Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 29 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'11 febbraio 2015 il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto, in parte, tre ricorsi presentati contro il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 recante il regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) entrato in vigore dal 1o gennaio 2015;
    le tre sentenze della sezione prima del Tar del Lazio, n. 2454 del 2015, n. 2458 del 2015 e n. 2459 del 2015, di fatto, modificavano parzialmente l'impianto per il calcolo dell'Indicatore della situazione reddituale (ISR);
    il Tar, nello specifico, accolse soltanto il ricorso sull'illegittimità del regolamento dell'ISEE nella parte in cui considera come reddito disponibile anche i proventi legati alla disabilità (pensione e accompagnamento), con la sentenza n. 2458 del 2015; mentre nella sentenza n. 2459 del 2015 ha ritenuto illegittima la franchigia prevista per i maggiorenni con disabilità e quella più alta per i minorenni con disabilità;
    riguardo al ricorso conclusosi con la sentenza n. 2458 del 2015, la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio accolse solo il sesto dei nove motivi formulati dai ricorrenti, infatti il Tar, richiamando i fondamentali principi della Costituzione enunciati negli articoli 3, 32 e 38, dichiarò che la pensione di invalidità e le indennità di accompagnamento non dovevano essere inserite tra i redditi disponibili, in quanto il loro inserimento, costituirebbe una penalizzazione nei confronti delle fasce sociali più deboli;
    in data 29 febbraio 2016 il Consiglio di Stato si è pronunciato sul ricorso presentato dal Governo a seguito delle sentenze del Tar del Lazio che aveva accolto i ricorsi presentati dalle associazioni delle persone disabili contro il sistema di calcolo dell'ISEE che sommava al reddito le pensioni e l'assegno di accompagnamento;
    il Consiglio di Stato, nella sentenza depositata in data 29 febbraio 2016, afferma che il collegio deve condividere l'affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno al disabile, ma una «remunerazione» del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;
    in pratica, il Consiglio di Stato ha affermato che le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito;
    il Gruppo di Sinistra Italiana – Sinistra, Ecologia e Libertà giudicò grave il fatto che il Governo e, in particolare, la Presidenza del Consiglio e i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze, non avessero proceduto alle necessarie modifiche adeguando la normativa ai rilievi del tribunale amministrativo;
    il Governo, come risulta da una dichiarazione resa in aula dal Sottosegretario per l'economia e le finanze, Enrico Zanetti, invece di modificare il decreto, decise di presentare ricorso al Consiglio di Stato, affermando che: «Sentiti gli uffici competenti dell'amministrazione finanziaria in merito alla richiesta di rafforzare le misure agevolative in favore dei soggetti disabili e delle loro famiglie giova ribadire che qualsivoglia iniziativa normativa dovrà necessariamente tener conto degli effetti negativi sui saldi di finanza pubblica per i quali è opportuno reperire idonei mezzi di copertura finanziaria». Per questo motivo «la Presidenza del Consiglio dei ministri (...) ha manifestato di condividere la posizione espressa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in ordine all'opportunità di proporre appello dinanzi al Consiglio di Stato, previa sospensione dell'esecutività delle sentenze impugnate»;
    il Consiglio di Stato, in relazione alle affermazioni del Governo, ha affermato che era necessario ricordare che le indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano, infatti, una «migliore» situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tale situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa. Pertanto, la «capacità selettiva» dell'Isee, se deve scriminare correttamente le posizioni diverse e trattare egualmente quelle uguali, allora non può compiere l'artificio di definire reddito un'indennità o un risarcimento, ma deve considerarli per ciò che essi sono, perché posti a fronte di una condizione di disabilità grave e in sé non altrimenti rimediabile;
    in merito al sistema delle franchigie, i giudici del Consiglio di Stato hanno sottolineato come esso non può compensare in modo soddisfacente l'inclusione nell'ISEE di siffatte indennità compensative, per l'evidente ragione che tale sistema consta sì di un articolato insieme di benefici, ma con detrazioni a favore di beneficiari e di categorie di spese i più svariati, onde in pratica i beneficiari ed i presupposti delle franchigie stesse sono diversi dai destinatari e dai presupposti delle indennità;
    il Consiglio di Stato, con la sentenza emessa, indica al Governo come procedere; non convince il temuto vuoto normativo conseguente all'annullamento in parte del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in quanto non occorre una novella all'articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011 per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di «reddito disponibile», basta correggere l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, ma solo quest'ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come reddito;
    il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con decreto n. 486 del 14 luglio 2015, ha aggiornato per l'anno accademico 2015/2016 i limiti dell'ISEE e dell'Indicatore della situazioni patrimoniale equivalente (ISPE) entro cui ciascuna regione deve fissare la soglia massima di ISEE e di ISPE per l'accesso alle prestazioni del diritto allo studio universitario, ma l'aggiornamento è stato operato esclusivamente sulla base della variazione annuale dell'indice generale Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per recepire immediatamente, attraverso apposita modifica all'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n. 159, le indicazioni contenute nell'ambito della sentenza del Consiglio di Stato depositata il 29 febbraio 2016, procedendo all'esclusione degli importi delle pensioni di invalidità e delle indennità di accompagnamento, dal reddito ai fini ISEE, in quanto queste non determinano una «migliore» situazione economica del disabile rispetto al non disabile, ma al più mirano a colmare una situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale;
   in tale contesto, ad assumere iniziative per prevedere lo scorporo dall'ISEE dell'assegno di disabilità percepito dal nucleo familiare, nel caso di studenti disabili o appartenenti ad un nucleo familiare in cui uno o più membri percepiscano tale assegno e, in tale contesto, a promuovere interventi compensativi per gli studenti rimasti esclusi dai benefici nell'anno accademico 2015/2016;
   a convocare in tempi brevi una sessione della Conferenza unificata al fine di determinare, nelle more della modifica all'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n. 159, indicazioni coerenti con la sentenza del Consiglio di Stato, al fine del calcolo dei redditi con particolare riferimento alle persone disabili;
   ad inviare, nel più breve termine, una relazione dettagliata alle competenti Commissioni parlamentari, che quantifichi il numero delle persone disabili che, a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n. 159, non hanno potuto accedere a servizi e prestazioni sociali ovvero hanno dovuto compartecipare alla spesa, a causa dell'inserimento nel reddito ai fini ISEE, delle pensioni di invalidità e delle indennità di accompagnamento, in qualità di redditi disponibili, indicando nella relazione le iniziative e le modalità con le quali il Governo intenda prevedere forme di risarcimento alle persone disabili.
(1-01197) «Nicchi, Gregori, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaccagnini, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    il Consiglio di Stato, con sentenza del 29 febbraio 2016, ha respinto il ricorso presentato dal Governo contro le sentenze del Tar del Lazio del febbraio 2015, che avevano, a loro volta, respinto «una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale», disponendo che le provvidenze economiche previste per la disabilità non dovessero essere conteggiate come reddito, al contrario di quanto previsto dal nuovo sistema di calcolo ISEE, adottato con il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;
    nella citata sentenza del Consiglio di Stato si legge: «Deve il Collegio condividere l'affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione»; e ancora: «Non è allora chi non veda che l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tale situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
    a proposito di eventuali danni provocati nel frattempo ai cittadini disabili, ai quali non siano state concesse le prestazioni richieste, in forza del nuovo calcolo ISEE, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, dopo la citata sentenza del Consiglio di Stato, ha dichiarato che: «Non sono previsti risarcimenti, nel senso che la sentenza richiede di modificare il regolamento e noi lo faremo»;
    alcuni rappresentanti dell'Associazione mutilati e invalidi civili hanno dichiarato che il concetto di reddito, come fissato dal Consiglio di Stato, potrebbe avere un rilievo al di là del semplice indicatore ISEE, portando conseguenze anche in merito ad altre situazioni previste dall'ordinamento in termini di agevolazioni diverse per i disabili;
    in risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 5-07992, presentata dalla prima firmataria della presente mozione in Commissione finanze il 10 marzo 2016, il Governo ha premesso che il Tar del Lazio, con sentenze n. 2454/15, n. 2458/15 e n. 2459/15, in accoglimento parziale dei ricorsi, proposti dalle varie associazioni che tutelano gli interessi delle persone disabili, nonché da alcuni disabili e dai loro familiari, ha annullato l'articolo 4, comma 2, lettera f) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 (regolamento che ha introdotto la nuova riforma ISEE), che ricomprende, nella nozione di reddito ai fini ISEE «i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche»;
    a giudizio del Tar, nella nozione di reddito di cui al predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 sono stati illegittimamente ricompresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo, indennitario e/o risarcitorio a favore delle situazioni di disabilità, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico ed altro;
    inoltre, la sentenza n. 2459/15 ha annullato anche l'articolo 4, comma 4, lettera d) nn. 1, 2, 3, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nella parte in cui si prevedono franchigie più alte per i soli minorenni disabili, discriminando, pertanto, i disabili maggiorenni;
    il Governo ha proposto appello al Consiglio di Stato, nella convinzione della legittimità complessiva dell'impianto del nuovo regolamento ISEE, sostenendo che i dati dei monitoraggi trimestrali, predisposti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e relativi all'applicazione della descritta disciplina, risultano senz'altro più favorevoli alle persone con disabilità se paragonati a quelli registrati in applicazione della previgente normativa;
    il Consiglio di Stato ha tuttavia ritenuto di confermare le statuizioni dei giudici di prime cure, in relazione, in particolare, all'annullamento dell'articolo 4, comma 2, lettera t), del prefato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, respingendo il predetto appello;
    a seguito della sentenza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha evidenziato come le prestazioni sociali agevolate, a cui si accede tramite ISEE siano molteplici, e tipicamente di competenza di enti erogatori diffusi su tutto il territorio nazionale, ciascuno con una propria potestà regolatoria rispetto alle prestazioni da essi concesse;
    il Governo ha inoltre segnalato che l'ISEE è un mero misuratore della situazione economica e che gli effetti finanziari che produce dipendono prioritariamente dalle determinazioni di ciascun ente erogatore con riferimento alle soglie di accesso alla prestazione ovvero per la graduazione dei costi di compartecipazione e per altro verso, ha confermato che, al fine di dare attuazione alla sentenza, è in corso il processo di modifica dell'articolo 4 predetto, che si snoderà, in particolare attraverso l'individuazione degli specifici trattamenti indennitari/risarcitori, percepiti dai disabili, da escludere dal computo del reddito rilevante ai fini ISEE, come prescritto dal giudice amministrativo, nonché attraverso l'idonea rimodulazione delle franchigie, previste dalla stessa norma, così da consentire di ristabilire l'equilibrio complessivo del sistema;
    il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato anche che, in riferimento alle dichiarazioni sostitutive uniche (DSU), il cui reddito disponibile è stato computato tenendo conto dell'indennità di accompagnamento o di altre indennità, su circa 4,8 milioni di DSU attestate, poco meno di 1,2 milioni presentano trattamenti su cui è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato: ciò significa che per il 25 per cento circa delle DSU si registrerebbe una riduzione del valore dell'indicatore ISEE, la cui entità è comunque dipendente da una serie di ulteriori variabili quali la composizione del nucleo familiare e la presenza di componenti reddituali e patrimoniali più o meno significative,

impegna il Governo:

   a fornire una previsione puntuale delle ricadute economiche, conseguenti alla citata sentenza del Consiglio di Stato, per il bilancio dello Stato e degli enti locali;
   ad intraprendere le urgenti iniziative compensative e le relative procedure per il risarcimento immediato dei cittadini che, a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo ISEE censurato dal Consiglio di Stato, non hanno potuto usufruire di prestazioni a loro spettanti o hanno dovuto contribuire con una compartecipazione più alta del dovuto;
   ad assumere iniziative per rafforzare gli strumenti di carattere tributario in favore dei soggetti portatori di disabilità e delle loro famiglie, segnatamente le deduzioni dal reddito imponibile e le detrazioni dall'imposta lorda a fini Irpef.
(1-01198) «Sandra Savino, Baldelli, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'indicatore della situazione economica equivalente, in acronimo ISEE, è uno strumento che in Italia permette di misurare la condizione economica delle famiglie e tiene conto delle condizioni di reddito, patrimonio (mobiliare e immobiliare) e delle caratteristiche di un nucleo familiare, per numerosità e tipologia;
    è uno strumento di welfare, che si calcola effettuando il rapporto tra indicatore della situazione economica (I.S.E., dato dalla somma dei redditi e dal 20 per cento dei patrimoni mobiliari e immobiliari dei componenti il nucleo familiare) e parametro nella scala di equivalenza; la dichiarazione sostitutiva avviene per auto-certificazione, è valida un anno per tutti i componenti il nucleo familiare e si può presentare all'ente che fornisce la prestazione sociale agevolata, al comune, al Caf e all'Inps per via telematica;
    da gennaio 2015 il calcolo dell'indice è stato revisionato in base all'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159, «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE)»;
    il riferimento precedente era il decreto legislativo n. 109 del 31 marzo 1998, in cui si affermava che l'indicatore della situazione economica equivalente era definito dal rapporto tra l'indicatore ricavato dalla somma dei redditi, indicatore della situazione economica, combinato con l'indicatore della situazione economica patrimoniale ed il riferimento al numero dei componenti del nucleo familiare;
    comunque gli elementi che concorrono alla definizione di questo indicatore sono: il reddito, il patrimonio mobiliare, il patrimonio immobiliare, il nucleo familiare, e le caratteristiche del nucleo familiare. L'ISEE serve quindi a evidenziare i criteri necessari per la valutazione della situazione economica del soggetto che richiede prestazioni o servizi sociali o assistenziali collegati nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche. Il provvedimento interessa milioni di cittadini italiani poiché la dichiarazione ISEE (DSU) viene richiesta per l'accesso a prestazioni sociali agevolate, sia sotto forma di servizi che di aiuti economici rivolti a situazioni di bisogno o necessità: dalle prestazioni ai non autosufficienti ai servizi per la prima infanzia, dalle agevolazioni economiche sulle tasse universitarie a quelle per le rette di ricovero in strutture assistenziali, alle eventuali agevolazioni sui tributi locali;
    l'indicatore ISEE entra in gioco anche in altre questioni come ad esempio le pensioni di reversibilità o le separazioni coniugali. In questo senso, basta consultare sul sito dell'INPS la sezione delle FAQ e ci si rende conto di quanto siano interessate a questo indicatore le famiglie separate e divorziate, di cui è noto l'impoverimento a cui vanno incontro dopo la rottura del nucleo familiare;
    la recente revisione del calcolo dell'ISEE, effettuata in base all'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 dicembre 2013, n. 159, ha posto lo Stato nella paradossale posizione di riconoscere come voce di reddito e, quindi, di ricchezza le indennità che lo stesso corrisponde ai beneficiari sulla base di un'effettiva condizione di svantaggio e che mirano al superamento di tale condizione, così come prevede l'articolo 3 della Costituzione;
    contro il provvedimento le associazioni e le federazioni di categoria, a cominciare dal Forum delle famiglie, hanno subito segnalato l'aspetto paradossale, per cui un soggetto destinatario delle provvidenze assistenziali vede innalzarsi la propria fascia reddituale e in alcuni casi si trova escluso proprio da quei servizi sociali di cui avrebbe maggiore bisogno, con grave disagio soprattutto per le famiglie a più basso reddito, anziani e persone disabili, che a questo punto non sono più riconosciuti come aventi diritto a una serie di servizi;
    il Tar del Lazio, sollecitato da varie associazioni di categoria e delle famiglie di persone con disabilità è intervenuto con tre sentenze per affermare la necessità di rivedere la normativa in questione, per ridurre il valore finale dell'ISEE e rendere possibile l'accesso alle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria per molte persone che con l'ultima norma risultavano escluse;
    il Governo a questo punto ha presentato un ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo di bloccare gli effetti della sentenza del TAR, in attesa della pronuncia definitiva; il Consiglio di Stato, con le sentenze 838, 841 e 842 del 29 febbraio 2016, si è pronunciato su più ricorsi, tra i quali quello della Presidenza del Consiglio, non concedendo la sospensiva delle sentenze del Tar, di cui veniva ribadita l'immediata esecutività; secondo il Consiglio di Stato, «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva e ontologica situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica della persona disabile rispetto alla persona non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
    l'aspetto fondamentale delle pronunce del Consiglio di Stato è che non si debba considerare la disabilità come fonte di reddito, cosa che accadrebbe se si includessero tra i redditi della persona i trattamenti indennitari percepiti e i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, dal momento che si tratta di una forma di sostegno alla persona disabile, non di una remunerazione del suo stato di invalidità, in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione; in sintesi, le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito;
    secondo le cifre fornite dal Ministero dell'economia e delle finanze sarebbero un milione e duecentomila le dichiarazioni ISEE delle famiglie con persone disabili che in virtù della impropria inclusione dei sussidi ai fini del calcolo del reddito familiare, sono andate incontro ad ulteriori difficoltà e, in molti casi, non hanno potuto accedere ad alcune agevolazioni perché il loro reddito è risultato erroneamente superiore alla soglia di accesso;
    numerose ulteriori osservazioni sono state avanzate in relazione al nuovo ISEE, con riferimento al criterio di calcolo del valore patrimoniale della prima casa e all'applicazione del reddito ISEE alle tasse universitarie, sia pure recentemente modificato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: per numerose famiglie l'aggravio è stato tale da comportare una forte riduzione dell'accesso alle prestazioni e una lesione del diritto allo studio;
    inoltre, poiché oltre l'80 per cento delle famiglie italiane è proprietaria della casa di abitazione, le attuali modalità di calcolo ISEE, che prevedono il calcolo del reddito degli immobili hanno colpito un'ampia fascia di popolazione; in tale ambito sarebbe opportuno introdurre delle soglie o una più elevata franchigia;
    nel disegno di legge recante delega al Governo in materia di contrasto alla povertà, la reversibilità pensionistica viene trasformata da prestazione previdenziale (cioè legata a dei versamenti) a prestazione assistenziale legata all'ISEE; peraltro, il Governo ha fatto presente che intende modificare questa norma, considerata impopolare da tutti gli schieramenti politici;
    al fine di poter usufruire, tramite l'ISEE, dei servizi pubblici in regime privilegiato, si assiste a fenomeni di «spacchettamento» delle famiglie con false separazioni coniugali e attribuzione di residenze e quote di reddito fittizi;
    in sede di discussione nell'aula della Camera dei deputati della legge di stabilità per il 2016, il 19 dicembre 2015, sono stati respinti emendamenti che anticipavano quanto stabilito dalle citate sentenze del Consiglio di Stato. In quella sede è stato chiarito quanto segue:
     a) il Governo ha indicato il provvedimento collegato sulle politiche sociali, quale sede naturale per la complessiva rivisitazione dei criteri di calcolo dell'ISEE;
     b) il modello ISEE che riguarda la disabilità e la non autosufficienza, prevede un complesso di sgravi e franchigie, che, con la mera applicazione delle sentenze del Consiglio di Stato, dovrebbero essere soppressi, sbilanciando il sistema;
     c) il nuovo modello aveva comunque il pregio di fornire un casellario, un quadro della situazione completo per ogni singola persona, essendo diverse le fonti da cui provengono i sostegni alla disabilità (comune, regione, INPS), ciò anche al fine di evitare possibili abusi;
    Area popolare nella mozione n. 1124 sulle politiche a sostegno della famiglia approvata dalla Camera il 2 marzo 2016, ha preso chiaramente posizione a favore di tutte le famiglie, dalle più indigenti a tutto l'universo delle famiglie che costituiscono il ceto medio il quale negli ultimi anni si è impoverito in modo significativo, senza poter contare su indicatori adeguati della sua effettiva condizione; nella mozione in questione si impegnava il Governo a promuovere una politica trasversale di sostegno della famiglia, quale nucleo fondamentale della società, rispondendo, al tempo stesso, ad una grave emergenza economica e sociale e ad un'esigenza di attuazione della Costituzione; si impegnava altresì il Governo ad attuare interventi in materia di servizi socio-educativi per l'infanzia e soprattutto ad assumere iniziative per la revisione del regime fiscale della famiglia, in modo da farne un efficace stimolo alla genitorialità e un reale sostegno ai nuclei familiari con più figli. Tutte misure che richiedono una revisione dell'ISEE e un suo ricalcolo più appropriato;
    da quanto sopra esposto appare evidente che la revisione complessiva dei criteri di calcolo dell'ISEE, non può essere considerato un mero problema tecnico o contabile, quanto invece un problema politico, da riportare nella sua sede naturale, cioè il Parlamento,

impegna il Governo:

   nelle more di un intervento di riforma della normativa vigente, in conformità alla sentenza citata del Consiglio di Stato, ad emanare linee guida applicabili su tutto il territorio nazionale, indicanti le modalità transitorie di calcolo da effettuarsi in base alle disposizioni normative antecedenti alla riforma intervenuta con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, n. 159;
   a convocare un tavolo di discussione con le associazioni familiari per la revisione del calcolo dell'ISEE, tenendo sempre presente che il calcolo dell'ISEE va effettuato tutelando i soggetti più deboli della società e che al centro di tutte le politiche di welfare deve esserci la famiglia con le sue problematiche ordinarie, compresi gli aspetti demografici di sostegno alla genitorialità;
   a promuovere una corretta campagna di informazione, tramite i propri canali istituzionali, per rendere noti a tutti soggetti interessati, a cominciare da coloro che hanno presentato dichiarazioni ai fini ISEE non conformi alle sentenze del TAR e del Consiglio di Stato, tutte le informazioni e i chiarimenti necessari per la corretta compilazione del modello;
   ad assumere iniziative normative per una riforma dell'ISEE, tenendo conto delle problematiche esposte in premessa e prevedendo in particolare l'introduzione di un quoziente familiare, una sorta di moltiplicatore dei carichi di famiglia, volto a tutelare la famiglia naturale così come individuata dall'articolo 29 della Costituzione.
(1-01199) «Binetti, Tancredi, Vignali, Buttiglione, Bosco, Pagano».


   La Camera,
   premesso che:
    l'indicatore di situazione economica equivalente (ISEE) è in vigore dal 1998, anno in cui fu ideato per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari, al fine di regolarne l'accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie erogate dai diversi livelli territoriali di Governo;
    la situazione economica è determinata tenendo conto del reddito di tutti i componenti il nucleo familiare, del loro patrimonio e, attraverso una scala di equivalenza, della composizione dello stesso nucleo;
    la revisione dell'ISEE è stata adottata con l'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici; tali disposizioni hanno ricevuto applicazione con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 5 dicembre 2013, n. 159 – Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) – e il nuovo modello è entrato in vigore dal 1o gennaio 2015;
    il nuovo calcolo ha previsto l'inclusione nell'indicatore di tutti i redditi percepiti dai componenti del nucleo familiare del richiedente, compresi quelli soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo di imposta e quelli esenti da Irpef, tra i quali le pensioni di invalidità, le indennità di accompagnamento e le borse di studio percepite dagli studenti universitari;
    alle nuove modalità di calcolo dei parametri per l'ISEE non ha fatto seguito il necessario adeguamento delle soglie di reddito, che danno diritto ad accedere alle prestazioni da parte degli enti locali. Pertanto, l'applicazione dei nuovi parametri ha determinato l'esclusione di migliaia di famiglie dall'accesso alle prestazioni sociali agevolate, costringendole a sostenere spese anche ingenti per ottenere servizi indispensabili;
    i soggetti maggiormente penalizzati sono stati quelli affetti da disabilità, che si sono trovati esclusi dall'accesso ai presidi sanitari e a numerose prestazioni assistenziali, e gli studenti universitari, il dieci per cento dei quali è decaduto dal diritto a percepire una borsa di studio;
    sicché, sono stati sollevati dubbi sulla legittimità costituzionale del sistema di calcolo Isee così come riformato, ritenendo che lo stesso fosse evidentemente in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione. In particolare, è stato contestato il conteggio nel reddito dei contributi ricevuti a fine assistenziale, poiché, come predetto, il modello approvato comprende le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento;
    già con precedenti atti di sindacato ispettivo, tra i quali l'interrogazione del 27 gennaio 2015 n. 4-07683, è stato denunciato che l'ISEE, come modificato, sfavorisce i disabili più gravi. Pertanto, è stato richiesto specificamente al Ministro dell'economia e delle finanze di «adottare immediati provvedimenti per escludere dal calcolo dell'ISEE le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, nonché innalzare le soglie di accesso alle prestazioni sociali agevolate». Inoltre, sono molteplici i provvedimenti rispetto ai quali sono state presentate proposte emendative, poi non approvate, affinché «le indennità di accompagnamento e le pensioni di invalidità siano escluse dal calcolo dell'Isee»;
    è inammissibile, anche da un punto di vista giuridico, che tali entrate siano state equiparate al reddito da lavoro, posto che disabilità e lavoro non sono di certo equiparabili. L'ingiustizia di tali disposizioni ha, dunque, costretto alcune associazioni per la difesa dei diritti dei disabili ad intervenire con la presentazione di ben tre ricorsi al Tar Lazio, per eccepire l'illegittimità del nuovo ISEE, impugnando il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
    il Tar del Lazio con le sentenze n. 2454, n. 2458 e n. 2459 del 21 febbraio 2015 ha in parte accolto i ricorsi e ha dichiarato l'illegittimità del regolamento dell'ISEE nella parte in cui considera come reddito disponibile anche i proventi legati alla disabilità; inoltre, ha ritenuto illegittima la franchigia prevista per i maggiorenni con disabilità e quella più alta per i minorenni con disabilità;
    il tribunale amministrativo ha così fatto valere i fondamentali principi della Carta Costituzionale stabiliti negli articoli 3, 32 e 38, affermando che la pensione di invalidità e le indennità di accompagnamento non devono essere inseriti tra i redditi disponibili, poiché la loro previsione penalizza gravemente le fasce sociali più deboli;
    il Governo, nonostante l'immediata esecutività delle sentenze, avverso le stesse, ha proposto ricorso. La formulazione del nuovo ISEE ha quindi dato luogo ad una battaglia giudiziaria che, il 29 febbraio 2016, ha visto la pronuncia del Consiglio di Stato con le sentenze n. 838, 841 e 842 del 2016, che hanno confermato l'illegittimità dell'ISEE, sancendo che le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito. Il Collegio ha infatti respinto il ricorso del Governo argomentando che «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva e ontologica situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa». Inoltre, i giudici amministrativi hanno evidenziato che: «... ricomprendere tra i redditi i trattamenti... indennitari percepiti dai disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno al disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità... (dato) ... oltremodo irragionevole ... (oltre che) ... in contrasto con l'articolo 3 Cost. ...»;
    è, dunque, assurdo che per stabilire un principio di semplice buon senso a tutela delle fasce sociali più deboli le associazioni dei disabili siano state costrette a rivolgersi al giudice amministrativo. È chiaro che il Governo deve adesso adottare urgenti iniziative per conformare il regolamento dell'ISEE alle sentenze del Consiglio di Stato, prevedendo, quindi, l'esclusione dal calcolo delle provvidenze assistenziali. Inoltre, vanno adottati i dovuti provvedimenti a tutela di coloro che hanno ricevuto un danno conseguente all'applicazione delle norme dichiarate illegittime dal Consiglio di Stato sul calcolo ISEE;
    resta, invece, ancora insoluta la situazione in cui versano centinaia di studenti universitari, i quali, in base ad un meccanismo perverso, dovendo includere nel reddito le borse di studio percepite nel precedente anno e in considerazione del fatto che solo tre regioni hanno sinora provveduto ad aumentare le soglie di reddito per l'accesso alle prestazioni, si sono visti negare la borsa di studio per il successivo anno accademico;
    in un momento storico nel quale gli indici di povertà hanno registrato continui aumenti non possono essere in alcun modo sacrificate le prestazioni sociali di sostegno al reddito in nome di una solo «sbandierata» e distorta spending review,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per adeguare le disposizioni relative al calcolo delle ISEE alle recenti sentenze del Consiglio di Stato, n. 838, n. 841 e n. 842 del 29 febbraio 2016, prevedendo un sistema che non ricomprenda gli emolumenti assistenziali nel reddito al fine di tutelare i disabili e le persone non autosufficienti;
   ad adottare tutte le iniziative riparatorie nei confronti di coloro che hanno ricevuto un danno dall'applicazione delle disposizioni dichiarate illegittime sul calcolo ISEE, procedendo: alla rideterminazione della quota di compartecipazione a carico dell'utente per l'anno 2015 e l'anno 2016; alla conseguente restituzione degli importi che non erano dovuti; al risarcimento del danno per coloro che hanno ricevuto un pregiudizio, poiché non hanno potuto usufruire di prestazioni sociali che, di contro, andavano garantite;
   a porre in essere idonee iniziative al fine di escludere dal calcolo del reddito le borse di studio percepite dagli studenti universitari, ovvero al fine di adeguare i parametri di reddito che regolano l'accesso alle prestazioni.
(1-01200) «Rizzetto, Giorgia Meloni, Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in data 26 febbraio 2016 è stata diramata la circolare n.5/2016 del Ministero dell'interno – direzione centrale servizi elettorali – concernente «Indizione di un referendum popolare previsto dall'articolo 75 della Costituzione, per l'abrogazione di disposizione di legge statale. Propaganda elettorale e comunicazione politica. Rappresentanti dei partiti o gruppi politici presenti in Parlamento e dei promotori del referendum»;
   nella predetta circolare si sottolinea che ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n. 28, a far data dalla convocazione dei comizi – cioè dal 16 febbraio 2016, giorno di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente della Repubblica – e fino alla conclusione delle operazioni di voto «è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni»;
   l'articolo 48 della Costituzione sancisce che il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico;
   con le modifiche apportate alla legge 4 aprile 1956, n. 212, con l'articolo 1, comma 400, lettera h), della legge 27 dicembre 2013, n. 146 (legge di stabilità 2014) è stata disposta l'abolizione della propaganda indiretta ed è stata determinata una riduzione degli spazi della propaganda diretta;
   con risoluzione 237 (2007), il Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa, ha approvato il codice di buona condotta in materia di referendum, adottato dalla Commissione di Venezia alla sua 70a sessione;
   con la risoluzione 1592 (2007) l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha deciso di trasmettere il codice di buona condotta in materia di referendum alle delegazioni e ai Parlamenti nazionali, ai fini della sua immediata applicazione all'interno dei Paesi membri del Consiglio d'Europa;
   alla lettera d), del punto 3.1. «Libera formazione dell'opinione degli elettori» della parte I «referendum e patrimonio elettorale europeo», il codice di buona condotta sui referendum raccomanda che le autorità devono fornire informazioni obiettive. Ciò comporta che debba essere messo a disposizione degli elettori con sufficiente anticipo il testo sottoposto a referendum ed un rapporto esplicativo o del materiale imparziale da parte dei sostenitori e degli oppositori della proposta. Le procedure riguardanti il testo, il rapporto ed il materiale sono le seguenti:
    a) devono essere pubblicati sulla gazzetta ufficiale largamente in anticipo rispetto alla data del voto;
    b) devono essere inviati direttamente ai cittadini e ricevuti sufficientemente in anticipo rispetto alla data del voto;
    c) la relazione esplicativa deve fornire una presentazione imparziale non soltanto del punto di vista delle autorità esecutive e legislative o delle persone che condividono la loro opinione, ma anche di quelle opposte;
   nella relazione illustrativa del codice di buona condotta, al punto 13, si sottolinea come sia legittimo per i diversi organi di governo comunicare il proprio parere all'interno del dibattito in favore o contro il testo sottoposto al voto. Tuttavia, non devono abusare della propria posizione. In ogni caso, l'uso dei fondi pubblici per fini di campagna elettorale deve essere vietato al fine di garantire le pari opportunità e la libertà degli elettori di farsi una propria opinione. Inoltre, le pubbliche autorità a tutti i livelli (nazionale, regionale o locale) non devono impegnarsi in una campagna eccessiva e faziosa, ma devono mostrare neutralità. Chiaramente, ciò non significa che non prenderanno una posizione, ma devono fornire una giusta quantità di informazioni necessarie a consentire agli elettori di conseguire un parere informato. Gli elettori devono essere in grado di informarsi, con sufficiente anticipo, sia in merito al testo sottoposto a votazione, sia – soprattutto alla spiegazione dettagliata della questione: la migliore soluzione per le autorità è quella di fornire agli elettori una relazione esplicativa che esponga non soltanto il loro punto di vista o quello delle persone che lo condividono, ma anche del parere opposto, in maniera equilibrata;
   un'altra possibilità è che le autorità inviino agli elettori del materiale informativo equilibrato sia dei sostenitori che degli oppositori della proposta, composto, mutatis mutandis, agli indirizzi elettorali dei candidati, da mettere a disposizione dei cittadini prima di alcune elezioni;
   infine, nella relazione illustrativa, al punto 14, si specifica che sia il testo che la relazione esplicativa o il materiale equilibrato, della campagna, devono essere inviati direttamente ai cittadini sufficientemente in anticipo rispetto al voto (almeno due settimane prima);
   considerato quanto riportato si evidenzia come le misure adottate con legge n. 146 del 2013 abbiano ridotto gli spazi destinati all'informazione sulle consultazioni referendarie senza compensare con misure tali da consentire ai cittadini di informarsi al fine di partecipare al processo decisionale politico in occasione del referendum e di colmare la distanza tra loro e i decisori. L'assenza di tali misure non è conforme alle linee guida adottate dalla Commissione di Venezia nel codice di buona condotta sui referendum e accolte dal Consiglio d'Europa per la promozione e il rafforzamento della democrazia e dello stato di diritto –:
   quali eventuali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di conformarsi alle linee guida contenute nel richiamato codice di buona condotta sui referendum, assicurando così una adeguata informazione degli elettori, a che mediante l'invio di materiale informativo che dia conto delle opinioni favorevoli e contrarie: con riferimento al quesito referendario di cui alla circolare n. 5 del 2016 del Ministero dell'interno.
(2-01319) «Fraccaro».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come riporta un articolo del settimanale Panorama a firma del professore di diritto costituzionale Luca Antonini dell'università di Padova, il tormentone del canone Rai in bolletta non è ancora risolto e difficilmente il decreto attuativo riuscirà a superare il ginepraio in cui ci si è infilati;
   non a caso negli altri Paesi (Francia, Germania, Regno Unito), dove pure è prevista un'imposta per il finanziamento del servizio televisivo pubblico, a nessuno è venuta in mente di riscuoterla con la bolletta dell'energia elettrica;
   il settore della fornitura dell'energia elettrica dal 2007 è stato liberalizzato e tutti i clienti possono scegliere – e cambiare, anche in corso d'anno e ogni volta che lo ritengono – il proprio fornitore;
   queste e tante altre complicazioni non sono state tenute nel debito conto da parte del Governo e della maggioranza che ha approvato una tale norma;
   innanzitutto, anziché approvare una nuova legge ad hoc, il professore Antonini e l'interrogante ritengono che sarebbe stato corretto, giuridicamente, inserire le nuove previsioni nel vecchio regio decreto-legge n. 246 del 1938, recante «Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni»;
   è chiaro che ai tempi dell'impero d'Etiopia la situazione era un po’ diversa: non c'era un settore del mercato elettrico complesso e articolato, con utenti del mercato di maggior tutela (Enel servizio elettrico) e quelli che hanno optato, invece, per quello libero (per esempio, Enel energia, Sorgenia o Acea);
   l'Antitrust, ovviamente, ha fissato molti «paletti» alla soluzione escogitata (trasparenza, distinzione degli importi e altro) e tanti altri ne stanno venendo alla luce, ma non si tratta solo di questioni tecniche;
   l'Antitrust, infatti, ha anche precisato che se, da un lato, il servizio pubblico può essere finanziato da una combinazione di risorse pubbliche e proventi commerciali, dall'altro occorre «evitare che le risorse pubbliche siano utilizzate per il finanziamento di attività commerciali, situazione che determinerebbe un'evidente distorsione concorrenziale»;
   cosa non facile, perché la Rai è un «soggetto ibrido» che coniuga obiettivi pubblicistici e commerciali a loro volta finanziati sia da risorse pubbliche (il canone) sia da attività commerciali;
   la Rai, inoltre, a differenza delle altre tv europee si finanzia con un ricorso alla pubblicità molto più alto: la Rai viaggia sul 46 per cento, contro il 13 della tv pubblica tedesca Zdf-Adr, mentre la Bbc addirittura non può fare pubblicità;
   l'Antitrust ha, quindi, auspicato una radicale riforma della Rai verso «un assetto societario e organizzativo moderno» fondato su regole che consentano di «garantire l'efficienza e assicurare l'effettività del finanziamento pubblico» (oggi tutt'altro che scontata), in modo da assicurare «la concorrenza dei mercati televisivi e il rispetto del pluralismo dell'informazione». Ha poi «rincarato la dose» segnalando le perplessità della Corte dei conti sulla gestione finanziaria della Rai;
   se tanto l'Antitrust quanto la Corte dei conti dubitano che la Rai di oggi possa gestire correttamente gli introiti del canone, viene spontaneo chiedersi se in questa situazione il cittadino non possa decidere, con una protesta fiscale, di adire al riguardo i giudici;
   i motivi di dubbia legittimità della scelta governativa sono già, a giudizio dell'interrogante e del professore Antonini, molteplici anche senza considerare, per ora, quelli ulteriori che emergeranno dall'emanando decreto:
    a) se il canone Rai è un'imposta e non una tariffa per un servizio, come ha stabilito la Consulta, si configura però come un'imposta «espropriativa», dal momento che chiedere 100 euro ogni anno per un televisore vuol dire che dopo pochi anni di applicazione l'imposta ha totalmente esorbitato, nella normalità dei casi, il valore del bene tassato;
    b) siccome il canone è un'imposta e non una tariffa, è illegittimo pretenderne il pagamento con una bolletta destinata a coprire il costo di un servizio divisibile; altrimenti, per l'esigenza di evitare l'evasione, anche un Comune potrebbe chiedere il pagamento dell'Imu nella bolletta;
    c) è draconiano e sproporzionato imporre l'obbligo di autocertificare sotto responsabilità penale di non possedere un televisore; nessuna sanzione penale, infatti, colpisce chi non dichiara fino a 50 mila euro nell'ambito Irpef;
   per portare la questione davanti ai giudici basterebbe, secondo quanto sostiene il professore Antonini e che l'interrogante condivide, al momento dell'addebito delle prime rate del canone nella bolletta di luglio, pagare 20 o 30 euro in meno rispetto alla somma richiesta e allegare una dichiarazione di non essere interessato al servizio Rai (è un servizio divisibile: non è come l'illuminazione stradale) al punto di essere disposto a farsi criptare il segnale;
   a quel punto l'amministrazione manderà un avviso di accertamento che potrà essere impugnato davanti alla commissione tributaria anche attraverso un ricorso «collettivo» (che permette di abbattere i costi del giudizio). Si tratterebbe quindi di una sorta di class action tributaria (recentemente legittimata dalla Corte di Cassazione) e una volta avviato il giudizio si potrà così anche sollevare una questione di legittimità costituzionale davanti alla Consulta –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-12644)


