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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 21 marzo 2016

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALATI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   come è noto, negli ultimi mesi la città calabrese di Lamezia Terme è stata interessata da un’escalation di intimidazioni, ai danni di attività commerciali e cantieri edili, con differenti modalità, dall'incendio di vetture e mezzi di trasporto al posizionamento ed esplosione di ordigni, dal deposito di proiettili al recapito di messaggi intimidatori, lasciati nei pressi di esercizi commerciali;
   con riferimento agli atti intimidatori registrati, la reazione politica si è concretizzata più volte ed a più livelli istituzionali, nella richiesta di un forte intervento da parte dello Stato e delle istituzioni di Governo centrale per assistere gli enti territoriali impegnati quotidianamente nell'azione di contrasto di tali gravissimi fatti, che delineano l'emersione di un chiaro quadro di emergenza ed urgenza sul versante della sicurezza dei cittadini e della protezione doverosa delle unità produttive e degli esercizi commerciali che operano sul territorio;
   il 4 febbraio 2016, proprio con riferimento a questa emergenza, l'interrogante ha già presentato al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia una interrogazione parlamentare con la quale si chiedeva di sapere se i Ministri ritenessero di poter intervenire con azioni mirate per il contrasto dei continui atti intimidatori, chiedendo in particolare quali iniziative gli stessi ritenessero di poter assumere per consentire un incremento degli organici delle forze dell'ordine e della magistratura;
   tuttavia, proprio mentre emerge chiaramente ed in modo impellente, la necessità di una maggiore garanzia e di un potenziamento dei presidi di sicurezza pubblica in un'area territoriale caratterizzata da elevatissimi indici di attività criminale da parte di gruppi organizzati, circola a mezzo stampa la notizia dell'imminente trasferimento della caserma della guardia di finanza di Lamezia Terme dalla centrale via del Progresso – attualmente collocata nell'ambito della circoscrizione comunale «Nicastro» – ad altra struttura sita nella zona aeroportuale, collocata nella circoscrizione comunale di «Sant'Eufemia – Lamezia» e al di fuori dell'area urbana. Sempre secondo quanto si apprende dalla stampa, la motivazione posta alla base del provvedimento risponderebbe ad esigenze di amministrazione economica e finanziaria e sarebbe orientata al conseguimento di risparmi di spesa: si tratta di un provvedimento legittimo e conforme al principio di autonomia organizzativa delle istituzioni preposte alla pubblica sicurezza, ma che determinerebbe d'altra parte una significativa contrazione dei livelli di sicurezza e delle possibilità di controllo del territorio all'interno dell'area urbana della città, da parte delle forze di polizia impegnate in un'azione di prevenzione e repressione fondamentale per la sicurezza della città;
   l'interrogante, anche a fronte della preoccupazione manifestata dai cittadini rispetto all'ipotesi di totale trasferimento del presidio al di fuori dell'area urbana, evidenzia l'opportunità di valutare una revisione e rideterminazione di tale decisione, nel senso di mantenere comunque, anche in caso di trasferimento, un polo o presidio operativo nell'attuale sede di via del Progresso; il volume della sicurezza e della tutela dell'integrità fisica e morale e del lavoro dei cittadini e degli imprenditori, non può essere infatti per nessuna ragione, ancor meno per una questione meramente economica, oggetto di riduzione e ridimensionamento, in specie in un momento di grave crisi per la sicurezza pubblica, come lo è quello che attualmente vivono i cittadini e gli imprenditori calabresi ed in particolare gli abitanti di Lamezia Terme;
   si evidenzia, inoltre, come la zona in cui è attualmente collocato il presidio, in via del Progresso, è, come riporta la stampa, all'attenzione degli inquirenti in quanto area esposta all'influenza di attività illegali: il dislocamento totale del presidio operativo della guardia di finanza dal centro della città ad altra zona, oltre a limitare le possibilità di controllo diretto ed immediato ed agevolare l'interazione con la cittadinanza, data la centralità della struttura, sarebbe anche un segnale di debolezza delle istituzioni dello Stato rispetto all'attuale rafforzamento della criminalità organizzata, veicolando all'esterno il messaggio dell'insufficienza di mezzi idonei e risorse adeguate a presidiare la sicurezza del territorio e garantire la legalità:
   l'interrogante sottolinea inoltre che il perseguimento della finalità del risparmio di spesa pubblica o spending review non può ancora una volta, come troppo spesso avviene, e specialmente in questo delicatissimo momento di preoccupazione e timore generale per la pubblica incolumità, prevalere rispetto alla finalità del contrasto deciso e marcato di ogni forma di attività del crimine organizzato; al contrario, è doveroso, a parere dell'interrogante, potenziare decisamente le strutture operative delle forze dell'ordine e dotare i corpi di polizia impegnati su territori interessati da situazioni di crisi ed emergenza, come lo è attualmente quello di Lamezia Terme, di maggiori strumenti di intervento;
   l'interrogante evidenzia, altresì, che l'attuale collocazione consente al presidio della guardia di finanza di proporsi per la città quale punto di riferimento: la presenza all'interno dell'area urbana, di una struttura preposta al presidio della sicurezza e della legalità rappresenta un elemento di tutela della serenità dei cittadini –:
   se il Governo ritenga di potersi attivare per garantire il mantenimento di un polo operativo del presidio della guardia di finanza di Lamezia Terme nella sede attuale, posta al centro della città ed idonea a garantire un efficace controllo sulla legalità nell'area urbana. (4-12591)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 2010 la regione Calabria è commissariata per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale;
   per legge, detto commissariamento doveva cessare il 31 dicembre 2012;
   secondo l'interrogante, come evidenziato nell'interpellanza urgente n. 2-01172, la proroga del commissariamento è avvenuta senza alcun atto giustificativo e non conformandosi alla norma urgente;
   il 12 marzo 2015 il Consiglio dei ministri ha nominato l'ingegner Massimo Scura e il dottor Andrea Urbani, rispettivamente, commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria;
   su Il Quotidiano del Sud del 17 marzo 2016 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Le mani di Scura sugli ospedali»;
   il riferimento è alle manovre del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del debito sanitario regionale calabrese, Massimo Scura, per «commissariare la gestione degli Hub con un decreto che viola le norme»;
   nel suddetto pezzo, il giornalista Adriano Mollo scrive che «da tempo il duo Scura e Urbani ha avviato le manovre per mettere sotto la loro tutela la gestione dei tre ospedali Hub anticipando e forzando l'istituto del commissariamento delle aziende in deficit previste, dalla legge di stabilità 2016»;
   il riferimento è all'articolo 1, comma 524, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», secondo cui ciascuna regione, entro il 30 giugno di ogni anno individua, al fine di commissariarle, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, gli Irccs e gli altri enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura che presentano: a) uno scostamento tra costi e ricavi pari o superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro; b) il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure;
   secondo quanto risulta all'interrogante, tuttavia, ancora non è stato emanato il decreto attuativo (previsto al comma 526 della suddetta legge) atto a definire «la metodologia di valutazione dello scostamento di cui al comma 524», ragion per cui, come scrive il giornalista Mollo nel succitato articolo, al momento la normativa può trovare applicazione;
   ciononostante la struttura commissariale ha inserito anzitempo tale potere previsto nella legge di stabilità nel decreto del commissario ad acta n. 129 del 2015 del 31 dicembre 2015;
   il «piano», secondo quanto si legge ancora nel succitato articolo, è quello di «mettere le “briglie” ai tre direttori generali degli ospedali hub che sono più “spigolosi” verso la struttura commissariale e più in sintonia con il presidente della giunta regionale Mario Oliverio. Infatti è nota l'indipendenza intellettuale Gentile (Annunziata), Frank Benedetto (Riuniti) e Giuseppe Panella (Pugliese), artefici in questi mesi, su molte questioni, di veri e propri bracci di ferro con il commissario e il sub»;
   la manovra, però, non sarebbe affatto legittima, come testimonia il giornalista Adriano Mollo: nel decreto del commissario ad acta n. 129 del 2015, infatti, sotto la dicitura «riparto fondo sanitario regionale», è stato previsto il piano di rientro per le aziende ospedaliere che non rispettano gli equilibri di bilancio (differenza tra costi e valore della produzione). Il punto, però, è che nel suddetto decreto si riportano i dati relativi al bilancio 2014, «con l'Annunziata in rosso per 49 milioni di euro, il Pugliese per 16,6 milioni, il Riuniti per 14 milioni»;
   all'articolo 1, comma 525, della suddetta legge di stabilità, si specifica tuttavia che «per la verifica delle condizioni di cui al comma 524, lettera a) (scostamento tra costi e ricavi pari o superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro, nda), sono utilizzati i dati dei costi relativi al quarto trimestre 2015», e non quelli invece relativi al 2014 come fatto dalla struttura commissariale calabrese;
   secondo quanto ancora precisato dall'articolista, peraltro, la regione Calabria dovrà anche e innanzitutto tener conto delle linee guida al vaglio dalla Conferenza della regione che, se non emendate, non porteranno al decreto attuativo del Ministero della salute, da adottare di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ricordato in premessa;
   a parere dell'interrogante tale vicenda desta legittimo sospetto sull'operato della struttura commissariale, finalizzata non al bene dei cittadini e alla tutela dei livelli essenziali di assistenza, bensì al perseguimento di quelle che appaiono specifiche manovre politiche –:
   se non ritengano urgente assumere iniziative per revocare il decreto del commissario ad acta n. 129 del 2015 per i motivi suesposti;
   se, alla luce della gravità di quanto esposto, vista quella che l'interrogante giudica una evidente manovra politica rinvenibile dietro l'azione dei commissari Scura e Urbani, non ritengano di dover assumere iniziative per procedere alla revoca degli incarichi di commissario e sub commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, nei confronti degli attuali titolari, restituendo le competenze in materia di sanità alla regione Calabria. (4-12596)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRANCESCO SANNA, GIOVANNA SANNA, PES, PINNA e SCANU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto dell'11 marzo 2016 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha nominato un nuovo commissario straordinario del parco geominerario storico ambientale della Sardegna, per la durata di sei mesi;
   il parco, istituito dalla legge n. 388 del 2000 è commissariato dal 2 febbraio 2007, al fine — tra l'altro — di favorire la modifica della regole di funzionamento ed il sistema di rappresentanza delle amministrazioni statali, delle autonomie locali, della regione autonoma della Sardegna;
   dopo una lunghissima elaborazione ed un contenzioso con la regione, ora superato, è in fase di convocazione la conferenza di servizi abilitata a raccogliere il concerto di tutte le amministrazioni interessate sugli schemi di nuovo statuto e di nuovo decreto istitutivo. Successivamente, dovranno esprimere il concerto i Ministri competenti;
   tale residua attività di revisione dei modelli di funzionamento (che appare oramai matura e conclusa dopo ben nove anni e nella totale responsabilità degli apparati centrali dello Stato, non avendo il commissario del parco funzione alcuna nella espressione del concerto delle amministrazioni e dei Ministri competenti) sembra agli interroganti ben esile motivo per un cambio del titolare della gestione commissariale. Essa può mettere, tuttavia, a rischio le attività proprie del parco geominerario, consistenti nella promozione dei siti di archeologia industriale e nella possibilità che vi accedano in sicurezza studenti e turisti;
   proprio in questo periodo si fanno significative le richieste di accesso alle strutture minerarie ed in questi giorni sono oggetto di intesa e sottoscrizione le convenzioni tra il parco geominerario, la società regionale detentrice delle concessioni minerarie ed i comuni per garantire l'apertura e la visita guidata ed in condizioni di sicurezza di siti attorno ai quali sono state realizzate onerose campagne di marketing e promozione –:
   quali elementi il Ministro abbia considerato per procedere, non alla conclusione dei lavori della conferenza dei servizi ed alla nomina dei nuovi organi del parco geominerario, bensì ad una ennesimo e prolungato periodo di commissariamento;
   se siano stati impartiti gli opportuni indirizzi al nuovo commissario, che non si rilevano nel decreto di nomina, al fine di evitare il rischio che l'avvicendamento rallenti o peggio interrompa l'attività del parco volta a garantire l'accesso guidato ed in sicurezza, in collaborazione con la regione autonoma della Sardegna, la società concessionaria mineraria IGEA e i comuni, in tutti i siti minerari dismessi;
   quali tempi si prevedano per lo svolgimento della conferenza di servizi e l'elaborazione delle nuove regole di governance del parco geominerario da parte del Ministro dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare. (5-08190)


   TURCO, ARTINI e SEGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei comuni dell'Alta Lessinia in provincia di Verona viene segnalata sempre più spesso una progressiva presenza di lupi che si avvicinano alle abitazioni in cerca di cibo, attratti dagli allevamenti di bestiame che insistono nella zona;
   sempre più di frequente si assiste ad attacchi ai capi di bestiame portati, specialmente nelle ore notturne, da un branco di lupi che si è insediato nella zona da qualche anno e che a quanto è dato conoscere sarebbe giunto a 13 unità;
   la situazione rischia di divenire via via sempre più preoccupante in quanto nell'ultimo biennio sono stati 102 i capi di bestiame predati sui monti veronesi, numero quadruplicato rispetto alle annate 2012-2013 e gli allevatori sentono la presenza dei lupi come una crescente e concreta minaccia alla propria attività nonché alla propria incolumità;
   il 22 febbraio 2016 si è svolto presso la provincia di Verona un incontro a cui hanno partecipato il presidente della provincia, il Sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare Barbara Degani, oltre a deputati e consiglieri regionali e provinciali, il vicedirettore dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), rappresentanti di molte associazioni ambientaliste e di allevatori nonché i sindaci dei comuni montani veronesi interessati dagli attacchi del branco di lupi;
   l'incontro sicuramente è servito a mettere al corrente anche il Governo centrale della situazione che si sta vivendo nella zona veronese, della specificità della Lessinia e della difficile convivenza con la presenza di un branco di lupi così aggressivo;
   i soggetti coinvolti, tuttavia, non avrebbero manifestato ampia soddisfazione a seguito dell'incontro;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con la consulenza dell'Unione zoologica italiana, sta terminando di predisporre il piano di conservazione e gestione del lupo in Italia, che, a quanto riportato da alcuni media, sembrerebbe autorizzare l'uccisione di circa 60 esemplari ogni anno;
   la proposta andrà discussa nei prossimi mesi nella Conferenza Stato-regioni ed ha già attirato numerose polemiche e prese di posizione da parte di varie associazioni ambientaliste e associazioni di allevatori;
   i lupi sono tutelati dalla direttiva comunitaria «habitat», del 1992, recepita dall'ordinamento italiano con il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, che contiene norme relative a tutte le specie protette e che non verrebbero modificate;
   il nuovo piano del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, aggiungerebbe una serie di indirizzi per la gestione specifica del lupo sul territorio italiano, e tra questi sarebbe inserita la possibilità di abbattimenti selettivi di esemplari particolarmente problematici;
   questa possibilità è già contemplata dalle leggi comunitarie, che consentono la richiesta di concessione, da parte degli Stati membri, di deroghe al divieto di abbattimento in presenza di quattro requisiti: negli ultimi anni Francia, Spagna e Svezia, se ne sono servite, ma ad oggi, l'Italia non ha ancora applicato questo strumento;
   il piano del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aggiungerebbe tre ulteriori requisiti, prevedendo che ogni singola richiesta venga trattata comunque come un caso speciale, e fissando un limite preciso agli abbattimenti, anche nel caso in cui tutti i presupposti di legge fossero integrati: per ciascun anno il numero non potrebbe superare il 5 per cento della stima più conservativa sulla popolazione dei lupi, e quindi verosimilmente mai più di 50/60 esemplari per anno;
   la popolazione di lupi in Italia, è stato stimato, si concentra principalmente nelle zone appenniniche dove il lupo è sempre stato presente, mentre nella zona alpina dagli anni ’20 non si rilevava più la presenza di questo predatore, riapparso, invece, negli ultimi anni;
   la sua presenza sui monti veronesi della Lessinia è relativamente recente, risale, infatti, al 2012, ma viene ad interferire con l'attività di allevamento che qui è particolarmente sviluppata;
   nella situazione attuale appare, quindi, quanto mai necessario un tentativo di mediazione tra chi vorrebbe arrivare all'eradicazione completa di questi animali dal nostro Paese, e chi, al contrario, chiede che non siano toccati;
   ci si augura che nella Conferenza Stato-regioni possa essere implementato un percorso di mediazione che sia rivolto alla definizione di un accordo tra le parti interessate e ad oggi del tutto contrapposte, attraverso la ricerca di un punto di equilibrio fondato sulle esigenze della cittadinanza ed i valori ambientali, anche facilitando l'accesso ai rimborsi dei capi perduti da parte degli allevatori, per suddividere sulla collettività i costi della presenza di questo animale selvatico sul territorio italiano, al tempo stesso tutelandolo nella sua bio-diversità e garantendo una convivenza pacifica tra lupi ed esseri umani –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e in quali tempi il Ministro interrogato ritenga di poter rendere effettivo il piano di conservazione e gestione del lupo in Italia;
   se ed attraverso quali strumenti intenda facilitare i rimborsi a favore degli allevatori per i capi perduti a seguito della predazione da parte dei lupi;
   se e per mezzo di quali progetti intenda sviluppare azioni di prevenzione da parte dello Stato, con l'investimento di risorse e programmi di informazione che aiutino a garantire la convivenza pacifica tra questi animali e la specie umana.
(5-08192)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015 Greenpeace ha chiesto nuovamente, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), tramite istanza pubblica di accesso agli atti, di prendere visione dei dati relativi ai monitoraggi ambientali effettuati in prossimità delle piattaforme off-shore presenti nei mari italiani;
   delle oltre 130 piattaforme operanti in Italia, sono stati consegnati a Greenpeace solo i dati relativi ai piani di monitoraggio delle piattaforme attive in Adriatico che scaricano direttamente in mare, o iniettano/re-iniettano in profondità, le acque di produzione. Si tratta di 34 impianti (33 nel 2012 e 2014) che estraggono gas, tutti di proprietà di ENI. I dati si riferiscono agli anni 2012, 2013 e 2014;
   per quel che riguarda le altre 100 piattaforme operanti nei mari italiani, Greenpeace non ha ottenuto alcun dato dal Ministero. La mancanza di dati per queste piattaforme può essere dovuta all'assenza di controllo da parte delle autorità competenti o al fatto che il Ministero ha deciso di non consegnare a Greenpeace tutta la documentazione in suo possesso;
   i dati ottenuti sono stati resi pubblici per la prima volta nel rapporto di Greenpeace: sino a oggi il Ministero non li ha resi disponibili sui suoi organi di comunicazione ufficiali;
   i monitoraggi sono realizzati da ISPRA (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, un istituto di ricerca pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) con la committenza di ENI (sulla base di una apposita convenzione ENI-ISPRA);
   i monitoraggi prevedono analisi chimico-fisiche su campioni di acqua, sedimenti marini e mitili (Mytilus galloprovincialis, le comuni cozze) che crescono nei pressi delle piattaforme;
   dal lavoro di sintesi e analisi di questi dati svolto da Greenpeace emerge un quadro perlomeno preoccupante. I sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati. A seconda degli anni considerati, il 76 per cento (2012), il 73,5 per cento (2013) e il 79 per cento (2014) delle piattaforme presenta sedimenti con contaminazione oltre limiti fissati dalle norme comunitarie per almeno una sostanza pericolosa. Questi parametri sono oltre i limiti per almeno due sostanze nel 67 per cento degli impianti nei campioni analizzati nel 2012, nel 71 per cento nel 2013 e nel 67 per cento nel 2014. Non sempre le piattaforme che presentano dati oltre le soglie confermano i livelli di contaminazione negli anni successivi, ma la percentuale di piattaforme con problemi di contaminazione ambientale è sempre costantemente eleva;
   tra i composti che superano con maggiore frequenza i valori definiti dagli standard di qualità ambientale (o SQA, definiti nel decreto ministeriale n. 56 del 2009 e n. 260 del 2010) fanno parte alcuni metalli pesanti, principalmente cromo, nichel, piombo (e talvolta anche mercurio, cadmio e arsenico), e alcuni idrocarburi come fluorantene, benzo[b]fluorantene, benzo[k]fluorantene, benzo[a]pirene e la somma degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Alcune tra queste sostanze sono cancerogene e in grado di risalire la catena alimentare raggiungendo così l'uomo e causando seri danni ai nostro organismo;
   la relazione tra l'impatto dell'attività delle piattaforme e la catena alimentare emerge più chiaramente dall'analisi dei tessuti dei mitili prelevati presso le piattaforme. Gli inquinanti monitorati in riferimento agli SQA identificati per questi organismi (appartenenti alla specie Mytilus galloprovincialis), sono tre: mercurio, esaclorobenzene ed esaclorobutadiene. Di queste tre sostanze solo il mercurio viene abitualmente misurato nei mitili nel corso dei monitoraggi ambientali. I risultati mostrano che circa l'86 per cento del totale dei campioni analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli SQA;
   i risultati mostrano che circa l'82 per cento dei campioni di mitili raccolti nei pressi delle piattaforme presenta valori più alti di cadmio rispetto a quelli misurati nei campioni presenti in letteratura; altrettanto accade per il selenio (77 per cento circa) e lo zinco (63 per cento circa). Per bario, cromo e arsenico la percentuale di campioni con valori più alti era inferiore (37 per cento, 27 per cento e 18 per cento rispettivamente);
   molti metalli, presenti nei tessuti dei mitili, possono raggiungere l'uomo risalendo la catena alimentare. Alcuni di questi, come il cadmio e il mercurio, sono particolarmente tossici per gli organismi viventi e per l'uomo stesso. Il cadmio, ad esempio, è un metallo altamente tossico che può generare disfunzioni ai reni e all'apparato scheletrico; è stato inoltre inserito tra le sostanze il cui effetto cancerogeno sull'uomo è noto e dimostrato scientificamente (gruppo 1 dello IARC, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro delle Nazioni Unite);
   un'analisi simile a quella prodotta per i metalli pesanti è stata realizzata anche per i livelli di concentrazione degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Il confronto mostra che il 30 per cento dei mitili oggetto di campionamento da parte di ISPRA ha valori di concentrazione più alti di quelli rinvenuti nei tessuti di mitili in aree estranee all'impatto delle attività estrattive. Di questo 30 per cento; circa la metà mostra concentrazioni doppie rispetto a quelle massime registrate negli studi oggetti di raffronto;
   le conclusioni di questo rapporto sono chiare. Laddove esistono limiti di legge per la concentrazione di inquinanti, questi sono spesso superati nei sedimenti circostanti le trivelle. Pur con qualche oscillazione nei risultati, questa situazione si mantiene sostanzialmente costante di anno in anno;
   ad oggi non risultano però licenze ritirate, concessioni revocate o altre iniziative del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare atte a interrompere l'inquinamento evidenziato e/o a ripristinare la salubrità dei fondali. Ci si chiede a cosa servono questi monitoraggi se non impongano adeguamenti e se non prevedano sanzioni;
   al quadro ambientale critico e complesso si aggiunge il fatto che l'organo istituzionale (ISPRA) che deve vigilare sulla correttezza dei dati ambientali registrati in prossimità delle piattaforme off-shore (e di conseguenza verificare l'insussistenza di pericoli per l'ambiente e gli ecosistemi marini) è anche quello che per conto di ENI realizza i monitoraggi. Insomma: non c’è ad avviso degli interroganti piena indipendenza tra controllore e controllato –:
   se il Ministro interrogato, in virtù delle criticità emerse in premessa, non ritenga necessario fare le doverose verifiche tecniche affinché sia fermata la trivellazione per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi per tutti quegli impianti che non rispettano i limiti di legge imposti della normativa nazionale;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rendere pubblico, attraverso il sito ministeriale, tutti i monitoraggi ambientali riguardanti le 130 piattaforme di estrazione offshore;
   come si concili la circostanza che ISPRA esegua per conto di ENI i campionamenti e le analisi chimico/fisico previste dai piani di monitoraggio con lo svolgimento dei compiti istituzionali di monitoraggio e controllo che l'istituto è chiamato a svolgere per conto e sotto la vigilanza del Ministero, che presuppongono una posizione di terzietà per la corretta valutazione dei dati acquisiti e se, pertanto, il Ministro interrogato non intenda verificare l'opportunità dell'incarico di monitoraggio svolto da ISPRA per conto di ENI. (4-12594)


   SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI. n. 3652 del 21 aprile 2015, depositata il 23 luglio 2015, in accoglimento dei ricorsi in appello di sette amministrazioni comunali e alquanti privati cittadini, ha annullato sia il provvedimento di valutazione di impatto ambientale favorevole emesso con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e dei mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali del 21 luglio 2011, sia il provvedimento di autorizzazione alla costruzione dell'elettrodotto Udine ovest Redipuglia a 380 kV in doppia terna ed opere connesse, rilasciato alla società Terna s.p.a. con decreto interministeriale del 12 marzo 2013;
   la suddetta sentenza ha posto in evidenza una serie di gravi inadempienze e un vero e proprio «sviamento di potere» che ha condizionato le istruttorie nell'esclusivo interesse della soluzione imposta dalla Terna s.p.a.; ovvero, «Il MBAC... si è spinto ultra vires rispetto al compito assegnatoli dalla legge e ha di fatto abdicato, sulla soverchiante base di un suo inammissibile bilanciamento con altri interessi, ad esercitare correttamente l'indeclinabile funzione di tutela di cui è esso per legge titolare»;
   nel contempo non sarebbero state valutate e messe a confronto le possibili soluzioni alternative progettuali meno impattanti: «la riscontrata impossibilità di soluzioni tecniche alternative (i.e. interramento della linea) non è stata oggetto di adeguata motivazione... vizio anche questo sufficiente a concretare l'invalidità degli atti...»;
   dalla suddetta sentenza ne è conseguito che i lavori di costruzione delle opere in progetto, si sarebbero rivelate privi di dichiarazione di pubblica utilità, di titolo autorizzativo edilizio, paesaggistico ed ambientale e le relative opere abusive, inopinatamente realizzate prima della conclusione del processo, sarebbero addirittura state portate avanti, a quanto risulta all'interrogante, con lavori intensificati nelle more del deposito della motivazione della sentenza e con l'evidente scopo di mettere tutti davanti al fatto compiuto;
   tale inusitata accelerazione dei lavori si è prodotta con contestuali, evidenti pressioni sui proprietari dei fondi sottoposti al vincolo preordinato all'esproprio spingendoli alla cessione volontaria, con compensi irrisori, peraltro in un evidente clima di coercizione, con le forze dell'ordine incaricate di presidiare i lavori, nel falso presupposto di possibili reazioni da parte di una popolazione rurale notoriamente pacifica e, quindi, con quello che all'interrogante appare un evidente effetto intimidatorio;
   malgrado le diffide emesse dai legali dei ricorrenti e i ripetuti esposti indirizzati alle locali autorità giudiziarie e prefettizie, dopo la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato sono proseguite le immissioni in possesso nonché i lavori di costruzione di fatto senza autorizzazione alcuna, con il presupposto destituito di fondamento di una cosiddetta messa in sicurezza, che non sarebbe mai stata autorizzata;
   le richieste di rimozione dei manufatti realizzati e di ripristino delle aree private occupate sono risultate inascoltate, tant’è che di fatto le amministrazioni competenti si sono sottratte all'obbligo di dare tempestiva esecuzione alla suddetta sentenza, anche ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 150 del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   nel frattempo, la Terna. s.p.a. avrebbe ad avviso dell'interrogante condizionato l'opinione pubblica rappresentando in modo non corretto il contenuto e gli effetti della suddetta sentenza e nel contempo prospettando l'evenienza di un black out qualora non fosse stato consentito l'immediato completamento dei lavori e che avrebbe impugnato la sentenza davanti alla Cassazione, disponendosi a ripercorrere il procedimento autorizzatorio previo riavvio da parte del Ministero dello sviluppo economico;
   la presidente della regione, Debora Serracchiani, non è stata da meno e anziché rimettersi alla decisione del supremo organo giurisdizionale amministrativo, come inizialmente asserito, avrebbe espresso pesanti critiche nei confronti della corte giudicante e nel contempo chiesto l'immediata ripresa dei lavori in corso sic et simpliciter, avendo deciso la modifica del nuovo piano energetico regionale in itinere, eliminando dal medesimo il previsto obbligo all'interramento delle linee elettriche, ovvero l'obbligo ad interrare l'elettrodotto Udine est-Redipuglia;
   l'interrogazione a risposta scritta presentata il 5 agosto 2015 dall'onorevole Stefano Vignaroli ed altri sul medesimo tema risulta a tutt'oggi senza risposta –:
   se i Ministri interrogati non intendano chiarire quali siano state e quale esito abbiano prodotto le indagini ministeriali volte ad individuare gli autori delle inadempienze, ovvero dello «sviamento di potere» contestato nella suddetta sentenza del Consiglio di Stato;
   quali siano le iniziative di competenza adottate dal Governo per evitare il ripetersi di simili circostanze e dei danni che ne conseguono, patiti dalla pubblica amministrazione e soprattutto dai privati cittadini, come lo stesso grave deteriorarsi del clima di fiducia che deve governare il rapporto fra il cittadino e lo Stato;
   quali siano le iniziative di competenza assunte per impedire eventuali effetti pregiudizievoli sulla concorrenza derivanti dall'attività di Terna nelle sue molteplici funzioni di concessionario in regime di monopolio del dispacciamento in media e alta tensione, di progettista, di proprietario delle linee, di ente espropriante;
   quali siano le iniziative assunte, per quanto di competenza, per evitare che le conseguenze degli errori e/o eventuali abusi passati e futuri della Terna, e di qualsiasi ente o autorità coinvolta, siano addebitati al pubblico erario o all'utenza;
   quali siano le iniziative adottate per garantire che il nuovo procedimento autorizzatorio della Udine ovest-Redipuglia, attualmente in corso, si svolga nell'esclusivo interesse della collettività, valutando ogni possibile alternativa, ivi comprese quelle già manifestate dai consulenti della regione e dell'ARPA Friuli Venezia Giulia, senza reticenze, collusioni, condizionamenti di sorta, nella piena trasparenza e con l'adozione della «pubblica inchiesta». (4-12598)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   FANTINATI, VALLASCAS, DELLA VALLE, CANCELLERI, CRIPPA e DA VILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti giornalistiche che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è ai punti di partenza per costruire un nuovo piano nazionale sul turismo che, solo per le attività di supporto tecnico all'elaborazione, costerà 1,5 milioni di euro;
   si prevede un accordo che assegna a Invitalia il compito di supportare l'elaborazione degli indirizzi strategici e di programmazione delle politiche per lo sviluppo del settore turistico e del piano nazionale sul turismo;
   sì ricordano il piano strategico per lo sviluppo del turismo messo a punto nel 2013 dall'allora Ministro del turismo Piero Gnudi, e il recente piano per la digitalizzazione del turismo voluto dal Ministro Dario Franceschini di cui si sono perse le tracce;
   dopo tutto ciò il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo torna quindi a interrogarsi sulle strategie di promozione e valorizzazione della filiera turistica italiana;
   questo con l'aiuto, di Invitalia, società per l'attrazione degli investimenti controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, e che, per la verità, a giudizio degli interroganti, non ha inanellato grandi successi nel campo del turismo;
   Invitalia svolgerà le stesse funzioni formalmente in capo alla direzione generale del turismo al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo retta dal dottor Palumbo, in seno alla quale operano una trentina di addetti, in molti casi a elevata specializzazione;
   l'introduzione di personale esterno, che di fatto si sovrappone alle professionalità già esistenti, comporta crescente malessere e disparità tra il personale –:
   se corrisponda al vero quanto descritto su in premessa, quali ne siano i motivi e quali ulteriori iniziative intenda assumere per sviluppare il turismo in Italia. (5-08195)


   GALGANO, VEZZALI e BOMBASSEI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   al fine di migliorare la qualità dell'offerta ricettiva del nostro Paese ed accrescere la competitività delle destinazioni turistiche, l'articolo 10 del decreto-legge n. 83 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2014, ha previsto, per il triennio 2014-2016, il riconoscimento di un credito d'imposta a favore delle imprese alberghiere esistenti alla data del 1o gennaio 2012 che effettuino interventi di ristrutturazione;
   il credito d'imposta è riconosciuto nella misura del 30 per cento delle spese sostenute e fino ad un massimo di 200.000 euro in 3 periodi di imposta, salvo esaurimento delle risorse finanziarie stanziate a tal fine (20 milioni di euro per l'anno 2015, 50 milioni di euro per ognuno degli anni dal 2016 al 2019);
   con decreto attuativo del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 7 maggio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 138 del 17 giugno 2015, sono state definite le tipologie di strutture alberghiere ammesse al credito d'imposta, le tipologie di interventi agevolabili, le procedure per l'ammissione al beneficio, che dovrà comunque avvenire secondo l'ordine cronologico di presentazione delle domande, le soglie massime di spesa eleggibile e le procedure di recupero nei casi di utilizzo illegittimo dei crediti d'imposta;
   l'articolo 2, comma 1, lettera a), del suddetto decreto identifica i soggetti ammissibili al credito d'imposta e specifica che per «struttura alberghiera» si intende una struttura aperta al pubblico, a gestione unitaria, con servizi centralizzati che fornisce alloggio, eventualmente vitto ed altri servizi accessori, in camere situate in uno o più edifici. Tale struttura è composta da non meno di sette camere per il pernottamento degli ospiti. Sono strutture alberghiere gli alberghi, i villaggi albergo, le residenze turistico-alberghiere, gli alberghi diffusi, nonché quelle individuate come tali dalle specifiche normative regionali;
   le imprese che risultano avere i codici ATECO all'interno della classifica 55.2 non sono ammesse al riconoscimento del credito d'imposta, per cui non possono partecipare al riconoscimento del credito d'imposta i campeggi, i villaggi turistici, le aree di sosta, i parchi vacanza, i bed and breakfast, gli affittacamere per brevi soggiorni, le case e gli appartamenti per vacanze, così come chiarito nelle Faq del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il settore dell’open air, dei campeggi e dei villaggi turistici ha registrato negli ultimi anni un costante aumento della domanda; l'offerta open air italiana ha registrato mediamente nelle ultime stagioni turistiche circa 8 milioni di ospiti ed oltre 60 milioni di presenze;
   l'offerta open air italiana è realizzata da 2.510 aziende turistico ricettive che mettono a disposizione degli ospiti una capacità complessiva di 1.358.000 posti letto, per un fatturato di circa 2,7 miliardi di euro;
   nell'ultima stagione dei circa 8 milioni di ospiti di campeggi e villaggi turistici il 4 per cento ha alloggiato in case mobili con una permanenza media di 4,5 giorni e nuclei di 4 persone;
   il turismo open air rappresenta una fetta significativa dell'afflusso di turisti stranieri nel nostro Paese in particolar modo olandesi, tedeschi, austriaci e francesi, che scelgono l'opportunità di trovarsi a stretto contatto con la natura con tutti i comfort di casa, lontani dal caos, dall'inquinamento e dallo stress anche nei periodi di maggiore affluenza delle strutture;
   milioni di italiani scelgono l'alternativa del turismo all'aria aperta per le loro vacanze, senza rinunciare alle comodità, perché condividono i valori della sostenibilità economica, ambientale e sociale ed uno stile di vita nuovo di vivere la vacanza;
   secondo i dati dell'ISTAT, nel terzo trimestre 2015, gli arrivi negli esercizi ricettivi sono stati pari a 42,7 milioni di unità e le presenze a oltre 191,4 milioni, con aumenti, rispetto al terzo trimestre del 2014, rispettivamente del 3,1 per cento e del 2,7 per cento;
   l'industria turistica italiana è rappresentata non solo dagli esercizi alberghieri ma anche da una serie di esercizi complementari quali campeggi, villaggi turistici, ostelli per la gioventù, e altri esercizi ricettivi che incidono notevolmente sulla ricchezza complessiva del settore e sull'intera occupazione della filiera;
   le presenze negli esercizi extralberghieri nel periodo sopra indicato ammontano a circa 77,2 milioni, con un incremento del +2,4 per cento –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per estendere il credito d'imposta, attraverso la modalità dal cosiddetto click day o attraverso altri strumenti identificati dal Governo, affinché anche alle imprese operanti nel turismo all'aria aperta venga assicurata l'opportunità di partecipare al bando. (5-08196)


   BENAMATI, TARANTO, ARLOTTI, VICO, BARGERO e TENTORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 21 febbraio 2016, è stato presentato il documento recante il titolo «2 Anni di Governo – Cultura e Turismo» volto a fare il punto sui «principali traguardi conseguiti – così vi si legge – in due anni di governo intensi ed impegnativi che hanno portato risultati concreti e realizzato un'autentica rivoluzione nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale nazionale...», nonché, in materia di turismo digitale e sostenibile, a sottolineare le caratteristiche fondamentali del «modello su cui sta puntando l'azione di governo per rilanciare la naturale vocazione del nostro paese ad accogliere viaggiatori da tutto il mondo e far ripartire la domanda nazionale. Turismo sostenibile e digitale è dunque una strategia di sviluppo economico e sociale che, come mostrano i dati del 2015, sta portando buoni risultati: gli arrivi crescono e aumenta la durata dei soggiorni. Un metodo solido che ha come fine la promozione dei territori e la valorizzazione di luoghi, memorie, conoscenze e artigianalità che fanno dell'Italia un circuito di bellezza straordinariamente diffuso»;
   sempre nel mese di febbraio 2016, è stato pubblicato dalla Cassa depositi e prestiti lo studio di settore dal titolo «L'industria del turismo – Le azioni prioritarie per valorizzare la destinazione Italia», ove, tra l'altro, così si osserva: «Trascurare il settore turistico negli ultimi dieci anni ci è costato quasi il 2 per cento del PIL e il 3 per cento dell'occupazione», ed ancora: «...per arrivare a una vera e propria industria turistica italiana è necessaria una governance centrale che sappia valorizzare non solo la componente culturale del turismo, ma anche quella imprenditoriale e industriale... Solo attraverso politiche pubbliche coordinate e integrate settorialmente sarà possibile ottimizzare i benefici economici, ambientali e socio-culturali connessi al turismo»;
   per quel che riguarda, in particolare, la riattivazione degli investimenti per il riposizionamento dell'offerta ricettiva italiana, lo studio di Cassa depositi e prestiti segnala le seguenti priorità: il rafforzamento in termini di equity delle imprese alberghiere; la riconversione di beni di pregio storico-artistico; il ricorso a strumenti finanziari adeguati, come ad esempio il leasing finanziario; il ricorso efficiente ai fondi strutturali europei; lo sviluppo di fondi immobiliari dedicati e, in specie, di fondi finalizzati al finanziamento della sola gestione alberghiera;
   negli scorsi giorni, autorevoli organi di informazione economica hanno dato notizia di nuove misure allo studio da parte del Governo nell'ambito del processo di messa a punto ed implementazione del programma «finanza per la crescita», curato dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   secondo elaborazioni di Federturismo-Confindustria – anch'esse riportate dalla stampa specializzata – prime e parziali stime indicano la disponibilità, nell'ambito della programmazione 2014-2020 dei fondi europei per il turismo, di risorse per 1,8 miliardi di euro già solo per l'ambito POR-FESR concernente interventi strutturali per piccole e medie imprese ed infrastrutture e senza tener conto dei plafond di Campania, Puglia e Sicilia, ma ciò in un quadro di persistente disomogeneità nell'approccio dei bandi regionali alla programmazione turistica e con carenze di governance territoriale e di collaborazione tra pubblico e privato –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare – di concerto con gli altri Ministeri e gli altri livelli istituzionali ed amministrativi interessati – per la valorizzazione, nell'ambito del citato programma di «finanza per la crescita», delle opportunità di investimento nel settore turistico e per l'ottimizzazione degli utilizzi delle risorse europee del ciclo 2014-2020, anche in relazione all'aggiornamento del piano strategico nazionale del turismo, la cui presentazione è attesa in occasione degli stati generali del turismo sostenibile del mese di aprile 2016.
(5-08197)


   ALLASIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, prevede, per il triennio 2014-2016, un credito d'imposta nella misura del 30 per cento delle spese sostenute dalle imprese alberghiere che effettuino interventi di ristrutturazione edilizia;
   il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 7 maggio 2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 138 del 17 giugno 2015 ha attuato la suddetta disciplina, al fine di migliorare la qualità dell'offerta turistica ricettiva italiana ed accrescere la competitività del settore;
   i benefici derivanti dall'attuazione della suddetta disciplina sono molteplici: da un lato, ai turisti viene data l'opportunità di godere di un'offerta riqualificata del servizio alberghiero e, dall'altro, le imprese di settore, che faticano a stare sul mercato anche perché vessate da una spropositata fiscalità, vengono messe nelle condizioni di riacquisire una maggiore competitività, con ricadute positive sull'economia del Paese;
   il settore turistico è strategico per l'economia del Paese. Il contributo del turismo al prodotto interno lordo dell'Italia ammonta ad oltre 160 miliardi di euro, garantendo circa 3 milioni di occupati;
   il consolidamento delle suddette normative contribuirebbe ad un ulteriore sviluppo del settore a sostegno di un'offerta turistica maggiormente qualificata e competitiva –:
   se sia nelle intenzioni del Ministro interrogato adottare, per quanto di competenza, specifiche iniziative per la stabilizzazione normativa degli interventi di cui all'articolo 10 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, relativi alla ristrutturazione edilizia e alla riqualificazione energetica delle strutture alberghiere, al fine di migliorare la qualità dell'offerta ricettiva italiana ed accrescere la competitività del settore. (5-08198)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 novembre 2014, è stato adottato il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e degli uffici di diretta collaborazione del Ministro;
   l'articolo 19 della citata norma prevede l'istituzione della direzione generale turismo che, tra le varie attività e competenze, svolge «funzioni e compiti in materia di turismo, e a tal fine cura la programmazione, il coordinamento e la promozione delle politiche turistiche nazionali, i rapporti con le regioni e i progetti di sviluppo del settore turistico, le relazioni con l'Unione europea e internazionali in materia di turismo e i rapporti con le associazioni di categoria e le imprese turistiche»;
   Invitalia spa (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa), società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, si occupa, tra le altre attività, della gestione di incentivi nazionali per sostenere la nascita di nuove imprese e startup, dare impulso alla crescita economica attraverso iniziative in aree in crisi e nel Mezzogiorno d'Italia, offrire alla pubblica amministrazione servizi per la valorizzazione dei beni culturali e per velocizzare la spesa dei fondi comunitari e nazionali;
   nell'ambito di tali attività, la direzione generale turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha siglato una convenzione con la stessa società, con uno stanziamento iniziale di 1,5 milioni di euro, assegnando ad Invitalia il compito di supportare «l'elaborazione degli indirizzi strategici e di programmazione delle politiche per lo sviluppo del settore turistico» e del «piano nazionale sul turismo»;
   il documento contenente l'accordo sottoscritto dal direttore generale del turismo, dottor Francesco Palumbo, è stato reso noto dalla testata ilfattoquotidiano.it, che in data 5 marzo 2016 ha pubblicato la versione integrale dello stesso;
   come correttamente riporta il citato articolo, a firma del giornalista Alberto Crepaldi, nella convenzione, all'allegato A – «piano delle attività», vengono indicate alcune attività demandate a Invitalia, quali lo «studio ed analisi della normativa nazionale e comunitaria e delle politiche turistiche nazionali», la «definizione di strategie volte al rilancio della competitività dell'Italia e della promozione del Made in Italy», l’«analisi di scenario delle dinamiche del turismo internazionale e identificazione del posizionamento competitivo dell'Italia», la «definizione degli indirizzi strategici dei progetti relativi alla promozione turistica degli itinerari culturali e di eccellenza paesaggistica», l’«attuazione di interventi in favore del settore turistico, sia su fondi nazionali sia in riferimento a programmi cofinanziati dall'Unione europea». Attività che sarebbero di competenza proprio della direzione generale turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, istituita solo nel 2014 con il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, presso la quale operano circa trenta funzionari con varie competenze;
   l'articolo riporta inoltre la testimonianza di un funzionario del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che confermerebbe la sovrapposizione di competenze tra i funzionari in servizio presso la struttura ed il personale esterno incaricato con la convenzione sottoscritta dal direttore generale Palumbo («Da giorni si sono insediati nei nostri uffici alcuni incaricati di Invitalia, senza che a noi qualcuno, a partire dal nostro direttore generale, abbia comunicato il motivo di questa “occupazione” in progress (...) scoprire poi che, in forza di una convenzione di cui noi non sapevano assolutamente nulla, il primo atto importante del nuovo direttore generale determinerà di fatto il nostro esautoramento dal lavoro per il quale siamo qui, fa riflettere»);
   la convenzione richiamata, sottoscritta dal dirigente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con Investitalia spa, appare agli interroganti una inutile sovrapposizione di risorse e competenze tra la struttura ministeriale e la società esterna affidataria dell'incarico –:
   data la decisione di affidare le attività specificate nell'allegato A della convenzione richiamata in premessa, come tale decisione si concili con gli indirizzi del Governo in materia di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica, atteso che prefigura lo smantellamento di fatto della direzione generale turismo e, in tale ambito, se non intenda adottare iniziative al fine di ridurre o eliminare l'affidamento in outsourcing di attività, competenze e funzioni proprie della amministrazione pubblica, evitando la dispersione di importanti risorse pubbliche. (5-08199)

Interrogazione a risposta scritta:


