Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 18 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    dal 26 marzo 2015 in Yemen è in corso una guerra tra le forze della coalizione guidata dall'Arabia saudita, cui fanno parte anche gli Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar ed Egitto i ribelli Houthi;
    tale guerra, iniziata in seguito all'operazione lanciata dall'Arabia Saudita, non ha mai ricevuto avallo e/o mandato dell'ONU;
    come diretta conseguenza della guerra, più di 21 milioni di persone, pari all'80 per cento della popolazione, necessitano di aiuti umanitari e 6 milioni di persone hanno bisogno immediato di assistenza di primo soccorso;
    in questi mesi, più volte il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha invocato un immediato «cessate il fuoco» in Yemen, per affrontare quella che è stata definita come un immane catastrofe umanitaria in atto nel Paese;
    il 16 novembre 2015, il Consiglio europeo ha espresso gravi preoccupazioni per ciò che sta accadendo in Yemen, con attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili e in particolare su strutture sanitarie, scuole e impianti idrici;
    a Domusnovas, in provincia di Cagliari, è operante uno stabilimento della Rwm Italia SpA (società sussidiaria del gruppo tedesco Rheinmetall Defence), il cui « core business», secondo il sito web dell'Aiad (Aziende italiane per l'aerospazio, la difesa e la sicurezza), è rappresentato da «bombe d'aereo e da penetrazione, caricamento di munizioni e spolette, sviluppo e produzione di teste in guerra per missili, siluri, mine marine, cariche di demolizione e controminamento»;
    numerose e accreditate testate giornalistiche nazionali e internazionali, hanno riferito e documentato, a partire dall'ottobre 2015, la partenza da Genova di ingenti quantitativi di bombe prodotte dalla Rwm Italia spa, realizzate in Sardegna e classificate MK82, MK83 e MK84, con destinazione ultima l'Arabia saudita;
    in particolare il carico di bombe del 16 gennaio 2016 — effettuato a bordo di un cargo «Boeing 747» della compagnia azera «Silk Way» — sarebbe partito dall'aeroporto di Cagliari Elmas con destinazione l'Arabia Saudita, nello specifico la base della Royal Saudi Air Force della città di Ta'if della provincia della Mecca;
    questa ultima sarebbe stata la quinta spedizione che il Governo italiano avrebbe autorizzato negli ultimi mesi, dopo quella del 29 ottobre 2015 (da Cagliari Elmas); quella del 18 novembre (da Cagliari Elmas); quella del 22 novembre (oltre mille bombe caricate su di un cargo nel porto di Olbia, successivamente trasportato a Piombino con destinazione finale l'Arabia Saudita); quella del 14 dicembre 2015 (dal porto canale di Cagliari);
    tutte queste spedizioni sono state più volte portate all'attenzione del Governo dai parlamentari di diversi gruppi, con atti di sindacato ispettivo volti a chiedere l'aderenza di tali spedizioni al dettato normativo della legge n. 185 del 9 luglio 1990, successivamente modificata dalla legge n. 148 del 17 giugno 2003;
    la legge n. 185 del 1990, recante «Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento», all'articolo 1, comma 1, sancisce che l'esportazione, l'importazione ed il transito di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia, vietando al comma 6, lettera a), l'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento in Paesi in stato di conflitto e i cui Governi siano responsabili di violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani;
    in base al Trattato internazionale sul commercio delle armi e alla common position dell'Unione europea sull’export di armamenti, l'Italia deve seguire una rigorosa valutazione del rischio, caso per caso, su ogni proposta di trasferimento di armamenti, per determinare se c’è il sostanziale rischio che le armi possano essere usate da chi le riceve per compiere o facilitare gravi violazioni delle leggi internazionali sui diritti umani. In base a tali elementi, l'Italia sarebbe tenuta a negare la licenza per l'esportazione;
    il Trattato internazionale sul commercio delle armi, all'articolo 6, prevede il divieto per gli Stati aderenti di autorizzare l'esportazione di armamenti, qualora si sia a conoscenza del fatto che possono essere utilizzati per commettere atti di genocidio, crimini contro l'umanità, gravi violazioni della convenzione di Ginevra del 1949, attacchi diretti a obiettivi o a soggetti civili o altri crimini di guerra;
    il decreto legislativo n. 105 del 2012 ha modificato la legge n. 185 del 1990, in attuazione della direttiva 2009/43/CE, vietando l'esportazione di armi quando mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei prodotti per la difesa, prevedendo altresì l'eventuale sospensione o revoca di autorizzazioni già concesse per gravi motivi nel frattempo subentrati;
    la monarchia saudita è responsabile di gravi e reiterate violazioni dei diritti umani, come denunciano da anni le principali e riconosciute organizzazioni non governative, le quali hanno documentato continue violazioni dei diritti umani e costante pratica delle punizioni corporali, della tortura e della pena di morte, anche per reati minori, inflitta con la decapitazione pubblica;
    Amnesty international Italia, dinanzi alla catastrofe umanitaria in atto in Yemen, ha formalizzato al Governo italiano numerosi appelli per l'istituzione di una commissione di inchiesta internazionale sui crimini di guerra commessi in Yemen e per la sospensione immediata dei trasferimenti di armamenti;
    stesse richieste sono state avanzate dalla Rete italiana per il disarmo e dalla rete ENAAT (European Network Against Arms Trade), chiedendo anche l'embargo di armi nei confronti dell'Arabia Saudita;
    il 25 febbraio 2016 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515 (RSP), nella quale, tra l'altro, si evidenzia che:
     «l'intervento militare a guida saudita nello Yemen, richiesto dal presidente yemenita, Abd Rabbuh Mansur Hadi, compreso l'uso di bombe a grappolo bandite a livello internazionale, ha portato a una situazione umanitaria disastrosa che interessa la popolazione in tutto il Paese, ha gravi implicazioni per la regione e costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza a livello internazionale: membri della popolazione civile yemenita, già esposta a condizioni di vita terribili, sono le principali vittime dell'attuale escalation militare»;
     «dall'inizio del conflitto sono state uccise almeno 5.979 persone, quasi la metà delle quali civili, e 28.208 sono rimaste ferite; tra le vittime si contano centinaia di donne e bambini; l'impatto umanitario sulla popolazione civile degli attuali scontri tra le diverse milizie, dei bombardamenti e dell'interruzione della fornitura dei servizi essenziali sta raggiungendo proporzioni allarmanti»;
     «secondo molteplici segnalazioni, gli attacchi aerei della coalizione militare a guida saudita nello Yemen hanno colpito bersagli civili, tra cui ospedali, scuole, mercati, magazzini cerealicoli, porti e un campo di sfollati, danneggiando gravemente infrastrutture essenziali per la fornitura degli aiuti e contribuendo alla grave carenza di generi alimentari e di carburante nel Paese; il 10 gennaio 2016 è stato bombardato nello Yemen settentrionale un ospedale finanziato da Medici senza frontiere (MSF) e ciò ha provocato la morte di almeno 6 persone e il ferimento di una dozzina, tra cui membri del personale di MSF, oltre a danneggiare gravemente le strutture mediche; si tratta dell'ultimo di una serie di attacchi ai danni di strutture mediche; anche numerosi monumenti storici e siti archeologici sono stati distrutti o danneggiati irrimediabilmente, comprese alcune parti della città vecchia di Sana'a, sito patrimonio mondiale dell'Unesco»;
     «a causa di capacità portuali ridotte e della congestione derivante da infrastrutture e strutture danneggiate, solo il 15 per cento del volume pre-crisi delle importazioni di carburante riesce a giungere nel paese; che, secondo il quadro integrato di classificazione della sicurezza alimentare (IPC) dell'Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura, otto governatorati, vale a dire Sa'da, Hajja, Hodeida, Ta'izz, al-Dali, Lahj, Abyan e Hadramawt, sono attualmente classificati a livello di emergenza per quanto riguarda la sicurezza alimentare»;
     «stando all'organizzazione Save the Children, in almeno 18 dei 22 governatorati del paese gli ospedali sono stati chiusi o gravemente danneggiati a causa dei combattimenti o della mancanza di carburante; in particolare, sono stati chiusi 153 centri sanitari che in precedenza fornivano nutrimento a oltre 450.000 bambini a rischio, insieme a 158 ambulatori che erogavano servizi di assistenza sanitaria di base a quasi mezzo milione di bambini al di sotto dei cinque anni»;
     «secondo l'UNICEF, il conflitto nello Yemen ha avuto pesanti ricadute anche sull'accesso dei bambini all'istruzione, che ha smesso di funzionare per quasi 2 milioni di minori, con la chiusura di 3 584 scuole, ossia una su quattro; 860 di tali scuole sono danneggiate oppure sono utilizzate come rifugio per gli sfollati»;
     «il 15 dicembre 2015 è stato dichiarato un cessate il fuoco nell'intero paese, che tuttavia è stato subito ampiamente violato; i colloqui di pace tra le parti belligeranti, svoltisi a metà dicembre 2015 in Svizzera, non hanno portato ad alcuna svolta importante in vista della fine del conflitto; che la ripresa dei negoziati di pace guidati dall'ONU, sotto l'egida dell'inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, prevista per il 14 gennaio 2016, è stata temporaneamente rinviata per il perdurare delle violenze»;
     «alcuni Stati membri UE hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi e articoli correlati verso l'Arabia saudita dopo l'inizio della guerra; tali trasferimenti violano la posizione comune 2008/944/PESC sul controllo delle esportazioni di armi, che esclude esplicitamente il rilascio di licenze relative ad armi da parte degli Stati membri, laddove vi sia il rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e per compromettere la pace, la sicurezza e la stabilità regionali»;
    la risoluzione, nell'esprimere grave preoccupazione per gli attacchi aerei da parte della coalizione a guida saudita e il blocco navale da essa imposto allo Yemen, che hanno causato la morte di migliaia di persone, invita il vicepresidente della Commissione europea e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza ad avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale Paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008,

impegna il Governo:

   a dar seguito alla risoluzione del Parlamento europeo e ad assumere iniziative per sospendere immediatamente i trasferimenti di armi verso l'Arabia saudita;

   a promuovere un impegno dell'alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, perché venga posto un embargo da parte dell'Unione europea;

   a sostenere nelle opportune sedi una rigorosa applicazione di quanto già previsto dalla posizione comune 2008/944/PESC e un rafforzamento del ruolo di monitoraggio dei parlamenti nazionali.
(7-00950) «Palazzotto, Duranti, Scotto, Piras, Marcon».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   NUTI e BONAFEDE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2015 i militari della Guardia di finanza hanno arrestato il giudice della commissione tributaria provinciale di Milano, Luigi Vassallo, avvocato cassazionista e docente universitario a Pavia e consulente dal marzo 2015 «in materia di conflitto di interessi per il governo», con una busta da cinquemila euro infilata nella giacca costituente la prima rata di una tangente da 30 mila euro per intervenire su una sentenza dal valore di svariati milioni contestata ad una multinazionale;
   Luigi Vassallo, nel 2013 ha lavorato con enti pubblici come regione Lombardia e l'Osservatorio della mediazione tributaria per conto dell'Agenzia delle entrate ed è stato presidente di organismi di vigilanza di grandi gruppi industriali con l'incarico di prevenire i reati societari;
   Luigi Vassallo, assieme ad altri, è accusato di corruzione in atti giudiziari e il giudice per le indagini preliminari che ha seguito il caso, cita esplicitamente la «spregiudicatezza con cui si muoveva Vassallo, che sapeva di poter fare affidamento su Seregni (un altro giudice tributario arrestato a seguito delle stesse indagini) e verosimilmente anche su altri giudici tributari e funzionari dell'Agenzia delle Entrare, per pilotare ricorsi, influenzare i giudizi dei collegi, sostituirsi nella redazione delle sentenze, a fronte della corresponsione di dazioni illecite da ripartire con i complici»;
   da quel momento si sono susseguiti numerosi arresti ai danni di giudici tributari, imprenditori ed un membro della Guardia di finanza che ha fatto emergere un complesso sistema in cui grazie al compiacente aiuto di alcuni giudici le sentenze tributarie venivano pilotate in favore di numerose società ricorrenti, facendo perdere allo Stato svariati milioni di euro, tanto da essere definita come una «Tangentopoli fiscale che da Milano a Catania, passando per Roma, attraversa il Paese»;
   il sistema può contare su una fitta rete di relazioni personali che prefigurano, secondo l'interrogante, gravissimi conflitti di interessi, così come anche gli investigatori hanno evidenziato dichiarando che «Emerge una rete di relazioni che sopravvive a ogni forma di incompatibilità», e come la stessa segretaria di Vassallo ha dichiarato: «Era noto che Vassallo fosse in grado di risolvere i problemi: i commercialisti e gli avvocati che venivano in studio sapevano che era in grado di sistemare i processi»;
   in questo modo si annullano anni di indagini e ingenti quantità di risorse impiegate dalla Guardia di finanza e dall'Agenzia delle entrate: non a caso, circa il 60 per cento delle sentenze tributarie sono in favore del ricorrente, contro lo Stato;
   oltre a Luigi Vassallo, sono coinvolti, tra gli altri, anche i giudici Marina Seregni, commercialista di Monza, Luigi Pellini, commercialista di Milano, e Gianfranco Vignoli Rinaldi, avvocato di Milano; inoltre l'inchiesta milanese corre in parallelo a quelle delle procure di Catania e di Roma, che hanno portato all'arresto di altri giudici per quello che appare sempre più come un'operazione su larga scala di trasparenza nelle commissioni tributarie;
   le commissioni tributarie sono nominate con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sono presiedute da magistrati e sono composte da avvocati, notai, commercialisti e ufficiali della Guardia di finanza –:
   quale attività abbia svolto Luigi Vassallo in qualità di consulente in materia di conflitto di interessi per il Governo e se non ritenga opportuno assumere iniziative per far cessare il contratto di consulenza in essere con il medesimo dal marzo 2015;
   se non si intendano assumere iniziative normative per procedere ad una profonda revisione del sistema di nomina dei giudici delle commissioni tributarie, aggiungendo specifiche incompatibilità e requisiti di accesso, e quali ulteriori iniziative di competenza si intendano intraprendere al fine di prevenire fenomeni corruttivi come quelli descritti in premessa.
(4-12583)