   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 marzo 2016, la società Almaviva Contact, il maggior contact center italiano, che impiega complessivamente circa 8000 lavoratori, ha comunicato alle organizzazioni sindacali e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il piano di riorganizzazione aziendale che prevede una procedura di riduzione del personale per complessivi circa 3000 lavoratori;
   dal piano di riorganizzazione aziendale di Almaviva Contact sono coinvolti i lavoratori della sede di Roma, 920 lavoratori, di Napoli, 400 lavoratori e Palermo, 1670 lavoratori;
   il piano coinvolge il 6 per cento del personale attualmente in forza al gruppo a livello globale (50 mila persone, in sette Paesi) ed è, secondo quanto affermato dalla società Almaviva Contact, diretto al necessario obiettivo di garantire condizioni di equilibrio industriale e di avviare, nel medio periodo, un percorso di rilancio del posizionamento di mercato nel settore italiano;
   l'azienda Almaviva Contact ha reso noto che, tra il 2011 e il 2015, ha subito una contrazione dei ricavi del 33 per cento sul mercato italiano;
   l'azienda Almaviva Contact ha dichiarato che la responsabilità della contrazione dei ricavi è da addebitarsi alle gare al massimo ribasso che si svolgono nel settore delle Tlc, che hanno portato i costi dei servizi esternalizzati ai minimi e da qui l'abbattimento dei ricavi di chi quei servizi li vende alle grandi società delle telecomunicazioni;
   in particolare, l'azienda ha dichiarato che, alla base della dichiarazione di esubero, vi sono proprio i numeri relativi al «margine diretto di produzione», ovvero i ricavi meno il costo del lavoro, rapporto che, ad esempio, per la sede di Palermo certifica un dato del 9,6 per cento, a fronte di un obiettivo minimo, utile a tenere in equilibrio i conti pari almeno al 21 per cento;
   nel corso delle prossime settimane, sono previste riunioni tra Almaviva Contact con le organizzazioni sindacali per esaminare l'impatto sociale ed occupazionale della procedura;
   si apre così un gravissimo dramma sociale in realtà già fortemente compromesse dalla crisi economica degli ultimi anni, in quanto i licenziamenti previsti non possono essere assolutamente assorbiti dal tessuto industriale e produttivo del Lazio, della Campania e della Sicilia;
   l'intervento del Governo è indispensabile e deve essere immediato e improcrastinabile nel tempo in quanto vanno ricercate con il sindacato e la società Almaviva soluzioni adeguate per evitare i licenziamenti, attraverso l'apertura di un tavolo di crisi;
   seri dubbi sul piano di riorganizzazione sono stati avanzati dai sindacati in quanto i licenziamenti prospettati non sarebbero giustificati dalle perdite dell'azienda; così come hanno criticato aspramente anche la decisione di non accedere agli ammortizzatori sociali per il personale in esubero che viene lasciato senza alcun paracadute sociale;
   i sindacati hanno denunciato come da parte di Almaviva Contact si sia operato in modo che la distribuzione delle commesse abbia causato perdite in alcuni siti, ad esempio le sedi interessate dal piano di riorganizzazione aziendale e dai licenziamenti, e margini operativi positivi in altre sedi, che ora sono in attivo;
   il 9 marzo 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico si è aperto un tavolo di settore sul call center incentrato sulle commissioni pubbliche di Enel e Poste italiane assegnate al massimo ribasso, una modalità che Enel e Poste italiane continuano a perseguire, assegnando attività in assenza del rispetto delle clausole sociali, questo nonostante siano stati approvati provvedimenti legislativi che garantiscono la continuità lavorativa del rapporto di lavoro nei cambi di appalto;
   il Governo, inoltre, deve farsi garante sul rispetto delle norme di legge sulla delocalizzazione delle attività di call center, legge entrata in vigore da quattro anni ma, di fatto, mai applicata, che consentirebbe di fermare la fuga di imprese verso Paesi con un basso costo del lavoro, riuscendo così anche a riportare in Italia attività importanti e contribuire a stabilizzare i livelli occupazionali;
   intervenendo sulla questione Almaviva, la viceministra allo sviluppo economico Teresa Bellanova, ha espresso, a nome del Governo, la preoccupazione per quanto sta avvenendo, chiedendo alla azienda di interrompere le procedure di licenziamento. Nella stessa nota ha evidenziato la volontà del Governo di intervenire sul settore con misure capaci di frenare il fenomeno delle delocalizzazioni delle attività;
   tale dichiarazione stride con la risposta fornita dal Ministero dello sviluppo economico all'interrogazione n. 5-07538 svolta in X commissione, attività produttive, commercio e turismo, presentata in data 28 gennaio 2016 dai deputati Ricciatti, Palazzotto, Ferrara e Duranti, in merito all'applicazione dell'articolo 24-bis del decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, recante «Misure a sostegno della tutela dei dati personali della sicurezza nazionale della concorrenza e dell'occupazione nelle attività svolte da call center» e riguardante in particolar modo il sistema di controllo e sanzioni per le aziende che svolgono attività in Paesi esteri;
   in tale occasione, il Ministero dello sviluppo economico ha comunicato di aver svolto i controlli previsti rilevando numerose infrazioni, ma di non avere proceduto alla parte sanzionatoria riconoscendo quanto previsto dal citato articolo 24-bis applicabile ai soli Paesi extra Unione europea;
   tale decisione ha di fatto privato la norma pensata come deterrente all'attività di delocalizzazione di ogni effetto concreto;
   appare necessario che il tavolo avviato il 9 marzo 2016, presso il Ministero dello sviluppo economico si occupi anche della vicenda Almaviva e più in generale si rivolga all'intero comparto dei costumer care;
   prioritariamente il Governo deve assumere iniziative, per gli interroganti, per garantire gli ammortizzatori sociali che consentano una gestione efficiente delle crisi occupazionali in atto, in particolare quella derivante dal piano di riorganizzazione della società Almaviva Contact poiché in assenza di risposte ed impegni precisi si prospettano migliaia di licenziamenti che si concretizzeranno nei prossimi mesi, soprattutto nelle città che soffrono una maggiore tensione occupazionale –:
   se il piano di riorganizzazione aziendale della società Almaviva Contact, che prevede una procedura di riduzione del personale per complessivi circa 3000 lavoratori, sia effettivamente derivante da una contrazione dei ricavi del 33 per cento sul mercato italiano, da addebitarsi ale gare al massimo ribasso alle quali committenti pubbliche continuano a riferirsi per l'assegnazione di gare per servizi di customer care;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo affinché commissioni pubbliche di servizi di customer care siano assegnate attraverso gare che escludano il massimo ribasso e prevedano espressamente la presenza di clausole sociali a garanzia dei livelli occupazionali;
   se il Governo non ritenga necessario avviare iniziative efficaci, anche promuovendo modifiche alla normativa vigente, per la parte di propria competenza, affinché siano rafforzati gli strumenti per disincentivare la delocalizzazione delle attività di call center, di cui all'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012;
   se non ritenga necessario che il tavolo avviato il 9 marzo 2016, presso il Ministero dello sviluppo economico abbia come oggetto anche il piano riorganizzazione della società Almaviva Contact e più in generale affronti tutte le questioni e le criticità dell'intero comparto dei costumer care;
   se non intenda assumere iniziative per garantire gli ammortizzatori sociali per il personale in esubero della società Almaviva Contact;
   se non ritenga, in ogni caso, di attivare un tavolo di crisi che veda la partecipazione dei sindacati dei lavoratori e della società Almaviva al fine di individuare soluzioni adeguate per evitare i licenziamenti. (4-12650)


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Palermo possiede il 100 per cento della società AMG Energia s.p.a.;
   tale società, come ben evidenziato nella deliberazione n. 53 del 17 aprile 2012 del commissario straordinario con poteri della giunta comunale di Palermo, esercita contemporaneamente attività riconducibili sia a servizi pubblici locali a rilevanza economica sia servizi strumentali;
   in particolare, emergerebbe che la società AMG Energia s.p.a. eserciterebbe i servizi pubblici locali a rilevanza economica di gestione del servizio di distribuzione e vendita del metano a mezzo rete e di gestione del servizio di illuminazione pubblica della città di Palermo e di Controllo impianti termici e, al contempo, i servizi strumentali di gestione del servizio energia e di energy auditing;
   come opportunamente riportato all'interno della citata deliberazione, ai sensi di quanto disposto dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, «per le società che oltre ai servizi pubblici locali a rilevanza economica svolgono anche “attività strumentali”, queste ultime dovranno essere disgiunte e, a tal fine, l'amministrazione potrà scegliere di: a) scorporarle al fine della messa in liquidazione dei relativi rami d'azienda; b) affidare a terzi le medesime attività, mediante appalti pubblici; c) in via del tutto residuale, costituire una nuova società “strumentale” partecipata dal comune [...]»;
   ciò è confermato da quanto previsto al secondo comma dell'articolo 13 del decreto-legge n. 248 del 2006, che impone che gli enti locali prevedano per le società strumentali un oggetto sociale esclusivo;
   l'impossibilità per una società di esercitare contemporaneamente servizi pubblici locali e strumentali è stata ribadita dalla Corte dei conti, in particolare dalla deliberazione n. 517/2011/Par del 17 ottobre 2011 emanato dalla sezione regionale di controllo per la Lombardia, che testualmente stabilisce, tra l'altro, che «il legislatore ha dettato regole precise e differenziate per la gestione delle varie funzioni ed attività, stabilendo, altresì, specifiche incompatibilità fra la gestione di attività strumentali che vedono quale destinatario ed interlocutore l'ente locale e le attività a rilevanza economica che presentano un'incidenza sul mercato, sia pure locale»;
   ancora tramite la deliberazione n. 074/2012/PAR del 17 gennaio 2012 emanata dalla sezione regionale di controllo per il Veneto, testualmente si stabilisce, tra l'altro, che «I soci che detengono partecipazioni in società alle quali siano state affidate contemporaneamente attività riconducibili a servizi strumentali ed attività riconducibili a servizi pubblici locali a rilevanza economica se non hanno ancora provveduto ad eliminare l'anomalia, debbono provvedere alla loro liquidazione, anche per evitare di incorrere nelle specifiche violazioni previste dallo stesso articolo 13 della legge n. 248/2006, che sanziona con la nullità i contratti relativi ai servizi strumentali gestiti impropriamente da una società affidataria»;
   inoltre, la netta separazione tra società che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica e società che gestiscono servizi strumentali è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza e dalla normativa europea in materia di concorrenza;
   il medesimo decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, articolo 13, comma 3, più volte modificato, imponeva agli enti locali il termine di 42 mesi per conformarsi alle previsioni normative, termine scaduto il 4 gennaio 2010, molto prima della deliberazione del 17 aprile 2012 sopra richiamata, e imponeva, quale sanzione, la nullità di contratti siglati in forma non conforme alle norme ivi contenute;
   ad oggi non risulta che l'ente comune di Palermo abbia provveduto entro i termini sopra descritti a conformarsi agli obblighi di legge;
   inoltre, l'articolo 34, comma 20, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, stabilisce che «Per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste»;
   tuttavia, da quanto è stato constatato dagli interroganti all'interno della sezione trasparenza del sito web del comune di Palermo, nella parte dedicata alle relazioni ex articolo 34 decreto-legge n. 179 del 2012, non risulta pubblicata alcuna relazione della AMG, così come di numerose altre società partecipate dall'ente comune di Palermo;
   inoltre, la società AMG Energia s.p.a., oltre a svolgere i sopra citati servizi strumentali e servizi pubblici locali a rilevanza economica per il comune di Palermo, ad avviso degli interroganti con modalità di dubbia legittimità, risulta essere affidataria di lavori per altri enti pubblici; in particolare, risulta essere affidataria dell'attività di realizzazione, gestione e manutenzione di impianti fotovoltaici per l'Aeroporto Falcone-Borsellino, con evidenti profili di criticità rispetto ai divieti imposti dal citato articolo 13 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 in materia di concorrenza;
   oltre alla società AMG Energia s.p.a., nella citata deliberazione n. 53 del 17 aprile 2012, si fa riferimento anche alla società AMIA s.p.a., la quale esercitava servizio pubblico locale a rilevanza economica di servizio di gestione ed igiene ambientali e il servizio strumentale di servizio di manutenzione stradale: ad oggi la società AMIA s.p.a. risulta essere fallita e le sue attività cedute alla società di nuova costituzione RAP s.p.a. che attualmente svolge entrambe le sopra elencate attività;
   il contratto di servizio della società RAP s.p.a. è stato approvato nel 2014 con alcune piccole modifiche rispetto al precedente contratto di servizio in essere tra comune di Palermo e AMIA s.p.a., che comunque le consentono di continuare ad esercitare contemporaneamente il servizio di gestione ed igiene ambientali e il servizio di manutenzione stradale: nello specifico le è stato confermato il servizio di manutenzione stradale, con modalità di dubbia legittimità secondo gli interroganti, classificandolo come «un sistema integrale di interventi sulla viabilità cittadina» che comprende anche gli interventi dopo i sinistri stradali –:
   se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per attivare iniziative ispettive, da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso la ragioneria generale dello Stato e dell'ispettorato per la funzione pubblica presso il dipartimento per la funzione pubblica, al fine di verificare la regolarità della situazione amministrativo-contabile presso l'ente comune di Palermo. (4-12658)


   PESCO, SORIAL, DE ROSA, CASO, CARINELLI, TRIPIEDI, COMINARDI, ZOLEZZI, ALBERTI, MANLIO DI STEFANO e TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo de «il Fatto Quotidiano», richiamato in toto dal titolo «Expo, gli amministratori: “Rosso 2015 è di almeno 30,6 milioni. A marzo riduzione del capitale per perdite – La relazione del consiglio di amministrazione di Expo 2015 presentata ai soci il 9 febbraio”. Sala: “Risorse sono sufficienti per le prossime 3-4 settimane”. Corte dei Conti: “Mancano risposte sulla copertura dei costi post esposizione”» si legge e apprende:
    «la società che ha gestito l'esposizione universale meneghina ha chiuso il 2015 con un rosso compreso tra 30,6 e 32,6 milioni di euro, a seconda dei risultati finali del recupero crediti. A smentire Sala è lo stesso Sala. O meglio, il consiglio di amministrazione di Expo 2015 da lui guidato, che lo scorso 18 gennaio ha messo nero su bianco la cifra in una relazione che è stata discussa dai soci il 9 febbraio scorso. Dieci giorni dopo la data inizialmente prevista, il 29 gennaio a ridosso delle primarie del Pd che hanno incoronato Sala candidato sindaco di Milano, poi spostata su indicazione del Ministero dell'economia;
    nel documento, che ribadisce la rilevanza del risultato a livello di patrimonio netto, positivo per 14,2 milioni, si legge anche che “in considerazione delle spese strutturali previste nei primi mesi del 2016 (quantificabili in 4 milioni mensili), è probabile una ricaduta nelle previsioni dell'articolo 2447 del codice civile durante il mese di marzo” (...) Una situazione in cui la legge impone l'abbattimento del capitale stesso e il suo contemporaneo aumento per riportarlo al minimo legale;
    (...) lo stesso Sala ha confermato che “le risorse sono sufficienti per le prossime 3-4 settimane” e che “è importante rendere chiara la situazione al nominato organo di liquidazione”. Anche perché i liquidatori freschi di nomina – il prorettore della Bocconi Alberto Grando, Elena Vasco (Camera di Commercio), Maria Martoccia (Ministero finanze) e i confermati Domenico Ajello (Regione Lombardia) e Michele Saponara (Città Metropolitana) per i quali è stato fissato un compenso complessivo di 150 mila euro – hanno 90 giorni per elaborare un progetto di liquidazione. Per la scadenza, però, stando alle stime del cda, Expo 2015 avrà una carenza di liquidità di oltre 80 milioni di euro»;
    «secondo i calcoli del vecchio cda di expo, infatti, per il 2016 la società ha bisogno di 58,3 milioni di euro: 39,6 per lo smantellamento e 18,7 per la chiusura dell'azienda. La somma andrebbe chiesta pro quota ai soci (pubblici) di Expo. Ma grazie al Fast Post Expo può essere ridotta di 19,5 milioni con il “ribaltamento dei costi sostenuti ad Arexpo”. E così agli azionisti di Expo toccherebbe sborsare “solo” 38,8 milioni: al Ministero dell'economia toccherebbero 15,5 milioni, alla Regione e al Comune 7,8 a testa, mentre la Provincia e alla Camera di Commercio ne dovrebbero versare 3,9 ciascuna. Resta da capire quanto costerà l'operazione sul lato Arexpo i cui soci, dopo l'ingresso del Tesoro, saranno ancora una volta lo Stato, la Regione e il Comune, oltre alla Fondazione Fiera Milano pur destinata a diluirsi fortemente»;
    la presenza, nella previsione di evoluzione delle disponibilità liquide, di «accordi transattivi» è quantificata per 57 milioni di euro corrisposti tra gennaio e febbraio 2016;
    nell'allegato A all'atto n. 68618/12443 del 9 febbraio 2016 stipulato presso lo studio notarile Zabban e Rampolla Associati di Milano, dove erano presenti tutti i soci di Expo Spa, in relazione alla definizione della chiusura di esercizio 2015 e alla quantificazione del patrimonio netto positivo di 14,2 milioni di euro, al punto 7 si legge: «Al risultato di 14,2 milioni di euro concorrono i crediti che la Società vanta verso Arexpo in attuazione dell'Accordo Quadro per 75 milioni di euro, quale corrispettivo della valorizzazione dell'area Expo, per almeno 6 milioni di euro in relazione alle spese di bonifica...»;
    nello stesso allegato A all'atto n. 68618/12443 del 9 febbraio 2016 al punto 15 si legge: «In merito ai rapporti con i soggetti competenti e/o coinvolti (...) occorre evidenziare, affinché l'Assemblea possa opportunamente tenerne conto le divergenze interpretative tra Expo 2015 Spa ed Arexpo Spa emerse in ordine ai reciproci impegni e responsabilità anche economiche, in attuazione dell'Accordo Quadro sottoscritto il 2 agosto 2012»;
    Arexpo spa nella relazione di bilancio d'esercizio 2014 scriveva al punto 5: «Arexpo si impegna a rimborsare i costi sostenuti da Expo per la bonifica dei terreni entro 30 giorni dalla richiesta sulla base dei SAL sostenuti» e al punto 6: «nel corso del 2014 la società ha più volte provato ad avviare contatti con Expo al fine di aprire gli opportuni tavoli di discussione finalizzati ad analizzare e risolvere i problemi sopra richiamati. A fronte delle richieste formali avanzate da Arexpo registriamo che risposte concrete da parte di Expo Spa non sono giunte»;
    con lettera del 20 ottobre 2015 (Prot. Expo n. 1157/E), indirizzata ad Arexpo spa e per conoscenza a vari soggetti tra cui Expo Spa regione Lombardia, Fondazione Fiera Milano, a seguito della lettera di Expo in cui si quantificavano i costi per le bonifiche, riscontra che Arexpo «... si era impegnata a fornire apposita rendicontazione dei costi di bonifica entro 60 giorni dal completamento delle attività relative e che, come si evince dalle date dei certificati di avvenuta bonifica citati nella tabella allegata alla lettera Expo del 10 ottobre 2015, ciò è avvenuto prima della fine del 2013» e più avanti al punto 3 chiede «che Arexpo adempia a tutti gli impegni verso Fondazione circa i giustificativi ancora non pervenuti a titolo di rendicontazione delle operazioni di bonifica eseguite da Expo»;
    nel bilancio d'esercizio al 31 dicembre 2014 di Arexpo al punto 6 si legge: «Si deve inoltre rilevare come molte delle opere permanenti necessitino di oneri di rifunzionalizzazione a suo tempo non previsti di valore significativo. Confrontando il valore degli edifici permanenti, si può notare un robusto e altrettanto significativo contenimento degli investimenti previsti...» Tutti gli elementi sopra richiamati evidenzierebbero ai fini di un mantenimento degli equilibri economici dell'accordo quadro, l'opportunità di una revisione con Expo spa finalizzata ad una riconsiderazione dei contributi indicati al punto 3b del bilancio;
    con lettera del 20 ottobre 2015 (Prot. Expo n. 1156/E) indirizzata ad Arexpo spa e per conoscenza a vari soggetti tra cui Expo Spa e regione Lombardia, Fondazione Fiera evidenzia quanto segue: «Fondazione Fiera ha più volte sollecitato Arexpo riguardo alla necessità di fare chiarezza sul tema del minor valore e della diversa natura delle opere rispetto a quanto originariamente contrattualmente previsto così come espresso dal consigliere designato da Fondazione Fiera in più sedute del Cda a partire da quella del 18 febbraio 2014. Infatti, quanto realizzato presenta sensibili difformità rispetto a ciò che era stato previsto e contrattualizzato; tali difformità che si traducono in un depauperamento del patrimonio di Arexpo, possono essere raggruppate nelle seguenti categorie – Opere non realizzate (esempio Villaggio expo e serre) – Varianti di progetto che comportano una riduzione del valore delle opere – Opere permanenti declassificate a temporanee – Opere permanenti che necessitano di una rifunzionalizzazione per un uso definitivo (esempio passerelle, cascina Triulza, viabilità perimetrale)». E più avanti al punto 5 si legge che Arexpo «avvii con Expo in tempi rapidi e operativi la valutazione economica delle opere previste nei riferimenti contrattuali (AdP, AQ, DPCM) rispetto a quelle effettivamente realizzate ai fini della rideterminazione del corrispettivo di cui all'articolo 2 del capitolo secondo dell'Accordo Quadro» –:
   a quanto ammonti, ogni singolo stanziamento, con distinzione fra quelli solo deliberati e quelli già eseguiti alla data di risposta al presente atto, effettuato da enti pubblici (Ministero dell'economia e delle finanze, regione Lombardia, provincia e comune di Milano) avendo cura di indicare per ognuno di essi la causale con relativa fonte normativa, data di approvazione/delibera e di eventuale pagamento;
   se sia vero che lo spostamento dell'incontro dei soci di Expo previsto per il 29 gennaio 2016 sia stato richiesto dal Ministero dell'economia e delle finanze e con quale modalità;
   a quanto ammontino tutti i costi finanziari (distinti tra interessi, commissioni pro-rata e cosiddette «commissioni secche» o «flat») sostenuti da Expo nei confronti di soggetti rientranti nelle definizione del testo unico bancario o del testo unico enti finanziari;
   se il Ministro dell'economia e delle Finanze in qualità di socio di Expo spa sia a conoscenza dell'apertura di tavoli di discussione nel corso del 2015 finalizzati ad analizzare e risolvere i problemi e la quantificazione dei costi relativi alle opere di bonifica dei terreni del sito espositivo così come più volte richiesto dalla società Arexpo alla società Expo. (4-12664)


   ANDREA MAESTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 13 marzo 2016, la «Rete dei comitati degli esodati» ha lanciato un ulteriore appello al Presidente del Consiglio nella speranza che finalmente, dopo due anni di tentativi senza alcun riscontro positivo, possa essere accolta la loro richiesta per un incontro mirato alla soluzione complessiva della scandalosa questione dei cosiddetti esodati;
   anche la possibilità che era stata formulata da alcuni esponenti della maggioranza nell'incontro con una rappresentanza della Rete dei Comitati il 19 febbraio 2014, secondo la quale si ipotizzava di poter risolvere strutturalmente la «questione esodati» con parte delle risorse finanziarie recuperate dal rientro dei capitali dall'estero, non ha poi avuto seguito;
   la mancanza di attenzione e di risposte da parte del Governo indica il voler rimuovere e negare il dramma con cui gli esodati non ancora salvaguardati sono costretti giornalmente a confrontarsi, nonostante la loro lunga mobilitazione dal 6 dicembre 2011 ad oggi, verso il recupero del loro diritto alla pensione con le regole previgenti la riforma;
   nel corso dell'intervista, alla trasmissione « Che tempo che fa» dello scorso autunno, il Presidente del Consiglio dichiarò che per gli «esodati» (i 49.500 ex lavoratori certificati dal Ministero del lavoro al Parlamento) si sarebbe provveduto a risolvere il dramma con la settima salvaguardia nella legge di stabilità. Ad oggi, di quei 49.500, oltre 24.000 restano ancora non salvaguardati, esclusi da ogni possibilità di deroga;
   si rende pertanto indispensabile un urgente ottavo provvedimento di salvaguardia diretto anche agli esclusi dalle deroghe;
   con una specifica norma di legge si è istituito e finanziato (anche con le risorse non utilizzate delle 6 precedenti norme di deroga) il «fondo esodati» le cui somme avrebbero dovute essere usate esclusivamente per nuovi provvedimenti a favore degli «esodati». Le risorse del fondo istituto con la legge n. 228 del 2012 sono state distratte per il finanziamento della «no tax area», per interventi infrastrutturali per il Giubileo, per interventi sulle aree ex-Expo e per finanziare in parte il provvedimento di ripristino delle norme che regolano la cosiddetta «Opzione Donna»;
   il 19 febbraio 2016, in sede di esame del disegno di legge n. 3495 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185», il Governo ha accolto l'ordine del giorno n. 9/03495/057 presentato all'interrogante appartenente alla componente Alternativa Libera-Possibile, in cui si rilevava una riduzione per l'anno 2015 dello stanziamento del capitolo 4236 dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, «vale a dire le somme da destinare alla tutela dei lavoratori salvaguardati dalla riforma pensionistica tristemente noti come esodati... 500 milioni di euro che verranno utilizzati, a partire dal decreto n. 185 del 2015, per le procedure di sicurezza al Giubileo e per alcuni ammortizzatori sociali in deroga». A ai questa procedura si precisava: «...non sarà possibile la salvaguardia per tutti i circa 50 esodati che dal 2011 sono rimasti senza alcuna forma di sostegno al reddito»;
   il Governo accogliendo il suddetto ordine del giorno, si è impegnato «a valutare la possibilità di adottare le opportune iniziative, eventualmente anche normative, finalizzate a reperire le risorse necessarie per ripristinare lo stanziamento per l'anno 2016, del capitolo 4236 dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali a tutela dei lavoratori esodati»; finora nessuna ulteriore risorsa è stata stanziata;
   la «Rete dei comitati degli esodati» ritiene che il fondo specificamente istituito per la salvaguardia degli esodati sia stato usato in maniera di dubbia legittimità per ogni emergenza, ed evidenzia da parte del Governo, non soltanto una disattenzione verso gli impegni presi, ma anche il mancato rispetto di quanto previsto da una norma inserita in una legge dello Stato, quale è quella di cui all'articolo 1, comma 235 della legge n. 228 del 2012 –:
   se il Governo intenda accogliere la richiesta di un incontro da parte della Rete dei comitati degli esodati;
   se non ritenga urgente adottare iniziative normative volte a definire un ottavo provvedimento di salvaguardia per gli oltre 24 mila esodati finora rimasti esclusi, anche per dar seguito all'accoglimento dell'ordine del giorno n. 9/03495/057.
(4-12665)


   ANDREA MAESTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016, all'articolo 1, comma 391, istituisce la carta della famiglia destinata alle famiglie costituite da cittadini italiani o da cittadini stranieri regolarmente residenti sul territorio italiano, con almeno tre figli minori a carico;
   la carta famiglia nazionale è emessa dai singoli comuni, che attestano lo stato della famiglia al momento del rilascio, ha una durata biennale e consente a coloro che si trovano in determinate condizioni con un determinato indicatore ISEE, l'accesso a sconti sull'acquisto di beni o servizi o a riduzioni tariffarie con i soggetti pubblici o privati che intendano contribuire all'iniziativa;
   i criteri e le modalità per ottenerla, verranno stabiliti con «decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge», quindi, entro il 31 marzo 2016;
   la Rete nazionale dell'economia solidale, a cui aderiscono anche i gruppi di acquisto solidale (GAS) che si riconoscono nei principi e nei valori che da oltre 20 anni ispirano processi collettivi di economia solidale, recentemente hanno inviato una lettera al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, oltre che a tutti i parlamentari, chiedendo di riconsiderare il comma 391 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, laddove si precisa: «La Carta famiglia nazionale è funzionale anche alla creazione di uno o più gruppi di acquisto familiare o gruppi di acquisto solidale nazionali, nonché alla fruizione dei biglietti famiglia e abbonamenti famiglia per servizi di trasporto, culturali, sportivi, ludici, turistici e di altro tipo»;
   secondo la Rete nazionale dell'economia solidale, la legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008), ai commi 266 e 267 dell'articolo 1, ha già definito e disciplinato il fenomeno dei «gruppi di acquisto solidale», definendoli come consumatori che la legge riconosce quali soggetti associativi autonomi, che agiscono con finalità etiche, di solidarietà e di sostenibilità ambientale;
   con l'espressione «gruppo di acquisto solidale», infatti, si identificano le attività di gruppi di persone che intendono favorire comportamenti responsabili e consumi consapevoli, rivolti in particolare all'alimentazione, privilegiando l'agricoltura biologica, il rispetto dell'ambiente, l'accorciamento e la trasparenza della filiera e la costruzione di patti fiduciari tra produttori e consumatori, soprattutto locali. Tra i loro principali scopi c’è la creazione di relazioni di comunità basate sulla solidarietà e sulla sicurezza alimentare dell'oggetto della compravendita, in cui la persona è posta al centro del rapporto e dove lo scambio economico e il prezzo corrisposto, seppur importanti, rientrano in una relazione più ampia e articolata, dove la partecipazione è aperta a tutti i cittadini;
   la Rete nazionale dell'economia solidale e l'interrogante ritengono quindi inopportuno e fuorviante, in un contesto di agevolazioni rivolte a cittadini in particolari condizioni di difficoltà economiche, definire «gruppi di acquisto solidali», gruppi che invece, attraverso l'incentivo delle agevolazioni previste e riservate ai possessori della carta famiglia, perseguono la realizzazione di compravendite vantaggiose;
   il testo del comma 391 dell'articolo 1 sembra proporsi di favorire la formazione di gruppi di acquisto solidali di carattere nazionale, quindi senza alcuna base territoriale locale e non basate sulle relazioni di prossimità tra piccoli gruppi di consumatori e produttori, dove la dimensione della solidarietà sarebbe declinata solamente nel supporto economico a famiglie svantaggiate e non nella scelta consapevole di persone che intendono condividere un percorso di cambiamento di stile di vita e di graduale transizione verso modalità di produzione e consumo maggiormente sostenibili sul piano sociale ed ambientale;
   si ritiene, quindi, che il riferimento ai gruppi di acquisto solidali, all'articolo 1, comma 391, della legge di stabilità 2016, sia un grave errore semantico dovuto alla scarsa conoscenza del fenomeno, che rischia di trasmettere un messaggio fuorviante rispetto alla reale natura di queste organizzazioni e di non aiutare la diffusione di pratiche economiche realmente sostenibili –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se, in risposta alle legittime preoccupazioni espresse dalla Rete nazionale di economia solidale, non ritenga opportuno valutare la possibilità di assumere iniziative per rivedere la norma contenuta nell'articolo 1, comma 391, della legge di stabilità 2016, eliminando il riferimento ai gruppi di acquisto solidale. (4-12666)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è, ormai, di dominio pubblico la vicenda posta dalla collettività di Lentini e dal locale distaccamento dei vigili del fuoco, che presta servizio a pochi metri da questa bomba ecologica, del capannone industriale dell'ex società «Alba Sud», fiorente industria che si occupava d'imballaggi;
   la società, di proprietà della Montedison, per molti anni è stata il volano dell'economia locale, ma dopo il 2000 ha smesso di operare e gli operai sono stati messi in mobilità o in prepensionamento;
   dopo il fallimento, la società «Alba sud» è stata rilevata dall'impresa ISI e quest'ultima avrebbe dovuto procedere alla bonifica delle strutture in eternit, bonifica che, a tutt'oggi, non è stata ancora effettuata;
   recentemente, è stata inviata alla procura della Repubblica competente per territorio un'ulteriore denuncia al fine di sensibilizzare gli organi competenti a dare risposte certe sul grave pericolo che corrono giornalmente i vigili del fuoco e gli abitanti delle zone limitrofe;
   su questa vicenda, nel 2015, anche la nota trasmissione televisiva «Striscia la notizia» aveva trasmesso un servizio sul sito della ex-Alba sud;
   intanto, le fibre di amianto continuano a sbriciolarsi e costituiscono una vera e propria bomba ecologica innescata in una zona dove si registra, tra l'altro, un alto tasso di patologie tumorali;
   l'amministrazione comunale di Lentini sembrerebbe essere intervenuta a più riprese, ma l'opera di bonifica avviata « illo tempore» è stata subito sospesa a seguito delle energiche proteste dei vigili del fuoco del locale distaccamento, la cui caserma si trova a pochissimi metri dal sito incriminato e che, giustamente a giudizio dell'interrogante, temono che l'amianto possa costituire un pericolo incombente per la loro salute;
   la parte di amianto che è stato smantellato è ancora oggi accatastato all'interno del capannone industriale sia incelofanato (i lastroni interi ed integri), che conservato in sacchi aperti dov’è contenuto eternit sbriciolato;
   negli anni, il sito è stato oggetto di attentati incendiari che hanno acuito il problema, rendendolo non più gestibile ed, inoltre, ignoti hanno provveduto a scaricare nella strada adiacente ulteriori pezzi di eternit che il passare delle macchine ha sbriciolato, facendolo diventare polvere e, di conseguenza, aumentandone il carico di pericolosità;
   a giudizio dell'interrogante, il rischio salute è ormai conclamato e non c’è più tempo da perdere –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per monitorare la situazione, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, e tutelare la salute della popolazione di Lentini e del locale distaccamento dei vigili del fuoco. (4-12669)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA, DA VILLA, DELLA VALLE, FANTINATI, CANCELLERI, VALLASCAS, DE ROSA, BUSTO, ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella notte fra il 12 e il 13 marzo 2016 una marea nera ha colpito l'isola tunisina di Kerkennah (Tunisia), sita a 240 chilometri da Pantelleria ed a soli 120 chilometri da Lampedusa;
   come riporta l'articolo pubblicato del sito «Qualenergia.it» «Un tubicino (pare di un centimetro di diametro) di una piattaforma, la Cercina 7 della società Thyna Petroleum Services si è rotto»;
   come noto, l'economia dell'isola di Kerkennah si basa sulla pesca (in particolar modo, su quella del polpo) il cui prodotto viene perlopiù esportato;
   l'onda nera, impressa nelle immagini pubblicate dal già citato articolo di Qualenergia.it, rischia seriamente di minare e mettere in ginocchio l'unico strumento di sostentamento a disposizione degli abitanti di Kerkennah, e mette in pericolo le attività turistiche, visto l'imminente arrivo della stagione estiva, e di pesche delle vicine isole di Lampedusa e Pantelleria –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se e nel caso quali procedure internazionali siano state avviate al fine di verificare la responsabilità dell'incidente e di valutare l'entità dei danni per il territorio tunisino e le possibili ripercussioni su quello italiano;
   quali iniziative il Governo stia mettendo in atto per monitorare la situazione ed evitare che l'inquinamento generato possa arrivare nei mari italiani e nelle vicine coste di Pantelleria e Lampedusa. (5-08235)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'interrogazione n. 4-04106 del 19 marzo 2014 si chiedeva al Governo se intendesse tenere in considerazione l'appello delle associazioni ambientaliste (CIPRA Italia, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Mountain Wilderness, PAN-EPPAA e WWF) che ambiva ad avviare le procedure presso l'Unione europea al fine di valutare la possibilità di inserire il parco nazionale dello Stelvio nell'ambito di un parco transnazionale all'interno di un'area strategica di valenza internazionale. Si chiedeva inoltre come il Governo intendesse garantire il coinvolgimento della regione Lombardia, oltre che delle realtà associative, istituzionali e politiche interessate, nella discussione in ordine alla ridefinizione dell'assetto del parco nazionale nella commissione paritetica delle province autonome di Trento e Bolzano;
   con l'interrogazione n. 4-07738 del 5 febbraio 2015 si chiedeva al Governo di rendere pubblico il parere del Ministero dell'ambiente in ordine allo smembramento del parco nazionale dello Stelvio con il fine di consentire un dibattito informato che coinvolgesse sia gli organi legislativi locali che le realtà associative;
   è stato emanato il decreto legislativo 13 gennaio 2016, n. 14, pubblicato successivamente sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 febbraio 2016 avente ad oggetto «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Trentino-Alto Adige, recante modifiche ed integrazioni all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, in materia di esercizio delle funzioni amministrative concernenti il Parco nazionale dello Stelvio». Tale atto normativo è stato adottato, a quanto consta agli interroganti, senza che il Governo tenesse in alcuna considerazione i numerosi appelli per la difesa dell'unità del parco nazionale dello Stelvio sebbene questi abbiano avuto ampio risalto sulla stampa nazionale e locale e abbiano ottenuto largo appoggio da parte della società civile, come peraltro dimostrato dalle decine di migliaia di cittadini che hanno sottoscritto le petizioni lanciate sulle piattaforme digitali di Change org e Legambiente;
   nel febbraio 2016, la provincia di Bolzano ha istituito un gruppo di lavoro per definire l'orientamento da seguire nella futura gestione della porzione di competenza del territorio del parco dello Stelvio. Al tavolo del gruppo di lavoro sono stati invitati i rappresentanti dei comuni altoatesini del parco, gli ambientalisti della val Venosta e i gruppi di interesse locale e provinciale. Tra i gruppi di interesse provinciale figurano i rappresentanti dell'associazione provinciale dei cacciatori. Sono stati invece esclusi, a quanto consta agli interroganti, i rappresentanti delle associazioni ambientaliste riconosciute a livello nazionale e che operano nella provincia di Bolzano;
   dall'assenza di risposte ufficiali alle predette interrogazioni e dalla mancanza di comunicazioni pubbliche da parte del Governo in relazione ai temi sollevati nelle premesse, emergerebbe, a giudizio degli interroganti, il disinteresse delle istituzioni nazionali e locali in ordine alla progettazione di un'area protetta transnazionale nonché la volontà di sottrarsi al dialogo e all'ascolto delle istanze provenienti dalle realtà associative ambientaliste e dalla società civile –:
   se il Governo intenda porre in essere iniziative di competenza al fine di favorire l'avvio di un forum partecipativo aperto alle associazioni ambientaliste e alla società civile come sede di confronto e discussione per la definizione, d'intesa con la regione e le province autonome, di linee guida di indirizzo per l'approvazione di un piano di gestione unitario e di regole operative e gestioni omogenee in riferimento alla gestione di porzioni di territorio del parco nazionale dello Stelvio, di cui sono competenti la regione Lombardia e le province autonome di Trento e di Bolzano. (4-12645)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autorità portuale di Venezia ha elaborato il progetto dello scavo di un canale all'interno della laguna di Venezia denominato «Canale Tresse nuovo — interventi per la sicurezza dei traffici delle grandi navi nella laguna di Venezia» per consentire l'attracco delle grandi navi crociera in Marittima, terminal situato nella città di Venezia;
   il suddetto progetto è stato presentato alla regione Veneto ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'11 novembre 2015, dopo che il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e il presidente dell'autorità portuale, Paolo Costa, avevano presentato il progetto alla stampa il 3 novembre 2016;
   il canale che, secondo il progetto dovrebbe collegare il canale dei Petroli con il Vittorio Emanuele per portare le grandi navi in Marittima, sarebbe nella sua ultima versione lungo 2,2 chilometri, dei quali 1,2 di escavo ex novo del fondo lagunare e 1 chilometro circa di attraversamento dell'isola artificiale detta «delle Tresse»;
   la profondità del canale è prevista di circa 10 metri e la larghezza al fondo (la «cunetta») sarebbe di 90 metri in rettifilo e di 120 nell'amplissima curva, digradante poi verso la superficie con ulteriori 60 metri per ognuno dei due lati, per una larghezza totale di ben 240 metri;
   la realizzazione dell'opera, i cui costi si aggirano intorno ai 140 milioni di euro, prevede le seguenti macro-attività: attività di spostamento di sottoservizi interferenti con le opere (oleodotto, elettrodotto), ricerca masse ferrose presenti nell'area, adeguamento dell'isola delle Trezze con spostamento di circa 1,5 milioni di metri cubi di materiale presente, interventi di dragaggio di circa 3 milioni di metri cubi, opere accessorie quali bricole e segnalamenti luminosi, interventi di manutenzione straordinaria dei canali esistenti di raccordo Malamocco-Marghera e Vittorio Emanuele III;
   il progetto di scavo del nuovo canale-tracciato, che costituisce la via di navigazione per il transito delle grandi navi crociera, è tutto interno alla laguna di Venezia la quale fa parte del distretto idrografico delle Alpi Orientali e della specifica «Subunità idrografica del bacino scolante, laguna di Venezia e mare antistante»;
   l'area su cui insiste il progetto è quindi di evidente e rilevante pregio ambientale per la presenza di habitat acquatici e terrestri e risulta altresì sottoposta a regime di tutela della qualità ecologica prevista da specifiche direttive europee;
   in tale contesto, al fine di raggiungere le finalità proprie della direttiva 2000/60/CE, esiste un piano di gestione che contiene una descrizione e classificazione dei corpi idrici lagunari (la laguna è suddivisa in 14 corpi idrici), la cui qualità (stato ecologico) doveva nel 2015 raggiungere e mantenere lo stato «buono» e ciò a fronte di una laguna di Venezia i cui corpi idrici sono stati classificati tutti «a rischio»;
   come è noto, la laguna di Venezia è ormai da alcuni decenni in preda a intensi processi erosivi che ne stanno profondamente modificando la morfologia. Le conseguenze di tali processi hanno importanti riflessi funzionali sull'intero «sistema laguna», condizionandone l'idrodinamica ed il ricambio delle acque, soprattutto nelle zone idraulicamente più lontane dalle bocche di porto, come quella su cui insiste il progetto di cui in premessa;
   ad avviso degli interroganti il progetto presentato dall'autorità portuale di Venezia contiene numerosi aspetti critici che si riscontrano sia nella fase di attuazione, che di esercizio, in particolare per quanto riguarda le ricadute negative sull'equilibrio idromorfologico ed ecologico della laguna;
   il sindaco Brugnaro e il presidente di autorità portuale Costa, in audizione presso la commissione ambiente del Senato l'11 marzo 2016, hanno difeso di recente il canale Tresse Nuovo come «unica soluzione possibile» per portare le grandi navi fuori da San Marco;
   al contrario, ad avviso degli interroganti, il progetto distruggerebbe l'originale articolazione di quota, con danni preoccupanti per il migliore funzionamento idraulico della laguna; modificherebbe l'assetto delle correnti di marea, favorendo l'erosione dei fondali; sposterebbe la fascia di partiacque fra la bocca di Malamocco e quella del Lido; provocherebbe conseguenze negative sulla morfodinamica per l'interazione fra il campo di moto locale indotta dalla navigazione lungo il canale di una grande nave crociera, i fondali del canale stesso e i bassifondi che lo affiancano; ridurrebbe il ricambio idraulico in una zona che proprio per problemi di tale natura e rischio di anossie presenta già uno stato ecologico definito «scarso»;
   inoltre, complessivamente, il progetto non contribuirebbe, a giudizio degli interroganti, a superare l'attuale stato di degrado che la laguna sta subendo, né a rimuovere le cause che lo producono, ma anzi le aggraverebbe, rappresentando esso stesso un fattore attivo di produzione di degrado e contribuendo a rendere impossibile il conseguimento di quegli obbiettivi che la direttiva comunitaria relativa alla qualità degli ambienti acquei n. 2000/60 prevede –:
   come i Ministri interrogati ritengano, per quanto di competenza, alla luce delle considerazioni riportate in premessa, che l'attuazione del progetto «Canale Tresse nuovo» si concili con la direttiva comunitaria sulle acque n. 2000 del 1960, recepita dall'Italia con il decreto legislativo n. 152 del 2006, Testo unico dell'ambiente; e se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non intenda sospendere l’iter di valutazione del suddetto progetto, avviato presso la commissione di valutazione di impatto ambientale. (4-12649)


