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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 15 marzo 2016

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie della stampa locale della regione Abruzzo, l'Anas, la regione Abruzzo e la Strada dei Parchi spa stanno vagliando l'ipotesi di introdurre una tariffazione nel tratto di strada denominato raccordo autostradale 12 Chieti-Pescara di 14,8 chilometri attualmente gestito dall'Anas;
   tale tratto di strada sembra essere di proprietà dell'ente pubblico-economico denominato Consorzio per lo sviluppo industriale di Pescara e Chieti, ma gestito dall'Anas tramite la sottoscrizione di un verbale di consegna provvisorio che non è mai stato perfezionato in termini di durata e clausole del rapporto;
   la società Strada dei Parchi spa, con nota prot. PR006284/2015 del 9 aprile 2015, ha avanzato alla regione Abruzzo un progetto dimessa in sicurezza di alcuni tratti autostradali, mediante le varianti al tracciato ai fini del rilascio del parere tecnico preliminare, nel territorio abruzzese il progetto in questione prevede la realizzazione delle seguenti varianti:
    1. variante V05 – A24 Carsoli-Torano dal chilometro 46+100,00 al chilometro 73+300,00,
    2. variante V06 – A25 Collarmele-Tocco dal chilometro 107+730,00 al chilometro 153+500,00,
    3. variante V07 – raccordo autostradale A25 – Pescara centro,
    4. variante V08 – adeguamento superstrada strada statale n. 80 (Teramo-mare);
   in data 18 novembre 2009 è stato sottoscritto lo schema di convenzione unica tra Anas e la società Strada dei Parchi spa;
   i tratti autostradali in concessione sono la Roma L'Aquila – Teramo pari a chilometri 159,3, la A24 diramazione grande raccordo anulare – tangenziale est di Roma pari a 7,2 chilometri e la Torano-Avezzano-Pescara di chilometri 114,9. E evidente che risulta alquanto anomalo che la società Strada dei Parchi spa presenti una variante di progetto al raccordo autostradale A25 – Pescara Centro (che, a rigor di logica, non potrebbe che essere per gli interroganti il raccordo autostradale 12 Chieti – Pescara) nonostante non venga gestita dalla stessa;
   il contenuto della nota della regione Abruzzo del luglio 2015, a firma del presidente della regione che risponde alla società Strada dei Parchi spa, avvalora l'ipotesi circa l'eventuale tratto a pagamento di un eventuale raccordo autostradale A24 – Pescara nel seguente passaggio: «..si uniscono alle precedenti criticità anche quelle legate agli aspetti economici connessi alla gestione, alla tariffazione e all'introduzione di nuove tratte di raccordo autostradale con pagamento del pedaggio, tra la A25 e il centro di Pescara»;
   ai sensi del decreto legislativo del 29 ottobre 1999, n. 461, il raccordo autostradale 12 Chieti-Pescara (asse attrezzato Chieti Pescara) è classificato come tratto di strada con estensione pari a 14,8 chilometri e facente parte della rete stradale di interesse nazionale della regione Abruzzo, per cui occorrerebbe una modifica della norma citata per essere annessa ad una gestione autostradale –:
   se esistano iniziative ministeriali per modificare la rete autostradale e, in particolare, inserire il raccordo autostradale 12 CE Chieti-Pescara nella rete autostradale;
   se sulla base delle norme vigenti, sia ipotizzabile che il raccordo autostradale 12 Chieti-Pescara (asse attrezzato Chieti-Pescara) possa essere dato in gestione a Strada dei Parchi spa;
   chi sia l'attuale proprietario del raccordo autostradale 12 Chieti-Pescara, da chi venga gestito e secondo quali regole o convenzioni;
   se esistano iniziative ministeriali o di qualsiasi altro soggetto pubblico e che prevedano un eventuale pedaggio o tariffa per il transito del raccordo autostradale 12 Chieti-Pescara. (3-02108)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblica il settimanale Panorama, il web della pubblica amministrazione non ha semplificato la vita degli italiani;
   l'esperto di Rai1 Marco Camisani Calzolari sostiene che molti siti della pubblica amministrazione che, almeno in teoria, si propongono di facilitare i nostri cittadini, in realtà necessitano di competenze informatiche che molti cittadini non possiedono;
   numerosi sono i casi e gli esempi che il settimanale Panorama riporta nel suo articolo;
   il servizio «denuncia via web» di polizia e carabinieri serve per sporgere una denuncia di furto o smarrimento. Peccato che, una volta compilato il modulo on-line, l'utente scopre che deve andare comunque in caserma per completare tutto l’iter;
   il servizio on-line di richiesta informazioni fiscali ed assistenza all'Agenzia delle entrate è aperto 24 ore su 24. Peccato però che spesso il servizio si blocchi per l'eccessivo numero di richieste da evadere e lo stesso sito consigli di recarsi allo sportello di un ufficio territoriale;
   sempre lo stesso sito dell'Agenzia delle entrate impedisce la fruizione al cittadino che si è malauguratamente dimenticato la password per accedere alla propria «area personale»: prima di essere autorizzati a scegliere una nuova password è necessario inserire la vecchia password;
   per ottenere la certificazione antimafia occorre, oltre ad una fedina penale immacolata, una connessione internet ed un computer obsoleto: l'accesso è consentito a chi usa Windows 7 e versioni antecedenti;
   il comune di Milano, nel 2015, ha chiesto ai propri cittadini di restituire i moduli con i dati catastali obbligatori per la tari «esclusivamente» via fax;
   anche l'Autorità nazionale per la lotta alla corruzione ha trovato il modo per complicare la vita dei concittadini. Grazie al sito dell'Anac si possono richiedere, attraverso un indirizzo mail indicato dallo stesso sito, quei documenti che una qualunque pubblica amministrazione ha l'obbligo di pubblicare e, nell'eventualità che il responsabile Anac del procedimento non risponda, l'Anac consiglia di mandare un'altra mail allo stesso indirizzo che non ha risposto in prima battuta;
   quelle appena descritte sono solo degli esempi, tra i tanti, di cattiva amministrazione digitale che il nuovo commissario per l'innovazione dovrà risolvere –:
   quali siano gli orientamenti e le iniziative del Governo per risolvere la vicenda descritta in premessa. (4-12518)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione dell'ultima legge di stabilità, il bollo che gravava sui veicoli storici con più di 30 anni di asfalto è stato eliminato ma non quello sulle vetture storiche con un'età compresa tra i vent'anni ed i trent'anni;
   molte regioni, però, hanno mantenuto le agevolazioni per auto e moto, a dispetto del fatto che dovrebbe essere il solo Ministero dell'economia e delle finanze a disciplinare il tributo;
   ogni regione italiana ha disciplinato il tributo secondo i più svariati criteri: Lazio, Piemonte e Toscana hanno ridotto il tributo del 10 per cento per le vetture fra i vent'anni ed i trent'anni; la Lombardia ha completamente esentato tale categorie di vetture purché iscritte nei registri storici alla data del 31 dicembre 2015, il Veneto e l'Emilia-Romagna esentano dal bollo auto e moto le vetture dai 20 ai 29 anni; la provincia di Bolzano ha ridotto del 50 per cento il tributo alle vetture ed alle moto con più di 20 anni di età; in Abruzzo, Molise, Campania, Liguria, Puglia, Sardegna e Sicilia si paga il tributo per intero;
   una tale diversità di trattamento, a giudizio dell'interrogante, è inammissibile ed ingiusta nei riguardi di una categoria di contribuenti, i motociclisti e gli automobilisti, già abbondantemente tartassata da altri e parimenti odiosi balzelli –:
   quali siano gli orientamenti e le iniziative del Governo per risolvere la vicenda descritta in premessa. (4-12519)


   COLONNESE, FICO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, BARONI, DI VITA, LOREFICE e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra l'8 e il 9 marzo 2016, Francesca Napolitano una donna di 42 anni muore per problemi al cuore. La paziente era ricoverata in gravissime condizioni all'ospedale San Paolo di Napoli per una miocardite con versamento pericardico (condizione che tiene il cuore stretto in una morsa impedendogli di battere) ed è stata trasferita all'ospedale Monaldi di Napoli solo intorno alle 6 del mattino. Secondo quanto riporta il Mattino, nella notte tra l'8 e il 9 marzo tutte le nove cardiochirurgie campane (cinque pubbliche e quattro private accreditate) non avevano spazio e la donna è morta dopo un'attesa di tre ore. Il polo cardiochirurgico del Monaldi, allertato dal 118 e dallo stesso ospedale San Paolo, più volte aveva rifiutato il ricovero perché le due sale chirurgiche erano entrambe impegnate, una per un trapianto di cuore e l'altra attivata (alle 3 di notte) per un aneurisma dissecante dell'aorta in trasferimento dal Cardarelli. Nonostante questo alle 6 di mattina dal San Paolo, è stato comunque disposto il trasferimento della paziente. Vane sono state la manovre di rianimazione: i sanitari del Monaldi sono intervenuti sulla paziente utilizzando le sale della rianimazione, ma alle 8 del mattino un arresto cardiocircolatorio ha causato il decesso della donna. La salma è stata trasportata alla sala settoriale del policlinico Federico II dove sarà anche effettuata l'autopsia. Una dettagliata relazione dell'accaduto è stata trasmessa dalla direzione del Monaldi agli uffici della regione;
   nell'ambito del provvedimento di riassetto ospedaliero della regione Campania, approvato con decreto n. 49 del 27 settembre 2010 per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario attraverso piani attuativi aziendali, è prevista la rimodulazione della quota dei posti letto programmati, per singole discipline specialistiche, in ragione di una migliore risposta a specifici bisogni assistenziali ed in presenza di maturate professionalità, competenze ed esperienze delle risorse umane disponibili; il nuovo piano sanitario regionale, che riorganizza la rete di assistenza in Campania, prevede proprio il dimezzamento delle neurochirurgie «abilitate» a trattare l'ictus emorragico e a provvedere all'intervento endovascolare;
   dal 25 novembre 2015 va pienamente applicata la direttiva europea 88 del 2003 sull'orario di riposo e di lavoro dei medici (e sanitari) dipendenti: si applicano a pieno titolo anche alla dirigenza sanitaria e ai sanitari tutte le disposizioni di cui al decreto legislativo 66 del 2003 e, in particolare, la previsione dell'articolo 7, comma 1, del decreto, secondo la quale «il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo continuativo, ogni 24 ore». Dal 25 novembre entra in vigore la legge 161 del 2014 il cui articolo 14, comma 1, abroga due precedenti norme italiane, derogatorie dalla direttiva comunitaria in tema di orari e riposi del personale sanitario dipendente, medici e non medici. In dettaglio, si trattava dell'articolo 41, comma 13 (dirigenza sanitaria), della legge n. 133 del 2008 e dell'articolo 17, comma 6-bis (tutto il ruolo sanitario, comparto incluso) del decreto legislativo 66 del 2003;
   sono stati fissati i limiti massimi di ore di lavoro giornaliero:
    rispetto del limite massimo di 12 ore e 50’ di lavoro giornaliero;
    rispetto del limite massimo di 48 ore di durata media dell'orario di lavoro settimanale, compreso lo straordinario;
    rispetto del limite minimo di 11 ore continuative di riposo nell'arco di un giorno;
   per altro, l'articolo 14, comma 3, della legge n. 161 del 2014 dispone che le norme contrattuali (esempio articolo 17, CCNL 2008, area IV) che avevano dato attuazione alle norme ora abrogate cessino di aver applicazione alla stessa data del 25 novembre 2015. La legge 161 del 2014 fornisce precise indicazioni su come si possa assicurare ai lavoratori il pieno rispetto dei diritti in questione, precisando che «le Regioni devono garantire i servizi attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili sulla base della legislazione vigente» e prevedendo «appositi processi di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi dei propri enti sanitari». Ma, se questi sono i principi, la realtà cozza con la politica finanziaria (leggi di stabilità) che ha portato non solo al blocco pluriennale degli organici, ma anche al blocco pressoché totale del turnover, con sostituzione, mediamente di un medico ogni cinque colleghi andati in pensione;
   questo comporta, soprattutto nelle regioni soggette al piano di rientro della spesa sanitaria, mancanza di personale sufficiente per rispettare le pause obbligate e i servizi «h24», 7 giorni su 7. La presenza di sotto-organici ha costretto ad accorpare il personale per l'attività notturna e/o emergenziale e a ridurre l'attività routinaria, sacrificando le prestazioni meno «significative», alias quelle ambulatoriali di reparto, con ulteriore allungamento delle liste di attesa, ma, a quanto emerge, anche l'assistenza in emergenza (pronto soccorso) con evidente carenza di staff medico-sanitario per interventi di chirurgia di emergenza;
   la direttiva è uno degli strumenti giuridici che le istituzioni europee possono utilizzare per attuare le politiche dell'Unione europea (UE). Si tratta di uno strumento flessibile usato principalmente per armonizzare le leggi nazionali. Essa richiede ai Paesi dell'Unione europea di raggiungere determinati risultati, ma li lascia liberi di scegliere le modalità. La direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro impone periodi di riposo obbligatori e un limite sulle ore di lavoro settimanali consentite nell'Unione europea. Tuttavia, sono i singoli Paesi a sviluppare le proprie leggi e a determinare come applicare queste regole;
   l'applicazione, in ritardo di 13 anni, della direttiva europea sull'orario massimo settimanale e sul riposo obbligatorio di 11 ore su 24, arriva però in un Paese impreparato: il rispetto delle norme comunitarie sta facendo esplodere di fatto le carenze degli organici, causando il crollo delle prestazioni non urgenti, consentendo solo interventi chirurgici dilazionati: cosa probabilmente accaduta nell'episodio descritto in premessa –:
   come intendano attivarsi per quanto di competenza, onde monitorare se i servizi sanitari regionali, ivi incluso quello della regione Campania, abbiano verificato l'adeguatezza complessiva dello stato di approntamento ordinario e straordinario rispetto alla ridefinizione degli standard di servizio;
   quali iniziative di competenza intendano assumere, laddove le carenze di organico siano documentate, per risolvere le problematiche che impediscono i servizi di emergenza;
   se intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire il rispetto della norma e ripristinare il pubblico servizio di emergenza;
   quali iniziative di competenza intendano assumere, nel rispetto della «giusta e doverosa» normativa comunitaria, rispetto agli asfittici organici del servizio sanitario nazionale, tutelando il diritto al riposo per evitare errori legati alla stanchezza dei medici e altresì tutelando il diritto dei pazienti di ricevere prestazioni mediche «eccellenti» da parte di medici «non stressati dal lavoro»;
   se non intendano assumere iniziative per prevenire quale unica soluzione rapida e concreta data la carenza di organico visti i vincoli rigidi europei, allo sblocco del turn over, prevedendo l'assunzione di personale, onde evitare episodi come quello esposto in premessa. (4-12527)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
III Commissione:


   ZAMPA, DE MARIA, BENAMATI, FABBRI, FIANO, NARDI, LUCIANO AGOSTINI, ALBINI, AMATO, AMODDIO, ARLOTTI, STELLA BIANCHI, BLAZINA, BARGERO, BARUFFI, BASSO, BECATTINI, BENI, BERGONZI, PAOLA BOLDRINI, BOLOGNESI, BONOMO, BORGHI, BRAGA, CAMPANA, CARLONI, CARNEVALI, CAROCCI, CARRA, CARROZZA, CAUSI, CENNI, CHAOUKI, CIMBRO, COMINELLI, COVA, CRIVELLARI, CULOTTA, CUPERLO, D'OTTAVIO, DALLAI, DAMIANO, DELL'ARINGA, DE MENECH, MARCO DI MAIO, ERMINI, GIANNI FARINA, FEDI, FERRARI, CINZIA MARIA FONTANA, FONTANELLI, FOSSATI, FREGOLENT, GADDA, GARAVINI, GASPARINI, GHIZZONI, GIACOBBE, GNECCHI, GUERRA, IACONO, TINO IANNUZZI, INCERTI, IORI, LAFORGIA, LA MARCA, LENZI, LODOLINI, PATRIZIA MAESTRI, MAGORNO, MALISANI, MANFREDI, MANZI, MARCHI, MARIANI, MAZZOLI, MICCOLI, MIOTTO, MOGNATO, MONACO, MONTRONI, MORETTO, MURER, NARDUOLO, PAGANI, PARRINI, PATRIARCA, PELUFFO, PES, GIUDITTA PINI, POLLASTRINI, PORTA, PREZIOSI, RICHETTI, RIGONI, ROCCHI, ROMANINI, GIOVANNA SANNA, SBROLLINI, SCUVERA, SENALDI, SGAMBATO, TARICCO, TENTORI, TERROSI, TIDEI, TULLO, VENITTELLI, VENTRICELLI, VERINI, ZAPPULLA, ZARDINI, ZOGGIA, DI LELLO, FAUTTILLI, FITZGERALD NISSOLI, CARLO GALLI, MARTELLI, MELILLA, DISTASO, VECCHIO, PAGLIA, PLACIDO, BORGHESE, MERLO, CIRACÌ, ANDREA MAESTRI e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 1o marzo 2016 dalle pagine online del quotidiano tedesco Pforzheimer Zeitung è stato reso noto il conferimento da parte del comune di Engelsbrand, nel Land Baden-Wuerttemberg, della medaglia d'onore a Wilhelm Kusterer, ex SS già condannato per l'eccidio di Marzabotto e per altri crimini di guerra;
   la strage di Marzabotto è una delle pagine più nere della storia dell'umanità ed emblema dell'orrore nazifascista;
   l'onorificenza concessa in Germania a colui che si macchiò di atroci delitti durante la Seconda guerra mondiale costituisce un oltraggio intollerabile alle 1150 persone barbaramente uccise a Marzabotto dall'ex SS, ai loro familiari e a tutte le vittime della barbarie nazifascista;
   casi come questo, purtroppo non infrequenti, offendono la memoria collettiva nazionale e minacciano gravemente il lavoro quotidiano e instancabile di associazioni e istituzioni unite da sempre nello sforzo di tramandare il ricordo dell'orrore nazifascista e fare crescere nelle nuove generazioni la consapevolezza e l'impegno per un futuro di democrazia e di pace;
   Walter Cardi, presidente del Comitato onoranze ai caduti di Marzabotto ha indirizzato una formale lettera alla cancelliera tedesca Angela Merkel e all'ambasciatore tedesco a Roma, Susanne Marianne Wasum-Rainer, per chiedere la revoca immediata dell'onorificenza;
   la Regione Emilia Romagna ha reso nota la propria volontà di agire nei confronti del Land Baden-Wuerttemberg e del comune di Engelsbrand per chiedere l'immediato ritiro del riconoscimento assegnato a un criminale di guerra;
   il Procuratore della Repubblica presso il tribunale militare di Roma, Marco De Paolis, che ha fatto condannare in contumacia 57 criminali di guerra nazisti, ha più volte sottolineato come nessuna di tali condanne sia stata mai eseguita dalla Germania e dall'Austria –:
   se il Governo non intenda muovere ogni passo in sede politica e diplomatica nei confronti del Governo tedesco affinché quest'ultimo si attivi direttamente per la immediata revoca dell'assurda onorificenza. (5-08125)


   SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, GRANDE, SPADONI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 settembre 2013, la direzione nazionale delle migrazioni (DGM), presso il Ministero dell'interno e della sicurezza, della Repubblica democratica del Congo, ha informato tutte le ambasciate dei Paesi di accoglienza della sospensione per 12 mesi, a partire dal 25 settembre 2013, delle operazioni per il rilascio dei permessi di uscita per i bambini adottati dalle famiglie straniere;
   il 20 gennaio 2016 numerose famiglie in attesa di adozione dal Congo, la maggior parte da quasi tre anni, hanno manifestato con un sit-in davanti a Palazzo Montecitorio per protestare contro la mancanza di informazioni e di trasparenza nella gestione delle adozioni internazionali da parte della Commissione Adozioni Internazionali (CAI);
   da una notizia apparsa in data 8 marzo 2016 sul sito istituzionale della Commissione adozioni internazionali, si apprende che dopo l'arrivo di 17 bambini provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, altri 80 minori adottati in Congo da famiglie italiane, potranno raggiungere i loro genitori in Italia;
   nella stessa data, sul sito istituzionale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI), è apparsa la seguente notizia: «Il Ministro Paolo Gentiloni accoglie con soddisfazione l'annuncio delle Autorità della Repubblica Democratica del Congo trasmesso tramite l'Ambasciata d'Italia a Kinshasa – che autorizza ulteriori sessantasei bambini a ricongiungersi con le famiglie adottive in Italia. Questo nuovo gruppo di bambini si aggiunge già autorizzati da metà febbraio. Auspicando che la buona cooperazione in corso con le Autorità congolesi possa proseguire, il Ministro Gentiloni confida ora nella spedita azione della Commissione Adozioni Internazionali affinché le procedure vengano completate e i bambini possano presto abbracciare le famiglie adottive»;
   i bambini in attesa di essere adottati erano complessivamente 130, mentre attualmente 50 sono in attesa di raggiungere il nostro Paese –:
   quali tra le informazioni fornite dalla Commissione adozioni internazionali e quelle fornite dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale risultino dal momento che, secondo la Commissione adozioni internazionali sarebbero 80 i bambini che hanno ottenuto le autorizzazioni dagli organi, mentre secondo il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale già da metà febbraio 14 bambini erano stati autorizzati e che 66 bambini sarebbero stati autorizzati secondo l'ultimo aggiornamento fornito l'8 marzo scorso e se disponga di maggiori informazioni in merito ai menzionati 14 bambini, in merito al definitivo arrivo degli ottanta bambini e ai 50 bambini ancora in attesa delle prescritte autorizzazioni. (5-08126)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   CAUSIN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2000/60/CE del 23 ottobre 2000 in materia di acque all'articolo 2, punto 33, definisce come inquinamento: «l'introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana di sostanze che possano nuocere alla salute umana o alla qualità degli ecosistemi acquatici perturbando, deturpando o deteriorando i valori ricreativi o altri legittimi usi dell'ambiente» e, al punto 35, definisce come standard di qualità ambientale: «la concentrazione di un particolare inquinante o gruppo di inquinanti nelle acque, nei sedimenti e nel biota che non deve essere superata per tutelare la salute umana e l'ambiente»;
   la medesima direttiva 2000/60/CE, in particolare, prevede quali obiettivi quanto di seguito esposto: all'articolo 1a) è previsto di impedire un ulteriore deterioramento, proteggere e migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici e degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico; all'articolo 1c) è previsto di mirare alla protezione rafforzata e al miglioramento dell'ambiente acquatico, anche attraverso misure specifiche per la graduale riduzione degli scarichi, delle immissioni e delle perdite di sostanze prioritarie e l'arresto o la graduale eliminazione degli scarichi, delle emissioni e delle perdite di sostanze pericolose prioritarie;
   la problematica dell'inquinamento da «mercurio e suoi composti» dei sedimenti e del biota della laguna di Grado e Marano, è nota per i suoi effetti ormai da anni (sentenza di danno ambientale all'ambiente lagunare nelle sue diverse matrici emessa dalla Corte di appello di Trieste, contro la Saici di Torviscosa, oggi Caffaro, passata in giudicato già nel 1968);
   il decreto ministeriale n. 367 del 2003 (emanato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute, relativo al «Regolamento concernente la fissazione di standard di qualità nell'ambiente acquatico per le sostanze pericolose») ha fissato un opportuno valore di concentrazione di mercurio quale standard di qualità ambientale per i sedimenti delle lagune, mentre il decreto ministeriale n. 56 del 2009 ha fissato i «criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici» e infine il decreto ministeriale n. 260 del 2010 ha sostituito, adeguandolo al decreto legislativo n. 152 del 2006, il decreto ministeriale n. 367 del 2003, si evidenzia che il valore dello standard di qualità ambientale come sopra definito per il mercurio, ancora oggi previsto, è stato mantenuto di 0,3 mg/kg;
   nel «Manuale per la sedimentazione dei sedimenti marini» edito da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e redatto a cura di Icram e Apat (2007), ove al punto «criteri di classificazione qualità» per il parametro mercurio è riportato, oltre il livello chimico di base (0,2-0,4 mg/kg), il livello chimico limite che è indicato pari a 0,8 mg/kg, con una possibilità di scostamento del 20 per cento che porta tale valore a un massimo di circa 1,0 mg/kg, per cui per sedimenti con concentrazioni superiori a tale valore non sono previste soluzioni gestionali del loro spostamento tal quali;
   la valenza sanitaria di tale fenomeno di inquinamento da «mercurio e suoi composti» della laguna di Grado e Marano è emersa dalla documentazione esistente, prodotta, in particolare nel maggio 2012 da ISS ove si suggerisce «l'utilizzazione di un range di valori di riferimento per i sedimenti a tutela della salute umana ....», si afferma «in relazione alle specie ittiche, in considerazione dell'elevata capacità di biomagnificazione del mercurio...» e si indica «di adottare un valore di 0,8 mg/kg (strato superficiale-primi 5 cm)»;
   la problematica ambientale di tale fenomeno di inquinamento da «mercurio e suoi composti» da quanto affermato da Arpa del Friuli Venezia Giulia, nei periodici rapporti sullo stato dell'ambiente (2002, 2005, 2012), sino a quanto da ultimo affermato, e di seguito riportato, nella relazione agenziale di caratterizzazione ambientale del settembre 2012 afferma che «...una delle maggiori problematiche attuali è l'impossibilità di traslocare il materiale dragato ai lati dei canali in ottemperanza alla legislazione nazionale», allegata alla delibera di giunta regionale n. 1737 di richiesta di de-perimetrazione dell'area lagunare del sito di interesse nazionale laguna di Grado e Marano da parte della regione Friuli Venezia Giulia al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alla base del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 dicembre 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013;
   la problematica ambientale di tale fenomeno di inquinamento in laguna di Grado e Marano da «mercurio e suoi composti» è stata confermata nel 2012 dall'Ispra che ha testualmente affermato al riguardo che si identifica «uno stato di criticità ambientale diffusa», con percentuale presente solo del 30 per cento, nella forma di mercurio più stabile e meno solubile, «mentre il rimanente risulta di origine diversa, con possibilità più elevate di essere rimesso in circolazione da fenomeni di risospensione e trasferito così alla matrice biotica»;
   dalla medesima citata relazione di caratterizzazione ambientale dell'Arpa del Friuli Venezia Giulia di settembre 2012 per quanto attiene la concentrazione del mercurio in alcune specie alieutiche, tipicamente lagunari, con riguardo al limite previsto per la commercializzazione di 0,5 mg/kg, i valori medi (0,41 mg/kg) del latterino sono risultati leggermente al di sotto e, nel caso delle orate (0,67 mg/kg), essi sono risultati al di sopra di tale limite per oltre il 20 per cento; al riguardo la deviazione standard ottenuta rispettivamente di +/-0,22 e di +/- di 0,27, ha confermato la significativa presenza di campioni oltre il citato limite nella popolazione analizzata;
   a fronte del valore di SQA indicato per il biota dalla direttiva 2008/105/CE, per il mercurio pari a 20 ug/kg, i valori medi di concentrazione di mercurio sono risultati, nei latterini e nelle orate rispettivamente di 410 ug/kg e di 670 ug/kg, sono superiori nella misura di oltre 20 e 33 volte;
   tra l'altro, a seguito del citato decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 12 dicembre 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013, che ha previsto, all'articolo 2, che sono di competenza della regione Friuli Venezia Giulia «le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di territorio già compreso nella perimetrazione del sito «laguna di Grado e Marano» non più incluso nella nuova perimetrazione; tali operazioni non risultano formalizzate se non anche realizzate, con conseguente mancata restituzione agli usi legittimi di ampie porzioni areali della laguna, in questi anni in molti punti oggetto di dragaggio dei canali con spostamento di sedimenti inquinati da mercurio tal quali;
   la comunicazione del 10 gennaio 2013 del direttore generale della direzione generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, affermava che «si ritiene evidente che una valutazione dello stato chimico per una sostanza idrofoba come il mercurio, effettuata solo sulla base della qualità dell'acqua, non risulta appropriata a causa della spiccata affinità della sostanza per il sedimento, come testimoniato dalla diffusa contaminazione ampiamente documentata da dati storici e sperimentali;
   d'altra parte la stessa direttiva 2008/105/CE sulle sostanze prioritarie introduce il principio secondo cui il monitoraggio dei sedimenti e del biota contribuisce a migliorare la conoscenza dei dati disponibili sulle sostanze prioritarie e sui modi in cui si verifica l'inquinamento... Detto principio recepito nella normativa nazionale, viene ulteriormente recepito nella proposta di direttiva recante modifica della direttiva 2000/60/CE, stabilendo SQA solo per il biota per alcune sostanze estremamente idrofobe, tra cui il mercurio, che si accumulano nel biota e nei sedimenti e difficilmente vengono rilevate nell'acqua, anche utilizzando le tecniche analitiche più all'avanguardia»;
   la direttiva 2013/39/CE del 12 agosto 2013 che, formalizzando i contenuti di quanto sopra asserito, dal rappresentante ministeriale, afferma che «le conoscenze scientifiche sul destino e sugli effetti degli inquinanti nelle acque hanno subito una profonda evoluzione. Sono disponibili maggiori informazioni sul comparto dell'ambiente acquatico (acqua, sedimenti o biota, di seguito «matrice») in cui è probabile che si trovi una sostanza, e quindi dove si hanno maggiori probabilità di poterne misurare la concentrazione. Alcune sostanze estremamente idrofobe si accumulano nel biota e difficilmente sono rilevabili nell'acqua, anche utilizzando le tecniche analitiche più all'avanguardia. Per tali sostanze è necessario fissare SQA per il biota»;
   la commissione italo-slovena sulla idro-economia dell'Isonzo», nell'ottobre 2014, ha confermato che «l'inquinamento da mercurio» della laguna di Grado e Marano è uno dei maggiori al mondo (come già certificato dalle Nazioni Unite in un documento del 2013), con un intrappolamento di almeno 250 tonnellate di mercurio provenienti dalla località di Idria in Slovenia, cui vanno aggiunte anche le 186 tonnellate scaricate dall'impianto Cloro-Soda di Torviscosa, come riaffermato nel 2012, da Arpa del Friuli Venezia Giulia nel suo rapporto sullo stato ambiente regionale, per un totale di oltre 400 tonnellate complessive scaricate e nella quasi totalità pervenute nella laguna di Grado e Marano;
   non è dato conoscere quali iniziative operative formali di interesse transfrontaliero, oltre le attività ordinarie della commissione italo-slovena sull'idro-economia dell'Isonzo, siano state condotte dal Governo italiano e dalla regione Friuli Venezia Giulia per contenere, ridurre ed eliminare, l'inquinamento da mercurio dei sedimenti dal fiume Isonzo provenienti in Italia dalla Repubblica di Slovenia e causa di inquinamento della laguna di Marano e Grado, avendo ravvisato evidentemente insufficiente, per il raggiungimento degli obiettivi indicati dalla direttiva 2000/60/CE, il solo monitoraggio degli effetti peraltro preoccupanti sulla matrice biota, come in realtà avviene;
   riguardo l'attuazione in Italia della direttiva 2000/60/CE, nella recente richiesta Eu Pilot 7304/15/ENVI, del 22 gennaio 2015 in materia di «incompleto monitoraggio ed incompleta valutazione dello stato di qualità delle acque» sono state evidenziate le seguenti carenze in particolare: «metodo fauna ittica non ancora elaborato e non intercalibrato», «monitoraggio carente e mancata valutazione degli inquinanti specifici», «insufficiente monitoraggio delle sostanze prioritarie», «SQA per il mercurio» e, inoltre, riguarda, «SQA per il mercurio» per le acque:
    «la procedura con la quale è stato comparato il livello di protezione dello SQA delle acque pari a 0,03 ug/l con il SQA del biota definito dalla Direttiva è discutibile; la metodologia utilizzata per convertire il mercurio totale in metilmercurio nella colonna d'acqua sembra ignorare il processo ben documentato, di metilazione che avviene nell'ambiente. Inoltre il presunto rapporto percentuale di 0,5-5 per cento metilmercurio sul mercurio totale nella colonna d'acqua è pari a metà di quello riportato nella scheda tecnica del 2005 (1-10 per cento) sulla base del quale è fissato lo standard UE»;
    «il fattore di bioconcentrazione usato è il più basso del largo range che appare nella scheda tecnica del 2005 (rif: pag. 15 della scheda tecnica del 2005 ...»;
    «quanto sopra riportato rende estremamente discutibile la scelta di tale standard di Qualità Ambientale delle acque per il mercurio ...»;
   riguardo ai fenomeni di inquinamento da «mercurio e sua composti» in essere nel Friuli Venezia Giulia, dove nella laguna di Grado e Marano si sommano due fonti puntuali di origine antropica, di cui una transfrontaliera, non paiono essere esaminati analiticamente i processi, oltreché di tossicità acuta, anche di cronicità degli effetti;
   proprio per il grave stato di inquinamento da «mercurio e suoi composti» riscontrato in tale laguna era stata perimetrata al suo interno una ampia area come Sin laguna di Grado e Marano, già nel 2003, e che tale area è stata riconfermata (nel 2011) all'interno del piano dei siti inquinati della regione Friuli Venezia Giulia, ancora oggi vigente, con obbligo di risanamento dei sedimenti lagunari inquinati, cui invece ad oggi non è stato dato alcun seguito;
   la sentenza della Corte costituzionale n. 84 del 15 maggio 2015 indica quale riferimento in materia di dragaggi il citato documento del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini», definita «unica fonte statale recante la disciplina del semplice spostamento di sedimenti in ambiente sommerso», ribadendo, così e anche in più punti, il ruolo dello Stato e dei suoi organismi tecnici di riferimento riguardo la competenza esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente»;
   tali norme tecniche contenute nel citato manuale si propongono di «sintetizzare le azioni da intraprendersi per una gestione ecosostenibile della materia relativa alla movimentazione di materiale sedimentario in ambito costiero», tenuto conto della «diffusa presenza di contaminanti contenuti nei sedimenti dei fondali» che impone «una approfondita conoscenza della natura e dell'origine dei sedimenti e un'attenta analisi delle loro caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche»; esse acconsentono inoltre allo spostamento dei sedimenti tal quali solo in presenza di determinati valori di concentrazione dell'inquinante, che, nel caso dei sedimenti oggetto dei dragaggi condotti recentemente nella laguna di Grado e Marano, per il parametro mercurio, risultano largamente superati;
   nella laguna di Grado e Marano sono in corso, da oltre due anni, dragaggi di sedimenti inquinati da mercurio con loro spostamento tal quali all'interno della stessa laguna, in applicazione dell'articolo 185, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 non acconsentiti ai sensi del citato manuale per le alte concentrazioni presenti di «mercurio e suoi composti»;
   tali interventi di dragaggio sono per l'interrogante in palese contrasto a quanto previsto, oltreché dal già citato manuale per la movimentazione dei sedimenti marini del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, anche dal piano dei siti inquinati del Friuli Venezia Giulia ad oggi vigente e che, a giustificazione dell'operare in difformità a un tanto richiamato fatto della «non pericolosità» di tali sedimenti, nulla rileva, a quanto consta all'interrogante, riguardo le indicazioni tecniche di riferimento e le, cogenti, norme di attuazione del piano di settore, sopra citati;
   i documentati valori di concentrazione di «mercurio e suoi composti» nel biota, sono stati rilevati oltre il limite previsto per la commercializzazione per alcune specie di pescato;
   è stato affermato dal Sottosegretario di Stato all'ambiente, il 9 giugno 2015 nella sua risposta scritta alle interrogazioni degli onorevoli Pellegrino e onorevole Causin, ultime di diverse interrogazioni parlamentari sul tema, che si riteneva necessario impegnarsi al riguardo a «valutare con le proprie strutture tecniche, con l'ausilio di ISPRA, la correttezza della gestione dei sedimenti dragati in relazione sia agli interventi realizzati che a quelli in programma di realizzazione»;
   il decreto legislativo n. 172 del 2015 di recepimento della direttiva 2013/39/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque, ha previsto all'articolo 1 la modifica dell'articolo 78 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che riguarda gli standard di qualità ambientale, per le acque superficiali che si applicano come indicato alla tabella 1/A per la colonna d'acqua e il biota, e alla tabella 2/A per i sedimenti, standards per i quali per la sostanza «mercurio e suoi composti» sono indicati rispettivamente i valori di 0,07 ug/l, di 20 ug/kg e di 0,3 mg/kg s.s;
   al riguardo in particolare il citato valore 0,3 mg/kg s.s. di standard di qualità ambientale previsto per i sedimenti riguardo la concentrazione dell'inquinante «mercurio e suoi composti» si perpetua immutabilmente nella normativa nazionale, come derivato da quella comunitaria, da ormai oltre 10 anni;
   anche la legge n. 221 del 2015 («Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali») e, in particolare, l'articolo 78 (Modifica all'articolo 5-bis della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di dragaggio), dove anche per sedimenti non pericolosi è previsto il «refluimento all'interno di casse di colmata, di vasche di raccolta, o comunque in strutture di contenimento o di conterminazione realizzate con l'applicazione delle migliori tecniche disponibili in linea con i criteri di progettazione formulati da accreditati standard tecnici internazionali adottati negli Stati membri dell'Unione europea e con caratteristiche tali da garantire, tenuto conto degli obiettivi e dei limiti fissati dalle direttive europee, l'assenza di rischi per la salute e per l'ambiente»;
   ancora ad oggi non è stato licenziato lo schema di decreto recante «modalità per il rilascio dell'autorizzazione all'immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini o salmastri ai sensi dell'articolo 109, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»;
   l'interrogante rileva la oggettiva debolezza scientifica e amministrativa dei pareri redatti dall'Agenzia per l'ambiente del Friuli Venezia Giulia, in questo ultimo triennio, riguardo il dragaggio dei sedimenti inquinati in laguna di Grado e Marano, espressi, per l'interrogante, ignorando la abbondante documentazione scientifica disponibile in materia con riguardo specifico ai luoghi della laguna di Grado e Marano, come anche le norme giuridiche e finanche la sopra citata sentenza n. 84 della Corte costituzionale;
   a giudizio dell'interrogante la suddetta agenzia opera un'interpretazione burocratica del suo ruolo, sembrando più impegnata a garantire l'effettuazione rapida degli interventi di dragaggio che gli effetti sull'ambiente e la salute causati dalla rimovimentazione tal quali in loco o a breve distanza di sedimenti inquinati dar mercurio; si rileva, in particolare, l'unico richiamo di tali pareri all'articolo 183, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, evidentemente difforme al corpo normativo vigente se non palesemente errato e certamente non allineato ai recenti princìpi in materia di green economy come di economia circolare di recente emanazione a livello comunitario come nazionale;
   la sentenza n. 84/2015 della Corte costituzionale nemmeno cita l'articolo 183, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 di cui sopra, assumendo come unico riferimento «le norme tecniche contenute nel citato Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini redatto per conto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare», che non si ritiene possano essere ancora ignorate, con il rischio concreto, per l'interrogante che gli interventi di dragaggio citati siano stati causa di danno ambientale agli ambiti della laguna di Grado e Marano, in gran parte protetti da norme internazionali e comunitarie di alta valenza ambientale;
   in conclusione, il complesso delle normative nazionali e comunitarie di valenza ambientale e sanitaria, vigenti in materia di dragaggi e qualità delle acque, e in particolare la legge n. 68 del 22 maggio 2015, all'articolo 1, comma 1, all'articolo 452-quater e all'articolo 452-quinquies, si riferiscono a «disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente», con particolare, riferimento ai delitti di inquinamento ambientale, quali disastro, compromissione e alterazione dello stesso ambiente, in generale; nel caso particolare, tali norme possono essere applicate con riferimento alla situazione della laguna di Grado e Marano –:
   se, alla luce dei documenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (2007) dell'Istituto superiore di sanità (2012) dell'Ispra (2012) e dell'Arpa del Friuli Venezia Giulia (2012) e della normativa vigente, e, in particolare, agli obiettivi della direttiva 2000/60/CE, e successive modificazioni e integrazioni che appaiono all'interrogante reiteratamente non considerati, gli interventi di dragaggio condotti da quasi tre anni in laguna di Grado e Marano, previsti con spostamento di sedimenti tal quali in diverse aree della stessa, come recentemente eseguiti e in atto, come assicurato dalla Sottosegretario di Stato all'ambiente siano stati valutati dalle strutture tecniche del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in quali forme tempi e metodi, e quale esito e iniziative ne siano sortite, anche in relazione alla citata recente sentenza n. 84 della Corte costituzionale.
(3-02107)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta immediata:


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le vestigia della Sardegna romana rappresentano uno dei segni più importanti della storia antica dell'Isola e, in particolare, appare fondamentale la valorizzazione (anche ai fini di nuovo sviluppo economico) del periodo di sicuro splendore che la città di Cagliari ha conosciuto in epoca romana, diventando la capitale della provincia di Sardegna e Corsica;
   l'importanza della città romana è ancora oggi certificata dalla persistenza di grandi opere edilizie urbane, quali l'Anfiteatro, la Villa di Tigellio, il mausoleo di Attilia Pomptilla;
   appaiono davvero straordinarie anche le necropoli riconducibili a tale periodo storico: una localizzabile a Tuvixeddu, in continuità con quella punica, un'altra disposta nell'area ricompresa tra le chiese di San Lucifero, San Saturnino e San Bardilio e la terza nell'area dell'odierno Viale Regina Margherita, riservata ai marinai della classis misenensis;
   l'importanza dei ritrovamenti archeologici di epoca romana consolida la convinzione che sia utile trovare «elementi narrativi» che possano supportare la comunicazione di merito e la promozione dell'immagine culturale e turistica della città di Cagliari;
   le vestigia della città romana appaiono peraltro ubiquitariamente disposte al di sotto dell'intero centro cittadino e riemergono costantemente ogni qual volta vengono disposti scavi nelle aree prospicienti il porto di Cagliari, in particolare nel quartiere di Stampace;
   le testimonianze archeologiche di epoca romana rappresentano pertanto un significativo biglietto da visita della storia remota della città di Cagliari e possono dunque contribuire in modo rilevante alla costruzione della identità culturale ed economica della città;
   appare assai importante, sotto il profilo mediatico e comunicativo, individuare «elementi simbolici» che possano rapidamente consentire l'identificazione dell'immagine della città con la sua ricchezza culturale del tempo passato;
   oltre tre secoli or sono, in maniera quasi casuale, nel corso di attività agricole in un terreno prospiciente la Chiesa dell'Annunziata, nel quartiere cagliaritano di Stampace, emerse un mosaico pavimentale policromo, delle dimensioni di circa 9 per 6,5 metri, di grande pregio e qualità, che riconsegnò ai ricercatori una splendida immagine di Orfeo intento a suonare la lira, circondato da una moltitudine di animali;
   secondo il canonico Spano che scrive in merito nel Bollettino archeologico sardo del novembre del 1858, tale meraviglia ritrovata attirò immediatamente l'occhiuta attenzione dei piemontesi che, nel 1762, diedero incarico all'intendente generale, cavalier Gemiliano Deidda, di disporre il trasferimento in terraferma del manufatto;
   prima di disporre il trasporto in Piemonte (che avvenne nel successivo 1763), per incarico delle autorità, il mosaico venne integralmente e fedelmente riprodotto in un disegno dal pittore Domenico Colombino;
   la deportazione dell'Orfeo a Torino inferse purtroppo danni clamorosi al manufatto, che venne diviso in varie spedizioni separate, alcune delle quali andarono perdute o irrimediabilmente danneggiate, con sparizione di alcune delle scene che erano originariamente raffigurate nel mosaico;
   attualmente, la parte «salvata» del mosaico, comunque di straordinario interesse e bellezza, è esposta presso il Museo archeologico di Torino, divisa in quattro frammenti, il più grande dei quali raffigura Orfeo e la sua lira e ha dimensioni di circa 163 per 259 centimetri;
   tale immagine di Orfeo è considerata una delle più belle raffigurazioni di tale personaggio mitologico e, conseguentemente, è stata esposta nella celebre mostra su Costantino e il suo editto, allestita nel Palazzo Reale di Milano sino al marzo 2013 e, successivamente, a Roma presso il Colosseo e la Casa Iulia;
   il rilancio dell'immagine di Cagliari, capitale italiana della cultura per il 2015, passa decisamente attraverso il recupero delle ricchezze artistiche e archeologiche indebitamente sottratte all'isola dai suoi dominatori;
   in particolare, l'Orfeo della Villa di Tigellio ha tutte le carte in regola per contribuire alla caratterizzazione dell'offerta museale cittadina, potendo diventare in prospettiva una delle icone della Cagliari romana –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per consentire il rientro a Cagliari, la valorizzazione e la piena fruizione in adeguato ambiente espositivo del mosaico dell'Orfeo rinvenuto nel quartiere cagliaritano di Stampace nel 1762 ed attualmente esposto nel Museo archeologico di Torino. (3-02109)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le tavole di Heraclea sono due tavole bronzee rinvenute nel greto del fiume Cavone, a circa 10 chilometri dal comune di Policoro, nel febbraio del 1732, e sono ora custodite nel museo archeologico nazionale di Napoli;
   le lamine rappresentano sicuramente uno dei documenti epigrafici più importanti per l'Italia meridionale sia per l'integrità dei testi, sia per le considerevoli informazioni che esse contengono e sono le uniche fonti disponibili riguardanti le Norme di tutela agroforestali in Europa in epoca pre-romana;
   le tavole mettono in evidenza le forme giuridiche che consentono di inquadrare un esempio di azione statale interconnesso con il mondo religioso che caratterizzava la comunità italiota e contengono due importanti decreti, databili alla fine del IV secolo a.C., relativi alla delimitazione e localizzazione di terreni dei santuari di Dioniso e Athena Polias, mentre sul lato opposto fu inciso il testo in latino della lex Iulia Municipalis che ha un carattere generale sulla riorganizzazione amministrativa delle città con alcune norme a carattere sociale con essa molte città e colonie assunsero il rango di municipio;
   il museo archeologico nazionale della Siritide inaugurato nel 1969, si trova all'interno del sito archeologico di Heraclea (Herakleia), nei pressi di Policoro in provincia di Matera dove sono presenti importanti reperti rinvenuti ad Heraclea secondo un percorso cronologico che parte dal periodo neolitico per arrivare all'età romana;
   l'Italia ha vissuto numerosi furti di opere d'arte, in particolar modo negli anni pre e post conflitti bellici mondiali, nonché durante l'età napoleonica (1796-1815), che hanno portato a una costante e riprovevole depredazione dei beni artistici e archeologici quali dipinti, sculture, e altro;
   le tavole di Heraclea, per la storia della città di Policoro, culla della civiltà della Magna Grecia, troverebbero il naturale collocamento nel museo della Siritide, con ciò valorizzando le esposizioni già presenti e generando un flusso turistico culturale di vitale importanza per il territorio jonico  –:
   quali iniziativa di competenza intenda intraprendere per riportare 1e tavole di Eraclea nel comune di Policoro per arricchire ulteriormente il patrimonio artistico della città della Magna Grecia e aumentare il flusso turistico. (5-08118)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IV Commissione:


   GREGORIO FONTANA e VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la frequenza di fenomeni criminali nella Bassa bergamasca resta alta, tanto che l'area può considerarsi tra quelle a più alto tasso di criminalità della provincia di Bergamo;
   in considerazione di ciò, da parte della società civile e dei parlamentari locali si è proposto a più riprese l'elevazione della stazione dell'Arma dei carabinieri di Zingonia al rango di tenenza;
   l'elevazione della stazione dell'Arma dei carabinieri di Zingonia appare necessaria, alla luce dei problemi di sicurezza e ordine pubblico riscontrati nell'area, che necessitano di un generale rafforzamento della presenza delle forze dell'ordine sul territorio;
   è fondamentale assicurare una presenza capillare e diffusa delle forze dell'ordine nell'area, secondo la tradizione dell'Arma dei carabinieri;
   la chiusura anche di una sola stazione dell'Arma sul territorio comporterebbe un pericoloso impoverimento della presenza delle forze dell'ordine in un territorio afflitto da persistenti e diffuse criticità in materia di sicurezza e di ordine pubblico –:
   se e in quali tempi sarà realizzata l'elevazione della stazione dei carabinieri di Zingonia al rango di tenenza. (5-08122)


   PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 104 del 1990 prevede che ai comuni nel cui territorio sono presenti aree appartenenti allo Stato, in uso all'amministrazione militare e destinate a poligoni addestrativi di tiro, è corrisposto un contributo annuo rapportato al reddito dominicale e agrario medio delle aree confinanti con quelle su cui insistono i poligoni di tiro, rivalutato secondo i coefficienti stabiliti ai fini dell'imposizione sul reddito;
   lo stesso articolo 4 del decreto-legge n. 104 del 1990 prevede, al comma 2, che «Alle regioni maggiormente oberate dai vincoli e dalle attività militari, comprese la dimostrazione e la sperimentazione di sistemi d'arma, individuate ogni quinquennio con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Ministro della difesa, lo Stato corrisponde un contributo annuo da destinarsi alla realizzazione di opere pubbliche e servizi sociali nei comuni nei quali le esigenze militari, compresi particolari tipi di insediamenti, incidono maggiormente sull'uso del territorio e sui programmi di sviluppo economico e sociale»;
   alla regione Sardegna, è stata destinata la cifra di 15.135.769,00 relativa al quinquennio 2005/2009, come certificata dalla delibera n. 12/33 del 20 marzo 2012 della giunta regionale da ripartire fra i comuni interessati;
   nel caso del comune di Arbus ad esempio, è stata riconosciuta la cifra di 1.424.303,84 deliberata della giunta municipale il 19 aprile 2012 con delibera n. 177 relativa al quinquennio 2005/2009; cifre significative per bilanci di comuni che oscillano fra i 2000 e i 5000 abitanti;
   nel marzo 2016, risultano quindi pagati gli indennizzi relativi al quinquennio 2005/2009, con un ritardo nel pagamento ai comuni della Sardegna di circa 6 annualità, relativamente al periodo che va dal 2009 al 2015;
   il contributo degli indennizzi è corrisposto alle singole regioni sulla base della incidenza dei vincoli e delle attività di cui al comma 2 dell'articolo 4 della legge n. 104 del 1990, determinata secondo parametri da stabilirsi con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le regioni interessate;
   dalla delibera della giunta regionale della Sardegna n. 12/33 del 20 marzo 2012, a distanza di più di 3 anni, non risultano presenti altri atti ministeriali o regionali in merito al pagamento della annualità di indennizzi alle comunità sottoposte a servitù militari;
   la forte presenza militare in molti territori della Sardegna, ha fatto sì che le misure di indennizzo previste dalla legge n. 104 del 1990 siano l'unica ricaduta economica di cui beneficiano i territori sottoposti a servitù, perciò il ritardo nell'erogazione degli indennizzi porta gravi ricadute sul territorio;
   tali misure sono destinate alla realizzazione di opere pubbliche e servizi sociali nei comuni nei quali le esigenze militari, compresi particolari tipi di insediamenti, incidono maggiormente nell'uso del territorio e sui programmi di sviluppo economico e sociale –:
   se non intenda procedere a decretare il pagamento degli indennizzi relativi alle servitù militari per la Regione Sardegna – nella misura non inferiore a quella erogata nel quinquennio 2005/2009 – e per i comuni interessati riguardanti il quinquennio 2010/2015, riconoscendo a essi quanto disposto dalla legge n. 104 del 1990. (5-08123)


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo le informazioni a oggi disponibili, il personale delle Forze armate italiane impegnato nella missione Prima Parthica ammonta a circa 700 militari dispiegati in Kuwait, Iraq e Qatar;
   in Kuwait risultano presenti circa 260 militari, inquadrati nella Task Force Air – Kuwait dispiegati presso le basi aeree di Al Jaber, Ali Al Salem e Al Mubarak per lo schieramento rispettivamente di 4 velivoli A-200 Tornado IDS, di 2 velivoli a pilotaggio remoto Predator e di 1 velivolo da rifornimento in volo KC-767A;
   nella regione autonoma del Kurdistan iracheno risultano presenti circa 200 militari dell'Esercito, di cui 120 addestratori, inquadrati nella Task Force Land – Erbil, dispiegati presso il Kurdistan Training Coordination Center (KTCC), oltre a una trentina di carabinieri con il compito di addestrare le forze di sicurezza curde;
   nella capitale irachena, Baghdad, risultano presenti circa 90 carabinieri inquadrati nella task force carabinieri, con il compito di addestrare le forze di polizia irachene presso il presso il centro di addestramento della Iraqi Federal Police;
   a Baghdad e a Kirkuk risultano presenti circa 50 militari delle forze speciali (di tutte le forze armate) con il ruolo di training e mentoring del Counter Terrorism Service (CTS) iracheno e delle forze speciali delle Forze di sicurezza curde;
   ulteriore personale è dispiegato presso il comando di Al-Udeid, in Qatar;
   nelle prossime settimane dovrebbero essere inviati a Erbil circa 130 militari dell'Esercito con quattro elicotteri da attacco A-129D Mangusta e quattro elicotteri da trasporto tattico NH9O con compiti di personnel recovery;
   altri circa 500 militari dovrebbero essere dispiegati presso la diga di Mosul, che sarà soggetta a lavori di ristrutturazione condotti dall'azienda italiana Trevi;
   nessuna notizia ufficiale è stata fornita in merito alla presenza di militari italiani nella provincia irachena di al-Anbar e, in particolare, nella zona di Ramadi;
   tale presenza è stata rivelata dal sito ufficiale del US Marine Corps, www.marines.mil, in un articolo dell'8 febbraio 2016 dove viene chiaramente citata la partecipazione di «componenti delle forze armate italiane» alla task force Al Taqaddum;
   l'incarico assegnato alla suddetta task force, la cui sede è presso la base di Al Taqaddum, situata tra Falluja e Ramadi, è di consigliare e assistere le forze di sicurezza irachene nell'area di Ramadi;
   tra i compiti svolti dalla task force Al Taqaddum vi sono il coordinamento, in collaborazione con l’Anbar Operations Command, di operazioni di combattimento, come attacchi aerei e contrattacchi, condotte dalle forze di sicurezza irachene e il supporto alle divisioni 8a, 10a e 16a dell'Esercito iracheno, nonché alla Anbar National Police e all'Iraqi Counterterrorism Service;
   l'invio di forze speciali italiane nell'area di Ramadi era stato segnalato anche da un articolo pubblicato il 27 giugno 2015 dal quotidiano Il Foglio, secondo il quale si tratterebbe di 30 incursori paracadutisti del 9o reggimento d'assalto «Col Moschin»;
   secondo il Foglio i 30 incursori italiani non avrebbero il ruolo di istruttori militari, dentro la base, ma potrebbero «operare outside the wire, quindi fuori dalla base, assieme alle forze speciali americane, all'esercito iracheno e anche assieme ai clan sunniti locali chiamati a prendere le armi (in teoria) contro lo Stato islamico» –:
   se corrisponda a verità quanto riportato dal sito « www.marines.mil e dall'articolo de Il Foglio in merito alla presenza di personale delle Forze armate italiane nella provincia di al-Anbar e ai compiti da esso eventualmente svolti. (5-08124)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   nella provincia di Frosinone la gestione del servizio idrico integrato è gestito dalla società Acea Ato 5, controllata quasi per la sua interezza dalla holding Acea s.p.a;
   tale gestione ha creato innumerevoli disagi ai cittadini e in molti sono ora in stato di contestazione con il gestore, senza considerare i diversi ricorsi che pendono davanti alla giustizia amministrativa per diverse voci che compongono la tariffa, prime fra tutte quelle relative ai conguagli degli anni passati;
   con decreto del 22 febbraio 2016 pubblicato in G.U. il 10 marzo 2016 (16A01974), il Ministro Padoan ha disposto che «ravvisata la rilevanza pubblica dei crediti vantati dalla Società Acea Ato 5 s.p.a. – Gruppo Acea s.p.a., in quanto relativi ad un servizio pubblico essenziale e nella considerazione che l'equilibrio economico-finanziario del gestore del servizio idrico integrato consenta di assicurare nel tempo la sostenibilità e la qualità delle risorse idriche; (...) è autorizzata la riscossione coattiva mediante ruolo dei crediti vantati dalla Società Acea Ato 5 s.p.a. – Gruppo Acea s.p.a., nei confronti degli utenti del servizio idrico integrato nell'ambito territoriale ottimale n. 5 Lazio meridionale – Frosinone»;
   come si evince dalle premesse del decreto ministeriale, l'autorizzazione è stata concessa ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 46 del 1999;
   la richiamata disposizione, modificata nel 2006 ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 (norme in materia ambientale), prevede che può essere effettuata mediante ruolo affidato ai concessionari la riscossione coattiva delle entrate delle regioni, delle province, anche autonome, dei comuni e degli altri enti locali, nonché quella della tariffa di cui all'articolo 156 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Inoltre, il comma 3-bis attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze la possibilità di autorizzare la riscossione coattiva mediante ruolo di specifiche tipologie di crediti delle società per azioni a partecipazione pubblica, previa valutazione della rilevanza pubblica di tali crediti. Mentre il successivo comma 3-ter chiarisce che in caso di emanazione dell'autorizzazione di cui al comma 3-bis, la società interessata procede all'iscrizione a ruolo dopo aver emesso, vidimato e reso esecutiva un'ingiunzione conforme all'articolo 2, primo comma, del testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639;
   sebbene ammessa per legge, gli interpellanti rilevano anzitutto l'inopportunità dell'autorizzazione concessa dal Ministero. La concessa autorizzazione rischia di aprire la strada a nuovi affidamenti ai concessionari della riscossione, anche per crediti di natura privatistica (e per di più gestiti da privati), aggravando l'utenza di ulteriori costi e oneri relativo ad un servizio che potrebbe essere gestito direttamente dal gestore del servizio idrico. Al riguardo, si evidenza che è la stessa legge (articolo 156 del decreto legislativo n. 152 del 2006) ad attribuire al gestore del servizio idrico la riscossione della tariffa («La tariffa è riscossa dal gestore del servizio idrico integrato. ...»), prevedendo solo come residuale la possibilità di affidarla a concessionari iscritti nell'apposito albo dei cui all'articolo dall'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446;
   inoltre, sarebbero ravvisabili anche profili di illegittimità nelle richiamate disposizioni se si considera l'interpretazione resa incidentalmente dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 335 del 2008 con la quale, attribuendo alla tariffa la natura di corrispettivo contrattuale («... si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell'utente, bensì nel contratto di utenza»), ha ritenuto inapplicabili «quelle modalità di riscossione mediante ruolo, che sono tipiche (anche se non esclusive) dei prelievi tributari»; quasi a voler escludere, o in ogni a caso a limitare, la riscossione mediante ruolo di corrispettivi di natura privatistica. A parere degli interpellanti, dunque, la riscossione mediante ruolo deve, pertanto, considerarsi riservata ai soli enti pubblici in senso soggettivo, e non può estendersi, per il rilevato divieto di analogia, alle società private, quantunque integralmente possedute da enti pubblici;
   la scelta di autorizzare la riscossione mediante ruolo si pone poi in contrasto con la decisione del Governo di prorogare solo fino al 30 giugno 2016 la possibilità per gli enti locali di affidare il servizio di riscossione al concessionario Equitalia e alle società da essa partecipate, nell'ottica appunto di limitare tale modalità di riscossione (che andrebbe affidata direttamente all'amministrazione competente) ed ottimizzare i costi di gestione;
   inoltre, il comma 3-ter dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 46 del 1999 prevede che in caso di emanazione dell'autorizzazione alla riscossione a mezzo ruolo (quale quella rilasciata nel caso in esame), la società interessata procede all'iscrizione a ruolo «dopo aver emesso, vidimato e reso esecutiva un'ingiunzione conforme all'articolo 2, primo comma, del testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639». La norma, dunque, pone come condizione alla riscossione a mezzo ruolo la preventiva costituzione di un valido titolo esecutivo (rappresentato nella specie dall'ingiunzione fiscale). Ciò presuppone una preventiva verifica da parte del Ministero in ordine alla concrete capacità del gestore di assolvere le attività richieste dalla norma, al fine di non compromettere la legittimità della procedura di riscossione autorizzata;
   si evidenzia infine che la holding Acea spa detiene le seguenti quote di partecipazione societaria: il 94 per cento della società a Acea Ato5, il 45 per cento della società Acque spa e circa il 97 per cento della società ACEA Ato2, tutte società che già avevano pubblicato un bando per la riscossione coattiva delle tariffe del servizio idrico integrato, ovvero delle relative morosità;
   alla luce dei fatti, potrebbe ad avviso degli interpellanti profilarsi un abuso di posizione dominante e un cartello ad opera dello stesso socio presente nelle tre società citate in premessa –:
   se non ritenga opportuno revocare l'autorizzazione concessa con il decreto ministeriale del 22 febbraio 2016, che andrebbe a gravare l'utenza di ulteriori costi e oneri, e in considerazione del contenzioso già pendente al riguardo;
   se, preventivamente al rilascio dell'autorizzazione, abbia valutato la sussistenza in capo al gestore dei requisiti tecnici per lo svolgimento delle attività di cui al comma 3-ter dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 46 del 1999 (poste come condizioni di legittimità della riscossione a mezzo ruolo) e, in caso affermativo, secondo quali parametri e modalità;
   se, preventivamente all'autorizzazione, abbia valutato l'impatto finanziario che deriverebbe in capo al gestore a seguito dell'affidamento del servizio di riscossione ad un concessionario abilitato e, in caso affermativo, secondo quali parametri sia stata valutata l'economicità della procedura di riscossione a mezzo ruolo rispetto alle procedure vigenti;
   se intenda assumere un'immediata iniziativa normativa che limiti la possibilità per i soggetti privati, anche a partecipazione pubblica, di far uso delle procedure di riscossione descritte in premessa a tutela dei consumatori e degli utenti.
(2-01314) «Frusone, Terzoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mantero, Marzana, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa».

Interrogazione a risposta orale:


   BALDELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto «decreto IRPEF» (decreto-legge 4 aprile 2014, n. 66) ha previsto l'introduzione del «bonus 80 euro» a favore dei lavoratori dipendenti e assimilati: nello specifico, l'articolo 1 stabiliva che, «in attesa dell'intervento normativo strutturale da attuare con legge di stabilità per l'anno 2015», era riconosciuto un credito d'imposta, che non concorre alla formazione del reddito, di importo pari a 640 euro, purché il reddito complessivo, rapportato al periodo di lavoro nell'anno, non sia superiore a 24.000 euro;
   successivamente, la legge di stabilità 2015 ha confermato e reso strutturale la misura: la medesima legge ha stabilito che, a partire dal 1o gennaio 2015, il credito d'imposta a favore dei lavoratori dipendenti e assimilati, in rapporto al periodo di lavoro nell'anno, è di importo pari a 960 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro; nel caso in cui il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro, il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 2.000 euro;
   nello specifico, il bonus Irpef per il 2014 era pari a 640 euro annuali, mentre il credito d'imposta per il 2015 ammonta a 960 euro: infatti, essendo stato introdotto solo a maggio 2014, il bonus finale di 80 euro circa mensili, era pari a un totale di 640 euro; con la legge di stabilità, il bonus è stato dunque ricalcolato sull'interno anno, e per questo che ha raggiunto la cifra totale di 960 euro;
   i contribuenti che stanno usufruendo del bonus degli 80 euro sono circa 10 milioni: il dato, abbastanza approssimativo, è l'unico riportato dalle maggiori testate giornalistiche, in assenza di statistiche ufficiali pubblicate dal Governo;
   dal 15 aprile 2015, in via sperimentale, l'Agenzia delle entrate ha messo a disposizione dei titolari dei redditi di lavoro dipendenti e assimilati, il modello 730 precompilato, che può essere accettato o modificato; la dichiarazione precompilata è disponibile in un'area autenticata del sito internet dell'Agenzia delle entrate in cui il contribuente, attraverso delle credenziali personali, può accedere e visualizzare non solo la dichiarazione dei redditi precompilata, ma anche l'elenco dei dati inseriti nella dichiarazione e di quelli che l'Agenzia non ha potuto, inserire perché non completi o incongruenti;
   per ottenere il bonus degli 80 euro, i lavori dipendenti o assimilati nella precompilazione della dichiarazione semplificata hanno dovuto inserire anche il dato concernente il cosiddetto « bonus IRPEF»; lo spazio per inserire il bonus Irpef è esattamente il rigo C14, contenuto nella quinta sezione del quadro c, dedicato ai redditi da lavoro dipendente e assimilati;
   una certa quantità di contribuenti si è ritrovata nelle condizioni di dover restituire il bonus degli 80 euro, soprattutto a causa della scarsa attendibilità del modello compilato dagli uffici delle imposte, in particolare per quanto riguarda le detrazioni; il nuovo modello precompilato, infatti, non le contempla e, se le prevede, non garantisce sul corretto inserimento, che ovviamente è a svantaggio del contribuente e a vantaggio del fisco;
   in particolare, gli utenti hanno più volte segnalato che nel sistema di precompilazione vi erano dati parziali o addirittura errati; nello specifico, mancando l'indicazione dei giorni lavorati, il software ha rilevato più di 365 giorni lavorativi, azzerando dunque il numero e facendo in modo che il contribuente perda il diritto a detrazioni e bonus;
   in pratica, se con deduzioni e detrazioni è possibile beneficiare del bonus degli 80 euro, senza di esse c’è il rischio di finire fuori dai parametri e di doverlo addirittura restituire; stando ad alcuni dati, riportati da alcune testate giornalistiche, con questo errore lo Stato avrebbe potuto ricavare circa dieci miliardi di euro di tasse in più, ma non è stato ancora fornito un dato certo riguardo al numero dei contribuenti che sarebbero risultati svantaggiati dalla compilazione del 730;
   in origine, come più volte affermato dal Presidente del Consiglio Renzi, il «nuovo» 730 precompilato avrebbe dovuto essere recapitato a casa di ogni contribuente; alla prova dei fatti, invece a quanto consta all'interrogante nessun lavoratore si è visto consegnato direttamente all'indirizzo di residenza tale modello, e, per pagare le tasse, i contribuenti si sono dovuti connettere ad internet e scaricare il documento;
   va altresì rilevato che, a gennaio 2015, l'Istat ha diffuso i dati sui consumi nel terzo trimestre, quello che a detta del Governo avrebbe cominciato a registrare gli effetti del bonus di 80 euro; i consumi delle famiglie sono risultati invariati rispetto agli ultimi dati, mostrando dunque la totale inefficienza del famoso bonus;
   in data 19 novembre 2015, l'allora sottosegretario Enrico Zanetti aveva dichiarato che non era ancora in grado di comunicare i dati su eventuali casi di restituzione del bonus e che tali informazioni sarebbero state disponibili entro marzo 2016  –:
   quanti siano ufficialmente i beneficiari del bonus di 80 euro e quanti di questi, a causa degli innumerevoli errori dovuti alla compilazione della dichiarazione semplificata dei contribuenti, siano stati costretti a restituire tale bonus.
(3-02106)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di una visita effettuata il 15 gennaio 2016 presso la casa circondariale di Bologna, sita in via del Gomito 2, è emersa evidente la carenza di educatori nell'organico del personale in servizio presso l'istituto;
   la stessa garante per i diritti delle persone private della libertà personale del comune di Bologna, Elisabetta Laganà, nella sua relazione annuale relativa al periodo agosto 2014-luglio 2015, riferiva a pagina 67 della presenza di 7 educatori (dei quali uno distaccato da altro istituto) figure che «dato l'elevato indice di sofferenza psichica all'interno del carcere, è comprensibile come siano assolutamente inadeguate» in termini numerici;
   in merito all'attività dell'area, la garante proseguiva: «è supportata da 4 operatori amministrativi e da 1 assistente di Polizia Penitenziaria applicato presso i due uffici di segreteria di pertinenza dell'Area. È evidente come questi numeri siano considerevolmente insufficienti per far fronte alle necessità, incrementate non solo dalla popolazione detenuta in eccesso, ma anche dalle recenti normative in tema di rimedi risarcitori, liberazioni anticipate speciali, eccetera. Andrebbero quindi da subito implementati gli organici per tutte le figure professionali. Anche il personale di Polizia penitenziaria ha presenze insufficienti rispetto all'organico dichiarato; sulla carta, le presenze assegnate sarebbero quasi in pari con l'organico previsto, ma circa un centinaio di agenti sono applicati per lo svolgimento di altre funzioni, particolarmente quelle amministrative, figure anch'esse insufficienti nella Amministrazione penitenziaria. A coadiuvare il lavoro degli educatori sono impegnate un numero insufficiente di unità amministrative per una grandissima quantità di pratiche»;
   lo stesso sito Internet del Ministero della giustizia, all'indirizzo relativo alla casa circondariale di Bologna, evidenzia come all'interno della struttura siano effettivi 6 educatori a fronte degli 11 previsti;
   durante una visita, dai colloqui con la direttrice Claudia Clementi, il personale di polizia penitenziaria e alcuni detenuti, la prima firmataria del presente atto è stata informata dell'effettiva presenza di soli 4 educatori in servizio –:
   quante siano le persone effettivamente in servizio come educatori alla casa circondariale di Bologna;
   entro quali tempi e come il Ministro della giustizia intenda regolarizzare la presenza di queste figure professionali adeguandole al numero previsto per legge e indicato dallo stesso Ministero della giustizia nella scheda della casa circondariale di Bologna;
   quali siano i problemi ostativi a questa tardiva regolarizzazione. (4-12514)


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dai dati forniti dall'unione delle camere penali e dall'Eurispes si evince che, dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nel 1989, che ha introdotto, con gli articoli 314 e 315, l'istituto della riparazione per ingiusta detenzione ed errore giudiziario, ci sono state 22.323 persone che hanno usufruito di questo risarcimento;
   di contro, non si sa nulla di coloro i quali, pur assolti non hanno potuto usufruire di questo beneficio perché ritenuti con i loro comportamenti colpevoli del «dolo e colpa grave» inseriti nel primo comma dell'articolo 314 e ostativi al risarcimento;
   si parla di quasi quarantamila persone dall'introduzione della legge, ma non esistono dati certi e ufficiali;
   si rileva che, con riferimento all'articolo 314 del codice di procedura penale, i deputati di Sinistra italiana hanno presentato una proposta di legge con cui se ne propone l'abrogazione Atto Camera n. 2871;
   a giudizio dell'interrogante non può, una persona assolta, subire un altro giudizio, in base alle frequentazioni che aveva o altre considerazioni sulla sua vita privata che non hanno nulla a che vedere con rilievi di carattere penale; se la sentenza è assolutoria, questa va rispettata e la persona va risarcita;
   quante siano le persone innocenti interessate dall'applicazione di questo comma, che a giudizio dell'interrogante è palesemente ingiusto, perché introduce nell'ordinamento un giudizio «morale»;
   quali iniziative intenda assumere per superare un comma che ad avviso dell'interrogante, presenta profili di dubbia costituzionalità e ridare fiducia nella giustizia a cittadini che hanno subito i danni della ingiusta carcerazione. (4-12515)


   MELILLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante è sconcertato dall'arresto del cittadino Ugo Guarnieri, classe 1935, pensionato originario di Pescara e residente a Montesilvano;
   a 81 anni l'anziano è stato prelevato a casa dai poliziotti della mobile di Pescara; dopo avergli notificato l'ordine di carcerazione emesso dal tribunale di Pescara per una rapina aggravata in concorso, del 2008, per cui deve espiare due anni di reclusione, i poliziotti lo hanno accompagnato in carcere;
   a «condannarlo» una dimenticanza, o meglio un disinteresse dello stesso pensionato che, dopo la denuncia presa nel 2008, per aver strattonato una commessa dell'Auchan che lo aveva sorpreso rubare un dvd, non si è affidato a un avvocato come invece ha fatto la complice che ha ottenuto la sospensione della pena. Un disinteresse diventato dimenticanza per il pensionato, negli otto anni trascorsi da quell'episodio dopo il quale, in verità, Guarnieri ha collezionato altre due denunce, e sempre «per colpa» della sua passione per i film in dvd che ha tentato di rubare anche l'anno scorso;
   l'ultimo avvocato che ha seguito il pensionato racconta di avergli inviato la raccomandata per avvisarlo e non avendo avuto, né risposte, né un nuovo incarico, avrebbe lasciato perdere;
   un disinteresse costato caro al pensionato che, al contrario, avrebbe potuto fare istanza di sospensione, perché la pena è sotto ai tre anni o, nella peggiore delle ipotesi visto che ha dei precedenti, ottenere almeno domiciliari per via dell'età;
   è del tutto evidente per l'interrogante che l'età avanzata dell'anziano ultraottantenne gli ha fatto sottovalutare la questione –:
   se non intenda assumere iniziative normative per evitare che una persona di 81 anni sia arrestata e prevedere una modifica della disciplina su una materia così delicata quale la detenzione di persone anziane, per evitare che possano accadere tali situazioni alla luce della sussistenza di evidenti ragioni di cui tener conto sul piano umano. (4-12521)


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'uccisione dei fratelli Mattei costituisce uno degli atti di violenza politica più tragici ed efferati della nostra storia contemporanea;
   i due fratelli, che avevano 9 e 22 anni, persero la vita nella notte del 16 aprile 1973 in un rogo appiccato al loro appartamento, mentre tutta la famiglia dormiva, da parte di alcuni estremisti appartenenti al gruppo di «potere operaio»;
   dopo più di quattro decenni e numerosi processi, nessuno dei colpevoli ha scontato una pena per l'orrendo crimine commesso;
   in data 8 marzo 2016, a ben quarantatré anni di distanza dalla tragedia, il tribunale civile di Roma ha riconosciuto alla sorella di Virgilio e Stefano Mattei, Antonella, il diritto a ottenere un risarcimento di 923 mila euro da parte di Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo, che erano stati condannato in secondo grado per duplice omicidio colposo;
   le possibilità che Antonella Mattei arrivi davvero mai ad incassare questa cifra sono, tuttavia, minime, visto che Marino Clavo è deceduto e Manlio Grillo, dopo aver trascorso diversi anni all'estero, ad oggi è irreperibile;
   nell'ambito del medesimo procedimento il tribunale ha anche condannato la stessa Antonella Mattei a rifondere le spese legali sostenute dagli altri soggetti che aveva citato in giudizio, per un importo di oltre duecentomila euro;
   si realizza, quindi, l'assurdità che a fronte di un risarcimento che non riceverà mai la signora Mattei si trova, invece, costretta a corrispondere tali spese;
   nel 2011 l'Italia è stata messa in mora da parte dell'Unione europea per la mancata attuazione, nell'ambito del recepimento della direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato della norma in base alla quale «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime»;
   questa disposizione è tuttora inattuata nel nostro ordinamento, posto che in Italia l'indennizzo è riconosciuto alle vittime di solo alcune categorie di reati –:
   quali iniziative intenda assumere, sul piano normativo, per garantire il diritto a un doveroso risarcimento nel caso di cui in premessa e in quelli analoghi, adoperandosi, per quanto di competenza, per il completo recepimento della normativa europea in materia di indennizzo alle vittime di reati intenzionali violenti. (4-12522)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del progetto di riorganizzazione del dipartimento di giustizia minorile si è prevista la chiusura/conversione in centro diurno del centro di prima accoglienza di Caltanissetta e della comunità minorile di Caltanissetta;
   i centri di prima Accoglienza ospitano temporaneamente i minori arrestati, fermati o accompagnati a seguito di flagranza di reato e prestano servizio per minori di entrambi i generi nell'ambito del sistema penale minorile;
   il centro di prima accoglienza di Caltanissetta può ospitare, anche dopo interventi di ristrutturazione delle strutture, 14 minori;
   le comunità rispondono sia all'esecutività delle misure penali quanto alla rieducazione e all'inserimento dei minori sottoposti alla specifica misura cautelare prevista dall'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988;
   in tal senso lusinghieri appaiono i risultati raggiunti nel centro nisseno;
   nell'anno 2014 il centro di Caltanissetta ha visto il collocamento di 21 unità su un complessivo nazionale di 231 in ambito nazionale, con una presenza media giornaliera di 7,3 (fonte: unità sistema informativo dei servizi minorili), mentre la presenza media del 2015 sale a 7,5, ovvero il più alto tasso giornaliero tra le comunità penali ministeriali (fonte: sistema informativo dei servizi minorili (SISM) – elaborazione del 4 febbraio 2016);
   da più parti si segnala l'importanza della struttura nel percorso di rieducazione e riabilitazione fine ultimo dell'istituzione;
   il centro di prima accoglienza, e la comunità sono in linea con gli standard nazionali e contribuiscono in maniera positiva all'opera di giustizia minorile in un territorio con gravi scompensi socio-economici;
   pertanto, una ipotetica chiusura o conversione del centro di prima accoglienza e della comunità minorile di Caltanissetta appare non giustificata dall'opera svolta nel territorio e rappresenterebbe il venir meno di un nodo fondamentale nel distretto di Caltanissetta, determinando il venir meno di fondamentali presidi di legalità in un territorio caratterizzato da una criminalità che, soprattutto in ben individuati territori, assume caratteristiche di serio allarme sociale;
   un'eventuale chiusura del centro di prima accoglienza e della comunità minorile di Caltanissetta costituirebbe un grave danno per l'intero territorio nisseno –:
   se non si intendano esplicitare quali siano i criteri adottati dal Ministero della giustizia e dal competente dipartimento di giustizia minorile nell'opera di riorganizzazione;
   se la chiusura del centro di prima accoglienza e della comunità di Caltanissetta sia ancora una proposta contenuta nel progetto di riorganizzazione del dipartimento di giustizia minorile, anche alla luce della consultazione in atto con i soggetti interessati. (4-12525)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'atto di pianificazione concernente la rete aeroportuale di interesse nazionale e le azioni di razionalizzazione ed efficientamento del settore e relativi servizi, adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in data 25 settembre 2014, è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 2015, n. 201, concernente «Regolamento recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale, a norma dell'articolo 698 del codice della navigazione» ed entrato in vigore il 2 febbraio 2016;
   secondo tale, decreto del Presidente della Repubblica sono stati identificati gli aeroporti di interesse nazionale in applicazione dei criteri fissati dall'articolo 698 del codice della navigazione: ruolo strategico, ubicazione territoriale, dimensioni e tipologia di traffico, previsioni progetti europei TEN e tra questi sono stati individuati, in base ai medesimi criteri di cui al precedente articolo, gli aeroporti di particolare rilevanza strategica;
   tale decreto del Presidente della Repubblica individua l'aeroporto «Arlotta» di Taranto tra gli scali di interesse nazionale unitamente a quelli di Bari e Brindisi, e tra questi l'aeroporto di Bari è stato scelto quale aeroporto a rilevanza strategica;
   a penalizzare l'aeroporto di Taranto-Grottaglie in favore dell'aeroporto di Bari, quale «strategico» è sicuramente stato il fatto che non siano mai stati attivati dall'ENAC voli civili;
   l'aeroporto Arlotta, dapprima solo aeroporto militare, nel 1964 divenne aeroporto civile, ma, a seguito del rapporto Lino sulla sicurezza degli aeroporti italiani, fu chiuso e successivamente riaperto nel 1985 ed adibito principalmente ad uso militare. Attualmente è utilizzato in parte da Marina militare, Guardia di finanza e vigili del fuoco e dal gruppo Alenia Aeronautica, che nel 2006 è divenuta partner della Boeing per la costruzione delle fusoliere e del piano di coda del nuovo Boeing 787. Per facilitare il trasporto dei materiali nel 2006 venne inaugurata la nuova pista di atterraggio, la più lunga d'Italia, e utilizzata per i voli cargo;
   l'aeroporto, infatti, risulterebbe funzionante per i voli passeggeri, ma attualmente destinato ad uso esclusivamente cargo, destinazione che pone la società di gestione Aeroporti di Puglia al centro di numerose polemiche. Diverse associazioni cittadine, come risulta da stampa locale, sosterrebbero che la società di gestione Aeroporti di Puglia voglia impedire l'avvio dei voli passeggeri per non ostacolare il bacino di utenza degli aeroporti di Bari e Brindisi;
   la questione dei voli passeggeri dall'aeroporto di Taranto-Grottaglie ha portato a diverse manifestazioni di piazza e ad una delibera del consiglio comunale di Grottaglie che impegna la società di gestione a far ripartire i voli passeggeri. Nell'aprile del 2014 anche il consiglio comunale di Statte ha approvato una identica delibera, mentre nel settembre 2013 l'associazione «Taranto Futura» ha presentato una denuncia presso la procura della Repubblica di Taranto;
   inoltre, è da rilevare che in base ad una convenzione stipulata nel 2002 tra Ente nazionale aviazione civile e società esercizi aeroporto Puglia spa non si possono impedire all'aeroporto Arlotta voli di linea passeggeri;
   la questione è già stata sollevata dall'interrogante in un altro atto di sindacato, ispettivo, a cui non è stato ancora data risposta, il n. 4-11144 del 16 novembre 2015 in cui si chiedeva ai Ministri interrogati quali iniziative urgenti, anche normative, intendessero adottare per il rilancio dell'aeroporto Taranto-Grottaglie e per destinarlo anche al trasporto passeggeri –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per attivare presso l'aeroporto di Grottaglie-Taranto voli di linea per i passeggeri e quale sia la tempistica;
   se non ritenga di considerare l'inserimento dello scalo Arlotta fra quelli ad interesse strategico in cogestione con Bari, considerando la vocazione interregionale passeggeri. (5-08114)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 10 marzo 2016 dal titolo «Scandalo Sud-Est, consulenze d'oro 1,5 milioni anche a Fiorillo» si apprende che, dall'anno 2011 a novembre del 2015, l'ex amministratore delle Ferrovie Sud-Est Luigi Fiorillo, oltre ad essere stato amministratore delle Ferrovie Sud-Est è stato anche consulente della stessa azienda e sembrerebbe che in questo arco di tempo abbia ricevuto dalla stessa circa 250 mila euro come amministratore e quasi 1,5 di euro come assistente del responsabile degli appalti;
   dalla fonte stampa si apprende che, sul caso, sta indagando il nucleo di polizia tributaria della finanza di Bari, e sembrerebbe che l'indagine sia partita a seguito del sequestro a carico di Fiorillo sulla base di un'altra vicenda legata ai «treni d'oro» su cui l'interrogante ha più volte indirizzato interrogazioni al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   sui conti correnti di Fiorillo sembrerebbe che siano stati trovati circa 5 milioni di euro, rispettivamente 418 mila euro presso la filiale romana Intesa di piazza Barberini, 2,5 milioni di euro presso Intesa Private Banking, 49 mila euro presso Barclays, 1,1 milioni di euro presso Popolare di Bergamo e 831 mila euro presso la Popolare di Bari, nonostante il compenso di Fiorillo come amministratore delle Sud-Est ammontasse ad appena 48 mila euro lordi all'anno;
   dalla fonte stampa si apprende che il processo verbale di constatazione abbia permesso al commissario di Ferrovie Sud Est, Viero di approfondire e risulterebbe che gli incarichi dati a Fiorillo come collaboratore del dirigente responsabile degli investimenti nel solo anno 2013 siano stati 20, per un compenso di 410 mila euro, ma tali importi siano stati pagati non attraverso i quadri economici degli appalti, bensì proprio gravando sul bilancio di Ferrovie Sud Est. Inoltre, la fonte stampa rivela che il dirige e responsabile degli investimenti sia lo stesso che abbia affidato all'ingegnere Vito Antonio Prato gran parte degli incarichi di cui questo interrogante ha già presentato atto di sindacato ispettivo a risposta in commissione trasporti n. 5-08087, in data 10 marzo 2016;
   inoltre, la fonte stampa rivela che Fiorillo sia stato dirigente di una società del gruppo FS da cui ora risulta in pensione ma, tuttavia, il suo compenso sia stato rimborsato da Ferrovie Sud-Est –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative intendano adottare per quanto di competenza che contribuiscano a chiarire quanto sopra riportato;
   quale sia il nominativo del dirigente responsabile degli investimenti di Ferrovie sud-est che ha dato incarichi a Fiorillo e all'ingegnere Vito Antonio Prato e se lo stesso dirigente attualmente ricopra incarichi di dirigenza o di collaborazione ovvero qualsiasi altro ruolo nei confronti di società partecipate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o da altre autorità statali;
   quali siano i nominativi dei soggetti responsabili facenti parte gli uffici e del dipartimento competente in materia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che avevano il compito di vigilare su Ferrovie Sud-Est nel periodo in cui Fiorillo è stato a Capo della società e se tali soggetti siano ancora operanti presso strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e in quali ruoli;
   quale sia stata la società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane di cui Fiorillo è stato dirigente e quali ruoli abbia ricoperto. (5-08119)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LA RUSSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   parte del centro abitato della località di Campo di mare, nel comune di Cerveteri, è sorto tra gli anni sessanta e settanta in seguito ad estese opere di lottizzazione, in parte in danno della famiglia Ruspoli, che sono poi state dichiarate illegittime da una serie di sentenze emesse negli anni dalla magistratura amministrativa;
   tra il 1960 e il 1961, infatti, la società Ostilia aveva presentato domanda per la lottizzazione di complessivi centosettanta ettari nella citata località, e il comune di Cerveteri ha approvato il relativo progetto;
   nel 1971 il medesimo comune ha rilasciato alla citata società ottantadue licenze edilizie, ma nell'agosto 1972 si è visto costretto dapprima a disporre la sospensione dei lavori, sulla base di una nota dell'assessorato regionale che segnalava la non conformità dei titoli edilizia alla vigente normativa, e poi, nel settembre dello stesso anno, a revocare le licenze;
   la società Ostilia, tuttavia, ha proseguito con i lavori di edificazione, oltretutto realizzando una cubatura complessiva di cinquecentomila metri cubi in luogo dei ventimila autorizzati;
   gli abusi realizzati sono stati confermati da due sentenze del tribunale amministrativo del Lazio emesse già negli anni Ottanta, la sentenza n. 1099 del 1986 e la sentenza n. 636 del 1988, e da una sentenza pronunciata nel 1997 dal Consiglio di Stato (n. 211);
   dalla lettura del combinato disposto delle disposizioni di cui agli articoli 30 e 31 del Testo unico in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, emerge chiaramente come le aree lottizzate siano acquisite «di diritto al patrimonio disponibile del comune», il quale deve provvedere alla demolizione delle opere ivi insistenti, e che in caso di inerzia del comune si attivino i poteri sostitutivi in capo all'amministrazione regionale;
   con una nota del 2011, la procura regionale della Corte dei conti ha comunicato al comune di Cerveteri che la invocata sanatoria è inattuabile. Il comune avrebbe quindi dovuto acquisire i beni realizzati in difformità dalla disciplina urbanistica vigente e irrogare la dovuta sanzione pecuniaria;
   l'inerzia dell'amministrazione comunale di Cerveteri rispetto alla vicenda esposta avrebbe dovuto dare luogo già da tempo all'intervento della regione con l'esercizio dei poteri sostitutivi –:
   il territorio di Cerveteri è in gran parte tutelato da vincoli paesaggistici, ambientali, archeologici e idrogeologici che non possono non essere compromessi da interventi urbanistico-edilizi come quelli sopra descritti e dai fenomeni di diffuso abusivismo –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite dell'Osservatorio nazionale dell'abusivismo edilizio, circa la situazione concernente le estese opere di lottizzazione relative alla località di Campo di mare nel comune di Cerveteri e alle irregolarità riscontrabili e non sanabili rispetto alla disciplina urbanistica vigente;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, anche per il tramite della soprintendenza e degli altri uffici periferici competenti, al fine di tutelare il patrimonio ambientale e paesaggistico in questione, oltretutto a ridosso del litorale, che risulta devastato da manufatti e opere non conformi alla normativa urbanistica ed edilizia vigente, evitando che si producano ulteriori conseguenze pregiudizievoli per l'interesse pubblico. (4-12523)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema delle infrastrutture ferroviarie rappresenta, per tutto il Paese, ed in particolare per alcune regioni come il Lazio uno dei principali problemi legati alla mobilità;
   nonostante le poche risorse, comunque, la regione Lazio aveva, negli anni scorsi, precisamente con la giunta Marrazzo, effettuato una programmazione seria e compatibile con le esigenze dei territori;
   tra i tanti progetti approvati vi era anche la linea ferroviaria Gaeta-Formia, tant’è che si arrivò alla pubblicazione del bando, con stanziamento di circa 26 milioni di euro, che ne completava la realizzazione permettendone l'attivazione e l'arrivo nel centro cittadino il quale ritornava ad essere collegato alla rete ferroviaria nazionale dopo diversi decenni;
   sulla base di queste progettualità fu anche firmato un protocollo d'intesa per la realizzazione della linea ferroviaria Gaeta-Vasto, nell'ambito del corridoio trasversale Tirreno-Adriatico, al fine di consentire una doverosa interazione tra le infrastrutture e giungere all'ambizioso e necessario progetto di unire finalmente su ferro i due principali mari italiani;
   è opportuno sottolineare che tale opera infrastrutturale avrebbe consentito di snellire notevolmente il traffico su ruote nel territorio del sud-pontino che, soprattutto in estate, risulta estremamente congestionato. Inoltre, avrebbe consentito una soluzione ideale per le migliaia di viaggiatori pendolari che ne sarebbero stati i principali beneficiari. Allo stato attuale, però, questa linea ferroviaria è stata completata fino alla località di Bevano (Consorzio industriale). Basterebbe realizzare solamente gli ultimi 3 chilometri per arrivare fino al centro di Gaeta;
   ciò, permetterebbe, oltre che lo spostamento di merci su rotaie, nuovi e più veloci collegamenti con le spiagge e con il porto commerciale di Gaeta, senza contare la riduzione dell'inquinamento acustico e ambientale e un aiuto alla soluzione del problema dei parcheggi. Rappresenterebbe, altresì, un volano per l'incremento del turismo e dell'economia del territorio, favorendo la creazioni di nuovi posti di lavoro e rivitalizzando in tal modo il tessuto economico di una città che sta sprofondando in un baratro economico dal quale sarà difficile venir fuori;
   purtroppo, però la successiva amministrazione regionale guidata dalla presidente pro-tempore Polverini, invece di promuovere la realizzazione di interventi infrastrutturali che, come detto, avrebbero fatto da volano per riuscire a riattivare le micro economie di quel territorio, ad avviso dell'interrogante ha adottato una politica fatta di tagli che purtroppo ha inciso in modo negativo nella zona del Sud – Pontino;
   nell'ultima legge finanziaria, adottata dall'amministrazione guidata di cui sopra, furono tagliati i fondi necessari al completamento della littorina che da progetto immediatamente cantierabile e finanziato, diventò una ipotesi che si sarebbe dovuta realizzare con chissà quali risorse, probabilmente dal Governo centrale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte;
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare per evitare una possibile lesione del diritto alla mobilità dei cittadini, tra l'altro costituzionalmente garantito;
   quali iniziative, per quanto di competenza e in collaborazione con la regione Lazio, intenda promuovere per il completamento della tratta di cui in premessa che determinerebbe una reale ripresa economica di un territorio che oramai appare isolato. (4-12528)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   agli interpellanti sono giunte segnalazioni da parte di legali che assumono la difesa delle associazioni antiracket, di enti locali e degli imprenditori che denunciano le estorsioni e l'usura, rappresentandoli come parte civile nei processi contro i clan mafiosi. I suddetti avvocati difendono le vittime a costo zero, in modo da invogliarli a denunciare i numerosi soprusi causati dai clan mafiosi, garantendo loro un'assistenza gratuita sia sotto l'aspetto extraprocessuale (affiancandoli alla denuncia, opponendosi alle varie esecuzioni civili, proponendo la domanda al fondo antiracket), sia sotto l'aspetto processuale e cioè rappresentandoli in giudizio mediante la costituzione di parte civile contro gli esponenti dei clan mafiosi. Il tutto senza alcun aggravio economico nei confronti delle vittime, che già trovandosi in situazione di completa difficoltà, non riuscirebbero a pagare i dovuti onorari all'avvocato;
   il medesimo discorso vale anche per le associazioni antiracket e per gli enti locali, rappresentati in giudizio senza alcun aggravio economico. Questa procedura è molto rilevante per ciò che riguarda gli enti locali, in particolar modo quei comuni notoriamente conosciuti come ad alto tasso mafioso;
   infatti, la difesa in giudizio di questi enti locali, come parte civile nei processi contro i clan, elimina qualunque perplessità finanziaria, sulla decisione di costituirsi parte civile contro quei clan mafiosi che hanno per anni inquinato, sotto ogni aspetto, numerosi territori;
   fino al mese di ottobre 2015 le spese legali degli avvocati, che meritoriamente hanno difeso e rappresentato le vittime e gli enti in giudizio venivano liquidate dal Comitato per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso ai sensi della legge n. 512 del 1999, sulla base di quanto riconosciuto in sentenza;
   con il decreto del Presidente della Repubblica del 18 agosto 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 240 del 15 ottobre 2015, è stato nominato commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, su proposta del Ministro interpellato, il dottor Riccardo Carpino, che, appena insediato, a partire dal mese di ottobre 2015, a quanto risulta agli interpellanti ha deciso di bloccare tutti i pagamenti del Comitato, sia quelli relativi alle spese legali, sia quelli relativi ai risarcimenti riconosciuti in favore delle vittime;
   il dottor Carpino ha al contempo chiesto un parere all'Avvocatura di Stato per avere delucidazioni sulla norma da applicare e cioè se pagare le spese legali a tutte le associazioni che presentano domanda o solo ad alcune di esse;
   da notizie ufficiose, si è appreso che l'Avvocatura ha già dichiarato che il commissario non può che applicare la legge e quindi liquidare tutte le spese legali così come disposto in sentenza, ma ad oggi è ancora tutto sospeso;
   la questione segnalata agli interpellanti appare rilevante per due ordini di motivi: in primo luogo, perché le parti rappresentate dai suddetti legali sono tutti soggetti che hanno denunciato episodi estorsivi ed usurari, anche perché incentivati dalla completa gratuità di tale difesa. Pertanto, se il commissario decide autonomamente di bloccare i suddetti pagamenti, in futuro sarà più complicato invitare gli estorti e gli usurati a denunciare, tenuto conto che dovranno anche sobbarcarsi le spese legali sostenute; in secondo luogo, non si comprende se quella del commissario è una semplice iniziativa amministrativa o se ci sia una volontà politica tesa ad eliminare l'intero associazionismo antiracket;
   è evidente che qualora venisse eliminata la possibilità di ottenere la liquidazione delle spese legali le vittime non potranno più essere difese e rappresentate in giudizio;
   la liquidazione degli onorari, almeno per quanto riguarda la realtà della Campania, ammonta a circa 1.000,00 euro per ogni processo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'iniziativa del commissario dottor Riccardo Carpino, quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga di doversi attivare, per quanto di competenza e responsabilità, al fine di ripristinare il pagamento degli onorari dei legali delle numerose associazioni antiracket presenti sul tutto il territorio nazionale, stante la grandissima utilità sociale del servizio da loro svolto.
(2-01315) «Luigi Di Maio, Nuti, Cecconi, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Dieni, Toninelli».

