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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 10 marzo 2016

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2007, n. 108 «La Commissione per le adozioni internazionali è presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delle politiche per la famiglia»;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in data 13 febbraio 2014, la dottoressa Silvia Della Monica – consigliere di Cassazione – è stata nominata, per un triennio, vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali;
   come è noto, tra i componenti della commissione siede un vicepresidente – nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – su proposta del Presidente, nella persona di un magistrato avente esperienza nel settore minorile ovvero di un dirigente di prima fascia dell'amministrazione dello Stato o delle amministrazioni regionali avente analoga specifica esperienza, con i compiti previsti al secondo comma del decreto n. 108 del 2007;
   tuttavia, il decreto sopracitato porterebbe ad escludere la possibilità di delega della totale funzione presidenziale nella sua pienezza di poteri e oneri al vicepresidente, pur consentendo la delega di funzioni da parte del presidente al vicepresidente;
   inoltre, ad avviso degli interpellanti, non è stata resa nota adeguatamente l'esperienza maturata dalla vicepresidente, Silvia Della Monica, in ambito minorile e in tema di adozioni internazionali;
   di fatto, ai sensi del decreto, la commissione deve essere costituita da tre esperti nominati dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro delle politiche per la famiglia – che questo Governo non ha istituito – scelti tra persone di comprovata esperienza nella materia oggetto della legge sull'adozione. Eppure, negli atti di nomina dei diversi componenti, non ci sono riferimenti all'esperienza da essi maturata in materia;
   consultando il sito della Commissione per le adozioni internazionali (Cai), l'ultima convocazione parrebbe risalire al 27 giugno 2014, lasciando così nella totale assenza di informazioni le associazioni e le famiglie intenzionate ad adottare bambini;
   ciò crea disagi, come nel caso dei rapporti in questo ambito tra Bielorussia e Italia. A causa di ostacoli burocratici ci sono circa 130 famiglie italiane in attesa da diversi mesi, per poter portare a conclusione l’iter che consenta loro l'adozione dei minori provenienti da quello Stato;
   è ormai da molto tempo che coppie intenzionate ad adottare minori da Stati stranieri e dopo aver seguito un lunghissimo e costoso percorso, non riescono ad avere certezze, ma solo flebili speranze di poter accogliere il futuro figlio adottivo, a causa dell'inerzia da parte dello Stato italiano in materia di adozioni;
   la Commissione per le adozioni internazionali nega qualsiasi forma di dialogo richiesto da parte delle associazioni che si occupano di adozioni, né provvede ad esaminare le nuove richieste in materia di riconoscimento di nuove associazioni;
   anche l'Associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi), costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie, ha più volte fatto sentire la propria voce contro questa inerzia della Cai, anche per quanto attiene alla mancata pubblicazione dei dati, ferma all'anno 2013;
   va quindi rilevato che, da anni, non ci sono dati disponibili pubblicamente in materia di minori e le uniche proiezioni effettuate provengono dall'associazione Ai.Bi;
   stante la crisi economica internazionale e le difficoltà per procedere alle adozioni, i minori accolti nelle famiglie italiane sono calati notevolmente;
   attualmente, in seguito all'approvazione della legge di stabilità 2016, si prevede un finanziamento a sostegno di politiche in materia di adozioni internazionali e per il funzionamento della Cai, denominato «Fondo per le adozioni internazionali», dotato di uno stanziamento pari a 15 milioni di euro a partire dall'anno 2016;
   di tale «Fondo», volto a garantire alle famiglie interessate alle adozioni un sostegno economico – stante le notevoli spese a cui serve far fronte per accogliere un minore straniero – non si sa nulla a causa della paralisi in cui versa ormai da anni la commissione –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se il Governo ne sia a conoscenza e se non ritenga necessario svolgere direttamente le funzioni attribuitegli in qualità di presidente della Commissione adozioni internazionali revocando la delega alla vicepresidente;
   se non ritenga doveroso e necessario rendere pubblico il curriculum della vicepresidente, Silvia Della Monica, nominata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 13 febbraio 2014 e dei restanti componenti della Commissione;
   se non ritenga necessario e urgente convocare la Commissione dopo uno stallo di quasi tre anni e garantirne il funzionamento collegiale almeno quattro volte l'anno;
   se non ritenga doveroso adottare la buona pratica di rendere noti e pubblici gli atti e i verbali della Commissione pubblicandoli sul sito internet istituzionale della stessa;
   se non ritenga utile e opportuno che la Commissione relazioni tempestivamente al Parlamento, alle scadenze previste dalla normativa vigente riguardo al proprio operato;
   quali e quante siano le risorse effettivamente disponibili del «fondo» adozioni – previste dalla legge di stabilità 2015 – e quale sia l'importo già erogato per il sostegno alle famiglie adottive.