   ANDREA MAESTRI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 12 marzo 2016 su Rai3, nella rubrica Tgr Ambiente Italia, è andato in onda un servizio sulla situazione dell'inquinamento e le sue conseguenze, nella città di Augusta, in provincia di Siracusa, vissuta ormai da decenni;
   a risvegliare le coscienze degli italiani, e a riportare alla cronaca la situazione drammatica del territorio è stato Don Palmiro Prisutto, l'arciprete augustano che, insieme ai cittadini e alle tante associazioni no profit attive sul territorio, da circa trent'anni, combatte contro la piaga dell'inquinamento ambientale, l'alta mortalità per tumori e l'alta incidenza di natalità con malformazioni, nel famigerato «triangolo della morte», Augusta-Priolo-Melilli;
   per due anni e fino a febbraio del 2016, ogni 28 del mese, nella Chiesa Madre di Augusta, Don Palmiro Prisutto ha dedicato la messa serale ai concittadini, uccisi dal cancro (principalmente al fegato, al seno e ai polmoni), elencando i loro nomi, l'età e la causa della morte. L'elenco, che finora conta oltre 800 persone, è stato continuamente aggiornato grazie alle segnalazioni dei parenti dei defunti. L'arciprete ha poi deciso di non effettuare più la celebrazione di queste messe e di continuare la lotta all'inquinamento con altre modalità;
   l'area «deturpata» si estende su una superficie di circa trenta chilometri di costa, tra il mare e le colline della Sicilia sud orientale, dove si susseguono ciminiere, tubature arrugginite, cisterne, capannoni in stato di completo abbandono e stabilimenti, o parti di essi, oramai chiusi. Da sessant'anni qui è presente un polo industriale petrolchimico, già tra i più grandi d'Europa. Attualmente, le attività si sono drasticamente ridotte, il lavoro scarseggia, ma resta un'eredità di veleni, inquinamento del suolo, dell'acqua e dell'aria circostanti, risultato di anni di attività di dubbia legittimità esenti da ogni tipo di controllo, che ha portato ad una completa contaminazione della catena alimentare, determinando così la nascita di bambini malformati e un significativo aumento della percentuale di persone che si ammalano di tumore;
   il polo petrolchimico siracusano ha origini nel 1949, quando ad Augusta è stata realizzata la Rasiom, il primo complesso di raffinazione del petrolio e la trasformazione dei suoi derivati. A metà del 1950 la raffineria cominciò a produrre, sfruttando le numerose agevolazioni e gli incentivi economici erogati dalla Cassa per il Mezzogiorno, per attrarre nel Sud investimenti di gruppi, sia privati che pubblici;
   nella suddetta area, dopo la Rasiom, si insediarono:
    la Liquichimica, ora Sasol, che doveva utilizzare le paraffine lineari per la produzione di bioproteine;
    la Cogema;
    l'Eternit;
    la Sicilfusti;
    l'Edison, che investì quanto ricavato dalla cessione delle industrie elettriche allo Stato nella Chimica con la S.in.cat. (Società Industriale Catanese), produttrice inizialmente di fertilizzanti;
    la Celene, una società a capitale misto Edison-Union Carbide, produttrice di polimeri;
    la Montecatini, per prodotti chimici e petrolchimici;
    nel 1953 venne costruita la centrale termoelettrica Enel Tifeo, alimentata con olio combustibile fornito dalla Rasiom;
    agli inizi degli anni ’70 la I.c.a.m. (Impresa congiunta Anic Montedison) che produce ancora oggi oltre 700.000 tonnellate/anno di etilene;
    la centrale termoelettrica Enel di Melilli;
    il depuratore consortile della IAS (Industria acque siracusane);
    la raffineria Isab, costruita demolendo oltre 200 abitazioni di Marina di Melilli e cancellando letteralmente quest'ultima dalla carta geografica;
    infine l'impianto di gassificazione e cogenerazione di residui petroliferi della Erg, la cosiddetta Isab-Energy;
   la realizzazione di questa vasta area industrializzata comportò, in quegli anni, un aumento dell'occupazione, un incremento della popolazione per richiesta di manodopera e l'aumento del reddito pro capite. A partire però dalla fine degli anni ’70 è iniziata la chiusura di diversi stabilimenti per il trasferimento dei cicli produttivi, con conseguenti diminuzione dell'occupazione e concrete prospettive di sviluppo. Tra le cause di questa involuzione, si ricordano, la ridotta raffinazione del greggio medio orientale, la nascita di nuove raffinerie in Europa, la delocalizzazione degli impianti di trasformazione, nonché l'entrata di Cina e India tra i Paesi produttori a costi più bassi;
   il progressivo abbandono del polo industriale ha lasciato un territorio devastato da un gravissimo inquinamento ambientale. Nel sottosuolo sono state rilevate diossine e furani fino ad una profondità di 20-30 centimetri. Nell'atmosfera sono state riscontrare elevate concentrazioni di sostanze cancerogene e teratogene quali acrilonitrile, benzolo, cadmio, cromo, nichel, silice, vanadio, diossine e furani. La falda idrica è stata infiltrata e inquinata da idrocarburi. Anche i fondali marini, antistanti gli scarichi industriali, sono risultati contaminati da metalli pesanti, diossine, idrocarburi policiclici aromatici ed eternit. Inoltre, la carenza di normative di sicurezza, e l'impunito mancato rispetto delle poche esistenti, ha causato e soprattutto continua a causare, emissioni di nubi maleodoranti e addirittura incendi ed esplosioni;
   già nel 1990 l'area industriale Priolo-Melilli-Augusta è stata dichiarata «a rischio di crisi ambientale». Ma a quella crisi se ne sono aggiunte altre: la crisi occupazionale e soprattutto, quella sanitaria, con la progressiva dismissione del polo ospedaliero di Augusta, in atto tutt'oggi;
   il sisma del dicembre 1990, con epicentro ad Augusta, ha rimarcato come l'area non sia affatto idonea ad ospitare un polo industriale petrolchimico, per via degli ingenti danni che potrebbero scaturire dalla concomitanza, appunto, dei due fattori di rischio;
   la grande area industrializzata ha creato gravi e numerosi problemi di salute. Uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha riportato come ad Augusta, nel periodo che va dal 1951 al 1980, si è avuto un notevole aumento della mortalità, soprattutto per cause tumorali: si è passato dall'8,9 per cento del quinquennio ’51-’55 al 23,7 per cento del quinquennio ’76-’80, con punte del 29,9 per cento nel 1980. Nella provincia di Siracusa, nel triennio 2000-2002, la mortalità per tutti i tipi di tumore è aumentata del 7 per cento. Relativamente alla tipologia della malattia, si è riscontrato un aumento di tumori del fegato e del pancreas in entrambi i generi. In particolare, come sottolineato da uno studio dell'Enea del 2001, i tumori del polmone, della trachea, dei bronchi e del sistema nervoso centrale (+30 per cento) sono risultati in aumento tra i soli uomini, mentre eccessi del tumore del colon-retto, della mammella e dell'utero sono stati riscontrati nelle sole donne. È stato registrato anche un aumento dei ricoveri, di entrambi i generi, per tumori maligni nel loro complesso, malattie del sistema circolatorio e respiratorio e malattie dell'apparato digerente e urinario. Lo studio Sentieri dell'Istituto superiore di sanità conferma, integra e dettaglia i dati di cui sopra e la rilevanza del disagio sanitario dell'area;
   ma le peggiori conseguenze dell'inquinamento sulla salute, sono stati riscontrate sui neonati: vittime innocenti con seri problemi di malformazioni. Ad Augusta, nel 1980, su 600 nati, 13 bambini (di cui sette non sopravvissuti) hanno manifestato malformazioni congenite di diverso tipo. Per 10 anni, la percentuale di malformati ad Augusta è stata dell'1,9 per cento (contro una media nazionale dell'1,54 per cento) fino ad un picco del 5,6 per cento nel 2000. Sono stati riscontrati anche casi di malformazioni genitali: negli anni ’80-’89 hanno interessato il 21,4 per cento dei nati (la media nazionale era del 10 per cento). Nel decennio 1990-2000 i casi sono aumentati del 30,3 per cento. In particolare, come sottolineato dalla Rivista della sanità meridionale (Anno III – Numero I – gennaio 2013), solo ad Augusta, nel periodo ’90-98, tra le varie malformazioni dell'apparato genitale, l'ipospadia ha interessato il 13,2 per cento dei nati, contro un 7,9 per cento dell'intera Sicilia orientale;
   nel 2000 l'area tra Siracusa e Augusta è stata dichiarata Sito di interesse nazionale per la bonifica (Sin), uno dei 48 siti industriali super-inquinati che si trovano sul territorio italiano. Sono 5.800 ettari su terraferma tra i comuni di Priolo, Melilli, Augusta e Siracusa, con 180 mila abitanti al censimento del 2011, e più di diecimila ettari in mare. Il sito include stabilimenti chimici, petrolchimici, raffinerie, un inceneritore per rifiuti speciali, discariche industriali e un'area portuale. I terreni sono contaminati da metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili e amianto. Ceneri di pirite sono state interrate sulla costa e perfino sotto i campi sportivi costruiti negli anni settanta a Priolo e Augusta che, infatti, attualmente non sono praticabili e già da parecchi anni rientrano tra i siti da bonificare;
   nel 2003 l'università di Catania ha confermato come i fondali antistanti gli scarichi industriali siano stati altamente contaminati da metalli pesanti quali mercurio, con concentrazioni 22 volte superiori al limite consentito, diossine, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili ed eternit;
   come riportato nel dossier redatto per il convegno «Le indagini nell'area a rischio di Augusta e Siracusa», organizzato nel 2009 dall'Organizzazione mondiale della sanità, «il suolo è stato inquinato da polveri tossiche emesse dai camini dei diversi stabilimenti, la falda idrica si trova in uno stato di notevole degrado perché soggetta alle infiltrazioni delle numerose discariche abusive, disseminate nel territorio. La falda idrica ha, inoltre, subito un forte inquinamento da idrocarburi, causato da serbatoi di carburante privi del doppio fondo con effetti macroscopici quale la presenza di carburanti di varia natura nei pozzi comunali di Priolo (acqua per uso domestico) e Melilli (acqua per irrigazione)». La classificazione Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca del cancro) ha confermato nell'atmosfera alte concentrazioni di sostanze cancerogene e teratogene;
   nonostante i gravi impatti sull'ambiente e sulla salute, non è stata trovata nessuna soluzione significativa per l'area. Negli anni sono stati proposti diversi piani di bonifica dell'intera area industriale che non sono però risultati risolutivi. Nel 2005 è stato siglato un Accordo di programma quadro per il risanamento delle aree contaminate di Priolo, con lo stanziamento di 64 milioni di euro per i piani di bonifica della Rada di Augusta, dell'ex Eternit, della penisola Magnisi e del porto di Siracusa. Tuttavia, l'area ex Eternit è stata messa in sicurezza senza però una bonifica definitiva e la rimozione delle ceneri di pirite dalla penisola di Magnisi non è stata mai conclusa per sospensione dei lavori da parte della ditta vincitrice dell'appalto. Negli anni successivi sono iniziati altri lavori di bonifica, mai però portati a definitivo compimento. Secondo dati del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, aggiornati a marzo 2013, i progetti di bonifica hanno interessato appena il 20 per cento dell'area contaminata;
   da agenzie di stampa si apprende che il 23 ottobre 2014, a seguito di numerosi esposti, denunce e segnalazioni sulla cattiva qualità dell'aria da parte di diverse associazioni ambientaliste, il procuratore di Siracusa, ha aperto ben 13 fascicoli sull'inquinamento, delegando le indagini alla polizia di Stato e ai carabinieri di Augusta, per accertare, non solo eventuali responsabilità da parte delle industrie, ma anche per verificare eventuali irregolarità sulle procedure per il rilascio delle autorizzazioni. Da un articolo apparso su il Giornale di Sicilia il 3 gennaio 2016, si apprende che, i consulenti della procura della Repubblica di Siracusa, hanno consegnato una prima relazione dalla quale si evince che per quanto riguarda specificatamente una raffineria: «i dati comunicati dal gestore non garantiscono nessuna certezza relativamente alla quantità delle emissioni prodotte dalla raffineria» e che «le metodologie di monitoraggio utilizzate non consentono nemmeno la verifica da parte di terzi del rispetto dei limiti»;
   come se la situazione ambientale del territorio non fosse sufficientemente critica, e ancora lontana dall'essere sanata, dal 2006 è in atto il tentativo di realizzazione del progetto della piattaforma polifunzionale Oikothen, un impianto per rifiuti pericolosi e non, in contrada Costa Mendola nel comune di Augusta. Nonostante i pareri non favorevoli espressi dal comune di Augusta in tutte le sedi competenti, e della stessa regione Siciliana che ha negato l'autorizzazione integrata ambientale relativa all'impianto, il Tar di Catania ha accolto il ricorso cautelare della Oikothen e provocato la nomina di un commissario regionale ad acta che, inopinatamente, annullando il precedente decreto di diniego dell'autorizzazione integrata ambientale, ha rilasciato l'autorizzazione. L'area individuata per la realizzazione della suddetta piattaforma ricade proprio sopra la falda acquifera della zona di Augusta. Tale falda, misteriosamente, per un periodo di tempo non compariva nelle cartografie della zona. Dopo una richiesta di verifica, da parte dell'attuale amministrazione cittadina, all'ISPRA, la falda è ricomparsa;
   un tempo la costa siracusana era considerata tra i litorali ed i fondali marini più belli d'Italia. Un territorio che avrebbe potuto avere una forte vocazione turistica e puntare su questa la sua economia, ha visto distrutti itinerari naturalistici spettacolari dai veleni delle industrie e dalle malefatte dei loro gestori e di chi avrebbe dovuto vigilare. Importanti siti archeologici, ed insediamenti preistorici, quali Megara, Hyblaea, Thapsos e Stentinello sono stati deturpati irrimediabilmente –:
   se il Governo sia a conoscenza delle gravi conseguenze dovute dall'inquinamento ambientale del territorio siracusano, tra i comuni Augusta-Priolo-Melilli e dei ritardi delle bonifiche, a giudizio degli interroganti, non più ignorabili;
   come il Governo intenda provvedere, urgentemente, a dare attuazione con soluzioni efficaci e definitive, alla bonifica del Sito di interesse nazionale tra Siracusa e Augusta, rispondendo così alle richieste della popolazione siciliana del luogo, che con il suo lavoro, per sessant'anni, ha sacrificato salute, ambiente e futuro, per lo sviluppo industriale dell'intera nazione. (4-12657)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con deliberazione del consiglio comunale di Rende (CS) del 11 aprile 2013 è stato approvato un atto d'indirizzo che delega al Consorzio Valle Crati la progettazione, realizzazione e gestione di interventi straordinari nel settore fognario e depurativo. Il progetto da 35 milioni di euro (25 pubblici e 10 privati) stanziati dal Cipe vede coinvolti 26 comuni della provincia di Cosenza;
   nella relazione generale «studio di fattibilità» relativa all'attuazione dell'intervento di cui al «Piano Nazionale per il Sud. Interventi straordinari nel settore fognario e depurativo finalizzati al superamento delle criticità connesse alla procedura di infrazione n. 2004/2034 Causa C565/10 — agglomerato Cosenza-Rende» finanziata con la delibera CIPE n. 60/2012, si precisa che: «La tariffa (...) a seguito degli interventi programmati che aumenteranno il bacino di utenza e della gestione per 15 anni dell'intero sistema fognario risulterà più o meno quella attuale. Tutto ciò consentirà comunque: un aumento dell'attuale livello occupazionale; un mantenimento basso del livello di imposizione tributario compatibile con la realtà socio – economica di riferimento; una ottimizzazione del servizio fognario-depurativo; una previsione di copertura per futuri allacciamenti (nuovi insediamenti produttivi)»;
   dalla lettura del piano economico finanziario (Pef) si apprende, differentemente da quanto affermato nel sopracitato «studio di fattibilità» che a fronte della tariffa attualmente applicata, dal Consorzio Valle Crati pari a euro 0,3800/metri cubi, la tariffa finale è fissata in euro 0,4055/metri cubi, con un aumento, quindi, di 2 centesimi di euro. I cittadini, di fatto, vedranno aumentare le tariffe, oltre ad aver l'amara consapevolezza di aver finanziato, attraverso il pagamento delle tasse comunali, un investimento che al comune di Rende costa euro 1.891.398,3;
   i reflui del comune di Montalto Uffugo, di pertinenza del Consorzio, sembra che vengano scaricati direttamente nel Crati a causa della rottura della briglia sul torrente Settimo che consente l'adduzione al depuratore consortile di Coda di volpe;
   a gennaio 2016, nell'ambito del progetto denominato, «Punto zero acqua» del MoVimento 5 Stelle Europa, sono state effettuate analisi di campioni di acqua fluviale, marina e di falda in siti ritenuti a rischio nella regione. Uno dei siti monitorati è stato proprio il fiume Crati immediatamente a valle del depuratore consortile di Rende. Dalla determinazione dei parametri richiesti, il campione di acqua fluviale risulta non conforme alla Tab. 1A, All. 1, Parte III del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, ossia 10.170 ppb (± 1.147), e il valore di antiparassitari totali accertato risulta essere 10 volte superiore al limite di legge stabilito in 1 ppb. Il 2-Phenylphenol è la sostanza che maggiormente contribuisce al dato su riportato con 9.218 ppb (± 1.056), insieme al Bromacil per il quale è stata determinata una concentrazione di 0.302 ppb (± 0.058) e al Piperonyl Butoxide con una concentrazione di 0.567 ppb (± 0.099). Il 2-phenylphenol è un fungicida utilizzato nella disinfezione delle superfici in ospedali, fattorie, lavanderie ed impianti di trasformazione alimentare; in agricoltura è utilizzato prevalentemente dopo il raccolto in solo quattro Stati europei, mentre non è più consentito il suo impiego come additivo alimentare. Può causare irritazione della pelle ed irritazione severa degli occhi con possibili danni oculari. Il Bromacil è un erbicida ad ampio spettro che interferisce con la fotosintesi della pianta penetrando attraverso le radici, fa parte della famiglia dei composti chiamati uracil-sostituiti. Il Piperonyl Butoxide (PBO) fa parte della formulazione di alcuni pesticidi per la sua azione sinergizzante essendo inibitore degli enzimi citocromo P450-dipendenti; intossicazioni acute di PBO possono causare bassa tossicità acuta per ingestione orale, inalazione ed assorbimento epidermico –:
   se non si ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, diverse e precise ispezioni del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per controllare l'effettivo funzionamento del depuratore consortile di Coda di Volpe, anche tramite analisi delle acque, per scongiurare il rischio di sversamento nel fiume Crati di liquami non depurati ed inquinanti;
   considerato che da quanto esposto nelle premesse, una siffatta operazione sembra rappresentare, a giudizio dell'interrogante, un mero affare per l'azienda vincitrice del bando ma non per i cittadini che vedranno aumentare le tariffe dell'acqua, se non sia più opportuno destinare i fondi del Cipe alle emergenze idriche, al fine di agevolare le necessarie bonifiche e scongiurare così effetti sulla popolazione derivati dall'attuale situazione di sostanziale compromissione delle acque di falda. (4-12660)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DA VILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   prima dell'entrata in vigore delle riforme contenute nel «Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo», di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, il regime delle professioni turistiche, per effetto delle varie leggi regionali, prevedeva una articolazione di tali figure professionali in guide turistiche, che operavano in ambiti territoriali limitati, perlopiù coincidenti con il territorio di una provincia, e in accompagnatori turistici. Gli accompagnatori turistici accoglievano e accompagnavano durante il viaggio un gruppo di turisti, fornendo i necessari servizi di assistenza, compresi «elementi significativi e notizie di interesse turistico culturale sulle zone di transito, al di fuori dell'ambito di competenza e nel rispetto delle guide turistiche» (riprendendo l'articolo 3 della legge regionale 19 aprile 1985, numero 50, della regione Lazio). Le guide turistiche invece si occupavano di accompagnare i turisti nelle singole località turistiche. L'integrazione tra le due figure, come previsto dalle varie leggi delle regioni, era quindi garantita da una ripartizione tra il ruolo dell'accompagnatore che accompagnava con informazioni culturali, artistiche e paesaggistiche i vari spostamenti sul territorio delle comitive, e «consegnava» di volta in volta i gruppi alle guide turistiche per le visite guidate a specifici siti e località d'interesse;
   con l'entrata in vigore della legge n. 97 del 6 agosto 2013 (legge comunitaria 2013), che, all'articolo 3, comma 1, prevede l'estensione a tutto il territorio nazionale dell'abilitazione all'attività di guida turistica, una delle principali distinzioni tra le due figure è venuta meno; inoltre, per disposizioni quali l'articolo 3 della citata legge regionale n. 50 del 1985 del Lazio, alla guida turistica non è impedita l'attività di accompagnamento, mentre all'accompagnatore sono inibite le mansioni di guida; in conseguenza di ciò, per tour operator e agenzie di viaggio di molte regioni, è diventato più conveniente affidarsi esclusivamente a guide turistiche che possono non solo illustrare i luoghi di maggiore interesse nei singoli siti turistici, come in passato, ma alle quali non è impedito di spiegare, né di fornire tutti gli altri servizi utili a perfezionare i collegamenti durante il transito da una località turistica all'altra; ciò ha portato molte agenzie di viaggio e molti tour operator a revocare i servizi già prenotati agli accompagnatori turistici o a non affidargliene di nuovi; l'accompagnatore turistico è infatti impossibilitato ad accettare incarichi che prevedano l'erogazione parallela dei servizi tipici dell'accompagnatore e di quelli consistenti in spiegazioni inerenti le città e i siti turistici di maggiore rilievo, perché con questa seconda attività eserciterebbe di fatto l'attività di guida turistica, travalicando limiti la cui osservanza permane solo a suo carico;
   attraverso l’«individuazione dei siti di particolare interesse storico, artistico e archeologico per i quali occorra una specifica abilitazione», prevista dall'articolo 3, comma 3, della citata legge n. 97 del 2013, rischia di determinarsi una suddivisione in due distinti livelli di specializzazione delle guide turistiche, determinando una ulteriore compressione dell'ambito specifico di attività della figura dell'accompagnatore turistico, tale da sopprimerla nei fatti;
   il già citato «Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo», di cui al decreto legislativo n. 79 del 2011, non contiene alcuna definizione della professione di «accompagnatore turistico» distinta da quella di «guida turistica»; l'articolo 6 in proposito recita: «Sono professioni turistiche quelle attività, aventi ad oggetto la prestazione di servizi di promozione dell'attività turistica, nonché servizi di ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, diretti a consentire ai turisti la migliore fruizione del viaggio e della vacanza, anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati»; per come si articola il testo, l'accostamento dei sostantivi «accompagnamento e guida» determina, a parere dell'interrogante, una equiparazione tra le due figure professionali, soprattutto alla luce della specificazione finale «anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati», che sembrerebbe abilitare pure l'accompagnatore a diffondere la conoscenza di tali luoghi;
   in base alla sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 14 aprile 2006, sentenza ribadita da un orientamento costante della Consulta, spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali nella materia concorrente delle «professioni» prevista dall'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, e tenuto conto, in particolare, di quello secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e i titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato»; d'altro canto, la sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, 21 giugno 2013, numero 3410, recita: «successivamente alla riforma del Titolo V della Costituzione, nella materia delle professioni, rientrante nella competenza legislativa concorrente, costituiscono principi fondamentali (come tali riservati alla legge statale), la determinazione delle figure professionali e la definizione degli elementi costitutivi e delle modalità formative, per cui non spetta alla legge regionale creare nuove professioni o introdurre diversificazioni in seno all'unica figura professionale disciplinata dalla legge statale» (riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale Abruzzo – L'Aquila, 5 giugno 2002, n. 311); in base a quest'attestazione della competenza statale sulla materia, è, a parere dell'interrogante, evidente che eventuali distinzioni tra figure professionali fissate con leggi regionali non dovrebbero reputarsi valide se non trovano conferma in previsioni contenute in leggi nazionali;
   gli accompagnatori e le guide turistiche cittadini di un altro Stato membro dell'Unione europea non residenti e non legalmente stabiliti in Italia, possono circolare liberamente sull'intero territorio nazionale prestandovi, in via temporanea e occasionale, la professione di guida turistica e unendola a quella di accompagnatore ove la relativa disciplina del loro paese non lo vieti; inoltre, in forza del decreto legislativo n. 206 del 9 novembre 2007, anche gli operatori provenienti da Paesi comunitari che non contemplino alcuna regolamentazione delle professioni turistiche (come ad esempio la Germania) possono esercitare in Italia la professione di guida turistica, cumulando le attività di guida e accompagnatore;
   tali prestatori di servizi hanno facoltà di chiedere non solo di potersi stabilire in Italia, ma di poter esercitare in regime di temporaneità e occasionalità la professione di guida turistica, attraverso una semplice dichiarazione preventiva da presentarsi, a mezzo di raccomandata, al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; in tali casi, per i quali si parla di «tour chiusi», in cui il gruppo in visita in Italia parte dal paese di provenienza e vi fa ritorno insieme all'accompagnatore o guida che dir si voglia, l'attività può essere prestata su tutto il territorio nazionale, in assenza di qualsivoglia dichiarazione preventiva; in tal senso, ha inciso anche la giurisprudenza univoca della Corte di giustizia dell'Unione europea secondo cui l'avere in passato subordinato «la prestazione dei servizi di guide turistiche che viaggiano con un gruppo di turisti provenienti da un altro Stato membro al possesso di una licenza rilasciata a fronte di una determinata qualificazione professionale, accertata in base al previo superamento di un esame» ha fatto venir meno l'Italia «agli obblighi ad essa incombenti a norma dell'articolo 59 del trattato CEE» (Corte di Giustizia europea, 26 febbraio 1991, nella causa (180/89);
   per effetto della già citata legge comunitaria 2013, tale orientamento giurisprudenziale si è cristallizzato nell'ordinamento interno italiano; all'articolo 3, comma 2, essa recita infatti: «i cittadini dell'Unione europea abilitati allo svolgimento dell'attività di guida turistica nell'ambito dell'ordinamento giuridico di un altro Stato membro operano in regime di libera prestazione dei servizi senza necessità di alcuna autorizzazione né abilitazione, sia essa generale o specifica»; riguardando le prestazioni occasionali e temporanee, cioè i cosiddetti «tour chiusi», con accompagnamento dalla partenza al ritorno nel Paese di provenienza dei gruppi, questa disposizione, pur riferendosi alle sole guide turistiche, si applica anche alle attività tipiche degli accompagnatori turistici, che si trovano quindi nella posizione di non poter svolgere le prestazioni di guida nel proprio Paese e di subire in esso anche la concorrenza di operatori comunitari, non necessariamente abilitati (quando la legislazione del loro Stato non lo preveda), che riuniscono in sé entrambi i ruoli;
   l'articolo 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 dispone che, «nei confronti dei cittadini italiani, non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento garantiti nell'ordinamento italiano ai cittadini dell'Unione europea»; rafforza ulteriormente il concetto l'articolo 24 del decreto legislativo 26 marzo 2010, numero 59: «i cittadini italiani e i soggetti giuridici costituiti conformemente alla legislazione nazionale che sono stabiliti in Italia possono invocare l'applicazione delle disposizioni del presente titolo, nonché di quelle richiamate all'articolo 20, comma 3», il quale a sua volta dispone che «restano ferme le disposizioni di cui al titolo II del decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, di recepimento della direttiva 2005/36/CE»; a parere dell'interrogante, questo significa che quanto sopra illustrato a proposito delle facoltà riconosciute in Italia agli operatori cittadini di altri Stati dell'Unione europea dev'essere consentito anche agli operatori stabiliti in Italia;
   le sopra esposte argomentazioni trovano oggi conforto in diverse pronunce del Tar Catania che, sul punto, ha così argomentato: «il Collegio ritiene che debba essere condiviso quanto sostenuto in ricorso in riferimento alla concreta abolizione della distinzione delle due figure per effetto del cosiddetto Codice del Turismo (decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79), il cui articolo 6 stabilisce che “sono professioni turistiche quelle attività, aventi ad oggetto la prestazione di servizi di promozione dell'attività turistica, nonché servizi di ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, diretti a consentire ai turisti la migliore fruizione del viaggio e della vacanza, anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati”. Il nuovo indirizzo statale, quindi, è rivolto alla sussistenza di un'unica figura volta all'accompagnamento e alla guida». Precisano altresì le stesse sentenze: «la sostanziale abolizione della distinzione tra le due figure, già di per sé, in attesa di una riconfigurazione a livello nazionale dei (a questo punto, unici) requisiti non può non comportare che il possesso della qualifica abiliti all'esercizio delle due funzioni (guida e accompagnamento)». È stato molto evidenziato dal suddetto tribunale che: «considerato il nuovo quadro normativo, caratterizzato dall'abolizione di una sostanziale distinzione tra guide e accompagnatori, alla liberalizzazione dell'attività delle prime rispetto all'intero territorio nazionale, alla circostanza che alle guide straniere, sia pure con tutte le precisazioni e la temporaneità, è consentito di cumulare la funzione, appunto, di guida e di accompagnatori nel territorio nazionale e che tale facoltà non può non trovare attuazione anche per i cittadini italiani, è possibile concludere che non possa adottarsi la normativa regionale di riferimento, ma occorra consentire a coloro che sono abilitati, ad accompagnatore turistico di svolgere l'attività di guida». (Tar Catania, sentenze nn. 1926/2014 del 1o luglio 2014 e 2965 del 2014 del 14 novembre 2014);
   nel recente decreto 11 dicembre 2015 del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, recante «Individuazione dei requisiti necessari per l'abilitazione allo svolgimento della professione di guida turistica e procedimento di rilascio dell'abilitazione», non solo non vi è alcun riferimento alla professione dell'accompagnatore turistico, ma, a giudizio dell'interrogante, viene introdotto un doppio livello di specializzazione ed abilitazione territoriale della sola professione di guida turistica: una figura di guida turistica abilitata su tutto il territorio nazionale ed una guida turistica «specializzata», abilitata per i siti di maggiore interesse in ogni singola regione (per l'esattezza, munita della «abilitazione specifica per l'esercizio di guida turistica per i siti individuati col decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo»). L'effetto di questa regolamentazione sul mercato delle professioni turistiche sarebbe quello di non far più residuare alcuno spazio lavorativo per la professione dell'accompagnatore turistico. Nessun operatore del mercato turistico, per una evidente ragione di contenimento dei costi, avrebbe infatti interesse ad ingaggiare tre distinte figure professionali: un accompagnatore per tutta la durata del tour, una guida per i luoghi non ricompresi nei vari elenchi regionali dei siti di particolare interesse –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa, e in particolare se non ritenga che la combinazione delle disposizioni normative citate determini un depauperamento dell'ambito professionale specifico dell'accompagnatore turistico talmente grave da far ritenere opportuno assumere iniziative volte a realizzare un intervento correttivo della disciplina nazionale in materia;
   se il Ministro interrogato convenga che gli indirizzi espressi dai citati pronunciamenti giurisdizionali in materia possano costituire un condiviso supporto giuridico per l'adozione di iniziative normative volte all'introduzione di una disciplina che fornisca l'appropriata organicità, su scala nazionale, alle soluzioni ivi accennate, tendenti all'equiparazione delle attività cui sono abilitate le figure professionali dell'accompagnatore turistico e della guida turistica, ferma restando la specifica abilitazione richiesta per l'esercizio di tali professioni nei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico;
   quali iniziative urgenti reputi il Ministro interrogato di assumere affinché le facoltà riconosciute dal nostro ordinamento ai cittadini di altri Stati dell'UE che svolgono professioni turistiche in Italia siano estese, senza maggiori limitazioni, obblighi e vincoli, anche agli operatori stabiliti in Italia di nazionalità italiana, ai sensi dell'articolo 53 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, e dell'articolo 24 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. (5-08241)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, DURANTI e RICCIATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 1o dicembre 2013 il passaggio in Calabria del ciclone Nettuno colpì il tempio dorico di KAULON, a Monasterace, in provincia di Reggio Calabria, cominciando a demolire il perimetro che originariamente era formato da blocchi scolpiti e incastrati tra di loro;
   Kaulon è quel che resta della parte termale della città ellenica di Caulonia, situata in riva al mare e contenente il più grande mosaico della Magna Grecia;
   in seguito alla mobilitazione dei giovani del Comitato Civico «Monasterace nel cuore», nel febbraio 2014 il Ministro pro tempore Bray garantì lo stanziamento di una prima tranche di 300 mila euro per un primo intervento di messa in sicurezza straordinario, e nel luglio 2014 è arrivato dello stesso anno arrivava l'annuncio di un ulteriore finanziamento di 700 mila euro per la riqualificazione dell'area archeologica, dato l'evidente degrado e abbandono in cui versa, fondi che però sembrano ancora non essere stati sbloccati per questioni burocratiche e infatti nessun nuovo intervento è stato messo in atto nella zona;
   in primis fu posata una robusta e lunga gabbionatura con sassi dalla parte estrema sud dell'area fino al punto estremo nord del tempio, risolvendo quindi il problema;
   trattandosi di un tempio a ridosso dell'acqua le mareggiate continuano e le onde, erosive, hanno iniziato a colpire la duna sottostante Casa Matta, unità abitativa e termale dell'Area archeologica «Paolo Orsi», dove c’è un ipocausto e soprattutto il pezzo forte di quest'area, ossia il mosaico ellenistico più grande mai ritrovato, un'opera di immenso valore e bellezza con disegni di draghi e delfini, il quale rischia allo stato attuale di crollare in mare;
   inoltre, il piano della regione Calabria di protezione a mare contro l'erosione costiera prevedeva un contributo di 2,5 milioni di euro, i quali ad oggi risultano non impiegabili perché sembrerebbero esistere dei contenziosi tra ditte che hanno fatto richiesta di partecipazione al bando di gara –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intenda garantire che l'ultimo stanziamento di 700 mila euro venga effettivamente utilizzato per la messa in protezione del tempio e dei mosaici e quali politiche intenda attuare per valorizzare reperti e opere di tale valore, anche nell'ottica di implementare le risorse turistiche di una zona ricca di beni culturali.
(4-12640)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il progetto denominato «Riqualificazione della viabilità dalla S.R. 177 alla S.R. 464», incluso nei piano regionale delle infrastrutture, della mobilità e della logistica della regione Friuli Venezia, prevede la realizzazione di una bretella stradale denominata «variante sud di Dignano», di collegamento tra le aree a sinistra e a destra del fiume Tagliamento, a circa venticinque chilometri ad ovest di Udine;
   presso l'area oggetto d'intervento, in base alle conclusioni di un recente studio eseguito dall'architetto Luca Vignando, sono emerse numerose criticità sotto il profilo dell'interesse archeologico della zona, motivate dalla presenza di importanti rinvenimenti in prossimità dell'area di cantiere della nuova opera viaria. L'area interessata dalla variante presenterebbe infatti strade militari e intercomunali di epoca romana e la conseguente, probabile, centuriazione dell'agro circostante;
   non lontano dall'area interessata dall'intervento, a Vidulis di Dignano, come inserito anche nella relazione archeologica effettuata dalla stessa regione Friuli Venezia, è stata rinvenuta un'importante villa rustica romana di età giulio-claudia, mentre all'altezza di Bonzicco doveva esistere, con tutta probabilità, un antico attraversamento sul «Tiliaventum»;
   in particolare, tra i sedimenti di viabilità e gli insediamenti di età romana rintracciabili su tale territorio, ci sarebbero la Villa di Vidulis, gli insediamenti di Coseano, la fornace/Villa di Griulis di Flaibano e, soprattutto, il mosaico della cantina di Casa Rota a Bonzicco, posto a poco più di 400 metri a sud dalla futura Variante alla quota di –2,5 metri dal piano di campagna: il lacerto musivo (ed altri reperti ritrovati tra cui parte di una struttura muraria in tegole e un frammento di anfora tipo Dressel 6B con bollo attribuibile a AP.PVLC – Appius Claudius Pulcher, console nel 38 a.C.) faceva senz'altro parte di una «Villa» di un certo «pregio» architettonico che doveva essere già occupata in epoca augustea-altoimperiale e servita da una via che correva lungo la sinistra del Tagliamento;
   la nuova documentazione di analisi basata sugli elaborati del suddetto studio analitico, ha poi evidenziato come nelle aree interessate dall'opera denominata Variante Sud, tra le vie Dignano-Banfi a ovest e Casarsa a est, siano documentabili cospicui e preziosi reperti archeologici di età romana attinenti a una «Villa rustica» posta ora sulla proprietà Rota (soprattutto in relazione alla stimabile antica, e minima, estensione agraria del suo fondo pari ad almeno 1/4 centuria o 50 iugera = ca. 12,6 Ha) e ad una via glareata (via Crescentia/Dignano-Banfi), che si troverebbero oggi sepolti a circa 3-3,5 metri sotto l'attuale sedime stradale di via Banfi;
   lo studio analitico dell'architetto Vignando ha rilevato, inoltre, come nel territorio dignanese siano state già censite ben 14 aree archeologiche, tra cui, come detto, gli insediamenti in parte già indagati della Villa di Vidulis, del Cristo di Coseano e di Griulis di Flaibano;
   importanti rinvenimenti, effettuati a pochi metri dalla progettata opera viaria, testimonierebbero infine la presenza di molti altri beni archeologici presenti in situ, nonostante per tale opera pubblica sia stato valutato non sussistere alcun interesse archeologico;
   risulta evidente agli interroganti come le escavazioni del tunnel per la realizzazione della nuova opera viaria rischiano di seppellire per sempre questi interessanti resti archeologici distruggendo un patrimonio di valore inestimabile per il territorio –:
   se il Ministro interrogato, sulla base dell'interesse archeologico dell'area sita in comune di Dignano, evidenziato dagli eminenti studi analitici richiamati in premessa, non ritenga necessario assumere iniziative ai sensi degli articoli 95 e 96 del codice degli appalti, attraverso l'adozione della procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico della zona e delle opportune misure cautelari in corso d'opera, sotto la supervisione della Soprintendenza competente. (4-12648)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO, RIZZO e GRILLO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 15 marzo è stata depositata una sentenza della I sezione del TAR Toscana (n. 462/2016) emessa sulla base di un ricorso proposto da un ex militare, G.M., contro il Ministero della difesa, il Ministero dell'economia e il Comitato di verifica delle cause di servizio. Tale ricorso sarebbe stato finalizzato all'annullamento del decreto del Ministero della difesa nonché del relativo parere della Commissione di verifica delle cause di servizio (d'ora in poi CVCS) nelle parti in cui si è ritenuto che l'infermità riscontrata al ricorrente non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio;
   in tale sentenza, vengono fatte dal citato giudice amministrativo alcune affermazioni molto gravi circa il comportamento delle CVCS. Si tratta di passaggi nei quali viene demolita l'attività di tali Commissioni, passaggi che – per quanto ampi – meritano di essere di seguito riportati;
   il giudice, infatti, afferma che «alla luce dell'ampia (anzi, come detto, eccessiva) esposizione delle acquisizioni scientifiche in materia di rischi da esposizione a proiettili ad uranio impoverito e a fronte della indiscutibile presenza prolungata del ricorrente in teatri di guerra ove è stato fatto uso di tali munizionamenti, con i conseguenti effetti di rilascio nell'ambiente di particelle da esplosione contro obiettivi a loro volta inquinanti (industrie chimiche), il tutto accompagnato da una condizione di indebolimento generale delle difese immunitarie indotto da una serie continua di vaccinazioni, appare davvero ermetica, come tale illogica e priva di ogni supporto descrittivo-motivazionale la sopra riportata affermazione del CVCS. Come si è già ricordato, quest'ultimo, infatti, si è limitato ad affermare che «non risultano sussistere nel tipo di prestazioni di lavoro rese, benché impegnative, disagi e strapazzi di tale intensità, né elementi di eccezionale gravità, che abbiano potuto prevalere sui fattori individuali». Si tratta di affermazione stereotipa, in quanto – secondo l'ampia casistica in materia, più volte sottoposta al vaglio di questo Tribunale – ripetutamente usata, con un'abusata tecnica redazionale «a stampone» dal medesimo Comitato in numerosissimi casi analoghi, come tale doppiamente inspiegabile e tanto più sorprendente. Si tratta, infatti, di valutazione proveniente da organo tecnico-amministrativo di cui fanno parte giudici provenienti dalle diverse magistrature, avvocati dello Stato, dirigenti statali, ufficiali medici superiori e qualifiche equiparate della polizia di Stato, funzionari medici di amministrazioni dello Stato: cioè quello che dovrebbe essere il fior fiore delle capacità e competenze in materia di procedimenti amministrativi e scienze medico-legali. Come tale, esso Comitato dovrebbe assicurare al cittadino il massimo grado di rispetto dei fondamentali canoni di buona azione amministrativa di carattere discrezionale, in termini di motivazione, adeguatezza istruttoria, logicità, imparzialità e trasparenza. (...) Come ampiamente rilevato in giurisprudenza, vari e qualificati studi, oltre alla documentazione citata nel ricorso, hanno evidenziato gli effetti gradimenti nocivi derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito (relazioni delle commissioni parlamentari d'inchiesta del 12 gennaio 2008 e del 9 gennaio 2013: TAR Toscana, sez. I. 09/06/2015 n. 880; si veda anche TAR Lazio, Roma, I bis, 21 luglio 2014, n. 7777). (...) In tale contesto, il riconoscimento dell'indennità in questione non richiede la dimostrazione certa del nesso causale, operando un criterio di probabilità, alla cui stregua il verificarsi dell'evento canceroso costituisce elemento sufficiente a determinare il diritto, per la vittima della patologia, all'indennità, qualora l'Amministrazione non sia in grado di escludere, con specifica, puntuale e convincente motivazione, il nesso di causalità (TAR Sicilia, Palermo, I, 4 marzo 2014, n. 649). Rispetto a tale quadro scientifico-giurisprudenziale, la motivazione del CVCS si manifesta – come già evidenziato – apodittica, autoreferenziale, illogica ed errata;
   quanto al secondo aspetto di irragionevolezza, lo stesso Comitato non si è premurato di capire e far capire quali sarebbero i «fattori individuali» tali da recidere qualsiasi nesso quantomeno di concasualità con le sopra ricordate condizioni di lavoro, quali, ad esempio: familiarità tumorale, esiti di patologie tumorali anteriori all'impiego in zone di guerra, eccetera. Né lo stesso Comitato, a fronte delle significative circostanze favorevoli alle pretese del ricorrente, si è sforzato in alcun modo di dimostrare che i teatri ove ha operato il ricorrente fossero immuni da quei pericoli di inquinamento radioattivo o comunque ambientale che il ricorrente, dal canto suo, si è diligentemente preoccupato di dimostrare, anche con riferimento alle date di insorgenza della patologia tumorale. (...) In particolare, si è ribadito più volte che la pregressa partecipazione a missioni all'estero, se da un lato non giustifica il riconoscimento indifferenziato e in via automatica della dipendenza da causa di servizio delle patologie dalle quali il personale militare sia risultato affetto, essa, tuttavia e per converso, costituisce circostanza di fatto che – tenuto anche conto del numero consistente di missioni (come nel caso di specie) – richiede un puntuale approfondimento istruttori e motivazionale del CVCS caso per caso (e non con formule «copia e incolla»), diretto a far emergere con convincente chiarezza le ragioni che abbiano indotto l'amministrazione ad escludere l'esistenza di un fattore specifico di rischio in rapporto di causalità con la malattia (TAR Toscana, 9-6-2015, n. 880); peraltro, dalla stessa giurisprudenza emerge l'andamento ondivago ed imperscrutabile del CVCS, il quale per altre, del tutto analoghe fattispecie, ha riconosciuto la dipendenza da causa di servizio delle patologie tumorali contratte in zone di guerra: TAR Toscana, 13/07/2015, n. 1068. Ugualmente ondivago ed imperscrutabile appare il giudizio dello stesso CVCS, laddove per lo stesso militare e per le stesse circostanze da un lato riconosce il nesso eziologico per una patologia tumorale e dall'altro esclude per un'altra analoga infermità (TAR Toscana, 13/07/2015, n. 1068). In definitiva, nessuna specifica ragione di esclusione è dato rinvenire nella tautologica motivazione dell'atto impugnato che attraverso generico riferimento all'insussistenza di “disagi e strapazzi di tale intensità, né elementi di eccezionale gravità, che abbiano potuto prevalere sui fattori individuali”, da un lato, trascura di attribuire la dovuta considerazione alle peculiari caratteristiche (geografiche e funzionali) del servizio prestato dal ricorrente, dall'altro mette di indicare quali siano i fattori individuali predisponenti o determinanti sul piano causale»;
   infine, il TAR Toscana conclude che «in relazione al reiterato comportamento del CVCS, denotante grave negligenza nell'esame del caso, il Collegio trasmette copia della presente sentenza il Sig. Ministro dell'economia delle finanze e al Sig. Capo di gabinetto dello stesso Ministro, nonché – in relazione al ricorrente contenzioso che il predetto comportamento del Comitato di verifica ingenera con i conseguenti esborsi a carico dell'erario per oneri processuali, maggiori somme per interessi e quant'altro – alla Procura regionale Toscana della Corte dei Conti»;
   la citata sentenza certificata ad avviso degli interroganti il fallimento dell'attività dei CVCS, fallimento che ha risvolti gravissimi da un punto di vista della giustizia sociale e dell'immagine dello Stato: non bisogna dimenticare che si tratta di servitori dello Stato che contraggono patologie gravissime che nella maggior parte dei casi uccidono giovani vite dopo atroci sofferenze, lasciando vedove e orfani giovanissimi;
   in un contesto del genere è vergognoso e inammissibile che la risposta dello Stato – già ontologicamente colpevole per non aver saputo salvaguardare la salute dei suoi servitori – consista in essere quello che agli interroganti appare un insabbiamento sistematico;
   dalla lettura dei citati passi della recente sentenza del TAR Toscana, infatti, si deduce come sia frequente la prassi del CVCS di insabbiare le richieste di riconoscimento di causa di servizio, negandole con decisioni «copia e incolla», motivate pretestuosamente che poi danno luogo a un contenzioso perdente per amministrazioni con conseguente insoddisfazione delle vittime (se non dopo contenziosi che durano anni e che spesso vedono la fine molto tempo dopo la morte del malato), costi ancora più alti per l'erario, incalcolabile danno d'immagine per lo Stato;
   occorre precisare che quanto rilevato dal TAR Toscana fosse già noto agli interroganti da molteplici segnalazioni ricevute anche in ragione dell'attività della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito;
   è evidente come il Parlamento e il Governo non possano più tollerare una situazione del genere –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   se il Governo non ritenga di dover attivare nel più breve tempo possibile affinché le Commissioni di verifica delle cause di servizio vengano superate e i loro compiti vengano affidati ad un organismo veramente capace di assumere delle decisioni che siano aderenti alla realtà dei fatti;
   se, nel frattempo, i Ministri interrogati non ritengano di richiamare, per quanto di rispettiva competenza, i membri delle Commissioni di verifica delle cause di servizio ad uno svolgimento dignitoso delle loro, in linea con lo spirito di cui al secondo comma dell'articolo 51 della Costituzione, laddove si prevede «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore», requisiti che, secondo quanto si legge nella sentenza citata in premessa e secondo quanto segnalato agli interroganti da una pluralità di ex militari, non sarebbero ravvisabili nei componenti delle Commissioni di verifica delle cause di servizio;
   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di competenza, di segnalare alla Corte dei Conti i comportamenti posti in essere dai membri delle Commissioni di verifica delle cause di servizio e se non ritengano altresì di assumere, in tutte le sedi le iniziative necessarie per tutelare l'immagine delle istituzioni lesa dalle decisioni assunte da codeste commissioni. (4-12667)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   CARBONE e BONACCORSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 20 marzo 2016, la candidata a sindaco di Roma Virginia Raggi, avvocato in un noto studio legale di Roma, ha affermato, nel corso di una trasmissione televisiva, che sarebbe sua intenzione, qualora eletta, – procedere alla sostituzione degli attuali vertici dell'Acea spa;
   come riportato da « Il Sole 24 ore» del 24 marzo, Equita Sim, banca di investimenti le cui valutazioni sono considerate autorevoli dagli operatori di mercato, ha abbassato il 23 marzo 2016 il rating di Acea spa da buy a hold e ha eliminato il titolo dal portafoglio delle small cap, motivando la scelta con il rischio politico collegato alla possibile vittoria di Virginia Raggi;
   anche Banca Imi negli stessi giorni ha tagliato la raccomandazione su Acea da buy ad add, citando come minaccia principale l'interferenza politica alla corporate governance dell'Acea;
   l'effetto sulla quotazione di borsa è stato immediato, con una perdita del 4,73 per cento del valore del titolo, per un importo di 142 milioni di euro, più della metà del quale a danno del comune di Roma Capitale, che possiede il 51 per cento delle azioni;
   il gruppo Acea è una delle principali multiutility italiane: quotata in orsa dal 1999, è attiva nella gestione e nello sviluppo di reti e servizi nei business dell'acqua, dell'energia e dell'ambiente;
   primo operatore nazionale nel settore idrico e tra i principali player italiani nella distribuzione e vendita di elettricità e nel settore ambientale, il gruppo conta oltre 7.000 dipendenti e rappresenta una realtà industriale solida con ampie prospettive di crescita –:
   se il Ministro interrogato abbia avuto notizie e informazioni dai competenti organi di vigilanza in ordine ai fatti richiamati in premessa, anche in relazione ad eventuali movimenti anomali sul titolo in questione che abbiano comportato danni all'azionista pubblico. (3-02140)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PESCO, VILLAROSA, RUOCCO, COMINARDI, TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, ZOLEZZI, MANLIO DI STEFANO e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 21 ottobre 2015, con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-06731 presentata dal deputato Giovanni Paglia, si chiedeva di conoscere quali fossero, con riferimento al periodo 2015-2016, i contratti derivati in scadenza, e se con riferimento a questi fossero state effettuate rinegoziazioni o apposte proroghe di scadenza, quali fossero le controparti degli stessi, quale fosse il loro valore attuale di mark-to-market, e quali i relativi risultati positivi o negativi;
   il 28 ottobre 201.5 con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-0681.6 presentata dalla deputata Ruocco, si chiedeva di conoscere ulteriori dettagli sui dati forniti nella risposta del vice Ministro Morando al precedente atto 5-06731;
   il 29 ottobre 2015 la risposta del sottosegretario Baretta, fornisce qualcuna delle informazioni richieste, in particolare su due swap di tasso di interesse fisso-variabile su un nozionale di 1.000 milioni di euro ciascuno;
   il 19 novembre 2015 con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-07057 presentata dal primo firmatario del presente atto, si chiedeva di conoscere ulteriori dettagli sui 2 swap di complessivi 2 miliardi di euro indicati nella risposta del sottosegretario Baretta al precedente atto 5-06816;
   il 22 dicembre 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze ha risposto, ancora una volta in modo parziale e insoddisfacente, all'interrogazione in Commissione n. 5-07057 rendendo noto, tra l'altro, che i due Interest Rate Swap decennali per un valore nozionale complessivo di 2000 milioni di euro scaduti nel 2015 (con pagamento complessivo dell'ultima semestralità di 91,862 milioni di euro) «non hanno originato upfront e i flussi complessivamente generati dalle due operazioni nel corso di tutta la loro vita ammontano a circa 520 milioni di euro» eludendo il quesito posto;
   il 20 gennaio 2016 i deputati Ruocco, Pesco, Villarosa, Alberti e Pisano hanno presentato l'interrogazione in Commissione n. 5-07446 evidenziando, tra l'altro, che – ad esito di alcune stime di lavoro quantitative – gli interroganti rilevavano che tali contratti derivati avrebbero dovuto generare per il Ministero dell'economia e delle finanze un «incasso tra i 420 e i 460 milioni di euro quale upfront»;
   nell'ambito della citata interrogazione del 20 gennaio 2016 si chiedeva, tra l'altro, quali siano state «le motivazioni tecniche e le connesse preliminari valutazioni quantitative sulla cui base i competenti Dipartimenti di codesto Ministero all'epoca della stipula hanno ritenuto opportuna per lo Stato Italiano l'assunzione di tali posizioni» e si chiedeva altresì un chiarimento su «quali siano stati i pagamenti lordi effettuati e i pagamenti lordi ricevuti dal Ministero ad ognuna delle date di pagamento definite nei due contratti»;
   il 21 gennaio 2016, il Ministero dell'economia e delle finanze ha risposto all'interrogazione in Commissione del 20 gennaio 2016 rendendo noto che i due contratti in parola «vennero stipulati nel 2004 con decorrenza posticipata nel 2005» e riportando, in forma tabellare, i «flussi netti annuali» aggregati dei due contratti, eludendo a giudizio degli interroganti per l'ennesima volta il quesito posto, in quanto l'informativa ricevuta dal Ministero circa i «flussi netti annuali» aggregati dei due contratti è assai meno granulare rispetto a quella – sui pagamenti lordi effettuati e ricevuti dallo Stato – richiesta dagli interroganti il 20 gennaio 2016;
   tra il 2004 e il 2005 sui mercati si è registrata una significativa riduzione del tasso di riferimento del mercato a 10 anni (Eur 10-Year Swap Rate) –:
   se il Governo, oltre a fornire il valore mark-to-market del portafoglio derivati al 31 dicembre 2015, non intenda chiarire quali siano state le motivazioni e le valutazioni tecniche preliminari che hanno portato a decidere di stipulare tali contratti, avendo cura di soffermarsi anche sull'esigenza di stipulare dei contratti IRS di tipo forward starting (ossia, con decorrenza posticipata); quali siano stati, distintamente per ciascuno dei due IRS, i pagamenti lordi effettuati e quelli ricevuti dal Ministero a ciascuna delle date di pagamento previste dai due contratti; se i due contratti avessero le medesime caratteristiche o se, invece, fossero differenti, avendo cura – in tale seconda ipotesi – di indicare le differenze principali tra i medesimi; quali siano la natura (e.g. costante, step-up, step-down e altro) e l'entità del tasso fisso che il Ministero si è impegnato a corrispondere alla controparte distintamente per ciascuno dei due IRS nonché, laddove prevista; l'esistenza e l'entità di eventuali maggiorazioni/decurtazioni sul tasso variabile preso a riferimento, in ciascuno dei due contratti, per la determinazione dei pagamenti lordi in entrata per il Ministero. (5-08243)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 17, comma 1, lettera l), della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» prevede il trasferimento all'Inps della competenza riguardante gli accertamenti medico-legali sui dipendenti pubblici assenti dal servizio per malattia, cosiddette visite fiscali, e la creazione di un polo unico di medicina fiscale, posto che l'istituto già svolge analoga attività sui dipendenti da datori di lavoro privati;
   la norma prevede, altresì, il trasferimento delle risorse attualmente impiegate dalle pubbliche amministrazioni che, ai sensi dell'articolo 17, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stabilito, a decorrere dal 2013, in un importo non superiore a 70 milioni di euro l'anno –:
   al fine di condurre una efficiente, efficace e credibile azione di contrasto all'assenteismo, visto l'aumento di assenze registrato nel pubblico impiego come denunciato recentemente anche dalla stampa, se le risorse di 70 milioni di euro, attualmente impiegate dalle pubbliche amministrazioni, risultate insufficienti, verranno incrementate al momento del trasferimento delle competenze in merito agli accertamenti medico-legali di cui in premessa all'Inps. (5-08247)


   CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Repubblica di Bari, con comunicato stampa del 4 febbraio 2016, ha reso noto di aver dato esecuzione – per il tramite della tenenza della Guardia di finanza di Bitonto e del comando gruppo di Bari – all'ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Colapinto Giuseppe Donato e Colapinto Mario per i reati di peculato continuato connesso ad operazioni svolte da CE.R.IN. s.r.l. – società esercente l'attività di riscossione ed accertamento dei tributi per il comune di Bitonto e per altri comuni della provincia di Bari (Modugno, Grumo Appula, Santeramo, Binetto, Toritto) e di altre province (tra gli altri Massafra, Mesagne, Ascoli Satriano, Montecastrilli, Melendugno, Francavilla, Popoli, Ururi, Ciriè, Bisignano, Mariglianella, Pecognaga, Gazzaniga) – e da Siart s.r.l., con contestuale esecuzione del decreto di sequestro preventivo di beni immobili, anche di consistente valore, e di somme di denaro detenute nei conti correnti delle suindicate società;
   l'iniziativa giudiziaria, stando a quanto asserito dal magistrato inquirente, scaturisce da una complessa attività d'indagine – preceduta da una verifica fiscale eseguita nell'anno 2014 dai militari della Guardia di finanza nei confronti di Siart s.r.l., società con sede in Bitonto esercente l'attività di gestione di database, con partecipazione di maggioranza da parte di CE.R.IN. s.r.l. – con la quale si sarebbe accertato che Colapinto Giuseppe Donato, amministratore/gestore di CE.R.IN. s.r.l., ed il figlio Mario, amministratore/gestore di Siart s.r.l., hanno posto in essere negli anni 2012-2014 articolate operazioni societarie e finanziarie – attraverso aumenti di capitale sociale di CE.R.IN. s.r.l. e Siart s.r.l., scissione parziale ed assegnazione di ramo d'azienda da parte di Siart s.r.l. alla neocostituita Siart Immobiliare s.r.l., scissione parziale di CE.R.IN. s.r.l. e costituzione della nuova società Tributi Service s.r.l., fusione per incorporazione di Siart s.r.l. in CE.R.IN. s.r.l. con annullamento delle quote di partecipazione di quest'ultima in Siart s.r.l. – scientemente preordinate, per un verso, al progressivo azzeramento del patrimonio e delle risorse finanziarie di CE.R.IN. s.r.l. con conseguente pregiudizio per i creditori, anche in funzione di nascondimento delle illecite operazioni di finanziamento eseguite da CE.R.IN. s.r.l., mediante drenaggio/appropriazione di risorse di pertinenza degli enti comunali, in favore di S.I.A.R.T. s.r.l., e, sotto altro profilo, alla costituzione di due nuove società – Tributi Service s.r.l. e Siart Immobiliare s.r.l., entrambe interamente partecipate ed amministrate da Colapinto Mario – alle quali sono stati trasferiti, rispettivamente, il patrimonio immobiliare residuo di CE.R.IN. s.r.l. ed i contratti in corso di esecuzione con varie amministrazioni comunali per i servizi di accertamento e riscossione dei tributi (tra gli altri, Tributi Service s.r.l. opera attualmente quale incaricato per la riscossione dei comuni di Molfetta e Gioia del Colle) e il ramo d'azienda di Siart s.r.l. costituito dal patrimonio immobiliare in precedenza acquisito;
   secondo la ricostruzione operata dalla procura di Bari «negli anni 2011 e 2012, Siart s.r.l. – e per essa l'amministratore unico Colapinto Mario – aveva effettuato, in qualità di acquirente, varie operazioni di acquisto di immobili e compendi immobiliari – oggetto del decreto di sequestro sopra indicato – ricevendo, a tal fine, finanziamenti cospicui dal socio CE.R.IN. s.r.l. (il debito verso il socio CE.R.IN. s.r.l. ammontava al 1o gennaio 2012 ad euro 3.373.362,09) che gli approfondimenti svolti da questa Procura hanno consentito di accertare essere stati eseguiti mediante sistematici prelievi dai conti correnti postali e bancari accesi da CE.R.IN. s.r.l., tra l'altro, dal conto corrente postale denominato “Popoli Cosap” presso l'ufficio di Poste Italiane di Bitonto, oggetto di sequestro – sui quali affluivano le somme provento delle attività di riscossione dei tributi svolte, in regime di concessione, dalla società, con conseguente appropriazione delle somme di pertinenza delle amministrazioni comunali – per un ammontare complessivo di euro 2.462.000,00 – per finalità estranee ai fini istituzionali, trattandosi peraltro di denaro che, per giurisprudenza costante, è nella disponibilità della Pubblica Amministrazione al momento della consegna al concessionario incaricato dell'esazione ed è gravato da vincolo di destinazione»;
   il comunicato prosegue dichiarando che: «è stato accertato per di più – in base ad una analisi incrociata tra gli incassi dei tributi annotati nelle scritture contabili di CE.R.IN. s.r.l. in relazione all'attività di riscossione effettuata per il Comune di Bitonto ed i ”conti di gestione” annuali dell'ente comunale relativi ai rendiconti trasmessi da CE.R.IN s.r.l. – che per il triennio 2010-2012 un importo non inferiore ad euro 3.188.000,00  riscosso da CE.R.IN. s.r.l. dai contribuenti di Bitonto non è stato riversato nelle casse comunali né è stato dichiarato come oggetto di riscossione da parte di CE.R.IN. s.r.l., con conseguente significativa divergenza  tra gli importi indicati nel rendiconto mensile comunicato da CE.R.IN. s.r.l. e le somme effettivamente riscosse a titolo di tributi dal concessionario»;
   come emerge dalle indagini della procura di Bari, le articolate operazioni societarie e finanziarie poste in essere da Colapinto Giuseppe Donato e dal di lui figlio Mario – si rammentano le fattispecie: aumenti di capitale sociale di CE.R.IN. s.r.l. e Siart s.r.l., scissione parziale ed assegnazione di ramo d'azienda da parte di Siart s.r.l. alla neocostituita Siart immobiliare s.r.l., scissione parziale di CE.R.IN. s.r.l. e costituzione della nuova società Tributi Service s.r.l., fusione per incorporazione di Siart s.r.l. in CE.ri.N. s.r.l., con annullamento delle quote di partecipazione di quest'ultima in Siart s.r.l.. – avrebbero costituito lo strumento per attuare un duplice disegno criminoso consistente nel progressivo depauperamento del patrimonio della CE.R.IN. s.r.l. a danno dei creditori sociali e nella distrazione e conseguente appropriazione delle somme provento delle attività di riscossione dei tributi versati dai cittadini e di pertinenza esclusiva, quindi, delle relative amministrazioni locali;
   il decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, recante norme in materia di «Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337» stabilisce, all'articolo 2, comma 4, che i trasferimenti, per atto tra vivi, delle azioni delle società concessionarie, nonché le fusioni e le scissioni alle quali prendono parte tali società sono soggette, a pena di inefficacia, alla preventiva autorizzazione del Ministero delle finanze;
   l'articolo 4 del decreto del Ministero delle finanze 11 settembre 2000, n. 289 – concernente il regolamento relativo all'albo dei soggetti abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni, da emanarsi ai sensi dell'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 – stabilisce che lo statuto delle società, di cui al comma 1, lettere a), b), c), e comma 2, deve prevedere l'inefficacia, nei confronti della società, del trasferimento di quote od azioni per atto tra vivi non preventivamente autorizzato dal Ministero delle finanze;
   l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 40 del 2010, convertito dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, prevede che «per l'iscrizione all'albo dei soggetti abilitati ad effettuare attività di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni, di cui all'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sono richieste le seguenti misure minime di capitale interamente versato: a) 1 milione di euro per l'effettuazione, anche disgiuntamente, delle attività nei comuni con popolazione fino a 10.000 abitanti, con un numero di comuni contemporaneamente gestiti che, in ogni caso, non superino complessivamente 100.000 abitanti; b) 5 milioni di euro per l'effettuazione, anche disgiuntamente, delle attività di accertamento dei tributi e di quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate nei comuni con popolazione fino a 200.000 abitanti; c) 10 milioni di euro per l'effettuazione, anche disgiuntamente, delle attività di accertamento dei tributi e di quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate nelle province e nei comuni con popolazione superiore a 200.000 abitanti. I soggetti iscritti all'albo di cui al comma 1 devono adeguare alle predette misure minime il proprio capitale sociale entro il 30 giugno 2010; in ogni caso, fino all'adeguamento non possono ricevere nuovi affidamenti o partecipare a gare indette a tale fine»;
   dalle visure camerali relative alla società CE.R.IN s.r.l. emerge che, nell'anno 2009, il capitale sociale veniva aumentato sino a concorrenza della misura minima di 10 milioni di euro necessaria per poter effettuare, anche disgiuntamente, le attività di accertamento dei tributi e di riscossione dei tributi e di altre entrate nelle province e nei comuni con popolazione superiore a 200.000 abitanti. Tuttavia, tale capitale solo in apparenza risultava effettivamente e totalmente versato, in quanto per una quota ammontante a euro 7 milioni (dunque il 70 per cento del capitale minimo richiesto) il conferimento in denaro sarebbe stato sostituito da una garanzia fideiussoria di pari importo prestata dalla società di intermediazione Minos s.p.a., che, nei sei mesi successivi alla prestazione, risultò cancellata dall'elenco generale degli intermediari finanziari come documentato dal bollettino di vigilanza n. 12 del mese di dicembre 2009 pubblicato dalla Banca d'Italia;
   dalle indagini condotte dalla procura di Bari: «è stato accertato per di più – in base ad una analisi incrociata tra gli incassi dei tributi annotati nelle scritture contabili di CE.R.IN. s.r.l. in relazione all'attività di riscossione effettuata per il comune di Bitonto ed i “conti di gestione” annuali dell'ente comunale relativi ai rendiconti trasmessi da CE.R.IN. s.r.l. – che per il triennio 2010-2012 un importo non inferiore ad euro 3.188.000,00 riscosso da CE.R.IN. s.r.l. dai contribuenti di Bitonto non è stato riversato nelle casse comunali né è stato dichiarato come oggetto di riscossione da parte di CE.R.IN. s.r.l., con conseguente significativa divergenza tra gli importi indicati nel rendiconto mensile comunicato da CE.R.IN. s.r.l. e le somme effettivamente riscosse a titolo di tributi dal concessionario»;  risulta quantomeno anomalo, per gli interroganti, che l'amministrazione del comune di Bitonto si sia limitata a chiedere alla CE.R.IN. s.r.l. un mero resoconto mensile ai fini della verifica delle somme da detta società riscosse per conto dell'ente locale, senza effettuare ulteriori e più incisivi controlli sugli incassi effettivi ottenuti dal concessionario;
   come si evince dalla nota stampa emanata dalla procura di Bari, gli investigatori, inoltre, vogliono stabilire se, negli enti locali interessati, vi siano state o meno connivenze o anomalie sui controlli;
   come riportato dal quotidiano telematico DaBitonto – Reg. stampa n. 684/2013 tribunale di Bari, edizione di martedì 8 marzo 2016 – «le forze dell'ordine vogliono capire se il presunto sistema messo in atto a Bitonto e finalizzato a distrarre a proprio vantaggio soldi che sarebbero dovuti finire nelle casse pubbliche (3,2 milioni di euro, secondo le ipotesi degli inquirenti), sia stato utilizzato anche negli altri comuni dove l'azienda ha svolto il servizio di riscossione dei tributi. Gli investigatori, inoltre, vogliono stabilire se, negli enti locali interessati, vi siano state o meno connivenze o anomalie sui controlli»;
   dal comunicato della inquirente, non emerge, per gli interroganti, se l'indagine svolta dai militari della Guardia di finanza si sia avvalsa anche di esiti di pregressa attività di vigilanza eventualmente esercitata dalla direzione regionale dell'agenzia delle entrate della Puglia ai sensi del combinato disposto dell'articolo 3, comma 3 e dell'articolo 4, comma 1, lettera b), dello statuto della medesima Agenzia, nonché dell'articolo 5 del decreto legislativo 13 aprile 1999 n. 112, nel testo in vigore dal 22 ottobre 2015;
   non è dato parimenti sapere, a quanto consta agli interroganti, se il comune di Bitonto, titolare dei crediti d'imposta e di altre entrate patrimoniali affidati in riscossione coattiva alla CE.R.IN. s.r.l., in diligente esercizio di attività collaterali alla realizzazione delle pretese patrimoniali mediante ruolo, abbia – in conformità a risalente prassi amministrativa – periodicamente curato, anche con il metodo dello scandaglio, l'invio di richiesta tesa ad appurare direttamente presso il debitore lo stato, se pendente o estinto, del credito vantato;
   l'omesso riversamento al comune di Bitonto delle quote iscritte a ruolo a titolo di tributi nel triennio 2010-2012 – e regolarmente incassate da CE.R.IN. s.r.l. per un importo non inferiore ad euro 3.188.000,00 – avrebbe tra l'altro comportato la violazione del principio di veridicità di cui all'articolo 162, comma 5 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (oggi «principio della veridicità, attendibilità, correttezza e comprensibilità», di cui all'allegato 1, previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 e al decreto legislativo del 10 agosto 2014, n. 126, portante «Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42»), avendo i bilanci di previsione del predetto ente territoriale verosimilmente esposto residui attivi per importi difformi da quelli effettivi, con conseguenti immediati riflessi sull'autorizzazione alla spesa comunale per gli anni indicati;
   l'intera vicenda descritta evidenzia la scarsa trasparenza e l'inefficienza del sistema di controlli e verifiche in una materia – quale la riscossione dei tributi locali – ove è in gioco oltre che il denaro pubblico versato dai cittadini, anche la credibilità degli enti dotati di potestà impositiva che, in questi ultimi anni, hanno, a più riprese, lamentato la scarsità di risorse finanziarie e fatto ricorso ad aumenti di aliquote e riduzione dei servizi per sopperire alle esigenze di budget;
   l'impianto normativo attualmente vigente appare agli interroganti del tutto inadeguato a garantire gli enti locali e le relative comunità di cittadini dal rischio che le società concessionarie dei servizi di riscossione dei tributi si approprino indebitamente di quota parte dei tributi riscossi per loro conto ovvero gestiscano operazioni societarie in grado di azzerare i requisiti di solidità patrimoniale stabiliti dalla legge a tutela dei terzi e della collettività;
   l'articolo 11, comma 1, lettera c) del decreto legislativo del 13 aprile 1999, n. 112 dispone che la commissione di gravi e reiterate violazioni degli obblighi stabiliti in disposizioni normative o amministrative legittima, a tutela del preminente interesse pubblico, la revoca della concessione del servizio di riscossione;
   non è peraltro chiaro se quanto accaduto ne comune di Bitonto costituisca solo la punta dell’iceberg di un più ampio fenomeno esteso ad altri comuni e province italiane –:
   se il Ministro interrogato ritenga di assumere adeguate iniziative a carattere normativo necessarie a rendere più efficaci, efficienti e sicure le procedure di concessione dei servizi di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni, estendendo anche ai concessionari locali il sistema di autorizzazioni previsto per il servizio nazionale ed ampliando il ventaglio delle operazioni societarie soggette a preventiva autorizzazione ministeriale, includendovi tutte le fattispecie potenzialmente in grado di ridurre la solidità patrimoniale dei concessionari, in coerenza con l'evoluzione del diritto societario, in una prospettiva che garantisca, altresì, agli enti preposti il potere di implementare controlli più pervasivi sulla raccolta dei tributi effettivamente incassati dai soggetti in regime di concessione, al fine di assicurare la massima tutela del denaro dei contribuenti e la credibilità della potestà impositiva di comuni e province. (5-08252)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ, FUCCI e MARTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 334, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (finanziaria 2007) sostituiva il comma 2 dell'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 22 dicembre 1986, di approvazione del testo unico delle imposte sui redditi (cosiddetto TUIR), in materia di «Determinazione del reddito di lavoro autonomo» (artigiani e professionisti), nei seguenti termini:
   «2. Per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, esclusi gli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione di cui al comma 5, sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. È tuttavia consentita la deduzione integrale, nel periodo d'imposta in cui sono state sostenute, delle spese di acquisizione di beni strumentali il cui costo unitario non sia superiore a euro 516,4. La deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito nel predetto decreto e comunque con un minimo di otto anni e un massimo di quindici se lo stesso ha per oggetto beni immobili. Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili dei beni immobili strumentali, si applica l'articolo 36, commi 7 e 7-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Per i beni di cui all'articolo 164, comma 1, lettera b), la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del primo periodo. I canoni di locazione finanziaria dei beni strumentali sono deducibili nel periodo d'imposta in cui maturano. Le spese relative all'ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione di immobili utilizzati nell'esercizio di arti e professioni, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili, nel periodo d'imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta all'inizio del periodo d'imposta dal registro di cui all'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni; l'eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodi d'imposta successivi»;
   il comma 335 dell'articolo 1 della citata legge n. 296 del 2006 precisava tuttavia quanto segue:
  «335. Le disposizioni introdotte dal comma 334 in materia di deduzione dell'ammortamento o dei canoni di locazione finanziaria degli immobili strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione si applicano agli immobili acquistati nel periodo dal 12 gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 e ai contratti di locazione finanziaria stipulati nel medesimo periodo; tuttavia, per i periodi d'imposta 2007, 2008 e 2009, gli importi deducibili sono ridotti a un terzo»;
   di conseguenza, per gli immobili acquistati e per i contratti di locazione finanziaria stipulati dal 1o gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 risultava ammessa per artigiani e professionisti la deduzione degli ammortamenti e dei canoni locazione finanziaria, nella misura prevista. Tale possibilità restava quindi esclusa per i contratti stipulati dopo il 1o gennaio 2010;
   con l'articolo 1, comma 162, lettera a), della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (stabilità 2014), l'articolo 54, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 22 dicembre 1986 è stato modificato nei termini:
  «Al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al comma 2 dell'articolo 54, al terzo periodo, le parole: “e comunque con un minimo di otto anni e un massimo di quindici se lo stesso ha per oggetto beni immobili” sono sostituite dalle seguenti: “; in caso di beni immobili, la deduzione è ammessa per un periodo non inferiore a dodici anni”»;
   il successivo comma 163 precisava quanto segue:
  «163. Le disposizioni di cui al comma 162 si applicano ai contratti di locazione finanziaria stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge»;
   le riportate disposizioni della legge di stabilità 2014 hanno indotto gli operatori a ritenere ormai superate le limitazioni, anche temporali, stabilite dall'articolo 1, comma 335, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, consentendo ad artigiani e professionisti la piena deduzione dei canoni di locazione finanziaria relativa ad immobili per contratti stipulati dopo il 1o gennaio 2014. Residuano tuttavia dubbi interpretativi circa l'applicazione delle cennate deduzioni anche ai contratti di acquisto di immobili, che l'Agenzia delle entrate ha sempre sostanzialmente equiparato ai contratti di locazione finanziaria di immobili, e che lo stesso legislatore, con l'articolo 1, commi 334 e 335, della legge n. 296 del 2006 accomunava nella medesima disciplina sostanziale –:
   se le suddette agevolazioni fiscali si applichino anche ai contratti di acquisto di immobili stipulati dopo il 1o gennaio 2014, indicando, in caso contrario, le diverse posizioni e le relative ragioni, al fine di superare ogni dubbio interpretativo ed applicativo, e restituire organicità e sistematicità al quadro normativo di riferimento, anche incoraggiando gli investimenti da parte degli interessati in un settore in grave crisi. (4-12654)