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la maggior parte delle bellezze storiche locate nel Paese italiano, che sono circondate in molte situazioni da mura storiche, si vedano quelle etrusche ad esempio, in Toscana, appare attualmente in un pessimo stato di manutenzione; si pensi a quel tratto che dalla Moreta prosegue fino a porta Colonia e oltre, che a causa della crescita incontrollata di erbacce che, in certi punti, arrivano a nascondere le stesse mura, appare come una landa desolata, in un paese inagibile;
   non tutti i centri storici italiani ricevono le dovute attenzioni; infatti, vi sono zone più curate e valorizzate di altre. Da tanti piccoli particolari, si nota un generale disinteresse per le parti storiche meno affollate dai turisti e per le zone immediatamente limitrofe: transenne abbandonate, cartelli posticci che dovrebbero essere rimossi, scritte sui muri che attendono di essere cancellate, deiezioni di uccelli e di animali un po’ ovunque;
   a causa dei «tagli» governativi, i fondi a disposizione degli amministratori locali di molteplici regioni, anche per la cura dei centri storici, sono purtroppo sempre più esigui;
   i proventi delle tassa di soggiorno dovrebbero essere utilizzati prioritariamente per interventi di riqualificazione dei beni archeologici e culturali come appunto le mura storiche, oppure per migliorare i servizi di accoglienza turistica, istituendo ad esempio il servizio di navetta, ove se ne ha più necessità, per migliorare l'accoglienza delle strutture ricettive; occorrerebbe la copertura totale del territorio con moderni sistemi internet e a banda larga, anche perché si tratterebbe di investimenti di lunga durata e soprattutto fruibili da tutti i turisti che scelgono come mete le bellissime ed uniche città italiane, a giudizio degli interroganti, sicuramente apprezzate per le riconosciute bellezze risalenti a varie epoche storiche;
   sarebbe viceversa opportuno evitare di investire le risorse pubbliche in cose sostanzialmente inutili, per le quali, l'opinione pubblica sa perfettamente che sono state spese ingenti somme senza aver conseguito alcun miglioramento, come si verifica ad esempio cambiando sempre i vari sistemi di raccolta dei rifiuti nelle varie regioni, generando solo confusione e poca efficacia alle procedure di smaltimento –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per assicurare maggiori fondi al restauro e alla manutenzione della maggior parte delle bellissime città storiche italiane, visto che non è più ammissibile che sia trascurata la manutenzione dei monumenti, con l'auspicio che nelle varie regioni italiane non vi siano diverse concezioni di sviluppo, posto che occorre uno sviluppo finalmente omogeneo che non si sostanzi solo in iniziative estemporanee tali da non comportare alcun miglioramento effettivo al Paese. (4-12593)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è operativa da tre anni l'anagrafe delle opere incompiute di interesse nazionale, prevista dall'articolo 44-bis, comma 6, della legge n. 214 del 2011 di conversione del decreto-legge n. 201 del 2012 «Salva Italia»;
   l'anagrafe segnala, «per ogni opera la stazione appaltante, le risorse, la percentuale dei lavori compiuti e le cause rilevanti dell'interruzione quali: interruzione temporanea, interruzione dovuta a cause ostative (come contenziosi o fallimenti), collaudo non eseguito per mancanza di requisiti, mancanza di risorse»;
   secondo l'ultimo rapporto pubblicato nel mese di luglio 2015 (integrato nel successivo mese di settembre) nell'apposita sezione del sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al 31 dicembre 2014, le opere pubbliche incompiute in Italia erano 868;
   le opere incompiute sarebbero ripartite tra Abruzzo (40), Basilicata (34), Calabria (93), Campania (12), Emilia Romagna (27), Friuli (12), Lazio (54), Liguria (11), Lombardia (35), Marche (17), Molise (18), Provincia autonoma di Bolzano (8), Provincia autonoma di Trento (0), Piemonte (23), Puglia (81), Sardegna (67), Sicilia (215), Toscana (35), Umbria (11), Valle d'Aosta (1), Veneto (34) e altre amministrazioni statali o sovra regionali (40);
   nel mese di febbraio 2016, l'associazione di tutela dei consumatori, Codacons, ha pubblicato una stima dei costi per la collettività dei cantieri ricompresi nell'anagrafe;
   secondo l'associazione, le 868 opere pubbliche incompiute sarebbero costate complessivamente 4 miliardi di euro, mentre per completarle sarebbe necessaria una spesa di 1,4 miliardi, pari, secondo Codacons, a 166 euro a famiglia;
   l'istituzione dell'anagrafe delle opere incompiute di interesse nazionale, oltre a rappresentare una mappatura dello stato di avanzamento dei cantieri per le opere pubbliche, costituirebbe una base di partenza per avviare un piano di valorizzazione delle opere incompiute, peraltro più volte annunciato;
   in tale senso, nel mese di gennaio del 2015, sulla pubblicazione Edilizia e Territorio del quotidiano il Sole 24 Ore, il viceministro Riccardo Nencini, avrebbe dichiarato che «Abbiamo già pronto un procedimento che tiene insieme tutte queste cose [...] Il primo passo sarà individuare tra tutte queste opere le priorità su cui concentrare gli sforzi»;
   sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella nota stampa del 2 luglio 2015, nella quale si dà notizia della pubblicazione dell'aggiornamento dell'anagrafe, viene riportata una dichiarazione del Ministro Graziano Delrio secondo il quale «Ora dobbiamo andare oltre la stesura dell'elenco e istituire a cura del Ministero un'apposita task force che, così come avvenuto con l'Agenzia della Coesione per i fondi europei, segua punto per punto le opere meritevoli di essere completate»;
   all'indomani della pubblicazione dei dati di Codacons, nel mese di febbraio 2016, il Ministro avrebbe dichiarato «Non tutte le opere incompiute sono utili, alcune sono inutili e per questo non è utile finirle. Sono state programmate male [...] Noi dobbiamo attuare un piano che ci porti fuori dall'inconcludenza»;
   l'elenco delle incompiute comprenderebbe opere risalenti agli anni ’60, irrimediabilmente compromesse per il prolungato stato di abbandono ovvero opere la cui originaria finalità sarebbe oramai superata per effetto di sopraggiunte priorità e di nuove necessità dei territori interessati e dei potenziali fruitori;
   questo stato di cose renderebbe irrimandabile l'adozione di un piano di valorizzazione delle opere incompiute che comprenda una selezione dei siti e delle infrastrutture da completare, perché ancora necessarie, nonché le misure, gli strumenti e le risorse da impiegare –:
   quali iniziative intenda adottare per garantire la valorizzazione e il completamento delle opere incompiute di interesse nazionale;
   se vi sia allo studio del Ministero un piano di valorizzazione delle opere incompiute di interesse nazionale che individui gli organismi preposti alla selezione dei cantieri da completare, le risorse necessarie nonché i criteri e le modalità della scelta dei siti. (5-08191)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il piano urbanistico comunale di Volla, in provincia di Napoli, ha esaurito i suoi effetti da ormai circa un decennio;
   ciononostante, in questi anni l'edilizia locale ha continuato ad espandersi a dismisura senza alcuna programmazione per la realizzazione di servizi, sottoservizi e nuove infrastrutture;
   il rilascio di autorizzazioni edilizie attraverso quella che l'interrogante giudica un'applicazione discutibile e forzata del cosiddetto «piano casa» è divenuta una pratica costante;
   la realizzazione di qualsiasi intervento edilizio è soggetta al rispetto dell'indice di cubatura stabilito dagli strumenti urbanistici rilevanti;
   nel caso in cui questo indice non possa essere soddisfatto unicamente mediante la capacità edificatoria di un determinato lotto, è possibile avvalersi della cubatura di un lotto vicino con il conseguente asservimento dell'area, consistente nella volontaria rinuncia alle possibilità edificatorie;
   l'asservimento di un'area ed il conseguente trasferimento di capacità edificatoria ad un altro lotto vengono realizzati mediante il negozio atipico di cessione di cubatura o trasferimento di volumetria (se i due lotti sono di diversi proprietari) ovvero di concentrazione di volumetria (nel caso in cui i due lotti siano di un unico proprietario);
   tuttavia, il presupposto dell'asservimento è rappresentato dall'indifferenza, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia, della materiale posizione dei fabbricati, atteso che assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile in una certa zona resti entro i limiti fissati;
   alla luce di quanto sopra, dunque, la legittimità della cessione di cubatura è legata alla sussistenza di due condizioni: la contiguità dei due lotti e l'omogeneità dell'area territoriale entro cui si trovano gli stessi;
   a Volla si evidenziano, a quanto consta all'interrogante, due anomalie: la prima riguarderebbe, nella maggior parte dei casi, trasferimento e atterraggio di cubature da comuni limitrofi ricadenti nella «zona rossa» del Vesuvio, nei quali vige il divieto assoluto di edificare residenze;
   la seconda, invece, risiederebbe nell'utilizzo della cubatura aggiuntiva del «piano casa», che va ad aggiungersi a questo trasferimento di cubatura, anche su terreni privi di edificazione;
   il «piano casa», in deroga agli strumenti urbanistici, prevede che in zona agricola l'ampliamento, la demolizione e la ricostruzione di edifici esistenti, legittimi e non virtuali, siano ammessi a condizione che almeno il 20 per cento resti destinato a uso agricolo;
   sarebbe inoltre possibile il cumulo della volumetria di più edifici ricadenti nell'ambito unitario formato da particelle contigue che, alla data di entrata in vigore della legge, devono però risultare di proprietà del richiedente;
   sarebbero consentiti anche i cambi di destinazione per uso residenziale del nucleo familiare del proprietario del fondo o per attività connesse allo sviluppo dell'azienda agricola;
   per incrementare l'attività agricola, e solo per questo, sarebbe poi consentita la costruzione di nuovi edifici ad uso produttivo nella misura massima di 0,03 metri cubi per metro quadrato;
   è possibile affermare, a quanto risulta all'interrogante, che in molti casi i permessi rilasciati sembrano non rispettare le norme in materia;
   queste circostanze, secondo l'interrogante, nella disattenzione e nel disinteresse più totale da parte della precedente amministrazione e dell'attuale commissione prefettizia, stanno devastando irrimediabilmente il territorio di Volla –:
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, anche per il tramite del commissario straordinario, al fine di compiere tutte le verifiche necessarie riguardanti la regolarità urbanistico-edilizia e le modalità di rilascio dei permessi. (4-12595)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno in data 9 marzo 2016 ha pubblicato la «procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di comunicazione per le esigenze della direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione» (prot. n. 0002133);
   in tale documento, ravvisata la mancanza di una figura idonea all'interno dell'Amministrazione, si attesta la necessità della Direzione Generale di «un supporto tecnico di alto contenuto specialistico nelle attività e nei processi finalizzati alla comunicazione e all'informazione pubblica istituzionale»;
   per tale incarico, si ribadisce in più punti la necessità di «un esperto di particolare e comprovata professionalità» il quale dovrà incaricarsi dello svolgimento della «complessa attività di comunicazione presso questa Direzione Centrale» e pertanto si ritiene di «conferire detto incarico a giornalista iscritto all'elenco dei giornalisti professionisti con pluriennale e consolidata competenza nell'area istituzionale»;
   a tale proposito, l'esclusione dei giornalisti pubblicisti a giudizio degli interroganti non appare coerente con le previsioni del decreto del Presidente della Repubblica 21 settembre 2001 n. 422, «regolamento recante norme per l'individuazione dei titoli professionali del personale da utilizzare presso le pubbliche amministrazioni per le attività di informazione e di comunicazione e disciplina degli interventi formativi», il quale individua la possibilità della doppia «iscrizione negli elenchi dei professionisti e dei pubblicisti dell'albo nazionale dei giornalisti» anche per il personale ministeriale che svolge funzioni di capo ufficio stampa, e non opera alcuna ulteriore distinzione tra pubblicisti e professionisti nemmeno nell'estendere tale previsione al «personale che, se l'organizzazione degli uffici lo prevede, coadiuva il capo ufficio stampa nell'esercizio delle funzioni istituzionali»;
   ad ogni buon conto, ulteriore riprova dell'alto contenuto specialistico e professionale richiesto nella procedura comparativa in parola si evince dal fatto che il candidato dovrà essere in grado di svolgere in piena autonomia tecnica ed organizzativa una serie di prestazioni assai articolate e di indubbia responsabilità, in un ambito tematico divenuto, specie negli ultimi mesi, di grande importanza, delicatezza e sensibilità per il Governo italiano e per l'opinione pubblica, qual è la gestione dell'eccezionale fenomeno migratorio in corso. Le mansioni affidate vanno infatti dalla «supervisione e consulenza nelle materie della comunicazione ed informazione pubblica istituzionale... con particolare riferimento a quelle connesse agli interventi e alle iniziative per la governance del fenomeno migratorio, caratterizzato da un sempre crescente afflusso di cittadini stranieri sulle coste italiane, mediante una continua azione di supporto al Direttore Centrale» alla «cura delle pubbliche relazioni con la stampa nazionale ed internazionale, garantendo una informazione idonea alla divulgazione mediatica, anche mediante la redazione di comunicati stampa»; dalla «cura della comunicazione e delle relative attività relazionali con Istituzioni, professionisti e rappresentanti di enti pubblici e privati» alla «individuazione ed adozione delle forme innovative di comunicazione che aumentino l'efficacia e la trasparenza nei confronti dell'utenza, sia attraverso le pagine web, sia attraverso la realizzazione di prodotti video-documentali» fino alla «promozione della valorizzazione delle attività relazionali, sociali e culturali della Direzione centrale»;
   a fronte di tale complesso di mansioni e dell'alta professionalità richiesta per il loro espletamento, l'articolo 5 della Procedura sancisce tuttavia che, «l'incarico dovrà essere svolto a titolo assolutamente gratuito»;
   ai sensi del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 7, comma 6, lettera d) per gli incarichi individuali conferiti dalle amministrazioni pubbliche per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, «devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione». La legge pertanto assume che al personale che copre tali esigenze eccezionali della pubblica amministrazione vada corrisposta una remunerazione. Quest'ultima, al pari del conferimento delle mansioni, dovrebbe anzi ragionevolmente corrispondere alle competenze attribuite;
   la determinazione di un compenso pari a zero, a fronte delle richiamate competenze e responsabilità in capo al candidato, per gli interroganti non appare coerente con lo spirito espresso dalle disposizioni di legge e, in ogni caso, risulta lesivo della professionalità del soggetto;
   la procedura è in corso e le candidature dovranno pervenire inderogabilmente entro e non oltre le ore 12,00 del 18 marzo 2016 –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per sanare la situazione esposta in premessa, sia in itinere che una volta trascorsi i termini della procedura comparativa, al fine di garantire la piena accessibilità alla selezione a tutti soggetti in possesso dei titoli culturali e professionali normalmente previsti dai vigenti ordinamenti e di tutelare la dignità del lavoro e la professionalità di tali soggetti, prevedendo la corresponsione di un giusto compenso commisurato alle rilevanti capacità richieste. (5-08194)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 marzo 2016 alle ore 19:40 il vicesindaco del comune di Fuscaldo con delega all'ambiente, Paolo Cavaliere, ha subito un grave atto intimidatorio avvenuto presso la propria abitazione;
   uno dei due malviventi, a viso scoperto, e davanti agli occhi della moglie e dei figli, ha aggredito il Cavaliere sferrandogli due pugni che hanno generato una colluttazione e messo in fuga i male intenzionati;
   durante la colluttazione al malvivente è caduto un coltello che è stato successivamente recuperato dalla vittima che ha provveduto a consegnarlo ai carabinieri;
   si tratta di un atto gravissimo che ha messo a repentaglio la vita dell'amministratore e la serenità dell'intera famiglia;
   la Calabria detiene il record di intimidazioni, dal 1o gennaio ad oggi ha registrato il 24 per cento di minacce ed intimidazioni sul totale nazionale e la provincia più colpita risulta essere Reggio Calabria –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare:
    a) al fine di prevedere norme efficaci a tutela degli amministratori locali sempre più colpiti da intimidazioni sia personali che materiali;
    b) al fine di garantire al vicesindaco, attraverso i mezzi a disposizione del Governo, una tutela immediata alla sua persona e all'intera famiglia. (4-12592)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto ha riportato la stampa locale, una giovane lombarda residente ad Inverigo, Alice Brignoli, avrebbe lasciato il proprio Paese insieme al marito ed ai loro tre figli per unirsi alle milizie dell'Isis che combattono tra Siria ed Iraq;
   la circostanza è stata segnalata alle autorità dalla madre della Brignoli;
   Alice Brignoli si era convertita da tempo all'Islam e si era progressivamente radicalizzata, assumendo anche il nome di «Aisha»;
   la Brignoli aveva quindi sposato un cittadino extracomunitario, tale Mohamed Koraichi, malgrado l'avversione del padre di lui alle nozze, causata proprio dall'adesione di Alice Brignoli al radicalismo islamico;
   in seguito al matrimonio con la Brignoli, anche Koraichi si radicalizzava progressivamente, assumendo persino nell'aspetto esteriore le sembianze tipiche dei salafiti;
   stando a quanto ha appreso la stampa locale, la Brignoli sarebbe ormai da un anno in Siria;
   la conversione e la radicalizzazione della Brignoli provano che la minaccia rappresentata dal jihadismo ed il reclutamento dei foreign fighters interessano ormai ambiti sempre più vasti nel nostro Paese;
   tale circostanza dovrebbe indurre ad una maggiore sorveglianza della rete internet, nella quale sono ormai numerosissimi i siti che propagandano l'Islam radicale e jihadista anche in italiano, ed ad atteggiamenti più intransigenti nei confronti delle richieste di apertura di nuove moschee e centri culturali di matrice islamica –:
   se il Governo abbia cognizione della crescente minaccia jihadista gravante sul nostro Paese e, in particolare, sulla Lombardia e sull'area compresa tra la Brianza ed il Comasco;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per stroncare le campagne di reclutamento condotte in Italia da pericolose organizzazioni jihadiste riconducibili al sedicente Stato islamico o ad Al Qaeda e se, in particolare, non ritenga opportuno potenziare, anziché indebolire, la polizia postale;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere a fronte dell'eventuale rientro in Italia di Alice Brignoli, in seguito ai rovesci militari che il Daesh sta subendo a cavallo tra Siria ed Iraq;
   se il Governo non ritenga opportuno adottare iniziative normative per una moratoria nella costruzione di nuove moschee nel nostro Paese e non intenda effettuare uno stretto monitoraggio finalizzato eventualmente alla chiusura di quelle per cui con maggior evidenza si riscontri l'infiltrazione di elementi jihadisti o dediti comunque alla propaganda del radicalismo islamico;
   se il Governo non ritenga inderogabile il rafforzamento dei controlli di sicurezza per tutte le associazioni islamiche e le scuole coraniche esistenti nel territorio nazionale. (4-12599)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, DI VITA, COLONNESE, GRILLO e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), definisce l'osteopatia e la chiropratica «Medicine Tradizionali (MT)», o meglio note in ambito europeo, come Medicine non convenzionali (Mnc) o Medicine complementari e alternative (Mca). Nel 2010 l'Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato dei documenti che indicano i punti di riferimento per la formazione in Medicina non convenzionale inclusi quelli relativi all'osteopatia e chiropratica;
   attualmente, in Italia né la professione dell'osteopata, né quella del chiropratico sono regolamentate;
   l'osteopata pratica tecniche manuali su articolazioni, muscoli e sistema fasciale e viscerale per mantenere in equilibrio l'organismo nella sua globalità. In Italia sono circa 5000 gli osteopati. Il titolo di osteopata è rilasciato solo da scuole private, dopo una formazione che può variare da 6 anni a poche settimane, come i titoli richiesti per l'accesso a tali corsi possono essere il conseguimento di una laurea in ambito sanitario o il diploma di scuola media superiore;
   il chiropratico è un professionista che si è formato presso università estere (USA, Canada, Francia, Regno Unito, Danimarca). Allo stato attuale non ci sono scuole di chiropratica in Italia. Il chiropratico esegue manipolazioni molto simili all'osteopatia, ma principalmente indirizzate alla colonna vertebrale. La chiropratica lavora sulle disfunzioni vertebrali per mantenere il sistema nervoso e gli organi da esso innervati in salute. Si differenzia dall'osteopatia anche per numero e durata delle sedute;
   l'osteopatia è conosciuta come professione sanitaria autonoma nel Regno Unito, in Portogallo e in Francia, mentre in Belgio è stata approvata una legge nel 1999, alla quale non sono più seguiti decreti attuativi;
   la legge del 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008), al comma 355 dell'articolo 2, ha istituito la professione sanitaria di chiropratico, affidando al Ministero della salute il compito di emanare un regolamento di attuazione; la stessa normativa ha previsto l'istituzione presso il Ministero della salute di un registro dei chiropratici, la cui iscrizione è riservata ai possessori del diploma di laurea magistrale in chiropratica o titolo equivalente;
   il 12 marzo 2014 il Ministro della salute ha risposto all'interrogazione numero 5-01832, proposta dall'onorevole Binetti in merito al profilo professionale degli osteopati e dei chiropratici, dichiarando che: la legge 24 dicembre 2007, n. 244, al comma 355 dell'articolo 2, che ha istituito la professione sanitaria di chiropratico, risulta, al momento, sostanzialmente inapplicabile, in quanto presentava alcune criticità che la rendevano di difficile implementazione, anche in relazione alla sua compatibilità con il sistema generale delle professioni sanitarie. Il Ministero della Salute, al fine di istituire la professione sanitaria di chiropratico, aveva avviato con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministero dell'economia e delle finanze, un'attività istruttoria finalizzata all'elaborazione di un articolato che, modificando l'articolo 2, comma 355, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ne eliminasse le criticità. È stata, quindi, formulata una bozza di norma per la disciplina della figura professionale del chiropratico. La proposta, pertanto, non ha potuto avere seguito a causa delle perplessità rilevate dal Ministero dell'economia e finanze;
   per quanto concerne l'osteopata, il Ministero della salute si è più volte espresso, anche nei confronti dell'ente nazionale italiano di unificazione di normazione, affermando che le attività svolte dall'osteopata rientrano nel campo delle attività riservate alle professioni sanitarie;
   sono trascorsi due anni dalla risposta del sottosegretario De Filippo ma allo stato attuale non esistono corsi di studi ufficiali per praticare queste discipline, mancando degli standard qualitativi che rappresenterebbero una garanzia per i pazienti, e dei percorsi universitari per gli aspirati chiropratici e osteopati –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative di competenza, anche realizzando le opportune intese, al fine di definire il profilo professionale dell'osteopata e del chiropratico e i relativi percorsi accademici. (5-08193)


  VEZZALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   alcuni studi scientifici hanno dimostrato che bottiglie di plastica usate e pellicole low cost liberano ftalati;
   le notifiche al Rasff (sistema di allerta rapido europeo) per il 2015 sono state 153 e hanno evidenziato che alcuni materiali utilizzati per il confezionamento, l'imballaggio o la conservazione di alimenti possono generare problemi alla salute;
   le segnalazioni di materiali a rischio provengono soprattutto dalla Cina, perché questi materiali rilasciano metalli pesanti come cromo, nichel, cadmio e piombo;
   gli esperti di sicurezza alimentare rilevano che ci può essere una migrazione di composti come gli ftalati o i perfluorati, ritenuti da tempo interferenti endocrini, dalle confezioni al prodotto da consumare;
   oggi, la maggior parte dei contenitori è realizzato con materiale plastico; se il materiale con cui è realizzato questo contenitore presentasse impurità di vario tipo, il contenitore stesso potrebbe rilasciare sostanze potenzialmente tossiche in presenza di cibi composti o che contengono sostanze grasse;
   il Pet (polietilene tereftalato) potrebbe rilasciare formaldeide (sostanza cancerogena per l'uomo) o l'acetaldeide (possibile cancerogeno) che sono responsabili del cosiddetto «sapore di plastica»;
   queste sostanze se esposte a fonti di calore e radiazione solare diretta e per tempi prolungati, potrebbero migrare dalla bottiglia alla bevanda –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che sia necessario assumere iniziative per specificare ai fini della salute dei consumatori cosa si intende per «tempo prolungato» e quali temperature possano rendere il consumo di bevande pericoloso considerato che il trasporto delle forniture di acqua in bottiglia avviene con mezzi che viaggiano su autostrade e in ogni stagione, e che molti centri commerciali hanno capannoni e piazzole di stoccaggio delle merci che non escludono l'esposizione ai raggi solari e che non garantiscono una bassa temperatura o la protezione dai raggi solari neppure in inverno, nonché che la maggior parte dei locali (bar, ristoranti e altro) potrebbero conservare le provviste in prossimità di frigoriferi (con motori che emanano calore), quindi rendendo potenzialmente a rischio tutte le bevande confezionate in bottiglie di plastica;
   quali iniziative intenda assumere per escludere che le bevande commercializzate nel nostro Paese siano contenute in bottiglie prodotte in Cina che contengano metalli pesanti o sostanze cancerogene;
   se possa fornire elementi circa la reale entità del rischio per la salute dei consumatori e su come questi vengono informati sul corretto utilizzo delle bevande confezionate in bottiglie di plastica e cosa abbia fatto per sconsigliare il riuso delle stesse, cosa che non è affatto scontata. (5-08200)


   BRIGNONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono in vigore le «linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica» del Ministero della salute, redatte anche con il contributo dell'Istituto nazionale per la ricerca e la nutrizione, adottate dalla Conferenza unificata con provvedimento del 29 aprile 2010, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale n. 134 dell'11 giugno 2010, che a pagina 22 recitano testualmente: «Vanno assicurate anche adeguate sostituzioni di alimenti correlate a ragioni etico-religiose o culturali. Tali sostituzioni non richiedono certificazione medica, ma la semplice richiesta dei genitori»;
   in base ai dati contenuti in una ricerca effettuata dall'associazione LAV, molti comuni – nonostante sia evidente un aumento della popolazione che sceglie di non nutrirsi di prodotti di origine animale – a distanza di quasi sei anni dalla diffusione delle citate linee guida, ancora non garantiscono le adeguate sostituzioni di alimenti nei menù correlate alle richiamate ragioni etico-religiose o culturali;
   in alcuni comuni vi è stata una doverosa e specifica richiesta da parte dei genitori degli alunni di conformare i menù alle linee guida sopra citate. Per garantire il rispetto delle linee guida si pretende la dichiarazione di un medico, pediatra o generico, per fornire a bambini in ambito scolastico pasti senza ingredienti di origine animale. Fra questi comuni si ricordano Parma, Bologna, Torino, Rimini, Gradara (Pesaro Urbino). Il comune di Ferrara invece fa firmare nel modulo di richiesta di «dieta diversificata per motivi etici/culturali/religiosi» (quindi anche per bambini ebrei o mussulmani) una dichiarazione nella quale i genitori accettano «di assumersi ogni responsabilità in merito alle suddette scelte alimentari», cosa che invece non accade ai genitori dei bambini che non chiedono una «dieta diversificata»;
   ad avviso dell'interrogante tali comportamenti sono discriminatori, tanto che il tribunale regionale di giustizia amministrativa di Bolzano, con sentenza n. 00027/2015 Reg. Ric. del 20 maggio 2015, ha dichiarato illegittima l'espulsione dall'asilo nido di un bambino vegano, espulsione decisa dalla direttrice dell'ufficio istruzione e scuole del comune di Merano che aveva ingiunto alla madre di «consegnare una attestazione del pediatra di libera scelta dalla quale risultasse lo stato clinico del bambino e l'assenza di carenze nutrizionali» minacciando in caso contrario che bambino non avrebbe potuto «più frequentare la struttura»;
   si segnala che i comuni di La Spezia e Milano invece, correttamente, rispettano le citate linee guida del Ministero non chiedendo alcuna certificazione medica per i bambini i cui genitori hanno chiesto di fornire loro pasti senza ingredienti di origine animale;
   in ultimo, le «linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica», fatte proprie anche dalle regioni, non sono attuate per questo punto da varie regioni, fra le quali l'Emilia Romagna; tale regione ha mantenuto in vigore le proprie linee guida, precedenti a quelle di indirizzo nazionale, e che contengono peraltro anche una palese discriminazione rispetto alle famiglie non vegane; si legge a pagina 65 delle linee guida dell'Emilia Romagna: «Considerando le perplessità presenti in letteratura circa l'opportunità di offrire una dieta vegetariana e/o vegana in età evolutiva, si ritiene di dover sconsigliare queste diete e si consiglia di valutare l'accettazione o meno delle singole richieste previa: richiesta sottoscritta da entrambi i genitori; sottoscrizione di un consenso informato da parte di entrambi i genitori»;
   il provvedimento appare all'interrogante in palese contrasto con le linee guida nazionali poiché non si prevede il diritto a esprimere una dichiarazione, ma si prevede una «richiesta», che deve essere firmata da entrambi genitori oltre a un ulteriore specifico consenso informato;
   si ricorda che le famiglie dei bambini vegani sostengono i medesimi costi di ristorazione imputati alle famiglie di bambini non vegani –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e se il Ministro sia a conoscenza del contenuto della sentenza n. 00027/2015 Reg. Ric. del 20 maggio 2015 del tribunale regionale di giustizia amministrativa di Bolzano;
   quali iniziative urgenti intenda assumere, anche emanando, ove ne sussistano i presupposti, una circolare contenente una interpretazione chiara e definitiva dei contenuti delle «linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica», permettendo così ai bambini vegani di usufruire a buon diritto del servizio di refezione scolastica, di consumare alimenti dedicati che non siano di origine animale e di poterlo fare senza subire alcuna discriminazione. (5-08201)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   quella «geotermica» è una forma di energia naturale che trova origine dal calore della terra e, tra le energie rinnovabili, ha un valore aggiunto che condivide soltanto con l'idroelettrico: la continuità della produzione. Per questo motivo, i progetti più interessanti affiancano oggi la geotermia alle altri fonti rinnovabili, per le quali verrebbe a costituire un importante sostegno nei momenti di scarsa produzione. La geotermia, quindi, può essere intesa come un elemento importante per la «green economy» e un sostegno significativo per sviluppare politiche «low carbon»;
   lo sviluppo corretto della geotermia porta con sé inoltre non solo benefici ambientali, contribuendo in maniera importante alla lotta contro i cambiamenti climatici, ma offre anche importanti occasioni per la creazione di nuovi posti di lavoro;
   l'Italia, per le sue caratteristiche geologiche, ha risorse geotermiche importanti e poco sfruttate: secondo i dati forniti dall'unione geotermica italiana, le risorse geotermiche del territorio italiano potenzialmente estraibili da profondità fino a 5 chilometri sono dell'ordine di 21 exajoule (21x1018 joule, corrispondenti a circa 500 mtep, ovvero 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Tuttavia, i fenomeni geotermici sono spesso associati ad assetti geologico-strutturali particolarmente complessi che possono portare alla coesistenza di altri fenomeni di natura geologica come il magmatismo, la suscettibilità alla sismicità, il particolare chimismo dei fluidi sotterranei.
   pertanto, ogni progetto di coltivazione di risorse geotermiche pone in essere complesse questioni tecnico-scientifiche che, se non tenute debitamente in considerazione, possono dar luogo a danni all'ambiente, alla salute e al tessuto produttivo del territorio.
   In data 15 aprile 2015 le commissioni parlamentari VIII e X hanno approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00103 «Produzione di energia da impianti geotermici» (testo scaturito dalle risoluzioni nn. 7-00486 Braga, 7-00519 Abrignani, 7-00529 Pellegrino, 7-00530 Segoni, 7-00648 Vallascas) con la quale il Governo è stato impegnato ad emanare, entro sei mesi dall'approvazione della risoluzione (termine scaduto il 15 ottobre 2015), delle «linee guida a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino (...) i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di microsisnnicità»;
   recentemente il dibattito in tema di buone pratiche per la geotermia si è sviluppato spontaneamente in seno alla cosiddetta società civile, coinvolgendo associazioni, amministratori locali, comitati, tecnici del settore, accademici e stakeholder;
   in tal senso, si sono moltiplicate le iniziative pubbliche, sia a Roma, che sui territori maggiormente interessati da fenomeni geotermici, finalizzati alla presentazione di proposte tecniche;
   a titolo di esempio, non esaustivo, si ricordano «la Carta di Abbadia San Salvatore – regole per la buona geotermia», un documento che si pone l'obiettivo di definire ed indicare delle «linee guida» per permettere l'affermazione di una filiera geotermica sostenibile e pienamente compatibile con 13 peculiarità socio-economiche ed ambientali del territorio, redatta e presentata nel corso di diverse iniziative tra cui l'evento organizzato il 15 luglio 2015 a Firenze presso il consiglio regionale della Toscana da Giga (gruppo informale geotermia e ambiente), e in occasione della sessione «La buona geotermia» dell'EcoFuturo-Festival delle ecologie e dell'autocostruzione, svoltosi la prima settimana di settembre 2015, e in un incontro pubblico svoltosi ad Abbadia San Salvatore il 29 e 30 gennaio 2016;
   la rete nazionale Nogesi (No alla geotermia elettrica, speculativa e inquinante) in data 15 ottobre 2015 ha inoltrato a tutti gli organi di governo competenti e ai parlamentari delle due commissioni di riferimento una lettera ed un allegato di 30 pagine — prot. geo.800a (def.) contenente prescrizioni e disposizioni significativi in merito alla redazione delle «linee guida e zonizzazione» in merito all'attività geotermica;
   l'ordine dei geologi del Lazio in data 18 dicembre 2015 ha organizzato un convegno su «Geotermia a bassa entalpia. Progettazione, applicazioni e prospettive di sviluppo» –:
   in relazione alle linee guida e alla zonizzazione previste dalla risoluzione citata in premessa, quali siano le cause del ritardo della loro emanazione e se, nel processo della loro redazione siano state previste delle tempistiche certe entro le quali realizzarle e delle modalità di coinvolgimento dei vari portatori d'interesse, anche finalizzate a valutare le proposte elaborate dagli stessi. (4-12597)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Taricco e altri n. 7-00949, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Terrosi.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Rampelli n. 4-12588, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giorgia Meloni.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Vezzali n. 5-07914 del 25 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Busin n. 5-07919 del 25 febbraio 2016.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AMODDIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è nota la pendenza di centinaia di giudizi innanzi all'autorità giudiziaria aventi ad oggetto risarcimento danno alla salute derivato dal contagio del virus dell'HCV o HIV post-trasfusionale;
   a fronte di questa vicenda di «malasanità», il legislatore è intervenuto già nell'anno 2003 con la legge 20 giugno 2003 n. 141 recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto 23 aprile 2003 n. 89» con la quale è stata autorizzata la transazione dei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento danno da trasfusioni di sangue o emoderivati;
   l'articolo 3, dispone che «Per le transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, è autorizzata la spesa di novantotto milioni e cinquecentomila euro per l'anno 2003 e centonovantotto milioni e cinquecentomila euro, per ciascuno degli anni 2004 e 2005. Al relativo onere si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, dell'unità revisionale di base di parte corrente «Fondo Speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativa al Ministero della salute. Il ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio;
   con decreto del Ministero della salute, di concerto con il ministero dell'economia e delle finanze, sono stati fissati i criteri in base ai quali sono definite le transazioni di cui al comma 1 e, comunque, nell'ambito delle predette autorizzazioni, anche sulla base delle conclusioni cui è pervenuto il gruppo tecnico istituito con decreto del Ministero della salute 13 marzo 2002;
   successivamente, con decreto ministeriale 3 novembre 2003 sono stati fissati i criteri da utilizzare per la definizione delle transazioni da stipulare solo con i soggetti emofiliaci danneggiati da emoderivati infetti, e non anche con gli altri soggetti ugualmente contagiati e tutelati dalla predetta previsione legislativa;
   il decreto ha tenuto conto delle risultanze del lavoro svolto dal citato gruppo tecnico, le quali infatti rilevano solo i criteri di quantificazione delle possibili pretese creditorie ed eventuali prospettive di definizione transattive delle vertenze in atto, esclusivamente con 740 emofiliaci danneggiati a causa di emoderivati infetti;
   la predetta legge del 20 giugno 2003 n. 141 ha previsto all'articolo 3 il finanziamento anche per gli anni 2004 e 2005 e che in virtù dell'articolo 2 del decreto interministeriale la relativa somma, già stanziata, deve gravare sul capitolo 3300 dell'unità revisionale di base 3.1.2.1.» indennizzi alle vittime di trattamenti da emoderivati dello stato di previsione del Ministero della salute per l'anno 2003 e corrispondenti capitoli per gli anni successivi;
   l'articolo 3 infatti comprende tra i soggetti da risarcire «soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti» senza distinzione alcuna;
   il Ministero della salute riconosciuta la carenza nella previsione normativa in seno al primo decreto interministeriale, il Ministero della salute, così come si evince dalla comunicazione dell'8 giugno 2004, ha predisposto uno schema di decreto interministeriale con cui venivano ammessi a partecipare alla procedura transattiva anche i talassemici ed altri;
   dopo anni di silenzio del Ministero, solo con la legge 29 novembre 2007 n. 222 (articolo 33) e la legge 31 dicembre 2007 n. 244 (articolo 2, commi 361 e 362), il legislatore ha autorizzato il Ministero della salute a concludere transazioni con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali, danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie «che hanno instaurato, anteriormente al 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento danni e che siano tuttora pendenti», stabilendo apposito capitolo di bilancio per euro 150 milioni per il 2007 ed euro 180 milioni per ciascuno degli anni successivi;
   la menzionata legge ha demandato al Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, il regolamento per procedere alle suddette transazioni;
   il regolamento, in attuazione delle suddette leggi, è stato adottato con decreto ministeriale del 28 aprile 2009 n. 132 – regolamento di esecuzione – contenente la procedura per l'acquisizione delle domande di adesione alla procedura transattiva;
   con successiva circolare del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 20 ottobre 2009 n. 28, sono state fissate le modalità di presentazione delle predette domande di adesione alle transazioni;
   la normativa sopra menzionata, per quanto interessa la presente interrogazione, ha in particolare previsto, che i presupposti per la stipula delle transazioni sono: a) l'esistenza di un danno ascrivibile alle categorie di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981 n. 834, accertato dalla CMO o da sentenza; b) l'esistenza del nesso causale tra il predetto danno e la trasfusione del sangue infetto, accertata dalla Commissione o da sentenza;
   per i soggetti talassemici ed i soggetti emofiliaci si adottano i medesimi criteri e corrispondenti moduli transattivi già fissati per i soggetti emofiliaci dall'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 3 novembre 2003, ivi compresi gli importi fissati;
   i soggetti interessati alla stipula della transazione devono presentare domanda di adesione al Ministero entro la data del 19 gennaio 2010 (90 giorni dalla data di pubblicazione della circolare applicativa);
   la domanda costituisce manifestazione di interesse ed ha valore di istanza per l'accesso alla successiva fase di stipula delle singole transazioni;
   a seguito dell'esame delle singole domande e quindi dell'ammissione alla successiva fase, il Ministero adotta decreto di natura non regolamentare per la definizione dei singoli moduli transattivi;
   numerosi ricorrenti, quindi, attraverso la procedura RIDAB, prevista dalla citata circolare per l'invio telematico delle domande di adesione, hanno rivolto istanza di partecipazione alla transazione, attenendosi pedissequamente a tutte le modalità e prescrizioni fissate dal Ministero della salute con le disposizioni menzionate;
   tuttavia, il Ministero della salute dal 19 gennaio 2010, acquisite le suddette istanze, ritardava l'emissione del decreto previsto dall'articolo 5 del decreto ministeriale n. 132 del 2009 per la definizione dell’iter amministrativo prodromico alla stipula della transazione;
   le Associazioni a tutela dei diritti e/o interessi diffusi dei contagiati, hanno diffidato ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 198 del 2009 le Amministrazioni coinvolte ad assumere nel termine di giorni 90 dalla notifica tutte le iniziative utili alla definizione dell'iter amministrativo prodromico alla definizione delle transazioni previste dalla legge;
   con nota del 15 giugno 2011 il direttore generale dell'ufficio VIII del Ministero della salute in risposta alla predetta diffida, evidenziava la necessità dell'adozione di apposito decreto da concertare con il Ministero dell'economia e delle finanze ai fini della definizione del procedimento, confermando in sostanza come lo stesso, a distanza di oltre un anno dell'avvio, si trovasse ben lungi dall'essere definito, e precisando che la stipula degli atti transattivi resta subordinata ad una valutazione di opportunità dell'amministrazione ed è comunque un contratto di natura privata tra le parti;
   di fronte al perdurare di tale inerzia da parte della Pubblica Amministrazione, quindi, è stata promossa una Class Action ex articolo decreto legislativo del 20 dicembre 2009, n. 198, iscritta con N. 6241/2011 R.G, definito con accoglimento delle istanze ivi formulate ed in conformità con le pronunce del Tar di Lecce e del Consiglio di Stato, che hanno qualificato la natura del procedimento stesso, la cui pronuncia è stata impugnata dal Ministero della salute soccombente, avanti al Consiglio di Stato;
   nelle more con il decreto del 4 maggio 2012, è stata disposta la Definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 28 aprile 2009, n. 132;
   nel succedersi di questi atti e di questa annosa questione, tuttavia, ancora ad oggi non risulterebbe essere stata sottoscritta nessuna transazione –:
   se il Ministro della Salute sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se sia vero che ad oggi non è stata sottoscritta nessuna transazione;
   quali iniziative intende assumere il Ministro per i soggetti esclusi a seguito della modifica del termine prescrizionale, in seguito alla sentenza della Suprema corte ha portato da 10 anni a 5 configurando la fattispecie di reato da epidemia colposa a lesioni;
   quali iniziative intendi adottare il Ministro per definire in tempi brevi il procedimento per la sottoscrizione delle transazioni con i soggetti per i quali ricorrono i presupposti. (4-12294)

  Risposta. — L'articolo 27-bis del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, ha introdotto un'equa riparazione per i danneggiati da trasfusione con sangue infetto, o emoderivati infetti, o vaccinazioni obbligatorie (o per i loro aventi causa, in caso di decesso), che abbiano presentato domanda di adesione alla procedura transattiva di cui alla legge 24 dicembre 2007, n. 244, entro il 19 gennaio 2010.
  Nello specifico, si prevede la corresponsione, a titolo di equa riparazione, di una somma di denaro, euro 100.000 per i danneggiati da trasfusione con sangue infetto o somministrazione di emoderivati infetti, e euro 20.000 per i danneggiati da vaccinazione obbligatoria, in un'unica soluzione.
  Il riconoscimento è subordinato non solo al possesso dei requisiti individuati dall'articolo 2, lettera a) e lettera b), del regolamento del 28 aprile 2009 (esistenza di un danno ascrivibile alle categorie di cui alla tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ed esistenza del nesso causale tra il danno e la trasfusione con sangue infetto, o la somministrazione di emoderivati infetti, o la vaccinazione obbligatoria), ma anche alla verifica della ricevibilità della predetta istanza.
  La corresponsione della somma è, altresì, subordinata alla formale rinuncia all'azione risarcitoria intrapresa, ivi comprese le procedure transattive, e ad ogni ulteriore pretesa di carattere risarcitorio nei confronti dello Stato, anche in sede sovranazionale.
  La procedura transattiva di cui all'articolo 2, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, prosegue, ove ne ricorrano i presupposti, per coloro che non intendono avvalersi del beneficio dell'equa riparazione.
  La liquidazione degli importi a titolo di equa riparazione, come previsto dal legislatore, avverrà entro il 31 dicembre 2017, sulla base di una graduatoria che tiene conto della gravità.
  Il Ministero della salute ha provveduto all'invio delle note informative relative a 1.379 danneggiati, per i quali è stata presentata la domanda di adesione alla procedura transattiva, afferenti alle categorie di danno più elevato e, cioè, deceduti con nesso causale e categorie di danno dalla I alla V, come risultanti all'atto della domanda di transazione.
  Considerando i singoli eredi di ciascun danneggiato, in caso di soggetti deceduti, le suddette note informative ammontano complessivamente a 2.395.
  Ad oggi sono stati emessi 1.259 ordini di pagamento di importi di equa riparazione (comprensivi di quelli a favore degli eredi dei danneggiati), corrispondenti a 629 contenziosi per i quali era stata prodotta una istanza di transazione, a fronte di 767 contenziosi per i quali è pervenuta finora unanime accettazione degli attori in giudizio (inclusi gli eredi).
  Proprio in questi giorni, il Ministero della salute sta provvedendo all'invio delle note informative per i danneggiati afferenti alla VI categoria di danno.
  La menzionata nota informativa non costituisce una proposta che si perfeziona con l'accettazione della stessa (né potrebbe configurarsi come tale, avendo l'equa riparazione natura diversa dalla transazione – che invece ha carattere negoziale – come anche confermato dalla Corte di Cassazione civile con la sentenza n. 25.965/2014), posto che il riconoscimento dell'equa riparazione è legislativamente subordinato, non solo alla formale accettazione della medesima e contestuale rinuncia all'azione risarcitoria intrapresa, ivi compresa la procedura transattiva, ma anche alla verifica dei requisiti prima richiamati, nonché della ricevibilità della menzionata istanza, con particolare riferimento alla appartenenza dei danneggiati alle categorie previste dalle leggi n. 222 del 2007 e n. 244 del 2007, e alla natura dell'azione intrapresa dagli istanti.
  Pertanto, l'invio di detta nota informativa da parte del Ministero della salute non costituisce, di per sé, riconoscimento del diritto all'equa riparazione, atteso che lo stesso è subordinato all'esito positivo dell'istruttoria, a cui consegue l'adozione del provvedimento di liquidazione.
  Considerato, inoltre, che la corresponsione delle somme è effettuata al netto di quanto già percepito a titolo di risarcimento del danno a seguito di sentenza esecutiva, l'istruttoria è altresì finalizzata ad accertare l'eventuale liquidazione di importi per il predetto titolo a favore del beneficiario dell'equa riparazione.
  In particolare, con riferimento alla verifica della ricevibilità dell'istanza, nel corso dell'istruttoria è risultato che, per talune posizioni relative ai danneggiati deceduti, è pendente un contenzioso instaurato dagli eredi, nei confronti del Ministero, avente ad oggetto esclusivamente il riconoscimento del risarcimento del danno iure proprio.
  Per quanto concerne tale questione, si rileva che l'Avvocatura generale dello Stato, nei diversi pareri espressi in materia di transazioni di cui alle leggi n. 222 e n. 244 del 2007, ha ritenuto che sia «opportuno operare una interpretazione sistematica di queste leggi, così come attuate dal decreto ministeriale n. 132 del 2009 e dal decreto ministeriale 4 maggio 2012, secondo la quale le transazioni finanziate dalle leggi in parola riguardano i soggetti danneggiati direttamente da una trasfusione infetta, non anche gli eredi che agiscono per ottenere i danni proprio per le sofferenze collegate alla malattia epatica del loro congiunto».
  Pertanto, non sono ricevibili le istanze di transazione, ai sensi della citata normativa, concernenti contenziosi in materia esclusivamente di riconoscimento del danno iure proprio in favore degli eredi e, conseguentemente, non risulterebbe possibile riconoscere agli stessi l'importo previsto a titolo di equa riparazione.
  In tal caso, tuttavia, il contenzioso proseguirebbe dinanzi ai tribunali civili e, in caso di pronuncia di condanna al risarcimento del danno, anche solo iure proprio in favore degli eredi di danneggiati deceduti, il Ministero della salute provvederebbe alla liquidazione dell'importo previsto dalla sentenza.
  Fino ad oggi, l'istruttoria ha evidenziato solo 3 casi in cui ricorre la suddetta fattispecie, per i quali non è stato, comunque, adottato un provvedimento di diniego.
  Tuttavia, non si ravvisano motivi ostativi ad iniziative legislative volte a riconoscere espressamente il beneficio dell'equa riparazione, di cui all'articolo 27-bis del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito in legge n. 114 dell'11 agosto 2014, anche agli eredi dei danneggiati deceduti che hanno agito per il solo riconoscimento del danno iure proprio e hanno presentato domanda di adesione alla transazione, purché tale integrazione non si estenda anche alle procedure transattive.
  Nel corso del 2015, il Ministero della salute ha provveduto ad istruire 738 posizioni ai fini del riconoscimento di cui all'articolo 27-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, corrispondendo detto beneficio a 1.482 soggetti (alcuni eredi di danneggiati) per un importo complessivo pari ed euro 61.741.929,66.
  Il Ministero, tenuto conto della tempistica prevista dalla legge e sulla base delle risorse disponibili, ha previsto una programmazione annuale dell'istruttoria e dei pagamenti delle restanti pratiche.
  Infatti, alla fine del 2015, sono state inviate le informative riguardanti l'equa riparazione a 1.566 soggetti danneggiati appartenenti alla VI categoria, e nell'anno in corso ha avuto inizio l'erogazione del beneficio a tali danneggiati.
  La procedura transattiva di cui all'articolo 2, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, come previsto dalla stessa normativa, è stata avviata per coloro che non hanno inteso avvalersi del beneficio dell'equa riparazione e, nell'anno appena trascorso, sono state istruite 250 posizioni, di cui 8 sono state inviate all'Avvocatura generale o distrettuale per l'acquisizione del prescritto parere.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteVito De Filippo.


