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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 16 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'agricoltura sociale veniva definita già nel 2014, nel documento «L'agricoltura a beneficio di tutti», dal dipartimento delle politiche europee ed internazionali e dello sviluppo rurale del Ministrero delle politiche agricole alimentari e forestali «l'insieme delle pratiche, anche molto differenti tra loro, realizzate a beneficio di soggetti bassa contrattualità (persone con handicap fisico o psichico, psichiatrici, dipendenti da alcool o droghe, detenuti o ex-detenuti) o indirizzate a fasce della popolazione (bambini, anziani) per cui risulta carente l'offerta di servizi di servizi»;
    si tratta quindi, come stabilisce il predetto documento «di attività e servizi che vengono progettati e realizzati in risposta a problematiche ed esigenze locali, contestuali, specifiche, impiegando le risorse dell'agricoltura e della zootecnica per promuovere azioni terapeutiche, educative, ricreative, di inclusione sociale e lavorativa e servizi utili per la vita quotidiana.»;
    le attività riconducibili all'agricoltura sociale come definite dal citato documento sono:
     inserimento lavorativo di persone con difficoltà temporanee o permanenti (handicap psico-fisico, problemi psichiatrici, dipendenze da alcool o droghe, detenzione, e altro) in aziende agricole o cooperative sociali agricole, con forme contrattuali differenti, dal tirocinio al contratto a tempo indeterminato o, nel caso delle cooperative, come soci lavoratori;
     formazione: attività di formazione, soprattutto con forme come la borsa lavoro e il tirocinio, per soggetti a bassa contrattualità, finalizzate anche all'inserimento lavorativo;
     offerta di attività di co-terapia, in collaborazione con i servizi socio-sanitari, per persone con difficoltà temporanee o permanenti (handicap psico-fisico, problemi psichiatrici, anziani, e altro);
     offerta di servizi alla popolazione: bambini (agri-nidi, attività ricreative, campi scuola, centri estivi, e altro), anziani (attività per il tempo libero, orto sociale, fornitura di pasti, assistenza, e altro),»;
    in un proprio parere del 2013 il Comitato economico e sociale europeo affermava «Con agricoltura sociale s'intende un approccio innovativo, fondato sull'abbinamento di due concetti distinti: l'agricoltura multifunzionale e i servizi sociali/terapeutico assistenziali a livello locale. Questo nuovo settore contribuisce, tramite la produzione di derrate agricole, al benessere e all'inclusione sociale di persone con esigenze specifiche»;
    negli ultimi anni in Italia molte cooperative sociali hanno avviato attività agricole come luogo e campo di lavoro attraverso il quale promuovere qualità di vita e opportunità di recupero e di costruzione identitaria per molte persone, e, al contempo, molte aziende agricole hanno avviato, nell'ambito della multifunzionalità delle loro aziende, attività di servizi in ambito socio—sanitario e educativo, in risposta a domande ed esigenze delle comunità;
    la legge 18 agosto 2015, n. 141 recante «Disposizioni in materia di agricoltura sociale» ha recepito questo orientamento definendo l'agricoltura sociale «aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l'accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate [...] Le attività di cui al comma 1 ( di agricoltura sociale) sono esercitate altresì dalle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, il cui fatturato derivante dall'esercizio delle attività agricole svolte sia prevalente; nel caso in cui il suddetto fatturato sia superiore al 30 per cento di quello complessivo, le medesime cooperative sociali sono considerate operatori dell'agricoltura sociale, ai fini della presente legge, in misura corrispondente al fatturato agricolo»;
    all'articolo 2, comma 4, la citata legge n. 141 del 2015 individuava la soglia del 30 per cento di fatturato agricolo per considerare le stesse cooperative sociali quali operatori dell'agricoltura sociale»;
   il fatturato delle cooperative sociali, soprattutto di quelle di tipo A, ricomprende, in moltissimi casi, entrate in virtù di contratti con la pubblica amministrazione per prestazioni di natura sanitaria e socioassistenziale, che sono nei fatti il corrispettivo di servizi in tale ambito per la cura ed il sostegno a soggetti svantaggiati affidati alle stesse cooperative;
    il ricomprendere i corrispettivi economici ricevuti per le prestazioni socio sanitarie, effettuate in virtù di contratti con un la pubblica amministrazione, nel computo del fatturato ai fini dell'applicazione dell'articolo 2, comma 4, della legge n. 141 del 2015 rischia per gli interroganti di falsare completamente la valutazione dell'attività delle cooperative sociali stesse;
    detta scelta rischia, tra l'altro, di precludere l'accesso al riconoscimento di agricoltura sociale a gran parte delle cooperative sociali che operano da anni in campo agricolo e soprattutto di lasciare fuori dall'ambito di applicazione delle normative in materia un mondo, quello della cooperazione sociale, che è considerato a buon titolo parte dello stesso, tra gli sperimentatori ed i creatori del concetto stesso di agricoltura sociale;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, «previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari», dovrà emanare ai sensi dell'articolo 2, comma 2, della citata legge n. 141 del 2015, un decreto nel quale saranno definiti «i requisiti minimi e le modalità per la definizione degli operatori dell'agricoltura sociale»,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per definire in modo puntuale, le modalità di calcolo del 30 per cento previste dall'articolo 2, comma 4, della legge n. 141 del 2015 anche valutando la possibilità di escludere ai fini della citata legge dal computo del fatturato delle cooperative sociali le prestazioni sanitarie e socioassistenziali verso la pubblica amministrazione.
(7-00949) «Taricco, Prina, Lavagno, Dal Moro, Capozzolo, Fiorio, Venittelli, Antezza».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i disabili, soprattutto quelli più gravi hanno subito un considerevole pregiudizio a causa della mancata adozione, nel tempo, di provvedimenti di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea) e del nomenclatore tariffario. Tale inadempimento sta negando il diritto di accedere ad essenziali servizi e prestazioni a persone già fragili, violando il diritto alla salute delle stesse;
   sono oltre due milioni e mezzo le persone che in Italia avrebbero bisogno di ausili per far fronte ad una disabilità, con la necessità di avere disponibilità anche delle ultime innovazioni tecnologiche in fatto di protesi ed ausili; al riguardo, la ridefinizione del nomenclatore, fermo addirittura al 1999, è stata più volte annunciata ma poi sempre rinviata;
   l'Associazione Luca Coscioni denuncia da anni il mancato aggiornamento in questione e, nel mese di dicembre 2015, ha anche inviato all'Esecutivo un atto di diffida affinché fossero posti in essere tutti gli atti necessari per procedere; inoltre, recentemente, ha proceduto a sollecitare l'aggiornamento anche l'Associazione geriatri extraospedalieri;
   con la legge di stabilità, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 dicembre 2015, sono stati stanziati 800 milioni di euro per provvedere all'aggiornamento dei lea e del nomenclatore tariffario con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni;
   in data 3 febbraio 2016 è stato accolto l'ordine del giorno dell'interrogante che impegna il Governo a procedere, nel breve ed idoneamente, all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore tariffario, provvedendo ad includere ausili e presidi al passo con le attuali innovazioni tecnologiche, con specifica attenzione a coloro affetti da disabilità grave;
   ebbene, ad oggi, ancora non sono stati emessi i provvedimenti richiesti ed è assurdo che, dopo anni di promesse ed impegni mancati nonché molteplici rinvii per disporre l'aggiornamento, ancora molte persone disabili o malate non possono accedere a prestazioni indispensabili per la salute e il benessere –:
   se e quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo affinché, una volta per tutte, si proceda all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e del nomenclatore tariffario considerando che i ritardi, a giudizio dell'interrogante assurdi ed ingiustificati, del Governo in tal senso stanno ledendo un fondamentale diritto costituzionalmente garantito, quale quello alla salute, di persone già di per sé vulnerabili. (5-08136)


   SIMONE VALENTE, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, D'UVA, VACCA, DAGA e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 17 febbraio 2016 presso il Palazzo dei Congressi in Roma si è tenuta la presentazione del progetto di candidatura ai Giochi Olimpici e Paralimpici del 2024; in occasione dell'evento organizzato dal Comitato promotore Roma2024 e dal Coni è stato annunciato un budget previsionale di spesa pari a circa 5,3 miliardi di euro, uno dei più bassi nella storia dei Giochi Olimpici e frutto di un taglio considerevole che però non ha incluso nel computo degli interventi da effettuare le infrastrutture, le metropolitane, gli aeroporti e le spese relative al turismo;
   il Comitato promotore ha sviluppato per l'occasione un piano finanziario preliminare che verrà via via maggiormente dettagliato nei prossimi mesi, prevedendo dei costi relativamente bassi dato che circa il 70 per cento dei luoghi risulta già disponibile molti di questi non richiedono almeno all'apparenza costi di ristrutturazione; al momento sono state individuate due macrovoci di spesa: da una parte si prevedono circa 2,1 miliardi di euro per la realizzazione del villaggio olimpico di Tor Vergata (che si trasformerà in un campus universitario), per un'arena destinata al ciclismo, per il parco naturalistico, per il recupero dello Stadio Flaminio (oggi in totale abbandono) e infine per il completamento delle famose Vele di Calatrava. Dall'altra parte, 3,2 miliardi di euro serviranno per i costi temporanei relativi all'organizzazione e gestione dei Giochi e per le strutture rimovibili;
   da quello che si deduce leggendo la relazione del Comitato, il budget operativo è stato definito considerando i contributi del Comitato olimpico internazionale, i contratti di sponsorizzazione, la vendita dei biglietti, i dati ricavati da precedenti eventi internazionali avvenuti in Italia (come i Giochi olimpici invernali di Torino 2006), nonché l'analisi di impatto economico di eventi olimpici delle precedenti edizioni come Atene 2004, Pechino 2008 e Londra 2012;
   sempre dal report predisposto dal Comitato, si rileva che esso sta attualmente collaborando con il Governo, le più importanti aziende italiane, le associazioni industriali, gli istituti finanziari e le principali banche nazionali per individuare e definire le soluzioni strategiche migliori che includono fonti di finanziamento privato e soluzioni di finanziamento innovative favorendo lo sviluppo di una partnership pubblico-privata in particolare per tutti quegli investimenti che richiedono maggiori impegni di spesa;
   come si evince dal punto «Q71» del programma, il Comitato beneficerà anche della collaborazione di ANAC nell'attuazione dei meccanismi di controllo sugli affidamenti e le procedure di gara per garantire la piena trasparenza e il rispetto di tempi e costi;
   anche nel settore dell'istruzione il Comitato ha creato rapporti con la rete d'istruzione regionale coinvolgendo studenti della scuola primaria e secondaria e favorito una cooperazione con le maggiori università pubbliche e private di Roma, in particolare l'università di Tor Vergata e le università prestigiose delle altre città italiane come la Bocconi di Milano o il Politecnico;
   sul piano della viabilità è stato anche predisposto un progetto generale per ridurre la congestione e migliorare le condizioni del traffico, promuovendo l'uso del trasporto pubblico collettivo e quattro nuovi ponti sul Tevere previsti allo scopo di migliorare la connettività promuovendo modalità di trasporto più sostenibili;
   in riferimento al quadro normativo dal quale ha preso il via l'attività del Comitato Roma 2024, risulta indispensabile menzionare la legge di stabilità 2016 che ha conferito al Coni un contributo pari a 2 miliardi di euro per il 2016 e 8 miliardi per il 2017 in favore delle attività del Comitato promotore per le Olimpiadi di Roma 2024 e il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185 (cosiddetto decreto Giubileo) che ha inserito tra le finalità del «Fondo Sport e Periferie» le attività egli interventi volti alla presentazione e alla promozione della candidatura di Roma per le Olimpiadi 2024 (per il 2014 si parla di una dotazione pari a 20 milioni di euro; nel 2016 sono stati disposti 50 milioni di euro e per concludere nel 2017 con la somma pari a 30 milioni di euro);
   tuttavia, occorre sottolineare come al di là delle premesse sopra esposte contenenti i punti caratterizzanti il programma, ciò che non convince è proprio il taglio che è stato dato al progetto che non ha tenuto debitamente conto di quella moltitudine di interventi accessori imprescindibili per la realizzazione e la buona riuscita dell'evento;
   è assai evidente come negli ultimi 50 anni i budget presentati dalle città in sede di candidatura olimpica sono stati puntualmente sforati: le spese effettive sono sempre lievitate rispetto alle previsioni iniziali con pesanti e drastiche conseguenze sulle tasche dei cittadini;
   sussiste un fondato timore che le Olimpiadi costeranno certamente di più così come sta accadendo attualmente in Brasile dove si rileva un eclatante ritardo nella ultimazione dei lavori e il progetto da poco presentato per Roma 2024 non è poi molto diverso da quello illustrato durante il Governo Monti quando l'Italia era in corsa per l'edizione del 2020. A quei tempi il budget totale prevedeva un impegno di spesa pari a circa 13 miliardi di euro, ma comprendeva tutte le spese comprese quelle relative al turismo (3 miliardi), viabilità e infrastrutture (4,4 miliardi) mentre i costi secchi di organizzazione e impianti sportivi ammontavano a 5,3 miliardi di euro;
   si teme un possibile sforamento del budget di circa il 35 per cento (e nello specifico si tratta di circa 1,3 miliardi di euro). Stesso discorso va fatto anche per quanto concerne i possibili benefici economici tratti dalla manifestazione: si prevede una crescita del prodotto interno lordo dello 0,4 per cento all'anno nel periodo di cantiere dal 2017 al 2024 ma circoscritto solo alla regione Lazio e non a tutto il Paese;
   si tratta di dati del tutto poco convincenti e che non escludono il possibile rischio di una eccessiva e rovinosa esposizione finanziaria italiana –:
   quante risorse serviranno realmente per la realizzazione dell'evento olimpico qualora sarà l'Italia ad aggiudicarsi la candidatura, con specifico riferimento al budget di spesa ritenuto necessario per effettuare interventi infrastrutturali per la viabilità, il trasporto, la linea metropolitana, gli aeroporti e il turismo;
   a quanto ammonti la spesa sostenuta per l'evento di presentazione del dossier Roma 2024 e chi sia il soggetto incaricato dell'organizzazione nonché della gestione dell'evento tenutosi nel mese di febbraio 2016;
   se sia prevista una qualche forma di «clausola penale» nel caso in cui l'Italia dovesse ritirare la candidatura per le Olimpiadi. (5-08144)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   un vero rilancio dell'industria europea deve fondarsi anche sulla sostenibilità ambientale e sociale e non solo sulla mera competizione dei costi. Se vogliamo veramente preservare l'ambiente e allo stesso tempo mantenere la nostra competitività industriale non dobbiamo abbassare i nostri standard (i più alti a livello mondiale), ma piuttosto indurre i Paesi non europei ad innalzare i loro;
   per favorire tale processo riteniamo che, tra le varie soluzioni proposte, le seguenti siano le più interessanti: estensione del sistema Ets ai produttori che importano nell'Unione europea; introduzione di una border adjustment tax (Bat) ai prodotti che entrano nell'Unione europea, tassa calcolata sul contenuto di carbonio eccedente un benchmark di riferimento costituito dal corrispondente prodotto europeo; introduzione dell'imposta sul carbonio aggiunto 1 (Ica), uno schema fiscale simile all'Iva che attribuisce a ciascun bene o servizio (prodotto internamente o importato) le emissioni standard di CO2, associate all'energia consumata (energia elettrica, termica e trasporti) nel suo processo di produzione e distribuzione;
   in attesa dell'auspicabile adozione in tutti i Paesi non europei di efficienti schemi di emission trading o di carbon tax, AssoRinnovabili e l'interrogante ritengono che l'Unione europea debba approvare un pacchetto di 3 azioni che mirerebbero al rilancio dell'industria europea, mettendo a sistema le migliori intuizioni delle soluzioni appena descritte: il rafforzamento dell'attuale emission trading scheme (Ets) per ristabilire un segnale di prezzo di lungo periodo, attraverso l'introduzione della già prevista riserva stabilizzatrice del Mercato2 e di un prezzo floor crescente per la CO2 (così come già introdotto nel Regno Unito e in Francia), oltreché dell'incremento del fattore di riduzione lineare delle quote gratuite dal 1,74 per cento, annuo al 2,2 per cento dal 2021; l'introduzione di una border adjustment tax (Bat) sui beni e sui servizi importati in Europa, basata solo sulle emissioni derivanti dall'energia impiegata nelle attività di produzione e distribuzione degli stessi (per evitare certificazioni fraudolente, tale calcolo sarà basato sui mix energetici dei Paesi d'origine; questa azione, seppur semplificata, si ispira all'Ica – imposta sul carbonio aggiunto); l'obbligo per tutti i prodotti venduti in Europa dell'indicazione sull'etichetta del carbonio emesso per la loro produzione e, se significativo come per le automobili, per il loro funzionamento. Ciò permetterebbe di promuovere il consumo di prodotti maggiormente ecosostenibili;
   il sistema Ets ha un ruolo centrale nell'ambito delle politiche comunitarie di contrasto ai cambiamenti climatici. Tuttavia, la recessione economica, la sovrapposizione di politiche complementari e l'utilizzo di crediti internazionali hanno contribuito a creare un eccesso di offerta di permessi di emissione sul mercato; ciò sta mettendo in discussione la credibilità e l'efficacia dello schema nell'incentivare l'abbattimento delle emissioni. Con lo scopo di ridurre l'attuale eccesso di offerta e stabilizzare il mercato Ets nel lungo termine, le istituzioni europee hanno recentemente concordato sull'opportunità di introdurre una riserva stabilizzatrice del mercato (Msr) finalizzata a riassorbire l'attuale surplus e rendere l'Ets meno sensibile alle ampie variazioni della domanda di quote, spesso associata a fattori esogeni. Il meccanismo introduce implicitamente la garanzia per gli operatori che il valore delle emissioni non possa scendere eccessivamente, come avvenuto nel passato recente, replicando sostanzialmente gli effetti positivi determinati dall'introduzione di un prezzo minimo delle quote, senza subirne gli effetti negativi in termini di rigidità del sistema. Nell'attesa che il mercato si regolarizzi, è necessaria l'introduzione di un prezzo floor crescente nel tempo sul modello di quanto già introdotto nel Regno Unito, dove è stato stabilito un floor price dell'Ets pari a 20 euro/t CO2 per il periodo 2016-2020, che, nella decade successiva, dovrebbe salire fino a 30 euro, o in Francia, dove è stato fissato un prezzo di 14,50 euro/t CO2 nel 2015 e di 22 nel 2016, che salirà fino a 56 euro entro il 2020 e – target per ora indicativo – a 100 euro entro il 2030. Tale modalità di crescita nel tempo del carbon price consentirebbe alle imprese di programmare i necessari interventi, avviando una decrescita economicamente non traumatica delle emissioni;
   una tale revisione del sistema Ets, in aggiunta al previsto incremento del fattore di riduzione lineare delle quote gratuite dal 1,74 per cento annuo, al 2,2 per cento a partire dal 2021, è compatibile con la transizione dell'economia europea verso la decarbonizzazione, in quanto garantisce un segnale di prezzo trasparente e stabile su cui basare le decisioni di investimento di lungo periodo;
   tuttavia, la salvaguardia della competitività europea rimane un tema cruciale al fine di assicurare un percorso sostenibile verso la decarbonizzazione, che rende auspicabile l'estensione del sistema Ets ai produttori che esportano nell'Unione europea;
   numerose industrie hanno manifestato evidente preoccupazione riguardo alle politiche climatiche ed energetiche europee, sostenendo che le misure atte a ridurre le emissioni di gas climalteranti e inquinanti possano frenare la competitività dell'economia europea. Tali politiche, in assenza di un accordo mondiale «vincolante», potrebbero indurre il cosiddetto fenomeno del « carbon leakage», causando di fatto lo spostamento delle attività produttive e delle emissioni ad esse connesse in Paesi extra Ue, caratterizzati da politiche ambientali maggiormente permissive. Le allocazioni gratuite hanno generato distorsioni nel mercato Ets, e non si sono rivelate capaci di tutelare in modo strutturale la competitività del settore manifatturiero europeo, che opera in un mercato globale caratterizzato da standard ambientali più permissivi e processi produttivi meno efficienti;
   di conseguenza, valorizzando anche alcune riflessioni sviluppate nella proposta dell'imposta sul carbonio aggiunto (ICA3), si potrebbe proporre l'introduzione di una border adjustment tax (Bat) sui beni e servizi importati in Europa, basata solo sulle emissioni derivanti dall'energia impiegata nelle attività di produzione e distribuzione delle merci o nella fornitura di servizi. Per semplificare ulteriormente il meccanismo è necessario inoltre legare l'imposta al mix produttivo energetico del Paese d'origine, evitando così il rischio concreto di frodi connesso alle certificazioni sull'energia verde impiegata che i singoli produttori extracomunitari potrebbero esibire al fine di pagare un'imposta ridotta. Tale approccio indurrebbe peraltro i singoli Governi ad agire molto più tempestivamente per modificare i mix produttivi nazionali, laddove fossero sbilanciati sull'impiego di fonti ad elevate emissioni di CO2 (come ad esempio il carbone), attivando quindi un «circolo virtuoso» di sostenibilità ambientale;
   se allineata all'obbligo cui sono soggetti i produttori interni attraverso il sistema Ets, la Bat così configurata non sarebbe discriminatoria nei confronti di Paesi terzi e sarebbe compatibile con le norme della World Trade Organization (WTO). I prodotti dell'Unione europea, soggetti ad Ets continuerebbero a ricevere quote gratuite determinate attraverso benchmark di riferimento, l'obbligo di acquistare le eventuali quote mancanti in caso di maggiori emissioni rispetto al benchmark. I prodotti importati, quindi non soggetti direttamente ad Ets, pagherebbero la Bat sul contenuto di carbonio eccedente il benchmark di riferimento del corrispondente prodotto europeo;
   i vantaggi della Bat sulla competitività dell'industria domestica sono molteplici. A livello mondiale, sono le industrie italiane ed europee ad aver compiuto gli sforzi maggiori in termini di sostenibilità ambientale dei loro prodotti e trarrebbero quindi consistenti vantaggi competitivi se, una parte importante del carico fiscale sui prodotti importati fosse determinata in base alle emissioni di CO2. Come ampiamente dimostrato da numerosi dati statistici, il comparto manifatturiero europeo è quello che emette meno rispetto ad altre macro-zone economiche di riferimento: a parità di valore aggiunto, le emissioni di un bene equivalente risultano maggiori del 53 per cento se prodotte in Nord America, del 580 per cento se prodotte in Cina e addirittura dell'861 per cento se prodotte in India;
   ovviamente, la Bat non dovrà comportare un incremento delle entrate fiscali e dovrà quindi essere parzialmente sostitutiva di altre imposte (ad esempio l'Iva, imposte sul lavoro e altro);
   considerando che in Europa è già in vigore il sistema di emission trading obbligatorio che limita le emissioni dei settori manifatturieri energivori inclusi nello schema, la terza azione propone di sviluppare un meccanismo complementare di certificazione ed etichettatura obbligatoria sul lato retail/distribuzione delle emissioni di carbonio associate ai prodotti, al fine di promuovere il consumo di prodotti maggiormente ecosostenibili;
   l'introduzione per i prodotti venduti in Europa di un meccanismo complementare di certificazione obbligatoria sul lato retail/distribuzione permetterebbe ai prodotti europei di sfruttare i vantaggi derivanti dalle politiche ambientali già adottate in passato –:
   quali iniziative intendano assumere il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premesse. (4-12532)


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con delibera n. 100 del 24 marzo 2015, l'assemblea dei soci del consorzio Azienda di Promozione Turistica della Provincia di Venezia A.p.t. della Provincia di Venezia si è riunita per deliberare la messa in liquidazione della stessa;
   in tal senso si rileva che la regione, con la nuova legge regionale in materia di turismo n. 11 del 2013, ha previsto un riassetto delle competenze e delle funzioni ed ha individuato soggetti diversi dalle province per la gestione a regime delle attività di informazione e accoglienza del turista (Iat), riservandosi di assegnarle ad altri soggetti da accreditare come organizzazioni di gestione della destinazione (Ogd) turistica, perciò azzerando i relativi trasferimenti regionali;
   l'allora presidente dell'amministrazione provinciale, con comunicazione n. 65738 del 5 agosto 2014, ha chiesto all'azienda «in attesa di formali indirizzi da deliberare all'esito dei riscontri formali dalla Regione, la pianificazione ed elaborazione delle misure preparatorie all'esercizio di tutte le opzioni possibili, a partire dall'immediato scioglimento consortile»;
   la giunta provinciale, con successiva delibera n. 102 del 5 settembre 2014 ha fornito all'azienda indirizzi operativi, in particolare per: a) perseguire tutte le iniziative utili a definire appositi accordi con i soggetti abilitati dalla legge regionale n. 11 del 2013 alla gestione delle attività di informazione ed accoglienza turistica, individuando i potenziali interessati (tra cui in primis i comuni) e sottoponendo loro idonee e complete proposte, comprensive delle relative fonti di finanziamento; b) al contempo, individuare forme di riduzione del personale, avendo cura di evitare ricadute negative in termini occupazionali e agevolando tutte le forme di mobilità e di ricollocazione ovvero di riconversione del personale, come pure possibili accorpamenti e riorganizzazioni nell'ambito delle modalità e della logistica di erogazione dei servizi; c) «attivare le procedure per la messa in liquidazione dell'azienda per l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale alla luce della entrata a regime del riassetto delle competenze previsto dalla legge regionale e della conseguente diversa sostenibilità finanziaria»;
   si ricorda inoltre che con il provvedimento del consiglio di amministrazione (CdA) dell'azienda di promozione turistica n. 326 del 31 ottobre 2014 si è preso atto della sopravveniente condizione di impossibilità di conseguire lo scopo sociale e, conseguentemente, la situazione di dissesto finanziario dell'azienda, non per fatti di gestione, ma per cessazione delle competenze e mancato trasferimento delle rispettive risorse. È stato, dunque, dichiarato lo stato di crisi, in relazione agli istituti contrattuali e del lavoro, e la prospettiva di non continuità aziendale, e infine si è deliberato di avviare il procedimento di cessazione dell'attività e conseguente scioglimento dell'azienda consortile, autorizzandone lo scioglimento e la messa in liquidazione a partire dal 31 dicembre 2014;
   nonostante i tentativi da parte dei sindacati, alcuni giorni fa sono arrivate le lettere di licenziamento dei dipendenti dell'ex agenzia per il territorio di Venezia, che ora minacciano un ricorso alla città metropolitana reclamando la loro necessaria funzione per il territorio, l'ingiusto licenziamento e rivendicando l'assunzione con un concorso pubblico;
   nella nota i sindacati evidenziano che: «È sconcertante che nella città e nella provincia del Veneto che ha nel turismo la principale attività economica si decida nel totale silenzio delle istituzioni, a partire dalla città metropolitana, di chiudere una attività fondamentale a sostegno sia dei turisti che dei comuni e della Regione. ... La dimostrazione dell'importanza dei servizi erogati è che ancora gli enti locali si appoggiano agli uffici per diverse questioni, perché lì si trovano competenze che altrove non esistono. Allo stato continuano a elaborare statistiche dei flussi turistici, a gestire le locazioni turistiche, a coordinare le varie attività relative alla progettualità comunitaria e di area vasta ("scovando" gare e fondi europei), assistere gli operatori della comunicazione e gli operatori turistici stranieri» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo ritenga di poter assumere al fine di salvaguardare, anche attraverso un'interlocuzione con gli enti territoriali preposti, i livelli occupazionali e le professionalità acquisite dagli operatori del settore del turismo di Venezia, valutando se sussistano i presupposti per prevedere la possibilità che questi lavoratori, attraverso procedure di mobilità, possano essere ricollocati presso gli uffici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo presenti sul territorio della regione. (4-12535)


