Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 17 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, ha depenalizzato, tra gli altri, il reato di aborto clandestino, sostituendo la multa di 51 euro prevista dall'articolo 19 della legge n. 194 del 1978 con una pesante sanzione amministrativa il cui ammontare va da 5.000 a 10.000 euro;
    non considerare la particolarità del reato di aborto clandestino, inserendolo in un elenco indistinto di depenalizzazioni, rischia di scoraggiare le donne che dovessero avere complicazioni, in particolare le più deboli, precarie e immigrate, a recarsi in ospedale, con gravi rischi per la loro salute, come peraltro sottolineato dalla stessa lettera aperta che in questi giorni ginecologhe/i e ostetriche/i, hanno inviato alla Ministra della salute, Beatrice Lorenzin;
    pensare di scongiurare il ricorso alle pratiche fuori i percorsi stabiliti dalla legge n. 194 del 1978 con un forte inasprimento delle sanzioni, significa – tra l'altro – non ricordare come nonostante la severità delle pene, le donne prima della legge n. 194 rischiassero comunque il carcere, la loro salute e la stessa vita per interrompere gravidanze non volute e non misurarsi con l'odierna pratica clandestina si avvale del facile reperimento sul mercato di sostanze che possono indurre l'aborto;
    il 25 febbraio 2016, rispondendo su questi temi a una interrogazione a risposta immediata in Commissione giustizia della Camera (n. 5-07895), il sottosegretario Gennaro Migliore, ha dichiarato che «l'adeguatezza in concreto delle sanzioni determinate potrà essere riconsiderata all'esito del monitoraggio degli effetti del complessivo intervento di depenalizzazione, anche con interventi puntuali, che potrà essere utilmente condotta con il Ministero della Salute», e che «la stessa legge delega sulle depenalizzazioni, consente al Governo di adottare, nel termine di 18 mesi dall'ultimo dei decreti attuativi, gli interventi correttivi che dovessero rivelarsi opportuni»,

impegna il Governo:

   alla luce delle forti criticità esposte in premessa, e della disponibilità espressa dal sottosegretario per la giustizia a riconsiderare l'adeguatezza della suddetta sanzione prevista dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, e ad assumere iniziative per ridurre con urgenza e in modo considerevole la sanzione amministrativa prevista dal citato decreto legislativo n. 8 del 2016, per le donne che abortiscono clandestinamente entro i 90 giorni, con il rischio più che concreto che ciò costituisca un ostacolo al ricorso alle cure ospedaliere con gravi conseguenze sulla salute delle donne;
   ad assumere iniziative per garantire in ogni struttura del Paese le prestazioni previste dalla legge n. 194 del 1978, dando soluzione alle inadempienze causate anche dal ricorso all'obiezione di coscienza.
(1-01194) «Nicchi, Albini, Argentin, Carloni, Cimbro, Coccia, Cominelli, Costantino, Duranti, Gnecchi, Gregori, Incerti, La Marca, Locatelli, Patrizia Maestri, Malisani, Martelli, Mucci, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Rostellato, Terrosi, Tidei».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'AGOSTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 20 aprile 2015, il sindaco di Monteverde in provincia di Avellino, ha informato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il dipartimento della protezione civile e il settore difesa del suolo della regione Campania sulla condizione di pericolo nella quale versa il centro abitato di Monteverde a causa di possibili movimenti franosi;
   tale circostanza si è ulteriormente aggravata a causa delle piogge copiose di questi ultimi mesi;
   il sindaco ha sottolineato la necessità di un urgente intervento di risanamento dei dissesti in atto per garantire la pubblica e privata incolumità dei cittadini;
   a tal fine ha avanzato una richiesta di finanziamento per 7 milioni di euro;
   quello di Monteverde è considerato uno dei borghi più belli d'Italia tanto da classificarsi al secondo posto nella graduatoria stilata dalla trasmissione «Alle falde del Kilimangiaro» della Rai;
   a giudizio dell'interrogante il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Governo dovrebbero valutare, nei limiti del possibile, la necessità di concedere le risorse per gli interventi necessari, scongiurando il rischio di eventi franosi che potrebbero danneggiare irreparabilmente una delle realtà più belle della Campania e del nostro Paese –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare per scongiurare il rischio di movimenti franosi che potrebbero interessare il centro abitato di Monteverde. (5-08167)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUENO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sono in corso le procedure per le nomine nei posti apicali dell'Avvocatura dello Stato e, in particolare, per la nomina dell'Avvocato generale aggiunto, il «numero due» dell'Avvocatura;
   in base ai criteri di selezione previsti per legge e congruenti con la funzione da ricoprire (capo dell'ufficio legale dello Stato) la nomina spetta all'avvocato in servizio che, unitamente all'anzianità di ruolo, abbia un altissimo profilo professionale per l'esperienza maturata dinanzi alle giurisdizioni nazionali e internazionali e dinanzi alla Corte Costituzionale ed alle altre Corti superiori e per i risultati raggiunti nella stia attività di avvocato;
   è stata proposta al Presidente del Consiglio dei ministri dall'Avvocato generale la nomina di un avvocato da anni in posizione di fuori ruolo e che quindi di fatto da anni non svolge le funzioni di avvocato dello Stato e che ha ricoperto incarichi presso varie amministrazioni ma, a quanto risulta all'interrogante con limitata esperienza professionale nell'Avvocatura dello Stato e nessuna esperienza nella direzione delle sue articolazioni;
   l'avvocato proposto si trova in una posizione di ruolo inferiore a quella di altri colleghi che lo precedono, alcuni dei quali vantano esperienze professionali ed organizzative, titoli scientifici e didattici, apprezzamenti e risultati giudicati eccellenti dallo stesso Avvocato generale e dal Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato;
   l'Avvocato generale non ha inteso rispettare le norme procedurali che regolano la procedura di designazione e che prevedono l'espressione di un parere a maggioranza qualificata da parte del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato su tutte le candidature presentate, laddove il parere è stato reso solo sulla persona prescelta dall'Avvocato generare, senza la presenza di una componente essenziale del Consiglio prevista dalla legge (due vice avvocati generali, non esistenti all'attualità nell'organico dell'Avvocatura) ed a maggioranza semplice;
   occorre evitare di derogare, nel caso di specie, al principio del riconoscimento e della valorizzazione del merito nella progressione di carriera nel pubblico impiego e nell'accesso alle funzioni apicali di un ufficio tecnico qual è l'Avvocatura dello Stato –:
   se intenda dar comunque seguito alla proposta formulata dall'Avvocato generale nonostante quelle che appaiono all'interrogante palesi violazioni procedurali e omissioni istruttorie che viziano l'espressione del parere da parte del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato;
   se non ritenga che il capo vicario dell'Avvocatura dello Stato debba essere scelto sulla base delle sue competenze professionali e delle capacità di direzione maturate in tutta la quarantennale carriera sviluppatasi nell'ambito dell'Istituto, piuttosto che in forza delle esperienze organizzative svolte in uffici esterni all'Avvocatura e poco congruenti con l'attività di patrocinio legale;
   se, al fine di poter formulare una proposta ponderata e basata sulla valutazione delle esperienze professionali di tutti i candidati a quel posto di ruolo, ritenga opportuno invitare l'Avvocato generale ad approfondire l'istruttoria nel rispetto di tutte le disposizioni procedurali e di tutti i criteri di valutazione della professionalità e del merito previsti per legge. (4-12567)


   RAMPELLI, CIRIELLI, MAIETTA, TAGLIALATELA, GIORGIA MELONI, LA RUSSA, NASTRI e TOTARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il fondamento costituzionale dell'autonomia tributaria e finanziaria per le regioni a statuto speciale viene ricondotto all'articolo 119 della Costituzione e trova specificazione in apposite norme degli Statuti speciali, che hanno rango costituzionale;
   per quanto differenziati tra loro per le modalità e il livello delle compartecipazioni ai tributi erariali, l'autonomia e il sistema finanziario delle regioni a statuto speciale corrispondono, in ciascuno degli statuti, a caratteristiche unitarie che ricalcano in gran parte l'autonomia e il sistema finanziario delle regioni a statuto ordinario;
   ciascuna regione e provincia autonoma può istituire tributi propri entro limiti di autonomia impositiva definiti dal rispettivo statuto, tra i quali vengono considerate anche le quote di compartecipazione ai tributi erariali previste dagli statuti speciali, quali il gettito dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF, tuttavia, le compartecipazioni sono considerate tributi regionali solo ai fini della destinazione del gettito;
   ciascuno statuto elenca le imposte erariali delle quali una quota percentuale è attribuita alla regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun tipo di imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione;
   in ambito regionale, l'IRAP, istituita a decorrere dal 1998, è l'imposta che finanzia la spesa sanitaria e, data la possibilità di differenziare le aliquote per settori di attività e per categorie di soggetti, quella che le regioni hanno maggiormente utilizzato – e stanno utilizzando – come strumento di politica fiscale – pur nei limiti della legislazione statale;
   il consiglio regionale della Sardegna ha approvato la legge regionale 23 dicembre 2015, n. 34, recante «Disposizioni urgenti in materia fiscale», con la quale è disposto l'aumento dell'addizionale regionale sull'Irpef e l'Imposta regionale sulle attività produttive al fine di ripianare il disavanzo di gestione del settore sanitario;
   la predetta legge ha sensibilmente aumentato l'addizionale regionale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche per scaglioni di reddito, secondo il seguente schema: a) 0,95 per cento per i redditi fino a euro 15.000; b) 1,20 per cento per i redditi oltre euro 15.000 e fino a euro 28.000; c) 2,70 per cento per i redditi oltre euro 28.000 e fino a euro 55.000; d) 3,20 per cento per i redditi oltre euro 55.000 e fino a euro 75.000; e) 3,33 per cento per i redditi oltre euro 75.000;
   con la legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità 2016, il Parlamento ha stabilito che per l'anno 2016 è sospesa l'efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni degli enti locali nella parte in cui prevedono aumenti dei tributi e delle addizionali attribuiti alle regioni e agli enti locali con legge dello Stato rispetto ai livelli di aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015;
   l'articolo 10 dello statuto della Sardegna stabilisce che «La Regione, al fine di favorire lo sviluppo economico dell'isola, può disporre, nei limiti della propria competenza tributaria, esenzioni e agevolazioni fiscali per nuove imprese»;
   nelle more della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, tra gli atti di promovimento delle questioni di legittimità la Commissione tributaria del Molise ha sollevato l'incostituzionalità della normativa statale in materia fiscale, ritenendo fondato il concetto che non è ragionevole e rispettoso dell'articolo 53 della Costituzione ancorare l'aumento delle addizionali alla gestione del debito del servizio sanitario, in tal modo costringendo i cittadini a pagare un maggior tributo per la colpa o il dolo dei soggetti che la amministrano, cittadini già penalizzati dalle deficienze del servizio e il maggior costo per esso;
   l'aumento del disavanzo del sistema sanitario sardo, ad avviso degli interroganti, è dovuto maggiormente al mancato controllo della spesa effettuata a oggi su autorizzazione dei manager o Commissari delle strutture sanitarie presenti nell'isola, confermati, a fine anno, dall'attuale esecutivo regionale;
   non è equo far ricadere sui cittadini, peraltro chiamati a subire un livello di tassazioni tra i più alti d'Europa, un nuovo aumento delle imposte locali, provocando un impoverimento generale che aumenta la depressione economica di un'isola già martoriata dalla crisi;
   in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale nell'imposizione di tributi le regioni devono comunque rispettare il «limite dell'armonia con i principi del sistema tributario statale» –:
   se il Governo non ritenga di valutare se sussistano i presupposti per impugnare la legge regionale di cui in premessa.
(4-12568)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, ZOLEZZI, MICILLO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, BUSTO, VIGNAROLI, AGOSTINELLI e CECCONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Marche, come nel resto del territorio nazionale, si susseguono notizie di ritrovamenti di discariche abusive nelle quali, oltre ad altri materiali, vengono molto spesso individuati inerti contenenti amianto;
   è del 3 marzo 2016 la notizia dell'ultima individuazione, in ordine di tempo, di una discarica abusiva lungo le rive del fiume Esino in località Sant'Elena del comune di Serra San Quirico in provincia di Ancona nella quale erano appunto presenti residui di amianto. In questo caso gli agenti del Corpo forestale dello Stato di Genga hanno posto sotto sequestro un'area di circa 2 mila metri quadri adiacenti il corso del fiume;
   benché in Italia sia vietato l'impiego di amianto dal 1992, ai sensi della legge 27 marzo 1992, n. 257, compresa la sua importazione, sussistono su tutto il territorio nazionale diversi milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto, localizzati in siti industriali e residenziali, pubblici e privati;
   in attuazione della citata legge sono stati emanati numerosi provvedimenti volti, tra l'altro, a definire le modalità di predisposizione dei «piani regionali amianto» (previsti dall'articolo 10 della legge), di valutazione del rischio amianto e di gestione dei manufatti contenenti amianto, nonché le tipologie di interventi per la bonifica;
   ai fini della mappatura, di cui alla legge n. 93 del 2001 e successive integrazioni e modifiche, le regioni e le province autonome hanno obbligo di trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i dati relativi alla presenza di amianto aggiornando i dati entro il 30 giugno di ogni anno, ed inoltre è stata predisposta dall'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL), su apposita convenzione con il Ministero, una banca dati relativa all'amianto;
   nel marzo 2013 il Governo ha effettuato un'analisi che si muove in 3 direzioni: tutela della salute, tutela dell'ambiente e aspetti di sicurezza sul lavoro e previdenziali. Dal punto di vista ambientale, nel definire gli obiettivi e le azioni contro l'amianto da intraprendere a tutti i livelli, sia nazionale che locale, il piano individua tra le priorità la mappatura dei materiali contenenti amianto, l'accelerazione dei processi di bonifica, l'individuazione dei siti di smaltimento e la razionalizzare della normativa di settore;
   dai dati in possesso degli interroganti sembrerebbe che il piano nazionale amianto predisposto all'inizio del 2013 sia stato successivamente sospeso per mancanza di copertura finanziaria;
   dai dati resi noti dal sito del Ministero, nella sezione dedicata al piano nazionale amianto, aggiornato a novembre 2014, risulterebbe che i siti di amianto in Italia attualmente censiti sono 38.000. I dati sono ampiamente incompleti a causa dell'incompletezza delle informazioni relative a molte regioni e per l'assenza dei dati relativi ai siti attualmente esistenti nelle regioni Calabria e Sicilia, perché le suddette regioni non hanno trasmesso alcun dato in merito; di questi 38.000 siti solo 1.957 sono stati bonificati, 571 parzialmente bonificati, ed oltre 35.000 sono i siti da bonificare;
   tra l'altro, dal dossier elaborato dall'associazione Legambiente (Liberi dall'amianto, Roma, 28 marzo 2015) si evince che non tutte le regioni hanno approvato il piano regionale amianto, a distanza di 23 anni dalla legge n. 257 del 1992 che lo prevedeva entro 180 giorni dalla sua entrata in vigore: mancano ancora all'appello l'Abruzzo, la Calabria, il Lazio, il Molise, la Puglia e la Sardegna;
   il censimento delle coperture in amianto resta uno strumento imprescindibile che consente di ottenere la fotografia reale della situazione su tutto il territorio nazionale e poter così controllare eventuali smaltimenti illeciti;
   ogni anno in Italia muoiono circa 4.000 persone per malattie asbesto correlate, con oltre 15.000 casi di mesotelioma maligno diagnosticato dal 1993 al 2008 secondo i dati del registro nazionale mesotelioma di Inail;
   il Governo in tema di interventi a favore dei lavoratori colpiti da patologie correlate all'amianto e per la bonifica dei siti a rischio ha accolto tra gli altri di seguenti ordini del giorno:
    9/02679-bis-B/07 a prima firma Terzoni con il quale il Governo si è impegnato «a verificare che sia terminata la mappatura dell'amianto in tutti gli altri locali pubblici e aperti al pubblico entro il 31 dicembre 2016»;
    9/03444-A/185 prima firma Zolezzi con la quale il Governo si è impegnato «a valutare l'opportunità di prevedere una strategia di defiscalizzazione eventualmente utilizzando anche il credito fiscale per gli interventi che riguardino la rimozione e la bonifica dell'amianto nell'intero comparto di edilizia privata, purché le regioni interessate siano dotate di un Piano di Gestione Amianto, comprensivo in particolare di mappatura e di siti di inertizzazione o discarica di capienza adeguata ai quantitativi di amianto stimati sul rispettivo territorio regionale»;
    9/02679-bis-B/073 prima firma Busto con il quale il Governo si è impegnato «a verificare, d'intesa con le regioni, che entro il 30 giugno 2015 sia eseguita la mappatura dell'amianto contenuto nelle scuole, per tutte le regioni italiane, e si proceda entro il 1o gennaio 2020 alla rimozione dello stesso»;
    0/2111/7/13 presentato da Vilma Moronese il 3 novembre 2015 modificato mercoledì 4 novembre 2015, seduta n. 185 prima firma Moronese con il quale il Governo si è impegnato ad assumere iniziative per incrementare, compatibilmente con gli attuali vincoli di finanza pubblica, le risorse assegnate al Fondo per le vittime dell'amianto, istituito dalla legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), per garantire benefici ai lavoratori colpiti da patologie correlate all'amianto, nonché per estendere le prestazioni del fondo non solo a coloro che abbiano contratto una patologia correlata per esposizione professionale all'amianto, ma anche ai familiari delle vittime o a coloro che, pur non lavorando direttamente con l'amianto, siano stati comunque esposti, avendo poi contratto tali patologie; ad approvare definitivamente il piano nazionale amianto, con una conseguente mappatura della sua presenza sul territorio nazionale, e ad attivarsi, per quanto di competenza, in accordo con le regioni, affinché, in tempi congrui, sia concluso il programma dettagliato di censimento dei materiali contaminati tramite i piani regionali amianto;
    9/1676/23 presentato da Vilma Moronese il 3 novembre 2015, seduta n. 534, con il quale il Governo si è impegnato: a far sì che il Ministero dell'ambiente e della tutela e del territorio e del mare e della salute procedano alla pubblicazione in «open data,» sul proprio sito ufficiale, della mappa dettagliata di tutti i siti a rischio censiti dalle regioni, anche se incompleta, insieme a una precisa e scadenzata «road map» per il completamento della mappatura nazionale; alla predisposizione di un'area web sul proprio sito istituzionale, dedicata ai cittadini, al fine di offrire loro strumenti di informazione adeguati –:
   se intendano assumere ogni iniziativa di competenza per avere un quadro completo e aggiornato dei dati necessari per il completamento del piano nazionale amianto, in modo da poter avere una completa catalogazione e gestione delle informazioni sulle reali situazioni di rischio amianto presenti su tutto il territorio nazionale, come richiesto anche dalla Unione europea in materia di censimento;
   se reputino opportuno predisporre un'area web dedicata ai cittadini, al fine di offrire loro strumenti adeguati, ad esempio attraverso procedure informative semplificate e frequently asked questions (FAQ) con moduli per la raccolta delle segnalazioni, per permettere agli stessi di riconoscere e denunciare la presenza sul territorio di prodotti contenenti amianto, e conseguentemente intervenire nel modo più efficiente possibile rimuovendo e bonificando le zone dei ritrovamenti;
   quali iniziative, nei limiti delle proprie competenze, intendano intraprendere per promuovere l'avvio delle bonifiche dei siti industriali e la rimozione dell'amianto dagli edifici, attraverso l'attuazione di quanto previsto nel piano nazionale, con priorità per le aree ad alta frequentazione pubblica (scuole, impianti sportivi e infrastrutture) con la più alta priorità di rischio (classe di priorità del rischio 1);
   se non ritengano necessario assumere iniziative, anche a livello normativo, per uniformare su tutto il territorio nazionale i metodi di censimento delle coperture in amianto;
   se siano in grado di relazionare rispetto allo stato di attuazione delle misure e degli impegni derivanti dagli ordini del giorno accolti dal Governo ricordati in premessa. (3-02124)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da numerosi articoli di stampa locale e nazionale, a breve entrerà in funzione un importante impianto di stoccaggio GPL con capacità di 10.500 metri cubi, in «Val Da Rio» a 150 metri dal centro storico della città di Chioggia, in provincia di Venezia;
   la sopracitata area era stata indicata in passato idonea al trasferimento del locale mercato del pesce;
   quello citato è un intervento complesso sia sotto il profilo ambientale che della sicurezza pubblica. A quanto si apprende esso genererà un traffico veicolare di almeno 15 autobotti al giorno nella già trafficata SS. 309 «Romea». Quello di Val Da Rio sarà sostanzialmente un deposito, che verrà raggiunto dalle navi da cui partiranno i rifornimenti per i distributori del territorio;
   un articolo de La Nuova Venezia del 17 giugno 2015 descrive un iter autorizzativo corretto in merito al predetto impianto di stoccaggio Gpl;
   il gas propano liquido allo stato gassoso ha una densità superiore a quella dell'aria e ciò gli impedisce di diffondersi nell'atmosfera. In caso di fuoriuscite accidentali tende a concentrarsi ristagnando al suolo e nelle cavità, causando situazioni di accumulo molto pericolose, a rischio di incendio. Per questo, in passato, agli autoveicoli con bombole di GPL era vietato (in Italia) il parcheggio sotterraneo o al chiuso (nelle navi, per esempio), e tuttora è in genere vietato il parcheggio su piani inferiori al primo interrato. Il Gpl è stato il protagonista del pauroso incidente ferroviario di Viareggio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda;
   se intendano verificare la legittimità di tutto l’iter autorizzativo dell'impianto di stoccaggio Gpl in Val Da Rio e se quanto esposto non pregiudichi effettivamente la sicurezza pubblica per tutto l'abitato di Chioggia;
   se così fosse, se non intendano mettere in campo, per quanto di competenza, urgenti iniziative di tutela ambientale e di incolumità pubblica. (4-12563)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'area ad alta densità abitativa del quartiere Santa Croce in Reggio Emilia, compresa tra via Talami, via Cefalonia e via delle Argonne, esiste uno stabilimento ferroviario in cui convergono treni diesel degli anni ’80 provenienti da comuni diversi di Fer, Tper e anche di Dinazzano Po;
   questi treni continuano ad essere in accensione tra le case senza schermature e ciò a partire dalle cinque di mattina con frastuono e grossi scarichi inquinanti;
   tale situazione non contribuisce certamente a mantenere l'aria salubre per i cittadini che abitano nei dintorni, compreso l'edificio scolastico Collodi;
   secondo le circostanziate denunce del locale Comitato Santa Croce, nel corso dell'anno 2015 si sono verificati almeno due episodi che hanno destato allarme tra la popolazione; nella passata primavera una densa nuvola di fumo permase a lungo nelle vicinanze e il 19 agosto 2015 si verificò un principio d'incendio a seguito dall'accensione accidentale di una torcia, le cui cause sono ancora ignote;
   a seguito delle proteste dei cittadini, l'Arpa attivò un monitoraggio dal 23 maggio al 23 giugno 2015 che accertò come ogni giorno si verificassero tre o quattro picchi altissimi di emissioni inquinanti quasi oltre la scala di misurazione, soprattutto di monossido e biossido d'azoto, durante l'accensione dei motori;
   i tecnici dell'ARPA sottolinearono come l'inquinamento sarebbe diminuito se si fossero sostituiti i molti treni vetusti, risalenti anche agli anni Sessanta;
   il Comitato chiede tre cose semplici: quanti treni partano dallo stabilimento di via Talami, quanti siano stati spostati per le accensioni e se ci siano ancora i treni di Dinazzano Po; se vi sia una autorizzazione per l'attività di questo stabilimento; se Fer e Tper possano mantenere in accensione i treni senza schermature e se lo possano fare con una quantità di treni che appare incompatibile con la densità di popolazione che abita il quartiere –:
   se i Ministri interrogati non intendano intraprendere iniziative normative specifiche al fine di fermare il frastuono e gli scarichi inquinanti derivanti da attività come quelle descritte in premessa che compromettono l'ambiente e la salute della popolazione. (4-12569)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i carabinieri del Noe, in collaborazione con i tecnici dell'Arpa Puglia, in data 16 marzo 2016 hanno sottoposto a sequestro preventivo con facoltà d'uso un'area in località «Forcone Tafiero» dell'estensione di circa 17.000 metri quadri adibita a discarica comunale di Cerignola (FG);
   sono stati denunciati per violazioni alle norme ambientali il legale rappresentante della discarica, il direttore generale e il presidente del Consorzio bacino Fg/4 (tra l'altro sindaco di Cerignola) e il direttore tecnico;
   per gli investigatori avrebbero gestito e smaltito illecitamente rifiuti solidi urbani senza adeguata biostabilizzazione;
   per controllare la discarica i militari si sono serviti anche di un drone che, portato all'altezza di 200 metri, ha potuto «cristallizzare tramite video in altissima risoluzione tutti i comportamenti illegali e scorretti posti in essere»  –:
   se siano stati avviati o si intendano avviare o sia stato richiesto di avviare, per quanto di competenza così come previsto dagli articoli 305, 306, 308, 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006, procedimenti inerenti alla problematica evidenziata.
(4-12572)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Nardò, in località «Castellino» a ridosso dell'abitato, è ubicata l'ex discarica per rifiuti solidi urbani autorizzata con progetto della «Mèditerranea Castelnuovo srl» come discarica di 1a categoria con D.G.P. n. 650 del 27 marzo 1991 per intercettare le esigenze di 6 comuni salentini;
   a pochi giorni dalla richiesta di realizzazione della discarica, la società proponente, la Mediterranea Castelnuovo srl, si trasformava in Mediterranea Castelnuovo 2 srl;
   nell'autorizzazione rilasciata dalla provincia di Lecce si stabiliva che il gestore avrebbe dovuto garantire, per i 10 anni successivi alla chiusura, l'attività di raccolta e stoccaggio del percolato e la combustione del biogas prodotto, a questo scopo presentava fideiussione di 700 milioni di lire (attuali 361.520,00 euro);
   ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 13 gennaio 2003 – articolo 17 – la discarica viene autorizzata a continuare a ricevere rifiuti sino al 16 luglio 2005, per poi cessare definitivamente di ricevere rifiuti dal 31 gennaio 2007;
   l'ex discarica di Castellino continua oggi a rappresentare la più importante emergenza ambientale nel territorio di Nardò, emergenza aggravata alla sua mancata messa in sicurezza finale che determina periodicamente eventi pericolosi per la pubblica incolumità, come l'incendio verificatosi il 22 agosto 2011;
   secondo consolidata giurisprudenza l'imputazione dell'inquinamento ad un determinato soggetto può avvenire sia per condotte attive che per condotte omissive e la relativa prova può essere data in forma diretta o indiretta, potendo in quest'ultimo caso la pubblica amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici ex articolo 2727 c.c., prendendo in considerazione elementi di fatto da cui si traggano indizi gravi, precisi e concordanti: sulla base di tali indizi deve risultare verosimile che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori –:
   se siano stati avviati o si intendano avviare o sia stato richiesto di avviare, per quanto di competenza così come previsto dagli articoli 305, 306, 308, 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006, procedimenti inerenti alla problematica evidenziata.
(4-12573)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FAMIGLIETTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2017 ricorrerà il bicentenario della nascita di Francesco De Sanctis e di Pasquale Stanislao Mancini, due illustri personaggi irpini che hanno segnato la vita del nostro Paese e la cui attività è riconosciuta anche in ambito europeo;
   la ricorrenza del bicentenario rappresenta una occasione per valorizzare e promuovere la conoscenza delle loro attività e per coinvolgere l'intero Paese;
   Francesco De Sanctis, nato a Morra Irpina: poi divenuto Morra De Sanctis, il 28 marzo 1817, è stato uomo di cultura e politico al servizio di un disegno patriottico finalizzato a dare un'anima all'Italia, credeva nel lavoro dell'insegnamento e nella necessità di diffondere il più possibile la cultura e lo ha fatto anche da Ministro dell'istruzione del Governo Cavour;
   Pasquale Stanislao Mancini, nato a Castel Baronia, il 17 marzo 1817, è stato invece uno dei principali cultori del diritto con un interesse particolare per la questione della pena carceraria e della norma penale, nonché anch'egli Ministro più volte nei Governi Depretis e Rattazzi;
   protagonisti risorgimentali accomunati dalla grande passione civica che si declinava nella professione e nell'impegno pubblico;
   l'occasione del bicentenario richiamato in premessa può essere importante per portare all'attenzione del grande pubblico e in particolare delle nuove generazioni la loro attività, la loro produzione culturale le loro opere e le testimonianze del loro impegno, in Italia e anche all'estero, in particolare in Svizzera dove entrambi hanno lavorato;
   si tratta di due uomini del Mezzogiorno che non hanno mai reciso il loro legame con la terra natia anche se a volte in maniera conflittuale;
   in molte circostanze per personaggi di rilievo il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la Presidenza del Consiglio hanno costituito comitati di celebrazione di carattere storico-scientifico con l'obiettivo di celebrare ricorrenze in grado di suscitare ampio interesse culturale realizzando programmi e iniziative per ricordarli;
   si ritiene che la caratura di De Sanctis e Mancini risponda a questi requisiti –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare anche con la costituzione di un comitato storico-scientifico, con il coinvolgimento degli enti locali e di tutte le istituzioni politiche e culturali, del Paese per celebrare in maniera adeguata il bicentenario della nascita di Francesco De Sanctis e Pasquale Stanislao Mancini con l'obiettivo di valorizzare e promuovere le loro figure e la loro attività. (5-08161)


   LABRIOLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale concernente «Riordino del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208», firmato in data 23 gennaio 2016 prevede una nuova articolazione territoriale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con 41 soprintendenze su tutto il territorio nazionale di cui 39 soprintendenze uniche e 2 soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei;
   per la Puglia tale decreto prevede la soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la città di Bari, con sede a Bari, la soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Barletta-AndriaTrani e Foggia, con sede a Foggia, e la soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, con sede a Lecce;
   di fatto, la riforma elimina la soprintendenza archeologica della Puglia con sede a Taranto, istituita con la legge n. 386 del 27 gennaio 1907 che prevedeva l'istituzione delle «Soprintendenze Territoriali» dipendenti dal Ministero della pubblica istruzione;
   si ricorda che a Taranto fin dal 1880 è attiva la sezione degli scavi per la Puglia, estesa anche alla zona di Matera e della Calabria; il museo archeologico fu istituito nel 1887 con sede dell'ex Convento di San Pasquale di Baylon, edificato nel XVIII secolo, che ospita numerose collezioni greche-romane ed apule tra cui gli antichi ori, che hanno reso famoso il museo in tutto il mondo;
   in difesa della soprintendenza archeologica di Taranto si sono attivati numerosi studiosi ed archeologi, che hanno inviato una lettera ai più alti livelli istituzionali, tra cui il Presidente del Consiglio Renzi e lo stesso Ministro Franceschini per chiedere il mantenimento della sede nella Città ionica;
   il 17 febbraio 2016 il consiglio provinciale di Taranto ha approvato una delibera, la n. 14, successivamente inviato alle autorità politiche e di governo nazionale e locale, avente ad oggetto: «Decreto ministeriale: Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali del turismo ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208; ruolo della Soprintendenza Archeologica della Puglia con sede a Taranto», con cui si propongono una serie di modifiche al decreto ministeriale per riportare a Taranto la sua soprintendenza proprio per l'alto valore culturale che essa rappresenta per la città;
   aver tolto la soprintendenza archeologica di Taranto, che sorgeva nel cuore della città vecchia, significa aver tolto un punto di riferimento essenziale per l'intera comunità tarantina, già provata da numerosi problemi economici, ambientali e sociali. È parere dell'interrogante che per rilanciare la città e dare fiducia alla collettività sia necessario ripartire dalla cultura e dalle bellezze di quel territorio per dare ossigeno a un tessuto sociale lasciato solo ad affrontare le piaghe della microcriminalità, delle carenze infrastrutturali, del bisogno e della mancata integrazione –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di restituire alla città la soprintendenza archeologica e di prevedere a Lecce una succursale, proprio per l'alto valore storico e culturale che tale istituzione rappresenta non solo per la comunità tarantina, ma per l'intera nazione. (5-08171)


   SIMONE VALENTE, BATTELLI e MANTERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso della fortezza del Priamar rappresenta una delle principali risorse turistico-culturali di cui la città di Savona dispone ed è stato oggetto di un importante intervento di restauro sin dagli anni ottanta e novanta;
   nel 2008, al fine di partecipare al bando di gara per l'attuazione del progetto integrato territoriale (PIT) di sviluppo urbano – asse 3 POR Liguria è stato previsto l'intervento relativo al «Nuovo sistema di collegamento tra gli spazi pubblici e la fortezza del Priamar»;
   successivamente, con deliberazione della giunta comunale n.48 in data 10 marzo 2009 è stato approvato il progetto preliminare dei lavori con un importo complessivo di euro 2.300.000.00;
   con deliberazione della giunta comunale n. 295 in data 3 novembre 2009 è stato autorizzato il progetto in fase definitiva ed esecutiva relativo al primo lotto dei lavori, dell'importo complessivo di euro 1.600.000.00, lavori già eseguiti e completati;
   con la deliberazione della giunta comunale n. 110 del 2 maggio 2012 si dà il via al terzo bando per progetti strategici del programma europeo di cooperazione transfrontaliero Italia-Francia, tra cui veniva considerata anche la realizzazione di una passerella ciclo pedonale che fungesse da collegamento tra la città e il porto;
   circa l'opportunità di tale intervento sulla fortezza del Priamar, emerge che la Soprintendenza per i beni architettonici della Liguria con una nota del 27 giugno 2014 abbia richiesto specifiche integrazioni relative al progetto definitivo ai fini del rilascio dell'autorizzazione rientrante nella sua sfera di competenza;
   in effetti nel novembre dello stesso anno sia la Soprintendenza per i beni architettonici che la Soprintendenza per i beni archeologici della Liguria hanno ricevuto dal comune di Savona il progetto definitivo corredato dalle integrazioni richieste;
   appare tuttavia indispensabile fare un passo indietro e rammentare come nel corso di questi anni sul progetto siano intervenute numerose modifiche; se del prospetto preliminare del 2012 la Consulta culturale savonese ne aveva in linea di massima condiviso l'impostazione generale che consisteva nella cessione di circa 1.100 metri quadrati dei 22.000 del piazzale ex Italsider gestiti dall'autorità portuale, quest'ultima manifestò invece parere negativo. E dinanzi a tale diniego sarebbe forse stato opportuno rinunciare almeno provvisoriamente alla realizzazione della passerella nell'attesa che trovasse attuazione il «piano regolatore portuale» che dal 2005 indica il piazzale ex Italsider sul fronte mare del Priamar come spazio della «costa urbana di Savona», «aree per lo spettacolo, lo sport, il turismo e il tempo libero»;
   invece nell'aprile 2014 (tramite delibera di giunta n. 92 del 29 aprile 2014) si giunse all'approvazione in linea tecnica del progetto definitivo con un importo complessivo pari ad euro 1.186.904.55 dove però non si tenne conto del necessario parere preventivo della Consulta comunale per il Priamar, organo tecnico del comune di Savona che in via permanente fornisce all'ente attività consultiva e di supporto, atta ad assicurare il recupero e il riuso del Priamar su basi scientifiche e culturali;
   la Consulta, invece, fu convocata solo 20 giorni dopo l'approvazione della delibera suindicata e in quell'occasione l'espressione del parere fu pressocché irrilevante, essendo pervenuto tardivamente e determinando di fatto una privazione del potere di quest'organo di esercitare in via preventiva l'attività consultiva;
   nel settembre 2015 si rileva una notevole accelerazione dei lavori da parte del comune volta a non perdere il contributo dei fondi regionali Por già messi a disposizione; difatti, con determina dirigenziale n. 814 del 3 settembre 2015 viene aggiudicato definitivamente l'appalto dei POR FESR Liguria (2007-2013) asse 3 – sviluppo urbano – intervento n.18 a favore dell'associazione temporanea di imprese per un importo netto complessivo pari a euro 685.667 oltre iva nella misura di legge, a seguito del ribasso d'asta della gara d'appalto del 28.790 per cento;
   appare indispensabile, pertanto, valutare come e fino a che punto il progetto così strutturato possa rappresentare la soluzione più funzionalmente ed esteticamente conveniente ai fini della valorizzazione dell'intera area del Priamar, considerato che purtroppo permangono ancora forti perplessità in relazione alla sicurezza della struttura e alla eccessiva pendenza nel tratto di 24 metri adiacente all'ingresso della galleria degli ascensori e al restringimento del percorso pedonale ciclabile in un tratto di galleria largo solo 160 centimetri –:
   sulla base di quali elementi tecnici la Soprintendenza per i beni architettonici abbia rilasciato parere favorevole alla prosecuzione del progetto e quale tipologia di integrazioni siano state richieste dalla stessa. (5-08177)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, RIZZO e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge 244 del 2012, per la revisione dello strumento militare, e mirata a raggiungere gli obiettivi qualitativi, di operatività e proiettabilità della difesa ridimensionati in modo coerente con le risorse che attualmente risultano disponibili e quindi sostenibili sotto il profilo finanziario e nel rispetto della spending review;
   la stessa legge ha previsto il raggiungimento di tali obiettivi anche attraverso la razionalizzazione delle strutture mediante soppressioni ed accorpamenti in modo da conseguire una contrazione strutturale;
   per tale motivo, con la suddetta legge, è stato previsto nel 2016 il trasferimento del reggimento artiglieria a cavallo di Milano, cosiddetto «Voloire» dalla caserma Santa Barbara, P.lle Perrucchetti alla caserma Scalise di Vercelli e la bozza del decreto attuativo aggiornata al 2 luglio anticipava la data del trasferimento nel 2013. Lo Stato Maggiore dell'Esercito aveva deciso il trasferimento addirittura alle porte di Expo 2015, quando Milano avrebbe avuto più bisogno di intensificare i controlli per la sicurezza della metropoli a partire dalla fase pre-evento, in previsione dell'arrivo di un numero considerevole di visitatori;
   le «Voloire» sono di stanza a Milano dal 1887 e costituiscono la storia degli ultimi 129 anni della città di Milano. Il reggimento artiglieria a cavallo rappresenta per la città un elemento di eccellenza e di storia unica ed è anche «cittadino onorario» di Milano;
   la caserma Santa Barbara, costruita nel 1931 a misura delle esigenze delle «Voloire» è monumentale per l'elegante e sobrio disegno architettonico ed ha ampia capacità recettiva per la convivenza degli organici sia dell'artiglieria a cavallo che del reggimento trasmissioni proveniente anche dalla caserma Montello in piazzale Firenze (che sarà effettivamente chiusa con un risparmio di, 650.000,00 euro). La caserma Santa Barbara consente, comodamente, l'alloggiamento dei militari, le infrastrutture di comando (uffici) e di supporto (magazzini e officine) di entrambi i reggimenti. Ma con il trasferimento delle «Voloire» la caserma Santa Barbara non sarà chiusa come quella di piazzale Firenze ma sarà sottoimpiegata rispetto alle sue reali potenzialità. La scelta della caserma di Vercelli non e in grado di assicurare tutte le funzioni operative del reggimento «Voloire» legate alla capacità di proiezione dal mare, cosa che la presenza delle infrastrutture milanesi consente senza alcun aggravio dei conti dello Stato;
   le «Voloire», hanno contribuito efficacemente alla sicurezza di Milano, dei milanesi nell'ambito dell'operazione «Strade Sicure» fin dagli inizi, nel 2008, detenendo il comando della piazza di Milano e, in occasione della Esposizione Universale del 2015, ha costituito la task force impegnata per garantire il supporto all'Ente Expo per la sicurezza del sito espositivo e dei visitatori, in concorso con le forze di polizia e la prefettura di Milano;
   tale situazione è resa ancora più sconcertante in quanto, a seguito della chiusura dell'Expo, circa 400 militari del reggimento, che erano stati impiegati per l'operazione «Strade sicure», sono in stand by e percepiscono lo stesso stipendio per «non lavorare», passando da «Strade sicure» a «limbo di Stato» con mortificazione anche delle legittime aspirazioni degli artiglieri delle Voloire;
   inoltre 700 militari provenienti da altre regioni hanno il compito di sorvegliare l'area metropolitana di Milano e Monza/Brianza, sottraendo tale compito alle «Voloire», con la conseguenza di aver quadruplicato i costi, invece di contenerli nell'ottica dell'ottimizzazione –:
   se, alla luce delle criticità e delle considerazioni sopra esposte, il Ministro interrogato non ritenga opportuno riconsiderare la decisione dello spostamento del reggimento artiglieria a cavallo dalla sede di Milano; in caso contrario, quali siano le motivazioni che hanno indotto il Ministro a decidere il trasferimento di un intero reggimento da Milano a Vercelli in una caserma che non consente la piena operatività del reggimento. (5-08164)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BASILIO e RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'esercitazione militare denominata «Muflone 2015», attività addestrativa annuale che ha visto impegnate le unità del comparto operazioni speciali dell'Esercito italiano per circa 10 giorni nelle aree del Nord Italia, si è conclusa il 4 dicembre 2015;
   le predette attività, che hanno interessato tra le altre anche le forze speciali Solerti di Pisa, si sono svolte nel territorio della provincia di Verona e hanno interessato anche parte del territorio della provincia di Brescia, come la zona del comune di Montichiari;
   in particolare, come ha riportato il quotidiano on line Brescia Today il 29 novembre 2015, le esercitazioni in parola avrebbero creato timori e preoccupazioni tra i cittadini dei comuni di Calcinato, Lonato, Mazzano e Bedizzole, a causa della massiccia ed improvvisa presenza di elicotteri e militari in divisa, e in assenza di preavviso da parte delle istituzioni locali;
   è del tutto evidente che simili esercitazioni, comportanti l'impiego di ingenti misure di sicurezza e di numerose unità militari, necessitino della dovuta organizzazione, sia per quanto riguarda il preavviso informativo da fornire alle cittadinanze interessate, sia in ordine alla pianificazione delle aree interessate dall'intervento  –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga opportuno fornire i necessari chiarimenti in merito agli aspetti organizzativi dell'esercitazione militare «Muflone 2015», compresa la puntuale indicazione dei territori comunali interessati. (4-12556)