(2-01310) «Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, CRIPPA, LOMBARDI e DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da fonti di stampa che la procura di Novara ha chiesto ventisette rinvii a giudizio per il «caso Est Sesia». Al vaglio del giudice ci sarebbero 41 capi di imputazione per reati dall'associazione per delinquere alla truffa, dal peculato al falso in atto pubblico, dalla turbativa d'asta all'abuso d'ufficio;
   tra i personaggi coinvolti risulta esserci anche il comandante nazionale del Corpo forestale dello Stato, Cesare Anselmo Patrone che nel 2012 nel ruolo di componente di una commissione di collaudo per lavori ai ponti sul canale Quintino Sella avrebbe redatto un verbale falso;
   i firmatari della presente interrogazione già nel 2015 avevano interrogato il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con diversi atti di sindacato ispettivo (n. 4-11331, n. 5-07062, n. 4-02296, n. 4-08162) evidenziando le criticità connesse alla modalità della sua nomina a capo del Corpo forestale dello Stato, alla permanenza al vertice della struttura per oltre 11 anni a partire dal 2004, alla circostanza che durante tale arco temporale sia risultato coinvolto in inchieste e procedimenti giudiziari dai quali emergono molteplici profili che avrebbero — ad avviso degli interroganti — raccomandato un suo avvicendamento, considerata anche la delicata attività investigativa e di intelligence che il Corpo svolge nel contrasto ai crimini ambientali e ai traffici illeciti internazionali;
   oltre a quanto sopra esposto, si ricorda che in data 13 agosto 2015, sulla Gazzetta Ufficiale n. 187, è stata pubblicata la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», il cui articolo 8, comma 1, lettera a), prevede, tra l'altro, l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia;
   il Consiglio dei ministri, nel corso della riunione n. 101 del 20 gennaio 2016 ha approvato, in esame preliminare, uno schema di decreto legislativo recante l'assorbimento di parte del personale del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri, pubblicato il 1o febbraio 2016 sul sito http://www.governo.it dal titolo «Decreto legislativo recante disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del corpo forestale dello stato ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». In tale schema di decreto, all'articolo 12 «Contingenti del personale del Corpo Forestale dello Stato», il comma 2 recita: «Il Capo del Corpo Forestale dello Stato, con proprio provvedimento adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e pubblicato sul Bollettino ufficiale del Medesimo Corpo, individua, sulla base dello stato matricolare, l'Amministrazione, tra quelle indicate al comma 1, presso la quale ciascuna unità di personale è destinata a transitare...»;
   questo significa che l'ingegner Cesare Patrone deciderà autonomamente il destino di circa 7000 uomini e donne del Corpo forestale dello Stato –:
   se anche alla luce degli ultimi eventi giudiziari di cui in premessa, non ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza al fine di procedere celermente alla sostituzione dell'ingegnere Cesare Patrone nell'incarico di capo del Corpo forestale dello Stato, previo espletamento di una consultazione interna al Corpo, in tempo utile per lo svolgimento degli adempimenti di cui all'articolo 12 del sopracitato emanando decreto legislativo;
   se non si ritenga di dover procedere alla revoca dell'incarico dell'ingegner Cesare Patrone quale coordinatore del gruppo di lavoro sulla «Terra dei Fuochi» di cui alla direttiva interministeriale del 23 dicembre 2013. (3-02099)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, BUSTO, DA VILLA, SIMONE VALENTE, VACCA, BRESCIA, LOMBARDI, DI BENEDETTO, MARZANA, RIZZO e FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 marzo 2016, veniva pubblicato sul sito « lombardia5stelle.it» un video di denuncia realizzato grazie alla collaborazione tra il gruppo nazionale e quello della regione Lombardia del M5S, prodotto con l'intento di portare all'attenzione di tutti una questione mai prima d'ora denunciata, ossia quella delle inaccettabili condizioni contrattuali e di mancanza di diritti a cui sono sottoposti quotidianamente molti assistenti bagnanti (volgarmente detti bagnini) ed istruttori di nuoto che prestano il loro servizio nelle piscine del nostro Paese;
   nel video, intervallati agli interventi del deputato Davide Tripiedi e del consigliere della regione Lombardia Dario Violi, entrambi del M5S, sono riportate le dichiarazioni di alcuni assistenti bagnanti ed istruttori di nuoto, ripresi in forma anonima per tutelare la loro privacy;
   i lavoratori in oggetto, a causa del perdurare della crisi economica che ha fatto perdere loro il primo impiego, svolgono questa professione il più delle volte sottopagata, come unico impiego, con le logiche conseguenze del caso;
   nel filmato, tutti i lavoratori intervistati che da anni svolgono questa professione, definiscono la loro condizione contrattuale «a dir poco vergognosa» e «anticostituzionale». Da contratto, ai lavoratori non vengono riconosciute le retribuzioni per le ore di assenza per malattia, ferie, infortuni, maternità, licenze matrimoniali, tredicesime o quattordicesime, oltre al fatto che in futuro non verrà riconosciuto loro il trattamento pensionistico a causa dei mancati contributi. Uno degli operatori degli impianti natatori intervistati ha ricordato che, a causa delle chiusure nelle festività, i mesi di lavoro continui si riducono a 5 o 6, con la conseguenza di avere paghe complessive ancor più esigue, mentre un'altra lavoratrice ha denunciato il fatto di non avere mai ricevuto un aumento di stipendio in 15 anni di attività;
   avendo dei cedolini in sostituzione delle regolari busta paga di fine mese, ai dipendenti in oggetto non vengono riconosciute le garanzie sufficienti per, ad esempio, l'affitto o l'acquisto di una casa o di un'automobile;
   per le categorie indicate, non vi sono associazioni sindacali atte a tutelare i diritti dei lavoratori;
   nel filmato viene specificato che le paghe nette orarie degli assistenti bagnanti ed istruttori di nuoto, vanno da un minimo di 4 ad un massimo di 9 euro. Ciò comporta, per diversi di loro, la scelta obbligata di dover lavorare in più impianti per un numero spropositato di ore mensili, al fine di ottenere un compenso accettabile per poter vivere in maniera dignitosa. Uno dei lavoratori intervistati, ha denunciato che per ottenere uno stipendio che riesca a superare seppur di poco i 1.000 euro mensili, un bagnino o un istruttore di nuoto debba lavorare 10-12 ore al giorno, ricordando però che sono pochi i lavoratori ad avere queste possibilità;
   la FIN (Federazione italiana nuoto) è una federazione del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano) ente posto sotto la vigilanza del Consiglio dei ministri. La FIN è un'associazione senza fini di lucro con personalità giuridica di diritto privato che si occupa di promozione, organizzazione e diffusione delle discipline natatorie (nuoto, tuffi, pallanuoto, nuoto sincronizzato, nuoto per salvamento), nonché di tutte le attività a ciò finalizzate;
   la FIN è un'associazione sportiva dilettantistica che si avvale anche di assistenti bagnanti e di istruttori di nuoto, persone in possesso di specifiche conoscenze e di esperienza nell'attività di salvamento ed assistenza ai bagnanti, operanti presso gli impianti natatori ove è presente la stessa federazione. Gli assistenti bagnanti ed istruttori di nuoto lavorano tutti, in maniera diretta o indiretta, per la FIN;