   DAGA, TERZONI, MANNINO, BUSTO, ZOLEZZI, DE ROSA, MICILLO, VIGNAROLI e VACCA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 10 novembre 2015 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la dottoressa Gaia Checcucci è stata nominata presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in qualità di Direttore generale della direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque (STA);
   la dottoressa Gaia Checcucci risultava estranea alla pubblica amministrazione conferente; la sua nomina e avvenuta, con il suddetto decreto, in quanto si evidenziava che la qualificazione professionale della dottoressa Checcucci non è stata rinvenuta nei ruoli del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   da una visura camerale svolta il 1o febbraio 2016 risulta che, a quella data, la dottoressa Checcucci sedeva nel consiglio di amministrazione della società Intesa Aretina Scarl, la società privata formata da Ondeo Italia spa (Suez) per il 51 per cento, ACEA (35 per cento), Banca Etruria (2 per cento), Monte Paschi Siena (2 per cento) e Iride srl (10 per cento).
   Intesa Aretina Scarl è partner privato, dell'azienda pubblico-privata di gestione del servizio idrico integrato dell'area di Arezzo, Nuove acque spa.;
   la dottoressa Gaia Checcucci, su nomina del partner privato secondo quanto riportato dalla stampa, è stata anche nel consiglio di amministrazione della società Nuove Acque Spa, nomina scaduta a fine ottobre 2015;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare risulta aver co-finanziato almeno un intervento di Nuove Acque Spa andato a gara il 4 aprile 2011, così come indicato nell'avviso di gara pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2011, codice C.I.G.:16041770BD;
   il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare ha co-finanziato con oltre 10 milioni di euro, nel quadro degli interventi finalizzati al superamento della procedura d'infrazione sulle acque reflue in corso da parte della Commissione europea, l'Accordo di programma quadro attuativo del piano straordinario di tutela e gestione della risorsa idrica, finalizzato prioritariamente a potenziare la capacità di depurazione dei reflui urbani del gennaio 2015 tra regione Toscana e numerosi soggetti, tra cui Nuove Acque Spa; a quest'ultima era riservato il ruolo di esecuzione di almeno tre interventi a valere in parte sui fondi ministeriali;
   secondo una presentazione dell'autorità idrica toscana http://www.autoritaidrica.toscana.it ammontano complessivamente a oltre 100 milioni di euro (95.857.155 euro per accordi di programma quadro e 8.626.177 euro per accordo depurazione, per un totale di 104.483.332 euro) i finanziamenti statali concessi per gli interventi nell'ambito del servizio idrico integrato della regione Toscana;
   articoli di stampa (http://roma.corriere.it) hanno riportato la notizia che, recentemente, la società Intesa Aretina Scarl ha finanziato con 15.000 euro la fondazione «Open, nel cui consiglio di amministrazione siedono il Ministro Maria Elena Boschi, il sottosegretario alla Presidenza Luca Lotti nonché Marco Carrai; la Fondazione Open organizza il meeting politico del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, meglio noto come «La Leopolda»; il finanziamento è visibile sul sito della fondazione; (http://www.fondazioneopen.it/trasparenza/bilancio-2014/);
   la dottoressa Gaia Checcucci fece parte del comitato per il NO al Referendum sull'acqua pubblica del 2011, come risulta pacificamente dai video da lei registrati (http://www.acquabenepubblico.checcucci/);
   recentemente, in una delle prime interviste pubbliche, rilasciata a «Presa Diretta» per la puntata «Acqua, referendum tradito» del 31 gennaio 2016 la dottoressa Checcucci, omettendo la sua posizione presso la società privata Intesa Aretina Scarl, ribadiva di fatto le proprie convinzioni circa il fatto che il problema non è «tra gestione pubblica e privata» e che il referendum sostanzialmente non era per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, nonostante uno dei due quesiti vertesse proprio sulla remunerazione del capitale investito;
   la Corte dei conti con nota 0038623-02/12/2015-SCLLAY3OPREV-P ha chiesto chiarimenti sulle procedure di nomina della dottoressa Gaia Checcucci e in particolare sul decreto di nomina in relazione: a) all'assenza di dirigenti interni all'amministrazione, in considerazione del fatto che almeno un dirigente aveva ottenuto un elevato punteggio nella selezione; b) alla restrizione dei titoli richiedenti per la suddetta nomina ad alcune lauree, in difformità con quanto avvenuto precedentemente; c) alla coerenza tra le risultanze istruttorie e le valutazioni espresse nella nota del 2 novembre 2015;
   il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, a firma del direttore ingegnere Mauro Luciani, noto alle cronache anche per la recente perquisizione che ha subito e che ha portato al sequestro di 660.000 euro, ha risposto con nota 13556/AGP del 3 dicembre 2015 sostenendo che, a parità di giudizio (eccellente) rispetto all'altro concorrente alla posizione, alla fine avrebbe deciso direttamente il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare tramite colloquio, tenendo, tra l'altro, anche conto dell'opportunità di acquisire una donna tra i dirigenti-apicali del Ministero per una questione di parità di genere; si evidenzia che, nonostante anche un candidato interno all'amministrazione avesse conseguito giudizio «eccellente», nel decreto di nomina si negava l'esistenza di personale interno avente il profilo adeguato per la direzione;
   la direzione oggi guidata dalla dottoressa Checcucci esercita un ruolo strategico nella gestione e regolazione del servizio idrico integrato nazionale, visto che tra i compiti della direzione, figurano tra l'altro, come si legge dal sito del Ministero stesso: a) la definizione di indirizzi e criteri generali per la determinazione, da parte delle regioni, dei canoni di concessione per l'utenza di acqua pubblica, particolare, in materia di approvvigionamento, captazione ed accumulo delle acque per gli usi produttivi ed elaborazione delle informazioni sulla qualità delle acque destinate all'uso umano; b) la definizione degli obiettivi generali di qualità del servizio idrico integrato sul territorio nazionale; c) l'individuazione dei criteri per la definizione del costo ambientale e del costo della risorsa per i vari settori d'impiego dell'acqua e definizione dei criteri per la determinazione della copertura dei costi relativi ai servizi idrici diversi dal servizio idrico integrato; d) la promozione del completamento dei sistemi di approvvigionamento idrico, di distribuzione, di fognatura, di collettamento, di depurazione e di riutilizzo delle acque reflue assicurando il coordinamento delle attività di raccolta, gestione e trasmissione dei dati relativi alle infrastrutture idriche, perseguendo la conformità agli standard comunitari;
   lo stesso decreto di nomina riporta gli obiettivi che la dottoressa Gaia Checcucci deve perseguire, tra cui molteplici relativi al settore delle acque, dalle captazioni ad uso idroelettrico; ai costi della risorsa;
   la direzione oggi affidata alla dottoressa Gaia Checcucci coordina tutti gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dei siti nazionali di bonifica;
   nell'ottica della riqualificazione del servizio idrico integrato e in particolar modo della depurazione, viste anche le plurime procedure di infrazione a cui è sottoposto il nostro Paese per la cattiva gestione delle acque reflue, il Ministero sovrintende anche i commissariamenti e la ripartizione dei finanziamenti miliardari come, a mero titolo di esempio, la delibera Cipe n. 60 del 30 aprile 2012 che ha assegnato oltre un miliardo e 700 milioni di euro per finanziare 182 interventi prioritari inseriti in specifici accordi di programma quadro (Apq) sottoscritti nel 2013 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e le regioni meridionali;
   le società Ondeo (Suez) e Acea, come è noto, gestiscono direttamente o hanno partecipazioni in numerosissime società di gestione del servizio idrico integrato in varie regioni italiane che direttamente o indirettamente sono oggetto dell'influenza delle decisioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e che usufruiscono dei finanziamenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (nella sola Toscana Ondeo e Acea hanno partecipazioni nelle seguenti società, oltre che in Nuove Acque Spa: Publiacqua Spa; Acque Blu Fiorentine Spa; Acque Blu Basso Arno Spa; Acque Toscane Spa; Acquedotto del Fiora Spa; Ombrone Spa); numerosi sono gli interventi finanziati di queste società e sottoposti al monitoraggio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nei vari Apq;
   una società controllata da Suez, la Degremont, ha operato recentemente interventi collegati al trattamento delle acque in siti nazionali per le bonifiche quali Priolo, Gela e Marghera; è altresì attiva nella progettazione di impianti di depurazione in varie parti del Paese, assieme ad altre società del gruppo come Ondeo Industrial Solutions;
   una controllata di Suez, Gdf-Suez Energia Italia S.p.a, è proprietaria per il 50 per cento della società Tirreno Power S.p.a. Questa società possiede e gestisce tre centrali termoelettriche, Torrevaldaliga Sud, Vado Ligure e Napoli Levante, nonché 17 centrali idroelettriche;
   Napoli levante e Vado ligure sono centrali sottoposte a procedura di valutazione di impatto ambientale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con le relative verifiche di ottemperanza che spettano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, seppur ad altra direzione; la centrale di Vado Ligure è al centro di un noto caso giudiziario promosso dalla procura della Repubblica di Savona, che ha coinvolto importanti dirigenti e consulenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la dottoressa Gaia Checcucci risulta essere stata tra i collaudatori delle bonifiche parziali del sito nazionale per le bonifiche di Marghera, interventi la cui efficacia ed efficienza dovranno essere monitorati nel tempo dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare stesso;
   le norme nazionali sul pubblico impiego (decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, pubblicato in Gazzetta ufficiale 4 giugno 2013, n. 129, contenente il codice di comportamento dei dipendenti pubblici) e quelle relative alla prevenzione della corruzione (legge 6 novembre 2012, n. 190 e successive modifiche ed integrazioni; decreto legislativo 8 aprile 2013 n. 39), prevedono che il funzionario pubblico deve astenersi da attività in cui sia possibile riscontrare un conflitto di interessi; il piano anti-corruzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prevede che siano evidenziate tutte le possibili forme di conflitto di interesse da parte dei funzionari;
   a mero titolo di esempio, l'articolo 4, «Inconferibilità di incarichi nelle amministrazioni statali, regionali e locali a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o finanziati» del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, determina l'inconferibilità di incarichi dirigenziali a soggetti che abbiano avuto incarichi in enti privati finanziati e/o regolati dal soggetto pubblico affidatario dell'incarico nei due anni precedenti;
   la dottoressa Gaia Checcucci il 2 novembre 2015 ha dichiarato di non avere situazioni di inconferibilità/incompatibilità per l'incarico dirigenziale affidatole, così come risulta dalle schede pubblicate sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   eppure nel curriculum vitae della dottoressa Gaia Checcucci, pubblicato sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, compare il suo incarico in Nuove Acque spa, nonché il suo incarico quale vicepresidente di Federutility fino al 2014, ma non viene citato il suo ruolo di consigliere di amministrazione di Intesa Aretina S.c.a.r.l. –: 
   se non si ritengano sussistere profili di molteplici conflitti di interessi tra il ruolo conferito alla dottoressa Gaia Checcucci e i ruoli ricoperti dalla stessa in aziende private coinvolte in plurime attività regolate e supervisionate proprio dalla direzione per la salvaguardia del territorio e delle acque del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare secondo quanto disciplinato dalle norme in materia;
   se non ritengano di assumere iniziative per verificare che le dichiarazioni controfirmate dalla dottoressa Gaia Checcucci prima dell'affidamento dell'incarico siano complete e congrue rispetto a quanto previsto dal dettato normativo circa la prevenzione del conflitto di interessi, avendo la stessa anche omesso il suo incarico in Intesa Aretina s.c.a.r.l.;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga che l'incarico conferito alla dottoressa Gaia Checcucci sia inficiato da nullità a seguito di quanto sopra riportato, anche rispetto a quanto previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39;
   se la scelta, avvenuta direttamente da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non vada nella direzione esattamente opposta rispetto al risultato referendario del 2011 sulla gestione; pubblica dell'acqua visto che a guidare il principale snodo delle politiche collegate al servizio idrico integrato è stato chiamato, a giudizio degli interrogati, un rappresentante dei privati coinvolti nella gestione del servizio idrico integrato;
   se le dichiarazioni rilasciate ad uno dei principali organi di informazione pubblica dalla suddetta dirigente, senza dichiarare la propria posizione in un gestore privato, non risultino del tutto inopportune, visto che la dirigente non è chiamata ad esprimere una sua libera convinzione ma ad applicare esattamente la legge, e che le dichiarazioni medesime, ad avviso degli interroganti, appaiono gravemente lesive del risultato referendario sancito dal voto popolare. (4-12590)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   la conferenza nazionale sulla famiglia è un grande momento istituzionale di partecipazione, confronto ed elaborazione sui temi della famiglia che prevede il coinvolgimento delle diverse realtà politiche, sociali, produttive e culturali del Paese. Un'occasione preziosa d'incontro tra saperi e poteri, tra conoscenze professionali e responsabilità politico-istituzionali;
   la prima conferenza nazionale sulla famiglia, prevista nella legge n. 296 del 2006 (finanziaria per il 2007) come appuntamento importante per definire le linee guida per l'elaborazione del primo piano nazionale per la famiglia, fu promossa dall'allora Ministro delle politiche per la famiglia nell'ambito delle iniziative tese al rilancio delle politiche familiari e fu realizzata a Firenze nel maggio 2007. Il piano nazionale di politiche familiari, previsto dall'articolo 1, comma 1251, della legge finanziaria 2007, è stato poi approvato per la prima volta il 7 giugno 2012;
   la seconda conferenza nazionale sulla famiglia fu svolta a Milano nel 2010 e la terza avrebbe dovuto tenersi nel 2012, ma i governi si sono succeduti senza che ne fosse più fissata una;
   il Presidente del Consiglio Renzi aveva garantito – come pubblicato da agenzie di stampa – che prima della scadenza del semestre italiano alla e sarebbe stata convocata ma ad oggi nulla è avvenuto;
   eppure gli obiettivi della conferenza sono tuttora assolutamente prioritari: non si tratta infatti di promuovere eventi celebrativi vuoti e formali ma di indicare vere e proprie proposte, verificate in termini di sostenibilità, che concorrano alla costruzione di un modello di welfare più europeo e più moderno in grado di realizzare una piena cittadinanza sociale della famiglia;
   infatti proprio nei Paesi europei ove più forti e strutturate sono le politiche di sostegno più forte è la libertà delle famiglie di diventare, di essere e di rimanere famiglia;
   i tre soggetti coinvolti delle politiche familiari – pubblica amministrazione, privato sociale e imprese – devono integrare la loro azione non solo a livello di gestione ma anche di progettazione. Sono infatti necessarie politiche di appoggio, di accompagnamento e di sostegno che riconoscano la famiglia come bene comune e ne valorizzino il ruolo attivo e propulsivo sul versante educativo, sociale ed economico –:
   se il Ministro interrogato non intenda porre in essere iniziative volte a definire la prossima data della conferenza nazionale sulla famiglia. (4-12576)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO e CARINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 marzo 2014 risulta sia stata consegnata al sindaco del comune di Anfo (Brescia) e al comando del Corpo forestale dello Stato di Bagolino (Brescia) una segnalazione di opere abusive sulla sponda del lago d'Idro in località Canale del Confine sul territorio del comune di Anfo. I depositari della segnalazione lamentano l'impossibilità di transitare nella località in questione o a causa di una neo-costruita barriera di massi e reti approntata contravvenendo le più elementari norme della libera circolazione sulle sponde. Si sottolinea inoltre come qualunque sia la quota del lago prevista dalle normative in essere, ogni opera pubblica o privata deve essere concepita in modo da lasciare libera il passaggio per almeno metri cinque dal pelo dell'acqua in occasione del massimo invaso previsto;
   la stampa locale, in un articolo datato 5 aprile 2014, riporta le dichiarazioni del sindaco del comune di Anfo in riferimento alla predetta segnalazione: «Abbiamo dato mandato all'ufficio tecnico di andare a controllare». Il medesimo articolo informa i lettori che il comune di Anfo si stesse già occupando di situazioni analoghe;
   in data 25 maggio 2015 viene depositata una segnalazione integrativa di nuove opere di sbarramento al libero transito pedonale sulle sponde del lago d'Idro in località Canale del Confine sul territorio comunale di Anfo. Il documento è inoltrato al sindaco di Anfo e per conoscenza ai sindaci di Bagolino e Idro, alla Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici di Brescia, all'autorità di bacino dei laghi Garda ed Idro, all'ufficio pesca della provincia di Brescia e al comando di Bagolino del Corpo forestale dello Stato. I rappresentanti delle organizzazioni Comitato difesa lago d'Idro e fiume Chiese e Camminatori del lago d'Idro si fanno portavoce delle proteste dei loro associati che, per diporto o per l'esercizio della pesca sportiva, frequentano le rive del lago;
   nel novembre 2015 la stampa locale riporta la notizia che molti privati recintano le rispettive proprietà senza mantenere la doverosa distanza dal lago impedendo così il passaggio dei camminatori lungo le sponde del lago d'Idro. Nella cronaca si riscontrano nuovi presunti abusi nella zona di Sant'Antonio dove è stata segnalata l'installazione di altre recinzioni e di una porta a ostruire la strada su quello che dovrebbe essere terreno demaniale. Si registra inoltre il silenzio dei comuni interessati, delle autorità e delle pubbliche amministrazioni destinatarie della missiva del maggio 2015;
   la stampa locale nel marzo 2016 dà nuovamente notizia di recinzioni abusive a ostruire il passaggio sulle rive del lago d'Idro e dell'assenza di controlli da parte della pubblica amministrazione nel fare rispettare i divieti che insistono sull'area del demanio lacustre; l'articolo 822 del codice civile stabilisce che appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia;
   con sentenza n. 6591 del 14 dicembre 1981, la Corte di cassazione ha puntualizzato che, analogamente al demanio marittimo, il demanio lacuale comprende l'alveo, cioè l'estensione che viene coperta dal bacino idrico con le piene ordinarie, e la spiaggia lacuale, vale a dire quei terreni continui lasciati scoperti dalle acque nel loro volume ordinario che risultino necessari e strumentali al soddisfacimento delle esigenze della collettività di accesso sosta e transito, proprie della collettività, per diporto, trasporto, esercizio della pesca, e altro –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati nelle premesse e se intenda promuovere, per quanto di competenza, una verifica, anche per il tramite del Corpo forestale dello Stato, al fine di verificare le presunte installazioni abusive e di garantire l'accesso, la sosta e il transito della collettività ai terreni contigui alle acque del lago d'Idro. (4-12577)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAROCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il settore dei poli museali rappresenta per l'immagine e l'economia del sistema Paese uno degli elementi attrattivi e di traino di un più ampio settore, quello turistico, che è ad oggi fondamentale per la crescita e l'occupazione italiana;
   l'accesso e la fruizione del patrimonio artistico rappresenta il miglior biglietto da visita per l'Italia soprattutto all'estero ed ha una rilevanza socio-educativa altissima per quanto concerne tutta la popolazione italiana; per questo le nuove regole che sovraintendono all'organizzazione e alla gestione, nonché alla conservazione e alla valorizzazione dei musei sono tutte ispirate a principi di efficienza, trasparenza e fruibilità, quale servizio pubblico;
   nelle modalità di accesso e fruizione delle strutture museali italiane rientra senza dubbio oggigiorno la corretta gestione del servizio di biglietteria on-line alla quale ricorrono in modo sempre più diffuso sia i cittadini italiani che, in particolare, i turisti provenienti da altri Paesi. Ad oggi il decreto ministeriale 11 dicembre 1997, n. 507, che disciplina la materia prevede la possibilità di esternalizzare tale servizio anche a privati con apposite convenzioni che non possono prevedere per il concessionario un compenso superiore al 30 per cento degli incassi così raccolti. Tale disposizione comporta di fatto che nei casi di prezzo maggiorato per prevendita da parte del privato l'ente museale possa ritrovarsi in alcuni casi ad ottenere un incasso maggiore rispetto alla vendita diretta;
   un esempio è la vendita on-line dei biglietti di accesso al «Polo museale fiorentino» che comprende tra gli altri la Galleria degli Uffizi, che è secondo le classifiche internazionali il Museo italiano più visitato, il cui biglietto passa da un costo di 12 euro (8 euro + 4 euro di prevendita) se comprati direttamente dal Polo stesso, ai 24,50 euro di siti on-line che possiedono però domini con la dicitura «Uffizi», dicitura che non compare in alcun modo invece nel sito istituzionale (www.polomuseale.firenze.it), che risulta addirittura chiuso dal 1o gennaio 2016, generando così non poca confusione per i fruitori;
   questa situazione determina in moltissimi casi non solo una cattiva pubblicità per il prezioso lavoro del Polo museale fiorentino, ed in generale delle strutture pubbliche che abbiano a trovarsi nelle medesime condizioni, ma anche e soprattutto un aggravio di costo tale da rendere meno accessibile la fruizione della cultura –:
   se non ritenga opportuno, nel caso del Polo museale fiorentino, adottare iniziative al fine di provvedere ad una più corretta accessibilità diretta al sito del Polo museale e della Galleria degli Uffizi attraverso tutti gli interventi tecnici necessari;
   se non ritenga, anche alla luce di quanto evidenziato, di avviare il percorso annunciato per la costituzione di una «Biglietteria unica nazionale» che permetta una regia organica ed una gestione centrale che possano garantire migliore accessibilità ai servizi dedicati ai musei e costi uguali per tutti. (5-08184)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta orale:


   BALDELLI, GELMINI, POLIDORI e GIAMMANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2016, come stabilito dall'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, il canone Rai verrà addebitato sulla bolletta della luce con l'aggiunta, rispetto al passato, che d'ora in poi sarà presunta la detenzione dell'apparecchio nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica;
   tale presunzione contrasta con quanto disposto dal regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, in base al quale l'imposta si applica solo a chi effettivamente, e non presuntivamente, possieda un apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano;
   la possibilità data agli utenti di presentare, con cadenza annuale, un'autocertificazione, in cui si dichiari il non possesso di alcun apparecchio radiotelevisivo inverte indebitamente il principio di cui all'articolo 2697 del codice civile («Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento») –:
   se e come il Governo intenda far rispettare il combinato disposto delle disposizioni contenute nel regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, in relazione all'effettiva detenzione dell'apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive, e all'articolo 2697 del codice civile, in relazione all'inversione dell'onere della prova. (3-02126)


   BALDELLI, GELMINI, POLIDORI e GIAMMANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella legge 28 dicembre 2015, n. 208, il legislatore ha fatto riferimento all'utenza dell'energia elettrica nel luogo in cui risulta la residenza anagrafica per individuare gli intestatari delle bollette che dovranno pagare il canone Rai;
   dall'impostazione della norma, teoricamente, i proprietari di seconde case non dovrebbero correre il rischio di pagare un doppio canone Rai, anche se non esiste alcun riferimento esplicito a tale esenzione;
   i coniugi con residenze anagrafiche diverse, pur appartenendo al medesimo nucleo familiare, rischiano di pagare due canoni distinti –:
   se i coniugi con residenze anagrafiche diverse, pur appartenendo al medesimo nucleo familiare, dovranno pagare due canoni distinti o verranno esentati da questa doppia imposizione. (3-02127)


   BALDELLI, GELMINI, POLIDORI e GIAMMANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 157, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, al fine di semplificare le modalità di pagamento del canone, ha stabilito che le autorizzazioni all'addebito diretto sul conto corrente bancario o postale ovvero su altri mezzi di pagamento, rilasciate a intermediari finanziari dai titolari di utenza per la fornitura di energia elettrica per il pagamento delle relative fatture, si intendono in ogni caso estese al pagamento del canone di abbonamento televisivo senza alcun consenso preliminare esplicito da parte degli utenti;
   le cosiddette domiciliazioni bancarie sono state spesso oggetto di controversie, causate da problemi tecnici, talvolta piuttosto significativi, relativi a difficoltà di comunicazione e di connessione tra i sistemi informatici della banca di riferimento del consumatore e quella della società energetica, con ritardi o inadempienze nell'aggiornamento dei database di quest'ultima;
   la sopra citata disposizione ha previsto che gli importi del canone Rai e dell'energia elettrica, seppur nella stessa fattura, restino distinti e separati, ma, contrariamente a questo principio, stabilisce anche, di fatto e sin da subito, un pagamento unico di entrambi gli importi, ponendo gli utenti nella condizione di subire, già dalla prima bolletta, un prelievo automatico delle somme relative al canone radiotelevisivo e, in caso di contestazioni, dover tentare di rientrare in possesso di tali importi solo in una fase successiva, con tutte le oggettive difficoltà che questo comporta –:
   quali siano le precauzioni adottate per evitare il rischio che eventuali cortocircuiti del sistema di domiciliazione possano ripercuotersi negativamente su consumatori e contribuenti, e quali mezzi siano a disposizione degli utenti per tutelarsi in caso di errori, abusi o comportamenti contrari al codice del consumo. (3-02128)


   BALDELLI, GELMINI, POLIDORI e GIAMMANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità della concorrenza e del mercato e la Guardia di finanza si sono occupate nei mesi scorsi, attraverso iniziative ispettive e procedimenti istruttori, di alcuni comportamenti presumibilmente contrari al codice del consumo messi in atto dalle società operanti nel settore dell'energia elettrica: emissioni di maxibollette di energia elettrica, frutto di conguagli pluriennali, fatturazioni incongrue, basate su conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, dati di contatori non conformi alla normativa vigente, errori di valutazione, mancate considerazioni delle autoletture ed altro –:
   se il Governo davvero ritenga congruo che chi ha presumibilmente messo in atto comportamenti del genere, attualmente oggetto di indagini e di istruttorie non ancora terminate, e comunque già frutto di un ampio contenzioso tra le suddette società elettriche e diverse migliaia di consumatori e di associazioni rappresentative degli utenti, possa contemporaneamente assumere anche la responsabilità, non solo organizzativa, della riscossione del canone Rai, e come pensi, nel caso in cui i suindicati comportamenti o altri simili dovessero ripetersi, di tutelare in modo concreto i diritti dei consumatori e degli utenti. (3-02129)


   BALDELLI, GELMINI, POLIDORI e GIAMMANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la nuova normativa sull'esazione del canone Rai, all'articolo 1, comma 156, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, al fine di individuare gli intestatari delle bollette e gli esenti, prevede che siano incrociate le banche dati dell'anagrafe tributaria, dell'autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, dell'Acquirente unico spa, del Ministero dell'interno, dei comuni, nonché dei non meglio identificati «altri soggetti, pubblici o privati» che, peraltro, saranno anche autorizzati allo scambio e all'utilizzo di queste informazioni;
   l'incrocio delle banche dati di innumerevoli soggetti pubblici e privati ed il continuo flusso di informazioni sensibili costituisce un problema di privacy per molte famiglie e singoli cittadini, ed aumenta notevolmente il rischio di commettere errori nell'identificazione dei soggetti intestatari delle bollette del canone radiotelevisivo –:
   come ritenga il Governo di riuscire ad applicare la suddetta normativa e, al contempo, di tutelare il diritto alla privacy di utenti e contribuenti, attraverso la proiezione di questi dati sensibili.
(3-02130)


   BALDELLI, GELMINI, POLIDORI e GIAMMANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli importi relativi al canone Rai, seppur oggetto di distinta indicazione, saranno addebitati sulle fatture emesse dall'impresa elettrica e queste ultime sono tenute ad effettuare il riversamento delle somme all'Erario entro il giorno 20 del mese successivo a quello di incasso e, comunque, l'intero canone dovrà essere riscosso e riversato entro il 20 dicembre e sono esclusi obblighi di anticipazione da parte delle imprese elettriche;
   il legislatore ha espressamente stabilito, all'articolo 1, comma 154, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sono definiti termini e modalità per il riversamento all'Erario, e per le conseguenze di eventuali ritardi, anche in forma di interessi moratori, dei canoni incassati dalle aziende di vendita dell'energia elettrica –:
   quali siano gli strumenti concreti che il Governo intenda adottare per evitare che, in caso di errori o ritardi nel riversamento all'Erario delle somme incassate da parte delle imprese elettriche, si abbiano indebite conseguenze negative, compreso l'onere della prova o vario genere di aggravi, sugli utenti consumatori.
(3-02131)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto 2015 della Guardia di finanza pubblicato il 10 marzo 2016 e dedicato alla lotta all'evasione e alle frodi fiscali, condotta attraverso 19.800 indagini di polizia giudiziaria e 85.373 fra verifiche, controlli ed altri interventi, gli sprechi nella pubblica amministrazione e le truffe sui finanziamenti pubblici causerebbero un danno patrimoniale per lo Stato italiano superiore ai 4 miliardi di euro;
   per quanto riguarda le truffe sui fondi pubblici e la corruzione nella pubblica amministrazione, sarebbero stati chiesti o percepiti in maniera illecita finanziamenti pubblici, comunitari e nazionali, per oltre un miliardo di euro e complessivamente sono stati denunciati 4.084 soggetti, 38 dei quali arrestati;
   per quanto riguarda i reati contro la pubblica amministrazione, la Guardia di finanza ha svolto 3.870 indagini e ha denunciato 3,179 persone, 177 delle quali sono state arrestate, il 56 per cento per abuso d'ufficio, il 21 per cento per peculato e il 23 per cento per corruzione e concussione;
   relativamente agli appalti pubblici, il rapporto annuale della Guardia di finanza spiega che nel 2015 sono stati controllati e monitorati appalti pubblici nel corso dell'anno per un valore complessivo di 3,5 miliardi ed è emerso che ne sarebbero stati assegnati in maniera illegale per un miliardo; i finanzieri hanno inoltre denunciato 1.474 persone, 73 delle quali sono state arrestate;
   i 2.644 accertamenti svolti su delega della Corte dei conti, avrebbero portato alla segnalazione alla magistratura contabile di 8.021 soggetti;
   le truffe al settore previdenziale e al sistema sanitario nazionale ammonterebbero a oltre 300 milioni di euro e hanno portato alla denuncia di 6.779 soggetti, 27 dei quali sono stati arrestati;
   11.669 controlli sulla sussistenza dei requisiti di legge previsti per l'erogazione di prestazioni sociali agevolate e per l'esenzione dal ticket sanitario hanno fatto riscontrare percentuali di irregolarità pari al 69 per cento dei casi ed un danno complessivo per lo Stato di circa 4,2 milioni di euro;
   per quanto riguarda l'evasione fiscale, l'anno passato la Guardia di finanza ha individuato 8.485 soggetti che, pur avendo svolto attività produttive di reddito, sono risultati evasori totali, ovvero «completamente sconosciuti» al fisco;
   la lotta all'evasione e alle frodi fiscali è stata condotta attraverso 19.800 indagini di polizia giudiziaria e 85.373 fra verifiche, controlli ed altri interventi: complessivamente, sono stati denunciati 13.665 responsabili di 14.663 reati fiscali di cui il 54 per cento riguardante gli illeciti più gravi di emissione di fatture per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta, occultamento di documentazione contabile e indebita compensazione e 104 persone sono state arrestate;
   sono stati individuati 2.466 fra casi di «frodi carosello», creazione di società «cartiere» o fantasma, costituzione di crediti iva fittizi ed indebita compensazione e 444 casi di evasione internazionale, per la maggior parte riconducibili a fenomeni di «fittizio trasferimento all'estero» della residenza di persone fisiche e società;
   sul fronte del lavoro, sarebbero stati scoperti anche 5.184 datori di lavoro che hanno impiegato 11.290 lavoratori in «nero» e 12.428 lavoratori irregolari;
   sono state sequestrate disponibilità patrimoniali e finanziarie per il recupero delle imposte evase nei riguardi dei responsabili di frodi fiscali per oltre 1,1 miliardi di euro ed avanzate proposte di sequestro per altri 4,4 miliardi;
   sono state anche accertate 4.107 violazioni nel campo delle imposte sulla produzione e sui consumi, con la denuncia di 1.936 soggetti responsabili di reati in materia di prodotti energetici, 77 dei quali arrestati; 2.813 gli interventi eseguiti presso gli impianti di distribuzione stradale di carburanti, con 2.077 casi di irregolarità;
   la Guardia di finanza nel 2015 ha anche sequestrato ai sensi della normativa antimafia sui beni mobili e immobili, 316 aziende, quote societarie e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di 2,9 miliardi di euro: dal rapporto emerge che sono stati eseguiti accertamenti patrimoniali a carico di 9.180 soggetti condannati o indiziati di appartenere ad associazioni mafiose e prestanome, e 2.182 società. Le confische hanno invece riguardato 1.819 beni mobili e immobili, 93 aziende, quote societarie e disponibilità finanziarie per 747 milioni. Sono 234 i soggetti denunciati per associazione mafiosa, 70 dei quali tratti in arresto;
   in materia di riciclaggio sono state svolte 782 indagini e attività di polizia giudiziaria che hanno portato alla denuncia di 1.407 soggetti, di cui 111 in stato di arresto. In relazione alla nuova fattispecie di auto-riciclaggio sono state eseguite 70 indagini e attività di polizia giudiziaria, con la denuncia di 103 soggetti, 17 dei quali in stato di arresto;
   nell'ambito dell'azione di contrasto all'usura, sono stati denunciati 531 soggetti, di cui 53 tratti in arresto, con il sequestro di patrimoni e disponibilità finanziarie per oltre 11,1 milioni di euro;
   per quanto riguarda i reati societari, fallimentari, bancari, finanziari e di borsa, sono stati denunciati 6.253 soggetti di cui 267 tratti in arresto, nonché accertate distrazioni patrimoniali in danno di società fallite per circa 2 miliardi di euro;
   inoltre, nel corso del 2015 la Guardia di finanza ha sequestrato oltre 390 milioni di prodotti contraffatti e pericolosi, per un valore stimato di circa 3 miliardi di euro: complessivamente sarebbero state tolte dal mercato 8.800 tonnellate e 31 milioni di litri di generi agroalimentari contraffatti o prodotti in violazione della normativa sul made in Italy e sequestrati 603 siti internet utilizzati per lo smercio di articoli contraffatti;
   infine, su 5.765 controlli effettuati dalla Guardia di finanza in sale giochi e centri scommesse, sono state riscontrate irregolarità nel 30 per cento dei casi: sono stati sequestrati 576 apparecchi automatici da gioco e 1.224 postazioni di raccolta di scommesse clandestine, e sarebbero state scoperte oltre 36 milioni di giocate nascoste al fisco –:
   se il Governo sia al corrente dei dati riportati dal rapporto 2015 della Guardia di finanza di cui in premessa e quale sia il suo orientamento in merito;
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati, per quanto di competenza, per valutare i danni dell'impatto economico dell'evasione e delle frodi fiscali sull'economia italiana, emerso dal rapporto della Guardia di finanza, e per arginare tali fenomeni ancora ampiamente radicati nel nostro Paese, come dimostrano i risultati del rapporto stesso;
   più in particolare, quali iniziative si intendano porre in atto relativamente agli sprechi nella pubblica amministrazione e alle truffe sui finanziamenti pubblici, al fine di arginare il relativo danno patrimoniale per lo Stato italiano superiore ai 4 miliardi di euro. (4-12586)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAGANI. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   esistono macchinari salvavita che non possono essere trasportati nella stiva degli aerei. Nello specifico, l'apparecchiatura elettromedicale per la dialisi peritoneale è un macchinario molto delicato che deve necessariamente essere trasportato in cabina come bagaglio speciale;
   il macchinario in questione è un bagaglio fuori misura sia per dimensione (70x60x22), sia per peso (21kg), del quale molte compagnie aeree come Iberia, British Airways e Ryanair, consentono il trasporto in cabina a titolo gratuito con semplice, preavviso di 48 ore;
   un passeggero, a quanto risulta all'interrogante, avrebbe segnalato che Alitalia chiede che venga pagato un biglietto anche per il trasporto del suddetto macchinario salvavita in cabina, come bagaglio speciale;
   il paziente in dialisi peritoneale dipende, per la propria sopravvivenza, da questa apparecchiatura, che sostituisce la funzione renale e che viene utilizzato ogni notte per almeno 8 ore. Saltare una notte, significa avere delle grossissime ripercussioni sulla salute, dunque è assolutamente necessario che il macchinario viaggi sempre con il paziente. La terapia può essere interrotta solo in caso di trapianto, nei casi in cui il trapianto è possibile –:
   se il Ministro sia a conoscenza del fatto che Alitalia richiede il pagamento di un biglietto per il trasporto di macchinari salvavita;
   quali iniziative di competenza possano adottare, con la massima urgenza, affinché si garantisca la gratuità del trasporto di tali macchinari. (5-08187)