   BASILIO, RIZZO e CORDA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'attuale legislatura molteplici sono state le iniziative parlamentare finalizzate a sollecitare e ad impegnare il Governo alla «razionalizzazione» dell'apparato della giustizia militare attualmente in attività;
   in particolare, con ben cinque ordini del giorno accolti dal Governo, di cui due al Senato in data 9 ottobre 2013 e 17 marzo 2015 (nn. 9/01015/002 — 0/1577/21/01) e tre alla Camera in data 24 ottobre 2013, 31 luglio 2014 e 19 dicembre 2015 (nn. 9/01682-A/028 — 9/02486-AR/121 e 9/03444-A/179); l'Esecutivo si è impegnato a realizzare una riforma organica e complessiva della giustizia militare anche previa costituzione di un gruppo di lavoro presso il Ministero della difesa e, di conseguenza, a considerare la soppressione dei tribunali militari e delle procure della Repubblica militari di Verona e di Napoli, nonché del tribunale e dell'ufficio militare di sorveglianza di Roma, con transito integrale del relativo personale magistratuale e di cancelleria agli uffici giudiziari ordinari in carenza organica;
   il predetto indirizzo è stato, inoltre, oggetto di positiva valutazione con la risposta all'interrogazione a risposta in Commissione difesa del 3 ottobre 2013 n. 5/01121, resa il 19 dicembre 2013 dal Sottosegretario alla difesa, onorevole Gioacchino Alfano, secondo cui «la razionalizzazione della giurisdizione militare diventa un obiettivo importante per il Governo, anche al fine di assicurare la tutela della specificità della condizione militare e di garantire la certezza delle situazioni giuridiche del personale militare impegnato nelle missioni internazionali»;
   in molteplici circostanze, quindi, l'Esecutivo si è più o meno esplicitamente impegnato a porre in essere una seria ed auspicata opera di riforma, finalizzata da un lato a ridurre la spesa di gestione e di personale delle strutture ancora esistenti, dall'altro a garantire la specificità del ramo giurisdizionale, in ottemperanza all'articolo 103 della Costituzione;
   ad oggi, nonostante i numerosi proclami, non risulta avviato alcun iter normativo di iniziativa governativa orientato a dare concretezza agli impegni assunti in Parlamento –:
   se il Ministro in considerazione dei plurimi impegni formalmente assunti in Parlamento nel corso dell'attuale legislatura, non ritenga opportuno fornire risposte concrete in merito alle iniziative che il Governo intende porre in essere per realizzare il progetto di razionalizzazione della giustizia militare;
   se e quali risultati abbia finora prodotto il gruppo di lavoro in materia, la cui costituzione presso il Ministero della difesa è stata preannunciata dal Sottosegretario Alfano nella risposta alla richiamata interrogazione n. 5/01121. (4-12562)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, PESCO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la relazione sugli andamenti della finanza territoriale, esercizio 2014, della Corte dei Conti evidenzia:
    i tagli al finanziamento del fabbisogno del sistema sanitario gestito dalle regioni ammontano a complessivi 17,5 miliardi di euro nel periodo compreso tra il 2009 e il 2015;
    i trasferimenti di risorse dallo Stato alle regioni per porre rimedio ai propri debiti in ambito sanitario, disposti con disegni di legge n. 35 del 2013 e n. 102 del 2013, tra il 2013 e il 2014, sono pari a 12,9 miliardi di euro. La stessa relazione nell'ambito della sezione dedicata alla gestione sanitaria riporta come: «Si deve tuttavia osservare che tale incremento è comunque inferiore all'entità delle risorse finanziare trasferite dallo Stato.»;
   nella disamina degli equilibri della gestione di cassa delle regioni si evidenziano alcuni profili critici. In particolare, vengono definiti «di particolare rilievo distorsivo» i movimenti nelle contabilità speciali per anticipazioni e rimborsi dei finanziamenti per la sanità, che – per i ritardi nell'attribuzione definitiva delle quote di finanziamento del fondo sanitario nazionale, ad esercizio abbondantemente scaduto – rendono opaca la lettura della situazione finanziaria in base ai flussi SIOPE; detti ritardi, inoltre, rendono difficoltosa per le regioni un'adeguata programmazione e la corretta applicazione anche delle regole poste dal titolo II del decreto legislativo 118 del 2011;
   nel 2014, la gestione di cassa degli enti sanitari ha generato liquidità per 2,8 miliardi di euro. Tale dato potrebbe essere letto come segnale del riformarsi di nuovi ritardi nei tempi di pagamento dei fornitori. Quest'ultimo elemento è supportato dalla recente indagine presentata alla Camera dei deputati dal Cerved che evidenzia come le azioni sblocca-debiti hanno avuto effetto, ma che lo slancio si sta via via perdendo. Infatti, le fatture non pagate in tempo nel corso del 2015 sono passate dal punto più basso del 32,4 per cento al 59,2 per cento di settembre;
   i pagamenti effettuatagli dagli enti sanitari, relativi al personale evidenziano nel quadriennio un trend decrescente (-2,2 miliardi di euro, –5,75 per cento), con una riduzione maggiore nel 2014 rispetto al 2013. Questa tendenza si osserva in misura maggiore nelle regioni soggette al piano di rientro con una riduzione complessiva, rispetto al 2011, pari a 1,8 miliardi (-10,7 per cento), cui quasi la metà registrata nel solo 2014, rispetto al 2013. Per le altre regioni, invece, il decremento è minore (-1,7 per cento) e maggiormente distribuito negli oggetto di valutazione. Rispetto alla spesa per il personale viene rilevato l'aumento dell'esternalizzazione di servizi quali consulenze, collaborazioni, interinali e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie;
   il rapporto OCSE 2015 raccomanda al nostro Paese che «oltre a lavorare per ridurre le forti disparità tra le regioni, è necessario porre maggiore attenzione alla qualità della sanità a livello nazionale. Negli ultimi anni, il settore sanitario ha subito forti pressioni di contenimento della spesa nel contesto delle manovre di bilancio. L'Italia deve assicurare che continui sforzi per contenere la spesa sanitaria non intacchino la qualità dell'assistenza sanitaria come principio fondamentale di governance. L'allocazione delle risorse regionali deve avere un focus sulla qualità»;
   secondo i dati forniti dalla Fondazione Gimbe l'Italia è l'ultima fra i Paesi del G7 per spesa sanitaria totale e per spesa pubblica, ma seconda per spesa « out of pocket» cioè a carico dei cittadini. Solo negli Stati Uniti spendono più dell'Italia –:
   quali siano le iniziative predisposte o che intendano predispone per eliminare gli elementi distorsivi individuati dalla Corte dei conti in merito ai gravi ritardi nell'attribuzione definitiva alle regioni delle quote di finanziamento del fondo sanitario nazionale a partire dall'anno 2016. (5-08165)


   CAPONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante sono giunte, in questi mesi, numerose sollecitazioni da parte di aziende del territorio e consulenti aziendali relativamente a difficoltà di rapporti con l'Istituto nazionale della previdenza sociale conseguenti alla sostituzione dell'avviso bonario, in essere fino al 2012, con l'avviso di addebito tramite cartelle di Equitalia;
   in virtù del meccanismo stesso di accertamento/addebito, tale passaggio comporterebbe infatti per i contribuenti, insieme a un notevole aggravio di costi, l'impossibilità di fare fronte al presunto debito tramite modello F24, consentendo in tal modo l'utilizzo di crediti contratti dall'azienda verso lo Stato, e in ogni caso di avviare un dialogo virtuoso e produttivo con l'Istituto;
   mentre infatti l'avviso bonario permetteva alle aziende che risultassero inadempienti, anche di pochi euro e per una qualsiasi ragione (semplice errore di calcolo, errata interpretazione di leggi e circolari) di regolarizzare il debito in tempi e con costi aggiuntivi ragionevoli, l'attuale sistema adottato dall'INPS comporterebbe l'invio alle aziende da parte dell'Istituto del solo l'avviso di addebito e in ogni caso a distanza di un anno senza concedere alle stesse la possibilità del ravvedimento e senza previa verifica di eventuali versamenti di quanto dovuto da parte delle aziende avvenuti nel frattempo;
   in effetti tale stato di cose pare essersi verificato, paradossalmente, anche dinanzi ad errori regolarizzati per tempo e spontaneamente, i dal momento che, a quanto viene riferito all'interrogante, il sistema informatico dell'INPS rileverebbe con notevole ritardo sia l'errore che la regolarizzazione quasi che non riuscisse a collegare tra loro tutte le informazioni relative allo stesso contribuente. Può dunque accadere che l'avviso di addebito (o cartella esattoriale) venga notificato anche se l'inadempienza è stata regolarizzata da tempo, con soli pochi giorni di ritardo rispetto alla scadenza naturale;
   tale situazione comporta aggravio di tempo sia per le aziende che per i funzionari che per i consulenti e appare ancor più eclatante considerando che ormai da tempo l'Inps ed altri istituti;
   come l'INAIL e l'Agenzia delle entrate ricevono mensilmente e telematicamente in tempo reale tutte le informazioni dalle imprese, tanto che nel cassetto previdenziale delle singole aziende già a distanza di circa dieci giorni è possibile consultare le denunce trasmesse, i pagamenti effettuati, e altro;
   nella valutazione complessiva sullo stato delle cose non va sottaciuto che tale meccanismo non ha assolutamente contributo a ottimizzare i rapporti tra l'INPS e il mondo delle imprese – e con esse gli intermediari – i quali invece denunciano un «imbrutimento delle relazioni» e in ogni caso il venir meno di quella serenità e di quella più ottimale tempistica garantite, viceversa, dall'avviso bonario;
   relativamente alla tempistica, infatti, proprio la strutturazione dei cassetti previdenziali attraverso i quali l'Istituto raccoglie le informazioni parrebbe aver prodotto maggiore difficoltà;
   in effetti mentre il contenitore relativo alle informazioni trasmesse mensilmente è aggiornato in tempo reale, quello relativo alla regolarità contributiva verrebbe aggiornato a distanza di mesi o forse più con evidenti discrasie informative e soprattutto difficoltà per le aziende che per legge sono obbligate ad essere in regola con il Durc interno, documento indispensabile a mantenere le agevolazioni contributive;
   il preavviso di irregolarità riporta infatti esclusivamente l'elenco delle denunce irregolari senza nessuna indicazione nel merito. Di conseguenza, se il preavviso è riferito ad una irregolarità già completamente sanata, lo stesso non comporta alcuna conseguenza negativa; se viceversa la denuncia risulta sanata già da tempo, ma l'operatore ha commesso errori nel conteggiare le somme dovute per il ritardo di pagamento a titolo di interessi, considerato che il preavviso di irregolarità segnala solo l'elenco delle denunce irregolari e che il contenitore della regolarità contributiva contiene informazioni non aggiornate, questo può indurre l'operatore a non rilevare eventuali ulteriori somma da pagare. La conseguenza è evidente: se su un elenco di denunce regolarizzate in ritardo, anche a causa di momentanea difficoltà di liquidità della azienda, le piccole differenze di alcune delle irregolarità sanate in ritardo superano nel complesso i 100,00 euro, a quell'azienda vengono negati gli sgravi per un lungo periodo precedente la irregolarità e per somme abbastanza considerevoli;
   è evidente come tale modus operandi rischi di scoraggiare soprattutto coloro che cercano di lavorare nel rispetto della legalità e in ogni caso abbia generato una enorme mole di contenziosi con l'Istituto, il più delle volte condannato dai giudici anche al pagamento delle spese di giudizio con contestuale riconoscimento delle ragioni dei contribuenti-ricorrenti. A parere delle imprese, infatti, se il contenitore della regolarità fosse aggiornato con la stessa tempestività del primo o comunque in tempi ragionevoli e se le aziende fossero informate con avvisi bonari e in tempi ragionevoli anche via posta elettronica dell'esistenza di inadempienze per somme dovute, sarebbero molto meno numerose le situazioni in cui l'azienda si trova a dover affrontare un debito (il conteggio degli sgravi da restituire) spesso insostenibile, con il rischio più che evidente di chiusura dell'attività –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non ritengano, nell'ambito delle proprie competenze, di avviare una verifica l'Istituto tale da eventualmente correggere le modalità di accertamento/addebito narrate, ripristinando l'avviso bonario, anche in considerazione del dato che tali modalità sembrerebbero minare alla base e irrevocabilmente quel meccanismo di relazione virtuosa tra le imprese e l'Istituto, fondamentale ai fini contemporaneamente del rispetto della norma e di una sana attività imprenditoriale, ledendo quella fiducia degli imprenditori nello Stato e nelle sue istituzioni necessaria se veramente si vuole sostenere la ripresa economica del Paese, l'attività d'impresa, la tutela del lavoro e dei lavoratori. (5-08175)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VILLAROSA, CASO, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 128, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea gli Stati membri hanno la possibilità di coniare le monete metalliche in euro previa approvazione del relativo volume dalla Banca centrale europea;
   gli Stati membri sottopongono alla Banca centrale europea le proprie stime del volume di conio accompagnando la richiesta da note esplicative sulla metodologia utilizzata per formulare tali stime;
   lo Stato italiano dal 2000 al 2015 ha richiesto un volume di conio complessivo pari a 7,586 miliardi di euro;
   analizzando il volume di conio richiesto — ed autorizzato — dagli altri Stati membri si desumono i seguenti dati:
    Germania: 17,329 miliardi di euro;
    Belgio: 2,718 miliardi di euro;
    Spagna: 7,041 miliardi di euro;
    Irlanda: 1,557 miliardi di euro;
    Lussemburgo 802 milioni di euro;
    Paesi Bassi: 2,444 miliardi di euro;
    Austria: 4,216 miliardi;
    Portogallo: 1,777 miliardi di euro;
    Finlandia: 1,470 miliardi di euro;
    Grecia: 1,683 miliardi di euro;
   la quantità di volume di conio dei suddetti Stati membri, parametrata a prodotto interno lordo ed al debito pubblico, non e coerente con la quantità di volume di conio richiesta dallo, Stato italiano. Fatta, eccezione della Germania i citati Stati membri dispongono di un prodotto interno lordo inferiore al prodotto interno lordo dello Stato italiano e in particolar modo:
    a) per l'Irlanda nel 2014 il debito pubblico era pari al 125,4 del prodotto interno lordo e il relativo prodotto interno lordo nazionale è pari a circa il 10 per cento del prodotto interno lordo italiano;
    b) per la Spagna nel 2014 il debito pubblico era pari al 117,8 del prodotto interno lordo e il relativo prodotto interno lordo nazionale è pari a circa il 60 per cento del prodotto interno lordo italiano;
   sulla base dei suddetti dati — a parere degli interroganti — lo Stato italiano ha richiesto un volume di conio inferiore, in relazione al prodotto interno lordo, rispetto agli altri Stati membri. Un adeguamento della richiesta del volume di conio — che potrebbe quindi essere pari a diversi miliardi di euro — potrebbe aumentare la base monetaria con effetti positivi per l'economia italiana e per la ripresa economica –:
   quali siano le metodologie utilizzate dallo Stato italiano per richiedere il volume di conio da sottoporre all'approvazione della Banca centrale europea, quali siano le ragioni per le quali lo Stato italiano ha richiesto dal 2000 al 2015 un volume di conio pari a solo 7,586 miliardi di euro, per quali ragioni gli Stati membri richiedano un volume di conio, in relazione al prodotto interno lordo, maggiore rispetto al volume di conio dello Stato italiano e, sulla base delle indicazioni di cui in premessa, se reputi opportuno assumere iniziative per richiedere alla Banca centrale europea un aumento del volume di conio così come più volte proposto dagli altri Stati membri. (4-12554)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il CCNL delle agenzie fiscali prevede un sistema di classificazione del personale articolato in tre aree;
   i funzionari appartenenti alla terza e più elevata area professionale «svolgono, nelle unità di livello non dirigenziale a cui sono preposti, funzioni di direzione, coordinamento e controllo di attività rilevanti»;
   la Corte costituzionale, con sentenza n. 37/2015, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 8, comma 24, del decreto-legge 16 del 2012 con il quale si prevedeva che: «fermi i limiti assunzionali a legislazione vigente, in relazione all'esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all'evasione di cui alle disposizioni del presente articolo, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Nelle more dell'espletamento di dette procedure l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle modalità con cui, ad oggi, risultino svolte le procedure selettive presso le agenzie fiscali e se, conseguentemente alla pronuncia della Corte costituzionale succitata, siano state operate tutte le azioni di controllo volte a impedire abusi di diritto. (4-12571)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'assessore ai trasporti della regione Lazio Michele Civita, nel corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica riguardante la linea ferroviaria concessa Roma Lido ha affermato che è in preparazione un nuovo accordo di programma con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la utilizzazione dei fondi europei per ammodernare la ferrovia Roma-Lido;
   l'assessore ai trasporti della regione Lazio ha inoltre reso noto che, per quanto a lui risulta, allo stato non esistono all'uopo progetti o ipotesi concrete per la Roma Lido. L'ATAC concessionaria della linea, seppure in scadenza di contratto, non ha risposto infatti alle sollecitazioni della regione; dal che si deduce che non esistano progetti pronti;
   l'assessore ha quindi riferito che esiste un consorzio di imprese, i cui capofila sono Ansaldo e RATP, che ha proposto un project financing per la riqualificazione e per la trasformazione della linea in metropolitana a tutti gli effetti, con un treno ogni sei minuti nelle ore di punta e un intervallo minimo garantito di 15 minuti. Il project financing prevede la concessione dell'infrastruttura e dei servizi per un periodo di 25 anni, il rinnovo pressochè totale del parco rotabile con l'arrivo di nuovo materiale per una cifra totale pari a 447 milioni di euro, di cui 219 sarebbero contributi pubblici a carico della regione, oltre a un canone che la stessa regione dovrebbe versare pari a 44 milioni di euro per i primi tre anni e 78 milioni per i restanti anni della concessione;
   l'assessore Civita ha inoltre informato che la conferenza di servizi per esaminare il project financing è ancora in corso, ma ha anche aggiunto che «il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sostiene tecnicamente che non vi siano le condizioni per la trasformazione della linea in metropolitana» e ciò sia per il diradamento delle stazioni, sia per il grado di riempimento che non giustificherebbero questa diversa qualificazione;
   per la Roma Lido, sempre secondo le dichiarazioni dell'assessore Civita, esisterebbe al momento solo uno studio, non un progetto, effettuato dalla regione Lazio che richiederebbe un impegno di risorse pari a 180 milioni di euro, ma che si tratterebbe di una proposta tutta da verificare;
   nel corso dell'audizione presso il Senato della Repubblica l'assessore Civita ha poi riferito che la regione sta lavorando per la definizione di un nuovo contratto di servizio da sottoscrivere con ATAC per la gestione della ferrovia concessa Roma Lido. Il contratto in essere è ormai scaduto e l'ipotesi sul tavolo è quella di rinnovare fino al 2019 con previsione di rescissione con preavviso di sei mesi;
   la ferrovia Roma Lido continua, intanto, a registrare una situazione di totale abbandono, con continue interruzioni del servizio, corse soppresse, ritardi di oltre mezz'ora, treni che si fermano di continuo che costringono i pendolari a usare bus sostitutivi con le conseguenze facilmente immaginabili sopportate anche da chi ha un orario di lavoro da rispettare;
   la valutazione del Ministero sulla impossibilità tecnica della trasformazione della Roma Lido in metropolitana esclude in maniera definitiva la possibilità di accedere ai fondi europei per il project financing presentato dal Consorzio di imprese –:
   in relazione alla competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in materia di vigilanza sulle condizioni di sicurezza delle infrastrutture ferroviarie e dei treni delle ferrovie concesse, se siano stati fatti controlli e quanti e quali iniziative siano state assunte per risolvere le continue interruzioni di servizio sulla linea riguardanti sia l'infrastruttura che il materiale rotabile, anche al fine di assicurare condizioni di sicurezza per gli utenti e i lavoratori;
   se non ritenga, visto il rinnovato interesse del Governo per la cosiddetta «cura del ferro» e segnatamente per la ferrovia concessa Roma Lido e considerata la conclamata mancanza di un progetto pronto, di intervenire mettendo a disposizione le strutture tecniche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o di Rete ferroviaria italiana al fine di predisporre in tempi rapidi un progetto di ammodernamento della Roma Lido per poi impegnare le risorse europee FSC;
   se non ritenga, d'accordo con la regione Lazio, di assumere iniziative per l'acquisizione da parte di Rete ferroviaria italiana delle linee ferroviarie concesse Roma Lido e Roma Viterbo, al fine di progettare e realizzare il loro ammodernamento e consentire così in breve tempo di poter offrire, tramite gara, ai cittadini un servizio degno della Capitale, tenendo conto che ciò supererebbe ogni intenzione di rinnovare l'affidamento all'ATAC sia della gestione dell'infrastruttura, che del servizio di trasporto i cui pessimi risultati sono ormai di pubblico dominio. (5-08179)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da anni, purtroppo, si assiste al crollo geograficamente indiscriminato, di viadotti appena ultimati, di scuole appena ristrutturate, di ponti, di autostrade e di edifici;
   una delle cause è certamente da ricercare nell'impiego, durante la costruzione degli stessi, di calcestruzzo non rispondente ai requisiti di progetto e la cui scarsa qualità dipende anche e in buona parte dalle modalità con cui il calcestruzzo viene prodotto;
   gli studi effettuati dall'Istituto italiano per il calcestruzzo circa le differenze qualitative tra il calcestruzzo preconfezionato, prodotto mediante mescolatore fisso in impianto e quello prodotto mediante carico diretto in autobetoniera, evidenziano come l'adozione di un mescolatore fisso garantisca il raggiungimento di un grado di omogeneizzazione del calcestruzzo più elevato e quindi di un miglior spandimento ed una quasi totale idratazione del cemento impiegato evitando, durante la posa in opera, la formazione di nidi di ghiaia o agglomerati di cemento. Quindi l'adozione del mescolatore fisso in impianto di luogo ad un prodotto qualitativamente migliore e, a conferma di quanto già l'esperienza nel settore dimostra, il livello qualitativo del calcestruzzo, a parità di componenti impiegati, è direttamente connesso alle specifiche tecniche del sistema di produzione adottato;
   i riferimenti normativi oggi esistenti in materia risultano però contraddittori. Infatti, se da un lato, la norma europea Uni En 206, all'articolo 9.8, laddove nella nota a margine dello stesso precisa che «Dopo la miscelazione principale, la durata di rimiscelazione in autobetoniera dovrebbe essere non minore di 1 min/m3, e non dovrebbe essere minore di 5 min a partire dall'aggiunta dell'additivo», sembra fare chiaro riferimento alla necessità di una doppia miscelazione, una principale in impianto e una secondaria in autobetoniera, dall'altro lato, sia le cogenti norme tecniche per le costruzioni emesse dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia le linee guida sul calcestruzzo preconfezionato approvate dal Consiglio superiore dei lavori pubblici ammettono la possibilità di una doppia e alternativa via per la produzione del cal-cestruzzo, da adottarsi a scelta e discrezione del produttore di calcestruzzo, la prima con miscelazione nel mescolatore fisso e l'altra con miscelazione in autobetoniera;
   le norme europee Uni En-206 così come «reinterpretate» in Italia dalle norme tecniche delle Costruzioni e dalle relative linee guida sul calcestruzzo non prevedono quindi per il calcestruzzo prodotto in Italia l'obbligatorietà dell'uso del mescolatore fisso in impianto;
   questa fuorviante interpretazione della Uni En-206 si pone altresì in antitesi con quelle di moltissimi altri Paesi europei, quali ad esempio Francia, Germania, Olanda o di Paesi emergenti dal punto di vista della realizzazione di opere infrastrutturali quali Algeria, Arabia Saudita o Emirati Arabi; si tratta di Paesi dove il calcestruzzo è prodotto solo ed esclusivamente tramite l'uso del mescolatore fisso e l'autobetoniera viene relegata alla sua funzione originaria di mezzo di trasporto;
   la sicurezza delle opere pubbliche e non solo, nonché la buona realizzazione delle stessi, dovrebbe essere, per il Governo e per i contribuenti, questione di primario interesse e rilevanza nazionale al fine di scongiurare il fenomeno inaccettabile oltre che deprecabile del crollo o, nella migliore delle ipotesi, della scarsa durabilità delle opere in calcestruzzo –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di promuovere l'adozione di una normativa adeguata, disciplinante il ciclo di confezionamento del calcestruzzo, che imponga l'obbligo per i produttori dello stesso di adoperare un mescolatore fisso in impianto, e ciò sia al fine di garantire la qualità e la sicurezza del prodotto e sia al fine di uniformare la normativa italiana alle prescrizione europee, nonché agli standard degli altri Paesi del mondo. (4-12558)