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, BUSTO, GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i neonicotinoidi sono una categoria di insetticidi, con meccanismo neurotossico, simili chimicamente alla nicotina. Sono utilizzati come insetticidi e possono essere distribuiti sulle chioma delle piante, nel suolo in forma granulare o usati per trattare i semi. Sono inoltre contenuti in numerosi prodotti ad uso veterinario antiparassitario (fipronil, imidacloprid, e altro);
   in Italia prodotti a base di fipronil (chimicamente non appartenente alla famiglia dei neonicotinoidi ma accomunato ad essa per via del meccanismo d'azione e della tossicità) venivano liberamente commercializzati previa autorizzazione fino al 2008; dal 2006 circa si sono evidenziate gravi problematiche di moria delle api non solo in Italia; per questo sono state poste in essere numerose azioni di monitoraggio e progetti scientifici per la valutazione del rischio sulle api (ad esempio Apenet del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali);
   l'Italia nel 2008 è il primo Paese a sospenderne l'impiego per i trattamenti alle sementi con divieti temporanei, rinnovati poi a ogni scadenza, per gli effetti tossici e nocivi di tali sostanze sulle api; il problema giunge successivamente in Commissione europea, la quale chiede all'EFSA, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, di esprimersi sui rischi connessi all'impiego di particolari neonicotinoidi: clothianidina, imidacloprid, tiamethoxam e del fipronil; nel gennaio del 2013 l'EFSA pubblica le proprie considerazioni riconoscendo che i prodotti in esame provocano effetti acuti e cronici sulla sopravvivenza e sullo sviluppo delle colonie di api; a maggio 2013 anche la Commissione europea si esprime vietando l'utilizzo per due anni di clothianidin, thiamethoxam e imidacloprid sulle colture che attraggono le api; pochi mesi dopo viene vietato anche l'uso del fipronil; in merito a tale sostanza attiva, la Commissione europea, in un suo comunicato stampa del 16 luglio 2013, dichiara che gli esperti degli Stati membri hanno approvato la proposta volta a limitare l'uso del fipronil nel corso della riunione del Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali (Scofcah); il regolamento di esecuzione (UE) n. 781/2013 modifica le condizioni per l'approvazione del principio attivo impiegato nei prodotti fitosanitari a base di fipronil limitandone fortemente la possibilità d'uso, riconoscendo così come sia effettivamente molto pericoloso;
   in accordo con il considerando 17 del regolamento (UE) n. 781/2013, entro due anni dalla data di entrata in vigore del suddetto regolamento, la Commissione europea prevede di avviare un riesame delle nuove informazioni scientifiche;
   il 6 agosto 2015, l'EFSA è stata invitata dalla Commissione europea ad organizzatore una raccolta di dati relativi a nuove informazioni scientifiche per quanto riguarda i rischi per le api dalla sostanza fipronil;
   il fipronil è contenuto in diversi prodotti cosiddetti « one spot» utilizzati nella profilassi contro i parassiti degli animali domestici, in particolare i cani; è contenuto in una percentuale che, rapportata al peso corporeo, produce una esposizione, al momento della somministrazione, di circa 33.5 mg/kg di peso corporeo;
   la tossicità acuta orale per le api (DL50), riportata negli studi presentati per l'iscrizione in Allegato 1, è pari a 0,00417 microgrammi/ape (4.1 nanogrammi/ape, la DL 50 sulle api è di 0.04 mg/kg), ma ulteriori sperimentazioni, riportate dal documento EFSA, hanno dimostrato che una dose di fipronil di 0,1 nanogrammi/ape/die è responsabile di una mortalità pari al 100 per cento della popolazione di api sia per contatto che per ingestione; altri studi hanno dimostrato che una dose di fipronil di 0,01 nanogrammi/api/die è responsabile di una mortalità del 20 per cento per contatto e del 25 per cento per ingestione dopo 11 giorni;
   alcuni studi hanno dimostrato che una dose di 0,3 nanogrammi/ape riduce il numero dei voli di bottinamento nelle 24 ore successive all'esposizione; inoltre, la stessa dose nei tre giorni successivi all'esposizione ha effetto sul tempo impiegato dalle api bottinatrici per tornare all'alveare. Considerando che un'ape pesa più o meno 100 mg si può valutare una DL 50 di 0.04 mg/kg di peso corporeo quindi molto più basso dell'esposizione a cui vengono sottoposti gli animali domestici;
   tale preoccupante quadro relativo alla tossicità porta a chiedersi se ci si è posti il problema dell'uso del prodotto utilizzato a scopi veterinari;
   la concentrazione del prodotto monodose è 100 mg di fipronil/ml; se ne usa una dose di 0,67 ml per cani da 2 a 10 kg quindi si valuta ad esempio per un cane di 5 chilogrammi una esposizione per contatto di circa 1,2 mg/kg cioè un dosaggio ben superiore alla DL50;
   esiste un'ampia bibliografia che dimostrerebbe l'elevata tossicità e numerosi effetti avversi (sonnolenza, prurito, e altro) sia del prodotto in questione che dei suoi metaboliti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle nuove evidenze scientifiche descritte in premessa e se quindi non ritenga urgente assumere procedere ad un riesame delle motivazioni alla base della autorizzazione concessa anche al fine di vietare l'utilizzo del fipronil sugli animali. (4-11427)

  Risposta. — In merito a quanto delineato nell'interrogazione parlamentare in esame, si segnala che ad oggi, nel nostro Paese non vi sono prodotti fitosanitari registrati che contengono la sostanza «fipronil».
  Infatti, anche l'ultimo prodotto, «Regent 500 FS» è stato revocato in data 13 gennaio 2014, in attuazione del regolamento di esecuzione (U.E.) n. 781 del 2013, che modifica il regolamento di esecuzione (UE) n. 540 del 2011, per quanto riguarda le condizioni di approvazione della sostanza attiva fipronil e che vieta l'uso e la vendita di sementi trattate con prodotti fitosanitari contenenti tale sostanza attiva.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'11 marzo 2015 nel corso dello svolgimento dell'interrogazione a risposta immediata n. 3-01347 presentata dal primo firmatario del presente atto il Ministro interrogato rispondeva favorevolmente rispetto alla richiesta di istituzione di un posto d'ispezione frontaliera per la regione Sardegna;
   una nota del direttore generale del Ministero della salute, dottor Silvio Borrello, il 19 novembre 2015 ha confermato l'istituzione di un posto d'ispezione frontaliera presso il porto di Cagliari per i controlli sulle carni provenienti dai Paesi fuori dall'Unione europea;
   i posti di ispezione frontaliera (PIF) sono uffici veterinari periferici del Ministero della salute riconosciuti ed abilitati, secondo procedure comunitarie, ad effettuare i controlli veterinari su animali vivi, prodotti di origine animale e mangimi provenienti da Paesi terzi e destinati al mercato comunitario o in transito verso altri Paesi terzi con le modalità di cui alle direttive del Consiglio n. 97/78/CE e n. 91/496/CEE recepite rispettivamente con decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 80 e decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 93, e al regolamento (CE) n. 882/2004;
   è apprezzabile l'impegno del Governo per far sì che anche la regione Sardegna possa finalmente avere gli opportuni controlli su molte merci che provenienti da Paesi lontani vengono spesso immesse nel mercato sardo senza adeguati accertamenti. Tali merci infatti, sia quelle alimentari, sia gli animali destinati alla macellazione o all'allevamento, necessitano infatti di controlli approfonditi e sofisticati. Il Pif, con valenza regionale, si occupa dei controlli sull'importazione ed esportazione dei prodotti di origine animale, e animali vivi destinati al consumo da parte dell'uomo e di prodotti di origine animale non destinati a consumo umano imballati e non;
   le procedure e le tipologie di controlli ai quali sono sottoposte le merci variano a seconda della loro origine e provenienza. Qualora, infatti, si tratti di merci provenienti da Paesi comunitari (o comunque di merci sdoganate), queste sono soggette a controlli a campione da parte dell'Uvac che, in collaborazione con le Asl, vigilano sulle movimentazioni intracomunitarie delle merci di, origine animale e di animali vivi, mentre quelle provenienti da Paesi terzi possono accedere al territorio comunitario attraverso i Pif, punti di accesso al mercato comunitario attraverso i quali avviene lo «sdoganamento» ad oggi i Pif in Italia sono localizzati, principalmente nell'area Nord del nostro Paese;
   nell'ultima edizione delle «Linee guida operative PIF», disponibile sul sito del Ministero della salute, si rileva, con riguardo alle procedure necessarie per il riconoscimento di un nuovo posto d'ispezione frontaliera, che l'istituzione di un nuovo Pif avviene con una procedura comunitaria e si conclude con l'inserimento della nuova struttura nell'elenco dei Pif europei, sottolineando, altresì, che «ai fini di un'opportuna valutazione della richiesta di abilitazione, devono essere fornite dettagliate informazioni riguardo ai presumibili flussi commerciali d'interesse veterinario che rendono necessaria l'apertura di un nuovo Pif e, in base a tali traffici, il tipo di abilitazione che si intende ottenere»;
   si fa presente al riguardo inoltre che, il reperimento delle informazioni relative ai flussi dei prodotti in esame è stato molto difficoltoso: sono state inoltrate dall'interpellante specifiche richieste all'Uvac, al Ministero dello sviluppo economico, al servizio sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'assessorato all'igiene e sanità della regione Sardegna, all'Agenzia delle dogane, all'Agenzia delle dogane e all'Istat. Tra queste solo l'Istat ha trasmesso le informazioni complete;
   le merci interessate infatti, una volta «sdoganate» (indipendentemente dal Pif attraverso il quale questa procedura avviene, che sia esso italiano o comunitario), possono circolare liberamente in ambito comunitario senza obbligo di ulteriori controlli e registrazioni. Sarebbe dunque da approfondire l'efficacia e l'efficienza dei diversi attori deputati al controllo stabilendo e specificando, nel merito, funzioni e responsabilità;
   si è potuto, quindi, avere un quadro attendibile della situazione, analizzando i dati forniti dall'Istat relativi trasporto marittimo delle merci. Dall'analisi di queste informazioni è emerso che il maggior flusso di merci (prodotti agricoli della caccia e della pesca, prodotti alimentari, animali vivi) si registra prevalentemente nei porti del nord Sardegna, e in particolare nel porto di Olbia; il Ministero della salute come detto in precedenza ha ritenuto di istituire il Pif nel porto di Cagliari;
   considerando che l'attività dei Pif viene svolta, in relazione alle esigenze geografiche e commerciali, presso aeroporti e porti in Italia e in tutto il territorio comunitario, quello istituito dal Ministero della salute a Cagliari sarebbe l'unico Pif per la regione –:
   quali siano stati i criteri che hanno portato alla decisione del Ministero della salute di istituzione del posto di ispezione frontaliera nel porto di Cagliari piuttosto che in altri porti della regione dove i flussi commerciali d'interesse veterinario risultano maggiori. (4-11604)

  Risposta. — L'attivazione della procedura per il riconoscimento, da parte della Commissione europea, del posto d'ispezione frontaliero (PIF) presso il porto di Cagliari è stata avviata su richiesta dell'autorità portuale di Cagliari.
  Il ruolo del Ministero della salute è stato, pertanto, quello di supportare, dal punto di vista tecnico-sanitario, l’iter per il riconoscimento presso la Commissione europea, assicurando la necessaria assistenza alle competenti autorità territoriali della Sardegna.
  Relativamente alla preoccupazione espressa nell'interrogazione in esame in merito ai controlli su animali e/o prodotti di origine animale importati da Paesi extra U.E. in Sardegna, appare opportuno ribadire che l'assenza (fino all'approvazione del PIF di Cagliari porto) di un PIF in Sardegna non ha in alcun modo determinato carenze nei controlli sulle merci importate da Paesi extra U.E.
  Gli animali e/o i prodotti di origine animale destinati al territorio della Sardegna, infatti, sono stati e sono sottoposti obbligatoriamente ai previsti controlli sanitari presso uno dei PIF di ingresso dell'Unione europea.
  In assenza di tali controlli, gli animali o i prodotti di origine animale non possono essere sdoganati per l'ingresso nel territorio dell'Unione europea.
  Per quanto riguarda il flusso di merci prevalente nei porti al nord della Sardegna (ad esempio Olbia), e la richiesta di indicare i criteri della scelta del Ministero della salute per l'istituzione del PIF nel porto di Cagliari, si fa presente che:
   1. questo Ministero non ha operato alcuna scelta in quanto, come precedentemente indicato, ha esclusivamente supportato una richiesta attivata dall'autorità portuale del porto di Cagliari, che si è fatta carico di tutti gli adempimenti progettuali, degli investimenti economici e delle garanzie sui traffici commerciali (in particolare, i trasbordi/transhipment), che giustificassero il riconoscimento del PIF;
   2. gli eventuali maggiori traffici nei porti del nord della Sardegna devono necessariamente riferirsi, almeno per quanto riguarda gli animali e i prodotti di origine animale, a movimentazioni intra Unione europea, che sono soggette ai controlli dell'ufficio veterinario per gli adempimenti comunitari della Sardegna, con sede a Sassari: è, infatti, vietata l'importazione di tali prodotti, in provenienza da Paesi extra U.E., attraverso un confine non sede di PIF;
  3. presso il porto di Olbia era presente un PIF riconosciuto dall'Unione europea fino al 2011, anno in cui il Ministero della salute ha dovuto comunicare alla Commissione europea la richiesta di chiusura del citato PIF, per assenza di traffici commerciali da Paesi extra U.E. di merci soggette a controllo veterinario; la chiusura del PIF di Olbia è stata sancita con «Decisione di esecuzione della Commissione del 1o luglio 2011 che modifica la decisione 2009/821/CE in relazione all'elenco dei posti d'ispezione frontalieri e delle unità veterinarie del sistema “TRACES”»;
  4. da tale data, nessuna richiesta è pervenuta, da parte della competente autorità portuale del porto di Olbia, o da parte di operatori locali interessati, per attivare nuovamente, presso la Commissione europea, l’iter per il riconoscimento del PIF.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CATANIA, MOLEA, CAPUA, ANTIMO CESARO, VEZZALI e GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   all'articolo 24 della legge n. 240 del 2010 (legge Gelmini) si stabilisce che le università ai fini della ricerca possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato di due tipologie, definite in base alle disposizioni di cui alle lettere a) e b);
   tali lettere prevedono che i contratti debbano essere così definiti: a) contratti di durata triennale prorogabili per soli due anni; b) contratti triennali non rinnovabili, riservati a candidati che hanno usufruito dei contratti di cui alla lettera a), ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri;
   ad oggi i requisiti necessari ad accedere ai contratti di cui alla lettera b) risultano ambigui e interpretati in maniera discordante dai diversi atenei, dai diversi TAR e dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   il TAR per la Toscana (Prima Sezione) con la sentenza n. 1208/2013 si è pronunciato a favore di una interpretazione letterale della norma in questione permettendo l'accesso alle procedure di selezione per i contratti di cui alla lettera b) solamente a coloro che abbiano usufruito degli assegni di ricerca conferiti ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997 reputando che l'espressione «e successive modificazioni» non includa le modifiche dell'istituto degli assegni di ricerca introdotte dall'articolo 2 della legge n. 240 del 2010 e di conseguenza escludendo coloro che hanno usufruito degli assegni di ricerca istituiti ai sensi della legge Gelmini;
   lo stesso ha fatto l'università degli studi di Firenze nel bando per selezioni pubbliche per il reclutamento di 19 ricercatori a tempo determinato di tipologia b) pubblicato in Gazzetta Ufficiale – IV Serie Speciale n. 100 del 23 dicembre 2014 affermando che: «Non possono partecipare coloro i quali, alla data di scadenza del bando abbiano avuto contratti in qualità di assegnista di ricerca e di ricercatore a tempo determinato, ai sensi degli articoli 22 e 24 della legge n. 240 del 2010»;
   tuttavia il medesimo ateneo, durante le procedure di valutazione dei requisiti per accedere alle suddette selezioni, ha ammesso i candidati che non avevano concluso il contratto di cui alla lettera a) della legge n. 240 del 2010 interpretando la legge in maniera flessibile, nonostante nel bando avesse interpretato la norma in senso restrittivo, escludendo i candidati in possesso degli assegni di ricerca conferiti ai sensi della stessa legge;
   in contrapposizione ai precedenti orientamenti si è espresso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in una nota del 6 agosto 2014, Prot. n. 0021700, a firma del capo dipartimento del dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca, professor Marco Mancini, nella quale si ritiene che ai fini della partecipazione alle procedure per il conferimento di contratti di cui alla lettera b) possano essere inclusi anche coloro, che abbiano usufruito degli assegni di ricerca conferiti ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 240 del 2010 e non soltanto di quelli conferiti ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997, reputando che l'espressione «e successive modificazioni» includa anche le modifiche dell'istituto degli assegni di ricerca introdotte dall'articolo 22 della legge n. 240 del 2010 –:
   se ai fini dell'accesso ai contratti di cui alla lettera b), per «successive modificazioni» degli assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, si possano intendere anche gli assegni di ricerca istituiti ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 240 del 2010 così come interpretato dalla nota del 6 agosto 2014 a firma del direttore generale del dipartimento per la formazione superiore e per la ricerca Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professor Marco Mancini (prot. n. 0021700);
   se per «usufruito dei contratti di cui alla lettera a)» si intenda che tali contratti siano conclusi e pertanto il candidato debba aver usufruito di tutti i 36 mesi previsti dal contratto;
   se i contratti di cui alla lettera a), qualora non conclusi, possano essere sommati alle altre tipologie contrattuali previste per l'accesso ai contratti di cui alla lettera b): agli assegni di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, alle borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, o agli analoghi contratti, agli assegni o alle borse in atenei stranieri;
   se «gli analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri» debbano essere iniziati e conclusi prima dell'entrata in vigore della legge n. 240 del 2010 così come interpretato dalla sentenza n.  01208/2013 del TAR per la Toscana (sezione prima);
   se non ritenga opportuno emanare una nota che chiarisca e renda equi per tutti i candidati i criteri di accesso alle procedure selettive per il reclutamento dei ricercatori interpretandoli alla luce del principio del favor partecipationis così come già espresso dal Ministero. (4-08357)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si precisa, preliminarmente, che è del tutto condivisibile l'interpretazione volta a favorire la massima partecipazione possibile e la più ampia gamma di opportunità anche ai soggetti ai quali siano stati conferiti assegni per lo svolgimento di attività di ricerca ex articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (cosiddetti «assegnisti di ricerca»), ciò ai fini di una eventuale prosecuzione di carriera nel ruolo di ricercatori a tempo determinato.
  In particolare, con riferimento ai requisiti richiesti per poter partecipare ai concorsi per ricercatore a tempo determinato di tipo b) ovvero quelli di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b) della citata legge n. 240 del 2010, va evidenziato che il requisito dell'aver usufruito di una pregressa esperienza di ricerca di almeno tre anni, anche non consecutivi, può essere soddisfatta anche dalla somma di periodi svolti come assegnista di ricerca, titolare di borse post-dottorato o di contratti analoghi o di borse anche in atenei stranieri, oltre che come ricercatore di tipo a).
  Relativamente alla questione specifica dell'equiparazione degli assegni di ricerca di cui alla legge n. 240 del 2010 con quelli previsti dall'articolo 51 della legge n. 449 del 1997, articolo che è stato esplicitamente abrogato (si veda l'articolo 29, comma 11, lettera d), della legge n. 240 del 2010), lo stesso Ministero, come ricordato dall'interrogante, su richiesta di alcuni atenei, aveva già segnalato, attraverso i competenti uffici, che, ai fini dell'ammissione alle procedure per il conferimento di contratti di ricercatore di tipologia b), dovevano ritenersi rilevanti anche gli assegni di ricerca conferiti ai sensi dell'articolo 22 della medesima legge.
  Ciò ritenendo che, in tal senso deponesse non solo l'espressione «e successive modificazioni» di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), che doveva ritenersi inclusivo anche delle modifiche dell'istituto giuridico dell'assegno per attività di ricerca (ovvero l'articolo 22 della legge n. 240 del 2010), ma anche l'esigenza di interpretare le norme sull'accesso alle procedure selettive alla luce del principio generale del favor partecipationis ossia doveva preferirsi l'interpretazione che favorisse la più ampia partecipazione alla procedura concorsuale. In tutti i casi le due norme richiamate (la prima delle quali, come detto, abrogata) in nulla differiscono sul piano dei requisiti rispetto alla figura dell'assegnista.
  In altri termini, si prediligeva l'interpretazione normativa che consentiva l'estensione al maggior numero di fruitori di rapporti contrattuali nell'ambito della ricerca universitaria della possibilità di accedere ai contratti a tempo determinato di ricercatore senza privilegiare solo alcune categorie di assegnisti.
  Diversamente, alcuni tribunali amministrativi regionali si sono pronunciati accogliendo un'interpretazione restrittiva della norma in questione e, nei fatti, consentendo di considerare solo gli assegni di ricerca ex articolo 51 della legge n. 449 del 1997.
  Per quanto concerne l'espressione «usufruito dei contratti di cui alla lettera a)» (contratti di durata triennale), la stessa deve interpretarsi nel senso che tali contratti si siano effettivamente conclusi poiché il requisito deve essere inteso temporalmente equivalente a quello dei «tre anni [...] di assegni di ricerca [...] o di borse post-dottorato [...] ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri».
  In conformità a tale interpretazione, occorre rilevare la possibilità che i periodi dei contratti di cui alla lettera a), anche non conclusi, possano essere sommati a quelli delle altre tipologie contrattuali al fine di soddisfare il requisito temporale minimo dei tre anni previsto dalla norma.
  Pertanto, anche il requisito degli «analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri» deve coerentemente intendersi equiparato a quello degli assegni di ricerca e conseguentemente anche in tali casi è necessario l'aver di fatto usufruito di tali istituti giuridici per un periodo di almeno di tre anni.
  Ciò che conta, si noti, è l'aver effettivamente svolto l'attività di ricerca, attestato dall'esistenza delle forme contrattuali previste dalla norma in commento, per un periodo non inferiore ai tre anni e non il fatto che il contratto si sia concluso o meno.
  Per esempio, il requisito legale dei tre anni potrebbe essere soddisfatto nell'ipotesi di assegno di ricerca annuale concluso e di contratto di ricerca di tipo a) svolto per due anni ancorché non concluso.
  Infine, tornando sul requisito degli assegni di ricerca, si ritiene opportuno segnalare che la 7a Commissione del Senato della Repubblica ha avviato l'esame del disegno di legge AS 1873, di iniziativa parlamentare, il quale modifica il citato articolo 24, lettera b), della legge n. 240 del 2010 nel senso di ricomprendere, ai fini della partecipazione alle procedure del conferimento di contratti di ricercatore di tipo b), anche «gli assegni di ricerca conferiti ai sensi dell'articolo 22 della medesima legge». Su tale disegno di legge, con riferimento allo specifico problema richiamato in questa risposta, il Ministero si è già espresso in termini favorevoli.
  Sulla questione il legislatore è infine intervenuto nell'ambito di un provvedimento d'urgenza. Infatti la Camera dei deputati (10 febbraio 2016) ha introdotto una modifica al decreto-legge n. 210 del 2015 (AC 3513), prevedendo che, ai fini dell'ammissione alle procedure di selezione dei titolari dei contratti di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della citata legge n. 240 del 2010, gli assegni di ricerca, di cui all'articolo 22 della medesima legge, sono equipollenti a quelli erogati ai sensi della previgente disciplina di cui all'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'area della laguna di Grado e Marano e nel bacino scolante della bassa pianura friulana gravitano importanti interessi di carattere economico e di significativa valenza sociale;
   con il decreto del 12 dicembre 2012 del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Corrado Clini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013, è stato ridefinito in riduzione il perimetro del sito inquinato nazionale della laguna di Grado e Marano;
   si è proceduto alla verifica dei contenuti della relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia in data 12 dicembre 2012, predisposta dalla «Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti»;
   sono stati richiamati in particolare i contenuti formalmente espressi dagli organi di supporto tecnico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ISS e ISPRA che, nel merito, hanno rispettivamente individuato (proprio nel 2012) importanti criticità di carattere sanitario e ambientale per la presenza di significative concentrazioni di mercurio nei sedimenti lagunari;
   si è verificato che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Corrado Clini ha ignorato questi pareri che concludono «in senso nettamente diverso rispetto a quanto rappresentato dal Ministro», come affermato a pagina 401 della citata relazione della Commissione;
   il Ministro pro tempore Clini ha operato la relativa citata decretazione di de-perimetrazione del SIN con significative riduzioni areali, corrispondenti all'area della laguna, ai fiumi Ausa e Corno, e alle aree contermini, rimettendo alle competenze della regione Friuli Venezia Giulia, come previsto all'articolo 2 del citato decreto, le «necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle porzioni di territorio già compreso nella perimetrazione» precedente;
   i documenti specifici redatti da tali organi tecnici sulla questione non sono stati mai smentiti restando invece, da ormai oltre due anni, come riferimento prescrittivo per la gestione della laguna e degli interventi di dragaggio dei sedimenti dei canali;
   anche ARPA FVG in merito alle attività di dragaggio in laguna si era espressa in linea con quanto affermato da detti organi tecnici nazionali affermando nella «relazione di caratterizzazione ambientale di settembre 2012» (allegato III alla delibera della giunta regionale del FVG n. 1737) che «una delle maggiori problematicità attuali è l'impossibilità di traslocare il materiale dragato ai lati dei canali, in ottemperanza alla legislazione nazionale;
   nella regione autonoma Friuli Venezia Giulia vengono approvati dalla giunta regionale progetti di dragaggio che non tengono conto completamente di tale documentazione tecnica, interamente redatta a partire da maggio 2012; quindi con un regime normativo che, successivamente a tale data, non ha avuto al riguardo alcuna modifica;
   le attività previste dal citato decreto del 3 gennaio 2013 di «necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica delle porzioni di territorio già compreso nella perimetrazione precedente», non risultano realizzate, e quindi le aree deperimetrate non sono state di nuovo adibite ai legittimi usi;
   i citati progetti relativi agli interventi di dragaggio, vengono realizzati nonostante un dettato normativo che ne vieta la realizzazione, con grave danno all'ambiente lagunare, non certo garantito con modesti interventi di monitoraggio privi di significato scientifico (considerata la accertata mobilità dei sedimenti inquinati da mercurio, sostanza pericolosa prioritaria) –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
   perché vengano ignorate le citate documentazioni tecniche redatte da ISS e ISPRA;
   se, considerata la dichiarata assenza di istruttoria tecnica nella formulazione di tale decreto, non si ritenga di procedere al suo ritiro/abrogazione anche a fini di autotutela, in considerazione di quella che l'interrogante giudica la sua palese illegittimità;
   se risulti agli atti sulla base di quali presupposti si sia proceduto all'emanazione del decreto citato in premessa.
(4-07375)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa al Sito di bonifica di interesse nazionale della laguna di Grado e Marano, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti locali territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In merito al parere espresso dall'istituto di sanità nel maggio 2012, si evidenzia che i limiti ivi suggeriti risultano cautelativi per la salute umana e che essi hanno un carattere provvisorio. Di conseguenza, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia ritiene che il criterio principale e più sicuro per definire e valutare il rischio per la salute umana rimane quello del controllo diretto del mercurio totale negli organismi acquatici edibili e la sua conformità con i valori di soglia della normativa. Tale controllo viene garantito dalla competente azienda sanitaria, che si avvale sia dell'Arpa Friuli Venezia Giulia che dell'istituto zooprofilattico delle Venezie. Quanto alla classificazione dei corpi idrici superficiali effettuata da Arpa, ai sensi della direttiva europea sulle acque (200/60/CE), eseguita con analisi della colonna d'acqua e con analisi sui sedimenti sia di tipo chimico che ecotossicologica, essa ha mostrato che le condizioni di criticità sono indipendenti dalla concentrazione di mercurio nei sedimenti, essendo legate in alcune aree ai nitrati di origine agricola, in altre alla scarsa ossigenazione dovuta alla difficoltosa circolazione delle acque, anche a causa di opere realizzate dall'uomo in passato.
  Tutti gli aspetti rilevanti ed influenzanti i corpi idrici sono stati indagati negli ultimi anni, per confluire successivamente nel piano regionale di tutela delle acque approvato il 31 dicembre 2014.
  Con specifico riguardo alla questione della riperimetrazione del Sin di Grado e Marano, sollevata dall'interrogante, si rappresenta in primo luogo che la relativa istanza proposta dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia trova specifico fondamento nella relazione dell'Arpa Friuli Venezia Giulia allegata alla relativa delibera, che, valutando nel loro complesso i dati delle numerose e dettagliate caratterizzazioni effettuate negli anni, sia a terra che in laguna, di fiumi e canali, ha evidenziato come la situazione più grave ed estesa riguardasse lo stabilimento Caffaro di Tor Viscosa e le pertinenze dello stabilimento. Va peraltro evidenziato che non tutta la laguna era stata inserita all'interno del Sin ma solo la porzione centrale. L'evoluzione della normativa avvenuta negli anni ha permesso di utilizzare criteri più appropriati a stabilire l'effettivo stato di salute della laguna.
  L’iter istruttorio che ha portato all'emanazione del decreto di deperimetrazione del Sin laguna di Grado e Marano si è sviluppato, conformemente alla normativa vigente, secondo la scansione procedimentale di seguito esposta.
  I. In primo luogo deve essere evidenziato come il menzionato iter trovi il suo fondamento giuridico nell'articolo 36-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 (misure urgenti per la crescita del Paese), convertito ad opera della legge n. 134 del 2012, il cui comma 3 prevede che «su richiesta della regione interessata, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti gli enti locali interessati, può essere ridefinito il perimetro dei siti di interesse nazionale».
  II. L'atto di iniziativa regionale – necessario al fine di procedere alla riperimetrazione – è individuabile nella già citata deliberazione della giunta regionale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia n. 1737 dell'11 ottobre 2012, trasmessa con nota del 16 ottobre 2012, con protocollo n. 34026, ed acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al protocollo n. 28248 del 18 ottobre 2012. Con tale deliberazione viene approvata la relazione concernente la riperimetrazione del Sito di bonifica di interesse nazionale «laguna di Grado e Marano» e si chiede di procedere alla riperimetrazione del sito medesimo ai sensi del citato articolo 36-bis, comma 3, del decreto-legge n. 83 del 2012.
  III. Con nota del 18 ottobre 2012 con protocollo n. 34249, acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al protocollo n. 28243 del 18 ottobre 2012, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, ad integrazione della nota di cui al punto precedente, trasmette la relazione concernente la «Riperimetrazione del sito di interesse nazionale (SIN) della laguna di Marano Lagunare e Grado», l'allegato alla relazione dal titolo «laguna di Marano e Grado-caratterizzazione ambientale», una tavola con la perimetrazione attuale del sito «laguna di Grado e Marano» come da decreto ministeriale del 24 febbraio 2003, nonché una tavola con la proposta di nuova perimetrazione del sito «laguna di Grado e Marano».
  IV. Con la nota della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 ottobre 2012, con protocollo n. 28838, inoltre, è stata convocata una conferenza di servizi per il giorno 31 ottobre 2012 avente all'ordine del giorno la deliberazione di giunta regionale n. 1737 dell'11 ottobre 2012 e relativi allegati finalizzati alla ridefinizione del perimetro del sito «laguna di Marano e Grado», al fine di acquisire al riguardo il parere degli enti locali interessati sulla riperimetrazione. Sono stati invitati a partecipare alla conferenza di servizi del 31 ottobre 2012 la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Gorizia, la provincia di Udine, il comune di Aquileia, il comune di Carlino, il comune Cervignano del Friuli, il comune di Grado, il comune di Marano Lagunare, il comune di Muzzana del Turgnano, il comune di San Giorgio di Nogaro, il comune di Terzo d'Aquileia ed il comune di Torviscosa.
  V. Nel corso della conferenza di servizi del 31 ottobre 2012 è stata acquisita la favorevole valutazione al nuovo perimetro del sito «laguna di Grado e Marano», di cui alla deliberazione della giunta regionale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia n. 1737 dell'11 ottobre 2012. La conferenza di servizi del 31 ottobre 2012 ha altresì deliberato di: a) ritenere conclusa la procedura di acquisizione delle valutazioni degli enti locali ai sensi dell'articolo 36-bis, comma 3, del decreto-legge n. 83 del 2012; b) assicurare che, successivamente all'entrata in vigore del decreto del Ministro dell'ambiente sulla ridefinizione del perimetro del sito «laguna di Grado e Marano» la documentazione agli atti della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche relativa alla porzione di sito da deperimetrare e, come tale, rientrante nella competenza regionale, nonché lo stato del relativo iter istruttorio, sarebbero stati trasmessi alla regione autonoma Friuli Venezia Giulia; c) prendere atto della nuova perimetrazione del sito «laguna di Grado e Marano» così come indicata nella tavola trasmessa dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia, rielaborata dall'ufficio cartografico della direzione generale tutela del territorio e delle risorse idriche su base ortografica ed allegata al verbale della conferenza di servizi del 31 ottobre 2012.
  VI. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 222/M del 12 dicembre 2012, infine, il sito di interesse nazionale della Laguna di Grado e Marano è stato ridefinito. Il nuovo perimetro del Sin comprende le sole aree a terra di proprietà Caffaro (incluso i siti Spin S.p.A.-gruppo Bracco e Lavanderia Adriatica, interne allo stabilimento) ed i canali Banduzzi e Banduzzi nord limitrofi alle stesse.

  Ciò premesso, deve essere evidenziato che — come già anticipato più sopra — ai sensi della normativa vigente, ed in particolare dell'articolo 36-bis, comma 3, del decreto-legge n. 83 del 2012, la eventuale nuova riperimetrazione del Sin in questione non può che avvenire a seguito di una iniziativa regionale. In virtù della disposizione appena menzionata, peraltro, «rimangono di competenza regionale le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di siti che, all'esito di tale ridefinizione, esuli dal sito di interesse nazionale».
  Ad ogni modo, questo dicastero continuerà a tenersi informato degli sviluppi inerenti i temi accennati attraverso i soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della laguna di Grado e Marano è localizzato in Italia nel mare Adriatico in Friuli Venezia Giulia, a breve distanza dalla Repubblica di Slovenia. Si tratta di un'area di circa 160 chilometri quadrati di superficie d'acqua con poca profondità, con aree in emersione perenne (barene) e aree in emersione in bassa marea (piane di marea), interessata da importanti utilità di carattere economico, riguardanti da tempo le attività della pesca, esercitate dalle comunità locali, e della navigazione, di traffici portuali e di diportismo sviluppatisi intensamente negli ultimi cinquant'anni;
   la laguna di Grado e Marano presenta notevoli pregi naturalistici ed ambientali: essa, infatti, è tutelata quale SIC (sito di interesse comunitario) e ZPS (zona di protezione speciale) ai sensi delle direttiva comunitarie 92/43/CEE «Habitat» e della 79/409/CEE «Uccelli» ed è tutelata anche quale zona umida ai sensi della Convenzione di «Ramsar»;
   come risulta da ampia documentazione scientifica questo areale marino-costiero è conosciuto come ecosistema contaminato da mercurio (Hg): metallo pesante e riconosciuta sostanza pericolosa prioritaria, il cui interesse è noto, in particolare, per la significativa neurotossicità della forma organica metilmercurio e per le proprietà di bioaccumulo e biomagnificazione lungo l'intera catena trofica sino all'uomo;
   i valori riscontrati di mercurio in loco nel biota e nei sedimenti sono ben superiori a quelli del fondo naturale e a quello dello standard di qualità ambientale indicato dalla Comunità europea e recepito dall'Italia;
   nella parte di Grado, soprattutto, il fenomeno è stato determinato dall'apporto prodotto dal dilavamento di materiale minerale residuo dalla coltivazione condotta per secoli nella miniera di Idrijca, in Slovenia, oggi dismessa;
   il trasporto dei residui di lavorazione è avvenuto, e avviene tuttora, tramite il deflusso del torrente Idrijca nel fiume Isonzo, che scarica i sedimenti nel Golfo di Trieste: essi entrano poi in Laguna per l'azione delle correnti di marea;
   nella parte di Marano si sono sovrapposti ulteriori effetti di inquinamento: il fenomeno in questione risale a metà del secolo scorso, alimentato sino a circa trent'anni orsono, causa degli scarichi industriali, in un corso d'acqua collegato con la Laguna, da reflui contenenti mercurio, provenienti da uno stabilimento di produzione di cellulosa presente nell'immediato entroterra in comune di Torviscosa;
   tali fenomeni di contaminazione sono stati posti all'attenzione delle valutazioni di organi di competenza sanitaria già a partire dai primi anni settanta: essi hanno accertato il coinvolgimento delle catene trofiche lagunari, anche con possibili riscontri a livello umano, come accertato in passato e anche recentemente in campioni di soggetti esposti delle comunità locali, sottoposti a controllo epidemiologico;
   da tempo, è forte la preoccupazione per la salute per le manifestazioni che alimenti contaminati da mercurio, e in particolare il pesce, possono provocare in generale e, in particolare, nei soggetti più vulnerabili. Vanno rilevati al riguardo gli effetti da assunzione di alimenti che, anche a livello comunitario, hanno indotto l'Agenzia per la Sicurezza Alimentare EFSA a inizio 2013 ad indicare di diminuire il valore delle dosi settimanali tollerabili delle principali forme di mercurio negli alimenti, metilmercurio e mercurio inorganico, precedentemente stabilito dal comitato misto di esperti Fao/Oms sugli additivi alimentari. Il valore tollerato che fino al 2003 era di 3,3 microgrammi per chilogrammi di peso corporeo umano è passato nel 2004 a 1,6 e nel 2013 a 1,3, con una ulteriore diminuzione del 20 per cento e una diminuzione complessiva in dieci anni di circa il 60 per cento;
   anche a fronte di tali indicazioni restano comunque particolarmente esposte le donne in gravidanza e i bambini per i quali sono necessarie raccomandazioni, formali e aggiornate, e controlli frequenti;
   con riguardo alla presenza di concentrazioni di mercurio, sostanza pericolosa prioritaria, nei sedimenti della Laguna di Grado e Marano il presidente della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia ha affermato in sintesi:
    «... superare i problemi ambientali evidenziatisi nell'area della laguna... poiché sussiste... un pericolo concreto di ulteriore accumulo di sostanze inquinanti nei sedimenti anche nelle parti della laguna non ricomprese nel sito di interesse nazionale»;
    «È pertanto necessario pianificare, progettare, realizzare opere di dragaggio...»;
    «si chiede inoltre, di assicurare il supporto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare affinché gli interventi siano progettati e realizzati con la necessaria attenzione all'ecosistema lagunare, assicurando le adeguate compensazioni ambientali»;
    «Come è noto, infatti la laguna di Grado e Marano rappresenta un ambiente di straordinaria valenza naturalistica...»;
   tra le strategie comunitarie per l'ambiente marino risulta prevalente quella che consiglia di prevenire e di ridurre gli apporti nell'ambiente marino, nell'ottica di eliminare progressivamente l'inquinamento;
   l'inquinamento è definito anche come introduzione diretta o indiretta, conseguente ad attività umane, di sostanze che provocano e possono provocare effetti deleteri come danni alle risorse biologiche e agli ecosistemi e pericoli per la salute umana; l'inquinamento stesso risulta provocato e alimentato dai materiali oggetto di trasporto solido quali sopra indicati;
   ad oggi la gestione di tale territorio è, ancora e da tempo, priva del piano di gestione del SIC Laguna di Grado e Marano, previsto dalla direttiva habitat per i siti della rete di Natura 2000, e del Piano di Tutela delle Acque, previsto dal decreto legislativo n. 152 del 1999 e dalla Direttiva Comunitaria 2000/60/CE appena in fase di adozione e per il quale il termine di approvazione risulta scaduto il 31 dicembre 2008 (entrambi non ancora approvati dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia);
   ad oggi sono realizzati interventi di dragaggio di sedimenti lagunari inquinati da mercurio, (ricordiamo: sostanza pericolosa prioritaria), con loro conferimento in acque lagunari e marine senza alcuna precauzione di tipo ambientale e sanitario, scientifica e permanente. Tali interventi avvengono in assenza di alcun trattamento fisico-chimico di trattamento dell'inquinante e nemmeno delle soluzioni di contenimento dei sedimenti inquinati in casse di colmata come avveniva sino ad alcuni anni orsono;
   non sono stati eseguiti interventi di risanamento ambientale nei due siti di origine dei fenomeni di inquinamento e nei loro immediati dintorni;
   non sono stati eseguiti interventi sui sedimenti inquinati nella parte lagunare già inserita all'interno del Sito inquinato nazionale della laguna di Grado e Marano, contrariamente a quanto previsto dal piano regionale delle bonifiche dei siti inquinati del Friuli Venezia Giulia, con il risultato che ampia parte della laguna non è stata restituita agli usi legittimi e risulta vincolata;
   devono essere perseguiti gli obiettivi ambientali della direttiva 2000/60/CE che prevedono che gli stati membri proteggano, migliorino e ripristinino tutti i corpi idrici superficiali entro 15 anni dall'entrata in vigore della stessa Direttiva (2015) e che nel caso in questione la laguna di Grado e Marano venga salvaguardata come area protetta insieme al suo habitat ed alle specie presenti;
   devono essere garantiti i diritti e gli interessi delle comunità di pescatori locali che subiscono da anni un enorme per non poter operare estesamente in laguna causa il conosciuto fenomeno di inquinamento da mercurio;
   devono essere garantiti, altresì, anche i diritti e gli interessi degli operatori e dei fruitori dei traffici e servizi portuali e della nautica da diporto, comunitari e non, con regolari attività di dragaggio dei canali lagunari, anche in considerazione delle importanti ricadute che queste attività hanno per l'economia locale;
   sembra che siano e rilevabili e in atto gravi inadempienze e violazioni alle norme di diritto dell'Unione europea, in particolare riguardo all'assenza completa di iniziative e interventi ai sensi della Direttiva 2008/105/CE, come recepita in Italia dal decreto legislativa n. 219 del 2010. Tale Direttiva sottolinea infatti espressamente la gravità del problema dell'accumulo delle sostanze pericolose prioritarie, (tra cui il mercurio negli ecosistemi e la perdita di habitat e di biodiversità, animale e vegetale), per cui ha definito standard di qualità ambientale che per sedimenti e biota della Laguna di Grado e Marano sono generalmente superati per valori significativi;
   deve essere verificato il rispetto dei principi della politica comunitaria nell'interesse della sussistenza delle garanzie ambientali e sanitarie dell'ambiente acquatico per le comunità locali di Grado e Marano e anche per gli altri fruitori;
   sembra che vi siano dei ritardi della regione Friuli Venezia Giulia per ottenere il completamento e l'approvazione dei Piani di Tutela delle Acque del Friuli Venezia Giulia e del piano di gestione della Laguna di Grado e Marano;
   la mancata attivazione degli interventi di trattamento dei sedimenti lagunari inquinati e la mancata rimozione dei vincoli all'uso legittimo di ampia parte dell'area lagunare hanno comportato danni economici alle comunità locali di Grado e Marano lagunare;
   anche la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nella Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia, non ha fatto mancare i suoi rilievi sulla forte contaminazione industriale dell'ambiente acquatico di Grado e di Marano –:
   se, con riferimento al mancato adeguamento alle disposizioni dell'Unione europea in tema di gestione dei siti di interesse comunitario e delle zone di protezione speciale, il Governo intenda intervenire ed in che modo, anche al fine di evitare l'apertura di procedure d'infrazione da parte dell'Unione europea;
   se, con riguardo alle operazioni di dragaggio, proprio per la rilevanza delle operazioni prodotte, non si siano verificati danni ambientale;
   se il Governo non intenda rivedere il decreto ministeriale del Ministro dell'ambiente del 2012 con il quale è stato riperimetrato il sito di bonifica di interesse nazionale di laguna di Grado e Marano.
(4-07403)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa al sito di bonifica d'interesse nazionale della laguna di Grado e Marano, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In via di ordine generale, si fa presente che il 23 ottobre 2015 la Commissione europea, archiviando negativamente il pilot 4999/13/ENVI motivato dal ritardo con cui l'Italia stava procedendo alla designazione dei siti di importanza comunitaria (SIC) in zone speciali di conservazione (ZSC), ai sensi dell'articolo 4, comma 4, della direttiva 92/43/CEE, ha inviato una lettera di messa in mora, ai sensi dell'articolo 258 del TFUE, con l'avvio della procedura d'infrazione 2015/2163.
  La designazione dei SIC in ZSC avviene secondo quanto previsto dall'articolo 4 della direttiva Habitat e dall'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 2357 del 1997 e dall'articolo 2 del decreto ministeriale 17 ottobre 2007.
  L'articolo 4, comma 4, della citata direttiva prevede che gli Stati membri designino i siti in zone speciali di conservazione, entro il termine massimo di 6 anni dalla pubblicazione ufficiale negli elenchi dei siti di importanza comunitaria da parte della Commissione, e su tali ZSC adottino le opportune misure di conservazione.
  In base al decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 di recepimento della direttiva Habitat, la competenza della gestione della rete natura 2000 è in capo alle regioni e province autonome, cui spetta la definizione degli obiettivi di conservazione e l'individuazione, mediante proprio atto, delle misure di conservazione funzionali alla predisposizione del decreto ministeriale di designazione delle ZSC.
  In siti di interesse comunitario rilevati nel territorio italiano sono 2314 e, così come riportato nel sito web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (sezione natura-natura 2000-ZSC designate – http://www.minambiente.it/pagina/zsc-designate), il numero di zone speciali di conservazione ad oggi designate è di 522 mentre per 18 siti non sono ancora scaduti i termini di sei anni previsti dalla normativa.
  Si segnala, inoltre, che il 4 novembre 2015 ha avuto luogo presso la direzione generale per la protezione della natura e del mare, un incontro con tutti gli assessorati regionali competenti, durante il quale è stata sollecitata la definizione dell’iter di individuazione e di approvazione delle misure di conservazione dei SIC ancora da designare.
  Conseguentemente, le regioni hanno fornito un aggiornamento sullo stato di approvazione delle misure di conservazione, in base al quale è stata elaborata la risposta all'atto di messa in mora (inoltrata in data 18 dicembre 2015 alla Presidenza del Consiglio dei ministri e quindi trasmessa il 21 dicembre ai servizi della Commissione), ai sensi dell'articolo 258 del Tfue del 22 ottobre 2015, dal quale è possibile dedurre il seguente cronoprogramma: a) entro febbraio 2016 dovrebbero essere emanati i decreti per la designazione di 554 siti; b) entro giugno 2016 dovrebbero essere designati 562 siti; c) ulteriori 545 dovrebbero essere designati entro ottobre 2016; d) entro i primi mesi del 2017 dovrebbero essere designati altri 113 siti.
  Tuttavia, nell'ambito di una ulteriore riunione tenutasi il 20 gennaio 2016 per richiamare le regioni al rispetto di quanto concordato nella riunione di novembre, al fine di chiudete a breve termine la procedura di infrazione evitando così la condanna, talune di esse hanno evidenziato delle difficoltà nel mantenimento degli impegni presi.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è reso disponibile a facilitare le risoluzioni delle criticità evidenziate, al fine di velocizzare il processo di designazione.
  Ad ogni modo, dallo scorso novembre ad oggi, le regioni si sono adoperate al fine di rispettare gli impegni presi a novembre e rinnovati a gennaio, e sono addivenute alla approvazione delle misure di conservazione per un numero significativo di altri siti, permettendo al Ministero dell'ambiente la designazione di 119 zone speciali di conservazione, di cui 118 per la Sicilia e una in Lombardia.
  Si prevede, inoltre, la designazione di ulteriori 402 ZSC entro marzo 2016. Ovviamente resterà ferma la continua azione di impulso del Ministero dell'ambiente, volta al rispetto della rimanente parte del cronoprogramma.
  Con specifico riferimento al corretto adeguamento del sito alle disposizioni comunitarie, si segnala che, alla stregua delle direttive 92/43/CEE Habitat ed ex 79/409/CEE uccelli, il sito natura 2000 in argomento è classificato di tipologia C, quindi sia sito d'importanza umanitaria che zona di protezione speciale, SIC/ZPS IT3320037 «Laguna di Marano e Grado».
  Si specifica che lo stesso è stato designato quale zona speciale di conservazione (ZSC) con decreto ministeriale 21 ottobre 2013 recante «Designazione di 24 ZSC della regione biogeografica alpina e di 32 ZSC della regione biogeografica continentale insistenti nel territorio della regione Friuli-Venezia Giulia ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (G.U. Serie Generale 8 novembre 2013, n. 262)»
  Le misure di conservazione, formulate ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat», sono state individuate mediante redazione del piano di gestione del SIC/ZPS IT3320037 «Laguna di Marano e Grado» del 2008, che tiene conto della presenza del sito di bonifica.