   CECCONI, GRILLO e LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 marzo 2007 è stato stipulato un accordo tra il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze e il presidente della regione Molise, all'epoca Angelo Michele Iorio, per l'approvazione del piano di rientro di individuazione degli interventi per il perseguimento dell'equilibrio economico ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2005, n. 311 ed il relativo programma operativo triennio 2007-2009;
   nel corso della riunione di verifica del 30 giugno 2009 è stata confermata la sussistenza delle criticità evidenziate e pertanto il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi della normativa di cui sopra, con deliberazione del 28 luglio 2009, ha nominato il Presidente pro tempore della regione Molise Michele Iorio quale Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, con lo scopo di garantire l'adozione di provvedimenti atti ad assicurare la copertura del disavanzo per l'anno 2008 al fine di non attivare l'ulteriore incremento, oltre la misura massima, delle aliquote fiscali regionali;
   con deliberazione della Presidenza del Consiglio dei ministri del 21 marzo 2013 il Presidente pro tempore della regione Molise, Paolo Di Laura Frattura, è stato nominato commissario ad acta per la prosecuzione del vigente piano di rientro dai disavanzi sanitari, con l'incarico prioritario di adottare, sulla base delle linee guida predisposte dai ministeri affiancati, i Programmi operativi per gli anni 2013-2015 (ai sensi dell'articolo 15, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135) e di procedere alla loro attuazione;
   con delibera del Consiglio dei ministri del 18 maggio 2015 è stato rimodulato il mandato attribuito al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, revocato il sub-commissario dottor Nicola Rosato ed è stato conferito l'incarico medesimo al dottor Gerardo Di Martino;
   occorre segnalare che è oggetto di valutazione presso il tavolo tecnico interministeriale il programma operativo straordinario 2015-2018;
   il contenuto del suddetto piano operativo, tra le altre cose, prevede: a) che siano «previsti posti letto per acuti nei soli presidi pubblici di Campobasso, Isernia, Termoli ed Agnone. Tale configurazione organizzativa, fatta salva l'ottemperanza agli standard di riferimento per l'istituzione delle discipline ad alta specializzazione, consente da un lato di rispondere al modello hub e spoke, dall'altro al bisogno di prestazioni ospedaliere espresso dalle popolazioni afferenti ai diversi territori della regione. Pertanto, l'Ospedale unico di Campobasso, individuato come DEA di I livello, e i presidi di Isernia e Termoli, individuati come pronto soccorso, costituiranno l'architettura delle reti tempo dipendenti»; b) la «integrazione funzionale tra fondazione Giovanni Paolo II e ospedale Cardarelli», laddove la prima è una struttura privata accreditata mentre il secondo è il maggiore presidio ospedaliero pubblico della regione e sono ubicati entrambi a Campobasso a poche centinaia di metri di distanza, con il conseguente «trasferimento di tutte le attività del presidio “Cardarelli” all'interno della struttura Giovanni Paolo II»; c) che la «compresenza dei due soggetti giuridici all'interno della stessa struttura, pur nel mantenimento delle distinte soggettività giuridiche ed autonomie gestionali, presuppone pertanto non solo la condivisione delle spese di funzionamento e di manutenzione ordinaria della struttura, ma scelte programmatiche impegnative, con ricadute significative, che presuppongono la necessaria condivisione a livello ministeriale, anche e soprattutto per le modalità di regolazione dei rispettivi rapporti, che dovranno essere orientati ad una analitica regolamentazione»; d) che «la Fondazione Giovanni Paolo II, per la parte di attività propria (cardiologia, oncologia), dovrà integrarsi all'interno delle reti regionali e, per le discipline garantite in esclusiva su Campobasso, dovrà necessariamente fungere da hub regionale, garantendo tutte le condizioni operative ed organizzative richieste per la gestione delle emergenze-urgenze. Andranno regolamentati i rapporti fra le due strutture sia per il trasferimento di pazienti dall'una all'altra (sempre nel rispetto del budget assegnato alla Fondazione Giovanni Paolo II) che per la reciproca fornitura di servizi sanitari ed eventualmente amministrativi e tecnici»;
   occorre altresì considerare che i reparti di cardiologia ed oncologia del Cardarelli verranno dismessi per lasciare che la fondazione Giovanni Paolo II, per queste discipline, diventi hub regionale di riferimento, in contrasto a parere degli interroganti, con quanto stabilito dall'articolo 32 della Costituzione italiana e del principio stabilito al punto 2.5 dell'allegato al decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015, che prevede che le singole discipline accreditabili per le strutture private devono preliminarmente essere verificate come incompatibili rispetto a quelle che sono le dotazioni della rete ospedaliera così come definita, ovvero se il dipartimento di emergenza ed accettazione di I livello non fa quelle discipline, allora possono essere accreditate;
   inoltre, è prevista la possibilità che le specialità del privato possano integrarsi o essere complementari a quelle del pubblico, ma non possono sostituirsi ad esse, almeno nei casi in cui il pubblico non sia oggettivamente in grado di realizzarle –:
   come il Governo ritenga a parere degli interroganti, che quanto illustrato in premessa si concili con i principi dettati dalla Costituzione, nonché con quelli sanciti con il decreto ministeriale n. 70 del 2015 in merito all'integrazione tra l'ospedale pubblico Cardarelli di Campobasso e la struttura privata accreditata fondazione Giovanni Paolo II all'interno dello stesso edificio;
   se il Governo non ritenga doveroso intervenire – nell'ambito dei propri poteri e per quanto di competenza – affinché sia ristabilito il principio che il privato accreditato debba essere complementare al pubblico e non sostituirsi ad esso come previsto per le discipline di cardiologia e oncologia;
   se il Governo sia a conoscenza dei dati pubblicati, dall'Agenas e relativi alle misure del programma nazionale esiti (Pne) e se ritenga quindi coerenti con i volumi e gli esiti così analizzati le scelte messe in campo dalla struttura commissariale per il piano di rientro dal deficit sanitario della regione Molise. (4-12538)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   su « Il Quotidiano del Sud» di venerdì 11 marzo 2016, in un articolo di Adriano Mollo pubblicato alla pagina 15 si legge, in relazione all'ultimo decreto dell'assistenza ospedaliera nell'ambito dei piano di rientro dai disavanzo sanitario della Calabria, che «dopo la pubblicazione sul sito istituzionale della Regione, la struttura commissariale ha effettuato delle modifiche e inviato la nuova versione al ministero»;
   il summenzionato giornalista ha aggiunto che «ieri sera è comparso sul sito della Regione nella sezione del decreti commissariali questo messaggio: "AVVISO DI RETTIFICA: In nome e per conto della Struttura Commissariale si comunica che gli Allegati al DCA n.30/2016 vengono ripubblicati in data 10/03/2016 previa emendazione degli errori materiali contenuti nei medesimi allegati già pubblicati in data 03/03/2016. Resta invariato il valore e l'efficacia del Decreto Commissariale n. 30 e pubblicato in data 03/03/2016"»;
   nell'articolo si rappresenta che, «poi, come si può notare, è spuntato un nuovo allegato, il numero 8»;
   «la vicenda – ha commentato il giornalista – è singolare perché sul piano formale (e legale) la struttura commissariale avrebbe dovuto pubblicare un decreto di rettifica così come ha già fatto in passato. Invece si procede con un escamotage per aggirare la norma ed evitare che il 19 aprile al tavolo di verifica Scura e Urbani si presentino con le carte non a posto»;
   in una nota dell'11 marzo 2016, inviata al presidente e al vicepresidente della regione Calabria, nonché ai ministri vigilanti e al ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, dottor Gianluigi Scaffidi, consigliere nazionale di Anaao-Assomed, ha scritto che «con una magistrale innovazione legislativa i due commissari hanno preteso la pubblicazione sul sito web istituzionale della Regione (che – evidenzio – costituisce l'albo ufficiale della Regione ai sensi della L. 69/2009) di una inesistente tipologia amministrativo-procedurale: l’«Avviso di rettifica». Essi hanno preteso, infatti, di modificare gli allegati al DCA n. 30 senza un nuovo DCA di rettifica ed integrazione e tale pretesa è stata avanzata attraverso l'ennesimo abuso consistente nelle loro dichiarazione trattarsi di "emendazione errori materiali contenuti nei medesimi allegati già pubblicati in data 3.3.16"»;
   il dottor Scaffidi ha aggiunto: «Basta guardare il sito per notare che il DCA n. 30 contiene n. 7, allegati mentre il meraviglioso "Avviso di rettifica" ne contiene 8. Un bambino di prima elementare sa che 8 è diverso da 7. I nostri eroi, no ! Passiamo, ora, ad altri "errori materiali". Essi consistono nell'incremento del numero di strutture in numero di circa una decina rispetto al DCA n. 30 ed alcune di esse, ovviamente per puro caso, soddisfano le lamentele espresse dopo la pubblicazione del DCA n. 30. È indubbio che si tratti di correzioni di merito e non certo di emendazione di errori materiali (quali ?) come asserito dai due eroi»;
   lo stesso Scaffidi ha specificato: «Nel caso dell'incremento del numero degli allegati non sussiste alcun errore materiale, ma si configura una vera e propria integrazione di un ulteriore documento; nel caso dell'incremento del numero delle strutture sfido chiunque a dimostrare trattarsi di "emendazione di errori materiali"»;
   più avanti, Scaffidi ha commentato: «Il termine esatto è "favoritismi agli amici"»;
   il dirigente medico e sindacalista ha evidenziato, nel merito, che «le suddette correzioni vanno apportate attraverso l'emanazione di un nuovo DCA di rettifica ed integrazione al DCA n. 30, non con fantagiuridici avvisi di rettifica basati su falsi presupposti»;
   inoltre, nella nota in argomento Scaffidi ha riportato il contenuto di una nota firmata dal dirigente generale del dipartimento regionale per la tutela della salute, indirizzata al commissario e al sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, in merito alle correzioni del DCA n. 30;
   Scaffidi ne ha riportato il seguente passaggio: «occorre comunque che la struttura commissariale proceda formalmente all'adozione di un D.C.A. di rettifica del D.C.A. n. 30/2016 e di sostituzione dei relativi allegati originariamente pubblicati con quelli corretti, del quale si resta in attesa»;
   ad avviso dell'interrogante la vicenda in questione è gravissima, ingiustificabile e rivelativa di un assoluto arbitrio dei delegati del governo, che agiscono per evidenti finalità politiche al di fuori del perimetro delle norme e delle procedure –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo non ritenga, già in occasione del prossimo tavolo di verifica, di assumere iniziative volte alla revoca del Dca n. 30/2016. (4-12540)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si legge sulla testata web ilvibonese.it, il pullman che stava accompagnando i dipendenti della provincia di Vibo Valentia in protesta dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in visita ai cantieri dell'autostrada A3 (Salerno-Reggio Calabria) a Mormanno (Cosenza), è stato fermato dalle polizia stradale nei pressi di Tarsia. Al mezzo sarebbe stato impedito di proseguire il tragitto;
   stando infatti al resoconto giornalistico, «il pullman dei lavoratori della Provincia di Vibo Valentia (in agitazione per i mancati pagamenti degli stipendi) partito questa mattina di buonora alla volta di Mormanno, per manifestare nel luogo della prevista visita del premier Renzi al cantiere dell'A3, è stato bloccato pochi minuti fa. IL mezzo, intercettato dalla Polizia stradale nei pressi dello svincolo di Tarsia, è stato fatto accostare e al conducente sarebbe stato vietato di proseguire verso Mormanno. Comprensibile il disappunto dei lavoratori che, scesi dal pullman, hanno esposto lo striscione della Provincia sul ciglio della corsia autostradale. Gli stessi, da circa mezz'ora, sono in attesa di capire se gli sarà permesso di ripartire e se dovranno fare ritorno alla base»;
   secondo quanto è stato possibile apprendere da fonti giornalistiche, il fermo nascerebbe da una comunicazione della digos di Vibo Valentia alla questura di Cosenza;
   a parere dell'interrogante è inammissibile tale comportamento antidemocratico, tanto che gli stessi lavoratori hanno parlato, apertamente, di «censura organizzata e mortificazione ulteriore di lavoratori che chiedono solo il rispetto dei loro diritti. Da più di un anno»;
   è bene ricordare che l'interrogante, in più atti parlamentari (a titolo di esempio, si ricorda in questa sede l'interrogazione a risposta scritta n. 4-07318, ancora senza risposta), ha denunciato lo stato d'agitazione, che si protrae ormai da tempo, dei dipendenti della provincia di Vibo Valentia, ente da mesi in dissesto finanziario, cosa che rende impossibile il pagamento degli arretrati stipendiali per gli stessi dipendenti (oggi ammontanti, secondo quanto risulta, a quattro mensilità più la tredicesima di dicembre 2015) –:
   se siano a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali iniziative di competenza, anche per la verifica dei comportamenti riassunti, intendano assumere in relazione alla vicenda esposta;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per intervenire in via straordinaria nei casi di mancanza di liquidità degli enti, e se non ritengano indispensabile e inderogabile promuovere un aumento dei trasferimenti centrali per l'espletamento delle funzioni spettanti alle province. (4-12541)


   PARENTELA, D'UVA, DIENI e NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli Emirati Arabi sono tra i principali partner commerciali dell'Italia, ma la mancata vigenza di un trattato di cooperazione giudiziaria ha attratto in quel Paese anche latitanti come l'ex parlamentare Amedeo Matacena, condannato in via definitiva a tre anni di reclusione per concorso esterno in associazione di ’ndrangheta e delinquenti dediti al riciclaggio internazionale come messo recentemente in evidenza dalle inchieste napoletane contro la camorra;
   il procuratore nazionale antimafia, e antiterrorismo Franco Roberti il 3 marzo 2016, presentando in Commissione antimafia la nuova relazione annuale della Direzione nazionale antimafia, ha messo in evidenza quanto sia sempre più decisiva la cooperazione giudiziaria internazionale nel contrasto alla criminalità organizzata;
   il Consiglio dei ministri ha rinviato la decisione in merito al disegno di legge di ratifica del trattato di estradizione e di mutua assistenza giudiziaria tra Italia e Emirati Arabi, che consentirebbe il rientro dei latitanti italiani che si trovano in quel Paese. La decisione era il 3 marzo 2016 all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri, ma è slittata per approfondimenti;
   Amedeo Matacena per ora, quindi, non corre rischio di essere estradato in Italia. Proprio per la sua fuga all'estero, secondo la ricostruzione della procura distrettuale antimafia di Reggio, si ritrovano a processo, accusati di averne favorito la latitanza, la moglie Chiara Rizzo, l'ex Ministro dell'interno Claudio Scajola e i segretari dei coniugi Matacena-Rizzo, Martino Politi e Maria Grazia Fiordalisi. Tutti e quattro sul banco degli imputati davanti al tribunale collegiale di Reggio. Gli inquirenti stanno sostenendo che l'ex deputato di Forza Italia ha progettato e pianificato la sua fuga dall'Italia anticipando la sentenza della Corte di Cassazione: lasciando quindi Reggio, la Calabria e la residenza di Montecarlo per trovare riparo inizialmente alle Seychelles e poi a Beirut in Libano passando dalla tappa intermedia di Abu Dhabi. Dove è stato fermato, arrestato e poi rilasciato e dove ancora oggi vive libero di muoversi ma senza possibilità di lasciare gli Emirati Arabi –:
   se il Governo non ritenga urgente presentare il disegno di legge di ratifica del trattato bilaterale relativo alla cooperazione ed all'assistenza giudiziaria in materia penale ed inerente l'estradizione ed il transito dei cittadini tra Italia e Emirati Arabi;
   quali siano le ragioni per le quali il Governo non abbia ritenuto una priorità assumere iniziative per ottenere una rapida estradizione del cittadino italiano Amedeo Matacena dagli Emirati Arabi Uniti richiesta dalla magistratura italiana;
   se il Governo non intenda valutare la possibilità di agire per vie diplomatiche così da ottenere l'estradizione di Matacena in attesa che entri in vigore il trattato. (4-12545)


   ALTIERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del decreto ministeriale del 17 aprile 2015 relativo alla revoca del diritto d'uso delle frequenze a suo tempo assegnate ad alcune imprese televisive locali il cui programma (master plan) prevede per la regione Sicilia il totale spegnimento degli impianti ivi indicati nelle giornate 7, 8 e 9 marzo 2016;
   non si comprende come la direzione generale per i servizi di comunicazione elettronica di radiodiffusione e postali – divisione IV – a firma del dottor Giovanni Gagliano (DGSCERP) – in data 2 marzo 2016, a mezzo Pec, abbia intimato alle emittenti inserite nel master plan a disattivare i predetti impianti, pena l'applicazione dell'articolo 98 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003) il quale prevede la reclusione fino a diciotto mesi oltre a sanzioni amministrative fino a 250.000 euro;
   alla data della predetta, improvvisa, intimazione la direzione in questione ha secondo l'interrogante ignorato la delibera dell'AGCOM n. 622/CONS/15 che impone di pubblicare l'elenco degli operatori di rete in esercizio obbligati a veicolare, a prezzi ridotti, i fornitori di contenuti provenienti dalle frequenze dismesse;
   la dismissione immediata ordinata dalla direzione del Ministro dello sviluppo economico comporta l'inevitabile licenziamento in tronco di circa 150 dipendenti i quali rimarrebbero senza tutele retributive, previdenziali, assistenziali e sindacali previste dalla legislazione sul lavoro e dai contratti collettivi di lavoro;
   il provvedimento della direzione del Ministero dello sviluppo economico si inserisce nell'ambito della discussione nel merito del giudizio pendente dinanzi al Tar del Lazio già fissata per il 20 aprile 2016 relativamente al ricorso RG 16283/2014 proposto dalla REA – radiotelevisioni europee associate ed altre 18 imprese televisive locali contro AGCOM per l'annullamento della delibera 480/CONS/14 che ha dato origine al provvedimento di spegnimento degli impianti in questione considerati interferenti con i Paesi confinati per non essere stati coordinati dall'amministrazione in violazione degli accordi internazionali –:
   se il Governo sia a conoscenza del provvedimento che, se confermato, arrecherebbe un notevole danno alle imprese e alle 150 famiglie, messe sul lastrico dalla mattina alla sera, senza aver avuto il tempo necessario per trovare altre soluzioni lavorative per il proprio sostentamento;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per ripristinare un corretto « iter» procedurale nella dismissione degli impianti consistente nel concordare con le singole imprese, assistite da REA – radiotelevisioni europee associate, tempi e modalità di cessazione dell'attività, tenendo conto delle particolari situazioni di ciascuna azienda, evitando in tal modo situazioni «traumatiche» economiche e sociali nel rispetto del dettato costituzionale relativo al diritto alla libera attività imprenditoriale per la funzione di operatore di rete e alla libera espressione nella funzione di fornitore di contenuti;
   se il Governo non ritenga opportuno, per il rispetto che si deve alla magistratura, alle imprese e alle famiglie coinvolte dal provvedimento, di assumere iniziative per differire i tempi dello spegnimento degli impianti fino al pronunciamento del giudizio di merito in sede di TAR già fissato per il 20 aprile 2016. (4-12547)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   su « Il Quotidiano del Sud» del 10 marzo 2016 si legge, in un articolo di Adriano Mollo pubblicato alla pagina 16: «La rete ospedaliera, varata con il Decreto commissariale no 30 pochi giorni fa è stata cambiata l'altro ieri pomeriggio a seguito delle proteste e segnalazioni degli operatori e parlamentari. Scura prova a mettere toppa che non copre i buchi. L'Annunziata di Cosenza aveva perso l'unità operativa complessa di chirurgia d'urgenza ed è stata ripristinata e in aggiunta sono state inserite altre 7 strutture semplici, in particolare a Crotone dove era scomparsa la Nefrologia»;
   il giornalista Mollo precisa, nell'articolo succitato, che «il nuovo allegato con le correzioni è stato inviato ai ministeri in vista del tavolo di monitoraggio del mese prossimo, ma ancora non è stato rettificato sul portale istituzionale della Regione»;
   «nonostante le rettifiche – aggiunge Mollo – le proteste non accennano a placarsi, dopo Trebisacce e Praia a Mare, anche i sindaci di Tropea e Soverato stanno affilando le armi per presentare ricorsi al Tar contro la riorganizzazione della rete»;
   «in sofferenza – viene precisato – c’è soprattutto l'area centrale della Calabria con uno sbilanciamento dell'offerta nella città di Catanzaro che penalizza le periferie, a partire dall'ospedale di Lamezia. E anche su Vibo, provincia che ha la più bassa spesa pro-capite sanitaria, le cose non vanno per il verso giusto. E a scendere in campo contro il duo Scura e Urbani sono soprattutto i sindacati dei dirigenti medici che contestano, numeri alla mano, le tesi del commissario sui troppi primari che ci sono in Calabria»;
   nello stesso articolo, si riporta che «per il segretario della Cisl Medici Nino Accorinti, ancora una volta i Commissari governativi decretano la riorganizzazione ospedaliera in violazione di regole e competenze "sbandierando il rispetto degli standard nazionali di cui al DM n. 70/2015 e la soppressione dei "primariati", salvo poi mantenere doppioni a direzione universitaria e strutture ospedaliere senza alcun valido presupposto e criterio"»;
   «la riorganizzazione della rete – prosegue l'articolo – è stata fatta con un'analisi del fabbisogno epidemiologico vecchio di 4 anni»;
   inoltre, riassume Mollo, «i dati riportati non tengono conto dell'impatto sulla popolazione dei tagli ai servizi in vaste aree della Calabria. Molti ospedali non svolgono molti servizi e la domanda non trova più risposte sul territorio. A conferma di ciò basta vedere cosa sta accadendo in questi giorni all'Ospedale di Cosenza, che sta scoppiando per mancanza di posti letto. Solo ieri sono arrivate 19 ambulanze dalla provincia di Cosenza, di Reggio, di Vibo e Catanzaro. Stesso fenomeno si registra al Dipartimento Materno infantile dell'Annunziata, il direttore Gianfranco Scarpelli ha scritto una lettera alla direzione generale per bloccare i ricoveri in Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale dove il personale è costretto a turni massacranti per l'alto numero di ricoveri da fuori provincia. In questo reparto il tasso di utilizzo dei posti letto supera stabilmente il 130 per cento»;
   «di fronte a questi problemi – conclude il servizio giornalistico summenzionato – la struttura commissariale non ha messo in campo alcuna strategia per riorganizzare il servizio pubblico, riportare efficienza e affidare i reparti nelle mani di primari con obiettivi chiari. Inefficienze che si scaricano sul privato costretto a dare risposte, in molti casi, oltre i tetti di spesa fissati»;
   a parere dell'interrogante la riportata cronaca del decreto corretto in extremis, senza alcun riscontro delle modificazioni sul sito della regione Calabria, è di estrema gravità – anche tenendo conto di continui omissioni, contraddizioni e sconfinamenti della struttura commissariale (si veda al riguardo la vicenda dell'integrazione tra il policlinico universitario e l'ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro o dell'autorizzazione del «Marrelli Hospital»; si consideri in proposito la lunga storia della mancata riattivazione degli ospedali di Praia a Mare e Trebisacce, per cui ci sono sentenze definitive che obbligano alla riapertura; si badi, ancora, all'episodio del riconoscimento del centro regionale di riferimento all'unità operativa di endocrinochirurgia dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» di Catanzaro; si richiami, ad adiuvandum, la revoca della procedura di verifica dei requisiti della cardiochirurgia della medesima azienda od il decreto di assegnazione dei budget alle strutture private e le recenti modifiche apportate, per l'interrogante rivelative della mancanza ab origine di criteri predefiniti) – e conferma un'approssimativa e pericolosa gestione della sanità da parte dei delegati del governo, ingegner Massimo Scura e dottor Andrea Urbani, peraltro ad avviso dell'interrogante nominati con procedure di dubbia legittimità come la medesima argomentò nell'interpellanza urgente n. 2-01172 svolta il 27 novembre 2015;
   per l'interrogante, la riferita vicenda del decreto corretto in extremis, inoltre, autorizza a pensare per l'interrogante a una gestione personalistica e privatistica Cella sanità a parte dei commissari del Governo, la quale, ove sganciata dalla verifica puntuale sui bisogni e da ogni valutazione tecnico-organizzativa, si ridurrebbe a un fatto di rapporti diretti con sindaci e altri rappresentanti, col pericolo di informarsi a un «clientelismo politico» ammantato burocraticamente e istituzionalmente;
   il quadro impietoso offerto dal citato servizio giornalistico – corroborato dalle ricostruzioni dell'interrogante, articolate nei propri numerosissimi atti di sindacato ispettivo sulla gestione della sanità calabrese, spesso associati «d'ufficio» a esposti alla procura della Repubblica e alla Corte dei conti – va compendiato con la vicenda narrata nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-12409, che l'interrogante ha presentato, l'8 marzo 2016, da cui emergerebbe che il commissario Scura non conosce affatto la differenza tra autorizzazione e accreditamento in materia sanitaria, il che sarebbe una carenza incompatibile con l'incarico assegnato ai sensi dell'articolo 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014, che prevede che il commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale debba «possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria» –:
   se alla luce di quanto esposto in premessa il Governo non ritenga, di dover revocare nell'immediato, all'ingegner Massimo Scura e al dottor Andrea Urbani, gli incarichi di commissario e subcommissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria e se non ritenga improrogabile assumere iniziative per la restituzione alla regione dell'intera competenza sulla sanità, per la regolare prosecuzione del medesimo piano di rientro. (4-12548)


   ANDREA MAESTRI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza del 23 febbraio 2016 la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha condannato l'Italia per il rapimento e la detenzione illegale di Osama Mustafa Hassan Nasr, meglio conosciuto come Abu Omar, già imam a Latina, rapimento avvenuto in Milano il 17 febbraio 2003;
   dopo il rapimento, Omar fu trasportato in Egitto dove fu detenuto, interrogato e sottoposto a torture;
   numerose fonti giornalistiche, riportano il fatto che, secondo la Corte, «le autorità italiane erano a conoscenza che Abu Omar era stato vittima di un'operazione di “extraordinary rendition” (cioè un rapimento e detenzione illegale compiuti dagli Stati Uniti con la collaborazione di un altro paese, ndr) cominciata con il suo rapimento in Italia e continuata con il suo trasferimento all'estero»;
   l'Italia si sarebbe resa responsabile della violazione di cinque articoli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu): quelli che prevedono la proibizione di tortura o trattamenti inumani e degradanti (articolo 3), il diritto alla libertà e alla sicurezza (articolo 5), il diritto al rispetto della vita privata e familiare (articolo 8), il diritto a un equo processo (articolo 6), il diritto a un ricorso effettivo davanti a un'istanza nazionale (articolo 13);
   in particolare, secondo la Cedu, l'Italia avrebbe applicato il legittimo principio del segreto di Stato in modo improprio, assicurandosi in questo modo che i responsabili per il rapimento, la detenzione illegale e i maltrattamenti ad Abu Omar rimanessero impuniti. I giudici hanno quindi stabilito che l'Italia dovrà pagare 70 mila euro a titolo di risarcimento in favore di Abu Omar e ulteriori 15 mila a sua moglie per danni morali, a cui si aggiunge il pagamento di 30 mila euro per le spese legali sostenute dai ricorrenti. La sentenza diventerà definitiva nell'arco di tre mesi se lo Stato italiano non chiederà e otterrà un riesame dalla Corte di Strasburgo;
   ad avviso degli interroganti, il comportamento delle autorità italiana nella vicenda, stigmatizzando dalla Cedu, associato al gravissimo ritardo del Parlamento nell'approvazione di una legge contro il reato di tortura, dimostrano scarsa attenzione delle istituzioni alla tutela dei diritti umani;
   si consideri comparativamente che, ad esempio, la pena massima per il reato di tortura in Francia è l'ergastolo, stessa cosa nel Regno Unito, mentre in Spagna è di 6 anni: in Italia, non esiste né la pena massima, né quella minima. Infatti, la legge contro il reato di tortura è all'esame del Senato dal luglio 2015 e sarebbe invece opportuno un celere esame del provvedimento;
   il 10 dicembre 1984 l'Onu ha approvato la «Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti», entrata in vigore il 26 giugno 1987. Per i Paesi aderenti, il documento prevede una serie di obblighi e, in particolare, l'articolo 2, stabilisce che «ogni Stato parte adotta misure legislative, amministrative, giudiziarie e altre misure efficaci per impedire che atti di tortura siano commessi in qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione». L'Italia ha ratificato la convenzione nel 1989;
   si ricorda che il progetto di legge sul reato di tortura è stato approvato in breve tempo dalla Camera, il 9 aprile 2015, in seguito alla sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha stabilito che il blitz della polizia alla scuola Diaz, avvenuto il 21 luglio 2001, nell'ambito del G8 di Genova, «deve essere qualificato come tortura», e ha condannato l'Italia sia per le lesioni subite da Arnaldo Cestaro (che aveva precedentemente presentato ricorso), sia per l'inadeguatezza della nostra legislazione che a trent'anni dalla sottoscrizione della già citata convenzione dell'ONU non ha ancora una legge apposita sulla tortura all'interno del codice penale –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, e, nell'eventualità positiva, in considerazione di quanto esposto e della sentenza della Corte di Strasburgo del 23 febbraio 2016, se il Governo intenda rendere pubblico l'effettivo svolgimento dei fatti accaduti in relazione alla vicenda dell'imam Abu Omar, assumendo iniziative volte a revocare l'apposizione del segreto di Stato. (4-12549)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PINNA, GALGANO, QUINTARELLI, VARGIU e VECCHIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il moto indipendentista baltico, avviatosi nei primi mesi del 1989 e caratterizzato da manifestazioni con forte carattere simbolico, rinominato la «rivoluzione cantata», culminò nel 1991 quando Estonia, Lettonia e Lituania separarono i loro destini da quello dell'Unione sovietica. Nel marzo di quell'anno con referendum popolare quasi l'80 per cento della popolazione estone dichiarò la volontà di distaccarsi dall'Urss e nel 1992 seguirono le prime libere elezioni nel Paese. Tuttavia, il percorso di smarcamento fu caratterizzato anche dal sorgere della cosiddetta «questione russa»: ragioni storiche, culturali, sociali e politiche resero difficile una serena integrazione fra estoni e ex-sovietici;
   dopo aver ottenuto l'indipendenza, il neonato Governo estone era bisognoso di ristabilire la propria sovranità e recuperare la propria identità, sia linguistica che culturale, persa durante l'occupazione. Su tali basi adottò il principio dello ius sanguinis e stabilì che solo i residenti nel Paese prima della seconda guerra mondiale e i loro discendenti avevano il diritto di ottenere automaticamente la cittadinanza estone. La ratio legale e ideologica di questa legge va cercata nella continuazione de iure dello Stato prima dell'occupazione sovietica del 1940;
   vi era anche la possibilità di acquisire la cittadinanza per naturalizzazione; tuttavia, per ottenerla era necessario essere in possesso di specifici requisiti fra cui era ricompreso il superamento di un severo esame di lingua estone particolarmente impegnativo per i russofoni dal momento che l'estone, essendo una lingua appartenente al ramo finnico delle lingue uraliche, non presenta nessuna affinità con il russo, lingua di origine slava, ed è caratterizzato da un complesso sistema grammaticale difficile da apprendere senza un regolare corso di studi scolastico. Tale requisito ha impedito di fatto l'integrazione della maggior parte degli ex-sovietici residenti in Estonia, pari al 30 per cento della popolazione, i quali avevano per anni abitato e lavorato nel Paese baltico coltivando le proprie tradizioni e continuando a parlare russo, che fino al 1991 era la lingua ufficiale;
   le conseguenze di queste decisioni sono state drammatiche dal punto di vista politico, economico e sociale. Un'ampia fetta della popolazione si è ritrovata da un giorno all'altro senza cittadinanza, nell'impossibilità di parlare la propria lingua di origine — aspetto che comportò nella maggior parte dei casi anche la perdita del posto di lavoro, emblematico fu il caso del 1999 in cui trecento poliziotti di origine russa persero il proprio posto di lavoro perché non riuscirono a passare l'esame di lingua estone — e priva dei diritti civili quali ad esempio il diritto alla proprietà e il diritto all'elettorato attivo e passivo in occasione delle elezioni politiche, dunque, non rappresentata in sede parlamentare laddove vedeva fievolmente difesi e tutelati i propri interessi. La frattura linguistica ha consolidato quella etnica;
   ne consegue che una parte della popolazione è da allora composta da «non cittadini», detti anche «alieni», ovvero residenti permanenti ma privi di cittadinanza sia estone che sovietica (persa quest'ultima con il dissolversi dell'Urss) a cui è stato dato il cosiddetto «passaporto grigio», un documento che certifica il loro particolare e atipico status. Ad oggi si stima che circa l'8 per cento della popolazione estone appartiene a questa categoria, si tratta di persone che hanno vissuto una parte considerevole della loro esistenza senza il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali e senza che il Paese in cui abitano, lavorano e pagano le tasse li riconosca membri di una collettività;
   solo nell'ultimo periodo la situazione ha visto una lieve svolta positiva. Infatti, a seguito dell'ingresso dell'Estonia nello spazio Schengen (2007), è stata riconosciuta a tutti i residenti, indipendentemente dalla loro cittadinanza, la libera circolazione nell'area dell'Unione europea. Inoltre, l'Estonia ha recentemente adottato il principio dello ius soli, assicurando l'acquisizione della cittadinanza a tutti i nati in Estonia dopo il febbraio 1992; tuttavia, permangono problemi per i possessori del «passaporto grigio», ovvero i nati prima di quella data considerati ancora «non-cittadini»;
   gli effetti si ripercuotono anche nella quotidianità di questi individui che si trovano per ragioni varie, spesso di lavoro, in Italia e che incontrano ostacoli di ordine burocratico anche per le più semplici delle attività, come ad esempio l'iscrizione al sito on-line dell'Istituto nazionale della previdenza sociale. In molti casi le amministrazioni comunali italiane non sapendo come affrontare il problema hanno inserito nei documenti ufficiali la cittadinanza estone, generando ulteriori difficoltà e incertezze;
   questa situazione anomala confligge con i principi alla base del costituzionalismo contemporaneo. In tempi remoti era normale che ciascun individuo godesse di un regime e di un trattamento legale correlati al suo gruppo di nascita e alla sua posizione sociale, ma ad oggi il principio di eguaglianza è proclamato nelle costituzioni, nei trattati internazionali e nelle carte dei diritti: è impensabile che tali discriminazioni possano verificarsi all'interno degli Stati membri dell'Unione europea;
   infatti, l'Unione europea nei Trattati sottolinea «il principio dell'uguaglianza dei cittadini, che beneficiano di uguale attenzione da parte delle sue istituzioni, organi e organismi» (articolo 9 TUE) e ribadisce che «è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità» e che il «Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire regole volte a vietare tali discriminazioni» (articolo 18 TFUE). Inoltre, nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea l'articolo 21 sancisce che «è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità»; a completare il quadro è l'articolo 22 secondo cui «l'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica». Nell'ordinamento italiano il principio di eguaglianza formale e il divieto di discriminazione sono previsti nei principi fondamentali della Carta costituzionale (articolo 3 Costituzione);
   tuttavia, come premesso, nonostante i valori enunciati permane all'interno dell'Unione e nei suoi Stati membri l'esistenza di questa particolare categoria di individui, i «non cittadini», che è difficilmente inseribile all'interno di schemi conosciuti, non potendo essere inclusa neanche nella tipologia degli apolidi. In tal modo si creano palesi disparità di trattamento fra individui e, al contempo, si avalla uno stato di incertezza del diritto e della sua applicazione –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di eliminare, sulla base dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico nazionale ed europeo quali il principio di uguaglianza e il divieto di discriminazione, tutti gli ostacoli di ordine burocratico che impediscono ai «non cittadini» lo svolgimento di una vita regolare e dignitosa in Italia;
   se ritenga opportuno adoperarsi in tutte le sedi istituzionali internazionali, nello specifico nell'ambito della Organizzazione delle nazioni unite e dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ed europee, quali l'Unione europea e il Consiglio d'Europa, affinché si giunga a un superamento di questa situazione di incertezza e atipicità di modo che le palesi discriminazioni e disparità di trattamento descritte in premessa siano prontamente e definitivamente sanate.
(5-08150)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   BARADELLO e CAPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 settembre 2007 recante la «dichiarazione di “Grande Evento” relativa alla Presidenza italiana del G8 nell'anno 2009» venne stabilito di svolgere il Vertice G8 nell'isola di La Maddalena, con il dichiarato intento di rilanciare in chiave turistica l'economia del nord Sardegna e, in particolare, dell'arcipelago de La Maddalena, all'indomani dello smantellamento della base navale americana;
   per la realizzazione dei ventisettemila metri quadri di edifici previsti dal progetto, sono stati stanziati circa 327 milioni di euro di denaro pubblico, dei quali almeno cento milioni ottenuti utilizzando le risorse finanziarie del fondo aree sottoutilizzate e assegnati agli appaltatori mediante le procedure semplificate previste dalla protezione civile per il G8;
   dopo un anno dall'inizio dei lavori, incurante delle importanti ricadute economiche e strutturali che questa decisione avrebbe comportato sull'economia del territorio maddalenino, il Governo, con l'articolo 17 del decreto-legge n. 39 del 28 aprile 2009, ha disposto di spostare il Vertice G8 a L'Aquila, senza peraltro individuare un percorso progettuale alternativo ma egualmente efficace rispetto agli obiettivi originariamente perseguiti;
   nonostante, infatti, le ampie rassicurazioni offerte dal Governo dell'epoca circa il completamento e la riqualificazione delle opere in corso di realizzazione e programmate nell'isola di La Maddalena, ad oggi, tutte le strutture edificate, prime fra tutte quelle che sorgono in luogo dell'ex arsenale e dell'ex ospedale militare versano in uno stato di totale abbandono e subiscono progressivamente lesioni delle parti edilizie di rilevante gravità tali da porre a rischio la stabilità di intere costruzioni;
   la mancata bonifica delle aree a mare prospicienti l'area dell'ex arsenale ha reso inutilizzabile, tra l'altro, quello che, nel progetto iniziale, avrebbe dovuto essere un hotel extra lusso a 5 stelle con tanto di porto turistico annesso. Per esso sono stati spesi, secondo i dati della protezione civile ben 118.946.000,00 euro (48.400.000,00 euro per la ristrutturazione dell'arsenale in albergo + 23.436.000,00 euro per la realizzazione di servizi connessi + 41.610.000,00 euro per l'adeguamento del bacino dell'arsenale in porto turistico + 5.500.000,00 euro per il piano di caratterizzazione e la prima bonifica ambientale);
   nel maggio 2011, il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente di Sassari, su disposizione della procura della Repubblica presso il tribunale di Tempio Pausania, hanno posto sotto sequestro preventivo i 60 mila metri quadri di specchi acquei e fondali prospicienti l'ex arsenale per verificarne lo stato di inquinamento successivo ad una prima bonifica. La perizia commissionata dalla procura di Tempio Pausania ha accertato che, dei sei ettari contaminati individuati inizialmente ed oggetto di una prima bonifica, si è passati a ben 12 ettari contaminati, proprio a causa della grave imperizia che ha caratterizzato le operazioni di bonifica;
   questi 12 ettari andranno adeguatamente bonificati prima di poter rendere utilizzabile l'area, con costi stimati intorno ai 10 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere ai costi della prima bonifica, per un totale stimato di circa 15,5 milioni di euro;
   la base di gara per l'assegnazione della gestione dell'ex arsenale prevedeva una quota minima una tantum di 40 milioni di euro e la proposta di un canone annuale di concessione destinato alla regione Sardegna. Unica partecipante e aggiudicataria della gara è stata la Mita Resort S.r.l. del gruppo Marcegaglia, verso il pagamento una tantum di 41 milioni di euro e un canone annuale di circa 60 mila euro. Questo a fronte dei quasi 500 mila euro annui di Imu pagati dalla regione autonoma della Sardegna quale proprietario dell'area;
   stante l'inerzia di Stato e regione Sardegna nell'adoperarsi celermente per bonificare lo specchio d'acqua antistante l'ex arsenale e consentire l'utilizzo della struttura, la Mita Resort S.r.l. del gruppo Marcegaglia ha chiesto ed ottenuto la risoluzione della convenzione di gestione della struttura suddetta per inadempienza dello Stato. Inoltre, il tribunale civile di Cagliari ha stabilito che lo Stato paghi alla società suddetta un risarcimento pari a 39 milioni e 438 mila euro per i mancati guadagni;
   appare evidente come lo stato di abbandono in cui versa tutta l'area assoggettata al progetto edificatorio per il Vertice G8 mai realizzato a La Maddalena, abbia generato e continui a generare un ingente danno alla finanza pubblica, tale da compromettere irreversibilmente l'utilizzo e la valorizzazione economica del compendio dell'ex arsenale militare, realizzato con ingentissime risorse pubbliche, e di conseguenza ad affossare lo sviluppo economico di un territorio e una comunità fortemente danneggiata nelle sue possibilità di sviluppo, a suo tempo già frenato dalla presenza di servitù militari;
   la persistenza delle condizioni del sito, attestata delle analisi effettuate dall'Arpas di Sassari, su mandato della procura di Tempio Pausania, comunicate il 12 novembre 2012, circa la presenza di agenti inquinanti, costituisce un pericolo per la salute pubblica, oltre che un'emergenza ambientale, anche in considerazione del fatto che tutto l'Arcipelago di La Maddalena rientra nel parco nazionale omonimo ed è sito di importanza comunitaria (direttiva n. 92/43/CEE);
   sarebbe utile, inoltre, conoscere nel dettaglio quali siano i costi che lo Stato ha affrontato complessivamente per la realizzazione e la messa in funzione delle strutture previste nel progetto ideato per il Vertice G8 del 2009 e se, su tale spesa pubblica, poi di fatto risultata ad oggi priva di ogni utile ricaduta, siano in corso verifiche e valutazioni da parte dei competenti organi di controllo; sarebbe inoltre utile conoscere la stima dei costi e conseguentemente dei danni subiti ad oggi alla finanza pubblica e delle negative ricadute economico-sociali subite dalla comunità maddalenina e, più in generale dai territori galluresi, nonché quali rischi ambientali permangano, per il territorio e per la salute della popolazione di La Maddalena, a causa della mancata operazione di bonifica, e avere chiarimenti su quali siano le ragioni che hanno impedito e impediscono gli interventi di bonifica, nonché sapere di chi siano le responsabilità –:
   che cosa intenda fare il Governo, per quanto di competenza, per porre fine alla situazione attuale e per riconsegnare alle amministrazioni locali e regionale sarde il patrimonio risanato di strutture ricettive e civili dell'area dell'ex arsenale e di quelle ad esse connesse, tramite le forme consentite dalla legge e in particolare con quelle individuate dall'articolo 14 dello statuto speciale, ai fini del necessario rilancio della attività economica e produttiva dell'arcipelago ai fini della costruzione di un nuovo progetto di sviluppo fondato sulla tutela e la valorizzazione del paesaggio e dell'ambiente. (5-08151)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, TURCO e BECHIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni Enac e Toscana Aeroporti stanno effettuando dei saggi archeologici sui terreni di Peretola nell'ambito della Valutazione d'impatto ambientale (VIA) per il progetto di ampliamento dell'aeroporto di Firenze;
   durante i saggi sono stati individuati reperti archeologici che vanno dall'età preistorica all'età romana e che determinerebbero varianti sul progetto dell'opera;
   il 20 luglio 2015 il Ministero aveva richiesto delle integrazioni entro il termine tassativo di 45 giorni e il 3 settembre Enac e Toscana Aeroporti avevano presentato le integrazioni su cui il pubblico doveva fare le proprie osservazioni entro 60 giorni;
   il 2 dicembre sempre Enac e Toscana Aeroporti presentarono altri 14 documenti di «documentazione integrativa volontaria», modalità sconosciuta e non richiesta dalle procedure della Valutazione d'impatto ambientale;
   secondo la legge, il Ministero doveva esprimersi entro 90 giorni dalle osservazioni del pubblico, ma al 4 febbraio 2016 non si è avuto ancora nessun pronunciamento e nel frattempo Enac e Toscana Aeroporti insistono nei loro studi, scavi ed integrazioni;
   le continue integrazioni presentate da Enac e Toscana Aeroporti segnalano l'insufficienza del materiale presentato fino ad ora e per il decreto legislativo n. 152 del 2066, articolo 26, comma 3-ter, «nel caso in cui il proponente non ottemperi alle richieste di integrazioni da parte dell'autorità competente, non presentando gli elaborati modificati, o ritiri la domanda, non si procede all'ulteriore corso della valutazione»;
   da ultimo, l'atto del Governo all'esame di questa commissione contenente lo schema di decreto legislativo che recepisce le direttive europee sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori in determinati settori, prevede l'applicazione delle nuove norme del codice degli appalti alle attività relative allo sfruttamento di aree geografiche per la messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi e di altri terminali di trasporto ai vettori aerei, marittimi e fluviali –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno chiarire come mai si permetta a Enac e a Toscana Aeroporti di continuare a presentare elementi per la Valutazione d'impatto ambientale. (5-08152)