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 261 del 17 novembre 2015, ha dichiarato la incostituzionalità dell'articolo 29, comma 17 del decreto-legge 12 settembre 2014 n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, nella parte in cui tale disposizione non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di conferenza Stato-regioni;
   infatti, la norma censurata del decreto-legge n. 133 del 2014 incide sulla materia «porti e aeroporti civili» che, alla stregua dell'articolo 117, terzo comma della Costituzione, rientra fra quelle di competenza legislativa concorrente fra Stato e regioni;
   nella materia «porti», quindi, il ruolo costituzionalmente sancito delle regioni può essere salvaguardato solamente ove siano realizzate «forme adeguate di coinvolgimento e procedure concertative e di coordinamento orizzontale fra Stato e regioni, quali le intese», come ha espressamente indicato la Corte;
   con la successiva legge cosiddetta Madia 7 agosto 2015, n. 124, all'articolo 8, comma 1, lettera f), il Governo è stato delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per la «riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della legge 28 gennaio 1994, n. 84, con particolare riferimento al numero, all'individuazione di autorità di sistema nonché alla governance tenendo conto del ruolo delle regioni e degli enti locali e alla semplificazione e unificazione delle procedure doganali e amministrative in materia di porti»;
   tali decreti legislativi debbono essere adottati su proposta del Ministro, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1977;
   in risposta alla precedente interrogazione n. 5-07327 del 12 gennaio 2016, presentata dal sottoscritto nella seduta della IX Commissione del 25 febbraio 2016, ha chiarito il ruolo delle regioni nella fase di redazione e approvazione del piano della portualità e della logistica, un ruolo che deve «essere più incisivo rispetto alla semplice manifestazione di un parere»; «è stata quindi indetta la Conferenza delle regioni, che è ora in fase di confronto con il Governo e si sono già svolte diverse proficue riunioni a livello tecnico e istruttorio per consolidare un confronto più di merito sui punti sopra esposti. Confidiamo di poter giungere, a valle di tale confronto, all'espressione dell'intesa»;
   pertanto, il Ministero ha riconosciuto che per il piano della portualità è necessaria l'intesa Stato-regioni;
   invece, per il decreto legislativo sulla governance dei porti, previsto dalla cosiddetta legge Madia, sempre per il Ministero, occorrerebbe solo il parere delle regioni, dal momento che «le Autorità» Portuali sono Amministrazione centrale dello Stato ed il decreto in questione riorganizza la governance dei 54 porti di rilevanza nazionale ed internazionale»;
   questa tesi, come ha rilevato l'interrogante nella successiva replica alla indicata risposta del Governo, non può essere affatto condivisa e non appare corretta in ordine al rispetto sia della disciplina costituzionale e sia della stessa sentenza della Corte;
   infatti, anche la governance dei porti chiama in causa il ruolo delle regioni, perché essa incide più direttamente sulla realtà dei territori e sulle competenze regionali;
   ne è riprova, ad esempio, la circostanza che il presidente della autorità portuale ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 84 del 1994 e, quindi a legislazione vigente, è nominato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti d'intesa con la regione interessata, con un meccanismo tipico di co-decisione fra Stato e regioni;
   la materia dei porti, nell'intero ed inscindibile ambito della relativa potestà legislativa, ricade nella competenza concorrente e ripartita fra Stato e regioni;
   è evidente che l'intesa occorre ed è necessaria non solamente per le attività di pianificazione portuale e logistica e per gli interventi infrastrutturali e per i relativi programmi di opere pubbliche indispensabili allo svolgimento di tutte le attività legate ai sistemi portuali (piano della portualità), ma anche per la definizione della governance dei porti e per i profili organizzativi del governo delle diverse realtà portuali nel nostro Paese (decreto di cui alla «legge Madia»);
   la Corte Costituzionale ha posto, con la sentenza n. 261 del 2015, un principio vincolante di portata generale, in quanto tale riferibile alla intera competenza legislativa nella materia dei «porti»;
   del resto la Corte, con tale pronunzia, ha potuto valutare la incostituzionalità solo della disposizione del decreto-legge cosiddetto sblocca Italia riguardante il piano della portualità, perché questa è stata l'unica norma sottoposta al suo sindacato, mentre l'articolo 8, comma 1. lettera f) della «legge Madia», concernente la riforma delle autorità portuali, non è stata mai rimessa alla Corte medesima;
   è evidente, tuttavia, che la motivazione a fondamento della sentenza della Corte vale non solo per il piano della portualità, ma pure ed alla stessa stregua per la riforma della governance e per la riorganizzazione dei porti, in particolare per quanto attiene alla definizione delle istituende autorità di sistema ed all'accorpamento delle attuali autorità portuali;
   le regioni debbono, pertanto, essere coinvolte in misura incisiva con il meccanismo delle intese, per addivenire alle scelte più equilibrate, per le quali è indispensabile la partecipazione attiva e piena delle regioni, che hanno compiuta e profonda conoscenza della realtà dei territori e delle comunità;
   questo percorso istituzionale è irrinunciabile e fondamentale per scongiurare scelte e decisioni affrettate e superficiali ed incompatibili con il quadro costituzionale –:
   quali iniziative e quali procedure concertative e di coordinamento orizzontale, il Ministro interrogato intenda assumere per addivenire alle intese necessarie Stato-regioni – in coerenza e nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 261 del 2015 – non solo per il piano nazionale strategico della portualità e della logistica, ma anche per i decreti legislativi di cui all'articolo 8, comma 1, lettera f), della «legge Madia» n. 124 del 2015, in particolare per le scelte organizzative relative al modello di governance dei porti, con l'istituzione delle autorità di sistema, la riorganizzazione, il riordino e l'accorpamento delle attuali autorità portuali. (4-12565)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da agenzie di stampa che con la chiusura delle frontiere da parte della Serbia e della Slovenia, il flusso dei migranti sarà dirottato dall'Albania all'Italia;
   secondo analisti e istituzioni internazionali, oltre 100 mila persone, che pensavano di percorrere la via balcanica, potrebbero sbarcare in Puglia e non è escluso che la traversata dei migranti coinvolga altre regioni della dorsale adriatica;
   i CARA (centri di accoglienza richiedenti asilo) in Puglia sono pieni e per far fronte a nuovi arrivi occorrerebbero risorse economiche e almeno tre mesi per lavori di adeguamento di strutture disponibili, ma non utilizzabili per accogliere con dignità i migranti;
   l'apertura di «nuove rotte» è un timore espresso sia dalla Commissione europea, sia da Spagna e Germania;
   l'Unhcr fa sapere che almeno la metà dei quasi 500 fra migranti e profughi mediorientali (siriani e iracheni) bloccati alla frontiera Serbo-Macedone sono bambini che versano in condizioni estremamente precarie;
   la Slovenia ha fatto sapere che dopo i primi arrivi dalla Grecia (349), dall'Italia (218) e da altri Paesi (20), accoglierà, in base alle quote, 50 rifugiati al mese fino ad agosto 2017;
   su questo delicato argomento si rischia di andare in ordine sparso, la stessa Turchia che sembrava aver chiuso un accordo con l'Unione europea, chiarisce che la «riammissione» prevede che il numero dei migranti rimandati non è di milioni, ma al massimo di qualche decina di migliaia;
   i migranti bloccati in Grecia sono numerosi: oggi si ragiona di 150 mila persone;
   è opportuno sottolineare come la strategia della prima accoglienza sia di competenza del Governo –:
    se non ritenga di dover promuovere un tavolo istituzionale con le autorità regionali della dorsale adriatica nel quale far conoscere il piano che verrà predisposto se si dovesse verificare quanto emerge dalle preoccupazioni dell'Europa, circa l'apertura di «nuove rotte»;
   a quanto ammontino le risorse disponibili per la gestione di una nuova emergenza migranti e per l'individuazione, nonché l'adeguamento di strutture per l'accoglienza nelle regioni adriatiche;
   se non ritenga di dover effettuare tempestivamente le valutazioni di competenza, verificare le informazioni, predisporre il miglior coordinamento possibile sul territorio, al fine di consentire a prefetti e istituzioni territoriali di gestire questa eventualità senza subirla. (3-02121)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denuncia Europol, l'agenzia di intelligence europea, i minori stranieri entrati in Europa come migranti sarebbero ostaggio di trafficanti e nel futuro sarebbero destinati alla prostituzione e persino all'espianto di organi;
   stando ai dati forniti da Europol, una metà dei diecimila minori scomparsi si sarebbero dileguati nel nostro Paese (5000 in Italia, 1000 in Svezia);
   Save the Children parla di almeno 26 mila minori non accompagnati arrivati in Europa nel 2015. Di alcuni non vi sarebbe più traccia, altri potrebbero aver raggiunto membri della loro famiglia;
   sempre secondo Save the Children, il 27 per cento del milione di rifugiati arrivati nel 2015 in Europa ha meno di 18 anni (complessivamente 270 mila minori di cui non si sa più nulla);
   Frontex (l'agenzia europea preposta al pattugliamento delle frontiere esterne) registra gli ingressi, secondo quanto dichiarano i migranti stessi, senza avere la possibilità di effettuare verifiche in tempi rapidi: il dato potrebbe risultare, per eccesso o per difetto, lontano dai numeri reali;
   la maggior parte di questi minori ha un'età compresa fra 14 e 16 anni (nei loro Paesi questa età corrisponde a una sorta di maturità);
   questi migranti vedono l'Italia come un Paese di transito, preferiscono raggiungere Germania, Svezia (nazione, quest'ultima, che concede l'asilo ai minori dopo l'identificazione) o Regno Unito, che di recente ha mostrato disponibilità verso i minori provenienti da zone di guerra;
   la Caritas romana sostiene che in Italia ci sono 15 mila minori stranieri non accompagnati, di cui almeno 5.500 hanno fatto perdere le loro tracce, rendendosi irreperibili per gli enti a cui erano stati affidati;
   molti di questi minori sono egiziani (circa 2 mila, di cui 1182 irrintracciabili); a seguire albanesi (che non sono profughi di guerra) ed eritrei;
   questi ragazzi vengono in Europa aiutati dai genitori e hanno necessità di lavorare per rimborsare il debito (non inferiore a 3 mila euro) per il costo del viaggio e per sostenere economicamente le famiglie nel loro Paese di origine;
   l'età dei ragazzi che arriva con mezzi di fortuna è sempre più bassa e per la maggior parte di loro si apre uno scenario di schiavitù;
   da gennaio 2015, la competenza per la gestione dei minori è del Ministero dell'interno che riconosce 45 euro al giorno per ogni ragazzo ospitato nelle 10 strutture autorizzate, situate tutte al Sud d'Italia;
   la condizione di questi ragazzi non è di detenzione, ragione per la quale questi non rientrano nelle strutture cui sono affidati e non sono più rintracciabili –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative per rivedere le regole per la gestione di questi ragazzi, soprattutto per il fatto che, essendo minori, dovrebbero essere immessi in percorsi di istruzione e formazione professionale, proprio per sottrarli alla criminalità e allo sfruttamento;
   se non ritenga opportuno, considerata la complessità del fenomeno e la divergenza dei dati che vengono resi noti, di dover censire l'effettiva presenza dei minori nelle strutture, per evitare di pagare la quota giornaliera anche per quei minori che non vi fanno rientro ed evitare di creare interessi economici dietro un fenomeno tragico che non dovrebbe prestarsi a speculazioni;
   se non reputi di dover assumere iniziative per coordinare a livello europeo una strategia che consenta di seguire i minori negli spostamenti, essendo grave che migliaia di minori circolino indisturbati e in condizione di indigenza, senza che le autorità competenti abbiano idea di chi siano e cosa facciano, soprattutto per il fatto che si tratta generalmente di clandestini e la clandestinità in Italia è un reato. (3-02122)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da articoli di stampa si apprende che, nel 2015, sono entrati in Europa, con attraversamenti illegali di frontiere, circa 2 milioni di persone (il dato è approssimativo perché le stime potrebbero non fotografare il fenomeno con assoluta certezza, proprio in ragione della sua complessità);
   il 2016 è iniziato con dati in crescita rispetto all'anno precedente; il permanere della crisi negli Stati nordafricani, lo scenario di guerra che si prospetta sulla Libia e gli altri conflitti da cui originano gli esodi, rischiano di trasformare i prossimi mesi, soprattutto per Italia e Grecia, in un incubo, e di far fare gestire loro una emergenza umanitaria senza precedenti, in totale isolamento;
   nel 2015 i Paesi cosiddetti di «prima accoglienza» sono stati Spagna, Italia, Malta e Grecia, ai quali si sono aggiunti, successivamente, Turchia e alcuni Paesi balcanici;
   le regole imposte dagli accordi europei (regolamenti di Dublino) prevedono che le domande di asilo vengano presentate nel Paese di arrivo dei profughi;
   anche la decisione di sospendere la convenzione di Schengen – che ha prodotto notevoli disagi ai cittadini comunitari – rischia di non produrre i risultati sperati, anzi si traduce in aggravio di costi e perdite economiche insostenibili;
   l'Europa ha tentato di partecipare economicamente alla gestione dei migranti, ha introdotto quote sull'accoglienza dei flussi e preso tempo rispetto ad un problema che riguarda disperati (con al seguito donne, anche incinte, bambini, anziani) che, senza vestiti, in assenza di acqua e cibo e in condizioni igieniche inumane, percorrono chilometri a piedi o si affollano su imbarcazioni di fortuna, affidando le loro vita alla criminalità organizzata o a scafisti senza scrupoli che li abbandonano in mare;
   i «fortunati» che sopravvivono a questi viaggi della speranza, si ritrovano ammassati in campi senza servizi, centri di accoglienza o strutture dove a fronte di una capienza per 100 persone, dove convivono in 1000;
   sono tornati il filo spinato e le barriere a difesa dei confini; le polizie nazionali a fare cariche per dissuadere intere famiglie dal proseguire il loro cammino, anche in condizioni climatiche avverse e, questo, mentre i capi di Stato e di Governo non riescono a trovare soluzioni umanamente accettabili ed economicamente sostenibili;
   la decisione di rivedere l'accordo di Dublino è subordinata a questioni elettorali di alcuni Paesi dell'Unione europea e alla sostenibilità del welfare, di altri; un argomento, l'accoglienza, sul quale tutti i Paesi sono pronti a difendere i propri interessi e a spiegare le proprie ragioni per scaricarla su pochi;
   i giornali riferiscono di accordi dell'Unione europea con la Turchia che dovrebbe impegnarsi a fare da «parcheggio» ai tanti che vorrebbero raggiungere la Germania e il Nord Europa;
   non di meno a Bruxelles si parla di Italia e Grecia che avrebbero disatteso le regole di Dublino, non riuscendo a gestire le domande di asilo e a eseguire le corrette procedure di registrazione dei profughi, distinguendoli dai migranti economici;
   si legge anche della decisione dei Paesi europei, alle prese con immigrati che non dispongono dei requisiti per l'accesso negli stessi, che dovessero dichiarare di essere arrivati in Italia o in Grecia, di disporre il loro rientro al Paese di origine, senza prevederne la registrazione –:
   se non ritenga il Ministro interrogato, con l'approssimarsi della bella stagione e con l'inevitabile incremento degli sbarchi, di dover assumere iniziative per predispone un piano per la gestione dei migranti che non sia improntato sull'emergenza;
   se non intenda dover assumere iniziative per pianificare risorse umane, professionali ed economiche, al fine di garantire un'assistenza dignitosa a tutti i sopravvissuti alle traversate, ma anche la certezza della loro identificazione e registrazione, affinché la loro permanenza in Italia sia la più breve possibile, in modo che, una volta ottenuto dagli stessi l'asilo politico o altro titolo per accedere in uno Stato europeo, questi possano essere inviati in Europa, e non possano essere trattenuti in Italia;
   se non ritenga di dover negoziare in sede europea un fondo di «salvataggio» che concorra alle spese e alla gestione di questi flussi incontrollati e incontrollabili, in assenza di una efficace strategia europea di contrasto all'immigrazione e per il permanere di instabilità politica nei Paesi di provenienza dei migranti;
   se non intenda assumere iniziative, in assenza di una politica estera e di sicurezza comune efficace, per tradurre in azioni concrete la proposta di identificazione dei migranti nei Paesi di origine, e per l'adozione di una piattaforma europea condivisa, in attesa di una modifica degli accordi di Dublino, che oggi finiscono per far ricadere il peso economico della gestione dei flussi solo su alcuni Paesi tra cui l'Italia. (3-02123)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 14 marzo a Gallico, in provincia di Reggio Calabria, il giornalista Klaus Davi stava girando un servizio su Eddy Branca, genero del boss della ‘ndrangheta Giovanni Tegano, e ritenuto esponente di spicco del clan omonimo Branca, in carcere in regime di 41-bis e successivamente rimesso in libertà per decorrenza dei termini di custodia cautelare;
   attorno alle 11.00 della mattina, sotto la casa della famiglia Branca, dove Klaus Davi si trovava per rivolgere alcune domande al presunto affiliato del clan Tegano, un uomo sui 40 anni ha iniziato a fotografare il giornalista spacciandosi per carabiniere, e quando Davi gli ha rivolto alcune domande, documentando il tutto in un video, l'uomo è scappato;
   il comando generale dell'Arma dei carabinieri ha successivamente smentito l'identità e la qualifica dichiarata dall'uomo, affermando che non si trattava di un militare dell'Arma dei carabinieri;
   questo inquietante episodio avviene in un territorio in cui la criminalità organizzata è ancora molto forte, come dimostrato dai recenti arresti effettuati della squadra mobile di Reggio Calabria, di persone affiliate al clan De Stefano, o comunque inserite nel sistema criminale calabrese, che tuttora condiziona pesantemente lo svolgimento di qualunque attività commerciale sul territorio di Reggio Calabria –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda adottare per chiarire le generalità dell'uomo che ha fotografato Klaus Davi, anche alla luce dell'inchiesta che il giornalista stava svolgendo, e quali iniziative intenda adottare per garantire l'incolumità di tutti coloro che svolgono attività informativa e di inchiesta sull'operato della criminalità organizzata nel territorio di Reggio Calabria. (5-08169)


   RICCIATTI, FAVA, COSTANTINO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, FRATOIANNI, SCOTTO, PANNARALE, MARCON e FERRARA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 marzo 2016 il quotidiano Il Messaggero (edizione Pesaro) riporta la notizia dell'ennesimo episodio di criminalità nelle Marche legato alla ‘ndrangheta, per il quale è stato disposto il rinvio a giudizio per 15 persone;
   la vicenda, partita da una indagine (denominata «Aspromonte») del Gico della Guardia di finanza, ha fatto emergere attività di usura e costituzione di società di comodo per la vendita fittizia di immobili al fine di mascherare trasferimenti fraudolenti di denaro. Nel corso delle indagini sono stati posti sotto sequestro beni per un valore complessivo di 12 milioni di euro;
   tali attività, secondo gli inquirenti, avrebbero fruttato un giro di affari di 54 milioni di euro in soli due anni;
   secondo la procura della Repubblica presso il tribunale di Ancona la regia delle operazioni illegali descritte sarebbe attribuibile ad un clan di calabresi affiliati alla cosca dei Franconieri;
   una parte dei quindici rinviati a giudizio sarebbero, infatti, collegati al gruppo della ‘ndrangheta che negli ultimi anni si sarebbe radicato nelle aree dell'anconetano e della provincia di Pesaro e Urbino;
   nello specifico la pubblica accusa ritiene che uno degli imputati, Giuseppe Ioppolo, abbia creato a partire dal 2006 una rete fittizia di società immobiliari, nella provincia di Pesaro e Urbino, intestandole a prestanome, con l'intento di movimentare somme di denaro frutto prevalentemente dell'attività di usura ai danni di piccoli imprenditori edili della provincia, con interessi applicati che arrivavano a toccare il 400 per cento annuo;
   l'episodio riportato è l'ennesimo che l'interrogante segnala al Ministro interrogato, facendosi portavoce dei crescenti allarmi di tutta la comunità territoriale interessata –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di contrastare con maggiore efficacia l'espansione ed il radicamento delle organizzazioni criminali di stampo mafioso operanti nel territorio delle Marche. (5-08170)