  Tale piano di gestione per la zona speciale di conservazione evidenzia la necessità di porre in atto nell'area «interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza di emergenza bonifica, ripristino ambientale e attività di monitoraggio», «in quanto area ad elevata pericolosità sanitaria ed ambientale a causa dell'elevata concentrazione di mercurio nei sedimenti, della neurotossicità di tale elemento anche a basse dosi se presente nella catena alimentare, della presenta in laguna di attività di ittiocoltura e molluschicoltura».
  In particolare al punto D, parte D 3.5 ASSE 5, «Rinaturazione delle aree di bonifica e contenimento degli impatti nelle aree contermini», sono previste specifiche misure relative, tra l'altro, al ripristino della flessibilità della conterminazione lagunare e all'ampliamento della presenza di zone umide perilagunari con funzioni di fitodepurazione.

  Per quanto riguarda le operazioni di dragaggio, al fine di definire le procedure di conferimento dei sedimenti movimentati, con intesa sottoscritta il 4 settembre 2012 tra il Ministero dell'ambiente e la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, sono state definite le modalità operative per la gestione dei fanghi di dragaggio.
  Al riguardo è prevista l'esclusione dal regime generale dei rifiuti, con conseguente ricollocazione all'interno del medesimo specchio d'acqua dal quale sono dragati, così come previsto dall'articolo 185, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, qualora trattasi di fanghi non pericolosi e la ricollocazione non violi altre norme comunitarie. In alternativa, ove le caratteristiche dei fanghi non consentano tale soluzione, si deve ricorrere al rifacimento, sversamento a mare, conferimento in cassa di colmata o discarica, previo trattamento.
  In relazione agli interventi sinora effettuati, la regione ha confermato di avere sempre seguito il rigoroso procedimento autorizzandolo acquisendo tutte le prescritte e preventive autorizzazioni, con ciò agendo nel pieno rispetto del vigente sistema normativo e tecnico per la realizzazione dei lavori di dragaggio dei canali dell'area lagunare.
  Più specificatamente, l'Arpa Friuli Venezia Giulia ha provveduto all'accertamento della non pericolosità del sedimento dragato, della sua compatibilità con il sito di destinazione e del non peggioramento della qualità delle acque nel rispetto del pertinente piano di tutela quali irrinunciabili condizioni per l'allocazione degli stessi fanghi nell'ambito del medesimo specchio d'acqua.
  Nella consapevolezza della complessità e delicatezza della materia, comunque, al fine di scongiurare ogni possibile rischio di danno ambientale e alla salute, è preciso impegno del Ministero dell'ambiente monitorare, anche attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti, la corretta gestione dei sedimenti dragati in relazione sia agli interventi già realizzati in laguna sia a quelli in programma di realizzazione.
  Per quanto concerne il piano regionale di tutela delle acque, si evidenzia che tale piano, nel quale sono confluiti gli studi sugli aspetti rilevanti ed influenzanti i corpi idrici all'interno della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, è stato approvato il 31 dicembre 2014.
  Con specifico riguardo alla questione della riperimetrazione del Sin di Grado e Marano, sollevata dall'interrogante, si rappresenta in primo luogo che la relativa istanza proposta dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia trova specifico fondamento nella relazione dell'Arpa Friuli Venezia Giulia allegata alla relativa delibera, che, valutando nel loro complesso i dati delle numerose e dettagliate caratterizzazioni effettuate negli anni, sia a terra che in laguna, di fiumi e canali, ha evidenziato come la situazione più grave ed estesa riguardasse lo stabilimento Caffaro di Tor Viscosa e le pertinenze dello stabilimento. Va peraltro evidenziato che non tutta la laguna era stata inserita all'interno del Sin ma solo la porzione centrale. L'evoluzione della normativa avvenuta negli anni ha permesso di utilizzare criteri più appropriati a stabilire l'effettivo stato di salute della laguna.
  L’iter istruttorio che ha portato all'emanazione del decreto di deperimetrazione dei Sin Laguna di Grado e Marano si è sviluppato, conformemente alla normativa vigente, secondo la scansione procedimentale di seguito esposta.
  I. In primo luogo deve essere evidenziato come il menzionato iter trovi il suo fondamento giuridico nell'articolo 36-bis del decreto legge n. 83 del 2012 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito ad opera della legge n. 134 del 2012, il cui comma 3 prevede che «su richiesta della regione interessata, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti gli Enti locali interessati, può essere ridefinito il perimetro dei siti di interesse nazionale».
  II. L'atto di iniziativa regionale — necessario al fine di procedere alla riperimetrazione — è individuabile nella già citata deliberazione della giunta regionale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia n. 1737 dell'11 ottobre 2012, trasmessa con nota del 16 ottobre 2012, con protocollo n. 34026, ed acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al protocollo n. 28248 del 18 ottobre 2012. Con tale deliberazione viene approvata la relazione concernente la riperimetrazione del sito di bonifica di interesse nazionale «Laguna di Grado e Marano» e si chiede di procedere alla riperimetrazione del sito medesimo ai sensi del citato articolo 36-bis, comma 3, del decreto legge 83 del 2012.
  III. Con nota del 18 ottobre 2012 con protocollo n. 34249, acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al protocollo n. 28243 del 18 ottobre 2012, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, ad integrazione della nota di cui al punto precedente, trasmette la relazione concernente la «Riperimetrazione del sito di interesse nazionale (SIN) della Laguna di Marano Lagunare e Grado», l'allegato alla relazione dal titolo «Laguna di Marano e Grado caratterizzazione ambientale», una tavola con la perimetrazione attuale del sito «Laguna di Grado e Marano» come da decreto ministeriale del 24 febbraio 2003, nonché una tavola con la proposta di nuova perimetrazione del sito «Laguna di Grado e Marano».
  IV. Con la nota della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 ottobre 2012 con protocollo n. 28838, inoltre, è stata convocata una conferenza di servizi per il giorno 31 ottobre 2012 avente all'ordine del giorno la deliberazione di giunta regionale n. 1737 dell'11 ottobre 2012 e relativi allegati finalizzati alla ridefinizione del perimetro del sito «Laguna di Marano e Grado», al fine di acquisire al riguardo il parere degli enti locali interessati sulla riperimetrazione. Sono stati invitati a partecipare alla conferenza di servizi del 31 ottobre 2012 la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Gorizia, la provincia di Udine, il comune di Aquileia, il comune di Carlino, il comune Cervignano del Friuli, il comune di Grado, il comune di Marano Lagunare, il comune di Muzzana del Turgnano, il comune di San Giorgio di Nogaro, il comune di Terzo d'Aquileia ed il comune di Torviscosa.
  V. Nel corso della conferenza di servizi del 31 ottobre 2012 è stata acquisita la favorevole valutazione al nuovo perimetro del sito «Laguna di Grado e Marano», di cui alla deliberazione della giunta regionale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia n. 1737 dell'11 ottobre 2012. La conferenza di servizi del 31 ottobre 2012 ha altresì deliberato di: a) ritenere conclusa la procedura di acquisizione delle valutazioni degli enti locali ai sensi dell'articolo 36-bis, comma 3, del decreto-legge n. 83 del 2012; b) assicurare che, successivamente all'entrata in vigore del decreto del Ministro dell'Ambiente sulla ridefinizione del perimetro del sito «Laguna di Grado e Marano», la documentazione agli atti della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche relativa alla porzione di sito da deperimetrare e, come tale, rientrante nella competenza regionale, nonché lo stato del relativo iter istruttorio, sarebbero stati trasmessi alla regione autonoma Friuli Venezia Giulia; c) prendere atto della nuova perimetrazione del sito «Laguna di Grado e Marano» così come indicata nella tavola trasmessa dalla regione autonoma Friuli Venezia Giulia, rielaborata dall'ufficio cartografico della direzione generale tutela del territorio e delle risorse idriche su base ortografica ed allegata al verbale della conferenza di servizi del 31 ottobre 2012.
  VI. Con decreto del Ministro dell'ambiente n. 222/M del 12 dicembre 2012, infine, il sito d'interesse nazionale della Laguna di Grado e Marano è stato ridefinito. Il nuovo perimetro del Sin comprende le sole aree a terra di proprietà Caffaro (incluso i siti SPIN s.p.a. – Gruppo Bracco e Lavanderia Adriatica, interne allo stabilimento) ed i canali Banduzzi e Banduzzi nord limitrofi alle stesse.

  Ciò premesso, deve essere evidenziato che — come già anticipato più sopra – ai sensi della normativa vigente, ed in particolare dell'articolo 36-bis, comma 3, del decreto-legge 83 del 2012, la eventuale nuova riperimetrazione del Sin in questione non può che avvenire a seguito di una iniziativa regionale. In virtù della disposizione appena menzionata, peraltro, «rimangono di competenza regionale le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di siti che, all'esito di tale ridefinizione, esuli dal sito di interesse nazionale».
  Ad ogni modo, questo dicastero continuerà a tenersi informato degli sviluppi inerenti i temi accennati attraverso i soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   COMINELLI, LACQUANITI, GALPERTI e BAZOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dagli organi stampa (articolo di Pietro Gorlani sul Corriere della Sera del 12 novembre 2014) e come denunciato da molti anni dal Circolo di Legambiente di Montirone, tra i comuni di Bagnolo Mella e Montirone nella provincia di Brescia, si trova un fontanile denominato ”Fontana dell'Arrigo”, sul lato est della ”Cava Sessanta” – A.T.E. 37, completamente tombato, dagli inizi dei primi anni ’80, con materiali e rifiuti di vario genere e natura e con scorie e scarti provenienti dalla fonderia di Bagnolo Mella e da altre attività produttive;
   a seguito delle denunce e degli esposti portati avanti dall'associazione ambientalista recentemente le ispezioni dei carabinieri dei Noe e l'Arpa hanno confermato che trattasi di un'enorme discarica abusiva contenente scorie e polveri di fonderia, morchie oleose, fanghi industriali, lastre d'amianto, oltre a una discarica di rifiuti urbani;
   il tratto principale interrato del fontanile ricopre un'area di 520 metri lineari di larghezza per 22 metri lineari e il tratto secondario di 650 metri lineari larghezza media 15 metri lineari. La profondità è pari a circa 5 metri per una stima di metri cubi interrati pari a 28600 per il primo tratto e 24000 per il secondo tratto;
   secondo quanto riportato nell'articolo del Corriere e nelle interviste rilasciate dagli esponenti di Legambiente, il tombamento del fontanile, che prima di allora era alimentato da una falda di acqua pura e di ottima qualità, è avvenuto a partire dagli anni ’80. Prima con rifiuti solidi urbani, poi con le scorie industriali trasportate da un camion sospetto. Al momento il procedimento penale di scarico illecito di rifiuti pericolosi è a carico di ignoti;
   il rischio ambientale più elevato si evidenzia nella possibile contaminazione della falda acquifera che in quel territorio scorre molto in superficie e al quale attingono tutti gli abitanti della zona per usi domestici;
   tale situazione si inserisce in un panorama più generale che vede il territorio bresciano martoriato da ex cave, da discariche legali e illegali, da troppi episodi di illegalità ambientale. Che la provincia di Brescia, insieme a Milano, sia tra le province lombarde quella presa più di mira dalle ecomafie emerge anche dall'intensa attività di contrasto svolta nell'ultimo anno. Grazie alle operazioni che hanno condotto a procedimenti a carico di imprenditori lombardi, si è accertato che la maggioranza dei reati collegabili al ciclo dei rifiuti riguarda lo sversamento degli stessi in discariche abusive e il tombamento in terreni privati, cave o terrapieni. Spesso si tratta di cave trasformate in discariche completamente al di fuori della normativa sui rifiuti speciali; si pensi, ad esempio, alle discariche abusive di Ospitaletto e Travagliato in provincia di Brescia, scoperte nei primi mesi del 2013 dalla magistratura –:
   se non intenda assumere iniziative per scongiurare il serio rischio di possibile inquinamento delle falde idriche e nell'ottica di garantire la piena tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini.
(4-07096)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al deposito abusivo di rifiuti rinvenuto presso la Fontana dell'Arrigo nel comune di Bagnolo Mella, in provincia di Brescia, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Il dipartimento di Brescia dell'agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA), il 15 aprile 2014, aveva effettuato un sopralluogo nel sito «Fontana dell'Arrigo» in accordo con il comune di Bagnolo Mella che il 4 marzo 2014 aveva chiesto supporto tecnico per svolgere indagini ambientali sul sedime dell'ex fontana demaniale.
  Dall'esame del sedime risultava la presenza di rifiuti costituiti principalmente da scorie di demolizioni, materiale plastico di varia natura, vetro e frammenti di fibrocemento, per uno spessore di circa tre metri dal piano di campagna.
  È stato pertanto effettuato un campionamento dei rifiuti, tra cui un campione di rifiuto di fibrocemento per la verifica della presenza di fibre di amianto, un campione di rifiuto misto e un campione di terreno al di sotto dello strato di riparto.
  L'Agenzia Nazionale per la Protezione ambientale, il 28 luglio 2014, ha trasmesso al comune di Bagnolo Mella, alla provincia di Brescia e alla Asl di Brescia le risultanze analitiche dei tre campioni che evidenziavano quanto segue: presenza di amianto nel rifiuto di fibrocemento, valori delle concentrazioni nel campione di rifiuto misto non compatibili con la destinazione d'uso del sito e, nel campione di terreno, il rispetto delle concentrazioni soglia di contaminazione.
  L'Arpa ha, pertanto, ravvisato i presupposti per l'applicazione dell'articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, concernente il divieto di abbandono di rifiuti, che prevede l'obbligo per il trasgressore di provvedere alla rimozione, all'avvio al recupero o allo smaltimento, nonché la competenza del sindaco a procedere all'esecuzione di tali operazioni in danno all'obbligato nel caso di inadempimento di quest'ultimo.
  Il 23 ottobre 2014, la polizia giudiziaria ha effettuato un sequestro probatorio dell'area interessata dalle indagini, notificando tale atto al sindaco di Bagnolo Mella, per l'aria demaniale, e alle persone interessate, proprietari a vario titolo di parte dell'area.
  Il comune di Bagnolo Mella ha quindi proceduto alla realizzazione di 2 piezometri di valle del sito indagato. Il 30 dicembre 2014 gli ausiliari di polizia giudiziaria hanno eseguito il campionamento di tali piezometri e di un piezometro di monte disponibile nel sito Cava Sessante. Dagli esiti analitici sulle acque di falda prelevate in corrispondenza dei suddetti piezometri è emerso un incremento di valore monte-valle per il parametro arsenico con un superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alla Tabella 2, allegato 5, parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Tali esiti sono stati trasmessi da Arpa alla provincia di Brescia, al comune di Bagnolo Mella e al Nucleo operativo ecologico di Brescia.
  La provincia di Brescia, nel maggio 2015, ha conseguentemente comunicato agli attuali ed ai precedenti proprietari dell'area interessata l'avvio del procedimento amministrativo finalizzato all'emissione dell'ordinanza di cui all'articolo 244, comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La provincia ha successivamente comunicato a regione, ARPA, ASL e al comune di Bagnolo Mella che, con provvedimento del 6 novembre 2015, è stata emessa la diffida, con ordinanza motivata, all'attuazione delle procedure previste per la bonifica dei siti contaminati a carico dei precedenti proprietari in qualità di soggetti responsabili del ritombamento del sito denominato ex Fontanile dell'Arrigo, località Sessante, nel comune di Bagnolo Mella, per il superamento nelle acque di falda delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alla tabella 2, allegato 5, parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il parametro arsenico.
  Ad ogni modo, ferma restando la competenza degli enti territoriali, continuerà a tenersi informato anche al fine di un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   COSTANTINO, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono concluse nella giornata del 2 luglio 2014 le operazioni di trasbordo di 78 container (contenenti 569 tonnellate di sostanze chimiche: iprite e precursori del sarin) presso il porto di Gioia Tauro, sostanze identificate di «priorità 1», ovvero le più pericolose;
   il trasbordo è avvenuto in 12 ore, meno del tempo previsto;
   lo smaltimento dell'arsenale chimico siriano era stato deciso in seguito all'uso di sostanze letali nel sobborgo di Ghouta, in Siria, nell'agosto 2013, che aveva ucciso più di 1400 persone;
   l'operazione di smaltimento e distruzione ha visto coinvolti, oltre all'Italia, anche Usa, Russia, Finlandia, Norvegia, Gran Bretagna, Cina, Danimarca e Germania, in una missione congiunta Onu-Opac, attraverso personale, navi e mezzi di terra;
   il trasbordo presso il porto di Gioia Tauro, è avvenuto dalla Ark Futura, il cargo nel quale sono arrivati i container alla nave statunitense Mv Cape Ray, un cargo molto vecchio, fabbricato nel 1977;
   non è chiaro se il metodo che si utilizzerà per distruggere le sostanze nocive in mare aperto avverrà per combustione, come di solito avviene, essendo un metodo più sicuro, oppure, come pare che sia, avverrà tramite idrolisi, metodo solitamente usato in porto, a nave attraccata;
   i vigili del fuoco, raggiunta la Ark Futura presso il porto calabrese, hanno constatato che vi erano già «una serie di scorie già trattate e imballate, dunque già pronte per la Germania» (senza passare per il mare di Creta, dove dovrebbe avvenire la distruzione delle sostanze), come da articolo di Silvio Messinetti per il Manifesto del 3 luglio 2014;
   alcuni manifestanti della Piana di Gioia Tauro, in particolar modo del quartiere Fiume, dove ricadono gli impianti del Porto, compreso il termovalorizzatore, anche allertati dalle prime voci su nuovi carichi di veleni rifiutati dell'Albania, hanno chiesto spiegazioni e rassicurazioni al Ministro interrogato, presente durante le operazioni di trasbordo;
   il Ministro interrogato ha spiegato «su questa area abbiamo già avviato con l'Arpa un programma finanziato con fondi europei, nei fondi di coesione, di monitoraggio di alcune zone sulle quali è stata segnalata la presenza di rifiuti pericolosi» (Simone Messinetti, il Manifesto, 3 luglio 2014);
   il Ministro interrogato ha dichiarato che non si è trattato solo di un'operazione tecnica, ma di una operazione volta a riaffermare la pace nel mondo –:
   come il Ministro interrogato intenda rassicurare la cittadinanza riguardo all'ipotesi indicata in premessa, che parte delle scorie fossero già state trattate e imballate;
   come intenda verificare, per quanto di competenza, che sia svolta una vera azione di monitoraggio in un contesto come quello della Calabria, in cui fondi e progetti europei non hanno quasi mai garantito la sicurezza e la salute dei cittadini. (4-05393)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla vicenda del trasbordo delle sostanze chimiche presso il porto di Gioia Tauro (RC), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Nella giornata del 2 luglio 2014, si sono concluse positivamente, le operazioni di trasbordo di 78 container, contenenti 569 tonnellate di sostanze chimiche (iprite e precursori del sarin), presso il porto di Gioia Tauro.
  Per l'occasione sono state istituite due sale operative, una presso la prefettura di Reggio Calabria, una all'interno del porto di Gioia Tauro e tre centri operativi comunali (COC) con il compito di interagire ed, in caso di incidente, allertare e mettere in sicurezza le popolazioni attivando i piani di evacuazione.
  Le operazioni si sono svolte con la massima sicurezza ed efficienza grazie alla fattiva collaborazione ed alta professionalità di tutte le amministrazioni coinvolte.
  Nella fattispecie l'operazione ha previsto il trasferimento dei container dalla nave norvegese «Ark Futura» alla nave Usa «Cape Ray», che si è successivamente spostata in acque internazionali nel Mediterraneo per procedere alla distruzione mediante idrolisi delle sostanze. Sulla «Cape Ray» equipaggiata con due «field deployable hydrolysis systems», erano presenti 35 marines e 64 esperti chimici dell’Army's edgewood chemical biological center.
  La procedura ha visto le due navi coinvolte nel trasbordo, attraccate in un tratto di banchina vicino al bacino di evoluzione sud del porto.
  I container in parola sono stati trasbordati da 30 portuali dipendenti della Mct, opportunamente informati e formati rispetto alla particolare tipologia di operazione. Le due navi coinvolte nelle operazioni di trasbordo, erano di tipo Ro/Ro, ovvero navigli che utilizzano la tecnica Roll On — Roll Off (Ro-Ro) di movimentazione orizzontale, dotate in altre parole di un portellone davanti alla prua che consente l'accesso a mezzi carichi di merce.
  Dopo essere state ancorate alla banchina, i portuali hanno scaricato dalla «Ark Futura» un container alla volta per poi caricarlo sulla «Cape Ray», per ogni container trasbordato è stata attuata la procedura di segnalazione alla sala operativa relativa alla tipologia di sostanze contenute all'interno.
  I container successivamente sono stati scaricati da gru per le quali è stato anche prevista l'installazione di un generatore in caso di mancanza di energia elettrica.
  Lungo il tratto di banchina dove si sono svolte le operazioni erano state installate in via preventiva, delle barriere e delle zone assorbenti utili in caso di incidente o perdite di sostanze chimiche sul terreno.
  In zona, inoltre, è stato attrezzato un posto di comando e di direzione delle operazioni dotato di apparati di telecomunicazioni ma anche di mezzi di trasporto e di una stazione di decontaminazione gestita dai vigili del fuoco e dal 118.
  È stata infine istituita un'area di sicurezza e di interdizione con un raggio di un chilometro e mezzo. L'isolamento dell'area è stato garantito grazie alla presenza di centinaia di poliziotti, carabinieri e agenti di polizia locale e provinciale.
  Sono stati inoltre effettuati, una decina di blocchi per il traffico veicolare di tutte le strade di accesso all'area intorno al porto. Infine, sul lato mare lo scalo è stato presidiato da mezzi della marina militare e anche da gruppi di subacquei che hanno stazionato in loco per tutta la durata delle operazioni.
  Tutto ciò premesso, nello specifico corre l'obbligo sottolineare che il monitoraggio ambientale sul territorio è garantito dalle attività espletate dall'agenzia per la protezione ambientale territorialmente competente, la quale provvede ad effettuare, periodicamente, le debite verifiche analitiche sulle varie matrici ambientali.
  Ad ogni modo, il Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DAGA, VIGNAROLI, BONAFEDE, GAGNARLI, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi ed alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva rifiuti, inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva rifiuti pericolosi; da ultimo, l'Italia non aveva fornito prova che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva discariche di rifiuti;
   nel corso della causa C-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva rifiuti e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva rifiuti pericolosi. Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva discariche di rifiuti;
   nella sentenza del 2 dicembre 2014, la Corte ha ricordato innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti, non è misura sufficiente per l'adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva rifiuti. Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Inoltre, il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure ritenute sufficienti. La Corte ha rilevato poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in alcuni siti. Riguardo ad altri siti, ha contestato che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte, dunque, è arrivata alla conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni, siano stati violati in modo persistente;
   la Corte ha pertanto statuito che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione. In conseguenza di ciò, il nostro paese è stato condannato al pagamento di una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato inoltre che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza. Oltre questo, un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. La Corte, ha considerato quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consentirà di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 dovrà essere trasmessa alla Commissione prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   nell'elenco delle discariche oggetto della causa C-196/13, menzionate in particolare nel punto 75 delle conclusioni che l'Avvocato Generale ha presentato il 4 settembre dinnanzi alla Corte di Giustizia europea, 6 sono ubicate nella Regione Toscana, precisamente una nel comune dell'Isola del Giglio, una nel comune di Pietrasanta, due nel comune di Stazzema, una nel comune di Tresana e una nel comune di Vernio;
   su questo argomento, il 18 dicembre 2014, presso le Commissioni Riunite VIII e XIV della Camera dei deputati è stato ascoltato, Gian Luca Galletti, Ministro dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, che tra le altre cose ha dichiarato: «ho già sollecitato, per il tramite della Rappresentanza d'Italia presso l'Unione europea, l'avvio di un confronto con la Commissione per concordare le modalità di esecuzione della sentenza. Inoltre, con il coordinamento del Dipartimento per le politiche europee del mio dicastero, in collaborazione con le regioni interessate, si sta predisponendo un aggiornamento sullo stato di avanzamento delle attività di bonifica per i siti oggetto di contestazioni europee, al fine di disporre dell'insieme delle informazioni utili a ottenere una riduzione delle sanzioni pecuniarie imposte dalla condanna della Corte di giustizia sin dalla scadenza del primo semestre, prevista per il 1° giugno 2015. Abbiamo già convocato una riunione per il prossimo lunedì 22 dicembre per garantire un tempestivo coordinamento dei lavori con le regioni. In tale sede spiegherò con chiarezza che, prima ancora della condanna del 2 dicembre scorso, l'Italia si era già dotata degli strumenti normativi e dei finanziamenti necessari al conseguimento di tale obiettivo. In particolare, con la legge di stabilità 2014, è stato istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare un apposito fondo con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli esercizi 2014 e 2015, destinati al finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate in relazione alla procedura di infrazione comunitaria 2003/2077. Il piano, approvato lo scorso 9 dicembre, individua interventi su complessive 45 discariche in procedura di infrazione, rispetto ai quali, in considerazione delle risorse limitate messe a disposizione dalla già citata legge di stabilità, sono stati adottati specifici criteri di finanziamento. In particolare, è stata assegnata la massima priorità agli interventi in aree e discariche pubbliche ritenute più rapidamente cantierabili dalle regioni interessate. In secondo luogo, si è deciso di garantire la copertura delle opere non immediatamente cantierabili. Tali interventi, in totale 29, troveranno copertura finanziaria a valere sulle risorse disponibili del fondo, che ammontano a circa 59,5 milioni e saranno attuati attraverso gli accordi di programma quadro già stipulati tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e le regioni Abruzzo, Puglia, Sicilia e Veneto. Diversamente, le ulteriori iniziative individuate, per un totale di 16 discariche, che ricomprendono tra l'altro gli interventi in sostituzione e in danno da effettuare nei confronti dei privati inadempienti nelle discariche interessate dalla presenza di rifiuti pericolosi in Emilia-Romagna, Liguria e Umbria, potranno essere finanziate solo attraverso il reperimento delle risorse, 54 milioni, che vanno sommati ai 7 che risultano già disponibili da parte delle regioni, per un totale di 61 milioni di euro. Tale fabbisogno potrebbe trovare copertura a valere sui fondi strutturali 2014-2020 assegnati alle regioni interessate, come recentemente proposto negli emendamenti alla legge di stabilità 2015. Per ulteriori 6 aree di discarica oggetto della procedura di infrazione ricadenti all'interno dei siti di bonifica di interesse nazionale di Venezia, Mantova, Serravalle e Priolo, è stata richiesta in via programmatica la copertura finanziaria dei relativi interventi nell'ambito della ripartizione del Fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo 2014-2020. I siti oggetto di contestazione, come ho già ricordato all'inizio, ammontano complessivamente a 218. Di questi, 4 costituiscono un errore di censimento, nel senso che non esistono proprio; 48 risultano già bonificati; 115 sono oggetto di interventi di ripristino ancora in corso e in via di chiusura; 29 risultano finanziati con il piano straordinario già illustrato; per i rimanenti 16, si attende, come detto, il reperimento dei 54 milioni necessari mancanti per l'avvio degli interventi, la cui copertura è nei capitoli di spesa che ricordavo. Il nostro obiettivo è prevedere già in questa fase l'ulteriore copertura finanziaria degli interventi programmati. Ciò consentirebbe di dare immediato avvio alle procedure per i lavori nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria di riferimento. Sarebbe il modo migliore per dimostrare l'impegno del Paese ad adempiere la sentenza già in questa prima fase di negoziazione con la Commissione europea, anche per rimodulare le condizioni di adempimento, contenendo gli importi delle penalità previste per i successivi semestri e riducendo progressivamente il tetto della penalità nei semestri successivi per effetto della messa a norma degli altri siti» –:
   quale lo stato di avanzamento delle attività di bonifica per i siti ubicati nella Regione Toscana ed oggetto di contestazioni europee;
   se il fondo previsto dalla legge di stabilità del 2014 di 30 milioni per il biennio 2014/2015 destinati al finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate in relazione alla procedura di infrazione comunitaria 2003/2077, riguardi anche gli invasi ubicati nella Toscana;
   se e quali discariche ubicate nella Toscana, ed oggetto della condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea, siano da ritenersi cantierabili o non immediatamente cantierabili;
   se esista un accordo di programma già stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione Toscana al fine di bonificare le discariche oggetto della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.
(4-09112)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo stato delle discariche oggetto della sentenza di condanna del 2 dicembre 2014 della Corte di giustizia — causa C-196/13 in Toscana, sulla base degli elementi acquisiti dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Nell'ambito della procedura di infrazione dei siti italiani oggetto di contestazioni europee, sono ricompresi n. 6 siti ubicati nella regione Toscana e precisamente nei comuni di: Pietrasanta, Vernio, Tresana, Stazzema (2), Isola del Giglio.
  A seguito della sentenza di condanna del 2 dicembre 2014, la Commissione europea ha richiesto la trasmissione di specifiche informazioni sulle misure adottate per ottemperare alla sentenza.
  Il Ministero dell'ambiente, ha trasmesso alla Commissione europea la documentazione, acquisita dagli enti locali e regionali competenti, attestante la messa a norma di diversi siti nazionali.
  Anche a seguito delle valutazioni della Commissione europea, si riporta di seguito l'aggiornamento relativo alle n. 6 discariche della regione Toscana:
   per n. 3 discariche è stata riconosciuta la messa a norma e pertanto l'esclusione dalla procedura di infrazione (Stazzema-Canale delle Volte con decisione SG- Greffe(2015)D/7992 del 13 luglio 2015; Tresana e Vernio, entrambe con decisione SG- Greffe(2016)D/1687 del 9 febbraio 2016);
   per n. 2 discariche (Pietrasanta e Stazzema-Scardaccia) i lavori sono conclusi, tuttavia permangono nella procedura di infrazione in quanto le certificazioni prodotte dalla regione Toscana non state ritenute dalla Commissione europea idonee a certificare la messa a norma dei siti in questione;
   per n. 1 discarica (Isola del Giglio) i lavori di bonifica di ordigni bellici, preliminari alla programmazione degli interventi di bonifica ambientale del sito, in precedenza sospesi, sono stati ripresi e sono attualmente in corso, anche a seguito di decreto di diffida del Presidente del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2015 su proposta del Ministro dell'ambiente indirizzato al comune dell'isola del Giglio e alla regione Toscana per la realizzazione delle attività relative alla discarica secondo un preciso cronoprogramma.

  I siti in procedura di infrazione ubicati nel territorio della regione Toscana sono stati finanziati esclusivamente con fondi regionali e comunitari, ma non con il fondo previsto dalla legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014).
  Si precisa che il finanziamento dei lavori di messa in sicurezza permanente della discarica dell'isola del Giglio era previsto nel POR CREO FESR 2007-2013 e, pertanto, non sussisteva l'esigenza di comprenderlo nel fondo previsto dalla legge n. 147 del 27 dicembre 2013 o di prevedere un accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e il Ministero dello sviluppo economico a riguardo. Il finanziamento regionale è stato revocato in quanto i lavori non sono stati conclusi, collaudati e rendicontati entro il 31 dicembre 2015, data imposta dalla Commissione europea per la chiusura del programma. Per il superamento della situazione, la regione Toscana ha proposto delle alternative di finanziamento attualmente al vaglio del sindaco in carica.
  Si rappresenta inoltre che non è stato stipulato alcun accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente, il Ministero dello sviluppo economico e la regione Toscana circa le discariche oggetto della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea ricadenti nel territorio toscano.
  Si evidenzia, infine, che proprio in considerazione della grande importanza e della notevole complessità degli adempimenti qui in discussione, il Governo si è fatto promotore della approvazione, in sede di legge n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016), di una normativa volta a tendere più celere, in presenza di una sentenza di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea, l'intervento sostitutivo dello Stato a garanzia di importanti diritti fondamentali degli individui nonché del corretto adempimento agli obblighi europei anche direttamente discendenti dalla sentenza. Le operazioni di definitiva bonifica dei siti sopra menzionati, d'altro canto, rendono necessario procedere ad una serie di atti, strettamente concatenati l'uno all'altro, fattispecie questa che renderebbe particolarmente difficile l'esercizio di un efficace potere sostitutivo da parte del Governo, poiché sarebbe necessario o attendere la scadenza di un termine congruo per il completamento della bonifica per procedere alla diffida, ovvero agire in relazione ad ogni singolo atto, con una eccessiva burocratizzazione di tutto il procedimento. Ebbene, l'articolo 1, comma 814, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 consente al Governo — nel caso in cui ciò si renda necessario al fine di far fronte a sentenze di condanna o a procedure di infrazione in sede europea — di diffidare gli enti inadempienti alla realizzazione di uno specifico cronoprogramma, con la possibilità, nel caso di inadempimento anche ad uno solo degli atti indicati nel cronoprogramma, di una integrale sostituzione fino al pieno raggiungimento del risultato. Come è evidente, si tratta di uno strumento di semplificazione ed accellerazione dei procedimenti, che non si può non salutare con favore, e di cui è intenzione del Governo servirsi con decisione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DAGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi gli abitanti del comune di Labico – la cui popolazione residente è di circa seimila persone – si sono visti recapitare 9.583 avvisi di pagamento relativi ad omessi o insufficienti pagamenti di tasse comunali;
   l'importo complessivo degli avvisi di pagamento ammonta a 11.626.000 euro, che corrisponde ad un valore medio per ogni abitante, compresi i bambini, di circa 2000 euro;
   l'enormità della richiesta deriva dalla decisione dell'amministrazione comunale di affidare la riscossione e l'accertamento dell'ICI, TARSU, IMU, TARI e TASI a una società di Lucca, la A e G spa, alla quale è stato riconosciuto un aggio dell'11,19 per cento per la durata di cinque anni;
   a quanto risulta il comune di Labico, al fine di effettuare il riconoscimento dei cospicui debiti fuori bilancio contratti, ha avviato un piano decennale di riequilibrio finanziario ai sensi degli articoli 243 e seguenti del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico degli enti locali);
   come attestano i comunicati di chiarimento pubblicati sul sito istituzionale del comune di Labico probabilmente per la fretta con cui è stata gestita l'operazione di recupero crediti, si sono verificati moltissimi errori e richieste di pagamento assolutamente irragionevoli, ma che hanno creato inevitabile disagio e preoccupazione tra i cittadini;
   il rischio è che trascorrano i 60 giorni previsti entro i quali i cittadini sono tenuti a regolarizzare la propria posizione, senza che sia data loro la possibilità di contestare errori ed imprecisioni di cui non sono responsabili, visto la lentezza con cui si stanno effettuando le verifiche sulla correttezza dei calcoli effettuati e delle cifre richieste;
   i consiglieri dell'opposizione hanno chiesto al sindaco di avvalersi della procedura di annullamento d'ufficio, tenuto conto dei numerosi vizi procedimentali riscontrati –:
   se il Governo non ritenga – avvalendosi all'uopo della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, di cui agli articoli 155 del testo unico enti locali e 3 del decreto-legge n. 174 del 2012 – di avviare il monitoraggio della situazione finanziaria dell'ente e dei relativi equilibri di bilancio al fine di verificare che, alla luce delle ulteriori criticità emerse, sussistano ancora le condizioni per il rispetto del piano di riequilibrio finanziario.
(4-11805)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione sui numerosi errori riscontrati negli atti di accertamento dei tributi locali inviati alla cittadinanza, nello scorso mese di gennaio, dalla società a cui il comune di Labico ha affidato alcune attività a supporto del proprio ufficio tributi. Al riguardo, auspica che la commissione centrale per la stabilità finanziaria degli enti locali del Ministero dell'interno avvii un monitoraggio teso a verificare se sussistano ancora le condizioni per il rispetto del piano decennale di riequilibrio approvato da quella amministrazione per far fronte agli oneri derivanti dai debiti fuori bilancio riconosciuti.
  Si premette che il comune di Labico ha deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale con provvedimento consiliare del 27 dicembre 2013.
  Il piano di riequilibrio finanziario della durata di dieci anni è stato approvato con successiva deliberazione consiliare del 17 marzo 2014.
  All'esito dell'articolata e complessa istruttoria, la citata immissione per la stabilità finanziaria degli enti locali ha redatto la relazione finale in data 15 luglio 2015 e l'ha trasmessa alla corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, che ha approvato il piano di riequilibrio il 27 dicembre 2015.
  Tanto premesso, in ordine agli errori riscontrati negli atti di accertamento di tributi locali, il comune di Labico ha comunicato quanto segue.
  Le procedure per il recupero di crediti tributari non riscossi sono state avviate nel 2015, nell'intento non solo di adempiere a precisi obblighi di legge e di attuare una politica di equità fiscale, ma anche di reperire le risorse necessarie ad assicurare una serie di servizi, non finanziabili altrimenti.
  L'iniziativa prevede anche sopralluoghi presso gli immobili soggetti a imposizione per verificare la correttezza delle dichiarazioni presentate e le situazioni realmente esistenti nei casi in cui le medesime dichiarazioni siano state omesse.
  In tale contesto, l'ente locale, previo esperimento di una regolare procedura di gara, ha affidato ad una società privata l'appalto di alcuni servizi di supporto all'Ufficio comunale tributi.
  A seguito del considerevole numero di errori riscontrati, il responsabile di quest'ultimo ufficio ha contestato alcuni addebiti alla società appaltatrice, chiedendole di presentare le proprie controdeduzioni.
  Nel frattempo, il comune ha potenziato l'ufficio tributi e ha pubblicato, anche sul proprio sito istituzionale, comunicati e avvisi alla popolazione per fornire una corretta informazione sulle iniziative intraprese a tutela dei contribuenti e della stessa amministrazione e per tranquillizzare i destinatari degli avvisi di pagamento.
  Infine, il 2 febbraio 2016 il responsabile del citato ufficio tributi ha adottato il provvedimento che sospende, fino ai 30 giugno 2016, tutti gli effetti degli atti di accertamento notificati. Ciò ai fini di consentire agli interessati di verificare le proprie posizioni presso i competenti organi e lo sportello di front office del comune.
  L'ente locale ha, peraltro, segnalato che non sono disponibili stime ufficiali circa l'entità dei proventi che potrebbero scaturire dall'iniziativa di recupero dei tributi, atteso che le procedure avviate versano ancora nella fase di accertamento.
  In ogni caso, ha fatto presente che le maggiori entrate tributarie non sono destinate a finanziare il piano di riequilibrio. Questi, infatti, è fondato su un'operazione straordinaria di riduzione della spesa corrente e, in via subordinata sull'alienazione di due immobili di proprietà comunale; alienazione che, tuttavia, il comune ha precisato di aver inserito nel piano solo in via cautelativa.
  Conclusivamente, il comune di Labico ha assicurato che non esistono condizioni di criticità suscettibili di incidere negativamente sul rispetto degli impegni assunti con il piano di riequilibrio.
  Si assicura, comunque, che il controllo sull'attuazione del medesimo avverrà nel rigoroso rispetto della procedura prevista dal comma 6 dell'articolo 243-quater del Tuoel, per gli effetti di cui ai commi 7, 7-bis 7-ter della stessa disposizione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   DURANTI, FRATOIANNI, MATARRELLI, PANNARALE, SANNICANDRO, ZAN, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sul sito del Corriere della Sera.it del 18 febbraio 2014 è pubblicato un articolo dal titolo «La minaccia radioattiva alle porte di Taranto», nel quale si denuncia la presenza in un deposito a 20 chilometri da Taranto, di migliaia di fusti contenenti scorie che emanano radiazioni, abbandonati da vent'anni in un deposito dell'ex Cemerad di Statte, a 20 chilometri da Taranto;
    ricordiamo peraltro che Statte, è stato inserito per la sua vicinanza, nel Sito di interesse nazionale di Taranto, e continua a pagare in malattia e morte un prezzo altissimo per le emissioni del siderurgico dell'Ilva;
   nel suddetto deposito, un semplice capannone di lamiera, sono stoccati da troppi anni 1140 metri cubi di rifiuti radioattivi ammassati in torri alte fino a venti metri, e in tutti questi anni, come riporta l'articolo «la situazione “non è migliorata” e i fusti hanno subito un “deterioramento inevitabile”», secondo l'ex direttore del dipartimento nucleare dell'Ispra, Roberto Mezzanotte;
   l'articolo è peraltro accompagnato da immagini inedite che riprendono l'interno del deposito, e girate dagli investigatori del Corpo Forestale nel 1995, durante una perquisizione richiesta del procuratore di Matera, Nicola Maria Pace. Su alcuni dei fusti ritrovati nel deposito è riportata una data di decadenza della radioattività a 10 mila anni, ricordano gli ufficiali della forestale che eseguirono la perquisizione;
   dopo una lunga vicenda giudiziaria il deposito della Cemerad è stato sequestrato e la ditta è fallita. A pagare la bonifica rischia di essere anche in questo caso la collettività. Il comune di Statte ha finora provveduto, con fondi regionali, alla caratterizzazione dei rifiuti, ma è evidente che ora risulta indispensabile provvedere alla relativa bonifica –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se non ritenga attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di garantire la completa messa in sicurezza e bonifica dell'area. (4-03662)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla presenza in località Vocchiaro, nel comune di Statte, in provincia di Taranto, di un deposito temporaneo che ha operato nel campo della raccolta di rifiuti radioattivi da applicazioni medico-industriali, anche sulla base degli elementi acquisiti dagli enti locali territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  La società di riferimento, la CEMERAD S.r.l., è stata dichiarata fallita con provvedimento del tribunale di Taranto del 2005 e da oltre dieci anni il deposito è sottoposto a provvedimento di sequestro preventivo con affidamento dello stesso in custodia giudiziaria all'Assessore all'ecologia del comune di Statte.   
  Nel mese di aprile del 2012 l'Ispra; ha effettuato un sopralluogo presso il sito predetto, a seguito del quale ha riscontrato che la situazione potesse costituire un caso di applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995, il quale prevede che nelle situazioni che comportino una esposizione prolungata a radiazioni ionizzanti dovuta, tra gli altri, agli effetti di una pratica non più in atto, le autorità competenti per gli interventi ai sensi della legge n. 225 del 1992, in materia di «istituzione del Servigio Nazionale della Protezione Civile», adottano i provvedimenti opportuni.
  L'Ispra ha riferito, in tale occasione, di aver appreso dal comune di Statte che lo stesso aveva già acquisito un progetto esecutivo per la caratterizzazione dei rifiuti radioattivi presenti nel deposito, la cui operazione comporterebbe una spesa pari a 1,5 milioni di euro che rappresenta, nelle disponibilità del comune, la somma massima dedicabile al deposito. Tale operazione è peraltro ritenuta propedeutica ai necessari interventi destinati, in particolare, al trasferimento dei rifiuti in un deposito idoneo, in vista del successivo smaltimento, e alla bonifica dell'area nel suo complesso, che comporterebbero una spesa complessiva valutata nell'ordine dei 5 milioni di euro.
  Il dipartimento della Protezione civile, dopo aver preso atto di quanto segnalato dall'Ispra, al fine di procedere alle attività di messa in sicurezza del deposito di rifiuti radioattivi, con una nota del mese di agosto dello stesso 2012, aveva precisato che l'attuazione degli interventi previsti dall'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995 dovesse essere coordinata, a livello locale, dalla competente prefettura – ufficio, territoriale del Governo – avvalendosi delle risorse economiche già stanziate dagli enti locali.
  La prefettura di Taranto, dal canto suo, risulta essersi tempestivamente attivata in tal senso, coordinando in ambito locale le linee di intervento ai sensi del citato articolo 126-bis, della qual cosa ha provveduto ad informare formalmente e a cadenza periodica il capo dipartimento della Protezione civile, il Ministero dell'ambiente, il presidente della Giunta regionale Puglia, l'Ispra, il Ministero dell'interno e il dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile.
  In particolare, nell'informativa del 1o ottobre 2014, la prefettura di Taranto ha comunicato che nel capannone sono conservati 16.724 fusti, di cui 3.344 contengono rifiuti radioattivi mentre nei rimanenti 13.380 sono contenuti rifiuti decaduti.
  In data 10 dicembre 2014, il prefetto di Taranto, sempre nell'ambito della sua attività di coordinamento, ha trasmesso una nota di aggiornamento della situazione in atto, segnalando, tra l'altro, che il comune di Statte ha fatto pervenire in prefettura una relazione sintetica contenente i quadri economici riferiti a due ipotesi alternative di intervento, quantificando in euro 5.125.000,00 i costi relativi all'ipotesi di caratterizzazione dei fusti in loco e successivo smaltimento dei rifiuti speciali non radioattivi, ed in euro 9.024.600,00 quelli relativi all'allontanamento di tutti i fusti per la successiva caratterizzazione e avvio allo smaltimento. Sul punto, la prefettura di Taranto ha segnalato che tale ultima ipotesi risulterebbe attuabile solo mediante ricorso a procedure di urgenza e quindi a seguito di provvedimento ex articolo della legge n. 225 del 1992, in materia di protezione civile. Nella circostanza, il capo del dipartimento della Protezione civile ha evidenziato che la soluzione definitiva del problema deve trovare opportuna copertura finanziaria nelle risorse ordinarie della regione Puglia e delle altre amministrazioni locali interessate.
  In sede di conversione in legge del decreto-legge n. 1 del 2015 recante «Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto», all'articolo 3 (disposizioni finanziarie) è stato aggiunto il comma 5-bis che dispone che «Ai fini della messa in sicurezza e gestione dei rifiuti radioattivi in deposito nell'area ex Cemerad ricadente nel comune di Statte, in provincia di Taranto, sono destinati fino a dieci milioni di euro a valere sulle risorse disponibili sulla contabilità speciale aperta ai sensi dell'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171.»
  Il Commissario straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, nel mese di luglio 2015 ha trasmesso al Ministero dell'ambiente la relazione di aggiornamento dello stato di attuazione delle azioni programmate ed avviate aggiornata al primo semestre 2015 riportando, in particolare:
   di aver reso disponibili, nell'ambito del programma finanziario di cui al protocollo d'intesa del 26 luglio 2012, fondi fino a 10 milioni di euro dalla contabilità speciale allo stesso intestata;
   di aver acquisito e valutato la documentazione prodotta dall'Ispra che, inoltre, ha fornito, su richiesta dello stesso commissario, il programma tecnico-temporale- economico in relazione alle azioni da porre in essere. L'Ispra propone la caratterizzazione in situ dei fusti e l'allontanamento degli stessi con conferimento in appositi centri di stoccaggio;
   che il comune di Statte ha formulato una proposta alternativa a quella di Ispra, predisponendo un progetto esecutivo per la bonifica e messa in sicurezza del sito che prevede la caratterizzazione in situ di tutti i fusti e lo stoccaggio dei fusti contaminati sempre in situ in una nuova area appositamente adibita allo scopo;
   di aver rappresentato la questione alla commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta dall'onorevole Bratti, con il quale è stata avviata una valutazione sulle possibili soluzioni.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 novembre 2015, è stato riconosciuto il carattere di interesse nazionale dei lavori per l'attuazione dell'intervento di messa in sicurezza e gestione dei rifiuti pericolosi e radioattivi siti nel deposito ex Cemerad di Statte (TA) e il Commissario Straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto è stato nominato, per la durata di un anno e senza alcun compenso, Commissario straordinario per l'attuazione dell'intervento di messa in sicurezza e gestione dei rifiuti pericolosi e radioattivi siti nel deposito ex Cemerad di Statte (TA).
  Il commissario straordinario dovrà predisporre e trasmettere alla Presidenza del Consiglio dei ministri un cronoprogramma operativo, tecnico ed economico per l'attuazione di ogni misura relativa alle attività previste dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché una dettagliata relazione, corredata della rendicontazione analitica delle somme spese, al termine delle attività connesse all'incarico.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'UVA, VILLAROSA, FRUSONE, RIZZO e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 marzo 2015 il quotidiano, consultabile online, La Gazzetta del Sud riportava la proclamazione dello «stato d'agitazione del personale del Comando dei vigili del fuoco di Messina», che da diversi anni denuncia la gravissima carenza di organico in forza al comando provinciale;
   «a causa dei continui passaggi di qualifica, nonché della riduzione dei richiami del personale volontario», così come riportato dall'articolo, «risulta inevitabile la chiusura di diversi distaccamenti della Provincia di Messina, tra i quali il Distaccamento Nord», ritenuto «presidio fondamentale», dal momento che attraverso la piena funzionalità di tale struttura viene assicurata la pubblica sicurezza in una vastissima porzione di territorio della città di Messina;
   la grave carenza di organico, a oggi colmata con grande sacrificio dal personale assegnato al comando dei vigili del fuoco della città di Messina, non consente di garantire il pubblico soccorso e la sicurezza civile, funzioni principali del Corpo, con grave danno della incolumità dei cittadini messinesi;
   a tal fine, si ricordi come a tutela delle emergenze emerse nel corso degli ultimi anni, anche a causa di alcuni provvedimenti di revisione di spesa, l'articolo 3-octies, del decreto legge del 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni, prevede l'incremento di 1030 unità di personale, al fine di assicurare gli standard operativi e i livelli di efficienza e di efficacia del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   il seguente articolo 3-novies, per gli stessi fini, dispone che «per la copertura dei posti portati in aumento nella qualifica di vigile del fuoco ai sensi del comma 3-octies, e autorizzata l'assunzione di 1000 unità mediante il ricorso, in parti uguali, alle graduatorie di cui all'articolo 8 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e di 30 unità secondo le modalità di cui all'articolo 148 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, per le finalità ivi previste»;
   tuttavia, nelle more dell'applicazione di tali disposizioni, risulta grave ed urgente l'emergenza funzionale del comando dei vigili del fuoco della città di Messina che, al pari di altre località meridionali, risulta essere dal 2008 soggetta ad emergenza operativa;
   in data 27 marzo 2015, il comandante dei vigili del fuoco del comando provinciale di Messina – dipartimento vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile, ha inviato al ministero dell'interno formale richiesta di ottemperanza nella risoluzione dell'emergenza organica;
   da tale atto si apprende come «ad esclusione del personale ex articolo 134 che, per motivi di salute, non può essere utilmente inserito nel servizio di soccorso, si è determinata, a oggi, una carenza complessiva di 43 unità tra Capi reparto e Capi Squadra, pari al 45 per cento del totale previsto dall'organico»;
   «anche se si considerasse l'attuale condizione di esubero di 11 unità vigili, la carenza complessiva del personale effettivamente impiegabile nel soccorso sarebbe di sole 32 unità, pari al 13 per cento dell'organico complessivo»;
   secondo il comandante del Corpo, «l'attuale quadro risulta ulteriormente aggravato dalla presenza del personale non operativo ex articolo 134, da unità richiamate in maniera periodica in missione in qualità di istruttori e/o discendenti, nonché per la presenza di alcuni capi squadra frequentemente in servizio presso il nucleo della città di Catania»;
   «le carenze organiche comportano oggi l'impossibilità di programmare e assicurare il servizio di soccorso tecnico urgente in una vasta provincia come quella di Messina, ad altissimo rischio sismico, idrogeologico ed industriale, data la presenza della Raffineria della Città di Milazzo»;
   tali urgenze, conclude il comandante, sono state già segnalate al dipartimento dei vigili del fuoco presso il Ministero dell'interno, rilevando come a causa della carenza di risorse finanziarie e della contestuale riduzione di unità, il comando della città di Messina sia stato costretto alla chiusura del distaccamento cittadino di Messina nord, garantendo per tali motivi la presenza di una sola squadra composta da 5 unità per tutta la città;
   le ulteriori carenze di personale, nonché la riportata chiusura del distaccamento, determineranno nei prossimi mesi l'impossibilità di assicurare la piena funzionalità di tutte le altre sedi attive, compromettendo in maniera irrimediabile l'operatività del Corpo, con grave pericolo per i cittadini;
   ad avviso degli interroganti, si ritiene che il riordino della pianta organica dei vigili del fuoco, previsto nei prossimi mesi, a seguito dell'immissione nel corpo dei vigili del fuoco di 1030 unità di personale, debba tenere in debito conto la situazione di assoluta emergenza che rischia di non assicurare ai cittadini messinesi la pubblica sicurezza –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda adoperarsi affinché, attraverso le nuove assegnazioni organiche così come disposte dal decreto legge del 24 giugno 2014, n. 90, possano colmarsi le carenze di personale che interessano il comando provinciale di Messina, le quali non consentono oggi di assicurare il pubblico soccorso e la sicurezza civile in un territorio ad altissimo rischio sismico, idrogeologico ed industriale. (4-08755)