   PELLEGRINO, ZACCAGNINI e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la geotermia è stata individuata dalle istituzioni come «risorsa strategica per lo sviluppo del nostro Paese», ma per favorirne un concreto e ulteriore sviluppo, attirando nuovi investimenti, è indispensabile una cornice normativa chiara e stabile. A tal proposito, in data 15 aprile 2015 è stata approvata all'unanimità dalle commissioni permanenti riunite VIII ambiente e X attività produttive la risoluzione n. 8-00103 che impegna il Governo alla realizzazione di dodici azioni: fra le quali «ad emanare, entro sei mesi, «linee guida» a cura dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico, che individuino nell'ambito delle aree idonee di cui al punto precedente anche i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di micro sismicità». Si prevede inoltre che «nella fase pre-realizzativa ci sia un pieno coinvolgimento delle amministrazioni e delle popolazione locali nel processo decisionale favorendo l'eventuale applicazione del principio di precauzione»;
   le linee guida per le geotermia che avrebbero dovute essere fornite il 15 ottobre 2015, non hanno ancora trovato una formulazione definitiva, in quanto sul documento, così come dichiarato dal Governo «si stanno coinvolgendo i vari stakeholder, oltre alle regioni maggiormente interessate dalle attività in argomento, al fine di poter condividere i contenuti delle stesse e definire compiutamente le best practice della materia». Per la stesura del documento, ha precisato il Governo, vista la complessità e la rilevanza della materia, è al lavoro un team di esperti del settore; da parte sua il Ministero, «considerando la rilevanza della geotermia, porrà in essere ogni sforzo affinché tale attività possa al più presto essere portata a compimento». Nel mentre, i lavori di «zonazione» del territorio italiano sono partiti, «affinché, per le varie tipologie di impianti geotermici, siano identificate le aree potenzialmente sfruttabili»;
   pertanto emerge che il Governo – pur essendo impegnato sulle attività di riforma – non è in grado di disporre rapidamente le nuove normative, mentre, nel contempo proseguono le attività istruttorie delle istanze avanzate dagli operatori sia in ordine agli impianti pilota geotermici, che alle istanze geotermiche ad autorizzazione regionale;
   questa situazione diventa ogni giorno di più in evidente contrasto con le previsioni contenute nella risoluzione de quo che al punto 3o recita: «(il Governo si impegna) a rilasciare, a seguito dell'emanazione delle linee guida, tutte le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici, comprese quelle relative ai procedimenti in corso, nel rispetto delle prescrizioni ivi previste». Le commissioni parlamentari VIII e X hanno chiaramente impegnato il Governo a far avanzare i procedimenti in corso soltanto dopo l'emanazione delle linee guida e degli altri interventi di riforma. È del tutto evidente che, in ossequio ai principi di buon andamento, efficienza ed efficacia dell'amministrazione – oltre che per rispetto istituzionale nei confronti dell'organismo parlamentare che ha adottato la predetta risoluzione – le autorizzazioni siano rilasciate dopo l'emanazione della «riforma» del settore. Anche per scongiurare il rischio ed il sospetto che le «linee guida» e «la zonizzazione» (e gli altri «impegni» del Governo contenuti nella risoluzione, fino al punto n. 12, che riguarda una verifica sugli impianti in esercizio) vengano ritardati per consentire autorizzazioni che altrimenti poi sarebbero impossibili o per mantenere in esercizio impianti che non potrebbero essere rispettosi delle stesse linee guida –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, e quindi quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, affinché sia data piena attuazione in tempi brevi agli indirizzi di cui alla risoluzione unitaria n. 8-00103, approvata dalle commissioni permanenti riunite VIII e X, così come descritta in premessa, e se non si ritenga che si debbano assumere iniziative per sospendere le autorizzazioni in itinere in relazione agli impegni derivanti dalla risoluzione menzionata. (5-08153)


   MATARRESE, D'AGOSTINO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa e dagli atti pubblicati sul sito della regione Puglia, l'acquedotto pugliese (Aqp), nell'ambito dell'esecuzione del «Piano triennale di estensione del sistema idrico integrato», avrebbe progettato, «...la canalizzazione fognaria di tutta la costa nord di Ostuni verso una vasca di sollevamento che sarà realizzata a ridosso della spiaggia del Pilone, a Marina di Ostuni, raccogliendo i reflui di Diana Marina, Monticelli, Rosa Marina, Cala, per poi tornare indietro verso la vasca di sollevamento di Villanova...»;
   l'ubicazione della vasca sarebbe prevista a poco più di 50 metri dall'antica e storica Torre San Leonardo, insisterebbe sul tratto di spiaggia libera del Pilone, rinomata meta turistica e sarebbe adiacente all'area del parco regionale delle Dune;
   l'opera prevista dal progetto dovrebbe essere collocata sul confine del Sito di importanza comunitaria (SIC) IT9140002 «Litorale brindisino», compreso nella rete europea «Natura 2000», rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell'Unione europea, istituita ai sensi della direttiva 92/43/CEE «Habitat» per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario;
   secondo quanto riportato dalle cronache, i cittadini si sono mobilitati, organizzando manifestazioni di protesta allo scopo di ottenere la delocalizzazione della vasca, prevedendone la costruzione in un luogo più idoneo e sicuro e di minor pregio naturale e paesaggistico. In particolare, si oppongono alla costruzione dell'opera il Consorzio «Villaggio Turistico Torre S. Leonardo», sul cui margine perimetrale sarebbe dovuta insistere la vasca, la sezione territoriale del Wwf e il «Comitato per la salvaguardia della spiaggia del Pilone», che tramite un comunicato alla stampa contesterebbe l'opera poiché «...prospiciente alla linea di costa, posta a pochi metri dalla battigia ed in una zona non solo a spiccata valenza turistica, ma fragile e vulnerabile dal punto di vista ambientale e geomorfologico; a ciò si aggiunge che si tratta di un'opera altamente invasiva, poiché tale vasca ha una dimensione di 1.400 metri cubi ed un'altezza di 10 metri, di cui 6 interrati e 4 fuori terra...»;
   nel corso della discussione del progetto nell'ambito della conferenza dei servizi del 18 maggio 2012, appare rilevante il parere espresso dall'ufficio paesaggistico della regione Puglia che, nel rappresentare ad Aqp l'opportunità di valutare un sito alternativo e più sicuro per la collocazione dell'opera, avrebbe evidenziato le motivazioni relative alla inidoneità del sito spiegando che, così come previsto, violerebbe alcune disposizioni relative alle Nta del Putt, in particolare in materia di paesaggio 3.07 (coste ed aree litoranee annesse); 3.08 (corsi d'acqua), 3.11 (aree annesse al parco regionale Dune Costiere), 3.13 (oasi di protezione: Pilone, Rosa Marina, Monticelli);
   sembrerebbe che, nel 2014, l'amministrazione comunale di Ostuni, nell'esaminare ed accogliere le obiezioni dei comitati di cittadini, abbia fatto pervenire all'Aqp un progetto alternativo che prevedeva la collocazione della vasca in un punto decisamente più distante dalla spiaggia del Pilone e, quindi, più idoneo ad ospitare l'opera, ma pare che l'Aqp abbia respinto tale soluzione;
   secondo quanto riportato dagli organi di informazione, apparirebbe altresì rilevante che i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) avrebbero acquisito nel 2015 tutta la documentazione relativa ad un precedente progetto depositato nel 2005 che prevedeva la collocazione dell'opera in un sito ritenuto più idoneo, che avrebbe avuto un impatto ambientale contenuto e che non avrebbe comportato danni rilevanti dal punto di vista turistico. Pare che il Noe abbia anche svolto un sopralluogo sul sito in questione;
   l'eventuale costruzione della vasca nel sito previsto nell'ultima progettazione sembra agli interroganti non essere indicata per la prossimità ad aree naturali protette ed al mare che potrebbero essere sottoposte a rischi di inquinamento nel caso in cui venga a verificarsi un malfunzionamento dell'impianto, ma anche perché la sola presenza di una vasca contenente liquami a pochi metri dalla spiaggia scoraggerebbe certamente i turisti ad utilizzarla, causando danni rilevanti al turismo della zona ed impedirebbe ai cittadini di poter godere del diritto ad utilizzare l'unica spiaggia libera presente nella zona;
   appare evidente ad avviso degli interroganti che la realizzazione di opere di questa tipologia non può e non deve interessare tratti costieri di pregio naturalistico e paesaggistico, prossimi ad insediamenti turistici di particolare rilevanza –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero ed, in caso affermativo, di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito allo stato di avanzamento della progettazione e della costruzione della vasca in questione e quindi se ritenga, per quanto di competenza, che il sito previsto per la realizzazione, che insiste sul confine del S.I.C. IT9140002 «Litorale brindisino», sia idoneo ad ospitare tale opera e conforme ai principi e alle normative vigenti in materia di protezione degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. (5-08154)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la gestione dei rifiuti solidi urbani in Italia ha un costo ragguardevole, di poco inferiore ai 10 miliardi di euro all'anno, con costi decisamente variabili nei vari settori della filiera e in base all'area geografica, alla presenza di società partecipate, al recupero energetico e al ruolo dei consorzi;
   la gestione del ciclo dei rifiuti per essere virtuosa e sostenibile, lo deve essere anche dal punto di vista economico per evitare speculazioni, interessamenti della criminalità organizzata, sovradimensionamenti degli impianti, inquinamento e danni ambientali aggirabili;
   dai dati della relazione 2014 sui rifiuti solidi urbani dell'Ispra si stima il costo della gestione dei rifiuti solidi urbani nel 2013 in circa 9 miliardi e 690 milioni di euro;
   in tale direzione, il comune di Rodigo, in provincia di Mantova, di 5.412 abitanti, rappresenta un caso «emblematico» di efficiente gestione del servizio di raccolta e avvio alla smaltimento dei rifiuti solidi urbani (RSU), stabilendo di assumere direttamente «in autonomia» la gestione del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani, con l'utilizzo di proprio personale e propri automezzi, ma avvalendosi dell'opera di un terzo per la fase successiva alla raccolta dei rifiuti (trasporto e smaltimento);
   il comune, infatti, ha stabilito di non avvalersi dei servizi di Mantova Ambiente, attualmente soggetto unico provinciale nel settore dell'ambiente, avendo adottato, da alcuni anni, una strategia di gestione dei rifiuti solidi urbani in grado di abbattere i costi e di conseguenza le tariffe per i cittadini; risulta che la liceità della scelta della gestione diretta del comune sia stata posta in discussione dalla società citata Mantova Ambiente e provincia di Mantova, rispettivamente per tale gestione «ibrida» pubblico/privata nei servizi pubblici locali di rilevanza economica ed in relazione alla asserita necessità per il comune di essere iscritto all'albo dei gestori ambientali;
   tale vexata quaestio è stata peraltro oggetto di una pronuncia in funzione consultiva della Corte dei conti proprio sulla gestione diretta del servizio di raccolta da parte del comune (457/2013);
   in tutta Italia, peraltro, diversi comuni, soprattutto in Sicilia (Palermo, Agira, Giarre), stanno sperimentando con risultati positivi la gestione diretta dei servizi ambientali;
   recentemente sono stati pubblicati i dati economici relativi al piano economico finanziario (PEF) 2015 del consorzio Contarina (TV), pubblico, che comprende anche la città di Treviso e gestisce l'igiene urbana e i rifiuti solidi urbani per oltre 550.000 persone, garantendo un costo pro capite di 111 euro, area urbana compresa, dato record nazionale per un'area così vasta e comprendente un'area urbana capoluogo di provincia e che risulta circa metà del costo pro capite medio nazionale;
   risulta dunque un tema controverso e producente ampio contenzioso amministrativo se un comune possa procedere direttamente alla gestione dei rifiuti, attraverso forme di gestione in autonomia peraltro previste dalla legge, per una prima parte del servizio rifiuti corrispondente alla «raccolta» e affidare tramite gare le successive operazioni connesse al trasporto e allo smaltimento senza contravvenire alla legge –:
   se il Ministro interrogato intenda considerare l'opportunità di assumere iniziative anche di carattere normativo per favorire la possibilità da parte dei comuni di autogestire i servizi pubblici locali connessi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, o assimilati, stante il dimostrato risparmio derivato da tali modalità di gestione, chiarendo, altresì, se del caso attraverso iniziative volte alla interpretazione delle norme, con particolare riferimento agli articoli 133 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006, che è consentito all'ente locale di avvalersi di un terzo per la fase successiva alla raccolta dei rifiuti, mantenendo però in capo al comune la titolarità del servizio. (5-08155)


   CARRESCIA, BORGHI, BERGONZI, STELLA BIANCHI, BRAGA, BRATTI, COMINELLI, COVELLO, DE MENECH, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MASSA, MAZZOLI, MORASSUT, REALACCI, GIOVANNA SANNA, VALIANTE e ZARDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il controllo della qualità degli scarichi è senza dubbio un tema centrale della politica ambientale del nostro Paese anche in considerazione degli obiettivi comunitari sulla qualità delle acque. È necessario, quindi, garantire una corretta ed efficiente gestione degli impianti di depurazione per rispettare i limiti di emissione degli scarichi, il mantenimento delle condizioni di sicurezza igienico-sanitaria e l'attuazione di eventuali interventi correttivi in modo rapido ed efficace;
   è fondamentale che chi effettua la manutenzione preventiva, ordinaria e straordinaria di un impianto di depurazione sia dotato di tutti gli strumenti tecnici e delle apparecchiature necessarie e di un sistema di gestione ambientale adeguato;
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) è ente pubblico di ricerca, dotato di autonomia tecnica, scientifica, organizzativa, finanziaria, gestionale, amministrativa, patrimoniale e contabile, sottoposto alla vigilanza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che se ne avvale anche per impartire direttive generali per il perseguimento dei propri compiti istituzionali;
   nella mission dell'ente è compresa la promozione di «linee guida» ed in generale, la produzione di documentazione scientifica nell'interesse della tutela dell'ambiente, anche con il concorso del sistema nazionale delle agenzie e dei controlli in materia ambientale;
   la maggior parte delle acque reflue oggi confluisce in impianti di depurazione per la cui manutenzione mancano «linee guida» che solo in alcuni territori le regioni o le agenzie ambientali hanno provveduto ad emanare e che, per altro, non sono né esaustive né hanno standard e contenuti uniformi;
   specifiche «linee guida» elaborate dall'ISPRA – con il concorso tecnico-scientifico delle agenzie ambientali – risultano di fondamentale importanza per favorire il raggiungimento degli standard di qualità delle acque previsti dalla normativa vigente, per assicurare una corretta gestione degli impianti di depurazione mediante gli opportuni sistemi di autocontrollo e di controllo dei depuratori e mediante un'adeguata formazione del personale, con standard e procedure di verifica uniformi a livello nazionale –:
   quali iniziative si ritenga opportuno assumere affinché l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) elabori specifiche «linee guida» per la manutenzione degli impianti di depurazione al fine di poter poi impartire, per quanto di competenza, direttive generali per il perseguimento dei compiti istituzionali ed in particolare di quelli finalizzati al raggiungimento degli standard di qualità delle acque previsti dalla normativa comunitaria. (5-08156)


   GRIMOLDI, BORGHESI e CAPARINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la bonifica dell'area del sito di interesse nazionale di Caffaro è ormai un'annosa vicenda di ben 262 ettari di terreni inquinati da pcb, diossine e mercurio, derivanti da circa 80 anni di attività dell'azienda;
   il territorio attende i finanziamenti del Governo che non sembrano ancora in dirittura di arrivo;
   in quattordici anni sono stati autorizzati solo 13 milioni di euro, di cui 1,7 milioni nel mese di novembre scorso; tale ultimo finanziamento ha dato una minima speranza ai cittadini bresciani preoccupati per la propria salute e in attesa ancora di vedere concreti risultati dai poteri straordinari del commissario nominato dal Ministro, si intende, per velocizzare le attività di bonifica;
   il commissario del sito di interesse nazionale, di Caffaro è attivo da giugno 2015 con poteri straordinari per coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica del sito, con un incarico di durata di 24 mesi, ma nel periodo trascorso non sembra esserci stata alcuna accelerazione probabilmente per la carenza di risorse;
   infatti, per la bonifica di altri siti inquinati del territorio nazionale sono state spese risorse molto più consistenti come per Porto Marghera, Priolo, Piotello Rodano; le risorse assegnate al sito di Caffaro sono veramente insufficienti per le attività di bonifica necessarie. Nel 2009, con la prima metà degli attuali 13 milioni si sono svolte le analisi dell'Asl, ed Ersaf sul livello di inquinamento dei terreni e si punta a bonificare le rogge, ritenuti i punti più importanti e a rischio, e a mettere in sicurezza il campo Calvesi e il parco Passo Gavia; ma per la effettiva bonifica delle aree inquinate si attendono ulteriori risorse, dell'ordine di circa 200 milioni di euro;
   in un'intervista al Corriere della sera di circa un anno fa, il Ministro annunciava lo stanziamento da parte del CIPE di 50 milioni di euro per il sito di interesse nazionale di Caffaro entro il 30 aprile 2015; ad oggi non si ha notizia di tali risorse;
   inoltre, il quotidiano riporta l'intenzione del Ministro, in collaborazione con l'avvocatura dello Stato, di portare avanti le iniziative in corso per imporre l'obbligo della riparazione dei danni ambientali ai responsabili della contaminazione, sulla base del principio «chi inquina paga»; c’è in corso anche una causa intentata dal comune di Brescia ai vecchi azionisti dell'azienda che rischia di andare in prescrizione;
   come ha riferito il Ministro nell'intervista, il gruppo Snia è proprietario del terreno dove si svolgono le attività industriali della società Caffaro proprietaria degli impianti; l'azienda si è impegnata, secondo quanto stabilito nel contratto di compravendita, a mantenere operativo l'emungimento della falda assicurando il mantenimento della barriera idraulica e la messa in sicurezza del sito; tuttavia, i costi di emungimento delle acque, per evitare che la falda tocchi il suolo inquinato, ammontano a circa un milione di euro l'anno, per i costi dell'energia richiesta; i costi sono diventati insostenibili, con il rischio della propagazione dell'inquinamento nella falda idrica e la conseguenza gravissima di un disastro ambientale;
   il governatore della regione Lombardia Roberto Maroni il 10 marzo 2014 e il 19 febbraio 2015 aveva scritto ai Ministri Guidi prima e Galletti poi, mettendo in guardia dal rischio di delocalizzazione delle attività attuali sul sito di Caffaro e chiedendo di inserire l'azienda tra quelle energivore, in modo che potesse accedere agli incentivi studiati ad hoc per queste imprese. Non risulta ancora arrivata la risposta del Ministro, mentre le ultime notizie apparse sui giornali evidenziano che i 50 milioni di euro non ci sono e che forse potrebbe essere disponibile l'esigua cifra di 1 milione di euro all'anno;
   c’è il pericolo serio della delocalizzazione di una parte delle attività industriali attive nel sito con la conseguenza di lasciare a casa circa 50 lavoratori –:
   se il Ministro intenda dare risposte certe ai cittadini bresciani sulla prosecuzione delle attività di bonifica del sito di interesse nazionale di Caffaro ed in particolare, sull'effettiva assegnazione dei 50 milioni di euro, sul potenziamento delle competenze del commissario straordinario ai fini dell'accelerazione delle attività e sulla possibilità dell'inserimento delle attività che si svolgono sul sito di Caffaro tra quelle energivore, per abbassare i costi energetici ed evitare la delocalizzazione di una parte delle attività industriali in atto nell'area. (5-08157)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 dicembre 2015 è stato siglato un protocollo d'intesa per migliorare la qualità dell'aria, incoraggiare il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni, disincentivare l'uso del messo privato, abbattere le emissioni, favorire misure intese ad aumentare l'efficienza energetica, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani;
   all'articolo 2 del medesimo protocollo, rubricato «Risorse Economiche», il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare testualmente «si impegna a contribuire fino all'importo massimo di 12 milioni di euro per gli interventi relativi agli anni 2015-2016»;
   in merito a tale contribuzione non viene precisata la modalità operativa concreta; tuttavia, al comma successivo del medesimo articolo citato, è espressamente previsto che «il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si impegna altresì a precisare in collaborazione con le Regioni ed i Comuni, le attività suscettibili di finanziamento e a qualificare i fondi di sua competenza», fra cui si richiama il «fondo per la mobilità sostenibile», previsto all'articolo 5, comma 1, della legge n. 221 del 2015 «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali» approvata il 22 dicembre 2015;
   nello specifico, si prevede l'emanazione di due decreti ministeriali per la definizione del programma sperimentale nazionale, precisando che i progetti devono essere presentati dagli enti locali mediante procedure di evidenza pubblica. Su tali schemi di decreti, sentita la Conferenza unificata, dovranno essere acquisiti i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia, che dovranno essere espressi entro trenta giorni dall'assegnazione, decorsi i quali i decreti sono comunque adottati;
   si intenderebbe per l'effetto istituito un apposito fondo, ma, nelle premesse del richiamato protocollo, si prevede solamente «il finanziamento» in via prioritaria di un «programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile» casa-scuola e casa-lavoro, con specifico riferimento a progetti predisposti da enti locali per incentivare iniziative di mobilità sostenibile, incluse iniziative di piedibus, car pooling, car sharing, bike pooling, bike sharing, la realizzazione di percorsi protetti per gli spostamenti tra casa e scuola, di riduzione del traffico e dell'inquinamento, e della sosta di autoveicoli in prossimità degli istituti scolastici e delle sedi di lavoro;
   risulta, dal bilancio finanziario del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (tabella n. 9, capitolo n. 8438), un «Fondo per la mobilità sostenibile nelle aree urbane» già nel 2013 che, tuttavia, non sembra essere stato rifinanziato;
   i finanziamenti, di cui al protocollo in esame, sembrerebbero derivanti dai proventi delle aste per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra di cui all'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo del 13 marzo 2013, n. 30, attuativo della direttiva 2009/29/CE che modifica la direttiva 2003/87/CE, ma senza ulteriori precisazione circa l'ammontare;
   è emerso, tuttavia, già nell'ambito del tavolo straordinario sullo smog tenutosi a Roma in occasione della sigla del citato protocollo, che la problematica di fondo, posta in evidenza dai presidenti di diverse regioni partecipanti (tra cui, Lombardia, Puglia, Veneto) è la mancanza delle risorse adeguate che finiscono per consentire solo misure «spot» che non affrontano i veri nodi strutturali e l'elaborazione di una strategia nazionale, in mancanza di un piano di investimenti strutturali per la mobilità e di un piano energetico che privilegi le fonti rinnovabili e le produzioni a energia pulita –:
   attraverso quali iniziative il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda assolvere gli impegni assunti con il protocollo del 30 dicembre 2015, se del caso attraverso il rifinanziamento del fondo già esistente o istituendone un altro, specificando se esso sia regolarmente e costantemente finanziato, oppure si tratti di un finanziamento una tantum senza programmazione e indicando la provenienza, l'ammontare e il residuo dello stesso;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare possa chiarire le forme di collaborazione e partecipazione dei comuni al nominato fondo per la mobilità sostenibile;
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano predisporre una strategia nazionale strutturale sulle questioni esaminate in premessa, elaborando un piano energetico programmato che privilegi le fonti rinnovabili e le produzioni a energia pulita ed un piano di investimenti strutturali per la mobilità. (5-08146)