Interrogazione a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ordine nazionale dei giornalisti è un ente pubblico italiano non economico a struttura associativa, nato nel 1925, l'iscrizione al quale è obbligatoria per l'esercizio della professione di giornalista;
   l'attuale ordine dei giornalisti è stato istituito con la legge n. 69 del 3 febbraio 1963, detta «legge Gonella», che disciplina l'organizzazione della professione;
   il Ministero dell'interno ha istituito un bando, prot. n. 0002133 del 9 marzo 2016, che reca: «Procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di Comunicazione per le esigenze della Direzione Centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione»;
   per proporre la propria candidatura il bando prevede l'iscrizione al sopracitato ordine dei giornalisti professionisti;
   il bando ha una validità di soli 9 giorni, in quanto l'istanza, con termini di decorrenza dal 9 marzo 2016, dovrà pervenire inderogabilmente entro e non oltre le ore 12,00 del 18 marzo 2016;
   nell'articolo 5 del bando, alla voce «compenso», viene specificato che «l'incarico dovrà essere svolto a titolo assolutamente gratuito. Previa autorizzazione del Capo Dipartimento che dovrà tener conto delle vigenti disposizioni in materia di contenimento delle spese di missione ai sensi dell'articolo 6, comma 12, del decreto-legge n. 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 verranno rimborsate, nei modi e nei termini previsti dalla normativa riguardante il personale della carriera prefettizia, eventuali spese di viaggio, di soggiorno e di vitto sostenute per l'espletamento del presente incarico, fuori dal comune di propria residenza, imputate al capitolo di spesa 2253, piano gestionale 02 e 17 Missione 27 – sulla base della documentazione giustificativa presentata dall'interessato, che ne attesti l'effettivo esborso»;
   nel bando, inoltre, vengono esclusi dalla selezione gli iscritti nell'elenco dei giornalisti pubblicisti, il che potrebbe ad avviso dell'interrogante configurare una violazione della legge 150 del 2000;
   la Federazione nazionale della stampa italiana ha definito il bando «inaccettabile e offensivo» richiedendone il ritiro –:
   se il Ministro sia informato dei fatti esposti in premessa e se non intenda intraprendere iniziative, alla luce di quanto sopra espresso, per revocare il bando e riproporlo in modo che nella selezione degli iscritti non siano esclusi coloro che sono inseriti nell'elenco dei giornalisti pubblicisti e che l'addetto alla comunicazione vincitore del bando, iscritto all'Ordine dei giornalisti professionisti, venga regolarmente retribuito senza offendere il decoro e la dignità della professione giornalistica. (4-12566)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GHIZZONI e CAPUA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, ha introdotto la figura del ricercatore universitario a tempo determinato, da assumersi da parte delle università mediante stipula di un contratto di lavoro subordinato per svolgere attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti;
   il medesimo articolo prevede due differenti tipologie di contratto di ricercatore a tempo determinato, di cui la prima, introdotta alla lettera a) del comma 3 e spesso richiamata con la denominazione «ricercatore TDa», è quella di un contratto triennale, prorogabile una sola volta e per un massimo di ulteriori due anni;
   tale tipologia di contratto può venire incontro anche a specifiche necessità dei progetti di ricerca nazionali e soprattutto europei, i cui finanziamenti includono il salario di ricercatori a tempo determinato impegnati nella realizzazione delle ricerche del progetto;
   presso le università sono quindi presenti, oltre a ricercatori TDa pagati sul bilancio dell'università nell'ambito di una programmazione generale dell'organico docente, anche ricercatori TDa pagati sul bilancio dell'università, ma a valere su specifici finanziamenti di progetti di ricerca, nell'ambito dei quali gli interessati prestano per intero la loro attività;
   a tutti i ricercatori TDa spetta comunque il trattamento previdenziale e assicurativo dei lavoratori a tempo determinato della pubblica amministrazione e quindi, nel caso di ricercatrici TDa in astensione obbligatoria per maternità, spetta loro l'indennità di cui all'articolo 57, comma 1, del decreto legislativo 426 marzo 2001, n. 151, la quale rimane a carico delle università, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del medesimo decreto legislativo;
   ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 57, l'università si fa carico del trattamento economico della ricercatrice TDa in astensione obbligatoria per maternità anche quando il periodo di astensione si estenda oltre la fine del contratto di lavoro a tempo determinato;
   un trattamento analogo, pur in una fattispecie giuridicamente diversa, si verifica per le assegniste di ricerca, iscritte per legge alla gestione separata dell'INPS, le quali, durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità, hanno diritto all'intero importo dell'assegno, in parte a carico dell'INPS nella forma di indennità di’ maternità, in parte a carico dell'università, come stabilito esplicitamente dall'articolo 22, comma 6, della legge n. 240 del 2010;
   risulta all'interrogante che alcuni atenei, nel caso di ricercatrici TDa il cui salario sia a carico di finanziamenti di progetti di ricerca, considerano a carico dei finanziamenti di ricerca anche il trattamento economico della ricercatrice durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità, nonostante che il lavoro di ricerca non possa essere prestato durante tale periodo; così facendo impediscono, da un punto di vista contabile, che il lavoro non prestato possa essere eventualmente recuperato con un prolungamento del contratto alla fine dell'astensione obbligatoria per un periodo di pari durata;
   i medesimi atenei, nel caso invece di ricercatrici TDa assunte nell'ambito della programmazione del personale docente, si comportano differentemente, autorizzando il prolungamento del contratto per un periodo pari al periodo di astensione obbligatoria fruito per maternità;
   si realizza così con tutta evidenza una discriminazione sia tra persone che godono dell'identica tipologia contrattuale, quella di ricercatore TDa, sia addirittura tra ricercatrici TDa e assegniste di ricerca, a favore delle seconde;
   nel caso di posti pagati su finanziamenti di ricerca si realizza altresì una discriminazione tra ricercatori TDa e ricercatrici TDa, in quanto, nel caso di maternità delle seconde, queste rappresentano a parità di lavoro effettuato, un costo maggiore per il progetto di ricerca rispetto a quello dei ricercatori uomini;
   sussistono inoltre forti dubbi che la procedura di rendicontazione dei finanziamenti di ricerca possa essere considerata regolare laddove venisse posto a carico del progetto il salario di un periodo di astensione obbligatoria del lavoro, quando invece è da ritenersi che esso si configuri piuttosto come un'indennità di maternità a carico del sistema previdenziale statale –:
   se e quali indicazioni i Ministri interrogati abbiano fornito alle università in merito al trattamento economico delle ricercatrici universitarie a tempo determinato durante i periodi di astensione obbligatoria per maternità, con particolare riguardo al caso di contratti di lavoro subordinato stipulati nell'ambito di progetti di ricerca finanziati su fondi europei;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, in relazione alle possibili discriminazioni tra ricercatori e ricercatrici a tempo determinato, ovvero tra ricercatrici a tempo determinato e assegniste di ricerca, come evidenziato in premessa. (5-08162)


   CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, D'UVA, MARZANA, BRESCIA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 107 del 2015, come sancito all'articolo numero 1, comma 114, ha previsto l'indizione entro il primo dicembre 2015; di un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali;
   il suddetto concorso, bandito a fine febbraio 2016 non oltre due mesi di ritardo, ha reso necessario istituire una commissione giudicatrice che valuterà i circa 200 mila docenti candidati;
   mediante il decreto ministeriale numero n. 96 del 23 febbraio 2016, relativo ai «Requisiti dei componenti delle commissioni giudicatrici dei concorsi per titoli ed esami per l'accesso arruoli del personale docente della scuola dell'infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado, nonché del personale docente per il sostegno agli alunni con disabilità», e l'ordinanza ministeriale n. 97 del 23 febbraio 2016, relativa alla formazione delle commissioni giudicatrici dei concorsi, il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca determina i requisiti e le modalità per la presentazione delle domande a presidente e commissario e le istruzioni per la loro costituzione;
   secondo il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca il numero di commissari necessario all'espletamento delle procedure concorsuali si attesta intorno alle mille unità, una commissione ogni 500 candidati. Per ogni commissione, composta da un presidente e da due docenti in veste di commissari ai quali saranno affiancati due membri aggregati, il Ministero ha negato la possibilità dell'esonero dal servizio;
   al mancato esonero dalle lezioni e dagli esami di maturità si aggiunge anche il compenso irrisorio che, come stabilito dal decreto interministeriale del 12 marzo 2012, è fissato in euro 251,00 lordi per i presidenti e di euro 209,24 lordi per i commissari. A questi compensi forfettari si aggiungono 50 centesimi di euro per ogni elaborato scritto corretto e 50 centesimi di euro per ogni prova orale, ma i compensi non potranno cumulativamente eccedere i 2.051,70 euro;
   in considerazione del fatto che nel bando viene specificato che ogni commissione potrà esaminare al massimo 500 candidati e che, nel caso di suddivisione delle commissioni esaminatrici in sottocommissioni ai componenti di queste ultime compete il compenso base ridotto del 50 per cento, il suddetto compenso di 2.051,70 euro non verrà percepito da nessun commissario, rendendo così i compensi decisamente inadeguati;
   lo stesso Consiglio superiore della pubblica istruzione, all'interno del documento di parere non vincolante sulle procedure concorsuali, emesso il 27 gennaio 2016, a pagina 10 sostiene che: «in considerazione della necessità di garantire tempestività e qualità alla procedura concorsuale non appare coerente l'esiguità del compenso previsto per i commissari (209 euro lordi)»;
   la decisione di stabilire dei parametri per i compensi votati al massimo risparmio non è, questa volta, imputabile, alla mancanza di fondi, considerato che la legge 107 del 2015 ha istituito una tassa di iscrizione di 10 euro per ciascuna classe di concorso per la quale il docente candidato concorre. In questo modo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca incasserà 2 milioni di euro, facilmente raddoppiabili visto che ogni aspirante docente potrebbe presentare in media due domande –:
   se il Ministro interrogato intenda riconoscere ai commissari d'esami compensi adeguati al carico di lavoro previsto, anche in virtù del mancato esonero dal servizio. (5-08163)


   BECHIS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 2016, n. 19, «Regolamento recante disposizioni per la razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento, a norma dell'articolo 64, comma 4, lettera a), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. (16G00026)», con la nuova classe di concorso B12 denominata «Laboratori di scienze e tecnologie chimiche e microbiologiche», introduce per i periti chimici la possibilità di insegnare tutte le materie tecniche in compresenza del secondo biennio e del quinto anno dell'istituto tecnologico agraria agroalimentare e agroindustria;
   i chimici della classe di concorso B12 negli istituti tecnologici agraria agroalimentare e agroindustria, tra le discipline laboratoriali afferenti al secondo biennio e quinto anno, potranno insegnare le seguenti materie: laboratorio di genio rurale, laboratorio di economia marketing ed estimo, laboratorio di produzioni vegetali, laboratorio di produzioni animali, laboratorio di gestione dell'ambiente, laboratorio di enologia e viticoltura, laboratorio di trasformazione dei prodotti, laboratorio di biotecnologia;
   il piano di studio dell'istituto tecnologico chimica materiali e bio tecnologia C6, non contempla l'insegnamento delle succitate discipline presenti invece nel piano di studi dell'istituto tecnologico agraria agroalimentare e agroindustria C8;
   l'interrogante ritiene grave e incongruo il fatto che dei docenti in possesso del diploma di laurea in chimica possano insegnare numerose discipline in relazione alle quali non hanno acquisito conoscenze specifiche nel corso della propria carriera universitaria, poiché non hanno seguito specifici corsi di studio e sostenuto esami universitari sulle materie oggetto dell'insegnamento da loro impartibile negli istituti tecnici sopra detti –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere perché le discipline laboratoriali siano affidate a docenti che abbiano acquisito opportune conoscenze durante la propria formazione universitaria che li pongano in condizione di garantire il miglior trasferimento di conoscenze specifiche ai propri discenti sulle materie oggetto dell'insegnamento loro affidato. (5-08168)


   MALPEZZI, CRIMÌ, COSCIA, ROCCHI, CAROCCI, ASCANI, COCCIA, PES, D'OTTAVIO, RAMPI, MANZI, SGAMBATO, VENTRICELLI, GHIZZONI, BLAZINA, MALISANI, IORI, BONACCORSI, DALLAI e NARDUOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   al sito http://www.miuristruzione.com accessibile con immediatezza dai principali motori di ricerca, viene suggerito ai candidati di acquistare i testi per la preparazione degli esami per il concorso scuola direttamente attraverso il sito Amazon;
   si tratta di un'iniziativa commerciale che utilizza, a giudizio degli interroganti, in maniera ambigua e impropria il nome del «Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca» indirizzando gli acquisiti, e che, con ogni evidenza, causa un grave danno alla categoria dei librai italiani e dei consumatori, rischiando — inoltre — di minare la credibilità del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   appare del tutto evidente, infatti, che il sito in questione possa chiaramente trarre in inganno i consumatori recando riferimenti palesi fin dal dominio (DNS) al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se non ritenga opportuno intervenire in tempi rapidi, a tutela e a garanzia dei consumatori e dei librai italiani, segnalando sul proprio sito che ogni riferimento online ad acquisti suggeriti da effettuarsi direttamente dal sito di Amazon o da altri operatori non è riconducibile al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. (5-08173)


   CHIMIENTI, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, VACCA, D'UVA, BRESCIA e MARZANA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dopo una serie di iniziative come la «scuola a punti» dell'Esselunga, il progetto «Coop per la scuola», la campagna «Insieme per la scuola» promossa da Conad e la raccolta punti «McDonald's premia la scuola», che hanno incoraggiato mediante azioni di pubblicità e marketing incalzanti l'acquisto di prodotti in cambio di punti da utilizzare per corrispondere premi in denaro alle scuole, è ora la volta della Lindt, nota marca produttrice di cioccolato;
   con l'avvicinarsi della Pasqua la società svizzera Lindt sta diffondendo, mediante una pressante pubblicità su tutti i media, il concorso «Fai vincere 10.000 euro alla tua scuola». Nel regolamento dell'iniziativa, visionabile sul sito www.lindt.it/gold-bunny, si legge che per ogni coniglietto « Gold Bunny» da 100 grammi acquistato il cliente potrà far vincere una determinata scuola inserendo, nel sito della Lindt, un codice che si trova nella parte inferiore della confezione del coniglietto di cioccolato;
   ogni coniglietto di cioccolato acquistato darà diritto ad un punto, e un punto extra si ottiene con il passaparola. Alle scuole vincitrici andranno dei premi in denaro di importo variabile dai mille ai diecimila euro, vincolati alla presentazione di un progetto approvato dal dirigente scolastico e dall'associazione genitori;
   in data 16 marzo 2016 la prima scuola in classifica con 304 punti risulta essere la scuola primaria di Lesa (codice meccanografico NOEE819024), in provincia di Novara, una scuola che conta solo 98 alunni;
   la legge n. 107 del 2015 ha previsto la possibilità per i privati di finanziare le scuole tramite il cosiddetto « School Bonus», la procedura di incentivo fiscale per cittadini, imprese, associazioni, fondazioni che eroghino fondi alle istituzioni scolastiche per acquisti finalizzati al raggiungimento di determinati obiettivi formativi;
   i finanziamenti di enti privati alle scuole pubbliche hanno assunto sempre più rilevanza, anche considerando le notevoli carenze in termini di investimenti statali che continuano a costringere le famiglie alla corresponsione del cosiddetto contributo volontario, ma senza che tali finanziamenti debbano garantire in cambio un ritorno economico per le stesse società, educando in questo modo gli studenti ad essere consumatori più che liberi cittadini;
   la spinta a consumare prodotti dolciari come i coniglietti « Gold Bunny» di Lindt in cambio di premi per la scuola secondo gli interroganti va inoltre contro le linee guida per l'educazione alimentare emanate dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in cui viene riportato come principio fondamentale quello di «assicurare un'alimentazione sana a tutti gli esseri umani, eliminando anche la cattiva alimentazione e le patologie da cibo inquinato o malsano, garantendo a tutti la sicurezza di poter consumare cibo sano tale da poter vivere bene e in salute» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per arginare il fenomeno dilagante dei finanziamenti privati alle scuole in cambio di un ritorno economico alle imprese finanziatrici e per porre un freno alla necessità di chiedere alle famiglie l'erogazione del contributo volontario all'inizio di ogni anno scolastico. (5-08176)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Associazione italiana dislessia in Italia ci sono circa 2 milioni di dislessici, di cui 350 mila scolari. La dislessia è spesso associata alla disgrafia, mentre la discalculia è quella meno diagnosticata. Le polemiche sull'incremento delle diagnosi non tengono conto di una questione fondamentale: i casi sono aumentati perché nel 2010 è stata approvata la legge n. 170 sui bisogni di apprendimento. Mentre si parla di 150 mila bambini diagnosticati, si è lontani dalla stima dei 350 mila reali;
   secondo quanto riportato in articoli di stampa, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca conta ufficialmente (perché certificati) tra iscritti nelle scuole statali e non e di ogni ordine e grado, 186.803 ragazzi con un disturbo specifico dell'apprendimento (DSA), di cui 108.844 alunni con disturbi di dislessia, 38.028 di disgrafia, 46.979 di disortografia e 41.819 di discalculia;
   nel corso degli ultimi anni, secondo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, le diagnosi di disturbo specifico di apprendimento, nelle sue varie forme, sono notevolmente aumentate; nell'anno scolastico 2010/2011 erano lo 0,7 per cento, ma in quello 2014/2015 sono arrivate al 2,1 per cento;
   da un'analisi meticolosa dei dati emerge che il sovradimensionamento rispetto alle percentuali attese è dovuto alla difficoltà del passaggio dalla scuola primaria alla secondaria, dove spesso c’è minore flessibilità didattica e meno disponibilità da parte dei docenti, fatto che incentiva una «ricerca della certificazione» come palliativo al possibile insuccesso formativo;
   secondo i maggiori esperti nel settore gli errori non sono casuali; quando i bambini sbagliano lo fanno perché hanno elaborato in maniera non corrispondente la risposta che hanno dato; quindi, va analizzato l'errore, per capire perché il bambino lo compie;
   secondo gli esperti non può essere l'insegnante di sostegno a gestire da solo le difficoltà di un bambino, perché la loro formazione non è sufficiente e soprattutto perché l'intervento viene fatto sulla prestazione, anziché sulla funzione e misura, quindi, si verifica se il bambino raggiunge o meno certi parametri, ma non si fa analisi della qualità dell'apprendimento;
   in Italia la legge prevede per gli alunni con DSA piani didattici personalizzati, strumenti compensativi come la calcolatrice o i programmi di videoscrittura con correttore ortografico. Sono previste interrogazioni programmate e forme di verifica e valutazione personalizzate;
   nei DSA sono compresi disturbi come un'anomalia nelle funzioni cognitive dovute a fattori di tipo epigenetico; alcuni bambini hanno profili complessi con diagnosi che corrispondono non tanto ai disturbi specifici dell'apprendimento ma a quelli che in letteratura vengono definiti come difficoltà nell'apprendimento o profili misti di fatica; genericamente sono compresi nei DSA anche i bambini con un profilo di learning disabilities (quelli che con un aiuto specifico nelle strategie dell'apprendimento ottengono dei risultati significativi), molti dei quali sono «falsi positivi», cioè bambini che se trattati con didattica appropriata e competente possono ottenere i risultati che la scuola chiede –:
   appare all'interrogante contrario ai principi costituzionali attivare un trattamento personalizzato solo in presenza di una certificazione di centro di neuropsichiatria, perché il trattamento personalizzato è un diritto di ogni bambino che abbia un bisogno di aiuto speciale. I bambini hanno bisogno di essere aiutati sia che si evidenzi una disfunzione sia che manifesti una difficoltà –:
   se non ritenga di assumere iniziative per una più specifica formazione degli insegnanti orientata sulla funzione anziché sulla prestazione affinché la valutazione sia in grado di analizzare la qualità dell'apprendimento e non sia finalizzata solo al risultato conseguito dall'alunno.
(5-08178)