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'intera organizzazione delle forze dell'ordine italiane è divisa in 5 corpi di polizia (che diventeranno quattro nel 2017), ciascuno con le proprie competenze e dipendente da un diverso Ministero, con un totale di 310 mila dipendenti tra poliziotti ordinari e penitenziari, carabinieri, finanzieri e forestali e dal costo complessivo di circa 20 miliardi di euro l'anno per le casse dello Stato;
   la Polizia di Stato fa riferimento al dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Rappresenta l'autorità nazionale di sicurezza e vigila quindi sul mantenimento dell'ordine pubblico, che si articola in varie mansioni, dalla prevenzione dei crimini al pattugliamento delle strade. L'organico complessivo supera le 100 mila unità: 930 dirigenti, 1.980 commissari, 1.300 vice-commissari e questori, 23.600 ispettori, 20.000 sovrintendenti e 59.600 agenti, più gli addetti tecnici e scientifici (si veda al proposito un articolo de La Stampa del 05 settembre 2014);
   in ballo c’è la pubblica sicurezza, in un momento in cui l'emergenza migranti mette a dura prova le forze dell'ordine, sia per la gestione dei flussi che per garantire la sicurezza, per non parlare dell'allerta terrorismo. In un momento di crisi economica ed occupazionale stanno inoltre aumentando anche i fenomeni di microcriminalità, come furti in abitazioni e truffe, le cui vittime spesso sono anziane;
   negli ultimi anni il Governo ha progressivamente ridotto le risorse per la polizia di stato, che ora si trova in una carenza cronica di uomini e mezzi adeguati; in alcuni casi) mancano persino le risorse per mettere benzina alle auto e per sostituire le uniformi usurate;
   la situazione per le forze dell'ordine ormai è critica, ma a nulla sono servite le proteste ed i comunicati stampa dei sindacati di polizia, puntualmente ignorati dal Governo. Ultimamente, gli stessi agenti hanno messo in atto anche forme di protesta più eclatanti, per far emergere il problema all'opinione pubblica, rischiando sospensioni e addirittura indagini: un poliziotto che ha denunciato i tagli alla pubblica sicurezza è stato sospeso e lasciato con metà stipendio. L'ispettore Gianni Tonelli dopo 43 giorni di sciopero della fame davanti a Montecitorio, per denunciare la situazione in cui sono costrette a lavorare le forze dell'ordine, è indagato dalla Procura di Roma per «concorso in interruzione di pubblico servizio e abbandono del posto di servizio» nonché per la pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico, in qualità di concorrente morale, promotore e organizzatore;
   dopo il malore del segretario generale Tonelli, anche il sindacato provinciale Sap di Belluno ha deciso di partecipare allo sciopero della fame davanti a Montecitorio, per proseguire la sua azione e portare all'attenzione anche i problemi di Belluno, puntualmente ignorati nonostante le denunce: giubbotti antiproiettile in uso ma scaduti (datati 2005, hanno protezione balistica per dieci anni); le fodere contenitrici che hanno validità 24 mesi, mai cambiate; manca la dotazione individuale di caschi, obsoleti e indossati ogni volta da colleghi diversi e quindi senza il rispetto delle minime condizioni igienico sanitarie; le divise sono insufficienti e talune inadatte a contesti operativi; il personale è sottodimensionato e con una età media intorno ai 50 anni;
   la segreteria Sap di Belluno denuncia che, nonostante le esigenze di contrasto alla microcriminalità e alla malavita presenti nel bellunese, non «si riesce a organizzare più di una volante per turno e il Dipartimento continua a non inviare nuovi uomini». Mancano inoltre i fondi per quasi tutto: le lezioni di aggiornamento professionale non sono all'altezza, le munizioni per le esercitazioni in poligono sono difettose e pericolose, le pulizie delle strutture sono pressoché inesistenti;
   rispetto all'organico previsto dal decreto ministeriale, la situazione nel bellunese al 31 dicembre 2015 è la seguente, come risulta da un comunicato del segretario provinciale del sindacato di polizia del Siulp;
   la questura, con sede in Belluno che espleta le funzioni di autorità provinciale di polizia di Stato (ordine e sicurezza pubblica, soccorso pubblico, polizia giudiziaria, polizia amministrativa e sociale – curando le pratiche relative a passaporti, licenze di P.S., gestione immigrati ecc., Polizia Scientifica, ecc.) risulta sottodimensionata di 27 unità;
   il commissariato di polizia di Stato di Cortina d'Ampezzo (che dipende dalla questura) che assolve funzioni di autorità locale di polizia di Stato per la conca ampezzana, risulta sottodimensionata di 7 unità;
   la sezione polizia stradale di Belluno che assolve funzioni specialistiche per la sicurezza del sistema viario per l'intera provincia curando la gestione dei sinistri stradali, e coordina i distaccamenti che hanno prevalenti competenze sulle giurisdizioni loro assegnate, ha un organico complessivo di 25 unità; i distaccamenti della polizia stradale di Feltre e della Valle di Cadore sono sottodimensionati di 9 unità ciascuno (organico previsto di 25 unità per distaccamento);
   la situazione più esposta è quella della questura dove, anche a causa di aggregazioni verso altre sedi, per gli impegni estemporanei ma anche prolungati quali i servizi di sicurezza e soccorso nei comprensori sciistici che impegnano 4-5 dipendenti per circa 5 mesi all'anno, piuttosto che i servizi di scorta e tutela personalità ecc., si fatica a garantire il servizio di copertura sulle 24 ore delle volanti; difficile è la condizione in cui versa l'ufficio immigrazione, difficoltà si registrano nella trattazione delle pratiche di polizia giudiziaria, amministrativa e altro;
   il commissariato di polizia di Stato di Cortina d'Ampezzo riesce a malapena a garantire 6 ore di volante al giorno;
   per la polizia stradale i numeri dimostrano eloquentemente i deficit in termini di vigilanza stradale sul fragile sistema viario provinciale notoriamente interessato da interruzioni, frane, smottamenti, deviazioni di traffico e altro;
   ad esasperare ulteriormente il già precario bilancio vi è la prospettiva a breve termine di ulteriori ed imminenti esodi pensionistici che condanneranno definitivamente le strutture ad un inesorabile declino difficilmente recuperabile –:
   come intenda affrontare il problema della pubblica sicurezza sul territorio italiano, soprattutto in un momento cui le tensioni sociali, dovute alla crisi economica ed occupazionale generale vanno a sommarsi all'emergenza migranti e all'allerta terrorismo;
   se intenda assumere iniziative per una ridefinizione della spending review per quanto riguarda gli attuali incerti standard di sicurezza pubblica, che hanno visto una perdita di quasi 6000 operatori negli anni 2012-2016, da sommarsi alla carenza di organico di 15 mila poliziotti, come denunciato dal sindacato Ugl;
   quali iniziative intenda assumere e quando, per risolvere la situazione critica di Belluno, recentemente denunciata dai sindacati di polizia Sap e Siulp provinciali. (4-12516)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   PIEPOLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   chi ha partecipato alla procedura di «abilitazione scientifica nazionale» per il conseguimento dell'idoneità alla funzione di professore universitario di prima e seconda fascia (per i settori concorsuali di rispettivo interesse) nelle tornate 2012 e 2013, pur avendo riportato 3 giudizi favorevoli su 5, è stato dichiarato non idoneo in applicazione di una norma (articolo 8, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 222 del 2011) che così disponeva: «la commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti»;
   con la recente sentenza n. 470 del 5 febbraio 2016, il Consiglio di Stato, sezione VI, ha confermato la sentenza del Tar Lazio, sezione III-bis, n. 13121 del 20 novembre 2015 con cui era stato dichiarato «illegittimo l'articolo 8, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 222 del 2011, secondo il quale la Commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti, anziché a maggioranza dei componenti», con la conseguenza che «il giudizio reso collegialmente non può che considerarsi favorevole, con conseguente conseguimento dell'abilitazione a professore di prima fascia da parte dell'interessato»;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, come è noto, pur convenendo sul fatto che l'annullamento della norma regolamentare in questione da parte del Consiglio di Stato non possa essere limitato alle sole fattispecie particolari ma abbia efficacia per tutti, ritiene che tale efficacia non riguardi i provvedimenti antecedenti all'annullamento, in particolare per quel che riguarda quei candidati che non abbiano presentato ricorso in tempo utile;
   appare opportuno che il Ministero proceda in urgente autotutela disponendo il riconoscimento del regime derivante dal suddetto annullamento giurisdizionale nei confronti di tutti coloro che sono stati giudicati non idonei (nonostante 3 giudizi positivi su 5) alla luce di una norma dichiarata illegittima e per questo annullata;
   l'applicazione della maggioranza semplice conseguente all'annullamento della norma regolamentare illegittimamente restrittiva amplierebbe ragionevolmente lo spettro degli idonei e in tal senso garantirebbe una migliore scelta, in linea con l'interesse pubblico sotteso alla procedura in questione;
   il sopra citato riconoscimento in via di autotutela, dunque, nel porsi in linea con il suddetto interesse pubblico, non pregiudicherebbe alcuna posizione di terzi, trattandosi di una procedura non concorsuale ma di mera abilitazione;
   oltre a garantire parità di trattamento a tutti coloro che si sono già sottoposti alla procedura e che, se non si vedessero estesi gli effetti dell'annullamento della norma in questione, dovrebbero sottoporvisi nuovamente nelle tornate future – con la conseguente alea del giudizio di un'ulteriore commissione – l'amministrazione scongiurerebbe altresì il rischio di vedersi esposta a sicure iniziative giudiziali e azioni risarcitorie degli interessati esclusi dall'applicazione degli effetti dell'annullamento ex tunc ed erga omnes della regola della maggioranza dei quattro quinti dei componenti –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato per risolvere in tempi rapidi una questione che riguarda molti studiosi dichiarati non idonei solo per un cavillo formale e per mera mancanza di ricorso, restituendo, invece, uguaglianza e giustizia al mondo della ricerca già positivamente valutato ed evitando, inoltre, all'amministrazione cause e condanne a risarcimenti altrimenti inevitabili. (3-02110)


   BORGHESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   un asilo comunale di Milano (per la precisione quello di via Toce, quartiere Isola) ha deciso di non ricordare la «festa del papà», tradizionalmente in programma il 19 marzo;
   questo per non turbare la sensibilità dei cosiddetti «genitori arcobaleno» (gli interroganti, pertanto, presumono che a maggio non sarà festeggiata neppure la festa della mamma);
   molti genitori ovviamente hanno protestato per questa decisione, chiamando in causa i rappresentanti delle istituzioni e apostrofando questa decisione come «scandalosa»;
   l'assessorato all'educazione del comune di Milano ha chiarito di non aver mai dato disposizioni relative a feste per le giornate del papà e della mamma e che si tratta di iniziative gestite in base alla discrezione, alla libertà didattica e alla sensibilità delle educatrici;
   più che decisione «scandalosa», ad avviso degli interroganti, appare solo uno dei tanti atteggiamenti paradossali del politically correct, che soprattutto in asili e scuole elementari trova molto riscontro;
   di esempi se ne sono avuti tanti negli ultimi tempi, dal divieto dei simboli natalizi (presepe, canti, recite) per «non offendere le altrui sensibilità religiose», ai menù differenziati nel «rispetto delle altrui culture gastronomiche»; dai corsi di lingua araba o rumena destinati agli alunni italiani per «meglio integrarsi con i compagni stranieri», quando invece dovrebbe essere il contrario e cioè corsi intensivi di lingua italiana per i bimbi stranieri al fine di favorirne l'integrazione;
   senza ancora alcuna normativa generale in materia, la prassi burocratica si sta adeguando al nuovo corso; nei moduli scolastici, infatti, i due genitori non vengono più definiti «madre e padre», bensì «genitore 1» e «genitore 2» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato al fine di assicurare il rispetto della Costituzione che, ai sensi dell'articolo 29, riconosce la famiglia quale nucleo fondamentale della società, contrastando con forza qualsiasi deriva ideologica strumentalmente celata dietro l'autonomia scolastica.
(3-02111)


   CENTEMERO e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge 13 luglio 2015, n. 107, all'articolo 1, comma 108, prevede per l'anno scolastico 2016/2017 un piano straordinario di mobilità territoriale e professionale su tutti i posti vacanti dell'organico dell'autonomia, rivolto ai docenti assunti a tempo indeterminato entro l'anno scolastico 2014/2015 e che tale personale partecipi, a domanda, alla mobilità per tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale, in deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia, di cui all'articolo 399, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, per tutti i posti vacanti e disponibili inclusi quelli assegnati in via provvisoria nell'anno scolastico 2015/2016 ai soggetti di cui al comma 96, lettera b), ossia i soggetti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, assunti ai sensi del comma 98, lettere b) e c);
   il suddetto comma 108 prevede inoltre che successivamente, i docenti di cui al comma 96, lettera b), ossia i soggetti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, assunti a tempo indeterminato a seguito del piano straordinario di assunzioni ai sensi del comma 98, lettere b) e c), e assegnati su sede provvisoria per l'anno scolastico 2015/2016, partecipano per l'anno scolastico 2016/2017 alle operazioni di mobilità su tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale, ai fini dell'attribuzione dell'incarico triennale;
   viene inoltre precisato, sempre dal comma 108 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, che limitatamente all'anno scolastico 2015/2016, i docenti assunti a tempo indeterminato entro l'anno scolastico 2014/2015, anche in deroga al vincolo triennale sopra citato, possono richiedere l'assegnazione provvisoria interprovinciale e che tale assegnazione possa essere disposta dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel limite dei posti di organico dell'autonomia disponibili e autorizzati;
   la legge n. 107 del 2015, ai commi 95-114, dispone un piano straordinario di mobilità per l'anno scolastico 2015/2016 e, in particolare, al comma 96, lettere a) e b), ai sensi dell'articolo 399 del decreto legislativo n. 297 del 1994, dispone l'assunzione in ordine di:
    a) soggetti iscritti a pieno titolo nelle graduatorie del concorso pubblico per titoli ed esami a posti e cattedre bandito con decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 82 del 24 settembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 75 del 25 settembre 2012, per il reclutamento di personale docente per le scuole statali di ogni ordine e grado;
    b) i soggetti iscritti a pieno titolo, alla data di entrata in vigore della presente legge, nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente di cui all'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, esclusivamente con il punteggio e con i titoli di preferenza e precedenza posseduti alla data dell'ultimo aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento, avvenuto per il triennio 2014-2017;
   l'ipotesi di contratto nazionale integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed ata per l'anno scolastico 2016/2017 sottoscritto a Roma il 10 febbraio 2016 dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con le organizzazioni sindacali e al vaglio del Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione prevede, nella parte relativa al personale docente, che soggetti del piano straordinario di mobilità per 2017/2018 siano distintamente:
    a) i docenti assunti a tempo indeterminato con sede definitiva, compresi gli insegnati di sostegno, e quelli immessi in ruolo senza sede definitiva, che partecipano alla operazioni di trasferimento insieme ai docenti con sede definitiva, in deroga al triennio (docenti immessi in ruolo entro l'anno scolastico 2014/2015);
    b) i docenti immessi in ruolo nelle prime due fasi del piano straordinario di assunzioni 2015/2016 senza sede definitiva, che vengono considerati nella fase A del piano straordinario di mobilità, considerandoli come fuori sede, e partecipano ai trasferimenti nell'ambito della provincia sui posti residuali dopo i trasferimenti sulla provincia e prima della mobilità interprovinciale;
    c) i docenti immessi in ruolo nelle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni che partecipano alla mobilità su ambito territoriale e con priorità per i docenti assunti da graduatoria ad esaurimento, rispetto a graduatoria concorsuale, che partecipano alla fase B e alla fase C del piano di mobilità straordinaria con preventivo accantonamento dei posti nella provincia di nomina provvisoria;
   l'ipotesi di contratto nazionale integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed ata per l'anno scolastico 2016/2017 prevede, all'articolo 6, dunque, quattro fasi, che individuano precedenze e priorità:
    a) la fase A:
     1) gli assunti entro l'anno scolastico 2014/2015 con assegnazione su scuole su tutti i posti vacanti e disponibili nonché su quelli degli assunti nelle fasi B e C del piano assunzioni le 2015/2016 provenienti da graduatorie ad esaurimento. Questi docenti possono anche fare domanda su province diverse da quelle di titolarità;
     2) gli assunti nell'anno scolastico nelle fasi zero e A del piano straordinario di assunzioni 2015/2016, che otterranno sede definitiva in una scuola degli ambiti provinciali in cui hanno ottenuto quella provvisoria, utilizzando anche i posti vacanti e disponibili per la mobilità, e che potranno anche partecipare alla mobilità territoriale, nelle modalità della fase D;
    b) la fase B:
     1) gli assunti entro l'anno scolastico 2014/2015 che potranno spostarsi in ambiti di province diverse, ma sempre con titolarità sulla scuola e nel limite dei posti vacanti e disponibili in ciascun ambito compresi quegli degli assunti in fase B e C del piano straordinario di assunzioni 2015/2016;
     2) gli assunti nell'anno scolastico 2015/2016 delle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni provenienti da graduatorie di merito del concorso 2012, indicando gli ambiti territoriali della provincia. Questi docenti possono utilizzare la mobilità territoriale in fase D;
    c) la fase C:
     1) i docenti assunti in fase B e C del piano straordinario di assunzioni, provenisti da graduatorie ad esaurimento, partecipano alla mobilità territoriale. I docenti verranno assegnati ad un abito territoriale;
    d) la fase D:
     1) gli assunti nell'anno scolastico 2015/2016 da fasi zero e A del piano straordinario di assunzioni e nelle fasi B e C provenienti da graduatorie di merito del concorso 2012, in deroga al vincolo triennale, che possono partecipare alla mobilità su posti vacanti e disponibili in ciascun ambito dopo le fasi precedenti;
   dall'ipotesi di contratto nazionale integrativo concernente la mobilità del personale docente per l'anno scolastico 2016/2017 si evince che tra i docenti assunti nel piano straordinario di assunzioni per il 2015/2016 la priorità, nella mobilità territoriale al di fuori della provincia di assegnazione provvisoria, viene assegnata agli assunti da graduatorie ad esaurimento, a cui è assegnata la precedenza rispetto ai docenti assunti da graduatoria di merito del concorso. In particolare per i docenti assunti in fase B da graduatoria di merito la modalità con cui si assegna la sede con mobilità straordinaria, ossia a partire dalla provincia di servizio anziché da provincia di scelta del docente, ovvero da quelle rientranti nelle regioni in cui si è svolto il concorso, appare passibile e oggetto di contenzioso per disparità di trattamento. Il comma 108 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 aveva inoltre previsto che il piano straordinario di mobilità territoriale e professionale fossero utilizzati tutti posti vacanti e disponibili dell'organico dell'autonomia compresi i posti del potenziamento;
   il piano straordinario di assunzioni, come si è potuto leggere in molte testate nazionali e riviste specializzate nel settore scuola, ha inoltre comportato molte difficoltà ai docenti che hanno spesso assunto incarichi a tempo indeterminato lontano dalle famiglie, in moltissimi casi già costituite vista l'età media dei docenti italiani;
   per il personale docente è inoltre prevista la possibilità, in fase successiva alla mobilità e all'assegnazione a sede scolastica, di essere utilizzati o di essere assegnati con assegnazione provvisoria a sede diversa da quella in cui si è trasferiti. Tutto questo al di là dei diritti riconosciuti al personale docente, potrebbe compromettere seriamente la continuità didattica per gli studenti;
   gli uffici scolastici territoriali saranno oggetto di una consistente mole di lavoro che riguarderà tutti i trasferimenti dei docenti immessi in ruolo nell'anno scolastico 2015/2016 e di chi immesso in ruolo in anni antecedenti volesse chiedere il trasferimento, tutto questo con personale limitato –:
   quali provvedimenti intenda adottare affinché non si creino disservizi ed effetti negativi per gli studenti che vedano compromessa la continuità didattica, per ristabilire priorità e merito rispetto ai docenti, soprattutto quelli immessi in ruolo nella fase B del piano straordinario di assunzioni e da graduatoria di merito del concorso e per salvaguardare i motivi familiari, con particolare riferimento alla possibilità di ricorrere agli strumenti dell'utilizzo e dell'assegnazione provvisoria per l'anno scolastico 2016/2017. (3-02112)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAROCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 febbraio 2016 è stata inviata alle scuole la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prot. n. 674 e tutta la documentazione allegata riguardante i viaggi di istruzione e le visite guidate;
   in tal senso, se da una parte appare positivo, nell'ambito delle iniziative dirette ad accrescere i livelli di sicurezza stradale, il coinvolgimento del personale della polizia stradale nell'organizzazione delle visite di istruzione, al fine di rendere più sicuro il trasporto scolastico in occasione della partecipazione degli studenti ai viaggi di istruzione, dall'altra appare eccessiva l'assegnazione dei compiti di controllo e sicurezza assegnati agli insegnanti;
   infatti, essi sono chiamati a controlli sullo stato di usura dei pneumatici, dell'efficienza dei dispositivi visivi e di illuminazione, della presenza dell'estintore e dei dischi con l'indicazione delle velocità massime poste sul retro del mezzo;
   sono anche chiamati a valutare l'idoneità del conducente, i documenti di viaggio e la sua condotta durante il tragitto;
   sembra evidente che la circolare imponga ai docenti accompagnatori eccessive verifiche sui mezzi noleggiati e sul conducente;
   prima dell'invio di questa circolare, il dirigente scolastico già doveva recepire tutta la documentazione sulla regolarità delle imprese di trasporto attraverso la stipula del contratto con l'azienda di trasporto;
   in tal senso, erano stati chiaramente predisposti strumenti al fine di rendere sicuro il trasporto scolastico in occasione dei viaggi di istruzione;
   dunque, pur comprendendo l'allarme suscitato dai gravi fatti accaduti nel passato sembra esorbitante rispetto ai compiti propri l'assegnazione ai docenti di controlli così specifici che li chiamano ad un'eccessiva responsabilità;
   inoltre, come segnalato dalla Confindustria Liguria, tale circolare non solo trascura i ripetuti controlli a cui i mezzi delle aziende sono sottoposti nel corso dell'anno, ma che determina anche forti contraccolpi economici sul settore;
   infatti, a poco più di un mese dall'entrata in vigore, la circolare ha già avuto i suoi effetti negativi: sono già molte le prenotazioni per le gite scolastiche a essere state disdette;
   in tal senso, questa norma potrebbe davvero mettere a rischio posti di lavoro e danneggiare le piccole imprese di noleggio e di trasporto producendo effetti negativi sull'indotto recettivo;
   nella sola Liguria si contano circa 200 microimprese di noleggio e trasporto passeggeri: 120 in provincia di Genova, 25 a Imperia, 23 alla Spezia e 31 nel savonese;
   tale scelta potrebbe così vanificare quei pochi elementi positivi contenuti nella stessa circolare: l'importanza delle garanzie di sicurezza e di responsabilità nella scelta dell'impresa da parte della scuola, un aiuto contro abusivismo e concorrenza sleale –:
   se non si ritenga opportuno chiarire meglio le responsabilità dei docenti;
   se abbia valutato gli effetti negativi che tale circolare potrebbe avere sull'indotto ricettivo. (5-08115)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il fondo di previdenza del clero secolare e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, istituito quale fondo unico con la legge 22 dicembre 1973, n. 903, costituisce una forma previdenziale compatibile con l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e, con altre forme di previdenza sostitutive, esclusive o esonerative. Il fondo di previdenza sopra richiamato eroga, infatti, la pensione di vecchiaia, la pensione di invalidità e la pensione ai superstiti, per un totale di 13.788 pensioni erogate (dato di consuntivo 2014);
   nonostante il rapporto iscritti/pensionati sia sempre ben superiore all'unità (1,45 nel 2015), la gestione è costantemente in passivo, riportando risultati economici annuali negativi compresi tra i 56 e i 115 milioni di euro nel periodo 2002-2015 ed un disavanzo patrimoniale di oltre 2,2 miliardi di euro nel solo 2015. La ragione risiede fondamentalmente nello squilibrio tra contributi versati e prestazioni erogate (nel 2015 il rapporto contributi/prestazioni è di 1 a 3). Come riportato dal quotidiano on line repubblica.it, articolo del 17 luglio 2015, dal titolo «Inps, il fondo del clero in rosso perenne: disavanzo patrimoniale a 2,2 miliardi», emerge che se i pensionati del clero vedessero ricalcolati i loro assegni con il metodo contributivo, oltre il 60 per cento delle pensioni subirebbe una decurtazione superiore al 50 per cento e non ci sarebbero soggetti che avrebbero un vantaggio dal ricalcolo; è inoltre rilevato che l'Inps in una nuova «puntata» della sua operazione trasparenza «Inps a porte aperte», chiarisce le regole previste per la composizione e l'effettivo funzionamento dei maggiori fondi speciali gestiti dall'istituto. Ciò significa che, di fatto, secondo gli interroganti, tutti i partecipanti al fondo ricevono un assegno che supera i contributi;
   il fondo ha anche altre peculiarità: non è stato interessato dalla riforma pensionistica «Monti-Fornero»; i contributi non sono commisurati ad un'aliquota percentuale della retribuzione o del reddito, ma sono dovuti in misura fissa; il sistema di calcolo delle pensioni non è né retributivo, né contributivo o misto, bensì a prestazioni definite in somma fissa. Ancora l'Inps ricorda che circa il 72 per cento dei quasi 14.000 pensionati del fondo risulta titolare di altre pensioni da gestioni diverse, il cui valore medio è di 1.000 euro lordi mensili. Circa 1.000 pensionati di questo fondo ricevono una seconda pensione di importo superiore ai 2.000 euro lordi;
   gli interroganti evidenziano che, ai sensi degli articoli 6 e 21 della legge n. 903 del 1973, il fondo sarebbe alimentato dal contributo annuo obbligatoriamente dovuto da ogni iscritto, nonché dal contributo dello Stato italiano che, con decreto del 7 ottobre 2014 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato aumentato, a decorrere dal 1° gennaio 2013, da euro 7.693.286,34 a euro 7.924.084,93;
   la stessa Corte dei conti ha evidenziato le criticità sottese all'insostenibilità del fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri del culto delle confessioni diverse dalla cattolica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e, nel caso, se non ritenga opportuno fornire un quadro particolareggiato riguardo sia agli importi minimi e massimi delle pensioni erogate, suddivise per scaglioni, ed eventualmente al numero di pensioni cumulate con altre, sia all'ammontare delle pensioni erogate agli ordinari militari, quali gli arcivescovi, che per legge vengono equiparati ad un generale di corpo d'armata con il relativo vitalizio accordato ai militari di quel rango. (3-02114)


   PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in un atto di sindacato ispettivo svoltosi il 10 marzo 2016 presso l'XI Commissione (lavoro pubblico e privato) riguardante lo stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso, il rappresentante del Governo ha sostenuto che «dalle informazioni acquisite dalla direzione territoriale competente, non risulta essere stata presentata alla direzione provinciale dell'Inps alcuna istanza volta al riconoscimento in favore dei lavoratori dello stabilimento di Riva Trigoso del trattamento di cassa integrazione ordinaria»;
   questa risposta è stata fornita agli interroganti nonostante numerose fonti di stampa avessero riportato la notizia che, dal 7 marzo 2016, a seguito del fallimento delle trattative con le rappresentanze sindacali su un complesso di misure alternative, erano iniziate tredici settimane di cassa integrazione ordinaria nello stabilimento, che coinvolgeranno, fino al 5 giugno 2016, un massimo di trentacinque dipendenti. Questo provvedimento, nei fatti, sta interessando quindici lavoratori;
   fonti di stampa successive alla risposta data all'atto di sindacato ispettivo in Commissione, confermano quanto sopra esposto. Si riporta testualmente la notizia che «si è svolto un nuovo picchetto alla portineria di Fincantieri indetto dai Cobas». «Con il presidio, che si aggiunge al blocco dello straordinario, a cui aderisce anche Fiom, i lavoratori protestano contro l'apertura della cassa integrazione, iniziata il 7 marzo 2016 e destinata a proseguire sino alla fine di giugno 2016. Al momento sono ancora quindici gli operai a casa»;
   inoltre, Confindustria Genova, già con nota del 4 febbraio 2016, comunicava (a Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil), ai sensi e per gli effetti della procedura di cui all'articolo 14 del decreto-legge 14 settembre 2015, n. 148, che Fincantieri spa-stabilimento di Riva Trigoso avrebbe dovuto procedere «con carattere d'urgenza alla contrazione dell'attività produttiva delle proprie maestranze, a favore delle quali viene richiesto l'intervento della cassa integrazione guadagni» a causa di una «carenza di commesse di lavoro». Il testo di questa nota riporta le modalità attuative del provvedimento come effettivamente messe in atto a far data dal 7 marzo 2016;
   il livello di produzione e del carico di lavoro dello stabilimento di Riva, attuali e in prospettiva, in particolare a seguito delle nuove e importanti commesse del programma navale 2015 (cosiddetta «legge navale» approvata dal Parlamento circa un anno fa), risultano decisamente elevati: testimonianze dei sindacati riferiscono che in alcuni reparti è stato pure chiesto ai lavoratori di non usufruire delle ferie, tale la mole di lavoro;
   paradossalmente, secondo i dati a consuntivo 2015, ben il 55 per cento delle lavorazioni di scafo e allestimento viene appaltato a ditte esterne;
   l'applicazione della cassa integrazione appare incongrua a fronte dell'attuale livello di produzione dello stabilimento di Riva e delle sue prospettive a 5 anni –:
   se il Ministro interrogato non intenda svolgere ogni verifica di competenza in ordine ai fatti riportati in premessa, cui il Governo non sembra aver riservato adeguata attenzione anche in occasione della precedente risposta all'atto di sindacato ispettivo sopra citato, per chiarire quali passi concreti abbia intenzione di muovere rispetto alle scelte industriali dell'impresa, salvaguardando la massima produttività dello stabilimento di Riva Trigoso e il diritto al lavoro dei suoi dipendenti.
(3-02115)


   DAMIANO, GNECCHI, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DI SALVO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, ROTTA, SIMONI, TINAGLI, ZAPPULLA, MARTELLA e BINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati dell'Osservatorio sul precariato dell'Inps, nei primi undici mesi del 2015 sono stati venduti 102,4 milioni di buoni da 10 euro, il 67,5 per cento in più rispetto al corrispondente periodo del 2014, con punte del 97,4 per cento in Sicilia, dell'85,6 per cento in Liguria e dell'83,1 per cento e dell'83 per cento rispettivamente in Abruzzo e in Puglia. Dati davvero impressionanti se confrontati con la media dei 500 mila dei primi anni di utilizzazione di tali contratti. Si allarga ancora, dunque, quella che il presidente dell'istituto previdenziale ha definito «la nuova frontiera del precariato»;
   per di più, molto probabilmente, tali dati risultano ampiamente sottostimati, rispetto alle ore lavorate, laddove si considerino i noti limiti alla tracciabilità delle effettive prestazioni lavorative;
   lo stesso Ministro interrogato ha manifestato l'intenzione di voler monitorare con grande attenzione e rigore l'utilizzo di tale tipologia contrattuale;
   l'impennata dell'utilizzo dei voucher, nati secondo le intenzioni originarie del legislatore per favorire l'emersione del lavoro irregolare, rischia di trasformarsi – soprattutto a seguito delle innumerevoli modifiche normative che ne hanno notevolmente ampliato l'ambito di applicazione – in un abuso dello strumento, che contribuisce a diffondere il lavoro precario, «cannibalizzando» i contratti regolari;
   i lavoratori che usufruiscono dei voucher non hanno alcun diritto né tutele minime, tenuto conto che non si matura il trattamento di fine rapporto, non si maturano ferie, non si ha diritto alle indennità di malattia e di maternità né agli assegni familiari, non si matura il diritto al sussidio di disoccupazione;
   inoltre, l'ammontare del voucher (dieci euro) ha perso parte del suo valore, rispetto al momento in cui il lavoro accessorio è stato varato;
   a parere degli interroganti, l'uso distorto dei voucher entra in contraddizione con gli obiettivi di stabilizzazione del lavoro, che il cosiddetto Jobs act si è posto, penalizzando in particolare i giovani under 35, che, secondo il centro studi Datagiovani, rappresentano ormai più della metà degli occasionali (54,1 per cento) –:
   alla luce della radicale trasformazione e diffusione dello strumento dei voucher, quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di approfondire l'analisi di tale tipologia contrattuale, in vista di una riconsiderazione della sua disciplina finalizzata, nell'immediato, a rafforzare le procedure di tracciabilità delle prestazioni e, in prospettiva, a ricondurre l'istituto ai suoi connotati originari dell'occasionalità e accessorietà delle prestazioni, a tal fine promuovendo la costituzione di tavoli di monitoraggio a livello regionale, con il coinvolgimento delle parti sociali. (3-02116)


   TAGLIALATELA, LA RUSSA, NASTRI, RAMPELLI, MAIETTA, PETRENGA, CIRIELLI, GIORGIA MELONI e TOTARO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2009 fu sottoscritta alla prefettura di Napoli un'intesa interistituzionale tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la regione Campania, la provincia e il comune di Napoli, attraverso la quale venivano stanziati 20 milioni di euro: 10 milioni finanziati dal Governo ed altri 10 stanziati dalla regione;
   l'intesa aveva quale obiettivo quello di realizzare azioni dirette all'avviamento al lavoro della platea di disoccupati di lunga durata già destinatari in passato di interventi per la riqualificazione delle proprie competenze attraverso i progetti Isola e Bros;
   la totale assenza di progetti da parte della regione Campania ha determinato la spesa di gran parte dei fondi (12,5 milioni di euro) trasformati in sostegno al reddito per gli ex corsisti e per il rilascio del libretto formativo che, comunque, non rispondeva ai criteri definiti in sede di intesa interistituzionale;
   successivamente, la giunta regionale della Campania con proprio atto deliberativo ha previsto nel piano regionale straordinario per il lavoro una misura dedicata ai cosiddetti precari Bros, con una copertura finanziaria di 10 milioni di euro di fondi regionali;
   la misura di che trattasi fu recepita nel bando «Più sviluppo più lavoro» ed in particolare della linea di intervento 1, esplicitamente dedicata a questo bacino in quanto riconosciuto dalle convenzioni del 26 giugno 2006 e del 14 aprile 2008 (tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regione Campania, provincia e comune di Napoli) ai sensi della deliberazione della giunta regionale n. 342 del 29 febbraio 2008;
   il comune di Napoli e la provincia di Napoli, a seguito di confronto, hanno elaborato linee di intervento per avviare progetti occupazionali per i lavoratori Bros che, nel frattempo, hanno ottenuto di poter avere una qualificazione nel settore ambientale di tutti i soggetti interessati, attraverso work experience effettuate in collaborazione con imprese operanti nel settore ambientale;
   il percorso di definizione dei progetti fu sospeso per la decisione della precedente amministrazione regionale di puntare esclusivamente sul bando «Più sviluppo più lavoro» per la collocazione dei lavoratori del progetto Bros;
   oggi, il comune di Napoli, alimentando notevoli aspettative, ha ripreso quei progetti focalizzando la propria attenzione in particolare sul settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti speciali per avviare al lavoro la platea dei soggetti coinvolti nel progetto Bros;
   tale scelta presuppone la possibilità effettiva di poter utilizzare le risorse residue della predetta intesa interistituzionale del luglio 2009 pari a circa 7,5 milioni di euro non ancora trasferiti alla regione Campania, fondi finalizzati all'occupazione dei Bros –:
   se siano ancora effettivamente disponibili i fondi statali di cui in premessa che risulterebbero non ancora trasferiti alla regione Campania finalizzati all'occupazione dei soggetti interessati dal progetto Bros, il cui trasferimento fu sancito dalla già citata intesa interistituzionale del luglio 2009. (3-02117)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come è noto sono migliaia le persone che, in procinto di ottenere il riconoscimento dell'assegno pensionistico, non hanno invece più potuto accedere alla pensione di vecchiaia o anzianità contributiva poiché hanno subito, retroattivamente, l'innalzamento dell'età pensionabile a causa di sopravvenute modifiche della normativa sulle pensioni;
   i maggiori danni sono stati ricevuti da chi è rimasto senza alcun reddito, poiché non solo non è potuto andare in pensione, ma è rimasto sprovvisto anche di uno stipendio in quanto rimasto senza un'occupazione;
   negli ultimi anni, in particolare, si sono trovati nella predetta situazione molte persone a causa delle modifiche intervenute con le cosiddette riforme Sacconi (legge (122 del 2010) e  riforma Fornero (92 del 2012). Nello specifico, la prima ha introdotto: le cosiddette finestre mobili di 12 mesi per i lavoratori dipendenti pubblici e privati o 18 mesi per quelli autonomi; l'allungamento, senza gradualità, di 5 anni (più «finestra») dell'età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti pubbliche per equipararle a tutti gli altri a 65 anni (più finestra), tranne le lavoratrici private; l'adeguamento triennale all'aspettativa di vita. La «riforma Fornero» ha, invece, stabilito, principalmente: l'inserimento del sistema contributivo pro-rata, a decorrere dal 1o gennaio 2012; l'aumento di un anno delle pensioni di anzianità; l'allungamento graduale entro il 2018 dell'età di pensionamento di vecchiaia delle dipendenti private da 60 anni a 65 (più finestra);
   sebbene nel tempo siano stati adottati provvedimenti di salvaguardia a tutela di coloro rimasti ingiustamente penalizzati dalle predette riforme pensionistiche, corpose e fortemente recessive, il problema non è stato ancora definitivamente risolto. In particolare, esistono casi di persone rimaste senza tutela, anche perché si tratta di fattispecie isolate e particolari, non rientranti nelle diverse salvaguardie che hanno invece interessato gruppi piuttosto ampi di persone appartenenti alla medesima casistica;
   affinché, non vengano perpetrate discriminazioni, tutelando alcuni e non altri, è necessario adottare provvedimenti anche per tutti coloro che siano rimasti fuori da ogni salvaguardia e che necessitano di uno specifico censimento poiché si tratta di casi che per le loro caratteristiche non hanno rappresentato un centro esteso di interessi, determinando la mancata considerazione di tali casistiche, pur trattandosi di persone rimaste anch'esse senza alcun reddito e dunque fortemente pregiudicate;
   pertanto, è necessario che, in tempi brevi e in collaborazione con l'Inps, si provveda all'individuazione delle fattispecie in questione in modo da potere adottare iniziative ad hoc per queste persone affinché siano urgentemente tutelate, prevedendo anche iniziative di sostegno al reddito  –:
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro affinché vengano censiti tutti i casi di chi ha subito l'innalzamento dell'età pensionabile a causa di sopravvenute modifiche della normativa sulle pensioni ed è rimasto senza alcun reddito per provvedere alle dovute tutele. (5-08116)


   TIDEI, CARELLA, FERRO, MINNUCCI e PIAZZONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 novembre rappresenta una data simbolica dallo straordinario significato. È, infatti, la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall'Onu con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999. La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne. E la stessa Dichiarazione adottata dall'Assemblea generale dell'Onu parla di violenza contro le donne come di «uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini»;
   nel messaggio in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, ai più alti livelli istituzionali è stato sottolineato come il contrasto della violenza sulle donne è un compito essenziale di ogni società che si proponga la piena tutela dei diritti fondamentali della persona, auspicando una seria e incisiva azione di educazione dei giovani al rifiuto della violenza nei rapporti affettivi;
   i dati dell'Onu rivelano che il 35 per cento delle donne nel mondo ha subito una violenza fisica o sessuale, dal proprio partner o da un'altra persona. Il rapporto sottolinea anche che due terzi delle vittime degli omicidi in ambito familiare sono donne. Nel mondo solo 119 Paesi hanno approvato leggi sulla violenza domestica e 125 sul « sexual harassment» (le molestie a sfondo sessuale). Dalla ricerca Onu arriva anche la conferma che prosegue la discriminazione in ambito lavorativo tra uomini e donne. I tassi di disoccupazione rimangono più elevati per le lavoratrici, e le donne occupate a tempo pieno nella maggior parte dei Paesi hanno uno stipendio che va dal 70 per cento al 90 per cento di quello dei colleghi maschi;
   la violenza contro le donne, oltre ad essere praticata sotto molteplici forme e modalità, ha assunto ormai da tempo i connotati di una vera e propria emergenza nazionale, costituendo la prima causa di morte per le donne. Questa problematica, come è noto, attraversa in maniera trasversale ogni strato della nostra società senza distinzione di ceto, etnia, età. La violenza sulle donne è un fenomeno sociale ingiustificabile che attecchisce ancora in troppe realtà, private e collettive, e nessun pretesto è ammesso per giustificarla;
   in Italia, secondo i dati Istat di giugno 2015, 6 milioni e 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Si tratta del 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni, quasi una su tre. Ma se negli ultimi 5 anni sono leggermente diminuite le violenze fisiche o sessuali, aumenta invece la percentuale dei figli che vi assistono;
   i centri antiviolenza, attraverso la propria attività di accoglienza e assistenza alle vittime di violenza, le azioni culturali nelle scuole, le campagne di sensibilizzazione nei territori, il lavoro di raccordo tra gli enti istituzionali che contrastano la violenza, svolgono un ruolo prioritario e determinante;
   tra gli scopi fondamentali che i centri antiviolenza perseguono, vi è la possibilità concreta di aiutare le donne ad uscire da una condizione di violenza, sofferenza e pericolo nella quale si trovano, mettendo a disposizione spazi e figure specializzate in grado di sostenerla;
   nel comune di Guidonia Montecelio, nella provincia di Roma, nel 2009, da una associazione temporanea di impresa (ATI), è stato istituito un centro antiviolenza, su richiesta dello stesso ente e con il supporto strategico e finanziario della provincia di Roma (ora città metropolitana di Roma capitale);
   dalla sua apertura il centro ha accolto oltre novecento donne e minori, vittime di ogni forma di violenza, in particolare di violenza domestica, promuovendo al contempo attività di sensibilizzazione. Tali attività hanno contribuito non poco a far maturare la consapevolezza circa la gravità del fenomeno, aiutando a far crescere la comunità locale;
   il centro antiviolenza «Le Lune» risulta inserito nella mappatura regionale dei servizi dedicati alla violenza di genere, da ciò consegue l'erogazione al comune di Guidonia Montecelio di un cofinanziamento da parte della città metropolitana di Roma capitale a copertura dei costi del suddetto centro per gli anni dal 2013 al 2015;
   in data 30 aprile 2015 l'amministrazione comunale ha dichiarato l'indisponibilità delle risorse finanziarie per mantenere aperto il servizio. Tuttavia, a seguito di manifestazioni e proteste il centro ha potuto fornire il servizio grazie ai contributi di solidarietà delle associazioni;
   il sindaco facente funzioni a margine di un incontro, in data 25 novembre 2015, ha annunciato l'intenzione di trasferire il centro antiviolenza presso l’Italian Hospital Group, e successivamente con apposita determina ha predisposto il pagamento delle attività del centro relative ai mesi di ottobre, novembre e dicembre del 2015, lasciando scoperte le attività espletate nei mesi da maggio a settembre dello stesso anno;
   il trasferimento presso l’Italian Hospital Group è avvenuto in data 4 gennaio 2016. Successivamente la presidente dell'associazione capofila dell'Ati, manifestando la propria contrarietà al trasferimento, ha proposto di valutare soluzioni alternative, indicando diverse soluzioni;
   l'amministrazione comunale, non tenendo conto dei rilievi posti dall'Ati ha convocato le associazioni invitandole a riattivare il centro antiviolenza «Le Lune» presso la residenza sanitaria assistenziale dell’Italian Hospital Group;
   il centro antiviolenza ha sollecitato nuovamente, l'ente con l'invio di una lettera formale in cui ha ribadito l'inadeguatezza dei locali indicati dal suddetto ente in quanto «la localizzazione del lavoro del Centro antiviolenza nel contesto di una struttura volta al trattamento di disturbi psichiatrici risulta contrastante con gli standard stabiliti a livello internazionale, nazionale ed europeo, nonché in violazione dei principi sanciti dalla L.R. 19 marzo 2014, n. 4, poiché minaccia la riservatezza e sicurezza delle donne e dei minori che si rivolgono al Centro antiviolenza ed espone loro al rischio di seconda vittimizzazione e discriminazione ulteriore»;
   l'amministrazione comunale di Guidonia Montecelio, rifiutando di confrontarsi sulle motivazioni politiche a base del dissenso espresso dalle associazioni al trasferimento del centro antiviolenza ha estromesso l'Ati dal servizio costringendolo di fatto a rinunciare all'incarico; ha quindi proceduto d'urgenza a sostituire l'Ati con una associazione denominata «Centra il sogno» di Palombara Sabina con DD13/2016 area VI — lavori pubblici ed opportunità lavoro in data 17 febbraio 2016, senza indire ad oggi alcun bando concorsuale per il riaffido del servizio;
   l'Ati, in data 7 marzo 2016, ha contestato e denunciato pubblicamente l'illegittimità del contenuto della DD13/2016 perché «afferma fatti non veritieri e dà false motivazioni (...)» confermando che mai alcuna interruzione del servizio è stata causata né alcuna rinuncia non giustificata è stata fatta dalle associazioni fino a quando è stato loro impedito di continuare con lo sgombero fisico del centro le Lune e il trasferimento di quanto in esso contenuto presso i locali dell’Italian Hospital Group –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda assumere iniziative, anche normative, in collaborazione con le regioni e gli enti locali, per garantire un migliore funzionamento dei centri antiviolenza evitando che possano verificarsi così come quello sopra richiamato in cui un centro è stato collocato all'interno di una residenza sanitaria assistenziale;
   se non intenda fornire, chiarimenti in merito alla ripartizione delle risorse statali di cui alla legge 15 ottobre 2013, n. 119 con particolare riguardo a quelle destinate alla regione Lazio;
   se non intenda fornire delucidazioni in merito alla mancata attuazione del decreto-legge n. 93 del 2015, convertito dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119 con particolare riferimento alla previsione di cui all'articolo 5, comma 3, del suddetto decreto, laddove si prevede la trasmissione annuale alle Camere, da parte del Ministro delegato per le pari opportunità, della relazione sull'attuazione del piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere. (5-08120)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI e SANNICANDRO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Coldiretti, presidiando i controlli del Corpo forestale della Puglia, ha segnalato che un quantitativo di grano contaminato da aflatossine è arrivato nel porto di Bari nella mattina del 24 febbraio 2016. Così come riportato dal quotidiano La Repubblica con un articolo dal titolo «Bari, blitz della Forestale al porto: tracce di micotossine su grano sbarcato dall'estero» nel quale si descriveva come: «[...] Il carico sul quale è stata trovata la indicazione di micotossina è arrivato dal Messico ed era a bordo della nave Ecopride, battente bandiera panamense e proveniente da Cristobal. [...] Sono sette i camion carichi di grano sottoposti a controllo, al porto di Bari, dagli uomini della Forestale. Prelevati anche altri campioni dello stesso carico e da altre navi provenienti da Canada, Panama e Regno Unito, destinati a esami di laboratorio più approfonditi;
   le micotossine sono prodotte da ceppi fungini, aspergillus flavus e aspergillus parasiticus, e si rivelano, divise per serie differenti, altamente tossiche per la salute umana. In sette mesi, dal mese di luglio 2015, secondo i dati diffusi da Coldiretti sono state scaricate nello scalo marittimo barese un milione di tonnellate di grano, arrivato da Canada, Turchia, Argentina, Singapore, Hong Kong, Marocco, Olanda, Antigua, Sierra Leone, Cipro e spesso triangolato da porti inglesi, francesi, da Malta e da Gibilterra;
   contemporaneamente ai controlli, centinaia di agricoltori della Coldiretti provenienti da tutta la Puglia, in particolare dalle province di Foggia e Bari, e dalla Basilicata, hanno presidiato il varco della Vittoria al porto di Bari. L'iniziativa, che segue quella del 2 febbraio 2016, è stata organizzata «per salvare il grano pugliese ed italiano dagli scarichi quotidiani di ingenti quantitativi di prodotto straniero». L'associazione denuncia come sia stata registrata la drastica riduzione del 25 per cento del prezzo del grano pugliese, passato nello stesso periodo da 34 euro a 25 euro al quintale;
   dalla materia prima al pane, secondo Coldiretti, i prezzi aumentano del 1.450 per cento, con il grano che è oggi pagato come trenta anni fa, su livelli al di sotto dei costi di produzione attuali. «L'Italia – stima la Coldiretti – nel 2015 ha importato circa 4,8 milioni di tonnellate di frumento tenero, che coprono circa la metà del fabbisogno essenzialmente per la produzione di pane e biscotti, mentre sono 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall'estero, le quali rappresentano circa il 40 per cento del fabbisogno per la pasta. Va segnalato – più che nel 2015 sono più che quadruplicati gli arrivi di grano dall'Ucraina per un totale di oltre 600 milioni di chili e praticamente raddoppiati quelli dalla Turchia per un totale di circa 50 milioni di chili» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda intraprendere;
   se il Governo non reputi opportuno adoperarsi in sede internazionale affinché venga affrontato il fenomeno agendo sulle cause che lo producono, quali l'assoluta mancanza di norme che regolano il mercato mondiale delle derrate alimentari, la mancanza di etichettatura di origine obbligatoria e di tracciabilità delle produzioni, la problematica delle importazioni speculative e il divario dei prezzi corrisposti alla produzione rispetto al consumo;
   se il Governo non intenda assumere iniziative finalizzate alla creazione di un sistema di tracciabilità interno al territorio italiano per dare maggiore trasparenza al consumatore finale;
   se il Governo non reputi opportuno ricorrere ad iniziative che includano il coinvolgimento dei consumatori nella politica di sicurezza alimentare, garantendo il monitoraggio e la trasparenza in tutta la filiera alimentare e il maggior grado possibile di riconoscibilità delle caratteristiche essenziali dei prodotti, al fine di consentire ai consumatori medesimi di effettuare delle scelte di acquisto pienamente consapevoli;
   se il Governo ritenga sufficienti le misure di ispezione e controllo che il nostro Paese impiega per la verifica delle derrate alimentari provenienti da paesi non aderenti all'Unione europea. (5-08113)