  Risposta. — L'interrogante richiama l'attenzione sulla grave carenza di organico del comando provinciale dei vigili del fuoco di Messina, chiedendo se, al fine di garantire la sicurezza della cittadinanza messinese, tale deficit possa essere colmato in occasione del riordino conseguente all'immissione nel corpo nazionale dei vigili del fuoco di 1030 unità di personale.
  Si premette che le ultime manovre finanziarie non hanno reso possibile la sistematica copertura del turn over del personale posto in quiescenza, determinando l'impossibilità non soltanto di completare l'organico teorico, ma anche di coprire i posti resi vacanti dai pensionamenti intervenuti.
  Infatti il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha previsto assunzioni nella misura massima del 20 per cento del turn over per il triennio 2012-2014, del 50 per cento nell'anno 2015 e del 100 per cento a decorrere dall'anno 2016.
  Successivamente, la legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013) ha mitigato parzialmente il rigore del citato decreto legge n. 112 del 2008, disponendo, per le peculiari esigenze dei comparti sicurezza-difesa e dei vigili del fuoco e del soccorso pubblico, la possibilità di incrementare le percentuali di copertura del turn over fino al 50 per cento per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e fino al 70 per cento per l'anno 2015, tramite l'istituzione di un apposito fondo finanziato, a partire dal 2013, con 70 milioni di euro e, a decorrere dal 2014, con 120 milioni di euro, da ripartire tra le amministrazioni interessate, al fine di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato.
  Infine, la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), tenendo conto delle specificità e delle peculiari esigenze del comparto dei vigili dei fuoco e soccorso pubblico, ha innalzato, per l'anno 2014, la percentuale del turn over al 55 per cento in deroga ai limiti di cui al citato decreto-legge n. 112 del 2008 e all'articolo 1, comma 91, della legge n. 228 del 2012.
  Al fine poi di incrementare le dotazioni organiche dei ruoli operativi del corpo nazionale, il decreto-legge n. 101 del 2013, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, convertito in legge n. 125 del 2013, ha previsto un incremento delle dotazioni organiche del corpo nazionale, nella qualifica iniziale di vigile del fuoco, di 1000 unità.
  Un ulteriore potenziamento di organico è stato, successivamente, previsto con il decreto-legge n. 90 del 2014, convertito in legge n. 114 del 2014, che ha consentito l'assunzione di mille e trenta unità di personale.
  Per ottimizzare le risorse esistenti è razionalizzare il funzionamento delle strutture, è stato predisposto, a legislazione vigente, un progetto di riordino delle strutture centrali e territoriali del corpo nazionale.
  Il progetto, partendo dalle esigenze del territorio, ha ridefinito la mappatura delle sedi (centrali e distaccate), riclassificandole in base ad indicatori riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale.
  L'analisi, effettuata sulla base di dati oggettivi, ha consentito di bilanciare nel miglior modo possibile la distribuzione del personale nei vari comandi provinciali, garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
  A seguito di tale riorganizzazione, per il comando provinciale dei vigili del fuoco di Messina è stata prevista una dotazione organica di 298 unità operative (196 vigili, 79 capi squadra, 23 capi reparto), con un incremento di 10 unità rispetto al precedente organico.
  Attualmente sono in servizio 252 unità operative, con una carenza d'organico pari, quindi, a circa il 15 per cento.
  Tale carenza sarà parzialmente colmata a partire proprio dal corrente mese di marzo quando, nell'ambito della procedura di mobilità nazionale nel ruolo di vigile del fuoco, saranno assegnate al comando provinciale 11 vigili del fuoco.
  È previsto, inoltre, che con la conclusione degli ultimi corsi per allievi vigili del fuoco, verranno immessi in servizio 305 unità.
  Si assicura che, in tale occasione, questa amministrazione effettuerà altre assegnazioni al citato comando provinciale per rimpinguarne ulteriormente l'organico in servizio.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FIORIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la procedura di conferimento della protezione costituisce, insieme al passaggio alle Dop ed Igp, una delle novità introdotta dalla riforma dell'Organizzazione comune di mercato vino del 2008, poi confluita nell'attuale «Ocm unica» così come disciplinata dal regolamento: (UE) numero 1308 del 2013;
   la domanda di protezione di una denominazione di origine o di una indicazione geografica può essere presentata da qualunque associazione di produttori e rappresenta uno strumento irrinunciabile per promuovere le specificità del settore, della tradizione e del rilievo socio-economico e culturale delle denominazioni nei principali Paesi vitivinicoli europei;
   la disciplina precedente era caratterizzata per un sistema centrato sulle decisioni assunte dagli Stati membri. Le autorità nazionali erano infatti le sole autorità competenti a riconoscere i «vini di qualità prodotti in regioni determinate» (Vqprd) ed i vini da tavola con indicazione geografica. Esse trasmettevano i relativi elenchi alla Commissione europea il cui compito si limitava alla pubblicazione degli stessi nella serie C della Gazzetta ufficiale dell'Unione europea dopo aver verificato la conformità delle decisioni nazionali con la disciplina vitivinicola comunitaria;
   la disciplina vigente ha introdotto, al contrario, un nuovo sistema, che a differenza del precedente, prevede una procedura di registrazione suddivisa in due fasi, una nazionale ed una comunitaria, un diritto d'opposizione e la decisione finale che spetta alla Commissione europea;
   tale novità (che presentava anche una fase transitoria conclusa il 31 dicembre 2011) ha comportato un aumento delle competenze a carico dei servizi della Commissione europea, a cui tuttavia sembra non aver fatto seguito un potenziamento dell'organico dagli uffici della Direzione generale agricoltura e sviluppo rurale dell'Unione europea, la quale ha peraltro dovuto attuare il programma di riduzione della spesa imposto dalla stessa Commissione per far fronte ai tagli di bilancio decisi dagli Stati membri in occasione dall'adozione delle quadro finanziario pluriennale 2014-2020;
   tutto ciò ha portato, finora, ad un prevedibile allungamento dei tempi di risposta della Commissione europea, con moltissime pratiche che, a quanto risulta all'interrogante, sarebbero da alcuni anni in attesa di risposta;
   tali ritardi rischiano inevitabilmente di compromettere le attività ai produttori e ridurre le tutele nei confronti dei consumatori –:
   se quanto esposto in premessa, relativamente alle pratiche inevase dalla Commissione dell'Unione europea rispetto alla procedura di conferimento della protezione dei prodotti vitivinicoli corrisponda al vero, e quali interventi urgenti il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, nei confronti delle autorità europee, al fine di risolvere in tempi brevi questa grave problematica. (4-12195)

  Risposta. — L'attuale sistema di protezione europeo delle denominazione di origine protetta e indicazione geografica protetta dei vini (nell'ambito della nuova organizzazione comune del mercato unica dei mercati agricoli) prevede una procedura preliminare nazionale ed una successiva da parte della Commissione europea, per la valutazione delle nuove istanze di protezione e per le modifiche dei disciplinari.
  I tempi di risposta della Commissione europea sono dovuti alle numerose domande presentate da tutti gli Stati membri vitivinicoli, circostanza che in taluni casi sta rischiando di compromettere le attività dei produttori.
  Per evitare tale rischio il Ministero si è già attivato per collaborare con i competenti servizi della Commissione europea, al fine di rendere più agevoli le procedure informatiche, volte a ridefinire le sintesi di tutti i disciplinari DOP e IGP italiani e le domande di modifica presentate.
  Vorrei allo stesso tempo ricordare che, a seguito dell'esame preliminare nazionale e dell'invio alla Commissione europea delle relative istanze, anche per le proposte di modifiche dei disciplinari possono essere applicabili, su richiesta dei soggetti interessati delle relative DOP o IGP (per lo più Consorzi di tutela) le disposizioni di etichettatura transitoria di cui all'articolo 72 del regolamento n. 607 del 2009 che consente, nell'attesa che la Commissione europea termini la procedura di esame, l'immediata applicazione delle modifiche introdotte.
  Tali disposizioni, nell'attesa della conclusione del pertinente iter da parte Commissione Ue, consentono l'immediata applicazione delle modifiche introdotte.
  Considerata la scrupolosa procedura preliminare nazionale, che prevede il coinvolgimento del Comitato nazionale vini DOP e IGP, allo stato, non risultano ragioni per temere un diniego delle domande da parte della Commissione europea.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   FRACCARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il caldo degli ultimi giorni ha accentuato l'inadeguatezza degli impianti di climatizzazione degli immobili della questura di Trento situata in viale Verona e degli uffici della Commissione tributaria di I e II grado, polizia postale, Guardia di finanza e carabinieri del NOE, situati in via Vannetti 15, a Trento;
   se nei mesi invernali i menzionati complessi immobiliari sono stati caratterizzati da problemi di riscaldamento, per buona parte del periodo estivo non sono state assicurate ai lavoratori le condizioni minime di igiene e salubrità. Le temperature interne ai locali degli edifici hanno infatti raggiunto livelli prossimi ai 40° provocando situazioni di elevata pericolosità tanto che, come riportato con ampio risalto dalla stampa, un'ispettrice di polizia è stata colpita da malore ed è dovuta ricorrere alle cure sanitarie presso l'ospedale cittadino Santa Chiara;
   l'esigenza che si trovi una soluzione che garantisca un maggiore livello di efficienza energetica degli edifici e un'adeguata manutenzione ordinaria agli impianti nel lungo periodo è quindi sempre più impellente, ferma restando la necessità di un intervento urgente per ripristinare gli impianti nell'immediato –:
   se il Governo intenda assumere iniziative affinché si proceda alla predisposizione di un piano di interventi per l'efficientamento energetico dei complessi immobiliari di cui in premessa e quali iniziative siano in programma per scongiurare il protrarsi della situazione d'emergenza, garantendo il rispetto delle previsioni di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. (4-10040)

  Risposta. — In merito alle problematiche evidenziate dall'interrogante, si precisa che, per quanto concerne le sedi della questura e della sezione polizia stradale di Trento, il dipartimento della pubblica sicurezza ha autorizzato un finanziamento di 28 mila euro, con il quale la ditta appaltatrice dei lavori ha provveduto ad effettuare nei termini previsti la sostituzione di due centrali termiche in avaria (sulle tre esistenti) dell'impianto di riscaldamento del corpo centrale dello stabile. Il questore di Trento ha assicurato che attualmente l'impianto sta funzionando in modo regolare.
  Per quanto riguarda il sistema di climatizzazione estiva dello stesso comprensorio (corpo centrale e separata «palazzina corpo di guardia»), si rileva che lo stesso è andato in totale avaria il 7 luglio 2015. Per fronteggiare l'emergenza, nell'immediato sono stati acquistati 15 ventilatori, utilizzando parte del budget stanziato per tali incombenze. In seguito, il dipartimento della pubblica sicurezza ha autorizzato, con propri fondi, l'acquisto straordinario di 10 condizionatori portatili, per un costo complessivo di 4.650 euro.
  In realtà, le condizioni dell'impianto erano già compromesse da tempo e il questore aveva richiesto sin dal 2014 – seguendo la procedura del cosiddetto «manutentore unico» – il suo totale rifacimento, con specifica segnalazione per il fabbisogno triennale 2015/2017 e poi, anche nel 2015, per il fabbisogno triennale 2016/2018.
  Dopo l'inserimento dell'intervento in questione nel fabbisogno economico triennale 2016-2018 (con redazione in data 21 luglio 2015, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-sede coordinata di Trento, della specifica relazione sulla verifica del fabbisogno manutentivo per il triennio 2016-2018), si è tuttora in attesa delle determinazioni assunte in merito dall'Agenzia del demanio.
  Al riguardo, occorre precisare che l'intervento, classificato con alta priorità, è stato inserito nella programmazione degli interventi previsti per l'anno 2016, per un importo stimato in 385 mila euro (296 mila dei quali per i lavori).
  Un'ulteriore strada percorribile può essere quella prevista dall'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 102 del 2014, che ha disposto la riqualificazione energetica degli immobili della pubblica amministrazione.
  In tale ambito, il dipartimento della pubblica sicurezza ha avviato un'attività di monitoraggio presso le strutture in uso, al fine di individuare possibili interventi di efficientamento energetico che potrebbero essere oggetto di finanziamento da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  Il compendio immobiliare demaniale sede della questura e della sezione polizia stradale di Trento rientra appunto nel piano dei suddetti interventi e, per la struttura in parola, è stata presentata al citato Dicastero, ai fini dell'ammissibilità al finanziamento, l'apposita scheda tecnico-finanziaria per un costo complessivo dell'intervento pari a circa 435.000 euro.
  Anche in relazione a questa seconda situazione si è in attesa delle relative determinazioni.
  Tuttavia, qualora i fondi previsti nelle ipotesi descritte non fossero stanziati per l'anno 2016, al fine di evitare un'ulteriore stagione disagevole con temperature insopportabili per gli operatori, la questura ha effettuato, in via cautelativa e sempre con l'intervento di una ditta specializzata del settore, uno studio approfondito sulla possibilità di applicare – con relativo contratto di noleggio onnicomprensivo – adeguate apparecchiature refrigeranti esterne da collegare alle canalizzazioni esistenti, per una spesa preventivata di oltre 60.000 euro.
  Con riferimento ai locali in uso al compartimento polizia postale Trentino Alto Adige, presso l'immobile demaniale denominato palazzo degli uffici finanziari, situato in via Vannetti, si rappresenta che, con nota del 22 luglio 2015 il commissariato del governo di Trento, nel segnalare la necessità di lavori di ripristino dell'impianto di raffrescamento, ha trasmesso una bozza di convenzione che il Provveditorato interregionale alle opere pubbliche Veneto-Trentino Alto Adige-Friuli Venezia Giulia ha predisposto per l'attuazione dell'intervento, da sottoscrivere con i vari enti titolari di quote dell'immobile.
  Al fine di una valutazione più approfondita dell'iniziativa, in considerazione dell'indisponibilità di risorse finanziarie da parte di questa Amministrazione, con nota del 14 settembre 2015 il dipartimento della pubblica sicurezza ha richiesto al commissariato del Governo di trasmettere il quadro economico degli interventi.
  Il comando generale dell'arma dei carabinieri, che disloca nella struttura di via Vannetti il nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Trento, ha peraltro riferito che gli interventi di manutenzione previsti per l'impianto di climatizzazione assommano a una spesa stimata, nel complesso, in 188 mila euro (da suddividersi per quote millesimali tra le varie amministrazioni interessate).
  Per quanto concerne infine i disagi sopportati dagli operatori anche nella struttura in argomento, il questore ha segnalato che la scorsa stagione estiva, in accordo con le organizzazioni sindacali di polizia e dell'amministrazione civile dell'interno, sono state adottate alcune iniziative tese ad arginare il più possibile il malessere derivante dalle alte temperature (quali la variazione degli orari di lavoro, la sensibilizzazione ad adottare alcune norme cautelative per prevenire malori, la sollecitazione di controlli da parte del locale ufficio sanitario provinciale eccetera).
  La situazione dovrebbe comunque risolversi definitivamente – quantomeno per la polizia di Stato – con il programmato trasferimento della sede della polizia postale presso alcuni locali dell'Agenzia delle entrate, in via Brennero, anche se al momento non è possibile quantificare i tempi occorrenti al trasloco.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOREFICE, GRILLO, BARONI, CECCONI, DI VITA e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 ottobre 2012, con deliberazione nr. 223/12, il dottor Antonio Squillante, direttore generale dell'ASL Salerno, deliberava la nomina di direttore amministrativo l'avvocato Annamaria Farano per la durata di tre anni;
   la nomina avveniva in relazione ai requisiti previsti dal comma 7 dell'articolo 3 del decreto-legge 30 dicembre 1992, nr. 502 e ss.mm.ii. che recita testualmente: «il Direttore Amministrativo è un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione»;
   la delibera nr. 223/12 nominava il nuovo direttore amministrativa in accertamento dei requisiti richiesti dal succitato articolo di legge;
   all'Unione sindacale di base non risulta allo stato dei fatti che l'avvocato Annamaria Farano sia in possesso dei requisiti sopra citati ed in particolare rileva che «la predetta nominata è sì dirigente dell'ASL Salerno ma, sin dalla sua collocazione nell'Area dirigenziale, possedeva e possiede il profilo professionale di avvocato e quindi da sempre incardinata nei ruoli professionali dell'Azienda»; risulta inoltre che «l'Avv. Annamaria Farano ha diretto, con un incarico attribuito ai sensi dell’ex articolo 18 del CCNL dell'Area S.P.T.A. 8 giugno 2000, una struttura professionale, cosa diversa da quanto previsto dalla succitata normativa»;
   un ulteriore elemento di presunta irregolarità rispetto al ruolo ricoperto dall'avvocato Annamaria Farano, è rappresentato dalla sentenza emessa dalla corte di appello di Salerno in data 29 novembre 2013 con cui dichiara Farano Anna «colpevole del delitto al capo B) dell'imputazione e, concesse le attenuanti generiche, condanna Farano Anna alla pena di mesi quattro di reclusione e la dichiara interdetta dai pubblici uffici per anni cinque» –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari regionali, in merito alla vicenda descritta in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al riguardo, in considerazione del fatto che le scelte relative al l'affidamento di importanti incarichi dirigenziali nelle aziende sanitarie pubbliche sono destinate a produrre effetti anche sul piano dell'efficienza complessiva della gestione del servizio sanitario regionale e, quindi, della razionalizzazione della spesa;
   se si intendano assumere iniziative normative, nel rispetto dell'autonomia delle regioni, al fine di meglio disciplinare le procedure di selezione per l'affidamento di incarichi come quello di cui in premessa.
(4-03629)

  Risposta. — In merito alla vicenda delineata nell'atto di sindacato ispettivo in esame, la prefettura ufficio territoriale del Governo di Salerno aveva interpellato il direttore generale «pro tempore» dell'azienda sanitaria locale di Salerno prima della scadenza del suo incarico, intervenuta in data 31 luglio 2015.
  In tale occasione, il direttore generale aveva comunicato che il direttore amministrativo dell'azienda sanitaria locale di Salerno, nominato con deliberazione n. 223 del 31 ottobre 2012, risultava in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa in vigore ai fini dell'assunzione dell'incarico in questione, in quanto laureato in giurisprudenza ed in servizio presso la stessa azienda sanitaria locale di Salerno da oltre trenta anni, in cui ha svolto una «qualificata attività di direzione tecnica e amministrativa» in quanto «titolare, ex articolo 18 del contratto collettivo nazionale del lavoro, dell'area della dirigenza della struttura complessa servizi affari legali presso l'azienda sanitaria locale Salerno 1, struttura incardinata nel dipartimento amministrativo di cui all'articolo 11 dell'atto aziendale adottato con deliberazione del direttore generale della disciolta azienda sanitaria locale Salerno 1 n. 810 del 21 giugno 2001».
  Inoltre, al momento del conferimento dell'incarico, l'interessata risultava assolta nel giudizio di primo grado, con sentenza resa in data 14 novembre 2011 «perché i fatti non sussistono».
  Per lo stesso motivo, in data 3 gennaio 2012, veniva archiviato anche il procedimento disciplinare avviato per i medesimi fatti dall'azienda sanitaria locale di Salerno, a seguito del rinvio a giudizio dell'interessata.
  La sentenza di condanna emessa in esito al giudizio di appello, richiamata nell'interrogazione parlamentare in esame, è in effetti intervenuta ad oltre un anno dalla nomina a direttore amministrativo.
  Tanto premesso, occorre precisare che, allo stato attuale, l'interessata non riveste più l'incarico di direttore amministrativo.
  Infatti, come già ricordato, il 31 luglio 2015 è giunto a scadenza l'incarico del direttore generale «pro-tempore» dell'azienda sanitaria locale di Salerno.
  Nelle more dei tempi occorrenti per l'espletamento delle procedure di selezione per il conferimento dell'incarico del nuovo direttore generale dell'azienda sanitaria locale Salerno, la giunta regionale della Campania, al fine di assicurare il pieno conseguimento degli adempimenti contemplati nel piano di rientro dal disavanzo in materia sanitaria, e nel contempo, per garantire la continuità dell'azione amministrativa aziendale, con delibera n. 376 del 7 agosto 2015 ha disposto la gestione commissariale straordinaria dell'azienda sanitaria locale di Salerno per 60 giorni, e comunque fino alla designazione del nuovo direttore generale, nominando contestualmente il commissario.
  La nomina dell'organo di vertice con funzioni di commissario ha determinato la cessazione della gestione ordinaria aziendale, e quindi anche il termine degli incarichi di direttore amministrativo e di direttore sanitario.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da due anni, e sempre con maggiore insistenza, si avverte un cattivo odore, di materiale plastico bruciato, in località Pagliarese e in località Corsalone, nel comune di Chiusi della Verna ed in località Terrossola nel comune di Bibbiena;
   già numerosi cittadini hanno segnalato il problema all'amministrazione comunale senza, ad oggi, ottenere alcun risultato di miglioramento, anzi il cattivo odore si fa sempre più frequente durante tutto l'arco della giornata;
   ultimamente il cattivo odore è aumentato sino a livelli insopportabili e interessa e degrada l'intera zona; numerose persone, abitanti nelle zone limitrofe all'area industrializzata di Corsalone, lamentano disagi sempre più pressanti, anche perché i cattivi odori fanno preoccupare i cittadini per la propria salute;
   da quanto si legge sulla stampa (Arezzo oggi del 10 febbraio 2014), nella risposta ad una interrogazione a livello regionale, «la presunta origine della problematica dei cattivi odori al Corsalone sarebbe da ricondurre alle emissioni in atmosfera provenienti dalla ditta Air Beton, ma le maleodoranze possono essere frutto anche di altri contributi emissivi per i quali sono state previste ulteriori indagini (...) è stato verificato che all'origine delle maleodoranze vi sono gli sfiati di depressurizzazione delle autoclavi in uso presso questa impresa dove vengono utilizzate alcune tipologie di sostanze organiche con funzione di distaccanti. Attualmente gli sfiati delle autoclavi non sono campionabili perché sono considerati emissioni poco significative e pertanto i condotti di emissione non sono dotati di prese per il campionamento»;
   nella scorsa legislatura, il 14 novembre 2012 è stata presentata l'interrogazione 4-18548, di analogo contenuto, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore che non ha mai ricevuto risposta –:
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere, anche promuovendo un sopralluogo da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente per del far sì che si svolgano quanto prima le necessarie verifiche, al fine della tutela dell'ambiente e della salute pubblica.
(4-03547)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alla problematica dei cattivi odori in località Pagliarese e in località Corsalone, nel comune di Chiusi della Verna ed in località Terrossola nel comune di Bibbiena, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, già oggi, permette alle autorità competenti di introdurre, con atti, normativi o provvedimenti autorizzativi, specifiche prescrizioni concernenti limiti di concentrazione delle sostanze o modalità di esercizio degli impianti finalizzate a ridurre i fenomeni odorigeni.
  In particolare, tali prescrizioni possono essere previste, in termini generali, attraverso le normative regionali e, in relazione a ciascuno stabilimento, attraverso i relativi atti autorizzativi (autorizzazione alle emissioni in atmosfera oggi assorbita nell'autorizzazione unica ambientale), secondo gli articoli 271 e 272 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Le normative regionali e gli atti autorizzativi sono legittimati in questo quadro a introdurre prescrizioni più severe di quelle statali contenute negli allegati alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Tali prescrizioni possono essere inserite a maggior ragione nelle autorizzazioni integrate ambientali che devono assicurare, con riferimento a tutti gli impatti ambientali di uno stabilimento, un livello di tutela pari o superiore a quello previsto dalle singole normative ambientali di settore.
  Per quanto attiene al controllo sull'esercizio dell'impianto si evidenzia che le attività ordinarie di verifica competono per legge alle competenti autorità locali, le quali dispongono di una diretta conoscenza delle caratteristiche degli impianti presenti sul proprio territorio e delle caratteristiche ambientali della zona di insediamento.
  Ad ogni modo, questo dicastero si terrà informato dell'evolversi della situazione, anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 667, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014) prevede l'emanazione di un decreto che stabilisca criteri per la misurazione dei rifiuti conferiti al servizio pubblico di raccolta e smaltimento;
   il pagamento della Tari deve coprire per intero i costi d'investimento e di esercizio del servizio (articolo 1, comma 654, della precitata legge);
   l'individuazione di tali costi è materia di estrema delicatezza, per le conseguenze che essa determina sui contribuenti;
   si prospettano casi d'individuazione del duplice ruolo di controllore e controllato nel medesimo soggetto pubblico, come per l'agenzia regionale dell'Emilia-Romagna Atersir, nella quale sindaci propongono piani finanziari per i comuni da loro amministrati e se li approvano quali consiglieri d'ambito dell'Atersir;
   se non ritenga opportuno inserire nel citato decreto indicazioni perché i comuni prevedano la partecipazione effettiva di rappresentanze dei contribuenti (proprietari e inquilini di unità immobiliari) in commissioni che possano verificare gli effettivi costi del servizio rifiuti. (4-07217)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla predisposizione, da parte di questo dicastero, del regolamento che stabilisca criteri per la misurazione dei rifiuti conferiti al servizio pubblico di raccolta e smaltimento, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha tra le sue priorità l'emanazione del regolamento attuativo previsto dall'articolo 1, comma 667, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014), nel quale «sono stabiliti criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall'utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell'Unione europea».
  L'articolo 42 della legge n. 221 del 28 dicembre 2015 ha modificato il citato comma 667 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, prevedendo un anno dall'entrata in vigore della legge n. 221 del 2015 quale termine di adozione del regolamento in parola.

  Al riguardo si segnala che la predetta normativa allo stato non prevede che vi sia la possibilità di una partecipazione effettiva delle rappresentanze dei contribuenti.
  Ad ogni modo si fa presente che il Ministero dell'ambiente, nell'attuale fase di predisposizione del testo del regolamento, prenderà in considerazione l'opportunità di prevedere modalità di partecipazione attiva dei diversi soggetti interessati, nell'ambito dell'obiettivo generale di garantire l'attuazione del principio «chi inquina paga» e l'adozione di una metodologia più equa di determinazione della tariffa.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LAURICELLA e LATTUCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo riguarda una delle pagine più delicate della cosiddetta «malasanità» italiana, a seguito della diffusione che si è registrata nel nostro Paese, a partire dalla fine degli anni `70, dei virus dell'epatite B, C e dell'HIV in soggetti che si erano sottoposti a trasfusioni di sangue o che avevano fatto uso di farmaci emoderivati;
   è nota la pendenza tuttora di molte centinaia di giudizi presso i tribunali italiani aventi ad oggetto il risarcimento danno alla salute derivato dai citati contagi;
   il legislatore è intervenuto nell'anno 2003 con il decreto-legge n. 89 convertito con modificazioni, dalla legge 20 giugno 2003 n. 141, che ha autorizzato la transazione dei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento danno da trasfusioni di sangue o emoderivati;
   l'articolo 3, del citato decreto-legge, dispone che: «per le transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, è autorizzata la spesa di novantotto milioni e cinquecentomila euro per l'anno 2003 e centonovantotto milioni e cinquecentomila euro, per ciascuno degli anni 2004 e 2005. Al relativo onere si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, dell'unità revisionale di base di parte corrente «Fondo Speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativa al Ministero della salute. Il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio»;
   con decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sono stati fissati i criteri in base ai quali sono definite le transazioni;
   successivamente, con decreto ministeriale 3 novembre 2003, sono stati fissati i criteri da utilizzare per la definizione delle transazioni da stipulare solo con i soggetti emofiliaci danneggiati da emoderivati infetti, e non anche con gli altri soggetti ugualmente contagiati e tutelati dalla predetta previsione legislativa;
   e tuttavia questo primo intervento non si rivelava sufficiente tant’è che il Ministero della salute riconosciuta la carenza nella previsione normativa, in seno al primo decreto interministeriale, che escludeva molti danneggiati che non venivano ricompresi nella declinazione del decreto ministeriale, nel giugno 2004, predisponeva un ulteriore schema di decreto interministeriale con cui venivano ammessi a partecipare alla procedura transattiva anche i talassemici ed altri; solo con la legge 29 novembre 2007 n. 222 (articolo 33) e la legge 31 dicembre 2007 n. 244 (articolo 2, commi 361 e 362), il legislatore ha, infine, autorizzato il Ministero della salute a concludere transazioni anche con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali, danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie «che hanno instaurato, anteriormente al 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento danni e che siano tuttora pendenti», stabilendo apposito capitolo di bilancio per euro 150 milioni per il 2007 ed euro 180 milioni per; ciascuno degli anni successivi;
   la legge n. 222 del 2007 demandava al Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, l'emanazione del regolamento per procedere alle suddette transazioni, il quale, in esecuzione delle suddette leggi, veniva adottato con decreto ministeriale del 28 aprile 2009 n. 132, contenente la procedura per l'acquisizione delle domande di adesione alla procedura transattiva;
   con successiva circolare del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 20 ottobre 2009 n. 28, venivano fissate le modalità di presentazione delle predette domande di adesione alle transazioni;
   numerosi ricorrenti, quindi, attraverso la procedura RIDAB, prevista dalla circolare per l'invio telematico delle domande di adesione, rivolgevano istanza di partecipazione alla transazione, attenendosi pedissequamente a tutte le modalità e prescrizioni fissate dal Ministero della salute con le disposizioni menzionate;
   tuttavia, il Ministero della salute dal 19 gennaio 2010, acquisite le suddette istanze, ritardava l'emissione del decreto previsto dall'articolo 5 del decreto ministeriale n. 132 del 2009 per la definizione dell’iter amministrativo prodromico alla stipula della transazione e da allora ad oggi si è palesato il limite di un non pieno riconoscimento dei diritti in capo ai soggetti contagiati;
   le Associazioni a tutela dei diritti e/o interessi diffusi dei contagiati, di conseguenza diffidavano ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 198 del 2009 le Amministrazioni coinvolte ad assumere nel termine di giorni 90 dalla notifica tutte le iniziative utili alla definizione dell’iter amministrativo prodromico alla definizione delle transazioni previste dalla legge;
   con nota del 15 giugno 2011 il direttore generale dell'ufficio Vili del Ministero della salute in risposta alla predetta diffida, evidenziava la necessità dell'adozione di apposito decreto da concertare con il Ministero dell'economia e delle finanze ai fini della definizione del procedimento, confermando, in sostanza, come lo stesso, a distanza di oltre un anno dell'avvio, si trovasse ben lungi dall'essere definito, e precisando che la stipula degli atti transattivi restava subordinata ad una valutazione di opportunità dell'amministrazione, e che si trattava comunque di un contratto di natura privata tra le parti;
   veniva addirittura promossa una Class Action ex articolo 3 comma 2 del decreto legislativo decreto legislativo del 20 dicembre 2009, n. 198, iscritta con n. 6241 del 2011 R.G, definito con accoglimento delle istanze ivi formulate ed in conformità con le pronunce del Tar di Lecce e del Consiglio di Stato, che qualificavano la natura del procedimento stesso, la cui pronuncia è stata impugnata dal Ministero della salute soccombente avanti al Consiglio di Stato;
   con il decreto del 4 maggio 2012, era disposta la definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 28 aprile 2009, n. 132;
   nella elencazione di questa cronologia di interventi va evidenziato che, ad oggi, non risultano ancora essere state sottoscritte transazioni nonostante la previsione di somme dovute per la liquidazione delle transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti che hanno instaurato azioni risarcimento danni e, anche, per somme dovute a titolo di indennizzo e risarcimento ai soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, stabilite nel bilancio del ministero della salute nella apposita tabella nel triennio 2012-2014 pari a 180 milioni e 152 milioni di euro per ciascun anno del triennio –:
   se e quali iniziative il Governo, ed in particolare il Ministro della salute intenda attivare e in che tempi, per consentire la ripresa delle transazioni avviate sulla base della legge 222 del 2007 evitando che vi siano soggetti danneggiati che possano essere esclusi dal processo di indennizzo emanando, qualora necessario, un apposito decreto ministeriale che stabilisca importi congrui ed equi per tutti i soggetti danneggiati, al fine di evitare ulteriori lesivi ed ingiustificati ritardi. (4-12293)