Interrogazione a risposta scritta:


   FAUTTILLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Anzio, in provincia di Roma, in località Padiglione/Spadellata, è stata recentemente scoperta una discarica di rifiuti abbandonati, individuata tra una piccola area boscosa e un profondo fosso denominato «S. Anastasio», in cui scorre un corso d'acqua che trova il suo naturale sbocco a circa due chilometri a valle, direttamente nel mare al confine tra il lido di Lavinio e il lido dei Gigli;
   tale area boscosa appartiene alla categoria dei Sic (Siti di interesse comunitario), in cui è classificata con il codice IT6030044;
   la direttiva comunitaria n. 43 del 21 maggio 1992 (92/43/CEE), direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, è stata recepita in Italia nel 1997;
   la suddetta area interessata si estende su una superficie di circa 5 mila metri quadrati, parzialmente ricoperta di macchia boscosa, e da essa affiorano tracce evidenti di rifiuti misti: plastica, vetro, teli catramati, parti di veicoli, metalli, fibrocemento e altre sostanze pericolose;
   in una parte consistente della succitata area è presente anche un accumulo di rifiuti che raggiunge addirittura i 15-20 metri di altezza ed è coperto da un sottile strato di terra sul quale crescono piante erbacee;
   a poche decine di metri da tale «collinetta» di rifiuti sono state inoltre scoperte due piattaforme in calcestruzzo, di circa 100 metri quadrati ciascuna e sopraelevate di 80 centimetri dal livello del suolo, che sono la parte affiorante di due sarcofagi di cemento armato costruiti negli anni ’80 per contenere e sigillare centinaia di fusti contenenti rifiuti speciali farmaceutici; negli anni, tali piattaforme si sono deteriorate presentando ormai vistose crepe;
   è notizia di questi giorni che il comune di Anzio sta cercando di approvare, nonostante l'unanime parere contrario della cittadinanza, delle parti sociali interessate e della commissione «No Biogas» – istituitasi per monitorare gli effetti nocivi sull'ambiente e sulla cittadinanza che tale tipo di impianti procurerebbe – un progetto della società Green Future s.r.l. per la realizzazione, nel lotto di terreno immediatamente attiguo a tale discarica, di una centrale destinata al trattamento di rifiuti e alla produzione di gas metano che confinerebbe anche con la scuola dell'infanzia ed elementare «Istituto comprensivo Anzio 2 - plesso Sacida»;
   è stato in tempi ancora più recenti scoperto, a quanto consta all'interrogante che lo stesso comune di Anzio sta cercando di approvare, in questo specifico caso senza aver informato la cittadinanza, un secondo impianto destinato al trattamento di rifiuti e alla produzione di gas metano, quest'ultimo ad un solo chilometro di distanza dal primo (e dalla discarica);
   tali impianti, se realizzati, tratterebbero una quantità di rifiuti organici che, a regime, sarebbe di circa 15 volte maggiore rispetto a quella prodotta dal comune di Anzio;
   le conseguenze sarebbero quantificabili in danni alle persone (esalazioni, odori), alle colture (inquinamento delle falde), al turismo ed all'economia (crollo del valore degli immobili ad uso abitativo del 40-50 per cento, senza inoltre calcolare l'ingorgo stradale che si verificherebbe lungo le due arterie che collegano Roma a Nettuno – la strada statale 148 «Pontina» e la strada statale 207 «Nettunense» – già in condizioni disastrose;
   e, in ogni caso, a circa 7 chilometri in linea d'aria di distanza è già presente ed operativo un impianto turbogas, realizzato nel 2012 ad opera di Sorgenia s.p.a.;
   a circa tre chilometri di distanza, è inoltre già presente ed operativo l'impianto turbogas di Campo di Carne (Comune di Aprilia - Latina) all'interno del quale, sempre in data 10 febbraio 2016, è divampato un vasto incendio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, per quanto di competenza, promuovere una verifica del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente in ordine ai rischi per la salute e per l'ambiente riscontrabili nell'area citata in premessa e al livello di inquinamento complessivo, considerato che si tratta di un sito di interesse comunitario e che il nuovo impianto prospettato per il trattamento di rifiuti e la produzione di gas metano finirebbe per aggravare la situazione.
(4-12550)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Italia vi sono molti beni storici e architettonici che non sono fruibili da parte del pubblico;
   spesso si tratta di beni e proprietà private, che considerato il loro valore storico e culturale dovrebbero poter essere visitabili da parte dei cittadini;
   in questi giorni, ad esempio, vi è una forte mobilitazione virtuale, sui social network, e reale, attraverso associazioni, che riguarda il borgo fortificato di Ripa d'Orcia:
   si tratta di una fortezza con borgo medievale annesso, a picco sulle gole dell'omonimo fiume, nel cuore della Valdorcia, zona tra le più fotografate d'Italia, e riconosciuta dall'Unesco come patrimonio dell'umanità;
   tuttavia, trattandosi di proprietà privata appartenente alla famiglia Piccolomini, risulta essere inaccessibile, se non «per gruppi e su prenotazione», come recita un cartello affisso sulla recinzione;
   è dal 1979 che si cerca di ovviare a tale situazione e dal 1979 ad oggi i registrano anche diverse delibere del comune di Castigiion d'Orcia che obbligavano all'apertura del cancello per accedere a questa fortezza;
   in particolare, sarebbe opportuno verificare mediante ispezione se la chiusura dei cancello è limitata alle ore notturne o in base a meccanismi discrezionali non giustificati anche perché la strada di accesso sarebbe pubblica e non privata;
   la vicenda in questione non è la prima e l'unica che si registra nel Paese;
   si ritiene che i «caschi blu» per salvare l'arte debbano intervenire anche per rendere fruibile al pubblico importanti opere architettoniche e storiche;
   non si tratta di espropri o di pervasività stataliste ma di legittima richiesta di poter apprezzare patrimoni di straordinaria bellezza –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di effettuare un censimento su tutto il territorio nazionale di situazioni analoghe, di individuare una cabina di regia, attraverso le competenti soprintendenze, nonché di definire modalità e intese istituzionali finalizzate a rendere usufruibili opere di indiscusso valore e di grande richiamo turistico. (5-08138)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 prevede la regolarizzazione e la riqualificazione urbanistici ed edilizia del territorio, nonché la possibilità di ottenere il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria per le opere realizzate in modo non conforme alla disciplina vigente. Lo scopo di tale disposizione è di avviare un riassetto complessivo delle zone degradate del Paese a causa del proliferare dell'abusivismo edilizio, tenuto conto, da un lato del particolare pregio storico, architettonico, paesistico ed ambientale di determinati ambiti territoriali e, dall'altro, dell'esigenza di prevedere appositi strumenti sanzionatori e sostitutivi in caso di inerzia degli enti locali nella adozione degli strumenti urbanistici generali;
   ai sensi del citato articolo 32: «le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora (...) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici» (comma 27, lettera d));
   la legge della regione autonoma della Sardegna del 26 febbraio 2004, n. 4 «Normativa regionale in materia di abusivismo edilizio — Recepimento in Sardegna del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269» dispone che non siano suscettibili di sanatoria: «Le opere abusive che siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere dei beni ambientali e paesistici, qualora non venga acquisito il nullaosta da parte del soggetto che ha imposto il vincolo, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima dell'esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici» (articolo 2, comma 1, lettera e));
   la possibilità di prevedere e applicare l'istituto del condono edilizio anche in ambiti sottoposti a vincolo paesaggistico è stato spesso oggetto di dubbi e controversie interpretativi. Mentre, infatti, la normativa nazionale (peraltro suffragata dalla prassi giurisprudenziale) propende per una interpretazione restrittiva ed esclude la possibilità di sanatorie in ambiti sottoposti a vincoli paesaggistici, la richiamata normativa della regione autonoma della Sardegna propende per una interpretazione estensiva, prevedendo – sia pure entro certi limiti – la possibilità del condono edilizio, anche in ambiti sottoposti a vincoli paesaggistici, escludendo comunque quelli rientranti in aree e beni sottoposti a vincolo di inedificabilità;
   al riguardo, in data 9 giugno 2004 l'assessore degli enti locali, finanze e urbanistica della RAS ha, con propria circolare n. 2/U – protocollo n. 8855 chiarito tale orientamento interpretativo, riaffermando, entro certi limiti e comunque solo una volta acquisito il nullaosta da parte del soggetto che ha imposto il vincolo, la suscettibilità di prevedere il condono edilizio anche in ambiti sottoposti a vincoli paesaggistici. Tra i destinatari della predetta circolare vi era peraltro lo stesso Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo che nulla negli ultimi anni ha eccepito in merito;
   nel rispetto della citata legge regionale 26 febbraio 2004, n. 4, tutti i vertici della soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici per le province di Cagliari e Oristano succedutisi fino all'agosto 2015 hanno seguìto un comune orientamento coerente alla circolare n. 8855, procedendo autonomamente, al rilascio di numerose concessioni in sanatoria, senza che le stesse fossero inoltrate al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   la nuova dirigenza alla soprintendenza, insediatasi nell'agosto 2015, ha invece adottato un orientamento diametralmente opposto alla prassi consolidata nel corso dell'ultimo decennio e, nel valutare che l'autonomia legislativa della regione autonoma Sardegna non potesse esercitarsi in campo paesaggistico, ha riconosciuto quale unico riferimento la più restrittiva legislazione nazionale;
   tale orientamento sta mandando a diniego tutte le pratiche il cui procedimento amministrativo, dopo oltre dieci anni, si sta concludendo e sta rendendo nulle tutte le concessioni in sanatoria già rilasciate e, con esse, tutti gli eventuali atti transattivi immobiliari che ne sono stati oggetto. Ciò avrebbe delle rilevanti conseguente onerose sulla pubblica amministrazione a causa delle potenziali richieste di risarcimento dei danni, per via della restituzione delle oblazioni e degli oneri concessori pagati dai condonanti, nonché a causa delle sanzioni conseguenti alla mancata chiusura dei procedimenti amministrativi entro i termini previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi»;
   la soprintendenza alle belle arti e paesaggio di Cagliari e Oristano sta adottando il medesimo restrittivo orientamento interpretativo anche in relazione alla normativa regionale in materia di interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio nell'ambito del cosiddetto «piano casa Sardegna» e del piano paesaggistico regionale – PPR;
   coerentemente con il codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, e successive modificazioni e integrazioni (cosiddetti codice Urbani), il piano paesaggistico regionale riconosce le tipologie, le forme ed i molteplici caratteri del paesaggio sardo costituito dalle interazioni della naturalità, della storia e della cultura delle popolazioni locali e assicura che il territorio regionale sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi aspetti che lo costituiscono, rappresentando il quadro di riferimento e di coordinamento per gli atti di programmazione e di pianificazione regionale, provinciale e locale;
   la legge regionale 23 ottobre 2009, n. 4, recante «Disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio e per la promozione di interventi e programmi di valenza strategica per lo sviluppo», consente interventi di adeguamento e ampliamento del patrimonio edilizio esistente: «(...) anche mediante il superamento degli indici massimi di edificabilità previsti dagli strumenti urbanistici ed in deroga alle vigenti disposizioni normative regionali, l'adeguamento e l'incremento volumetrico dei fabbricati ad uso residenziale, di quelli destinati a servizi connessi alla residenza e di quelli relativi ad attività produttive, nella misura massima, per ciascuna unità immobiliare, del 20 per cento della volumetria esistente (...)» (articolo 2, comma 1);
   ai sensi della legge regionale 25 novembre 2004, n. 8, recante «Norme urgenti di provvisoria salvaguardia per la pianificazione paesaggistica e la tutela del territorio regionale» e del succitato articolo 2, comma 1, della legge regionale 4 del 2009 (e dei benefici previsti da quest'ultima), negli ultimi sei anni sono stati realizzati numerosissimi interventi di ampliamento, demolizione e ricostruzione di fabbricati ed altrettanti interventi di adeguamento ed ampliamento del patrimonio edilizio sono stati realizzati anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, dopo i necessari nulla osta da parte dell'ufficio tutela del paesaggio e della soprintendenza alle belle arti e paesaggio di Cagliari e Oristano;
   la nuova soprintendenza evidentemente ritiene, tuttavia, che il piano paesaggistico regionale discenda direttamente dal decreto legislativo 42 del 2004 e che pertanto non possa essere derogato dalle normative regionali sopra richiamate. Anche in questo caso, tale orientamento rischia di mandare a diniego tutte le pratiche istruttorie in corso soggette al benestare della pubblica amministrazione e di annullare tutti i titoli già rilasciati. Peraltro, questa interpretazione restrittiva rischia di ostacolare anche quelle pratiche che, pur avendo concluso positivamente il procedimento amministrativo con tanto di nulla osta paesaggistico, vengono attualmente presentate per altri motivi, come per esempio semplice spostamento di una finestra;
   da un punto di vista funzionale-pratico, l'attuale impostazione della nuova soprintendenza alle belle arti e paesaggio di Cagliari e Oristano non solo sta disorientando i cittadini e gli operatori del settore (architetti, geometri, ingegneri, notai, e altri), ma sta provocando gravissime ripercussioni economiche anche sulle pubbliche amministrazioni (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, regione autonoma Sardegna ed enti locali). Tra le conseguenze negative più gravi ed onerose dell'annullamento dei titoli rilasciati in passato, vi sarebbero gli ordini di demolizione e rimessa in pristino dello stato dei luoghi nei quali gli interventi erano stati già realizzati; l'annullabilità degli atti transattivi pubblici aventi ad oggetto i beni immobili beneficiari degli «illegittimi» ampliamenti volumetrici, poi ceduti o passati di proprietà a qualsiasi titolo; le richieste di risarcimento danni contro le pubbliche amministrazioni coinvolte; l'aumento esponenziale del contenzioso di tribunali civili, penali e amministrativi, delle pendenze e dei carichi giudiziari, nonché del non trascurabile impatto economico sui costi dell'amministrazione della giustizia;
   la confusione ingenerata dalla soprintendenza sta mettendo — secondo l'interrogante – i numerosi operatori del settore edilizio in condizione di non poter svolgere al meglio la propria attività e di non poter dispiegare come dovrebbero una virtuosa funzione catalizzatrice di investimenti a favore della comunità e del territorio sardi. Al contrario, il buon funzionamento di una moderna macchina amministrativa dovrebbe – come dimostra l'attività riformatrice dell'attuale Governo – rivestire un ruolo centrale per il rilancio economico del Paese, specie per quelle aree svantaggiate, anche per la condizione legata all'insularità –:
   se il Governo non ritenga che la controversa interpretazione ed applicazione della normativa nazionale e regionale di cui in premessa sostenuta dalla soprintendenza alle belle arti e paesaggio di Cagliari e Oristano si ponga in contrasto con la potestà legislativa esclusiva in materia edilizia ed urbanistica, prevista dall'articolo 3 dello Statuto speciale della regione autonoma della Sardegna;
   se il Governo non ritenga opportuno — nei limiti delle proprie competenze – assumere iniziative normative o amministrative volte a una interpretazione autentica della disciplina citata in premessa che dia agli operatori del settore certezza del diritto;
   se il Governo non ritenga opportuno, nell'ambito di quest'ultima eventuale iniziativa, garantire che l'interpretazione alla normativa suindicata in ogni caso non leda, attraverso disposizioni retroattive, i diritti acquisiti del cittadino. (4-12533)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   a seguito delle sfavorevoli risultanze degli accertamenti ispettivi di vigilanza, su proposta della Banca d'Italia, il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto n. 151 del 27 maggio 2013, ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Cassa di Risparmio di Ferrara spa (Carife) e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 70, gomma 1, lettera a) e b) e dell'articolo 98 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 (cosiddetto Testo Unico Bancario);
   la proposta di commissariamento della Banca d'Italia, indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze contiene, a parere degli interpellanti, un rilevante errore poiché in essa si indica una carenza patrimoniale, rispetto ai requisiti minimi regolamentari, di 60 milioni di euro. Il grave errore è derivato principalmente dal mancato inserimento della fiscalità differita attiva nel conteggio degli indici patrimoniali, che, se presi in considerazione, avrebbero fatto balzare il patrimonio di vigilanza ad una eccedenza patrimoniale di 27,5 milioni di euro;
   alla formulazione dell'ingiustificabile errore ha contribuito senz'altro, il fatto che il Ministero dell'economia e delle finanze, dopo aver ricevuto la proposta di commissariamento della Cassa di Risparmio di Ferrara spa avanzata dalla Banca d'Italia, non abbia svolto ad avviso degli interpellanti, alcuna attività istruttoria così come stabilito dal testo unico bancario;
   il regime di amministrazione straordinaria è stato confermato, su proposta della Banca d'Italia, dal Ministro dell'economia e delle finanze con decreto del 26 maggio 2014, che ha disposto la proroga della procedura di amministrazione straordinaria della Cassa di Risparmio di Ferrara, capogruppo dell'omonimo gruppo bancario, ai sensi dell'articolo 98, comma 3, del decreto testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, per un periodo non superiore a un anno;
   come emerso in sede di accesso agli atti richiesto dalla difesa dei ricorrenti nel procedimento del contenzioso amministrativo avverso il decreto n. 151 del 27 maggio 2013, anche in occasione della proroga del commissariamento, decorsi i primi 12 mesi, il Ministero non ha svolto alcuna istruttoria;
   il periodo di commissariamento, iniziato il 30 maggio 2013, si è protratto per oltre due anni e mezzo e in tale periodo la situazione di Carife è chiaramente peggiorata tanto che i commissari, in stretto coordinamento con Banca d'Italia, hanno effettuato la dismissione di banche controllate e di filiali, riducendo il perimetro di Carife al territorio originario. Nello stesso periodo i sindacati aziendali hanno aderito ad un importante accordo sui prepensionamenti, con oneri economici a carico dei dipendenti rimasti in servizio e consistenti effetti di diminuzione dell'organico e del costo del lavoro;
   nel triennio precedente al commissariamento (2010-2013) Carife si trovava in regime di «vigilanza rafforzata» a seguito di una ispezione condotta da Banca d'Italia che aveva fatto emergere problematiche sul credito ed, in particolare, una posizione debitoria su Milano (Siano) che presentava significative difficoltà;
   da quel momento sono state prospettate diverse proposte di risanamento e rilancio della Banca. La Cassa di Risparmio di Ferrara nell'aprile 2010, con la nomina del nuovo consiglio e l'approvazione del primo bilancio in passivo della propria storia, ha proseguito nell'opera di risanamento sotto l'assiduo controllo della Banca d'Italia, che aveva disposto per Carife la vigilanza rafforza;
   ogni tre mesi la Banca aveva il compito di fornire alla vigilanza di Roma una relazione dettagliata sui crediti nonché uno specifico riferimento dedicato alla più significativa esposizione deteriorata (cosiddetta posizione Siano). Tale relazione era altresì corredata dalla valutazione del risk manager e dalle osservazioni del collegio sindacale;
   tutto ciò risulta agli interpellanti molto anomalo se viene considerato che Banca d'Italia solo con l'ispezione del 2012/2013 ha improvvisamente imposto svalutazioni molto significative, quando da molto tempo era, come esposto precedentemente, ampiamente aggiornata sullo stato dei crediti e sulle rispettive percentuali di copertura;
   nella proposta di commissariamento, disposta nel maggio 2013, la Banca d'Italia non ha preso minimamente in considerazione il fatto che il principale territorio di operatività di Carife, nella primavera del 2012, è stato interessato da eventi sismici di particolare gravità che hanno procurato danni ingenti a molti clienti, alle loro strutture produttive ed alcune filiali della Cassa;
   i commissari in due anni e mezzo di gestione della Banca non hanno individuato percorsi idonei per far uscire Carife dall'amministrazione straordinaria, né sotto il profilo di una rafforzata compagine societaria, né per completare la riduzione del perimetro del Gruppo;
   a seguito del periodo di gestione commissariale, l'unica prospettiva per il salvataggio dell'istituto bancario sembrava essere quello di un intervento da parte del fondo interbancario di tutela dei depositi con la sottoscrizione di un aumento di capitale di 300 milioni di euro;
   in data 30 luglio 2015 l'assemblea straordinaria di Carife ha approvato l'aumento di capitale sopra citato accantonando la proposta avanzata dalla Fondazione Carife, socio di maggioranza, che aveva segnalato alla Banca d'Italia ed al Ministero dell'economia e delle finanze la concreta disponibilità di un fondo di investimento ad intervenire per una significativa parte dell'aumento di capitale;
   a fronte dell'intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi, il patrimonio che Carife registrava nel 2012, pari a 350 milioni di euro, è stato ridotto a poco più di 11 milioni di euro e con esso anche il valore delle azioni stesse;
   a destare notevoli perplessità, ad avviso degli interroganti, è la posizione di Bankitalia che in questa vicenda è sempre stata consapevole degli ostacoli provenienti dalla Commissione europea per l'utilizzo del fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt) per i salvataggi degli istituti di crisi. Nonostante ciò fino a novembre 2015 il ricorso al fondo interbancario è stata l'unica strada percorsa per la risoluzione di Banca Marche, Carife, Banca Etruria e Cari-Chieti;
   una serie di documenti pubblicati nei giorni scorsi hanno dimostrato come il Ministro dell'economia e delle finanze era a conoscenza, fin dall'autunno 2014, dell'opposizione dell'Unione europea all'intervento nel capitale delle banche in difficoltà e abbia, dunque, tenuto all'oscuro della contrarietà della Commissione europea gli altri soggetti coinvolti, innanzitutto il fondo interbancario;
   in ben tre occasioni, a partire dal 2014, la Commissione europea ha intimato al Ministro di desistere dall'utilizzo del fondo interbancario, ma, nonostante ciò il 28 luglio 2015 il Ministero ha autorizzato la Fondazione Carife, allora prima azionista della banca, a votare favorevolmente all'ingresso del Fondo;
   emerge con nitidezza, secondo gli interpellanti, una forte responsabilità di Bankitalia, soggetto che avrebbe dovuto vigilare e nel caso Carife risanare, per il tramite dei commissari, i conti, ma che non ha evidentemente svolto il proprio ruolo con le conseguenze che si sono successivamente sviluppate. In sostanza, e quindi anche a Carife, si è fatto credere, a giudizio degli interpellanti, che si poteva usare il fondo interbancario, mettendo in condizione anche i commissari di perseguire una strada di risanamento che, soprattutto la stessa Bankitalia sapeva bene essere impraticabile;
   quanto esposto dimostra, secondo gli interpellanti, l'inaffidabilità e l'incapacità del Governo che in questa vicenda ha lasciato senza alcuna tutela la sorte non solo di Carife e di altre tre banche, ma anche il destino di migliaia di risparmiatori e azionisti –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire, per quanto di competenza, i fatti esposti in premessa in merito alla procedura di amministrazione straordinaria e alla gestione commissariale di Carife alla luce delle numerose anomalie riportate;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei motivi per cui non sia stata presa in debita considerazione la proposta avanzata dalla Fondazione Carife sulla disponibilità di un Fondo di investimento ad intervenire nell'aumento di capitale, considerate le informazioni che, ottimisticamente, erano state fornite sulle prospettive dell'operazione stessa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di tutelare risparmiatori e azionisti di Carife, e, più in generale, di provvedere al pieno ristoro di coloro che hanno investito in modo inconsapevole i propri risparmi in strumenti finanziari subordinati emessi dalle banche poste in risoluzione alla fine di novembre 2015.
(2-01316) «Palmizio, Brunetta, Laffranco, Giacomoni, Archi, Romele, Luigi Cesaro, Sarro, Occhiuto, Sandra Savino, Vito, Vella, Castiello, Palmieri, Riccardo Gallo, Gullo, Catanoso, Alberto Giorgetti, Polverini, Carfagna, Russo, De Girolamo, Longo, Nizzi, Lainati, Milanato, Valentini, Gelmini, Bergamini, Prestigiacomo, Fabrizio Di Stefano, Elvira Savino».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati ISTAT nel 2014 240.000 famiglie hanno avuto difficoltà a onorare le rate dei mutui contratti, 321.000, invece, pur di pagare il mutuo hanno sospeso i pagamenti relativi alle utenze e agli oneri condominiali; sono stati 52.606 i pignoramenti di immobili in 35 tribunali italiani (il 12 per cento in più rispetto all'anno precedente);
   le stime della Banca d'Italia quantificano in circa 20 miliardi di euro le sofferenze delle banche per insolvenza dei loro clienti, pur in presenza di garanzie reali;
   le procedure fallimentari nel nostro Paese durano circa 6 anni e sono le più lunghe d'Europa;
   negli anni della crisi (dal 2006 al 2014) i pignoramenti sono triplicati e ben 110 mila famiglie hanno perso la casa;
   una maggior tutela dei cittadini in difficoltà per la perdita del lavoro, che la crisi ha determinato, aveva consigliato di introdurre norme per garantire l'impignorabilità della prima casa;
   dal 2013 è attivo, in base ad un accordo tra ABI e associazioni di consumatori, un fondo di solidarietà «prima casa», che si esaurirà nel 2017, a cui hanno già fatto ricorso 26.600 famiglie per circa 2,5 miliardi di euro di debito residuo, sospendendo per 18 mesi i pagamenti delle rate dei loro mutui;
   la recente proposta di modifica dello status quo attraverso un decreto legislativo che recepisce la direttiva europea 17/2014 ha creato non poco scompiglio fra forze politiche e cittadini;
   l'introduzione della clausola che consente alle banche dopo sette rate di mutuo non pagate e senza passare per le aste giudiziarie di acquisire il bene ha aperto un acceso dibattito;
   il termine, allungato successivamente a 18 rate, a seguito di un accordo fra le forze politiche, rischia, comunque, di essere percepito più come un favore agli istituti di credito che come un provvedimento di interesse generale;
   la direttiva europea 17/2014, al paragrafo 4 dell'articolo 28, non contiene nessun riferimento alla vendita diretta della casa espropriate;
   la norma introdurrebbe un doppio binario fra:
    a) vecchi mutui, secondo cui chi subisce la vendita all'asta del suo immobile, se dovesse ricavare una cifra non sufficiente all'estinzione del suo debito, rimarrebbe ancora debitore con la banca per la differenza;
    b) nuovi morosi che con la vendita da parte della banca dell'immobile sanerebbero la propria posizione debitoria anche con un ricavato inferiore all'ammontare del debito; in caso di ricavo maggiore del debito, l'eccedenza andrebbe al debitore;
   se non ritenga che una siffatta situazione determinerebbe una valanga di ricorsi da parte di cittadini che, pur di far valere le proprie ragioni, sostenute dalle associazioni di consumatori, non esiterebbero ad adire le vie legali. (5-08147)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, cosiddetta spending review, che ha previsto la riorganizzazione dei servizi degli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze e delle agenzie fiscali, ha predisposto un piano di soppressione degli uffici dell'Agenzia delle entrate presenti nel territorio nazionale;
   è proprio nell'ambito di tale riassetto organizzativo che l'Agenzia delle entrate avrebbe preso in esame il ridimensionamento dell'ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate di Sassuolo. Risale infatti al novembre 2015 l'annuncio che l'ufficio dell'Agenzia delle entrate di Sassuolo verrà notevolmente ridimensionato e molti lavoratori verranno spostati da Sassuolo per essere destinati presso gli uffici di via delle Costellazioni a Modena;
   una inversione di tendenza rispetto a quanto attuato negli anni scorsi ove si riteneva indispensabile la presenza di particolari uffici amministrativi in zone strategiche per assicurare pari dignità ai cittadini. L'ufficio delle entrate di Sassuolo risponde giornalmente alle richieste di circa 100 contribuenti e per questo la scelta dell'amministrazione centrale non è stata vista con favore proprio dagli utenti, ma soprattutto viene soppresso un importante presidio di legalità e lotta all'evasione fiscale;
   come noto Sassuolo ed il suo distretto fiscale (Fiorano Modenese, Maranello e quattro comuni montani) sono al centro di un importante comprensorio ceramico, nel quale viene prodotto il 70 per cento della produzione di piastrelle italiane, esportate per l'80 per cento nel mondo. Il fatturato totale delle aziende ceramiche italiane viaggia nell'ordine di 4,550 miliardi dei quale 3,660 miliardi esportato. In aggiunta, nel distretto fiscale, c’è Maranello che non ha bisogno di presentazione. Ebbene, per intervento delle organizzazioni sindacali, si è saputo che la sede dell'Agenzia delle entrate di Sassuolo è destinata alla chiusura o quanto meno alla declassazione a mero « front e back office». In merito, comunque, la sede centrale dell'Agenzia delle entrate non ha dato ulteriori comunicazioni;
   così, la città di Sassuolo sta vedendo sparire gradualmente numerosi servizi: dagli uffici giudiziari alla camera di commercio, a cui si aggiunge il forte ridimensionamento degli uffici dell'Inps;
   la notizia dell'eventuale soppressione dell'ufficio in questione sta suscitando profonda preoccupazione tra i cittadini e le amministrazioni comunali dell'area territoriale interessata consapevoli sia dell'importanza del servizio reso da tale ufficio sia dei disagi e difficoltà nell'accesso al servizio che deriverebbero dall'accorpamento dell'ufficio in questione con gli uffici del capoluogo, già fortemente oberati;
   allo stato poco o nulla è dato conoscere in ordine ai piani futuri dell'Agenzia circa le sorti all'ufficio territoriale in questione;
   sono chiari ed evidenti i riflessi negativi che la soppressione di tale importante presidio avrebbe sui cittadini e sulle amministrazioni comunali coinvolte dal momento che l'ufficio territoriale di Sassuolo svolge un ruolo importante, in un territorio che, nonostante la crisi degli ultimi anni, è pur sempre vivace dal punto di vista produttivo ed economico rispetto ad altre zone del Paese; quindi, lo Stato dovrebbe avere interesse a mantenere un presidio che favorisca comportamenti fiscali corretti, che faciliti l'instaurazione di un rapporto diretto fra l'amministrazione ed i cittadini e che consenta controlli più capillari nel territorio per contrastare fenomeni evasivi ed elusivi –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative presso l'Agenzia delle entrate per verificare la situazione e i progetti che riguardano l'ufficio di Sassuolo, evitando, ove prevista, la chiusura di tale importante presidio che, per le ragioni sopra evidenziate, avrebbe solo ricadute negative sui cittadini e sulle amministrazioni comunali coinvolte senza apportare alcune beneficio né all'Agenzia in termini di organizzazione ed efficienza, né tanto meno alle casse dello Stato, in termini di risparmio.
(4-12529)