Interrogazione a risposta scritta:


   PALESE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in base a dati presenti sul sito dell'Anbi (Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue) la Puglia, con una superficie consorziata di 1.736.156 ettari (l'89,6 per cento) è la seconda regione d'Italia, dopo la Sicilia, per presenza di consorzi di bonifica sul territorio;
   in base alle norme vigenti, ed ai loro Statuti, i consorzi hanno il compito di realizzare e gestire opere di difesa e regolazione idraulica, di provvista e utilizzazione delle acque a prevalente uso irriguo, interventi di salvaguardia ambientale;
   in Puglia esistono 6 consorzi di bonifica, per un totale di 895.659 aziende consorziate. Quattro di questi sei consorzi sono stati commissariati dalla regione Puglia;
   da circa un decennio, il Governo regionale pugliese, ad ogni approvazione di bilancio, stanzia decine di milioni di euro per ripianare i debiti accumulati da questi consorzi per un meccanismo molto simile a quello del cosiddetto «cane che si morde la coda»: malagestione, inefficienze, opere pubbliche mai realizzate (e stando a notizie di stampa spesso anche pagate) incapacità di svolgere i propri compiti e di erogare servizi agli agricoltori; tale situazione ha fatto sì che molte imprese agricole consorziate, si siano giustamente rifiutate negli anni di pagare cartelle esattoriali milionarie per servizi mai ricevuti;
   la regione Puglia ha spesso (e per giustizia) annullato quelle cartelle ma, contestualmente, promettendo una riforma organica dei consorzi ancora inesistente dopo dieci anni, ha ripianato i debiti che questi accumulavano, continuando a tenerli in vita pagando utenze, stipendi dei dipendenti, insomma un fiume di denaro pubblico destinato a tenere in vita quelli che per l'interrogante sono «enti-carrozzone» che, non erogando servizi agli agricoltori, spesso sono stati e sono solo buchi neri di sprechi;
   in base a recenti notizie di stampa, i debiti nel complesso accumulati dei consorzi di bonifica della Puglia ammonterebbero a 233 milioni di euro; essi costano circa 17 milioni di euro l'anno alle casse della regione;
   la legge di bilancio 2016 della regione Puglia ha subordinato tale stanziamento alla scrittura ed alla approvazione di una legge di riforma dei consorzi;
   nelle more dell'approvazione di questa legge (che ovviamente dovrebbe essere approvata dallo stesso governo regionale che ha inserito il vincolo nella legge di bilancio), le organizzazioni di categoria denunciano che circa 3.500 aziende agricole pugliesi rischiano di restare senz'acqua perché, ancora una volta, in assenza dei trasferimenti della regione, i consorzi non sono in grado di erogare servizi agli agricoltori;
   si apprende anche dalla stampa per dichiarazione di alcuni associati, che, a seconda dei consorzi e delle zone della Puglia, le aziende agricole pagano prezzi molto diversi per la stessa superficie e lo stesso tempo di irrigazione e la differenza sarebbe di circa 4,5 volte ad esempio tra Conversano e Castellaneta;
   risulta inoltre, sempre da notizie di stampa, che alcuni consorzi avrebbero addebitato alle aziende consorziate costi di opere pubbliche non realizzate o realizzate parzialmente –:
    di quali elementi disponga il Governo circa la situazione dei consorzi bonifica della Puglia, con particolare riferimento alla corrispondenza tra costi addebitati alle aziende e servizi erogati; nonché circa la corrispondenza tra opere pubbliche finanziate e/o dichiarate ed effettiva realizzazione;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative di competenza volte ad intervenire a tutela delle oltre 895.000 aziende consorziate pugliesi, anche assumendo iniziative normative, in collaborazione con le regioni, per una riforma della materia e per chiarire i presupposti dei pagamenti per i servizi erogati dai consorzi. (4-12524)

SALUTE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   lo scorso autunno il consigliere comunale genovese Leonardo Chessa promuove una raccolta di firme fra medici (suoi colleghi) per richiedere la radiazione dall'ordine dei medici dei dottori Toccafondi Giacomo (il famigerato «dottor Mimetica) e Zaccardi Marilena, che si resero protagonisti di atti odiosi presso la caserma di Bolzaneto durante i fatti dei G8 a Genova, in quanto con il loro comportamento avrebbero screditato l'intera categoria dei medici italiani. La petizione raggiunge 117 firme e in data 22 ottobre 2015 viene inoltrata al presidente F.N.O.M.C.e O. (Federazione nazionale ordine medici chirurghi e odontoiatri), dottoressa Roberta Chersevani – Roma, ai consiglieri della F.N.O.M.C.e O. – Roma, al Ministro e all'Ordine dei medici di Genova;
   il consigliere Chessa non riceve risposta da parte dei destinatari, pertanto in data 12 novembre 2015 invia un sollecito alla presidente della Federazione dottoressa Chersevani. Nemmeno il secondo sollecito riceve risposta;
   lo stesso Chessa già nel marzo 2014, insieme ai consiglieri comunali Brasesco, Nicolella, Repetto (anche loro dottori) aveva inviato una lettera al presidente dell'ordine dei medici di Genova chiedendo la radiazione del Toccafondi a seguito della conclusione dell'iter giudiziario che condannava il medico, allora responsabile dell'infermeria della caserma di Bolzaneto, accusato di omissioni di referto, violenza privata, lesioni e abuso di ufficio, a un anno e due mesi e a risarcire le vittime. A seguito della condanna il medico veniva licenziato dalla Asl 3 di Genova;
   nella petizione sopra menzionata, i medici firmatari manifestano le proprie perplessità per la decisione assunta dall'Ordine dei medici di Genova nei confronti dei due colleghi oggetto dell'interpellanza, di infliggere solo una breve sospensione al dottor Toccafondi, senza prendere alcun provvedimento nei confronti della dottoressa Zaccardi e senza tener conto della sentenza della Corte di cassazione n. 1865 in cui il giudice rigetta anche il ricorso della Zaccardi che era stata condannata in secondo grado per reati analoghi a quelli di Toccafondi, dichiarandone tuttavia l'avvenuta estinzione solo in conseguenza della prescrizione. Per quanto riguarda la Zaccardi, il risarcimento alle parti civili dei danni, in solido con il Ministero della giustizia, resta al momento l'unica pena comminata. Costei continua quindi ad esercitare il suo ruolo di dirigente medico ora presso la casa circondariale di Genova Marassi, paradossalmente operando con pazienti privati della libertà e inseriti in un sistema chiuso, situazione che richiama proprio quella delle persone allora ristrette nella caserma di Bolzaneto, dove sono avvenuti i fatti per i quali è stata condannata;
   i 117 medici firmatari della petizione ritengono che nell'Ordine non ci sia posto per chi ha dileggiato, deriso, offeso, percosso e umiliato i suoi pazienti. Un tale convincimento è ancor più rafforzato dalla constatazione della Corte di cassazione che si trattava di «persone trascinate, umiliate percosse, spesso già ferite, atterrite, infreddolite, affamate, assetate, sfinite dalla mancanza di sonno, preda dell'altrui capriccio aggressivo e violento, sostanzialmente già seviziate». Toccafondi e Zaccardi non erano soli a Bolzaneto, ma per il loro ruolo erano tenuti in modo mandatorio a farsi carico di quelle persone. «Nel rifiutarsi di curare quelle ragazze e ragazzi e di refertare, di rendere testimonianza delle ferite che erano state loro inflitte essi hanno disatteso il compito primario e sostanziale di un Medico — scrivono i medici nella petizione — Chiediamo al nostro Ordine di riconoscere che un tale comportamento ferisce la dignità del medico e del suo lavoro»;
   la sentenza 678 del 2010 del 5 marzo 2010 della corte d'appello di Genova così descriveva quanto subito dai 150 fermati per mano di poliziotti, guardie penitenziarie e personale medico: «trattamenti inumani e degradanti o azioni di tortura che esprimono il massimo disonore di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale»;
   il suddetto Toccafondi, come ricorda l'avvocato Alessandra Ballerini su la Repubblica Genova/Il lavoro dell'8 marzo 2015, è già stato condannato a un anno per omicidio colposo per la morte, nel 2002, di una detenuta rinchiusa nel carcere di Pontedecimo e la dottoressa Zaccardi è tornata agli onori delle cronache cittadine lo scorso aprile per un presunto pestaggio avvenuto da parte di una guardia a un detenuto recluso nel carcere di Marassi dove la Zaccardi è chiamata a rispondere per «omessa denuncia» e la vede iscritta al registro degli indagati per «omissioni e favoreggiamento» insieme ad altri cinque medici della asl Tre;
   tali comportamenti, confermati anche dalla giustizia italiana, sviliscono e screditano tutta la categoria –:
   se il Governo sia al corrente di quanto accaduto;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative, anche normative, per allontanare persone condannate per i reati sopramenzionati da luoghi sensibili come caserme e infermerie di case di detenzione;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in relazione al funzionamento dell'Ordine dei medici la cui attività dovrebbe essere volta a garantire quei valori di etica professionale a cui si ispira.
(2-01312) «Quaranta, Scotto, Fratoianni».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza sono attualmente regolate dal decreto del Presidente del Consiglio del 29 novembre 2001. Il decreto legislativo n. 502 del 1992, all'articolo 1, definisce i LEA come l'insieme delle prestazioni che vengono garantite dal servizio sanitario nazionale, a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, perché presentano, per specifiche condizioni cliniche, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, individuale o collettiva, a fronte delle risorse impiegate;
   il decreto del Presidente del Consiglio del 29 novembre 2001 specifica le prestazioni di assistenza sanitaria garantite dal servizio sanitario nazionale e riconducibili, ai livelli essenziali di assistenza, tra i quali l'assistenza distrettuale, vale a dire le attività e i servizi sanitari e sociosanitari diffusi capillarmente sul territorio, dalla medicina di base all'assistenza farmaceutica, dalla specialistica e diagnostica ambulatoriale alla fornitura di protesi ai disabili, dai servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi ai servizi territoriali consultoriali (consultori familiari, SERT, servizi per la salute mentale, servizi di riabilitazione per i disabili e altro) alle strutture semiresidenziali e residenziali (residenze per gli anziani, Allegato 1 C);
   alcuni gestori di servizi sociosanitari accreditati nel territorio regionale dell'Emilia Romagna stanno affrontando il problema relativo agli effetti della sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, n. 4558 del 12 dicembre 2011, (depositata in segreteria il 22 marzo 2012) Ma quale si è espressa in merito a persone affette da sindromi di demenza, accolte nelle strutture sociosanitarie, stabilendo nel caso concreto che non fosse dovuta la quota di compartecipazione a carico dell'utente;
   se si affermasse il principio sopra esposto, che in particolar modo alcune associazioni di tutela dei consumatori ritengono avere valenza generale, esso impatterebbe gravemente sulla sostenibilità delle gestioni di strutture socio sanitarie accreditate;
   prendendo le mosse dalla citata sentenza, in altri territori italiani (Veneto, Lombardia, Piemonte) alcuni tribunali affermano che la quota di compartecipazione al pagamento della retta in strutture residenziali socio-sanitarie, non sia dovuta dagli interessati (utenti comuni), ritenendo che invece sia da porre totalmente a carico del servizio sanitario nazionale;
   è in procinto di essere adottato il nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, trascorsi oramai 15 anni dalla sua prima emanazione, il quale ridefinisce i nuovi Lea e dalle bozze di decreto circolate e, in particolare, dalla lettura della Relazione illustrativa allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, risulta tra l'altro al punto 4): «...Per l'area socio-sanitaria, in particolare, si è ritenuto necessario individuare e descrivere le diverse tipologie di assistenza caratterizzate da diversi livelli di complessità ed impegno assistenziale. Così, l'assistenza domiciliare integrata ai malati cronici non autosufficienti è stata declinata in 4 livelli di progressiva intensità, (dalle cure domiciliari di “livello base” alle cure domiciliari ad elevata intensità, che sostituiscono la cd. "Ospedalizzazione domiciliare") e, analogamente, l'assistenza residenziale ai medesimi pazienti è stata articolata in 3 tipologie in funzione delle caratteristiche delle strutture e della disponibilità del personale necessario per fornire: trattamenti specialistici "di supporto alle funzioni vitali", trattamenti "estensivi" di cura, recupero e mantenimento funzionale, trattamenti estensivi riabilitativi ai soggetti con demenza senile, trattamenti di lungoassistenza. Per ciascuna area dell'assistenza socio sanitaria, sono state riportate, senza alcuna modifica, le previsioni dell'Allegato 1C al dPCM (e dell'Atto di indirizzo e coordinamento del 14 febbraio 2001) relative alla ripartizione degli oneri tra il Ssn e il Comune/utente»;
   si può quindi desumere che con l'applicazione dei nuovi lea ormai prossimi alla adozione, relativamente alle patologie e sindromi di demenza, il quadro di compartecipazione degli utenti/comuni al pagamento della tariffa resti fissato nel limite massimo del 50 per cento del costo del servizio (cfr. allegato 1, lettera C del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001) –:
   se alla luce di quanto sopra premesso ed esposto, fatti salvi i tempi ed i contenuti dei procedimenti avviati nei tribunali di Parma e Forlì, siano stati adottati o siano in fase di avanzata elaborazione, atti normativi o orientamenti vincolanti del Ministero, considerata anche la legislazione concorrente Stato-regioni:
    a) idonei a tutelare il sistema socio sanitario nel suo complesso e, più in particolare, a garantire gli equilibri di finanza pubblica, nell'eventualità che i giudizi in Corso confermino l'attribuzione dei costi dei servizi sociosanitari, ex allegato 1C del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 29 novembre 2001, riferiti a persone affette da demenza senile, ponendo tali oneri integralmente a carico del servizio sanitario nazionale;
    b) idonei a confermare e chiarire, come anche nel caso di trattamenti estensivi riabilitativi ai soggetti con demenza senile, la compartecipazione agli oneri tra servizio sanitario nazionale e utente/comune permanga nelle misura indicata nella premessa.
(2-01313) «Molea, Monchiero».

Interrogazione a risposta immediata:


   SCOTTO, NICCHI, GREGORI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI, ZACCAGNINI e MARTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere. Premesso che:
   la Fondazione Irccs «Istituto nazionale dei tumori», istituita nel 1928, svolge, in coerenza con la programmazione nazionale e regionale, l'attività di assistenza sanitaria e di ricerca biomedica e sanitaria, di tipo clinico e traslazionale, confermandosi, in questo, come centro di riferimento nazionale, ponendosi quale polo di eccellenza per le attività di ricerca pre-clinica, traslazionale e clinica, e di assistenza;
   fra gli obiettivi costantemente perseguiti, riveste un ruolo centrale l'attività di informazione ai cittadini per la prevenzione e la cura delle patologie oncologiche. Parimenti di rilievo è l'attività di formazione e qualificazione permanente delle risorse umane, così come la funzione di centro innovatore nel campo nell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari;
   l'Istituto è il maggior polo di oncologia pediatrica in Italia e il secondo in Europa e l'unico Centro per la cura dei tumori nel nostro Paese autorizzato al trapianto di fegato;
   l'Istituto nazionale dei tumori ha la sede centrale a Milano e gestisce tutti gli altri istituti similari, comprese le fondazioni, ed ha un movimento di denaro di portata rilevante;
   dopo l'annuncio del prossimo ingresso nel Governo quale Sottosegretario allo sviluppo economico del senatore Antonio Gentile, si apprende da organi di stampa la nomina da parte del Ministro interrogato del figlio di Gentile, Andrea, avvocato penalista, a consigliere d'amministrazione dell'Istituto nazionale tumori di Milano;
   Andrea Gentile avrà l'incarico tra qualche settimana, prima comunque delle elezioni comunali a Cosenza, e, oltre il prestigio, usufruirà dei 31 mila e 500 euro all'anno fino al 2018 di remunerazione;
   il Ministro interrogato aveva solo un nome da proporre nel consiglio di amministrazione dell'istituto e il prescelto è stato proprio il figlio del Sottosegretario che, adesso, aspetta solo di essere nominato Vice Ministro;
   nell'ambiente medico sono in tanti a considerarla «inopportuna» e prova dell'impropria ingerenza della politica negli ospedali, attraverso scelte che finiscono con l'ignorare la salvaguardia dell'eccellenza e della ricerca, fra le quali: «Non posso dire che la mossa mi stupisca – dichiara Pier Mannuccio Mannucci, fino a dicembre 2015 direttore scientifico della Fondazione Policlinico – Il Ministro Lorenzin non è nuovo a questi giochi. L'Ncd è un partito debole, per questo tende a mettere i suoi uomini anche là dove dovrebbero stare dei tecnici. A prescindere dal fatto che siano capaci o meno». È vero che «un solo consigliere non può fare chissà quali danni», tuttavia Mannucci non nasconde il suo disappunto: «Una persona così discussa in un posto in ogni caso delicato non può che amareggiare»; Maurizio Mari, direttore generale della Fondazione Cerba e braccio destro di Umberto Veronesi, ha dichiarato sul punto: «Non entro nel merito delle competenze di Gentile che personalmente non conosco, io critico la nomina legata a questioni di partito per questo tipo di posizioni: queste persone si ritrovano ad amministrare un ospedale, non a definire le politiche generali come potrebbe fare un assessore, che non deve essere necessariamente un tecnico»; il noto oncologo Alberto Scanni, primario emerito del Fatebenefratelli, non si discosta di molto e parla di «mancanza di buon gusto». In seguito ha commentato: «Se questo è il modo in cui cambiano i tempi non siamo messi bene. In Lombardia abbiamo fior di personaggi importanti nel campo. Se proprio vogliamo andare a cercare qualcuno fuori mi aspetto una persona con un pedigree nella sanità di tutto rispetto e al riparo da qualsiasi critica. E non mi sembra questo il caso»;
   persino il segretario regionale del Partito democratico in Lombardia, Alessandro Alfieri, ha dichiarato con riferimento alla nomina di Andrea Gentile: «Il suo curriculum parla da sé, dove sono le competenze richieste per ricoprire questo ruolo? Questa scelta è un grave errore che la Lombardia non si può accollare» –:
   quali ragioni abbiano indotto il Governo ad una scelta ad avviso degli interroganti così insensatamente lottizzatrice e familistica come quella di nominare l'avvocato Andrea Gentile nel consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale dei tumori, considerato che il figlio del potente Sottosegretario calabrese del Nuovo centrodestra Antonio Gentile non ha praticamente alcuna competenza medica né esperienza manageriale particolarmente significativa nel settore medico, nonostante la presenza in Italia di personalità di prestigio internazionale, maturate in seno alla comunità scientifica, scavalcate da una scelta che, con tutta evidenza, sembra fatta appositamente per concedere un incarico prestigioso a un rappresentante del partito del Ministro interrogato. (3-02118)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute, in data 9 dicembre 2015 e in attuazione dell'articolo 9-quater del decreto-legge 19 giugno 2015 n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, ha emanato il decreto ministeriale recante «Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogate nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale»;
   tale decreto ministeriale persegue finalità generali condivisibili e positive, quali la massima appropriatezza di tutte le prestazioni sanitarie erogate dal Servizio Sanitario Nazionale, sia in regime di ricovero, sia in regime ambulatoriale, sia nelle cure primarie, comprese le indagini diagnostiche nella tutela prioritaria del diritto alla salute della persona, l'uso oculato delle risorse pubbliche e la eliminazione di sprechi e spese eccessive; tuttavia, tale decreto ministeriale; nei fatti ha generato una situazione di estrema confusione e di negativa incertezza applicativa, cagionando motivate proteste e critiche da parte del mondo medico, soprattutto nei medici di medicina generale;
   tale situazione ha giustamente indotto il Ministro della salute a sospendere e «congelare» l'applicazione del citato decreto ministeriale, con la conseguente attivazione di un tavolo congiunto di confronto, fra Ministero della salute, regioni, la Fnomceo, al fine di semplificare dal punto di vista organizzativo e prescrittivo ed eventualmente riformulare i criteri di appropriatezza e di erogabilità previsti dal decreto ministeriale 9 dicembre 2015; condividere e predisporre una circolare esplicativa con l'obiettivo di garantire l'applicazione omogenea delle disposizioni del decreto ministeriale 9 dicembre 2015; realizzare un'adeguata informazione presso i pazienti, anche attraverso specifiche campagne di comunicazione, per facilitare la comprensione del contenuto del decreto ministeriale, garantendo che i pazienti cronici e gli invalidi rimangono salvaguardati dalle vigenti disposizioni;
   è quanto mai urgente e necessaria la emanazione di una circolare interpretativa, esemplificativa o esplicativa con informazioni più complete e dettagliate (corredate di documentazione scientifica e/o EBM) sulla erogabilità delle prestazioni sottoposte a limitazioni dal decreto ministeriale 9 dicembre 2015; in particolare, il mondo medico richiede chiarimenti sulla applicazione delle sanzioni, chiarendo fra l'altro la parte pubblica che ha titolo per la verifica e l'applicazione della sanzione per la inappropriatezza prescrittiva;
   inoltre, va evitato il frazionamento in più ricette delle diverse tipologie di esami, senza però aggravare i costi (ticket) a carico dell'assistito;
   su tutto il territorio nazionale andrebbe autorizzato l'utilizzo di ricetta rossa (SSN/SSR) per tutti i medici prescrittori (non solamente, quindi, per i medici di medicina generale, ma anche per i medici universitari, ospedalieri, ambulatoriali), riducendo così e in via di fatto un passaggio prescrittivo superfluo per l'assistito;
   occorre fornire elenchi di certezza dei medici e dei centri prescrittori abilitati e/o accreditati, in particolare per quanto attiene alla prescrizione di indagini complesse (a esempio quelle genetiche, oncoematologiche, bio-molecolari);
   inoltre, è opportuno chiarire i conflitti che il decreto ministeriale ha generato, con i protocolli di esami previsti per pazienti fragili e/o con patologie croniche riconosciute nei LEA (a esempio per i pazienti affetti da diabete, ipertensione arteriosa, broncopneumopatia istruttiva, scompenso cardiaco, in attesa di trapianto e/o trapiantati, dializzati, cirrotici, scompensati, oncologici);
   questa situazione rischia di compromettere l'erogazione di tutte le prestazioni e le cure indispensabili per salvaguardare la salute delle persone e il rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (LEA), che vanno garantiti integralmente e pienamente in tutto il territorio nazionale e per tutti i pazienti, la cui tutela deve essere al centro di qualunque processo di riforma della sanità e, quindi, anche del decreto ministeriale di appropriatezza delle prescrizioni mediche;
   parimenti vanno assicurate condizioni di serenità e di certezza ai medici per poter provvedere al puntuale espletamento dei loro compiti e doveri professionali –:
   in quali tempi e con quali modalità il Ministro interrogato, in attuazione del percorso convenuto, intenda adottare quelle modifiche del decreto ministeriale 9 dicembre 2015 e quella circolare interpretativa o esplicativa urgenti e necessarie per eliminare i molteplici conflitti e le gravi situazioni di incertezza che il decreto ministeriale con la sua emanazione ha determinato, garantendo il diritto alla salute delle persone, oggetto di pregnante e preminente tutela costituzionale, e restituendo serenità e le giuste e dovute certezze operative al mondo dei medici. (5-08117)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:


   PIZZOLANTE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo affermazioni rilasciate il 24 luglio 2015 dal dottor Alessandro Gilotti, allora presidente dell'Unione Petrolifera, riprese da numerose agenzie di stampa e, più estesamente, dal mensile Quattroruote nel numero del mese di agosto 2015, le stazioni di servizio per l'erogazione di carburanti «tradizionali» – benzina e gasolio – sarebbero troppo numerose e poco redditizie, essendo «i volumi erogati dagli impianti molto bassi, mentre le royalties sui prodotti venduti che le società petrolifere devono pagare a quelle autostradali sono spesso altissime». Secondo i dati riportati da Gilotti, infatti, si sarebbe verificato un crollo vertiginoso delle vendite in autostrada (-54 per cento dal 2007) che avrebbe reso superfluo un numero considerevole di stazioni di servizio attualmente operanti;
   il 31 dicembre 2015, inoltre, sono in scadenza circa 300 concessioni di aree di servizio autostradali (230 delle quali non prorogabili), rispetto alle quali le compagnie petrolifere non hanno manifestato alcun interesse;
   alle concessioni in scadenza non prorogabili e non rinnovate dalle compagnie vanno aggiunte le circa 3.000 stazioni tecnologicamente obsolete e non coerenti con i principi della sicurezza stradale situate lungo la rete viaria ordinaria che, in conseguenza di un accordo tra gestori, Assopetroli e Unione Petrolifera, dovrebbero essere prossimamente dismesse;
   in data 31 marzo 2014 è stato adottato il decreto, di concerto tra il Ministro dell'interno e il Ministro dello sviluppo economico, «Modifiche ed integrazioni all'allegato A al decreto del Presidente della Repubblica 24 ottobre 2003, n. 340, recante la disciplina per la sicurezza degli impianti di distribuzione stradale di g.p.l. per autotrazione» (14A02767), che autorizza negli impianti di rifornimento multi-prodotto la presenza contemporanea di carburanti liquidi e gassosi, metano e gpl, e la possibilità di erogare questi ultimi anche in modalità self-service;
   negli anni passati la società Autostrade si è espressa ripetutamente a favore dell'integrazione nelle aree di servizio di erogatori di diverse tipologie di carburante, incluso gpl e metano. In particolare, già in occasione di un incontro avvenuto nel 2005 presso la regione Emilia-Romagna con i sindaci delle città di Piacenza e Bologna – in rappresentanza anche dei comuni di Parma, Reggio Emilia e Modena – l'amministratore delegato dottor Castellucci ha assunto l'impegno di inserire nei bandi di gara per le concessioni degli impianti di carburante lungo l'autostrada A1, l'obbligo di erogazione di metano e gpl nelle aree di servizio in cui è prossima la scadenza delle concessioni;
   il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede un «fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti destinato anche alla erogazione di contributi per la chiusura e contestuale trasformazione da impianti di distribuzione di carburanti liquidi in impianti di distribuzione esclusiva di metano o di gpl per autotrazione». Tali fondi, dunque, dovrebbero incentivare lo smantellamento dei distributori tradizionali di benzina e gasolio in favore della riconversione in distributori di metano e gpl;
   il fondo in oggetto è previsto dal decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, che, all'articolo 6, istituisce «presso la cassa conguaglio gpl il fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti, nel quale confluiscono i fondi residui disponibili nel conto economico avente la medesima denominazione, istituito ai sensi del provvedimento Cip n. 18 del 12 settembre 1989, e successive integrazioni e modificazioni»;
   il decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32, prevedeva l'integrazione per gli anni 1998, 1999 e 2000, attraverso «un contributo calcolato su ogni litro di carburante per autotrazione (benzine, gasolio, gpl e metano) venduto negli impianti di distribuzione, pari a lire tre a carico dei titolari di concessione o autorizzazione e una lira a carico dei gestori, da utilizzare per la concessione di indennizzi, per la chiusura di impianti, ai gestori e ai titolari di autorizzazione o concessione, secondo le condizioni, le modalità e i termini stabiliti dal Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato con proprio decreto»;
   ciò avveniva in considerazione della gravosità dell'onere finanziario necessario a incentivare adeguatamente la ristrutturazione della rete distributiva. Analogamente, anche per la legge 9 agosto 2013, n. 98, il relativo decreto del Ministro dello sviluppo economico del 19 aprile 2013 stabiliva che «il fondo è integrato attraverso un contributo a carico dei titolari di autorizzazione e dei gestori degli impianti di distribuzione carburanti della rete ordinaria, articolato in una componente fissa ed in una componente variabile, della seguente misura: – componente fissa a carico dei soggetti titolari di impianti pari a 100 euro e pari a 2.000 euro per gli impianti dichiarati incompatibili; – componente variabile per tutti gli impianti calcolata su ogni litro di carburante per autotrazione (benzina, gasolio e gpl) venduto sulla rete ordinaria nell'anno 2013 nella misura di 0,0015 euro a carico dei soggetti titolari di impianti e di 0,0005 euro a carico dei gestori»;
   vi è la concreta possibilità che numerose stazioni di servizio autostradali vengano dismesse nei prossimi mesi, o perché non più sufficientemente redditizie per le compagnie che le gestiscono o perché le relative concessioni non sono più rinnovabili –:
   se non ritenga opportuno incentivare ulteriormente la riconversione di tali stazioni in impianti di erogazione di metano e gpl per autotrazione, coerentemente alle indicazioni citate in premessa, prevedendo nuove misure per incrementare adeguatamente il fondo predisposto ad hoc, laddove necessario di concerto con le regioni e le concessionarie autostradali. (3-02113)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 agosto 2014, nel corso della discussione del disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 91 del 2014, è stato accolto l'ordine del giorno 9/2568-AR/2 che, considerando la qualifica di essenzialità a tutte le centrali siciliane, impegnava il Governo «a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni al fine di intervenire, attraverso ulteriori iniziative normative per sanare questo vero e proprio vulnus inferto a tutto il sistema energetico sardo, che necessita del regime di essenzialità sinora concesso, in attesa della completa metanizzazione dell'isola»;
   nonostante tale impegno del Governo, Terna in data 6 novembre 2015 ha cancellato dall'elenco delle unità essenziali per l'anno 2016 tutte le centrali elettriche sarde fatta eccezione per la centrale di Assemini;
   vari atti di sindacato ispettivo hanno evidenziato i problemi di natura tecnica ed economica che sarebbero scaturiti da tale improvvida decisione;
   nella riunione presso il Ministero dello sviluppo economico del 22 dicembre 2015 è stato dichiarato dal Ministro On. Guidi che «MISE e Terna stanno definendo delle soluzioni “ponte” applicabili alle centrali del Sulcis e di Porto Torres, attraverso contratti di servizio compatibili con il mantenimento in funzione competitivo degli impianti» (http://www.regione.sardegna.it);
   il livello di concorrenza è diminuito a seguito della decisione di Terna;
   da notizie di stampa e da quanto pubblicato sui siti di Terna e del GME vi è stata una spesa sul mercato dei servizi di dispacciamento per il mese di febbraio 2016 pari a circa 60 milioni di euro. Tale spesa risulta superiore di 40 milioni di euro rispetto a quanto avvenuto nell'analogo periodo febbraio 2015 con un aumento maggiore del 200 per cento –:
   se siano stati stipulati i contratti di servizio sopramenzionati, e se in caso affermativo secondo quale procedura siano stati sottoscritti e se tali accordi abbiano generato l'aumento dei costi per il sistema elettrico di cui sopra; inoltre, se siano state riscontrate problematiche di ragione tecnica che rendono il collegamento elettrico con il continente e dei compensatori, non affidabile specie in caso di manutenzione di uno o più gruppi termoelettrici nella zona Sardegna, generando, quindi, l'aumento dei costi di cui sopra; se Terna si avvalga della sua società controllata Cesi per le verifiche tecniche sulla funzionalità dei gruppi termoelettrici e sui meccanismi di affidabilità della rete elettrica in Sardegna, se siano stati valutati eventuali effetti sulla concorrenza anche alla luce della normativa europea «Remit», derivanti dalla decisione di Terna in merito alle unità essenziali. (5-08121)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha incontrato una delegazione di lavoratori della società Gepin Contact Spa, con sede legale a Roma e una distaccata a Casavatore, in provincia di Napoli, collegati con la società Uptime (compartecipata al 70 per cento da Gepin Contact e al 30 per cento da Sda Express Courier);
   la Gepin Contact Spa è stata detentrice dei servizi di assistenza clienti del gruppo Poste italiane dal 2003 per la gestione dei servizi di risoluzione dei reclami per Poste italiane e Sda. Tuttavia, nel 2014, la nuova dirigenza designata dal Governo Renzi e affidata alla dottoressa Luisa Todini, presidente, e al dottor Francesco Caio, amministratore delegato, ha deciso di indire una gara al massimo ribasso che ha condotto, con un importo di 0,296 centesimi di euro al minuto per la chiamata che ha visto vincere la commessa alla società I Care, che di fatto già oggi sta espletando il servizio;
   è evidente come la crisi occupazionale di Gepin Contact Spa, che presso il sito di Casavatore conta 220 dipendenti, deriva integralmente dalle decisioni di Poste italiane che hanno condotto alla risoluzione unilaterale del rapporto in essere da oltre 10 anni;
   l'azienda, con lettera del 21 settembre 2015, ha tentato di chiedere al Gruppo Poste italiane di trovare una soluzione che potesse garantite la salvaguardia dei livelli occupazionali, offrendo diverse soluzioni, ma alla lettera non è tutt'ora pervenuta risposta;
   intanto, i lavoratori si sono visti avviare il 6 aprile 2015 la cassa integrazione ordinaria che scadrà il prossimo 13 aprile 2016;
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, nell'aprile 2015, il proprietario pro tempore della Gepin Contact Spa è stato arrestato con l'accusa di bancarotta fraudolenta per un crac da 170 milioni di euro. Poco dopo l'azienda è stata ceduta ad un'altra proprietà, ma la sensazione è che questa sia subentrata solo per smantellare;
   di fatto, di fronte al silenzio di Poste italiane e alla disdetta pervenuta il 29 dicembre 2015, con una proroga formale di 6 mesi fino al 30 giugno prossimo, Gepin Contact il 26 febbraio 2016 ha di fatto annunciato la mobilità per 350 dei 430 dipendenti tra Roma e Napoli, decretando di fatto la chiusura del sito di Casavatore, che – secondo fonti di stampa verrebbe chiuso, mentre, presso la sede di Roma, dovrebbero essere tagliati 130 dei 230 posti di lavoro;
   la scadenza della procedura è prevista per il prossimo 10 maggio;
   il 9 febbraio 2016 è stato aperto un tavolo di crisi al Ministero dello sviluppo economico nel corso del quale l'amministrazione di tale Ministero si è impegnata a convocare Poste italiane, tuttavia, a distanza di oltre un mese non vi è stata alcuna novità;
   i lavoratori del sito di Casavatore hanno organizzato manifestazioni di protesta dinnanzi la direzione generale della Campania di Poste italiane, fino alla prefettura ove chiederanno un incontro col prefetto;
   il 9 marzo 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha convocato le sigle di categoria nazionale e le aziende del settore call center coinvolte negli esuberi generati dalle gare di Poste italiane ed Enel entrambe partecipate dello Stato, ma non è ben chiaro quale sia stato l'esito dell'incontro;
   è evidente come in tutta questa vicenda si sia realizzata, per l'interrogante, una gara al massimo ribasso senza tenere in alcuna considerazione la clausola sociale;
   il 13 febbraio 2016 è entrato in vigore il comma 10 dell'articolo 1 della legge 28 gennaio 2016, n. 11, recante deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Il primo periodo di tale comma stabilisce che «in caso di successione di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center, il rapporto di lavoro continua con l'appaltatore subentrante, secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale» –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere il Ministro del lavoro e delle politiche sociali per la salvaguardia dei livelli occupazionali e per il rispetto delle clausole sociali;
   quali urgenti iniziative intenda assumere il Ministro dello sviluppo economico per la risoluzione della crisi aziendale di cui sopra e, in particolare, se non ritenga, vista la drammaticità della situazione, di dover sposare una interpretazione estensiva del citato comma 10 dell'articolo 1 della legge 28 gennaio 2016, n. 11, invitando, in sede di tavolo tecnico, le parti ad applicare immediatamente il dettato normativo anche ai bandi di gara usciti prima della sua entrata in vigore, ma il cui iter procedurale non è ancora concluso;
   quali urgenti iniziative di competenza, il Governo, nella sua qualità di azionista di Poste italiane, intenda assumere al fine di evitare che l'azienda indica gare al massimo ribasso e senza tenere in alcuna considerazione la clausola sociale. (4-12517)


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Bistefani s.p.a., oggi Bistefani, gruppo dolciario s.p.a., è una delle più importanti industrie alimentari del ramo dolciario italiane, fondata nel 1955 a Casale Monferrato (AL) da Luigi Viale;
   nel 2002, la Bistefani ha acquisito la Nuova Forneria s.p.a., società nata nel 1990 dalla parziale privatizzazione del settore dolciario del gruppo Sme a cui erano state conferite le attività del settore dei prodotti da forno a consumo continuativo e nel cui capitale facevano parte il gruppo Barilla e Ferrero per il 49 per cento delle quote. La società era stata rivenduta poi, nel 1995, alla società «Parfin Holding», facente capo all'imprenditore Armando Cecchetti, già proprietario dei supermercati Sidis. Nel 2006 le due società si sono fuse formando il gruppo Buondì Bistefani s.p.a., oggi Bistefani gruppo dolciario s.p.a.;
   la sede e lo stabilimento dell'industria alimentare sono a Villanova Monferrato, in provincia di Alessandria;
   il 9 febbraio 2013 viene annunciata l'acquisizione dell'azienda da parte del gruppo Bauli;
   la Bauli s.p.a. è una storica azienda italiana, tra le maggiori realtà industriali del settore, di prodotti da forno come panettoni, pandori, colomba e cornetti, fondata a Verona nel 1922 dal pasticcere Ruggero Bauli, con sede a Castel d'Azzano (VR);
   il presidente Alberto Bauli nel 2013, appena dopo l'acquisizione, dichiarava che il suo gruppo intendeva investire in Bistefani una ventina di milioni per potenziare l'attività, aumentando le vendite grazie ai nuovi marchi krumiri, buondì e girella, contando di sfiorare i 500 milioni di fatturato a fine 2013, i rilanciando Bistefani per conquistare il Nord Ovest;
   durante un incontro sindacale con i vertici del gruppo Bauli, è stato comunicato dall'amministratore delegato Stefano Zancan che la produzione verrà dislocata il più presto possibile a Castel d'Azzano entro l'estate, per i costi fissi troppo elevati, offrendo la possibilità a tutti i 115 dipendenti di trasferirsi e di mantenere il posto di lavoro;
   con l'indotto che lavora nei settori della manutenzione e delle pulizie, nello stabilimento Bistefani di Villanova i dipendenti sono circa 150 persone –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intenda assumere iniziative per procedere in tempi rapidi per l'apertura di un tavolo nazionale di confronto per poter salvaguardare gli attuali livelli occupazionali. (4-12520)


   ZACCAGNINI e SANNICANDRO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la geotermia è stata individuata dalle istituzioni come «risorsa strategica per lo sviluppo del nostro Paese», ma per favorirne un concreto e ulteriore sviluppo, attirando nuovi investimenti, è indispensabile una cornice normativa chiara e stabile;
   a tal proposito, in data 15 aprile 2015 è stata approvata all'unanimità dalle Commissioni permanenti riunite VIII (ambiente) e X (attività produttive) la risoluzione n. 8-00103 che impegna il Governo alla realizzazione di dodici azioni: fra le quali «ad emanare, entro sei mesi, “linee guida” a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino nell'ambito delle aree idonee di cui al punto precedente anche i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di micro sismicità». Il punto della situazione è stato offerto in Parlamento da Antonello Giacomelli, sottosegretario per lo sviluppo economico. Si prevede inoltre che «nella fase pre-realizzativa ci sia un pieno coinvolgimento delle amministrazioni e delle popolazione locali nel processo decisionale favorendo l'eventuale applicazione del principio di precauzione»;
   le linee guida per la geotermia che avrebbero dovuto essere fornite il 15 ottobre 2015, non hanno ancora trovato una formulazione definitiva, in quanto sul documento, così come dichiarato dal Ministero dello sviluppo economico «si stanno coinvolgendo i vari stakeholder, oltre alle regioni maggiormente interessate dalle attività in argomento, al fine di poter condividere i contenuti delle stesse e definire compiutamente le best practice della materia». Per predisporre il documento, precisano dal dicastero, vista la complessità e la rilevanza della materia, è al lavoro un team di esperti del settore; da parte sua il Ministero «considerando la rilevanza della geotermia, porrà in essere ogni sforzo affinché tale attività possa al più presto essere portata a compimento». Nel mentre i lavori di «zonazione» del territorio italiano sono partiti, «affinché, per le varie tipologie di impianti geotermici, siano identificate le aree potenzialmente sfruttabili»;
   emerge che il Governo – pur essendo impegnato sulle attività di riforma – non è in grado di emettere rapidamente le nuove normative, mentre nel contempo proseguono le attività istruttorie delle istanze avanzate dagli operatori sia in ordine agli impianti pilota geotermici, che alle istanze geotermiche ad autorizzazione regionale;
   questa situazione diventa ogni giorno di più in evidente contrasto con le previsioni contenute nella risoluzione de quo che al 3o paragrafo del dispositivo recita: «(impegna il Governo) a rilasciare, a seguito dell'emanazione delle linee guida, tutte le autorizzazioni per i progetti di impianti geotermici, comprese quelle relative ai procedimenti in corso, nel rispetto delle prescrizioni ivi previste». Le Commissioni parlamentari VIII e X hanno chiaramente impegnato il Governo a far avanzare i procedimenti in corso soltanto dopo l'emanazione delle linee guida e degli altri interventi di riforma. È del tutto evidente che, in ossequio ai principi di buon andamento, efficienza ed efficacia dell'amministrazione – oltre che per rispetto istituzionale nei confronti dell'organismo parlamentare che ha adottato la predetta risoluzione – le autorizzazioni siano rilasciate dopo l'emanazione della «riforma» del settore. Anche per scongiurare il rischio ed il sospetto che le «linee guida» e «la zonizzazione» (e gli altri «impegni» del Governo indicati nella risoluzione, fino al punto n. 12, che riguarda una verifica sugli impianti in esercizio) vengano ritardati per consentire autorizzazioni che altrimenti poi sarebbero impossibili o per mantenere in esercizio impianti che non potrebbero essere rispettosi delle stesse linee guida –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intendano intraprendere affinché sia data piena attuazione in tempi brevi alle previsioni della risoluzione unitaria n. 8-00103, approvata dalle Commissioni permanenti riunite VIII ambiente e X attività produttive, così come descritta in premessa, e se non si ritenga di sospendere i procedimenti in itinere per il rilascio delle autorizzazioni. (4-12526)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Carfagna ed altri n. 1-01187, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Brunetta, Polidori, Castiello, Santelli, Biancofiore, Palmieri, Squeri, Romele, Fabrizio Di Stefano, Laffranco, Archi, Vella e Biasotti e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: Carfagna, Centemero, Prestigiacomo, Occhiuto, Brunetta, Archi, Biancofiore, Biasotti, Calabria, Castiello, Fabrizio Di Stefano, Garnero Santanchè, Gelmini, Giacomoni, Gullo, Laffranco, Palmieri, Polidori, Romele, Santelli, Elvira Savino, Squeri, Vella.

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Massimiliano Bernini e altri n. 1-00431, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lombardi.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Burtone e Vico n. 5-06250, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 agosto 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cuomo.

  L'interrogazione a risposta scritta Colletti e altri n. 4-12496, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Colonnese.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-12140 del 17 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Vargiu n. 4-12169 del 19 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta scritta Taglialatela n. 4-12323 del 2 marzo 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione De Maria n. 5-08030 del 7 marzo 2016;
   interrogazione a risposta scritta Quaranta n. 4-12442 del 9 marzo 2016;

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-12409 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 585 dell'8 marzo 2016. Alla pagina 35177, prima colonna, dalla riga quarantasettesima, deve leggersi: «quali iniziative di competenza, alla luce di quanto rappresentato, si intendano assumere per garantire l'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario della Calabria, in modo tale che il suddetto piano si concluda in tempi brevi, secondo legge e correttamente.», e non come stampato.

  Interrogazione a risposta immediata in Commissione Biasotti e Russo n. 5-08108 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 589 del 14 marzo 2016. Alla pagina 35466, prima colonna, dalla seconda alla terza riga, deve leggersi: «presentata dall'onorevole Russo in data 12 novembre 2015, e», e non come stampato.