  Risposta. — L'articolo 27-bis del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha introdotto un'equa riparazione per i danneggiati da trasfusione con sangue infetto, o emoderivati infetti, o vaccinazioni obbligatorie (o per i loro aventi causa, in caso di decesso), che abbiano presentato domanda di adesione alla procedura transattiva di cui alla legge 24 dicembre 2007, n. 244, entro il 19 gennaio 2010.
  Nello specifico, si prevede la corresponsione, a titolo di equa riparazione, di una somma di denaro, euro 100.000 per i danneggiati da trasfusione con sangue infetto o somministrazione di emoderivati infetti, e euro 20.000 per i danneggiati da vaccinazione obbligatoria, in un'unica soluzione.
  Il riconoscimento è subordinato non solo al possesso dei requisiti individuati dall'articolo 2, lettera a) e lettera b), del regolamento del 28 aprile 2009 (esistenza di un danno ascrivibile alle categorie di cui alla tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ed esistenza del nesso causale tra il danno e la trasfusione con sangue infetto, o la somministrazione di emoderivati infetti, o la vaccinazione obbligatoria), ma anche alla verifica della ricevibilità della predetta istanza.
  La corresponsione della somma è, altresì, subordinata alla formale rinuncia all'azione risarcitoria intrapresa, ivi comprese le procedure transattive, e ad ogni ulteriore pretesa di carattere risarcitorio nei confronti dello Stato, anche in sede sovranazionale.
  La procedura transattiva di cui all'articolo, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, prosegue, ove ne ricorrano i presupposti, per coloro che non intendono avvalersi del beneficio dell'equa riparazione.
  La liquidazione degli importi a titolo di equa riparazione, come previsto dal legislatore, avverrà entro il 31 dicembre 2017, sulla base di una graduatoria che tiene conto della gravità.
  Il Ministero della salute ha provveduto all'invio delle note informative relative a 1.379 danneggiati, per i quali è stata presentata la domanda di adesione alla procedura transattiva, afferenti alle categorie di danno più elevato e, cioè, deceduti con nesso causale e categorie di danno dalla I alla V, come risultanti all'atto della domanda di transazione.
  Considerando i singoli eredi di ciascun danneggiato, in caso di soggetti deceduti, le suddette note informative ammontano complessivamente a 2.395.
  Ad oggi, sono stati emessi 1.259 ordini di pagamento di importi di equa riparazione (comprensivi di quelli a favore degli eredi dei danneggiati), corrispondenti a 629 contenziosi per i quali era stata prodotta una istanza di transazione, a fronte di 767 contenziosi per i quali è pervenuta finora unanime accettazione degli attori in giudizio (inclusi gli eredi).
  Proprio in questi giorni, il Ministero della salute sta provvedendo all'invio delle note informative per i danneggiati afferenti alla VI categoria di danno.
  La menzionata nota informativa non costituisce una proposta che si perfeziona con l'accettazione della stessa (né potrebbe configurarsi come tale, avendo l'equa riparazione natura diversa dalla transazione – che invece ha carattere negoziale – come anche confermato dalla Corte di Cassazione civile con la sentenza n. 25.965/2014), posto che il riconoscimento dell'equa riparazione è legislativamente subordinato, non solo alla formale accettazione della medesima e contestuale rinuncia all'azione risarcitoria intrapresa, ivi compresa la procedura transattiva, ma anche alla verifica dei requisiti prima richiamati, nonché della ricevibilità della menzionata istanza, con particolare riferimento alla appartenenza dei danneggiati alle categorie previste dalle leggi n. 222/2007 e n. 244/2007, e alla natura dell'azione intrapresa dagli istanti.
  Pertanto, l'invio di detta nota informativa da parte del Ministero della salute non costituisce, di per sé, riconoscimento del diritto all'equa riparazione, atteso che lo stesso è subordinato all'esito positivo dell'istruttoria, a cui consegue l'adozione del provvedimento di liquidazione.
  Considerato, inoltre, che la corresponsione delle somme è effettuata al netto di quanto già percepito a titolo di risarcimento del danno a seguito di sentenza esecutiva, l'istruttoria è altresì finalizzata ad accertare l'eventuale liquidazione di importi per il predetto titolo a favore del beneficiario dell'equa riparazione.
  In particolare, con riferimento alla verifica della ricevibilità dell'istanza, nel corso dell'istruttoria è risultato che, per talune posizioni relative ai danneggiati deceduti, è pendente un contenzioso instaurato dagli eredi, nei confronti del Ministero, avente ad oggetto esclusivamente il riconoscimento del risarcimento del danno «iure proprio».
  Per quanto concerne tale questione, si rileva che l'avvocatura generale dello Stato, nei diversi pareri espressi in materia di transazioni di cui alle leggi n. 222 e n. 244 del 2007, ha ritenuto che sia «opportuno operare una interpretazione sistematica di queste leggi, così come attuate dal decreto ministeriale n. 132/2009 e dal decreto ministeriale 4 maggio 2012, secondo la quale le transazioni finanziate dalle leggi in parola riguardano i soggetti danneggiati direttamente da una trasfusione infetta, non anche gli eredi che agiscono per ottenere i danni proprio per le sofferenze collegate alla malattia epatica del loro congiunto».
  Pertanto, non sono ricevibili le istanze di transazione, ai sensi della citata normativa, concernenti contenziosi in materia esclusivamente di riconoscimento del danno «iure proprio» in favore degli eredi e, conseguentemente, non risulterebbe possibile riconoscere agli stessi l'importo previsto a titolo di equa riparazione.
  In tal caso, tuttavia, il contenzioso proseguirebbe dinanzi ai Tribunali civili e, in caso di pronuncia di condanna al risarcimento del danno, anche solo «iure proprio» in favore degli eredi di danneggiati deceduti, il Ministero della salute provvederebbe alla liquidazione dell'importo previsto dalla sentenza.
  Fino ad oggi, l'istruttoria ha evidenziato solo 3 casi in cui ricorre la suddetta fattispecie, per i quali non è stato, comunque, adottato un provvedimento di diniego.
  Tuttavia non si ravvisano motivi ostativi ad iniziative legislative volte a riconoscere espressamente il beneficio dell'equa riparazione, di cui all'articolo 27-bis del decreto-legge n. 90 duemilaquattordici, convertito in legge n. 114 dell'11 agosto 2014, anche agli eredi dei danneggiati deceduti che hanno agito per il solo riconoscimento del danno «iure proprio» e hanno presentato domanda di adesione alla transazione, purché tale integrazione non si estenda anche alle procedure transattive.
  Nel corso del 2015, il Ministero della salute ha provveduto ad istruire 738 posizioni ai fini del riconoscimento di cui all'articolo 27-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, corrispondendo detto beneficio a 1.482 soggetti (alcuni eredi di danneggiati) per un importo complessivo pari ad euro 61.741.929,66.
  Il Ministero, tenuto conto della tempistica prevista dalla legge e sulla base delle risorse disponibili, ha previsto una programmazione annuale dell'istruttoria e dei pagamenti delle restanti pratiche.
  Infatti, alla fine del 2015, sono state inviate le informative riguardanti l'equa riparazione a 1.566 soggetti danneggiati appartenenti alla VI categoria, e nell'anno in corso ha avuto inizio l'erogazione del beneficio a tali danneggiati.
  La procedura transattiva di cui all'articolo 2, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, come previsto dalla stessa normativa, è stata avviata per coloro che non hanno inteso avvalersi del beneficio dell'equa riparazione e, nell'anno appena trascorso, sono state istruite 250 posizioni, di cui 8 sono state inviate all'Avvocatura generale o distrettuale per l'acquisizione del prescritto parere.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteVito De Filippo.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che un elicottero sta sorvolando i territori della provincia di Vibo Valentia e, nello specifico, della fascia montana del comprensorio delle Serre destando la curiosità degli abitanti che hanno inviato diverse segnalazioni alle autorità di polizia in cerca di spiegazioni;
   da giorni, in effetti, tutto il Sud Italia è interessato da quello che si ipotizza essere uno studio concepito per identificare masse metalliche sepolte ed eventuali rifiuti radioattivi o comunque pericolosi, illegalmente sotterrati nel suolo tra Serra San Bruno, Mongiana e Fabrizia;
   il velivolo, un AS350 B3, transitato a bassa quota, dovrebbe appartenere ad un'azienda di telerilevamento aereo specializzata nella misurazione di parametri fisici e geochimici del suolo terrestre, la «Helica» di Udine, impegnata in un'attività di monitoraggio in alcune zone della Calabria. La società Helica svolge diverse attività per conto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ed ha operato nell'emergenza del terremoto in Abruzzo e nell'alluvione di Messina;
   l'elicottero ha sorvolato a quota bassa tutto il territorio facendo oscillare un tubolare rosso, successivamente identificato in un rilevatore geofisico con sistema laserscan (LiDAR), già adoperato nella primavera 2014 nel progetto «Miapi» (Monitoraggio ed, individuazione delle aree potenzialmente inquinanti) per effettuare una prima mappatura del territorio;
   lo strumento tecnico nel dettaglio è un oggetto tre-direzionale è dotato di sensori magnetici ai vapori di potassio a pompaggio ottico. Le elevate prestazioni e la particolare configurazione dei tre sensori, permettono di ottimizzare l'identificazione delle masse metalliche sepolte con altissima precisione, identificando piccole variazioni laterali e verticali nel campo magnetico, definendo con precisione i bordi o i contatti tra i corpi che generano l'anomalia. La presenza dei tre sensori, nota la loro posizione spaziale, permette di calcolare i tre gradienti in X, in Y ed in Z per ogni istante di campionamento. Lo strumento è dotato di un'antenna GPS e di un radar altimetro posizionati sulla punta del bird, così da poter registrare la posizione spaziale esatta di ogni campione;
   nessuna notizia ufficiale trapela sull'indagine che non riguarderebbe comunque solo la Calabria e che potrebbe essere stata avviata a seguito di alcune denunce giornalistiche che sull'argomento dei rifiuti radioattivi hanno più volte acceso i riflettori;
   persiste, dunque, il forte dubbio che le operazioni di monitoraggio aereo, siano strettamente connesse alle desecretazioni del 5 maggio 2014 di alcuni atti dei, servizi segreti che hanno accesso l'attenzione di media e degli amministratori locali, oltreché i timori dei cittadini, rispetto ad un paventato traffico di sostanze tossiche, disseminate nei decenni scorsi proprio tra le Serre Vibonesi e l'Aspromonte;
   la notizia dell'esistenza di rifiuti tossici interrati nel comprensorio delle Serre, che aveva creato un notevole allarme nella cittadinanza, era stata appresa in seguito alla desecretazione di un documento riservato dei servizi segreti risalente al 1995:
   emergeva che nei territori di Serra San Bruno, Mongiana e Fabrizia erano stati occultati rifiuti tossici e uranio rosso. Secondo quanto emerge dai documenti cui è stato tolto il segreto, le discariche di rifiuti radioattivi sarebbero state parecchie in particolare a Serra San Bruno e Mongiana. Le scorie radioattive sarebbero state trasportate via mare, tra gli anni Ottanta e Novanta e occultate nei solchi scavati per i metanodotti e in alcune grotte esistenti sul territorio;
   dalle indagini svolte dal Sisde di Reggio Calabria pare che i fusti nascosti siano circa settemila. Le scorie sarebbero state trasportate via mare dall'est europeo e sulle navi sarebbero state imbarcate anche armi e droga –:
   di quali elementi informativi disponga il Governo con riferimento alla richiamata vicenda e se non ritenga doveroso che venga fatta chiarezza per quanto di competenza, sulla presenza di scorie radioattive interrate nel territorio delle Serre frutto di traffici criminali coperti dal silenzio delle istituzioni che va avanti dagli anni Novanta;
   se non ritenga opportuno pubblicare quanto prima i risultati del monitoraggio per favorire la successiva bonifica dei siti inquinati;
   se, vista l'alta incidenza di tumori in alcune zone della Calabria, non ritenga urgente assumere iniziative per promuovere l'istituzione del registro tumori e del registro epidemiologico. (4-07737)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha appreso da notizie a mezzo stampa che la camorra avrebbe interrato rifiuti tossici quali scorie radioattive a Lattarico (CS) con l'aiuto di un imprenditore cosentino;
   a rendere noto quanto sopra esposto è un pentito, il 28enne Mattia Pulicanò. Nell'articolo apparso su «Il Quotidiano della Calabria» del 3 agosto 2015 si legge: «I rifiuti tossici, secondo il collaboratore di giustizia già spacciatore per conto del clan Lanzino, sarebbero sepolti a Lattarico, più precisamente nella frazione denominata Regina. A portarceli, 15 o 20 anni fa, sarebbe stato l'ormai arcinoto Cipriano Chianese, avvocato napoletano di 62 anni ritenuto organico al clan dei Casalesi. Gli inquirenti campani lo considerano come l'inventore delle «ecomafie» nonché protagonista della «Terra dei fuochi» e, proprio per vicende analoghe, l'uomo – che vanta anche trascorsi in politica – è tuttora sotto processo nella città partenopea. I rifiuti di Lattarico, Chianese li avrebbe seppelliti con la complicità di un imprenditore cosentino «intimo» di Pulicanò. Proprio lui, nel 2012, avrebbe riferito al futuro pentito i contorni di quell'operazione di smaltimento illecito. «Interrare quei rifiuti – spiegava l'ex pusher ai magistrati a giugno del 2014 – rappresentava una contropartita agli appalti che Chianese gli aveva fatto prendere nel corso degli anni». Non a caso, le più recenti inchieste giudiziarie dipingono il legale come uomo dalle ottime entrature nel mondo politico e imprenditoriale. E in virtù di queste amicizie, sarebbe riuscito a far ottenere all'imprenditore cosentino rilevanti commesse pubbliche nel Nord Italia. In cambio, però, l'imprenditore «doveva mettere a disposizione la sua azienda per occultare rifiuti tossici». Pulicanò sostiene di ignorare la tipologia di rifiuti in questione, ma da suo ormai ex amico avrebbe appreso che, in passato, lui «ci aveva fatto soldi a palate, poiché il settore è molto redditizio». In quel 2012, i due uomini avrebbero discusso dell'argomento perché l'imprenditore aveva intenzione di ripetere il giochetto. «Ero appena uscito dal carcere – rammenta il pentito – e lui mi ha proposto il trattamento, da parte della mia cosca, di rifiuti tossici provenienti dal Nord Italia. A riguardo, mi precisava di aver già assunto contatti con un veneto che trattava le spedizioni per conto di un gruppo di Modena che spediva rifiuti tossici in Africa. L'oggetto dell'affare era quello di far arrivare rifiuti nella zona di Lattarico dove dovevano essere interrati». Secondo il pentito, il progetto era quello di costruire innocui capannoni agricoli e impianti fotovoltaici sui terreni prescelti, al fine di «non dare nell'occhio», dissimulando così la presenza dei veleni radioattivi. In altri casi, invece, quelle scorie erano state oculate «nelle colate di cemento». Quell'affare non andò poi in porto perché il sedicente gruppo modenese, in quel caso, non aveva in animo di trasferire rifiuti tossici, bensì «semplici» ingombranti. «Scocche di autovetture, pneumatici, batterie auto e altro. Uno stock di 20-25 container al mese difficilmente occultabili a differenza di scarti industriali, fanghi e scorie radioattive, ovviamente più remunerativi e semplici da gestire». Il cosentino collegato a Chianese, comunque, cercava l'appoggio della cosca per due buone ragioni: «Gli serviva un finanziamento e la forza lavoro in quanto, trattandosi di attività illecita, non si fidava a utilizzare i propri dipendenti». In tutto ciò, lo stesso Pulicanò sostiene di aver sollevato obiezioni e perplessità, in virtù dei rischi per la salute che un'operazione del genere comportava. Fu allora che, «esternando tranquillità», il suo interlocutore gli avrebbe detto di averlo già fatto un ventennio prima. «In effetti ho verificato che, nella zona in questione, si sono registrati, negli anni, diversi casi di tumore»;
   l'interrogante, in data 5 febbraio 2015, ha depositato atto di sindacato ispettivo n. 4-07737, ad oggi senza risposta, chiedendo che fossero pubblicati quanto prima i risultati del monitoraggio dell'elicottero con un'apparecchiatura appesa a cavi d'acciaio che ha sorvolato i cieli di Calabria al fine di individuare aree inquinate per conto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'Arpacal –:
   di quali elementi informativi disponga il Governo con riferimento alla richiamata vicenda e se non ritenga doveroso che venga fatta chiarezza per quanto di competenza, sulla presenza di scorie radioattive interrate nella città di Lattarico;
   se non ritenga opportuno che vengano svolte delle verifiche da parte del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di tutelare il diritto alla salute dei cittadini delle aree coinvolte;
   se non ritenga opportuno pubblicare quanto prima i risultati del monitoraggio descritto nelle premesse così da favorire la successiva bonifica dei siti inquinati;
   se, vista l'alta incidenza di tumori in alcune zone della Calabria, non ritenga urgente assumere iniziative per promuovere l'istituzione del registro tumori e del registro epidemiologico. (4-10130)

  Risposta. — Con riferimento alle interrogazioni in esame, relative al progetto Monitoraggio ed Individuazione delle aree potenzialmente inquinate e al presunto interramento di rifiuti in località Regina, nel comune di Lattarico (CS), sulla base degli elementi acquisiti dalle direzioni generali competenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dal Ministero della salute, si rappresenta quanto segue.
  La regione Calabria, nell'ambito delle attività del Programma operativo Nazionale «Sicurezza per lo sviluppo-Obiettivo Convergenza 2007-2013», è stata beneficiaria, unitamente alle altre regioni dell'obiettivo convergenza (Campania, Sicilia e Puglia) delle risorse per la realizzazione del progetto promosso dal Ministero dell'ambiente per il «Monitoraggio ed Individuazione di Aree Potenzialmente Inquinate (MIAPI)».
  L'obiettivo del progetto MIAPI è la localizzazione di possibili fonti di inquinamento attraverso l'individuazione di anomalie di alcuni parametri geofisici (magnetici, termici e radiometrici) misurati mediante sensori alloggiati su una piattaforma aerea.
  La modalità di rilevamento è innovativa e ha previsto una successiva verifica a terra delle anomalie rilevate, con il costante coinvolgimento del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, territorialmente competenti.
  In dettaglio, al termine dei voli condotti sulle aree volabili (esclusione dei centri abitati e aree con pendenze superiori al 15 per cento), per una copertura totale del territorio pari a 4898,976 km2, dall'interpretazione dei dati telerilevati sono stati individuati e mappati i siti che presentano anomalie considerevoli per i quali si sta procedendo con specifici rilievi in campo.
  Nel caso in cui anche il riscontro a terra sarà positivo, seguiranno ulteriori attività in situ volte alla definizione della natura dell'anomalia rilevata e della tipologia di rischio correlato. In funzione di ciò, di conseguenza, si progetteranno gli eventuali interventi di messa in sicurezza e/o bonifica delle aree interessate.
  Tutti i dati fino ad oggi rilevati sono confluiti in un sistema informativo denominato SIAPI (Sistema Informativo Aree Potenzialmente Inquinate), a cui hanno accesso i soggetti coinvolti nel progetto MIAPI (comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e Arpa, regionali) in modo da permettere agli enti territorialmente competenti di avere una conoscenza più approfondita degli eventuali rischi da inquinamento presenti sul proprio territorio. In particolare, il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente (sede di Napoli) ha accesso alla totalità dei dati derivanti da telerilevamento e da campagna a terra; le Arpa regionali hanno accesso a tutti i dati derivanti da telerilevamento e a quei dati derivanti da campagna a terra che non hanno avuto un riscontro positivo.
  Il progetto MIAPI, che ha ricevuto il plauso della Commissione europea, si inquadra nell'ambito di una serie di interventi coerenti con gli obiettivi del programma PON sicurezza, fornendo valore innovativo e conoscenza alle autorità pubbliche preposte alla tutela del territorio, per meglio vigilare sui cittadini nei confronti dell'aggressività e degli attacchi dell'ecomafia.
  In riferimento al comune di Lattarico (CS), a seguito della richiesta di intervento da parte del sindaco del comune in parola, è stata inviata al comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente la lista delle schede prodotte nell'ambito del progetto MIAPI che insistono sul territorio comunale. In tali schede vengono evidenziate le aree che meritano una verifica puntuale tramite indagini in campo, che sono tuttora in corso.
  Inoltre, considerate le emergenze sul traffico illecito di rifiuti e sull'interramento di rifiuti tossici, si è dato incarico formale al comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente per la completa ricostruzione di tutti i fatti segnalati al fine di acquisire informazioni circa l'esito di eventuali procedimenti penali in corso e l'esatta individuazione delle eventuali aree oggetto di smaltimento illecito.
  In riferimento ai quesiti posti dall'interrogante in relazione al registro tumori e al registro epidemiologico, a cura della regione Calabria, il Ministero della salute fa infine presente quanto segue.
  Al momento attuale sono attivi ed operativi a livello regionale i seguenti registri tumori:
   Reggio Calabria, a cura dell'Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Reggio Calabria;
   Catanzaro, a cura dell'Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Catanzaro;
   Crotone-Cosenza, a cura dell'Azienda sanitaria provinciale di (ASP) di Crotone.

  Si rende noto, infine, che il dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie della regione Calabria ha emanato il decreto del dirigente generale n. 106 del 15 gennaio 2016, avente ad oggetto: «Dipartimento “Tutela della Salute e Politiche Sanitarie” — Adempimenti di cui alla DGR n. 541 del 16 dicembre 2015 di Approvazione della nuova Struttura organizzativa della Giunta Regionale». Tale provvedimento indica espressamente, tra i procedimenti affidati alle competenze del settore n. 2 «Prevenzione e Promozione della Salute – Pianificazione Sanitaria – Qualità, Governo Clinico e Risk Management», anche i seguenti:
   sicurezza sui luoghi di lavoro-prevenzione e promozione della salute, delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro; registri-infortuni mortali sul lavoro, malattie del lavoro, mesoteliomi;
   realizzazione del registro tumori e dei registri di patologia (diabete, diabete pediatrico, patologie neonatali, ipertensione, malformazioni fetali, cardiopatie, nefropatie, ictus, protesi d'anca, malattie rare, eccetera);
   costituzione, implementazione e gestione dell'osservatorio epidemiologico;
   realizzazione della funzione di osservazione epidemiologica;
   raccolta ed analisi di informazioni;
   sorveglianza epidemiologica per il monitoraggio dello stato di salute in relazione alle iniziative di prevenzione;
   indirizzo, verifica e valutazione dell'attività di sorveglianza epidemiologica svolta dai dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie territoriali (compresi, sistemi di sorveglianza, rete epidemiologica regionale, registro tumori e registri di malattia);
   attivazione del registro di malattia e mortalità e relative banche dati.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della desecretazione dell'audizione del pentito di camorra Carmine Schiavone del 7 ottobre 1997, sull'interramento e lo smaltimento illegale di rifiuti tossici, anche in Molise, vi è il sospetto che siano stati interessati alcuni vecchi pozzi di idrocarburi perforati a Cercemaggiore a seguito di una concessione della Montedison;
   a far scattare l'allerta sono state le dichiarazioni del pentito, collaboratore di giustizia, rilasciate in un'audizione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, tenutasi il 7 ottobre 1997. Una seduta ricca di spunti i cui atti — finora secretati — sono stati resi pubblici solo lo scorso 31 ottobre 2013;
   all'inizio del mese di aprile 2014 si è appreso da notizie apparse sulla stampa che nei vecchi pozzi petroliferi, e in particolare nelle vasche di accumulo, della Montedison a Cercemaggiore nel Molise i tecnici dell'Arpa Molise hanno misurato una radioattività dieci volte superiore ai valori normali;
   dalle analisi condotte anche mediante esame delle ortofoto storiche l'Arpam ha potuto rilevare che sull'area che si estende per circa 2,5 ettari, e che viene indicata con il nome di «Santa Croce 001», in origine insistevano elementi impiantistici tra cui serbatoi e vasche destinate alla decantazione delle acque di estrazione, per la successiva reiniezione nei pozzi di estrazione;
   analizzando la documentazione in suo possesso l'Arpam ha poi stabilito che in tali vasche venivano trattate non solo le acque provenienti da altri pozzi insistenti sul territorio di Cercemaggiore ma anche quelle provenienti da pozzi extra-regionali con chiaro riferimento alla Basilicata;
   valori elevati sono stati riscontrati anche nei luoghi attraversati dal fosso vernile che costeggia il sito indagato per uno sviluppo lineare di circa 1 chilometro. Le acque del fosso vengono poi sversate nel torrente Freddo con conseguente contaminazione di un'area molto vasta che è tuttora oggetto di attenzione da parte dell'Agenzia;
   il monitoraggio dell'ISPRA ha confermato i dati del precedente monitoraggio curato dall'Agenzia regionale;
   a tal proposito nei giorni scorsi, Quintino Pallante, direttore dell'agenzia regionale per la protezione ambientale riferisce le ultime novità sul caso dopo la visita dei tecnici ministeriali dell'Ispra: «I funzionari inviati dal ministero dell'Ambiente hanno confermato, con lo spettrometro, i valori di radioattività dieci volte superiore al normale già riscontrati da noi dell'Arpa, ma non si tratta di scorie di tipo industriale». In attesa della relazione ufficiale che arriverà tra una decina di giorni, Pallante ha voluto evidenziare come queste verifiche compiute siano solo «il primo passo di una procedura molto complessa» –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati abbiano intenzione di assumere al fine di prevenire la salute dei cittadini che vivono nella zona contaminata;
   quali iniziative, per le rispettive competenze, i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di ottenere un graduale disinquinamento e risanamento dei siti ove insistevano pozzi petroliferi, anche valutando la sussistenza dei presupposti per predisporre un apposito piano ambientale e di tutela della salute. (4-05739)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base delle informazioni acquisite anche presso i competenti Enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero è venuto a conoscenza di notizie divulgate a mezzo stampa in data 7 e 8 aprile 2014 circa la presunta contaminazione ambientale di natura radioattiva verificatasi in località Capoiaccio del comune di Cercemaggiore (CB), ed ha provveduto, nell'immediato, a chiedere contestualmente elementi informativi alla prefettura di Campobasso, alla regione e all'Arpa Molise.
  La Prefettura di Campobasso ha fornito le richieste informazioni, corredate anche degli esiti degli accertamenti analitici condotti in loco dall'Arpa Molise, trasmessi conseguentemente al sindaco di Cercemaggiore (CB), all'azienda sanitaria regionale Molise, all'Ispra, alla regione Molise e ai carabinieri del Noe di Campobasso.
  Secondo l'Arpa Molise, la radioattività presente nelle aree in cui erano a suo tempo state realizzate le vasche di decantazione delle acque provenienti dai pozzi deriva dai cosiddetti NORM (Naturally Occurring Radioactive Materials), ovvero materiali generalmente non considerati radioattivi, contenenti comunque radionuclidi naturali in concentrazione superiore alla media della crosta terrestre, tali da provocare un aumento significativo dell'esposizione a radiazioni ionizzanti, sia della popolazione che dell'ambiente circostante. Tale condizione è riscontrabile in numerose attività industriali quali, ad esempio, le estrazioni petrolifere, come nel caso di specie.
  Gli esiti degli ulteriori accertamenti condotti dalla stessa Arpa nel medesimo periodo di maggio 2014, evidenziarono il superamento dei limiti previsti nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (colonna A, tabella 1 dell'allegato 5 della parte IV – titolo V), per i parametri benzene e diclorometano, confermando così gli esiti delle precedenti analisi radiometriche.
  A seguito di quanto emerso dalle comunicazioni pervenute dalla prefettura di Campobasso, il Ministero ha provveduto a convocare una riunione tecnica, che ha avuto luogo in data 17 giugno 2014, con la partecipazione della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento nazionale della Protezione civile, del Ministero dell'interno – dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile e dell'Ispra – dipartimento nucleare, rischio tecnologico e industriale, per un maggiore approfondimento della vicenda e per la valutazione delle concrete modalità di applicazione della procedura amministrativa prevista per i casi di specie, da parte dei soggetti istituzionali preposti all'attuazione degli interventi.
  Tanto premesso, questa stessa Amministrazione ha comunicato alla prefettura di Campobasso, alla regione Molise, alla provincia di Campobasso, al comune di Cercemaggiore e all'Arpa Molise che la titolarità del procedimento amministrativo compete alla prefettura di Campobasso per quanto concerne l'adozione dei provvedimenti opportuni ai sensi dell'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995 (Interventi nelle esposizioni prolungate a radiazioni ionizzanti dovute agli effetti di una attività lavorativa non più in atto). Per la gestione della contaminazione da benzene e diclorometano è, invece, necessario seguire le procedure operative ed amministrative previste dagli articoli 242, 244 e 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che, peraltro, prevedono il coinvolgimento del comune, della provincia e della regione territorialmente competenti.
  Ad ogni modo, si fa presente che la gestione amministrativa della criticità ambientale segnalata dall'interrogante presso l'area in oggetto esula dalle dirette competenze di questo Ministero, rientrando viceversa nella sfera di pertinenza dalla prefettura-ufficio territoriale del Governo di Campobasso, ai sensi dell'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995.
  Al riguardo merita di essere evidenziato che, il prefetto:
   ha comunicato di aver provveduto a nominare, con decreto del 19 settembre 2014, una commissione tecnica prefettizia, incaricata di individuare gli interventi necessari alla messa in sicurezza dell'area in oggetto;
   ha comunicato che, sulla base delle valutazioni condotte dalla commissione prefettizia, sono stati avviati accertamenti finalizzati ad acclarare il titolo di proprietà dell'area e l'attualità di eventuali concessioni, in atto o detenute in passato, nonché la ripetizione di talune campionature di terreno in relazione alla potenziale esposizione della popolazione al rischio chimico discendente dalla rilevata presenza di contaminazioni da benzene e diclorometano;
   ha comunicato che in occasione dell'ultima riunione della commissione tecnica prefettizia del 25 giugno 2015, sono stati esaminati e congiuntamente valutati i risultati delle ulteriori analisi svolte in loco da parte dell'Ispa, dell'Arpa Molise e dei Vigili del fuoco, i quali hanno fornito una indicazione di massima circa l'opportunità di mantenere in atto, in via cautelare, le misure preventive già adottate dal sindaco di Cercemaggiore (ordinanza n. 10 del 27 giugno 2014 — inibizione all'accesso all'area, delimitata da apposita segnaletica, nonché al pascolo del bestiame e all'utilizzo di colture alimentari).

  È stata, inoltre, ascoltata dalla commissione la Edison S.p.A., titolare sino alla chiusura dei pozzi, avvenuta intorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso, della concessione di sfruttamento idrocarburi nel sito di cui in argomento e che ha fornito utili indicazioni circa il ciclo produttivo e i procedimenti di dismissione dell'impianto.
  In ultimo, si precisa che è in fase di completamento la relazione finale sugli esiti delle analisi relative ad ulteriori campioni prelevati dai tecnici dell'Ispra, che sarà valutata in sede di riunione conclusiva della commissione prefettizia non appena convocata.
  Ad ogni modo, il Ministero chiederà di essere informato sull'evolversi della situazione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PELLEGRINO, GIGLI, MELILLA, SANNICANDRO, PASTORINO, BRIGNONE, GIANCARLO GIORDANO, PALAZZOTTO, RICCIATTI, DANIELE FARINA, AIRAUDO, PLACIDO, ZARATTI, ZANIN e ROSSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il professor Livio Bearzi, già dirigente scolastico del Convitto nazionale dell'Aquila, è recluso nel carcere di Udine in esecuzione della condanna a quattro anni per la morte di tre ragazzi minorenni a causa del crollo dell'edificio durante il terremoto del 2009;
   l'ordine di carcerazione è stato emesso dal tribunale dell'Aquila, dopo la sentenza confermata in via definitiva dalla quarta sezione penale della Corte di Cassazione;
   la sentenza stabilisce oltre a quattro anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose anche la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni;
   con la medesima pronuncia, è stato condannato a 2 anni e sei mesi di reclusione Vincenzo Mazzotta, dirigente della provincia de L'Aquila, ed il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato condannato al risarcimento alla parte civile;
   a giudizio degli interroganti la sentenza della Corte descrive la grave incongruenza della normativa che attribuisce responsabilità della sicurezza e della manutenzione degli edifici in quanto datori di lavoro ai dirigenti scolastici;
   paradossalmente ai dirigenti scolastici non sono attribuiti direttamente gli strumenti economici per esercitare effettivamente tale responsabilità e per intervenire autonomamente in via ordinaria e straordinaria sulle problematiche e sui rischi delle strutture, le cui caratteristiche, problematiche, inefficienze e inadeguatezze sono peraltro elementi inscindibili e limiti sostanziali nella definizione dell'offerta formativa;
   la riforma della scuola italiana afferma di voler riformulare e accentuare l'autonomia e dichiara di aver ridisegnato la governance delle scuole, ma ha lasciato inalterata la dicotomia funzionale/gestionale tra soggetti proprietari degli edifici scolastici e dirigenze scolastiche;
   va chiarito il ruolo delle dirigenze scolastiche nelle strategie di gestione dei finanziamenti da parte degli enti locali, come nel caso dell'atteso bando da 40 milioni di euro per le indagini diagnostiche su solai e controsoffitti delle scuole o nei progetti per i quali le regioni stipuleranno i mutui BEI per opere di riqualificazione, rinnovamento, messa in sicurezza e costruzione degli edifici scolastici;
   il primo ottobre 2015 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha ritenuto di istituzionalizzare la data del 22 novembre quale giornata nazionale per la sicurezza nelle scuole –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'accaduto e se e in quali tempi preveda di aumentare iniziative normative urgenti per risolvere gli aspetti più controversi dell'applicazione della disciplina sulla sicurezza sul lavoro (decreto legislativo n. 81 del 2008) in ambito scolastico, così da individua le responsabilità effettive e le relative ripercussioni legali. (4-11180)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si ritiene utile, preliminarmente, ricostruire il quadro normativo di riferimento in materia di responsabilità legata agli aspetti di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
  La materia in argomento era già disciplinata dal decreto legislativo n. 626 del 1994 – riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro – all'articolo 4, comma 12, rubricato proprio «Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e preposto».
  Tale disposizione è stata interamente trasfusa nel vigente articolo 18, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008 – così detto Testo unico sicurezza sul lavoro – rubricato «Obblighi del datore di lavoro e del dirigente».
  Il citato comma dispone: «Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico».
  Stante quanto previsto dal citato comma, la normativa vigente impone obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per garantire la sicurezza delle scuole in capo all'amministrazione proprietaria. Nel caso di specie, si tratta, infatti, degli enti locali (comune, provincia, enti di area vasta o città metropolitana) proprietari degli stessi edifici scolastici.
  Allo stesso tempo, la medesima disposizione normativa di cui sopra prevede che gli obblighi previsti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro siano individuati in capo ai datori di lavoro e, quindi, nel caso in questione, in capo ai dirigenti scolastici. Gli stessi dirigenti si considerano affrancati dai suddetti obblighi con la richiesta di intervento avanzata alle amministrazioni proprietarie degli edifici. Pertanto, secondo le vigenti disposizioni si configura in capo al dirigente scolastico, in quanto appunto datore di lavoro, una responsabilità relativa al rispetto della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, ma contestualmente lo stesso dirigente scolastico può esimersi da responsabilità segnalando le criticità agli enti proprietari ogni qualvolta ne ravvisi la necessità.
  Posto ciò, è evidente che l'unica strada possibile per alleviare le responsabilità legate alla figura del dirigente scolastico è quella di una modifica normativa.
  Il dirigente scolastico, quale datore di lavoro, anche in riferimento ai contenuti di cui all'articolo 2087 del codice civile (tutela delle condizioni di lavoro) ed all'autonomia scolastica, considerato anche il fatto che non può essere presente in ogni luogo ed in ogni tempo, per poter svolgere correttamente e concretamente le sue funzioni, ha la necessità di dover ben impostare la propria struttura lavorativa mettendo in luce gli aspetti organizzativi e gestionali in modo tale che risultino chiaramente identificati i compiti, le funzioni e le responsabilità di ogni singolo prestatore di lavoro subordinato così come identificati dagli articoli 2094 e 2095 del codice civile.
  Una proposta, oggetto di riflessione interna al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da valutare comunque in raccordo con le altre amministrazioni interessate, è quella secondo cui potrebbe prevedersi di limitare gli obblighi attualmente insistenti in capo al dirigente scolastico, quale datore di lavoro, alle sole aree e spazi che gestisce direttamente. Gli altri spazi, come ad esempio, i locali tecnici, i sottotetti non utilizzati e i tetti potrebbero essere individuati quali luoghi di esclusiva competenza ed accesso (e quindi responsabilità) dell'ente locale proprietario. Stesso discorso potrebbe farsi, inoltre, anche con riferimento ai locali adibiti a cucine, mense o bar che, di conseguenza, potrebbero essere individuati quali luoghi per i quali gli obblighi e la responsabilità sono riconosciuti ad esempio in capo al titolare della ditta alla quale è affidato il servizio di ristorazione, mensa e/o bar.
  Si evidenzia che, proprio al fine di ridurre i rischi connessi al deterioramento e alla scarsa manutenzione degli edifici e, di conseguenza, i rischi dei dirigenti scolastici di incorrere in responsabilità per l'eventuale mancata o insufficiente segnalazione delle criticità agli enti proprietari ogni qualvolta se ne ravvisi la necessità, il Governo ha investito ingenti risorse negli ultimi 2 anni per la messa in sicurezza e riqualificazione del patrimonio edilizio scolastico. Sono stati infatti stanziati circa 4 miliardi di euro diretti a finanziare numerosi interventi su tutto il territorio nazionale anche attraverso la recente legge n. 107 del 2015.
  Tra le ulteriori iniziative nuove e rilevanti in materia, si evidenzia inoltre che il 7 agosto 2015 è stata finalmente resa pubblica l'Anagrafe dell'edilizia scolastica, quale strumento utile per conoscere l'attuale «stato di salute» degli edifici scolastici. Il portale è accessibile da parte di tutti gli interessati e tramite l'inserimento del solo codice meccanografico della scuola è possibile ricavare tutte le informazioni al riguardo.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   «A norma dell'articolo 1, comma 1-bis della legge 143/2004, la permanenza, a pieno titolo o con riserva, nelle graduatorie a esaurimento avviene su domanda dell'interessato, da presentarsi entro il termine [...]. La mancata presentazione della domanda comporta la cancellazione definitiva dalla graduatoria.»;
   l'articolo 1 comma 605 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni ha trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento (GAE) «al fine di dare adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico e di evitarne la ricostituzione, di stabilizzare e rendere più funzionali gli assetti scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l'età media del personale docente»;
   nelle graduatorie ad esaurimento sono stati inseriti tutti i docenti, tranne coloro che, pur in possesso dell'abilitazione, non sono riusciti a far domanda per l'aggiornamento;
   di un centinaio di docenti esclusi dalle graduatorie ad esaurimento, alcuni di essi, sono riusciti ad ottenere il reinserimento, a seguito del ricorso presentato al giudice del lavoro, che ha emesso la seguente sentenza: «l'esclusione di coloro che non avevano dimostrato interesse per la permanenza nella graduatoria rimane invece disciplinata dalla legge previgente senza che la nuova apporti modifiche al sistema della rinnovazione della domanda» e rileva che «nella specie non esiste alcuna impossibilità di contemporanea applicazione tra la previsione generale del carattere ad esaurimento delle graduatorie e la disposizione che consente il reinserimento in graduatoria di chi già avesse maturato il diritto all'inserimento in graduatoria e ne sia stato cancellato soltanto per non aver presentato tempestiva domanda di aggiornamento» convenendo che «la disposizione di cui all'articolo 1 comma 1-bis decreto-legge n. 97/2004, nel disciplinare l'onere di presentazione della domanda di aggiornamento della posizione in graduatoria e le conseguenze della mancata ottemperanza a tale onere costituisce in realtà norma speciale – per quanto riguarda questo specifico adempimento – rispetto alla norma generale che stabilisce il carattere ad esaurimento delle graduatorie»;
   le graduatorie ad esaurimento non prevedono nuovi ingressi;
   i docenti in questione appartengono al personale precario e che per essi il permanere nelle graduatorie in questione costituisce residua, anzi estrema possibilità di accedere al mondo del lavoro, sicché è davvero ingiusta la cancellazione definitiva dalle graduatorie;
   molti docenti che sono stati esclusi, per non aver prodotto domanda di aggiornamento nel periodo prescritto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, stanno ottenendo il reinserimento, a seguito di sentenze favorevoli emesse dai giudici del lavoro, altri che non hanno la possibilità di adire le vie legali saranno, invece, penalizzati;
   l'articolo 3 della Costituzione recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (..) impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» –:
   se, alla luce di quanto esposto, non ritenga opportuno dare un'ultima possibilità a coloro che, pur in possesso dell'abilitazione e dei titoli all'insegnamento, non abbiano provveduto, per motivate ragioni, a far domanda per l'aggiornamento delle graduatorie permanenti, anche in considerazione che diversi giudici del lavoro hanno definito eccezionale l'onere di presentazione di tale adempimento da parte di coloro che già erano stati inseriti. (4-04140)

  Risposta. — Al fine di un'esatta individuazione della questione sottoposta con l'interrogazione in esame, è utile riepilogare il quadro normativo che regola l'aggiornamento delle graduatorie per l'immissione in ruolo del personale docente della scuola.
  L'articolo 1, comma 1-bis, della legge n. 143 del 2004 aveva previsto che, dall'anno scolastico 2005/2006, la permanenza dei docenti inseriti nelle ex graduatorie permanenti di cui all'articolo 401 del decreto legislativo n. 297 del 1994 (testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione) avveniva su domanda dell'interessato, da presentarsi entro il termine fissato per l'aggiornamento della graduatoria con apposito decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. La medesima norma stabiliva inoltre, da un lato che la mancata presentazione della domanda comportava la cancellazione dalla graduatoria per gli anni scolastici successivi, dall'altro che era consentito il reinserimento, con recupero del punteggio maturato all'atto della cancellazione, a seguito di domanda da presentarsi da parte degli interessati in occasione, degli aggiornamenti successivi.
  Successivamente, la materia in discorso è stata oggetto di una radicale innovazione a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) che, come è noto, ha trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento. A differenza di quanto avveniva con le precedenti graduatorie permanenti, per quelle ad esaurimento non è previsto l'inserimento di nuovi aspiranti, ma unicamente l'aggiornamento della posizione degli interessati in base ai nuovi titoli acquisiti o il loro trasferimento alle graduatorie di diversa provincia.
  Ciò posto, la domanda di permanenza nelle nuove graduatorie entro i termini stabiliti dai vari decreti succedutisi, dapprima con cadenza biennale e quindi triennale, per l'aggiornamento delle stesse è divenuto adempimento necessario onde evitare la cancellazione definitiva.
  Alla luce di quanto su esposto, è di tutta evidenza che, in assenza di una apposita previsione normativa, con i bandi di aggiornamento delle graduatorie non è stato possibile riaprire termini che non sono stati rispettati dagli interessati. Le stesse considerazioni vanno svolte anche con riferimento al contenzioso cui l'interrogante fa cenno, tenuto conto che, per principio generale, le sentenze favorevoli ai ricorrenti fanno stato solo tra le parti.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   tra i Comuni di Pernumia, Battaglia Terme e Due Carrare, in provincia di Padova, in prossimità di abitazioni e in zona di rischio idraulico poiché a pochi metri dal canale Vicenzone, nei capannoni di proprietà della ditta Cedro srl, sono stati abbandonati dal 2002, circa 52mila tonnellate di rifiuti tossici e nocivi, stoccati dall'azienda C.&C. S.p.A.;
   come si evince da alcuni articoli di stampa locale, da blog in internet come la Vespa.org e Orto sociale.org, nonché da un allarme lanciato da Legambiente Padova e del Veneto, la C&C è un'azienda che nasce nel 2002 per trasformare rifiuti industriali in materiale cementizio. L'attività si è de facto limitata a stoccare il materiale tossico e cancerogeno in modo inadeguato e non previsto dalla normativa vigente, in assenza della minima sicurezza, e a rivenderlo senza inertizzarlo. L'attività, a quanto si apprende dagli atti, continua fino al 2005, quando l'area viene posta, il 22 febbraio del 2005, sotto sequestro da parte della magistratura, a seguito di un'indagine riguardante un traffico illecito di rifiuti. I cittadini da subito, a causa della presenza di odori acri ed irritanti, e delle polveri che si sollevavano dalla C&C, segnalavano alle istituzioni competenti, che qualcosa di potenzialmente pericoloso stava succedendo all'interno e all'esterno dei capanni della ex fabbrica Magrini Galileo;
   con la lunga vicenda giudiziaria, che termina con la prescrizione il 25 giugno 2012, il processo si è chiuso senza risarcimento e senza condanne definitive. I cumuli di materiali altamente inquinanti, sono ad oggi ancora stoccati all'interno di capannoni che appaiono precari e non adeguati. Il rischio ambientale pare accertato, ed è peraltro reale per la probabile e facile, viste le sopra descritte caratteristiche inidonee del sito di stoccaggio, contaminazione dell'aria, del suolo e delle falde idriche;
   la questione della C.&C. di Pernumia, nel 2009, compie un passo avanti quando la regione Veneto inserisce la citata area nell'elenco dei siti inquinati e da bonificare e solo nel 2011 la stessa regione Veneto ha stanziato 500.000 euro per la messa in sicurezza e per attività di caratterizzazione, risorse occorse nel corso del 2013-2014 per rinforzare alcune strutture e tappare le numerose falle sul tetto e alle pareti. Ma, al primo evento meteorologico importante, la struttura ha evidenziato la sua estrema fragilità e: gravi rischi cui è esposta. Il fortunale del 13 ottobre 2014, che si è abbattuto nella bassa padovana, ha dimostrato la fragilità della struttura provocando falle su varie parti dell'edificio e del tetto, ora riparate dalla società «Consorzio Padova Sud». La violenza del vento del detto evento atmosferico ha acuito il rischio di dispersione delle polveri in un raggio di incalcolabile ampiezza –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave vicenda;
   se, per quanto di competenza ed anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e delle agenzie specializzate come l'ISPRA, intendano verificare la situazione di inquinamento delle acque e dell'aria nelle aree adiacenti allo stoccaggio nei capannoni della Cedro SrL nel comune di Pernumia. (4-07002)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, concernente le criticità ambientali del territorio dei comuni padovani di Pernumia, Battaglia Terme e Due Carrare, in base agli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Le problematiche evidenziate dall'interrogante risultano essere conseguenza dell'attività esercitata dal 2000 al 2005 dalla C.&C. s.p.a., azienda produttrice di conglomerati cementizi per l'edilizia.
  Data la particolare rilevanza del caso, la giunta regionale del Veneto, con proprio provvedimento deliberativo n. 3564 del 17 novembre 2009, ha inserito il sito degli «stabilimenti ex C.&C. s.p.a.» di Pernumia nell'elenco dei siti da bonificare, definendolo, al contempo, di interesse regionale.
  A fronte di un primo intervento di rimozione di circa 3.450 tonnellate di materiale depositato nell'area esterna, restano ancora all'interno dei capannoni della società Cedro s.r.l. circa 52.000 tonnellate di rifiuti, una parte dei quali classificati come pericolosi data la presenza di idrocarburi.
  La rimozione dei rifiuti è stata affidata, mediante apposita convenzione sottoscritta in data 26 marzo 2013, al consorzio obbligatorio «Bacino di Padova Tre», già titolare del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti comunali.
  Per le attività di rimozione la regione Veneto ha stanziato, con delibera della giunta regionale del 29 dicembre 2014, un finanziamento pari a euro 1.500.000.
  Ai fini della realizzazione di indagini ambientali, caratterizzazione e messa in sicurezza dei capannoni, la stessa regione ha provveduto a stanziare un contributo a fondo perduto di euro 200.000 a favore della provincia di Padova e di euro 500.000 a favore del comune di Pernumia.
  Dalla documentazione finora acquisita agli atti di questa Amministrazione, risulta che gli interventi di messa in sicurezza del sito siano stati ultimati.
  In relazione al monitoraggio della qualità dell'aria, si rappresenta che in data 7 maggio 2014 Arpa Veneto è stata incaricata di verificare l'impatto sull'ambiente e sulla popolazione degli interventi di bonifica previsti per l'area in questione. Il piano di monitoraggio predisposto prevede due campagne di controllo della durata di venti giorni cadauna, periodo ritenuto congruo per un'approfondita analisi della situazione.
  È stato stabilito di effettuare il monitoraggio sia nella fase precedente agli interventi di bonifica e messa in sicurezza del sito sia contestualmente alla realizzazione degli stessi interventi per verificarne l'impatto in corso d'opera.
  La prima campagna di indagini è stata, quindi, realizzata nel periodo settembre-ottobre 2014 impiegando un laboratorio mobile attrezzato per la misurazione automatica di vari parametri previsti dal decreto-legislativo n. 155 del 2010. Nello specifico: biossido di zolfo (SO2), biossido e ossidi d'azoto (NO2, NOx), monossido di carbonio (CO), ozono (O3), benzene (C6H6) e polveri fini PM10.
  Sulle polveri PM10 sono state condotte, successivamente, le analisi di laboratorio degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) – con riferimento al benzo(a)pirene – e le analisi dei micro inquinanti inorganici, quali arsenico (As), cadmio (Cd), nichel (Ni) e piombo (Pb).
  Il sito monitorato si trova nel comune di Battaglia Terme, a ridosso della strada di accesso alla ex C.&.C. che, nella fase di smaltimento dei materiali, sarà interessata dal passaggio di automezzi pesanti. Inoltre, l'area risulta essere sottovento rispetto agli stabilimenti ex C.&C. e limitrofa ad abitazioni private ed altri insediamenti artigianali e industriali che, nell'insieme, costituiscono i ricettori sensibili del possibile impatto delle attività di bonifica.
  Il monitoraggio, in questa prima fase, non ha evidenziato particolari problematiche per la qualità dell'aria se non quelle già note e comuni a gran parte del territorio della regione Veneto, configurando il sito di Battaglia Terme come analogo ad una zona suburbana con un inquinamento di tipo diffuso dovuto al sovrapporsi di varie fonti con inquinanti critici individuabili nelle polveri PM10 e nel benzo(a)pirene.
  La seconda fase di monitoraggio è stata programmata in concomitanza con l'inizio delle attività di messa in sicurezza del sito previste per il mese di settembre 2015. I risultati di tale recente indagine non risultano ancora pervenuti a questo Dicastero.
  Ad ogni modo, fermo restando la competenza degli enti territoriali, il Ministero chiederà di essere informato sull'evolversi della situazione, anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RICCIATTI, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, NICCHI, PANNARALE e PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la decisione della regione Marche di eliminare il reparto di ostetrica e ginecologia dell'ospedale Profili di Fabriano ha mobilitato la cittadinanza alla protesta. Un coordinamento cittadino si è infatti costituito proprio per cercare di impedire che questa decisione diventi operativa e per chiedere alla regione di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, cosiddetto «decreto Lorenzin», della cui possibilità di attuazione il Ministro ha rassicurato direttamente il sindaco della città;
   nelle Marche altri punti nascita dell'entroterra saranno chiusi, San Severino Marche ed Osimo, salvaguardando invece gran parte dei punti nascita situati lungo la costa;
   Fabriano si trova in una zona montana, dove il clima è spesso avverso. Più volte, durante l'arco dell'anno, il traffico nell'unica strada che collega la città alla costa (e quindi all'ospedale di Jesi dove le donne dovranno andare a partorire, a partire dal 2016) viene interrotto a causa dei frequenti incidenti stradali che bloccano il traffico ogni volta per diverse ore. Le donne del comprensorio fabrianese dovranno intraprendere questo viaggio durante il travaglio, con il rischio di incontrare per strada neve, gelo, o di imbattersi in un incidente stradale;
   vi sono anche le situazioni d'emergenza come i parti improvvisi o i distacchi di placenta, solo per fare alcuni esempi, in cui la vicinanza della struttura ospedaliera è fondamentale;
   il coordinamento si è già mobilitato con tre manifestazione a cui hanno aderito quasi 1.000 persone ed ha cercato di dialogare con il presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, al quale spetta la decisione, invadendo per giorni la sua bacheca Facebook, senza ottenere risposte affermative;
   la regione Marche ne fa un caso di sicurezza in quanto manca la rianimazione neonatale sia ad Osimo che a San Severino, mentre a Fabriano è operativa ma manca quella neonatale, mettendo in realtà in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario –:
   se non si ritenga di intervenire al fine di garantire la permanenza di punti nascita seppure al di sotto di 500 parti/anno e in deroga ad alcuni parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010, qualora ubicati in aree critiche quali quelle dei territori montani o quelle segnate da frammentazione territoriale, o da particolari caratteristiche orografiche, o distanti da altre strutture ostetrico/ginecologiche di livello superiore.
(4-11480)