   GALGANO, MATARRESE, CATANIA, MOLEA, OLIARO, MONCHIERO, VEZZALI, SOTTANELLI, PIEPOLI, BARADELLO, FAUTTILLI, FITZGERALD NISSOLI, CATALANO, GALLINELLA, VECCHIO, LIBRANDI, DAMBRUOSO e CAPUA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Umbria ha risentito fortemente della recente crisi economica, per effetto della quale dal 2008 nella regione il prodotto interno lordo è sceso di quindici punti percentuali e sono raddoppiati i disoccupati e gli inattivi fino a raggiungere quota 80 mila;
   tale situazione ha portato la regione ad essere sempre meno attrattiva per gli investitori nazionali e internazionali, a dispetto della bellezza e delle enormi potenzialità del territorio;
   a pesare su questa scarsa attrattività è stato anche l'isolamento infrastrutturale, iniziato con la perdita dell'autostrada e proseguito con l'incapacità di reperire risorse, che rischia di diventare cronico a seguito delle ultime scelte politiche compiute;
   un sistema di collegamenti viari e ferroviari efficienti è, invece, tra i requisiti base per l'orientamento degli investimenti delle imprese;
   appare quindi urgente per la regione Umbria portare a termine i lavori iniziati sulle linee ferroviarie esistenti, a cominciare dal raddoppio delle tratte Terni-Spoleto e Spoleto-Campello, nonché mettere in sicurezza e ripristinare la ex Ferrovia Centrale Umbra;
   per quanto concerne la linea Terni-Spoleto, nel 2002 è stata progettata con una spesa di oltre 11 milioni di euro, doveva essere completata nel 2020, ma, allo stato attuale, i lavori non sono ancora iniziati, perché non sono state reperite le risorse necessarie;
   per quanto riguarda invece il raddoppio della tratta Spoleto-Campello, che interessa solo dieci chilometri di linea, i lavori iniziati nel 2001 non sono stati ancora terminati e sono costati finora oltre 100 milioni di euro. Tra l'altro, l'impresa che doveva completarli è destinataria di interdittiva antimafia perché coinvolta nell'inchiesta aperta sugli appalti Anas;
   in questo quadro occorrerebbe valutare se è il caso di destinare milioni di euro alla realizzazione della stazione dell'alta velocità Medioetruria, sul tracciato Roma-Firenze, nei pressi di Rigutino o Farneta, entrambi in provincia di Arezzo. Infatti, costruire tale stazione a circa 50 chilometri di distanza da Perugia significherebbe per l'Umbria essere tagliata di nuovo fuori dalla rete nazionale, a vantaggio della Toscana che beneficerebbe maggiormente delle ricadute positive derivanti dal passaggio della linea veloce;
   l'alternativa alla fermata a Rigutino o Farneta esisterebbe, anche a costo zero: basterebbe, infatti, allestire il treno «Tacito» — che parte ogni mattina da Terni alla volta di Milano con ritorno in serata e passa a Perugia-Fontivegge – con treno Pendolino Etr 600 o «Frecciargento» con uguale servizio in Umbria ma che dopo Arezzo può entrare nella linea alta velocità. Questa semplice deviazione permetterebbe di arrivare a Milano Centrale o a Napoli da Fontivegge in sole 3 ore e senza mai effettuare cambi;
   bisognerebbe deviare tre o quattro coppie di Frecciargento delle 98 totali che percorrono la dorsale alta velocità Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli per l'Umbria da Arezzo (scendendo da nord) e da Orte (salendo da sud) e sostituire i treni regionali veloci che risultano poco appetibili e costosi. I Frecciargento potrebbero fermare soltanto a Terni e Perugia con un allungamento dei tempi irrilevante, mentre i vantaggi sarebbero enormi per le imprese, per il turismo e per l'economia locale tutta –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano mettere in campo per potenziare e migliorare il trasporto su ferro in Umbria, così come previsto dall'accordo quadro sottoscritto tra RFI e regione, alla fine di far riacquistare al territorio quella centralità che oggi è puramente geografica e renderlo nuovamente attrattivo per gli investitori nazionali e internazionali. (5-08189)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dal sito del Ministero dell'interno che è stato pubblicato il bando del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, prot. n. 0002133 del 9 marzo 2016, per l'avvio di una «Procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di Comunicazione per le esigenze della Direzione Centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione»;
   a, riguardo si evince dal decreto del direttore del predetto dipartimento che «si rende necessario per le esigenze di questa Direzione Centrale assicurarsi un supporto tecnico di alto contenuto specialistico nelle attività e nei processi finalizzati alla comunicazione e all'informazione pubblica istituzionale relative alle attività che si svolgono nei centri di prima accoglienza, in stretto raccordo con l'Ufficio Stampa del Sig. Ministro»;
   pertanto, il dipartimento del Ministero dell'interno ha indetto una selezione volta all'attribuzione «a titolo gratuito» di un incarico per prestazione di lavoro autonomo occasionale per il cui esercizio è necessaria l'iscrizione in albi 9d elenchi professionali per lo «svolgimento della complessa attività di comunicazione» presso la direzione centrale;
   la persona selezionata è chiamata a svolgere attività impegnative tra le quali «supervisione e consulenza» nell'ambito della comunicazione e informazione connesse all'attività del Ministro dell'interno, in particolare, per quanto riguarda il fenomeno dell'immigrazione;
   ebbene, è inammissibile che il Ministero dell'interno bandisca una procedura comparativa finalizzata al conferimento di un incarico esterno con la pretesa di non corrispondere alcuna retribuzione, richiedendo, tra l'altro, pregressa esperienza e competenze specialistiche;
   in sostanza, con un bando di tale contenuto, si evince che il Ministero promuove ed autorizza lo sfruttamento del lavoro e addirittura non si fa riferimento ad alcun tipo di contratto né al pagamento di un compenso per prestazione occasionale e di un rimborso spese;
   è del tutto evidente che il fine del bando rappresenta un'assurda pretesa che svilisce il lavoro e la categoria a cui è rivolta la procedura selettiva che è quella dei reporter e giornalisti, già spesso sfruttati e sottopagati, «invogliando» indirettamente chi vorrà valersi delle prestazioni di tali professionisti, a farlo senza garantire alcun corrispettivo;
   è gravissimo che tale richiesta di lavoro gratuito provenga dal Ministero dell'interno, ossia un'istituzione che dovrebbe invece garantire a partire dalle proprie risorse la tutela dei diritti di chi lavora. Tale bando, inoltre, rappresenta, a giudizio dell'interrogante, l'ennesima applicazione distorta delle norme previste per l'attribuzione di incarichi esterni nella pubblica amministrazione –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati per quanto di competenza e per quali motivi sia stata indetta una procedura selettiva con tali criteri che appaiono all'interrogante del tutto in contrasto con le norme vigenti;
   se e quali iniziative si intendano adottare affinché non si proceda al conferimento dell'incarico in questione nei termini previsti, ma vengano rispettate le norme in materia e dunque i diritti posti a tutela dei lavoratori e le norme di accesso alla pubblica amministrazione.
(5-08182)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PANNARALE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 10 marzo 2016, il dipartimento per le libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno ha pubblicato sul proprio sito istituzionale una «Procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di Comunicazione per le esigenze del Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione»;
   la Federazione nazionale della stampa italiana (il sindacato dei giornalisti italiani) è intervenuta sul bando del Ministero dell'interno per un posto da giornalista professionista «a titolo gratuito» chiedendo il ritiro dello stesso per voce del suo presidente, Giuseppe Giulietti, del suo segretario aggiunto, Raffaele Lorusso, e del presidente della Commissione lavoro autonomo, Mattia Motta sostenendo: «È inaccettabile, oltre che offensivo, che il Ministero dell'interno proceda ad una selezione pubblica per reclutare un giornalista professionista specificando che l'incarico è a titolo gratuito»;
   in una nota congiunta Giulietti, Lorusso e Motta, sottolineano: «Quel bando va immediatamente ritirato. E inconcepibile pretendere una "complessa attività professionale" ad "alto contenuto specialistico", da affidare ad un giornalista professionista con certificata esperienza pluriennale, ma a titolo gratuito. Senza contare l'assurdità di definire "occasionale" un incarico della durata di un anno e l'inammissibile esclusione dalla selezione degli iscritti nell'elenco dei giornalisti pubblicisti, in chiara violazione della legge n. 150/2000. L'attività giornalistica, al pari di tutte le altre attività professionali, non può mai essere a titolo gratuito. Il bando pubblicato dal ministero dell'Interno offende il decoro della professione giornalistica e la dignità di migliaia di giornalisti che aspirano ad una occupazione stabile e ad una retribuzione adeguata. Per queste ragioni è auspicabile che venga immediatamente ritirato»;
   per il momento il bando resta valido e il termine per le candidature scade alle ore 12 del 18 marzo 2016; l'esito della procedura verrà comunicato entro venerdì 8 aprile e poi pubblicato sul sito del Ministero;
   si tratta di una collaborazione di un anno rivolta ai giornalisti professionisti «con esperienza lavorativa documentabile di almeno tre anni nel settore della comunicazione e dell'informazione maturata nell'ambito della Comunicazione istituzionale presso le Pubbliche amministrazioni e/o presso questa Amministrazione». Questa figura, oltre a fornire una consulenza sulla comunicazione istituzionale, dovrebbe curare i rapporti con la stampa, promuovere le attività redazionali e individuare «forme innovative di comunicazione» anche con la realizzazione di video-documentari. Tutto questo per una retribuzione pari a zero;
   un bando pubblico di questa natura indetto da un Ministero, legittimando il lavoro professionale gratuito, costituirebbe un pericoloso precedente rispetto ad ogni politica di contrasto al precariato e allo sfruttamento del lavoro –:
   se non si intendano assumere iniziative per ritirare il bando di cui in premessa che offende la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici a giudizio dell'interrogante in evidente contrasto con la legge n. 150 del 2000 e la normativa in materia di diritto del lavoro. (4-12575)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 10 marzo 2016 è stato pubblicato sul sito web del Ministero dell'interno un bando di gara avente ad oggetto la «Procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di Comunicazione per le esigenze della Direzione Centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione»;
   come si legge nel bando, la procedura comparativa è finalizzata alla selezione di un «esperto di particolare e comprovata professionalità» che possa fornire «un supporto tecnico di alto contenuto specialistico nelle attività e nei processi finalizzati alla comunicazione e all'informazione pubblica istituzionale relative alle attività che si svolgono nei centri di prima accoglienza, in stretto raccordo con l'Ufficio Stampa del Sig. Ministro»;
   deve, inoltre, rilevarsi che al giornalista selezionato ed assunto a titolo gratuito, secondo quanto stabilito dall'articolo 1 del decreto del direttore generale saranno affidati compiti di «supervisione» da ciò si desume che avrà responsabilità anche sul lavoro di altri soggetti;
   i requisiti specifici di cui all'articolo 2 del bando che consentono l'accesso alla procedura comparativa, prevedono che il candidato sia iscritto all'elenco dei giornalisti e professionisti, vanti un'esperienza lavorativa documentabile di almeno 3 anni nel settore comunicazione di pubbliche amministrazioni e possieda un'ottima conoscenza della lingua inglese;
   l'articolo 5 del bando, inoltre, specifica che l'incarico di durata di un anno, non prorogabile o rinnovabile, sarà svolto dal professionista «a titolo assolutamente gratuito» ma che, sulla base di una documentazione giustificativa presentata dall'interessato, è possibile che siano rimborsate nei modi e nei termini previsti dalla normativa di riferimento, le eventuali spese di viaggio, di soggiorno e di vitto sostenute per l'espletamento dell'incarico, se fuori dal comune di propria residenza;
   la discordanza tra i requisiti specifici d'accesso di cui l’«esperto di particolare e comprovata professionalità» deve essere in possesso, le prestazioni che il candidato selezionato andrebbe a svolgere e quanto invece stabilito dall'articolo 5, ovvero lo svolgimento dell'incarico «a titolo assolutamente gratuito», ha prodotto una dura reazione del FNSI – Federazione nazionale stampa italiana, il sindacato unitario dei giornalisti italiani;
   in data 16 marzo 2016 sul quotidiano Repubblica.it è stata riportata una nota stampa rilasciata dal segretario generale della FNSI, Raffaele Lorusso, insieme al presidente, Giuseppe Giulietti, e al segretario aggiunto e presidente della commissione lavoro autonomo del sindacato, Mattia Motta, i quali dichiarano quanto sia «inaccettabile, oltre che offensivo, che il Ministero dell'interno proceda ad una selezione pubblica per reclutare un giornalista professionista specificando che l'incarico è a titolo gratuito»;
   sostenendo che l'attività giornalistica, al pari di tutte le altre attività professionali, non possa essere esercitata a titolo gratuito, gli stessi esponenti della FNSI affermano che «il bando pubblicato dal Ministero dell'interno offende il decoro della professione giornalistica e la dignità di migliaia di giornalisti che aspirano ad una occupazione stabile e ad una retribuzione adeguata. Per queste ragioni è auspicabile che venga immediatamente ritirato»;
   si ricorda, inoltre, che in base al comma 5 dell'articolo 9 della legge n. 150 del 2000 la regolamentazione del rapporto di lavoro dei giornalisti impiegati negli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni è oggetto di contrattazione collettiva; in merito, non si comprende perché questa norma non debba trovare analogica applicazione –:
   se non intenda, in autotutela, assumere iniziative per procedere all'immediato ritiro del bando ovvero all'annullamento della relativa procedura di selezione, ove compiutasi. (4-12578)


   FEDRIGA, MOLTENI e CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla base delle disposizioni del decreto del Ministro dell'interno dell'11 marzo 2008, il 18 novembre seguente venne indetto un concorso per 814 posti nelle carriere iniziali dei vigili del fuoco;
   degli 814 posti a concorso, il 45 per cento era destinato a militari in ferma volontaria prolungata cessati senza demerito dal servizio, il 25 per cento ai vigili del fuoco volontari iscritti da almeno tre anni nelle liste e con non meno di 120 giorni di richiamo come vigili del fuoco discontinui, il 20 per cento a chi avesse svolto il servizio civile presso i vigili dei fuoco per non meno di un anno ed il residuo 10 per cento aperto ai civili esterni;
   la graduatoria finale degli idonei del concorso veniva pubblicata nel luglio 2010, al termine delle prove preselettive e delle prove motorie ed orali sostenute dai candidati;
   tre mesi più tardi, nell'ottobre 2010, la graduatoria veniva ritoccata;
   all'ottobre 2010, risultavano idonee 7.599 persone, il 69 per cento delle quali, pari a 5.236, costituite da civili esterni;
   negli anni successivi venivano indetti corsi di formazione propedeutici all'arruolamento nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   ai corsi 70 e 71 del 2011 partecipavano 1.554 candidati, tutti provenienti dal concorso indetto nel 2008;
   ai corsi 72 e 73 del 2013, invece, prendevano parte 936 persone, tra le quali 468 candidati del concorso del 2008 (50 per cento);
   la situazione si ripeteva nel 2014, con i corsi 74 e 75, a frequentare i quali venivano chiamate 1.218 persone, fra le quali altri 609 idonei del concorso del 2008;
   nel 2015, si è indetto un solo corso, il 76emo, al quale hanno partecipato 962 persone, fra le quali altre 481 del concorso del 2008, originariamente indetto per 814 posti;
   al termine di questi corsi, tutti i 599 ex militari del concorso 814 risultavano incorporati, così come i 148 provenienti dal servizio civile, mentre erano stati assunti solo 898 dei 1.616 discontinui e 1.881 civili su 5.236;
   nel 2016 potrebbe essere ultimata la procedura di stabilizzazione prevista per il personale precario dal decreto ministeriale del 30 luglio 2007, che ha assorbito il 50 per cento dei posti nei corsi 72, 73, 74, 75 e 76;
   diventerebbe quindi possibile assorbire gradualmente, ma anche più velocemente, i residui candidati idonei del concorso per 814 posti del 2008;
   per effetto delle disposizioni contenute nell'articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 101 del 2013, la graduatoria del cosiddetto concorso 814 è valida fino al 31 dicembre 2016;
   esiste un problema di sottodimensionamento degli organici dei vigili del fuoco che rischia di compromettere in più aree del Paese l'efficienza e l'efficacia del soccorso tecnico urgente;
   non è invece certo che per colmare le vacanze organiche si percorra questa strada e sembra invece possibile che si preferisca ricorrere ad una nuova procedura concorsuale, senza quindi ultimare l'incorporazione degli idonei del cosiddetto concorso per 814 posti –:
   se il Governo intenda promuovere, durante il 2016, nuovi corsi per l'incorporazione degli idonei del cosiddetto concorso per 814 posti e dei beneficiari residui della procedura di stabilizzazione di cui al decreto ministeriale del 30 luglio 2007;
   se il Governo intenda effettivamente coprire le vacanze organiche future nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco attingendo alle graduatorie degli idonei del suddetto concorso per 814 posti fino al loro esaurimento, come imporrebbero ovvie considerazioni di economicità, o se invece si ritenga di ricorrere a nuove procedure di selezione e per quali ragioni. (4-12580)