Interrogazione a risposta scritta:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   da tempo si ricerca la semplificazione: amministrativa, politica, legislativa; si susseguono, pertanto, provvedimenti del Governo con i quali si vuole razionalizzare, informatizzare, ridurre i tempi delle procedure;
   sembra improbabile, quindi, che per autovalutarsi, un docente di nuova nomina debba «arrampicarsi» in un percorso a ostacoli fatto di domande incomprensibili e per certi versi inutili, o addirittura non pertinenti che dovrebbero portare a definire un insegnante capace, meritevole, competente;
   percorso definito sulla stampa come un'odissea caratterizzata da gergalismi criptici, vuote ridondanze verbali, bizzarri neologismi e arabeschi concettuali, priva di buon senso;
   al docente di nomina recente si chiede se «ritiene di avere un'adeguata conoscenza delle tecniche e degli strumenti per proporre una valutazione che potenzi le capacità di ciascun allievo di progettare e monitorare il proprio apprendimento», domanda che un autorevole giornalista ha commentato chiedendosi «come possa qualcuno “progettare il proprio apprendimento” non sapendo, come ogni studente non sa, che cosa dovrà apprendere»;
   se non bastasse, i neo professori devono «gestire la condivisione per stabilire regole condivise» o «descrivere e sintetizzare le ragioni del proprio posizionamento rispetto ai livelli di competenza percepiti»;
   le linee guida del Ministero per compilare il «bilancio di conoscenze» prevedono tre aree (didattica, organizzazione, professionalità) ognuna delle quali si articola in (ambiti di competenza) che si individuano a mezzo di descrittori –:
   se i Ministri interrogati non ritengano che si sarebbe potuto fare uno sforzo maggiore in linea con la semplificazione e la chiarezza, ma soprattutto per evitare inutili e perigliose procedure, percepite come handicap nel completamento della candidatura, al fine di produrre un format per l'autovalutazione più «umano» e «coerente», utilizzando la lingua italiana in modo comprensibile e mostrando così una sintonia delle istituzioni con il Paese reale. (4-12555)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, CIPRINI, DALL'OSSO, LOMBARDI, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Bames e Sem, ex Celestica ed ex IBM, aziende dislocate nella zona est della Brianza, fiori all'occhiello della Silicon Valley, un tempo leader nei servizi di progettazione, sviluppo e distribuzione di apparecchiature elettroniche, hanno dichiarato il fallimento nel 2013;
   in data 12 gennaio 2016, veniva pubblicata sul sito di informazione « ilgiorno.it», la notizia che la procura di Monza aveva chiuso l'inchiesta per il fallimento della Bames e della controllata Sem, lasciando a casa circa 400 lavoratori;
   le indagini erano state avviate dalla guardia di finanza di Monza su di un contratto di lease back e un finanziamento con cui Bames ha ottenuto circa 87 milioni di euro. Denaro che, in base alle ricostruzioni investigative, è servito, per acquistare partecipazioni in altre società e per finanziare altre aziende del gruppo. Successivamente, sotto la lente degli inquirenti è finita la posizione dell'allora responsabile amministrativo di Celestica Italia, Giancarlo Sala e di due ex dirigenti canadesi della società madre Celestica, Serge Lamothe e Todd Melendy, ora divenuto manager di caratura mondiale in altri colossi dell'economia, con l'ipotesi di accusa che la scissione tra Bames e Sem, società in seguito nuovamente riunite, possa essere stata decisa a tavolino per fare acquisire un illecito vantaggio ai partner, oltreoceano consistito in 69 milioni di euro in merci del magazzino in parte svuotato dei prodotti migliori prima dell'uscita di scena di Celestica e altri 64 milioni di liquidità in titoli;
   conseguentemente, i giudici della sezione fallimentare del tribunale di Monza hanno interessato la procura monzese ritenendo la situazione debitoria e finanziaria delle aziende strutturalmente compromessa;
   il sostituto procuratore Walter Mapelli ha firmato il decreto di fine indagini nei confronti di 13 persone accusate a vario titolo di avere distratto beni e liquidità per circa 230 milioni di euro dalle due società indicate. Tra queste i presunti amministratori di fatto di Bames e SEM, Vittorio Romano Bartolini, i figli Massimo, Vittorio e Selene, i tre manager Luca Bertazzini in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di Bames fino al 2008, seguito nella carica da Giuseppe Bartolini e Alessandro Di Nunzio e dei tre professionisti membri del collegio sindacale di Bames, Riccardo Toscano, Angelo Sandro Interdonato e Salvatore Giugni e, con l'accusa di bancarotta fraudolenta, anche l'attuale amministratore delegato della Telit Corporation, Cats Oozi. Quest'ultimo, nello specifico, è accusato di avere dissipato 16 milioni di euro ai danni della Bames a favore di Telit Communication attraverso la controllata Telit Wireless Solutions; – in data 14 marzo 2016, veniva emessa una nota rivolta all'attenzione degli organi di informazione, delle istituzioni e delle forze politiche e sindacali, a prima firma del segretario generale FIM-Cisl della provincia di Monza e Brianza, Luigi Redaelli, riguardante il presidio che si sarebbe tenuto nella giornata del 17 marzo 2017 dagli ex dipendenti di Bames e Sem, davanti al Tribunale di Monza. Tale presidio era volto a chiedere che fosse applicato il rinvio a giudizio nei confronti di chi aveva causato il fallimento delle aziende e con un rapido processo che fossero accertate tutte le responsabilità nei confronti di chi aveva creato il disastro finanziario del gruppo, creando enormi problemi economici e sociali agli ormai ex dipendenti. Veniva inoltre chiesto che a pagare fossero tutti i soggetti riconducibili a responsabilità del fallimento stesso;
   nel comunicato veniva specificato che i lavoratori, i delegati sindacali delle aziende e le organizzazioni sindacali FIM-Cisl e FIOM-Cgil, avessero accolto con soddisfazione la notizia della chiusura delle indagini della procura di Monza che ha visto 13 persone indagate per bancarotta fraudolenta, legate al fallimento di Bames e Sem;
   veniva ricordato che, paradossalmente, l'istanza di fallimento per le due società era stata presentata dalle organizzazioni sindacali e dalle rappresentanze sindacali unitarie. Le stesse hanno chiesto di esautorare la famiglia Bartolini proprietaria del gruppo Bames e Sem e i dirigenti dalla gestione fallimentare delle aziende. Le indagini svolte hanno evidenziato i reati di bancarotta fraudolenta e distrazione di beni e risorse economiche che dovevano essere destinate alla re-industrializzazione della società;
   nell'anno 2010, i sindacati sopraindicati avevano commissionato l'analisi dei bilanci a una società specializzata che, sugli studi riguardanti la Bartolini Progetti e le società a essa riconducibili, hanno realizzato un dossier dal titolo emblematico «Il saccheggio di Bames: quattro anni di giochi finanziari sulle spalle dei lavoratori». A detto studio ha fatto seguito un convegno pubblico nel comune di Vimercate (MB) in data 25 febbraio 2011, con la diffusione a più livelli della sintesi della ricerca. Il testo completo di questo studio è stato inoltre messo a disposizione sia della curatela fallimentare di Bames, sia della procura della Repubblica di Monza;
   i sindacati FIM e FIOM hanno denunciato sin dall'inizio, nell'anno 2006, i dubbi sul ruolo del gruppo Bartolini Progetti e in particolare dopo l'acquisizione delle quote di Celestica Italia. Era stato fortemente contestato il comportamento di questo gruppo definito dai sindacati «pseudo-industriale», perché a loro dire stravolgeva il senso della re-industrializzazione prevista nel Protocollo istituzionale firmato dalle parti sociali il 2 agosto 2006 in regione Lombardia;
   quanto poi successo, ha dato ragione a chi aveva sollevato più di un dubbio sulla nuova gestione;
   i sindacati terminavano il comunicato dichiarando che nessuno potrà essere dichiarato colpevole sino a che non vi sarà mia sentenza definitiva, ma veniva ribadito l'auspicio che si potesse fare giustizia nei confronti dei dirigenti che avevano sbagliato e che dovevano pagare gli errori commessi, pur sapendo che i danni economici e i drammi sociali e familiari che hanno visto coinvolte centinaia di persone non potranno essere cancellati e i posti di lavoro persi in Bames e Sem non saranno più comunque recuperati –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano di assumere iniziative per favorire un piano di ricollocamento urgente per tutti gli ex dipendenti delle fallite aziende Bames e della controllata Sem. (5-08172)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a dicembre 2015 risale l'ultimo decesso per tumore, che si aggiunge a una lista di 60 casi di morti negli ultimi 20 anni: una strage silenziosa che ha sterminato gli ex operai della Ideal Standard di Salerno;
   la fabbrica, attiva nella produzione di sanitari, è stata chiusa nel 1998 e in quel momento contava 214 lavoratori, quasi tutti impiegati in attività a contatto con l'amianto, presente negli impasti delle ceramiche, nel rivestimento del tetto dei capannoni, nei forni della cottura e della ricottura dei pezzi «intaccati e riparati» e nella coibentazione dei tubi di aerazione, trasmissione, acqua e vapore;
   si apprende di operai esposti a rischio amianto e materiali contaminati nascosti sottoterra, in spregio alle norme sullo smaltimento dei rifiuti speciali e contro ogni logica di tutela della salute pubblica; è quello che sarebbe avvenuto nell'ex Ideal Standard, una vicenda portata allo scoperto dalle dichiarazioni degli operai e su cui si sarebbero accesi i riflettori della procura;
   questa storia e la sua scia di morti e malattie comincia il 10 luglio 1998, quando gli operai della fabbrica di sanitari vengono a conoscenza della chiusura dell'area industriale e si arrendono senza lottare, incantati dalla promessa di un reimpiego nel nascente « Sea Park», il parco acquatico che avrebbe dovuto nascere su quei suoli grazie all'arrivo di capitali freschi di un consorzio delle cooperative «rosse» emiliane;
   l'area è stata venduta alla Sea Park spa, con il vincolo di ricollocazione degli ex dipendenti, a cui, nel frattempo, sarebbe stato assegnato un lavoro ingrato: interrare nelle vasche la risulta dello smembramento della fabbrica e finiscono così per toccare l'amianto con opere di smantellamento dal 2000 al 2004;
   secondo il racconto di Alfonso Maiorano, ex dipendente: «Lavorammo tre anni per creare un ambiente unico in cui doveva sorgere la struttura del Sea park. Eravamo divisi in due gruppi di 30/40 persone, divisi in altrettanti turni di lavoro. Ci fu ordinato di abbattere le mura, oltre che alle tubature e di buttare tutte nelle vasche e nei canali dove passavano i vagonetti. Noi stessi provvedemmo a coprire con il cemento e creare un maxi pavimento»;
   lo stesso coordinatore provinciale dell'Adiconsum, Antonio Galatro, ha spiegato che «in primo luogo v’è da affermare che l'inalazione da amianto, soprattutto sopportata dai dipendenti dell'ex Ideal Standard, è causa oltre che di una specifica patologia conosciuta da molto tempo come l'asbestosi, di tumori polmonari che possono insorgere anche dopo decenni dal primo contatto con questo materiale e del mesotelioma, tumore specifico della membrana che riveste il polmone e tappezza la cavità toracica. Inoltre, pare che tra gli anni 2000 e 2004 alcuni ex operai dell'Ideal Standard siano stati richiamati al lavoro per sistemare gli ex capannoni industriali da destinare all'allora nascente progetto Sea Park. Parrebbe che tutto l'amianto esistente nel sito industriale — quello da lavorazione e tutto quello del tetto dei capannoni — senza nemmeno essere stato incapsulato, sia stato interrato e coperto da cemento. Il "tombamento" illegale di metalli pesanti, quali l'amianto, nel caso d'inquinamento di falde acquifere, potrebbe essere causa di una vera e propria strage tra la popolazione. In questo panorama, poi, è gravissimo che gli ex lavoratori dell'Ideal Standard debbano invocare tutela nelle sedi giudiziarie — la prossima udienza si terrà il 12 gennaio — solo perché la politica e gli enti hanno poco considerato la pericolosità della questione e poco o niente hanno fatto per evitare rischi per la salute e per l'ambiente: è vero, infatti, che da pochissimo tempo si sta parlando di verificare lo stato dei luoghi nello stabilimento di Salerno»;
   nella documentazione raccolta dai legali cui si sono rivolti i lavoratori si testimonia un contatto con agenti tumorali già nel corso dei processi di lavorazione, ad esempio con l'utilizzo di talco sui pezzi danneggiati e l'impiego di corde in amianto per i vagoncini che conducevano ai forni;
   come se ciò non bastasse, a Salerno molto di quel materiale, secondo la denuncia dei lavoratori, potrebbe essere finito nel terreno;
   appare necessario, e non più rinviabile, un intervento urgente sulla questione sia a tutela degli ex lavoratori dell'Ideal Standard, sia, e più in generale, a tutela dei cittadini per quel che attiene il sotterramento illegale di metalli pesanti;
   la sicurezza sui posti di lavoro dovrebbe essere inserita come priorità nelle agende delle istituzioni locali e nazionali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritengano opportuno adottare per verificare lo stato dei luoghi dello stabilimento Ideal Standard di Salerno, a tutela della salute di tutti i cittadini salernitani e dell'ambiente, nonché per quanto di competenza, per verificare eventuali responsabilità nel mancato rispetto della normativa di tutela della salute sul luogo di lavoro. (4-12574)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la pesca professionale attualmente viene praticata principalmente ad opera di pescatori stranieri, prevalentemente provenienti dai Paesi dell'Est Europa, con particolare riferimento al delta del Danubio, oltre ad un esiguo numero di operatori italiani, a giudizio dell'interrogante comunque compiacenti dei trafficanti dell'Est Europa;
   questi soggetti, operano a fronte dell'acquisizione di una licenza di pesca professionale, rilasciata dalla provincia di residenza, in funzione della rispettiva legge regionale, a costi annuali irrisori, senza l'obbligo di nessun corso o qualifica di specializzazione. La licenza di pesca dà diritto all'attività di pesca e alla commercializzazione del relativo pescato verso i mercati ittici o comunque con imprenditori commerciali del comparto ittico;
   dal 2012, si sono aperti dei mercati con le industrie dell'Est Europa, principalmente in Romania, per la lavorazione del pescato d'acqua dolce, sia per l'alimentazione umana, sia per la produzione di alimenti per animali. La filiera di tali mercati, per potersi sostenere, richiede ingentissime quantità di materia prima e in soli tre anni, molti corsi d'acqua hanno subito una contrazione di risorsa ittica fino al 90 per cento;
   questo sistema industriale si rivolge principalmente verso le acque italiane interne, in particolare, in ogni corso d'acqua della pianura padana dove la pesca professionale e la commercializzazione del pescato sono autorizzate. È altresì ovvio che le acque interne della pianura padana non possono costituire e continuare ad essere a lungo il bacino di approvvigionamento della risorsa ittica necessaria ad alimentare il sistema industriale di lavorazione del pescato costituitosi nell'Est Europa;
   la pesca professionale praticata dai suddetti pescatori stranieri porta introiti irrisori provenienti dalle licenze professionali, ha regimi fiscali ai minimi, non lascia nessun indotto sul territorio e trasferisce tutto il capitale ittico all'estero, sottraendolo definitivamente alla pesca sportiva che invece sviluppa un indotto commerciale pari a circa tre miliardi di euro l'anno, tra attrezzatura direttamente venduta, strutture ricettive e varie ricadute economiche sul territorio;
   tutto il materiale ittico pescato e commercializzato viene catturato in qualsiasi corso d'acqua possibile senza tener conto delle condizioni ambientali, qualità e salubrità delle acque, senza distinzione di specie ittica, pregiata o non, tutelata o non. Inoltre, il pescato non è soggetto a nessun idoneo controllo sanitario o comunque non pare caratterizzato da veritiera certificazione di provenienza;
   il materiale ittico viene altresì catturato quasi sistematicamente in modo illegale: pesca in zone non consentite, oltre i limiti di orario previsti, con strumenti o metodi non autorizzati, spesso stordendo i pesci con la corrente elettrica o con lo sversamento in acqua di sostanze chimiche;
   le quantità di fauna ittica catturata, soprattutto con modalità fraudolente, sono ingentissime e riescono ad eludere le attività di controllo. Vengono conferite presso vari centri di stoccaggio, spesso in strutture private o magazzini, con discutibile osservanza delle più comuni regole e idonee autorizzazioni;
   settimanalmente il materiale ittico stoccato viene caricato su furgoni frigo coibentati e trasferito verso i mercati dell'Est Europa per la lavorazione e la trasformazione. Dal momento in cui il materiale ittico, pescato illegalmente, viene caricato sui furgoni, che rispettano le normative idonee per il trasporto, quel carico di pesce diventa regolare, in quanto ha un mittente con una valida partita iva (quella di pescatore di professione e imprenditore ittico) e un legittimo destinatario con sede all'estero;
   si viene a creare, quindi, un'anomalia che vede, da un lato, le forze di polizia e le istituzioni impegnate nel contrastare i reati di pesca di frodo, ma con risultati quasi esigui, e, dall'altro, ingenti quantità di risorsa ittica, frutto del reato stesso, divenire regolari dal momento dello stoccaggio al conferimento presso il destinatario finale;
   vanno rimarcati la mancanza di veridicità sulla provenienza del pescato, l'assoluto dubbio sulla salubrità delle carni stesse, la contrazione enorme del patrimonio ittico italiano e l'ingente danno causato all'indotto socio-economico della pesca sportiva –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le iniziative urgenti che intende adottare al fine di fronteggiare la grave situazione in cui versano le acque ciprinicole interne, o almeno dell'areale padano, in particolare relativamente alla commercializzazione del pescato proveniente dalle stesse acque. (5-08166)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio oleicolo internazionale (COI), istituito nel 1959 sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, è l'unica organizzazione intergovernativa mondiale che si occupa del settore dell'olio di oliva e delle olive da tavola. Il Consiglio ha sede a Madrid e ne fanno parte 28 Paesi tra cui l'Italia che non solo è uno dei Paesi fondatori ma rappresenta, nel complesso, il 98 per cento della produzione mondiale di olio di oliva;
   il COI si adopera a favore di un'olivicoltura sostenibile e responsabile e costituisce un forum di confronto a livello mondiale sulle linee di azione per affrontare le sfide del presente e del futuro;
   per conseguire i suoi obiettivi il COI favorisce la cooperazione tecnica internazionale attraverso progetti di ricerca e sviluppo, attività di formazione e trasferimenti di tecnologia; favorisce la crescita del commercio internazionale di olio di oliva e olive da tavola, fissa e aggiorna le norme commerciali, si adopera per il miglioramento della qualità; lavora per una maggiore integrazione della dimensione ambientale nelle attività del settore olivicolo/oleario; promuove il consumo mondiale di olio d'oliva e olive da tavola mediante campagne innovative e programmi specifici; pubblica statistiche e informazioni chiare e puntuali sul mercato mondiale dell'olio di oliva e delle olive da tavola; riunisce periodicamente i rappresentanti dei governi, che riflettono sui problemi del settore e sulle priorità di azione e collabora strettamente con il settore privato;
   come prontamente riportato da alcune agenzie stampa, quali Agra Press e Agricolae, dal 7 al 10 marzo 2016 si è svolta la ventiseiesima sessione straordinaria nel corso della quale sono stati nominati due vice direttori: lo spagnolo Jaime Lillo ed il turco e Mustafa Sepetci che entreranno in carica dal primo luglio 2016 –:
   di quali ulteriori elementi sia conoscenza e se non ritenga di dover intervenire affinché la posizione dell'Italia nell'ambito del Consiglio sia adeguatamente rappresentata non solo in considerazione della eccellenza della produzione olivicola nazionale ma anche al fine di scongiurare ogni dubbio circa la possibilità che le suddette nomine ai vertici del Consiglio oleicolo internazionale possano in qualche modo favorire l'ulteriore importazione senza dazio nel territorio unionale di olio proveniente da Paesi terzi. (4-12570)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   dal sito del Ministero della salute si apprende che il 15 marzo 2016 un bambino di 14 mesi è stato ricoverato al Meyer di Firenze con una intossicazione alimentare dopo aver consumato formaggi della ditta romena Sc Bradet srl;
   da quanto si apprende da organi di stampa, il bambino di cui alla precedente premessa ha contratto un'intossicazione causata dal batterio Escherichia coli 026:H11;
   tale contaminazione sarebbe riconducibile ad una epidemia che ha colpito 14 bambini in Romania dal 24 gennaio ad oggi;
   da un comunicato pubblicato sul sito del Ministero della salute si apprende che «Attraverso il sistema di allerta RASFF è stata pubblicata la NEWS 16-811 riguardante il ritiro volontario per misura precauzionale di diversi alimenti a base di latte prodotti dalla ditta SC BRADET (Romania). Tale informazione è stata diramata in relazione a casi di Sindrome Emolitico Uremica (SEU) associati ad infezione da Escherichia Coli 026:H11 avvenuti in Romania. I prodotti ritirati sono stati distribuiti in alcuni Paesi europei tra cui l'Italia;
   nello stesso comunicato il Ministero informa che le regioni coinvolte dalla distribuzione dei prodotti ritirati sono il Lazio, la Toscana e la Campania;
   da organi di stampa si apprende che la ditta SC Bradet s.r.l. il 9 marzo 2016 aveva già iniziato a ritirare in via precauzionale i propri prodotti a base di latte (formaggi) a causa proprio della presenza del batterio in alcuni campioni –:
   oltre a quelle indicate nel comunicato del Ministero della salute di cui in premessa e a quelle derivanti dagli obblighi previsti dal regolamento 178/2002, quali altre iniziative siano state avviate affinché sia scongiurato il pericolo di ulteriori avvelenamenti;
   quanto tempo sia intercorso tra la NEWS 16-811 pubblicata dal sistema RASFF e le comunicazioni che il Ministero della salute ha inoltrato agli assessorati alla sanità delle regioni coinvolte nelle liste di distribuzione;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per potenziare gli organi di controllo da un punto di vista economico, di mezzi e personale al fine di garantire la sicurezza alimentare e la tracciabilità agroalimentare in modo particolare per quanto concerne la filiera del latte. (4-12561)


