stilaro-Allaro» e «Versante Tirrenico Settentrionale», parteciparono al progetto «Saperi & Sapori»;
   il progetto prevedeva un importo di 749.789,00 euro, erogato sotto forma di mutuo della Cassa depositi e prestiti, a totale carico del Ministero dell'economia e delle finanze-Dip Tesoro, con un conferimento da parte delle comunità montane del 40 per cento, pari ad euro 499.727,00;
   per quanto sopra, l'importo complessivo per la realizzazione dei lavori era di 1.249.595,40 euro;
   tra le tante opere da realizzare rientrava la costruzione di un ostello della gioventù;
   all'epoca, ha ribadito il sindaco Conia nella summenzionata relazione, si pensò, «pertanto, che tale ostello potesse offrire quel presidio culturale, sociale ed economico citato sopra»;
   la comunità montana «Versante Tirrenico Settentrionale» ottenne una proroga per l'utilizzo dei finanziamenti pari a euro 590.726,65, di cui euro 236.290,66 a carico del bilancio dell'ente e la restante somma di 354.435,99 euro con mutuo della Cassa depositi e prestiti;
   i lavori furono dunque avviati;
   le prime risorse impiegate furono quelle del predetto mutuo, fino alla concorrenza della somma all'uopo destinata;
   i lavori furono eseguiti, attingendo al finanziamento della Cassa depositi e prestiti, ma al momento della presentazione dello stato di avanzamento, nonostante la proroga del finanziamento, gli interessati appresero, come riassunto nella relazione del sindaco di Cinquefrondi, che il Ministero aveva eliminato le somme erogate;
   in tale situazione, era inevitabile che i lavori si arrestassero e che l'opera restasse incompiuta;
   oggi l'opera in questione pare una cattedrale nel deserto e con una parte di mutuo, corrispondente ad 165.879,74 euro, non spesa, in quanto destinata ad attività di promozione e inutilizzabile per il fine destinato, in quanto le comunità montane nella qualità di soggetti attuatori sono state definitivamente chiuse con legge regionale, come riportato nella relazione del sindaco di Cinquefrondi;
   l'amministrazione comunale di Cinquefrondi ha precisato che, «per rilanciare il progetto insieme all'intero comprensorio, chiede che la parte di mutuo, pari a euro 165.879,74, non più utilizzabile per lo scopo» originario, «possa essere ridefinita come finanziamento utile al completamento dell'opera» –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine di consentire il completamento dell'opera, evitare lo sperpero di denaro pubblico e per favorire il raggiungimento degli obiettivi specifici del progetto di cui in premessa. (4-12763)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:


   BERRETTA, BURTONE e ALBANELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sezione lavoro del tribunale di Catania, composta da 9 magistrati, registra da tempo un insostenibile sottodimensionamento dell'organico togato per quanto tale situazione sia stata evidenziata il 16 gennaio 2015 dal presidente del tribunale di Catania al Ministro della giustizia ed al Consiglio superiore della magistratura;
   la sezione ha ruoli con pendenze medie di circa 2.500 controversie con un carico di lavoro pro capite per magistrato, che va ben oltre quello individuato dal Consiglio superiore della magistratura con la delibera del 12 luglio 2000, che, nel procedere alla determinazione iniziale dell'organico, indicava il carico di lavoro pro capite per magistrato in circa 1100 cause (686 cause di lavoro e 457 di previdenza ed assistenza);
   quando nel 12 luglio 2000 si è proceduto alla determinazione iniziale dell'organico, a Catania sopravvenivano 7.012 procedimenti a fronte dei 12.895 procedimenti sopravvenuti nel 2015 (definiti 15.397), mentre la pendenza è passata dal 10.597 nel 2000 ad oltre 25.000 nel 2015;
   la sopravvenienza, che risulta consolidata ormai da oltre 4 anni (12.830 nel 2014, 12.677 nel 2013, 12.717 nel 2012 e addirittura 14.400 nel 2011), è dunque quasi raddoppiata rispetto al momento iniziale di determinazione dell'organico nel 2000;
   la carenza di organico della sezione lavoro del tribunale di Catania risulta ancora più evidente se si confronta il numero dei magistrati presenti nelle sezioni di altri tribunali con le rispettive iscrizioni a ruolo: la sezione lavoro del tribunale di Napoli nord, a fronte di 13.045 iscrizioni a ruolo ha un organico di 13 magistrati; quella del tribunale di Milano, a fronte di 14.360 iscrizioni a ruolo ha un organico di 22 magistrati; quella del tribunale di Siracusa, a fronte di 3.670 iscrizioni a ruolo ha un organico di 4 magistrati; quella del tribunale di Roma, a fronte di 44.525 iscrizioni a ruolo ha un organico di 59 magistrati; quella del tribunale di Catania, a fronte di 12.584 iscrizioni a ruolo ha un organico di soli 9 magistrati;
   nel parere dal Consiglio superiore della magistratura del 16 gennaio 2003 si prevedeva che «l'attribuzione di ruoli superiori a 1000 cause per magistrato in materia di lavoro e previdenza finisce con il configurare una situazione di estrema difficoltà con un calo verticale di efficienza ed efficacia dell'attività giudiziaria»;
   al fine di porre rimedio all'insostenibile sottodimensionamento della sezione lavoro del tribunale di Catania appare necessario un organico di almeno 15 magistrati –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nel più breve tempo possibile, per l'indifferibile aumento dell'organico dei magistrati della sezione lavoro dei tribunale di Catania che tenga conto del numero delle cause pendenti e di quelle iscritte. (5-08328)


   SANTELLI e BERGAMINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel 1988 l'Italia ha ratificato la Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate;
   la Convenzione, redatta nel 1983, ha quale scopo principale di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate permettendo ad uno straniero, privato della libertà in seguito a reato penale, di scontare la pena nel suo paese d'origine;
   il Trattato, aperto alla firma anche degli Stati non membri del Consiglio d'Europa, ad oggi è stato ratificato da tutti i Paesi membri del Consiglio d'Europa tranne Monaco, nonché da Australia, Bahamas, Bolivia, Canada, Cile, Corea, Costa Rica, Ecuador, Giappone, Honduras, Israele, Mauritius, Messico, Panama, Stati-Uniti d'America, Tonga, Trinidad e Tobago, Venezuela;
   la Convenzione stabilisce che il trasferimento del condannato possa essere domandato sia dallo Stato nel quale la condanna è stata pronunciata (Stato di condanna) sia dallo Stato di cittadinanza del condannato (Stato dell'esecuzione), che dal condannato stesso, e che esso sia subordinato al consenso degli Stati interessati oltre che a quello del condannato;
   allo stesso modo il Trattato individua anche la procedura per l'esecuzione della condanna dopo il trasferimento in base alla quale, tra l'altro, una sanzione privativa della libertà non può mai essere convertita in una sanzione pecuniaria;
   le strutture carcerarie italiane sono caratterizzate da sovraffollamento cronico, carenza di organico degli agenti penitenziari e insufficiente presenza di psicologi e operatori per l'assistenza e il recupero sociale dei detenuti;
   la condizione carceraria appare troppo spesso distante dal dettato costituzionale e dagli impegni internazionali dell'Italia sulla funzione rieducativa della pena e sul rispetto dei diritti e delle dignità delle persone;
   lo stesso rapporto esplicativo della Convenzione, redatto sulla base delle discussioni del Comitato di esperti governativi che hanno redatto il Trattato, e sottoposto alla lettura Consiglio dei ministri del Consiglio d'Europa, sottolinea come la finalità dell'Accordo sia quella di «stabilire una procedura semplice, veloce e flessibile» per il trasferimento dei condannati stranieri, tenuto conto del fatto che l'accresciuta mobilità delle persone e la semplificazione delle comunicazioni ha o favorito l'internazionalizzazione del crimine. Che i condannati scontino la pena nel loro paese di origine, argomentavano gli esperti già all'inizio degli anni ‘80, è utile alla loro riabilitazione, che sicuramente non può svolgersi appieno in un Paese di cui non conoscano bene la lingua e di cui non condividano gli usi. Allo stesso modo, le differenze linguistiche rendono difficile anche per gli operatori carcerari la comprensione dei detenuti e, quindi, la prevenzione di fenomeni di delinquenza in carcere e finanche, si deve aggiungere oggi, di radicalizzazione terroristica;
   l'Italia è stata più volte condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) per le condizioni inumane in cui vivono i detenuti nelle proprie carceri, mentre i sindacati degli agenti penitenziari non cessano di sottolineare le difficili condizioni in cui lavorano gli operatori in carcere;
   il trasferimento nel loro Paese di origine dei detenuti stranieri condannati in Italia, come previsto dalla Convenzione di Strasburgo, può contribuire a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario e facilitare la prevenzione di fenomeni quali la radicalizzazione, anche terroristica;
   nell'anno 2015 in Italia si è registrato un numero di detenuti di circa 54.000 unità. Tra questi, i detenuti stranieri erano circa 17.500, ovvero circa il 32 per cento dell'intera popolazione carceraria;
   stando ai dati dell'Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione pubblicato dall'associazione Antigone, il costo per ogni singolo detenuto nelle carceri italiane si attesta sui 150 euro al giorno. Si può dunque stimare in oltre 2,6 milioni di euro il costo giornaliero relativo alla popolazione carceraria straniera detenuta in Italia nel solo 2015;
   le nazionalità straniere maggiormente presenti nelle nostro carceri, con percentuali maggiori o uguali al 10 per cento del totale, secondo i dati del Ministero della giustizia, sono quella marocchina (16 per cento), rumena (15 per cento), albanese (14 per cento) e tunisina (10 per cento);
   Romania e Albania, come sopra riportato, hanno ratificato la Convenzione di Strasburgo e, quindi, il trasferimento dei condannati è già oggi possibile verso questi Paesi. Per quanto riguarda gli altri Paesi, questi possono essere invitati a ratificare la stessa Convenzione, ovvero si possono firmare accordi bilaterali con gli stessi finalizzati ad ottenere lo stesso risultato;
   né il Governo né i Ministeri competenti, invece, incentivano l'utilizzo delle procedure previste dalla Convenzione di Strasburgo al fine di diminuire la popolazione carceraria attraverso il trasferimento di detenuti stranieri nei loro Paesi d'origine;
   il numero di trasferimenti di detenuti stranieri, infatti, è talmente irrilevante che questi non vengono neppure conteggiati nelle statistiche ufficiali dell'Istat e del Ministero della giustizia –:
   quanti e quali accordi bilaterali per il rimpatrio dei carcerati risultino firmati ad oggi dall'Italia con Paesi non firmatari della Convenzione di cui sopra e, infine, quanti e di quale nazionalità siano i carcerati stranieri rimpatriati nel loro Paese di origine, negli ultimi 5 anni, al fine di scontare una condanna definitiva ricevuta in Italia, anche nel quadro di una implementazione delle convenzioni di Strasburgo del 1983. (5-08329)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI e MAROTTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione ministeriale di studio incaricata di predispone uno schema di progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario, istituita con decreto ministeriale del 12 agosto 2015, ha concluso i suoi lavori, approvando e trasmettendo al Ministro della giustizia la relazione illustrativa con le sue proposte e l'articolato di delega al Governo, recante disposizioni per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
   queste proposte debbono essere ponderate ed approfondite con estrema attenzione, in un preventivo e pieno confronto con il Parlamento e con i mondi professionali interessati, per evitare scelte e decisioni sbagliate ed affrettate, calate dall'alto ed imposte aprioristicamente ai territori ed alle comunità, con riflessi fortemente negativi e pregiudizievoli per il funzionamento del sistema giustizia;
   in particolare, occorre scongiurare errori come quelli conseguenti ai decreti legislativi delegati n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, in attuazione della delega conferita al Governo con l'articolo 1 della legge 14 settembre 2011 n. 148, così, in particolare, con quella che appare agli interroganti l'improvvida ed ingiustificata decisione di sopprimere il tribunale di Sala Consilina (Salerno) per accorparlo al tribunale di Lagonegro, ricadente in altra corte d'appello e in altra provincia (Potenza) nonché in altra regione (Basilicata); decisione che si porrebbe per gli interroganti in violazione dello stesso criterio e principio direttivo fissato dall'articolo 1, comma 1, lettera e) alla cui stregua il Governo, nell'esercizio della delega legislativa, avrebbe dovuto assumere come prioritaria linea di intervento il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi unicamente della stessa area provinciale caratterizzati da rilevante differenza di dimensioni;
   la proposta della commissione, fermo restando il suo valore assolutamente circoscritto e da sottopone alla autonoma e più compiuta valutazione di Governo e del Parlamento prevede anche delega legislativa all'Esecutivo per riorganizzare la distribuzione sul territorio dei distretti di Corte di appello, attualmente 29 (26 corti e 3 sezioni distaccate) con l'osservanza, fra gli altri, di questi principi e criteri direttivi:
    a) ridurre, mediante attribuzione di circondari o porzioni di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, il numero delle corti di appello esistenti, secondo i criteri oggettivi dell'indice delle sopravvenienze, dei carichi di lavoro, del numero degli abitanti e dell'estensione del territorio, tenendo comunque conto della specificità territoriale del bacino di utenza, della situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
    b) sopprimere le sezioni distaccate delle corti di appello ovvero ridurne il numero anche mediante accorpamento alle corti di appello limitrofe, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera a);
   in Campania, che per popolazione è la seconda regione italiana e la prima nel Mezzogiorno continentale ed insulare, operano giustamente due corti di appello, Napoli e Salerno, così come in Lombardia, Calabria, Sardegna e Trentino Alto Adige, laddove in Puglia sono state istituite tre corti (Bari, Lecce e Taranto) ed in Sicilia 4 (Palermo, Catania, Messina e Caltanissetta);
   il distretto della corte d'appello di Salerno amministra un bacino di popolazione con più di 1 milione di abitanti (alla stessa stregua di Catania, Genova, Ancona, Catanzaro, Trieste, L'Aquila, Lecce, Cagliari), con riferimento ad una vasta ed estesa area territoriale ed anche con un grave tasso di impatto della criminalità organizzata;
   la corte d'appello di Salerno svolge un ruolo assolutamente fondamentale, positivo ed imprescindibile per l'esercizio della funzione giurisdizionale in Campania, al servizio della prioritaria ed ineludibile domanda di giustizia dei cittadini;
   molto rilevanti sono l'indice di sopravvenienze ed i carichi di lavoro che ricadono sulla corte d'appello di Salerno;
   nella prospettiva di una riorganizzazione dei distretti delle corti d'appello, ci sono le condizioni per ampliare ed estendere il bacino territoriale di riferimento della corte d'appello di Salerno;
   in questa direzione occorre, innanzitutto, restituire alla corte d'appello di Salerno il territorio (che è tutto in provincia di Salerno), già appartenente al tribunale di Sala Consilina – e dopo la sua assurda e già richiamata soppressione – incorporato nel tribunale di Lagonegro;
   inoltre, l'estensione del territorio di competenza della corte d'appello di Salerno sarebbe particolarmente utile ed importante nell'ottica, pienamente rispondente all'interesse pubblico alla migliore organizzazione degli uffici giudiziari, di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane;
   infatti la corte d'appello di Napoli è quanto mai sovraccarica di lavoro e di un volume altissimo di affari giudiziari d'a trattare, ricomprendendo nel suo bacino territoriale accanto alla estesa e molto popolata provincia di Napoli, anche le province di Caserta, Benevento ed Avellino;
   tali gravi ed innegabili problemi di congestione ed accumulo di giudizi pendenti, con tempi molto lunghi di giustizia per la corte d'appello di Napoli, sono accresciuti dalla recente istituzione del tribunale di Napoli Nord;
   del resto, lo stesso Ministro Orlando, alla presentazione nei giorni scorsi del rapporto Censis sull'avvocatura italiana, organizzato da Cassa Forense, ha espressamente sostenuto l'opportunità di una redistribuzione dei carichi di lavoro per le corti d'appello, visto che ci sono corti d'appello di più ridotte dimensioni, come appunto quella di Salerno, che possono provvedere ad una parte dell'attività di altre corti territorialmente vicine e «più grandi», che sono congestionate, come è nel caso di Napoli;
   in questa ottica sarebbe del tutto giustificato e funzionale al servizio giustizia per gli interroganti ricomprendere nel distretto della corte d'appello di Salerno la vicina e limitrofa provincia di Avellino, naturalmente sulla base di un preventivo ed approfondito confronto con le istituzioni locali, la magistratura, l'avvocatura e tutti i mondi professionali interessati;
   del resto, la circoscrizione territoriale della sezione staccata di Salerno del tribunale amministrativo regionale della Campania (TAR) comprende ex lege non solo la provincia di Salerno, ma anche quella di Avellino, con un funzionamento positivo di quel TAR;
   fra l'altro, la corte d'appello di Salerno può giovarsi della nuova e moderna cittadella giudiziaria a Salerno, con tutte le strutture e con tutti gli spazi necessari quale sede dei diversi uffici giudiziari, in via di completamento finale, alla luce del recente finanziamento statale già assegnato ed in fase di concreto impiego, per l'installazione delle reti informatiche e di tutti gli arredi necessari per il pieno funzionamento della cittadella medesima –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato ritenga di poter adottare, nell'ottica di migliorare il funzionamento degli uffici giudiziari in Campania ed in particolare delle corti d'appello, per ampliare il distretto della corte d'appello di Salerno, ripristinando la competenza sul territorio del (Tribunale di Sala Consilina che, a parere degli interroganti, è stato ingiustamente soppresso e del tutto indebitamente ed irragionevolmente incorporato nel Tribunale di Lagonegro ed estendendo l'ambito territoriale della corte d'appello di Salerno, ricomprendendo la provincia di Avellino, al fine prioritario e quanto mai urgente di decongestionare ed alleggerire il carico pesantissimo ed ingestibile di lavoro e di affari processuali attualmente pendente presso la corte d'appello di Napoli, che ricomprende allo stato le province di Napoli, Caserta, Avellino e Benevento, con notevoli disservizi e pesanti problemi di funzionamento giudiziario e con tempi di trattazione e decisione molto lenti, con forti conseguenze negative per la domanda di giustizia che proviene dai cittadini. (5-08318)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MINNUCCI, MOGNATO, TULLO e D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre 2012 nell'ambito del «progetto impianto equipaggi regionale» Trenitalia aveva proposto l'istituzione nel Veneto di due uffici impianti equipaggi con relativa organizzazione e presenza di personale: Venezia e Verona;
   ad oggi, però, nonostante il tempo trascorso e le diverse sollecitazioni, la proposta non si è concretizzata;
   i numeri e la produzione sono di rilievo, senza contare che Verona è e sarà ancora di più un nodo fondamentale per le ferrovie italiane e i collegamenti alta capacità con l'Europa;
   la situazione attuale in Italia degli uffici in questione è: uno in Veneto, 6 in Calabria, 4 in Campania, 4 su 5 sedi provinciali in Emilia Romagna, 7 nel Lazio, 4 in Puglia, 4 in Sicilia, 4 in Toscana e 10 in Piemonte;
   come numero di treni e di personale, il Veneto, regione policentrica, è seconda solo al Lazio;
   presso la stazione di Porta Nuova è presente la sala coordinamento, controllo, circolazione che impiega circa un centinaio di ferrovieri di cui almeno 70 con alta qualificazione e governa le linee da Sommacampagna a Padova, da Poggiorusco al Brennero, da Vicenza a Schio, da Verona a Modena, da Mantova/Legnago a Monselice, da Verona a Rovigo e le tre linee locali del Trentino (Trento-Castelfranco) e dell'Alto Adige (la Bolzano-Merano e la Fortezza-San Candido);
   con l'attivazione del potenziamento tecnologico Brescia – Sommacampagna la gestione della circolazione viene svolta dal dirigente centrale operativo ubicato presso la sala controllo di Milano Greco; mentre il dirigente centrale coordinatore movimento di giurisdizione è quello di Verona, ubicato nel posto centrale SCC di Verona;
   ciò accadrà anche per la tratta Verona Porta Vescovo — Altavilla Vicentina (esclusa). In questo modo si estenderà la zona di giurisdizione della tratta stessa al dirigente centrale operativo di Milano Greco (dirigente centrale coordinatore movimento sempre di Verona);
   la gestione della circolazione per la tratta Brescia — Padova vedrà un punto di rottura nel nodo di Verona, ma sarà completamente trasferita e gestita dal PC di Milano Greco. Appare evidente che l'organizzazione futura e le ricadute occupazionali saranno negative per Verona;
   è stato decisivo lo stato di agitazione del personale da tutte le organizzazioni sindacali –:
   quali siano le ragioni per le quali ad oggi non è stato istituito l'ufficio equipaggi a Verona e quali iniziative di competenza si intendano avviare per provvedere in tal senso;
   se con la deresponsabilizzazione di gestione della circolazione sulla direttrice orizzontale, venga meno la necessità della presenza di un posto centrale a Verona con giurisdizione sulla sola sub direttrice del Brennero e se intenda fornire ogni altro elemento utile al riguardo. (5-08321)


   ZAPPULLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è purtroppo cosa nota la storica arretratezza del sistema dei trasporti, merci e passeggeri, in cui versa l'intera rete infrastrutturale della Sicilia e in particolare quella ferroviaria;
   nel dicembre del 2005 è stato approvato il contratto di servizio tra la regione Siciliana e Trenitalia che prevedeva la riorganizzazione del servizio dei trasporti e della viabilità su tutto il territorio isolano, integrando la rete ferroviaria con il gommato, ma allo stato ancora nulla risulta realizzato;
   nelle settimane scorse si sono tenuti diversi incontri in sede regionale tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori, Trenitalia, Rfi e governo regionale;
   il 30 marzo 2016, presso la IV commissione trasporti e ambiente dell'assemblea regionale Siciliana, è stata discussa e affrontata la situazione della rete isolana e, in particolare, è stata trattata la condizione della rete ferroviaria dell'area vasta della Sicilia Sud-orientale;
   i cittadini delle province di Catania, Siracusa e Ragusa per raggiungere gli aeroporti di Fontanarossa e di Comiso sono costretti a farlo con mezzi propri e privati;
   le condizioni strutturali della rete ferroviaria in questione scontano ancora limiti pesanti sia sul terreno della sicurezza, del tracciato e della stessa velocità di collegamento, condizioni più volte denunziate dalle istituzioni locali, dalle organizzazioni sindacali, dalle forze politiche e parlamentari, da singoli cittadini e dai comitati dei pendolari;
   Trenitalia conferma la volontà di dismettere i treni a lunga percorrenza in partenza e in arrivo dalle stazioni di testa di Siracusa e Palermo, aprendo così scenari gravissimi e inaccettabili di puro abbandono del sistema ferroviario in Sicilia;
   dai suindicati incontri è emersa la notizia che Trenitalia e Rfi prevedono un finanziamento di 5 milioni di euro per la realizzazione una stazione ferroviaria in prossimità dell'aeroporto di Fontanarossa sfruttando peraltro la tratta ferroviaria già esistente;
   la Rfi ha segnalato, a tal proposito, che la Sac (gestore dello scalo aereoportuale di Catania) starebbe procedendo all'esproprio di proprietà degli spazi occorrenti a completare il collegamento tra la nuova stazione e lo stesso aeroporto;
   ad avviso dell'interrogante, pur essendo questa notizia positiva, non la si considera del tutto risolutiva poiché la questione collegamento strutturale e incentrato va risolta realizzando una piccola stazione dentro la stessa area aereoportuale, come avviene in tutti gli scali italiani attrezzati e moderni;
   in particolare sarebbe emersa la volontà da parte di Trenitalia e Rfi di interrompere totalmente, pare per lavori di rifacimento infrastrutturale, la tratta ferroviaria Siracusa-Catania per un periodo di 2, forse 3 mesi;
   un tale scenario avrebbe effetti devastanti sulla già precaria funzionalità del collegamento ferroviario con rischi evidenti sulla continuità territoriale, sui livelli occupazionali e sullo stesso abbandono del vettore ferroviario –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di simili ipotesi e se, appurata la reale situazione e pur nel pieno rispetto delle prerogative dell'autonomia siciliana, quali iniziative di competenza intenda assumere nei confronti di Trenitalia e di Rfi, al fine di impedire scelte, azioni e atti che possano avere conseguenze devastanti per il sistema dei trasporti e il diritto alla mobilità per centinaia di migliaia di cittadini e tantissime di imprese e attività economiche in Sicilia in generale e, in particolare, nella Sicilia Orientale per le province di Siracusa e Ragusa. (5-08344)


   CATALANO, BRUNO, CATANIA, FURNARI, CRISTIAN IANNUZZI, LABRIOLA e PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale – SPID costituisce l'insieme aperto di soggetti pubblici e privati che, previo accreditamento da parte dell'Agenzia per l'Italia Digitale – AGID, gestiscono i servizi di registrazione e di messa a disposizione delle credenziali e degli strumenti di accesso in rete nei riguardi di cittadini e imprese per conto delle pubbliche amministrazioni;
   in conformità con quanto prescritto dall'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2014, l'AGID, con determinazione n. 44 del 2015 del 28 luglio 2015, ha provveduto a emanare i quattro regolamenti necessari a rendere operativo lo SPID;
   come esposto sul sito dell'AGID, dal 15 marzo 2016 i primi tre gestori di identità digitale accreditati da AgID hanno reso disponibili le prime identità digitali ed i privati hanno la possibilità di rivolgersi a InfoCert, Poste Italiane e Tim per richiedere l'identità digitale SPID, che consente l'accesso con credenziali uniche ai servizi online di amministrazioni e privati aderenti al sistema;
   dalla medesima fonte, si apprende che le prime amministrazioni di cui è prevista l'adesione sono «Agenzia delle Entrate, Equitalia, Inps, Inail, Comune di Firenze, Comune di Venezia, Comune di Lecce, Regione Toscana, Regione Liguria, Regione Emilia Romagna, Regione Friuli Venezia e Giulia, Regione Lazio, Regione Piemonte e Regione Umbria»;
   non risulta invece all'interrogante il termine previsto per l'adesione allo SPID del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se, ed entro quale termine, si preveda di consentire al cittadino il pieno accesso, per via telematica e tramite autenticazione SPID, ai diversi servizi gestiti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
(5-08349)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la carenza delle reti infrastrutturali dei trasporti sul territorio calabrese in alcuni casi ha assunto caratteri emergenziali che provocano disagi alle relazioni, all'economia e allo sviluppo del nostro territorio;
   particolari difficoltà sono provocate dai lavori di ammodernamento della strada statale 534, che collega lo svincolo autostradale di Firmo con la Piana di Sibari e, di conseguenza, con la strada statale 106, la Sibaritide e la parte adriatica del Paese. Questi lavori hanno relegato nell'isolamento l'intero comune di Cassano allo Ionio e rendono difficile l'accesso a tutta l'area;
   attualmente il cantiere dell'ANAS è sospeso da circa sei mesi e non si hanno notizie in merito alla ripresa dei lavori, mentre, in previsione del periodo estivo, si immagina che i disagi possano solo aumentare;
   i dati dicono che gli spostamenti sistematici di persone interni all'area interessata dai lavori ammontano a circa 33.000 all'anno;
   il centro abitato di Cassano allo Ionio ha una popolazione di 17.565 abitanti, 219 unità locali di produzione e 267 unità locali di commercio. È sede di diocesi, di scuole superiori, di uno stabilimento termale e ha un ricco patrimonio culturale, religioso e naturalistico;
   il percorso alternativo studiato dall'ANAS per raggiungere il centro abitato di Cassano allo Ionio è tortuoso, contorto e difficoltoso sia da comprendere che da percorrere;
   anche il percorso sostitutivo della strada statale 534 fino al collegamento con la strada statale 106 è piuttosto trafficato e pericoloso. Tale percorso alternativo ha, inoltre, tagliato fuori un intero quartiere di Cassano: il centro abitato di Doria –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al di fine di alleviare il disagio della popolazione di Cassano allo Ionio, per mettere in sicurezza il territorio, ripristinando attraverso l'intervento dell'Anas il vecchio svincolo della strada statale 534 di Cassano-Castrovillari-Spezzano che costituirebbe una soluzione immediata e poco onerosa;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per limitare i disagi agli abitanti di Doria, anche attraverso modesti interventi che aumentino la sicurezza stradale del tipo di rallentatori, bitumazioni, limiti, divieti e percorsi alternativi per i mezzi pesanti almeno nei mesi estivi.
(4-12746)


   CATALANO, BRUNO, CATANIA, LABRIOLA, FURNARI, CRISTIAN IANNUZZI e PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, è stata disposta la soppressione, tra gli altri, del comitato tecnico interministeriale istituito ai sensi dell'articolo 119, comma 10 del codice della strada con il compito di affrontare le questioni connesse alla guida di veicoli da parte di persone con disabilità;
   durante gli anni di attività, il comitato ha svolto un importante ruolo in sede di regolamentazione normativa in materia di sicurezza e di qualità dei dispositivi speciali di guida e ha consentito alle commissione mediche locali, deputate alla valutazione dell'idoneità di guida ed alla prescrizione dei dispositivi tecnici adeguati, di agire in modo omogeneo, grazie alle indicazioni provenienti dallo stesso comitato;
   il comitato era integrato da due rappresentanti nominati dalle Federazioni nazionali di rappresentanza FAND (Federazione tra le associazioni nazionali delle persone con disabilità) e FISH (Federazione italiana superamento handicap), secondo quanto disposto dall'articolo 27 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, soggetti la cui partecipazione peraltro era totalmente gratuita, ovvero a «costo zero» per la pubblica amministrazione;
   a fronte dell'importanza del lavoro svolto dal comitato, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha costituito un organismo interno che svolge le funzioni precedentemente attribuite al comitato, senza però contemplare la partecipazione degli esperti indicati dalla FAND e dalla FISH;
   d'altra parte, in sede di emanazione del programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità approvato con decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2013 (linea di intervento 4, capitolo 6, pagina 31), prefigurando la ricostituzione del comitato nella sua veste originaria, si è previsto che «deve inoltre essere attuato l'articolo 119, comma 10, del Codice della Strada che ha previsto l'istituzione di un comitato tecnico, con funzioni di valutazione delle nuove tecnologie in materia di sistemi di guida per disabili. È incaricato altresì di divulgarle alle Commissioni Mediche Locali preposte al rilascio dell'idoneità di guida delle persone disabili. In seno a tale Comitato, è stata prevista la presenza di due rappresentanti delle associazioni di categoria»;
   l'articolo 4 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 18 del 3 marzo 2009, prescrive che «nello sviluppo e nell'applicazione della legislazione e delle politiche atte ad attuare la presente Convenzione, come pure negli altri processi decisionali relativi a temi concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti si consulteranno con attenzione e coinvolgeranno attivamente le persone con disabilità, compresi i bambini con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative –:
   se quanto premesso corrisponda al vero;
   se il Governo reputi opportuno, in continuità con quanto previsto dal programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità approvato con decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2013, assumere iniziative per ripristinare il comitato tecnico interministeriale istituito ai sensi dell'articolo 119, comma 10, del codice della strada;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per consentire la partecipazione delle rappresentanze delle associazioni dei disabili alle funzioni precedentemente svolte dal predetto comitato. (4-12748)


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo in cronaca di Novara pubblicato dal quotidiano La Stampa nel mese di aprile 2016, il comune di Borgomanero, attraverso il vicesindaco, ha sollecitato alla società Rete ferroviaria italiana — Rfi la pubblicazione dei bandi per le gare d'appalto dei lavori dei sottopassi ferroviari;
   le opere infrastrutturali previste, evidenzia il suindicato articolo, sono complessivamente tre: il primo manufatto per collegare la via Fratelli Maioni (zona Ponte rosso) al cavalcavia di via Arona, con l'attraversamento di una parte del Foro Boario e dell'ex Rubinetteria Giustina; il secondo sottopasso risulta nella frazione San Marco, per consentire il successivo smantellamento del passaggio a livello di via Verdi e via monsignor Cavigioli; la terza opera riguarda soltanto il «ciclo pedonale» di San Marco;
   il costo complessivo dei lavori per le opere in precedenza richiamate, riporta ancora La Stampa, risulta essere pari a circa 9,5 milioni di euro, di cui 1,8 milioni di euro (già iscritti a bilancio) a carico del comune di Borgomanero e, inoltre, prosegue il quotidiano piemontese, i ritardi e le lungaggini legate ai progetti esecutivi che devono essere portati al comune (prima di passare ai bandi di gara) peraltro non ancora disponibili, accrescono i livelli di difficoltà connessi alla viabilità cittadina, «paralizzata» dai passaggi a livello e dalla mancanza dei sottopassi indispensabili;
   il problema, secondo quanto rileva il vicesindaco di Borgomanero, è che il comune non riesce ad ottenere da parte di Rfi un riscontro soddisfacente in termini decisionali legati all'avvio dei lavori previsti e di risoluzione dei continui disagi connessi alla durata dei passaggi a livello, che risulta sproporzionata rispetto al numero dei treni che transita;
   le criticità, a giudizio del rappresentante del comune di Borgomanero, emergono sia a nord che a sud dell'area cittadina, dal punto di vista della viabilità e delle scomodità legate ai collegamenti stradali, in particolare a causa delle interruzioni dovute al passaggio a livello chiuso, che rallentano la vita quotidiana dei residenti e delle attività lavorative;
   le numerose segnalazioni rivolte a Rfi, da parte del vicesindaco di Borgomanero, rimaste inascoltate, finalizzate ad intervenire al fine di accelerare la realizzazione delle opere di collegamento, a giudizio dell'interrogante, destano sconcerto e preoccupazione, se si considera come, tra le missioni e le attività della società dell'infrastruttura del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, vi sia il mantenimento in piena efficienza, della progettazione e della realizzazione degli investimenti per il potenziamento delle reti e dei servizi connessi, sul territorio nazionale, evidentemente disattesi nei confronti del comune di Borgomanero;
   a giudizio dell'interrogante, la suesposta vicenda conferma come le politiche infrastrutturali e di trasporto del Governo, siano inefficienti e carenti in termini di sviluppo e competitività, se si valuta, come ad esempio nel caso di Borgomanero, che i ritardi nella realizzazione delle opere infrastrutturali da parte di Rfi, risalgono addirittura a trent'anni fa; i relativi disagi causati da un sistema di viabilità carente, hanno causato gravissimi danni all'intera comunità cittadina –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione esposta in premessa, legata ai ritardi da parte di Rete ferroviaria italiana, nella progettazione dei bandi e dei progetti esecutivi per la realizzazione delle opere infrastrutturali dei sottopassi ferroviari di Borgomanero;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie di competenza intenda intraprendere nei confronti della società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane, responsabile della gestione complessiva della rete ferroviaria nazionale, al fine di accelerare le indispensabili procedure tecnico-amministrative per la definizione delle gare d'appalto che interessano il comune novarese e consentire la realizzazione dei lavori stradali attesi da numerosi anni;
   se non ritenga necessario verificare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità del gestore, derivanti da possibili mancanze rispetto agli obblighi assunti nei riguardi dell'ente locale di Borgomanero, relativamente alla vicenda in precedenza richiamata. (4-12749)


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Federconsumatori abruzzese ha evidenziato che la Freccia rossa Pescara-Milano potrebbe utilmente migliorare la sua offerta se ci fosse la disponibilità a prendere in esame l'arrivo nella prima mattinata a Milano anche da parte degli utenti abruzzesi;
   oggi purtroppo si è costretti ad andare ad Ancona per prendere la Freccia rossa che parte alle 6,10 e arriva a Milano alle 9,20;
   la proposta sarebbe quella di far partire quella Freccia rossa alle 5,05 da Pescara per poi proseguire allo stesso orario attuale da Ancona per Milano;
   allo stesso modo il viaggio di ritorno potrebbe svolgersi allo stesso orario attuale fino ad Ancona per raggiungere Pescara alle 21,55;
   la situazione attuale della Freccia rossa che parte alle 7,50 da Milano, arriva a Pescara alle 11,51 e a Bari alle 16,15 per poi ripartire da Bari alle 16,15, transitare a Pescara alle 18,48 e arrivare a Milano alle 22,50, è irrazionale e non serve utilmente i viaggiatori che devono recarsi la mattina a Milano con la possibilità di tornare in serata, con un notevole risparmio derivante dal non pernottamento a Milano;
   questa proposta potrebbe migliorare il servizio ferroviario veloce lungo la direttrice adriatica per il Nord e sarebbe conveniente naturalmente per Trenitalia, perché incentiverebbe la scelta del treno rispetto alla macchina e all'autostrada –:
   se non intenda assumere le iniziative di competenza affinché Trenitalia proceda a un miglioramento del servizio delle Frecce rosse lungo la direttrice adriatica in particolare da Pescara per Milano, consentendo di attestare la loro partenza alle 5,05 da Pescara. (4-12751)


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il porto di Palermo, sia per flusso di merci che di passeggeri, è uno tra i principali porti italiani e dell'intero mar Mediterraneo: infatti, nel 2014, sono transitate merci per oltre 6,2 milioni di tonnellate, mentre il numero dei passeggeri è arrivato a circa 1,8 milioni;
   la posizione di Palermo all'interno del bacino mediterraneo rende questo porto di particolare rilevanza nei collegamenti tra Europa e Africa, offrendo frequenti collegamenti settimanali con porti nordafricani;
   la zona portuale di Palermo è stata interessata negli ultimi mesi da un'intensa attività giudiziaria che ha portato prima al sequestro della parte sud e successivamente anche dalla parte nord del molo Vittorio Veneto;
   la magistratura ha infatti disposto il sequestro del predetto molo e disposto opportuni accertamenti tecnici, dai quali è emersa una situazione a dir poco allarmante, ove persino i piloni di sostegno dello stesso presentavano gravissimi criticità strutturali tali da presagire un concreto rischio di cedimento, tenuto conto anche dell'utilizzo del medesimo per lo sbarco e l'imbarco da navi da crociera, la cui stazza lorda può arrivare anche a svariate decine di migliaia di tonnellate;
   tale situazione, secondo gli interroganti, potrebbe essere imputata ad una mancata attività di manutenzione ordinaria e di monitoraggio, che avrebbe permesso di mantenere il molo Vittorio Veneto perfettamente funzionante e in uno stato di sicurezza, evitando gli evidenti disagi e danni economici generati dalla chiusura dello stesso e i potenziali rischi di cedimento che avrebbero potuto causare, anche in ragione dei frequenti attracchi di navi da crociera e delle centinaia di persone ivi trasportate, svariate decine di morti in caso di crollo;
   secondo gli interroganti, è imprescindibile accertare le responsabilità extra giudiziali che hanno causato le criticità sopra descritte;
   per i fatti sopra descritti il Presidente dell'autorità portuale, Vincenzo Cannatella, assieme ad un funzionario quadro dell'ufficio tecnico dell'autorità medesima, è sotto indagine per i reati di cui all'articolo 677 c.p. «Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina», come si evince dal decreto di sequestro preventivo emesso dal tribunale di Palermo del 25 gennaio 2016;
   nel medesimo decreto si può leggere testualmente che dalla «Relazione sui rilievi subacquei eseguiti nella banchina lato nord del molo Vittorio Veneto del Porto di Palermo, redatta in data 16 novembre 2015 [...] si constatano essenzialmente due fenomeni di degrado: 1) distacco del calcestruzzo copri ferro e corrosione dei ferri nelle strutture in cemento armato 2) presenza di ingrottamenti nel muro di contenimento costituito dai massi ciclopici. Alla stregue delle emergenze investigative fin qui riportate, deve ritenersi che il molo Vittorio Veneto nord del Porto di Palermo presenti significativi ed allarmanti indici di criticità e degrado statico-strutturale. Di tale situazione aveva conoscenza l'Autorità Portuale di Palermo fin dal 2014. Tanto si ricava da taluni documenti acquisiti presso detta Autorità da personale in servizio presso la Capitaneria di Porto di Palermo. Il riferimento è a due Relazioni tecniche [...] riportanti data Aprile 2014 e Luglio 2014 [...] Gli indagati – pur a conoscenza, fin dall'anno 2014, della situazione di degrado strutturale del molo Vittorio Veneto lato nord – hanno omesso di realizzare, pur avendone l'obbligo per le cariche ricoperte, gli interventi di risanamento reputate necessarie nelle relazioni redatte [...] in tal modo determinando una situazione di pericolo per le persone»;
   con riferimento ai pericoli per gli utenti del porto di Palermo, si può leggere ancora nel citato decreto che «sussiste altresì il pericolo che la libera disponibilità della banchina lato nord del molo «Vittorio Veneto» del porto di Palermo [...] comporti la protrazione o l'aggravamento delle conseguenze del reato e, in particolare, un concreto ed attuale pericolo per la sicurezza ed incolumità degli utenti del servizio portuale, avuto riguardo alle ravvisate criticità di ordine statico-strutturale, potenzialmente suscettibili di ulteriore peggioramento in considerazione delle notevoli sollecitazioni prodotte dall'attracco di navi anche di notevole stazza» –:
   se non intenda assumere iniziative per la revoca dell'incarico al Presidente dell'autorità portuale in carica e per la nomina di un nuovo Presidente dell'Autorità Portuale di Palermo, possibilmente tramite raccolta di curriculum vitae fra i soggetti interessati ed in possesso dei necessari requisiti, resi pubblici sul sito internet dell'autorità medesima per non meno di 30 giorni, ed individuazione del nuovo Presidente fra quest'ultimi tramite estrazione a sorte con procedura ad evidenza pubblica;
   se non si intendano inviare gli ispettori al fine di accertare, per le parti di competenza, eventuali responsabilità dei dirigenti e quadri appartenenti all'area tecnica dell'autorità portuale di Palermo in merito alla situazione descritta in premessa. (4-12752)