   VALIANTE, FIORONI, CARLONI, GINOBLE, FUSILLI, BOSSA, ROSTAN, CUOMO, SGAMBATO e FAMIGLIETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o marzo 2016 è stato revocato il servizio di scorta a don Luigi Merola;
   la comunicazione di tale revoca è stata effettuata telefonicamente dal colonnello dei carabinieri De Grandi, responsabile del servizio magistratura di Roma;
   don Merola è un presbitero della diocesi di Napoli, docente di religione presso l'Istituto Alberghiero Cavalcanti di Napoli e presidente della Fondazione Onlus denominata «À Voce d’è Creature», con sede legale in Via Piazzola al Trivio n. 15 cap 80141 Napoli e CF 95097930630, riconosciuta dalla prefettura di Napoli, personalità giuridica n. 1449 del 6 marzo 2009;
   dal 1o aprile 2004, in seguito alle minacce ricevute dopo l'assassinio della piccola Annalisa Durante, a don Merola fu assegnato un servizio di scorta e tutela con macchina blindata e due uomini di tutela;
   durante il suo servizio pastorale nella parrocchia di Forcella, don Merola si è distinto per la sua generosa opera di costruttore della legalità e di servizio, in particolare a favore dei bambini e dei cittadini più bisognosi di aiuto. Inoltre, ha più volte denunciato il crimine organizzato e lo spaccio della droga, assicurando alla giustizia numerosi esponenti dei clan. Ha testimoniato anche in numerosi processi, tra i quali quello per l'omicidio di Annalisa Durante;
   dopo aver lasciato Forcella, don Merola è stato consulente della legalità del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e consulente della Commissione parlamentare antimafia, portando la sua esperienza e testimonianza in moltissime scuole di Italia, sensibilizzando le nuove generazioni al rispetto delle regole;
   dal 2008 don Merola è presidente della Fondazione «A voce de creature» che ha sede in un bene confiscato alla camorra che gli è stato affidato dal comune di Napoli, la cosiddetta «villa di Bambù» del boss Raffaele Brancaccio, braccio destro di Eduardo Contini, clan molto attivo nel quartiere Arenaccia. La fondazione ospita circa 200 ragazzi, coinvolti in numerose attività, finalizzate al recupero scolastico e alla formazione alla legalità;
   in questi anni, poi, sono stati affidati a don Merola altri beni confiscati, come quello del clan Cesarano-Cascone sul territorio di Pompei e terreni sottratti a Marano di Napoli al clan Polverino-Nuvoletta-Simeoli, destinati ad una cooperativa agricola;
   don Merola continua a portare la sua testimonianza in numerose scuole del nostro Paese e in molte città dove viene invitato anche da associazioni e da istituzioni locali;
   don Merola, inoltre, ha sempre collaborato con le forze dell'ordine, fornendo spesso notizie riservate al fine di contrastare il fenomeno dello spaccio e la manovalanza giovanile della camorra. In particolare, anche recentemente ha dato il suo contributo alla squadra mobile della questura di Napoli sulla vicende della «paranza dei ragazzini di Forcella» per fare luce su alcuni delitti importanti;
   in questi ultimi due anni, poi, si sono manifestati eventi spiacevoli che hanno messo a repentaglio la sua incolumità. Da ultimo il 29 gennaio 2016, mentre si accingeva a partire per Civita Castellana (Viterbo), per partecipare ad un convegno in una scuola la automobile militare, Lancia Delta utilizzata dal comando provinciale carabinieri di Roma per il servizio di tutela della sua persona, veniva rubata da ignoti ladri, che hanno sottratto documenti riservati e materiale personale. Inoltre, nell'ottobre 2015 dopo aver partecipato ad un evento pubblico, don Luigi mentre si recava col suo scooter a casa dei genitori veniva affiancato da un'autovettura, che ha cercato di farlo cadere speronandolo;
   spetta agli organi competenti, verso i quali gli interroganti hanno completa fiducia, la valutazione del rischio e l'opportunità o necessità di garantire a chi è esposto contro la criminalità organizzata, la protezione dello Stato –:
   se non ritenga opportuno promuovere un'istruttoria, alla luce di quanto esposto, per garantire la necessaria ed adeguata protezione a don Luigi Merola. (4-12582)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o marzo 2016 è stato sottoscritto al Viminale l'accordo istituzionale tra Ministero dell'interno, prefettura e comune di Roma, che prevede anche l'istituzione di un'apposita «cabina di regia» presso la prefettura di Roma, con l'obiettivo di raccogliere informazioni dettagliate, attraverso una «mappa dei fenomeni criminali» per stilare la «mappatura del rischio» necessaria per individuare proposte migliorative per la dislocazione delle risorse e dei presidi di sicurezza sul territorio con le conseguenti strategie d'azione;
   l'accordo si prefigge di rafforzare i presidi delle forze di polizia nella capitale, e prevede la concessione in comodato gratuito da parte del comune di Roma di alcuni stabili da destinare a caserme e uffici delle forze dell'ordine;
   gli stabili individuati sarebbero sette, quattro edifici che precedentemente ospitavano istituti scolastici, un immobile confiscato alla criminalità organizzata, una caserma dismessa e un appartamento, che saranno destinati all'Arma dei carabinieri, alla polizia di Stato e alla Guardia di finanza;
   la scarsa sicurezza è una delle maggiori criticità della città di Roma, soprattutto se si considera che il controllo del territorio, tenuto conto delle esigue risorse a disposizione delle forze dell'ordine, è ad oggi del tutto insufficiente;
   il livello di sicurezza di una città si misura anche sulla percezione da parte dei cittadini, che a sua volta è strettamente connessa al numero e alla diffusione dei presidi delle forze dell'ordine sul territorio;
   nel corso del 2010 il complesso dell'ex scuola Baccelli, nel quartiere di Monte Cucco nel municipio XI di Roma Capitale, è rientrato nella disponibilità dell'amministrazione comunale, la quale si era impegnata a concedere lo stabile in comodato d'uso all'Arma dei carabinieri, un fatto giudicato una priorità da parte di tutti i soggetti istituzionali coinvolti, ma ciononostante ad oggi non risulta ancora essere stato stanziato alcun fondo propedeutico a tale trasferimento;
   nel quadrante di Tor Sapienza già al centro di molte polemiche per criticità connesse alla sicurezza, dovrebbe essere ristrutturato e trasformato in una caserma per i carabinieri lo stabile della ex scuola media statale «Elio Vittorini» di via Appiani, abbandonata da anni all'incuria e al degrado, ma nonostante le numerose richieste, il CIPE non avrebbe ancora stanziato i fondi necessari –:
   quali siano le zone del territorio di Roma Capitale che saranno oggetto di un potenziamento dei presidi, in base all'accordo di cui in premessa, e quale sia stato il criterio per procedere alla loro scelta;
   quali siano le reali tempistiche per il trasferimento in comodato d'uso dell'ex scuola Baccelli nel municipio XI di Roma Capitale all'Arma dei carabinieri per strutturare un presidio sul territorio ritenuto fondamentale per il quadrante cittadino, e quali quelle per la ristrutturazione e riconversione dello stabile dell'ex scuola di Via Appiani, per il quale è stato richiesto da tempo al CIPE uno specifico stanziamento dei fondi necessari. (4-12588)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 28 febbraio 2011 Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) pubblica un bando di concorso, per esami, a 3 posti da dirigente amministrativo di II fascia;
   il 6 luglio 2012 il decreto-legge n. 95 del 2012 (spending review) dispone la riduzione del 20 per cento dei posti da dirigente in dotazione organica per le pubbliche amministrazioni e quindi anche per gli enti di ricerca;
   l'Inaf, a seguito della riduzione ex lege del numero dei suoi dirigenti da 3 a 2, per ratio avrebbe dovuto adempiere una semplice rettifica del numero di posti indicati nel Bando di concorso da dirigente non ancora espletato, invece, a distanza di oltre 8 mesi dalla pubblicazione del decreto-legge n. 95 del 2012, in data 12 marzo 2013, revoca totalmente il bando di concorso de quo;
   il 14 marzo 2013 (2 giorni dopo la revoca del bando) l'ex deputato del Pd, Luciana Pedoto, non è rieletta alle elezioni politiche del precedente febbraio 2013, e il giorno successivo avrebbe dovuto riprendere servizio presso l'Ispsel (assorbito dall'Inail), ove era in forza con il ruolo di funzionario amministrativo;
   in seguito la Pedoto viene collocata direttamente in posizione di comando presso la direzione generale dell'Inaf, e successivamente nominata «Responsabile della trasparenza dell'anticorruzione» per il predetto ente;
   il periodo che va da tale assunzione alla domanda di partecipazione al nuovo concorso (25 ottobre 2013) cui parteciperà la Pedoto, verrà poi valutato come titolo ai fini del punteggio;
   il 25 ottobre 2013, vengono pubblicati due nuovi bandi di concorso, per titoli ed esami, ciascuno per un posto da dirigente amministrativo di II fascia presso l'Inaf (uno per il settore «risorse economico-finanziarie ed acquisizione di beni e servizi» e, l'altro, per il settore «risorse umane»);
   i due bandi di concorso sono stati pubblicati, a quanto consta all'interrogante, senza osservare le seguenti procedure previste:
    le pubbliche amministrazioni, prima di indire un concorso pubblico, debbono attivare una specifica procedura di mobilità preventiva ed effettuare una comunicazione al dipartimento della funzione pubblica, pena la nullità di diritto della successiva assunzione (articolo 30 comma 2-bis e articolo 34-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni ed integrazioni «testo unico del pubblico impiego»). L'inaf ha bandito i suddetti concorsi, non osservando secondo l'interrogante, i predetti disposti normativi;
    i bandi di concorso vanno di regola pubblicati in modo esplicito sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana in ossequio agli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, nonché del principio della trasparenza, mentre di fatto, i due predetti bandi di concorso, sono stati ricompresi in modo assolutamente generico nell'ambito di un «Avviso relativo alla pubblicazione di concorsi pubblici» all'Inaf;
   per la presentazione delle domande di partecipazione si fissa il termine perentorio di 30 giorni, mentre, nella fattispecie, il termine è stato invece ridotto a 20 giorni in contrasto con l'articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994;
   alla scarsa ed irrituale pubblicità dei bandi corrisponde una drastica riduzione dei partecipanti al concorso (da circa 250 domande di partecipazione per il bando del 2011 a 45 per quelli del 2013); Luciana Pedoto, che a quanto risulta all'interrogante non aveva presentato domanda per il precedente bando, la presenta invece per il concorso da dirigente relativo al settore «risorse economico-finanziarie ed acquisizione di beni e servizi», alle cui prove scritte parteciperanno successivamente solo 23 candidati dei 45 che ne avevano fatto domanda e cioè il 10 per cento dei potenziali partecipanti al primo bando poi revocato;
   la commissione esaminatrice del concorso è stata nominata con provvedimento del direttore generale dell'Inaf, senza conformarsi a quanto disposto dall'articolo 4, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 272 del 2004 che, per i concorsi da dirigente amministrativi di II fascia, così recita: «La commissione esaminatrice del concorso è nominata con decreto dell'Organo di governo dell'amministrazione che indice il concorso...». Va da sé che il direttore generale non è un «organo di governo dell'amministrazione», quali invece sono per statuto dell'ente, ad esempio, il presidente o ancor meglio il consiglio di amministrazione;
   il 7 luglio 2014 la Pedoto ha vinto il concorso per un posto di dirigente di seconda fascia presso l'Inaf;
   successivamente, la Pedoto è stata assunta dall'Inaf in qualità di dirigente –:
   se i fatti sopra elencati corrispondano a verità e se i Ministri interrogati non ritengano opportuno e dovuto, per quanto di competenza avviare tempestivamente presso l'Inaf, una capillare attività ispettiva, avvalendosi anche dell'Ispettorato della funzione pubblica, al fine di verificare la legittimità degli atti posti in essere nonché l'eventuale danno economico per l'ente. (4-12584)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la «EniChem Fibre s.p.a.» è stata la controllata del gruppo «EniChem» operante nel settore della produzione di fibre sintetiche e di intermedi per materie plastiche. Sorta come settore dell’«Anic» – che nel 1967 aprì lo stabilimento principale in Basilicata, a Pisticci – nacque ufficialmente nel 1984 a seguito della decisione dell'EniChem di creare società controllate per i rispettivi settori merceologici e produttivi: gli stabilimenti principali si trovavano a Pisticci e ad «Ottana» (NU);
   come denunciato da varie associazioni — e come si evince da atti di sindacato ispettivo depositati in questa legislatura anche dagli interpellanti – sono numerose le testimonianze su quanto accadeva nello stabilimento di Ottana negli anni ’90 e a ridosso del terzo millennio, in merito al contatto diretto degli allora lavoratori con l'amianto, in particolare attraverso l'inalazione della fibra in condizioni di lavoro non protetto;
   nello specifico, risultano essere decine i morti per tumori asbesto correlati che hanno lavorato all'interno della Enichem Ottana ed altrettante persone oggi lottano contro la malattia. Nonostante ciò, non esiste alcun riconoscimento ufficiale – da parte delle istituzioni dello Stato – della correlazione fra l'esposizione all'amianto e le patologie contratte dai lavoratori di Enichem: infatti, alle famiglie dei deceduti o di coloro che oggi lottano contro le malattie contratte sul luogo di lavoro, non sono riconosciuti i risarcimenti per morte o danno alla salute legate a causa professionale. Nella stessa misura, non sono riconosciuti i benefici e gli indennizzi previsti ai lavoratori, ancora in attività, esposti precedentemente all'amianto;
   «Ottana Polimeri S.r.l», operante sullo stesso polo industriale della «Enichem», nasce dalla evoluzione di «Inca International» (successivamente «Equipolymers»). Ad oggi, 30 dei 180 lavoratori dipendenti della ex Enichem risultano impiegati presso la «Ottana Polimeri S.r.l.»;
   il dottor S.D., dirigente medico dell'Inail della Sardegna, ha svolto negli anni la propria attività anche al di fuori dell'incarico ricoperto presso l'ente previdenziale. Nello specifico ha svolto attività di medico competente dei lavoratori presso la società «Ottana Polimeri srl» — nello stesso stabilimento sito in Ottana in seguito ad incarico ricevuto in data 21 ottobre 2013 –:
   se i Ministri interrogati non ritengano che tali attività potevano essere espletate dal medico compatibilmente con le funzioni di medico dell'Inail ovvero se l'INAIL abbia autorizzato il dottor S.D. a svolgere attività anche fuori dall'Istituto;
   se l'attuale funzione di medico competente dell'Istituto Inail Sardegna – svolta dal dottor D. in relazione alle istruttorie in atto presso l'Inail di Nuoro, Sassari, Oristano e Cagliari per il riconoscimento delle malattie professionali legate al crescere delle morti e dei malati riconducibili agli ex lavoratori Enichem del sito industriale di «Ottana», nonché ai loro eredi per il riconoscimento della rendita ai superstiti – sia compatibile con l'attività di medico competente per la sicurezza dei lavoratori svolta negli anni precedenti nello stesso sito industriale, ovvero se non ritengano che il medico versi in conflitto di interessi, anche alla luce di quanto disposto dall'articolo 18 del regolamento generale dell'Inail, oltre che in ottemperanza alle disposizioni della legge n. 69 del 2015, che riguarda specificatamente i medici dell'Istituto che sono tenuti ad osservare comportamenti tali da non determinare anche potenzialmente conflitti di interesse;
   se ritengano che quanto esposto in premessa sia comunque compatibile con l'attività istituzionale svolta dall'INAIL e se non ritengano che ciò comporti gravi pregiudizi all'istituto;
   se non intendano appurare se quanto in premessa sia fenomeno isolato ed occasionale ovvero se altri medici dell'Inail Sardegna abbiano esercitato in passato – o tuttora esercitino – la propria attività professionale anche al di fuori dell'incarico ricoperto presso l'istituto previdenziale;
   se non intendano verificare quanti siano i medici che lavorano in esclusiva per l'Inail Sardegna e se ciò sia conforme alla legge e, in caso contrario, quali iniziative siano state adottate in merito;
   se non intendano offrire chiarimenti in merito alla situazione di cui sopra.
(2-01317) «Piras, Duranti, Ricciatti, Quaranta».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il dato delle posizioni lavorative registrato all'inizio del 2016 dall'Istat, evidenzia un preoccupante rallentamento delle dinamiche lavorative;
   le assunzioni attivate da datori di lavoro privati nel gennaio 2016 sono risultate 407.000, registrando un calo di 120.000 unità, pari ad una diminuzione percentuale di 23 punti rispetto a quanto registrato nel gennaio 2015 e 94.000 unità, pari ad una diminuzione percentuale di 18 punti rispetto a quanto registrato nel gennaio 2014;
   il rallentamento ha riguardato soprattutto la tipologia di contratti a tempo indeterminato, i quali hanno registrato una diminuzione di 70.000 unità, pari a 39 punti percentuali rispetto al gennaio 2015, mentre sono diminuiti di 50.000 unità, pari a 32 punti percentuali rispetto a quanto registrato nel 2014;
   contemporaneamente, si è verificata una diminuzione dei contratti a tempo determinato, pari a 15 punti percentuali rispetto al medesimo dato registrato nel gennaio 2015, mentre la diminuzione rispetto all'anno 2014 risulta essere pari a 14 punti percentuali;
   risultano stabili le sole posizioni lavorative legate a contratto di apprendistato;
   anche le cessazioni registrano una contrazione pari a 19 punti percentuali rispetto al gennaio 2015, mentre è pari a 17 punti percentuali rispetto al gennaio 2014 –:
   se i fatti narrati in premessa siano a conoscenza del Ministro interrogato, se trovino conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di invertire la tendenza in atto, a partire dalla trasformazione in norme strutturali delle misure contenute nella legge di stabilità 2015, le quali mirano alla riduzione del cuneo fiscale, attualmente pari a 8.063 euro annui e la cui efficacia è però limitata nel tempo ad un solo triennio, al fine di aumentare non solo l'occupazione con la forma del contratto a tempo indeterminato ma anche il gettito fiscale proporzionale all'aumento degli occupati. (5-08181)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSTAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Auchan è una catena francese di supermercati ed ipermercati, considerata una delle principali aziende operanti nel settore della grande distribuzione a livello internazionale;
   in Italia, Auchan ha quarantanove punti vendita, distribuiti in 11 regioni;
   nel napoletano, sono ben 5 i punti vendita, ovvero Nola, Pompei, Mugnano di Napoli, Napoli – Via Argine e Giugliano in Campania;
   a seguito della caduta della domanda interna di consumi, generata dalla crisi economica internazionale, Auchan ha deciso, unilateralmente, di disdire il contratto integrativo aziendale con effetto dal 1o luglio 2015 e, in conseguenza di ciò, l'azienda ha prodotto centinaia di esuberi occupazionali (circa 1426 licenziamenti in tutto il Paese), specie di lavoratori dal profilo lavorativo più basso, come scaffalisti e cassieri (terzi e quarti livelli);
   sono rimasti pressoché immuni ai licenziamenti i capisettori, i capireparto, i quadri ed i dirigenti;
   a seguito di tali decisioni aziendali, è scattata, anche in Campania, la forte protesta delle rappresentanze sindacali, manifestata con l'organizzazione di presidi davanti agli ingressi dei cinque ipermercati presenti nel napoletano;
   nelle more della protesta sindacale, tra l'Auchan di Pompei e quello di Mugnano, hanno già perso il posto di lavoro 75 persone, e per il 9 agosto 2015, data di chiusura delle procedure di licenziamento, sono previsti, per la sola Campania, altri 276 licenziamenti, ovvero circa 50 esuberi a punto vendita;
   il meccanismo prescelto dall'azienda per i licenziamenti è quello della mobilità incentivata;
   nell'area a nord di Napoli, quella di Auchan è una delle realtà aziendali più importanti del settore della grande distribuzione e fornisce lavoro, sviluppo ed occupazione a migliaia di famiglie, tra attività diretta ed indotto;
   nell'ambito di un percorso di ristrutturazione aziendale, il 6 luglio 2015, l'Auchan ha raggiunto un accordo con Ministero del lavoro e le segreterie nazionali dei sindacati di categoria che prevedeva l'uscita dall'azienda in mobilità incentivata e volontaria di 1426 addetti di tutto il comparto italiano;
   tali fuoriuscite, nel corso dell'anno, sono state più numerose al Nord che al Sud (com'era prevedibile), motivo per il quale al Nord il numero di esuberi è stato superato a fronte di quelli presenti nel meridione;
   Auchan, pertanto, intenderebbe riequilibrare tale situazione di tagli e, quindi, ha disposto una pluralità di trasferimenti forzati imposti a dipendenti, costretti a spostarsi dall'attuale posto di lavoro, a centinaia di chilometri dal proprio luogo di residenza;
   nel caso di Mugnano, sarebbero circa 25 addetti su 180 a doversi trasferire dalla provincia di Napoli a quella di Brescia, Milano, Mestre o Roma;
   a Pompei, dove tale situazione si è verificata pochi mesi, 11 lavoratori, impossibilitati a subire trasferimenti così radicali, sono stati indotti, di fatto, a licenziarsi beneficiando della «NASPI», mentre 8 addetti hanno dovuto subire trasferimenti in sedi di Auchan in altre regioni;
   sempre a Pompei, altri 6 addetti hanno deciso di ricorrere al giudice di lavoro per chiedere l'annullamento di tali trasferimenti;
   tale problematica, al momento limitata agli stabilimenti di Mugnano e Pompei, molto presto riguarderà anche gli ipermercati di Giugliano, Nola e Napoli – Via Argine, dove a breve scadranno i contratti di solidarietà –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e delle problematiche di cui in premessa e quali ormai improcrastinabili iniziative intendano assumere per scongiurare il licenziamento di addetti alla grande distribuzione e dipendenti di Auchan, dovuti di fatto a trasferimenti imposti;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle procedure di trasferimento adottate da Auchan e ritengano di assumere iniziative per verificare, per quanto di competenza, che le stesse siano conformi all'attuale quadro normativo applicabile al caso di specie. (4-12589)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   gli oliveti della Basilicata sono i più vecchi d'Italia e oggi nella regione sono presenti circa 27 varietà autoctone di olivo. La coltura dell'olivo è diffusa su oltre l'85 per cento del territorio regionale e principalmente in collina e in montagna ed è l'ottava regione italiana tra i maggiori produttori di olio d'oliva. Il comparto olivicolo lucano interessa oltre 31.000 ettari dei quali circa il 60 per cento in provincia di Matera e il restante 40 per cento in quella di Potenza, per un patrimonio di oltre 5 milioni di piante;
   l'olivo in Lucania era già coltivato nell'antichità come risulta dagli scavi condotti nel Metapontino, cuore della Magna Grecia. I reperti archeologici di fattorie, sementi, aratri e altri oggetti testimoniano la grande tradizione agricola dell'area, documentata, tra l'altro, nelle straordinarie tavole di Heraclea e raffigurata su monete e vasellame risalente a epoche pre-cristiane;
   il 10 marzo 2016 il Parlamento europeo in seduta plenaria ha approvato il regolamento che prevede l'importazione nell'Unione europea senza dazi fino al 2017 di 70.000 tonnellate l'anno in più di olio d'oliva tunisino (35.000 per il 2016 e 35.000 per il 2017) in aggiunta alle attuali 56.700 tonnellate previste dall'accordo di associazione già in vigore. L'obiettivo della misura è dare sostegno all'economia tunisina, che a causa della minaccia terroristica ha subito una forte contrazione nel 2015 e per garantire la stabilità del suo sistema democratico;
   ai sensi degli accordi commerciali precedenti, la Tunisia poteva esportare nell'Unione europea fino a 56,7 tonnellate all'anno di olio d'oliva senza pagare dazi. Nel 2014-15 l'Unione europea ha importato 145.200 tonnellate di olio d'oliva tunisino, in netto aumento rispetto alle 32.000 tonnellate del 2013-14 e alle 114.400 tonnellate nel 2012-13;
   secondo le associazioni di categoria l'accordo metterà a rischio un'azienda agricola italiana su tre e andrebbe a favorire ulteriormente il fiorente mercato delle contraffazioni, che costerebbe all'Italia 60 miliardi di euro e 300 mila posti di lavoro. L'Italia, secondo i dati raccolti dal Corriere della Sera, è il Paese che con 298 mila tonnellate di olio prodotte nel 2015/16, 553 mila consumate, 570 mila importate e 300 mila esportate è in testa ai consumi europei, insieme alla Spagna;
   in base alle ultime ricognizioni dell'ISMEA effettuate a gennaio attraverso la sua rete di rilevazione e i dati delle dichiarazioni dei frantoi, si evince un forte incremento produttivo per l'oliveto Italia che dalle 222 mila tonnellate della scorsa campagna potrebbe arrivare quest'anno a una produzione superiore a 380 mila (+70 per cento);
   è evidente che le conseguenze di questa importazione rischiano di dare il «colpo di grazia» ai produttori meridionali che speravano di conseguire quest'anno quei margini di guadagno che purtroppo non si realizzano da molto tempo. Nel 2014 la produzione di olio di oliva italiano era calata di oltre il 35 per cento (fonte: ISMEA), passando dalle 464 mila tonnellate della campagna 2013 a meno delle 300 mila di quella del 2014 e i produttori avevano dovuto subire non solo l'andamento negativo del clima, ma anche gli attacchi di alcune specie patogene come la Xylella fastidiosa che hanno arrecato danni ingenti agli uliveti;
   la misura proposta dalla Commissione europea, per portare solidarietà alla Tunisia, in grave crisi economica, ha sollevato forti preoccupazioni nei produttori del comparto olivicolo italiano. Appare chiaro che il maggior quantitativo di olio di oliva tunisino, che affluirà nel mercato europeo, porterà seri danni alle produzioni di olio di oliva soprattutto italiane;
   le imprese agricole italiane sono al collasso, perché sostengono costi di produzione molto più elevati rispetto ai Paesi terzi, che utilizzano pesticidi dannosi per la salute e vietati in Italia e producono utilizzando una manodopera pagata al limite dello sfruttamento; entrambi questi fattori generano per gli agricoltori una concorrenza sleale insostenibile;
   a causa dei mancati ricavi o dell'esiguità dei ricavi rispetto alle spese da sostenere, gli agricoltori non sono in grado, da diversi anni ormai, nemmeno di fare fronte al pagamento delle imposte e dei tributi previsti dalle leggi vigenti. Le conseguenze sono state il verificarsi di un indebitamento spaventoso, il moltiplicarsi delle iscrizioni a ruolo dei mancati pagamenti, il proliferare di azioni esecutive nei confronti degli agricoltori, il fallimento di parecchie aziende;
   l'interrogante si rende conto delle ragioni di solidarietà, sia politica che economica, che hanno spinto l'Unione europea ad adottare questa misura, ma non può dimenticare che faranno le spese di questa strategia, gli olivicoltori italiani, produttori che già si trovano a dover fare i conti con la crisi del mercato olivicolo e non possono essere in grado di sopportare le eventuali conseguenze negative di questa scelta europea –:
   quali iniziative intenda assumere, nelle opportune sedi europee, al fine di tutelare l'olio extravergine d'oliva, considerato un'eccellenza del made in Italy, ed evitare effetti disastrosi per gli agricoltori e per i consumatori italiani che potrebbero non essere sufficientemente informati sulla qualità e la provenienza dell'olio acquistato quotidianamente;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare affinché l'olio tunisino sia controllato con misure rigide di tracciabilità e commercializzazione che impediscano l'eventualità che sia etichettato come made in Italy;
   quali iniziative intenda assumere, considerate le caratteristiche dell'economia regionale lucana, affinché essa non paghi un prezzo molto elevato in anni di crisi come quelli che si stanno attraversando e si individuino misure alternative che consentano ai produttori locali di riposizionarsi sul mercato. (3-02125)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CUOMO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il consorzio di bonifica in Destra del fiume Sele, ente diritto pubblico, è nato con regio decreto del 19 agosto 1932 come consorzio di bonifica di 1a categoria;
   l'ente ha sede in Salerno e la sua attività si esplica in maniera prevalente nei campi della difesa del suolo, dell'irrigazione, della tutela dell'ambiente, della valorizzazione del territorio agricolo ed è disciplinata, oltre che dalle specifiche norme vigenti per tali settori, dal regio decreto n. 215 13 febbraio 1933, ed anche da una serie di leggi regionali;
   suddetto ente ha approvato il 18 febbraio 2016 un nuovo regolamento che interviene sulle attività serricole nella piana del Sele;
   il regolamento in questione sta suscitando notevoli polemiche tra gli operatori del settore che, nel comprensorio in questione, rappresenta una delle principali voci dell'economia territoriale con numerose imprese e addetti;
   il regolamento sull'installazione di nuove serre è stato «bocciato» dalle associazioni di categoria e dell'ordine degli agronomi di Salerno;
   si contestano la mancata trasparenza nell'individuazione delle aree serrificabili ed il criterio di definire i bacini attraverso il sistema irriguo, creando un clima di diffidenza tra i proprietari;
   oltre a quanto sopra riportato, permane la questione del costo del trattamento delle acque e il previsto obbligo della costruzione delle vasche che però dovrebbe essere già compreso negli oneri sostenuti dagli imprenditori nel canone pagato al consorzio, altrimenti ci si chiede quale sarebbe la funzione di un consorzio di bonifica;
   in considerazione della tipologia delle imprese presenti, che sono medio piccole, la prescrizione di un obbligo di realizzare vasche di laminazione costringerebbe secondo l'interrogante, l'imprenditore ad avere la quota parte maggioritaria del proprio possedimento occupata da questa infrastruttura e non dall'impianto di produzione serricolo, il che sarebbe paradossale;
   tutto questo comporta un aumento dei costi di concessione per l'autorizzazione a realizzare nuove serre, con un regolamento che appare all'interrogante dirigista e non concertato con gli operatori;
   le organizzazioni di categoria nel contestare suddetto provvedimento hanno annunciato la volontà immediata di presentare osservazioni anche sulla definizione aree e sulla loro classificazione;
   in un comparto già fortemente penalizzato, un provvedimento del genere rischia di determinare la bancarotta di molte imprese gravate da costi insostenibili e non supportate da un ente che, invece di aiutare la produzione, genera ostacoli e accresce gli oneri, mettendo a rischio tessuto produttivo e livelli occupazionali;
   va inoltre evidenziato che siamo in prossimità dell'attivazione dei bandi del PSR 2014-2020 e l'incertezza sui criteri per le aree serrificabili mette a rischio la possibilità da parte degli imprenditori agricoli di poter candidare i propri progetti con la conseguenza di far perdere capacità competitive ad un intero territorio –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto espresso in premessa e se non intenda assumere iniziative per rivedere con il coinvolgimento delle regioni, la disciplina in materia di consorzi di bonifica, con particolare riguardo alla questione della classificazione delle aree serrificabili per evitare di penalizzare i produttori, promuovendo, per quanto di competenza, l'attuazione di tavoli tecnici che coinvolgano pienamente le associazioni di categoria senza input «dirigisti».
(5-08188)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o febbraio 2016 il sottoscritto ha presentato un'interrogazione al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in cui si chiedeva, tra l'altro, l'attivazione delle clausole di salvaguardia da parte della Commissione europea in merito all'accordo tra Italia e Marocco sulla commercializzazione del pomodoro;
   in particolare, tale accordo penalizza i produttori della regione Sicilia per varie cause addebitabili alle condizioni di dumping sociale in cui sono effettuate le coltivazioni di pomodoro nel Paese africano;
   è noto che il Ministro si è già attivato in sede europea per tutelare i produttori di pomodoro italiano –:
   se non sia opportuno fornire informazioni ai produttori di pomodoro sugli interventi attivati in sede europea da parte del Ministro interrogato. (4-12579)