   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la riforma per il pagamento del canone Rai potrebbe penalizzare i contribuenti, i quali potrebbero pagare più dei 100 euro dichiarati dal Governo;
   la legge di stabilità per il 2016 ha infatti introdotto una nuova presunzione di possesso dell'apparecchio televisivo legata alla presenza di un contratto di fornitura di energia elettrica nel luogo in cui il soggetto ha la sua residenza anagrafica e che il canone si sarebbe dovuto versare in rate mensili che, per il corrente anno, sarebbero state riscosse a partire da luglio;
   la norma ha anche previsto che, entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ovvero il 14 febbraio 2016, si adottasse un decreto ministeriale per definire i termini e le modalità per la nuova riscossione del canone di abbonamento Rai, contestualmente alla fatturazione della bolletta elettrica, decreto non ancora emanato;
   oltre all'imposta abbinata al contratto della luce, i contribuenti potrebbero sostenere ulteriori costi necessari per garantire alle società elettriche la copertura dei costi che dovranno sostenere per riscuotere gli importi e poi versarli allo Stato. La sola certezza è che la riscossione del canone Rai avverrà mediante il pagamento della bolletta della luce legata all'abitazione principale;
   non è stato ancora risolto il problema del modo con il quale si risarciranno le società elettriche per l'attività che dovranno sostenere, ai fini della riscossione e recupero delle somme e per il successivo versamento allo Stato: un'attività che richiede l'impiego di risorse e di personale;
   non è ancora chiaro chi dovrà sostenere questi costi aggiuntivi. Le compagnie elettriche non vogliono ridurre i propri guadagni per un compito che gli è stato affidato autoritativamente, mentre lo Stato non sembra aver previsto che una parte del canone stesso sia versato alle società elettriche per il pagamento del servizio di esazione reso;
   in questa situazione, come sopra detto, i costi potrebbero essere imputati agli stessi contribuenti;
   la bozza del decreto attuativo è stata discussa nell'ambito di un tavolo tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, l'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico e le associazioni di rappresentanza delle aziende elettriche;
   fonti di stampa informano che la bozza del testo di decreto attuativa sia stata inviata dal Ministero dell'economia e delle finanze e da quello per lo sviluppo economico al Consiglio di Stato e all'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico che dovranno esprimere il loro parere sul testo;
   fonti di stampa confermano quanto sopra descritto poiché la bozza del decreto di attuazione delle norme relative alla legge di stabilità concernente le nuove modalità di pagamento di questa tassa, prevedono il fatto che alle aziende elettriche venga riconosciuto un contributo di tipo forfettario, allo scopo di far fronte ai costi derivanti dalla riscossione che dovranno affrontare già a partire dai prossimi mesi. In particolare, le norme di attuazione prevederebbero che, alle imprese elettriche, verrà corrisposto un contributo forfettario per coprire i costi della riscossione del canone Rai, pari a 14 milioni per il 2016 e altrettanti per il 2017. Risorse economiche, che verranno coperte dall'Agenzia delle entrate, quindi dai contribuenti italiani, sottoposti ad una duplice imposizione per la fruizione di un servizio pubblico, l'una diretta, l'altra indiretta –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e quali iniziative intenda assumere per evitare che i contribuenti debbono effettuare un pagamento per il servizio pubblico radiotelevisivo superiore a quanto stabilito nella legge di stabilità e che siano sottoposti al pagamento anche cittadini che non usufruiscono del servizio ma che sono costretti a pagare poiché il contributo di tipo forfettario alle aziende elettriche che svolgono l'attività di esattoriale verrà finanziato non con la sola tassa di 100 euro imputata ai cittadini che godono effettivamente del servizio, ma anche con le imposte pagate da tutti i cittadini, ovvero con un pagamento che non è legato al beneficio che si ottiene dal godimento dei servizi pubblici, ma alla capacità contributiva. (4-12659)


   SPADONI, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, SCAGLIUSI, D'AMBROSIO e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 febbraio 2016 sul Resto del Carlino in un articolo firmato da Mike Scullin e recante il titolo «Sangue infetto. Ma lo Stato non risarcisce. Intanto Equitalia fa il pignoramento per 4.000 mila euro non restituiti» si evince del caso di un cittadino reggiano che a causa di una trasfusione di sangue infetto si è ammalato di epatite C;
   nel 1992 il manager reggiano, ora disoccupato, ebbe un grave incidente in cui perse molto sangue e due anni dopo esser stato operato al Santa Maria scoprì di avere contratto la malattia;
   tantissime sono le interrogazioni da parte del M5S relative gli emodanneggiati che, per ottenere un risarcimento iniziano una causa civile in tribunale e, una volta averla vinta, non vengono risarciti da parte del Ministero della salute. Da qualche tempo ciò accade anche per le prestazioni di indennizzo previste dalla legge n. 210 del 1992 per le sentenze successive al 2012 il Ministero, direttamente o tramite l'AUSL, non inizia a erogare la prestazione indennitaria bimestrale, né tanto meno gli arretrati per somme pari ad alcune decine di migliaia di euro;
   questo cittadino non riceverà l'indennizzo di 85 mila euro e nemmeno la relativa rivalutazione che gli spetta da parte dello Stato, nonostante la sentenza di condanna del Ministero della salute passata in giudicato, in quanto successiva al 2012;
   pur vantando dunque un credito nei confronti dello Stato, questo cittadino è costretto al contempo a pagare una cartella esattoriale di Equitalia pari a 4000 euro, pena il pignoramento dei beni –:
   quali iniziative intraprenderanno i Ministri interrogati e dove reperiranno i fondi necessari al fine di risolvere in via definitiva la problematica concernente le procedure di indennizzo previste dalla legge n. 210 del 1992 e le procedure di risarcimento per i soggetti danneggiati da trasfusioni con sangue infetto;
   se i Ministri interrogati non intendano porre in essere tutte le iniziative necessarie per introdurre una compensazione di credito, affinché lo Stato non possa mai esigere un credito nei confronti di un cittadino il quale, a sua volta, vanti un credito di pari o di maggiore importo rispetto al primo. (4-12662)


   CIRACÌ e FUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Fidindustria Puglia è un consorzio nato dalla fusione di tutti i consorzi fidi di matrice confindustriale operanti nella regione con lo scopo di favorire l'accesso al credito delle piccole e medie imprese associate, attraverso la prestazione di garanzie e l'assistenza finanziaria e creditizia;
   è di poco tempo fa l'annuncio della fusione per incorporazione, da concludersi entro il 31 marzo 2016, fra il suddetto Consorzio pugliese e l'abruzzese Confidi Mutualcredito scpa che darà origine a «Confidi Adriatico – Società cooperativa di garanzia collettiva dei fidi», vigilata da Banca d'Italia, operativa nelle regioni di Marche, Abruzzo, Molise e Puglia, con sede legale e presidenza a Bari e direzione Generale a Pescara;
   molti soci di Fidindustria non hanno partecipato all'assemblea straordinaria durante la quale è stato approvato il progetto di fusione per incorporazione ed hanno appreso la notizia solo dagli organi di stampa, lamentando carenze informative da parte del Consorzio, laddove sullo stesso sito web non siano presenti informazioni utili, oltre un breve articolo non corredato dalla necessaria documentazione, nonostante il progetto in questione comporti una modifica essenziale delle condizioni statutarie inizialmente previste, atteso che il nuovo statuto della futura società, risultato della fusione, contempla ipotesi di recesso più gravose (articolo 9 lettera d) e f));
   gli stessi soci chiedono la sospensione del processo di fusione per incorporazione tra il Consorzio Fidindustria Puglia e Confidi Mutualcredito scpa poiché non ravvisano un interesse né per la base societaria né per l'impresa pugliese, ravvisandone invece un forte pregiudizio. Tale dissenso è stato espresso anche alla Banca d'Italia per mezzo di un esposto e presentato da parte dell'avvocato Domenico Cantore con pec del 17 marzo 2016;
   tale contrarietà è frutto di un'elaborazione in seguito allo studio degli ultimi bilanci della Società Confidi Mutualcredito scpa; infatti, pur rilevando che sui rispettivi siti istituzionali delle società non siano presenti i documenti contabili allegati al progetto di fusione, i bilanci della Società incorporante risultano inficiati da alcune considerazioni contabili che si reputano poco convenienti ed eccessivamente gravose. Dopo aver visionato i bilanci degli ultimi anni della società Mutualcredito scpa presenti sul sito internet della stessa, si rilevano le seguenti considerazioni: i) nella relazione della società di revisione KPMG ai sensi degli articoli 14 e 16 del decreto legislativo n. 39 del 2010 al bilancio al 31 dicembre 2013 è dato leggere che «a causa degli effetti connessi alle incertezze descritte non si è in grado di esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio di Confidi Mutualcredito S.c.p.A. al 31 dicembre 2013» (pagine 2-3 della relazione). Inoltre, gli stessi revisori non esprimono alcun giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio di esercizio, per espresso richiamo a situazioni di incertezza, ii) nella relazione della società di revisione KPMG ai sensi degli articoli 14 e 16 del decreto legislativo n. 39 del 2010 al bilancio al 31 dicembre 2014 non vi è espresso da parte dei revisori alcun giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio di esercizio (pagine 109-110);
   tali circostanze inducono a ritenere che il progetto di fusione non possa essere accettato, tanto più che esso comporterebbe un aumento di capitale pari a 5 milioni di euro, cifra di cui gli stessi soci dovranno farsi carico all'indomani della fusione –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano assumere iniziative normative, alla luce delle criticità messe in evidenza dalla vicenda sopra descritta, al fine di garantire chiarezza e trasparenza nelle operazioni di fusione che riguardano i confidi ed evitare situazioni che possano penalizzare gli imprenditori, come nel caso di Fidindustria Puglia. (4-12670)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   SANTELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ex carcere lametino era un convento costruito nel 1400 e diventato carcere nel 1800;
   nel 2004 viene ristrutturato nella parte adibita a sezioni detentive ed adeguato agli standard previsti dall'ordinamento penitenziario (si pensi che è uno dei pochi carceri con le docce nelle camere detentive);
   negli anni 2013 e 2014 è risultato il carcere più sovraffollato d'Italia, con il 172 per cento dei detenuti in più rispetto alla capienza (30 detenuti è il numero previsto per la capienza regolamentare ma ne sono stati ospitati oltre 80);
   il 28 marzo 2014, su decisione del provveditore regionale, Salvatore Acerra, si realizza la chiusura del carcere di Lamezia pur in assenza di decreto di chiusura ministeriale. La chiusura non preannunciata ed immediata ha, ad avviso dell'interrogante, i caratteri di un «blitz»;
   i circa 80 detenuti ristretti vengono trasferiti dal carcere di Lamezia ad altri istituti della Regione;
   solo il giorno precedente era stato inaugurato in quel carcere, con la partecipazione della provincia, uno sportello lavoro per il reinserimento dei condannati;
   già dal mese successivo, aprile 2014, il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo, tuttora sindaco, premesso che la legge n. 395 del 1990 indica Catanzaro come sede del provveditorato regionale per la Calabria, avanza al provveditore regionale, Salvatore Acerra, offerte di locazione a titolo gratuito di diversi immobili siti nella città di Catanzaro, tra cui i locali dell'ex consorzio universitario in via San Brunone di Colonia, per la cui ristrutturazione il Comune dichiara di mettere a disposizione la somma di 300 mila euro derivante da un contenzioso che vede l'amministrazione penitenziaria debitrice nei confronti dell'amministrazione comunale (che intende pertanto rimettere il debito nel caso specifico che il provveditorato conservi la sede nella città di Catanzaro);
   il sindaco ricorda al provveditore regionale, anche per iscritto che il 30 novembre 2011, il dipartimento di giustizia minorile – direzione generale risorse materiali, beni e servizi – ufficio II – gestione immobili, aveva dato il nulla osta alla dismissione dell'edificio denominato L1 all'interno dell'area demaniale dell'istituto penale minorile di Catanzaro per consentire il successivo trasferimento al provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria, tramite l'Agenzia del demanio, quale sede per i propri uffici;
   allo stesso tempo, era stata garantita anche la massima disponibilità per le fasi progettuali, considerato che l'edificio in questione era già stato oggetto di una progettazione esecutiva curata dai tecnici del provveditorato alle opere pubbliche di Catanzaro;
   solo il 22 aprile 2015, il Ministro Orlando firma il decreto di chiusura del carcere (peraltro ancora non pubblicato su Gazzetta Ufficiale della Repubblica), dal quale si evincerebbe che l'amministrazione penitenziaria regionale ha previamente acquisito il parere favorevole delle autorità cittadine, ma la smentita ufficiale delle stesse non tarda ad arrivare; infatti in un comunicato stampa, il procuratore della Repubblica ed il presidente del tribunale di Lamezia Terme, Domenico Prestinenzi e Bruno Brattoli, comunicano che non c’è stata alcuna condivisione del provvedimento di chiusura del carcere di Lamezia Terme con amministrazione penitenziaria;
   il provveditore regionale della Calabria, dottor Salvatore Acerra, ha reso pubblica l'intenzione di riconvertire la struttura detentiva dell'ex carcere di Lamezia Terme per adibirla a sede del provveditorato regionale, attualmente ubicato nel centro del capoluogo regionale presso immobile non di proprietà dell'amministrazione;
   un'amministrazione trasparente e votata ai principi dell'efficienza e dell'efficacia, prima di consentire che gli uffici del provveditorato regionale vengano trasferiti in altra città rispetto a quella prevista e disposta dalla, legge, e peraltro in un'ex carcere del 1400, a giudizio dell'interrogante dovrebbe motivare adeguatamente il diniego alle offerte di comodato gratuito del sindaco di Catanzaro;
   allo stesso modo dovrebbe motivare adeguatamente il diniego di trasferire gli uffici del provveditorato presso il complesso ove sono attualmente ubicati il centro di giustizia minorile ed il tribunale per i minorenni, a Catanzaro, ove insiste un'intera palazzina vuota;
   ancora dovrebbe motivare adeguatamente il diniego di trasferire gli uffici del provveditorato presso lo stesso carcere di Catanzaro-Siano, ove già è ubicata la C.O.R., centrale operativa regionale, strutturalmente e funzionalmente dipendente dal provveditorato (sin dalla sua istituzione), e ove saranno presto resi disponibili interi piani dei locali della palazzina dinanzi alla direzione;
   il sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, di concerto con il sindaco della città di Catanzaro, Sergio Abramo, nell'individuare una soluzione che non penalizzi entrambe le città, si è attivato proponendo il mantenimento della struttura penitenziaria ipotizzando una conversione in «istituto penitenziario femminile», pertanto senza aggravio di spese di manutenzione straordinaria, mantenendo in entrambe le città i due già esistenti presidi –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare in merito a quanto sopra esposto;
   quali siano le ragioni per cui l'amministrazione penitenziaria non abbia considerato il trasferimento del provveditorato regionale presso un immobile nella città di Catanzaro a titolo gratuito, così consentendo sia il rispetto della legge, sia un enorme risparmio per le casse dello Stato, sia il mantenimento della struttura carceraria di Lamezia Terme, secondo i principi di risparmio, efficienza, e tutela dei lavoratori, anche considerato che tutti gli uffici con cui il provveditorato quotidianamente ha rapporti diretti sono ubicati nel capoluogo di regione, Catanzaro. (4-12652)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   a partire dal 2006, anno di entrata a regime dell'obbligo di fideiussione a garanzia degli anticipi dati alle imprese da parte degli acquirenti, le famiglie coinvolte nei 10 mila fallimenti nel settore dell'edilizia residenziale sono 100 mila; il danno accusato ammonta a oltre 2,5 miliardi di euro;
   per citare solo gli ultimi casi: la liquidazione coatta amministrativa dal 2 di novembre 2015 della C.A.S.E.R., Cooperativa di abitazione e servizi Emilia Romagna con 250 famiglie coinvolte; la crisi del Consorzio Cooperative Edilizie Nettunesi che riguarda otto cooperative e 200 famiglie; la liquidazione coatta del Consorzio Casa Castelli, sempre nel Lazio con altre 200 famiglie interessate; la mala gestione della lottizzazione «Borgo di Magrignano», a Livorno, i nuclei familiari coinvolti sono qui 450. Tutti gli acquirenti citati vedranno con ogni probabilità sfumare la casa, e i risparmi spesi per acquistarla;
   se quello menzionato è il danno provocato alle famiglie, ben più consistente è quello provocato al sistema Paese; al credito, ai subappaltatori, ai dipendenti e agli enti locali. Danno stimabile in oltre 10 miliardi di euro;
   tutto questo avviene, a quanto risulta agli interpellanti, grazie alla disapplicazione della normativa: il 70 per cento delle nuove costruzioni viene venduto, infatti senza garanzia fideiussoria. La mancanza di un adeguato impianto sanzionatorio favorisce l'elusione della legge e il pesante coinvolgimento nelle crisi aziendali, come detto, di migliaia di famiglie; in generale, le imprese e il settore nel suo complesso subiscono il pesante contraccolpo provocato dalla presenza di migliaia di imprese inaffidabili, di cui il sistema creditizio non si fida a causa della loro fragilità imprenditoriale. Esse gravano sul mercato, lo condizionano e in definitiva impediscono la ristrutturazione del compatto e la sua fuoriuscita dalla crisi attraverso iniziative di qualità, costruttiva e finanziaria;
   il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, recante «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210», ponendo la necessità per il costruttore di essere considerato «garantibile», stimola il miglioramento della qualità imprenditoriale, diminuendo così il rischio di default. Inoltre, l'obbligo di fornire l'assicurazione decennale postuma, con i conseguenti controlli pretesi dalle assicurazioni, costringe a elevare la qualità dell'immobile, e a rispettare le norme costruttive;
   a fallire, quindi, è il caso di ribadirlo, sono proprio le imprese che non applicano il decreto legislativo n. 122 del 2005: quelle che lo fanno, invece, reggono meglio l'urto della crisi, continuano a fare utili e garantiscono la partecipazione del settore al mantenimento del prodotto interno lordo;
   è urgente che il legislatore modifichi la normativa e introduca meccanismi sanzionatori efficaci e coerenti con gli obiettivi della legge. Al riguardo, in sede di esame al Senato del disegno di legge di conversione del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per EXPO 2015 è stato accolto l'ordine del giorno G10.0.200 che impegna il Governo a predisporre entro sei mesi un adeguato impianto sanzionatorio a carico del costruttore, in caso di mancata attuazione degli adempimenti obbligatori relativi al rilascio al promissario acquirente della garanzia fideiussoria, dell'assicurazione contro vizi e difetti della costruzione –:
   quali siano state e quali saranno le iniziative del Governo per risolvere questo annosa problema, in un momento, peraltro, in cui la necessità della tutela del risparmio si è fatta urgente, viste le crisi di CariFerrara, Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti.
(2-01320) «Cimbro, Amato, Carra, Ciracì, Crivellari, De Menech, Fusilli, Gasparini, Iacono, Andrea Maestri, Magorno, Miotto, Palma, Petrini, Picchi, Preziosi, Romanini, Zoggia, Carloni, Manfredi, Schirò, Terrosi, La Marca, Chaouki, Castricone, Carella, Colaninno, Laforgia, Stumpo, Dallai, Arlotti, Cenni».

Interrogazione a risposta orale:


   BALDELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 208 del codice della strada prevede che solo il 50 per cento delle somme che i comuni incassino con le multe da infrazioni al codice stesso, comminate dalla polizia municipale, debba essere obbligatoriamente utilizzato per finalità connesse alla sicurezza stradale, alla manutenzione delle strade, al potenziamento dei servizi di controllo finalizzati alla sicurezza urbana e alla sicurezza stradale attraverso l'acquisto di automezzi, mezzi e attrezzature, mentre il restante 50 per cento possa essere liberamente destinato ad altre finalità;
   la situazione della manutenzione stradale in molti comuni è drammatica e la grande presenza di crepe, buche, avvallamenti e altre forme di dissesto del manto stradale è spesso causa di una notevole quantità di sinistri e, di conseguenza, di un contenzioso giudiziario ed assicurativo importante –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per introdurre, come già si è impegnato a fare nel dispositivo della mozione n. 1-01085 approvata il 28 gennaio 2016 dalla Camera e relativa ai proventi delle multe derivanti dai cosiddetti autovelox, sanzioni efficaci per i comuni che non applichino quanto disposto, dall'articolo 208 del codice della strada, e che, dunque, non destinino la quota obbligatoria del 50 per cento dei proventi da sanzioni amministrative comminate per violazioni al codice della strada ai fini previsti dalla legge in relazione alla sicurezza e alla manutenzione stradale.
(3-02139)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con relazione recante protocollo n. 0047273 SEGRMIN del 22 dicembre 2015, firmata dal dottor ingegner Roberto Focherini, in qualità di presidente della commissione ministeriale di investigazione, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti veniva informato dei gravi eventi inerenti e successivi all'incidente ferroviario di Bressanone del 6 giugno 2012, già oggetto dell'interrogazione a risposta immediata in Commissione C5-03444, presentata dalla prima firmataria del presente atto;
   tale relazione finale contiene una serie di raccomandazioni di sicurezza che, per quanto di conoscenza, non risultano essere state ancora ufficialmente inviate ai destinatari, nonché ai competenti organismi dell'Unione europea;
   il compito di valutare le suddette raccomandazioni di sicurezza è di stretta competenza dei destinatari delle stesse, senza che sia previsto l'intervento di qualsivoglia altro intermediario nella loro valutazione;
   attualmente sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti risulta pubblicata, a partire dal 18 luglio 2014, una relazione alterata perché oscurata di alcune delle sue parti più significative, tra cui quella relativa alle raccomandazioni di sicurezza, relazione che risulta non firmata e la cui pubblicazione non è stata autorizzata da parte della Commissione d'indagine sull'incidente ferroviario di Bressanone;
   come noto l'ufficio investigazioni ferroviarie e marittime del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è per legge indipendente dalle gerarchie ministeriali essendo posto – proprio per garantirne l'indipendenza – sotto la diretta responsabilità del Ministro;
   ai sensi dell'articolo 25 della Direttiva 2004/49/CE, gli Stati membri e le rispettive autorità preposte alla sicurezza sono tenuti ad adottare le misure necessarie per garantire che si tenga debitamente conto delle raccomandazioni in materia di sicurezza emanate dagli organismi investigativi e che, qualora opportuno, esse si traducano in misure concrete –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno disporre l'immediato inoltro delle raccomandazioni oggetto della relazione finale di cui in premessa ai destinatari delle stesse, come previsto dalle direttive europee in materia;
   se e quali iniziative il Ministro intenda attivare per dotare la direzione generale per le investigazioni ferroviarie e marittime (DIGIFEMA) delle necessarie risorse umane ed economiche indispensabili per lo svolgimento delle sue attività istituzionali. (5-08237)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 174, comma 1, del codice della strada, stabilisce che la durata della guida degli autoveicoli adibiti al trasporto di persone o di cose e i relativi controlli sono disciplinati dalle norme previste dal regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, in materia di tempi di guida dei suddetti autoveicoli di massa superiore alle 3,5 tonnellate;
   in base al citato regolamento, dopo un periodo di guida di quattro ore e mezza, i conducenti osservano un'interruzione di almeno 45 minuti consecutivi, a meno che non inizi un periodo di riposo. Questa interruzione può essere sostituita da un'interruzione di almeno 15 minuti, seguita da un'interruzione di almeno 30 minuti: le due interruzioni sono intercalate nel periodo di guida in modo da assicurare l'osservanza delle disposizioni di cui al primo comma;
   tale regolamento identifica, all'articolo 3, lettera a), come esente dall'applicazione della suddetta normativa il trasporto stradale effettuato a mezzo di veicoli adibiti al trasporto di passeggeri in servizio regolare di linea, il cui percorso non supera i 50 chilometri;
   inoltre, la legge 14 febbraio 1958, n. 138, recante la disciplina in materia di orario di lavoro del personale degli automezzi pubblici di linea extra urbani adibiti al trasporto viaggiatori, prevede come campo di applicazione il solo trasporto extra-urbano, specificando all'articolo 5, comma 4, che «le norme di cui ai commi precedenti della suddetta legge non si applicano al personale di guida dei servizi a breve percorso ed a frequenti corse, quando le soste ai capolinea siano di durato superiore ai 15 minuti primi»;
   dal combinato disposto delle leggi nazionali e dalla normativa comunitaria di riferimento in materia, gli autisti del trasporto pubblico locale il cui percorso è inferiore ai 50 chilometri risulterebbero d'altra parte esclusi dall'applicazione della direttiva 2002/15/CE concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto –:
   se il Governo possa chiarire quale sia la normativa di riferimento da applicarsi al servizio pubblico di linea e al trasporto urbano, con particolare riguardo alla disciplina dei tempi di guida e di riposo del personale addetto alla guida dei veicoli di massa superiore alle 3,5 tonnellate, evidenziando se nel trasporto urbano, in caso di corse brevi e ripetute, i quindici minuti di pausa siano da considerarsi tassativi siano sufficienti 5 minuti;
   se il Governo possa chiarire quale sia la disciplina normativa da applicarsi con riferimento alla pausa di 5 minuti prevista fra arrivo e partenza di due linee diverse, anche ove esse siano singolarmente inferiori ai 50 chilometri;
   se il Governo possa chiarire se, al fine dell'applicazione ai servizi extraurbani delle disposizioni normative di cui alla legge 14 febbraio 1958, n. 138, in materia di orario di lavoro del personale degli automezzi pubblici di linea extra urbani adibiti a trasporto viaggiatori, l'eventuale pausa di 5 minuti primi sia congrua al fine di considerare due tratte, dello stesso percorso, come linee differenti ed inferiori ai 50 chilometri o se tale pausa debba essere necessariamente superiore ai 15 minuti. (5-08240)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta in commissione n. 5-07267, rimasta senza risposta da parte del Governo, nonostante siano ampiamente scaduti i termini di replica previsti dal regolamento della Camera la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo chiedeva al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di far luce sulla vicenda relativa alle immatricolazioni dei veicoli targati CRI, al rilascio delle relative patenti, e alla conduzione degli stessi veicoli, a seguito del processo di privatizzazione dell'ente pubblico Croce rossa italiana (CRI), deciso con il decreto legislativo n. 178 del 2012;
   rimangono a tutt'oggi irrisolte le questioni critiche relative alle targhe e alle patenti ministeriali, evidenziate nella citata interrogazione. In particolare, si rileva come l'Ente strumentale della Croce rossa italiana (ESACRI), una sorta di ente liquidatorio in cui si è trasformato ciò che rimane della parte pubblica di CRI, è diventato, dal 2016, l'organo competente al rilascio delle patenti all'associazione privata che utilizza mezzi CRI, che li cede in comodato d'uso alle singole associazioni di promozione sociale (APS);
   di recente, il direttore della Sapo – la società incaricata della gestione della linea urbana dei bus nella città di Voghera – ha depositato un esposto alla polizia stradale per denunciare come un mezzo targato Cri, svolga attualmente attività di noleggio, in contrasto con la finalità di servizio sociale propria della Croce rossa e senza che il mezzo risulti peraltro iscritto ad alcun registro nazionale;
   secondo quanto riportato da notizie di stampa, sembra che tale pullman, con una capienza di cinquanta posti e che riporta sul fianco il logo della Croce rossa italiana, venga utilizzato da alcuni istituti e scuole – come la scuola materna Cairoli, l'istituto tecnico Gallini, la Pro Loco di Pieve del Cairo e il Cral dell'ospedale di Voghera – per effettuare gite scolastiche ed altre attività a fini di lucro che esulano dalla finalità sociale della CRI –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di assumere iniziative per escludere la possibilità per i Comitati locali e provinciali della Croce rossa italiana, una volta acquistato o ricevuto in donazione un mezzo, di utilizzarlo a fini di lucro, cosa che, secondo gli interroganti è in contrasto con le norme in materia di sicurezza e circolazione stradale. (5-08246)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dalla nota n. 10490/14 R.G.N.R., n. 3568/15 Reg. G.I.P. del tribunale di Taranto datata 17 marzo 2016, a firma del giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco si apprende che in data 5 febbraio 2016 in via d'urgenza veniva disposto il sequestro dell'impianto di depurazione delle acque reflue civili gestito da AqP (Acquedotto Pugliese spa) e posto a servizio dell'agglomerato di Martina Franca (TA), in località «Cupa», nonché dello scarico attualmente asservito al predetto impianto, situato in località «Pastore», nel fondo di una proprietà privata. Il sequestro è stato poi eseguito, lasciando la facoltà d'uso, in data 9 febbraio 2016 e la custodia giudiziaria all'Aip (Autorità idrica pugliese) del depuratore e alla regione Puglia dello scarico al servizio del depuratore che tuttora è privo di regolare autorizzazione;
   contestualmente, in data 12 febbraio 2016 si eseguiva il sequestro anche della strada statale n. 172 nel tratto Martina Franca-Locorotondo tra il chilometro 45+300 e il chilometro 45+500, con interdizione assoluta al transito di uomini e mezzi ad eccezione dei frontisti, confermando la nomina dell'ente proprietario della strada, Anas s.p.a. in persona del dirigente pro tempore del compartimento di Bari territorialmente competente, quale amministratore e custode giudiziario del bene in sequestro per cui il tratto di strada in questione è a rischio crollo e quindi non è più transitabile dai cittadini che dalla provincia di Taranto si spostano verso le province di Bari e Brindisi – e viceversa – attraverso la Valle D'Itria;
   in data 6 marzo 2016 l'Anas ha presentato l'istanza di «progetto esecutivo di una paratia di micropali da realizzarsi con urgenza dal chilometro 45+358 al chilometro 45+408 a salvaguardia del corpo forestale in corrispondenza del muro di sostegno in pietra, danneggiatosi a seguito del ripetuto sversamento di liquami provenienti dal limitrofo scarico dell'impianto di depurazione posto a servizio del Comune di Martina Franca», essendo «la finalità della paratia progettata da Anas (...) quella di sostenere il corpo stradale, estromettendo da tale funzione il tratto di muro che presenta danneggiamenti e rigonfiamenti», al fine di ottenere l'autorizzazione per effettuare i lavori nel tratto di strada sequestrato;
   tuttavia il pubblico ministero procedente ha respinto la suddetta istanza con nota datata 16 marzo 2016, confermata dalla nota in oggetto del 17 marzo 2016 del giudice per le indagini preliminari Todisco del tribunale di Taranto, in quanto, a seguito di opportuna perizia svolta da tecnici per conto del tribunale, con la realizzazione della stessa, non verrebbe risolta la causa che ha generato il dissesto stradale, invero lo scarico privo di autorizzazione a servizio del depuratore che nel corso del tempo, avrebbe ormai compromesso la stabilità idrogeologica del sito ed inoltre con l'intervento proposto da Anas si metterebbe a rischio l'incolumità dei tecnici e dei lavoratori impiegati;
   in questi anni Anas spa, per fronteggiare analoghi fenomeni di crollo del muro di sostegno e di cedimento del rilevato stradale in oggetto, ha apportato ripetuti interventi che tuttavia, a quanto consta all'interrogante, si sono rivelati inutili dal momento che non hanno evitato il riproporsi – a distanza di breve tempo – delle medesime problematiche di instabilità che hanno poi indotto all'apposizione dei sigilli in quanto vi è un continuo sversamento di liquami che tutt'oggi risultano presenti così come la melma, anche essa attualmente presente, e sempre in fase di accumulo progressivo e quindi negli ultimi giorni la situazione si è aggravata in maniera considerevole;
   il giudice per le indagini preliminari nel respingere l'istanza presentata da Anas ritiene che: «gli incombenti e gravi pericoli per la pubblica incolumità, cagionati dal gravissimo dissesto idrogeologico dell'area interessata dal sequestro, non risultano per nulla scongiurati dalla paratia di micropali che l'institore di Anas spa, ente proprietario della strada statale 172, chiede di essere autorizzato realizzare e che certamente non possono essere apprezzati, per quanto sopra evidenziato, quali efficaci e risolutivi interventi di ripristino di condizioni del tratto strada tali da garantire il superamento definitivo (e non meramente temporaneo e/o parziale) dei notevolissimi pericoli per l'incolumità degli utenti della strada: interventi che – si ribadisce – non possono prescindere da (e, anzi, sono strettamente connessi a) una adeguata, complessiva, urgente e definitiva risoluzione della situazione – a monte delle condizioni in cui versa il tratto stradale in sequestro – di gravissimo dissesto idrogeologico (oltre che di inquinamento), imputabile a condotte di reato permanenti, omissive ed attive, che hanno riguardo all'impianto di depurazione di acque reflue civili, posto a servizio dell'agglomerato di Martina Franca e dello scarico-inghiottitoio ad esso asservito, oltre che alla omissione di interventi di prevenzione e messa in sicurezza del tratto stradale in sequestro»;
   condividendo in toto il parere del giudice per le indagini preliminari Todisco, a detta dell'interrogante, la situazione è divenuta insostenibile non solo perché la circolazione è di fatto interrotta su una strada statale importantissima che unisce tre province nel cuore della regione Puglia, ma anche perché l'evidente danno ambientale e il dissesto idrogeologico causati dalla cattiva gestione dei reflui, con sversamento nel sottosuolo contrasterebbe con le principali norme di tutela ambientale e di sicurezza per l'incolumità pubblica, nonché con l'articolo 103 del codice dell'ambiente inerente il divieto dello scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo e con l'andar del tempo potrebbe compromettere un'area all'interno della magnifica Valle D'Itria, che è fonte d'attrattività turistica di notevole spessore soprattutto nel periodo estivo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative urgenti intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di risolvere definitivamente le problematiche citate e pervenire all'adeguamento stradale definitivo al fine di permettere un sicuro transito della circolazione stradale sulla strada statale 172 prima della imminente stagione estiva;
   se Anas abbia mai comunicato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le problematiche dovute al tratto di strada in questione e le cause che hanno prodotto le stesse;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si a conoscenza dello scarico nel suolo e nel sottosuolo dei reflui provenienti dal depuratore in questione, tra l'altro privo di autorizzazione, e delle problematiche ambientali dovute allo scarico, nonché del dissesto idrogeologico che si è verificato nell'area, anche alla luce delle diverse procedure di infrazione aperte dall'Unione europea nei confronti dell'Italia. (5-08253)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   le ville ai civici nn. 70 e 72 di via Kenia a Roma sono stato sequestrate dal Tribunale di Roma, sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione, per la sicurezza e la pubblica moralità. Il tribunale, con decreto del 17 settembre 2014, ha invitato l'amministrazione capitolina ad esprimere parere circa la «destinazione a finì istituzionali o sociali degli immobili», al fine di poterli assegnare a Roma Capitale in comodato d'uso gratuito. Si ignora, quindi, se tali immobili siano stati sottratti a presunti mafiosi o alla criminalità organizzata o se siano coinvolti in altre ipotesi di reato che consentano l'immediata requisizione e utilizzo degli immobili da parte dello Stato, senza dovere attendere l'esito finale del procedimento e l'eventuale confisca penale definitiva;
   la giunta capitolina, con deliberazione n. 145 nella seduta dell'8 maggio 2015, presieduta dal sindaco pro tempore Ignazio Marino, ha manifestato interesse all'assegnazione dei suddetti immobili in comodato d'uso gratuito, «ai fini della destinazione sociale degli stessi». La delibera non decide a quale utilizzo gli immobili sarebbero stati destinati, anche se nelle premesse è indicata la possibilità di adibire una della ville a «casa famiglia protetta», intitolata a Leda Colombini («Casa di Leda» per l'appunto), per genitori detenuti con figli piccoli, che possono beneficiare degli arresti domiciliati. Con provvedimento del 12 maggio 2015 il magistrato assegna i due immobili al comune di Roma;
   in data 27 ottobre 2015 è stato siglato un «Protocollo d'Intesa» tra comune di Roma, Fondazione Poste Insieme Onlus e Ministero della giustizia-dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, con il quale è stata concordata l'attivazione di un progetto sperimentale di convivenza protetta con figli, agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare, ai sensi dell'articolo 4 della legge 21 aprile 2011, n. 62, presso l'immobile di via Kenya 72;
   il dipartimento al patrimonio del comune, con determinazione dirigenziale n. 416 del 2015, ha disposto l'assegnazione di tali immobili al dipartimento politiche sociali, sussidiarietà e salute con l'utilizzo di tali beni per questi fini:
    l'immobile di via Algeria 11, angolo via Kenia 70 con «destinazione d'uso per la realizzazione di un'attività di accogli a in favore di madri detenute con figli»;
    l'immobile di via Kenia 72 «con destinazione di uso per una comunità di accoglienza in favore di minori, sottoposti a provvedimenti della magistratura sia nell'ambito civile che penale della giustizia»;
   il protocollo d'intesa prevede vari adempimenti necessari per la sua attuazione, quali fra l'altro:
    la definizione del piano di zona per il comune di Roma ex articolo 19 della legge n. 328 del 2000, che deve indicare le modalità per il migliore sviluppo dei servizi nella zona, comprese «le modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici con le amministrazioni statali, con particolare riferimento all'amministrazione penitenziaria e della giustizia»;
    la determinazione di un progetto sperimentale, con le caratteristiche indicate all'articolo 1 del protocollo, sulla cui ideazione nulla si conosce;
    il coinvolgimento del municipio IX;
   il comune sta portando ad esito il progetto con determinazione dirigenziale n. 433 del 4 febbraio 2016 ha invitato i soggetti interessati a presentare la candidatura «per l'assegnazione in comodato d'uso dei locali presso l'immobile di via Algeria 11 angolo via Kenia 70» «per la realizzazione di una convivenza di adulti con figli ai sensi dell'articolo 4 legge 62/2011»;
   la stessa determinazione dirigenziale n. 433 del 2016, afferma, senza alcuna ulteriore spiegazione, che «la tipologia di accoglienza si configura come una convivenza di alti responsabili (con figli) e non comporta l'esigenza di allestimento di un servizio di comunità inteso ai sensi della legge regione Lazio n. 41/2003», in questo modo innovando e modificando tutte le previsioni dei precedenti atti di rango superiore o addirittura provenienti da autorità esterne al comune, o concordati tra il comune e le medesime;
   la medesima determinazione dirigenziale, subito dopo e a giudizio degli interpellanti in modo palesemente contraddittorio, aggiunge che si tratta di un « target» delicato («persone detenute con figli») che richiede un supporto di «un organismo idoneo», ancora da individuare;
   in nessun modo è specificato il costo del progetto, limitandosi gli atti a prevedere che le utenze saranno a carico del comune, che la Onlus Poste Insieme stanzierà per il 2016 euro 150.000,00 (per sei detenuti, euro 25.000,00 annui per detenuto) e che il dipartimento di amministrazione penitenziaria provvederà tramite detenuti ammessi al lavoro esterno alla pulizia e piccola manutenzione di casa e giardino (ovviamente con il costo della traduzione e altro). In questo modo, a giudizio degli interpellanti, sono anche aggirate le leggi di bilancio che prescrivono espressa indicazione della copertura di ogni nuova spesa;
   ad oggi non risulta reperibile la documentazione specifica relativa al bando di assegnazione e alle delibere del comune;
   la villa sarebbe stata munita di un'utenza di 40kwt;
   va infine segnalato che il protocollo d'intesa indica che alle «madri detenute» è destinata la villa di via Kenia n. 72, mentre la determinazione dirigenziale del Dipartimento al patrimonio vi destina il civico n. 70. Trattasi di 2 edifici differenti. Negli atti ufficiali è ripetuta questa confusione tra civico 70 e 72 per la destinazione a favore delle madri detenute; l'errore non è solo forniate, ove si consideri che l'immobile destinato alle madri detenute deve avere determinati requisiti e attestati, ed è da vedere se siano stati rilasciati a favore dell'uno, ovvero dell'altro immobile –:
   se i Ministri interpellati, fatta salva la bontà del progetto, siano conoscenza delle diverse inadempienze riscontrate dal punto di vista procedurale nonché rispetto alla sicurezza del quartiere e dei cittadini e alla trasparenza sui costi;
   di quali informazioni, per quanto di competenza, i Ministri interpellati dispongano in relazione al rispetto dei punti stabiliti dal protocollo d'intesa citato in premessa, in particolare se siano stati compiuti tutti gli adempimenti previsti per il coinvolgimento del municipio IX che, ad oggi, risulta per nulla coinvolto;
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza del fatto che nessun piano di zona risulta studiato e adottato dal comune ex articolo 19 con riguardo al quartiere dove si vuole istituire la casa protetta, né il comune risulta avere previsto, né tanto meno attivato, le altre iniziative indicate nel protocollo d'intesa, che deve ritenersi ne costituiscano parte integrante e non prescindibile, quali, esemplificando, il «sostegno alla costituzione di una rete di risorse che accolgano i soggetti ammessi alla struttura alternativa della detenzione domiciliare» ovvero agli arresti domiciliari;
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza degli errori contenuti nel protocollo d'intesa in relazione al civico 72, che fa parte della categoria A10, con destinazione d'uso d'ufficio;
   di quali elementi dispongano i Ministri interpellati in relazione all'idoneità urbanistica e funzionale delle strutture, sia con riguardo all'idoneità e alla autorizzazione all'uso previsto, sia con riguardo alla loro collocazione nel territorio;
   come sia stato accertato se le due ville – site in un compendio urbanistico residenziale isolato – abbiano le caratteristiche idonee alla socializzazioni delle persone che si vogliono ospitare, considerate le particolarità degli utenti e peraltro la natura del tutto sperimentale dei progetti;
   se i Ministri interpellati siano a conosce del fatto che non c’è stata la minima trasparenza nei confronti dei cittadini del quartiere residenziale in questione che hanno appreso della notizia solo in prossimità della sua realizzazione;
   se i Ministri interpellati possano accertare che la comunicazione del nuovo utilizzo delle ville sia giunta in maniera ufficiale anche alle forze dell'ordine, che, secondo quanto comunicato dai cittadini, erano all'oscuro di tutto.
(2-01325) «Brunetta, Angelucci, Archi, Baldelli, Bergamini, Biancofiore, Brambilla, Calabria, Carfagna, Centemero, Gregorio Fontana, Garnero Santanchè, Gelmini, Genovese, Alberto Giorgetti, Laffranco, Lainati, Martinelli, Antonio Martino, Occhiuto, Palmieri, Palmizio, Polverini, Prestigiacomo, Ravetto, Santelli, Sisto, Squeri, Valentini, Vito».