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada provinciale di Nuoro n. 8, che conduce da Gadoni a Seulo, è stata declassata con ordinanza provinciale N3609/RO del 19 marzo 2013 con l'istituzione del senso unico alternato e la limitazione della velocità al traffico di 30 km/h e con divieto di transito ai veicoli di massa a pieno carico superiore ai 50 quintali;
   un anno dopo la succitata ordinanza, ne è stata emessa una nuova (n. 3679/RO dell'11 marzo 2014) che imponeva la chiusura totale della strada provinciale n. 8 a causa del peggioramento della stesso tratto viario, non ancora oggetto di interventi da parte delle provincia di Nuoro;
   con ordinanza n. 3 del 14 marzo 2014 il sindaco del comune di Gadoni, dopo un'incontro istituzionale tenutosi a Nuoro tra lo stesso sindaco di Gadoni, il sindaco di Seulo, i rappresentanti del genio civile, il presidente della provincia di Nuoro, ha ordinato la parziale riapertura al transito della strada provinciale 8, seppure con notevoli limitazioni e prescrizioni;
   l'ARST, l'azienda regionale di trasporti, ha sospeso, tenendo conto delle prescrizioni e dei divieti imposti dalle ordinanze, la tratta che permetteva agli studenti di raggiungere gli istituti scolastici di Aritzo e Sorgono con il trasporto pubblico, costringendoli quindi a muoversi con mezzi propri e percorsi alternativi scomodi e dai tempi molto più lunghi;
   dopo tre anni non è stato iniziato alcun lavoro di manutenzione della strada e non vi è nemmeno la speranza di vedere svolte velocemente le opere che riportino la strada provinciale n. 8 al normale utilizzo;
   in questi tre anni è stato dimostrato che le avverse condizioni atmosferiche causano un continuo degrado del tratto viario in questione, con il rischio di incidenti e di una nuova chiusura totale della strada;
   nel recente passato ci sono state alcune iniziative per portare all'attenzione dell'esecutivo regionale sardo l'assurda condizione di questa strada, invocando un interessamento affinché gli eventuali ostacoli all'avvio dei lavori sulla strada provinciale n. 8 fossero rimossi, senza però ottenere mai risposte concrete e senza che neanche un centesimo sia stato impegnato per l'avvio della progettazione e dei lavori;
   nei centri vicini, tutti appartenenti alla zona montana, altre strade provinciali come la n. 61 Atzara Belvì, la Desulo-Fonni, la Tonara—Tascusì, la Tiana-Teti, la provinciale 75 Ortueri-Samugheo, hanno subito il declassamento e la limitazione al traffico causando notevoli ripercussioni sociale ed economiche;
   è doveroso esprimere solidarietà agli amministratori comunali di Seulo e Gadoni e alle comunità della Barbagia e della Sardegna vittime da anni di questa assurda vicenda che in una zona della Sardegna Centrale, montana, in cui la popolazione si sente isolata e abbandonata dallo Stato, non fa altro che alimentare una sfiducia e una rabbia verso le Istituzioni e lo stesso Stato –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, per la risoluzione della questione relativa alla viabilità in Sardegna, se del caso elevando la strada provinciale di Nuoro n. 8 a strada statale in quanto prosecuzione della strada statale 295 di Aritzo. (4-12755)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO, BASSO e CAROCCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nell'estate del 2009, a Genova, l'operazione denominata «Terra di Nessuno» portò alla più grande confisca di beni sottratti alla mafia avvenuta nel nord Italia;
   suddetta operazione portò alla confisca successivamente confermata anche dalla Corte di Cassazione in data 26 febbraio 2014 di oltre un centinaio di immobili, che dalle tabelle risultano essere nel numero di 115, ora ridotti a 96 e appartenenti alla famiglia Canfarotta;
   tali immobili sostanzialmente destinati allo sfruttamento della prostituzione, vero core business della attività criminale dei Canfarotta sono ubicati prevalentemente presso il centro storico nella zona della Maddalena, qualche immobile si trova anche a Sampierdarena, Coronata, Valle Sturla Cornigliano, Rivarolo, San Martino;
   lo stato attuale degli immobili è critico, si tratta, infatti, di appartamenti di medio-piccole dimensioni, magazzini e locali a piano strada che necessitano di urgenti interventi di ristrutturazione;
   il Comune di Genova ha svolto una serie di perizie e mappature che possono rivelarsi utili strumenti alla definizione delle condizioni dello stato degli immobili;
   risultano ancora una serie di problematiche legate alla verifica dello stato di occupazione di alcuni degli immobili confiscati. In alcuni casi gli immobili sono, infatti, ancora occupati dai prevenuti, dalle prostitute e da ingombri di proprietà dei prevenuti;
   dal 2009 al 2014 l'amministrazione giudiziaria ha provveduto a coprire le spese di ordinaria amministrazione;
   attualmente, buona parte degli immobili in questione sono in gestione dell'Anbsc (Agenzia Nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) che, in base a quanto stabilito dalla normativa vigente, ne disporrà la destinazione per finalità istituzionali e sociali;
   ad oggi, il nucleo di supporto presso la prefettura, ai sensi delle disposizioni previste dal decreto legislativo n. 159 del 2011 risulta formalmente attivo, ma, a quanto consta agli interroganti non risulta sia mai stato praticamente convocato, nonostante le pressioni ripetute da parte dell'assessorato alla legalità e di diritti del comune di Genova;
   i cittadini e le principali realtà, associative operanti sul territorio del quartiere della Maddalena si sono riunite nel cantiere per la legalità responsabile, attraverso il quale sono state avanzate proposte concrete per l'utilizzo degli immobili. Tale iniziativa è stata richiamata anche dall'ex procuratore della Repubblica di Genova, Michele Di Lecce, quale meccanismo sano di partecipazione dei cittadini alle attività di contrasto alla criminalità organizzata;
   le recenti modifiche legislative intervenute in merito alla materia di confisca dei beni e al ruolo dell'Agenzia nazionale sopra richiamata sono finalizzate proprio ad una più attenta gestione del patrimonio dei beni confiscati al servizio della comunità –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in riferimento al significativo patrimonio di beni confiscati presente a Genova;
   quali iniziative si intendano adottare con la massima urgenza al fine di convocare rapidamente il nucleo di supporto presso la prefettura di Genova e per procedere altrettanto celermente ad una attenta e accurata verifica sullo stato di occupazione di alcuni immobili, nonché di valutare l'opportunità, di concerto con l'ente locale e le associazioni operanti sul territorio, di assumere le iniziative di competenza per addivenire ad una intesa finalizzata ad interventi di manutenzione e messa in sicurezza di suddetti beni e al loro riutilizzo in chiave sociale. (5-08345)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riporta la stampa locale, il prefetto di Brescia, Valerio Valenti, avrebbe reso nota in un incontro pubblico svoltosi nella frazione di Vighizzolo l'intenzione del Governo di realizzare un « hot spot» per richiedenti asilo nella caserma Serini di Montichiari;
   i migranti irregolari ospitati nella struttura sarebbero 100-150;
   per alloggiarli verrebbero allestiti alla Serini dei moduli abitativi prefabbricati;
   la Serini si estende su una superficie di circa 27 mila metri quadrati, un'area molto grande che lascerebbe presupporre la volontà del Governo di destinarvi un numero ben superiore di migranti irregolari;
   esiste nelle vicinanze anche un aeroporto;
   sussistono dubbi altresì sull'effettivo numero di coloro che verranno riconosciuti titolari del diritto ad una qualche forma di tutela internazionale e sull'effettivo rimpatrio di coloro che risulteranno invece migranti economici clandestini;
   la Lombardia è già emersa in numerosi studi ed indagini come un'area ad alto rischio di infiltrazioni jihadiste –:
   se il Governo intenda veramente ospitare alla caserma Serini di Montichiari un hot spot destinato a migranti richiedenti tutela internazionale, se davvero si limiterà ad inviarvi 100-150 migranti irregolari e non di più, se per il trasporto dei migranti verrà utilizzato o meno l'aeroporto adiacente ed eventualmente a quali costi, e quali garanzie vi siano circa il fatto che coloro cui sarà negato il beneficio dell'asilo saranno sollecitamente rimpatriati. (4-12742)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto raccontato dalle cronache locali, il noto imprenditore calabrese, Pippo Callipo, e presidente provinciale di Confindustria Vibo Valentia, è stato vittima dell'ennesimo atto di intimidazione da parte della criminalità organizzata;
   nella notte tra sabato 2 aprile e domenica 3 aprile 2016, infatti, una scarica di undici colpi di pistola è stata esplosa contro il cancello del «Popilia Country Resort», di proprietà del noto imprenditore, un elegante resort con hotel, ristorante, centro benessere e sale congressi che sorge sulle colline che si affacciano sul golfo di Lamezia Terme (Catanzaro);
   al riguardo sono in corso le indagini degli inquirenti, dirette ad accertare le ragioni dell'intimidazione, ma non ci sarebbero dubbi sul movente ‘ndranghetistico;
   Callipo ha ricevuto piena solidarietà da parte delle istituzioni locali e lo stesso prefetto di Vibo Valentia, dottor Carmelo Casabona, ha immediatamente ricevuto l'imprenditore per assicurargli dovuta protezione;
   secondo quanto dichiarato a caldo dallo stesso Callipo, «Undici colpi di pistola non ci fanno arretrare di un millimetro. Andremo avanti con le nostre aziende e con i nostri riferimenti certi, che sono le forze dell'ordine ed il Prefetto di Vibo Valentia. È un episodio che non so spiegarmi perché non ho ricevuto alcuna richiesta estorsiva, né segnali di ostilità. Comunque, io resto in Calabria» –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative di competenza ritengano necessarie per garantire l'incolumità all'imprenditore e ai suoi familiari.
(4-12743)


   FAVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 25 gennaio del 2010 Carmine Ciarelli, di 48 anni pregiudicato a capo dell'omonimo clan rom stanziale dedito all'usura, viene ferito gravemente con 7 colpi di pistola da due sicari in moto;
   Carmine Ciarelli, pluripregiudicato per estorsione ed usura, condannato dalla corte d'appello di Roma il 23 ottobre 2015, alla pena di 20 anni e 4 mesi di detenzione per aver promosso e diretto l'associazione a delinquere denominata clan Ciarelli Di Silvio risulta, da notizie stampa, essere sottoposto al regime degli arresti domiciliari in provincia di Isernia in località Venafro;
   si tratta di un elemento di elevata pericolosità così descritto dalla sentenza della Corte d'appello di Roma: «quanto alla posizione di Carmine Ciarelli già capo indiscusso all'interno della propria famiglia, basta rilevare che è egli stesso a rivendicare la posizione di supremazia e valenza criminale assunta da circa trent'anni nel settore e nell'intera città di Latina [...] si consideri che il patto di alleanza stretto tra i Di Silvio e i Ciarelli era destinato a riaffermare la supremazia della fazione criminale di origine rom, coalizione nata subito dopo l'attentato di Carmine Ciarelli con lo scopo di vendicare il gesto di sfida annientando la fazione antagonista»;
   numerose sentenze attestano il livello di pericolosità e di radicamento del clan Ciarelli-Di Silvio –:
   quali strumenti di prevenzione e contrasto siano stati posti in essere per impedire il riorganizzarsi del suddetto clan, ancora attivo nella zona di residenza del Ciarelli, grazie anche alla figura carismatica che ricopre il loro capo indiscusso. (4-12758)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 14 marzo 2016 il consiglio comunale di Crema è stato chiamato a deliberare su uno schema di avviso pubblico relativo alla concessione in diritto di superficie di un'area di proprietà comunale finalizzata alla realizzazione di attrezzature destinate a servizi religiosi in attuazione delle previsioni del piano dei servizi, per il cosiddetto lotto A dell'area di Via Milano;
   stando allo schema del bando indetto dal comune di Crema, approvato nell'occasione sopra citata, potrebbero concorrere associazioni di culto od organizzazioni religiose appartenenti a differenti confessioni;
   tuttavia, l'avviso pubblico contiene dei criteri di premialità che, ad avviso dell'interrogante, avvantaggiano oggettivamente le associazioni del culto islamico e le loro emanazioni, circostanza che potrebbe portare il comune di Crema a concedere il diritto di superficie su un lotto comunale a chi vi erigerà una moschea, probabilmente con annesse dipendenze culturali, come scuole coraniche e centri di irradiazione della rivelazione coranica;
   la circostanza non sembra opportuna, considerata la gravità del pericolo jihadista e la forte presenza di nuclei sospetti in Lombardia e nella stessa area di Crema, individuata da ricercatori ed investigatori come una zona particolarmente a rischio;
   la moltiplicazione del luoghi di culto islamici costituisce una circostanza aggravante del pericolo terroristico a medio e lungo termine, favorendo la concentrazione di immigrati di fede musulmana, tra i quali poi è più facile che i terroristi jihadisti trovino riparo, come è emerso da quanto è accaduto recentemente in Francia e Belgio;
   è conseguentemente legittimo il dubbio che la costruzione di una nuova moschea a Crema possa nuocere alla sicurezza del Paese ed all'ordine pubblico locale –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative per una moratoria sulla costruzione di edifici di culto adibiti alla professione della fede islamica, ivi inclusi quelli che potrebbero sorgere a Crema e nelle zone circostanti, in nome di esigenze connesse alla sicurezza nazionale ed all'ordine pubblico. (4-12761)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Ecofficina Cooperativa Sociale è una società cooperativa con sede legale a Battaglia Terme in via Roma 32, costituita nell'agosto 2011;
   dal 2014 ha iniziato ad occuparsi dell'accoglienza dei richiedenti asilo e, nei primi mesi del 2015, l'impresa ha mutato ragione sociale ed è stata denominata Ecofficina Educational Cooperativa Sociale Onlus;
   attualmente gestisce strutture di accoglienza in diverse province del Veneto: in particolare, la cooperativa ha in gestione oltre 500 profughi nella provincia di Venezia, 150 in quella di Vicenza e circa 80 in provincia di Rovigo;
   in provincia di Padova, Ecofficina gestisce circa 100 profughi nel, comune di Battaglia Terme, 40 a Torreglia, 30 a Due Carrare, 60 a Monselice, 48 a Este e 95 a Montagnana;
   inoltre, dal giugno del 2015 la cooperativa si è aggiudicata il bando per la gestione dei richiedenti asilo presso il centro allestito nell'ex caserma Prandina nel comune di Padova;
   secondo la stampa locale Ecofficina avrebbe aumentato il proprio fatturato da 114.940 euro fino a 2.369.199 euro proprio da quando ha iniziato a occuparsi di accoglienza dei profughi gestendo diversi centri in provincia di Padova;
   Ecofficina fino al 2014 è stata partecipata dalla società Padova territorio, rifiuti ed ecologia srl (in seguito Padova Tre srl) con sede a Este in via Rovigo 69, in provincia di Padova, che si occupa della raccolta e della gestione rifiuti nei comuni della Bassa Padovana; nel corso degli anni, la cooperativa si è vista assegnare, da parte di Padova Tre srl, lavori di vario tipo tra cui la gestione degli asili nido dei Comuni di Megliadino San Vitale, Granze e Cinto Euganeo, la gestione del servizio di doposcuola per le scuole primarie di Saletto e Megliadino San Vitale, l'organizzazione dei Centri estivi nei comuni di Battaglia Terme, Cinto Euganeo e Galzignano ed altre attività quali l'inserimento lavorativo delle persone disabili;
   Padova Tre srl fino al 2009 è stata guidata dall'amministratore unico Simone Borile, che successivamente ha ricoperto la carica di vicepresidente della società fino al luglio 2015;
   le modalità di gestione dei richiedenti asili in molte realtà della provincia di Padova sono state in parte condizionate dal rifiuto di molti amministratori locali del modello di accoglienza diffusa nel territorio proposto dal Governo per fronteggiare i flussi migratori degli ultimi anni;
   come si ricorderà, infatti, nonostante l'accordo raggiunto tra Governo, regioni e autonomie locali nella conferenza unificata del 10 luglio 2014, molti sindaci si sono opposti alle politiche di accoglienza previste dall'accordo stesso, impedendo di fatto la corretta applicazione del modello di accoglienza diffusa nel territorio;
   in questo modo queste amministrazioni hanno favorito la creazione di strutture con un'alta concentrazione di profughi;
   tale situazione ha reso più difficile la gestione dei richiedenti asilo e ha sollevato forti preoccupazioni nelle comunità locali;
   la procura di Rovigo ha aperto un'indagine per truffa aggravata ai danni dello Stato e maltrattamenti a carico degli amministratori di Ecofficina, Sara Felpati (moglie di Simone Borile sino al 2015 amministratore di Padova Tre srl) e Gaetano Battocchio, rispettivamente consigliere e vice-presidente del consiglio di amministrazione di Ecofficina;
   tra gli indagati anche Sergio Enzini, titolare dell'Hotel Maxim's di Montagnana;
   l'indagine, infatti, riguarda il centro di accoglienza allestito presso l'hotel Maxim's e in due appartamenti di Borgo San Marco a Montagnana da Sergio Enzini;
   secondo gli inquirenti, Battocchio e Felpati avrebbero omesso di controllare la gestione del Maxim's, affidata a Enzini, rendendosi responsabili di una truffa che avrebbe consentito allo stesso Enzini di appropriarsi di fondi per circa 100.000 euro;
   il 4 aprile 2016, i carabinieri hanno eseguito perquisizioni nella sede della cooperativa e nelle abitazioni di Sara Felpati e Gaetano Battocchio;
   secondo le prime ricostruzioni i fatti oggetto di indagine risalgono al periodo che va da agosto 2014 a gennaio 2015;
   la vicenda avrebbe origine alla fine del 2014, quando un esposto anonimo aveva segnalato la carenza delle condizioni per l'accoglienza dei profughi in questa struttura e la prefettura di Padova aveva avviato i controlli sulla situazione degli ospiti e delle strutture gestite da Sergio Enzini;
   dopo i controlli sono stati inviati i relativi richiami che riguardavano la qualità e quantità dei pasti, l'igiene e temperatura nelle stanze e la totale assenza di corsi di integrazione e alfabetizzazione;
   nell'ottobre 2014 Ecofficina aveva preso in carico la gestione dei migranti arrivati a Montagnana, dopo che, nel corso di precedenti controlli, era stata accertata la carenza dei requisiti con cui si era presentato al bando il titolare del Maxim's, Sergio Enzini;
   l'indagine indica che in diversi periodi e in più occasioni sono stati svolti accertamenti e controlli sull'attività di gestione dei centri di accoglienza;
   gli interroganti esprimono giudizio positivo sull'attività di controllo da parte delle autorità competenti che hanno consentito di far emergere i limiti e le violazioni sin dalla prima gestione del centro;
   gli interroganti tuttavia esprimono forti preoccupazioni rispetto al pericolo che attorno alla gestione dei richiedenti asilo si sviluppino fenomeni di speculazione economica a danno degli stessi ospiti e dei lavoratori impiegati nelle cooperative che si sono aggiudicate i bandi per l'accoglienza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti;
   in che modo, il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, intenda potenziare l'attività di controllo della gestione dei richiedenti asilo e intensificare le iniziative di verifica delle condizioni delle strutture di accoglienza;
   quali iniziative, il Ministro, anche attraverso gli uffici territoriali del Governo, intenda assumere per favorire le modalità di accoglienza diffusa nel territorio. (4-12765)


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riporta la stampa locale, antagonisti riconducibili al Collettivo autonomo gardesano, al Kollettivo Studenti in Lotta, al Kaos della Valtrompia e al Magazzino 47 di Brescia il 24 marzo 2016 hanno occupato abusivamente un altro immobile, un capannone attualmente inutilizzato ed all'asta per il fallimento della società proprietaria, la Brescia Tour;
   lo scorso inverno, gli stessi antagonisti, a quanto risulta all'interrogante, avevano occupato nella medesima località il ristorante della cosiddetta Spiaggia d'Oro, appartenente al comune di Desenzano del Garda, prima che la forza pubblica procedesse il 2 febbraio 2016 al suo sgombero;
   l'immobile illegalmente occupato si trova a Rivoltella, frazione di Desenzano del Garda;
   gli antagonisti inneggiano a Zanzanù, in omaggio ad una figura storica del banditismo dell'Alto Garda, uomo vissuto tra il 1576 ed il 1617 –: 
   quali iniziative di competenza ed in che tempi il Governo conti di assumere per impedire ai giovani che inneggiano alla figura di Zanzanù di proseguire nella pratica delle occupazioni abusive di immobili. (4-12766)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


   PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 marzo 2016 è stato pubblicato, sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca un bando da 28 milioni di euro per dotare le scuole del primo ciclo di istruzione di nuovi spazi didattici per l'apprendimento delle competenze tecnologiche di base, da coniugare con la manualità, l'artigianato e la creatività. Il finanziamento fa parte dei fondi delle azioni del piano nazionale scuola digitale. L'intento è far diventare i laboratori didattici dei «FabLab», ossia atelier creativi dove si fa didattica con il supporto di stampanti e scanner 3D, di kit per la robotica e per la programmazione informatica;
   come nel caso delle altre iniziative di attuazione del piano per la scuola digitale, anche in questa circostanza potranno presentare progetti solo le istituzioni scolastiche ed educative statali del primo ciclo di istruzione, mentre quelle paritarie saranno escluse –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per eliminare questa inaccettabile e discriminatoria disparità, che esclude oltre un milione di studenti e i loro insegnanti dalla possibilità di apprendere competenze indispensabili per il presente e per il futuro. (5-08337)


   BECHIS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 2016, n. 19, «Regolamento recante disposizioni per la razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento, a norma dell'articolo 64, comma 4, lettera a), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. (16G00026)», con la nuova classe di concorso B12 denominata «Laboratori di scienze e tecnologie chimiche e microbiologiche», introduce per i periti chimici la possibilità di insegnare tutte le materie tecniche in compresenza del secondo biennio e del quinto anno dell'istituto tecnologico agraria agroalimentare e agroindustria;
   i chimici della classe di concorso B12, negli istituti tecnologici di agraria, agroalimentare e agroindustria, tra le discipline laboratoriali afferenti al secondo biennio e quinto anno, potranno insegnare le seguenti materie: laboratorio di genio rurale, laboratorio di economia marketing ed estimo, laboratorio di produzioni vegetali, laboratorio di produzioni animali, laboratorio di gestione dell'ambiente, laboratorio di enologia e viticoltura, laboratorio di trasformazione dei prodotti, laboratorio di biotecnologia;
   il piano di studio dell'istituto tecnologico riguardante chimica, materiali e bio tecnologia C6, non contempla l'insegnamento delle succitate discipline, che sono presenti invece nel piano di studi dell'istituto tecnologico di agraria agroalimentare e agroindustria C8;
   l'interrogante ritiene grave e incongruo il fatto che dei docenti in possesso del diploma di laurea in chimica possano insegnare numerose discipline in relazione alle quali non hanno acquisito conoscenze specifiche nel corso della propria carriera universitaria, poiché non hanno seguito specifici corsi di studio e sostenuto esami universitari sulle materie oggetto dell'insegnamento da loro impartibile negli istituti tecnici sopra detti –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro interrogato perché le discipline laboratoriali siano affidate a docenti che abbiano acquisito opportune conoscenze durante la propria formazione universitaria, che li pongano in condizione di garantire il miglior trasferimento di conoscenze specifiche ai propri discenti sulle materie oggetto dell'insegnamento loro affidato. (5-08338)


   SANTERINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il trattamento economico dei dirigenti scolastici è da tempo al centro di una controversa vicenda riguardante in particolare la retribuzione di posizione e di risultato, a carico del fondo unico nazionale (FUN), e ritenuta dagli interessati fortemente squilibrata, rispetto a quella riconosciuta ad altri comparti della dirigenza pubblica;
   nel recente incontro di aggiornamento presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con le associazioni sindacali di categoria e riguardante proprio il Fondo unico nazionale 2015/2016, la direzione generale del personale e delle risorse umane ha reso noto un rilievo del Ministero dell'economia e delle finanze, che ha contestato le modalità di calcolo del FUN in virtù del quale non ha proceduto alla certificazione indispensabile per l'avvio delle contrattazioni regionali;
   l'ufficio centrale del bilancio ha inoltre formulato un'ulteriore contestazione, come già accaduto nel 2013 sulla quantificazione del FUN 2012/2013, che metterebbe in discussione l'ammontare del FUN relativo all'anno scolastico 2011/2012, regolarmente certificato e utilizzato in tutte le regioni, e che comporterebbe la riduzione del FUN 15/16 della somma spesa in eccedenza per la retribuzione dei dirigenti nel 2011/12;
   a quanto è dato sapere sembra sia in atto un'interlocuzione nel merito tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Ministero dell'economia e delle finanze, ma è chiaro che un'interpretazione restrittiva del Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe conseguenze negative sulla retribuzione dei dirigenti, già oggetto nel corso degli anni di riduzioni stipendiali, in forza di quanto disposto dal decreto-legge n. 78 del 2010, cosiddetto «decreto Tremonti» e in contrasto con quanto invece stabilito dalla legge n. 107 del 2015, che all'articolo 1, comma 86, recita: «In ragione delle competenze attribuite ai dirigenti scolastici, a decorrere dall'anno scolastico 2015/2016 il Fondo unico nazionale per la retribuzione della posizione, fissa e variabile, e della retribuzione di risultato dei medesimi dirigenti è incrementato in misura pari a euro 12 milioni per l'anno 2015 e a euro 35 milioni annui a decorrere dall'anno 2016, al lordo degli oneri a carico dello Stato. Il Fondo è altresì incrementato di ulteriori 46 milioni di euro per l'anno 2016 e di 14 milioni di euro per l'anno 2017 da corrispondere a titolo di retribuzione di risultato una tantum» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per tenere fede agli impegni assunti nei confronti dei dirigenti scolastici con l'approvazione della legge n. 107 del 2015, al fine di garantire l'atteso ripristino delle relative retribuzioni, attraverso le risorse del fondo unico nazionale 2015/2016. (5-08339)


   D'UVA, VACCA, SIMONE VALENTE, BRESCIA, MARZANA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a norma dell'articolo 1, comma 4, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, denominata «riforma Gelmini», Il Ministero, nel rispetto della libertà di insegnamento e dell'autonomia delle università, indica obiettivi e indirizzi strategici per il sistema e le sue componenti e, tramite l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvun), per quanto di sua competenza, ne verifica e valuta i risultati secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito;
   l'articolo 5 della stessa legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha delegato il Governo, in materia di interventi per la qualità e l'efficienza del sistema universitario, all'adozione di uno o più decreti legislativi finalizzati a riformare il sistema universitario per il raggiungimento di vari obiettivi, tra cui la «valorizzazione della qualità e dell'efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante, anche mediante previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università» (si vede l'articolo 5, comma 1, lettera a;
   secondo quanto disposto dal successivo comma 3 dell'articolo 5 della suddetta legge, invece, tali fini dovranno essere raggiunti attraverso l'utilizzo di criteri specifici, quali l'introduzione «di un sistema di valutazione periodica basato su criteri e indicatori stabiliti ex ante, da parte dell'Anvur, dell'efficienza e dei risultati conseguiti nell'ambito della didattica e della ricerca dalle singole università e dalle loro articolazioni interne, il potenziamento del sistema di autovalutazione della qualità e dell'efficacia delle proprie attività da parte delle università, anche avvalendosi dei propri nuclei di valutazione e dei contributi provenienti dalle commissioni paritetiche»;
   con l'introduzione della legge di riforma, cosiddetta «Gelmini», nonché dei successivi decreti attuativi, il legislatore ha così inteso introdurre per il sistema universitario e della ricerca italiano un modello di valutazione periodica, affidato alla diretta gestione dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur);
   ad avviso degli interroganti tuttavia, le evidenti distorsioni derivate dall'attuazione e dall'applicazione materiale dei precetti normativi, hanno condotto, nel corso degli ultimi anni, ad uno svilimento della funzione formativa universitaria, nonché ad un progressivo allontanamento qualitativo e funzionale tra gli atenei italiani, i quali beneficiano oggi di finanziamenti «premiali» basati su criteri non evidentemente adeguati a valorizzare il merito, nonché su attribuzioni economiche direttamente sottratte all'ordinario finanziamento delle università italiane;
   il nuovo sistema di stanziamenti premiali sottrae, infatti, risorse dal fondo di finanziamento ordinario per ridistribuirle, invece, agli atenei considerati meritevoli, creando, da un lato, un metodo di finanziamento del merito, dall'altro un sistema sostanzialmente punitivo, essendo la cosiddetta quota premiale parte del fondo di finanziamento ordinario, il quale ha inoltre subito per l'anno 2015 una riduzione pari a 87,4 milioni di euro rispetto allo stesso stanziamento disposto per l'anno 2014;
   a norma dell'articolo 3 del decreto ministeriale 8 giugno 2015, n. 335, 1.385.000.000 di euro, pari a circa il 20 per cento del totale delle risorse disponibili, «vengono assegnate a fini premiali. Tale somma è assegnata alle Università e agli Istituti ad ordinamento speciale secondo i criteri e le modalità di cui all'allegato 1 e per le percentuali di seguito indicate: 65 per cento in base ai risultati conseguiti nella valutazione della qualità della ricerca (VQR 2004-2010); 20 per cento in base alla valutazione delle politiche di reclutamento; 7 per cento in base ai risultati della didattica con specifico riferimento alla componente internazionale; 8 per cento in base ai risultati della didattica con specifico riferimento al numero di studenti regolari che hanno acquisito almeno 20 CFU»;
   almeno tre quinti della cosiddetta quota premiale vengono ripartiti tra le università sulla base dei risultati conseguiti nella valutazione della qualità della ricerca (VQR) e un quinto sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento, effettuate a cadenza quinquennale dall'Agenzia nazionale per la valutazione dell'università e della cerca (Anvur);
   come già evidenziato, è facile verificare che le assegnazioni dei fondi di cui al suddetto decreto, ministeriale, e riservate alla promozione e al sostegno dell'incremento qualitativo delle attività delle università statali e al miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza nell'utilizzo delle risorse, non provengano da finanziamenti ulteriori e diversi rispetto al fondo di finanziamento, ordinario, ma sono parte integrante di esso, tolti direttamente alla quota base periodicamente stanziata;
   per le ragioni sin qui esposte nel corso dell'anno 2015, sono sorte in tutta Italia manifestazioni di opposizione all'attuale sistema di valutazione sopra descritto, le quali, sotto la sigla «#StopVqr», hanno determinato l'astensione da parte dei docenti universitari preposti, anche quali revisori della procedura di valutazione, nell'ottemperare alla documentazione necessaria alla VQR 2011-2014;
   con il decreto ministeriale 27 giugno 2015 n. 458, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha emanato le linee guida per la valutazione qualità della ricerca (VQR) 2011-2014, stabilendo, all'articolo 2, come «il processo di valutazione di cui al presente decreto è avviato con l'emissione di apposito bando del Presidente dell'Anvur e si conclude con la pubblicazione dei risultati entro il termine del 31 ottobre 2016»;
   l'8 luglio 2015 l'Anvur pubblicava la versione «provvisoria» del bando di partecipazione della valutazione della qualità della ricerca 2011-2014, il quale determinava l'avvio dell'esercizio di valutazione, disciplinando le modalità di partecipazione dei soggetti preposti all'esercizio della relativa procedura di valutazione, tra i quali i cosiddetti esperti di valutazione (GEV);
   tale procedura veniva prorogata, così come riscontrabile dal sito internet dell'Anvur, in data 19 febbraio 2016, quale annunciava come «per tenere conto dell'esigenza manifestata dalla CRUI di un rinvio della scadenza del conferimento dei prodotti della ricerca da presentare alla VQR 2011-2014, richiesta motivata da problemi tecnici indipendenti dall'Agenzia (tempi di “caricamento” pdf articoli e monografie, eccetera), il Consiglio direttivo dell'ANVUR ha deliberato di prorogare tale scadenza al 14 marzo per gli Atenei e al 30 marzo 2016 per gli Enti di ricerca e altre Istituzioni. In relazione a tale proroga, si comunica altresì che si riapre fino al 26 febbraio la possibilità per gli addetti di richiedere i file pdf delle monografie agli editori»;
   «Conseguentemente», continuava la nota, «la scadenza per il caricamento dei file pdf da parte degli editori è prorogata al 7 marzo 2016. Poiché la proroga rende viepiù critici i tempi previsti dal Decreto Ministeriale per la conclusione della VQR 2011-2014, l'ANVUR invita gli atenei in grado di chiudere la procedura di conferimento dei prodotti prima del 14 marzo a provvedere, in modo da consentire ai GEV di iniziare tempestivamente la fase di valutazione»;
   a tali ritardi hanno certamente contribuito secondo gli interroganti gli aderenti alla citata iniziativa « #StopVqr», i quali, così come riportato in data 13 febbraio 2016 dal quotidiano consultabile online « Il Fatto Quotidiano», hanno predisposto il boicottaggio delle procedure relative alla VQR 2011-2014;
   la portata di tali manifestazioni è significativamente risaltata dalla lettura dei dati statistici sul conferimento prodotti dell'università così come pubblicata dall'Anvur in data 16 marzo 2016, un breve documento di sintesi delle statistiche del conferimento prodotti alla VQR 2011-2014;
   dall'analisi di tali statistiche è possibile rilevare come, alla scadenza per la trasmissione delle schede di valutazione dei prodotti della ricerca, la percentuale di prodotti conferiti rispetto a prodotti attesi per la VQR 2011-2014 risulta pari solo al 92 per cento, 3,3 punti percentuali più bassa rispetto alla stessa percentuale relativa alla VQR 2004-2010;
   tali squilibri risultano macroscopicamente evidenti se viene analizzata la tabella relativa ai singoli atenei, dal momento che è possibile verificare come ad esempio, atenei quali università di Pisa, università del Salento e università Partenope di Napoli presentino percentuali dei prodotti conferiti rispetto a prodotti attesi per la VQR 2011-2014 notevolmente ridotti se riferiti agli stessi dati per la VQR 2004-2010;
   l'università di Pisa, in particolare, presenta una percentuale di prodotti conferiti rispetto a prodotti attesi per la VQR 2011-2014 pari al 77,1 per cento, a fronte di una percentuale pari al 96 per cento di prodotti conferiti rispetto ai prodotti attesi della VQR 2004-2010;
   la macroscopica difformità deve essere necessariamente letta anche in considerazione degli avvenimenti che hanno interessato negli ultimi mesi l'università di Pisa, così come riportati da un articolo pubblicato il 12 febbraio 2016, dal quotidiano consultabile online « Il Tirreno», il quale rilevava la presenza di una importante manifestazione in atto all'interno dell'università di Pisa; le ragioni della protesta sono per gli interroganti legittime e anche condivisibili, ma sottrarsi alla valutazione della ricerca del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca potrebbe creare un danno economico enorme all'ateneo;
   a tali considerazioni si aggiungano altre gravi irregolarità che pare abbiano interessato la procedura di valutazione terminata in data 14 marzo 2016;
   se, infatti, in alcuni casi la procedura è stata boicottata attraverso la non partecipazione dei preposti, in altri casi le schede di valutazione sono state comunque compilate da altro personale della struttura valutata, previa autorizzazione esplicita ovvero attraverso un mero silenzio-assenso degli addetti alla ricerca sottoposti alla valutazione, fornendo in tal modo una fotografia che rischia di essere inevitabilmente falsata dalla partecipazione alla procedura di soggetti diversi da quelli altrimenti previsti dal regolamento;
   non risulta chiaro, invece, il numero di addetti alla ricerca sottoposti alla valutazione che hanno invece espressamente negato la compilazione delle schede per la valutazione, risultando necessario appurare se a tale negazione non abbia comunque fatto seguito una compilazione da parte di soggetti diversi da quelli preposti;
   appare urgente per gli interroganti la necessità di disporre una approfondita indagine del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, affinché venga verificata la presenza di gravi irregolarità nella procedura di valutazione, ovvero la possibilità che i dati relativi alla VQR 2011-2014 così come pubblicati dall'Anvur, non siano stati sostanzialmente falsati dall'astensione dei soggetti preposti aderenti alla protesta denominata « #StopVQR» –:
   se il Ministro interrogato non intenda rendere nota la reale portata degli effetti determinati dalla protesta relativa alla VQR 2011-2014, e se intenda autorizzare per l'anno in corso la distribuzione delle risorse assegnate per fini premiali secondo il regime previsto per la quota base del fondo di finanziamento ordinario, senza l'applicazione dei criteri e delle modalità previste dall'articolo 3 del decreto ministeriale 8 giugno 2015, n. 335, valutando, infine, di assumere iniziative per l'introduzione di un nuovo sistema di finanziamento che garantisca, prima di ogni previsione premiale, le risorse comunque necessarie al funzionamento ordinario di tutte le università pubbliche italiane.
(5-08340)


   COSCIA, MALPEZZI, CAROCCI, ROCCHI, ASCANI, GHIZZONI, D'OTTAVIO, COCCIA, BLAZINA, MALISANI, PES, SGAMBATO, VENTRICELLI, RAMPI, MANZI, BONACCORSI, CRIMÌ, NARDUOLO, DALLAI e IORI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comma 110 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 stabilisce che a decorrere dal concorso pubblico di cui al comma 114, per ciascuna classe di concorso o tipologia di posto possono accedere alle procedure concorsuali per titoli ed esami, di cui all'articolo 400 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, come modificato dal comma 113 del presente articolo, esclusivamente i candidati in possesso del relativo titolo di abilitazione all'insegnamento e, per i posti di sostegno per la scuola dell'infanzia, per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, i candidati in possesso del relativo titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità;
   in tal senso, l'indicazione dei legislatore è molto chiara: l'abilitazione è il titolo che consente l'accesso al concorso poiché certifica lo svolgimento di un percorso finalizzato ad apprendere metodologie didattiche necessarie per la trasmissione dei saperi già certificati dal titolo di laurea;
   non si tratta, dunque, di una questione di titoli di studio acquisiti ma di un percorso specifico richiesto per poter accedere espressamente al concorso per l'insegnamento;
   tuttavia, con i decreti monocratici n. 1430, 1451, 1453, 1454, 1461-66, grazie alle misure cautelari, diversi insegnanti e candidati che hanno presentato le domande cartacee perché esclusi dal sistema online, in attesa della discussione in camera di consiglio del 7 e del 21 aprile 2016, potranno partecipare alle prove scritte, mentre sono in corso di deposito i ricorsi patrocinati da alcune associazioni sindacali;
   in particolare, il tribunale amministrativo regionale del Lazio, in considerazione del fatto che i ricorrenti abbiano fatto presente «l'urgenza» del ricorso, vista la scadenza della presentazione delle domande il 30 marzo 2016, ha ritenuto sussistente «il presupposto per l'accoglimento della proposta di istanza cautelare» affinché possa essere presentata istanza di partecipazione al concorso con «l'ammissione con riserva» dei docenti non abilitati;
   secondo quanto si apprende dall'Ansa, il Tar del Lazio assumerà la decisione il 7 aprile 2016 in composizione collegiale mentre altri giudizi sono iscritti al ruolo il 21 aprile;
   ad oggi, il numero dei ricorrenti ammessi con istanza cautelare appare contenuto, tuttavia, occorrerebbe avere un quadro d'insieme più preciso al fine di valutare le migliori iniziative da mettere in campo per gestire questa fase assai delicata –:
   quali iniziative di competenza, siano in corso per una corretta applicazione del comma 110 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 che stabilisce che i soli docenti abilitati possano accedere alle procedure concorsuali al fine di tutelare la professionalità degli insegnanti stessi e gli studenti che hanno diritto a docenti qualificati e preparati. (5-08341)


   PANNARALE e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con tre differenti bandi ha avviato, peraltro con imperdonabile ed ingiustificato ritardo, una procedura concorsuale pubblica per l'assunzione a tempo indeterminato nel triennio 2016-2018 di 63.172 docenti così come previsto nell'ambito del piano straordinario di assunzioni di cui alla legge 13 luglio 2015 n. 107 (cosiddetta Buona scuola), procedura che, visti i requisiti di ammissione, sta creando non pochi disagi allo stesso Governo;
   il concorso, infatti, non rappresenta la tanto attesa ed adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico nella scuola, né tanto meno è capace di evitarne la sua ricostituzione. Lo stesso oltre a non prevedere una riserva di assunzioni in favore di quei candidati con più di 36 mesi di servizio, continuando in tal modo a disattendere la sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre 2014 che ha dichiarato illegittima la normativa italiana nella parte in cui permette, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, l'abuso di contratti a termine per un periodo superiore a tre anni, ha ammesso a partecipare alle prove esclusivamente quei candidati già in possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, i quali, anche a fronte di costi rilevanti, sono già stati ampiamente valutati negli stessi ambiti e programmi in cui si intende valutarli di nuovo e che molto spesso occupano graduatorie permanenti per le quali è stato necessario valutarne gli stessi titoli e le medesime conoscenze;
   in sostanza per gli interroganti il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha preferito bandire un nuovo concorso, nonostante avesse l'immediata possibilità di attingere dalle graduatorie degli abilitati o, meglio, di procedere ad un concorso per soli titoli, considerato che la tabella di valutazione titoli del concorso appena bandito presenta gli stessi titoli già ampiamente e adeguatamente considerati e valutati dallo Stato nella formulazione delle graduatorie degli abilitati, il tutto, con un dispendio di risorse pubbliche per organizzarlo, la cui entità non è ancora definita e senza considerare che le stesse risorse sono state già ampiamente utilizzate per organizzare i concorsi di abilitazione, per pagare i docenti universitari che hanno tenuto i corsi, i membri delle commissioni di valutazione degli abilitandi, e tutti quei docenti che hanno seguito il tirocinio che gli abilitandi hanno dovuto sostenere in aula e nelle istituzioni scolastiche;
   inoltre, l'indizione del concorso ha gettato nello sconforto i docenti dell'infanzia già inseriti nelle graduatorie del concorso del 2012 delle regioni Sicilia, Campania, Puglia e Calabria che, dopo il varo della riforma cosiddetta sulla Buona scuola, avevano sperato nella legittima assunzione a tempo indeterminato, prima della scadenza della stessa graduatoria, e che a questo punto vedrebbero realizzare le loro aspettative solo nella remota ipotesi che le procedure concorsuali dovessero tardare a perfezionarsi o si dovessero prolungare oltre la fine dell'estate prossima;
   a complicare il suddetto quadro è intervenuto il recentissimo pronunciamento del Tar del Lazio, che ha accolto in ragione del principio del favor partecipationis, il ricorso di un candidato senza abilitazione che chiedeva di partecipare alle prove concorsuali, e che potrebbe aprire nuovi scenari sullo svolgimento delle stesse, avendo nel frattempo alimentato la speranza all'ammissione con riserva al concorso per tutti coloro che, pur non essendo abilitati, stanno chiedendo il rispetto del principio di affidamento e del diritto di parità di accesso alla docenza, ma che il concorso nella fattispecie ha riservato, come si è visto, ai soli docenti abilitati. Tale circostanza, infatti, fa ragionevolmente presumere che il concorso avrà necessariamente una battuta d'arresto: decine di migliaia sarebbero infatti i ricorrenti sprovvisti di abilitazione che, in seguito al predetto pronunciamento del Tar del Lazio ai non abilitati, potrebbero, con buona probabilità essere ammessi con riserva, alle procedure concorsuali;
   di più qualora le misure cautelari del Tar dovessero trovare buon esito, dando di fatto pieno titolo di partecipazione al concorso ai cosiddetti ricorrenti non abilitati, di contro, gli aspiranti docenti già abilitati, sentendosi, a pieno titolo, «truffati» dallo Stato, stanno valutando la possibilità, a quanto consta agli interroganti, di richiedere un risarcimento dei danni;
   quanto premesso dimostra per gli interroganti che il Ministero ha preferito intraprendere una strada che lo sta confinando in un vicolo cieco per non aver voluto avviare alcun confronto con i sindacati, né una riflessione sul reale stato degli organici della scuola che avrebbero, di contro, evitato i suddetti errori e favorito, al di là dei posti messi a concorso, un piano pluriennale di stabilizzazioni –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, di fronte all'evidenza di un concorso il cui meccanismo di reclutamento, ad avviso degli interroganti non poggia su basi razionali né tanto meno opportune, di dover assumere un atto grande di responsabilità annullando il concorso in premessa ed avviando un piano straordinario di assunzioni, attuato, in primis, grazie allo scorrimento di tutte le graduatorie permanenti, il solo capace di contrastare il fenomeno del precariato storico nella scuola e di evitarne la sua ricostituzione. (5-08342)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014 (di accoglimento di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica), nel quale era stato formalizzato il parere del Consiglio di Stato 5 giugno 2013, sezione II, che ha riconosciuto, a tutti gli effetti di legge, il valore abilitante del diploma magistrale, ai sensi del decreto del Ministro della pubblica istruzione 1.0 marzo 1997, i diplomati magistrali, con titolo conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, hanno ottenuto pieno diritto all'inserimento nella graduatoria ad esaurimento (Gae). Per tale ragione, alcune sigle sindacali minori avrebbero consigliato, durante l'aggiornamento del 2014, di presentare domanda di inserimento in Gae, ma, contrariamente a quanto prospettato dagli uffici scolastici, sarebbe arrivata risposta negativa rispetto a tale richiesta;
   accolte in un primo tempo dal Consiglio di Stato le tesi sindacali, i primi ricorrenti sono stati inseriti a pieno titolo in Gae, con ordinanze n. 5497/3951, n. 5495/3952, n. 5490/3901 e n. 5493/3903. Successivamente, è avvenuto il riconoscimento del loro diritto di immissione in ruolo da parte degli uffici scolastici regionali;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tuttavia, nell'avviso del 6 ottobre 2015, ribadiva come le pronunce del Consiglio di Stato non abbiano efficacia erga omnes e pertanto non possano essere estese anche a coloro che non hanno presentato specifico ricorso, esplicando i suoi effetti solamente tra le parti in causa;
   considerato che, a giudizio degli interroganti, tale provvedimento ha gettato nuovamente la scuola nella più totale (confusione, accentuando le conflittualità fra personale docente ugualmente precario a parità di titolo e spesso con punteggio superiore, rispetto dei primi vittoriosi e fortunati ricorrenti. Infatti, parallelamente ai riconoscimenti per il personale oggetto delle ordinanze, è stata «congelata» l'azione dei successivi ricorrenti in, attesa di adunanza plenaria del Consiglio di Stato, dapprima fissata per gennaio 2016, poi posticipata a maggio 2016, infine anticipata al 27 aprile 2016;
   a parere degli interroganti tale differenza nei provvedimenti che interessano i diplomati magistrali, con titolo conseguito entro il 2001/2002, viola il principio di uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, sancito dalla nostra Costituzione, all'articolo 3;
   il riconoscimento del diritto di immissione in ruolo non è avvenuto per l'interrogante su una base logica e razionalmente condivisibile, ma soltanto secondo il «criterio» del tempismo nella presentazione del ricorso. Si potrebbe parlare di fortuita disparità del diritto, che sarebbe per l'interrogante una situazione invivibile per il cittadino e inaccettabile per qualsivoglia istituzione democratica;
   quali tempestive iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro interrogato intenda intraprendere, al fine di tutelare la posizione di tutti i docenti in possesso del diploma magistrale abilitante, conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, per il loro inserimento nella terza fascia delle graduatorie ad esaurimento ed il riconoscimento del conseguente diritto all'immissione in ruolo, superando la discriminazione in essere. (4-12756)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il progetto «Sport di classe» che ha fatto seguito a quello sperimentale di alfabetizzazione motoria, effettuato in alcune scuole nell'anno scolastico 2013, ha previsto un nuovo modello operativo che consente la partecipazione delle scuole primarie d'Italia aderenti all'iniziativa;
   «Sport di classe» è nato dall'impegno congiunto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR), del Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) e della Presidenza del Consiglio dei ministri, per promuovere l'educazione fisica fin dalla scuola primaria e favorire i processi educativi e formativi delle giovani generazioni;
   il progetto doveva garantire 2 ore settimanali di educazione fisica e coprire l'intero anno scolastico –:
   se è a conoscenza del numero delle scuole che hanno aderito al progetto nell'anno scolastico 2015/2016 del numero dei tutor impegnati nel progetto nonché del numero dei docenti di educazione motoria che sono stati inseriti in organico per la sua realizzazione. (4-12757)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa a seguito di una nota sindacale firmata dalle rappresentanze sindacali unitarie della Dayco, azienda di Chieti che impiega circa 300 dipendenti nella produzione di cinghie di trasmissione in gomma destinate agli autoveicoli delle case più prestigiose, che entrava nel merito della gestione aziendale riferendosi ad essa in termini critici, i vertici aziendali hanno convocato i sei membri della rappresentanza sindacale unitaria;
   a quanto riferiscono i sindacati è stata comunicata una lettera di contestazione in cui il vertice aziendale ha illustrato le proprie ragioni sottolineando che, come prevede il contratto collettivo nazionale di lavoro, avrebbero dovuto rispondere alla lettera nell'arco di cinque giorni, con le proprie giustificazioni;
   contestualmente a questo percorso, è stato comunicato ai lavoratori che l'intera rappresentanza sindacale unitaria in blocco sarebbe stata sospesa dal lavoro;
   i sindacati chiariscono che la rappresentanza sindacale unitaria della Dayco è stata votata dal 97 per cento dei lavoratori;
   l’iter ora prevede l'apertura di un tavolo di conciliazione presso la direzione territoriale del lavoro;
   questa decisione dell'azienda rischia di apparire, a giudizio dell'interrogante, come una ingiusta intimidazione verso l'attività sindacale –:
   se non intenda intervenire, per quanto di competenza, per il ripristino di corrette relazioni sindacali evitando dannose drammatizzazioni e discriminazioni nei confronti dei rappresentanti sindacali aziendali. (4-12745)


   GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   tra le differenti modalità di intervento a supporto della disabilità e non autosufficienza, il Governo ha scelto di valorizzare l'assistenza domiciliare attraverso la predisposizione di un progetto chiamato Home Care Premium, mirante ad erogare un contributo-premio finalizzato alla cura, a domicilio, delle persone non autosufficienti;
   l’Home Care Premium prevede una forma di intervento «mista», con il coinvolgimento diretto, sinergico e attivo della famiglia, di soggetti pubblici e delle risorse sociali del cosiddetto «terzo settore»; in particolare, è stato individuato quale soggetto partner per la realizzazione del modello HCP 2014, l’«ambito territoriale sociale» (ATS), ai sensi dell'articolo 8, comma 3, lettera a), della legge n. 328 del 2000 o come differentemente denominato o identificato dalla normativa regionale in materia;
   come risulta da testimonianze e denunce fatte da soggetti beneficiari, l’Home Care Premium prometterebbe soldi per poi elargire, all'atto pratico, risorse molto interiori anche causa di alcuni strumenti di «parametrazione» del contributo, quali l'Isee familiare che riducono significativamente le risorse da destinare al richiedente;
   in molti casi poi, aggiungendo all'Isee l'assegno di accompagnamento, la decurtazione è stata tale da far risultare il contributo per l'assistenza domiciliare offerto dal progetto in parola a giudizio dell'interrogante assolutamente insignificante oltre che inutile, arrivando anche a 91 euro mensili dai 1.200 euro previsti dal programma, per avere i quali è inoltre necessario assumere, con un notevole costo, una figura professionale, detto assistente familiare, per un minimo di 20 ore settimanali;
   come è noto, il semplice possesso della prima ed unica abitazione, senza che questo costituisca o generi una particolare ricchezza per il titolare della stessa e per la sua famiglia, incide particolarmente sulla determinazione dell'Isee e pertanto sarebbe auspicabile, rivedere i termini di tali programmi di assistenza affinché conseguano realmente gli obiettivi previsti, invece di produrre delusioni ed ulteriori preoccupazioni per i soggetti beneficiari –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto espresso in premessa anche per chiarire meglio il funzionamento del programma di cui in parola e se non ritenga di dover intervenire assumendo iniziative per modificare i termini di parametrazione ed ottenimento del bonus per l'assistenza domiciliare al fine di fugare ogni dubbio circa la possibilità che tali progetti si risolvano in mere enunciazioni di principio predisposte da un apparato amministrativo che, a parere dell'interrogante si rivela incapace di leggere le reali situazioni in cui versano i soggetti destinatari. (4-12762)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

  XIII Commissione:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   «Terrevive» è il decreto con cui il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali – di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze – ha dato il via alla vendita e all'affitto di circa 5.500 ettari di terreni, destinandoli innanzitutto agli agricoltori under 40;
   con quest'iniziativa, si intende far «rivivere» i terreni statali adatti alla coltivazione, trasformandoli in un'occasione di lavoro per le nuove generazioni. Con Terrevive, infatti, i giovani imprenditori agricoli hanno diritto di prelazione nell'acquisto o nell'affitto di terreni pubblici, che possono così essere riportati alla produzione agricola;
   il decreto riguarda: 2.480 ettari di terreni appartenenti al demanio dello Stato 2.148 ettari di terre in uso al Corpo forestale dello Stato 882 ettari di terreni di proprietà del Centro per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (C.R.A.). Una quota minima del 20 per cento di questi terreni è riservata all'affitto, anche in questo caso con preferenza all'imprenditoria giovanile agricola e con una durata della locazione non inferiore ai 15 anni. Ai terreni venduti o affittati non può essere attribuita una destinazione urbanistica diversa da quella agricola, prima di 20 anni dalla trascrizione dei relativi contratti nei pubblici registri immobiliari. Nel caso di terreni occupati, invece, il diritto di prelazione è riconosciuto prioritariamente ai conduttori;
   nell'ambito di Terrevive, l'Agenzia del demanio effettua una stima dei terreni agricoli inclusi nel decreto, individua i lotti che andranno all'asta e li propone sul mercato, mediante le procedure di vendita e locazione;
   nel caso di terreni di valore pari o superiore ai 100.000 euro, la vendita si svolge tramite il tradizionale avviso d'asta pubblica. Le vendite sono consultabili sul sito del demanio nella sezione dedicata alla vendita beni immobili. I lotti verranno aggiudicati all'offerta più alta rispetto al prezzo di base d'asta. Per i terreni liberi, sarà riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli; per i terreni occupati, il diritto di prelazione verrà riconosciuto prioritariamente agli occupanti che già li lavorano;
   per i terreni di valore inferiore ai 100.000 euro, la vendita si svolge attraverso una procedura negoziata, tramite la pubblicazione dell'elenco dei terreni per 90 giorni nella vetrina immobiliare che sarà disponibile su questo sito. Trascorso questo primo termine, entro i successivi 45 giorni si svolge la fase di asta telematica a rialzo. I lotti vengono aggiudicati al miglior offerente. Anche in questo caso, per i terreni liberi varrà il diritto di prelazione per gli agricoltori under 40; per i terreni occupati è invece data priorità ai conduttori –:
   se s'intendano fornire dati e aggiornamenti completi ed esaustivi in merito ai terreni demaniali messi in vendita (ettari, tipologia di terreni, introiti economici ricavati), anche con particolare riferimento al rispetto della quota del 20 per cento dei terreni posti in locazione per i giovani e al numero di imprese giovanili agricole che hanno aderito al progetto di cui in premessa. (5-08332)


   RUSSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea è attualmente impegnata a definire i dettagli dell'accordo commerciale con gli Stati Uniti, noto anche come TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership);
   il negoziato in questione coinvolge 50 Stati USA 28 nazioni dell'Europa;
   l'obiettivo del TTIP è quello dell'apertura agli Stati Uniti d'America alle imprese europee che godranno anche della riduzione degli oneri amministrativi per le esportazioni e di un impianto di nuove norme tese a facilitare e ad agevolare gli investimenti;
   i contenuti del negoziato rappresentano dunque una grande opportunità per l'economia di ogni Paese dell'Unione per vedere rafforzati i propri valori sui mercati;
   nei giorni scorsi sono stati resi noti i prodotti europei che compongono l'elenco delle 200 eccellenze agroalimentari ed i 22 superalcolici che la commissione europea vuole difendere e valorizzare nell'ambito del negoziato commerciale con gli Stati Uniti;
   per l'Italia i 42 prodotti inseriti nella lista sono i seguenti: aceto balsamico di Modena; aceto balsamico tradizionale di Modena; arancia rossa di Sicilia; Asiago; bresaola della Valtellina; cappero di Pantelleria; cotechino di Modena; culatello di Zibello; fontina; olio di Garda; gorgonzola; Grana Padano; kiwi latina; lardo di Colonnata; lenticchia di Castelluccio di Norcia; mela Alto Adige; Montasio; mortadella Bologna; mozzarella di bufala campana; Parmigiano Reggiano; pecorino romano; pecorino sardo; pecorino toscano; pesca e nettarina di Romagna; pomodoro di Pachino; prosciutto di Modena; prosciutto di Parma; prosciutto San Daniele; prosciutto toscano; provolone Valpadana; quartirolo lombardo; radicchio rosso di Treviso; ricciarelli di Siena; riso nano Vialone veronese; speck Alto Adige; taleggio; olio terra di Bari; olio toscano; formaggio Valtellina Casera; olio Veneto Valpolicella/Veneto Euganei e Berici/Veneto del Grappa; zampone Modena;
   vi è una imbarazzante ripartizione dei prodotti su base geografica con una evidente penalizzazione per i prodotti del Mezzogiorno: si consideri che sui prodotti oggetto di attenzione e tutela europea nel trattato, su indicazione italiana, ben il 90 per cento sono localizzati nelle regioni centrosettentrionali;
   in particolare regioni ad alta vocazione agricola sono del tutto escluse da tali tutele come la Calabria, le Marche, la Basilicata, l'Abruzzo ed il Molise;
   come si evince dall'elenco, la mozzarella di bufala campana DOP è l'unico prodotto a rappresentare una regione come la Campania che conta straordinarie eccellenze la cui produzione è motore di reddito ed occupazione oltre che biglietto da visita del made in Italy nel mondo. Tra i prodotti a marchio che non sono stati presi in considerazione, dal provolone del Monaco alla castagna di Montella, desta stupore soprattutto l'assenza del Pomodoro San Marzano Dop, che tanto interesse suscita proprio tra i consumatori d'oltreoceano;
   l'esclusione del pomodoro San Marzano fa il paio con le recenti dichiarazioni rilasciate dal Commissario all'agricoltura dell'Unione europea, Phil Hogan, che ha praticamente disconosciuto l'esclusività della produzione in un'area geografica delimitata dal disciplinare della DOP e con la richiesta, di taluni, di affiancare al marchio DOP anche una IGP che consenta l'utilizzo del nome San Marzano anche se il pomodoro non è prodotto nell'area DOP;
   è cresciuta a dismisura l'importazione di concentrato di pomodoro cinese lavorato in Italia e poi collocato sui mercati prevalentemente americani –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare il prodotto dall’italian sounding e da quella che appare all'interrogante una deriva lobbistica ed omologatrice di un'Europa che mostra più di guardare agli interessi dei magnati di un'industria massificante e che spesso non privilegia i prodotti della filiera agricola nazionale, che alla difesa dell'agricoltura di qualità. (5-08333)


   TARICCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006 è stato attivato, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il tavolo tecnico di filiera dei suini e nel corso di due incontri, svoltisi il 14 dicembre 2006 e il 16 gennaio 2007, le parti hanno individuato le problematiche generali del settore;
   a seguito del peggioramento delle condizioni di mercato nel corso dei primi 9 mesi del 2007, il tavolo è stato nuovamente convocato ed è pervenuto a una valutazione condivisa sulle criticità del settore;
   è stato pertanto sottoscritto tra le parti un protocollo d'intesa finalizzato a raggiungere nel più breve tempo possibile l'obiettivo di identificare un mercato unico nazionale «per la determinazione anticipata delle quotazioni dei suini e loro derivati, con regole più trasparenti e condivise di rilevazione ed eventuali adeguamenti alle declaratorie che si rendessero necessarie per la definizione di quotazioni di riferimento univoche, trasparenti e rappresentative attraverso il sistema Unioncamere, Borsa Merci e Borsa Merci Telematica Italiana, con l'obiettivo prioritario di distinguere le produzioni DOP e la definizione di un modello condiviso di valutazione delle carcasse suine (peso morto) in relazione alle differenti tipologie qualitative/commerciali di animali, al fine di applicare tali modelli nell'ambito dei rapporti contrattuali di filiera e dei regolamenti speciali di contrattazione della Borsa Merci»;
   il 29 aprile 2010 il Piano di intervento per il settore cunicolo, in attuazione del piano di settore approvato dalla Conferenza Stato-regioni, proponeva un programma di interventi per sostenere la competitività del settore sui mercati interno e internazionale e la redditività delle imprese della filiera; il mercato delle carni cunicole evidenziava un processo di formazione dei prezzi alla produzione non più idoneo all'attuale contesto distributivo, che vede una elevata concentrazione degli acquirenti;
   conseguentemente, nel corso del 2012, si formalizzava l'istituzione della «Commissione unica nazionale dei conigli vivi da carne da allevamento nazionale» e il 3 agosto 2012 la commissione unica nazionale si insediava presso la borsa merci di Verona per definire anticipatamente la tendenza di mercato e il prezzo medio all'ingrosso, nel rispetto di un regolamento approvato dalle parti, con il compito di concordare le previsioni sulle tendenze dei prezzi di mercato dei prodotti e quotare i relativi prezzi a livello nazionale con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che svolge il ruolo di garante tra le parti e una funzione di mediazione tra gli interessi delle parti (venditori e acquirenti), vigilando sul rispetto del regolamento;
   parrebbe ad oggi non ancora attuata «l'intesa di filiera per il settore suinicolo», firmata a Mantova l'8 luglio 2013 dalle regioni italiane maggiormente rappresentative per la produzione suinicola, dalle associazioni di rappresentanza degli allevatori, delle aziende di trasformazione, delle organizzazioni di prodotto e dei Consorzi di tutela, che prevedeva «contratti tipo» accanto all'introduzione della classificazione a peso morto; intesa che, se attuata, avrebbe potuto dare una svolta al settore e superare il ritardo rispetto alle norme europee in materia, nel continuare a trattare i suini a peso vivo;
   nel decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, recante disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, è stato introdotto l'articolo 6-bis che prevede norme per la trasparenza nelle relazioni contrattuali nelle filiere agricole. Il comma 5 del predetto articolo 6-bis dispone, in presenza di commissioni uniche nazionali, la sospensione dell'autonoma rilevazione, da parte delle borse merci locali, riguardante le categorie merceologiche per cui sono state istituite le Commissioni uniche nazionali (CUN);
   ad oggi risultano costituite, peraltro con criteri antecedenti alla nuova legge, solo due CUN, relative al settore dei conigli e dei suini; molte erano invece le rilevazioni che, nelle varie province, erano settimanalmente effettuate e pubblicate;
   nei mesi scorsi le rappresentanze delle varie filiere lamentavano la mancanza della norma ministeriale, prevista dal comma 1 del suddetto articolo 6-bis, che avrebbe dovuto definire le modalità di funzionamento delle CUN e individuare criteri per assicurare adeguata rappresentanza e partecipazione nelle medesime, agli imprenditori provenienti dai territori nei quali i settori di riferimento sono più significativi;
   inoltre, in diverse occasioni le rappresentanze delle filiere hanno lamentato difficoltà di funzionamento delle CUN già costituite, mentre in alcuni territori si esprime rammarico per il rischio di smantellamento della rete delle commissioni locali che, pur con diversi limiti, rappresentava un valido riferimento per operatori commerciali, aziende di macellazione ed allevatori;
   il ruolo di rilevamento svolto dalle camere di commercio attraverso le commissioni locali non solo non è stato lesivo della concorrenza ma ha rivestito in questi anni una funzione che, oltre ad adempiere in molti casi a finalità statistiche, è stata di aiuto alla trasparenza del settore;
   risulterebbe che la camera di commercio di Cuneo sia stata diffidata dal continuare l'attività della Commissione per la rilevazione prezzi dei conigli, con richiesta di sospensione immediata, per evitare «da un lato logiche squisitamente locali potenzialmente restrittive della concorrenza, dall'altro il contrasto con le norme comunitarie a tutela della concorrenza e con le nuove disposizioni della Legge 91/2015»;
   ad una attenta lettura del decreto-legge n. 51 del 2015, come convertito dalla legge n. 91 del 2015, si rileva che:
    la sospensione delle autonome rilevazioni dei prezzi da parte delle commissioni locali istituite presso le camere di commercio debba avvenire «in caso di istituzione delle commissioni uniche nazionali di cui al comma 1» solo a seguito dell'emanazione del «Decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano» che dovrebbe definire le «disposizioni concernenti l'istituzione e le sedi delle commissioni uniche nazionali»; 
    l'attività delle commissioni presso le camere di commercio dovrebbe essere, comunque, oggetto di sospensione solamente quando «autonoma», per cui nei fatti nulla osterebbe alla possibilità che le CUN nei vari settori possano comunque valorizzare, con apposite convenzioni, l'importante ruolo di rilevamento, in alcuni casi svolto egregiamente, dalle camere di commercio a livello locale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere in merito, e se, nella predisposizione del decreto interministeriale di cui in premessa, non intenda trovare modalità di intervento tali da evitare la dispersione delle esperienze virtuose delle commissioni presso le camere di commercio, salvaguardandone la funzione, soprattutto laddove esse facciano riferimento a produzioni locali rappresentative di quote significative della produzione nazionale e, comunque, definendo criteri per i quali, nella composizione delle commissioni nazionali, sia assicurata adeguata rappresentanza e partecipazione agli imprenditori provenienti dai territori nei quali i settori di riferimento siano più significativi, anche per consentire una più corretta rilevazione dei prezzi per le specifiche categorie. (5-08334)