   IACONO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la direzione generale della pesca marittima e dell'acquacoltura del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha recentemente licenziato un provvedimento che decreta l'esclusione della Sicilia dalla ripartizione delle cosiddette «quote tonno», al contrario di quanto programmato per il resto delle regioni italiane;
   tale decisione ha suscitato la condivisibile protesta di tutte le organizzazioni professionali e di categoria del settore, nonché delle principali flotte pescherecce siciliane, comprensibilmente preoccupate per la drammatica ricaduta che essa avrebbe sulle già deficitarie condizioni di un comparto che, al contrario di quanto accade effettivamente, dovrebbe costituire uno dei principali cardini dello sviluppo economico della regione;
   perfino la regione siciliana ha giustamente unito la sua voce di vibrata protesta a quelle degli operatori del settore, addivenendo, su iniziativa dell'assessore regionale al ramo, On.le Antonello Cracolici, alla convocazione del consiglio regionale della pesca, al fine di concertare e pianificare tutte le iniziative ritenute opportune a salvaguardare la nostra marineria artigianale e costiera;
   tale provvedimento rappresenta a conti fatti un colpo ferale ad un tipo di attività, quella della pesca artigianale, che oltre a costituire una delle pratiche più diffuse in molte parti della fascia costiera sud occidentale, in primis Sciacca, Licata e Mazara del Vallo, rappresenta altresì uno dei più antichi e suggestivi tratti identificativi della tradizione e della storia marinara siciliana;
   non si prevede alcuna «quota tonno», a fronte di un esponenziale aumento di tale specie ittica, stimato dell'ultimo pari a circa il 20 per cento rispetto all'anno precedente, benché il Mediterraneo sia letteralmente pieno di tonni che stanno prosciugando il mare delle specie di cui si alimentano, fra cui caratteristiche tipologie di pesce azzurro, sarde ed acciughe su tutti; alla luce di ciò, ben si comprende il danno enorme che viene arrecato a quelle flotte pescherecce la cui prevalente attività si concentra sulla pesca di tali specie;
   un tale provvedimento denota secondo l'interrogante quanto meno una non adeguata conoscenza delle attività di pesca che si svolgono nel Mediterraneo, nonché una altrettanto evidente mancanza di concertazione con le istituzioni regionali siciliane e con le organizzazioni professionali e di categoria;
   tale iniziativa appare ancor più incomprensibile laddove si pensi che essa muove in direzione diametralmente opposta a recenti direttive emanate dal Parlamento europeo in materia di pesca e cooperazione; il Parlamento europeo ha recentemente approvato una risoluzione mirante a ripartire il 20 per cento delle «quote di tonno» nazionali, tenendo conto anche della pesca artigianale, non comprendendosi dunque le motivazioni di una tale esclusione, atteso che la Sicilia risulta ad oggi la marineria più grande ed importante d'Italia proprio nel settore della pesca artigianale –:
   quali iniziative abbia intenzione di assumere al fine di porre rimedio agli effetti devastanti che avrebbe tale provvedimento della direzione generale pesca sulla flotta siciliana e quali correttivi si intendano dunque apportare per salvaguardare le aspettative e gli incomprimibili diritti di quanti ancora in Sicilia fanno della pesca la loro principale attività lavorativa, contribuendo in significativa parte alla crescita ed allo sviluppo economico, occupazionale e perfino culturale dell'intera regione. (4-12581)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, TOFALO, COLONNESE, LOREFICE, DI VITA, MANTERO, GRILLO e BARONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dagli anni Ottanta, a Salerno, nella zona di Fratte, al confine con la Valle dell'Irno, sono ubicate le Fonderie Pisano, dove viene smaltito e bruciato ferro e ghisa;
   all'epoca la zona era prevalentemente industriale, ma in seguito, con l'approvazione del nuovo piano regolatore regionale del comune di Salerno, cominciarono ad edificare e adesso c’è un vero e proprio conglomerato urbano che ospita centinaia di famiglie, supermercati, bar, pompe di benzina e altro;
   le Fonderie Pisano restano ancora ubicate in quella zona, causando fumi che, a seconda di come soffia il vento, giungono fino al centro di Salerno e nella Valle dell'Irno;
   il dipartimento dell'Arpac di Salerno ha effettuato i primi sopralluoghi a seguito di una ispezione dei Noe, che risale alla fine degli anni Novanta;
   da quella ispezione, nacque un'inchiesta della magistratura per mancanza di autorizzazione di scarichi di acqua reflua che convergevano nel fiume Irno che costeggia la zona;
   il processo si concluse con una sentenza di patteggiamento;
   una seconda inchiesta ha coinvolto di recente le Fonderie Pisano, a seguito di un esposto firmato da alcuni residenti della zona che si sono riuniti in un comitato chiamato «Salute e Vita»;
   il comitato ha più volte chiesto un incontro con l'ex sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, per ottenere la delocalizzazione dell'impianto, dal momento che molti sono i residenti di Fratte e delle frazioni limitrofe che si sono ammalati di neoplasie varie;
   l'ultimo incontro avuto con l'ex sindaco di Salerno risale all'aprile 2014, in occasione del quale fu promessa loro la delocalizzazione dell'impianto;
   la delocalizzazione, però, non è mai avvenuta, anche quando, ad aprile 2014, si è concluso il secondo processo a carico del titolare delle Fonderie Pisano per reati ambientali, conclusosi con una seconda sentenza di patteggiamento e una multa da 800 euro;
   frattanto, le morti e i funerali sono aumentati. Solo a febbraio 2016, il parroco don Marco Raimondo ha celebrato sette funerali in sette giorni per morti da sarcoma;
   tanto che il 23 febbraio 2016, la regione Campania ha ordinato con decreto la chiusura temporanea dello stabilimento, imponendo determinate prescrizioni da osservare per poter riprendere l'attività;
   il 28 gennaio 2016, infatti, funzionari dell'Arpac di Caserta e di Salerno, su mandato della procura di Salerno, hanno effettuato una ispezione, da cui sono emerse varie carenze strutturali dell'impianto dannose per l'ambiente e per la salute dei cittadini;
   in particolare, l'Arpac sottolinea la «scarsa manutenzione dei sistemi di trattamento delle emissioni in atmosfera» e la «mancata adozione di misure rispetto a superamenti di portata e di valori di emissione significativi emersi dagli autocontrolli effettuati» e «una scarsa conoscenza della normativa ambientale applicata allo specifico settore di riferimento»;
   in conclusione, l'Arpac ha rilevato «gravi criticità con particolare riferimento alle emissioni in atmosfera, alla gestione dei rifiuti e agli scarichi idrici, con conseguente determinazione di situazioni connotate di immediato pericolo e danno per l'ambiente e la salute pubblica»;
   dopo due settimane, il 9 marzo 2016, la regione Campania autorizza, con decreto, la riapertura delle Fonderie Pisano, sulla base di una ispezione effettuata il 7 marzo 2016 da funzionari dell'Arpac di Salerno;
   il sopralluogo in esame ha accertato che nelle Fonderie sono stati effettuati lavori relativi alla raccolta dei rifiuti, alla chiusura delle finestre rotte dello stabilimento e all'individuazione di nuove aree di deposito per i rifiuti;
   tuttavia, scrive l'Arpac «il riscontro relativo ai limiti di portata emissioni in atmosfera e alla rimozione delle cause di superamento valori limiti allo scarico, potrà essere concluso solo attraverso attività di campionamento ad impianto attivo» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere affinché sia tutelato il diritto ad un ambiente salubre fondato sul combinato disposto degli articoli 2, 9 e 32 della Costituzione;
   se il Ministro della salute intenda promuovere, per quanto di competenza, un'attività di screening, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, al fine di verificare i potenziali danni alla salute dei cittadini residenti nell'area;
   se in relazione ai fatti esposti in premessa non si ritenga necessario promuovere un'ispezione urgente da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente al fine di verificare l'esistenza di un pericolo grave ed imminente per l'ambiente e la salute dei cittadini. (5-08185)