   RICCIATTI, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, COSTANTINO, NICCHI, PANNARALE e FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle Marche la Guardia di finanza ha scoperto nel corso dell'anno 2015 395 evasori totali e rilevato 102 casi di frodi dell'iva, oltre a 12 reati connessi alla fiscalità internazionale;
   l'attività del Corpo ha portato, nel corso dell'anno, alla denuncia all'autorità giudiziaria di 518 soggetti, a fronte di 978 indagini di polizia giudiziaria, 718 verifiche e 1.132 controlli fiscali nel settore delle imposte dirette e dell'iva. Sono stati accertati 620, inoltre, reati tributari con relativi sequestri cautelari patrimoniali (anche per equivalente), per un valore circa di 30 milioni di euro;
   sul fronte del contrasto al lavoro nero sono state rilevate 897 assunzioni irregolari, mentre sul fronte degli appalti pubblici sono state riscontrate irregolarità per 5 milioni di euro; ammonta a 4,6 milioni di euro l'accertamento di contributi (nazionali e comunitari) indebitamente percepiti;
   infine, sono stati accertati danni erariali pari a circa 25 milioni di euro sul fronte del controllo alla spesa pubblica, con relative segnalazioni alla Corte dei conti (Ansa, 15 marzo 2016) –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per rafforzare e rendere più efficiente il prezioso lavoro effettuato dalla Guardia di finanza nelle varie funzioni di istituto;
   se non ritenga opportuno, considerata la funzione della Guardia di finanza e la sua attività di accertamento di risorse sottratte al patrimonio collettivo, intraprendere iniziative affinché vi sia un ampliamento delle piante organiche del Corpo, al fine di consentire un contrasto alle attività elusive più incisivo. (4-12539)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PATRIZIA MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riferito da fonte sindacale, sarebbe in corso di perfezionamento il decreto ministeriale 2 marzo 2016 concernente l'individuazione, presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria degli uffici di livello dirigenziale non generale, la definizione dei relativi compiti e l'organizzazione delle articolazioni dirigenziali territoriali; ai sensi dell'articolo 16, commi 1 e 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, nonché l'individuazione dei posti di funzione da conferire nell'ambito degli uffici centrali periferici dell'amministrazione penitenziaria, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63;
   tale decreto ministeriale disporrebbe una riorganizzazione delle Scuole di formazione e aggiornamento del personale penitenziario, istituendo le sedi di San Pietro Clarenza, Cairo Montenotte, Portici e Roma quali articolazioni territoriali della direzione generale della formazione, il cui funzionamento e coordinamento sarebbe affidato ad un'unità dirigenziale non generale;
   le Scuole di formazione e aggiornamento di Verbania, Parma e Sulmona verrebbero invece costituite articolazioni territoriali non dirigenziali della sopracitata direzione;
   una riorganizzazione siffatta delle scuole di formazione e aggiornamento del personale, diversa rispetto a quella ipotizzata nelle prime bozze circolate nelle scorse settimane, nelle more dell'adozione di un successivo provvedimento istituirebbe una differenziazione tra gli organismi di direzione delle scuole;
   apparentemente incomprensibile pare essere il provvedimento nei confronti della scuola di formazione con sede a Parma la quale in un primo momento avrebbe dovuto accorpare a sé le sedi di Verbania e Cairo Montenotte e che invece, nel provvedimento in corso di perfezionamento, risulterebbe addirittura declassata –:
   se il Ministro interrogato, nelle more dell'adozione in via definitiva del decreto sopracitato, non ritenga di riconsiderare l'assetto delle articolazioni territoriali della direzione generale della formazione ed in particolare delle scuole di formazione e aggiornamento del personale dell'amministrazione penitenziaria con sede a Parma, considerando di annoverare anche questa tra le sedi il cui funzionamento e coordinamento sarà affidato a personale di livello dirigenziale. (5-08141)

Interrogazione a risposta scritta:


   LACQUANITI, ZAN e ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 febbraio 2016 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 8 del 2016, con il quale sono depenalizzati e trasformati in illeciti amministrativi una serie di reati considerati di minor allarme sociale, tra cui tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda previsti al di fuori del codice penale ed una serie di reati presenti invece nel codice penale, con esclusione dei reati previsti dalla normativa sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ambiente territorio e paesaggio, sicurezza pubblica, giochi d'azzardo e scommesse, armi, elezioni e finanziamento ai partiti;
   la depenalizzazione persegue gli obiettivi di deflazionare il sistema penale: data la scarsa offensività degli illeciti, si ritiene che l'applicazione di una sanzione amministrativa in tempi rapidi e certi avrà un effetto dissuasivo maggiore rispetto alla minaccia di un processo penale destinato spesso a cadere nel nulla;
   tra le fattispecie depenalizzate previste nel codice penale è compresa quella degli atti contrari alla pubblica decenza (articolo 726 c.p.);
   per diversi anni l'articolo 726 del codice penale è stato utilizzato per sanzionare la pratica del naturismo, ma la sentenza della Corte di Cassazione n. 3557 del 2000 afferma che il naturismo non sia assolutamente da considerare indecente, se praticato in luoghi adatti. Così il testo: «È evidente che non può considerarsi indecente, ad esempio, la nudità integrale di un modello o di un artista in un'opera teatrale o cinematografica, ovvero in un contesto scientifico o didattico, o anche di un naturista in una spiaggia riservata ai nudisti o da essi solitamente frequentata, mentre invece suscita certamente disagio, fastidio, riprovazione chi fa mostra di sé, ivi compresi gli organi genitali, in un tram, in strada, in un locale pubblico, o anche in una spiaggia frequentata da persone normalmente abbigliate»;
   la depenalizzazione degli atti contrari alla pubblica decenza con trasformazione in illecito amministrativo, apparentemente un passo avanti per il naturismo, rischia in realtà di trasformarsi in un boomerang con maggiori pregiudizi in capo ai naturisti;
   prima infatti gli atti contrari alla pubblica decenza erano un reato contravvenzionale, punito con ammenda. Questo significa che, ricevuta la notizia di reato, il pubblico ministero spesso, se il fatto avveniva in una zona pacificamente dedita a naturismo, pur non regolamentato, richiedeva al giudice l'archiviazione;
   ora, con la trasformazione in illecito amministrativo, che scatta automaticamente, oltre ad aver considerevolmente alzato la sanzione pecuniaria e reso più difficile per chi è colpito dalla sanzione opporvisi, l'ente che irroga la sanzione è il comune, con tutto l'interesse, per «fare cassa», a non archiviare la posizione, tramutando in questo modo la depenalizzazione in una beffa;
   il naturismo è un movimento nato in opposizione al degrado della vita urbana, che persegue pratiche di vita all'aria aperta e, nel rispetto della persona, della natura e dell'ambiente circostante, utilizza il nudismo come forma di sviluppo della salute fisica e mentale, in armonia con la natura;
   il numero di naturisti in Europa è attestato intorno ai 20 milioni di praticanti. In Italia, Paese nel quale non esiste una legge che regolamenti il nudismo, i naturisti si stimano siano circa 500.000;
   diverse sono in questi anni le regioni che hanno approvato una legge in materia: Emilia Romagna, Abruzzo, Veneto; nel 2015 la regione Lombardia ha riconosciuto nella legge regionale sul turismo la pratica del naturismo;
   nei Paesi europei il naturismo ricopre un importante settore del turismo estivo; nella sola Francia viene valutato circa un 20 per cento del turismo estivo. Spagna, Croazia, Grecia e Portogallo e poi i paesi del Centro e Nord Europa come l'Austria, la Svizzera, la Germania, il Belgio, l'Olanda, l'Ungheria, la Danimarca, la Gran Bretagna, sono tutte nazioni nelle quali il naturismo è ben presente;
   per quanto riguarda i dati economici si possono solo fare delle ipotesi: se si calcola che almeno due milioni di naturisti potrebbero ogni anno venire in Italia a trascorrere le loro vacanze, se vi fosse una legge che non li sanzionasse, il giro d'affari potrebbe essere di almeno 1 miliardo di euro l'anno;
   si consideri quindi, oltre allo spreco di risorse volte a reprimere il fenomeno del naturismo, il numero elevato di famiglie con bambini che, intendendo praticare il naturismo, si rivolgono ad altri Paesi europei come mete turistiche, sottraendo importanti entrate economiche al nostro Paese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti, e se non ritenga che, a seguito dell'applicazione del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 recante Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67, con la depenalizzazione del reato di cui all'articolo 726 del codice penale, e con la sua conseguente trasformazione in illecito amministrativo, si rischi di ottenere il risultato, paradossale, di smentire nei fatti quello che è un orientamento maggioritario della giurisprudenza, sostanzialmente favorevole alla cultura naturista, che ha portato ad una depenalizzazione dei reati di cui all'articolo 726 c.p., ritornando a sanzionare in maniera economicamente più pesante pratiche oggi di fatto diffuse; considerato che si tratta di pratiche che vanno a parere degli interroganti, addirittura sostenute anche in ragione del considerevole indotto economico che queste apportano al settore turistico, quali iniziative rientranti nelle sue competenze intenda adottare al fine di chiarire le modalità di applicazione e l'entità delle sanzioni economiche riferite agli atti contrari alla pubblica decenza, onde evitare di colpire indebitamente chi pratica in modo lecito il naturismo. (4-12552)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'attività professionale svolta dalla categoria dei macchinisti, soprattutto delle ferrovie, risulta essere notevolmente stressante e logorante, in ragione dell'orario giornaliero di lavoro che arriva anche a 10 ore lavorative, senza considerare lo straordinario, e spesso è anche svolto nelle ore notturne, in ambiente angusto, con vibrazioni verticali ed oscillazioni orizzontali, soggetto a rumori, campi elettromagnetici, esposizione ad amianto, sovente senza refezione e senza possibilità di espletare bisogni fisiologici;
   l'ordinamento nazionale detta disposizioni riguardanti attività lavorative che si connotano in senso usurante corrispondendovi una disciplina peculiare. In questo senso, il decreto legislativo del 21 aprile 2011, n. 67, disciplina la domanda intesa ad ottenere il riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti e relativa documentazione;
   nel messaggio dell'Inps n. 16762 del 25 agosto 2011, che fornisce alcune indicazioni sull'attuazione e applicazione del decreto citato, si indicano, fra i lavoratori interessati dalle misure legislative richiamate, i «conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto»; tuttavia, poco oltre, si precisa che per veicoli si intendono «tutte le macchine, di qualsiasi specie, che, guidate dall'uomo, circolano sulle strade», senza chiarire se la ferrovia, quale strada ferrata, sia ricompresa nel campo applicativo della norma;
   anche la legge del 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», legge di stabilità 2016, non chiarisce se le misure di favore di cui al comma 277 siano applicabili anche in favore della specifica categoria dei macchinisti;
   allo stesso modo, la costituzione di fondi di solidarietà per il sostegno del reddito prevista dall'articolo 3 della legge n. 92 del 28 giugno 2012, come modificata dal decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 – che consente di assicurare adeguate forme di sostegno al reddito ai lavoratori di imprese operanti in settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale, tra le quali l'erogazione di assegni straordinari di accompagnamento alla pensione al fine di agevolare l'esodo dei lavoratori in caso di crisi, ristrutturazione o riorganizzazione aziendale – non chiarisce se anche la categoria dei macchinisti possa accedere a dette misure di agevolazione;
   il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, cosiddetta legge Fornero, all'articolo 24, comma 18, secondo periodo, sostituendo le parole «al presente comma» con le parole «al presente articolo», ha innalzato l'età pensionabile di 9 anni, dai 58 ai 67, per i macchinisti delle ferrovie;
   con riferimento a questa peculiare categoria di lavoratori sussiste una grave problematica di sicurezza legata alla possibilità che possa prestare servizio anche un macchinista unico, che implica un aumento dei rischi legati alla sicurezza dei dipendenti e coinvolge la tutela delle condizioni di lavoro –:
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda assumere le iniziative di competenza per chiarire l'ambito di applicazione delle normative richiamate in premessa, specificando il regime per la categoria dei macchinisti delle ferrovie;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda promuovere iniziative, anche normative, al fine di escludere che la disciplina di cui al decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, cosiddetta legge Fornero, articolo 24, comma 18, secondo periodo, comporti un innalzamento dell'età pensionabile di 9 anni, per i macchinisti delle ferrovie, trattandosi di una categoria che svolge un'attività lavorativa particolarmente faticosa e pesante;
   se Ministro delle infrastrutture e dei trasporti possa fornire chiarimenti in merito alla questione della legittimità dell'operatività del macchinista unico e sui rischi per la sicurezza dei trasporti e dei lavoratori impiegati nelle relative attività. (5-08128)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei primi mesi dell'anno 2014 in un incontro con le organizzazioni sindacali regionali per la Puglia, furono comunicati dal responsabile flotta Freccia Bianca di Trenitalia, i programmi per l'organizzazione degli impianti manutentivi che prevedevano un forte incremento per l'impianto di Lecce;
   in tal senso, in data 11 febbraio 2014 vi è stata la separazione dell'impianto di Lecce dall'impianto manutenzione carrozze (IMC) di Bari, facendo così nascere il nuovo IMC Lecce che entro l'anno 2017 sarebbe diventato un impianto di manutenzione a ciclo completo dei convogli ferroviari Freccia Bianca, accogliendo centinaia di carrozze ovvero treni Freccia bianca e che avrebbe creato di conseguenza nel Salento importanti incrementi anche in ambito occupazione;
   Lecce risulta il terminale dell'adriatico-meridionale delle corse dei treni Freccia Bianca che ogni giorno giungono e partono per il Centro e Nord Italia, motivazione per la quale avrebbe senso la realizzazione dell'IMC di Lecce-Surbo che potrebbe assorbire col tempo la manutenzione di tutti i treni Freccia Bianca della dorsale adriatica;
   tuttavia, sembrerebbe che Trenitalia abbia rinunciato a questo importante investimento nei confronti del potenziamento dello scalo ferroviario Lecce-Surbo che sarà lasciato senza alcun treno ovvero carrozza Freccia bianca, e sarà assegnato solo alla manutenzione leggera residuale di quanto non verrà effettuato dall'IMC di Venezia;
   tale situazione potrebbe determinare, in questo periodo di risparmio economico, la definitiva chiusura dell'IMC di Lecce-Surbo causando di conseguenza anche la perdita dei lavoratori attualmente impiegati. In tal senso, l'interrogante ha già depositato in data 13 aprile 2015 l'interrogazione a risposta scritta n. 4-08763 a cui ancora non è giunta risposta dal parte del Ministro interrogato –:
   quale sia lo stato della programmazione degli IMC in Italia adibiti a servizio dei Freccia bianca;
   se sia previsto che Trenitalia garantisca gli investimenti presso lo scalo ferroviario di Lecce-Surbo e, in caso negativo, quali siano le ragioni di tali scelte e le iniziative di competenza del Ministro al fine di incrementare le potenzialità dell'IMC del suddetto scalo. (5-08129)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da fonti di stampa dell'esistenza di un piano del Governo per la cessione di quote considerevoli degli scali di Torino, Napoli e Bergamo;
   l'operazione rientrerebbe nel più ampio progetto di fusione di attività fra la Corporacion America Italia e F2i aeroporti – che detiene importanti quote delle infrastrutture aeree italiane, quali ad esempio Napoli, Torino, Bologna, Milano, Bergamo – sulla base di un dossier all'esame dello stesso Governo per la cessione di quote di numerosi scali aeroportuali mediante investimenti esteri. Nello specifico, dalle notizie di stampa, emerge che si tratterebbe dell'ingresso della Corporacion America Italia nella compagine azionaria della F2i aeroporti mediante conferimento di attività, sottoscrizione di aumento di capitale riservato, acquisto di un pacchetto azionario;
   la Corporacion America è una holding argentina con interessi in relazione alle infrastrutture aeroportuali, che in Italia è presente in tre aeroporti, in prima linea impegnata per la costruzione del nuovo terminal e della nuova pista dell'aeroporto di Firenze e già coinvolta nella gestione della Toscana aeroporti e dello scalo di Trapani;
   nello specifico, come già evidenziato nell'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07152 presentata il 2 dicembre 2015, seduta n. 539, cui non si è ricevuta risposta, la Corporacion America, quale holding che ha lanciato due offerte pubbliche di acquisto totalitarie sugli scali di Pisa e Firenze, poi riuniti, ha anche finanziato la Fondazione Open del Presidente del Consiglio Matteo Renzi per la somma di 25 mila euro, come reso noto da l'articolo de ilFattoQuotidiano.it del 22 luglio 2015 intitolato «Lobby del tabacco e holding degli aeroporti: ecco chi guadagna finanziando la fondazione di Renzi» a firma di Carlo Di Foggia e Davide Vecchi;
   sempre con riferimento alla Toscana aeroporti s.p.a., presieduta da Marco Carrai, consigliere del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in cui sono confluite le quote degli aeroporti di Firenze e di Pisa, risulta oggi essa stessa controllata al 51 per cento dalla Corporacion America –:
   se il Ministro interrogato possa fornire elementi in merito alla sussistenza di un piano del Governo per la cessione di quote di scali aeroportuali, provvedendo ad identificare gli stessi, a quantificare le cifre dell'operazione e, ad indicare gli investitori esteri e la misura delle quote;
   se il Ministro interrogato intenda chiarire le finalità di tale piano mediante il quale si realizza, ad avviso dell'interrogante, un'operazione di privatizzazione, ad avviso dell'interrogante, in spregio delle regole sul conflitto di interessi in ragione dei soggetti investitori coinvolti, nonché delle regole di trasparenza e di concorrenza, anche per la creazione di bacini di utenza controllati e come intenda garantire che tale operazione si conformi ai principi di trasparenza, concorrenza e assenza di conflitti di interessi;
   quali iniziative, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di garantire la sicurezza degli scali aeroportuali a fronte del piano di cessione delle quote degli stessi. (5-08158)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 25 giugno 2015 è stata annunciata un'intesa tra la regione siciliana e Trenitalia per rilanciare il trasporto ferroviario dell'isola e renderlo più adeguato alle esigenze dei pendolari;
   l'intesa firmata doveva rappresentare un primo passo concreto per dotare la Regione siciliana di un efficiente trasporto ferroviario;
   tale intesa è fino a oggi rimasta inattuata;
   la tratta ferroviaria di collegamento della provincia di Ragusa con la restante parte dell'isola è sempre più penalizzata per la presenza di treni obsoleti, per i lunghi tempi di percorrenza, e per la scarsità di viaggiatori;
   si potrebbe, quindi, intervenire affidando il servizio di trasporto a soggetti privati per renderlo più efficiente e competitivo anche al fine di favorire il turismo e il commercio –:
   quali siano i motivi della mancata attuazione dell'intesa di cui in premessa che è stata annunciata e non è stata ancora attuata;
   quali investimenti siano previsti dal nuovo piano industriale di Ferrovie dello Stato italiane, che sarà presentato in estate, per il collegamento della provincia di Ragusa con le vicine Siracusa, Catania e Caltanissetta –:
   quali iniziative per quanto di competenza, intenda adottare al fine di migliorare il trasporto ferroviario della regione siciliana, per un maggiore sviluppo turistico e commerciale e per eliminare quegli sprechi oggi esistenti nella gestione del servizio ferroviario dell'isola, anche attraverso l'affidamento del servizio a soggetti privati. (4-12531)


   OLIARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dalle stazioni di Mestre e Padova partono i collegamenti ferroviari con le principali città italiane, quali Roma, Milano, Napoli, Firenze, Bologna, Bari;
   l'orario ferroviario regionale, entrato in vigore il 14 dicembre 2015, ha comportato la soppressione delle corse dirette tra Belluno e Padova imponendo la rottura di carico e quindi il cambio obbligatorio a Montebelluna (Treviso), fatto salvo per due sole corse giornaliere poste in orari di scarsa utilità per studenti e lavoratori pendolari;
   il siffatto orario e il disagio conseguente alla rottura di carico a Montebelluna penalizzano un'ampia area che ricomprende buona parte della Pedemontana trevigiana e del Quartier del Piave oltre a parte della provincia di Belluno, prima normalmente serviti dalla tratta. Queste aree hanno una riconosciuta valenza turistica, importante fattore economico e sociale, per la quale un collegamento su rotaia efficiente risulta essere un requisito essenziale;
   statisticamente si stima che dal punto di vista turistico ed economico inserire un'ulteriore rottura di carico in un viaggio di medio-lungo raggio dissuada fortemente l'uso del treno come mezzo per raggiungere la meta prescelta ed è di solito considerato un pesante onere e fonte di timori sul buon fine del viaggio che incidono fortemente sulla scelta del mezzo da usare;
   vi è un fortissimo interesse per il mantenimento del collegamento diretto sulla tratta Padova-Belluno, interesse già espresso da molti amministratori e cittadini che hanno già manifestato con forza e pubblicamente il proprio dissenso alle azioni intraprese da Trenitalia;
   questa modifica dell'orario, motivata da Trenitalia in relazione alla vetustità dei mezzi locomotori disponibili non più in grado di percorrere l'intera linea, soprattutto nel tratto di pendenza tra Cornuda e Belluno, va a svantaggio di chiunque necessiti di utilizzare il treno, in particolare studenti e lavoratori pendolari che possono vedersi costretti ad utilizzare mezzi di trasporto privato percorrendo strade già intensamente trafficate, con aggravio peraltro delle emissioni in atmosfera di gas di scarico;
   a nord di Montebelluna si devono percorrere almeno una decina di chilometri prima di effettuare il cambio di treno fino a Padova, subendo un allungamento dei tempi di percorrenza e un dannoso stress;
   in altre realtà il potenziamento e l'elettrificazione della linea ferroviaria esistente hanno portato a benefici enormi per i pendolari e all'incremento dei flussi turistici;
   la diminuzione del traffico automobilistico deve essere considerata un obiettivo strategico per la regione Veneto e per tutto il Nord Italia, visti la concentrazione allarmante di polveri sottili che si registra e l'aumento di decessi provocati dalla scarsa qualità dell'aria; la rottura di carico a Montebelluna è invece contraria a questo obiettivo, in quanto aumenterà l'uso del mezzo privato per molti pendolari;
   il Governo ritiene il trasporto regionale su rotaia obiettivo strategico per il Paese, nonché completamento indispensabile rispetto all'alta velocità;
   la recente notizia dell'acquisto, grazie alla proroga del contratto di servizio della regione Veneto con Trenitalia di sette nuovi treni ATR220 Swing è stata accolta positivamente dal territorio interessato, perché risponde alla necessità di rinnovare rapidamente il parco macchine costituito dai vetusti treni a gasolio della linea Belluno-Padova –:
   alla luce di quanto sopra esposto, quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, affinché Trenitalia ripristini al più presto i collegamenti diretti a Padova-Belluno, non appena saranno disponibili e in servizio i nuovi treni diesel ATR220 Swing per questa tratta, quantomeno negli orari di punta;
   se non ritenga necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, per l'ammodernamento dell'intera tratta ferroviaria Padova-Belluno, contemplandone l'elettrificazione, affinché il territorio possa usufruire di un trasporto ferroviario elettrico a minor impatto ambientale.
(4-12536)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa, si apprende che il figlio del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri sarebbe stato messo sotto tutela a seguito di un episodio dai contorni ancora non del tutto chiari, ma che non è stato sottovalutato dalle forze dell'ordine;
   la decisione, secondo quanto riportato, sarebbe stata presa in sede di comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica dopo che due persone incappucciate avrebbero suonato al campanello dell'edificio in cui abita a Messina, qualificandosi al citofono come agenti di polizia, una circostanza questa che non è stata sottovalutata dagli investigatori, essendo questo il corpo che cura la scorta del magistrato;
   i due soggetti, una volta giunti al piano del figlio di Gratteri, sarebbero poi fuggiti, forse perché resisi conto che davanti alla porta d'ingresso dell'appartamento si trovava un cancello metallico chiuso;
   a seguito di questo episodio sarebbero state altresì rafforzate anche le misure a tutela dello stesso procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, da anni sotto scorta per le tante minacce ricevute nel corso della sua attività di magistrato impegnato nella lotta alla ’ndrangheta e ai traffici internazionali di droga, nonché sui particolari rapporti di tali traffici con i cosiddetti colletti bianchi;
   al momento gli investigatori non avrebbero escluso alcuna ipotesi, in attesa di capire se effettivamente l'episodio sia da considerarsi come un «avvertimento» da parte della ’ndrangheta stessa, spesso abituata ad operare con simili modalità intimidatorie, o se tale gesto non tendesse ad esiti ben più gravi di una mera finalità intimidatoria;
   se fosse confermata tale ultima ipotesi, essa getterebbe una luce inquietante su un possibile innalzamento del livello di allerta, tale da coinvolgere non più e non solo il magistrato in prima persona, ma anche la sua più ristretta cerchia familiare –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sui fatti riportati e se e quali ulteriori iniziative intenda adottare al fine di garantire l'incolumità non solo degli uomini duramente impegnati al servizio delle istituzioni dello Stato, ma anche dei loro familiari. (3-02119)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sito internet della biblioteca ebraica di Venezia è stato oggetto di un attacco hacker sembrerebbe di matrice islamica;
   per più di due ore il sito del «Centro culturale Renato Maestro» è stato oscurato nella giornata del 14 marzo 2016 da tale sigla « Tunisian Fallaga Team»;
   suddetta sigla risulta essere già nota agli investigatori dopo che nel 2015 in Francia vennero arrestati sei appartenenti per alcuni attacchi di pirateria informatica;
   la homepage della biblioteca è stata così oscurata dal « Tunisian cyber resistence» con un messaggio in lingua inglese che prende di mira alcuni Stati come la Russia, Israele, Francia e India accusati di violenze contro gli islamici;
   l'attacco al sito della biblioteca ebraica, come riportano i quotidiani locali, è giunto a pochi giorni dalle presentazione delle iniziative legate ai 500 anni della nascita del ghetto ebraico a Venezia;
   la biblioteca ebraica di Venezia si caratterizza per una significativa azione di promozione della conoscenza e della cultura della convivenza e dei dialogo con tutte le religioni e rappresenta un punto di riferimento culturale molto importante per la città e non solo;
   come affermato dai responsabili della biblioteca non si è trattato del solito innocuo dispetto informatico ma a tutti gli effetti di una minaccia violenta e mirata, dal sapore apertamente antisemita –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tale inquietante episodio e quali iniziative intenda adottare per rafforzare la vigilanza e la sicurezza anche sulla rete, al fine di prevenire azioni di intimidazione e non sottovalutare segnali estremisti della propaganda islamista che possono essere veicolati attraverso internet. (5-08137)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si registrano sempre più episodi di venditori ambulanti che in piazza San Marco a Venezia si rendono responsabili di azioni molto simili a veri e propri atti di estorsione ai danni dei turisti;
   ad esempio, se viene chiesta la cortesia di scattare una foto minacciano di non restituire il cellulare o la macchina fotografica se non pagano una sorta di «riscatto» che normalmente vale 5 euro;
   ma non è la sola circostanza in cui i turisti vengono presi di mira da ambulanti e speculatori, vale per la vendita del mangime per i piccioni e per le rose, e questo non è un bel biglietto da visita per Venezia;
   il 30 novembre il Ministro dell'interno ha presentato il piano «Venezia sicura» con l'arrivo di 105 agenti;
   suddetto piano si articola in tre capitoli: a) controllo del territorio; b) contrasto all'abusivismo commerciale; c) sicurezza urbana e le attività anti-degrado;
   gli episodi richiamati rientrano in questo ambito di attività –:
   quali iniziative intenda promuovere il Ministro per rendere pienamente operativo suddetto importantissimo progetto al fine di contrastare fenomeni che ledono l'immagine di Venezia e rendere maggiormente sicura la città. (5-08140)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAMPANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da recenti studi si evince che il 30 per cento degli omicidi hanno una donna come vittima. E gli assassini sono spesso i mariti, gli ex o un altro membro del nucleo familiare;
   l'Istat dice che sono circa 7 milioni le donne che hanno subito violenza in Italia e che negli ultimi anni è aumentato il numero delle denunce e la fiducia delle donne nell'azione delle forze di polizia, a dimostrazione che i recenti interventi normativi in materia hanno prodotto risultati tangibili nella percezione che la violenza domestica è un problema di ordine pubblico;
   nei casi più drammatici che finiscono con la morte della donna, all'interno del nucleo famigliare sono presenti dei minori che finiscono dopo l'arresto del padre omicida in carico ai servizi sociali;
   questi minori vengono definiti «orfani di femminicidio» e nel 2013 si è calcolato che essi fossero circa 1500 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quante siano le vittime di femminicidio nel 2013, 2014, 2015;
   quanti siano ad oggi i cosiddetti «orfani di femminicidio» e come siano assistiti dallo Stato una volta fuoriusciti dall'ambiente famigliare fino alla maggiore età (assistenza psicologica, borse di studio e altro). (4-12530)


   MINARDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il diritto di asilo è riconosciuto dalla Carta Costituzionale al comma 3, dell'articolo 10, che recita: «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese di origine l'esercizio effettivo delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»;
   il nostro ordinamento prevede che la richiesta di diritto di asilo sia effettuata mediante richiesta alle commissioni territoriali. In caso di diniego, il cittadino straniero può rivolgere la domanda di asilo alla commissione nazionale;
   la grave crisi umanitaria, economica e politica che ha coinvolto molti Paesi africani ha comportato un esodo di migranti economici e di richiedenti asilo;
   l'Italia, infatti, sulla base del Trattato di Dublino che prevede che sia Io Stato di primo approdo del migrante a farsi carico della sua situazione, è coinvolta insieme alla Grecia, in una grande opera di accoglienza dei migranti sia per motivi economici che richiedenti asilo politico;
   il nostro Paese ha effettuato attraverso l'operazione « Mare nostrum» una grande opera di soccorso in mare dei migranti salvando moltissime vite umane. Tale opera di soccorso ha avuto il plauso da parte dell'Europa;
   la legislazione italiana, come detto, prevede tempi lunghi per il riconoscimento del diritto di asilo e molte volte a richiederlo sono anche cittadini stranieri che giungono in Italia per motivi economici;
   il cittadino straniero permane nei centri di accoglienza per tutta la durata della procedura per la richiesta del diritto di asilo. Ciò comporta che lo Stato italiano deve intervenire per assicurare vitto ed alloggio ai migranti con un aggravio di spese per il bilancio pubblico;
   il Ministro dell'interno è intervenuto aumentando il numero delle commissioni territoriali che devono giudicare sulla richiesta di asilo da parte dei migranti;
   è opportuno, inoltre, rivedere il Trattato di Dublino e garantire a livello europeo il funzionamento del sistema cosiddetto «delle quote» per cui i migranti sono assegnati, in base a certi criteri, a tutti gli Stati facenti parte dell'Unione europea. Il Ministro dell'interno si è adoperato per adottare questa soluzione più volte;
   la legislazione italiana, come detto, presenta delle problematiche concernenti i lunghi tempi delle decisioni da parte delle commissioni territoriali che dovrebbero essere ridotti per garantire tempi certi e meno costi per il nostro Paese;
   è, inoltre, importante verificare la situazione del migrante ovvero distinguere tra quelli economici e coloro che richiedono il diritto di asilo –:
   quali iniziative normative intenda assumere, oltre a quelle già adottate, per ridurre e semplificare le procedure per la concessione del diritto di asilo. (4-12542)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DALLAI e CENNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sono presenti presso il Policlinico «Le Scotte» di Siena spazi didattici multifunzionali dislocati presso i reparti di pediatria e neuropsichiatria infantile;
   si tratta di una vera e propria scuola in ospedale che garantisce ai bambini e ragazzi ricoverati, dell'infanzia, primaria e secondaria di 1o grado, il diritto al gioco, allo studio, alla socializzazione, offrendo «la possibilità di giocare, divertirsi e lavorare in maniera adeguata alla loro età e condizione di salute» (secondo quanto disposto dalla «Carta dei diritti dei bambini e delle bambine in ospedale» dell'Unesco);
   l'obiettivo primario di tale scuola, che fa parte dell'istituto comprensivo «Mattioli» di Siena, è quello di offrire ai degenti una costante e positiva accoglienza, per attenuare il disagio dell'ospedalizzazione;
   le lezioni vengono proposte con differenti modalità in base all'età, al tipo di reparto e alla patologia, a piccoli gruppi o individualmente, negli spazi didattici preposti;
   per i bambini o i ragazzi costretti a letto, l'intervento delle insegnanti viene effettuato in camera. Nei casi di degenze medio – lunghe viene inoltre svolto un lavoro di recupero scolastico in sinergia con la scuola di appartenenza;
   è emerso nei giorni scorsi, anche da organi di informazione, che la giunta regionale della Toscana, nella delibera 1262/2015 «Approvazione del piano regionale di programmazione dell'offerta formativa e del dimensionamento della rete scolastica per l'anno scolastico 2016/2017», avrebbe soppresso la sezione dell'infanzia della scuola ospedaliera di Siena;
   nello specifico la delibera regionale avrebbe «potenziato la scuola ospedaliera di I grado a Firenze, istituito una nuova primaria ad Arezzo ed avrebbe proceduto alla chiusura della scuola dell'infanzia alle Scotte»;
   questa notizia ha subito allarmato l'intera comunità locale; il plesso delle Scotte accoglie infatti, nei reparti di pediatria, moltissimi pazienti da tutta Italia: la scuola dell'infanzia ospedaliera è frequentata ogni anno da circa 500 bambini ospedalizzati. Si tratta purtroppo di bambini, colpiti spesso da gravi malattie, a cui è stata consentita, nonostante i lunghi periodi di degenza, una continuità didattica funzionale all'età;
   il sindaco di Siena Bruno Valentini ha commentato tale vicenda parlando di una decisione «inaccettabile» che penalizza «i piccoli pazienti costretti a stare lontani dalla scuola. Faremo tutto quanto possibile per difendere i diritti dei bambini malati e la serenità delle loro famiglie» –:
   se quanto espresso in premessa, relativamente alla prossima chiusura, della scuola dell'infanzia alle Scotte corrisponda al vero e conseguentemente, quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo nel rispetto dell'autonomia scolastica delle regioni, per contribuire ad assicurare ai piccoli pazienti ricoverati «la possibilità di giocare, divertirsi e lavorare in maniera adeguata alla loro età e condizione di salute» (secondo quanto disposto dalla «Carta dei diritti dei bambini e delle bambine in ospedale» dell'Unesco). (5-08132)