Interrogazione a risposta orale:


   NACCARATO e D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi in Veneto e nella vicina provincia di Pordenone ci sono stati numerosi incendi ai danni di aziende che operano nel settore della raccolta, dello smaltimento e del trattamento dei rifiuti;
   il 18 febbraio 2014 a San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso, un incendio è divampato in un capannone della Bigaran servizi ambientali, azienda che si occupa di trattamento e recupero di rifiuti;
   soltanto otto giorni più tardi, il 26 febbraio, un altro incendio ha distrutto cinque camion della stessa azienda in circostanze ancora oggetto di accertamenti;
   il 16 dicembre 2014 ad Aviano (Pordenone) un incendio ha colpito un capannone dell'impianto di trattamento rifiuti della Snua, azienda che si occupa di servizi di igiene ambientale;
   l'11 marzo 2015 a Bussolengo, in provincia di Verona, è scoppiato un incendio all'interno dello stabilimento industriale dell'azienda Sogetec, che si occupa di gestione e smaltimento di rifiuti industriali;
   il 21 marzo a Sant'Angelo di Piove di Sacco in provincia di Padova, un incendio ha colpito un magazzino della Intercommercio di Coccarielli Guerrino & C, azienda che si occupa di riciclo di rifiuti;
   il 26 maggio a San Pietro di Legnago (Verona) è scoppiato un incendio all'interno dell'impresa Ecologica Tredi che si occupa di rifiuti speciali;
   il 4 giugno a Este, in provincia di Padova, un incendio ha colpito un nastro trasportatore all'interno dell'impianto di compostaggio della Sesa, che si occupa della raccolta, trattamento e smaltimento rifiuti;
   l'11 giugno a Ponte di Piave (Treviso) un incendio ha parzialmente danneggiato un deposito di materie plastiche;
   il 4 luglio a Zevio (Verona) un incendio è scoppiato in un capannone contenete rifiuti industriali presso l'azienda Transeco, controllata da Amia e Agsm, che si occupa di trattamento di rifiuti;
   l'11 luglio un incendio ha colpito i mezzi parcheggiati all'interno della Mangimi Veronesi a Ospedaletto Euganeo (Padova);
   il 1o agosto ad Aviano, in provincia di Pordenone, un nuovo incendio ha colpito un capannone della Snua, che, come ricordato, si occupa di raccolta e smaltimento rifiuti;
   il 25 settembre a Villa Bartolomea, in provincia di Verona, è scoppiato un incendio all'interno dello stabilimento della Fertitalia srl, azienda di compostaggio rifiuti;
   il 26 settembre a Castelfranco (Treviso) un incendio ha colpito un capannone della Ceccato Recycling, che si occupa di recupero e riciclaggio di rifiuti;
   il 3 ottobre a Bovolone, in provincia di Verona, un incendio ha colpito l'area esterna della Alf, azienda specializzata nello stoccaggio di materiale di scarto delle acciaierie;
   il 5 ottobre a San Pietro di Legnago (Verona), dopo soli 5 mesi dall'episodio precedente, un incendio ha colpito nuovamente la sede della Ecologica Tredi, che si occupa di rifiuti speciali;
   il 27 ottobre a Villorba (Treviso) un incendio è scoppiato all'interno della DLF group, ex De Longhi giocattoli;
   come si evince dall'elenco precedente questi numerosi eventi hanno coinvolto in prevalenza aziende attive nei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento di rifiuti;
   secondo le analisi della direzione nazionale antimafia il settore dei rifiuti è al centro degli interessi economici delle organizzazioni criminali;
   secondo l'interrogante gli incendi devono essere valutati con particolare attenzione dall'autorità giudiziaria e di pubblica sicurezza perché possono essere gli indicatori di azioni di intimidazione e di condizionamento da parte di gruppi criminali;
   l'interrogante esprime forte preoccupazione per gli episodi sopra elencati e per il rischio che siano sottovalutati –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per accertare le cause e la matrice degli episodi citati. (3-02138)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si riteneva che l'ombra del terrorismo di matrice islamica potesse esistere solo nelle realtà più grandi e nelle quali si ravviene generalmente una predisposizione al crimine molto più elevata rispetto a quella del territorio molisano, che, tuttavia, si è recentemente dimostrato essere non immune da infiltrazioni malavitose e terroristiche;
   nei primi giorni di marzo 2016 è stato arrestato un giovane di origine somala che, inneggiando alla Jihad, era pronto per partire alla volta della capitale per mettere in atto quello che andava farneticando da mesi e verosimilmente un attentato alla stazione Termini;
   solo grazie ad un'azione di intelligence, condotta dagli uomini della polizia di Stato della questura di Campobasso, che negli ultimi mesi aveva controllato costantemente le azioni di tale soggetto, si è riusciti fortunatamente a fermarlo, assicurandolo alla giustizia e scongiurando una sicura strage;
   il sindacato di polizia ha più volte denunciato le carenze di organico in essere presso la questura di Campobasso e negli uffici dislocati nella provincia, nonché la grave carenza di mezzi e attrezzature info-investigative, e le conseguenti ripercussioni su tutte le operazioni di polizia;
   gli organici previsti dai decreti risalenti al 1989, infatti, ad oggi sono palesemente insufficienti e creano difficoltà operative sia nel capoluogo molisano che in tutti gli uffici ad esso collegati, e questo a maggior ragione se si considerano le imminenti e già programmate uscite per pensionamenti, che rischiano di determinare il collasso del sistema;
   anche gli automezzi in dotazione hanno ormai raggiunto una usura tale da non consentirne più l'utilizzo in totale sicurezza;
   ormai è certo che il Molise non è, o più probabilmente non lo è mai stato, quell'oasi felice che si riteneva potesse essere, escluso addirittura dall'assegnazione di uomini e mezzi; bisogna, invece, provvedere in primo luogo a un aumento degli organici e al contestuale svecchiamento, dotando la questura di Campobasso e gli uffici che ad essa fanno capo dei mezzi e delle attrezzature necessarie –:
   quali iniziative urgenti, anche alla luce dei più recenti fatti di cronaca, il Ministro intenda assumere per aumentare l'organico degli agenti di polizia nelle strutture di cui in premessa, assicurando agli stessi, in coerenza e in continuità con gli sforzi già attuati, mezzi e strumenti adeguati in misura sufficiente allo svolgimento dei delicati compiti di salvaguardia della sicurezza cui sono preposti. (4-12643)


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 15 marzo 2016, in un cortile situato nei pressi di piazza Santa Teresa (CS), a pochi metri dalla questura di Cosenza, è stata data alle fiamme l'automobile del professor Francesco Greco, insegnante dell'istituto tecnico commerciale di Rende;
   il professore è stato allertato dai vicini mentre sul posto erano già presenti i vigili del fuoco che hanno immediatamente spento il rogo. L'incendio ha danneggiato irrimediabilmente l'automobile e la facciata del palazzo e le due saracinesche attigue;
   secondo alcuni condomini, poco prima che le fiamme divampassero, si è udito un boato ed il rumore una motocicletta fuggire via a gran velocità;
   appare evidente, quindi, che l'episodio non sia riconducibile alla manifestazione del fenomeno dell'autocombustione, ma più plausibilmente di matrice dolosa;
   sul caso è stata sporta denuncia contro ignoti;
   il professor Francesco Greco milita tra le fila del sindacalismo e di recente pare si sia speso molto contro la riforma della «buona scuola» del Governo Renzi;
   inoltre, il professore, negli scorsi mesi, ha presentato diversi esposti in procura, richiami agli esercenti e segnalazioni alle forze dell'ordine per denunciare il disagio creato dai pub e locali presenti in zona;
   la procura di Cosenza sta indagando in più direzioni per ricostruire l'esatta dinamica e trovare il movente dell'atto di natura dolosa –:
   se, alla luce di quanto esposto e visto che l'incendio si è verificato nei pressi della questura di Cosenza, il Ministero interrogato sia in possesso di informazioni più precise sulla dinamica dell'accaduto e sulla natura e sulla matrice dell'episodio;
   se il Ministro interrogato intenda adottare al più presto tutte le iniziative di competenza per contribuire a far luce sulla questione. (4-12653)


   NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la direzione centrale per gli istituti d'istruzione del Ministero dell'interno, con nota n. 500.B/AGC.3F/10580 del 10 luglio 2000 avente oggetto «uso impianti sportivi», stabiliva che gli impianti sportivi potevano essere dati in uso solo ad appartenenti alla polizia di Stato costituiti in «Associazione»;
   la direzione centrale per gli affari generali del Ministero dell'interno, con nota n. 559/C/5/H/68 del 6 ottobre 2008 avente oggetto «Impianti sportivi-convenzioni», stabiliva direttive sui criteri per l'utilizzo delle strutture sportive con la previsione, nello specifico, dei seguenti adempimenti:
    a) garanzie ed affidabilità della società e delle figure sociali;
    b) regolamento per la fruizione della struttura per i soggetti esterni all'amministrazione;
    c) trasferimento a carico dell'associazione sportiva concessionaria dei costi relativi alle utenze, dei canoni e dell'eventuale ammortamento delle strutture;
    d) stipula di assicurazione contro rischi infortuni;
    e) corresponsione, ove dovuto, di un canone demaniale con sottoscrizione di apposito contratto con la locale Agenzia del Demanio; canone agevolato per le associazioni dilettantistiche o iscritte al CONI;
   la palestra della caserma della polizia di Stato «Pietro Lungaro» di Palermo è stata concessa in uso dal 6 luglio 2001 all'Associazione «Polisportiva Operatori di Polizia», e ad essa è rimasta in uso sino al 24 settembre 2015, quando la direzione del reparto mobile di Palermo ha rilevato alcune inadempienze da parte della suddetta associazione in merito ai requisiti stabiliti dalla citata nota della direzione centrale per gli affari generali del Ministero dell'interno del 2008;
   in particolare, la direzione del reparto mobile di Palermo, agendo in autotutela, ha deciso di chiudere temporaneamente nel settembre 2015 i locali della Palestra in quanto l'Associazione non soddisfaceva i requisiti di cui ai punti c) «trasferimento a carico dell'associazione sportiva concessionaria dei costi relativi alle utenze, dei canoni e dell'eventuale ammortamento delle strutture», ed e) «corresponsione, ove dovuto, di un canone demaniale con sottoscrizione di apposito contratto con la locale Agenzia del Demanio; canone agevolato per le associazioni dilettantistiche o iscritte al CONI»;
   tuttavia si deve rilevare come solo a distanza di oltre 7 anni dalla diramazione della nota risalente all'ottobre 2008, si sia proceduto a verificare che l'Associazione non avesse i necessari requisiti: in altre parole per oltre 7 anni l'associazione non ha corrisposto utenze, canoni, canoni demaniale, causando dunque a giudizio dell'interrogante, un evidente danno alle finanze pubbliche;
   inoltre, come denunciato dal sindacato di polizia CONSAP, la «Polisportiva Operatori di Polizia» per usufruire della palestra richiedeva il pagamento di un canone annuale che variava da 80 a 140 euro e che avrebbe potuto essere impiegato per coprire i costi di cui alle menzionate lettere c) ed e);
   ad oggi risulta all'interrogante che la palestra sia ancora chiusa, a distanza di circa 6 mesi, nonostante vi siano altre associazioni disponibili ad assumersi la responsabilità di utilizzare la palestra della suddetta caserma, nel rispetto di quanto previsto dalle norme;
   vi è il concreto rischio, ad avviso dell'interrogante, che la situazione finora descritta con riguardo alla palestra della caserma della polizia di Stato «Pietro Lungaro» di Palermo non sia un fatto isolato ma diffuso nel resto del Paese, con grave pregiudizio per le finanze pubbliche –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di ricondurre al rispetto delle norme e in particolare della nota n. 559/C/5/H/68 del 6 ottobre 2008 della direzione centrale per gli affari generali del Ministero dell'interno, la situazione esposta in premessa concernente la palestra della caserma della polizia di Stato «Pietro Lungaro» di Palermo, garantendo altresì la rapida riapertura della stessa;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine recuperare le somme dovute dall'associazione «Polisportiva operatori di polizia» per l'uso della suddetta palestra per il periodo intercorso tra la diramazione della richiamata nota e la chiusura in autotutela della palestra stessa;
   se e quali iniziative intenda intraprendere al fine di verificare che nel resto del Paese non vi siano situazioni analoghe a quelle descritte in premessa, anche al fine di accertare eventuali danni alle finanze pubbliche e prevenirne di futuri.
(4-12656)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROMANINI, PATRIZIA MAESTRI, PAOLO ROSSI, AMATO, ARLOTTI, CARRA, PRINA, MALPEZZI, ZANIN e AMODDIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, ha istituito i licei artistici quali articolazione del sistema dei licei, facente parte del sistema dell'istruzione secondaria superiore, indirizzati allo studio dei fenomeni estetici e alla pratica artistica;
   il comma 2 del citato articolo 4 ha articolato, a partire dal secondo biennio, il percorso dei licei artistici nei seguenti indirizzi: arti figurative, architettura e ambiente, design, audiovisivo e multimediale, grafica, scenografia;
   la mancata o incompleta definizione delle nuove classi di concorso relative ai docenti delle materie specifiche, fin dal 2010, ha indotto i licei artistici, al fine di attivare i nuovi indirizzi, a reclutare docenti ricorrendo alle classi di concorso atipiche che ogni anno il Ministero ha pubblicato nella tabella allegata alla circolare sugli organici (per l'anno in corso la nota Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 724 del 25 febbraio 2015). Di conseguenza, dal 2010 i licei artistici, in base alla normativa vigente, hanno utilizzato e formato docenti abilitati delle classi di concorso ex 7/A, ex 18/A, ex 21/A, ex 22/A, ex 63/A, ex 13/D, riuscendo grazie a loro ad attivare, in particolare, l'indirizzo audiovisivi-multimedia;
   nella definizione delle nuove classi di concorso, il decreto del Presidente della Repubblica n. 19 del 14 febbraio 2016 ha previsto le possibilità di accedere al concorso per i diversi insegnamenti ispirandosi ai criteri di separazione tra istruzione tecnica ed istruzione artistica e del rigido abbinamento tra una classe di concorso ed un solo indirizzo artistico;
   tali previsioni hanno determinato l'esclusione della ex 63/A (tecnica della ripresa cinematografica e televisiva) dall'insegnamento nell'indirizzo audiovisivi-multimedia e l'impossibilità, per le sopraccitate classi di concorso, di lavorare su più indirizzi. Pertanto, quale esempio, la ex 7/A (arte della fotografia e della grafica pubblicitaria) potrà insegnare solo «grafica», privando molti istituti proprio di quei docenti sui quali avevano investito per l'avvio dell'indirizzo audiovisivo-multimedia;
   sembra quindi opportuno consentire, per lo meno in via transitoria, ai docenti già impiegati nel medesimo insegnamento e abilitati alle classi di concorso ex 7/A (arte della fotografia e della grafica pubblicitaria), ex 18/A (discipline geometriche), ex 21/A (discipline pittoriche), ex 22/A (discipline plastiche), ex 63/A (tecnica della ripresa cinematografica e televisiva), ex 13/D (arte della tipografia e della grafica pubblicitaria) di insegnare anche «discipline audiovisive e multimediali» e «laboratorio audiovisivo-multimediale» nell'intero quinquennio del liceo artistico, autorizzando loro ad insegnare anche le materie ora riservate alla nuova classe di concorso A07 (discipline audiovisive);
   il sopraccitato decreto del Presidente della Repubblica n. 19 del 2016, nelle tabelle allegate, attribuisce inoltre alle lauree in ingegneria edile ed architettura del paesaggio (con determinati crediti formativi unitari) la facoltà di insegnare le discipline caratterizzanti l'indirizzo audiovisivi-multimedia, escludendo le classi di lauree magistrali LM 65 (scienze dello spettacolo e della produzione multimediale) e i titoli rilasciati dalle accademie di belle arti relativi a tale settore disciplinare –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopradescritta e se non ritenga di valutare la possibilità di assumere iniziative per la definizione di una norma transitoria tale da consentire ai docenti di ruolo abilitati nelle classi di concorso ex 7/A, 18/A, 21/A, 22/A, 63/A, 13/De, che abbiano acquisito specifiche competenze professionali, di insegnare anche «discipline audiovisive e multimediali» e «laboratorio audiovisivo-multimediale» nell'intero quinquennio del liceo artistico, autorizzando loro ad insegnare anche le materie ora riservate alla nuova classe di concorso A07 (discipline audiovisive);
   per quale ragione non si sia ritenuto di estendere anche alla classe di lauree magistrali LM 65 (scienze dello spettacolo e della produzione multimediale) e ai titoli rilasciati dalle accademie di belle arti relativi a tale settore disciplinare la facoltà di insegnare le discipline caratterizzanti l'indirizzo audiovisivi-multimedia, e se non si ritenga utile assumere iniziative per porvi rimedio. (5-08236)


   CHIMIENTI, BRESCIA, VACCA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, MARZANA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 16 maggio 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2013 denominato «Regolamento di organizzazione dei percorsi della sezione ad indirizzo sportivo del sistema dei licei, a norma dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, numero 89», che prevede la riorganizzazione dei percorsi delle sezioni a indirizzo sportivo dei licei;
   l'obiettivo principale del provvedimento è «quello di portare a sistema esperienze didattiche già condotte in molte scuole, avvalendosi dell'autonomia, e di implementare allo stesso tempo il ventaglio dell'offerta formativa, rafforzando il ruolo dello sport nella scuola. Per la prima volta nel nostro ordinamento viene inserito un nuovo indirizzo di studi nell'ambito del liceo scientifico»;
   rispetto alle discipline dell'ordinario liceo scientifico, oltre al potenziamento della materia «scienze motorie e sportive», sono state introdotte due nuove materie: «diritto ed economia dello sport» e «discipline sportive» che hanno sostituito «disegno e storia dell'arte» e «lingua e cultura latina»;
   con nota del 4 dicembre 2013, protocollata con il n. 0006567, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca comunica che i criteri da seguire per l'attivazione dei nuovi percorsi di studio dovranno essere non istituire sezioni ad indirizzo sportivo in numero superiore a quello delle relative province, evitare che l'attivazione di tali sezioni possa determinare esuberi di personale in una o più classi di concorso, e attivare solo una classe prima;
   mediante la circolare ministeriale numero 22 del 21 dicembre 2015 al punto 6.3 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca specifica che anche per il corrente anno scolastico 2016/2017 viene attivata una sola classe prima per ciascuna istituzione scolastica, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica del 5 marzo 2013 n. 52;
   la netta riduzione del monte ore dedicato alle materie umanistiche e la definitiva scomparsa dell'insegnamento del latino determina un'alterazione della fisionomia del liceo scientifico, il cui obiettivo, come confermato dalle «indicazioni nazionali per i licei», dovrebbe essere l'armoniosa integrazione tra discipline umanistiche e discipline scientifiche;
   l'istituzione dei cosiddetti «corsi senza latino» determina la riduzione di una intera cattedra di lettere nel quinquennio, con conseguente ripercussione sull'organico provinciale, oltre che regionale, della classe di concorso A051 che rischia di trovarsi in breve tempo in gravi difficoltà, con esuberi di portata straordinaria;
   già con il decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, recante «norme concernenti la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola», vengono ridotte le ore relative alle materie letterarie, in modo particolare nell'ordinamento del liceo scientifico, con l'aumento del monte orario per la lingua inglese (10 ore in più di inglese a fronte di 10 ore in meno di latino) e prevedendo l'attivazione di percorsi opzionali come scienze applicate liceo sportivo e liceo musicale;
   con la drastica e allarmante riduzione delle ore di latino nell'indirizzo tradizionale (5 ore nell'arco del quinquennio) e la sua completa eliminazione dai percorsi opzionali, che di fatto introducono l'esistenza di un liceo scientifico senza il latino, viene radicalmente compromessa la duplice peculiarità del liceo scientifico italiano di coniugare la vocazione prettamente scientifica ad un'approfondita formazione umanistica;
   la necessità di omologare la scuola pubblica italiana ai parametri europei porta, inevitabilmente, ad un progressivo oblio della cultura latina, un patrimonio che ha avuto un ruolo particolarmente significativo nella costruzione delle tradizioni italiane;
   durante la fase di elaborazione del regolamento riguardante l'istituzione del liceo sportivo, e anche durante l'iter di approvazione del regolamento, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha operato, a giudizio degli interroganti, in maniera poco trasparente attraverso, ad esempio, la costituzione di un gruppo di lavoro composto da rappresentati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca; docenti ed esperti del settore sportivo, di cui sono ignoti i nominativi, evitando qualsiasi confronto con le organizzazioni sindacali nonostante le evidenti ricadute sugli organici del personale docente, come denunciato dalla FLC CGIL più volte e riportato in data 20 maggio 2013 sul suo sito –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per evitare la progressiva perdita dello studio della lingua e della cultura latina di cui in premessa, e tutelare i docenti della classe di concorso A051 (A-11, secondo la nuova tabella delle classi di concorso) che rischiano in breve tempo di ritrovarsi in esubero, soprattutto alla luce del fatto che, per effetto della legge n. 107 del 2015: i docenti in sovrannumero perderanno la titolarità e saranno assegnati agli ambiti territoriali;
   se il Ministro intenda finalmente porre una limitazione all'attivazione di sezioni di scienze applicate all'interno dei licei scientifici circoscrivendola al massimo ad una sezione per istituto;
   in che modo il Ministro intenda fare rispettare la normativa vigente (decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 5 marzo 2013, comma 5; circolare ministeriale 22 del 21 dicembre 2015, 6.2) che consente l'attivazione di una sola classe prima di Liceo Sportivo per ogni istituzione scolastica, norma che come esplicitato in premessa viene quasi sempre disattesa. (5-08250)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i docenti di II fascia a tempo indeterminato nelle Accademie delle belle arti hanno avuto accesso nei ruoli dell'amministrazione dell'istruzione, dell'università e della ricerca come assistenti di cattedra attraverso apposite procedure concorsuali quando il sistema di reclutamento del settore ed il riparto delle funzioni didattiche, nell'ordinamento delle accademie, prevedeva e giustificava una dicotomia funzionale tra docenti e assistenti di cattedra;
   in virtù dell'evoluzione normativa tale distinzione ha perso ogni valenza sul piano didattico e giuridico-economico;
   con la recente riforma dell'ordinamento delle accademie l'assistentato è funzione non più esistente, pertanto la pregressa distinzione tra docenti e assistenti, oggi riversata in quella tra docenti i prima e seconda fascia, si risolve in mera duplicazione priva di alcuna differenza sostanziale;
   con il decreto ministeriale n. 229 del 1o dicembre 2010 tutti i docenti sono stati inquadrati nei medesimi settori disciplinari;
   la netta discontinuità con il pregresso sistema trova conferma anche nelle disposizioni pattizie di settore, in cui le due categorie vengono trattate sempre unitariamente, basti esaminare riguardo l'articolo 21 del contratto collettivo nazionale di lavoro 16 febbraio 2005;
   l'articolo 20 dello stesso contratto collettivo nazionale di lavoro stabilisce che «il personale docente ... è collocato nella distinta area professionale del personale docente», facendo scomparire la categoria degli assistenti;
   l'unica differenza tra le due tipologie di docenti è ad oggi solo ed esclusivamente di carattere economico, derivante da un diverso trattamento stipendiale, non giustificato da alcuna differenza sul piano dell'apporto lavorativo, della professionalità e dell'esperienza, contrastando con gli articoli 3 e 36 della Costituzione;
   a molti dei docenti di II fascia dell'alta formazione artistica, nonostante precise norme contrattuali (articoli 8 e 18 del contratto collettivo nazionale di lavoro 4 agosto 2010) è stato persino impedito di transitare, per mobilità a domanda, nel ruolo di docenti di I fascia, mentre nell'omologo comparto scuola i passaggi tra diversi ruoli costituiscono una procedura ordinaria –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per garantire ai circa 400 docenti di II fascia una giusta progressione di carriera, equiparando il loro trattamento economico a quello dei colleghi di I fascia. (4-12639)


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda del personale ATA (amministrativo, tecnico ed ausiliario) già dipendente dagli enti locali e che a decorrere dal 1o gennaio 2000 è stato trasferito nei ruoli del personale dello Stato-comparto scuola, ha dato luogo a un grave conflitto istituzionale tra Stato italiano e Corte di giustizia dell'Unione europea;
   con le sentenze prima della Corte europea dei diritti dell'uomo e poi della Corte di giustizia dell'Unione europea, l'Italia è stata condannata dall'Europa. La Grande Sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea il 6 settembre 2011 ha censurato il comportamento dello Stato italiano sotto il profilo della violazione della direttiva del Consiglio del 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, la quale vieta agli Stati di peggiorare il trattamento retributivo dei propri dipendenti trasferendo il personale senza riconoscere l'anzianità maturata presso l'amministrazione cedente. La Corte di Lussemburgo ha infatti rimarcato che l'assoluta equivalenza tra compiti svolti dal personale ATA degli enti locali e quelli del personale ATA in forza al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca consente allo Stato italiano di qualificare l'anzianità maturata presso il cedente da un membro del personale trasferito come equivalente a quella maturata da un membro del personale ATA in possesso del medesimo profilo e alle dipendenze, prima del trasferimento, del Ministero;
   l'interpretazione dell'articolo 8 della legge n. 124 del 1999, introdotta dalla legge finanziaria n. 266 del 2005, dopo 6 anni del trasferimento del personale, quando la Corte di Cassazione aveva già riconosciuto i diritti del personale ATA connessi all'anzianità maturata alle dipendenze degli enti locali e il suo orientamento era ben consolidato, deve essere disapplicata in quanto finalizzata ad espropriare i lavoratori ATA del loro diritto al mantenimento dell'anzianità maturata, in aperta e ricercata violazione delle garanzie di un equo processo e di legalità, sancite dall'articolo 6 della CEDU e recepite dall'articolo 47 della Carta di Nizza come evidenziato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella sentenza Agrati del 7 giugno 2011;
   è necessario risolvere questo contenzioso seriale ed evitare un ulteriore ingente danno alle casse dello Stato, perché è un problema che riguarda migliaia di persone ATA/ITP, ex enti locali in tutta Italia. La Corte di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano a risarcire i 124 lavoratori ATA ex EE.LL, che non hanno accettato lo «scippo» di anzianità e indennità accessorie ratificato da CGIL-CISL-UIL-SNALS, Governi di centro-destra/centro-sinistra, con somme consistenti individuali, indicate dalla sentenza, che complessivamente ammontano a quasi un milione e ottocentomila euro (anche oltre gli 82 mila euro per dipendente) –:
   se non intenda assumere iniziative per dare piena attuazione a quanto previsto dalle citate sentenze della Corte di Strasburgo e della Corte di Lussemburgo sulla base dei principi di «parità delle armi», di legalità, nonché più in generale di un «equo processo», sanciti dall'articolo 6 della CEDU, considerato che tali sentenze hanno sancito il divieto dello Stato italiano di intervenire con norme interpretative nelle cause in cui è parte per porre rimedio alle azioni giudiziarie intraprese con successo nei confronti dello Stato medesimo. (4-12642)


   SCOTTO, FRATOIANNI, DANIELE FARINA, PAGLIA, PANNARALE, COSTANTINO, MARCON e NICCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si moltiplicano in tutta Italia iniziative di controllo della presenza di sostanze stupefacenti nelle scuole, attuate attraverso blitz delle forze dell'ordine nelle aule durante l'orario scolastico, in alcuni casi con la presenza di cani antidroga;
   in particolare, l'attività repressiva è rivolta ai cannabinoidi, che rappresentano la sostanza più diffusa, e sui quali è avviata ad ogni livello una riflessione sull'opportunità di forme di depenalizzazione o legalizzazione;
   la scuola dovrebbe essere il luogo dedicato alla crescita e alla formazione delle giovani generazioni, che passa anche per la capacità di approcciare criticamente situazioni complesse;
   l'approccio con tematiche problematiche dovrebbe comunque sempre essere affidato agli insegnanti e alla comunità scolastica, non certo demandato ad interventi esterni, tanto meno delle forze dell'ordine;
   a Roma, il 22 marzo 2016 nel corso di un'operazione dei carabinieri – avvenuta nel cortile della scuola durante la ricreazione – un giovane studente del liceo Virgilio è stato arrestato ed altri segnalati alla procura della Repubblica perché trovati con sostanze stupefacenti cannabinoidi;
   sia da parte degli studenti che da parte di alcuni genitori è stato fatto notare che non si dovrebbe assistere a momenti plateali di criminalizzazione di studenti, anche se coinvolti in comportamenti non idonei e attualmente penalmente perseguibili;
   dagli organi di informazione si desume peraltro che il comportamento della dirigente scolastica non sia stato all'altezza della situazione, rifiutando ogni tipo di confronto;
   già nei mesi scorsi, il liceo Virgilio è balzato agli onori della cronaca giornalistica per alcune settimane di occupazione studentesca, con situazioni di tensione venutesi a creare e risolte solo grazie all'azione di mediazione del sottosegretario per l'istruzione, l'università e la ricerca Faraone che ha aperto un tavolo di confronto con gli studenti;
   dagli organi di informazione emerge anche la denuncia di alcuni genitori del medesimo liceo in merito alle iniziative antidroga curate dal liceo Virgilio rivolte a tutte le classi dell'istituto e promosse, come si evince dalle circolari della dirigente scolastica, dalla Fondazione «Per un mondo libero dalla droga» (sito web: drugfreeworld.org). Fondazione che fa direttamente riferimento alla discussa Chiesa, o meglio setta religiosa, Scientology. Senza alcun riferimento a progetti simili di altre istituzioni scientifiche italiane di comprovata serietà ed autorevolezza, o della regione Lazio o di altri istituzioni –:
   se il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia deciso e in quali forme di avvalersi nelle iniziative antidroga nelle scuole pubbliche italiane, della collaborazione con le strutture dell'organizzazione Scientology;
   se le iniziative antidroga del liceo Virgilio di Roma, in collaborazione con l'organizzazione Scientology, siano state autorizzate dal Ministero e, in caso contrario, quali immediate iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere nei confronti dei responsabili dell'iniziativa;
   quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per riportare un clima di serenità e tranquillità tra gli studenti, il corpo docente e i genitori all'interno del liceo Virgilio ciclicamente scosso da tensioni che avrebbero potuto essere facilmente superate, ad avviso degli interroganti, se la dirigenza scolastica avesse avuto in questi mesi un atteggiamento diverso da quello avuto;
   se non si ritenga, a livello nazionale, di dover assumere iniziative per interrompere la pratica dei controlli antidroga condotti negli edifici scolastici durante le ore di lezione, tanto più se condotti con modalità aggressive;
   se non si ritenga che si debbano prevedere ed intensificare, nell'ambito dell'attività formativa, momenti legati alla crescita della consapevolezza relativa all'utilizzo di tutte le sostanze, a partire dai pericoli connessi all'uso e all'abuso delle droghe, con la collaborazione di esperti qualificati ed autorevoli, in collegamento con le istituzioni locali e i centri di ricerca sanitaria e psicologica pubblica. (4-12661)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MINNUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Almaviva Contact, società del gruppo Almaviva specializzata nei servizi di risposta al cliente, ha decretato una riduzione del personale che coinvolgerà ben 2990 lavoratori: fino a 920 a Roma, fino a 400 a Napoli e fino a 1670 a Palermo, corrispondenti al 6 per cento del personale attualmente in forza al gruppo a livello globale (50 mila persone, in sette Paesi);
   la società giustifica tale riduzione definendola necessaria al fine di far fronte alla crisi del settore italiano del CRM (Customer relationship management);
   sempre secondo la predetta società, infatti, nemmeno il ricorso agli strumenti di solidarietà difensiva per gestire gli esuberi dichiarati potrebbero garantire la salvaguardia della forza occupazionale e allo stesso tempo risollevare la società dalla flessione subita a causa della crisi sopra citata;
   un numero così elevato di posti di lavoro in pericolo, però, non poteva lasciare indifferenti le istituzioni competenti che, a quanto si apprende dagli organi di stampa, avvieranno nei prossimi giorni dei tavoli di confronto con le sigle sindacali coinvolte al fine di scongiurare il licenziamento di quasi tremila lavoratori –:
   se, in vista dell'istituzione dei tavoli di confronto sopra citati, siano già state individuate possibili soluzioni, o quali immediate iniziative si intendano intraprendere, affinché vengano salvaguardati i diritti dei lavoratori interessati. (5-08234)