   per evitare il problema economico che l'assunzione dei lavoratori porterebbe alle associazioni sportive, molte di queste licenziano all'undicesimo mese di lavoro gli assistenti bagnanti ed istruttori di nuoto, riassumendoli a partire dal termine del dodicesimo mese. Ciò risulta essere un vantaggio per il datore di lavoro che, utilizzando questo escamotage, non assume mai in maniera definitiva il lavoratore che rimarrà sempre con il medesimo contratto per lui assolutamente svantaggioso a causa dei problemi e delle mancanze di diritti contrattuali sopraindicate. Questo in conseguenza del fatto che per molti di loro il contratto rientra nella categoria di collaborazione sportiva dilettantistica. Tale contratto comporta che per ogni lavoratore, superato l'importo annuo di guadagno di 7.500 euro pari a 625 euro mensili, vi siano le trattenute Irpef da pagare di circa il 23 per cento. Queste trattenute rimangono in carico al lavoratore stesso, dato che generalmente non vengono riconosciute dalle associazioni sportive per le quali lavorano. Più nello specifico, i compensi per gli assistenti bagnanti e gli istruttori di nuoto, rientrano nella disciplina del rapporto di collaborazione sportiva dilettantistica, di cui all'articolo 67 del T.U.I.R., lett. m), del decreto del Presidente della Repubblica 917 del 1986. Ciò comporta che per le categorie di lavoratori sopraindicati, i compensi per collaborazioni erogati da una società sportiva dilettantistica come la FIN, sono soggetti a ritenuta Irpef a titolo di imposta per un imponibile che parte dalla cifra di 7.500 euro annui (fino a tale limite i compensi sono totalmente esenti), oltre la quale le ritenute passano a carico del lavoratore indicato. A ciò consegue che la quasi totalità delle società sportive interrompano i loro contratti con i dipendenti assoggettati a tale trattamento prima della chiusura del dodicesimo mese dall'assunzione, per poi procedere con una nuova assunzione sempre dei medesimi soggetti e sempre con contratti inferiori a dodici mesi. Tale espediente, permette alle società sportive di non pagare alcuna contribuzione sulla maggior parte dei lavoratori appartenenti alla stessa;
   le categorie di lavoratori sopraindicate, hanno l'obbligo, pena la non abilitazione alla loro professione, di rinnovare il brevetto di istruttore di nuoto ogni anno, pagando di tasca propria la cifra di 70 euro, e quello di assistenti bagnanti ogni tre anni, pagando la cifra di 85 euro, più le spese dell'annesso certificato medico. Tali brevetti, nella maggior parte dei casi, non comportano alcun esame scritto o orale o prove fisiche che attestino le capacità degli esaminandi. Le somme versate dai lavoratori per i brevetti, vengono percepite dalla FIN;
   bagnini ed istruttori di nuoto ricoprono un ruolo educativo nei confronti di chi nuota e all'interno delle piscine le loro responsabilità sono elevatissime. Nel malaugurato caso in cui possa succedere qualcosa di grave ai natanti e i bagnini non siano presenti a soccorrerli, questi ultimi possono anche incorrere in provvedimenti di tipo penale. Per questo motivo, i lavoratori hanno denunciato, nel video sopra richiamato, che responsabilità del genere andrebbero adeguatamente remunerate;
   gli assistenti bagnanti e gli istruttori di nuoto, oltre al loro importante lavoro di responsabilità, ricoprono anche un ruolo socialmente utile come quello della corretta crescita e l'aiuto morale di individui più deboli come bambini o disabili, tramite i corsi a loro dedicati;
   nel suddetto filmato, il consigliere regionale Dario Violi, ricorda che all'interno degli impianti, troppo spesso i lavoratori in oggetto sono in numero non adeguato per una giusta sorveglianza dei bagnanti e che per le questioni delle responsabilità sopraindicate, rischiano di proprio per scelte sbagliate di chi li assume in numero così esiguo. Inoltre, sempre Violi ricorda che il genere di lavoro svolto può rivelarsi molto dannoso per la loro salute, visto che le sostanze disinfettanti disciolte nell'acqua della piscina e sempre presenti nell'aria, possono diventare estremamente nocive per la salute dei lavoratori, provocando problemi respiratori a molti di questi;
   in data 22 dicembre 2015, sul sito «confederazionedellosport.it», si apprendeva la notizia che la Confederazione italiana dello sport-Confcommercio imprese per l'Italia, con la partecipazione di Confcommercio Milano, di Confcommercio Roma e con l'assistenza tecnica della Confcommercio Imprese per l'Italia, i sindacati SLC-CGIL, FISASCAT-CISL e UILCOM-UIL, hanno sottoscritto il nuovo contratto collettivo nazionale del lavoro per i dipendenti del mondo sportivo, compresi gli operatori dei centri o siti natatori. Sempre nel sito veniva specificato che il documento indicato non risulta essere un accordo di rinnovo del precedente testo contrattuale, bensì un nuovo contratto che definisce ex novo la disciplina dei rapporti di lavoro per i dipendenti degli impianti e delle attività sportive profit e no profit. Con il nuovo contratto, vengono «adeguati gli istituti contrattuali alle novità legislative intervenute nell'ultimo decennio e le esigenze effettive del settore che necessitava di una maggiore flessibilità a sostegno di forme di occupazioni stabili e coerenti con il contesto, di riferimento.» Va, tuttavia fatto notare che l'esistente contratto in questione risulta essere agli interroganti, per dicitura, un'ipotesi di accordo di contratto collettivo nazionale di lavoro, contrariamente da quanto dichiarato dai proponenti il nuovo contratto;
   agli interroganti fa specie venire a conoscenza dell'esistenza di un contratto o di un'ipotesi di contratto che, per le diverse esperienze lavorative raccontate dai diretti interessati del settore, di fatto non è stato applicato;
   per tutto quanto sopra riportato, sempre a giudizio degli interroganti vi è un'ingiusta collocazione, a livello normativo, della posizione dei lavoratori sopraindicati che per mansioni, competenze e responsabilità coperte, risultano avere inappropriati diritti e compensi per il tipo di lavoro da loro svolto. Risulta inaccettabile per gli interroganti il trattamento contrattuale a loro riservato, come inaccettabile è l'assenza dello Stato nei confronti di quello che risulta essere, a tutti gli effetti, un sin troppo silente «sfruttamento» di personale lavorativo –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopraindicati e se non intenda assumere iniziative per regolamentare il settore sopraindicato, monitorando, per quanto di competenza, l'applicazione in maniera effettiva del nuovo contratto collettivo nazionale a tutti gli assistenti bagnanti ed istruttori di nuoto, considerando come primo principio un più congruo stipendio comparato alle responsabilità civili e penali e al ruolo sociale ed educativo dei lavoratori in questione;
   vista l'esistenza da decenni a questa parte di contratti nazionali di lavoro per le categorie sopraindicate, se risulti per quale motivo questi non siano stati applicati e, anche nel caso lo fossero stati, per quale motivo non siano stati svolti accertamenti in merito, per quanto di competenza, per verificarne l'effettiva applicazione, ancor più in considerazione del fatto che quella presa in esame risulta essere una categoria di lavoratori molto vasta e conosciuta.