   ROCCHI, CAROCCI e MALPEZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il comma 332 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per 2015) dispone che, a decorrere dal 1o settembre 2015, i dirigenti scolastici non possano conferire le supplenze brevi di cui al primo periodo del comma 78 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, a:
    personale appartenente al profilo professionale di assistente amministrativo, salvo che presso le istituzioni scolastiche il cui relativo organico di diritto abbia meno di tre posti;
    personale appartenente al profilo di assistente tecnico;
    personale appartenente al profilo di collaboratore scolastico, per i primi sette giorni di assenza;
   il primo periodo del comma 78 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 dispone che «I capi di istituto sono autorizzati a ricorrere alle supplenze brevi e saltuarie solo per i tempi strettamente necessari ad assicurare il servizio scolastico e dopo aver provveduto, eventualmente utilizzando spazi di flessibilità dell'organizzazione dell'orario didattico, alla sostituzione del personale assente con docenti già in servizio nella medesima istituzione scolastica»;
   si segnala come, nel precedente periodo, non si citi mai il personale ATA; si parla, comunque, di nominare il personale al fine di garantire il servizio scolastico;
   il decreto n. 430 del 2000 (Regolamento supplenze ATA) individua all'articolo 1 tre tipologie di supplenze:
    a) supplenze annuali, per la copertura dei posti vacanti, disponibili entro la data del 31 dicembre, e che rimangano presumibilmente tali per tutto l'anno scolastico;
    b) supplenze temporanee, sino al termine delle attività didattiche, per la copertura di posti non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico;
    c) supplenze temporanee, per ogni altra necessità di supplenza diversa dai casi precedenti, secondo quanto specificato all'articolo 6; tale articolo specifica che i dirigenti scolastici possono conferire supplenze temporanee utilizzando le rispettive graduatorie di circolo e di istituto per la sostituzione del personale temporaneamente assente e per la copertura di posti resisi disponibili per qualsiasi causa, dopo il 31 dicembre di ciascun anno;
   la mancanza di una definizione di «supplenza breve» fa sì che questa sia interpretata come supplenza temporanea; pertanto il comma 332 della legge n. 190 del 2014 appare sia applicato senza distinzione in tutte le situazioni rientranti nel caso c) previsto dal decreto ministeriale n. 430 del 2000 e, talvolta, anche nel caso b) –:
   se, nell'ambito dell'applicazione di quanto disposto dal comma 332 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, tale interpretazione sia corretta o meno; in particolare, se si intenda assumere iniziative per chiarire:
    a) se in caso di personale ATA in pensione in corso d'anno per dispensa, per «VI salvaguardia» o deceduto, il dirigente possa nominare il supplente;
    b) se in caso di personale ATA la cui assenza è senza assegni, come ad esempio le diverse aspettative non retribuite, il dirigente possa nominare il supplente indipendentemente dalla durata dell'assenza;
    c) se in caso di personale ATA che fruisce dell'articolo 59 a seguito dell'accettazione di un contratto a tempo determinato nell'ambito del comparto scuola, mantenendo senza assegni il posto nel proprio profilo, possa il dirigente scolastico nominare il supplente;
    d) se in caso di personale ATA «utilizzato» per svolgere altri compiti, come ad esempio la sostituzione del direttore dei servizi generali e amministrativi come disposto dal CCNL, della sequenza contrattuale 2008, e dall'articolo 5 del contratto integrativo regionale sulle utilizzazioni, il dirigente scolastico possa nominare il supplente;
    e) se, in caso di personale ATA assente per lunghi periodi, come ad esempio per maternità, malattia, congedi assistenza disabile, il dirigente scolastico possa nominare il supplente. (5-08143)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'alta formazione artistica e musicale consta in Italia di circa 87.000 studenti, di cui più della metà donne. Il 12 per cento di essi sono stranieri;
   le istituzioni AFAM hanno oltre 6.400 corsi attivi; il 70 per cento degli 86.872 studenti delle Istituzioni dell'Afam frequenta corsi di livello universitario (fascia accademica);
   l'aumento delle iscrizioni rispetto al 2013/2014 è oggi pari al 2 per cento sul totale generale degli iscritti, è del 18 nei corsi di livello universitario e raggiunge il 21 per cento nei corsi di livello universitario del nuovo ordinamento post-riforma;
   il 55 per cento degli iscritti frequenta istituti superiori di studi musicali (ISSM), il 38,2 per cento, Accademie di belle arti;
   nelle Accademie il 23 per cento di iscritti sono stranieri e sono studenti che partono miratamente dai loro Paesi d'origine per seguire gli studi nelle Accademie di belle arti italiane;
   a fronte di questi numeri, le istituzioni AFAM versano in uno stato di abbandono: la legge n. 508 del 1999 di riforma del settore appare a oggi inattuata dal momento che non sono stati emanati i decreti attuativi;
   risultano altresì inattuati l'articolo 1, comma 105 della legge n. 228 del 2012 per la messa a ordinamento dei bienni specialistici, e il comma 01 dell'articolo 19 della legge n. 128 del 2013 che imponeva al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sei mesi di tempo per emanare il regolamento (con esso il regolamento per il reclutamento);
   è incomprensibile la scarsa attenzione dedicata a un settore così prestigioso che fatica ad avere un suo pieno riconoscimento in ambito universitario: la mancata attuazione della legge n. 508, «gemella» della legge n. 509 (riforma universitaria) che ha trovato attuazione e addirittura due nuove riforme, lo dimostra;
   nel 2015 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha convocato un tavolo di studio, il cosiddetto Cantiere AFAM: anche questo tavolo di lavoro non ha prodotto alcuna azione concreta e a oggi tutto è bloccato;
   sul tema si è costituito un Coordinamento (Coordinamento nazionale docenti di seconda fascia) formato da docenti Afam impegnato in una battaglia per l'attuazione di leggi rimaste sulla carta e, soprattutto per il riconoscimento dei diritti dei tanti studenti e docenti che vivono vessazioni, disagi e difficoltà;
   vale la pena di ricordare che l'intero sistema dell'alta formazione artistica e musicale in Italia si regge in parte sui professori con contratti, ormai decennali, a tempo determinato, con punte percentuali del 40 per cento, mentre la pianta organica delle Accademie è ferma a 25 anni fa quando gli iscritti e gli indirizzi di specializzazione erano un quinto rispetto agli attuali –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e come intenda attivarsi, nell'ambito delle sue competenze, sulle gravi questioni sollevate in premessa. (4-12534)


   OLIARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ministeriale n. 674 del 3 febbraio 2016, «viaggi di istruzione e visite guidate», impone eccessivi controlli sul conducente e verifiche sui mezzi noleggiati;
   infatti, in base alla nuova circolare ministeriale, prima e durante una gita scolastica a bordo di un pullman dovranno essere effettuati controlli sullo stato di usura dei pneumatici e dell'efficienza dei dispositivi visivi e di illuminazione, sulla presenza dell'estintore e dei dischi con l'indicazione delle velocità massime poste sul retro del mezzo, sull'idoneità del conducente e sulla sua condotta durante il tragitto, sui documenti di viaggio;
   a questi nuovi obblighi sono tenuti non solo i docenti e i dirigenti scolastici, sovraccaricati di nuove responsabilità oltre a quelle dei ragazzi, ma anche l'intera categoria dei bus operator;
   come denunciato dalle associazioni di categoria, queste nuove disposizioni non solo non tengono conto dei ripetuti controlli a cui i mezzi delle aziende del settore sono sottoposti nel corso dell'anno, ma avranno anche forti contraccolpi economici nel comparto;
   come sottolineato da Confartigianato Liguria «A poco più di un mese dall'entrata in vigore, la circolare ha già avuto i suoi effetti negativi: sono già molte le prenotazioni per le gite scolastiche a essere state disdette. Questa norma potrebbe davvero mettere a rischio molti posti di lavoro e danneggiare enormemente le nostre piccole imprese. E non solo quelle di noleggio e trasporto: le conseguenze si riversano anche sull'indotto ricettivo»;
   in Liguria si contano circa 200 microimprese di noleggio e trasporto passeggeri: 120 in provincia di Genova, 25 a Imperia, 23 a La Spezia e 31 nel savonese –:
   quali iniziative si intendano adottare per far fronte alle conseguenze negative derivanti dalle disposizioni contenute in questa nuova circolare ministeriale che danneggiano un settore la cui economia vive in buon parte sulle gite scolastiche e vanificano gli elementi positivi della stessa circolare, ossia l'importanza delle garanzie di sicurezza e di responsabilità nella scelta dell'impresa da parte della scuola, un aiuto contro abusivismo e concorrenza sleale. (4-12537)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con accordo sindacale nazionale stipulato in data 8 luglio 2013 tra ASSTRA, ANAV e le organizzazioni sindacali FILT CGIL, FIT CISL, UILTRA SPORTI, UGLTRASPORTI e FRISA CISAL è stato convenuto di costituire il «fondo di solidarietà per il sostegno del reddito del personale delle aziende di trasporto pubblico» ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge n. 92 del 2012. Detto accordo è stato recepito, con decreto n. 86985 del 9 gennaio 2015 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze che ha istituito presso l'Inps il Fondo di solidarietà per il personale delle aziende di trasporto pubblico;
   detto fondo, ai sensi della normativa richiamata, è teso ad assicurare adeguate forme di sostegno per i lavoratori dei diversi comparti, con la finalità di assicurare ai lavoratori una tutela in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria. Il fondo di solidarietà, nell'ambito ed in connessione con processi di ristrutturazione, di situazioni di crisi, di riorganizzazione aziendale, di riduzione o trasformazione di attività di lavoro, oltre ad assicurare ai lavoratori delle imprese di uno o più settori, interventi di tutela economica in costanza di rapporto di lavoro nei casi di riduzione o sospensione dell'attività lavorativa per cause previste dalla normativa in materia di integrazione salariale ordinaria o straordinaria, può perseguire l'ulteriore finalità di erogare assegni straordinari in caso di esodo agevolato, di erogare prestazioni integrative di prestazioni pubbliche in caso di cessazione del rapporto di lavoro e di sostenere attività formative;
   successivamente, il decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015 ha abrogato la normativa richiamata e il comma 5 dell'articolo 46 prevede che «laddove disposizioni di legge o regolamentari dispongano un rinvio (...) all'articolo 3, commi da 4 a 45, della legge n. 92 del 2012, ovvero ad altre disposizioni abrogate dal presente articolo, tali rinvii si intendono riferiti alle corrispondenti norme del presente decreto». Inoltre, il citato decreto n. 148 ha introdotto alcune modifiche nell'ambito di applicazione dei fondi di solidarietà in conseguenza delle quali, a norma dell'articolo 26, comma 7, l'istituzione dei Fondi è obbligatoria per tutti i settori che non rientrano nell'ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni, in relazione ai datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti, compresi gli apprendisti. La soglia dimensionale così individuata per la partecipazione al fondo è verificata mensilmente con riferimento alla media del semestre precedente. Sono state, inoltre, modificate le prestazioni erogabili dai fondi di solidarietà;
   i fondi già istituiti dovevano, altresì, adeguarsi alle disposizioni del comma 7 dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 148 del 2015, entro il 31 dicembre del 2015. In caso contrario, a decorrere dal 1o gennaio 2016, i datori di lavoro del relativo settore, che occupano mediamente più di cinque dipendenti, confluiscono nel fondo di integrazione salariale previsto dall'articolo 29 e i contributi da questi già versati o comunque dovuti ai fondi di solidarietà non adeguati vengono trasferiti al fondo di integrazione salariale di cui all'articolo 29 del decreto legislativo n. 148 del 2015;
   con circolare n. 27 dell'11 febbraio 2016, l'INPS ha fornito indicazioni e chiarimenti in ordine all'ambito di applicazione del fondo, alla sua natura giuridica, agli obblighi di bilancio e di gestione del fondo, alle relative prestazioni e alle modalità di finanziamento, con istruzioni contabili;
   a quanto consta all'interrogante, con comunicato al personale n. 3 del 24 febbraio 2016, Atac spa, azienda per la mobilità, coinvolta dal fondo in discorso, ha reso noto che a decorrere da febbraio 2016 si procederà ad operare una trattenuta mensile in busta paga a carico del lavoratore dipendente e un versamento a carico del datore di lavoro. A decorrere da marzo si procederà poi al recupero degli arretrati dovuti;
   allo stato attuale, non consta all'interrogante, nessuna altra specifica previsione circa la puntuale gestione, la durata e il controllo su detto fondo di solidarietà, né sulla destinazione del ricavato e sulle forme di tutela della busta paga dei lavoratori –:
   se i Ministri interrogati, nell'ambito delle rispettive competenze, siano in grado di fornire chiarimenti sul regime della gestione, della garanzia, della durata e del controllo del «fondo di solidarietà per il sostegno del reddito del personale delle aziende di trasporto pubblico» e sulle forme di tutela della busta paga dei lavoratori e se intendano adottare iniziative normative a tal fine. (5-08127)


   BOCCUZZI e DAMIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Azimut, fondata nel 1969, è una delle aziende leader nel settore della nautica, la cui sede centrale è in Val di Susa, ad Avigliana, occupa il gradino più alto nella classifica Global Order Book 2014 che annovera i primi 20 produttori di mega yacht al mondo;
   alla crisi del mercato nautico, iniziata nel 2008, Azimut Yachts aveva avviato un articolato piano di ristrutturazione che le ha permesso di rimanere leader mondiale nel segmento delle imbarcazioni oltre i 24 metri di lunghezza;
   l'azienda ha affermato che sono stati potenziati i cantieri dedicati agli yachts di grande dimensione meno toccati dal calo della domanda, e si è proceduto al trasferimento nello stabilimento di Avigliana di tutta la produzione di quelli sotto i 70 piedi, investendo in tecnologia e lanciando ogni anno nuovi modelli di successo, esportati in tutto il mondo;
   il gruppo Azimut-Benetti ha dichiarato una crescita del 10 per cento del fatturato per il 2015;
   nonostante i nuovi indicatori economici, e dopo tre settimane di trattative, a novembre 2015, il cantiere nautico non è riuscito a trovare un'intesa con le rappresentanze sindacali e ha deciso di attuare un piano di esuberi che riguarderà sia lo stabilimento, sia gli uffici di direzione del quartier generale di Avigliana, per un totale di 95 lavoratori;
   a questi si sommano circa cinquanta licenziamenti già attuati nel 2015 e la chiusura dell'unità produttiva di Gropparello Piacenza;
   i lavoratori, a fronte di tali intenzioni, hanno indetto ore di sciopero, bloccando il traffico tre Avigliana e Ferriera;
   l'azienda ha riferito che, durante i molteplici incontri con le rappresentanze sindacali, aveva proposto un contratto integrativo migliorativo rispetto al precedente, strumenti di flessibilità del lavoro adatti a far fronte alla stagionalità delle vendite e un piano di mobilità volontaria incentivata, con l'impegno a non effettuare alcun licenziamento per i successivi tre anni –:
   se il Ministro non intenda, alla luce dei fatti esposti, far chiarezza su tale vicenda e intervenire istituendo un tavolo di confronto istituzionale tra l'azienda e le parti sociali al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. (5-08130)


   FERRARESI, COMINARDI, TRIPIEDI, PAOLO BERNINI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo storico stabilimento VM di Cento (FE) nasce nel primo dopoguerra da una iniziativa di due brillanti imprenditori locali, esempio di una terra e di una tradizione regionale nota in tutto il mondo per le sue aziende meccaniche di eccellenza nel settore automotive; l'azienda costruisce il primo motore diesel italiano raffreddato ad aria e ad iniezione diretta;
   nel 2014, l'attività VM Motori viene integrata nel gruppo Fiat Group Automobiles (FGA) ed acquisisce la denominazione di FGA Cento; a dicembre 2014 FGA annuncia il cambio della propria denominazione in FCA Italy spa;
   negli anni lo stabilimento ha realizzato modelli di grande eccellenza, con volumi di vendita considerevoli soprattutto per in mercati esteri, in particolare negli Stati Uniti;
   nello stabilimento di Cento lavorano 1.400 persone e almeno 1.000 sono quelle impegnate nell'indotto; ciò lo caratterizza come un centro di lavoro importante per tutto il territorio circostante e una importante fonte di reddito;
   a febbraio 2016 l'azienda annuncia un primo piano di cassa integrazione; nei primi giorni di marzo 2016 decide che le giornate di ammortizzatore sociale saranno otto, tra marzo e aprile, e che i lavoratori che ne saranno interessati saranno 800, del reparto industriale e marino, oltre ai flussi produttivi dei motori a 4 e 6 cilindri;
   la crisi è dovuta, si dice, ad un significativo calo dei consumi sul mercato Usa dei motori V6, la produzione principale, complice anche il crollo del prezzo del petrolio che favorisce i modelli di vetture con motori a benzina;
   preoccupa il contesto generale dato dalla crisi economica che sta rallentando la produzione anche nelle altre realtà del gruppo FCA: guardando solamente in Emilia Romagna, la cassa integrazione è stata richiesta anche nelle aziende modenesi della Maserati, lo storico marchio di auto sportive e di lusso, e in quelle della CNH Industrial, le macchine agricole e di movimento terra;
   la procedura di legge prevede che gli ammortizzatori sociali vengano discussi in un tavolo unitario attraverso un esame congiunto di consultazione, cosa che nello stabilimento di Cento non avviene; l'azienda ha voluto tavoli separati, fra i sindacati che hanno sottoscritto il contratto specifico di lavoro (Ccsl) ed il sindacato che non lo ha sottoscritto, la Fiom;
   la Fiom contesta apertamente la convocazione separata degli incontri tra sindacati firmatari del contratto e non firmatari, dal momento che la questione della cassa integrazione guadagni non dovrebbe avere nulla a che vedere con il contratto stesso; atteggiamenti unilaterali e non concordati possono portare allo sviluppo di una tensione interna con prospettive di conflittualità dentro e fuori l'azienda;
   ciò che genera una crescente preoccupazione è l'incertezza sulla strategia aziendale, pare non esservi nessun piano industriale definito, o almeno non è dato al momento sapersi; inoltre, risultano fermi i nuovi modelli, come fermo pare essere tutto il settore della progettazione;
   l'assunzione recente di 130 interinali, con contratto a tempo determinato di sei mesi, stride con l'incertezza sulla sorte dei circa 100 apprendisti il cui contratto triennale scade nel 2016 –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda promuovere per assicurare una piena continuità produttiva e occupazionale nello stabilimento di VM di Cento;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per verificare l'intenzione da parte della proprietà di rilanciare la produzione attraverso un piano industriale che valorizzi la competenza storica dell'azienda;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per promuovere l'applicazione del metodo del tavolo unitario di consultazione nella definizione delle modalità applicative delle diverse forme di ammortizzatore sociale così come definite. (5-08133)


   BOCCUZZI, DAMIANO, GNECCHI, BARUFFI, INCERTI, ALBANELLA, GRIBAUDO, DI SALVO, MICCOLI, CASELLATO, ZAPPULLA, SIMONI, GIACOBBE, GIORGIO PICCOLO e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli ispettori del lavoro e i tecnici, con qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, si trovano nella maggioranza delle occasioni da utilizzare le auto private per raggiungete le aziende da ispezionate e giudicare eventuali violazioni in materia di lavato e di sicurezza nei luoghi di lavoro;
   l'utilizzo dell'auto di servizio per l'attività ispettiva (con o senza contrassegni identificativi), con l'inizio del funzionamento del nuovo ispettorato, ai sensi del decreto legislativo n. 149 del 14 settembre 2015, assume un'importanza ancora più rilevante, considerato il coinvolgimento dell'Inps e dell'Inail, ma anche con la prospettiva di interessare tutti i tecnici della prevenzione degli Spal e delle Arpa, futuri ispettori tecnici, che oggi si occupano della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e che, da sempre, sono abituati ad usare l'automezzo di servizio invece di quello personale;
   l'alternativa di spostarsi per l'attività ispettiva a piedi o con mezzi pubblici, fa sì che gli ispettori, in molti casi, siano costretti ad utilizzare le proprie auto private per svolgere l'attività ispettiva. Assurdamente, l'autorizzazione ministeriale prevede che sia l'ispettore a chiedere di poter utilizzare il proprio mezzo, sebbene questo rappresenti l'unico modo di operare, con tutti i rischi che ne possono derivare, anche tenuto conto che la polizza assicurativa stipulata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in favore delle auto degli ispettori, copre ben pochi rischi e nella relazione tecnica di accompagnamento alla bozza dei decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sul funzionamento dell'ispettorato, si prevede espressamente che «tale possibilità [di coperture assicurative aggiuntive] è evidentemente ammessa nell'ambito delle disponibilità finanziarie dell'ispettorato», ossia non esiste nessuna certezza. Inoltre, esistono altre importanti limitazioni sfavorevoli contenute nel contratto generale per i servizi assicurativi stipulati tra la Comsip e una società privata che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha richiamato in una sua nota del dicembre 2015 relativa a: «Comunicazione polizze assicurative anno 2016»;
   risulta sempre più frequente il rischio di vere e proprie aggressioni ai danni degli ispettori, come quella avvenuta, i primi giorni del mese di settembre 2014, contro l'auto privata di un ispettore del nucleo Carabinieri dell'ispettorato del lavoro di Cagliari, che è stata data alle fiamme mentre era in ispezione;
   con l'utilizzo dell'auto di servizio si avrebbero per gli interroganti vantaggi molto importanti relativi alla sicurezza, si potrebbero evitare episodi di aggressione, oltraggio, minacce, e sicuramente danneggiamento delle autovetture personali durante lo svolgimento delle funzioni istituzionali svolte dagli ispettori;
   se fossero disponibili le auto di servizio, l'uso di quella personale tornerebbe a rappresentare l'eccezione, giustificata dall'impossibilità di usare un sistema di trasporto alternativo e meno costoso. Esattamente lo scopo che dovrebbe essere perseguito per gestire oculatamente le finanze pubbliche e previsto nell'autorizzazione ministeriale rilasciata;
   al riguardo, sarebbe auspicabile una verifica delle spese sostenute dalla pubblica amministrazione per i rimborsi di missioni, per le polizze assicurative a favore dei dipendenti e altri eventuali oneri finanziari che servono a garantire l'uso dell'autovettura personale, da raffrontare con le spese che si produrrebbero, ricorrendo all'utilizzo di mezzi di servizio acquisiti attraverso i bandi Consip. Si potrebbero risparmiare per gli interroganti circa 1.300.000 euro l'anno, destinabili su altri capitoli di spesa del costituendo Ispettorato nazionale del lavoro. Ad esempio, per le indennità di polizia giudiziaria, oppure per le coperture assicurative della responsabilità civile o per il miglioramento della dotazione strumentale informatica –:
   quali siano i dati a disposizione del Ministro relativamente ad un'analisi dei reali costi sostenuti dalla pubblica amministrazione per il servizio ispettivo, attraverso il ricorso all'autovettura privata, anziché all'auto di servizio;
   quali iniziative si intendano adottare al fine di scongiurare i rischi che corrono gli ispettori, nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, connessi all'utilizzo del proprio mezzo privato. (5-08149)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 vi è stato un aumento del numero di nuovi rapporti di lavoro a tempo determinato e indeterminato, rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente;
   tali risultati sono frutto provvisorio dei momentanei sgravi fiscali previsti per le imprese;
   questi provvedimenti dimostrano che l'elevato costo del lavoro ha inciso negativamente negli anni passati sulla possibilità di assumere;
   un basso costo di lavoro può servire a corroborare l'attuale debolissima situazione di ripresa economica del Paese;
   visto il particolare momento storico, sarebbe necessario un prolungamento di tali benefici per stabilizzare la ripresa economica;
   al termine del periodo previsto per tali benefici si determineranno inevitabilmente delle cessazioni di massa nei rapporti lavorativi, con un impatto negativo sul mondo del lavoro e sulle politiche sociali –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per intervenire in modo stabile sulla riduzione del costo del lavoro. (4-12543)


   BOCCUZZI, DAMIANO, GNECCHI, BARUFFI e GRIBAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   riveste particolare rilievo ai fini della sicurezza sui luoghi di lavoro la corretta definizione delle qualifiche minime richieste agli addetti al montaggio e manutenzione di apparecchi di sollevamento e delle gru a torre per l'edilizia;
   in data 5 agosto 2015 la Commissione lavoro della Camera dei deputati ha approvato il parere favorevole allo schema di decreto legislativo recante disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico dei cittadini e delle imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità (Atto n. 176);
   nel parere erano contenute alcune osservazioni tra le quali la seguente: «nell'ambito delle disposizioni del Capo III del Titolo I del provvedimento, in materia di salute e sicurezza del lavoro, in analogia con quanto previsto dall'articolo 20, comma 1, lettera n), si valuti l'opportunità di prevedere che con decreto ministeriale si proceda alla definizione della qualifiche minime richieste ai montatori e manutentori di apparecchi da sollevamento e gru per l'edilizia» –:
   se il Ministro interrogato abbia attentamente valutato i termini del problema e quali siano i tempi di emanazione del decreto ministeriale in questione, atteso che il Ministero non ha ancora convocato le associazioni di categoria e di settore interessate, né ha avviato, a conoscenza degli interroganti alcuna iniziativa in merito. (4-12546)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con il regolamento n. 1748 del 30 settembre 2015, la Commissione europea ha stabilito la possibilità per gli Stati membri di erogare a partire dal 16 ottobre 2015, attraverso gli enti nazionali preposti, fino al 70 per cento dei pagamenti diretti spettanti a un agricoltore disposti dalla riforma della politica agricola comune;
   le indicazioni presenti nel regolamento n. 1748 del 30 settembre 2015 sono state recepite dalle circolari di Agea ACIU 2015.435 e ACIU 2015.464. In tali documenti è stato esplicitamente espresso che le procedure degli anticipi sono state predisposte per sostenere le numerose imprese agricole che versano in difficoltà economiche;
   tale erogazione è comunque subordinata alla realizzazione dei controlli amministrativi. Verranno infatti esclusi i beneficiari per i quali sono rilevate anomalie. Agea ha inoltre indicato nella data del 1o aprile 2016 il termine ultimo per la fissazione dei titoli definitivi e di conseguenza per l'avvio della fase di erogazione dei pagamenti a saldo;
   secondo quanto emerge da organi di informazione e da quanto denunciato da alcune associazioni di categoria sono emersi fin dallo scorso mese di novembre 2015 numerosi problemi rispetto alla puntuale erogazione degli anticipi;
   tali ritardi sono già stati oggetti di una interrogazione a risposta in Commissione (5-07013) presentato dall'interrogante il 17 novembre 2015 e ancora in attesa di risposta;
   secondo organi di informazione risulta che, ad oggi, sussistono ancora gravissimi ritardi circa i pagamenti di Agea sia per quanto riguarda gli anticipi, sia per ciò che concerne conseguentemente i saldi;
   questi continui ritardi stanno creando conseguentemente gravissimi problemi rispetto alla continuità produttiva e occupazionale di numerose imprese agricole, e, in particolare, quelle guidate da giovani con effetti palesemente controproducenti rispetto a tutte le misure messe in campo dal Governo in questi mesi a sostegno del settore primario;
   secondo fonti stampa è stato firmato, il 24 febbraio 2016, il «decreto di Agea che autorizza una nuova tranche di pagamenti diretti della Politica agricola comune per la domanda unica 2015» –:
   se quanto espresso in premessa, relativamente ai ritardi relativi ai pagamenti da parte di Agea di acconti e saldi, corrisponda al vero e con quale entità;
   se il decreto di Agea firmato il 24 febbraio 2016 possa sbloccare tale situazione e con quale tempistica;
   quali iniziative urgenti intenda assumere il ministro interrogato per risolvere questa situazione che sta causando gravi problemi a moltissime aziende agricole in tutto il Paese. (5-08131)