   CENSORE, MAGORNO, BRUNO BOSSIO, STUMPO, BORGHESE e AIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
    con deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, l'Ingegnere Massimo Scura è stato nominato quale commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria secondo i programmi operativi di cui all'articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni;
   con la deliberazione del Consiglio dei ministri sopra richiamata, è stato nominato il dottor Andrea Urbani sub commissario unico nell'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria con il compito di affiancare il commissario ad acta nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale;
   con la anzidetta deliberazione è stato assegnato al commissario ad acta per l'attuazione del suddetto piano di rientro, l'incarico prioritario di adottare e ed attuare i programmi operativi e gli interventi necessari a garantire, in maniera uniforme sul territorio regionale, l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, appropriatezza, sicurezza e qualità, nei termini indicati dai tavoli tecnici di verifica, nell'ambito della cornice normativa vigente, con particolare riferimento alle seguenti azioni ed interventi prioritari:
    1) adozione del provvedimento di riassetto della rete ospedaliera, coerentemente con il regolamento sugli standard ospedalieri, di cui all'intesa Stato-regioni del 5 agosto 2014 e con i pareri resi dai Ministeri affiancanti, nonché con le indicazioni formulate dai tavoli tecnici di verifica;
    2) monitoraggio delle procedure per la realizzazione dei nuovi ospedali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente e dalla programmazione sanitaria regionale;
    3) adozione del provvedimento di riassetto della rete dell'emergenza urgenza, secondo quanto previsto dalla normativa vigente;
    4) adozione del provvedimento di riassetto della rete di assistenza territoriale, in coerenza con quanto specificatamente previsto dal patto per la salute 2014-2016;
    5) razionalizzazione e contenimento della spesa per il personale;
    6) razionalizzazione e contenimento della spesa per l'acquisto di beni e servizi;
    7) interventi sulla spesa farmaceutica convenzionata ed ospedaliera al fine di garantire il rispetto dei vigenti tetti di spesa previsti dalla normativa nazionale;
    8) definizione dei contratti con gli erogatori privati accreditati e dei tetti di spesa delle relative prestazioni, con l'attivazione, in caso di mancata stipulazione del contratto, di quanto prescritto dall'articolo 8-quinquies, comma 2-quinquies, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e ridefinizione delle tariffe delle prestazioni sanitarie, nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 15, comma 17, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, data legge n. 135 del 2012;
    9) completamento del riassetto della rete laboratoristica e di assistenza specialistica ambulatoriale;
    10) attuazione della normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali, mediante adeguamento della vigente normativa regionale;
    11) interventi sulla spesa relativa alla medicina di base;
    12) adozione dei provvedimenti necessari alla regolarizzazione degli interventi di sanità pubblica veterinaria e di sicurezza degli alimenti;
    13) rimozione, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, dei provvedimenti, anche legislativi, adottati dagli organi regionali e i provvedimenti aziendali che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro e dei successivi, programmi operativi, nonché in contrasto con la normativa vigente e con i pareri e le valutazioni espressi dai tavoli tecnici di verifica e dai Ministeri affiancanti;
    14) tempestivo trasferimento delle risorse destinate al servizio sanitario regionale da parte del bilancio regionale;
    15) conclusione della procedura di regolarizzazione delle poste debitorie relative all'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria;
    16) puntuale riconduzione dei tempi di pagamento dei fornitori ai tempi della direttiva europea 2011/7/UE del 2011, recepita con decreto legislativo n. 192 del 2012;
   il decreto del Ministero della salute n. 70 del 2 aprile 2015, con cui è stato approvato il regolamento recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, il quale, in attuazione delle disposizioni contenute nella legge 7 agosto 2012, n. 135, prevede che le regioni debbano adottare un provvedimento di programmazione teso a ricondurre la dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente utilizzati a carico del servizio sanitario regionale (Ssr), ad un livello non superiore a 3,7 posti letto (pl) per mille abitanti, di cui 0,7 per la riabilitazione e lungodegenza post-acuzie (disposizione contenuta nell'articolo 15, comma 13, lettera c) della legge n. 135 del 2012), garantendo il progressivo adeguamento agli standard previsti nell'arco di un triennio;
   il tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti regionali e il comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza (verbale riunione congiunta del 26 novembre 2015) hanno tuttavia dissentito sulle modalità di calcolo dei posti letto, evidenziando che la dotazione programmata in Calabria risulterebbe inferiore rispetto allo standard corretto per mobilità per le acuzie, di circa 310 posti, mentre per le post acuzie, la dotazione attesa risulterebbe superiore allo standard corrispondente di 95 posti letti, invitando la struttura commissariale a fare un'ulteriore riflessione sulla opportunità di portare la dotazione dei posti letto per post-acuzie al massimo previsto dal decreto ministeriale n. 70 del 2015 al netto della mobilità (0,64 posti letto per 1.000);
   dalla riunione congiunta del tavolo tecnico di cui sopra è emerso il ritardo con il quale si sta portando avanti la riorganizzazione dell'emergenza territoriale e altre criticità sotto indicate:
    a) per quanto riguarda l'efficienza della rete dell'emergenza-urgenza territoriale, l'indicatore considerato, riferito al tempo intercorrente tra la ricezione delle chiamate da parte della centrale operativa e l'arrivo del primo mezzo di soccorso risulta largamente superiore alla soglia ritenuta adeguata;
    b) per ciò che concerne la situazione relativa all'erogazione dell'assistenza territoriale, l'ultimo aggiornamento degli indicatori evidenzia una quota insufficiente di anziani assistiti a domicilio pari a 0,31 per cento (intervallo di riferimento ›= 1,8 per cento come da fonte NSIS-SIAD);
    c) si osserva un numero inadeguato di posti equivalenti presso strutture semiresidenziali preposte all'assistenza dei disabili (0,06 per 1.000 versus 0,18 per 1.000);
    d) si rileva, inoltre, una dotazione di posti letto destinati alle strutture per pazienti terminali inferiore ai riferimenti nazionali, il cui rapporto su 100 deceduti per tumore è pari a 0,4 (valore di riferimento ›=1);
    e) anche il numero di assistiti presso i dipartimenti di salute mentale risulta pari a 1,36 per 1.000 residenti nel 2014 e, pertanto, largamente inferiore all'intervallo ritenuto adeguato (›= 10,2 per 1.000);
    f) relativamente agli ospedali di zona montana, è stato registrato un ritardo nell'integrazione degli stessi, considerati di area disagiata, nella rete ospedaliera e nell'attivazione di un servizio di oncologia funzionalmente integrato con lo spoke di riferimento;
   con la deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro è stato assegnato l'incarico prioritario di adottare ed attuare i programmi operativi e gli interventi necessari a garantire, in maniera uniforme su tutto il territorio regionale, l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, appropriatezza, sicurezza e qualità, mentre è evidente per gli interroganti che il nuovo percorso intrapreso dal nuovo commissario sta andando in direzione contraria; ciò è dimostrato peraltro dalla nuova riorganizzazione della rete ospedaliera, della rete dell'emergenza urgenza e delle reti tempo-dipendenti, attuata con decreto commissariale n. 30 del 2016, che rischia di cassare, a giudizio degli interroganti, ulteriormente il diritto alla salute soprattutto in quelle province maggiormente penalizzate dalla forte ed evidente sperequazione dell'offerta sanitaria (in tal senso è emblematico il caso della provincia di Vibo Valentia, realtà già ampiamente penalizzata, con standard di posti letto di gran lunga inferiori rispetto alla media di 3,7 per mille abitanti);
   una visione miope e ragionieristica del piano di rientro della spesa sanitaria in Calabria ha cagionato una autentica «desertificazione» sanitaria;
   di conseguenza, i fallimenti del Piano di rientro gestiti dai vari commissari che si sono succeduti hanno sostanzialmente messo in discussione secondo gli interroganti il diritto costituzionale alla salute in Calabria;
   il piano di rientro, dal disavanzo sanitario stipulato in data 17 dicembre 2009 – ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005) mantiene natura concertata e anche nelle ipotesi di commissariamento, gli organi coinvolti debbano attenersi effettivamente al principio di leale collaborazione;
   i piani di rientro dai disavanzi sanitari, cui sono sottoposte, oggi, alcune regioni italiane, presentano non pochi profili di criticità che riguardano sia l'aspetto della garanzia delle competenze delle autonomie territoriali regionali, sia l'annosa questione dei diritti finanziariamente condizionati e della necessità di trovare il giusto equilibrio tra l'esigenza di rispettare i limiti della disponibilità finanziaria e quella di garantirei, nella misura più ampia possibile, alcuni diritti della persona, soprattutto quelli che, come quelle attinenti alla tutela della salute, hanno un'importanza fondamentale in quanto costituiscono il presupposto per il godimento di altri diritti;
   su scelte di rilevanza sociale, manca ad avviso degli interroganti la necessaria interlocuzione istituzionale e il doveroso concertativo da cui, evidentemente, scaturisce l'attuale situazione di gravissima conflittualità istituzionale che gli atti della struttura commissariale stanno producendo in Calabria –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra denunciato e del fatto che in Calabria sta diventando sempre più complicato garantire ai cittadini i livelli essenziali di assistenza;
   quali iniziative, nei limiti delle proprie competenze, intenda assumere al fine di evitare il collasso del sistema sanitario calabrese;
   quali iniziative si intendano assumere per porre rimedio a quella che appare agli interroganti una evidente spoliazione dei servizi, soprattutto in quelle province maggiormente penalizzate dalla forte ed evidente sperequazione dell'offerta sanitaria e per porre rimedio alla gravissima conflittualità istituzionale che gli atti della struttura commissariale stanno producendo in Calabria. (4-12564)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi industriale che colpisce attualmente il sistema territoriale che ha come epicentro Anagni e Frosinone può trovare soluzione solo in un profondo processo di riorganizzazione e riconversione produttiva;
   le dimensioni della crisi sono tali da non consentire alla regione Lazio di intervenire soltanto con la propria strumentazione e con le risorse di cui dispone. La stessa regione Lazio, pertanto, ha chiesto il coinvolgimento delle amministrazioni centrali competenti per definire una strategia complessiva per assicurare efficienza ed efficacia agli interventi e soprattutto tempi rapidi di attuazione;
   in data 5 dicembre 2012 la regione Lazio ha approvato la deliberazione n. 589 concernente «l'approvazione della presentazione dell'istanza per l'accertamento della presenza di situazioni complesse con impatto significativo sulla politica industriale nel Sistema Locale del Lavoro della provincia di Frosinone ai sensi dell'articolo 27, decreto-legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 134»;
   in data 14 gennaio 2013 è stato sottoscritto un verbale di intesa tra Ministero dello sviluppo economico, regione Lazio, provincia di Frosinone, comuni di Anagni, Serrone e Sgurgola, Comitato per il lavoro e lo sviluppo della provincia di Frosinone (riconosciuto dalle parti come coordinatore del gruppo di Lavoro per la definizione dell'accordo di programma), C.C.I.A.A. di Frosinone, consorzio Asi, Unindustria Frosinone, Federlazio Frosinone e le organizzazioni sindacali, finalizzato alla «definizione del programma e degli strumenti operativi per la sua attuazione quale condizione sine qua non per la definizione di un accordo di programma complessivo»;
   in data 14 marzo 2013 è stato pubblicato, e trasmesso alle istituzioni competenti interessate, l'avviso pubblico sul programma di riconversione e reindustrializzazione del sistema locale del lavoro Frosinone-Anagni, al fine di valutare le eventuali manifestazioni di interesse ad investire nel territorio;
   in data 10 aprile 2013 il Comitato per il lavoro e lo sviluppo della provincia di Frosinone ha trasmesso alle istituzioni competenti il programma di riconversione e reindustrializzazione dell'area di crisi, accompagnato dalle parziali risultanze dell'avviso pubblico;
   il programma redatto dal gruppo di lavoro ha individuato le seguenti azioni prioritarie: – salvaguardia e consolidamento delle imprese operanti nell'area del SLL Frosinone/Anagni – attrazione di nuove iniziative imprenditoriali – sostegno al reimpiego dei lavoratori espulsi dalla filiera produttiva della ex VDC Technologies;
   in data 10 maggio 2013 si è chiuso l'avviso pubblico al quale hanno aderito circa 150 imprese, di cui il 90 per cento appartengono al territorio della provincia di Frosinone, tra le quali alcune multinazionali;
   in data 14 maggio 2013 lo stesso comitato ha trasmesso ulteriori integrazioni al programma ed ha richiesto la definizione e sottoscrizione dell'accordo di programma;
   in data 5 giugno 2013, la regione Lazio, a seguito di incontro con gli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico, ha riproposto l'approvazione in giunta regionale dell'istanza di accertamento di area di crisi industriale complessa, rendendola conforme al decreto ministeriale appena pubblicato (si veda la delibera della giunta regionale n. 130 del 5 giugno 2013);
   in data 2 agosto 2013 viene sottoscritto l'accordo di programma che ha come finalità, in riferimento al sistema locale del lavoro di Frosinone-Anagni (censimento Istat) ed al comune di Fiuggi, la salvaguardia e il consolidamento delle imprese del territorio, l'attrazione di nuove iniziative imprenditoriali ed il sostegno al reimpiego dei lavoratori espulsi dalla filiera produttiva della ex VDC Technologies;
   il Ministro dello sviluppo economico partecipa all'accordo di programma nelle seguenti modalità: concorre al finanziamento degli investimenti, nonché al coordinamento delle attività di marketing territoriale (attrazione di grandi investimenti), tramite gli strumenti di incentivazione di propria competenza così come indicati all'articolo 4 dell'accordo; presiede il confronto fra le parti sociali ed istituzionali; fornisce gli opportuni indirizzi ad Invitalia, nonché assicura le attività di vigilanza e di coordinamento per l'attuazione dell'accordo di programma;
   l'articolo, 4 dell'accordo di programma, al comma 1, recita: «L'intervento del Ministro dello sviluppo economico è finalizzato alla agevolazione di programmi di investimento, al fine di promuovere e sostenere iniziative imprenditoriali in grado di contribuire al recupero e consolidamento delle attività industriali esistenti e creare nuove opportunità di sviluppo per le specializzazioni produttive. Verranno privilegiati, in via prioritaria, i programmi di investimento che siano in grado di determinare un ritorno significativo in termini di prospettive di mercato e di assicurare il reimpiego dei lavoratori interessati dalla crisi della sistema locale di lavoro, avendo riguardo ai criteri condivisi dalle parti sociali con specifico protocollo di intesa»; al comma 2, dispone: «Per le finalità di cui al comma 1, il Ministro dello sviluppo economico, alla luce di quanto previsto dall'articolo 3 del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, provvede: a) al finanziamento degli investimenti produttivi tramite utilizzo dello strumento dei contratti di sviluppo, di cui all'articolo 43 DL 25/06/2008 n. 112, convertito con modificazioni in legge 06/08/2008 n. 133; b) all'utilizzo degli strumenti previsti, ed attuati da Invitalia, finalizzati ad attrarre grandi investimenti nell'area di crisi individuata»; al comma 3 «La puntuale individuazione di regimi di aiuto che saranno utilizzati ai sensi del comma 2 lettera a) è demandata all'organo di coordinamento di cui al successivo articolo 8 nell'ambito dell'elaborazione del piano attuativo di cui al comma 1 del medesimo articolo»;
   l'articolo 6 dell'accordo riguarda l'attuazione degli interventi e impegni finanziari e recita al comma 1: «Ai fini dell'attuazione degli interventi previsti, i soggetti sottoscrittori provvedono all'esercizio delle proprie competenze con le modalità ed i tempi convenuti con il presente accordo di programma»; al comma 2 «In particolare: a) Il Ministro dello sviluppo economico e Invitalia provvederanno, nel rispetto della normativa vigente e per le parti di rispettiva competenza, al celere svolgimento delle procedure istruttorie propedeutiche al finanziamento dei programmi di investimento di cui all'articolo 4; al comma 3 «Il Ministro dello sviluppo economico e la regione sottoscrittrice assumono i seguenti impegni finanziari per l'attuazione dell'accordo: a) Il Ministro dello sviluppo economico concorrerà agli adempimenti finanziari di propria competenza nel limite di trenta milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo per la crescita sostenibile di cui all'articolo 23 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, destinate al finanziamento dei contratti di sviluppo ai sensi e nei limiti previsti dall'articolo 3 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69; al comma 4 «Il Comitato di cui al comma 3 dell'articolo 8 alla fine di ogni anno provvede, sulla base dei fabbisogni di investimento oggetto di domanda di agevolazione, ovvero della tipologia di beneficio riconoscibile, a richiedere l'allocazione di eventuali nuove risorse per il finanziamento degli interventi previsti dal presente accordo; al comma 5 «Il Ministro dello sviluppo economico e la regione Lazio, al fine di migliorare l'attrattività del territorio di riferimento, si impegnano altresì a promuovere, in ambito locale, l'avvio di tavoli di concertazione finalizzati a definire un accordo: con il sistema bancario per l'attivazione delle linee di finanziamento dedicate, in grado di facilitare l'accesso al credito da parte delle imprese del SLL; con le rappresentanze sindacali e le organizzazioni datoriali per l'adozione di formule contrattuali orientate all'applicazione di strumenti finalizzati all'ottimizzazione dell'organizzazione del lavoro ed al miglioramento delle performance produttive delle imprese»;
   l'articolo 7 dell'accordo concerne l'utilizzo dei finanziamenti nazionali e regionali e, al comma 1, stabilisce che, «L'organo di coordinamento di cui al successivo articolo 8, allo scopo di assicurare l'unitarietà della manovra di intervento, provvede – di concerto con Invitalia e con i competenti Uffici regionali – a definire il Piano Attuativo complessivo dell'intervento pubblico sulla base dell'ottimale utilizzo degli strumenti di cui ai precedenti articoli 4 e 5 ed a formulare la relativa proposta al Ministro dello sviluppo economico ed alla regione Lazio entro sessanta giorni dalla sottoscrizione del presente atto[...];
   mentre all'articolo 7, comma 2, dell'accordo, è disposto: «Per quanto di rispettiva spettanza, tenuto conto della proposta di Piano Attuativo definita ai sensi del comma 1, il Ministro dello sviluppo economico e la regione Lazio provvedono all'adozione dei relativi provvedimenti di destinazione e/o assegnazione delle risorse finanziarie entro novanta giorni dalla presentazione della proposta»;
   l'articolo 8 dell'accordo, riguardante il Ministero dello sviluppo economico – coordinamento delle attività» al comma 1, stabilisce che: «Il Ministro dello sviluppo economico e la regione Lazio, attraverso i rispettivi uffici competenti, concorrono alle attività di confronto e di consultazione tra le parti istituzionali, imprenditoriali e sociali nel corso dell'attuazione del presente Accordo»; al comma 2, che «Il Ministro dello sviluppo economico e la regione Lazio, per il conseguimento delle finalità del presente Accordo, provvedono, in particolare, ad assicurare il controllo della compatibilità degli interventi pubblici con la normativa nazionale ed europea in materia di incentivi. A tale scopo procedono, ove necessario, alle comunicazioni dovute alle competenti autorità dell'Unione europea ed al raccordo con le direttive generali e settoriali in materia»; al comma 3, che «Il Ministro dello sviluppo economico assicura inoltre le attività di coordinamento tecnico ed amministrativo per l'attuazione dell'Accordo. A tal fine il Ministro dello sviluppo economico procede alla costituzione di un Comitato di coordinamento per l'attuazione dell'Accordo, composto da 4 membri di cui due in rappresentanza del Ministro dello sviluppo economico e due in rappresentanza della regione Lazio. Il Comitato si avvale del supporto tecnico di Invitalia e, per quanto di competenza sui temi dello sviluppo locale, del Comitato per il Lavoro e lo Sviluppo della Provincia di Frosinone»; al comma 4, che «Il Comitato di coordinamento svolge, in particolare, compiti di monitoraggio tecnico amministrativo delle attività dell'Amministrazione Centrale e della regione Lazio da una parte e, dall'altra parte, delle imprese beneficiarie delle agevolazioni»; al comma 5, che «Il Comitato di coordinamento si riunisce presso il Ministro dello sviluppo economico. Nella prima riunione stabilisce il programma dei suoi lavori e, in particolare, il calendario delle attività rispetto al quale saranno verificati gli adempimenti via via assunti dalle parti obbligate ovvero gli eventuali scostamenti e/o gli adeguamenti da fare al calendario stesso; al comma 6, che «ai componenti del Comitato di coordinamento non spetta alcun compenso comunque denominato ed al relativo funzionamento si provvede con risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente»; al comma 7, che «il Comitato di coordinamento sovrintende alla verifica dell'attuazione delle misure previste dall'Adp e del loro sinergico svolgimento, con particolare riferimento alle misure di agevolazione degli investimenti produttivi e delle misure di sostegno per i lavoratori svantaggiati. A tale scopo possono partecipare ai lavori del Comitato le strutture amministrative delle Amministrazione competenti; al comma 8, «le eventuali inadempienze o i ritardi formano oggetto di informativa al Presidente della Regione ed al Ministro, per l'adozione dei provvedimenti o delle iniziative utili alla rigorosa attuazione del presente Accordo, anche ai sensi del comma 2 dell'articolo 34 del decreto legislativo 267/2000; al comma 9, che «il Comitato di coordinamento, in riferimento alle date del 30 giugno e del 31 dicembre di ogni anno di validità del presente Accordo, predispone una relazione tecnica sullo stato di attuazione degli interventi e, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di conclusione di cui al successivo articolo 9, una relazione finale. Le relazioni sono trasmesse a tutti i soggetti sottoscrittori i quali, entro i successivi trenta giorni, fanno pervenire eventuali osservazioni. Sulla base della relazione tecnica finale e delle eventuali osservazioni delle parti, il Comitato di coordinamento propone ai soggetti sottoscrittori di dichiarare, sulla base dei risultati conseguiti, concluso l'Accordo di Programma»;
   l'articolo 9 relativo all’«Impegno alla diligenza e durata dell'Accordo», recita, al comma 1: «Fermo restando quanto regolato con il presente atto, nonché nel rispetto delle norme e dei regolamenti di settore vigenti, i soggetti del presente Accordo sono reciprocamente impegnati, in ogni caso, ad assolvere alle attività di propria competenza ed a quelle scaturenti dalle esigenze di coordinamento con la massima diligenza e tempestività, al fine di assicurare l'efficienza del procedimento concordato per la compiuta realizzazione dell'obiettivo e dell'oggetto dell'Accordo. In tal senso, i soggetti sottoscrittori del presente Accordo sono impegnati, ove occorra, anche su specifica richiesta del Comitato di coordinamento, a dare alle strutture di rispettivo riferimento le opportune disposizioni e direttive»; al comma 2 è stabilito: «La durata del presente Accordo è di trentasei mesi dalla sua data di stipula; il termine suddetto potrà essere oggetto di proroga per il compimento delle iniziative avviate»;
   ad oggi, non si ha traccia dei passi che sono stati fatti e risulterebbe che sarebbero solo due le aziende ad avere accesso ai 40 milioni di euro di fondi messi a disposizione dal Ministro dello sviluppo economico (30 milioni di euro di crediti agevolati) e dalla regione Lazio (10 milioni di euro a fondo perduto). Per la precisione si tratterebbe di due aziende farmaceutiche: la Sanofi Aventis e la ACS Dobfar;
   sembrerebbe che le due aziende farmaceutiche, la Sanofi Aventis e la ACS Dobfar, abbiano ricevuto finanziamenti nell'autunno 2015, ma non si sa bene per quali progetti;
   tutte le piccole e medie imprese locali risulterebbero escluse;
   da molte fonti giungerebbero notizie del totale fallimento dell'accordo di programma sia in ottica di sviluppo, che di occupazione visto che, a fronte di una mole così ingente di denaro pubblico, si stimerebbero solo 60 nuovi occupati;
   si rileva che in situazioni di crisi particolari dei territori, alcune nazioni ricorrerebbero alle Zes (zone economiche speciali); si tratterebbe quindi di un'area geografica dotata di una legislazione economica differente dalla legislazione in atto nella nazione di appartenenza. Le zone economiche speciali vengono solitamente create per attrarre maggiori investimenti stranieri –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno fornire chiarimenti circa le attività che il Ministero dello sviluppo economico ha adempiuto riguardo all'accordo di programma di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda fare chiarezza, per quanto di competenza, sulle modalità di esclusione di tutte quelle aziende locali che avrebbero potuto realmente rilanciare il territorio, e delle ragioni per cui siano state privilegiate le due aziende farmaceutiche;
   di quali elementi disponga circa le azioni intraprese dalle due aziende farmaceutiche per garantire il rispetto dell'articolo 4, comma 1, del suddetto accordo relativamente all'impegno di «assicurare il reimpiego dei lavoratori interessati dalla crisi del sistema locale di lavoro, avendo riguardo dei criteri condivisi dalle parti sociali con specifico protocollo di intesa»;
   se non ritenga necessario assumere iniziative, alla luce di quella che appare all'interrogante l'incompiutezza di tale accordo di programma e viste le scadenze ormai ampiamente superate (la durata infatti del presente accordo doveva essere di trentasei mesi), al fine di rimodularne urgentemente tutti gli aspetti, in modo tale da renderlo congruo alle necessità reali del territorio della provincia di Frosinone;
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito all'attuazione di tale accordo di programma e alle cause, le ragioni e le responsabilità di quella che appare all'interrogante come la sua incompiutezza;
   se non si ritenga opportuno avviare una discussione sulle zone economiche speciali, a patto che le proposte progettuali conseguenti nascano metodologicamente e operativamente dal territorio a insieme a tutti gli attori interessati, compresi i lavoratori e che il Ministero dello sviluppo economico possa, in questo caso, assolvere le sue reali funzioni di monitoraggio onde evitare di ripercorrere il fallimento dell'accordo di programma sottoscritto 3 anni fa. (5-08174)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GINEFRA, CAPONE, MARIANO, MASSA, MONGIELLO, VENTRICELLI, VICO, PALESE, GRASSI, PISICCHIO, DISTASO, MATARRESE e PANNARALE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la delibera dell'AGCOM 480/2014 (modifica del piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva in tecnica digitale dvb-t), il conseguente decreto ministeriale del 17 aprile 2015 (criteri e modalità per l'attribuzione di misure economiche di natura compensativa finalizzate al volontario rilascio di porzioni di spettro funzionali alla liberazione delle frequenze di cui alla delibera Agcom 480/14/CONS) e la determina direttoriale del 30 ottobre 2015 che definisce le procedure ed i tempi per la presentazione delle domande per l'attribuzione delle misure economiche di natura compensativa di cui al decreto ministeriale 17 aprile 2015 rischiano di condizionare, significativamente, il sistema dell'emittenza radiotelevisiva privata pugliese;
   lo scenario delineato dalle norme appena citate sarebbe, infatti, oltremodo gravoso per moltissime emittenti televisive locali, anche perché apporta cambiamenti ad oggi imprevedibili in un settore in cui le aziende hanno da poco dovuto affrontare investimenti significativi per adeguarsi al cambio epocale segnato dal passaggio al digitale terrestre;
   a detta degli interroganti la salvaguardia del maggior numero di emittenti a rischio consentirebbe un equo funzionamento del sistema televisivo nel suo complesso, un sistema che rischia di essere compromesso a causa della notevole riduzione delle frequenze la cui conseguenza diretta sarà la perdita di posti di lavoro e la chiusura di attività che operano nel settore da oltre trent'anni. Un più corretto funzionamento del settore televisivo implicherebbe anche la riassegnazione della numerazione LCN ed un miglioramento del regolamento in base al quale vengono ripartiti i contributi previsti per l'emittenza locale;
   le frequenze aggiuntive pianificate per le reti locali, previste nella delibera dell'Agcom n. 402/15/CONS potrebbero essere aggiunte a quelle rimanenti per ogni regione. Per la regione Puglia le frequenze rimanenti sarebbero 6 ma con quelle aggiuntive diventerebbero 9;
   l'articolo 3 della delibera dell'Agcom 480/14/cons. prevede che Ministero dello sviluppo economico tiene altresì conto del opportunità di favorire l'aggregazione, attraverso la formazione di consorzi, di operatori di rete titolari di diritti d'uso delle frequenze;
   le frequenze potrebbero essere riassegnate come previsto dalla delibera dell'Agcom 480/14/cons. con priorità per i consorzi;
   gli editori delle tv private a rischio chiusura hanno denunciato che «la riassegnazione delle frequenze in base alle graduatorie del bando digitale articolo 4 decreto legge n. 34 del 31 marzo 2011 (G.U. n. 74)» risulterebbe «inadeguata in quanto le emittenti che hanno partecipato al bando si sono costituite in consorzi o intese al fine di aggiudicarsi una delle 18 frequenze. Nel bando non è specificato che quella stessa graduatoria sarebbe stata utile per successive assegnazioni anche con delle limitazioni che, oggi, si traducono in riduzioni così significative da diminuire drasticamente il numero delle frequenze assegnabili da 18 a 6. Le emittenti, se fossero state consapevoli dell'importanza di collocarsi nelle primissime posizioni per eventuali future assegnazioni, avrebbero cercato di costituirsi in consorzi e intese che avrebbero dato loro la possibilità di inserirsi nelle prime posizioni»;
   gli stessi editori hanno affermato che non risulterebbe «che le interferenze con i paesi esteri siano state realmente verificate» e che non dovrebbe essere possibile «attribuire frequenze regionali a soggetti che hanno ottenuto il diritto d'uso solo per porzioni di territorio (partecipazione al bando per il passaggio al digitale con la formula dell'Intesa)»;
   in Puglia le frequenze passerebbero fra 18 a 6 di fatto però sono 5, poiché una, il canale Ch. 35, non è utilizzabile per le province di Bari e Barletta-Andria-Trani (che insieme rappresentano circa metà della popolazione pugliese). Inoltre, le emittenti che già nel 2012 si sono costituite in consorzi al fine di partecipare ai bandi per l'assegnazione del diritto d'uso ventennale della frequenza, hanno dovuto realizzare ex novo una rete di collegamenti e una rete di trasmissione con costi elevatissimi, indebitandosi con risorse proprie e con le banche per almeno 5 anni. È evidente che per i consorzi le misure economiche di natura compensativa previste per il rilascio volontario delle frequenze non sembrerebbero congrue rispetto agli investimenti fatti solo tre anni fa. Va ancor peggio alle emittenti che hanno partecipato al bando della regione Puglia per il passaggio al digitale terrestre (fondi europei). Queste società, infatti, avrebbero ottenuto un rimborso del 45 per cento per le spese sostenute, con l'impegno di non alienare i beni per almeno 5 anni e avrebbero sottoscritto il vincolo a non diminuire la forza lavorativa per i successivi tre anni dal termine degli acquisti (la maggior parte delle emittenti hanno terminato gli acquisti nel 2015). Non rispettando questi due impegni le società televisive dovrebbero restituire quanto ricevuto con gli interessi. Di fatto, tale procedura, a detta degli editori, equivarrebbe ad una condanna al fallimento di aziende sane e virtuose. Nei confronti di chi non ha presentano il rilascio volontario della frequenza ma la manifestazione d'interesse – denunciano gli stessi risulterebbe assurda la penalizzazione economica prevista dalla delibera 480/2014 che recita: «l'importo riservato agli indennizzi in ogni singola regione è pari al 70% dell'importo di una singola frequenza ... proporzionalmente alla copertura della popolazione». Sempre secondo gli editori «le emittenti interessate a proseguire la propria attività non hanno potuto sapere anticipatamente se faranno parte della nuova graduatoria di assegnazione delle frequenze non interferenziali perché non si conosce quali società televisive, collocate nella graduatoria di riferimento nelle prime posizioni, abbiano accettato le misure economiche compensative e quindi effettuato il rilascio volontario della frequenza permettendo ad altre di risalire la futura graduatoria di assegnazione. È giusto chiedere a delle aziende italiane di decidere il proprio futuro basando le proprie scelte per la sussistenza sul mercato su speranze e supposizioni ? È come chiedere di giocare il proprio futuro alla roulette russa» –:
   se, anche alla luce dei ricorsi presentati da diverse emittenti televisive, dalle associazioni di categoria, dalla regione Puglia e altri soggetti al TAR Lazio, non intenda favorire, per quanto di competenza, un incontro tra le parti utile alla disamina delle soluzioni possibili;
   se non ritenga opportuno, in attesa della pronuncia del giudice amministrativo, sospendere ogni ulteriore iniziativa di competenza volta all'oscuramento delle frequenze. (4-12557)