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, COLONNESE, LOREFICE, GRILLO e BARONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2011 il Parlamento ha approvato il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (il cosiddetto «Salva Italia»). L'articolo 5 del decreto contiene le indicazioni per la definizione del nuovo Isee. È in quell'articolo che viene previsto di considerare come reddito anche le provvidenze assistenziali di qualsiasi natura (pensioni sociali, indennità di accompagnamento, assegni di cura e altro);
   in attuazione dell'articolo 5 del decreto «Salva Italia» il Governo ha poi adottato il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)», di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, in vigore dall'8 febbraio 2014;
   si tratta di un provvedimento che interessa milioni di cittadini italiani, poiché la dichiarazione Isee (Dsu) viene richiesta per l'accesso a prestazioni sociali agevolate, cioè servizi o aiuti economici rivolti a situazioni di bisogno o necessità (solo a titolo di esempio: dalle prestazioni ai non autosufficienti ai servizi per la prima infanzia, dalle agevolazioni economiche sulle tasse universitarie a quelle per le rette di ricovero in strutture assistenziali, alle eventuali agevolazioni su tributi locali);
   lo Stato, pertanto, si trova nell'imbarazzante posizione di dover riconoscere come voce di reddito e quindi di ricchezza, le indennità che esso stesso corrisponde ai beneficiari sulla base di un'effettiva condizione di svantaggio e che mirano al superamento di tale condizione, così come recita l'articolo 3 della Costituzione; un paradosso a cui si è successivamente cercato di porre rimedio attraverso la previsione di apposite franchigie;
   contro il provvedimento le associazioni e le federazioni di categoria hanno alzato subito la voce ma senza trovare piena sponda in Parlamento;
   tali disposizioni, invero, hanno introdotto il principio secondo cui un soggetto destinatario delle provvidenze assistenziali vedrà innalzarsi la propria fascia reddituale. In questo modo, non si è proceduto ad una razionalizzazione nel determinare i redditi, ma si è di fatto prodotta l'esclusione da servizi sociali di famiglie a basso reddito, anziani e persone disabili che si sono ritrovati ad essere riconosciuti come ricchi e quindi non aventi diritto a servizi;
   il Tribunale amministrativo regionale del Lazio è fortunatamente intervenuto per affermare che tale normativa fosse da rivedere, procedendo alla esclusione delle provvidenze assistenziali nella determinazione del reddito, rimediando ad una evidente stortura: il giorno 11 febbraio 2015, infatti, il tribunale amministrativo ha accolto, pur parzialmente, tre ricorsi presentati delle associazioni di categoria e delle famiglie di persone con disabilità contro il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
   le tre sentenze modificano parzialmente l'impianto di calcolo dell'Indicatore della situazione reddituale, cioè di una delle due componenti dell'Isee;
   ebbene, l'adito Tar, con tre sentenze (Tar Lazio, Sezione I, n. 2454/2015, 2458/2015 e 2459/2015) ha:
    1) – accolto il secondo motivo di ricorso, per l'effetto annullando l'articolo 4, comma 2, lettera f) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, nella parte in cui ha incluso, tra i dati da considerare ai fini Isee per la situazione reddituale i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari percepiti dai soggetti portatori di disabilità;
    2) – accolto pure il terzo motivo di ricorso, annullando così l'articolo 4, comma 4, lettera d) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, soltanto nella parte in cui, nel fissare le franchigie da detrarre dai redditi, aveva introdotto «... un'indistinta differenziazione tra persone disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest'ultimi, senza considerare l'effettiva situazione familiare della persona disabile maggiorenne...»;
   le pronunce, data la loro immediata esecutività, avrebbero avuto il pregio di favorire gran parte dell'utenza, con l'effetto di diminuire il valore finale dell'Isee per l'accesso alle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria;
   il Governo ha tuttavia deciso di andare contro tali sentenze, presentando ricorso al Consiglio di Stato, chiedendo contestualmente il congelamento degli effetti nelle more della pronuncia definitiva;
   il Consiglio di Stato si è conseguentemente pronunciato, non concedendo la sospensiva agli effetti delle sentenze del Tar, di cui veniva ribadita l'immediata esecutività, sancendo l'illegittimità dell'attività del Governo per non aver dato applicazione a quanto stabilito dal Tar;
   con sentenza del 29 febbraio 2016 (N. 00842/2016) il Consiglio di Stato ha infine respinto il ricorso dell'Esecutivo contro le sentenze del Tar del Lazio dell'11 febbraio 2015, confermando in toto le statuizioni del giudice amministrativo di prime cure;
   secondo il Consiglio di Stato, «l'indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all'accumulo del patrimonio personale, bensì a compensare un'oggettiva e ontologica situazione d'inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al fine di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest'ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una “migliore” situazione economica della persona disabile rispetto alla persona non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa»;
   si legge ancora nella pronuncia del Consiglio di Stato «Deve il Collegio condividere l'affermazione degli appellanti incidentali quando dicono che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dalle persone disabili significa allora considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito – come se fosse un lavoro o un patrimonio – ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni, non un sostegno alla persona disabile, ma una “remunerazione” del suo stato di invalidità oltremodo irragionevole, oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione»;
   il Consiglio di Stato ha quindi sostanzialmente confermato quanto già sentenziato dal Tar del Lazio, il quale aveva respinto «una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale»: in sintesi, le provvidenze economiche previste per la disabilità non possono e non devono essere conteggiate come reddito;
   fintantoché il Governo non deciderà di adeguarsi alle pronunce del Tar e del Consiglio di Stato, modificando finalmente l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, il nuovo Isee 2015, così come formulato, deve pertanto ritenersi secondo gli interroganti illegittimo;
   a tal proposito il collegio si è espresso chiaramente: «Non convince infine il temuto vuoto normativo conseguente all'annullamento in parte qua di detto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto, in disparte il regime transitorio cui il nuovo ISEE è sottoposto, a ben vedere non occorre certo una novella all'articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, per tornare ad una definizione più realistica ed al contempo più precisa di “reddito disponibile”. All'uopo basta correggere l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e fare opera di coordinamento testuale, giacché non il predetto articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, (dunque, sotto tal profilo immune da ogni dubbio di costituzionalità), ma solo quest'ultimo ha scelto di trattare le citate indennità come redditi»;
   il MoVimento 5 Stelle, prestando ascolto alle numerose, più che giustificate, critiche in merito provenienti da tutto il mondo della disabilità, ha sempre tenuto alta l'attenzione sul tema della necessaria riforma dell'Isee, presentando alla Camera e al Senato numerosi atti parlamentari in merito, sia di sindacato ispettivo che di indirizzo, da ultimo una mozione in Senato (Atto n. 1-00532), che non è stata calendarizzata, nonché un emendamento (1-01124/11. Di Vita e altri) alla mozione n. 1-01124 presentata dal deputato Maurizio Lupi sulle politiche a sostegno della famiglia, che ha ricevuto però il voto contrario della maggioranza dell'Aula il 2 marzo 2016. Relativamente alle circostanze appena citate risulta difficile comprendere le ragioni per cui il Governo abbia propeso verso una valutazione in senso negativo, dal momento che ogni opzione relativamente al tema di cui si discute appare ormai obbligata, vista la precisa direzione tracciata dalla pronuncia del Consiglio di Stato;
   il 17 marzo 2016, è stata altresì approvata in commissione VII (Cultura) la risoluzione, conclusiva 8-00175 (Ghizzoni e altri) sul diritto allo studio universitario connesso al nuovo metodo di calcolo dell'Isee, con cui, in particolare, il Governo tenuto conto della sentenza del Tar del Lazio sopra richiamata, si è impegnato ad esplicitare normativamente lo scorporo dell'Isee dell'assegno di disabilità percepito dal nucleo familiare, nel caso di studenti disabili o appartenenti ad un nucleo familiare in cui uno o più membri percepiscano tale assegno, nonché a prevedere interventi compensativi per gli studenti che siano rimasti esclusi dai benefici nell'anno accademico 2015/2016 sebbene non avessero modificato le condizioni economiche delle famiglie;
   da più recenti fonti stampa si apprende che, secondo le cifre fornite dal Ministero dell'economia e delle finanze, sarebbero un milione e duecentomila le dichiarazioni Isee delle famiglie con persone disabili falsate dalla impropria inclusione dei sussidi ai fini del calcolo del reddito familiare, e che hanno creato ulteriori difficoltà a queste famiglie che, in molti casi, non hanno potuto accedere ad altre agevolazioni in virtù di un reddito Isee ingiustamente superiore alla soglia di accesso;
   il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti ha assicurato che dopo la decisione del Consiglio di Stato sarà modificato il regolamento sull'Isee per allinearsi a ciò che la sentenza richiede, manifestando tuttavia contrarietà alla previsione di eventuali forme risarcitorie o di ristoro nei confronti delle famiglie medio tempore danneggiate dal provvedimento in questione;
   secondo le famiglie promotrici dei ricorsi, invece, nella vicenda vi sarebbe stato un accanimento da parte del Governo, che ben avrebbe potuto applicare la sentenza del Tar in attesa di quella del Consiglio di Stato, ma scegliendo invece deliberatamente di non farlo, ritengono, abbia conseguentemente procurato danni in alcuni casi molto consistenti;
   il ricalcolo dell'Isee rischia di trasformarsi in un vero e proprio caos e, proprio per questo motivo, le associazioni delle famiglie con persone disabili sollecitano il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti a convocare un tavolo di discussione per la modifica della normativa di calcolo dell'Isee. Un tavolo al quale le associazioni chiedono di partecipare per evitare il rischio che, per compensare il costo derivante dalla sentenza del Consiglio di Stato, vengano inasprite le soglie di accesso ai servizi;
   alla luce di tale sentenza, appare, per gli interroganti, totalmente condivisibile l'affermazione delle associazioni ricorrenti, le quali hanno affermato con forza che ricomprendere tra i redditi i trattamenti indennitari percepiti dalle persone disabili significa considerare la disabilità alla stregua di una fonte di reddito, come se fosse un lavoro o un patrimonio, ed i trattamenti erogati dalle pubbliche amministrazioni non un sostegno alla persona disabile, ma una «remunerazione» del suo stato di invalidità: un dato oltremodo irragionevole oltre che in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione;
   la decisione del Consiglio di Stato ripristina un principio di giustizia ma pone altresì una serie di questioni assai rilevanti, prima tra tutte il risarcimento dei cittadini che, a causa del meccanismo previsto dalla normativa Isee, non hanno potuto usufruire dei servizi sociali che sarebbero loro spettati –:
   se il Ministro interrogato possa indicare le ragioni precise per cui, nelle more della pronuncia del Consiglio Stato, ai fini della determinazione della quota sociale dell'Isee, non siano state date disposizioni alle amministrazioni competenti affinché venisse consentito di effettuare il relativo calcolo avendo riguardo a quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 3 dicembre 2013, come di fatto modificato dalle sentenze del Tar Lazio n. 2454/15, n. 2458/15 e n. 2459/15, vista oltretutto l'immediata esecutività di tali pronunce e data la negazione dell'istanza di sospensione degli effetti delle stesse da parte dello stesso Consiglio di Stato;
   se, con quali modalità ed entro quale data intenda provvedere, attraverso apposite iniziative normative, alla esclusione dalla determinazione dei redditi Isee, delle provvidenze assistenziali di qualsiasi natura, e più in generale, alla modifica del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 conformemente alla citata sentenza del Consiglio di Stato;
   se intenda procedere ad una ricognizione e ad una quantificazione del valore delle prestazioni non erogate a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo Isee censurate dal Consiglio di Stato e fornirne puntuale illustrazione;
   se non ritenga che, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, che potrebbe determinare un ingente contenzioso su impulso di quei cittadini a cui è stato recato medio tempore un danno patrimoniale derivante dalla negazione di servizi o agevolazioni in base al metodo di calcolo in parte annullato dalla giustizia amministrativa, sia opportuno quantificare, anche sommariamente, in termini di finanza pubblica, l'entità di tale contenzioso e indicare quali iniziative, anche di carattere finanziario, siano nel caso potenzialmente azionabili dal Governo per farvi fronte;
   se intenda predisporre celeri procedure per il risarcimento immediato dei cittadini che, a causa delle disposizioni sul sistema di calcolo Isee, censurate dal Consiglio di Stato, non hanno potuto usufruire di prestazioni che sarebbero loro spettate o hanno dovuto contribuire con una compartecipazione più alta di quella dovuta;
   se intenda, nell'ottica di un intervento normativo in merito, convocare un tavolo di confronto con le associazioni delle famiglie con persone disabili di discussione per la modifica della normativa di calcolo dell'Isee;
   nelle more di un intervento di riforma della normativa vigente in conformità alla sentenza citata del Consiglio di Stato, se siano già state emanate, o se intenda al più presto assumere iniziative per emanare delle linee guida applicabili su tutto il territorio nazionale dirette agli enti locali e agli organi preposti alla ricezione del modello Isee e alla definizione del suo valore, indicanti le modalità transitorie di calcolo dell'Isee;
   se sia a conoscenza di quali regioni ed enti locali abbiano emanato linee guida di aggiornamento dei loro regolamenti stabilendo soglie di accesso ai servizi socio-assistenziali eque per i cittadini coinvolti;
   se possa indicare le risorse eventualmente risparmiate dallo Stato attraverso l'applicazione del nuovo Isee che, come previsto dalla normativa di riferimento, dovevano essere riallocate nel settore sociale;
   se intenda disporre una specifica informativa pubblica, tramite i propri canali di comunicazione istituzionale, allo scopo di rendere a tutti soggetti interessati, ovvero coloro i quali hanno presentato delle dichiarazioni Isee non conformi alla citata sentenza del Consiglio di Stato, tutte le informazioni e i chiarimenti del caso, compresa l'indicazione della procedura da seguire per la corretta compilazione del modello Isee. (5-08239)


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   un recente rapporto sulla qualità dello sviluppo in Italia ha misurato lo stato dello sviluppo del Paese;
   per la sua realizzazione è stato utilizzato un sistema di 87 indicatori di base raggruppati in 10 macro-aree di analisi e un metodo di calcolo degli indici basato sulla differenza delle diverse aree del Paese rispetto alla media nazionale, al fine di evidenziare le eccellenze e misurare le distanze tra i vari territori e valutare la qualità dello sviluppo;
   dall'analisi effettuata risulta che l'indice complessivo della qualità dello sviluppo, utilizzando come base di confronto la media nazionale, ovvero un indice di base pari a 100 punti, colloca il Nord-est al primo posto con 111 punti, seguito dal Nord-ovest con 107 punti, dal centro con 103 punti, mentre il Sud e le isole si fermano ad un livello molto inferiore, con un indice pari a 87 punti;
   i risultati descrivono un Paese che procede a due velocità, con grandi e profonde differenze tra Nord e Mezzogiorno in ciascuna delle aree analizzate;
   per quanto riguarda la soddisfazione della qualità della vita, dato che rappresenta la percezione che gli individui hanno della propria condizione e del territorio che abitano, ovvero uno dei principali termometri sullo stato di salute del Paese, si registra un andamento negli ultimi dieci anni particolarmente desolante, descrivendo bene quanto la crisi economica abbia avuto un impatto negativo sulla vita delle persone;
   nel 2015 si è registrata una riduzione rispetto al 2005 pari a 22 punti, segnando il valore più basso negli ultimi dieci anni;
   si ricorda il fatto che numerose mozioni sono state approvate durante questa legislatura aventi ad oggetto il tema del rilancio del Mezzogiorno, di cui due a prima firma dell'interrogante, n. 1-00621 e n. 1-01117, alle quali il Governo, ad avviso dell'interrogante, non ha mai dato seguito –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per colmare i gravi ritardi rilevati tra Nord e Mezzogiorno, ritardi rilevati in ognuna delle 10 macro aree di analisi, poiché la situazione del Mezzogiorno incide sul complessivo stato del Paese e la permanenza di così inique disparità si riflette anche sulla capacità e sulla velocità della ripresa economica del Paese nel suo complesso, oltre che esser causa non risolta del ritardo socioeconomico che storicamente connota il Mezzogiorno, lasciandolo in condizioni di minorità, rendendolo ancor più facilmente esposto e vulnerabile dalle crisi cicliche e causando un progressivo e ulteriore degrado economico delle aree più povere. (5-08244)


   CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI, LOMBARDI, CIPRINI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Bistefani spa oggi Bistefani Gruppo Dolciario spa con sede e stabilimento a Villanova Monferrato in provincia di Alessandria, è una delle più importanti industrie alimentari del ramo dolciario italiane, fondata nel 1955 a Casale Monferrato;
   l'8 febbraio 2013 la società piemontese viene acquisita dalla Bauli, nota azienda veronese leader nella produzione e vendita di prodotti da forno come panettoni, pandori, colombe e merendine, esportati a livello mondiale. Bauli acquisisce così un marchio con 143 dipendenti e un fatturato di 75 milioni di euro, facendo avvicinare il suo fatturato a ben 500 milioni di euro come riportato dal quotidiano « Il Sole 24 Ore» in data 9 febbraio 2013;
   la mission di Bauli, che ha guidato l'acquisizione di Bistefani è stata, come dichiarato dallo stesso presidente Alberto Bauli in un'intervista rilasciata al quotidiano « La Stampa» il 18 marzo 2013, quella di rilanciare la produzione dei prodotti dolciari della società piemontese con un investimento di 20 milioni di euro;
   il 14 marzo 2016 durante un incontro con i sindacati l'amministratore delegato della Bauli, Stefano Zancan, ha annunciato la decisione di trasferire, il più presto possibile, la produzione dello stabilimento di Villanova Monferrato nella sede centrale a Castel d'Azzano in provincia di Verona. Ai dipendenti, attualmente 115 che con l'indotto arrivano a 150, verrà offerta la possibilità di mantenere il posto di lavoro, se accetteranno di trasferirsi ad oltre 300 chilometri dalla loro residenza;
   le motivazioni che spingerebbero la Bauli a chiudere lo stabilimento piemontese sarebbero, sempre secondo l'amministratore delegato Stefano Zancan, i «costi troppo alti per una produzione che è la metà di quella delle altre fabbriche del gruppo». Accuse a cui il segretario della Flai Cgil, Marco Malpassi, risponde mediante una dichiarazione rilasciata in data 15 marzo 2016 al sito « Radiogold.it»: «Da mesi eravamo in ansia perché ormai nel sito si producevano solo Buondì e Girelle [...] sapevamo delle due linee installate a Verona e questo aveva alimentato i nostri sospetti e preoccupazioni che, purtroppo, si sono ora tramutati in realtà»;
   in data del 30 e 31 marzo 2016 è stato proclamato uno sciopero di 8 ore, durante il quale i sindacati e i lavoratori dipendenti della Bistefani spa manifesteranno contro la decisione della Bauli di trasferire la produzione a Verona, scelta in netto contrasto con quanto sostenuto dalla Bauli, che nell'accordo per l'acquisizione della Bistefani si era impegnata a mantenere in Piemonte la produzione di Buondì, Girella, Yo Yo e i famosi Krumiri, i tipici biscotti artigianali di Casale Monferrato, trasformando lo stabilimento nel suo polo d'eccellenza e per proseguire una tradizione secolare, così come riportato nell'articolo del 15 marzo 2016 pubblicato sul quotidiano «Leggo» –:
   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati ritengano di intraprendere in merito alla decisione unilaterale della Bauli di chiudere lo stabilimento Bistefani di cui in premessa, e se si intenda istituire un tavolo di lavoro per discutere con la proprietà al fine di rivedere le decisioni, nel rispetto degli impegni precedentemente assunti pubblicamente e in incontri sindacali e di preservare l'occupazione dei lavoratori della Bistefani, scongiurando il pericolo della perdita di un marchio storico e di uno stabilimento così rilevante per l'economia piemontese, già danneggiata ed indebolita dal punto di vista lavorativo. (5-08249)


   CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI, LOMBARDI, CIPRINI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Microtecnica srl, storica azienda piemontese fondata nel 1929 a Torino, progetta, sviluppa e produce sistemi e componenti per il settore aerospaziale, configurandosi come uno dei principali fornitori di sistemi di attuazione e di controllo termico per questo settore, con capacità tecniche frutto di competenze maturate in oltre 80 anni di storia;
   la società impiega un totale di 661 addetti, suddivisi tra la sede di Torino in Via Arturo Graf e gli stabilimenti di Luserna San Giovanni, in provincia di Torino e di Brugherio, in provincia di Milano. Una cinquantina di dipendenti sono attivi nello stabilimento di Bristol, nel Regno Unito;
   nell'aprile del 2011 la società torinese è stata acquisita dalla società americana Goodrich Corporation, attiva nel settore della difesa e dell'aerospazio, con una transazione che ammontava a 330 milioni di euro. Nello stesso anno il fatturato è cresciuto del 27 per cento e l'Ebidta – gli utili al netto di interessi passivi, imposte e ammortamenti su beni materiali e immateriali — è triplicato, così come riportato dal sito di news per le aziende del settore aeronautico « Technapoli.it» in data 21 aprile 2011;
   nell'ottobre del 2012 la Microtecnica Srl viene acquisita dall'americana United Technologies Corporation, un colosso statunitense, leader del settore aeronautico, che occupa nei cinque continenti quasi 200.000 persone;
   l'ultimo fatturato disponibile della società piemontese è quello del 2014, che chiude l'esercizio in positivo con 148.450.394 di euro, un utile di esercizio di 3.024.085 di euro e uno stato patrimoniale attivo di 161.428.904 di euro, così come si evince dal dossier della banca dati di informazioni commerciali della società iCribis;
   il 27 gennaio 2016 la Microtecnica Srl ha siglato un accordo con le organizzazioni sindacali, in sede ministeriale, che prevede l'uscita di 40 dipendenti su base volontaria con scadenza il 31 marzo 2016, adducendo un calo della marginalità del profitto, nonostante abbia confermato durante l'accordo con i sindacati che anche nel budget 2016 ci saranno ben 154 milioni di euro di fatturato e un utile significativo, così come riportato nel comunicato stampa emesso dalla Fiom in data 14 marzo 2016;
   il 3 marzo 2016 la suddetta società aeronautica ha avviato la terza procedura di mobilità nell'arco degli ultimi due anni, inserendo ulteriori 19 dipendenti nonostante la precedente procedura non sia stata ancora conclusa e nonostante nel solo sito di Torino nel 2015 si siano effettuate circa 28 mila ore di straordinario;
   nell'articolo 24, comma 1, della legge n. 223 del 1991 in cui si prevede che: «Le disposizioni di cui all'articolo 4, commi da 2 a 12, e all'articolo 5, commi da 1 a 5, si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni» –:
   se il Ministro interrogato intenda avviare un tavolo di confronto con la società Microtecnica Srl e le organizzazioni sindacali in merito all'organizzazione del lavoro della società, al fine di recuperare margini di produttività per salvaguardare l'occupazione, e sedi concerto con la regione Piemonte, intenda prendere in considerazione l'ipotesi di promuovere corsi di qualificazione e di riqualificazione professionale che, tenuto conto del livello di professionalità dei lavoratori in mobilità, siano finalizzati ad agevolarne il reimpiego. (5-08251)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI, TURCO, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e CIVATI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati dell'Istat, in Italia più di un milione di bambini e adolescenti vivono in povertà assoluta;
   l'approccio multidimensionale alla povertà ci insegna che l'aspetto economico da solo non è sufficiente a inquadrare e contrastare il fenomeno. Ne esiste una forma altrettanto insidiosa e spesso sottovalutata, specifica dei minori: la povertà educativa. Per un bambino, povertà educativa significa essere escluso dall'acquisizione delle competenze necessarie per vivere in un mondo caratterizzato dall'economia della conoscenza, dalla rapidità, dalla innovazione;
   allo stesso tempo, povertà educativa significa anche limitazione delle opportunità di crescere dal punto di vista emotivo, delle relazioni con gli altri, della scoperta di sé stessi e del mondo;
   dai dati riportati nel – Rapporto di Save the Children «Illuminiamo il futuro 2030 — Obiettivi per liberare i bambini dalla povertà educativa», pubblicato a settembre 2015, la povertà educativa ha raggiunto in Italia livelli allarmanti;
   quasi il 25 per cento dei quindicenni è sotto la soglia minima di competenze in matematica e quasi il 20 per cento in lettura, percentuali che raggiungono rispettivamente il 36 per cento e il 29 per cento fra gli adolescenti che vivono in famiglie con un basso livello socio-economico e culturale;
   povertà economica e povertà educativa, infatti, si alimentano reciprocamente e si trasmettono di generazione in generazione;
   notevoli sono le carenze di servizi e opportunità educative. Il 48,4 per cento dei minori tra 6 e 17 anni non ha letto neanche un libro, se non quelli scolastici, nell'anno precedente; il 69,4 per cento non ha visitato un sito archeologico, il 55,2 per cento un museo, il 45,5 per cento non ha svolto alcuna attività sportiva;
   la legge di stabilità 2016 prevede l'istituzione, in via sperimentale, di un fondo per il contrasto della povertà educativa minorile per gli anni 2016, 2017 e 2018, riconoscendo l'esistenza e la specificità della deprivazione educativa;
   sono però da evitare allocazioni inefficienti delle risorse per scongiurare il rischio di disperdere le risorse, con finanziamenti a pioggia, dall'impatto molto limitato;
   le azioni finanziate dal fondo dovrebbero essere prioritariamente indirizzate verso le aree territoriali che oggi mostrano le condizioni più gravi di povertà educativa, selezionate attraverso criteri oggettivi e misurabili, come ad esempio l'incidenza della povertà assoluta dei minori, l'offerta educativa a scuola e i risultati scolastici, le aree a più alto tasso di criminalità, i piccoli centri in via di spopolamento, l'alta presenza di minori stranieri di recente arrivo in Italia;
   la condizione di questi minori non è di per sé un fattore di svantaggio, ma è dimostrato come i ragazzi di recente immigrazione incontrino molte difficoltà aggiuntive nell'apprendimento rispetto ai coetanei. Si dovrebbe intervenire sia a livello comunitario, sia a livello nazionale mediante la promozione di progetti di intervento individuale. L'intervento comunitario dovrebbe focalizzarsi sulla costruzione di reti locali di sostegno ai bisogni e alle opportunità educative dei bambini e degli adolescenti che vivono in condizioni di povertà;
   l'intervento di tipo individuale dovrebbe essere concepito come una «dote educativa», ovvero un piano personalizzato che sostenga tali minori nell'acquisizione dei beni e servizi educativi;
   è necessario nell'ambito delle risorse del fondo favorire anche le proposte che provengono dalle realtà più piccole, senza privilegiare esclusivamente grandi associazioni o network;
   il fondo dovrebbe prevedere anche la possibilità di investire su azioni di sistema per rafforzare le capacità degli enti e delle associazioni presenti sul territorio: per esempio, sostenere programmi formativi e di accompagnamento, promuovere la partecipazione attiva e diretta dei bambini e dei ragazzi, l'informazione e la sensibilizzazione dell'opinione pubblica, l'approfondimento, attraverso il confronto e lo scambio di pratiche – peer review – tra i progetti finanziati;
   fondamentale per il successo del fondo sarà l'adozione di un sistema di monitoraggio e di valutazione poiché la legge di stabilità prevede il coinvolgimento di valutatori indipendenti –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per adottare un modello di valutazione che consenta di misurare gli effetti degli interventi per i beneficiari diretti e per le comunità, che aiuti ad analizzare come poter migliorare l'efficacia degli interventi attivati, ora sperimentali e focalizzati su specifici territori, per integrarli in una azione strutturale su larga scala, estesa e non occasionale, e per potenziarli, nell'ambito delle politiche pubbliche, a conclusione del triennio sperimentale.
(4-12651)


   POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da articoli di stampa e da comunicati dell'Inps, il direttore generale Massimo Cioffi si è «autosospeso» dalla carica, per presunti conflitti di interessi;
   il presidente dell'Inps Tito Boeri, contemporaneamente «all'autosospensione» del direttore generale, ha nominato vicario del direttore generale Vincenzo Damato, direttore centrale delle risorse strumentali Inps, già direttore centrale bilanci e servizi fiscali, in sostituzione di Antonello Crudo, vicario in carica e direttore, centrale pensioni;
   il presidente Boeri ha dichiarato che i compiti principali del nuovo vicario del direttore generale Damato sono quelli di portare a compimento l'organizzazione annunciata dal direttore generale Cioffi «autosospeso» e di accelerare con le procedure di gara informatiche (del valore di oltre 400 milioni di euro);
   va considerata la situazione di caos e vuoto gestionale che sta caratterizzando l'Inps da due anni a questa parte, con l'uscita di scena, a vario titolo di presidenti e commissari come Mastrapasqua, Conti e Treu e direttori generali come Noni e Cioffi;
   le gravi inefficienze di gestione si stanno ripercuotendo sui servizi ai cittadini, con ritardi sempre più crescenti nell'erogazione delle prestazioni;
   l'interrogante ritiene necessario sottolineare le gravi perdite di bilancio dell'Inps con 104 miliardi di euro di crediti non riscossi, come risulta dal bilancio di previsione 2016 appena approvato dal consiglio di indirizzo e vigilanza dell'Inps; tali criticità sono state oggetto di pesanti rilievi da parte del collegio sindacale e riguardano anche il patrimonio immobiliare Inps;
   l'istituto dell’«autosospensione», invocato dal dottor Cioffi direttore generale dell'Inps non esiste nelle norme della pubblica amministrazione e nei regolamenti del personale dell'Inps; né è prevista secondo l'interrogante la possibilità di godere – per il ruolo ricoperto ed in considerazione del fatto di non essere dipendenti pubblici – di un'aspettativa senza assegni, perché in tal modo si lascia l'ente previdenziale più grande d'Europa senza guida gestionale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative per rimuovere dall'incarico il dottor Cioffi, attuale direttore generale Inps «autosospesosi» e nominare conseguentemente un nuovo direttore generale proveniente dagli organici dell'Inps, capace di esercitare i poteri che l'ordinamento gli riconosce;
   se il Ministro interrogato non ritenga, in alternativa, che sia opportuno assumere le iniziative di competenza per commissariare l'ente, atteso che ancora non è stato possibile portare a compimento una riorganizzazione dell'Inps, con una reale integrazione degli enti soppressi, che avrebbe dovuto essere già stata effettuata, in considerazione della previsione della legge n. 214 del 2011 (di conversione in legge del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto salva Italia), in attesa della nuova governance degli enti previdenziali, sempre annunciata e mai attuata. (4-12663)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato è corpo di polizia a ordinamento civile e quindi composto da personale in divisa nonché da personale civile, con profili tecnici e amministrativi, che lavora e si occupa di svolgere mansioni e funzioni attribuite al Corpo stesso;
   tra il personale civile figurano anche, gli operai, altra categoria spesso dimenticata e mai menzionata nelle norme che riguardano il Corpo forestale dello Stato;
   gli operai di cui sopra, sono lavoratori assunti ai sensi della legge 5 aprile 1985, n. 124, che svolgono attività istituzionale ai sensi della legge 6 febbraio 2004, n. 36, «Nuovo riordino del Corpo forestale dello Stato», articolo 5, comma 1;
   questo personale opera all'interno degli uffici dell'ispettorato generale, negli uffici del Gabinetto del Ministro, ovvero nella scuola di formazione del Corpo forestale dello Stato, nei comandi regionali e provinciali, nei comandi stazione, nei coordinamenti territoriali per l'ambiente e in tutti gli uffici territoriali per la biodiversità dislocati sul territorio nazionale, in sostituzione e/o affiancamento del personale dei ruoli che risulta sotto organico di circa 1639 unità;
   pur svolgendo attività istituzionale agli operai a tempo indeterminato e determinato si applica un contratto di diritto privato, il contratto collettivo nazionale di lavoro per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria, nonché un protocollo aggiuntivo al CCNL, che dovrebbe aggiungere tutele e diritti, ma in realtà risulta essere peggiorativo del contratto stesso;
   con la legge finanziaria del 2007 l'allora Governo decise di regolarizzare e regolamentare tutto il precariato della pubblica amministrazione «stabilizzando» tutto il personale che svolgeva attività istituzionale in deroga alla normativa vigente in materia di assunzioni nel pubblico impiego e in deroga anche alle piante organiche previste per legge;
   in quella circostanza la stabilizzazione operata su questo personale è stata un semplice passaggio da operaio a tempo determinato a operaio a tempo indeterminato, mantenendo intatto il contratto collettivo nazionale per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria, un contratto di diritto privato diversamente a quanto stabilito dalla legge finanziaria 2007, articolo 1, comma 519 e 521 e legge finanziaria 2006 articolo 1, comma 247; il comma 253, dell'articolo 1, della legge n. 266 del 2005, (legge finanziaria 2006) assegnava alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze il monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni di stabilizzazione contenute nei commi da 247 a 252 della medesima legge;
   nella risposta alla richiesta di parere in merito alla stabilizzazione del personale che lavora presso la pubblica amministrazione senza esserne inserito contrattualmente, che la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica – U.P.P.A. – servizio programmazione assunzioni e reclutamento invia al Consiglio nazionale delle ricerche e per conoscenza anche al Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento della ragioneria generale dello Stato — IGOP, nota prot. n. DFP-0016229-3 aprile 2008-1.2.3.4. parere UPPA 25/08, nella quale si chiariva senza alcun dubbio il senso della parola stabilizzazione e gli effetti che ci si attendeva da tale operazione, cioè l'eliminazione del precariato dalla pubblica amministrazione, si può leggere che: «Come è stato più volte ribadito, da ultimo con il parere dello Scrivente n. 20/2008, il termine stabilizzazione non ha una valenza giuridica in quanto, volendone cogliere l'aspetto lessicale, essa risulta incompatibile con le disposizioni previste in materia di costituzione di rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Basta richiamare, al riguardo, l'articolo 36, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che, anche nel testo novellato, conferma il principio secondo cui «In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni»; «Considerato che la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche passa necessariamente attraverso una procedura concorsuale pubblica, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione e dell'articolo 35 del decreto legislativo 165/2001, l'elemento distintivo delle "norme sulla stabilizzazione" è dato dal fatto che le stesse si pongono in deroga rispetto alla predetta normativa. La relativa disciplina, infatti, fermo restando la necessità della procedura concorsuale, come ribadito anche dall'articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, consente di avviare un sistema di reclutamento speciale, per assunzioni a tempo indeterminato, destinato ad una platea riservata di persone, non individuata in ragione di requisiti fondati su criteri generali ed indifferenziati, ma in virtù del fatto che queste persone hanno avuto un precedente rapporto di lavoro svolto con l'amministrazione pubblica, per un periodo temporale definito, nel presupposto di dare valore all'esperienza maturata. La partecipazione al reclutamento speciale è, tra l'altro, subordinata alla presentazione di apposita domanda da parte degli interessati (Direttiva dello scrivente Dipartimento n. 7/2007)». –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per tutelare questi 1400 lavoratori dello Stato, anche in considerazione di quanto previsto dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», dai successivi decreti legislativi, e dalla legge 124 del 1985, recante «Disposizioni per l'assunzione di manodopera da parte del Ministero dell'agricoltura e delle foreste».
(2-01322) «Massimiliano Bernini, Gallinella, Gagnarli, L'Abbate, Benedetti, Lupo, Cozzolino».

Interrogazione a risposta scritta:


   ALTIERI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la difesa di un settore strategico quale l'agricoltura italiana dovrebbe rientrare nell'interesse generale al fine di scongiurare allo stato dei fatti una crisi senza precedenti, caratterizzata da crolli dei prezzi al di sotto dei costi di produzione in settori chiave del made in Italy. A tal proposito, in data 23 marzo 2016 a Bari si è tenuta la manifestazione «le mani dell'Europa nel piatto» organizzata dagli imprenditori agricoli per la difesa del made in Italy; in quell'occasione gli agricoltori e soprattutto il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, hanno dichiarato come in un momento difficile per l'economia occorra portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza sottolineando l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli alimenti;
   il settore agroalimentare negli ultimi mesi ha conosciuto un calo del prezzo del latte dopo la liberalizzazione del mercato e la fine delle quote. Un livello di prezzi così basso non consente alla maggior parte dei produttori di coprire i costi di produzione;
   in data 23 febbraio 2016 al convegno «La sfida della competitività per il latte italiano» organizzato da Adm (Associazione della distribuzione moderna) Francesco Pugliese, presidente dell'associazione in questione, ha dichiarato che il mercato del latte vaccino è sempre più complesso e concorrenziale. Nell'Europa a 28 l'aumento della produzione, fra 1'11 e il 13 per cento, si abbina a un calo della domanda, con conseguente discesa dei prezzi;
   secondo uno studio di Roberto Della Casa dell'università di Bologna, i conti tornano solo negli allevamenti che superano i 100 capi complessivi e sono tecnologicamente all'avanguardia. In Italia questi stabilimenti sono pochi e il sistema-latte italiano fatica a mantenere il confronto con le produzioni degli altri Paesi;
   a livello di Unione europea, soprattutto grazie all'azione della Francia, i Ministri dell'agricoltura dei 28 Paesi membri si sono messi d'accordo su un principio minimo di regolamentazione per ridare fiato ai produttori. Il piano, che ha ricevuto l'approvazione della Commissione europea, apre la strada ad una limitazione temporanea della produzione di latte allo scopo di limitare l'offerta e far risalire i prezzi che sono crollati dopo la liberalizzazione del mercato e la fine delle quote nell'aprile del 2015;
   l'Unione europea ha proposto aiuti di 15.000 euro l'anno, eventualmente innalzabili a 30.000 per le imprese zootecniche del settore lattiero caseario;
   allevatori e produttori italiani chiedono al Governo di introdurre anche nel nostro Paese l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli alimenti. Al Governo francese è stata concessa l'autorizzazione dalla Commissione europea sulla base del regolamento comunitario n. 1169 del 2011 entrato in vigore il 13 dicembre del 2014 che consente ai singoli Stati membri di introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria di origine geografica degli alimenti qualora i cittadini esprimano in una consultazione parere favorevole in merito alla rilevanza delle dicitura di origine ai fini di una scelta di acquisto informata e consapevole;
   alla luce delle difficoltà del settore, sarebbe opportuno che il Governo aprisse un tavolo di confronto per verificare la disponibilità del mondo industriale a realizzare progettualità e filiere che mirino alla valorizzazione del latte 100 per cento italiano –:
   se non ritenga opportuno promuovere, a livello di Unione europea, tutte le misure necessarie volte a tutelare produttori e allevatori delle imprese del settore lattiero caseario;
   se non si ritenga di informare gli italiani su quali iniziative il Governo stia mettendo in campo per rafforzare la prevenzione e i controlli su tutto il territorio nazionale nell'ambito della sicurezza agroalimentare e per garantire la tracciabilità del latte e di altri ingredienti importati così da poter tutelare, allo stesso tempo, i produttori e la salute dei consumatori italiani. (4-12647)

SALUTE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la regione Lombardia non ha contemplato il reparto di ostetricia dell'ospedale civile di Vigevano con riferimento alla deroga richiesta per i punti nascita con meno di 500 parti l'anno, che potrebbero essere chiusi in base all'accordo tra Governo, regioni ed enti locali del 16 dicembre 2010 contenente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita» e al conseguente decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, con cui si individuano e definiscono gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
   con la delibera del 29 febbraio 2016 – n. X/4851 della regione Lombardia, infatti, è stata richiesta la deroga alla chiusura per tutti i punti nascita rientranti nella suddetta fattispecie, salvo che per quello di Vigevano;
   l'ostetricia dell'ospedale di Vigevano, oltre ad essere poco sotto la soglia dei 500 parti (427 nel 2015), vanta strutture idonee ad offrire la massima sicurezza alla partoriente e al nascituro, come la rianimazione e la pediatria 24 ore su 24, standard di sicurezza che nessun altro presidio a Vigevano assicura;
   la questione, ad avviso degli interpellanti, non può non coinvolgere il profilo dei livelli essenziali di assistenza riguardo alle prestazioni di ostetricia e neonatologia nell'intero comprensorio, che presenta oltretutto importanti criticità legate alle infrastrutture viarie e difficoltà di collegamento con gli altri centri lombardi –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda, nei limiti delle sue competenze e nel rispetto di quelle regionali, verificare se siano garantiti i livelli essenziali di assistenza nell'ambito territoriale interessato, alla luce della prospettata chiusura del punto nascita di Vigevano.
(2-01321) «Scuvera, Ferrari, Rubinato, Lavagno, Cani, Coccia, Giuliani, Tartaglione, Gribaudo, Piccione, D'Ottavio, Becattini, Iori, Casati, Carocci, Di Salvo, Carra, Gasparini, Albini, Sbrollini, Cominelli, Bratti, Cova, Murer, Bossa, Barbanti, Argentin, Paola Bragantini, Beni, Berlinghieri».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   in risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 3-01937, nel corso della seduta d'Assemblea n. 551 del 20 gennaio 2016, in merito alle «Iniziative per risolvere le problematiche gestionali dell'Istituto mediterraneo di ematologia e garantire il proseguimento delle attività di tale Istituto», il Ministro della salute rassicurò che sarebbe stata preservata «la grande expertise maturata in questi anni, dall'Istituto anche in collaborazione con gli altri enti e istituti che si occupano di talassemia nel nostro Paese e in particolare nella città di Roma»;
   il principio alla base della difesa delle eccellenze dell'IME è quello di continuare l'attività di cura dei bambini presenti, e di quelli provenienti da altre aree del Mediterraneo. Allo stato attuale, il Ministro della salute, ha nominato il dottor Nando Minnella – esperto di operazioni straordinarie quali gestioni liquidatorie di società a partecipazione pubblica – commissario liquidatore dell'Istituto mediterraneo di ematologia;
   detta nomina ha fatto seguito all'atto di scioglimento deciso dal consiglio dell'Ente, al fine di avviare tutte le azioni conseguenti e necessarie alla salvaguardia del know-how di eccellenza della Fondazione, degli asset e del personale nonché a garantire, compatibilmente con le regole della fase liquidatoria, l'accesso alle cure che hanno reso la Fondazione un modello di eccellenza;
   per perseguire tale obiettivo, appare necessaria l'assegnazione delle attività, e il conseguente trasferimento del personale ad esse dedicato, ad una azienda ospedaliera o ad un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico operanti nell'ambito del servizio sanitario nazionale che abbia caratteristiche organizzative e know-how scientifico adeguati e coerenti;
   poiché a tutt'oggi non risulta compiuto alcun passo che vada nella direzione auspicata, si ribadisce l'urgenza di soluzioni tempestive e decisive, dal momento che ci sono professionalità importanti che operano all'interno dell'istituto che vanno tutelate indipendentemente dal destino dell'ente e della fondazione, preservando l'attività clinica e di ricerca dei medici e dei loro collaboratori –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interpellato intenda adottare per preservare le eccellenze dell'IME e la sua «missione» in modo da garantire la ripresa delle attività a vantaggio dei bambini talassemici dell'Italia e dei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo e la valorizzazione del rilevante know-how scientifico ad essa collegato.
(2-01324) «Galgano, Monchiero».