  Risposta. — Con riguardo all'interrogazione in esame, si forniscono le seguenti valutazioni.
  In via preliminare si ricorda che l'Accordo firmato il 16 dicembre 2010, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane riferito alle «Linee di indirizzo per la promozione del miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» ha impegnato tutte le regioni, comprese quelle cosiddette «in Piano di rientro» dal
deficit sanitario, ad attuare 10 linee di azioni per la ridefinizione del percorso nascita.
  Tale accordo è scaturito dalla generale consapevolezza di dover implementare le misure fondamentali per garantire livelli accettabili di qualità e sicurezza per la madre e il nascituro.
  Di particolare importanza è, in tal senso, la definizione del volume minimo di parti, che, secondo la letteratura e le esperienze in materia, costituisce
conditio sine qua non per configurare le condizioni organizzative, di competenza e di expertice, necessarie per la sicurezza del percorso nascita.
  In base a ciò, l'accordo ha previsto la chiusura dei punti nascita (PN), con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire sicurezza per la madre ed il neonato, nonché l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1000 parti/anno quale parametro cui tendere.
  Va da subito chiarito che tale criterio non va ovviamente letto con accezione punitiva nei confronti della popolazione, poiché non scaturisce da mere finalità economiche di contenimento della spesa, bensì dalla necessità di fornire alla donna ed al neonato un'assistenza di livello elevato; tale garanzia può essere assicurata innanzitutto da adeguati standard operativi, tecnologici e di sicurezza, ma soprattutto dalla presenza, con livelli di operatività h24 intesa come guardia attiva, di personale qualificato che, potendo seguire una casistica numerosa, è in grado di effettuare un corretto inquadramento delle pazienti ed una corretta gestione della gravidanza, mantenendo ed accrescendo nel tempo la propria competenza. Ciò vale, ancor più, rispetto ad eventuali situazioni di emergenza che dovessero verificarsi durante il decorso della gravidanza, il parto e il post partum, che richiedono interventi appropriati, efficaci e tempestivi.
  Si sottolinea, peraltro, che il decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015, «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera», fa specifico riferimento agli standard operativi, tecnologici e di sicurezza contenuti nell'accordo del 16 dicembre 2010.
  L'accordo ha anche previsto la possibilità di persistenza dell'operatività di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti/anno, esclusivamente in caso di reali situazioni orogeografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, esclusivamente a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti per le unità operative ostetriche e neonatologico/pediatriche di 1o livello.
  In relazione a tale problematica, si sottolinea che il decreto ministeriale 11 novembre 2015, che integra i compiti e la composizione del comitato percorso nascita nazionale (cpnn), ha demandato al predetto Comitato il compito di esprimere un parere sulla richiesta, da parte delle regioni e delle province autonome, di deroghe per punti nascita con volumi di attività <a 500 parti/anno, sentiti anche i comitati percorso nascita regionali.
  Le richieste di deroga devono seguire un
iter preordinato ed essere predisposte secondo un preciso «Protocollo Metodologico» messo a punto dal cpn nazionale.
  Fatte salve le valutazioni di carattere generale sopra formulate, nel merito di quanto rappresentato con gli atti ispettivi in esame, si forniscono le seguenti indicazioni.
  Da interlocuzioni con la regione Marche, si è appurato che effettivamente sono in via di predisposizione gli atti normativi di disattivazione di questi due punti nascita, in aderenza a quanto previsto dall'accordo del 16 dicembre 2010, che raccomanda «la razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno, prevedendo l'abbinamento per pari complessità di attività delle UU.O.O. ostetrico-ginecologiche con quelle neonatologiche/pediatriche».
  Si coglie l'occasione per ricordare che, a seguito delle modifiche al titolo V della Costituzione, che ha demandato alle regioni la competenza legislativa in termini di organizzazione e realizzazione di risposte efficaci ai bisogni di salute di tutti i gruppi di popolazione, le scelte programmatorie e organizzativo/gestionali in tema di sanità sono di competenza delle regioni e alle province autonome. Il Ministero della salute non entra nel merito delle scelte strategiche adottate dalle regioni, ma verifica il rispetto dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea), in termini di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse e la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio sanitario nazionale.
  La regione Marche, con nota del 17 febbraio 2016, per quanto di sua diretta competenza, rispondendo ad una specifica richiesta del Ministero della salute, ha osservato quanto segue.
  Con delibera della giunta regionale n. 1345 del 2013, come modificata dalla delibera della giunta regionale n. 1219 del 27 ottobre 2014, la regione ha proceduto al riordino delle reti cliniche in coerenza con la riorganizzazione dell'offerta sanitaria regionale. Tale atto è stato predisposto con l'obiettivo di migliorare la qualità delle cure, garantirne l'omogeneità e migliorare l'efficienza del sistema ed ha tenuto conto delle indicazioni dell'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e delle indicazioni contenute nel decreto ministeriale n. 70 del 2015, già sopra indicato, che ha definito le condizioni necessarie per garantire livelli di assistenza ospedaliera omogenei.
  Nelle richiamate delibere della giunta regionale 1345 del 2013 e 1219 del 2014 sono stati fissati, tra l'altro, i criteri per la riorganizzazione dei punti nascita, introducendo i principi di gradualità, sicurezza, numero annuale dei parti, per orientare le scelte di riduzione dei punti nascita. Tra l'altro è raccomandato «di adottare stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale fissando il numero di almeno 1000 nascite/anno quale parametro standard a cui tendere, nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita; i punti nascita con un numero di parti inferiore a 500, privi di una copertura di guardia medico-ostetrica, anestesiologica e medico pediatrica h 24 andavano chiusi entro il 2011. Tali principi sono già stati recepiti dalla giunta con la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti». Sono stati, pertanto, in quell'occasione chiusi i punti nascita al di sotto dei 500 parti (2 strutture del privato ed 1 struttura pubblica). La giunta, inoltre, ha esplicitato la volontà di «dare applicazione alle prescrizioni contenute nell'Accordo Stato Regioni 16112/2010 in modo graduale, nei tempi necessari, in concertazione con il direttivo ANCI; che tale gradualità sia legata al numero di parti nei singoli stabilimenti ospedalieri (dal più basso al più alto) e dalla presenza almeno della guardia medico-ostetrica, della guardia medicopediatrica e anestesiologica H24».
  La gradualità dei tempi di riorganizzazione è stato, pertanto, rispettata e la data del 31 dicembre 2015 – come termine nel procedere alla chiusura dei punti nascita che non garantiscono le condizioni di qualità e sicurezza necessarie – sembra congruo con il percorso già avviato. Ulteriori deroghe non sono coerenti con le normative richiamate, esponendo la regione Marche al rischio di risultare inadempiente all'obbligo di erogare i Lea in condizioni di sicurezza.
  Inoltre, al fine di garantire l'assistenza delle madre e dei neonati a rischio, con specifici provvedimenti regionali e aziendali, è stato attivato lo Stam (sistema di trasferimento sanitario della madre) per la centralizzazione delle donne, in procinto di partorire, con problematiche richiedenti un 2o livello assistenziale. In questo modo eventuali gravidanze con gravi prematurità (< alla 31 settimana), o con patologie congenite importanti, vengono centralizzate al presidio Salesi dove e presente l'unica neonatologia di 2o livello, una terapia intensiva (dipartimento d'emergenza e accettazione di 2o livello e la possibilità di effettuare interventi chirurgici (cardiologici, neurologici e di chirurgia generale) che si rendono necessari nell'immediato
post nascita.
  Va anche detto che insieme allo Stam è attivo lo Sten (trasporto neonatale), che si attiva in caso di neonato con gravi patologie congenite o insorte alla nascita per le quali si rende necessario un ricovero nella neonatologia di 2o livello. L’
équipe dell'ospedale Salesi (medico e infermiere) si reca al punto nascita interessato, per stabilizzare il neonato e trasferirlo al medesimo ospedale. Quando le condizioni lo permettono, la stessa équipe lo riconduce al punto nascita. Con queste modalità vengono garantite le urgenze emergenze legate al momento della nascita.
  Per quanto riguarda il punto nascita di Fabriano e di Osimo ci sono stati nel corso del 2015 rispettivamente n. 390 e n. 561; tali punti nascita rappresentano le sedi con minor numero di parti nel panorama regionale, insieme con l'ospedale di San Severino, dove nel corso del 2015, si sono registrati n. 537 parti, in diminuzione rispetto al valore del 2014 (n. 565) ma con il 45 per cento di parti cesarei: la media di parti oscilla tra i 7 e i 10 parti alla settimana, circa tra 1 ed 1,5 al giorno. Considerata la presenza di medici nei vari turni, si può dire che ogni medico assiste a circa un parto alla settimana e questo spiegherebbe il ricorso al parto cesareo e in ogni caso si traduce in una qualità assistenziale a rischio per le donne ed il nascituro.
  Peraltro, la mancanza di una guardia pediatrica in tutti e tre i nosocomi al momento del parto impedisce un intervento immediato per qualsiasi ipotetica complicanza che si possa verificare al momento o subito dopo il parto. È appena il caso di rammentare che le ipossie perinatali rappresentano una delle più gravi cause di disabilità nel bambino con conseguenti socio sanitarie per la famiglia e la società non valutabili.
  Inoltre, per quanto attiene al punto nascita di Osimo e di San Severino, si precisa che gli stessi sono allo stato operativi, in considerazione della pendenza di un giudizio amministrativo, in caso di rigetto delle istanze di sospensione dell'efficacia esecutiva dei provvedimenti impugnati, i suddetti punti nascita saranno chiusi.
  Alla luce di quanto sopra esposto, la chiusura dei punti nascita, partendo da quelli meno produttivi, quindi da subito Fabriano che non raggiunge neanche la soglia dei 500 parti anno e di seguito delle altre strutture con bassa numerosità di parti, porterà all'aumento volumetrico degli altri con raggiungimento degli standard di qualità che norme di accreditamento e società scientifiche dispongono.
  Per quanto attiene ai due punti nascita con parti ancora superiori ai 500/anno i tempi di percorrenza verso gli ospedali di riferimento sono inferiori ai 60 minuti.
  Inoltre, nelle situazioni particolarmente avverse la regione mette a disposizione i mezzi di soccorso straordinari mediante il Gores (Gruppo operativo regionale emergenze sanitarie) che in collaborazione tra sanità e protezione civile garantisce la salute di tutti i cittadini presenti sul territorio regionale.
  Per quanto attiene gli incidenti stradali sono ovviamente imprevedibili ed i mezzi di soccorso presenti sul territorio vengono attivati a seconda delle esigenze mettendo a disposizione tutte le risorse del 118 regionale compreso il servizio di elisoccorso.
  Si rappresenta che nella regione Marche sono presenti 2 elicotteri uno con sede base Fabriano e l'altro Ancona ed è attiva una convenzione regionale con il soccorso alpino.
  Da ultimo, la regione ha osservato che l'entrata in vigore dal 25 novembre 2015 della normativa europea sull'orario di lavoro, con l'obbligo non più eludibile, di garantire ai lavoratori (medici e personale del comparto) pause di riposo sufficienti tra un turno e l'altro e il divieto di superare un orario settimanale di 48 ore, rende di fatto oggettivamente impossibile mantenere l'attuale diffusione dei punti nascita per la mancanza di medici specialisti (ginecologi, anestesisti, pediatri) necessari a garantire la presenza h24.

Il Sottosegretario di Stato per la saluteVito De Filippo.


   RICCIATTI, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, NICCHI, PANNARALE e PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il comitato «tutti uniti per l'ospedale di Osimo» composto da padri, padri e nonni che si oppongono alla scelta politica di chiudere i punti nascita senza tenere in debito conto le esigenze delle persone che vivono in territori dove gli spostamenti risultano più difficili;
   l'accordo Stato-regione dichiara che vengano chiusi i reparti sotto i 500 parti;
   Osimo ne conta una media di 650. L'accordo Stato-regione indica la riduzione al ricorso dei cesarei di cui Osimo è al primo posto nelle Marche col 29 per cento dei casi, su una media nazionale del 38 per cento, e rispetto ad altri ospedali marchigiani, ad esempio, il Salesi con il 51 per cento. Quindi, di conseguenza, il punto nascita di Osimo è primo anche per parti fisiologici con il 71 per cento dei casi;
   l'accordo Stato-regione impegna le regioni a migliorare, sostenere e proteggere l'allattamento materno alla nascita e nel puerperio, al fine di incrementare i centri delle nascite classificati «amico del bambino» secondo i criteri Unicef e Oms e Osimo è ospedale amico del bambine; con certificazione Unicef e Oms;
   nel punto nascita di Osimo vengono mamme dall'Umbria, dall'Abruzzo, dal Molise proprio in quanto eccellenza Unicef;
   Osimo ha gli stessi parti di strutture come Jesi, Fermo e Senigallia. Al Salesi già ci sono madri appoggiate in altri reparti, in quanto non riescono a soddisfare tutti, quindi è facile immaginare cosa succederebbe se chiudesse il punto nascita di Osimo, visto che il punto nascita più vicino è quello di Jesi a più di un'ora di strada;
   pochi giorni fa una ragazza ha partorito in ambulanza perché non è riuscita a raggiungere l'ospedale;
   la Val Musone conta 100.000 abitanti, ed è spontaneo chiedersi quante mamme partoriranno in ambulanza per raggiungere Jesi, e quali conseguenze si potrebbero verificare in presenza di problemi correlati al parto come un'emorragia –:
   se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di garantire la permanenza di punti nascita seppure al di sotto di 500 parti/anno e in deroga ad alcuni parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni del 16 dicembre 2010, qualora ubicati in aree critiche quali quelle dei territori montani o quelle segnate da frammentazione territoriale, o da particolari caratteristiche orografiche, o distanti da altre strutture ostetrico/ginecologiche di livello superiore. (4-11497)

  Risposta. — Con riguardo all'interrogazione in esame, si forniscono le seguenti valutazioni.
  In via preliminare si ricorda che l'accordo firmato il 16 dicembre 2010, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane riferito alle «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» ha impegnato tutte le regioni, comprese quelle cosiddette «in Piano di rientro» dal deficit sanitario, ad attuare 10 linee di azioni per la ridefinizione del percorso nascita.
  Tale accordo è scaturito dalla generale consapevolezza di dover implementare le misure fondamentali per garantire livelli accettabili di qualità e sicurezza per la madre e il nascituro.
  Di particolare importanza è, in tal senso, la definizione del volume minimo di parti, che, secondo la letteratura e le esperienze in materia, costituisce conditio sine qua non per configurare le condizioni organizzative, di competenza e di expertice, necessarie per la sicurezza del percorso nascita.
  In base a ciò, l'accordo ha previsto la chiusura dei punti nascita (PN) con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire sicurezza per la madre ed il neonato, nonché l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1000 parti/anno quale parametro cui tendere.
  Va da subito chiarito che tale criterio non va ovviamente letto con accezione punitiva nei confronti della popolazione, poiché non scaturisce da mere finalità economiche di contenimento della spesa, bensì dalla necessità di fornire alla donna ed al neonato un'assistenza di livello elevato; tale garanzia può essere assicurata innanzitutto da adeguati standard operativi, tecnologici e di sicurezza, ma soprattutto dalla presenza, con livelli di operatività h24 intesa come guardia attiva, di personale qualificato che, potendo seguire una casistica numerosa, è in grado di effettuare un corretto inquadramento delle pazienti ed una corretta gestione della gravidanza, mantenendo ed accrescendo nel tempo la propria competenza. Ciò vale, ancor più, rispetto ad eventuali situazioni di emergenza che dovessero verificarsi durante il decorso della gravidanza, il parto e il post partum, che richiedono interventi appropriati, efficaci e tempestivi.
  Si sottolinea, peraltro, che il decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015 «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera» fa specifico riferimento agli standard operativi, tecnologici e di sicurezza contenuti nell'Accordo del 16 dicembre 2010.
  L'accordo ha anche previsto la possibilità di persistenza dell'operatività di punti di nascita in deroga al volume minimo di 500 parti/anno, esclusivamente in caso di reali situazioni orogeografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, esclusivamente a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti per le unità operative ostetriche neonatologico/pediatriche di 1o Livello.
  In relazione a tale problematica, si sottolinea che il decreto ministeriale 11 novembre 2015, che integra i compiti e la composizione del comitato percorso nascita nazionale (Cpnn), ha demandato al predetto comitato il compito di esprimere un parere sulla richiesta, da parte delle regioni e delle province autonome, di deroghe per punti nascita con volumi di attività <a 500 parti/anno, sentiti anche comitati percorso nascita regionali.
  Le richieste di deroga devono seguire un iter preordinato ed essere predisposte secondo un preciso «Protocollo Metodologico» messo a punto dal Cpn nazionale.
  Fatte salve le valutazioni di carattere generale sopra formulate, nel merito di quanto rappresentato con gli atti ispettivi in esame, si forniscono le seguenti indicazioni.
  Da interlocuzioni con la regione Marche, si è appurato che effettivamente sono in via di predisposizione gli atti normativi di disattivazione di questi due i punti nascita, in aderenza a quanto previsto dall'accordo dei 16 dicembre 2010, che raccomanda «la razionalizzazione riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno, prevedendo l'abbinamento per pari complessità di attività delle unità operative ostetrico-ginecologiche con quelle neonatologiche/pediatriche».
  Si coglie l'occasione per ricordare che, a seguito delle modifiche al Titolo V della Costituzione, che ha demandato alle regioni la competenza legislativa in termini di organizzazione e realizzazione di risposte efficaci ai bisogni di salute di tutti i gruppi di popolazione, le scelte programmatorie e organizzativo/gestionali in tema di sanità sono di competenza delle regioni e alle province autonome. Il Ministero della salute non entra nel merito delle scelte strategiche adottate dalle regioni, ma verifica il rispetto dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea), in termini di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse e la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal servizio sanitario nazionale.

  La regione Marche, con nota del 17 febbraio 2016, per quanto di sua diretta competenza, rispondendo ad una specifica richiesta del Ministero della salute, ha osservato quanto segue.
  Con delibera della giunta regionale n. 1345 del 2013, come modificata dalla delibera della giunta regionale n. 1219 del 27 ottobre 2014, la regione ha proceduto al riordino delle reti cliniche in coerenza con la riorganizzazione dell'offerta sanitaria regionale. Tale atto è stato predisposto con l'obiettivo di migliorare la qualità delle cure, garantirne l'omogeneità e migliorare l'efficienza del sistema ed ha tenuto conto delle indicazioni dell'agenzia nazionale per i servizi regionali e delle indicazioni contenute nel decreto ministeriale n. 70 del 2015, già sopra indicato, che ha definito le condizioni necessarie per garantire livelli di assistenza ospedaliera omogenei.
  Nelle richiamate delibere della giunta regionale n. 1345 del 2013 e 1219 del 2014 sono stati fissati, tra l'altro, i criteri per la riorganizzazione dei punti nascita, introducendo i principi di gradualità, sicurezza, numero annuale dei parti, per orientare le scelte di riduzione dei punti nascita. Tra l'altro è raccomandato «di adottare stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale fissando il numero di almeno 1000 nascite/anno quale parametro standard a cui tendere, nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita; i punti nascita con un numero di parti inferiore a 500, privi di una copertura di guardia medico-ostetrica, anestesiologica e medico pediatrica h 24 andavano chiusi entro il 2011. Tali principi sono già stati recepiti dalla Giunta con la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti». Sono stati, pertanto, in quell'occasione chiusi i punti nascita al di sotto dei 500 parti (2 strutture dei privato ed 1 struttura pubblica). La Giunta, inoltre, ha esplicitato la volontà di «dare applicazione alle prescrizioni contenute nell'Accordo Stato Regioni 16112 del 2010 in modo graduale, nei tempi necessari, in concertazione con il direttivo ANCI; che tale gradualità sia legata al numero di parti nei singoli stabilimenti ospedalieri (dal più basso al più alto) e dalla presenza almeno della guardia medico-ostetrica, della guardia medico-pediatrica e anestesiologica H24».
  La gradualità dei tempi di riorganizzazione è stato, pertanto, rispettata e la data del 31 dicembre 2015 – come termine nel procedere alla chiusura dei, punti nascita che non garantiscono le condizioni di qualità e sicurezza necessarie – sembra congruo con il percorso già avviato. Ulteriori deroghe non sono coerenti con le normative richiamate, esponendo la regione Marche al rischio di risultare inadempiente all'obbligo di erogare i Lea in condizioni di sicurezza.
  Inoltre, al fine di garantire l'assistenza delle madre e dei neonati a rischio, con specifici provvedimenti regionali e aziendali, è stato attivato lo Stam (sistema di trasferimento sanitario della madre) per la centralizzazione delle donne, in procinto di partorire, con problematiche richiedenti un 2o livello assistenziale. In questo modo eventuali gravidanze con gravi prematurità (< alla 31 settimana), o con patologie congenite importanti, vengono centralizzate al presidio Salesi dove è presente l'unica neonatologia di 2o livello, una terapia intensiva (dipartimento d'emergenza e accettazione di 2o livello) e la possibilità di effettuare interventi chirurgici (cardiologici, neurologici e di chirurgia generale) che si rendono necessari nell'immediato post nascita.
  Va anche detto che insieme allo Stam è attivo lo Sten (trasporto neonatale), che si attiva in caso di neonato con gravi patologie congenite o insorte alla nascita per le quali si rende necessario un ricovero nella neonatologia di 2o livello. L’équipe dell'ospedale Salesi (medico e infermiere) si reca al punto nascita interessato, per stabilizzare il neonato e trasferirlo al medesimo ospedale. Quando le condizioni lo permettono, la stessa équipe lo riconduce al punto nascita. Con queste modalità vengono garantite le urgenze emergenze legate al momento della nascita.
  Per quanto riguarda il punto nascita di Fabriano e di Osimo ci sono stati nel corso del 2015 rispettivamente n. 390 e n. 561; tali punti nascita rappresentano le sedi con minor numero di parti nel panorama regionale, insieme con ospedale di San Severino, dove nel corso del 2015, si sono registrati n. 537 parti, in diminuzione rispetto al valore del 2014 (n. 565) ma con il 45 percento di parti cesarei: la media di parti oscilla tra i 7 e i 10 parti alla settimana, circa tra 1 ed 1,5 al giorno. Considerata la presenza di medici nei vari turni, si può dire che ogni medico assiste a circa un parto alla settimana e questo spiegherebbe il ricorso al parto cesareo e in ogni caso si traduce in una qualità assistenziale a rischio per le donne ed il nascituro.
  Peraltro, la mancanza di una guardia pediatrica in tutti e tre i nosocomi al momento del parto impedisce un intervento immediato per qualsiasi ipotetica complicanza che si possa verificare al momento o subito dopo il parto. È appena il caso di rammentare, che le ipossie perinatali rappresentano una delle più gravi cause di disabilità nel bambino con conseguenti socio sanitarie per la famiglia e la società non valutabili.
  Inoltre, per quanto attiene al punto nascita di Osimo e di San Severino, si precisa che gli stessi sono allo stato operativi, in considerazione della pendenza di un giudizio amministrativo, in caso di rigetto delle istanze di sospensione dell'efficacia esecutiva dei provvedimenti impugnati, i suddetti, punti nascita saranno chiusi.
  Alla luce di quanto sopra esposto, la chiusura dei punti nascita, partendo da quelli meno produttivi, quindi da subito Fabriano che non raggiunge neanche la soglia dei 500 parti anno e di seguito delle altre strutture con bassa numerosità di parti, porterà all'aumento volumetrico degli altri con raggiungimento degli standard di qualità che norme di accreditamento e società scientifiche dispongono.
  Per quanto attiene ai due punti nascita con parti ancora superiori ai 500/anno i tempi di percorrenza verso gli ospedali di riferimento sono inferiori ai 60 minuti.
  Inoltre, nelle situazioni particolarmente avverse la regione mette a disposizione i mezzi di soccorso straordinari mediante il Gores (Gruppo operativo regionale emergenze sanitarie) che in collaborazione tra sanità e protezione civile garantisce la salute di tutti i cittadini presenti sul territorio regionale.
  Per quanto attiene gli incidenti stradali sono ovviamente imprevedibili ed i mezzi di soccorso presenti sul territorio vengono attivati a seconda delle esigenze mettendo a disposizione tutte le risorse del 118 regionale compreso il servizio di elisoccorso.
  Si rappresenta che nella regione Marche sono presenti 2 elicotteri uno con sede base Fabriano e l'altro Ancona ed è attiva una convenzione regionale con il soccorso alpino.
  Da ultimo, la regione ha osservato che l'entrata in vigore dal 25 novembre 2015 della normativa europea sull'orario di lavoro, con l'obbligo non più eludibile, di garantire ai lavoratori (medici e personale del comparto) pause di riposo sufficienti tra un turno e l'altro e il divieto di superare un orario settimanale di 48 ore, rende di fatto oggettivamente impossibile mantenere l'attuale diffusione dei punti nascita per la mancanza di medici specialisti (ginecologi, anestesisti, pediatri) necessari a garantire la presenza h24.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteVito De Filippo.


   RICCIATTI, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, NICCHI, PANNARALE e PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la decisione della regione Marche di eliminare il punto nascite del reparto materno infantile dell'ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche ha mobilitato tutta la popolazione del territorio afferente alla struttura, unita nel protesta contro tale decisione;
   oltre alla preoccupazione espressa alla regione dalle assise comunali, dai primi cittadini e dai presidenti delle Unioni montane di San Severino Marche, Camerino e San Ginesio, si è costituito un Comitato per la salvaguardia del punto nascite che serve un territorio dell'entroterra in gran parte montano, molto vasto e disagiato per quanto riguarda la viabilità che, soprattutto nel periodo invernale, moltiplica i tempi di percorrenza;
   tale comitato ha dato, e continua a dare, vita a varie manifestazioni di protesta che riempiono le piazze (11 dicembre 2015); ha portato la protesta presso la sede della regione Marche (15 dicembre 2015), in occasione della discussione delle mozioni, cercando di dialogare con il presidente della regione Marche. Inoltre, si accinge, a quanto si apprende da notizie diffuse dalla stampa, a firmare un esposto. Tali iniziative sono finalizzate a ottenere una revisione della decisione da parte della regione Marche;
   qualora il punto nascite di San Severino Marche venisse chiuso, l'utenza delle aree, interne e montane, sarebbe costretta a rivolgersi al reparto di ostetricia più vicino, situato a Macerata. In tale ipotesi una donna si troverebbe ad affrontare, durante il travaglio, lunghi viaggi con il rischio di neve, gelo, incidenti, strade impervie, raddoppiando in più casi i tempi di percorrenza ad oggi previsti per raggiungere l'ospedale di San Severino Marche. Ciò anche in situazioni d'emergenza dove è fondamentale la vicinanza alla struttura ospedaliera, quali parti improvvisi o distacchi di placenta come verificatosi nella cittadina, in un caso risalente agli inizi di novembre 2015, dove solo un tempestivo cesareo ha salvato la vita ad una mamma e a suo figlio nato prematuramente;
   nel reparto di ostetricia dell'ospedale Bartolomeo Eustachio ci sono un numero di nascite superiori alle 500, ma si è chiesto comunque di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (cosiddetto «decreto Lorenzin»);
   la regione non ha infatti ritenuto sufficienti, per conservare il servizio, le oltre 515 nascite effettuate sino alla data odierna, motivando la decisione con una questione di sicurezza, non essendo in quel nosocomio presente il reparto di rianimazione neonatale;
   tale valutazione mette in realtà, ad avviso degli interroganti, in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario –:
   se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, per le ragioni esposte in premessa, al fine di garantire la permanenza di punti nascita, seppur in deroga ad alcun parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010;  
   come si intendano garantire i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, che trova tutela al più elevato rango dell'ordinamento, in considerazione degli oggettivi rischi per la salute delle mamme e dei nascituri causati dalla difficoltà, dovute a viabilità limitata e caratteristiche meteo-territoriali disagiate, di raggiungere il nosocomio designato dalla nuova proposta di organizzazione avanzata dalla regione Marche. (4-11537)

  Risposta. — Con riguardo all'interrogazione in esame, si forniscono le seguenti valutazioni.
  In via preliminare si ricorda che l'Accordo firmato il 16 dicembre 2010, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane riferito alle «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» ha impegnato tutte le regioni, comprese quelle cosiddette «in Piano di rientro» dal deficit sanitario, ad attuare 10 linee di azioni per la ridefinizione del percorso nascita.
  Tale accordo è scaturito dalla generale consapevolezza di dover implementare le misure fondamentali per garantire livelli accettabili di qualità e sicurezza per la madre e il nascituro.
  Di particolare importanza è, in tal senso, la definizione del volume minimo di parti, che, secondo la letteratura e le esperienze in materia, costituisce condizioni qua non per configurare le condizioni organizzative, di competenza e di expertice necessarie per la sicurezza del percorso nascita.
  In base a ciò, l'accordo ha previsto la chiusura dei punti nascita (Pn) con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire sicurezza per la madre ed il neonato, nonché l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1000 parti/anno quale parametro cui tendere.
  Va da subito chiarito che tale criterio non va ovviamente letto con accezione punitiva nei confronti della popolazione, poiché non scaturisce da mere finalità economiche di contenimento della spesa, bensì dalla necessità di fornire alla donna ed al neonato un'assistenza di livello elevato; tale garanzia può essere assicurata innanzitutto da adeguati standard operativi, tecnologici e di sicurezza, ma soprattutto dalla presenza, con livelli di operatività h24 intesa come guardia attiva, di personale qualificato che, potendo seguire una casistica numerosa, è in grado di effettuare un corretto inquadramento delle pazienti ed una corretta gestione della gravidanza, mantenendo ed accrescendo nel tempo la propria competenza. Ciò vale, ancor più, rispetto ad eventuali situazioni di emergenza che dovessero verificarsi durante il decorso della gravidanza, il parto e il post partum, che richiedono interventi appropriati, efficaci e tempestivi.
  Si sottolinea, peraltro, che il decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015 «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera» fa specifico riferimento agli standard operativi, tecnologici e di sicurezza contenuti nell'Accordo del 16 dicembre 2010.
  L'accordo ha anche previsto la possibilità di persistenza dell'operatività di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti/anno, esclusivamente in caso di reali situazioni orogeografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, esclusivamente a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti per le unità operative ostetriche e neonatologico/pediatriche di 1o Livello.
  In relazione a tale problematica, si sottolinea che il decreto ministeriale dell'11 novembre 2015, che integra i compiti e la composizione del comitato percorso nascita nazionale (Cpnn), ha demandato al predetto comitato il compito di esprimere un parere sulla richiesta, da parte delle regioni e delle province autonome, di deroghe per punti nascita con volumi di attività < a 500 parti/anno, sentiti anche i comitati percorso nascita regionali.
  Le richieste di deroga devono seguire un iter preordinato ed essere predisposte secondo un preciso «Protocollo Metodologico» messo a punto dal Cpn nazionale.
  Fatte salve le valutazioni di carattere generale sopra formulate, nel merito di quanto rappresentato con gli atti ispettivi in esame, si forniscono le seguenti indicazioni.
  Da interlocuzioni con la regione Marche, si è appurato che effettivamente sono in via di predisposizione gli atti normativi di disattivazione di questi due punti nascita, in aderenza a quanto previsto dall'accordo del 16 dicembre 2010, che raccomanda «la razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno, prevedendo l'abbinamento per pari complessità di attività delle UU.O.O. ostetrico-ginecologiche con quelle neonatologiche/pediatriche».
  Si coglie l'occasione per ricordare che, a seguito delle modifiche al Titolo V della Costituzione, che ha demandato alle regioni la competenza legislativa in termini di organizzazione e realizzazione di risposte efficaci ai bisogni di salute di tutti i gruppi di popolazione, le scelte programmatorie e organizzativo/gestionali in tema di sanità sono di competenza delle regioni e alle province autonome. Il Ministero della salute non entra nel merito delle scelte strategiche adottate dalle regioni, ma verifica il rispetto dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea), in termini di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse e la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal servizio sanitario nazionale.

  La regione Marche con nota del 17 febbraio 2016, per quanto di sua diretta competenza, rispondendo ad una specifica richiesta del Ministero della salute, ha osservato quanto segue.
  Con delibera della giunta regionale n. 1345 del 2013, come modificata dalla delibera della giunta regionale n. 1219 del 27 ottobre 2014, la regione ha proceduto al riordino delle reti cliniche in coerenza con la riorganizzazione dell'offerta sanitaria regionale. Tale atto è stato predisposto con l'obiettivo di migliorare la qualità delle cure, garantirne l'omogeneità e migliorare l'efficienza del sistema ed ha tenuto conto delle indicazioni dell'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e delle indicazioni contenute nel decreto ministeriale n. 70 del 2015, già sopra indicato, che ha definito le condizioni necessarie per garantire livelli di assistenza ospedaliera omogenei.
  Nelle richiamate delibere della giunta regionale 1345 del 2013 e 1219 del 2014 sono stati fissati, tra l'altro, i criteri per la riorganizzazione dei punti nascita, introducendo i principi di gradualità, sicurezza, numero annuale dei parti, per orientare le scelte di riduzione dei punti nascita. Tra l'altro è raccomandato «di adottare stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale fissando il numero di almeno 1000 nascite/anno quale parametro standard a cui tendere, nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita; i punti nascita con un numero di parti inferiore a 500, privi di una copertura di guardia medico-ostetrica, anestesiologica e medico pediatrica h24 andavano chiusi entro il 2011. Tali principi sono già stati recepiti dalla Giunta con la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti». Sono stati, pertanto, in quell'occasione chiusi i punti nascita al di sotto dei 500 parti (2 strutture del privato ed 1 struttura pubblica). La Giunta, inoltre, ha esplicitato la volontà di «dare applicazione alle prescrizioni contenute nell'accordo Stato Regioni 16112 del 2010 in modo graduale, nei tempi necessari, in concertazione con il direttivo Anci; che tale gradualità sia legata al numero di parti nei singoli stabilimenti ospedalieri (dal più basso al più alto) e dalla presenza almeno della guardia medico-ostetrica, della guardia medico-pediatrica e anestesiologica H24».
  La gradualità dei tempi di riorganizzazione è stato, pertanto, rispettata e la data del 31 dicembre 2015 – come termine nel procedere alla chiusura dei punti nascita che non garantiscono le condizioni di qualità e sicurezza necessarie – sembra congruo con il percorso già avviato. Ulteriori deroghe non sono coerenti con le normative richiamate, esponendo la regione Marche al rischio di risultare inadempiente all'obbligo di erogare i Lea in condizioni di sicurezza.
  Inoltre, al fine di garantire l'assistenza delle madre e dei neonati a rischio, con specifici provvedimenti regionali e aziendali, è stato attivato lo Stam (sistema di trasferimento sanitario della madre) per la centralizzazione delle donne, in procinto di partorire, con problematiche richiedenti un 2o livello assistenziale. In questo modo eventuali gravidanze con gravi prematurità (< alla 31 settimana), o con patologie congenite importanti, vengono centralizzate al presidio Salesi dove e presente l'unica neonatologia di 2o livello, una terapia intensiva (dipartimento d'emergenza e accettazione di 2o livello) e la possibilità di effettuare interventi chirurgici (cardiologici, neurologici e di chirurgia generale) che si rendono necessari nell'immediato post nascita.
  Va anche detto che insieme allo Stam è attivo lo Sten (trasporto neonatale), che si attiva in caso di neonato con gravi patologie congenite o insorte alla nascita per le quali si rende necessario un ricovero nella neonatologia di 2o livello. L’équipe dell'ospedale Salesi (medico e infermiere) si reca al punto di nascita interessato, per stabilizzare il neonato e trasferirlo al medesimo ospedale. Quando le condizioni lo permettono, la stessa équipe lo riconduce al punto nascita. Con queste modalità vengono garantite le urgenze emergenze legate al momento della nascita.
  Per quanto riguarda il punto nascita di Fabriano e di Osimo ci sono stati nel corso del 2015 rispettivamente n. 390 e n. 561; tali punti nascita rappresentano le sedi con minor numero di parti nel panorama regionale, insieme con l'ospedale di San Severino, dove nel corso del 2015, si sono registrati n. 537 parti, in diminuzione rispetto al valore del 2014 (n. 565) ma con il 45 per cento di parti cesarei: la media di parti oscilla tra i 7 e i 10 parti alla settimana, circa tra 1 ed 1,5 al giorno. Considerata la presenza di medici nei vari turni, si può dire che ogni medico assiste a circa un parto alla settimana e questo spiegherebbe il ricorso al parto cesareo e in ogni caso si traduce in una qualità assistenziale a rischio per le donne ed il nascituro.
  Peraltro, la mancanza di una guardia pediatrica in tutti e tre i nosocomi al momento del parto impedisce un intervento immediato per qualsiasi ipotetica complicanza che si possa verificare al momento o subito dopo il parto. È appena il caso di rammentare, che le ipossie perinatali rappresentano una delle più gravi cause di disabilità nel bambino con conseguenti socio sanitarie per la famiglia e la società non valutabili.
  Inoltre, per quanto attiene al punto nascita di Osimo e di San Severino, si precisa che gli stessi sono allo stato operativi, in considerazione della pendenza di un giudizio amministrativo, in caso di rigetto delle istanze di sospensione dell'efficacia esecutiva dei provvedimenti impugnati, i suddetti punti nascita saranno chiusi.
  Alla luce di quanto sopra esposto, la chiusura dei punti nascita, partendo da quelli meno produttivi, quindi da subito Fabriano che non raggiunge neanche la soglia dei 500 parti anno e di seguito delle altre strutture con bassa numerosità di parti, porterà all'aumento volumetrico degli altri con raggiungimento degli standard di qualità che norme di accreditamento e società scientifiche dispongono.
  Per quanto attiene ai due punti nascita con parti ancora superiori ai 500/anno i tempi di percorrenza verso gli ospedali di riferimento sono inferiori ai 60 minuti.
  Inoltre, nelle situazioni particolarmente avverse la regione mette a disposizione i mezzi di soccorso straordinari mediante il Gores (Gruppo operativo regionale emergenze sanitarie) che in collaborazione tra sanità e protezione civile garantisce la salute di tutti i cittadini presenti sul territorio regionale.
  Per quanto attiene gli incidenti stradali sono ovviamente imprevedibili ed i mezzi di soccorso presenti sul territorio vengono attivati a seconda delle esigenze mettendo a disposizione tutte le risorse del 118 regionale compreso il servizio di elisoccorso.
  Si rappresenta che nella regione Marche sono presenti 2 elicotteri uno con sede base Fabriano e l'altro Ancona ed è attiva una convenzione regionale con il soccorso alpino.
  Da ultimo, la regione ha osservato che l'entrata in vigore dal 25 novembre 2015 della normativa europea sull'orario di lavoro, con l'obbligo non più eludibile, di garantire ai lavoratori (medici e personale del comparto) pause di riposo sufficienti tra un turno e l'altro e il divieto di superare un orario settimanale di 48 ore, rende di fatto oggettivamente impossibile mantenere l'attuale diffusione dei punti nascita per la mancanza di medici specialisti (ginecologi, anestesisti, pediatri) necessari a garantire la presenza h24.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteVito De Filippo.