(5-08078)


   LODOLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   magistrati e forze dell'ordine stanno svolgendo un lavoro intenso per monitorare la situazione relativa a possibili attentati;
   avrebbe soggiornato per diversi mesi ad Ancona nel 2011 Noureddine Chouchane, il tunisino considerato la mente dell'attacco terroristico al museo del Bardo di Tunisi;
   secondo quanto emerso dalle indagini della procura di Genova, il tunisino si sarebbe fatto rilasciare il permesso di soggiorno dalla questura di Ancona per poi andare nel capoluogo ligure per ottenere il passaporto dal consolato tunisino;
   Chouchane venne ucciso in un raid americano il 19 febbraio 2016 in Libia;
   Giuliano Ibrahim Delnevo, il foreign fighter genovese morto nel 2013 durante la battaglia di Al Qusayr combattuta al fianco dei ribelli partì proprio da Ancona, dal porto cittadino o dall'aeroporto di Falconara. Del Nevo, parrebbe, in base a ricostruzioni apparse sulla stampa locale, arrivò ad Ancona grazie a un compagno di scuola che aveva un fratello che lavorava ai cantieri navali dorici. Su Del Nevo c’è, si legge sempre sulla stampa locale, un fascicolo aperto dalla procura di Ancona. Gli atti sarebbero stati trasmessi dai magistrati di Genova –:
   se, il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti; se risulti al Governo l'esistenza di un sottilissimo «filo rosso» che possa unire la mente dell'attentato del Bardo al caso di Del Nevo; se risulti l'esistenza di una sorta di reclutatore «ignoto» col compito di fare la spola tra il capoluogo e le zone controllate dall'Isis per condurre i cosiddetti foreign fighters in terra islamica; se risulti al Governo che chi avrebbe aiutato Del Nevo sia ancora attivo nel capoluogo marchigiano e soprattutto sia lo stesso che ha dato ospitalità a Noureddine Chouchane; se il Governo intenda potenziare ulteriormente gli organici delle forze di polizia per presidiare luoghi sensibili come il porto e l'aeroporto, considerata, altresì, la vicinanza ai Paesi balcanici. (5-08090)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA e GREGORI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il commissario governativo straordinario di Roma Capitale ha di recente pubblicato un bando di gara attraverso una procedura aperta per l'affidamento del servizio di gestione sociale, formazione lavoro, di interventi di piccola manutenzione e del servizio di vigilanza dei villaggi Rom;
   la gara voluta dal commissario Tronca è finalizzata «all'affidamento del servizio gestionale sociale, formazione lavoro, interventi di piccola manutenzione e del servizio di vigilanza dei villaggi della Capitale». Sei lotti per altrettanti «villaggi attrezzati» (Castel Romano, Lombroso, Salone, Candoni, La Barbuta, Gordiani) e un totale di 5 milioni di euro per 21 mesi di gestione, dal 1o aprile 2016 al 31 dicembre 2017, a società e o cooperative con i requisiti richiesti (prioritario «aver realizzato negli ultimi tre esercizi 2012/2013/2014) un fatturato per servizi analoghi al settore oggetto della gara non inferiore al 20 per cento dell'importo a base di gara del lotto») e l'offerta più vantaggiosa;
   numerose associazioni ritengono che il bando è in aperto contrasto con quanto previsto dalla strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, dal momento che appare chiara la volontà di affrontare la questione Rom sul piano esclusivamente securitario, considerato che le azioni destinate alla vigilanza assorbono oltre il 50 per cento delle risorse complessive, depotenziando di conseguenza i percorsi di inclusione sociale volti alla fuoriuscita dai campi e quindi alla chiusura degli stessi;
   anche dal punto di vista procedurale il bando appena emanato presenta numerosi elementi di criticità, primo fra tutti quello che vede il trasferimento di responsabilità civile e penale delle strutture di proprietà del comune di Roma agli enti che gestiranno il servizio. Il comune di Roma, in sostanza, per anni ha lasciato i campi nel più completo degrado, manutenendoli poco e male, e ora vuole derogare completamente alle proprie responsabilità;
   inoltre, si ripropone la centralità del massimo ribasso come elemento di valutazione delle proposte progettuali, pratica che sta producendo disastri nella gestione dei servizi sociali a scapito delle qualità dell'intervento –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative urgenti per verificare la compatibilità giuridica del bando pubblicato dal commissario straordinario di Roma Capitale di cui in premessa con la strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, con particolare riferimento al rispetto dei diritti fondamentali delle minoranze presenti sul territorio del comune di Roma e agli elementi di criticità riguardanti il trasferimento di responsabilità penale e civile delle strutture che ospitano tali comunità dalle autorità pubbliche (responsabili della stessa strategia nazionale) a quelle private. (4-12446)


   BRANDOLIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7, comma 11, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito dalla legge 8 novembre 2012, n. 189 («decreto Balduzzi»), recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», prevede, al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale, che il Ministro della salute, con decreto adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo ed allo sport, disponga garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte delle società sportive sia professionistiche sia dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita;
   il decreto 24 aprile 2013 del Ministro della salute, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 luglio 2013, reca «Disciplina della certificazione dell'attività sportiva non agonistica e amatoriale e linee guida sulla dotazione e l'utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri salvavita», secondo quanto stabilito dall'articolo 7, comma 11, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158;