   FEDRIGA, GUIDESI, RONDINI e BORGHESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la pesca professionale attualmente viene praticata principalmente ad opera di pescatori stranieri, prevalentemente provenienti dai Paesi dell'Est Europa, con particolare riferimento al delta del Danubio, oltre ad un esiguo numero di operatori italiani, a giudizio degli interroganti comunque compiacenti dei trafficanti dell'Est Europa;
   questi soggetti, operano a fronte dell'acquisizione di una licenza di pesca professionale, rilasciata dalla provincia di residenza, in funzione della rispettiva legge regionale, a costi annuali irrisori, senza l'obbligo di nessun corso o qualifica di specializzazione. La licenza di pesca, dà diritto all'attività di pesca e alla commercializzazione del relativo pescato verso i mercati ittici o comunque imprenditori commerciali del comparto ittico;
   dal 2012, si sono aperti dei mercati con le industrie dell'Est Europa, principalmente Romania, per la lavorazione del pescato d'acqua dolce, sia per l'alimentazione umana, sia per la produzione di alimenti per animali. La filiera di tali mercati, per potersi sostenere, richiede ingentissime quantità di materia prima e in soli tre anni, molti corsi d'acqua hanno subito una contrazione di risorsa ittica fino al 90 per cento;
   questo sistema industriale si rivolge principalmente verso le acque italiane interne, in particolare, in ogni corso d'acqua della pianura padana dove la pesca professionale e la commercializzazione del pescato sono autorizzate. È altresì ovvio che le acque interne della pianura padana non possono costituire e continuare ad essere a lungo il bacino di approvvigionamento della risorsa ittica necessaria ad alimentare il sistema industriale di lavorazione del pescato costituitosi nell'Est Europa;
   la pesca professionale praticata dai suddetti pescatori stranieri porta introiti irrisori provenienti dalle licenze professionali, ha regimi fiscali ai minimi, non lascia nessun indotto sul territorio e trasferisce il capitale ittico all'estero, sottraendolo definitivamente alla pesca sportiva che invece sviluppa un indotto commerciale pari a circa tre miliardi di euro l'anno, tra attrezzatura direttamente venduta, strutture ricettive e varie ricadute economiche sul territorio;
   tutto il materiale ittico pescato e commercializzato viene catturato in qualsiasi corso d'acqua possibile senza tener conto delle condizioni ambientali, qualità e salubrità delle acque, senza distinzione di specie ittica, pregiata o non, tutelata o non. Inoltre, il pescato non è soggetto a nessun idoneo controllo sanitario o comunque non pare caratterizzato da veritiera certificazione di provenienza;
   il materiale ittico viene altresì catturato quasi sistematicamente in modo illegale: pesca in zone non consentite, oltre i limiti di orario previsti, con strumenti o metodi non autorizzati, spesso stordendo i pesci con la corrente elettrica o con lo sversamento in acqua di sostanze chimiche;
   le quantità di fauna ittica catturata, soprattutto con modalità fraudolente, sono ingentissime e riescono ad eludere le attività di controllo. Vengono conferite presso vari centri di stoccaggio, spesso in strutture private o magazzini, con discutibile osservanza delle più comuni regole e idonee autorizzazioni;
   settimanalmente il materiale ittico stoccato viene caricato su furgoni frigo coibentati e trasferito verso i mercati dell'Est Europa per la lavorazione e la trasformazione. Dal momento in cui il materiale ittico, pescato illegalmente, viene caricato sui furgoni, che rispettano le normative idonee per il trasporto, quel carico di pesce diventa regolare, in quanto ha un mittente con una valida partita iva (quella di pescatore di professione e imprenditore ittico) e un legittimo destinatario con sede all'estero;
   si viene a creare, quindi, un'anomalia che vede, da un lato, le forze di polizia e le istituzioni impegnate nei contrastare i reati di pesca di frodo, ma con risultati quasi esigui, e, dall'altro, ingenti quantità di risorsa ittica, frutto del reato stesso, divenire regolari dal momento dello stoccaggio al conferimento presso il destinatario finale;
   vanno rimarcati la mancanza di veridicità sulla provenienza del pescato, l'assoluto dubbio sulla salubrità delle carni stesse, la contrazione enorme del patrimonio ittico italiano e l'ingente danno causato all'indotto socio-economico della pesca sportiva –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le iniziative urgenti che intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di fronteggiare la grave situazione in cui versano le acque ciprinicole interne, o almeno dell'areale padano, in particolare relativamente alla commercializzazione del pescato proveniente dalle stesse acque. (5-08335)


   GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio oleicolo internazionale (COI), istituito nel 1959 sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, è l'unica organizzazione intergovernativa mondiale che si occupa del settore dell'olio di oliva e delle olive da tavola; esso ha sede a Madrid e ne fanno parte 28 Paesi tra cui l'Italia che non solo è uno dei Paesi fondatori, ma rappresenta, nel complesso, il 98 per cento della produzione mondiale di olio di oliva;
   il COI si adopera a favore di un'olivicoltura sostenibile e responsabile e costituisce un forum di confronto a livello mondiale sulle linee di azione per affrontare le sfide del presente e del futuro;
   per conseguire i suoi obiettivi il COI favorisce la cooperazione tecnica internazionale attraverso progetti di ricerca e sviluppo, attività di formazione e trasferimenti di tecnologia; favorisce la crescita del commercio internazionale di olio di oliva e olive da tavola, fissa e aggiorna le norme commerciali, si adopera per il miglioramento della qualità; lavora per una maggiore integrazione della dimensione ambientale nelle attività del settore olivicolo/oleario; promuove il consumo mondiale di olio d'oliva e olive da tavola mediante campagne innovative e programmi specifici; pubblica statistiche e informazioni chiare e puntuali sul mercato mondiale dell'olio di oliva e delle olive da tavola; riunisce periodicamente i rappresentanti dei governi, che riflettono sui problemi del settore e sulle priorità di azione e collabora strettamente con il settore privato;
   come prontamente riportato da alcune agenzie di stampa, quali Agra Press e Agricolae, dal 7 al 10 marzo 2016 si è svolta la ventiseiesima sessione straordinaria del COI nel corso della quale sono stati nominati due vice direttori: lo spagnolo Jaime Lillo ed il turco Mustafa Sepetci che entreranno in carica dal primo luglio 2016 –:
   quali ulteriori elementi possa riferire in merito a quanto espresso in premessa e se non ritenga di dover intervenire affinché la posizione dell'Italia nell'ambito del Consiglio sia adeguatamente rappresentata non solo in considerazione della eccellenza della produzione olivicola nazionale ma anche al fine di scongiurare ogni dubbio circa la possibilità che le suddette nomine ai vertici del COI possano in qualche modo favorire l'ulteriore importazione senza dazio nel territorio unionale di olio proveniente da Paesi terzi. (5-08336)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI, SCOTTO, FERRARA, AIRAUDO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, COSTANTINO, NICCHI e PLACIDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel dossier Coldiretti «Quote latte: un anno dopo» viene analizzato il quadro drammatico del settore della produzione latteria in Italia;
   lo studio sottolinea come, a fronte di una produzione nazionale che si aggira attorno ai 110 milioni di quintali di latte, ci siano 85 milioni di quintali di importazioni di latte equivalente dall'estero, in diverse forme quali concentrati, cagliate e semilavorati per la produzione industriale;
   il dato è particolarmente allarmante, sia per la quantità di tali importazioni (il 40 per cento), sia perché i consumatori non sono adeguatamente informati sulla provenienza della materie prime e quindi non sono in grado di esercitare una scelta informata e consapevole sull'acquisto dei prodotti e sulla loro qualità;
   la situazione nella regione Marche rispecchia il dato nazionale. Coldiretti Marche sostiene, infatti, che a partire dal 2008, nella regione, una stalla su tre è stata costretta a chiudere;
   attualmente, le stalle in attività ammontano a circa cento, con una produzione che, nel 2015, contava circa 310 mila quintali di latte. Il dato esprime la reale misura di quanto si è perso in termini di produzione se accostato ai livelli di attività nel periodo pre-crisi, che si aggirava attorno ai 460 mila quintali annui;
   questo trend presenta evidenti criticità in ordine alla produzione lattiero-casearia locale, con il rischio della progressiva perdita di produzioni tipiche del territorio, e alla funzione di presidio ambientale che le stalle – per oltre la metà situate in aree montane e disagiate della regione – svolgono in concreto, grazie alle attività di manutenzione del territorio, e di pulizia e compattamento dei suoli;
   ad influire in modo determinante sullo stato di salute delle stalle italiane è la normativa europea che non prevede, attualmente, l'obbligo di indicare la provenienza dei prodotti trasformati, inoltre risulta determinante in tale situazione l'eccessiva sperequazione tra il prezzo pagato agli allevatori-produttori dalla grande distribuzione ed il prezzo dei prodotti allo scaffale;
   in una nota del 2 aprile 2016 il Ministro interrogato ha ribadito il suo sostegno agli allevatori e l'impegno sulla equa remunerazione del lavoro nel settore, oltre ad auspicare risposte concrete dall'Europa –:
   se il Ministro interrogato non intenda fornire chiarimenti sulle iniziative adottate al fine di incentivare una equa remunerazione dei produttori latteari;
   quali iniziative stia adottando il Governo in sede comunitaria in ordine alle problematiche esposte in premessa.
(4-12741)


   BRUNO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   anche la pesca calabrese (899 imbarcazioni, prevalentemente di piccola pesca costiera, 5.000 occupati, con una produzione di circa 12.000 tonnellate per un valore della produzione di circa 56,5 milioni di euro) subisce gli effetti di una crisi senza precedenti pur essendo la regione dotata di oltre 800 chilometri di costa e ubicata in una delle aree più pescose del Mediterraneo;
   in particolar modo la pesca del tonno rosso potrebbe costituire un volano importante per le piccole imprese ittiche calabresi, ma la ripartizione delle quote, come denunciano operatori del settore e la stessa Coldiretti, favorisce una ristretta minoranza di realtà, che ha in mano il 90 per cento delle risorse, e penalizza la stragrande maggioranza delle altre aziende detentrici;
   proprio per la pesca al tonno si chiedeva un riequilibrio tra i sistemi di pesca che fino al 2014 sembrava aver privilegiato solo 12 imbarcazioni con l'assegnazione del 75 per cento del pescabile italiano, lasciando le briciole al sistema palangaro e di fatto negando la possibilità di pescare a più di 8.000 unità da pesca composte prevalentemente da piccole imbarcazioni;
   dopo anni di forti riduzioni della quota pescabile di tonno rosso, l’International Commission for the Conservation of Tunas ha adottato una nuova raccomandazione con la quale sono state modificate alcune misure di gestione e conservazione del tonno rosso, tra cui l'aumento del totale ammissibile di cattura (TAC) nel triennio 2015-2017;
   l'aumento di quote di cattura attribuito dall'ICCAT, come ogni anno, è distribuito tra i Paesi dell'Unione che praticano la pesca del tonno rosso e, in relazione al riparto storico, all'Italia, nel triennio 2015-2017, spetta un aumento di circa 1.500 tonnellate;
   un aumento così consistente delle quote di cattura del tonno rosso sta a dimostrare che questo stock è in ottima salute, quindi non a rischio di sovra sfruttamento come sovente erroneamente viene propagandato e che il piano di controlli voluto dalla Commissione funziona;
   nonostante quest'aumento, però, sembrerebbe verificarsi una beffa ulteriore. Infatti, l'aumento del pescato sarebbe riservato all'attuale flotta delle imbarcazioni italiane composta da poche imbarcazioni concentrate, in particolare nella sola regione Campania. In Calabria, ad esempio, è autorizzata solo una imbarcazione –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per sanare un'evidente ingiustizia ai danni della maggior parte dei pescatori, in particolare di coloro che, pur essendo in condizioni di dedicarsi alla pesca del tonno rosso, vengono, ancora una volta, bloccati a vantaggio dei grossi pescherecci;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare al fine di sanare una distribuzione delle quote ancora una volta diseguale e per salvaguardare la pesca artigianale che è un comparto importante dell'economia calabrese e nazionale.
(4-12744)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   MONCHIERO, GALGANO, VEZZALI, D'AGOSTINO, SOTTANELLI, GIGLI, FAUTTILLI, MOLEA, MATARRESE, VARGIU, BARADELLO e SBERNA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   destano orrore e sgomento gli episodi, sempre più frequenti in questi ultimi tempi, di maltrattamenti di disabili e anziani, malati psichici o persone affette da Alzheimer umiliati da insulti, schiaffi, calci e minacce negli istituti di accoglienza che avrebbero dovuto proteggerli e donare loro conforto;

   nello specifico è sconcertante quello che, secondo i carabinieri, è accaduto nella casa protetta Villa Matilde di Bazzano, in provincia di Parma. Molti gli episodi documentati, dal video choc mostrato dai militari, che hanno registrato almeno un centinaio di condotte offensive nel giro di quattro mesi ai danni degli ospiti. Sette assistenti della struttura (uomini e donne tra i 28 e i 57 anni) sono finiti ai domiciliari per concorso in maltrattamenti aggravati;
   nei video si vedono ospiti lasciati a terra per diverso tempo dopo una caduta, anziani derisi da operatori che agivano, spiegano gli investigatori, «emulandone i gemiti o le andature barcollanti, mortificati costringendoli a spogliarsi e cambiarsi alla presenza di altre persone»;
   il secondo piano della struttura dov'era situato il reparto dedicato ai malati di Alzheimer e con problemi psichiatrici, erano secondo gli interroganti come un lager: gli operatori socio sanitari che dovevano assistere gli ospiti li sottoponevano sistematicamente a violenze fisiche e psichiche;
   gli episodi documentati di violenze e abusi sono almeno un centinaio. Fatti gravi, che hanno richiesto un intervento dei carabinieri anche per la sicurezza degli anziani ospiti. La direzione della struttura non è coinvolta e Villa Matilde continua ad operare: nel reparto psichiatrico sono stati sostituiti tutti gli operatori arrestati;
   gli abusi sono stati fermati venerdì 18 marzo 2016 da un blitz della compagnia dei carabinieri di Parma, che ha eseguito sette ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di altrettanti dipendenti di Villa Matilde, due uomini e cinque donne;
   la Procura ha documentato anche episodi singoli di violenze, compiuti da operatori che erano stati trasferiti temporaneamente da altri reparti. In due casi è stata chiesta l'interdittiva dalla professione per il reato di violenza privata, ad esempio quando un'operatrice ha costretto un anziano a inginocchiarsi e tenendolo per il collo gli ha fatto mangiare la pasta caduta sul pavimento;
   la casa protetta è gestita dalla cooperativa bergamasca Kcs Caregiver ed è convenzionata con il settore pubblico. Da anni presente sul territorio, anche con una sede a Felino, essa aveva un'ottima fama come servizio di accoglienza per anziani. Proprio per questo, denunciano gli inquirenti, non è stato facile squarciare il velo di omertà che ha permesso che nel reparto degli ospiti più fragili le persone venissero trattate come bestie;
   non è il primo caso nel parmense: risale al mese scorso l'arresto di tre operatrici di una casa famiglia a San Pancrazio, Villa Alba, accusate di picchiare e insultare gli ospiti. La struttura è stata chiusa dopo lo scandalo;
   si tratta di una vicenda drammatica di maltrattamenti contro le persone più vulnerabili, che non mancherà certo di sollevare polemiche e interrogativi sui controlli dell'Ausl e dei comuni sulle strutture per anziani, in questo caso anche accreditate dal sistema sanitario nazionale;
   altri i casi documentati come quello nell'agro nocerino-sarnese, dove sette dipendenti della casa di cura «Villa dei Fiori», in via Poggio San Pantaleone, a Nocera Inferiore (Salerno), sono stati arrestati perché ritenuti responsabili, in concorso tra loro, di maltrattamenti. L'indagine, avviata nell'ottobre 2014, ha documentato maltrattamenti fisici e psicologici nei confronti di alcuni ospiti semiresidenziali della casa di cura, portatori di handicap fisici e mentali gravi;
   da un articolo pubblicato sul sito quotidiano.net (www.quotidiano.net/roma) dell'8 febbraio 2016 si evincono altri tragici episodi: «Blitz dei Nas, insieme ai militari del Gruppo Carabinieri di Frascati, fin dalle prime ore del mattino, per eseguire 10 ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Procura della Repubblica di Velletri riguardo a maltrattamenti a disabili. Percosse, insulti e intimidazioni, un vero e proprio clima di terrore instaurato in centro di riabilitazione neuropsichiatrico a Grottaferrata, vicino a Roma»;
   un altro caso choc si legge su « Avvenire» del 16 febbraio 2016, con il titolo «Violenze sui disabili: botte e abusi a Cagliari: 16 indagati»: «Calci, pugni, minacce, insulti, umiliazioni ai disabili in una casa di cura da parte di infermieri e operatori sanitari»;
   la Stampa del 20 febbraio 2016, titola: «Presi a schiaffi e calci. Strattonati per i capelli. Picchiati con manici di scopa e chiavi. Feriti, umiliati. Sono un orrore le immagini girate dalla polizia, di nascosto, nella residenza per anziani e malati psichici di Borgo d'Ale, nel Vercellese»;
   si tratta di numerosi e inconfutabili esempi di danni psico-fisici causati a persone deboli, incapaci di autodifendersi, ed è evidente l'intensificarsi dei casi di maltrattamenti nelle strutture di ricovero, ai danni della fascia più debole e indifesa della popolazione che viene trattata come un peso economico-sociale –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda porre in essere per impedire il ripetersi di situazioni quali quelle descritte in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per introdurre specifiche misure di controllo e di vigilanza. (5-08323)


   NIZZI e RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della risposta all'interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-06880 del 4 novembre 2015 avente per oggetto la cancellazione del numero progressivo in chiaro delle confezioni presente sullo strato intermedio del bollino il Governo ha comunicato di aver richiesto chiarimenti e dimensione del fenomeno all'I.P.Z.S. e di essere in attesa di ricevere indicazioni da parte del medesimo Istituto;
   nel merito della questione, secondo quanto riferito dal Governo, la dimensione del fenomeno è elemento discriminante per definire le azioni da intraprendere; la funzione dello strato intermedio dei bollini è quella di assicurare la leggibilità del numero progressivo targa, al fine di garantire l'identificazione della confezione anche quando lo strato superiore viene rimosso per l'erogazione a carico del servizio sanitario;
   è di questi giorni la notizia riportata da organi di stampa nazionale riguardante un'ennesima truffa aggravata ai danni della sanità pubblica per il ritrovamento, all'interno di alcune farmacie, di confezioni prive del primo strato del bollino, utilizzato per il rimborso delle confezioni in modo fraudolento;
   tali confezioni sono state sottoposte a sequestro da parte degli organi di polizia competente, per ulteriori accertamenti finalizzati a risalire alla provenienza e destinazione degli stessi;
   tutto ciò premesso, appare evidente che, nell'ipotesi in cui sullo strato intermedio che rimane attaccato a dette confezioni, non risulti leggibile il numero targa, verrebbero impedite sia le azioni di individuazioni delle provenienze sia quelle delle destinazioni, rendendo impossibile rintracciare le ricette oggetto di rimborso;
   nonostante sia chiara la necessità che tale numero identificativo risulti indelebile e che già da tempo l'I.P.Z.S. sia a conoscenza del suddetto difetto, cioè numero non indelebile, in questi giorni, l'IPZS, a quanto risulta agli interroganti, starebbe continuando ad immettere sul mercato bollini difettosi con numeri targa asportabili e non indelebili, prodotti da gennaio 2016 con nuovo layout e doppio codice, nuova versione, stampati con i nuovi impianti di recente acquisizione;
   l'interrogante ha potuto esaminare campioni di astucci di medicinali con bollino difettoso (numero targa asportato e certamente prodotto da gennaio 2016 in quanto trattasi di bollino di nuova versione);
   le confezioni di medicinali senza il numero di targa che l'interrogante ha potuto esaminare sono state prodotte dalle seguenti aziende farmaceutiche:
    TEVA ITALIA srl, prodotto Bisoprololo Teva, dispensato dal sistema sanitario nazionale;
    TEOFARM srl, prodotto Viscken dispensato dal sistema sanitario nazionale;
    DOC GENERICI srl, prodotto Eletriptan dispensato dal sistema sanitario nazionale;
    DOC Generici srl, prodotto Aripiprazolo dispensato dal sistema sanitario nazionale;
    MSD Italia srl, prodotto Sinemet 100 mg dispensato dal sistema sanitario nazionale –:
   se il Ministro, interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, ritenga opportuno assumere iniziative per ritirare dal mercato i prodotti di cui in premessa, muniti di bollino difettoso, informando tutte le aziende farmaceutiche, in particolare Teva Italia srl, Teofarm srl, Doc Generici srl, MSD Italia srl, affinché le stesse verifichino, che il numero di targa dei bollini sia indelebile prima che venga applicato sulla confezione, in modo da evitare di immettere ancora sul mercato prodotti difettosi e non rintracciabili, oltre a favorire l'intensificarsi dei controlli nell'ambito dell'intera filiera distributiva, al fine di verificare che il numero di targa dei bollini sia indelebile. (5-08324)


   SILVIA GIORDANO, TOFALO, COLONNESE, MANTERO, DI VITA, LOREFICE, GRILLO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dagli anni Ottanta, a Salerno, nella zona di Fratte, al confine con la Valle dell'Irno, sono ubicate le Fonderie Pisano, dove viene smaltito e bruciato ferro e ghisa;
   all'epoca la zona era prevalentemente industriale, ma in seguito, con l'approvazione del nuovo piano regolatore regionale del comune di Salerno, cominciarono ad edificare e adesso c’è un vero e proprio conglomerato urbano che ospita centinaia di famiglie, supermercati, bar, pompe di benzina e altro;
   le Fonderie Pisano restano ancora ubicate in quella zona, causando fumi che, a seconda di come soffia il vento, giungono fino al centro di Salerno e nella Valle dell'Irno;
   il dipartimento dell'Arpac di Salerno ha effettuato i primi sopralluoghi a seguito di una ispezione dei Noe, che risale alla fine degli anni Novanta;
   da quella ispezione, nacque un'inchiesta della magistratura per mancanza di autorizzazione di scarichi di acqua reflua che convergevano nel fiume Irno che costeggia la zona;
   il processo si concluse con una sentenza di patteggiamento;
   una seconda inchiesta ha coinvolto di recente le Fonderie Pisano, a seguito di un esposto firmato da alcuni residenti della zona che si sono riuniti in un comitato chiamato «Salute e Vita»;
   il comitato ha più volte chiesto un incontro con l'ex sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, per ottenere la delocalizzazione dell'impianto, dal momento che molti sono i residenti di Fratte e delle frazioni limitrofe che si sono ammalati di neoplasie varie;
   l'ultimo incontro avuto con l'ex sindaco di Salerno risale all'aprile 2014, in occasione del quale fu promessa loro la delocalizzazione dell'impianto;
   la delocalizzazione, però, non è mai avvenuta, anche quando, ad aprile 2014, si è concluso il secondo processo a carico del titolare delle Fonderie Pisano per reati ambientali, conclusosi con una seconda sentenza di patteggiamento e una multa da 800 euro;
   frattanto, le morti e i funerali sono aumentati. Solo a febbraio 2016, il parroco don Marco Raimondo ha celebrato sette funerali in sette giorni per morti da sarcoma;
   tanto che il 23 febbraio 2016, la regione Campania ha ordinato con decreto la chiusura temporanea dello stabilimento, imponendo determinate prescrizioni da osservare per poter riprendere l'attività;
   il 28 gennaio 2016, infatti, funzionari dell'Arpac di Caserta e di Salerno, su mandato della procura di Salerno, hanno effettuato una ispezione, da cui sono emerse varie carenze strutturali dell'impianto dannose per l'ambiente e per la salute dei cittadini;
   in particolare, l'Arpac sottolinea la «scarsa manutenzione dei sistemi di trattamento delle emissioni in atmosfera» e la «mancata adozione di misure rispetto a superamenti di portata e di valori di emissione significativi emersi dagli autocontrolli effettuati» e «una scarsa conoscenza della normativa ambientale applicata allo specifico settore di riferimento»;
   in conclusione, l'Arpac ha rilevato «gravi criticità con particolare riferimento alle emissioni in atmosfera, alla gestione dei rifiuti e agli scarichi idrici, con conseguente determinazione di situazioni connotate di immediato pericolo e danno per l'ambiente e la salute pubblica»;
   dopo due settimane, il 9 marzo 2016, la regione Campania autorizza, con decreto, la riapertura delle Fonderie Pisano, sulla base di una ispezione effettuata il 7 marzo 2016 da funzionari dell'Arpac di Salerno;
   il sopralluogo in esame ha accertato che nelle Fonderie sono stati effettuati lavori relativi alla raccolta dei rifiuti, alla chiusura delle finestre rotte dello stabilimento e all'individuazione di nuove aree di deposito per i rifiuti;
   tuttavia, scrive l'Arpac «il riscontro relativo ai limiti di portata emissioni in atmosfera e alla rimozione delle cause di superamento valori limiti allo scarico, potrà essere concluso solo attraverso attività di campionamento ad impianto attivo» —:
   se non ritenga che sussistano i presupposti per promuovere un'ispezione urgente del comando dei carabinieri per la tutela della salute allo scopo di verificare l'esistenza di un pericolo grave ed imminente per la salute dei residenti nell'area, anche al fine di intraprendere per quanto di competenza un'attività di screening e di verifica dei potenziali danni alla salute dei cittadini residenti nell'area. (5-08325)