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a far data dal 30 giugno 2014, a norma del decreto-legge n. 179 del 2012, articolo 16-bis, convertito dalla legge n. 221 del 2012 e successivamente modificato dal decreto-legge n. 90 del 2014, articolo 44, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite e degli altri soggetti esterni, nei giudizi di competenza del tribunale, ha luogo in formato telematico con modalità informatiche (tanto è applicabile anche al deposito dei ricorsi per decreto ingiuntivo);
   tali norme, dopo alcuni mesi di sperimentazione, hanno dimostrato di incidere profondamente e negativamente sul piano organizzativo nelle attività dei cancellieri, avvocati, magistrati nonché ausiliari esterni;
   inizia ad instradarsi la convinzione che il processo civile telematico rallenti smodatamente i tempi della giustizia in quanto rende più laborioso il lavoro del magistrato che, considerate le modestissime e scarne dotazioni informatiche, è obbligato ad una estenuante ricerca degli atti processuali e ad una faticosa lettura degli stessi;
   i magistrati hanno reiteratamente palesato difficoltà e perplessità riguardo alla consultazione e analisi degli atti endoprocessuali e relativi allegati depositati in formato telematico;
   tali difficoltà, giova ribadirlo, scaturiscono dalla necessità di visionare la documentazione esclusivamente tramite monitor e senza l'indispensabile e insostituibile supporto cartaceo;
   per far fronte a tali criticità, in gran parte dei tribunali si è andata diffondendo la prassi, peraltro fortemente voluta e caldeggiata dai magistrati, di invitare gli avvocati a depositare sistematicamente le cosiddette «copie di cortesia» degli atti endoprocessuali e relativi allegati trasmessi telematicamente;
   perciò, nonostante l'introduzione del processo civile telematico, i magistrati continuano ad evitare di visionare gli atti processuali inviati telematicamente preferendo studiare le cause sulle anzidette «copie di cortesia»; diversamente, si troverebbero a stampare migliaia di atti e allegati, operazioni che, tra l'altro, le cancellerie non sarebbero in grado di fronteggiare;
   l'invalsa e inusitata prassi, se indubbiamente da un canto agevola il lavoro delle cancellerie e dei magistrati, dall'altro costituisce senz'altro motivo di ulteriore aggravamento dell'attività dell'avvocato costretto, in buona sostanza, a sostituirsi al cancelliere e, soprattutto, a raddoppiare i depositi (prima telematico, poi cartaceo);
   autorevoli esponenti informatici hanno osservato come le infrastrutture siano obsolete e le procedure eccessivamente complesse e non allineate con la normativa in materia di digitalizzazione; chi ha elaborato il processo civile telematico ha tenuto conto, ad avviso dell'interrogante, esclusivamente degli interessi del Ministero e degli uffici giudiziari senza preoccuparsi degli utenti; è assente una linea unica ed univoca nei vari uffici giudiziari per la formazione e la trasmissione degli atti; gli operatori non sono stati adeguatamente preparati; gli avvocati si sono dovuti sobbarcare gli oneri economici dell'innovazione; allo stato non esistono infrastrutture adeguate; quotidianamente si verificano disservizi e disguidi tecnici che rallentano considerevolmente l'attività giudiziaria e vanificano il diritto di poter inviare l'atto processuale nell'ultimo giorno utile;
   nel corso di questi primi mesi di applicazione del processo civile telematico sono emerse ulteriori criticità legate ad una non chiara ed univoca disciplina delle cosiddette anomalie di deposito che espongono gli avvocati e, conseguentemente, i cittadini (utenti finali del servizio giustizia) alla rischiosa possibilità di incappare nelle dannose conseguenze della decadenza dei termini di deposito in ipotesi di malfunzionamento del sistema o comunque di guasti e blocchi informatici non imputabili ai professionisti legali;
   preoccupa oltremodo la nascente diffusione dei filoni giurisprudenziali relativi alle improcedibilità e inammissibilità delle domande causate dall'utilizzo irregolare ed improprio del processo civile telematico (frequentemente dovuto alla complessità e astrusità dei programmi) con conseguente e inevitabile accollo di pesanti responsabilità professionali per gli avvocati;
   non ultimo, tantissimi processi rischiano di essere definiti sulla base di allegati artatamente manipolati (da avvocati e parti scorrette) le cui falsità non potranno essere mai riscontrabili nei monitor; tra l'altro, il magistrato potrebbe rifiutarsi di ordinare l'esibizione degli originali quando il difensore richiedente sia oggettivamente impossibilitato ad argomentare il minimo sospetto; le decisioni fondate su realtà documentali inesistenti e artefatte trascinerebbero la giustizia in un vorticoso e inesorabile declino;
   l'introduzione del doppio binario (cartaceo e telematico) restituirebbe agli avvocati la libertà di scegliere tra i due sistemi senza costringerli a subire le molteplici criticità che il processo civile telematico presenta e, soprattutto, eviterebbe di esporli al rischio di nuove irregolare decadenze, inammissibilità e improcedibilità che già cominciano ad essere elaborate dai primi indirizzi giurisprudenziali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle gravose problematiche dianzi rassegnate e se stia valutando l'ipotesi di assumere iniziative per reintrodurre, per un ulteriore e congruo lasso temporale predeterminato, a possibilità, per gli avvocati, di depositare gli atti facoltativamente in, formato cartaceo o telematico quantomeno fino a quando il sistema non verrà uniformato, semplificato e reso maggiormente fruibile e funzionale. (4-09156)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in oggetto, l'interrogante lamenta criticità, sotto diversi profili, nella concreta gestione del processo civile telematico.
  L'interrogante asserisce che le norme sul processo civile telematico dimostrerebbero di «incidere profondamente e negativamente sul piano organizzativo nelle attività dei cancellieri, avvocati, magistrati nonché ausiliari esterni», e che, per far fronte ad alcune criticità del sistema, «in gran parte dei tribunali si è andata diffondendo la prassi (...) di invitare gli avvocati a depositare sistematicamente le cosiddette copie di cortesia degli atti endoprocessuali e relativi allegati trasmessi telematicamente».
  Chiede, pertanto, se il Ministro intenda reintrodurre la facoltà, per gli avvocati, di depositare gli atti in formato cartaceo o telematico «quantomeno fino a quando il sistema non verrà uniformato, semplificato e reso maggiormente fruibile e funzionale».
  L'assunto dell'interrogante secondo cui le norme sul Pct inciderebbero negativamente sul piano organizzativo appare smentita dai dati consolidati, che evidenziano un grado di adesione dei magistrati al nuovo modello in continua crescita, ben oltre le ipotesi di obbligatorietà, con conseguente, significativa, contrazione dei tempi di definizione dei procedimenti.
  Ed invero, diversamente da quanto prospettato dall'interrogante, risulta come nell'ultimo anno – febbraio 2015 – gennaio 2016 – i magistrati abbiano depositato con modalità telematica ben 2.718.520 atti, di cui solo l'11 per cento (pari a 411.052) depositi obbligatori (decreti ingiuntivi). Il 30 per cento dei depositi complessivi è, poi, riconducibile a verbali di udienza, mentre il 7 per cento è rappresentato da sentenze.
  Nel solo mese di gennaio 2016, in particolare, sono stati depositati 300.260 provvedimenti digitali da parte di magistrati, con incremento del 109 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, quando vigeva il medesimo regime di obbligatorietà del deposito telematico dei decreti ingiuntivi e di facoltatività per tutto il resto.
  Ed anche questo dato è significativo del progressivo ampliamento della platea dei magistrati che ne stanno apprezzando ed affinando le potenzialità.
  I risultati evidenziati, dunque, manifestano non solo quanto sia elevato l'indice di adesione spontanea al Pct da parte dei magistrati, ma sottolineano, altresì, l'avvio di un percorso virtuoso, destinato ad incidere sulla durata del procedimento e sulla ridefinizione dei ruoli delle parti processuali e del personale: l'atto digitale del giudice è, difatti, immediatamente disponibile nel fascicolo telematico, esonerando il cancelliere da attività di scansione ed evitando, peraltro, accessi in cancelleria da parte degli avvocati per ricevere copia degli atti, nei casi in cui non sia stato possibile eseguirne la scansione.
  Anche il dato relativo ai pagamenti telematici è significativo: si è infatti avuto in un solo anno un incremento del 105 per cento, nonostante, al momento, non viga un regime di obbligatorietà della strumento telematico per i pagamenti, e che testimonia quindi di una crescente fidelizzazione dell'avvocatura per i servizi del processo telematico.
  Tale incremento appare da ricollegare, senz'altro, alla generalizzazione della facoltà del deposito telematico degli atti introduttivi, introdotta a decorrere dal 30 giugno 2015. La contestuale disponibilità di un unico canale telematico per il deposito degli atti introduttivi e per il pagamento del contributo unificato consente, infatti, alla parte di introdurre il giudizio senza necessità di alcuno spostamento fisico.
  Si consegue, in tal modo, uno sgravio di lavoro per gli uffici di cancelleria, oltre che una significativa agevolazione per le parti del giudizio.
  E tale modalità concorre ad incrementare, altresì, il deposito degli atti introduttivi, così limitando la formazione di fascicoli ibridi, composti sia di atti cartacei che telematici, con indubbi vantaggi per il giudice che non è costretto a subire gli inconvenienti del così detto doppio binario, e per le cancellerie, che vengono ad essere esonerate dalle attività di scansione degli atti depositati su supporto cartaceo.
  Una generale liberazione di risorse umane che produce, pertanto, effetti positivi in termini di miglioramento dei percorsi lavorativi.
  L'avvio del Pct ha già fatto registrare incrementi significativi anche nei tempi di definizione dei procedimenti.
  Dal campione analizzato risulta, difatti, una riduzione media del 21 per cento nei tempi di emissione dei decreti ingiuntivi. Basti pensare che a Roma, nell'ottobre 2015, il decreto ingiuntivo è stato emesso – e reso disponibile alla parte che lo aveva richiesto – mediamente in circa 23 giorni dal deposito, con un abbattimento del 52 per cento rispetto al giugno dell'anno precedente, quando l'obbligo di deposito telematico non era ancora entrato in vigore.
  Il dato assume imponente rilievo al fine di testare la funzionalità e le potenzialità del processo civile telematico, poiché nel procedimento monitorio eventuali disfunzioni organizzative si manifestano in maniera più evidente in quanto la decisione del giudice è, solitamente, rapida e, pertanto, i tempi di emissione sono da ricondursi in maniera prevalente agli adempimenti delle cancellerie. Il procedimento per decreto ingiuntivo è, inoltre, allo stato l'unico rito integralmente telematico in quanto tutti gli atti – da quello introduttivo al decreto del giudice – sono obbligatoriamente depositati con modalità telematiche e non sono previste udienze.
  La sperimentata funzionalità di tale procedimento dimostra, pertanto, come proprio nei casi in cui il processo sia esclusivamente telematico vengono a realizzarsi autentici e tangibili risultati in termini di risparmio di tempo e di ottimizzazione delle risorse.
  Ne consegue che l'introduzione di un «doppio binario», cartaceo e telematico, per il deposito degli atti processuali da parte degli avvocati non sarebbe utile a risolvere le difficoltà che, inevitabilmente, un processo di innovazione, così rivoluzionario come quello introdotto dal Pct porta con sé.
  Le cancellerie non potrebbero, infatti, portare a termine il processo di riorganizzazione in atto in quanto costrette ad accettare e gestire nuovamente atti cartacei. Trattasi – come noto – di uffici già in sofferenza per la scarsità di risorse umane disponibili, e che gestirebbero con ulteriori difficoltà diverse modalità di deposito, che richiedono adempimenti tra loro diversi.
  Consentire il deposito cartaceo determinerebbe, pertanto, un inevitabile incremento dei tempi necessari per l'accettazione degli atti telematici, il che appare di per sé inaccettabile.
  E neppure gli avvocati sarebbero agevolati dalla prospettata introduzione di una doppia modalità di deposito: il difensore che volesse depositare un atto cartaceo dovrebbe, difatti, comunque sottoporsi ad inevitabili attese presso gli uffici di cancelleria, senza alcun vantaggio in termini di risparmio di tempo.
  Va, infine, evidenziato la così detta copia di cortesia ha costituito espressione dello spirito di legale collaborazione istituzionale, spesso inserita in Protocolli locali, con l'obiettivo di agevolare il processo innovativo introdotto con il Processo civile telematico.
  D'altro canto, per assicurare il corretto adempimento delle disposizioni normative a cura delle cancellerie, il Ministero della giustizia interviene con periodiche circolari esplicative e sul punto proprio con l'ultima circolare diramata dalla Direzione generale della giustizia civile il 23 ottobre 2015 è stato esplicato che le singole esigenze di consultazione cartacea del magistrato debbano essere soddisfatte dalla stampa cartacea a cura della cancelleria.
  Quanto, invece, alle risorse strumentali, il Ministero ha programmato l'adeguamento della strumentazione informatica alle nuove esigenze del Pct attraverso un piano di ammodernamento quinquennale, che prevede la distribuzione di nuove dotazioni ai magistrati ed al personale amministrativo.
  Oltre ad essere indispensabili per supportare l'aumentato flusso del sistema informativo della giustizia, le dotazioni, fornite e programmate, sono, altresì, necessarie per adeguare le sale server e l'intera infrastruttura hardware alle attuali politiche di sicurezza, ivi compreso il disaster recovery.
  Ed al fine di potenziare ulteriormente i sistemi software in uso presso gli uffici giudiziari è stata recentemente inaugurata una apposita control room presso la direzione generale dei sistemi informativi automatizzati, allo scopo di monitorare le sale server nazionali e distrettuali ed i servizi informatici, verificare i livelli di sicurezza e coordinare i servizi di assistenza.
  A sostegno della informatizzazione sono state, peraltro, destinate consistenti risorse.
  Negli interventi di revisione della spesa richiesti dalla legge di stabilità, difatti, non solo non si sono operati tagli di bilancio per l'informatica, ma al settore sono state destinate risorse complessive per l'anno 2015 in misura di oltre 147 milioni di euro.
  E ad una nuova concezione del lavoro giudiziario, che si deve esplicitare nell'utilizzare al meglio le risorse umane e tecnologiche disponibili, risponde la costituzione dell'ufficio per il processo che, già introdotto con il decreto-legge n. 90 del 2014, consentirà al giudice di avvalersi di un vero e proprio «staff», con la partecipazione diretta di quanti svolgono tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari, della magistratura onoraria e del personale di cancelleria.
  Si tratta di un nuovo modello organizzativo, che appare essenziale per conferire maggiore efficacia e qualità al complessivo servizio giustizia, come dimostrato dalle esperienze più mature di importanti uffici giudiziari.
  Al fine del completamento delle misure organizzative per l'ufficio per il processo sono state messe in campo una serie di iniziative di tipo normativo, organizzativo e di ricerca delle risorse e, per la prima volta, sono stati destinati specifici apporti finanziari, a cui si aggiungeranno risorse provenienti da fondi europei del Pon governance e capacità istituzionale.
  In una fase in cui il Ministero della giustizia sta investendo significativamente sul processo civile telematico e nell'informatizzazione del processo penale, le risorse assegnate all'ufficio per il processo potranno essere di ulteriore supporto e contribuire anche alla diffusione dell'innovazione tecnologica.
  Alla luce di quanto esposto e nonostante le inevitabili difficoltà che una innovazione tanto radicale necessariamente comporta nelle fasi di avvio, il Pct si sta rivelando preziosa occasione di miglioramento del servizio e di definizione di nuove modalità di lavoro.
  Con riferimento, infine, alle doglianze relative alle ripercussioni processuali di eventuali anomalie del sistema, si evidenzia – quanto alla regolarità delle procedure – che ogni attività realizzata dalla direzione generale in materia è stata posta al vaglio dell'Agid cosicché non appare possibile, allo stato, riscontrare irregolarità.
  Quanto, invece, alle conseguenze che possono derivare dai fermi del sistema, la medesima articolazione ministeriale sta sviluppando un sistema informativo e di monitoraggio dei malfunzionamenti e dei fermi tecnici, ed offre già, da tempo, supporto certificativo in ordine ad eventuali interruzioni al fine di consentire agli organi giurisdizionali ogni opportuna valutazione riguardo la eventuale compressione di diritti.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ROSTELLATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le problematiche relative alla situazione della C&C di Pernumia sono note al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del mare;
   diversi atti sono stati presentanti da altri deputati e anche dall'interrogante;
   la grave situazione in cui versano i cittadini delle aree adiacenti alla struttura ha spinto anche il Ministro Galletti a ispezionare la zona;
   dal quotidiano locale «il Mattino di Padova» si apprende che il Ministro ha visitato la zona il 27 gennaio 2015 e in quell'occasione aveva annunciato «che il Governo avrebbe convocato a giorni la Regione per un tavolo tecnico al fine di accelerare le operazioni di disinnesco della bomba ecologica di via Granze, possibilmente prima che il prossimo nubifragio faccia lievitare ancora il conto già salatissimo (si parla di 12 milioni di euro) degli interventi necessari»;
   da quella giornata sono passati ben cinque mesi, ma ancora nulla è stato possibile;
   l'interrogante occupandosi della questione, ha incontrato dapprima le associazioni che da anni si battono per la bonifica dell'area, poi il sindaco del comuni di Pernumia, e infine l'assessore Conte, l'allora assessore all'ambiente della regione Veneto;
   risulta all'interrogante che la regione Veneto, nella persona dell'ex assessore Conte, dapprima in data 26 gennaio, poi in data 20 aprile 2015 abbia fatto richiesta al Ministero per un incontro e per la fissazione di un tavolo tecnico, richiesta che l'interrogante ha appoggiato e sollecitato con e-mail del 28 aprile 2015;
   la volontà di bonificare l'area e mettere in sicurezza la zona è evidente da parte di tutti i soggetti interpellati, ma manca un piano ben preciso e strutturale tale da garantire la riuscita dell'intervento;
   nell'occasione della visita, come anticipato dal Ministro, l'ideale sarebbe convocare al più presto un tavolo tecnico con le parti preposte vale a dire Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e regione Veneto –:
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di mettere tra le priorità la situazione gravissima in cui verte la C&C e quindi convocare al più presto la regione al fine di dare una positiva soluzione alla vicenda. (4-09581)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente gli interventi di bonifica dell'area degli ex stabilimenti C.&C. di Pernumia (Padova), in base agli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  In merito alla richiesta da parte dell'interrogante, circa l'intenzione da parte di questo Ministero di convocare un tavolo tecnico al fine di affrontare e valutare il caso in oggetto e le eventuali future iniziative da intraprendere di concerto con le Amministrazioni coinvolte, si fa presente che in data 21 ottobre 2015 si è tenuto a Roma, alla presenza del sottosegretario all'ambiente Barbara Degani, un incontro istituzionale sulle problematiche inerenti gli «ex stabilimenti C.&C.» di Pernumia. Al suddetto incontro non era presente la regione Veneto, pur se invitata.
  Tanto premesso, la giunta regionale del Veneto, con proprio provvedimento deliberativo n. 3564 del 17 novembre 2009, ha inserito il sito degli «stabilimenti ex C.&C.» di Pernumia (Padova) nell'elenco dei siti da bonificare, definendolo, al contempo, di interesse regionale.
  Ciò ha consentito alla regione Veneto, con deliberazione n. 2406 del 30 dicembre 2011, di assegnare un contributo a fondo perduto di euro 500.000 a favore del comune di Pernumia e di euro 200.000 alla provincia di Padova per l'esecuzione degli interventi di indagine ambientale, caratterizzazione e messa in sicurezza dei capannoni di stoccaggio interessati dal deposito di rifiuti, una parte dei quali classificati come pericolosi data la presenza di idrocarburi.
  A fronte di un primo intervento di rimozione di circa 3.450 tonnellate di materiale depositato nell'area esterna, restano ancora all'interno dei capannoni circa 52.000 tonnellate di rifiuti.
  Per le attività di rimozione, la regione Veneto ha stanziato, con delibera della giunta regionale del 29 dicembre 2014, un finanziamento pari a euro 1.500.000.
  Gli interventi sono stati affidati, mediante apposita convenzione sottoscritta in data 26 marzo 2013, al consorzio obbligatorio «Bacino di Padova Tre», già titolare del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti comunali.
  Dalla documentazione finora acquisita agli atti di questa Amministrazione, risulta che gli interventi di messa in sicurezza del sito siano stati ultimati.
  Si fa presente, inoltre, che nel mese di novembre 2015 sono iniziate le operazioni di bonifica del capannone 1 all'interno degli «stabilimenti ex C.&C.» di Pernumia, come risulta, peraltro, dal sito web ufficiale delle operazioni di bonifica dello stabilimento in oggetto (www.bonificacec.it).
  Ad oggi non sono stimabili i costi di eventuali successivi interventi di bonifica in quanto si è in attesa degli esiti della caratterizzazione del sito, che potranno essere effettuati esclusivamente a seguito dell'avvenuta rimozione di tutti i rifiuti depositati.

  Si aggiunge, inoltre, che, in relazione al monitoraggio della qualità dell'aria, in data 7 maggio 2014 Arpa Veneto è stata incaricata di verificare l'impatto sull'ambiente e sulla popolazione degli interventi previsti per l'area in questione.
  La prima fase del monitoraggio (settembre-ottobre 2014) non ha evidenziato particolari problematiche per la qualità dell'aria se non quelle già note e comuni a gran parte del territorio della regione Veneto, spesso soggetta a varie fonti inquinanti individuabili nelle polveri PM10 e nel benzo(a)pirene.
  Una seconda fase di monitoraggio è stata programmata in concomitanza con l'inizio delle attività di messa in sicurezza del sito previste per il mese di settembre 2015. I risultati di tale recente indagine non risultano ancora pervenuti a questo Dicastero.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SGAMBATO, GIORGIO PICCOLO, BOSSA, GINOBLE, SCUVERA, SBROLLINI, VALIANTE, GIOVANNA SANNA, MAGORNO, ERMINI, SALVATORE PICCOLO, TINO IANNUZZI, PES, MANFREDI, FREGOLENT, MANZI, MARCHI, LACQUANITI, CARLONI, D'OTTAVIO, RAMPI, NARDUOLO, FEDI, GHIZZONI, ROSTAN, VERINI, PAOLA BOLDRINI, CAMANI, PILOZZI, ROCCHI e MURA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'università degli studi dell'Aquila con decreto rettorale n. 1044/2009 aveva reso noto che, si erano liberati quarantadue posti per gli anni di corso successivi al primo, per i corsi di laurea in odontoiatria per l'anno accademico 2009/2010;
   molti studenti quindi, dopo aver frequentato i primi anni del corso di laurea in medicina, farmacia e medicina dentaria – specializzazione medicina dentaria presso l'università dell'Ovest «(...)» di Arad (Romania), chiedevano l'iscrizione agli anni di corso successivi al primo presso l'università degli studi dell'Aquila;
   conseguentemente ottennero il trasferimento all'università dell'Aquila, e vennero regolarmente immatricolati cominciando a svolgere tutte le attività didattiche;
   il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca il 26 ottobre 2009 con una nota, rilevava che la procedura delineata dall'università degli studi dell'Aquila per l'ammissione agli anni di corso successivi al primo di studenti già iscritti e frequentanti università di altri Paesi dell'Unione europea si ponesse in contrasto con le previsioni di cui alla legge 2 agosto 1999, n. 264 («Norme in materia di accessi ai corsi universitari»);
   pertanto, con un provvedimento del 6 novembre 2009 il rettore dell'università degli studi dell'Aquila, ritenuto doveroso accogliere l'invito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, disponeva l'annullamento dei decreti di immatricolazione adottati alcuni mesi prima e quindi l'iscrizione di tutti gli studenti proveniente da Università di Paesi comunitari ai quali in precedenza aveva accordato l'iscrizione;
   certamente questa scelta ha determinato gravi effetti sulla situazione degli studenti che si erano avvalsi di tale possibilità;
   tutti gli studenti interessati dal provvedimento di cancellazione ne hanno poi chiesto l'annullamento: taluni con ricorso giurisdizionale al Tar del Lazio, taluni altri con ricorso al Tar dell'Abruzzo, altri ancora con ricorso straordinario al Capo dello Stato;
   in molti casi i tribunali amministrativi hanno accolto tali domande, il che ha permesso agli studenti – che erano stati «matricolati» dall'università italiana – di proseguire negli studi;
   il Ministero dell'università, dell'istruzione e della ricerca e l'università dell'Aquila hanno proposto sempre appello avverso le varie sentenze rese dai Tar del Lazio e dell'Abruzzo;
   il Consiglio di Stato, in alcuni ricorsi, ha già accolto le tesi sostenute dalle amministrazioni appellanti: in alcuni casi si è già pronunciato nel merito, in altri si è pronunciato sulle istanze cautelari; per i destinatari delle sentenze e delle ordinanze del Consiglio di Stato, la situazione allo stato è questa: di avere svolto un percorso di studi privo di base giuridica e di non poterlo quindi proseguire perché l'università impedisce ai ragazzi di sostenere gli esami;
   altri vincitori in primo grado, ma destinatari di atto di appello privo dell'istanza di sospensione della sentenza, sono invece nella situazione di potere proseguire gli studi, ma sotto la spada di Damocle del pronunciamento del Consiglio di Stato che potrebbe vanificare tutti i loro sforzi, annullando il loro percorso di studi;
   gli studenti che, a suo tempo, invece di proporre ricorso al Tar, hanno proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, vincendolo, sono in una posizione inattaccabile, tenuto conto che tali provvedimenti – com’è noto – hanno carattere definitivo;
   la questione è stata oggetto già di attenzione del Parlamento con l'interrogazione Bossa (n. 5-00695);
   recentemente, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di pronunciarsi in tema di trasferimenti dall'estero e con la sentenza n. 1 del 2015 ha statuito come il superamento del test selettivo non debba essere considerato come elemento discriminante ai fini dell'accoglimento delle domande di trasferimento ad anni successivi al primo;
   la sentenza pare, quindi, abbia chiuso un'annosa vicenda e ha dettato un principio che sempre abbia posto fine ai contrasti che si sono succeduti nel tempo;
   il predetto giudicato lascia comunque ampi margini di discrezionalità alle amministrazioni interessate in quanto rimette alla potestà regolamentare dei singoli atenei la fissazione dei criteri di accoglimento e graduazione delle domande –:
   con quali iniziative di propria competenza intenda intervenire in considerazione della sentenza citata in premessa al fine di evitare per il futuro il ripetersi di queste situazioni inammissibili e intollerabili, assicurando parità di trattamento a tutti gli studenti. (4-09292)

  Risposta. – In merito alla questione rappresentata dall'interrogante si evidenzia che la posizione assunta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stata, da sempre, ispirata ad una duplice finalità:
   il rispetto del numero programmato nazionale per l'accesso ai corsi di studio;
   evitare che comportamenti opportunistici di singoli determinassero una elusione delle procedure di selezione per l'accesso ai corsi di studio.

  Del resto, la sentenza dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2015 ha affermato che non è sufficiente ritenere l'esito favorevole di alcuni esami sostenuti all'estero assorbente del mancato possesso del requisito del superamento del test. Test di cui può, peraltro, essere destinatario lo studente diplomato di scuola secondaria superiore, che è dunque un «novizio» rispetto all'istituzione universitaria e che richiede di entrare per la prima volta nel sistema universitario.
  Infatti, per coloro che sono già iscritti ad università straniere non si tratta più di accertare, attraverso il test, una «predisposizione» per le discipline oggetto dei corsi ma di verificare l'impegno complessivo di apprendimento dimostrato dallo studente con l'acquisizione dei crediti corrispondenti alle attività formative compiute. In questa attività ricognitiva, il Consiglio di Stato ha ribadito che si può dispiegare legittimamente la sola autonomia regolamentare degli Atenei che possono anche condizionare l'iscrizione/trasferimento al superamento di una «prova di verifica del percorso già compiuto».
  Quindi, nella loro autonomia regolamentare, gli atenei devono predisporre ed attuare un rigido e serio controllo sul percorso formativo compiuto dallo studente, con specifico riferimento:
   alle peculiarità del corso di laurea, agli esami sostenuti;
   agli studi teorici compiuti;
   alle esperienze pratiche acquisite;
   all'idoneità delle strutture e delle strumentazioni necessarie utilizzate dallo studente durante quel percorso, in confronto agli standards dell'università di destinazione.

  Inoltre, proprio a tutela della qualità dell'offerta formativa, l'ateneo deve stabilire le modalità di valutazione dell'offerta potenziale dell'università ai fini della determinazione, per ogni anno accademico ed in relazione ai singoli anni di corso, dei posti disponibili per trasferimenti, sulla base del rispetto imprescindibile della ripartizione di posti effettuata dal Ministero negli anni precedenti per ogni singola «coorte» alla quale lo studente trasferito dovrebbe essere aggregato e delle intervenute disponibilità di posti sul plafond di ciascuna «coorte»: nell'ambito delle disponibilità per trasferimenti stabilisce le modalità di graduazione delle domande; fissa criteri e modalità per il riconoscimento dei crediti, anche prevedendo colloqui per la verifica delle conoscenze effettivamente possedute.
  Sempre nell'ambito della propria autonomia regolamentare, l'ateneo determina anche i criteri con i quali i crediti riconosciuti si tradurranno nell'iscrizione ad un determinato anno di corso, sulla base del rispetto dei requisiti previsti dall'ordinamento didattico della singola università per la generalità degli studenti, ai fini dell'iscrizione ad anni successivi al primo, con particolare riguardo all'eventuale iscrizione come «ripetenti» o all'ipotesi in cui lo studente abbia superato un numero di esami tale da non potersi ritenere idoneo che alla sua iscrizione al solo primo anno. Ai fini della quale iscrizione, peraltro, sarà obbligato a superare il test di cui all'articolo 4 della legge n. 264 del 1999.
  Alla luce di siffatto impianto regolamentare complessivo, i singoli atenei dispongono degli strumenti necessari per garantire la propria qualità della formazione, attraverso l'adozione l'attuazione di ordinamenti e regolamenti didattici che recepiscano i parametri sopra richiamati.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   VENTRICELLI, GIUDITTA PINI, CULOTTA, MARCHI, PORTA, CHAOUKI, VALERIA VALENTE, MAZZOLI, COCCIA, D'OTTAVIO, CAMANI, BARGERO, GIOVANNA SANNA, PARIS, MOSCATT, MINNUCCI, D'ARIENZO, BOCCUZZI, MISIANI, ROSSOMANDO, GRIBAUDO, MASSA, RIBAUDO e GIULIANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è cronaca recente, riportata in questi giorni dai maggiori quotidiani nazionali, il grave fatto che ha visto protagonista una donna di Genova che non avrà diritto a un indennizzo e nemmeno a un assegno di mantenimento dal marito che l'avrebbe picchiata per 24 anni. Secondo i giudici, l'ormai ex moglie ha sopportato troppo a lungo le violenze dando luogo al sospetto che ci fosse una sorta di passiva rassegnazione;
   secondo la sentenza, riportata dal quotidiano La Stampa: «Per un quarto di secolo ha subito percosse e violenze, ha visto un figlio finire in galera e una figlia portata via dai servizi sociali perché non poteva crescere con un padre così. Ha sopportato: per debolezza, per paura, perché non aveva scelta. Ma alla fine se ne è andata via: ha chiesto la separazione e ha chiesto che ciascuno fosse considerato responsabile delle sue colpe. Lei, di aver tollerato (forse) troppo a lungo. Lui, di averla spedita un'infinità di volte al pronto soccorso»; e, ancora, sempre a quanto riportato «non esiste un rapporto di causa evidente tra le ripetute violenze subite nel corso degli anni e la rottura del matrimonio, avendo peraltro essa stessa ammesso che tali condotte sono iniziate nell'anno 1991, subito dopo la celebrazione del matrimonio», scrivono i giudici. E aggiungono: «La signora ha dunque di fatto tollerato tali condotte»;
   la violenza contro le donne resta una delle forme più gravi di violazione strutturale dei diritti umani a livello mondiale, ed è un fenomeno che coinvolge vittime e aggressori di ogni età, livello d'istruzione, reddito e posizione sociale, e che costituisce sia una conseguenza che una causa della disuguaglianza tra donne e uomini;
   il Governo è fortemente impegnato, su impulso costante del Parlamento, a dotare forze dell'ordine, inquirenti, strutture di assistenza di tutte le risorse e gli strumenti necessari a combattere la violenza contro le donne e ad assistere le vittime di tali odiosi crimini –:
   se il Ministro non intenda valutare se sussistano i presupposti per avvalersi dei propri poteri ispettivi nei confronti degli uffici giudiziari interessati;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per rafforzare l'importante lavoro in atto per contrastare il fenomeno della violenza nei confronti delle donne;
   se il Ministro intenda intraprendere iniziative di sensibilizzazione culturale nei confronti degli operatori del settore miranti a creare una maggiore comprensione della gravità di fenomeni come la violenza contro le donne, lo stalking, il femminicidio. (4-11210)

  Risposta. – I gravissimi episodi ripercorsi nell'atto di sindacato ispettivo ripropongono il tema della violenza contro le donne e degli atti di persecuzione, che spesso si radicano nella incapacità di accettazione dell'epilogo di rapporti sentimentali logorati proprio dall'esercizio di forme di assoggettamento e maltrattamento. I caratteri, psicologicamente compositi, di queste forme di aggressione rendono estremamente problematica la materia sotto il profilo della prevenzione e della repressione.
  Proprio la consapevolezza di dover fronteggiare un fenomeno dai contorni incerti e dai caratteri insidiosi ha condotto alla progressiva adozione di una legislazione avanzata, sia sotto il profilo penale che sotto quello processuale.
  Né sarebbe potuto essere diversamente, considerato che, secondo una ricerca del dipartimento pari opportunità e dell'istituto nazionale di statistica, pubblicata il 5 giugno e relativa al quinquennio 2009-2014, il 31,5 per cento, delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. Si tratta di circa 6 milioni e 788 mila persone, ossia di una donna su tre. È un dato certamente impressionante ma meno grave di quello registrato nel quinquennio precedente, quando la percentuale delle donne maltrattate era di due punti superiore. L'ampiezza e la serietà del problema hanno imposto lo studio e l'adozione di strategie efficaci, rivolte alla prevenzione ed al contrasto del fenomeno in parola.
  Il codice penale già contempla numerose fattispecie di reato volte a reprimere in modo incisivo gli atti di violenza nei confronti delle donne e, più in generale, dei soggetti deboli, attraverso i delitti di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale, nonché mediante le aggravanti previste per l'omicidio commesso in ambito familiare o nascente da atti persecutori.
  Anche la fattispecie nota come «femminicidio», pur non assumendo autonoma configurazione normativa, si riferisce ad una specifica forma di omicidio volontario, punita con la pena dell'ergastolo, laddove ricorrano le aggravanti della relazione familiare o della qualità della persona offesa.
  Ma la vera svolta nel rafforzamento della tutela è avvenuta con l'introduzione del reato di «atti persecutori» (cosiddetti stalking), che ha consentito di affrontare un fenomeno che, negli ultimi anni, ha manifestato una sempre più drammatica incidenza nel tessuto sociale.
  Per tale fattispecie sono state previste le pene più severe tra quelle stabilite per i delitti contro la libertà morale: il limite massimo della pena è stato, difatti, innalzato al preciso scopo di «allineare» la pena edittale alle condizioni di ammissibilità per l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere. Inoltre, per rispondere all'esigenza di colpire la violenza sulle donne nei contesti familiari, la pena è stata aumentata nei casi in cui lo stalker sia il coniuge legalmente separato (o divorziato) o sia stato legato da una relazione affettiva con la vittima. Un ulteriore aumento di pena è stato fissato per i casi in cui il fatto sia commesso in danno delle cosiddette fasce deboli (i minori, le donne in stato di gravidanza, le persone disabili) o con armi.
  Nella prospettiva di affinare ulteriormente il sistema di tutela, già nel 2013, dopo soli quattro anni dall'entrata in vigore della nuova fattispecie di reato, sono state introdotte misure di prevenzione finalizzate all'anticipazione della tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica ed è stato ulteriormente inasprito il trattamento punitivo. Inoltre, sono stati equiparati i fatti commessi in costanza di rapporto a quelli consumati successivamente al loro scioglimento, prevedendo aumenti di pena se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, ovvero da persona legata, anche in passato, da relazione affettiva, a prescindere da uno stato di convivenza.
  Si è poi aggiunta una ulteriore fattispecie aggravante per il caso in cui gli atti persecutori vengano commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
  Per potenziare nel massimo grado la tutela delle vittime di violenza nelle relazioni familiari, si è intervenuti anche sul versante processuale, attraverso l'introduzione di specifici provvedimenti cautelari, quali l'ordine di allontanamento dalla casa familiare – che consente l'adozione di modalità di controllo con strumenti elettronici – e, in sede civile, l'ordine di protezione contro gli abusi familiari. Tali incisive forme di protezione sono stati poi ulteriormente rafforzate con l'introduzione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (articolo 282-ter del codice di procedura penale) e degli obblighi di comunicazione di tali provvedimenti all'autorità di pubblica sicurezza, alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio.
  È stata resa obbligatoria l'informazione alla persona offesa della possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato, anche in deroga ai limiti ordinari fissati; gli atti persecutori sono stati inseriti tra i reati per i quali sono consentite le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni; è stato attribuito alla polizia giudiziaria il potere di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di maltrattamenti e di atti persecutori; sono state ampliate le ipotesi in cui si può ricorrere alla misura coercitiva dell'allontanamento dalla casa familiare (lesioni personali volontarie e minaccia grave); è stato stabilito che i provvedimenti relativi alle misure cautelari (dell'allontanamento dalla casa familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, del divieto e obbligo di dimora, degli arresti domiciliari, della custodia cautelare in carcere, della custodia cautelare in luogo di cura), debbano essere immediatamente comunicati al difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa stessa ed ai servizi socio-assistenziali del territorio; è stato previsto che la richiesta di revoca o di sostituzione dei provvedimenti restrittivi vada, a pena di inammissibilità, contestualmente notificata, a cura del richiedente (indagato/imputato o pubblico ministero), al difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa per consentirle di predisporre eventuali cautele; è stata trasformata da facoltativa in obbligatoria l'adozione da parte del questore dei provvedimenti in materia di armi successivamente all'emanazione del provvedimento, che in precedenza era rimessa ad una mera valutazione discrezionale.
  In tale quadro è importante sottolineare che anche le modifiche normative più recenti, introdotte da questo Governo, hanno tenuto conto della specificità e della rilevanza dei reati in esame, proseguendo nella direzione già delineata dagli interventi sopra richiamati.
  Infatti la nuova disciplina in tema di misure cautelari, che non consente l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere quando il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni, non si applica ai delitti di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori. Allo stesso modo, la recentissima norma che ha introdotto con fini deflattivi una causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto non è applicabile al delitto di atti persecutori, il quale, seppur punito con una pena edittale massima rientrante nella previsione normativa, è comunque caratterizzato dalla reiterazione di condotte moleste ed aggressive e dalla causazione alla persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, che fuoriescono dal contenuto della nuova disposizione.
  Sono state introdotte anche previsioni «acceleratorie», mirate specificamente a velocizzare i processi per i reati in esame. Si prevede, infatti, che la proroga per giusta causa del termine di durata delle indagini preliminari possa essere richiesta una sola volta e si è provveduto a definire i criteri di priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, attribuendo canale preferenziale al delitto di maltrattamenti, ai delitti contro la libertà sessuale e al delitto di atti persecutori.
  È stata anche attentamente valutata la questione relativa alla procedibilità del reato, che è stata congegnata in moda da ridurre i rischi cui poteva essere esposta la vittima del reato, che spesso si traducono in ulteriori minacce e violenze finalizzate ad ottenere il ritiro della querela. Si è disposto, difatti, che la remissione della querela possa essere soltanto processuale e che la querela sia irrevocabile quando gli atti persecutori siano stati compiuti attraverso la reiterazione di minacce gravi.
  Infine, ad ulteriore dimostrazione di un sistema giuridico che dispone di una tutela avanzata in materia di violenza nei confronti delle donne, va dato atto del piano d'azione straordinario che è stato realizzato, in stretta sinergia tra tutti i soggetti a vario titolo coinvolti.
  Tali misure si articolano in una rete informativa in ordine ai centri antiviolenza tra forze dell'ordine, presidi sanitari ed istituzioni pubbliche; l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento delle pari opportunità – di un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori per un servizio di pronta e prima assistenza psicologica e giuridica; l'istituzione presso l'arma dei carabinieri di una apposita sezione con competenze specifiche; la creazione di fondi di solidarietà a livello territoriale e di sportelli di tutela.
  Anche sul versante internazionale il tema in oggetto ha ricevuto massima attenzione.
  Infatti la convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, già ratificata con legge 27 giugno 2013, n. 77, aperta alla firma degli Stati (sia di quelli membri del Consiglio d'Europa che degli stati terzi) a Istanbul l'11 maggio 2011, è già entrata in vigore sul piano internazionale ed è stata ratificata da numerosi paesi.
  La convenzione intende assicurare che gli Stati parte adottino livelli avanzati (e comuni) di prevenzione e contrasto della violenza contro le donne, di protezione delle vittime e di punizione dei responsabili.
  Oltre a definire le diverse forme di violenza, la convenzione prevede altresì che gli Stati dispongano di un adeguato sistema di prevenzione, protezione e sostegno delle vittime e di punizione degli autori delle violazioni e fissa una serie di impegni, di natura politica e sociale, che consistono in strategie integrate per il contrasto e l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica.
  L'ordinamento italiano, letto alla luce dei principi enunciati nella convenzione, si colloca, nella comunità internazionale, tra quelli che già assicurano un elevato grado di conformità alla convenzione stessa, anche sotto il profilo della tutela penale.
  La consapevolezza che la civiltà di un Paese si misura sulla capacità del sistema di tutelare i soggetti più deboli ha ispirato ulteriori e recenti iniziative normative del Governo, attraverso le quali si è inteso delineare un vero e proprio statuto delle persone vulnerabili.
  Sono state, inoltre, adottate azioni specificamente volte ad incoraggiare le vittime vulnerabili e, soprattutto, le donne, a denunciare i reati consumati in loro danno. In particolare, merita di essere ricordata l'adozione generalizzata del progetto codice rosa bianca che – già in corso di sperimentazione con il patrocinio dai Ministeri della giustizia e della salute e con la cooperazione istituzionale tra Asl, forze di polizia e procure della Repubblica – intende assicurare un accesso privilegiato alle cure sanitarie di quanti abbiano subito maltrattamenti ed abusi.
  Al fine di delineare un vero e proprio sistema di garanzie attraverso una disciplina generalizzata per la protezione, l'assistenza e la tutela di ogni persona offesa dal reato, nel Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2015 è stata approvato anche un disegno di legge che intende apprestare un adeguato apparato difensivo per tutte le vittime di reato, soprattutto le più vulnerabili, nella consapevolezza non solo di un doveroso adeguamento agli standard europei, ma, soprattutto, della necessità di assicurare posizione paritaria ai diritti di tutte le parti del processo.
  Il sistema di tutela troverà il suo perfezionamento attraverso l'istituzione di un fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime.
  Nel merito del tragico caso che ha dato origine all'atto di sindacato ispettivo, va rilevato come il Ministero non abbia, come noto, alcun potere di sindacato sull'esercizio della discrezionalità giurisdizionale, al di fuori delle ipotesi di violazione di legge e di abnormità. Il sindacato sul provvedimento giurisdizionale citato dagli organi di stampa e riportato nell'interrogazione, pertanto, esula dalle competenze del Ministero ma può essere censurato ricorrendo gli ordinari mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento.
  Il Ministero presta la massima attenzione all'evoluzione del caso segnalato, riservandosi ogni opportuno approfondimento ove emergessero profili di propria competenza.
  Si coglie l'occasione di rilevare infine che proprio l'estrema importanza attribuita al tema da questo Ministro si è recentemente tradotta anche nella indicazione data alla scuola superiore della magistratura – che, peraltro, l'ha prontamente recepita – nelle linee guida per predisposizione del programma delle attività formative per l'anno 2016, affinché la materia del contrasto alla violenza di genere, la prevenzione del cosiddetto «femminicidio» e la protezione delle vittime siano inserite nel programma didattico rivolto ai magistrati, che quindi frequenteranno corsi di formazione e approfondimento su questi temi.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Pegognaga, in provincia di Mantova, i cittadini lamentano da alcuni anni molestie olfattive ascrivibili in particolare alle lavorazioni di bitume presso lo stabilimento Copernit spa, che produce guaine bituminose;
   nonostante il tentativo di risoluzione della problematica mediante filtro a carboni attivi applicato solo a settembre 2014 sulle prime due linee produttive, le emissioni moleste sono continuate in modo pressoché persistente sino a febbraio 2015, con reiterate proteste e segnalazioni dei cittadini che hanno infine portato a un'ordinanza del sindaco di interruzione dell'attività; ordinanza poi sospesa anche sulla base della disponibilità della ditta ad installare ulteriori filtri sulla terza linea produttiva, esistente da anni, e di cui non risulta nota la specifica autorizzazione. Le emissioni odorigene, pur se ridotte dal marzo del corrente anno, in coincidenza dell'installazione di rilevatori temporanei («Radielli»), vengono ancora percepite e sono tutt'ora causa di irritazione alle prime vie respiratorie;
   ciò premesso nella conferenza di servizi provinciale del 17 giugno 2015 (atto n. PD/1439), la provincia di Mantova ha autorizzato la quarta linea di produzione di guaine bituminose, con nuove sostanze in ingresso, nuove lavorazioni ascrivibili tra le attività insalubri di prima classe (vietate nell'area comunale dal piano di governo del territorio) e nuove emissioni di sostanze irritanti a bassa soglia olfattiva quali il naftalene e di sostanze sospette cancerogene quali il butadiene;
   nella relazione ARPA sopra-esposta (febbraio 2015), l'Ente indicava l'opportunità del rispetto del limite di 20 mg/Nm3 di COT previsto dalla normativa regionale in presenza di situazioni territoriali critiche quali «la prossimità dell'insediamento produttivo a zone residenziali». Diversamente da quanto previsto nel citato documento, la nuova autorizzazione provinciale indica come limite per i COT il valore di 50 mg/Nm3 per un impianto posto sopravento rispetto all'abitato. L'autorizzazione provinciale inoltre riporta i limiti emissivi prescritti dalla normativa che per gli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) non devono superare il valore di 0,01 mg/Nm3;
   mentre nell'allegato tecnico accluso all'atto provinciale e predisposto dalla ditta a marzo 2015, vengono viceversa indicati in alcuni punti emissivi valori degli IPA dieci volte superiori (0,1 mg/Nm3). L'autorizzazione non prevede da subito l'installazione di filtri a carboni attivi (subordinandoli a eventuali esuberi emissivi) e non prescrive l'adozione delle migliori tecniche disponibili tra cui specifici filtri atti a ridurre le emissioni nocive e non solo a neutralizzare gli odori;
   nel comune di Pegognaga, è altresì presente un impianto di combustione di grasso animale (UNITEA srl) che riceve materiale proveniente dalla provincia di Mantova e da quella di Reggio Emilia, tale impianto di trattamento di sottoprodotti di origine animale (SOA) non è stato sottoposto a valutazione di impatto ambientale né a studio di impatto sanitario, nonostante la già precaria situazione ambientale dell'area di Pegognaga, con le cui emissioni di polveri sottili risultino ben oltre i limiti prescritti dall'Unione europea, che rischiano di far partire una procedura d'infrazione per l'Italia stante che la direttiva 2008/50 è esecutiva dal 1° gennaio 2015; la matrice utilizzata dall'impianto potrebbe essere oltretutto ricca di diossine e altri interferenti endocrini a causa, della biomagnificazione (campioni medi di dosaggio di diossine nel grasso animale) e della combustione di tale grasso che potrebbe portare in atmosfera abbondanti quantità di queste sostanze cancerogene;
   l'impianto in questione ha limiti emissivi relativi agli impianti considerati scarsamente inquinanti regolati dal decreto legislativo 152 del 2006, allegato I, parte III, punto 1.3, e non e dotato di filtri per micropolveri, tutto a norma di legge, per cui il vuoto normativo esistente rischia di danneggiare la salute e l'ambiente di Pegognaga;
   sempre all'interno del macello Unipeg di Pegognaga è in corso il progetto di sperimentazione Gedis, in collaborazione con regione Lombardia, che prevede l'incenerimento del digestato del presente impianto biogas, con l'obiettivo di ridurre la pressione ambientale da spandimento nitrati sui campi, visto che lo studio di Ispra ISONITRATE sulle falde acquifere in pianura padana ha segnalato una situazione allarmante; ma nello stesso tempo l'incenerimento del digestato potrebbe incrementare le emissioni di diossine e altre sostanze cancerogene e tossiche in atmosfera; da non sottovalutare che anche questi impianti del sito Unipeg producono emissioni odorigene ricorrenti sia di materiali putrefatti sia di sostanze combuste;
   le situazioni sopradescritte sono state oggetto di istanze alla ASL da parte di cinque medici di famiglia operanti a Pegognaga e di numerose lettere pubblicate sulla stampa locale da parte del comitato «L'aria di Pegognaga» –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative volte a riformare la normativa concernente le molestie olfattive, anche in base ai dati emersi riferiti allo stabilimento Copernit spa di Pegognaga;
   se il Ministro interrogato, per quanto di propria competenza, intenda assumere iniziative normative affinché venga eseguito il dosaggio delle diossine nelle matrici in ingresso degli impianti di digestione anaerobica che trattino sottoprodotti, di origine animale e nelle emissioni dai camini degli stessi impianti, analoghi all'impianto UNITEA;
   se il Ministro possa fornire dati in merito all'andamento della sperimentazione Gedis, ai dati ambientali e alle emissioni prodotte e se nell'ambito di tale sperimentazione sia previsto il dosaggio emissivo delle diossine; 
   se il Ministro intenda assumere iniziative normative eccezionali e urgenti di tutela ambientale della Pianura Padana dove l'ecosistema (aria, suolo, acqua) è sempre più a rischio di collasso. (4-10179)

  Risposta. – Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla problematica dei cattivi odori e alle emissioni in atmosfera nel comune di Pegognaga, in provincia di Mantova, e alla tutela ambientale dell'ecosistema in pianura padana, sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  La vigente normativa di cui alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, già oggi permette alle autorità competenti di introdurre, con atti normativi o provvedimenti autorizzativi, specifiche prescrizioni concernenti limiti di concentrazione delle sostanze o modalità di esercizio degli impianti finalizzate a ridurre i fenomeni odorigeni.
  In particolare, tali prescrizioni possono essere previste, in termini generali, attraverso le normative regionali e, in relazione a ciascuno stabilimento attraverso gli atti autorizzativi (autorizzazione alle emissioni in atmosfera oggi assorbita nell'autorizzazione unica ambientale), secondo gli articoli 271 e 272 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Le normative regionali e gli atti autorizzativi sono legittimati in questo quadro a introdurre prescrizioni più severe di quelle statali contenute negli allegati alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Tali prescrizioni possono essere inserite a maggior ragione nelle autorizzazioni integrate ambientali che devono assicurare, con riferimento a tutti gli impatti ambientali di uno stabilimento, un livello di tutela pari o superiore a quello previsto dalle singole normative ambientali di settore.
  Resta in tutti i casi possibile uno sviluppo dei vigenti valori limite di emissione e delle prescrizioni di esercizio degli impianti contenuti negli allegati alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006, al fine di assicurare una più specifica considerazione degli aspetti relativi agli impatti odorigeni.
  Per quanto riguarda i riferimenti degli interroganti all'eventualità di emissioni di diossine derivanti dalla combustione dei materiali di origine animale, sono in corso di elaborazione apposite norme finalizzate a regolare l'utilizzo di tali materiali come combustibili nel rispetto dei regolamenti sanitari dell'Unione europea e delle norme tecniche Ente nazionale italiano di unificazione UNI. In tutti i casi le autorizzazioni dei singoli stabilimenti sono pienamente legittimate, per esempio in presenza di specifiche condizioni locali, ad imporre appositi valori limite di emissione ed obblighi di monitoraggio anche con riferimento alle diossine.
  Per quanto riguarda l'andamento della sperimentazione Gedis, si evidenzia che si è in attesa di ricevere riscontro dai soggetti istituzionali competenti. Sarà pertanto premura di questo dicastero fornire ulteriori elementi, appena perverranno.
  Infine, con riferimento al quarto punto dell'interrogazione in oggetto, si sottolinea come il Ministero dell'ambiente ha già da tempo avviato una strategia volta a favorire l'individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente nei territori del bacino padano, che ha condotto alla sottoscrizione, nel dicembre 2013, di un importante accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole e della salute, aventi competenza in settori che producono emissioni in atmosfera, e le regioni e province autonome del bacino padano.
  In particolare, tale accordo prevede l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Le regioni del bacino padano dovranno quindi provvedere all'adozione delle misure elaborate dai gruppi attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria.
  Dall'attuazione di tale accordo è atteso pertanto un ulteriore contributo al percorso di risanamento in atto sul territorio nazionale, finalizzato ad intervenire sulle fonti che contribuiscono ai superamenti, mirando in questo modo ad una generale riduzione delle concentrazioni degli inquinanti atmosferici critici sul territorio nazionale.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero si terrà informato dell'evolversi della situazione, anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.