   l'articolo 5 del decreto ministeriale ha stabilito l'obbligo per le società sportive dilettantistiche (30 mesi di tempo) e professionistiche (6 mesi di tempo) di dotarsi di defibrillatori semiautomatici, ad eccezione di quelle società dilettantistiche, la cui attività richieda un ridotto impegno cardiocircolatorio;
   il comma 6 dell'articolo 5, in particolare, ha stabilito che le società, singole o associate, possano demandare l'onere della dotazione e della manutenzione del defibrillatore al gestore dell'impianto, attraverso un accordo che definisca anche le responsabilità in ordine all'uso e alla gestione; in caso contrario, in via generale, la responsabilità per la presenza e il corretto funzionamento del DAE è posta in capo alle società sportive;
   l'allegato E del decreto ministeriale, contenente le linee guida in materia, ha fissato le modalità di gestione dei defibrillatori da parte delle società sportive;
   in particolare, tra quelle organizzative, si è stabilito che l'onere della dotazione del defibrillatore sia a carico delle società (con possibilità di associarsi nel caso dell'utilizzo dello stesso impianto) e che quelle che utilizzino permanentemente o temporaneamente un impianto sportivo debbano assicurarsi della presenza e del regolare funzionamento del dispositivo;
   nell'ambito della formazione, le linee guida hanno indicato sempre nelle società sportive gli enti responsabili della presenza di personale formato all'utilizzo del defibrillatore, per l'eventuale utilizzo nel corso di gare o allenamenti e hanno disposto che le medesime abbiano il dovere di formare personale ritenuto «sufficiente» nel numero, tramite corsi da effettuare presso appositi centri accreditati e autorizzati;
   per quanto riguarda gli obblighi delle società sportive dilettantistiche, le norme previste nel decreto del 24 aprile 2013 (articolo 5, comma 5) dovevano essere attuate entro il mese di febbraio 2016;
   si riscontrano difficoltà in tutta Italia la parte delle Società sportive dilettantistiche nel dotarsi di defibrillatori semiautomatici e, nel completare le attività di formazione degli operatori del settore sportivo circa il corretto uso degli stessi;
   il Ministro della salute, di concerto con il competente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel mese di gennaio 2016, ha decretato una modifica all'articolo 5, comma 5, del decreto del Ministro della salute del 24 aprile 2015 portando a scadenza ultima al 20 luglio 2016;
   diverse regioni autonomamente hanno legiferato in materia mettendo in difficoltà il mondo dello sport organizzato, in particolare chi svolge la propria attività a cavallo di confini regionali, generando confusione e preoccupazione tra i dirigenti sportivi –:
   se, in considerazione dell'imminente entrata in vigore del decreto sia nelle disponibilità del Governo una mappatura aggiornata sulla localizzazione di DAE sul territorio nazionale; qualora non tutti gli impianti fossero in regola alla data prevista, e non vi siano proroghe della disciplina vigente, se siano state stimate quali possano essere le conseguenze sull'attività sportiva organizzata;
   in merito alla dotazione del DAE e, particolare all'uso e alla gestione dello stesso, se siano state assunte iniziative per determinare con chiarezza a chi va attribuita la responsabilità, se al gestore dell'impianto o alle società sportive, auspicando che la responsabilità venga definita e posta in carico al gestore prevalente dell'impianto;
   quali modalità siano state individuate in merito agli adempimenti degli obblighi previsti dalle linee guida sull'utilizzo dei DAE, per le società sportive che svolgono la propria attività (non con ridotto impegno cardiocircolatorio) all'aperto, come accade per esempio, nel caso di sport «mobili» (ciclismo, canottaggio, vela e altri);
   se non sia doveroso confermare la direttiva generale nazionale mantenendone l'efficacia su tutto il territorio nazionale per evitare disomogeneità nelle diverse realtà regionali. (4-12450)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella «Nota di aggiornamento al piano di riordino dell'Autorità nazionale anticorruzione» del 28 gennaio scorso, il presidente dell'Anac, Raffaele Cantone, ha scritto che «non può non evidenziarsi che il bilancio dell'Autorità sconta una rigidità della spesa tale da non consentire per il futuro, a quadro normativo vigente, ulteriori norme di contenimento oltre quelle finora adottate se non a prezzo di una ridotta funzionalità dell'Anac che, nella circostanza, non sarebbe tra l'altro coerente con l'implementazione delle funzioni»;
   sembra che, mentre da un lato viene chiesto all'Anac di occuparsi di compiti sempre più complessi come le ultime missioni del nuovo codice degli appalti e degli arbitraggi sui risarcimenti ai clienti truffati dalle banche, dall'altra gli si imponga di tagliare i costi, in quanto autorità indipendente;
   secondo il commissario Cantone se aumentano gli impegni e le missioni, con essi, secondo logica, dovrebbe aumentare anche il personale e, a tutt'oggi, per permettere all'autorità di funzionare correttamente servirebbero 350 persone, mentre in organico ce ne sono 302,48 in meno del necessario, ma i limiti di spesa impedirebbero nuove assunzioni;
   nel 2015 l'Anac, nonostante tutto, è riuscita ad ottemperare ai vincoli di legge tagliando il 25 per cento dal proprio bilancio, passato da 63 a 47 milioni di euro con un evidente e importante risparmio ottenuto tagliando su tutto: personale, immobili, rimborsi, compensi e l'acquisto di beni e servizi;
   in teoria le risorse ci sarebbero visto che l'Anac può contare su quasi 50 milioni di euro di risparmi degli ultimi anni, provenienti da chi è vigilato dall'Anticorruzione;