   BORGHESE e LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione della giunta regionale Puglia n. 161 del 29 febbraio 2016 «Regolamento regionale Riordina Ospedaliero della regione Puglia ai sensi del decreto ministeriale 70/2015 e della legge di stabilità 28 dicembre 2015, n. 208. Modifiche e integrazione del R.R. n. 14/2015» si è dato il via al nuovo piano di riordino ospedaliero pugliese per prossimo triennio;
   la Puglia, con la sua rete ospedaliera, offre al 21 gennaio 2016, 13 mila posti letto, distribuiti tra 74 presidi pubblici e privati accreditati. Con il riordino tali posti letto sono stati ridistribuiti tra ospedali di secondo livello (hub), ospedali di primo livello e ospedali di base. La riforma prevede cinque ospedali di secondo livello – Ospedali Riuniti di Foggia, Policlinico di Bari, Santissima Annunziata di Taranto, Perrino di Brindisi e Vito Fazzi di Lecce –, undici di secondo livello – Ospedale Masselli di San Severo, Tatarella di Cerignola, Bonomo Andria, Dimiccoli di Barletta, Di Venere e San Paolo di Bari, Ospedale della Murgia di Altamura, Ospedale Civile di Castellaneta, Camberlingo di Francavilla Fontana, Sacro Cuore di Gallipoli, Delli Ponti di Scorrano –, a cui si aggiungono anche altri ospedali privati dotati di pronto soccorso, dodici ospedali di base – Ospedale di Manfredonia, Vittorio Emanuele di Bisceglie, Umberto I di Corato, Don Tonino Bello Molfetta, San Giacomo di Monopoli, Santa Maria degli Angeli di Putignano, Ferrari Casarano, San Giuseppe di Copertino, Santa Caterina di Galatina, Ospedale Civile di Ostuni, Giannuzzi di Manduria, Valle D'Itria di Martina Franca;
   sulla carta nulla da eccepire se non fosse per un particolare di non scarsa importanza: all'articolo 2, n. 18 si legge «in considerazione delle specifiche criticità epidemiologiche dell'area di Taranto sono stati attivati 15 posti letto della disciplina di pneumologia presso l'ospedale di Manduria». Tale affermazione porta con sé la conseguente eliminazione del reparto di pneumologia dall'ospedale Santissima Annunziata di Taranto, nato con lo specifico intento, e per volontà dello stesso ospedale, di soccorrere e assistere i pazienti affetti di malattie respiratorie derivanti dall'esposizione agli agenti inquinanti di cui è affetta tutta l'area tarantina;
   di fatto Taranto risulta l'unica ASL in Puglia priva di pneumologie pubbliche e il SS Annunziata – Moscati è l'unico presidio giornaliero di II livello in Puglia privo di pneumologia ospedaliera e cardiochirurgia a differenza di quanto indicato nei piani regionali deliberati sino al 2015. La riforma attribuisce invece 37 posti letto di pneumologia a privati, mentre la cardiochirurgia Toracica è assegnata esclusivamente a Foggia, Bari e Lecce;
   inoltre, secondo la riforma, si prevede la chiusura lungodegenza dell'ospedale S. Marco di Grottaglie, riducendo fortemente la possibilità di dimissioni protette per quei pazienti che necessitano di ulteriori periodi di cure o che sono in attesa di un posto per la riabilitazione post acuzie;
   da un documento, redatto dal «dipartimento area medica – ASL TA», si evince che «Taranto paga una penalizzazione quantitativa e qualitativa, per errori di valutazione (carichi di Lavoro e piante organiche) e per mancata istituzione dei servizi. I piani di riordino prevedevano reparti e U.O. per il pubblico e per il privato; purtroppo il privato li ha realizzati, nel pubblico non sono stati mai avviati: 600 posti letto in meno (standard attuale previsto. Max 3,7 posti letto ogni 1000 abitanti); 2000 (circa) occupati in meno nella Asl di Taranto. Ne consegue un gap per carenza di risorse in termini di assistenza e qualificazione futura con prevedibile impossibilità di rientrare negli standard. In particolare, l'impossibilità di rientrare nei termini previsti dalla legge di stabilità 2016: scostamento tra costi (rilevati nel modello ministeriale CE consuntivo) e Ricavi (determinati come remunerazione dell'attività) pari o superiore al 10 per cento dei ricavi, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro; economici (legge di Stabilità 2016)»;
   sempre nel documento si legge inoltre: «nella ASL di Taranto sono previsti per la lungodegenza 24 posti letto: 12 p.l. a Martina Franca e 12 a Manduria. Questa previsione è certamente utile per il bacino d'utenza di questi ospedali, ma non tiene conto della città di Taranto e del Polo Occidentale. Infatti la lungodegenza, indispensabile per i pazienti e le famiglie fragili ed in difficoltà, non è prevista per l'Ospedale di II livello di Taranto con bacino d'utenza maggiore di 300.000 abitanti (Taranto e comuni limitrofi) e del P.O. di I livello di con un bacino d'utenza di 120.000 abitanti. Ne deriva che la gran parte della provincia di Taranto, quella più colpita a livello ambientale ed in crisi economica, non ha una dotazione sufficiente di posti letto di lungadegenza»;
   il quadro descritto non lascia adito a dubbi: la riforma varata dal consiglio regionale penalizza fortemente Taranto e tutta l'area circostante lasciando da soli ancora una volta i cittadini che giornalmente si trovano a fare i conti con i problemi ormai atavici della città, disoccupazione dilagante, inquinamento ambientale, degrado urbano, aumento delle patologie oncologiche e altro;
   in una mozione sul mezzogiorno, la n. 1-00766 del 25 marzo 2015, accolta dal Governo, a firma Labriola ed altri, era già stato affrontato il problema della carenza di strutture sanitarie per il sud facendo riferimento in particolare alle aree più a rischio ambientale e si impegnava l'esecutivo a: «potenziare le strutture ospedaliere territoriali colmando le insufficienze strutturali e, soprattutto, la carenza di tecnologie avanzate, nell'ottica di un ammodernamento della strumentistica medica e dello sblocco del turnover del personale, con particolare attenzione per quelle zone in cui le evidenze epidemiologiche e scientifiche testimoniano un'elevata presenza di patologie oncologiche e di fronteggiare in maniera realistica ed incisiva l'emergenza ambientale, con particolare riguardo per quelle zone in cui tale allarme sia diretta conseguenza della presenza di realtà produttive di grandi dimensioni, valutando, in riferimento all'area di Taranto e alla presenza dell'Ilva, l'opportunità di assumere iniziative di carattere legislativo volte ad assicurare un aggiornamento quantomeno trimestrale della valutazione del danno sanitario prevista dall'articolo 1-bis, del decreto-legge n. 207 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, in modo da avere stime puntuali e dati precisi a fronte di medie annuali –:
   se intenda adottare le iniziative di competenza volte a garantire a Taranto e in tutta la provincia i livelli essenziali di assistenza con particolare riguardo ai servizi sanitari di emergenza e lungodegenza legati alle patologie polmonari e cardiache, per la criticità ambientale che coinvolge l'intera area e alla luce della prospettata chiusura dei reparti sopracitati del polo ospedaliero SS Annunziata, che dovrebbe essere potenziato dal punto di vista strumentale e del personale sanitario.
(5-08326)


   CARNEVALI, LENZI, GRASSI, CAPONE, PAOLA BOLDRINI, AMATO e PATRIARCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5/01924 a prima firma Carnevali assegnata alla Commissione affari sociali il 21 gennaio 2014, già si era evidenziato il problema dei farmaci «a singhiozzo» o «fantasma»;
   a tale interrogazione il Governo aveva risposto in data 14 gennaio 2015 affermando che si è «provveduto nell'ambito del decreto-legge 19 febbraio 2014 n. 17 concernente il recepimento della direttiva 2011/62/UE, che modifica la direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano – al fine di impedire l'ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale – a far approvare specifiche disposizioni dirette a garantire che i farmaci essenziali siano presenti nel territorio nazionale, onde soddisfare le esigenze dei pazienti. In particolare, nel provvedimento di recepimento sopra indicato, rivisitando il concetto di obbligo di servizio pubblico, di cui all'articolo 1, lettera s), del decreto legislativo n. 219/2006, è stato sancito che non possono essere sottratti, alla distribuzione e alla vendita per il territorio nazionale, i medicinali per i quali sono stati adottati specifici provvedimenti al fine di prevenire o limitare stati di carenza o indisponibilità, anche temporanee, sul mercato o in assenza di valide alternative terapeutiche. È stato inoltre introdotto un sistema di segnalazioni e verifiche a cura degli Enti territoriali, finalizzato a monitorare i casi di distorsione distributiva locale – cioè indisponibilità di farmaci non dovuta a problemi produttivi – prevedendo la possibilità di irrogare sanzioni efficaci e dissuasive a coloro che, nella filiera del farmaco, violano l'obbligo di «servizio pubblico». Al fine di assicurare l'osservanza delle citate disposizioni emanate a tutela della salute, il Comando Carabinieri per la tutela della salute – Nucleo Antisofisticazioni e Sanità – è stato incaricato di effettuare accertamenti presso i diversi livelli della filiera distributiva dei medicinali. Più in particolare, l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha inteso precisare che l'attuale limitata disponibilità di taluni medicinali in determinate parti del territorio nazionale non può essere definita tecnicamente come carenza, in quanto, dai dati in possesso di AIFA, non risulta alcuna interruzione della loro fornitura da parte dei rispettivi titolari AIC»;
   nonostante le decisioni assunte, perdurano le segnalazioni di difficoltà all'approvvigionamento e reperimento dei farmaci come per esempio «Spiriva» prodotto per problemi respiratori; da un articolo di stampa sembra che in Italia manchino ciclicamente da quasi 4 anni Requip, un medicinale anti Parkinson o Keppra (antiepilettico) o, a Bergamo e provincia i farmaci: Seroquel (antipsicotico), Neupro (cerotto per Parkinson), Vimpat (antiepilettico) e Trajenta (controllo della glicemia);
   lo stesso segretario provinciale della Fimmg afferma di essere stato «costretto» a dover prescrivere farmaci differenti con confezioni in differente dosaggio per impossibilità di reperire il farmaco e che alcuni farmaci non hanno la possibilità di essere sostituiti da quelli generici; nonostante il monitoraggio delle regioni e le segnalazioni periodiche – anche in accordo con Aifa e Federfarma – questo grave fenomeno continua a perdurare –:
   quali ulteriori iniziative e con quale tempistica il Ministro interrogato, in accordo con l'Aifa, intenda adottare per porre rimedio alla carenza o irreperibilità dei farmaci necessari per garantire la cura dei cittadini e l'approvvigionamento di medicinali per i quali non esistono in commercio – sul territorio nazionale – valide alternative terapeutiche, e per regolamentare il «mercato parallelo».
(5-08327)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA, PARENTELA, GAGNARLI e LUPO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la circolare n. 3469 dello 5 febbraio 2016 il Ministero della salute ha autorizzato l'impiego di soluzioni acquose contenenti perossido di idrogeno, come coadiuvante tecnologico, nella lavorazione dei molluschi cefalopodi eviscerati da commercializzare decongelati o congelati;
   il suddetto impiego è ammesso a talune condizioni specificate nel provvedimento di cui sopra e, in considerazione della presenza sul mercato di prodotti aventi la medesima composizione o comunque contenenti perossido di idrogeno, lo stesso garantisce che tali prodotti sono consentiti solo se « food grade» ovvero idonei ad essere utilizzati nell'alimentazione umana;
   come noto, nel corso del 2010 lo stesso Ministero della salute, sempre a seguito di richiesta di autorizzazione all'impiego delle sostanze in parola proveniente dall'Associazione nazionale delle aziende ittiche, aveva vietato l'utilizzo del perossido di idrogeno nel pesce non solo a seguito del sequestro di una partita di prodotto in un'area di uno stabilimento dichiarata in disuso e quindi esclusa dai controlli periodici svolti dalla competente Asl, ma anche perché tale sostanza non era riportata nell'elenco comunitario degli additivi ammessi nella preparazione e conservazione degli alimenti;
   successivamente a tale data, lo stesso Ministero ha rivisto la sua posizione a seguito dell'esito positivo di un approfondimento svolto dal Consiglio superiore di sanità, ammettendo l'uso di perossido di idrogeno come coadiuvante tecnologico, anche in considerazione del fatto che esso è regolarmente utilizzato in altri Stati membri dell'Unione europea nelle fasi di lavorazione dei molluschi cefalopodi ed altri tipi di prodotti;
   se ad oggi l'impiego del perossido di idrogeno è consentito non in quanto additivo ma come coadiuvante tecnologico, evidenze scientifiche dimostrano che tracce di residui di tale sostanza o suoi derivati, pur non costituenti un rischio per la salute, possono, seppur non intenzionalmente, essere presenti nell'alimento finale destinato al consumatore;
   non tutte le aziende ittiche ricorrono all'impiego di coadiuvanti alimentari ed è pertanto indispensabile informare il consumatore affinché possa distinguere tra prodotti naturali e prodotti in qualche modo trattati –:
   se non ritengano di dover assumere urgentemente iniziative affinché sia previsto l'obbligo di indicazione in etichetta, o presso i banchi di esposizione del pesce presenti negli esercizi commerciali al dettaglio, dell'eventuale utilizzo di soluzioni acquose contenenti perossido di idrogeno anche al fine di scongiurare qualsiasi rischio di concorrenza sleale tra le aziende del comparto, posto che alcune di esse ricorrono all'uso di coadiuvanti per alterare lo stato di freschezza del pesce o per migliorarne l'aspetto. (4-12750)


   RUBINATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11, comma 3, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 «Misure urgenti in materia di concorrenza, liberalizzazioni e infrastrutture», convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevede che «le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono ad assicurare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la conclusione del concorso straordinario e l'assegnazione delle sedi farmaceutiche disponibili di cui al comma 2 e di quelle vacanti»;
   il concorso straordinario per l'assegnazione di nuove sedi farmaceutiche, con regole nuove tra cui l'associazione tra concorrenti e conseguente somma dei titoli e una piattaforma ministeriale per rendere il tutto più semplice e veloce, doveva portare all'apertura di migliaia di nuove farmacie su tutto il territorio nazionale nel giro di un anno;
   nello specifico l'articolo 11 prevede: la rideterminazione a 3.300 del numero dei residenti per ogni farmacia nel comune, nonché l'individuazione da parte dei comuni stessi delle nuove sedi di farmacie nel proprio territorio obbligatoriamente secondo il nuovo indicatore, sulla base di dati ISTAT della popolazione residente al 31 dicembre 2010; l'invio dei dati da parte dei comuni alla regione entro e non oltre 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, cioè il 25 aprile 2012. Il medesimo articolo 11, al comma 3, stabilisce che le regioni provvedano ad assicurare entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione, cioè entro il 25 marzo 2013 la conclusione del concorso straordinario nonché l'assegnazione delle sedi farmaceutiche poste a concorso;
   ad oggi la regione del Veneto ha solamente bandito il concorso regionale in data 6 novembre 2012 con decreto della giunta regionale n. 2199, nonché pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione la graduatoria unica dei concorrenti, approvata dall'apposita commissione esaminatrice, in data 20 marzo 2015, mentre altre regioni hanno già completato o stanno già facendo l'assegnazione delle nuove sedi farmaceutiche a concorso, come ad esempio la Toscana (concluso il 1o Interpello a luglio 2015 e successiva assegnazione), il Piemonte (espletato il 1o interpello con assegnate 70 sedi farmaceutiche di cui 5 farmacie già aperte), l'Emilia Romagna (già partito il 1o interpello al 10 gennaio 2016), la Puglia (eseguito il 1o interpello a novembre 2015 ed in avvio l'assegnazione delle sedi farmaceutiche), nonché la Lombardia (il 1o interpello è partito il 6 marzo 2016 ore 18.00);
   sul territorio della regione Veneto, essendo ormai decorsi quasi 3 anni dalla scadenza del termine dei 12 mesi assegnato dalla legge n. 27 del 24 marzo 2012 per l'espletamento del concorso, è sempre più difficile reperire la disponibilità di strutture edilizie ad uso commerciale, a fronte peraltro della perentorietà dei 180 giorni previsti per l'apertura della farmacia dalla sua assegnazione;
   tenuto anche conto di questi anni di crisi, le 223 farmacie in concorso per il Veneto potrebbero creare un migliaio di nuovi posti di lavoro tra farmacisti, magazzinieri dei depositi con il loro indotto, corrieri, artigiani, locatari di locali commerciali, senza considerare il plusvalore generato a beneficio sia delle case sia dei negozi dell'intera area dall'apertura della farmacia, con ricadute comunque positive anche per il Paese –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare, nel rispetto delle proprie competenze e di quelle regionali in materia sanitaria, affinché si dia attuazione alla normativa citata in premessa su tutto il territorio nazionale, incluso il Veneto, portando a conclusione quanto prima tutte le fasi del concorso straordinario per l'assegnazione di nuove sedi farmaceutiche. (4-12760)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi la stampa locale di Parma ha denunciato l'accumularsi di ingenti quantità di posta in giacenza a seguito dell'avvio, in città, del sistema di recapito a giorni alterni e della riduzione del numero delle zone di consegna;
   tale situazione sarebbe determinata, secondo quanto risulta da una verifica fatta con i sindacati confederali, dall'inadempienza di Poste Italiane s.p.a. rispetto ai contenuti degli acconti stipulati con le organizzazioni sindacali a livello nazionale il 25 settembre 2015 e a livello regionale il 4 novembre 2015 in virtù dei quali i lavoratori avevano condiviso la nuova organizzazione della consegna postale a giorni alterni con l'obiettivo di risanare, rilanciare e salvaguardare l'occupazione nel settore del recapito di Poste, nonché l'unicità aziendale, a fronte dell'implementazione, da parte di Poste, di un piano di riorganizzazione, meccanizzazione e automazione dei centri di smistamento e recapito postale;
   a fronte quindi di una riduzione del numero di portalettere in servizio, della maggiore estensione delle zone di consegna e dell'introduzione del sistema di recapito a giorni alterni, si è determinato un considerevole aggravio di lavoro per gli addetti alla consegna della posta non compensato dai pattuiti investimenti rispetto ai quali pure Poste Italiane si era impegnata;
   la situazione, che verosimilmente non potrà che peggiorare a fronte della prevista estensione a tutta la provincia del nuovo sistema di recapito, sta determinando gravi disagi ai cittadini e alle imprese che si vedono recapitare la corrispondenza, anche prioritaria (ad esempio, bollette, raccomandate, atti giudiziari, e altro) con ritardo, evidenziando altresì l'inadeguatezza del nuovo modello di recapito introdotto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e se non ritenga opportuno intervenire presso Poste Italiane s.p.a. al fine di assicurare il regolare svolgimento del servizio postale universale. (5-08322)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità 2015 il Governo ha previsto una serie di modifiche all'erogazione del cosiddetto «servizio universale postale» assicurato da Poste Italiane, tra cui rincari delle tariffe e una parallela riduzione dei servizi, ove per riduzione dei servizi, oltre alla chiusura di uffici postali, si intende anche la riduzione della consegna della corrispondenza applicando il criterio dei giorni alterni;
   nella legge infatti si dice che per «(...) assicurare la sostenibilità dell'onere del servizio postale (...) il Contratto di Programma può prevedere l'introduzione di misure di razionalizzazione del servizio e di rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull'intero territorio nazionale»;
   in sede di approvazione della suddetta legge di stabilità il Governo ha posto la questione di fiducia, impedendo nei fatti qualsiasi possibilità di variazione del testo;
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha approvato il piano industriale di Poste Italiane per il 2015-2019, definendo i criteri che devono essere rispettati per individuare i comuni interessati dalla misura, in virtù delle particolari circostanze, anche di natura geografica, che caratterizzano l'ambito del recapito postale sul territorio italiano. L'attuazione del recapito a giorni alterni (secondo lo schema bisettimanale, lunedì-mercoledì-venerdì e martedì-giovedì) si sta attuando in tre fasi successive, di cui le prime due già avviate rispettivamente il 1o ottobre 2015, il 1o aprile 2016 e la terza non prima del mese di febbraio 2017. La prima fase ha coinvolto una ristretta fascia di popolazione (pari allo 0,6 per cento), fino a raggiungere il 25 per cento della popolazione nazionale nella fase conclusiva. Dopo la prima fase, nel caso in cui si verifichino criticità, l'Autorità ha il potere di intervenire inibendo l'ulteriore prosecuzione del recapito a giorni alterni o stabilendo particolari condizioni volte a salvaguardare la regolarità del servizio o la realizzazione degli obiettivi previsti di contenimento dei costi;
   la Commissione europea ha inviato una lettera all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni definendo il diritto alla comunicazione tra cittadini un obbligo, al quale Poste può venir meno solo «in circostanze o situazioni geografiche eccezionali»;
   il piano di consegna a giorni alterni della corrispondenza è in fase applicativa e sta colpendo cittadini ed imprese di molti territori di tante regioni italiane, malgrado le rimostranze dei sindaci dei comuni coinvolti;
   le nuove tecnologie non sopperiscono al disagio recato dall'applicazione di tale piano e ad un diritto di comunicazione postale per cittadini ed imprese che sta via via peggiorando;
   i disagi sopra descritti si vanno ad aggiungere a croniche situazioni di disservizio non autorizzate con alcun provvedimento legislativo, ma comunque esistenti in varie parti del Paese –:
   se il Governo, comune per comune, stia monitorando la situazione e raccogliendo le segnalazioni provenienti da sindaci e cittadini;
   se il Governo non intenda fornire dettagliati elementi in merito all'applicazione di tale piano e alle proteste e lamentele che provengono dalle singole realtà territoriali;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per modificare una normativa tanto discriminatoria per intere fasce della popolazione e realtà del sistema produttivo nazionale. (4-12753)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Ruocco e altri n. 1-01140, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nesci.