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   IBM Italia s.p.a. è presente in Italia dal 1927, dal 1947 con l'attuale denominazione IBM Italia s.p.a., essa raggiunge la sua presenza massima nel nostro Paese nei primi anni Novanta. È una multinazionale tra le maggiori al mondo nel settore di produzione e commercializzazione di hardware e software, infrastrutture informatiche, computer di tutte le dimensioni, servizi informatici, servizi di hosting, servizi di cloud computing e consulenza in settori che spaziano dai mainframe alle nanotecnologie. Opera in 170 Paesi con un organico di circa 380 mila dipendenti e in Italia, con sede legale a Segrate (MI), è presente dal 1927 con una consolidata tradizione di progetti, iniziative e partnership a supporto della crescita economica e dell'innovazione e conta, ad oggi, circa 5600 dipendenti (circa 7000 a livello di gruppo) distribuiti su varie sedi del territorio nazionale;
   a partire dal 1993 IBM effettua una prima grande ristrutturazione mondiale, chiudendo in Italia, da allora e fino al 2011, un grosso numero di sedi regionali e provinciali, e cedendo, già dal 2000, le fabbriche di Vimercate (MB) e Santa Palomba, sita nel comune di Roma, entrambe poi chiuse da Celestica pochi anni dopo; apre procedure di mobilità negli anni 1993, 1995, 1998, 2000 (due procedure) e 2002;
   nella continuità del processo di ridimensionamento appena descritto, negli ultimi tre anni IBM ha impresso una forte accelerazione alla propria trasformazione e riorganizzazione, che ha ridotto complessivamente la forza lavoro e in Italia di oltre il 20 per cento;
   nel 2012 si sono avute 367 dimissioni incentivate, 128 dimissioni spontanee, 30 per cessione di ramo d'azienda, e 2 licenziamenti individuali;
   nel 2013 si sono registrati, 209 dimissioni incentivate, 103 dimissioni spontanee, 140 in seguito a procedura di mobilità e 59 per cessione di ramo d'azienda xSeries a Lenovo, e 1 licenziamento individuale;
   nel 2014 si sono verificate 85 dimissioni incentivate, 130 dirigenti sono stati licenziati, 485 in seguito a due procedure di mobilità e infine 2 licenziamenti individuali per una perdita totale di 761 posti di lavoro considerando le 144 assunzioni;
   queste ristrutturazioni si inseriscono in un quadro più generale a livello europeo e mondiale. Negli ultimi 3 anni, in Europa IBM ha condotto azioni di «ribilanciamento» della forza lavoro (di cui 4 consecutive negli ultimi trimestri), che IBM stessa, nei documenti presentati al CAE, sostiene ormai costituire un elemento continuo e costante del business stesso;
   nel 2012, vi fu il trasferimento obbligatorio dei lavoratori del settore di staff da tutte le sedi, compresa Roma, a Milano, costringendone molti alle dimissioni;
   per quanto riguarda la Sistemi informativi, fu aperta la cassa integrazione guadagni ordinaria per 262 lavoratori, ed ora molto forti sono i timori di cessioni e procedure di licenziamento;
   IBM ha aperto recentemente a novembre 2015 una cassa integrazione guadagni ordinaria per 288 lavoratori, procedura poi ritirata grazie ad un accordo sindacale;
   recentemente, a livello europeo ha prospettato nel settore dei servizi GTS e GBS un ribilanciamento delle risorse tra quelle on-shore near-shore e off-shore con un drastico spostamento verso quest'ultime, che quindi comporterà una drastica diminuzione degli addetti nei prossimi due anni nei paesi europei (cosiddetti on-shore);
   a dicembre 2015 vi è stato lo scorporo di 306 lavoratori in Italia, dei settori TSS e SDC (sempre facenti capo alla divisione GTS), venduti a una azienda del gruppo Adecco, Modis;
   contemporaneamente a queste procedure che eliminano dall'azienda lavoratori e lavoratrici, IBM Corporation in Italia ha creato nel mese di ottobre 2015 la società IBM Client Innovation Center Srl, che ad oggi ha assunto 70 neolaureati, con la prospettiva di arrivare a 200 dipendenti entro la fine del 2016;
   dopo solo 3 mesi di distanza dalla cessione a Modis di 300 lavoratrici e lavoratori, Ibm dichiara ulteriori 290 esuberi, per 100 impiegati e quadri e 190 dirigenti, aprendo una procedura di licenziamenti collettivi (mobilità) nella giornata dell'11 marzo 2016. A questi si aggiunge l'apertura di una campagna di incentivi all'esodo in Sistemi informativi;
   l'applicazione delle direttive mondiali di ristrutturazione decise dalla casa madre un po’ in tutti i Paesi dove IBM è presente, si potrebbe concretizzare in Italia con un ricambio generazionale di personale, una grande riorganizzazione incentivata dalle agevolazioni fiscali e dalla facilità del licenziamento previsto dal Jobs Act, attraverso espulsioni più o meno dirette, perpetrando uno stillicidio di procedure di licenziamenti collettivi, cessioni di rami d'azienda, dismissioni di attività, minacce di chiusura di sedi regionali, in particolare al Sud, e continue campagne di uscite dall'azienda. Il Governo non può continuare a ignorare la questione Ibm –:
   quali iniziative urgenti, anche normative, i Ministri interrogati intendano assumere al fine di salvaguardare i livelli occupazionali delle realtà industriali di cui in premessa, affrontando la crisi che sta vivendo il compatto italiano dell'information and communication technology;
   se non intendano a tal fine convocare un tavolo urgente, coinvolgendo la multinazionale di cui in premessa e tutte le parti sociali interessate, per affrontare la vertenza. (4-12559)


   RUSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le funzioni di Buonitalia spa, partecipata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e posta in liquidazione nel 2011, sono state ex lege attribuite all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, di cui all'articolo 14 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 111 del 2011;
   per quanto riguarda i dipendenti, l'articolo 12, comma 18-bis, della legge n. 135 del 2012 ha previsto che «Con ulteriore decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, da emanare entro sessanta giorni dalla chiusura della fase di liquidazione, è disposto il trasferimento delle eventuali risorse strumentali e finanziarie residue di Buonitalia Spa in liquidazione all'Agenzia.»;
   i dipendenti a tempo indeterminato in servizio presso la predetta società al 31 dicembre 2011, previo espletamento di apposita procedura selettiva di verifica dell'idoneità, da espletare anche in deroga ai limiti alle facoltà assunzionali, sono inquadrati, anche in posizione di sovrannumero rispetto alla dotazione organica dell'ente, riassorbibile con le successive vacanze, nei ruoli dell'ente di destinazione sulla base di un'apposita tabella di corrispondenza approvata con il richiamato decreto;
   successivamente al decreto 28 febbraio 2012, con il quale sono state trasferite all'Agenzia le risorse umane e strumentali, l'Agenzia medesima ha bandito le procedure selettive per la valutazione dell'idoneità per l'accesso nell'area II, III e dirigenziale di II fascia;
   il bando ha previsto una vera e propria modalità assunzionale e non una mera procedura di verifica dell'idoneità, come invece era previsto dalla legge, e sul punto delle qualifiche d'inquadramento il bando è assolutamente carente, in quanto non ha previsto quali saranno i profili professionali dei soggetti destinatari dell'assunzione;
   il bando ha previsto, all'articolo 5, che si svolgesse una prova pratica attitudinale articolata in un test e in un colloquio, ma le materie oggetto della prova scritta erano eccessivamente indeterminate e incoerenti con le professionalità di provenienza e di eventuale destinazione;
   anche le materie del colloquio, connesse alla specifica attività dell'ICE, sono risultate incongrue rispetto al fatto che l'acquisizione di competenze pratiche inerenti all'ICE dovrebbe essere conseguenza dell'attività da svolgersi all'interno dell'ICE stesso e quindi dopo l'assunzione;
   il bando ha indetto una vera e propria procedura concorsuale invece che una procedura selettiva idoneativa, come era previsto dall'articolo 12, comma 18-bis, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, come modificato dall'articolo 1, comma 478, della legge n. 147 del 2013;
   tale ricostruzione risulta peraltro confermata anche dal fatto che le materie richieste per la selezione idoneativa degli ex dipendenti di Buonitalia spa sono state più numerose rispetto a quelle del bando con il quale l'Agenzia ha indetto il concorso per l'assunzione di 107 dipendenti nella posizione economica C;
   il mancato superamento da parte di alcuno degli ex dipendenti di Buonitalia spa della selezione, ad avviso dell'interrogante alquanto anomalo, dimostra peraltro il particolare rigore della prova selettiva, se solo si considera che le funzioni esercitate dalla società in liquidazione sono confluite nella neonata Agenzia;
   sulla questione si è recentemente espresso il TAR del Lazio con sentenza n. 943 del 25 gennaio 2016, che, accogliendo le ragioni degli ex dipendenti di Buonitalia, ricorrenti contro gli esiti della procedura selettiva organizzata dall'Agenzia, ha ordinato alla medesima Agenzia di rieditare il bando per la procedura selettiva in maniera conforme alla legge:
   l'ICE Agenzia ha presentato ricorso al Consiglio di Stato con istanza di sospensiva dell'esecutorietà della suddetta sentenza del TAR;
   tale scelta si pone in contraddizione con quanto comunicato dall'ICE Agenzia al Governo, come riportato nell'ambito di una risposta ad un atto di sindacato ispettivo depositato dall'interrogante. Il 28 gennaio 2016 il Governo ha riportato che «venendo alla recentissima sentenza del TAR, l'ICE Agenzia adotterà – in linea con le indicazioni dell'Avvocatura Generale dello Stato – tutti i provvedimenti necessari per darne pronta esecuzione»;
   il personale di Buonaitalia dovrà attendere almeno un altro anno prima che venga emessa la sentenza dal Consiglio di Stato;
   allo stato attuale, senza tenere conto delle cause di risarcimento civile, secondo alcuni calcoli, tra rimborsi e pagamento delle spese legali, la somma da corrispondere al personale della società soppressa ammonterebbe ad oltre 2 milioni di euro;
   l'ICE, avendo perso un ulteriore ricorso promosso da alcuni ex dipendenti di Buonitalia, sarà costretta a riconoscere loro gli stipendi arretrati almeno fino a quando non ci sarà una soluzione definitiva su tutta la questione;
   tale situazione, a giudizio dell'interrogante, sta provocando un danno economico sempre più grande che si sarebbe potuto evitare se, a suo tempo, l'ICE avesse seguito le indicazioni ricevute dalla funzione pubblica ed attuato puntualmente il disposto normativo –:
   quali siano le motivazioni che hanno portato l'ICE Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione a presentare ricorso al Consiglio di Stato, nonostante le rassicurazioni precedentemente offerte riguardo all'adozione di tutti i provvedimenti necessari per dare pronta esecuzione alla sentenza del TAR Lazio;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato, al fine di garantire la piena e rapida applicazione di quanto disposto dalla normativa che consente il trasferimento del personale ex Buonitalia all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione, in particolare alla luce della recente pronuncia del Tar Lazio, anche al fine di evitare un eventuale ulteriore danno erariale, e risolvere così la vicenda dei dipendenti ex Buonitalia, accertando altresì eventuali responsabilità da parte del management dell'Agenzia. (4-12560)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Nesci e altri n. 5-08160, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Di Vita.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Fraccaro n. 4-12371, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 583 del 4 marzo 2016.

   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 261, della legge n. 147 del 2013 ha istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il «Fondo straordinario per gli interventi di sostegno all'editoria» i con una dotazione di 50 milioni di euro per il 2014, 40 milioni di euro per il 2015, 30 milioni di euro per il 2016 i destinato ad incentivare gli investimenti delle imprese editoriali, nonché a sostenere le ristrutturazioni aziendali e gli ammortizzatori sociali;
   l'articolo 1-bis del decreto-legge n. 90 del 2014 ha rifinanziato l'accesso alla pensione di vecchiaia anticipata per i giornalisti, ponendo i relativi oneri a carico della dotazione del Fondo straordinario. In particolare, la norma prevede che tali finanziamenti vengano erogati in favore di giornalisti dipendenti da aziende che hanno presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali piani di ristrutturazione o riorganizzazione;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 settembre 2014 è stata data attuazione all'articolo 1, comma 261, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, recante l'istituzione del predetto fondo straordinario, che è stato decurtato di una somma pari a 25 milioni di euro per l'anno 2014 a copertura degli oneri derivanti dall'accesso alla pensione anticipata per i giornalisti;
   il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri fa riferimento, nelle premesse, all'elevato numero delle richieste di accesso alle misure di sostegno ai programmi di ristrutturazione aziendale, che prevedono una revisione dell'organico mediante ricorso ai prepensionamenti di cui alla legge n. 416 del 1981, attualmente pendenti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e allo stato inevase stante l'esaurimento delle risorse del fondo statale destinato a tale finalità;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, del 10 novembre 2015, con il concerto dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze; sono state ripartite, per l'anno 2015, le risorse del fondo straordinario per gli interventi di sostegno all'editoria, istituito per il triennio 2014-2016 con l'articolo 1 comma 261, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014). A norma dell'articolo 1-bis comma 4, lettera b) della legge 11 agosto 2014, n. 114, a valere sulla dotazione del fondo per l'anno 2015, devono essere versati 11 milioni di euro su apposita contabilità speciale, per essere destinati al rifinanziamento dell'accesso alla pensione di vecchiaia anticipata per i giornalisti;
   sul sito internet del dipartimento per l'informazione e l'editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri non sono contenuti né i dati relativi alle aziende che hanno formulato richiesta di accesso a tali misure di sostegno, né l'entità delle risorse effettivamente erogate rispetto a quelle stanziate, né i soggetti che ne hanno beneficiato;
   il competente ente di previdenza, INPGI, ha dato riscontro alle richieste formulate, reiterate in più occasioni, fornendo una risposta che, nonostante sia pervenuta dopo un considerevole lasso di tempo, non appare all'interrogante esaustiva e non denota trasparenza in quanto non indica né quali siano le aziende che hanno beneficiato del contributo, né la destinazione delle somme non utilizzate;
   l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 33 del 2013 pone, tra l'altro, come principio generale che deve connotare l'attività delle amministrazioni pubbliche, quello della trasparenza, che è «intesa come accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche»;
   il rispetto del principio di trasparenza si impone con maggior rigore, raggiungendo la sua massima vis espansiva, nei casi in cui venga in rilievo l'utilizzo di risorse pubbliche imponendo di rendere non solo pubbliche, ma anche facilmente accessibili e fruibili da tutti, tutte quelle informazioni che consentono al cittadino di valutare se tali risorse siano state utilizzate nel rispetto delle prescrizioni di legge e nel perseguimento dell'interesse pubblico –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, anche fornendo la relativa documentazione, per rendere conoscibili i dati relativi all'accesso al contributo dello Stato per il prepensionamento dei giornalisti, con riferimento alle aziende che hanno formulato richiesta di accesso alle misure di sostegno previste dalla legge, all'entità delle risorse effettivamente erogate rispetto a quelle stanziate, nonché alle aziende e ai soggetti per azienda che ne hanno beneficiato, indicati nominativamente oppure in forma numerica.
(4-12371)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Rocchi n. 5-08143, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 591 del 16 marzo 2016.

   ROCCHI, CAROCCI e MALPEZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comma 332 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per 2015) dispone che, a decorrere dal 1o settembre 2015, i dirigenti scolastici non possano conferire le supplenze brevi di cui al primo periodo del comma 78 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, a:
    personale appartenente al profilo professionale di assistente amministrativo, salvo che presso le istituzioni scolastiche il cui relativo organico di diritto abbia meno di tre posti;
    personale appartenente al profilo di assistente tecnico;
    personale appartenente al profilo di collaboratore scolastico, per i primi sette giorni di assenza;
   il primo periodo del comma 78 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 dispone che «I capi di istituto sono autorizzati a ricorrere alle supplenze brevi e saltuarie solo per i tempi strettamente necessari ad assicurare il servizio scolastico e dopo aver provveduto, eventualmente utilizzando spazi di flessibilità dell'organizzazione dell'orario didattico, alla sostituzione del personale assente con docenti già in servizio nella medesima istituzione scolastica»;
   si segnala come, nel precedente periodo, non si citi mai il personale ATA; si parla, comunque, di nominare il personale al fine di garantire il servizio scolastico;
   il decreto n. 430 del 2000 (Regolamento supplenze ATA) individua all'articolo 1 tre tipologie di supplenze:
    a) supplenze annuali, per la copertura dei posti vacanti, disponibili entro la data del 31 dicembre, e che rimangano presumibilmente tali per tutto l'anno scolastico;
    b) supplenze temporanee, sino al termine delle attività didattiche, per la copertura di posti non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico;
    c) supplenze temporanee, per ogni altra necessità di supplenza diversa dai casi precedenti, secondo quanto specificato all'articolo 6; tale articolo specifica che i dirigenti scolastici possono conferire supplenze temporanee utilizzando le rispettive graduatorie di circolo e di istituto per la sostituzione del personale temporaneamente assente e per la copertura di posti resisi disponibili per qualsiasi causa, dopo il 31 dicembre di ciascun anno;
   la mancanza di una definizione di «supplenza breve» fa sì che questa sia interpretata come supplenza temporanea; pertanto il comma 332 della legge n. 190 del 2014 appare sia applicato senza distinzione in tutte le situazioni rientranti nel caso c) previsto dal decreto ministeriale n. 430 del 2000 e, talvolta, anche nel caso b) –:
   se nell'ambito dell'applicazione di quanto disposto dal comma 332 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, tale interpretazione sia corretta o meno;
   in particolare se nei seguenti casi il dirigente scolastico possa procedere alla stipula di contratti a tempo determinato per sostituzione del personale ATA:
    a) in caso di personale ATA in pensione in corso l'anno per dispensa, per «VI salvaguardia» o deceduto;
    b) in caso di personale ATA la cui assenza è senza assegni, come ad esempio le diverse aspettative non retribuite;
    c) in caso di personale ATA che fruisce dell'articolo 59 a seguito dell'accettazione di un contratto a tempo determinato nell'ambito del comparto scuola, mantenendo senza assegni il posto nel proprio profilo;
    d) in caso di personale ATA «utilizzato» a svolgere altri compiti, come ad esempio la sostituzione del direttore dei servizi generali e amministrativi come disposto dal CCNL, dalla sequenza contrattuale 2008 e dall'articolo 5 del contratto integrativo regionale sulle utilizzazioni;
    e) in caso di personale ATA assente per lunghi periodi, come ad esempio maternità, malattia, congedi assistenza disabile e comunque per copertura di posti non vacanti resisi disponibili entro il 31 dicembre e disponibili fino alla fine dell'anno scolastico. (5-08143)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   interpellanza urgente Rampelli n. 2-01267 del 9 febbraio 2016.