Interrogazione a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno del «caporalato» in agricoltura si è notoriamente diffuso negli ultimi anni, come ampiamente documentato e denunciato. Il caporalato ha da tempo assunto le sembianze di una vera e propria industria, tanto da dotarsi di un sistema transregionale capace di «veicolare» centinaia di migliaia di immigrati irregolari a seconda del ciclo delle stagioni e delle produzioni agricole, da una regione all'altra del paese. Un'organizzazione criminale che ha fatto rete in tutta Italia e che si avvale di regole uniformi per la gestione della manodopera e per quella delle loro paghe. Per questo motivo non è difficile trovare le stesse braccia che raccolgono mele in Trentino, clementine in Calabria, carciofi nel Lazio, finocchi in Abruzzo, zucche e pomodori nel casertano, angurie nel foggiano o pachino in Sicilia;
   da un recente studio elaborato da «The European House-Ambrosetti», sulla base di dati della Flai Cgil relativi al 2015, sono circa 400 mila i lavoratori sfruttati dal caporalato, di cui l'80 per cento stranieri nell'80 per cento dei casi. La paga di chi lavora sotto caporali risulta essere pari alla metà di quanto stabilito dai contratti nazionali e oscilla tra i 25/30 euro per una giornata di lavoro dall'alba al tramonto. A questo importo però vengono trattenuti circa 10 euro per le «spese di gestione»: trasporto nei campi, acqua e cibo consumato ed eventualmente l'acquisto di medicinali. Infatti, il 74 per cento dei lavoratori impiegati sotto i caporali è malato e presenta disturbi che all'inizio della stagionalità non si erano manifestati. Le malattie riscontrate sono per lo più curabili con una semplice terapia antibiotica ma si cronicizzano in assenza di un medico a cui rivolgersi e di soldi per l'acquisto delle medicine;
   ad aggravare la situazione contribuisce poi il sovraccarico di lavoro, l'esposizione alle intemperie, l'assenza di accesso all'acqua corrente, che riguarda il 64 per cento dei lavoratori, e ai servizi igienici, che riguarda il 62 per cento. Solo nell'estate 2015 si stima che le vittime del caporalato siano state almeno 10;
   per il segretario nazionale della Flai-Cgil «il ricatto è doppio per gli extracomunitari perché si lega il lavoro al permesso di soggiorno, con caporali che ritirano passaporti promettendo documenti che non arrivano, costringendoli alla clandestinità»;
   ad avviso degli interroganti, la principale causa che favorisce la tirannia del caporalato in Italia tra i migranti è la legge n. 189 del 2002, meglio nota come legge Bossi-Fini, una normativa che riduce gli immigrati in condizioni sub-umane e che li pone in condizione di subire una forti ricatti sociali;
   la «Bossi-Fini», infatti, vincolando la permanenza sul territorio italiano a un permesso di lavoro, ha comportato il fatto che un numero notevole di immigrati, che in precedenza lavoravano nelle fabbriche del Nord e nel Nord-Est e che, a causa della crisi economica, ne sono stati esclusi, siano diventati manodopera a bassissimo costo pur di mantenere un contratto di lavoro e quindi poter soggiornare regolarmente in Italia. Altri migranti invece sono reclutati dai «caporali» direttamente tra i richiedenti asilo in alcuni centri di accoglienza per i richiedenti asilo. Si consideri che il richiedente asilo gode di uno statuto sostanzialmente inferiore a qualunque altro immigrato, perché non può, sulla carta, lavorare, ma necessita di denaro per sopravvivere. Quindi diviene manodopera che può essere pagata anche meno di quella regolare. A questi lavoratori si aggiungono quelli che si trovano in condizione di irregolarità totale, o di clandestinità;
   esiste poi un fattore incidente sulla determinazione della paga giornaliera ai lavoratori agricoli, dovuta dal prezzo di mercato di un prodotto. Le associazioni dei datori di lavoro affermano da sempre che è il mercato a fare il prezzo: ma poiché il mercato è per lo più costituito da un sistema di oligopolio di imprese (come ad esempio per la trasformazione del pomodoro) o addirittura in sistema di duopolio o monopolio, come accade spesso per il settore dell'ortofrutta, i cartelli delle imprese fissano arbitrariamente il prezzo del prodotto, a prescindere dall'entità della spesa sostenuta dal contadino e dal produttore. All'interno di questo prezzo deve essere compreso anche il costo della manodopera, che quindi non incide più sul costo del prodotto. Queste imprese, fissato il prezzo in base alla necessità di competere con multinazionali molto più potenti di loro, scaricano così su chi deve reclutare manodopera la responsabilità di garantire costi che possano generare profitto dal prezzo di vendita già stabilito;
   ad avviso degli interroganti, si rende necessaria l'attivazione di ogni mezzo e azione che individui le aziende che adottano tali sistemi di reclutamento e pagamento del personale che sono, una delle cause del caporalato e che blocchi le eventuali erogazioni delle risorse del piano di sviluppo rurale a tutti quei soggetti che non siano in regola con il durc (documento unico regolarità contributiva) e che non rispettino le norme contrattuali;
   durante un'audizione svoltasi al Senato, il coordinatore della Commissione agricoltura della Conferenza delle regioni ha auspicato azioni concrete di contrasto che da adottare poiché «possono portare al rafforzamento di una rete di qualità, giacché determinati comportamenti non sono solo discutibili sul piano morale, ma arrecano un grave danno all'agricoltura e all'industria alimentare italiana di qualità»;
   ad avviso dell'interrogante si dovrebbero adottare politiche positive nei riguardi di quelle aziende che impiegano manodopera in modo regolare e rispondente alle normative, dando «valore etico» ai loro comportamenti e incentivandole con la fruizione di fondi pubblici, quelli europei alle risorse regionali. L'importante è che gli indici o i parametri adottati per valutare i requisiti dell'impresa che accede a fondi pubblici siano dinamici, tengano cioè conto dei cambiamenti di metodologie di coltivazione e raccolta e delle innovazioni tecnologiche in atto o intervenute;
   poiché lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei «caporali» è reso ancor più facile da alcune carenze pubbliche sui territori, come i trasporti e l'ospitalità, è urgente un'azione sinergica tra Stato e regioni affinché venga organizzata, almeno in certi periodi, un'articolazione del trasporto pubblico locale che metta in collegamento il personale migrante, soprattutto stagionali, con i luoghi di lavoro, oltre che incentivate le aziende in un'azione di collaborazione con gli enti pubblici locali, per la creazione di adeguati alloggi temporanei –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se i Ministri interrogati ne siano a conoscenza e se il Governo non ritenga necessario e urgente intervenire con iniziativa straordinaria di contrasto al fenomeno del caporalato e di controllo sulle aziende che dell'opera del caporalato si avvalgono, usufruendo altresì dell'erogazione di risorse pubbliche. (4-12551)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   PAOLO BERNINI, MANTERO e GAGNARLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo il «Contratto nazionale di Servizio» stipulato tra RAI Radiotelevisione Italiana e Ministero dello sviluppo economico, all'articolo 2 lettere a), d), f), m) e articolo 3, lettera f) si ribadisce l'esigenza di pluralismo informativo in cui si raccomanda di: «garantire l'informazione, l'apprendimento e lo sviluppo del senso critico, civile ed etico», oltre che «garantire il pluralismo, rispettando i princìpi di obiettività, completezza, imparzialità, lealtà dell'informazione, di apertura alle diverse opinioni e tendenze sociali»;
   nella trasmissione televisiva «I nostri amici animali» di Rai 2, sono utilizzati contributi video dell'addestratore statunitense Cesar Millan;
   l'addestratore Cesar Millan è stato oggetto di numerose critiche da parte dell'Associazione – American Veterinary Society of Animai Behavior (AVSAB) – in merito all'utilizzo dei metodi crudeli e coercitivi utilizzati dallo stesso e attualmente è sotto accusa negli Stati Uniti per maltrattamento di animali (fonte: vetmedicine.about.com;
   in Italia, per le medesime motivazioni, sia la FNOVI (Federazione nazionale degli ordini dei medici veterinari italiani) che la SISCA (Società italiana di scienze comportamentali applicate) hanno duramente contestato i metodi di addestramento praticati richiedendo che non fossero pubblicizzati e promossi in Italia in virtù del fatto che questi causano maltrattamento e pubblicando, in merito, un documento specifico;
   sulla stessa linea la SCIVAC Società culturale italiana veterinari per animali da compagnia e l'ASETRA (Associazione di studi etologici e tutela della relazione con animali), e le principali associazioni per la protezione degli animali che hanno già fortemente condannato i metodi di Millan che prevedono l'uso sistematico della forza, e della coercizione causando il maltrattamento fisico e psicologico del cane. Oltre a non educare ed informare i proprietari al rispetto del benessere dell'animale, avallando quindi accessori come i collari a strozzo con punte interne, lui stesso impiega come ausilio nell'addestramento il collare elettrico, il cui uso in Italia è valutabili come maltrattamento di animali, reato perseguito dal codice penale (fonti: http://www.asetra.it);
   in un servizio di Striscia la notizia si mostra il video di uno dei casi più noti e gravi in cui l'addestratore utilizza i collari elettrici;
   l'uso del collare elettronico è stato indagato scientificamente, non lasciando spazi ad interpretazioni né sul presunto uso «corretto» né sui danni che causa. Le risultanze della pubblicazione: « Training dogs with help of the shock collar: short and long term behavioural effects» evidenziano che si tratta di uno strumento dannoso e che causa stress, dolore, ed anche danni fisici (fonte: http://www.sciencedirect.com);
   l'ordinamento giuridico si è espresso in merito all'uso dei collari elettronici e, tra le tante, si cita la sentenza del 17 settembre 2013, n. 38034 della terza sezione penale della Corte di cassazione nella quale si legge con chiarezza: «il collare elettronico è certamente incompatibile con la natura del cane, fondandosi sulla produzione di scosse o altri impulsi elettrici che, tramite un comando a distanza, si trasmettono all'animale provocando reazioni varie»;
   Millan si rapporta infatti al cane come se fosse una macchina da domare con la quale il proprietario non ha nessun ruolo relazionale. Il suo approccio nega completamente l'esistenza della cognizione animale e i suoi metodi si basano sull'uso della forza, della paura e della punizione. La sua formazione non considera in alcun modo nemmeno i rilevanti studi scientifici – veterinari ed etologici – che suggeriscono come educare i cani nel rispetto dei codici comportamentali e delle esigenze proprie della specie. Tali metodi sono quindi assolutamente privi di ogni base scientifica e molto pericolosi per il benessere dei cani, ma anche per la sicurezza delle persone –:
   se si ritenga opportuno assumere iniziative per evitare che siano promossi in Italia metodi di addestramento dei cani che sono chiaramente dannosi, quando addirittura non configurano reato;
   se si ritenga opportuno promuovere le numerose professionalità e i metodi educativi dei cani che, come la scienza veterinaria ed etologica riconoscono, sviluppano un corretto rapporto tra l'uomo e il cane e sono basati sulla fiducia e sulla relazione positiva che si deve instaurare in ogni relazione zooantropologica;
   se non si consideri necessario assumere iniziative per associare l'applicazione delle normative relative al divieto di uso di metodi brutali ed inaccettabili e condannati dai veterinari comportamentalisti nazionali ed internazionali;
   se non si ritenga necessario assumere iniziative per colmare il vuoto normativo in materia di strumenti coercitivi per i cani; dal divieto di vendita di collari elettronici, della vendita di collari a strozzo, semistrozzo e con le punte.
(3-02120)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRILLO, LUIGI DI MAIO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 marzo 2007 la regione Molise ha sottoscritto con il Ministero dell'economia e delle finanze ed il Ministero della salute il «Piano di rientro dal disavanzo della regione Molise» che prevede una stima degli interventi di recupero del disavanzo sanitario nel rispetto dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA);
   a seguito della riunione del 10 ottobre 2008, non essendo stati conseguiti gli obiettivi prefissati, il Presidente del Consiglio dei ministri con propria nota dell'11 novembre 2008 ha diffidato la regione Molise, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge n. 159 del 2007 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, ad adottare tutti gli atti normativi, amministrativi e gestionali che risultassero, produttivi di effetti finanziari nel 2008 e idonei alla correzione strutturale della spesa per gli anni successivi;
   nel corso della riunione di verifica da parte del Tavolo e del comitato tecnico del 30 giugno 2009 è stata confermata la sussistenza delle criticità evidenziate e pertanto il Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi della normativa di cui sopra, con deliberazione del 28 luglio 2009, ha nominato il presidente pro tempore della regione Molise Michele Iorio quale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, con lo scopo di garantire l'adozione di provvedimenti atti ad assicurare la copertura del disavanzo per l'anno 2008 al fine di non attivare l'ulteriore incremento, oltre la misura massima, delle aliquote fiscali regionali;
   successivamente, in data 9 ottobre 2009, il Presidente del consiglio dei ministri ha affiancato al commissario ad acta Michele Iorio, come sub commissario la dottoressa Isabella Mastrobuono al fine di rafforzare l'impatto dell'attività commissariale;
   ai sensi del «Patto per la Salute del 3 dicembre 2009, articolo 13, comma 14, e articolo 2, comma 88 della legge 23 dicembre 2009, n. 191» la regione ha inviato in data 2 luglio 2010 il programma operativo 2010 con il quale intende dare prosecuzione al piano di rientro 2007-2009;
   nel corso della riunione di verifica dell'8 luglio 2010, Tavolo e Comitato, alla luce della grave situazione finanziaria determinata dai ritardi nell'attuazione del piano di rientro, dalla insufficienza dei programmi operativi 2010 e della rete ospedaliera coerenti con gli obiettivi finanziari programmati, hanno valutato il persistere di criticità ed inadeguatezze tali da confermare i presupposti, già manifestati nella riunione del 19 maggio 2010, ai fini della procedura di cui all'articolo 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009;
   nel corso della riunione di verifica del 29 ottobre 2010, Tavolo e Comitato, in considerazione di quanto risultava dal verbale della riunione dell'8 ottobre 2010, hanno dichiarato che non si erano realizzate le condizioni per la disapplicazione, ai sensi dell'articolo 2, comma 2-bis del decreto-legge n. 125 del 2010, degli automatismi previsti dall'articolo 2, comma 86, della legge n. 191 del 2009, fra i quali l'incremento delle aliquote fiscali dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF oltre il livello massimo per l'anno 2010, finalizzato alla copertura del disavanzo dell'esercizio 2009;
   nel corso della riunione di verifica del 6 aprile 2011, Tavolo e Comitato hanno valutato il permanere di criticità ed inadeguatezze tali da confermare i presupposti, già manifestati nella riunione del 19 maggio 2010, e confermati nelle riunioni dell'8 luglio e dell'8 ottobre 2010, ai fini della procedura di cui all'articolo 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009;
   con delibera della Presidenza del Consiglio dei ministri del 31 maggio 2011 è stato nominato quale sub commissario della regione Molise per l'adozione e la completa attuazione degli interventi, fra quelli già contemplati nella delibera del Consiglio dei ministri del 24 luglio 2009, che a quella data non risultavano ancora realizzati o ultimati, nonché per l'attuazione delle precipue disposizioni contenute nel patto per la salute (2010-2012), il dottor Mario Morlacco. La stessa delibera ha specificato gli ambiti del mandato attribuito alla dottoressa Isabella Mastrobuono, in finzione di sub commissario per l'attuazione del piano di rientro del servizio sanitario regionale molisano;
   nella riunione di verifica tenutasi in data 20 luglio 2011, la regione è stata ritenuta inadempiente e Tavolo e Comitato hanno valutato il permanere di criticità ed inadeguatezze tali da confermare i presupposti, già manifestati nella riunione del 19 maggio 2010 e confermati nelle riunioni dell'8 luglio e dell'8 ottobre 2010 e del 6 aprile 2011, ai fini della procedura di cui all'articolo 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009;
   con DCA n. 80/11 del 26 settembre 2011 è stato approvato il programma operativo 2011-2012;
   con delibere della Presidenza del Consiglio dei ministri del 20 gennaio 2012 è stata confermata la nomina del rieletto presidente pro tempore della regione Molise, il dottor Michele Iorio, in funzione di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, ed è stato nominato il dottor Nicola Rosato quale sub commissario, specificandone gli ambiti del mandato, in sostituzione della dottoressa Isabella Mastrobuono. In data 13 aprile 2012 il dottor Mario Morlacco ha rassegnato le sue dimissioni dall'incarico di sub commissario;
   il 30 marzo 2012 la regione Molise ha trasmesso l'aggiornamento, per l'anno 2012, del programma Operativo 2011-2012;
   il Consiglio dei ministri, nella seduta del 7 giugno 2012, ha valutato non più procrastinabile la conclusione della procedura di cui all'articolo 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009 ed ha pertanto nominato il dottor Filippo Basso quale commissario ad acta per l'adozione e l'attuazione degli obiettivi prioritari del piano di rientro e dei successivi programmi operativi;
   a seguito delle elezioni regionali del febbraio 2013, con la delibera della Presidenza del Consiglio del 21 marzo 2013 è stato nominato commissario, ad acta per la prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario il neo presidente pro tempore della regione Paolo di Laura Frattura;
   il 10 dicembre 2013 la regione Molise ha trasmesso una nuova bozza di programma operativo 2013-2015;
   il 19 febbraio 2014 Tavolo e Comitato hanno valutato non idonea alla risoluzione delle criticità presenti nella gestione del servizio sanitario regionale la bozza di programma operativo 2013-2015 trasmessa il 10 dicembre 2013 e hanno chiesto che il programma operativo contenesse le manovre in grado di recuperare strutturalmente il grave disavanzo accumulato;
   con nota del 7 aprile 2014 il Presidente del Consiglio dei ministri ha diffidato, ai sensi dell'articolo 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009, il Commissario ad acta a presentare entro 15 giorni un programma operativo 2013-2015 che contenesse interventi tali da recuperare lo squilibrio finanziario rilevato dai Tavoli e idonei a modificare strutturalmente l'entità e la qualità della spesa sanitaria regionale;
   il 5 maggio 2014 la struttura commissariale ha trasmesso il documento contenente le integrazioni e correzioni alla precedente versione del programma operativo 2013-2015 precedentemente inviato il 10 dicembre 2013;
   con decreto commissariale n. 21 del 4 giugno 2014 è stato adottato il programma operativo 2013-2015;
   nella riunione del 27 giugno 2014 Tavolo e Comitato hanno esaminato il programma operativo 2013-2015 approvato con il citato decreto commissariale n. 21/14 e lo hanno valutato negativamente in quanto non idoneo alla risoluzione delle criticità presenti nella gestione del servizio sanitario della regione Molise. Hanno inoltre evidenziato che permangono critica ed inadeguatezze tali da confermare i presupposti, già manifestatisi nella riunione del 19 febbraio 2014, ai fini della procedura di cui all'articolo 2, comma 84, della legge n. 191 del 2009;
   il 13 giugno 2014 il TAR del Molise ha decretato la sospensione in via cautelare del decreto commissariale n. 21/14; nell'udienza in camera di consiglio per la trattazione collegiale, tenutasi il 3 luglio 2014, i TAR ha sospeso con ordinanza n. 77/2014 l'efficacia del citato decreto;
   con delibera del Consiglio dei ministri del 18 maggio 2015 è stato rimodulato il mandato attribuito al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, revocato il sub-commissario dottor Nicola Rosato ed è stato conferito l'incarico medesimo al dottor Gerardo di Martino;
   dalle dichiarazioni del neo presidente pro tempore della regione Paolo di Laura Frattura si osserva che la regione Molise ha presentato nel corso dell'anno 2015 diverse versioni del programma operativo straordinario 2015-2018 ottenendo parere negativo da parte dei tavoli tecnici ministeriali oltre che dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). Lo stesso presidente Paolo di Laura Frattura dichiara che la regione ha presentato un ulteriore documento in data 11 dicembre 2015 in corso di valutazione;
   l'approvazione del decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015 n. 70 del 2015 recante la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera. In particolar, quest'ultimo dispone al punto 2.5 dell'Allegato 1 che: «il provvedimento regionale generale di cui all'articolo 1, comma 2, del presente decreto, stabilisce che, fermo restando che l'attività assistenziale esercitata per conto del Servizio sanitario nazionale viene annualmente programmata dalla regione con la fissazione dei volumi di attività ed i tetti di remunerazione per prestazioni e funzioni da indicarsi negli appositi accordi contrattuali annuali, le strutture ospedaliere private sono accreditate, in base alla programmazione regionale, considerando la presenza delle specialità previste per i tre livelli a complessità crescente di cui ai punti 2.2, 2.3 e 2.4, e può prevedere, altresì, strutture con compiti complementari e di integrazione all'interno della rete ospedaliera, stabilendo altresì che, a partire dal 1o gennaio 2015, entri in vigore e sia operativa una soglia di accreditabilità e di sottoscrivibilità degli accordi contrattuali annuali, non inferiore a 60 p.l. per acuti, ad esclusione delle strutture monospecialistiche per le quali è fatta salva la valutazione regionale dei singoli contesti secondo le modalità di cui all'ultimo periodo del presente punto. Al fine di realizzare l'efficientamento della rete ospedaliera, per le strutture accreditate già esistenti alla data del 1o gennaio 2014, che non raggiungono la soglia dei 60 posti accreditati per acuti, anche se dislocate in siti diversi all'interno della stessa regione, sono favoriti i processi di riconversione e/o di fusione attraverso la costituzione di un unico soggetto giuridico ai fini dell'accreditamento da realizzarsi entro il 30 settembre 2016 in modo da consentirne la piena operatività dal 1o gennaio 2017. In questi casi, con riferimento al nuovo soggetto giuridico ai fini dell'accreditamento, la soglia dei p.l. complessivi non può essere inferiore a 80 p.l. per acuti e le preesistenti strutture sanitarie che lo compongono devono assicurare attività affini e complementari. Di norma, il processo di fusione delle suddette strutture deve privilegiare l'aggregazione delle stesse in unica sede e, preliminarmente, ciascuna struttura oggetto di aggregazione finalizzata alla costituzione del nuovo soggetto accreditato deve possedere una dotazione di p.l. autorizzati e accreditati non inferiore a 40 posti letto per acuti. Gli eventuali processi di rimodulazione delle specialità delle strutture accreditate verranno effettuati in base alle esigenze di programmazione regionale. Conseguentemente, dal 1o luglio 2015 non possono essere sottoscritti contratti con strutture accreditate con meno di 40 posti letto per acuti. Dal 1o gennaio 2017 non possono essere sottoscritti contratti con le strutture accreditate con posti letto ricompresi tra 40 e 60 posti letto per acuti che non sono state interessate dalle aggregazioni di cui al precedente periodo. Con specifica Intesa in Conferenza Stato-regioni, da sottoscriversi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati gli elenchi relativi alle strutture monospecialistiche e alle strutture dotate di discipline complementari, ivi ricomprendendo le relative soglie di accreditabilità e di sottoscrivibilità dei contratti, nonché sono definite le attività affini e complementari relative all'assistenza sanitaria ospedaliera per acuti»;
   va tenuto conto delle misure di accrescimento dell'efficienza del settore sanitario previste dai commi da 521 a 552 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208;
   i rilievi da parte dell'associazione Cittadinanzattiva rispetto al programma operativo straordinario 2015-2018 della regione Molise indicano:
    che i posti letti per acuzie e post acuzie, al fine di ottemperare alle indicazioni del decreto ministeriale n. 70 del 2015, verrebbero ridotti da 1.269 a 985;
    che le strutture del servizio sanitario pubblico garantirebbero l'emergenza urgenza in tutte le situazioni e per ogni specialità, a differenza delle strutture private;
    che la riduzione per complessivi 284 posti letto vedrebbe la riduzione di 232 posti letto presso le strutture pubbliche e 52 presso le strutture private accreditate;
    l'inosservanza delle norme così come previsto nell'Intesa Stato-regioni e province autonome di Trento e Bolzano del 7 febbraio 2013 n. 36, in merito alle linee di indirizzo per la riorganizzazione del sistema dell'emergenza-urgenza in rapporto alla continuità assistenziale;
    l'integrazione dell'ospedale Cardarelli di Campobasso con la Fondazione Giovanni Paolo II;
    il collegamento tra l'Istituto Neuromed e le strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale di Campobasso;
    la riorganizzazione della rete dei laboratori –:
   se il Ministro abbia chiesto il parere dell'Agenas in merito al programma operativo straordinario 2015-2018 inviato dalla regione Molise in data 11 dicembre 2015;
   quali siano le valutazioni espresse dai tavoli, tecnici ministeriali nonché dall'Agenas, in merito al programma operativo straordinario 2015-2018 inviato dalla regione Molise in data 11 dicembre 2015;
   quali siano le valutazioni dai tavoli tecnici ministeriali nonché dall'Agenas in relazione all'ottemperanza di quanto stabilito dai commi da 521 a 552 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, ed, in particolare se il programma citato soddisfi quanto previsto dal punto 2.5 del decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015 n. 70 nonché dalle disposizioni in merito all'individuazione del fabbisogno di personale, in considerazione di quanto indicato dall'Associazione Cittadinanzattiva riguardo il ruolo preponderante nell'erogazione dei servizi da parte delle strutture private accreditate;
   in che tempi si intenda implementare il sito istituzionale del Ministero della salute, dedicato ai piani di rientro regionali, in quanto non risulta particolarmente aggiornato in tutte le sue sezioni e, nel caso della regione Molise, la sezione «percorso del piano di rientro» è ferma al 10 luglio 2015. (5-08134)


   MARTELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si è registrato a Portogruaro un caso di contagio da virus Zika riscontrato in un uomo di 41 anni rientrato da qualche tempo dalla Repubblica dominicana;
   il paziente, dopo aver trascorso un soggiorno nella Repubblica dominicana, è rientrato il 19 febbraio 2016 a Portogruaro accusando, qualche giorno dopo, dolori alle articolazioni, dolori muscolari e manifestazioni cutanee;
   il 27 febbraio si è rivolto al pronto soccorso di Portogruaro dove è stato immediatamente trasferito presso l'ospedale dell'Angelo di Mestre per la diagnosi che ha confermato la presenza del virus;
   l'uomo, secondo una nota dell'Ulss 10 del Veneto orientale, è stato ricoverato nel reparto di malattie infettive all'ospedale di Mestre dal quale, dopo le adeguate terapie, è stato dimesso;
   da subito i sanitari hanno eseguito un'indagine epidemiologica per tracciare i dettagli sull'importazione della malattia;
   è il primo caso riscontrato in Veneto –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di rafforzare, in assenza di vaccini, la profilassi e soprattutto l'informazione nei confronti dei cittadini in merito a detto virus considerata anche la necessità di prevenire eccessi di allarmismo. (5-08139)


   SILVIA GIORDANO, L'ABBATE, LOREFICE, DI VITA, BARONI, MANTERO e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le direttive 75/362/CEE e 75/363/ CEE del Consiglio, del 16 giugno 1975, e 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982 (in seguito coordinate dalla direttiva 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993) in materia di formazione dei medici specialisti e dei corsi per il conseguimento dei relativi diplomi, hanno prescritto che le attività di formazione, sia a tempo pieno, sia a tempo ridotto, siano oggetto di «adeguata remunerazione» ed i relativi titoli siano riconosciuti presso tutti gli Stati membri. L'articolo 16 della citata direttiva 82/76/CEE aveva indicato il 31 dicembre 1982 quale termine ultimo di attuazione delle stessa, in osservanza degli articoli 5 e 189, terzo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea;
   la direttiva 82/76/CEE è stata recepita dall'Italia solo nel 1991, con il decreto legislativo 8 agosto 1991, n.257, dunque i medici che hanno frequentato i corsi di specializzazione dal 1982 al 1991 non hanno percepito alcuna remunerazione;
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 257 del 1991 disponeva una borsa di studio annuale di lire 21.500.000, in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione a decorrere dall'anno accademico 1991-1992, senza nulla riconoscere ai medici immatricolatisi alla specializzazione negli anni accademici antecedenti;
   la Corte di giustizia europea (sentenza del 25 febbraio 1999 e 31 ottobre 2000), ha affermato il diritto alla remunerazione anche in favore dei medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione dopo il 1982, termine ultimo fissato dalla predetta direttiva, ai fini della sua attuazione da parte dei singoli Stati;
   sulla scorta della Corte di giustizia europea, si sono susseguite diverse sentenze che hanno riconosciuto il diritto dei medici italiani che hanno frequentato le scuole di specializzazione tra gli anni 82/83 e 90/91, ad ottenere dallo Stato italiano il pagamento ad «una adeguata remunerazione» (Cassazione, III Civile, 7630/2003; n. 3283/08; Tribunale di Roma, n. 24828/2006; CDS Sez. VI, 4954/04 ed altre);
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 257 del 1991, oltre alla borsa di studio di lire 21.500.000 annuali aveva previsto che tale importo venisse annualmente, a partire dal 1o gennaio 1992, incrementato del tasso programmato d'inflazione e rideterminato, ogni triennio, con decreto del Ministro della sanità, di concerto con i Ministri dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica e del tesoro, in funzione del miglioramento stipendiale tabellare minimo previsto dalla contrattazione relativa al personale medico dipendente del Servizio sanitario nazionale;
   in data 5 aprile 1993 è stata approvata la direttiva 93/16/CEE del Consiglio, che sostituiva in materia le precedenti, attuata nel nostro ordinamento con sette anni di ritardo, attraverso il decreto legislativo del 17 agosto 1999, n. 368, il quale modificava l'assetto normativo instaurato dal precedente decreto legislativo n. 257 del 1991, abrogandolo. In particolare, l'articolo 37, comma 1, prevedeva che al medico in formazione specialistica, per tutta la durata legale del corso, dovesse essere corrisposto un trattamento economico annuo, onnicomprensivo, a scadenze mensili, determinato con decreto ministeriale, ogni tre anni (articolo 39). In tale quadro i datori di lavoro (università e regione) avrebbero dovuto corrispondere una contribuzione mensile nella misura del 75 per cento di quella ordinaria per il settore sanitario;
   le disposizioni di cui agli articoli 39 e 41 (relative alla parte economica) sono rimaste sospese fino all'entrata in vigore della legge 23 dicembre 2005, n. 266 che, all'articolo 1, comma 300, stabiliva che le disposizioni di cui agli articoli da 37 a 42 del decreto legislativo n. 368 del 1999 si dovessero applicare a decorrere dall'anno accademico 2006-2007;
   infine, successivamente, è stata emanata la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, che abrogava e sostituiva la citata direttiva 93/16/CE; tale direttiva è stata recepita con la legge 6 febbraio 2007, n. 13 (legge comunitaria 2006) e con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206;
   il complesso quadro normativo esposto ha determinato che, solamente a partire dall'anno accademico 2006-2007, ai laureati in medicina vincitori di concorso sono stati assegnatari di un contratto di formazione specialistica per l'intera durata del corso e di un trattamento economico pari ad euro 25.000 per i primi due anni accademici e ad euro 26.000 per gli ultimi tre, nonché il diritto alla copertura previdenziale e alla maternità. Al contrario, i laureati medici che si sono iscritti al corso in anni accademici precedenti, sebbene abbiano svolto il loro corso, con modalità identiche, hanno avuto trattamenti remunerativi, contributivi, assistenziali e di riconoscimento di carriera differenti;
   la mancata attuazione nei tempi previsti della direttiva 93/16/CEE ha generato negli ultimi anni un secondo fronte giudiziario, tra gli iscritti ai corsi di specializzazione tra il 1994 e il 2006 a cui sono state erogate le borse di studio, ma senza il pagamento degli oneri previdenziali e della copertura assicurativa dei rischi professionali e degli infortuni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda assumere iniziative dirette a riconoscere la corresponsione ai medici che ne hanno diritto, di un congruo indennizzo per quanto loro dovuto e previsto dalla normativa europea e nazionale, secondo principi di equità e giustizia, anche al fine di risolvere definitivamente l'enorme contenzioso apertosi tra i medici, che non hanno visto riconoscersi un loro legittimo diritto, e lo Stato italiano.
(5-08142)