   parlando con i giornalisti a Firenze, nella sede della regione, a proposito dei fondi dell'istituzione che non possono essere spesi, il commissario Cantone ha dichiarato: «Noi i fondi li abbiamo, non abbiamo la possibilità di spenderli per una serie di norme all'italiana. Non è assolutamente un'indicazione polemica. Noi siamo autofinanziati dal mercato, non graviamo sul bilancio pubblico, se non in piccolissima parte. Abbiamo la possibilità di spendere i soldi che abbiamo e abbiamo la necessità in questo momento storico di dover rinforzare alcuni uffici, chiediamo la possibilità di poter spendere i soldi. L'Anac sta svolgendo un ruolo importante per il Paese e avrà sempre più poteri anche con il nuovo codice dei contratti — ha sottolineato — Vogliamo essere messi nelle condizioni di avere le professionalità giuste per rispondere alle tantissime richieste che arrivano dal sistema, dalle stazioni appaltanti, dalla pubblica amministrazione»;
   secondo l'Indice di percezione della corruzione (CPI) di Transparency International, presentato a fine gennaio 2016, l'Italia è al 61o posto su 168 Paesi nel mondo per corruzione, con un voto di 44 su 100 e rimane dunque in fondo alla classifica europea, seguita solamente dalla Bulgaria e dietro altri Paesi generalmente considerati molto corrotti come Romania e Grecia, entrambi in 58o posizione con un punteggio di 46;
   secondo Alberto Vannucci, professore di scienza politica a Pisa etra i massimi esperti in Italia sul tema, il fatto che la corruzione costi al nostro Paese 60 miliardi di euro, così come riportato da diverse fonti, sia in realtà una stima «sballata», ma al ribasso, poiché, ad esempio, prendendo per buoni i calcoli della Corte dei Conti secondo i quali la corruzione genera il 40 per cento di spesa in più nei contratti per opere, forniture e servizi pubblici dello Stato, il costo della corruzione raggiungerebbe una cifra superiore ai 100 miliardi di euro l'anno –:
   se il Governo sia al corrente delle difficoltà messe in luce dal commissario Cantone per il funzionamento ottimale di un'autorità come l'Anac della quale l'Italia ha assoluto bisogno, come sottolineato in premessa, e quale sia, per quanto di competenza, il suo orientamento in merito;
   se il Governo non intenda rispondere al più presto e positivamente, per quanto di competenza, alle richieste del commissario Cantone, affinché l'Anac possa proseguire con la sua preziosa attività di lotta alla corruzione nel migliore dei modi possibili, in considerazione del fatto che, come chiarito dal commissario stesso, la spesa necessaria non graverebbe sul bilancio pubblico. (4-12453)


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI, ZACCAGNINI e MARTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva comunitaria 2006/123/CE cosiddetta direttiva Bolkestein) è stata emanata per «eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all'effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato»;
   nel 2008 la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione a carico dell'Italia in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime, in quanto il rinnovo automatico delle concessioni, previsto dall'Italia, è in contrasto con la richiamata direttiva comunitaria, che prevede invece l'assegnazione del demanio pubblico mediante gara («qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento». In tali casi «l'autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami», articolo 12 direttiva 2006/123/CE);
   in particolare veniva contestata all'Italia «la compatibilità del diritto preferenziale di insistenza di cui all'articolo 37 cod. nav. con i principi di cui all'articolo 43 Trattato Ce e dell'articolo 12 di cui alla direttiva servizi n. 2006/123/CE» e la «compatibilità del rinnovo automatico della concessione alla scadenza sessennale di cui all'articolo 1, comma 2, decreto-legge n. 400/1993, conv. legge 494/1994, e successivamente modificato dall'articolo 10 legge 88/2001»; aspetti, secondo la Commissione europea in contrasto con i principi di libertà di stabilimento delle imprese comunitarie (articolo 43 del Trattato CE) e di imparzialità, trasparenza e pubblicità delle procedure di selezione dei concessionari (articolo 12, della direttiva 2006/123/CE);
   la procedura veniva chiusa in data 27 febbraio 2012, a seguito dell'adozione della legge 15 dicembre 2011, n. 217 («Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010»), con la quale veniva esclusa la possibilità di rinnovo automatico delle concessioni, fatta salva la loro proroga sino al 2015 e delegato il Governo a redigere la nuova disciplina sulle concessioni demaniali marittime, stabilendo i nuovi limiti di durata delle concessioni in maniera proporzionata all'interesse pubblico e all'entità degli investimenti, fissando i criteri per le assegnazioni delle gare che le regioni sono tenute a rispettare;
   l'articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 79 del 2012, novellando l'articolo 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009, ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015;
   la Corte di giustizia europea è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale relativa alla legge italiana sollevata dai Tar Sardegna e Lombardia, investiti a loro volta da alcuni gestori di attività in aree demaniali marittime, in Sardegna e in Lombardia (cosiddetta causa Promoimpresa), della decisione sui rilasci e rinnovi delle concessioni in base al decreto-legge n. 179/2012;
   i Tar hanno chiesto alla Corte di giustizia dell'Unione europea di verificare la compatibilità della norma ultima richiamata con il diritto comunitario, esprimendo dubbi sull'automatismo della proroga;