  La mozione Peluffo e altri n. 1-01208, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fitzgerald Nissoli, Fauttilli.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Peluffo n. 1-01208, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 601 del 4 aprile 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    come noto, già prima dell'entrata in vigore dell'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, l'importo del canone televisivo in Italia, pari a 113,50 euro annui, si attestava sotto la media europea, pari a 127,6 euro. Ben 12 Paesi europei avevano importi decisamente superiori al canone italiano. Ciò nonostante, il tasso di evasione stimato per il 2014, si attestava intorno al 27 per cento – per un importo complessivo non inferiore a 500 milioni di euro – contro una media europea, inclusa l'Italia, che si attesta attorno al 10 per cento;
    le significative innovazioni relative all'introduzione di un'ulteriore ipotesi presuntiva del possesso di un apparecchio televisivo in corrispondenza di un contratto di fornitura di energia elettrica e il conseguente inserimento dell'onere del canone nella bolletta sui consumi di energia elettrica, introdotte dalla citata disposizione della legge di stabilità 2016, consentiranno un decisivo recupero dell'evasione e, per tale via, un sensibile ridimensionamento dell'importo a carico dei contribuenti rispettosi della legge;
    con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, in via di emanazione e, a quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, già inviato al Consiglio di Stato per il necessario parere, verranno definiti termini e modalità per il riversamento all'Erario dei canoni incassati dalle aziende di vendita dell'energia elettrica, le procedure di controllo sulla regolarità dei pagamenti, nonché le eventuali misure tecniche che si dovessero rendere necessarie all'introduzione di tale innovativo sistema di riscossione;
    nell'ambito della nuova disciplina sono regolate le ipotesi di esenzione e le procedure di autocertificazione relative al mancato possesso di apparecchi televisivi (che, secondo i dati Istat, riguarderebbe solo il 3 per cento degli italiani) pur in costanza della titolarità di un contratto di fornitura di energia elettrica, regolate secondo il regime ordinario previsto al riguardo dal decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa);
    per quanto attiene all'individuazione delle tipologie di apparecchiature che fanno scattare l'obbligo del pagamento del canone, già la nota del Ministero dello sviluppo economico n. 12991 del 22 febbraio 2012, aveva chiarito che il pagamento del canone riguarda solo gli apparecchi atti o adattabili a ricevere il segnale audiovisivo attraverso la piattaforma digitale terrestre o satellitare, rimanendo esclusi gli altri dispositivi che utilizzano la rete internet;
    ulteriori chiarimenti e precisazioni riguardo alla questione delle tipologie di apparecchiature assoggettate all'obbligo del pagamento del canone potranno essere fornite con l'emanando decreto interministeriale di attuazione della citata disposizione di cui all'articolo 1, comma 135, della legge di stabilità 2016;
    il nuovo sistema di esazione del canone presuppone il coinvolgimento e la collaborazione di diversi soggetti, pubblici e privati, detentori di banche dati significative ai fini della puntuale applicazione delle nuove disposizioni, ai sensi dell'articolo 1, comma 156, della legge n. 208 del 2015, profilo che dovrà vedere un ruolo attivo di indirizzo e verifica da parte dell'Autorità garante per la tutela dei dati personali;
    alla luce delle suddette innovazioni normative, una situazione meritevole di specifica attenzione riguarda il caso dei cittadini italiani residenti permanentemente all'estero, e quindi iscritti all'Aire, i quali, non solo non hanno la residenza negli immobili posseduti in Italia, ma non usufruiscono per la maggior parte del periodo di imposta delle trasmissioni radio-televisive italiane nei suddetti immobili,

impegna il Governo:

   ad adottare con la massima sollecitudine il decreto interministeriale attuativo del nuovo regime di pagamento del canone Rai, chiarendo i punti sinora ri- masti incerti e sui quali si stanno montando campagne allarmistiche e di disinformazione;
   ad assumere iniziative per chiarire ai cittadini che il canone è dovuto per il possesso di un apparecchio TV in grado di ricevere il segnale digitale terrestre o satellitare, direttamente o tramite uno strumento esterno;
   a valutare la possibilità per i prossimi anni, tenendo anche conto che è necessaria una modifica legislativa, di assumere iniziative normative volte a considerare a favore dei cittadini italiani residenti permanentemente all'estero ed iscritti all'Aire l'esenzione o la riduzione del canone Rai sugli immobili da essi posseduti in Italia, ove siano presenti le presunzioni fissate dal regio decreto-legge n. 246 del 1938, a condizione che non siano locati o dati in comodato d'uso, così come proposto con apposito ordine del giorno nel corso dell'esame della legge di stabilità 2016;
   a valutare l'opportunità di differire, in prima applicazione, i termini di presentazione della dichiarazione di non detenzione degli apparecchi televisivi;
   ad informare periodicamente il Parlamento sull'andamento del nuovo sistema di applicazione ed esazione del canone radio-televisivo, in particolare con riferimento agli effetti sul contrasto del fenomeno dell'evasione del medesimo e alle procedure di condivisione delle diverse banche dati, nel rispetto del diritto alla privacy degli utenti.
(1-01208)
«Peluffo, Bonaccorsi, Anzaldi, Boccadutri, Garofani, Ginoble, Coscia, Tullo, Benamati, Tacconi, Martella, Garavini, Fitzgerald Nissoli, Fauttilli».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-08225, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 596 del 23 marzo 2016.

   DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ENAV è la società a cui lo Stato demanda la gestione e il controllo del traffico aereo civile in Italia. Nel 1996 fu trasformata in ente pubblico economico ed è diventata società per azioni nell'anno 2001. ENAV è controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze che attualmente detiene il 100 per cento del capitale sociale ed è vigilata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   del gruppo Enav fanno parte anche le società Techno Sky, responsabile della gestione tecnica, della manutenzione e dello sviluppo hardware/software degli impianti e dei sistemi per l'assistenza alla navigazione aerea, ENAV Asia Pacific con sede a Kuala Lumpur (Malesia) inaugurata nel 2013 con l'obiettivo di migliorare le prestazioni dei clienti del Sudest asiatico attraverso la fornitura di servizi dedicati e il Consorzio SICTA che realizza progetti di ricerca nell'ambito dei sistemi relativi ai servizi di traffico aereo;
   l'ENAV assieme ai principali ANSP europei, AENA, DSNA, DFS, NATS, Skyguide e NAV Portugal, è socio fondatore della società di diritto francese ESSP SAS (European Satellite Services Provider), di cui detiene il 16,67 per cento del capitale azionario;
   alle dipendenze di Enav ci sono circa 3.300 dipendenti che salgono a 4.265 se si considera l'intero gruppo Enav di cui il 70 per cento sono ingegneri, controllori del traffico aereo, meterologi. In Italia ENAV fornisce i servizi di avvicinamento, decollo, atterraggio dalle torri di controllo di 44 aeroporti sul territorio nazionale e i servizi di rotta da 4 centri di controllo d'area di Brindisi, Milano, Padova e Roma;
   dai dati del gruppo Enav riferiti all'anno 2014 si apprende che il gruppo abbia avuto ricavi per 835,5 milioni di euro e un utile netto di 40 milioni di euro;
   dalla nota del Ministero dell'economia e delle finanze del 30 ottobre 2015 sugli obiettivi d'incasso 2015 si evince che nell'anno 2015 circa 200 milioni di euro sono giunti al Ministero dell'economia e delle finanze dal dividendo straordinario riconosciuto dall'Enav per esubero di capitale;
   il 16 maggio 2014 il Consiglio dei ministri ha approvato il testo definitivo dei decreti per la privatizzazione di Poste Italiane e di Enav in cui si prevede all'articolo 1, l'alienazione di una quota della partecipazione detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze in ENAV spa che determini comunque il mantenimento di una partecipazione dello Stato al capitale di ENAV spa non inferiore al 51 per cento;
   nel suddetto decreto di privatizzazione di ENAV si prevede come prioritaria un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia e a investitori istituzionali italiani e internazionali e, in tal caso, potranno essere previste per gli stessi, forme di incentivazione tenuto conto anche della prassi di mercato e di precedenti operazioni di privatizzazione, in termini di prezzo e/o di priorità in sede di assegnazione. Tuttavia, non è esclusa una trattativa diretta da realizzare attraverso procedure competitive;
   da fonti stampa del Sole 24 Ore, del 30 marzo 2016, in una intervista al neo amministratore delegato Roberta Neri, si apprende che Enav stia completando gli ultimi adempimenti in vista della privatizzazione e la quotazione a piazza Affari che avverrà nella seconda metà di giugno 2016, mentre nell'articolo si parla anche della chiusura del bilancio 2015 di ENAV che ha registrato un risultato netto di 66,1 milioni di euro, +65,2 per cento rispetto al 2014, avvenuto anche a seguito della riduzione dei costi operativi a seguito della revisione dei contratti esterni di gestione e manutenzione. I ricavi si attestano a 849,6 milioni di euro. Contestualmente, al fine di escludere i dividendi straordinari, è stato diminuito il capitale di 400 milioni di euro costituendo una speciale riserva disponibile;
   sempre dalla stessa fonte stampa si apprende nelle linee guida del piano industriale 2016-2019 si conferma che ENAV proseguirà nella partecipazione a progetti strategici di rilevanza internazionale. Tuttavia, non si parla di approvazione del piano industriale, ma l'amministratore delegato si riferisce solamente alle linee guida;
   in merito ai progetti di rilevanza internazionale, da una lettera aperta della Federazione autonoma del trasporto aereo (F.A.T.A.) ai Ministri dell'economia e finanze e delle infrastrutture e dei trasporti, si chiedono delucidazioni circa una società del gruppo ENAV, Enav North Atlantic LLC, posseduta al 100 per cento da Enav, avente la forma giuridica di una limited liability company e regolata dalle leggi dello Stato americano del Delaware, costituita a gennaio 2014 per la partecipazione ad un investimento per l'acquisizione del 12,5 per cento del capitale sociale della società Aireon LLC, l'azienda statunitense del gruppo IRIDIUM che dovrebbe realizzare il primo sistema globale di sorveglianza satellitare per il controllo del traffico aereo;
   a FATA risulterebbe che ENAV abbia speso, solo per una prima tranche, per realizzare questa operazione 61 milioni di dollari e aggiunge che: «detta società ha come scopo quello di mettere in piedi un sistema di sorveglianza del traffico aereo per monitorare zone attualmente prive di copertura radar, come gli spazi aerei oceanici.(...). Enav S.p.A. partecipa ad una società che ha l'ambizione di fare controllo del traffico aereo su spazi aerei attualmente non di competenza/sovranità italiana – Questo, a nostra opinione, appare una previsione veramente “arrangiata ed improbabile”, di difficile realizzazione e quasi certamente con una resa economica molto bassa, ottimisticamente parlando – e aggiunge che – Crediamo possa ritenersi legittimo avere mire di espansione come già fatto da Enav con il progetto Kuala Lumpur Enav Asia Pacific, ma tentare di fare “voli pindarici”, ipotizzando che uno Stato possa rinunciare al proprio dominio sullo spazio aereo di competenza, alla luce della situazione geopolitica attuale, ci appare come una scelta “foll”»;
   secondo FATA è anacronistico che siano stati spesi 61 milioni di dollari, come prima tranche, investiti in una società nel Delaware con caratteristiche di limited liability company e della quale non è dato sapere neanche chi sia l'amministratore;
   sempre dalla lettera succitata, si apprende che recentemente alcuni dirigenti di Corporate siano stati licenziati per aver espresso i medesimi dubbi e perplessità di FATA rispetto ad Enav North Atlantic LLC;
   nell'anno 2009, l'OCSE stimava tra i 1.700 e gli 11.000 miliardi di dollari i capitali allocati nei «paradisi» stilando allora una lista assunta dal G20 come base per avviare un duro confronto con gli Stati che non applicavano nessuna o solo alcune delle convenzioni internazionali in materia di trasparenza bancaria o fiscale;
   in merito al suddetto rapporto OCSE in data 14 luglio 2011, il Comitato economico e sociale europeo (CESE), ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema: «Paradisi fiscali e finanziari: una minaccia per il mercato interno dell'UE». Tale parere è stato adottato i giorni 23 e 24 maggio 2012;
   nel paragrafo «3. Paradisi Fiscali», del suddetto parere, il Comitato scrive che: «il rapporto dell'OCSE suscitò un'ondata di proteste, in particolare di Svizzera, Lussemburgo e Uruguay. Ci furono discussioni animate sul caso Stati Uniti: il Delaware; che il Delaware sia una sorta di paradiso fiscale lo sanno benissimo gli americani(...). Che il piccolo Stato a Sud della Pennsylvania offra grossi vantaggi alle società off shore, presentandosi come una alternativa alle Isole Cayman o alle Bermuda, sono in meno a saperlo, ma chi opera nel settore ne è al corrente da tempo. Gli utili delle società stabilite in Delaware sono imputabili per trasparenza ai proprietari che, se non sono cittadini americani e se l'attività della società è svolta fuori dagli USA, non sono soggetti a tassazione negli USA». Il parere in merito a questi paradisi fiscali continua con: «riciclaggio di denaro sporco, evasioni fiscali, provvista per operazioni di corruzione o per distrarre fondi alle proprie società: sono questi i più rilevanti e diffusi motori di questi paradisi. Da qui partono gli attacchi ai debiti sovrani in difficoltà, come pure le grandi campagne per la tutela della libertà incondizionata di movimento dei capitali, coinvolgendo media, partiti politici e rappresentanti delle istituzioni»;
   inoltre, sempre nel suddetto paragrafo in merito a questi paradisi fiscali si legge anche che: «L'assenza di controlli fiscali o l'esistenza di regole deboli di vigilanza prudenziale, l'opacità delle informazioni ai fini della identificazione delle persone fisiche e giuridiche, o qualsiasi altra circostanza di carattere giuridico o amministrativo consentono alle imprese che operano dai loro territori di beneficiare di una quasi totale impunità e godere di vantaggi competitivi intollerabili, e di una copertura contro l'azione delle autorità giudiziarie e amministrative dei paesi terzi»;
   come si apprende dal sito web del Ministero dell'economia e delle finanze in merito alle privatizzazioni avviate negli anni Novanta, la principale motivazione che ha spinto l'Italia ad intraprendere e realizzare un così ampio processo di dismissione di aziende pubbliche, è stata l'esigenza di ridurre in modo consistente il debito pubblico. Dal 1994 al 2010 le privatizzazioni hanno determinato introiti complessivi per lo Stato di circa 95 miliardi di euro con conseguente risultante riduzione del debito – passato, in rapporto al prodotto interno lordo, dal 121 per cento del 1994 al 106,4 del 2005 – ha determinato una minore spesa per interessi dell'ordine di 30 miliardi in termini cumulati;
   tuttavia, a fronte di una riduzione di spesa di interessi del debito pubblico di soli 30 miliardi di euro, le privatizzazioni hanno di contro concorso alla riduzione di sovranità nazionale in settori che determinano servizi atti anche a garantire i diritti dei cittadini come quelli riferibili all'energia, alle comunicazioni, ai trasporti e a servizi fondamentali come il credito bancario che sono passati al mercato e ai privati con contestuale aumenti delle spese per la cittadinanza e per le amministrazioni;
   dal comunicato stampa del Ministero dell'economia e delle finanze n. 191 del 29 settembre 2015 si apprende che il Ministero dell'economia e delle finanze definito la struttura del consorzio di garanzia e collocamento per l'operazione di apertura al mercato del capitale di Enav spa conferendo a Barclays Capital, Credit Suisse e Mediobanca l'incarico di global coordinator e a JP Morgan e Unicredit l'incarico di joint bookrunner. Il piano delle attività prevede che l'operazione possa essere realizzata nella prima metà del 2016, compatibilmente con le condizioni dei mercati;
   il global coordinator è un soggetto che coordina il consorzio di collocamento e segue una società in tutto il processo di offerta dei propri strumenti finanziari sul mercato, mentre il joint bookrunner è un intermediario che raccoglie e accentra tutti gli ordini di acquisto/sottoscrizione proposti dagli investitori istituzionali in merito ai titoli oggetto di offerta. L'attività svolta dal bookrunner consente di stimare le curve di domanda e di offerta dei titoli oggetto di offerta e, in tal modo, contribuisce a determinare il prezzo di collocamento;
   JP Morgan è nota per le vicende legate ai mutui subprime che hanno dato il via alla crisi mondiale e alla manipolazione del mercato dell'energia negli Stati Uniti D'America ed è protagonista anche dello scandalo della London Whale in Inghilterra. Inoltre, nel documento da essa redatto «Europe Economic Research» del 28 maggio 2013, individua, dal suo punto di vista, tra le riforme strutturali più urgenti quelle in termini di riduzione dei costi del lavoro, di aumento della flessibilità e della libertà di licenziare, di privatizzazione, di deregolamentazione, di liberalizzazione dei settori industriali «protetti» dallo Stato. Secondo JP Morgan il problema in Europa è legato anche a un «eccesso di democrazia» che andrebbe ridimensionato lasciando intendere, a giudizio dell'interrogante, che le Costituzioni dei Paesi del Sud d'Europa, e quindi anche quella italiana – atte a garantire le libertà e i diritti dei cittadini e dei lavoratori – andrebbero accantonate;
   Barclays insieme a JP Morgan, è coinvolta nello scandalo Libor, in merito alla manipolazione del mercato dei cambi concordando in anticipo alcune transazioni in maniera tale da ricavarne plusvalenze a scapito dei clienti;
   ai sensi dell'articolo 13, comma 6, del decreto-legge n. 332 del 1994 modificato dalla legge n. 474 del 1994, il Ministro dell'economia e delle finanze trasmette al Parlamento una relazione semestrale sulle operazioni di cessione delle partecipazioni in società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, effettuate nel semestre precedente, nella quale sono espressamente indicati per ogni singola cessione, i proventi lordi, le forme e le modalità ammesse per il pagamento del corrispettivo dell'alienazione, i compensi per gli incarichi di consulenza e di valutazione e le quote dei proventi lordi destinate alla copertura degli oneri e dei compensi connessi alle operazioni di collocamento e di cessione. Dall'anno 2011 non vengono più presentate le relazioni al Parlamento;
   a detta dell'interrogante risulta incomprensibile la privatizzazione di ENAV, una società pubblica e fondamentale per la sicurezza dello spazio aereo e delle rotte commerciali dei vettori aerei che non solo chiude in attivo i propri bilanci, ma distribuisce anche dividendi allo Stato a maggior ragione, perché in questo processo di privatizzazione sono coinvolti soggetti come JP Morgan e Barclays che non sono attendibili a fronte dei problemi evidenziati in premessa e per tanto un ripensamento della privatizzazione di Enav dovrebbe esser considerato come prioritario –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se tali informazioni trovino conferma;
   se il Governo, anche alla luce di quanto accaduto per Ferrovie dello Stato italiane, intenda assumere iniziative per bloccare o rimandare la privatizzazione di ENAV;
   se sia stato già approvato il nuovo contratto di programma di ENAV riferibile ai prossimi anni, necessario e preordinato al piano industriale;
   quali siano le motivazioni per cui il Governo abbia autorizzato e consentito la creazione di Enav North Atlantic Limited Liability Company, tra l'altro in un «paradiso fiscale», noto per mancanza di trasparenza, garanzia di anonimato nonché di copertura contro l'azione giudiziaria, in netto contrasto con i principi di efficienza, correttezza e trasparenza propri di una società pubblica come Enav s.p.a;
   se il Governo intenda assumere iniziative per istituire forme di incentivazione alla privatizzazione di ENAV e in quali modalità e termini intendano provvedere;
   quali siano i motivi per cui dall'anno 2011 non risultino più trasmesse al Parlamento le relazioni sulle privatizzazioni ai sensi dell'articolo 13, comma 6, del decreto-legge n. 332 del 1994 modificato dalla legge n. 474 del 1994 e se intendano provvedere alla loro trasmissione.
(5-08225)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Santelli n. 5-07898 del 24 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-12237 del 25 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Santerini n. 5-07926 del 25 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Bechis n. 5-08168 del 17 marzo 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Silvia Giordano n. 5-08185 del 18 marzo 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Carnevali n. 5-08202 del 22 marzo 2016.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta immediata in Assemblea Fauttilli n. 3-02160 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 602 del 5 aprile 2016. Alla pagina 36200, seconda colonna, dalla riga quarantunesima alla riga quarantatresima deve leggersi: «in località Padiglione/Spadellata nei territori di Anzio, Nettuno e Aprilia, è stata recentemente» e non come stampato.