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO, QUINTARELLI, VEZZALI, D'AGOSTINO, CATALANO, SOTTANELLI, GIGLI, FAUTTILLI, MOLEA, PASTORELLI, MATARRESE, VARGIU, BARADELLO e SBERNA. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   destano orrore e sgomento gli episodi, sempre più frequenti in questi ultimi tempi, di maltrattamenti di disabili e anziani, malati psichici o persone affette da Alzheimer umiliati da insulti, schiaffi, calci e minacce negli istituti di accoglienza che avrebbero dovuto proteggerli e donare loro conforto;
   nello specifico è sconcertante quello che, secondo i carabinieri, è accaduto nella casa protetta Villa Matilde di Bazzano, in provincia di Parma. Molti gli episodi documentati, dal video choc mostrato dai militari, che hanno registrato almeno un centinaio di condotte offensive nel giro di quattro mesi ai danni degli ospiti. Sette assistenti della struttura (uomini e donne tra i 28 e i 57 anni) sono finiti ai domiciliari per concorso in maltrattamenti aggravati;
   nei video si vedono ospiti lasciati a terra per diverso tempo dopo una caduta, anziani derisi da operatori che agivano, spiegano gli investigatori, «emulandone i gemiti o le andature barcollanti, mortificati costringendoli a spogliarsi e cambiarsi alla presenza di altre persone»;
   il secondo piano della struttura dov'era situato il reparto dedicato ai malati di Alzheimer e con problemi psichiatrici, era secondo gli interroganti come un lager: gli operatori socio sanitari che dovevano assistere gli ospiti li sottoponevano sistematicamente a violenze fisiche e psichiche;
   gli episodi documentati di violenze e abusi sono almeno un centinaio. Fatti gravi, che hanno richiesto un intervento dei carabinieri anche per la sicurezza degli anziani ospiti. La direzione della struttura non è coinvolta e Villa Matilde continua ad operare: nel reparto psichiatrico sono stati sostituiti tutti gli operatori arrestati;
   gli abusi sono stati fermati venerdì 18 marzo 2016 da un blitz della compagnia dei carabinieri di Parma, che ha eseguito sette ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di altrettanti dipendenti di Villa Matilde, due uomini e cinque donne;
   la Procura ha documentato anche episodi singoli di violenze, compiuti da operatori che erano stati trasferiti temporaneamente da altri reparti. In due casi è stata chiesta l'interdittiva dalla professione per il reato di violenza privata, ad esempio quando un'operatrice ha costretto un anziano a inginocchiarsi e tenendolo per il collo gli ha fatto mangiare la pasta caduta sul pavimento;
   la casa protetta è gestita dalla cooperativa bergamasca Kcs Caregiver ed è convenzionata con il settore pubblico. Da anni presente sul territorio, anche con una sede a Felino, essa aveva un'ottima fama come servizio di accoglienza per anziani. Proprio per questo, denunciano gli inquirenti, non è stato facile squarciare il velo di omertà che ha permesso che nel reparto degli ospiti più fragili le persone venissero trattate come bestie;
   non è il primo caso nel parmense: risale al mese scorso l'arresto di tre operatrici di una casa famiglia a San Pancrazio, Villa Alba, accusate di picchiare e insultare gli ospiti. La struttura è stata chiusa dopo lo scandalo;
   si tratta di una vicenda drammatica di maltrattamenti contro le persone più vulnerabili, che non mancherà certo di sollevare polemiche e interrogativi sui controlli dell'Ausl e dei comuni sulle strutture per anziani, in questo caso anche accreditate dal sistema sanitario nazionale;
   altri i casi documentati come quello nell'agro nocerino-sarnese, dove sette dipendenti della casa di cura «Villa dei Fiori», in via Poggio San Pantaleone, a Nocera Inferiore (Salerno), sono stati arrestati perché ritenuti responsabili, in concorso tra loro, di maltrattamenti. L'indagine, avviata nell'ottobre 2014, ha documentato maltrattamenti fisici e psicologici nei confronti di alcuni ospiti semiresidenziali della casa di cura, portatori di handicap fisici e mentali gravi;
   da un articolo pubblicato sul sito quotidiano.net (www.quotidiano.net/roma) dell'8 febbraio 2016 si evincono altri tragici episodi: «Blitz dei Nas, insieme ai militari del Gruppo Carabinieri di Frascati, fin dalle prime ore del mattino, per eseguire 10 ordinanze di custodia cautelare emesse dalla Procura della Repubblica di Velletri riguardo a maltrattamenti a disabili. Percosse, insulti e intimidazioni, un vero e proprio clima di terrore instaurato in centro di riabilitazione neuropsichiatrico a Grottaferrata, vicino a Roma»;
   un altro caso choc si legge su « Avvenire» del 16 febbraio 2016, con il titolo «Violenze sui disabili: botte e abusi a Cagliari: 16 indagati»: «Calci, pugni, minacce, insulti, umiliazioni ai disabili in una casa di cura da parte di infermieri e operatori sanitari»;
   la Stampa del 20 febbraio 2016, titola: «Presi a schiaffi e calci. Strattonati per i capelli. Picchiati con manici di scopa e chiavi. Feriti, umiliati. Sono un orrore le immagini girate dalla polizia, di nascosto, nella residenza per anziani e malati psichici di Borgo d'Ale, nel Vercellese»;
   si tratta di numerosi e inconfutabili esempi di danni psico-fisici causati a persone deboli, incapaci di autodifendersi, ed è evidente l'intensificarsi dei casi di maltrattamenti nelle strutture di ricovero, ai danni della fascia più debole e indifesa della popolazione che viene trattata come un peso economico-sociale –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda porre in essere per impedire il ripetersi di situazioni quali quelle descritte in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per introdurre misure di controllo e di vigilanza sul piano socio-assistenziale, rivedendo il sistema delle sanzioni e delle pene in caso di mancato rispetto delle norme vigenti. (3-02137)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIRACÌ e FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Klebsiella è un batterio naturalmente presente nel corpo umano; tuttavia, quando è presente all'esterno dell'intestino, potrebbe essere causa di infezioni anche letali. Particolarmente presenti a livello patogeno nel tratto respiratorio, intestinale e urogenitale, è causa di malattie, quali polmonite, infezioni del tratto urinario, spondilite anchilosante e setticemia. Le infezioni da Klebsiella colpisce persone con sistema immunitario debole;
   il contagio avviene per via aerea da persona a persona o tramite l'utilizzo di dispositivi medici come cateteri venosi centrali o apparecchi per la ventilazione. Il Klebsiella è inoltre presente negli ambienti umidi, come condutture di impianti idrici e sistemi di condizionamento degli ospedali. Per questa ragione, per contrastarne la diffusione, le strutture sanitarie italiane sono obbligate per legge a una severa manutenzione degli impianti e al rispetto di stringenti norme igieniche;
   da maggio a settembre 2015 si sono registrati ben 37 casi di contagio da Klebsiella fra l'ospedale Perrino di Brindisi e il centro neurolesi di Ceglie Messapica (Br) e 6 morti sospette fra i reparti di rianimazione, ematologia, geriatria e malattie infettive del Perrino, che vanno ad aggiungersi alle 13 già verificatesi nel 2013;
   il protocollo sanitario prevede che le direzioni sanitarie trasmettano entro 48 ore la comunicazione dei casi di contagio al dipartimento di prevenzione. Nei fatti, dal Perrino di Brindisi, tale comunicazione, a quanto consta agli interroganti, sarebbe arrivata solo il 5 ottobre, con un evidente ritardo;
   già nel 2013, su sollecitazione dei familiari delle vittime da Klebsiella, erano state evidenziate alcune criticità interne al reparto di rianimazione dell'ospedale Antonio Perrino, anche a causa dell'assenza di una zona filtro, circostanza che, secondo la letteratura medica, avrebbe un'incidenza nella diffusione del batterio;
   attualmente le opzioni terapeutiche sono molto limitate e i farmaci devono necessariamente essere somministrati in alto dosaggio, ma negli anni il Klebsiella è stato in grado di sviluppare una forte resistenza agli antibiotici, raggiungendo ad oggi una percentuale di casi pari al 27 per cento. La sola terapia efficace resta la prevenzione e l'osservanza dei protocolli assistenziali, quali isolamento dei paziente e norme igieniche scrupolose –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti, se abbia avviato, per quanto di competenza, una verifica con le aziende ospedaliere in questione per fare luce sui casi di contagio e decesso e se intenda porre in essere efficaci iniziative di controllo e contrasto per evitare il proliferarsi del batterio in questione.
(5-08242)


   ROSTELLATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal report definitivo dell’audit di sistema sul servizio sanitario della regione Veneto relativo alla sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria, effettuato il 12 e 13 novembre 2015, e pubblicato sul sito del Ministero della salute si evincono diverse criticità: carenze nella definizione di compiti, obiettivi e responsabilità del personale della struttura regionale competente in sanità pubblica veterinaria competenze ripartite in maniera non chiara, con un'articolazione organizzativa regionale incompleta e non coerente, inadeguatezza numerica del personale della struttura regionale, con una rilevante perdita negli ultimi anni (da oltre 20 unità del 2010 alle 12 attuali, di cui alcune a tempo parziale) e ancora, una penalizzazione nei dipartimenti di prevenzione delle USl del numero di strutture complesse previste per le quattro articolazioni organizzative dell'area di sanità veterinaria e sicurezza alimentare (i tre servizi veterinari e il Sian) in difformità a quanto stabilite dall'articolo 7-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992;
   l’audit di sistema è stato finalizzato a descrivere e valutare criteri operativi previsti dal Regolamento n. 882 del 2004, concernente l'organizzazione del controllo ufficiale in sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria, nonché il grado di utilizzo degli strumenti di Governo del sistema sanitario previsti dalle norme quadro di riferimento. Il report ha evidenziato come alcune delle azioni migliorative intraprese dalla regione, a seguito dell’audit di sistema del 2010, hanno reso possibile la risoluzione di talune problematiche organizzative, ma anche come altre criticità rilevate non abbiano trovato risoluzione e siano state riconfermate;
   in particolare, a livello della struttura regionale il report evidenzia «l'attribuzione non chiara e una declaratoria delle attribuzioni delle competenze alle articolazioni organizzative dirigenziali, incompleta e non coerente con le attività effettivamente gestite». Quanto alla carenza di risorse umane, si legge, «la perdita di personale determinatasi negli ultimi anni ha determinato necessariamente una ripartizione delle competenze sul restante personale della struttura regionale competente in Sanità pubblica veterinaria e Sicurezza alimentare con un sovraccarico di compiti attribuiti a ciascuna unità di personale. Ciò ha determinato un inevitabile indebolimento della funzione di indirizzo e coordinamento necessaria per la gestione della numerosa e complessa gamma di attività di competenza, costringendo di fatto a scelte di priorità o di emergenza –:
   quali ulteriori elementi possa fornire il Ministro interrogato in relazione all’audit di sistema condotto dal Ministero della salute in relazione al sistema sanitario regionale di cui in premessa e quali risposte, in termini di contromisure alle criticità rilevate, siano pervenute dalla regione Veneto. (5-08245)


   BRIGNONE. —Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 23 marzo 2016, a Marino, nella provincia di Roma, i carabinieri del Nucleo operativo di Castel Gandolfo diretti dal capitano Alessandro Iacovelli, congiuntamente al personale dell'asl Rm6 e dei servizi sociali di Marino, ispezionava la casa famiglia «La Cascina», ospitata in un villino di via del Papa tra Marino e Castel Gandolfo, ove all'interno erano ospitati sette minori di diverse nazionalità tra i 15 e 17 anni;
   il sopralluogo, avvenuto poiché dalla struttura era fuggito un minore, ha fatto scoprire scene terribili;
   la casa famiglia, gestita da una cooperativa onlus, a detta della stampa e degli investigatori, era stata trasformata in una sorta di lager, con pessime condizioni igienico-sanitarie;
   i minori ospitati nella struttura sita in Marino provenivano da Paesi in guerra, e vi erano stati inviati dai servizi sociali di Roma Capitale;
   la casa famiglia riceveva dal comune di Roma circa 70 euro al giorno per minore, per una cifra complessiva mensile pari a 20 mila euro;
   il denaro sarebbe dovuto servire a mantenere gli ospiti in condizioni adeguate ai loro bisogni, invece gli stessi erano costretti a dormire per terra senza coperte e in stanze prive di riparo, poiché senza vetri alle finestre. Nelle strutture erano presenti bagni in pessime condizioni igienico-sanitarie e dispensa per le derrate alimentari fornita solo del minimo indispensabile per la sopravvivenza;
   i carabinieri hanno quindi provveduto a sequestrare la struttura e denunciare la responsabile della struttura, oltre a tre educatori, con l'accusa di abbandono di minori e di persone incapaci –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa e se non ritengano doveroso e necessario, come più volte sottolineato in altri atti di sindacato ispettivo presentati dall'interrogante, assumere iniziative, per quanto di competenza, per trovare soluzioni urgenti affinché fatti di questo genere non accadano più;
   se non ritengano urgente e indispensabile, come più volte ribadito dall'interrogante, assumere iniziative normative per introdurre efficaci misure di repressione per la violenza su minori, disabili e anziani, sempre più coinvolti in situazioni quali quella descritta in premessa, verificando la sussistenza dei presupposti per prescrivere l'installazione di videocamere a circuito chiuso nelle strutture che svolgono attività come quelle sopra indicate. (5-08248)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, DURANTI e RICCIATTI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda sanitaria di Locri ha comunicato in data 23 marzo 2016 la propria carenza di medici nel reparto radiologia spoke, versando in una grave situazione;
   l'azienda comunica altresì che nelle giornate del 22, 23, 24, 26, 27 e 29 marzo 2016 in orario notturno, e in parte anche in orario giornaliero, ovvero dalle 20:00 alle 8:00 del mattino, chi è davvero in urgenza nelle ore notturne dovrà raggiungere l'ospedale più vicino, ovvero quello di Polistena, che si trova nel versante opposto della costa calabrese, raggiungibile solo attraverso la lunga strada statale 106 o la strada cosiddetta Jonio-Tirreno, che appunto mette in comunicazione le due coste calabresi;
   lungo la Jonio-Tirreno si trova una galleria di 3,2 chilometri situata sotto il passo della Limina e che, pur versando in uno stato di degrado e abbandono per mancanza di illuminazione e sistema di aerazione, rimane la strada più percorsa e più utile per mettere in comunicazione due versanti altrimenti così lontani come la costa Jonica e quella Tirrenica;
   Anas ha comunicato che dal 15 marzo al 1o luglio 2016 il traffico verrà fortemente ridotto e regolato per consentire il ripristino dell'impianto di ventilazione e l'efficientamento dell'impianto elettrico;
   vista la carenza di personale medico presso l'ospedale di Locri ne consegue che i cittadini che vengono invitati a rivolgersi all'ospedale di Polistena possano essere messi a rischio da questa interruzione di servizio (i mezzi di soccorso non privati possono comunque circolare liberamente), potendo incappare in momenti in cui il transito non è consentito a mezzi privati –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intenda ovviare, per quanto di competenza, ad una interruzione di pubblico servizio, sia sul fronte ospedaliero, eventualmente attraverso il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, che su quello dei trasporti, mettendo a rischio i cittadini che privatamente decidano di indirizzarsi verso una struttura ospedaliera in caso di malore.
(4-12641)


   CATANOSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i costi della sanità in Italia, con una siringa che arriva a costare otto volte di più da una regione ad un'altra, rappresentano una vergogna tutta italiana;
   da mesi, il Presidente del Consiglio ed il Ministro interrogato sono prodighi di dichiarazioni alla stampa con le quali annunciano le centrali uniche d'acquisto;
   l'amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni, ha annunciato che «entro marzo dovrebbe partire una gara per l'acquisto delle siringhe, che avranno quindi un prezzo standard per tutto il territorio nazionale»;
   secondo quanto ha dichiarato il Ministro interrogato, presente all'incontro tenutosi al Ministero dell'economia e delle finanze sul tema della centrale unica degli acquisti, «con le centrali uniche d'acquisto è evidente che il costo subirà un calo molto forte»;
   andando a spulciare nei conti delle asl italiane, quello che l'autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha fatto emergere è un vero e proprio caos dovuto alle 35 mila centrali d'acquisto sparse per tutto il territorio;
   comprare una siringa sterile dovrebbe costare ad una asl o un ospedale solo 2 centesimi di euro, e non 65 centesimi, come avviene in qualche parte della penisola;
   il costo di una giornata alimentare di un paziente non dovrebbe superare i 9,40 euro, e il singolo pasto del dipendente non dovrebbe andare oltre i 4,62 euro;
   secondo quanto ha recentemente dichiarato il Ministro interrogato, «in linea di massima ci attendiamo con questo sistema tra il 15 e il 20 per cento di risparmi, ma non è solo questione di risparmio, il sistema ci aiuterà anche a migliorare l'analisi del processo d'acquisto»;
   il progetto del Governo è quello di ridurre le centrali d'acquisto a sole 33 rispetto alle attuali 35 mila. Il sistema prevederebbe una centrale nazionale di acquisto, la Consip, 21 centrali regionali, 2 province e 9 città metropolitane. Per il 2016 dovrebbero essere affrontate 19 categorie merceologiche di cui 14 riguardanti la sanità, dagli stent alle siringhe e con l'introduzione delle nuove metodologie ci dovrebbero essere risparmi per 12,6 miliardi di euro nella spesa sanitaria e per 3 miliardi in quella dei comuni;
   in Sicilia, secondo quanto dichiara l'assessore regionale alla salute Baldo Gucciardi, si dovrebbe essere all'avanguardia. «La Sicilia è già all'avanguardia perché come annunciato, entro fine mese (febbraio) avremo la composizione della nuova centrale unica per gli appalti. Saranno ottenuti cento milioni di risparmi entro l'anno eliminando gli sprechi nella sanità siciliana. Abbiamo potenziato i controlli degli appalti di Asp e ospedali con cui stiamo accertando che molte gare vengono affidate in modo inadeguato e con costi eccessivi»;
   la situazione descritta offre un quadro idilliaco dei costi della sanità nazionale e siciliana peccato che, a giudizio dell'interrogante, la situazione sia disastrosa e vergognosa sotto ogni profilo sia economico che sanitario;
   da qualunque punto di vista si osservi la sanità nazionale e siciliana, il quadro reale è talmente desolante che le dichiarazioni del Ministro interrogato e dell'assessore regionale siciliano sembrano disconoscere completamente la realtà –:
   quali siano i tempi di realizzazione della centrale nazionale degli acquisti, delle 21 centrali regionali, delle 2 provinciali e delle 9 città metropolitane.
(4-12646)


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la «giornata della donna» è stata non solo una giornata finalizzata alla pubblicità mediatica di un evento molto importante, ma e stato anche un, momento per pensare alla salute della donna;
   gli ultimi dati globali mostrano che quasi un milione di donne muore per malattie in relazione alle quali ha avuto modo di curarsi in modo adeguato e che circa un milione di loro cessa di vivere a causa del cancro ogni anno. La stragrande maggioranza di questi decessi si verifica nei Paesi a basso e medio reddito, dove gli screening, la prevenzione e il trattamento sono quasi inesistenti, e in cui le vaccinazioni contro determinati virus hanno bisogno ancora di prendere piede;
   i due tumori più comuni che colpiscono le donne sono quelli al seno e al collo dell'utero;
   la chiave per mantenere le donne in una buona condizione di salute è quella di rilevare precocemente entrambi questi tipi di cancro; infatti, i problemi di salute sessuale e riproduttiva sono i responsabili di un terzo dei problemi di salute per le donne di età compresa tra 15 e 44 anni. Questo è il motivo per cui è così importante offrire assistenza a milioni di donne che non sono in condizioni economiche da avere un'adeguata assistenza sanitaria;
   si parla soprattutto della salute materna. Molte donne stanno beneficiando degli enormi miglioramenti delle cure durante la gravidanza e il parto introdotti nel secolo scorso. Ma tali benefici non si estendono ovunque e nel 2015 quasi 200.000 donne sono morte per complicazioni durante la gravidanza e il parto. La maggior parte di queste morti avrebbe potuto essere evitata. Molte sono le giovani donne che portano il peso delle nuove infezioni virali;
   troppe giovani donne lottano ancora per proteggersi contro le nuove malattie genetiche e virus e per ottenere il trattamento di cui hanno bisogno. Sempre loro risultano essere particolarmente vulnerabili alla tubercolosi una delle principali cause di morte nei paesi a basso reddito delle donne tra i 20 e i 59 anni. Oltre a proteggersi dalle infezioni virali, è anche fondamentale migliorare la prevenzione di tante malattie di nuova generazione. Queste malattie non trattate sono responsabile di più di 200.000 nati morti e morti fetali precoci ogni anno, oltre che del decesso di oltre 100.000 neonati;
   per non parlare poi della violenza contro le donne. Oggi, una donna su 5 sotto i 50 anni ha subito una violenza fisica o sessuale. Questo genere di violenza colpisce sia la salute fisica che quella mentale, nel breve e lungo termine. E importante che gli operatori sanitari siano in grado di riconoscerla e fornire supporto alle persone che ne soffrono. Inoltre, è importante la salute mentale delle giovani donne. L'evidenza suggerisce che le donne sono più inclini degli uomini a sperimentare l'ansia, la depressione, e disturbi somatici. La depressione è il problema di salute mentale più comune per le donne e il suicidio una delle principali cause di morte per le donne sotto i 60 anni. E di vitale importanza aiutare a sensibilizzare le donne ai problemi di salute-mentale, dando loro la fiducia necessaria per richiedere assistenza;
   nel 2015, circa 5 milioni di donne sono morte a causa di malattie non trasmissibili prima di raggiungere i 70 anni. Sono morte a causa di incidenti stradali, consumo di tabacco, abuso di alcol, droghe e sostanze, e obesità, più del 50 per cento delle donne sono in sovrappeso in Europa e nelle Americhe. Aiutare le donne ad adottare stili di vita sani è la chiave per una vita lunga e sana;
   le adolescenti devono affrontare una serie di sfide: le malattie di nuova generazione, quelle sessualmente trasmissibili e la gravidanza. Circa 13 milioni di adolescenti (di età inferiore ai 20 anni) partoriscono ogni anno. Le complicazioni di queste gravidanze sono una delle principali cause di morte per le giovani madri. Molte, inoltre, soffrono le conseguenze di aborti a rischio;
   avendo lavorato spesso in casa, le donne più anziane possono avere minori pensioni e sussidi, un minor accesso alle cure sanitarie e ai servizi sociali rispetto ai colleghi maschi. Le donne anziane hanno anche rischio maggiore di abusi e, in generale, peggiori condizioni di salute –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in merito alle priorità indicate e riportate in premessa, per avviare una campagna informativa per eliminare le disuguaglianze che non permettono l'accesso a servizi sanitari decenti, servizi fuori dalla portata di tante donne che vivono in condizioni di povertà.
(4-12655)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la CoopCa (Cooperativa Carnica), nata nel 1906, è una cooperativa di consumo appartenente all'ampio mondo delle cooperative che copre un vasto territorio comprendente le valli della Carnia (provincia di Udine), parte del pordenonese e parte delle zona alpina del Veneto;
   la cooperativa in questione risulta aderente a tre associazioni del movimento cooperativo rispettivamente Confcooperative Unione regionale della cooperazione Friuli-Venezia Giulia, Lega delle cooperative del Friuli-Venezia Giulia, associazione regionale AGCI Friuli Venezia Giulia;
   la cooperativa medesima è sempre stata sottoposta a revisione ordinaria da parte delle associazioni di appartenenza sopra menzionate, in ossequio alla normativa vigente, pertanto l'attività di vigilanza nei confronti di CoopCa così come disposto dall'articolo 14, comma 5, della legge regionale 3 dicembre 2007, n. 27, del Friuli-Venezia Giulia, è stata svolta alternativamente dalle predette associazioni;
   le revisioni effettuate dai 2011 al 2013 hanno evidenziato che negli ultimi anni la società ha chiuso il bilancio con perdite d'esercizio ascrivibili alla crisi economica globale in atto anche se, tutte le verifiche, si sono concluse con il rilascio dell'attestazione di revisione;
   il collegio sindacale nella relazione di competenza ha espresso parere positivo sui bilanci medesimi, condividendo i criteri seguiti nella gestione sociale per il conseguimento delle finalità mutualistiche ed invitando i soci ad approvare i bilanci così come redatti dagli amministratori;
   la società di certificazione ha redatto le relative relazioni, con alcuni richiami di informativa, ma senza rilievi ed osservazioni, confermando la conformità dei singoli bilanci alle norme che ne disciplinano i criteri di redazioni ed il fatto che tali documenti rappresentano in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria ed il risultato economico della società;
   nella comunicazione del 4 novembre 2014, il medesimo collegio sindacale che aveva firmato i bilanci gli anni prima ha evidenziato la presenza di una grave condizione patrimoniale che, collegata all'attuale crisi del settore dei consumi e la sottocapitalizzazione della società medesima, non permetteva di procedere al regolare puntuale pagamento dei fornitori. La segnalazione concludeva con la richiesta di effettuazione di una revisione straordinaria onde assumere le informazioni necessarie per l'urgente e improcrastinabile decisione del caso;
   la giunta regionale, con propria delibera del 7 novembre 2014 ha disposto l'effettuazione di una revisione straordinaria nei confronti della cooperativa prevedendo che l'attività revisionale dovesse essere svolta in maniera adeguatamente approfondita e articolata anche mediante l'affiancarsi di due diversi revisori, in relazione alla complessità della tempistica dell'analisi da effettuare nonché delle caratteristiche dimensionali ed organizzative da società oggetto di vigilanza. Il giorno stesso si è provveduto a conferire l'incarico;
   in data 16 novembre 2014 l'organo amministrativo della società ha deliberato di presentare ricorso contenente la domanda di concordato preventivo in bianco a norma dell'articolo 161, comma 6, della legge fallimentare delegando il presidente del consiglio d'amministrazione al compimento di tutti gli atti necessari;
   in data 20 gennaio 2015 il tribunale di Udine ha dichiarato ammissibile l'istanza presentata assegnando il termine di 60 giorni dalla pubblicazione del ricorso medesimo presso il registro imprese per il deposito di proposta concordataria del piano e della documentazione del caso;
   l'amministrazione regionale, a seguito della segnalazione inviata dal collegio sindacale, ha provveduto immediatamente attivando la revisione straordinaria sulla CoopCa, che si è conclusa con la relazione dei revisori che chiedevano l'adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa in presenza degli accertati presupposti di legge. Tale procedura di liquidazione non è stata adottata dall'amministrazione regionale in pendenza del presente concordato preventivo in bianco;
   l'autorità regionale di vigilanza non è rimasta inerte di fronte alla vicenda ivi descritta, assumendo anzi in tempi ristretti tutti i provvedimenti di competenza, compresa la revisione straordinaria nel rispetto dei limiti della vigente normativa per acclarare l'effettiva condizione patrimoniale di CoopCa;
   CoopCa aveva una importante funzione sociale ed economica all'interno del territorio sopracitato; la cooperazione e il reciproco aiuto sono valori da sempre radicati nel difficile territorio delle Alpi carniche e molti cittadini hanno investito negli anni i propri risparmi con la convinzione di un rapporto reciproco di prestiti e investimenti, basato essenzialmente sulla fiducia in una gestione oculata delle risorse. Il libretto CoopCa, per molti soci fungeva quasi da bancomat, e senza alcun preavviso queste persone si sono ritrovate senza più accesso alle proprie risorse per il mantenimento quotidiano;
   dalla lettura dello stato di attuazione del piano di concordato redatto, al 31 gennaio 2016, dal giudice delegato, Lorenzo Massarelli, e dal commissario giudiziale Fabiola Beltramini l'ipotesi di rimborso, stimato nel piano concordatario, dal 50 al 74 per cento dei 27 milioni versati dai soci prestatori appare alquanto improbabile. La cifra, infatti, sarà nettamente inferiore perché allo stato dei fatti le cessioni fin qui operate (immobili e rami d'azienda) non sono riuscite neppure a coprire quanto vantano i creditori privilegiati (dipendenti, fisco, banche per i debiti a lungo termine e coloro che sono intervenuti, dal punto di vista professionale, nella procedura). In totale, quindi, mancano 2,3 milioni di euro per poter soddisfare tutti i creditori privilegiati;
   tra immobili e partecipazioni, in base all'ultima valutazione, gli incassi ancora realizzabili ammontano a 10 milioni di euro. Tale valore però potrebbe scendere perché si tratta di negozi e immobili che sono già andati all'asta e non hanno ricevuto offerte e quindi l'eventuale vendita potrà essere solo al ribasso. Con tali cifre, le posizioni che potrebbero essere sanate sono quelle dei creditori privilegiati mentre i soci prestatori difficilmente incasseranno quanto spetta loro;
   la Coop Alleanza 3.0 ha ufficializzato una liberalità per la restituzione in tre tranche (la prima entro il mese di aprile 2016) di circa il 50 per cento (13,5 milioni di euro) della somma versata dai soci prestatori di CoopCa (27 milioni di euro), ma stando a quanto riferito dai rappresentanti dei soci prestatori non c’è stato, ad ora, ancora alcun contatto, creando una comprensibile agitazione tra gli stessi;
   le citate somme relative ai risparmi dei soci risultano ancora iscritte nei libretti CoopCa degli stessi, almeno fino a quando non si concluderà la procedura concordataria, ovvero, nella migliore delle ipotesi, nel 2018. Nonostante le limitate possibilità di riavere possesso di almeno una parte delle somme, come confermato dal commissario giudiziale, esse concorrono ugualmente, secondo la vigente normativa, al calcolo del parametro ISEE compromettendo in molti casi il diritto per i soggetti già danneggiati di accedere alle prestazioni assistenziali che in realtà spetterebbero loro vista la situazione attuale –:
   quali siano gli intendimenti del Governo e le iniziative che ritengano di intraprendere al fine di:
    a) tutelare i soci risparmiatori danneggiati dalla vicenda CoopCa richiamata in premessa anche prevedendo la possibilità di istituire, nel primo provvedimento utile, un fondo di solidarietà a garanzia dei citati soggetti coinvolti in episodi di accertata cattiva amministrazione finanziato anche con risorse messe a disposizioni dalle associazioni nazionali di rappresentanza del settore giuridicamente riconosciute (Legacoop, Confcooperative, A.G.C.I., U.N.C.I., Unicoop e Uecoop);
    b) evitare che somme come quelle ancora iscritte nei libretti di risparmio CoopCa concorrano alla determinazione del reddito ai fini ISEE pregiudicando in tal modo l'accesso allo prestazioni assistenziali connesse, fino a quando non sarà definita la loro entità e sarà garantita la loro disponibilità.
(2-01323) «Coppola, Fanucci, Rosato».

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori della Thales Italia spa di Chieti hanno occupato lo stabilimento in segno di protesta contro la decisione della proprietà di smantellare il sito teatino e trasferire i lavoratori in altri stabilimenti;
   la Thales Italia spa ha siti produttivi e di ricerca a Chieti, Firenze, Gorgonzola, Vergiate e Roma, è una controllata italiana della multinazionale francese gruppo Thales spa che opera nel campo dei sistemi elettronici e di comunicazione per la difesa, dei sistemi di ausilio alla navigazione aerea, dei sistemi per il segnalamento ferroviario e in altri ambiti ad alta tecnologia;
   il sito industriale di Chieti (unico sito di proprietà), con i suoi circa 100 dipendenti, di cui oltre 60 impiegati in ricerca e sviluppo e con un ventaglio di competenze ed un know-how trentennali, sviluppati anche grazie a finanziamenti e progetti di ricerca governativi, ha da sempre rappresentato il fiore all'occhiello nella ricerca sulle nuove tecnologie e sulla conseguente progettazione e produzione di apparati e sistemi nell'ambito della difesa;
   un esempio è la ST@R Mille; la Radio del soldato di riferimento nel catalogo del gruppo Thales, sviluppata interamente nel sito teatino, grazie anche ai fondi ricevuti dal Ministero della difesa, dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e da EDA;
   a Chieti si sviluppano o si mantengono in condizioni operative numerosi altri sistemi per le telecomunicazioni di interesse strategico per il nostro Paese (ad esempio, la rete numerica interforze e la rete interforze fibra ottica nazionale), per la guerra elettronica (radio disturbatori e jammer), per la rilevazione di minacce CBRN (chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari), solo per citarne alcuni;
   inoltre, curando i rapporti con le università abruzzesi e del centro Italia e utilizzando anche l'indotto locale, sono stati portati a termine, molteplici progetti di ricerca e innovazione tecnologica (da cui sono scaturiti brevetti e pubblicazioni) per i Ministeri della difesa italiano, tedesco, olandese, indiano e arabo e per il Ministero dell'interno;
   tali progetti hanno ottenuto importanti riconoscimenti, contribuendo ad affermare l'eccellenza del nostro Paese a livello internazionale;
   nonostante il sito di Chieti sia riconosciuto sia a livello europeo che nel gruppo Thales come centro di eccellenza per le sue attività all'avanguardia, la crisi degli scorsi anni unitamente alle politiche di «razionalizzazione» attuate dal management dell'azienda hanno portato ad un lento ed inesorabile processo di disinvestimento nel sito teatino;
   da quasi due anni la regione Abruzzo, con il vice presidente Giovanni Lolli in prima linea, si sta impegnando per evitare che l'ennesimo pezzo di tessuto industriale abruzzese si disgreghi; l'esito negativo della crisi in corso non porterebbe solo a un problema occupazionale, ma anche ad un netto impoverimento industriale e tecnologico del territorio, facendo svanire nel giro di qualche mese, e per decisioni prese Oltralpe, un patrimonio di conoscenze accumulato nel corso di decenni;
   nel corso dell'ultimo incontro tenutosi presso il Ministero dello sviluppo economico, le dichiarazioni del management italiano dell'azienda sono state, a parere dell'interrogante, sconcertanti; infatti, dopo aver chiesto e ottenuto l'impegno delle istituzioni italiane a creare le condizioni per poter concretizzare nuove opportunità di lavoro sul mercato domestico, il management ha reso nota la volontà del gruppo Thales di abbandonare praticamente tutte le attività svolte in Italia nell'ambito della difesa, di fatto «condannando a morte» il sito di Chieti;
   secondo il management, solo lo sviluppo della Radio del soldato ST@R Mille potrebbe continuare, ma con un orizzonte limitato a soli tre anni e impiegando un quarto del personale del sito in una nuova azienda creata artificialmente a tale scopo, detenuta da Thales e dalla multinazionale malese Sapura;
   tale scelta, come ribadito più volte dai lavoratori dell'azienda e dalle istituzioni stesse, porterebbe ad una frammentazione e dispersione del know-how e delle potenzialità che il sito di Chieti è in grado di esprimere, compromettendone irrimediabilmente il futuro –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere a sostegno degli sforzi congiunti sostenuti dalle istituzioni locali e nazionali e dai lavoratori interessati dalla vertenza in atto, presso il management italiano e francese affinché sia abbandonato il progetto dismembramento di una realtà industriale presente da decenni sul territorio abruzzese — che avrebbe di certo attualmente un ruolo importante da giocare per la difesa e la sicurezza del nostro Paese – e quali azioni intenda intraprendere per favorirne, al contrario, il rilancio produttivo. (3-02136)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE MENECH. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere — premesso che:
   De Rigo spa è nata nel 1978 per iniziativa dei fratelli De Rigo, dapprima come una piccola realtà artigianale del Bellunese, per poi svilupparsi fino a diventare un gruppo leader a livello mondiale nel design, nella produzione e nella distribuzione di montature da vista e occhiali da sole di alta gamma;
   un'estesa rete distributiva wholesale, gestita dalla De Rigo Vision spa, permette di distribuire i prodotti del gruppo in circa 80 Paesi, soprattutto in Europa, Asia e nelle Americhe, attraverso 15 società con 18 divisioni commerciali e oltre 100 distributori indipendenti;
   De Rigo Vision è presente in tutti i più importanti mercati del mondo con i propri marchi Lozza, Police, Sting e Lozza Sartoriale e con le licenze Blumarine, Blugirl, Carolina Herrera New York, CH Carolina Herrera, Chopard, Dunhill, Escada, Fila, Furla, Lanvin, Loewe, MilleMiglia, Momodesign, Nina Ricci, Tous, Trussardi, Zadig&Voltaire;
   è uno dei più importanti attori nel campo del retail dell'ottica, soprattutto in Europa, grazie alle catene di proprietà General Optica (Spagna), Mais Optica (Portogallo), Opmar Optik (Turchia) e alle partecipate Boots Opticians (UK) e Sewon (Corea);
   l'azienda, alla fine del 2015, aveva annunciato la chiusura del bilancio con un +4 per cento di utile, oltre all'apertura di una filiale diretta negli Emirati Arabi da dove controllare gran parte del bacino del Golfo;
   nello stabilimento di Longarone, in provincia di Belluno, lavorano 900 dipendenti;
   nei giorni scorsi il gruppo De Rigo Vision ha comunicato ai sindacati di categoria e ai rappresentanti dei lavoratori di aver chiesto la mobilità per 108 dipendenti;
   nell'ultimo periodo il gruppo ha subito un calo di commesse, probabilmente a causa dell'addio, nel 2015, di due marchi importanti Givenchy, passato alla Safilo di Longarone e Zegna, passato alla Marcolin sempre di Longarone;
   insieme a sindacati e rappresentanti dei lavoratori il gruppo ha deciso di procedere con la mobilità volontaria: saranno pertanto i dipendenti, in modo del tutto volontario e spontaneo, a decidere di uscire dall'azienda, dietro un incentivo concordato di 10 mila euro. Successivamente, per far fronte agli eventuali esuberi che restassero in piedi, potrebbero arrivare gli ammortizzatori sociali e il contratto di solidarietà;
   è la prima volta che alla De Rigo si fa mobilità volontaria per una riduzione della produzione in Italia;
   entro qualche settimana sarà presentato un piano di riorganizzazione per far fronte al taglio degli ordini dopo la perdita delle due licenze Givenchy e Ermenegildo Zegna;
   l'accaparramento dei marchi rappresenta ormai una lotta senza quartiere tra le società dell'occhialeria;
   per il territorio Bellunese il mondo dell'occhiale rappresenta un settore strategico che dà lavoro a circa 16 mila persone –:
   come il Ministro interrogato intenda sostenere il comparto dell'occhiale della provincia di Belluno e, nello specifico, come intenda monitorare e sostenere la situazione della De Rigo e dei suoi dipendenti. (5-08238)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Bilcare di Castiglione Olona è l'unica azienda in Europa a produrre film in pvc, utilizzati per produrre card in tutto il mondo, dalle carte di credito a quelle fedeltà ed, in alcuni Stati, anche per le patenti e le carte d'identità;
   la scelta dell'Unione europea di utilizzare il policarbonato, in luogo del pvc, per le nuove carte d'identità elettroniche ha messo in stato di agitazione l'azienda e i suoi dipendenti, questi ultimi temono probabili ripercussioni sul loro futuro lavorativo;
   la sperimentazione partita in Italia nel 1997 vedrà prossimamente la sostituzione delle carte d'identità cartacee con quelle elettroniche, dapprima nei comuni che hanno aderito alla sperimentazione stessa e poi nel resto del territorio;
   l'Unione europea, dopo aver definito, attraverso una linea di azione programmatica, la necessità di sostenere e valorizzare il sistema produttivo delle micro, piccole e medie imprese, e questo soprattutto in riferimento a quegli Stati, come l'Italia, dove le stesse ne costituiscono l'impalcatura economica, nei fatti decide secondo l'interrogante di tagliare fuori dal mercato l'unica azienda italiana leader nel settore;
   a beneficiare di una simile strategia sono ovviamente i produttori di policarbonato, tra cui risultano proprio le aziende tedesche e quelle cinesi, per le quali ultime, emergono dubbi circa il mantenimento degli stessi livelli di qualità e professionalità garantiti fino ad oggi dalla Bilcare;
   dietro le produzioni della Bilcare c’è una solida storia industriale e di ricerca che si tramanda da generazioni e preesistente alla costituzione stessa dell'Europa;
   non si comprende quale possa essere la natura di una simile strategia, anche in considerazione del fatto che il policarbonato costa circa 25 euro al chilogrammo, circa 5 volte più del pvc; l'interrogante ritiene anche che tale strategia violi le regole della concorrenza, a danno delle aziende italiane in primis, ma anche dei contribuenti, sui quali, alla fine, ricadranno i maggiori costi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga, alla luce delle strategie descritte che potrebbero alterare la concorrenza a danno, in primo luogo, della Bilcare e dei suoi dipendenti, di assumere le iniziative di competenza presso le competenti sedi europee, affinché sia mantenuto l'equilibrio concorrenziale nel mercato;
   quali iniziative intenda assumere presso le opportune sedi europee affinché venga più in generale riconosciuto e valorizzato il sistema produttivo italiano che, grazie ad aziende come la Bilcare, ha acquisito notorietà nel mondo, a garanzia della qualità delle produzioni e della professionalità. (4-12668)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Lodolini n. 5-07716, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Basso.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Albanella n. 5-07961, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Patrizia Maestri.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Cimbro n. 5-07475 del 21 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Massimiliano Bernini n. 5-07829 del 18 febbraio 2016;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Naccarato e D'Arienzo n. 5-06979 del 12 novembre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02138.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Simone Valente e altri n. 5-08144 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 591 del 16 marzo 2016. Alla pagina 35556, seconda colonna, dalla riga sesta alla riga settima, deve leggersi: «pari a 2 milioni di euro per l'anno 2016 e 8 milioni di euro per l'anno 2017 in favore delle attività» e non come stampato.