   PAOLO BERNINI, BENEDETTI, MANTERO, NESCI e GALLINELLA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la detenzione di crostacei vivi sul ghiaccio e con le chele legate e delle anguille configura reato di maltrattamento animale, sia che siano essi detenuti in pescheria che nei supermercati e ristoranti, ai sensi dell'articolo 544-ter del codice penale e del 727 del codice penale (magistrato Santoloci http://www.dirittoambiente.net);
   tale previsione giuridica è per altro sostenuta ampiamente dal parere scientifico del Centro di referenza per il benessere degli animali – parere del 29 luglio 2007-Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell'Emilia Romagna (autore: Paolo Candotti http://www.izsler.it)
   la sofferenza a cui sono sottoposti aragoste, astici e altri crostacei sul letto di ghiaccio e anche le anguille durante la fase di commercializzazione è pratica purtroppo ancora assai diffusa in moda ubiquitario sul territorio e per questo numerose sono le denunce delle associazioni animaliste e dei cittadini e le richieste di intervento pervenute agli interroganti che, in una ricerca dettagliata, ha verificato anche l'esistenza di un vero e proprio report/video inchiesta a cura di Saverio Tommasi «Considerando l'aragosta» (http://www.saveriotommasi.it) –:
   se il Ministro della salute non ritenga opportuno rammentare con specifica nota, quali siano le indicazioni del Centro di referenza per il benessere degli animali in materia diramandola a tutte le autorità interessate e alle forze dell'ordine che – tutte – per legge sono competenti in materia di prevenzione e repressione dei reati in danno agli animali, con la finalità di riepilogare quali siano le normative vigenti e ribadire la necessità del rispetto e della corretta applicazione delle stesse;
   se il Ministro della salute non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di divulgare le informazioni sopra descritte a tutti i veterinari asl che hanno il compito di vigilare negli esercizi commerciali, siano essi ristoranti, pescherie o supermercati;
   se il Governo non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, efficaci e puntuali controlli a tappeto nelle numerose attività che commercializzano i crostacei e le anguille per agire immediatamente dando un forte segnale contro il perpetrarsi di un reato tanto crudele quanto tristemente comune. (5-08145)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da fonti giornalistiche (Il Fatto Quotidiano del 3 marzo 2016) che Fondi italiani per le infrastrutture (F2i) si prepara a rilevare dai francesi di Ardian il 46,7 per cento di Kos;
   le stesse fonti riportano che il consiglio di amministrazione di F2i firmerà un'intesa che stabilisce il valore del gruppo Kos in circa 840 milioni di euro, pari a dodici volte il margine operativo lordo registrato l'anno scorso (circa 70 milioni di euro). Risulta inoltre che, nel 2014, le attività del gruppo Kos sono fruttate 392,4 milioni di ricavi e 12,3 di utile, saliti a 13,3 nei primi nove mesi del 2015;
   si apprende, attraverso il sito istituzionale di F2i, che tra i propri soggetti sponsor siano presenti sia «Cassa Depositi e Prestiti» che «Ardian»;
   Cassa depositi e prestiti (CDP) è una società per azioni a controllo pubblico: il Ministero dell'economia e delle finanze detiene l'80,1 per cento del capitale; il 18,4 per cento è posseduto da un nutrito gruppo di fondazioni di origine bancaria; il restante 1,5 per cento è costituito da azioni proprie;
   Ardian è una società d'investimento con 50 miliardi di dollari in gestione o oggetto di consulenza in Europa, Nord America e Asia;
   Kos è un gruppo privato che opera nel settore della salute e della cura delle persone. Il suo obiettivo — si apprende attraverso il sito istituzionale – è quello di essere attore di innovazione e soggetto erogatore di servizi personalizzati e di qualità, anche al fianco della sanità pubblica. Il gruppo Kos è controllato dal Cir (Compagnie industriali riunite) holding della famiglia De Benedetti e gestisce 79 strutture in Italia, tra cui 52 residenze per anziani, 30 service di diagnostica e terapia, 24 centri ambulatoriali, 11 centri di riabilitazione e altrettante comunità terapeutiche psichiatriche;
   la legge 6 agosto 2015, n. 125 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, prevede, all'articolo 9-bis, la razionalizzazione e l'efficientamento della spesa del servizio sanitario nazionale per un importo pari a non meno di 2,352 miliardi di euro;
   il decreto del Ministero della salute del 2 aprile 2015, n. 70 che pone il regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, prevede l'efficientamento dei servizi sia pubblici che privati;
   secondo i dati forniti dalla Fondazione Gimbe, l'Italia è l'ultima fra i Paesi del G7 per spesa sanitaria totale e per spesa pubblica, ma seconda per spesa out of pocket, cioè a carico dei cittadini. Solo negli Stati Uniti si spende più che in Italia;
   la relazione sugli andamenti della finanza territoriale, esercizio 2014, della Corte dei conti evidenzia che i tagli al finanziamento del fabbisogno del sistema sanitario gestito dalle regioni per complessivi 17,5 miliardi di euro nel periodo compreso tra il 2009 e il 2015;
   il comma 568 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 individua per il 2016 in 111.000 milioni di euro il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard, cui concorre lo Stato, come stabilito dall'articolo 1, commi 167 e 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e dall'articolo 9-septies, comma 1, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125;
   il comma 553 dell'articolo della legge 28 dicembre 2015 n. 208 indica come: «In attuazione dell'articolo 1, comma 3, dell'atto per la salute 2014-2016, approvato con l'intesa tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 10 luglio 2014, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e dall'articolo 9-septies del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2015, n. 125, e in misura non superiore a 800 milioni di euro annui, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, si provvede all'aggiornamento del decreto del Presidente del consiglio dei ministri 29 novembre 2001, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, recante «Definizione dei livelli essenziali di assistenza», nel rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica;
   il comma 553 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 indica come: «In deroga a quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2015, in attuazione dell'articolo 4, comma 10, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, gli enti del Servizio sanitario nazionale possono indire, entro il 31 dicembre 2016, e concludere, entro il 31 dicembre 2017, procedure concorsuali straordinarie per l'assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, necessario a far fronte alle eventuali esigenze assunzionali emerse in relazione alle valutazioni operate nel piano di fabbisogno del personale secondo quanto previsto dal comma 541.»;
   un recente articolo pubblicato su e Sole24ore riporta come il Ministero dell'economia e delle finanze abbia dato il via libera al nuovo piano nazionale vaccini per gli anni 2016-2018. Ciò comporta un incremento della spesa valutato in 300 milioni di euro l'anno –:
   quali iniziative di competenza il Ministro della salute intenda intraprendere volte a fermare il depauperamento del sistema sanitario nazionale pubblico che condiziona i cittadini ad usufruire di servizi sanitari attraverso strutture private, rendendo queste ultime attraenti per investimenti addirittura per società controllate, indirettamente, dallo Stato;
   se il Governo sia a conoscenza del progetto di acquisizione da parte di Cassa depositi e prestiti, sebbene attraverso F2i, del gruppo Kos e se ritenga congrua l'offerta anche alla luce delle recenti iniziative volte alla riorganizzazione del sistema sanitario approvate dal Parlamento;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito all'eventuale conflitto di interesse nell'operazione di acquisizione del gruppo Kos da parte di F2i, considerata anche la concomitante presenza tra i partner di F2i sia della società Cassa depositi e prestiti, che della società Ardian.  (5-08148)


   NESCI, DIENI, PARENTELA e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Irccs «Istituto Nazionale dei Tumori» (Int) rappresenta nel nostro Paese un polo di eccellenza per le attività di ricerca pre-clinica, traslazionale e clinica, e di assistenza dei malati oncologici, coordinando le strutture pubbliche e private accreditate operanti in regione Lombardia. Il consiglio di amministrazione è composto da sette componenti, di cui quattro designati dal presidente della regione Lombardia, uno dal Ministero della salute, uno dal sindaco di Milano ed uno dai soggetti partecipanti, ove presenti;
   in data 12 marzo 2016, da numerose fonti di stampa, si apprende che l'unica nomina di competenza del Ministro della salute è ricaduta sull'avvocato trentaseienne Andrea Gentile, figlio dell'attuale sottosegretario al Ministero dello sviluppo economico, già eletto al senato della Repubblica per il «Popolo delle Libertà» e successivamente passato al partito politico denominato «Nuovo Centrodestra» (NCD), di cui è anche coordinatore regionale per la regione Calabria;
   la suddetta nomina ha suscitato l'indignazione del mondo medico, motivata dal fatto che l'avvocato Gentile non avrebbe praticamente alcuna competenza sanitaria. Sul quotidiano « La Repubblica» del 14 marzo 2016, un articolo della giornalista Tiziana De Giorgio raccoglie l'unanime bocciatura espressa da diversi medici lombardi, tra cui sono citate le prese di posizione di Pier Mannuccio Mannucci (direttore scientifico fino allo scorso dicembre della Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico), Alberto Scanni (famoso oncologo milanese, nonché primario emerito del Fatebenefratelli) e Maurizio Mari (direttore generale della Fondazione Cerba e braccio destro di Umberto Veronesi), i quali affermano che «una persona così discussa in un posto in ogni caso delicato non può che amareggiare. [...] Se è così che cambiano i tempi non siamo messi bene [...]», parlando anche di «[...] nomina legata a questioni di partito [...]»;
   la nomina in questione ha suscitato aspre critiche perfino nell'area politica che sostiene il Governo, tanto che il segretario del Partito democratico della regione Lombardia, Alessandro Alfieri, sempre su « La Repubblica» del 14 marzo 2016 dichiarava che «Il suo curriculum parla da sé. Dove sono le competenze richieste per ricoprire questo ruolo ? Questa scelta è un grave errore che la Lombardia non si può accollare»;
   la carente competenza medica dell'avvocato Gentile parrebbe d'altronde suffragata per gli interroganti dalla visione del curriculum vitae dello stesso, liberamente visionabile sul sito internet affaritaliani.it, allegato all'articolo succitato del 14 marzo 2016. Inoltre, sul sito repubblica.it, il 12 marzo 2016, è riporta e la notizia che Andrea Gentile in passato è stato presidente dell'organismo di vigilanza dell'Unicef-Italia e in Sacal, la società aeroportuale che gestisce lo scalo di Lamezia Terme, ma «non vanta ampia esperienza in campo sanitario»; è inoltre aggiunto che «nel 2014 Gentile junior è stato iscritto sul registro degli indagati per truffa, associazione per delinquere e altri reati per gli incarichi di consulenza ricevuti dall'Asp di Cosenza. Nel giro di un anno la sua posizione è stata archiviata»;
   la sopracitata vicenda ha comportato peraltro il coinvolgimento dello stesso Andrea Gentile, che è stato iscritto nel registro degli indagati nell'ambito di un'altra inchiesta aperta dalla procura della Repubblica di Cosenza, riguardante le presunte pressioni sul direttore del quotidiano « Calabria Ora», Luciano Regolo, da parte dell'editore Alfredo Citrigno e dello stampatore Umberto De Rose per impedire la pubblicazione della notizia riguardante la citata inchiesta a carico di Andrea Gentile, la cui posizione venne comunque archiviata;
   da ultimo, l'avvocato Gentile risulta citato in una ulteriore inchiesta, questa volta della procura della Repubblica di Catanzaro, nell'ambito della quale sarebbe emerso che da presidente della principale controllata regionale calabrese, Fincalabra, il citato Umberto De Rose aveva assegnato proprio all'avvocato Gentile una consulenza da circa 38.000 euro, secondo la procura «in assenza di alcun avviso pubblico e in assenza di alcun metodo di valutazione comparativo tra le offerte presentate e quindi in violazione dei principi di pubblicità, trasparenza e imparzialità», ipotesi poi smentita dal giudice dell'udienza preliminare, per il quale non sarebbe stato commesso alcun reato (si veda al proposito la notizia pubblicata sul sito repubblica.it, del 12 marzo 2016);
   quali valutazioni il Ministro interrogato abbia svolto ai fini della nomina dell'avvocato Andrea Gentile per l'incarico di cui in premessa;
   se non reputi che per tutelare la salute dei cittadini e valorizzare pienamente le eccellenze in campo sanitario, come quella dell'Istituto nazionale tumori, soprattutto con riferimento ad incarichi chiave che contribuiscono tra l'altro a prendere le decisioni strategiche per il futuro dell'istituto stesso, sarebbe opportuno investire in professionalità con esperienza pluriennale sul campo e libere da legami politici, nonché da coinvolgimenti di qualsiasi natura in vicende giudiziarie. (5-08160)

Interrogazione a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la regione siciliana con legge n. 24 del 9 ottobre 2015 ha statuito l'accorpamento dell'ospedale Piemonte di Messina all'IRCCS Neurolesi «Bonino-Pulejo», nell'ambito di un progetto di fusione, le cui direttive sono state impartite dal Ministero della salute, con lo scopo primario di salvaguardare il pronto soccorso generale dello storico ospedale Piemonte di Messina, destinato alla chiusura in applicazione al decreto-legge Balduzzi n. 158 del 10 novembre 2012;
   l'assemblea regionale siciliana in data 15 febbraio 2016 ha emendato la legge n. 24 concedendo ulteriori trenta giorni per l'attuazione della medesima legge che ne prevedeva 120, previo parere del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'assessore regionale alla salute pubblica ha sottoscritto i decreti attuativi in data 25 febbraio 2016 mentre la Commissione parlamentare regionale alla sanità ha espresso parere positivo;
   la Presidenza della regione siciliana ha inviato i decreti attuativi al Ministero della salute e al Ministero dell'economia e delle finanze per l'emissione dei relativi pareri così come indicato nella medesima legge della regione siciliana n. 24;
   in attesa dei pareri le due strutture accorpate non possono dare «vita» alla nuova struttura ospedaliera con conseguenze immaginabili per l'efficienza dei servizi resi alla collettività specie in riferimento al pronto soccorso generale dell'ospedale Piemonte, che dipende formalmente dall'azienda sanitaria Papardo-Piemonte;
   la situazione di incertezza ha sicuramente un impatto negativo sulla collettività e soprattutto su personale medico e paramedico dell'ospedale Piemonte;
   si rende pertanto improcrastinabile l'emissione dei pareri al fine di salvaguardare una struttura ospedaliera come il Piemonte la cui posizione, collocata al centro della città di Messina, è strategica rispetto alla presenza di un pronto soccorso generale efficiente –:
   quali iniziative urgenti intendano adottare al fine di rendere quanto più celere possibile l'emissione dei pareri indicati nella legge n. 24 del 9 ottobre 2015 della regione siciliana. (4-12544)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   GINEFRA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), così recita: «Il presente codice disciplina i contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto l'acquisizione di servizi, prodotti, lavori e opere»;
   il successivo articolo 2, al comma 3, così precisa: «I “contratti” o i “contratti pubblici» sono i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l'acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l'esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori»;
   l'articolo 5, comma 1, del medesimo codice così sancisce: «Lo Stato detta con regolamento la disciplina esecutiva e attuativa del presente codice in relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti statali e, limitatamente agli aspetti di cui all'articolo 4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra amministrazione o soggetto equiparato»; ed al successivo comma 5: «Il regolamento, oltre alle materie per le quali è di volta in volta richiamato, detta le disposizioni di attuazione ed esecuzione del presente codice, quanto a: (...) r) intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza retributiva e contributiva dell'appaltatore (...)»;
   il regolamento, come noto, è stato adottato con decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010;
   per quanto di stretto interesse, le amministrazioni e gli enti non statali devono applicare le disposizioni comuni di cui alla parte I del regolamento (articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010) ed indi l'articolo 5 che così recita: «Per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture, in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al personale dipendente dell'esecutore o del subappaltatore o dei soggetti titolari di subappalti e cottimi di cui all'articolo 118, comma 8, ultimo periodo, del codice impiegato nell'esecuzione del contratto, il responsabile del procedimento invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l'esecutore, a provvedervi entro i successivi quindici giorni. Decorso infruttuosamente il suddetto termine e ove non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine sopra assegnato, i soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), possono pagare anche in corso d'opera direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate detraendo il relativo importo dalle somme dovute all'esecutore del contratto ovvero dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto ai sensi degli articoli 37, comma 11, ultimo periodo e 118, comma 3, primo periodo, del codice;
   i pagamenti, di cui al comma 1, eseguiti dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), sono provati dalle quietanze predisposte a cura del responsabile del procedimento e sottoscritte dagli interessati;
   nel caso di formale contestazione delle richieste di cui al comma 1, il responsabile del procedimento provvede all'inoltro delle richieste e delle contestazioni alla direzione provinciale del lavoro per i necessari accertamenti.»;
   secondo il costante pronunciamento della giurisprudenza amministrativa (da ultimo ed in parte motiva Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza 13 gennaio 2016, n. 77.) «il sistema dell'accreditamento non si sottrae al preminente esercizio del potere autoritativo e conformativo dell'amministrazione, che si qualifica di natura concessoria ed assolve la funzione di ricondurre in un quadro di certezza il volume e la tipologia dell'attività del soggetto accreditato, il cui concorso con le strutture pubbliche nelle prestazioni di assistenza non avviene in un contesto di assoluta libertà di iniziativa e di concorrenzialità, ma – nella misura in cui comporta una ricaduta sulle risorse pubbliche – soggiace alla potestà di verifica sia tecnica che finanziaria della regione ed a criteri di sostenibilità, nei limiti di spesa annuali (Consiglio di Stato, III, 27 aprile 2015, n. 2143). In tale sistema, in base alla vigente normativa, i rapporti tra il servizio sanitario nazionale e le strutture private accreditate sono regolati:
    A) da una fase, programmatica ed unilaterale, affidata alla regione;
    B) da una fase contrattuale con le singole strutture, affidata alla regione ed alle A.U.S.L., in assenza della quale le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale non sono tenuti a corrispondere la remunerazione per le prestazioni erogate (cfr. articolo 8-quater, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nel testo introdotto dall'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229);
   in particolare, la seconda di dette fasi trova la sua fonte normativa nell'articolo 8-quinquies del decreto legislativo n. 502 del 1992, che pone il rapporto di accreditamento su una base strettamente negoziale, sì che al di fuori del contratto la struttura accreditata non è obbligata ad erogare prestazioni agli assistiti del servizio sanitario regionale (Cons. St., III, 3 ottobre 2011, n. 5427);
   al descritto quadro normativo nazionale si affianca, per quanto più da vicino concerne la fattispecie all'esame, quello della regione Puglia, che attribuisce alla giunta regionale la disciplina dei rapporti di cui all'articolo 8-quinquies del decreto legislativo n. 502 del 1992 mediante uno schema tipo di accordo contrattuale con il quale si stabiliscono l'indicazione delle quantità, delle tipologie di prestazioni da erogare, delle tariffe e le modalità delle verifiche e dei controlli rispetto alla qualità delle prestazioni erogate (articolo 22, comma 8, della legge regionale 28 maggio 2004, n. 8)»;
   la funzione pubblica CGIL di Bari in qualità di portatrice dell'interesse diffuso di tutti i lavoratori dipendenti da datore di lavoro accreditato/convenzionato con il sistema sanitario (la s.p.a. GMS di Capurso -BA-) ha segnalato che i lavoratori della suddetta azienda, pur avendo regolarmente prestato attività di lavoro, non hanno percepito la retribuzione relativa ai mesi da dicembre 2015, gennaio e febbraio 2016;
   l'inadempimento sarebbe conclamato, stante quanto riferito dal datore in sede di confronto tra azienda, sindacati, soggetto accreditante (regione Puglia) e soggetto committente la prestazione sanitaria (ASL BA);
   la GMS spa gestisce il «presidio di riabilitazione Padre Pio» in Capurso (Bari) alla via San Carlo, 64, accreditato:
    a) alla erogazione di prestazioni specialistiche di riabilitazione ex articolo 26 della legge n. 833 del 1978 in virtù della D.D n. 272/2005, D.D. n. 254/2006 e D.D. n. 256/2006;
    b) alla erogazione di prestazioni di riabilitazione domiciliare in virtù della D.D. n. 235/2012, D.D. n. 67/2014 e D.D. n. 300/2015. Le prestazioni sanitarie, istituzionalmente demandate (rectius acquistate) alla GMS spa sin dal 2005 e regolamentate da specifiche convenzioni sottoscritte anno per anno con la ASL BA (da ultimo quelle relative all'anno 2015 per l'importo complessivo del tetto di spese atto a remunerare le prestazioni rese pari ad euro 5.702.037,53), sono quelle contemplate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 n. 1985 che definisce, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 e successive modificazioni e integrazioni e dell'articolo 6 del decreto-legge 18 settembre 2001 n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001 n. 405, i cosiddetti LEA - livelli essenziali di assistenza sanitaria;
   la GMS spa, al fine di garantire la corretta erogazione delle prestazioni sanitarie rese per conto e a carico del servizio sanitario nazionale in favore dei cittadini, anche nel rispetto dei requisiti occupazionali obbligatori previsti dalla regolamentazione regionale, deve occupare ed occupa circa 160 dipendenti;
   data la situazione su descritta, ad avviso dell'interrogante, di manifesto inadempimento del datore di lavoro, e l'esistenza di un rapporto (tra pubblica amministrazione e datore) riconducibile alle commesse pubbliche, la già ricordata organizzazione sindacale, con nota dell'11 febbraio 2016 (controfirmata dai lavoratori e diretta all'affidante ASL BA) ha chiesto l'intervento sostitutivo della ASL, ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 2010, ed, in ogni caso, di onorare il predetto obbligo retributivo ex articolo 1676 c.c.;
   la richiesta non ha avuto esito alcuno, benché debba essere riferito che in vicenda analoga (sempre riguardante l'inadempimento della datrice struttura sanitaria accreditata/convenzionata) la Asl BA, nel richiamare la pronuncia della Corte costituzionale n. 290/2013, abbia rigettato la medesima richiesta avanzata sul presupposto che l'istituto dell'intervento sostitutivo è disciplinato dal regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, non applicabile alle strutture private accreditate ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 502 del 1992;
   proprio la Corte Costituzionale nella sentenza n. 290/13, da un lato, dichiara l'illegittimità della normativa adottata dalla regione Basilicata disciplinante l'intervento sostitutivo della ASL in caso di mancato pagamento delle retribuzioni da parte delle strutture private accreditate/convenzionate dall'altro, sancisce l'inutilità di una siffatta normativa, posto che sussiste nel nostro ordinamento una disposizione «di carattere generale (n.d.e. articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010) – a sua volta operante in regime di specialità rispetto al codice civile – per i contratti pubblici, attraverso la quale lo Stato, in virtù della propria potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile, ha già predisposto una tutela necessariamente uniforme sul territorio nazionale per i prestatori che rimangono vittime della inadempienza dei soggetti affidatari di commesse pubbliche»;
   secondo la FP CGIL il pronunciato dalla Corte sarebbe così reso proprio in ragione della chiara (e di generale portata) disciplina di legge ricordata in premessa; disciplina pienamente applicabile alla vicende contrattuale che lega l'azienda sanitaria e la struttura accreditata/convenzionata –:
   se sia informato di quanto riportato in narrativa;
   se non ritenga opportuno, anche a fronte della già richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 290/13, assumere iniziative, anche normative, per precisare, se del caso con il coinvolgimento della  Conferenza Stato-regioni, l'obbligatorietà dell'intervento sostitutivo della ASL in caso di mancato pagamento delle retribuzioni da parte delle strutture private accreditate/convenzionate garantendo una tutela necessariamente uniforme sul territorio nazionale per i prestatori che rimangono vittime della inadempienza dei soggetti affidatari di commesse pubbliche. (4-12553)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PIZZOLANTE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il carburante a base di metano viene attualmente commercializzato con la sigla CNG (Compressed natural gas, gas naturale compresso), una miscela compressa a 220 bar, che i distributori di metano prelevano in genere direttamente dalla rete che fornisce anche le utenze domestiche, invece che rifornirsi attraverso autocisterne come avviene per i carburanti liquidi. Questa circostanza risulta determinante per la diffusione degli impianti, che devono prevedere i costi di allaccio ai metanodotti. L'adozione di metano Gnl (Gas naturale liquefatto), frutto della liquefazione alla temperatura di –162o del Cng, consentirebbe di non dipendere dai metanodotti, essendo il Gnl trasportabile su gomma e via mare e stoccato in serbatoi criogenici fuori terra, che lo mantengono in forma liquida. Le stazioni di rifornimento di Gnl, oltre a presentare minori costi di installazione, sarebbero anche più economiche sotto il profilo della manutenzione perché non hanno bisogno dell'elettricità che il, Cng richiede per comprimere il metano (circa 0,07 /kg). Le stazioni di rifornimento Gnl presentano, inoltre considerevoli vantaggi sotto il profilo della sicurezza e sarebbero perfettamente integrabili con quelle che erogano carburanti tradizionali; la trasportabilità del Gnl, infine, è già oggi assicurata da moderne autocisterne, che hanno mediamente una capacità di 52.000 litri e possono dunque garantire rifornimenti adeguati e tempestivi;
   pertanto, la progressiva adozione di metano Gnl per la mobilità rappresenterebbe una soluzione di grande efficacia nella prospettiva della riduzione dell'impatto ambientale della circolazione veicolare e dei trasporti;
   nel giugno 2015 il Ministero per lo sviluppo economico ha presentato il «Documento di consultazione pubblica per la strategia nazionale sul GNL», redatto da un gruppo di lavoro coordinato dal lo stesso Ministero dello sviluppo economico (cui hanno partecipato vari Ministeri, associazioni, stakeholders ed enti come l'Enea, Rina, Cig) e che ha raccolto ulteriori pareri di operatori del settore e associazioni ambientaliste; il documento è finalizzato alla definizione, entro la fine del 2015, di una strategia nazionale del Gnl che indichi obiettivi concreti da conseguire e le misure previste per la loro attuazione e adozione da parte dei Ministeri interessati;
   il documento è di particolare rilevanza perché contiene una serie di impegni assunti dal Governo in sede parlamentare, a partire dall'affermazione che «il Governo Italiano si è impegnato in sede parlamentare [Odg G1.92 (già em. 1.92) ai lavori di conversione in legge del decreto-legge n. 145 del 2013 – «Destinazione Italia»] ad, adottare iniziative per la realizzazione di centri di stoccaggio e ridistribuzione nonché norme per la realizzazione dei distributori di Gnl, in tutto il territorio nazionale, anche al fine di ridurre l'impatto ambientale dei motori diesel nel trasporto via mare e su strada»;
   la legge di delegazione europea 2014, ha recepito la direttiva 2014/94/EU sullo sviluppo dell'infrastruttura per i combustibili alternativi (Dar), che prevede che gli Stati membri producano piani di sviluppo delle diverse fonti alternative per il settore dei trasporti entro il 2016. Sul versante specifico del trasporto su strada, la Dafi prevede che, entro il 31 dicembre 2025, gli Stati membri realizzino un numero adeguato di punti di rifornimento Gnl, accessibili al pubblico, «almeno lungo la rete centrale della TEN-T (« Trans-European Transport Network»), al fine di assicurare la circolazione in tutta l'Unione dei veicoli pesanti alimentati a Gnl. Gli Stati Membri sono tenuti inoltre a favorire un sistema di distribuzione adeguato per la fornitura di Gnl nel rispettivo territorio, comprese le strutture di carico per i veicoli cisterna di Gnl.» La strategia dell'Unione europea riguarderà anche «le infrastrutture di trasporto necessarie a collegare i punti di accesso del Gnl con il mercato interno, il potenziale di stoccaggio del gas in Europa e il quadro normativo necessario per garantire gas sufficiente negli stoccaggi per l'inverno. La CE si adopererà anche per rimuovere gli ostacoli alle importazioni di Gnl dagli Stati Uniti e dagli altri produttori di Gnl.»;
   il documento del Ministero dello sviluppo economico, ribadisce, inoltre, l'assoluta necessità di lanciare una strategia complessiva sul Gnl estesa sull'intero territorio nazionale, giacché soluzioni limitate ad aree specifiche del Paese non sarebbero giustificate in termini di mercato e non garantirebbero il ritorno economico degli investimenti necessari, oltre al fatto che i vantaggi saranno tanto più rilevanti per il sistema Paese quanto maggiore sarà la diffusione del Gnl, come carburante e combustibile, rappresentando esso un utile contributo al miglioramento delle qualità ambientali (le analisi svolte nella redazione del documento evidenziano che l'impiego del Gnl) in alternativa ai combustibili attuali consente un contenimento del particolato fino al 90 per cento. «Il documento del Ministero dello sviluppo economico, pertanto, ritiene l'uso di Gnl «coerente» con gli obiettivi posti dalla Strategia energetica nazionale;
   è da sottolineare, infine, l'impatto che lo sviluppo della distribuzione del Gnl, in Italia, può avere sull'economia industriale del Paese, attraverso l'impulso ai settori delle costruzioni metalmeccaniche specializzate nell'impiego di acciai speciali, oltre che a quelli della progettazione e realizzazione di impianti di stoccaggio e distribuzione di liquidi criogenici, la cantieristica navale, all'industria automobilistica e al suo indotto, e alla industria dell'approvvigionamento e della distribuzione –:
   alla luce delle considerazioni espresse nel documento di consultazione pubblica per la strategia nazionale sul Gnl, della letteratura scientifica in materia e delle analisi sperimentali effettuate sui benefici ambientali che deriverebbero dall'adozione su larga scala del gas liquefatto come combustibile per la mobilità urbana ed extraurbana, quali nell'immediato per il potenziamento della rete distributiva di suo uso nel settore dei trasporti e della logistica. (5-08135)


   DE LORENZIS, TONINELLI, VILLAROSA, RIZZO, MARZANA, D'UVA, DI VITA, LUPO, GRILLO, CANCELLERI, LIUZZI, DI BENEDETTO e NUTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione del decreto ministeriale 17 aprile 2015 relativo alla revoca del diritto d'uso delle frequenze a suo tempo assegnate ad alcune imprese televisive locali il cui programma (master plan) prevede per la regione Sicilia il totale spegnimento degli impianti ivi indicati nelle giornate 7, 8 e 9 marzo 2016;
   la direzione generale per i servizi comunicazione elettronica di radiodiffusione e postali – divisione IV – (DGSCERP) – in data 2 marzo 2016, a mezzo PEC, intima alle emittenti inserite nel master plan di disattivare i predetti impianti, pena l'applicazione dell'articolo 98 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003) il quale prevede la reclusione fino a diciotto mesi oltre a sanzioni amministrative fino a 250.000 euro;
   alla data della predetta, improvvisa, intimazione la direzione in questione ad avviso degli interroganti ha ignorato la delibera dell'AGCOM n. 622/CONS/15 che impone di pubblicare l'elenco degli operatori di rete in esercizio obbligati a veicolare, a prezzi ridotti, i fornitori di contenuti provenienti dalle frequenze dismesse;
   la dismissione immediata ordinata dalla direzione del Ministero dello sviluppo economico comporterà l'inevitabile licenziamento in tronco di circa 150 dipendenti i quali rimarrebbero senza tutele retributive, previdenziali, assistenziali e sindacali previste dalla legislazione sul lavoro e dai contratti collettivi di lavoro;
   il provvedimento della direzione del Ministero dello sviluppo economico si interseca con l'esame di merito da parte del TAR del Lazio nell'udienza già fissata per il 20 aprile 2016 relativamente al ricorso RG 16283/2014 proposto dalla REA – Radiotelevisioni europee associate ed altre 18 imprese televisive locali contro AGCOM per l'annullamento della delibera 480/CONS/14 che ha dato origine al provvedimento di spegnimento degli impianti in questione considerati interferenti con i Paesi confinati per non essere stati coordinati dall'amministrazione in violazione degli accordi internazionali –:
   se il Ministro sia a conoscenza del provvedimento che, se confermato, arrecherebbe un notevole danno alle imprese e alle 150 famiglie, messe sul lastrico dalla mattina alla sera, senza aver avuto il tempo necessario per trovare altre soluzioni lavorative per il proprio sostentamento;
   se non ritenga di assumere iniziative per ripristinare un corretto « iter» procedurale nella dismissione degli impianti concordando con le singole imprese radiotelevisive locali, tempi e modalità di cessazione dell'attività, tenendo conto delle particolari situazioni di ciascuna azienda;
   se non ritenga, a tutela del diritto a ricorrere delle imprese coinvolte dal provvedimento, di assumere iniziative per differire i tempi dello spegnimento degli impianti fino al giudizio di merito in sede di TAR già fissato per il 20 aprile 2016. (5-08159)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Paolo Bernini n. 4-09386, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gagnarli.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Artini e altri n. 5-08124, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ottobre.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-12077 del 12 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Zaccagnini n. 4-12526 del 15 marzo 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Pinna e altri n. 4-10617 del 6 ottobre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08150;
   interrogazione a risposta in Commissione Fiano n. 5-07437 del 20 gennaio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02119.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n. 5-06723 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 507 del 21 ottobre 2015. Alla pagina 30021, seconda colonna, alla riga nona, sostituire la parola «Sabroin» con «Sabrom»; alla pagina 30021, seconda colonna, alla riga sedicesima, sostituire la parola «settembre» con «luglio».

  L'interrogazione a risposta scritta Albini e altri n. 4-12487 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 588 dell'11 marzo 2016. Alla pagina 35439, seconda colonna, dalla riga trentaduesima alla riga trentatreesima deve leggersi: «polizze prescritte prima del 30 marzo 2010 non risolve comunque il problema» e non come stampato.