   l'Avvocato generale della Corte di giustizia dell'Unione europea Maciej Szpunar, nel febbraio 2016, si è espresso con un parere (non vincolante per la Corte dell'Unione europea) che ritiene fondati i dubbi espressi dai Tar, concludendo che «la direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato Ue, impedisce alla normativa nazionale di prorogare in modo automatico la data di scadenza delle concessioni per lo sfruttamento economico del demanio pubblico marittimo e lacustre»;
   se la pronuncia finale della Corte di giustizia europea dovesse confermare tali posizioni, molte imprese balneari italiane si troverebbero in una situazione di estrema difficoltà, avendo continuato ad investire sui propri stabilimenti, contando sulla stabilità offerta dalla proroga concessa con il decreto-legge n. 179 del 2012. Inoltre, è da considerarsi che gli stabilimenti balneari sono generalmente imprese economiche di tipo familiare, che rappresentano tuttavia realtà fondamentali del sistema turistico italiano. Il pieno riconoscimento dell'applicazione della «direttiva Bolkestein» a tale settore rischia di determinare un arretramento del sistema di offerta turistica Made in Italy, con l'apertura ad attori economici comunitari anche di natura multinazionale, snaturando un comparto economico che richiederebbe invece particolare attenzione alle specificità di ogni singolo Paese, oltre a determinare una situazione di estrema criticità per la prossima stagione estiva –:
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare il Governo per affrontare la vicenda illustrata in premessa, e tutelare il comparto economico turistico-balneare italiano. (4-12454)


   VILLAROSA, D'UVA, VIGNAROLI, RIZZO, DI BENEDETTO, CANCELLERI, LUPO, NUTI, DI VITA, GRILLO, DE ROSA, BUSTO, TERZONI, DE LORENZIS, DI BATTISTA, PESCO e ALBERTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il settimanale siciliano di politica «Centonove», nel mese di febbraio 2016 pubblica un interessante articolo su un presunto buco di 46 milioni di euro riguardante i fondi riscossi dal 2003 al 2014 per la sicurezza e la gestione trentennale post mortem della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea; lo stesso articolo indica che, in una nota inviata all'inizio del mese di febbraio, da parte del sindacato che segue la vicenda del licenziamento di 16 dipendenti (su un totale di 30) della Tirrenoambiente s.p.a., viene evidenziata la mancata presentazione del piano industriale e la mancata indicazione delle somme incassate negli anni per la gestione post mortem della discarica. I comuni soci del servizio, nel corso degli anni, hanno infatti pagato 7,05 euro per ogni tonnellata conferita in discarica riuscendo ad accumulare ben 18 milioni di euro per la sicurezza e 27 milioni di euro per la gestione post mortem. La perplessità del sindacato, riportata nell'articolo del settimanale Centonove, corrisponde esattamente con la perplessità degli interroganti, in quanto il bilancio 2014 non risulta ancora approvato e la società lamenta mancanza di liquidità;
   già ad aprile 2015 l'inchiesta del settimanale «Centonove» sulla parentopoli di Tirrenoambiente riportata anche dalla testata online Stampalibera in data 24 aprile 2015; evidenziava la presenza di strani intrecci e di stranissime promozioni che raggiungono l'acme con il conferimento dell'incarico di dirigente a Roberto Carenzo che, come si legge, possiede il titolo di studio della licenza media;
   sconcertante, a parere degli interroganti, il fatto che l'attuale custode giudiziario della discarica di Mazzarrà sia proprio il «titolato» Roberto Carenzo, del quale gli interroganti evidenziano la carenza culturale, ma forse, rappresenta la minore delle caratteristiche, in quanto, lo stesso Carenzo dopo aver ricevuto in «dono» la promozione a dirigente autorizzò l'anomalo abbancamento del materiale come si può leggere nell'articolo del settimanale Centonove in precedenza menzionato;
   la Tirrenoambiente S.p.a. è una società per azioni a partecipazione pubblica locale, con capitale misto pubblico-privato. Il 51 per cento delle azioni è detenuto da 10 comuni, ma nei fatti appartiene quasi totalmente al comune di Mazzarrà che detiene oltre il 45 per cento delle quote totali, mentre dei restanti comuni soci solo uno dei comuni supera lo 0,5 per cento della partecipazione azionaria. L'azionariato privato appartiene a Ederambiente (21 per cento), Ge.Se.Nu (10 per cento), Secit (10 per cento), A2A (3 per cento) più altri azionisti minori;
   un articolo della Gazzetta del Sud del 23 febbraio 2016, riporta la notizia che nella discarica di Mazzarrà è stato costruito un nuovo modulo privo di autorizzazioni inerenti i lavori di sbancamento ricadenti in gran parte nella fascia di rispetto di 150 metri dal torrente Mazzarrà e che «in tale modulo venivano collocati illecitamente oltre un milione di metri cubi di rifiuti [...]. Dalle prime consulenze tecniche redatte dal consulente della Procura, è stato accertato un notevole inquinamento delle acque sotterranee alla discarica ed il concreto rischio di fenomeni gravitativi o franosi, poiché questo nuovo modulo è carente di adeguati presidi di contenimento»;
   il 13 febbraio 2016, fonti di stampa riportano la notizia che il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Vercelli ha contestato «costi da reato» per oltre 4 milioni di euro alla Osmo S.p.a. in quanto ha ottenuto, con affidamento diretto, smaltimento dei liquami di percolato prodotti nella discarica di Mazzarrà;