   PAOLO BERNINI, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 settembre 2015, il primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo unitamente ad esponente all'associazione Eital, si recava in Sant'Ilario dello Ionio (RC) alla contrada Gabelle presso il canile Dog Center, struttura convenzionata con i comuni della zona. Detto intervento veniva effettuato a seguito di numerose segnalazioni circa lo stato di reiterato maltrattamento degli animali detenuti all'interno della detta struttura, nonché di tutte le vicende apprese nel corso degli anni, anche tramite i mass media e social network;
   presso il Canile Dog Center di Sant'Ilario dello Ionio (RC) e con il consenso del titolare signor Leonzio Tedesco, veniva effettuato un primo sopralluogo a seguito del quale si constatava la presenza di circa 483 cani detenuti in condizioni incompatibili con la loro natura. Ed, infatti, le condizioni igienico sanitarie degli stessi si presentavano pessime, non erano presenti ciotole con cibo e acqua; alcuni cani erano evidentemente denutriti e visibilmente bisognosi di cure per lacerazioni varie, chiaro segno di mancato intervento medico veterinario. Si rinveniva inoltre all'interno di alcuni box la presenza di sangue nelle feci dei cani. I croccantini erano sparsi sulla pavimentazione e misti a feci ed urine, ciò a significare la totale assenza dei minimi criteri di igiene e profilassi;
   a seguito di questo primo sopralluogo, si richiedeva l'intervento del Ministero della salute, il quale, a mezzo dei propri funzionari e con la presenza dei Nas in data 8 ottobre 2015, effettuava una prima ispezione all'interno della struttura al fine di accertare lo stato della struttura e le condizioni degli animali ivi detenuti;
   dal sopralluogo ispettivo, come da relazione in allegato, emergevano non solo diverse criticità strutturali e gestionali, ma una generale violazione delle norme in materia di randagismo con grave compromissione del benessere animale e quindi in violazione delle norme del maltrattamento degli animali, previste dal nostro codice penale. In considerazione delle circostanze constatate, quali ad esempio: sovraffollamento della struttura (presenza di 490 cani in luogo dei 260 ospitabili), impossibilità di verificare la terapia degli animali malati, gestione improvvisata della struttura, mancato rispetto delle procedure relative alla cattura degli animali, alla loro cura ed al loro mantenimento all'interno del canile, box non adeguati alle prescrizioni normative vigenti in materia; assenza di sterilizzazione di tutti gli animali, mancata identificazione di buona parte degli stessi, poiché sprovvisti di microchip assenza, inoltre, dei registri di carico e scarico e dei minimi precetti gestionali dovuti in strutture di canile-rifugio;
   in virtù delle accertate gravi condizioni degli animali, con seria compromissione del benessere animale, il Ministero indicava al titolare del canile delle raccomandazioni da effettuarsi nel termine di sei mesi, rinviando per l'accertamento delle violazioni di legge all'autorità competente e non richiedendo alle forze dell'ordine di sottoporre a sequestro la struttura e gli animali ivi presenti;
   attualmente, nonostante le prescrizioni previste dai funzionari del Ministero della salute, i cani ospitati nel canile sono aumentati, giacché come dichiarato dallo stesso signor Tedesco in data 28 dicembre 2015 risultano essere 500, chiaro segno questo del perpetrarsi della condotta illecita del signor Tedesco. Gli animali non sono ancora stati sterilizzati, si disconosce lo stato di salute degli stessi, i box non sono stati attrezzati come indicato dal Ministero il signor Tedesco non permette l'ingresso alle associazioni di volontariato, impedendo così anche la possibilità di adozione dei cani, e le dovute cure medico veterinarie;
   si evidenzia il sovraffollamento della struttura, che si presenta dalle dimensioni ridotte e pertanto non adatte ad accogliere il numero dei cani in essa presenti: più precisamente si rileva che alla data del 28 dicembre 2015 risultavano essere presenti circa 500 cani (nonostante il divieto imposto dal Ministero all'ingresso di ulteriori animali), in luogo dei 260 previsti. Medesimamente dicasi anche per i box, laddove ai sensi del decreto del Commissario ad acta della regione Calabria n. 32 dell'11 maggio 2015 è previsto che per ogni cane occorre che sia messa a disposizione una superficie pari a 8 metri quadrati (5 metri quadrati per i canili sanitari), mentre nel caso di specie anche detta prescrizione risulta essere stata violata. È opportuno rilevare che tutte le disposizioni dettate dal del decreto del Commissario ad acta della regione Calabria n. 32 dell'11 maggio 2015 sono state violate a giudizio degli interroganti dal titolare della struttura Dog Center, con ciò compromettendo seriamente il benessere animale;
   giova evidenziare che già la terza sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 37859 depositata in data 16 settembre 2014 ed in cui ha affrontato la vicenda processuale di un canile in merito alla legittimità di un provvedimento di sequestro preventivo, ha avuto modo di specificare che la presenza in una struttura nella specie canili) di animali in sovrannumero «può costituire un solido indizio per integrare il fumus commissi delicti del reato provvisoriamente contestato (articolo 727 codice penale), rappresentando un serio elemento di prova della detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura e tale da provocare agli stessi uno stato di grave sofferenza. Ed, infatti, la norma incriminatrice è configurabile a prescindere dalla questione circa la applicabilità dei parametri previsti da una legge regionale e riguarda anche i canili privati». Continua poi in tal guisa, rilevando che dalla presenza nella struttura sequestrata di animali in sovrannumero «non apparisse il portato delle emergenze del randagismo sul territorio, quanto piuttosto una scelta imprenditoriale diretta a sacrificare il benessere degli animali alle logiche del profitto, essendo risultato che, anziché adoperarsi per rientrare nel limite prescritto la struttura continuava a partecipare e ad aggiudicarsi le gare indette dai vari comuni, aumentando ulteriormente il numero degli animali ricoverati». Detta massima ben si concilia a giudizio degli interroganti con la situazione del canile di S. Ilario dello Ionio, se si tiene in debito conto che, alla data dell'ispezione del Ministero, avvenuta in data 8 ottobre 2015, i cani erano all'incirca 490, in data 28 dicembre 2015 ve ne erano già circa 500 ed, oggi, risulta anche certo che il titolare del canile Dog Center abbia partecipato alla gara di appalto n. 00477/2015 per il servizio di ricovero, custodia e mantenimento cani randagi indetta dal comune di Monasterace, così contravvenendo anche a quanto disposto dal Ministero nella propria relazione del 20 novembre 2015;
   si ricorda inoltre che i veterinari sono ufficiali di polizia giudiziaria a competenza speciale ai sensi dell'articolo 57, comma 3, del codice di procedura penale che dispone: «Sono altresì ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate secondo le rispettive attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'articolo 55». I veterinari, quindi, sono ufficiali di polizia giudiziaria e svolgono funzioni di polizia giudiziaria:
    nei limiti del servizio cui sono destinati; secondo le rispettive attribuzioni; tali attribuzioni di polizia giudiziaria sono individuate da leggi e regolamenti;
    nello specifico, l'articolo 55, comma 1, del codice di procedura penale prevede che il veterinario pubblico ufficiale deve anche di propria iniziativa: prendere notizia dei reati; impedire che vengano portati ad ulteriori conseguenze (articolo 40, comma 2, del codice penale); ricercarne gli autori; compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova; raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legislazione penale;
   l'articolo 55, comma 2, del codice di procedura penale dispone che la perizia giudiziaria deve svolgere ogni indagine e attività disposta o delegata dall'autorità giudiziaria;
   la polizia giudiziaria ha altresì l'obbligo di riferire senza ritardo al pubblico ministero la notizia di reato (articolo 347 del codice di procedura penale); nonché di garantire l'assicurazione delle fonti di prova (articolo 348 del codice di procedura penale); di procedere all'identificazione dell'indagato e delle persone informate sui fatti (articolo 349 del codice di procedura penale); di assumere sommarie informazioni dall'indagato e dalle persone informate sui fatti (articoli 350 e 351 del codice di procedura penale); di procedere alle perquisizioni personali e locali nella flagranza del reato (articolo 352 del codice di procedura penale); di acquisire plichi o corrispondenza (articolo 353 del codice di procedura penale); di compiere gli opportuni accertamenti sui luoghi, sulle cose o sulle persone, e provvedere, se del caso, al sequestro probatorio di una cosa e alla sua convalida (articoli 354 e 355 del codice di procedura penale);
   si rileva inoltre che il difensore della persona indagata può assistere agli atti previsti dagli articoli 352 e 354 del codice di procedura penale (articolo 356 del codice di procedura penale);
   la polizia giudiziaria è inoltre tenuta a garantire la documentazione (annotazioni e verbali) di tutte le attività svolte (articolo 357 del codice di procedura penale); essa può inoltre eseguire di propria iniziativa il sequestro preventivo (articolo 321, comma 3-bis del codice di procedura penale) –:
   se i funzionari medico-veterinari del Ministero della salute, recatisi presso il canile di S. Ilario, nell'esercizio delle loro mansioni di polizia giudiziaria, dopo aver verificato le predette condizioni di detenzione dei cani che non rispettano minimamente le loro esigenze socio-etologiche, abbiano segnalato i fatti all'autorità giudiziaria per le conseguenti determinazioni e quali ulteriori iniziative abbiano assunto;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per implementare la disciplina concernente i requisiti igienico-sanitari e i profili di responsabilità delle strutture adibite a canili, tenuto conto delle criticità che sono emerse nella vicenda del canile di cui in premessa e della sua gestione;
   se il Ministro interrogato non intenda, con carattere di urgenza, promuovere iniziative, in collaborazione con gli enti locali, per identificare una soluzione immediata per la condizione di maltrattamento reiterato in cui versano oltre 480 cani e per cui esiste una chiara e lunga catena di responsabilità già denunciata più volte all'autorità giudiziaria dal primo firmatari o del presente atto;
   se il Ministro della salute non ritenga opportuno avviare e valorizzare nuovamente le attività operative delle task force sul benessere animale, presente all'interno del Ministero stesso che, al momento, appare ridotta per capacità di azione e di intervento, in considerazione di quanto sopra descritto e testimoniato personalmente;
   se il Ministro della salute, a 25 anni dalla norma che prevede la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo (legge quadro 281/91), non intenda considerare fondamentale anche il grave danno recato agli animali quali esseri senzienti come previsto dalla legge n. 201/2010 (ratifica della Convenzione di Strasburgo del 13/11/1987 inerente le norme di protezione degli animali domestici. La convenzione è entrata in vigore in Italia il 1/11/2011) e per questo non ritenga prioritario agire per favorire la sua corretta applicazione e verifica tramite una efficiente e capillare indagine sul territorio sulle strutture di canile sanitario e di canile rifugio, come le Associazioni di tutela animale e animaliste continuano a segnalare, a seguito delle inadempienze sia a carico delle Asl che dei comuni;
   se il Ministro della salute sia a conoscenza che questa importante legge sia del tutto disattesa e inapplicata in numerosi distretti del nostro territorio, in particolar modo nel sud Italia dove le convenzioni dei comuni con le strutture di rifugi privati sono spesso collegati alla gestione della malavita organizzata e per questo non garantiscono né la corretta applicazione della normativa, né il benessere degli animali né il corretto utilizzo di fondi pubblici. (5-08186)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti di stampa di un'inchiesta per del latte contaminato da aflatossine, che avrebbe portato in questi giorni la procura di Brescia ad iscrivere più di 30 persone nel registro degli indagati con l'accusa di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari e i Nas ad effettuare un maxi sequestro di quattromila forme di Grana Padano contenenti valori di aflatossine fuori norma;
   il latte sarebbe risultato contaminato perché le mucche sono state nutrite con mais reso tossico dalla presenza di aflatossine;
   le aflatossine sono micotossine prodotte da specie di funghi appartenenti alla classe degli ascomiceti, genere aspergillus, o comunque da muffe, sono altamente tossiche e sono considerate tra le sostanze più cancerogene del pianeta; in condizioni ambientali favorevoli colonizzano grano, mais, arachidi e altri semi oleosi e l'estate scorsa, a causa dell'alto grado di siccità, avrebbero goduto del clima ideale;
   gli allevatori e responsabili di caseifici ora indagati, avrebbero dovuto fare esami specifici sul loro mais e se contaminato destinarlo alla produzione di biogas, non all'alimentazione bovina, ma secondo quanto raccolto finora dall'inchiesta, avrebbero invece usato quel latte contaminato per produrre il formaggio;
   soltanto alcuni caseifici avrebbero rifiutato il latte contaminato, tra cui il caseificio Ambrosi e la Centrale del Latte, gli unici due ad aver comunicato all'Asl i valori troppi elevati della sostanza, mentre sembrerebbe che nemmeno i 3 centri di analisi accreditati in provincia e l'Istituto zooprofilattico si siano accorti di nulla;
   una volta ricevute le analisi di laboratorio, se l'aflatossina M1 risulta superiore ai 0,05 microgrammi al litro, i tecnici dovrebbero avvisare il giorno stesso sia l'allevatore sia l'Ats; addirittura una segnalazione andrebbe fatta anche se si supera la soglia di attenzione di 0,04 microgrammi, ma questo, da settembre fino al 31 dicembre 2015, non è mai avvenuto facendo sì che molti allevatori utilizzassero, come mangime per le proprie vacche da latte, il mais tossico, cresciuto nell'estate più calda e siccitosa che si ricordi, clima ideale per lo sviluppo delle aflatossine;
   per il momento nessun dirigente o tecnico dell'Istituto zooprofilattico sperimentale risulta indagato, ma il prestigioso istituto si sarebbe comportato come gli altri tre laboratori di analisi privati (due nel bresciano, uno nel cremonese) favorendo la commercializzazione di latte che avrebbe invece dovuto essere distrutto: i oltre 300 i valori oltre soglia non segnalati;
   l'inchiesta si sta ora estendendo anche alla provincia di Mantova e Cremona;
   sembra che l'Asl di Brescia tenda per ora a minimizzare le ricadute di quanto avvenuto sulla salute dei consumatori coinvolti, ma la tossicità del latte è accertata, anche se i rischi reali per la salute dei cittadini si registreranno solo a lungo termine;
   tale inchiesta ha evidenziato la fragilità del sistema di esami in «autocontrollo», che ovviamente possono essere più facilmente «ritoccati», e getta il dubbio anche sull'Istituto zooprofilattico di Lombardia ed Emilia Romagna, che ha effettuato centinaia di controlli per conto dei singoli allevatori e dei caseifici, scoprendo in diversi casi le contaminazioni, ma senza effettuare le relative segnalazioni all'Agenzia di tutela della salute, come dettato dalle norme di legge;
   la regione Lombardia ha ora annunciato un piano di più di 6000 controlli straordinari nelle diverse aziende in cui si munge e si lavora il latte, per verificare la presenza di aflatossine;
   ogni anno centinaia di prodotti vengono ritirati dal commercio perché sono contaminati da batteri patogeni, per la presenza di oggetti estranei, errori nelle etichette, oppure date di scadenza inesatte, e nonostante il rischio per la salute, i consumatori raramente ne sono messi al corrente;
   così come è evidente che la volontà del legislatore, delle amministrazioni pubbliche con competenza in materia di agricoltura e di sicurezza alimentare si sia pronunciata chiaramente in direzione di norme certe in materia di tracciabilità ed etichettatura dei prodotti;
   quanto avvenuto e doppiamente grave perché non solo ha esposto i cittadini alla contaminazione attraverso il consumo di latte e formaggi, ma getta discredito sul buon nome del latte bresciano e lombardo e sui suoi derivati, come i tanti formaggi dop, rischiando di distruggere un comparto già in grave difficoltà, alle prese con una crisi congiunturale senza precedenti, visto che il latte viene pagato meno di 36 centesimi al litro, cifra che non riesce nemmeno a coprire le spese aziendali;
   la presenza delle aflatossine, agenti accertati scientificamente come cancerogeni, è un fattore di tossicità particolarmente insidioso per l'infanzia –:
   quale sia l'orientamento del Governo, per quanto di competenza, in merito alla questione, al fine di rassicurare la popolazione italiana e i produttori onesti circa la repressione e soprattutto la prevenzione delle frodi tossiche sul latte;
   se il Governo non ritenga necessario attivarsi, per quanto di competenza, attraverso un più efficace coordinamento delle istituzioni periferiche delegate ai controlli, valutando anche possibili iniziative normative per l'inasprimento delle pene previste per tali reati di contraffazione alimentare;
   se non si intendano porre in essere tutte le iniziative conoscitive al fine di sapere dove sia stato distribuito e venduto il latte tossico e in che quantità sia stato consumato e al contempo quali indagini mediche si intendano proporre per coloro che hanno consumato il prodotto incriminato per valutare l'impatto che ha avuto sulla loro salute;
   se non si ritenga necessario nonché urgente intraprendere azioni per tutelare la salute dei consumatori anche attraverso controlli più tempestivi e rigorosi della qualità dei prodotti messi in commercio e l'adozione di ulteriori iniziative al fine di preservare anche i livelli occupazionali e produttivi delle aziende del settore;
   se il Governo, sia nell'interesse collettivo sia di quello delle imprese agroalimentari, intenda finalmente adoperarsi affinché venga data ai consumatori una informazione chiara, trasparente, verificata e completa sui pericoli alimentari;
   se sia intenzione del Governo, in sinergia con le regioni colpite dalla vendita del latte e del formaggio, costituirsi parte civile, allorché ne ricorrano i presupposti, nei confronti dei truffatori;
   se il Governo abbia intenzione e in che modo di difendere l'immagine del sistema agroalimentare italiano del territorio lombardo, colpito da questo scandalo, tutelandone le eccellenze enogastronomiche, al fine di scongiurare ulteriori contraccolpi negativi sull'economia di un territorio già in difficoltà da tempo per la crisi economica. (4-12585)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, FRANCO BORDO, MELILLA, DURANTI, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, NICCHI, COSTANTINO, KRONBICHLER, PLACIDO, AIRAUDO, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo uno studio di Confartigianato, rilanciato da diversi organi di stampa (tra i quali il Corriere Adriatico del 17 marzo 2016) sarebbero circa 4.800 le imprese artigiane delle Marche minacciate dal mercato del falso e dalla contraffazione dei prodotti made in Italy;
   lo studio vede le Marche al secondo posto per questo particolare indice, dopo la Toscana, con circa un terzo del totale delle imprese del manifatturiero artigiano operanti in Italia;
   lo studio di Confartigianato segnala come siano stati sequestrati in un anno 23.122.367 articoli contraffatti, tra i quali abbigliamento, calzature ed occhiali, generando mancate vendite regolari per 9.888 milioni di euro e conseguenti perdite di 88 mila posti di lavoro nel settore;
   Confartigianato sottolinea che oltre alla contraffazione pesano sulla filiera produttiva «regolare» del made in Italy il lavoro nero e l'abusivismo;
   la «mappa del rischio» del fenomeno contraffazione fotografa una situazione nota e più volte segnalata dall'interrogante al Ministro in indirizzo, che vede il distretto di Fermo primo per quota di artigianato manifatturiero a rischio concorrenza sleale (66 per cento), seguito dal distretto di Macerata (39,8 per cento), Ascoli (22,7 per cento), Ancona (21,9 per cento) e Pesaro Urbino (18,2 per cento); tra i prodotti più soggetti a contraffazione vi sono i capi di abbigliamento e le calzature, nonché alcuni accessori come cinte e borse;
   nonostante le numerose rassicurazioni offerte dal Ministero circa il proprio impegno per contrastare il fenomeno della contraffazione in Italia, più volte ribadito nel corso di questa legislatura in risposta ai diversi atti di sindacato ispettivo avanzati dagli interroganti, lo studio riportato conferma come il problema della contraffazione sia tutt'altro che ricondotto ad uno stato fisiologico, soprattutto nelle Marche –:
   quali iniziative ulteriori intenda adottare il Ministro interrogato al fine di intensificare la lotta alla contraffazione dei prodotti made in Italy;
   se non ritenga opportuno predispone iniziative ad hoc per le realtà produttive manifatturiero artigiane delle Marche, della Toscana e dell'Umbria, risultate più esposte nel richiamato studio di Confartigianato. (5-08180)


   ROCCHI, EPIFANI e BECATTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 199 del 2 marzo 2015, la giunta della regione Toscana ha formalmente riconosciuto come aree di crisi Piombino, con i comuni del polo siderurgico di Campiglia Marittima, San Vincenzo, Sassetta e Suvereto; Livorno, con i comuni di Livorno, Collesalvetti e Rosignano Marittimo; Massa Carrara, con i comuni compresi nella provincia;
   in tutti questi casi gli interventi si inseriscono nell'ambito di altrettanti accordi di programma con l'Esecutivo che sono stati firmati nel mese di maggio 2015;
   l'accordo di programma riguardanti comuni di Livorno, Collesalvetti, Rosignano Marittimo, all'articolo 8 impegna le parti a promuovere e sostenere condizioni di efficientamento delle infrastrutture energetiche presenti e la realizzazione di nuove iniziative industriali sul territorio volte a migliorare le condizioni ambientali e la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e a mantenere od innalzare la competitività dell'apparato produttivo, a partire dal polo industriale di Rosignano Marittimo;
   le parti declinano gli impegni anche nella verifica dei presupposti normativi funzionali agli obiettivi dichiarati;
   attualmente nel parco industriale di Rosignano Marittimo, oltre ad aziende dell'indotto, operano società industriali (Solvay, Inovyn, Ineos ed Engie) che, per livello di sinergie ed interconnessioni, rappresentano una peculiarità nel panorama industriale italiano;
   si sottolinea, in particolare, l'attività della società Solvay, proprietaria dell'unico impianto esistente in Italia per la produzione di carbonato di sodio, bicarbonato di sodio e cloruro di calcio, oltre all'impianto più grande d'Italia di acqua ossigenata. Sono materie prime che alimentano in modo costante filiere produttive, strategiche nel panorama produttivo italiano, di cui la società Solvay detiene quote significative di mercato e la cui perdita avrebbe conseguenze economicamente e socialmente non sostenibili per ambiti industriali e geografici sicuramente più ampi di quelli dell'area costiera toscana;
   studi e ricerche, presentati in un convegno tenuto a Rosignano il 28 gennaio 2016, hanno consentito di evidenziare quali possono essere le criticità da superare e le opportunità di investimento che possono consentire, anche nell'ottica dell'accordo di programma, la valorizzazione del parco industriale. Si stima che l'opportunità di nuovi investimenti privati connessi alla presenza industriale ed occupazionale nel sito, possa arrivare a 100 milioni di euro, derivanti da impieghi diretti o da nuovi insediamenti a monte o a valle del sistema produttivo integrato esistente. Lo sviluppo previsto si fonda in gran parte sulla possibilità di mantenere e consolidare, nei prossimi anni, la competitività conseguita il cui ostacolo maggiore è rappresentato dalla sostenibilità dei costi energetici;
   attualmente il sito beneficia dei vantaggi del sistema CIP 6/92 attraverso la centrale termoelettrica a cogenerazione Rosen, del gruppo Engie. Tale sistema andrà però in scadenza nel mese di maggio 2017 comportando un drastico degrado della competitività del sito se non compensato altrimenti –:
   se sia stato valutato l'impatto del costo dell'energia sulla tenuta dei sistemi industriali coinvolti nell'accordo di programma ed, in particolare, se siano state valutate le possibili ricadute sul sistema industriale di Rosignano e dei settori produttivi collegati, riconducibili alla scadenza del sistema CIP 6/92;
   quali iniziative, anche normative, possano essere attivate per arginare una possibile e rapida perdita di competitività che minerebbe in maniera rilevante il raggiungimento delle finalità dell'accordo di programma per il rilancio dell'area costiera livornese. (5-08183)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione dell'Hotel De La Ville Intercontinental di Roma ha annunciato la cessazione della sua attività al 31 marzo 2016 e il contestuale licenziamento di tutti i dipendenti;
   la decisione della chiusura deriverebbe dalla difficoltà della società titolare del contratto d'affitto per i locali alberghieri, la «Delaville Srl» di trovare un accordo con la società proprietaria delle mura per prorogare il contratto di locazione, scaduto il 31 dicembre 2013, a fronte dei necessari interventi di ristrutturazione dello stabile;
   da questo deriverebbe l'obbligo, per la società «Delaville Srl» di restituire l'immobile «libero da persone e sgombro da mobili e attrezzature» entro e non oltre la data del 27 marzo 2016;
   la conferma della definitiva chiusura della struttura comporterà la perdita del proprio posto di lavoro già dal 24 marzo 2016 per ben 136 persone, alle quali si aggiungeranno un'ulteriore cinquantina di lavoratori, impiegati in servizi connessi all'attività alberghiera quali ristorazione, lavanderia e altro;
   l'Hotel De La Ville è una delle strutture alberghiere più prestigiose ed eleganti della Capitale e la sua chiusura determinerà un peggioramento dell'offerta ricettiva della città;
   in Italia e a Roma il settore del turismo è di importanza strategica per l'economia e va sostenuto, tutelato e promosso con ogni strumento –:
   se siano informati dei fatti di cui in premessa, e quali urgenti iniziative intendano assumere per tutelare i lavoratori coinvolti. (4-12587)

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi n. 5-08172, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 592 del 17 marzo 2016.

   TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, CIPRINI, DALL'OSSO, LOMBARDI, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Bames e Sem, ex Celestica ed ex IBM, aziende dislocate nella zona est della Brianza, fiori all'occhiello della Silicon Valley, un tempo leader nei servizi di progettazione, sviluppo e distribuzione di apparecchiature elettroniche, hanno dichiarato il fallimento nel 2013;
   in data 12 gennaio 2016, veniva pubblicata sul quotidiano online «ilgiorno.it», la notizia che la procura di Monza aveva chiuso l'inchiesta per il fallimento della Bames e della controllata Sem, lasciando a casa circa 400 lavoratori;
   le indagini erano state avviate dalla guardia di finanza di Monza su di un contratto di lease back e un finanziamento con cui Bames ha ottenuto circa 87 milioni di euro. Denaro che, in base alle ricostruzioni investigative, è servito, per acquistare partecipazioni in altre società e per finanziare altre aziende del gruppo. Successivamente, sotto la lente degli inquirenti è finita la posizione dell'allora responsabile amministrativo di Celestica Italia, Giancarlo Sala e di due ex dirigenti canadesi della società madre Celestica, Serge Lamothe e Todd Melendy, ora divenuto manager di caratura mondiale in altri colossi dell'economia, con l'ipotesi di accusa che la scissione tra Bames e Sem, società in seguito nuovamente riunite, possa essere stata decisa a tavolino per fare acquisire un illecito vantaggio ai partner, oltreoceano consistito in 69 milioni di euro in merci del magazzino in parte svuotato dei prodotti migliori prima dell'uscita di scena di Celestica e altri 64 milioni di liquidità in titoli;
   conseguentemente, i giudici della sezione fallimentare del tribunale di Monza hanno interessato la procura monzese ritenendo la situazione debitoria e finanziaria delle aziende strutturalmente compromessa;
   il sostituto procuratore Walter Mapelli ha firmato il decreto di fine indagini nei confronti di 14 persone accusate a vario titolo di avere distratto beni e liquidità per circa 230 milioni di euro dalle due società indicate. Oltre alle tre persone sopracitate, gli indagati sono i presunti amministratori di fatto di Bames e SEM, Vittorio Romano Bartolini, i figli Massimo, Vittorio e Selene, i tre manager Luca Bertazzini in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di Bames fino al 2008, seguito nella carica da Giuseppe Bartolini e Alessandro Di Nunzio e dei tre professionisti membri del collegio sindacale di Bames, Riccardo Toscano, Angelo Sandro Interdonato e Salvatore Giugni e, con l'accusa di bancarotta fraudolenta, anche l'attuale amministratore delegato della Telit Corporation, Cats Oozi. Quest'ultimo, nello specifico, è accusato di avere dissipato 16 milioni di euro ai danni della Bames a favore di Telit Communication attraverso la controllata Telit Wireless Solutions;
   in data 14 marzo 2016, veniva emessa una nota rivolta all'attenzione degli organi di informazione, delle istituzioni e delle forze politiche e sindacali, a prima firma del segretario generale FIM-Cisl della provincia di Monza e Brianza, Luigi Redaelli, riguardante il presidio che si sarebbe tenuto nella giornata del 17 marzo 2016 dagli ex dipendenti di Bames e Sem, davanti al Tribunale di Monza. Tale presidio era volto a chiedere che fosse applicato il rinvio a giudizio nei confronti di chi aveva causato il fallimento delle aziende e con un rapido processo che fossero accertate tutte le responsabilità nei confronti di chi aveva creato il disastro finanziario del gruppo, creando enormi problemi economici e sociali agli ormai ex dipendenti. Veniva inoltre chiesto che a pagare fossero tutti i soggetti riconducibili a responsabilità del fallimento stesso;
   nel comunicato veniva specificato che i lavoratori, i delegati sindacali delle aziende e le organizzazioni sindacali FIM-Cisl e FIOM-Cgil, avessero accolto con soddisfazione la notizia della chiusura delle indagini della procura di Monza che ha visto 13 persone indagate per bancarotta fraudolenta, legate al fallimento di Bames e Sem;
   veniva ricordato che, paradossalmente, l'istanza di fallimento per le due società era stata presentata dalle organizzazioni sindacali e dalle rappresentanze sindacali unitarie. Le stesse hanno chiesto di esautorare la famiglia Bartolini proprietaria del gruppo Bames e Sem e i dirigenti dalla gestione fallimentare delle aziende. Le indagini svolte hanno evidenziato i reati di bancarotta fraudolenta e distrazione di beni e risorse economiche che dovevano essere destinate alla re-industrializzazione della società;
   nell'anno 2010, i sindacati sopraindicati avevano commissionato l'analisi dei bilanci a una società specializzata che, sugli studi riguardanti la Bartolini Progetti e le società a essa riconducibili, hanno realizzato un dossier dal titolo emblematico «Il saccheggio di Bames: quattro anni di giochi finanziari sulle spalle dei lavoratori». A detto studio ha fatto seguito un convegno pubblico nel comune di Vimercate (MB) in data 25 febbraio 2011, con la diffusione a più livelli della sintesi della ricerca. Il testo completo di questo studio è stato inoltre messo a disposizione sia della curatela fallimentare di Bames, sia della procura della Repubblica di Monza;
   i sindacati FIM e FIOM hanno denunciato sin dall'inizio, nell'anno 2006, i dubbi sul ruolo del gruppo Bartolini Progetti e in particolare dopo l'acquisizione delle quote di Celestica Italia. Era stato fortemente contestato il comportamento di questo gruppo definito dai sindacati «pseudo-industriale», perché a loro dire stravolgeva il senso della re-industrializzazione prevista nel Protocollo istituzionale firmato dalle parti sociali il 2 agosto 2006 in regione Lombardia;
   quanto poi successo, ha dato ragione a chi aveva sollevato più di un dubbio sulla nuova gestione;
   i sindacati terminavano il comunicato dichiarando che nessuno potrà essere dichiarato colpevole sino a che non vi sarà una sentenza definitiva, ma veniva ribadito l'auspicio che si potesse fare giustizia nei confronti dei dirigenti che avevano sbagliato e che dovevano pagare gli errori commessi, pur sapendo che i danni economici e i drammi sociali e familiari che hanno visto coinvolte centinaia di persone non potranno essere cancellati e i posti di lavoro persi in Bames e Sem non saranno più comunque recuperati;
   in data 9 gennaio 2015, veniva approvata dalla giunta della regione Lombardia, la delibera n. X/3011, avente oggetto il percorso per il rilancio del settore ICT (tecnologie dell'informazione e della comunicazione) nell'area del Vimercatese. Obiettivo del progetto era quello di attivare una effettiva reindustrializzazione in ambito ICT che andasse a valorizzare il capitale umano presente sull'area indicata, sia attraverso il ricorso congiunto a risorse, strumenti e percorsi già esistenti, sia attraverso l'identificazione di nuove modalità di intervento, anche sperimentali ed innovative, e la ricerca di attive collaborazioni con i diversi livelli di governo nazionale e locale –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano di assumere iniziative per favorire un piano di ricollocamento urgente per tutti gli ex dipendenti delle fallite aziende Bames e della controllata Sem;
   se non intendano, per quanto di competenza, promuovere un piano di reindustrializzazione dei siti Bames e Sem, ex Celestica ed ex IBM, così come era stato previsto dalla delibera della regione Lombardia n. X/3011 del 9 gennaio 2015.
(5-08172)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Sberna n. 4-11078 del 12 novembre 2015.