   l'8 settembre 2015 con l'operazione «Riciclo» vengono arrestati i vertici di Tirrenoambiente S.p.a. ed il sindaco di Mazzarrà Salvatore Bucolo; della vicenda se ne occupa anche la testata giornalistica Dagospia che pubblica il seguente articolo: «Secondo quanto emerso dall'indagine dei finanzieri, il sindaco avrebbe intascato una tangente di 33 mila euro raggirando l'anziano parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie, spinto a chiedere alla Tirrenoambiente contributi per feste patronali che lo stesso Bucolo poi provvedeva ad incassare personalmente. La discarica di Mazzarrà è ritenuta al centro del business dei rifiuti gestito da Cosa nostra messinese. Nel processo sulle ecomafie denominato «Vivaio», poco più di un anno fa, la Corte d'assise d'appello di Messina ha condannato Sebastiano Giambò, l'ex amministratore della Tirrenoambiente a 8 anni per concorso in mafia. E nella scorsa primavera un'altra indagine ha portato all'arresto di 22 persone, tra cui Angelo Bucolo, il fratello del sindaco, considerato il «grimaldello» della mafia per incassare il pizzo dai titolari dell'impianto. Ora l'inchiesta «Riciclo» della Guardia di finanza, coordinata dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), ha scandagliato i rapporti tra la società che gestisce la discarica ed il comune di Mazzarrà. Gli investigatori si sono concentrati sulle modalità di riscossione della «tariffa per opere di mitigazione ambientale», pagata dai comuni conferitori dei rifiuti alla Tirrenoambiente che avrebbe dovuto girare la somma all'ente pubblico che ospita l'impianto, in questo caso proprio l'amministrazione di Bucolo. Secondo i finanzieri, però, Piccioni, Antonioli e Innocenti avrebbero omesso di versare le somme dovute, facendo lievitare il debito fino a quasi 3 milioni di euro, di cui circa 1 milione e 500 mila oggetto di un'indebita transazione stipulata proprio con il Comune di Mazzarrà. Ma non solo. Dagli accertamenti è emerso anche che nel marzo 2007 la Tirrenoambiente avrebbe illegittimamente ridotto la tariffa dell'eco-indennizzo, quasi dimezzandola sino al novembre 2014, provocando al comune un danno di oltre 12 milioni e mezzo di euro. Le indagini hanno portato a galla anche un giro di sponsorizzazioni ad associazioni sportive con l'obiettivo di ottenere la connivenza di soggetti che avrebbero dovuto vigilare sulla gestione della Tirrenoambiente. Tra questi il finanziamento di 750 mila euro a una società sportiva di Borgo Vercelli in Piemonte, di cui Innocenti è stato rappresentante legale. Quasi 3 milioni e 500 mila euro infine il totale delle somme sequestrate agli arrestati e ad un quinto soggetto, un altro amministratore della Tirrenoambiente, anche lui indagato per peculato e corruzione»;
   riguardo la particolare sensibilità della Tirrenoambiente nei confronti dello sport, del sociale e degli enti morali, effettivamente, negli anni si sono verificati comportamenti per gli interroganti a dir poco bizzarri. Oltre ai 750 mila euro «donati» a una società sportiva Di Borgo Vercelli, la Tirrenoambiente S.p.a., la società ha «donato» come si può evincere dalla relazione ai cittadini di Mazzarrà S. Andrea datata 16 settembre 2013, a firma del presidente della Tirreno Ambiente Spa, signor Crisafulli Antonello:
    1.437.000 euro alla ASD Mazzarà (si rileva al proposito che il Mazzarrà calcio non è mai arrivato a disputare un campionato oltre la categoria «eccellenza» e quella somma è sufficiente per disputare per gli interroganti circa 30 stagioni);
    63.000 euro alla parrocchia Santa Maria delle grazie,
    90.900 euro per la festa del santo patrono,
    32.300 euro per la festa di Sant'Andrea,
    51.000 euro per la compagnia teatrale «I Sautafossa»,
    12.000 euro destinate all'acquisto di piante di agrumi poi donate al Vaticano;
   da una ricerca sugli atti di sindacato ispettivo della XVI legislatura risultano 4 interrogazioni, tutte senza risposta sul tema presentate da parlamentari dell'Italia dei valori;
   l'interrogazione n. 4-00402 del 2003 riporta quanto segue: «un'inchiesta del settimanale l'Espresso e di altri quotidiani quali Repubblica, Centonove ed altri, ha messo in evidenza come il percolato, il liquido che trae prevalentemente origine dall'infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi, sia sparso deliberatamente nei corsi d'acqua e lungo le strade. Dall'inchiesta, partita dalla Procura di Napoli, si evince come i camion non perdessero liquido per errore o fatalità, ma lo scaricassero appositamente nei corsi d'acqua, nelle fogne, o addirittura lungo le strade, nei campi, penetrando nel terreno e nelle acque. Lo smaltimento del percolato infatti necessita di una serie di operazioni di captazione e di trattamento da effettuarsi presso la stessa discarica, o il trasporto presso altri impianti adibiti ad hoc. Anche nella discarica di Mazzarrà Sant'Andrea – Messina, accade quanto già registrato a Napoli, dalla magistratura, lungo la strada che porta dalla discarica alla Strada Statale 113 Messina-Pale o invero, i camion che dovrebbero trasportare parte del percolato dichiarato in siti adibiti allo smaltimento, lo disperdono sul territorio, va infatti tenuto in conto che il terreno su cui sorge la discarica di Mazzarrà Sant'Andrea è a base sabbiosa. In tali casi la legge prescriverebbe il rivestimento del terreno con speciali guaine o sacche di raccolta al fine di evitare la dispersione del percolato nel suolo sottostante, dato il surplus di rifiuti che occupano attualmente la discarica in questione, pari a circa un milione di metri cubi, a fronte di una capienza massima prevista di quattrocentomila metri cubi, le sacche utilizzate non riescono però a far fronte alla eccessiva quantità di percolato formatasi nel tempo, il risultato è dunque la dispersione del percolato presente nel sito nell'ambiente circostante, attraverso l'infiltrazione nel suolo e, conseguentemente, nelle falde acquifere»;
   l'interrogazione n. 4-09631 del 2010 riporta quanto segue: già con precedenti atti di sindacato ispettivo era stata richiamata l'attenzione delle istituzioni sulle problematiche collegate all'inquinamento atmosferico della zona di Pace Del Mela e su quelle legate alla discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, rilevando tra l'altro che la suddetta discarica sorgeva su un terreno a base sabbiosa, ed ancor peggio, si sospettava che la «SMEB-Cantieri Navale» di Messina avesse smaltito i propri scarti, altamente tossici, presso la stessa discarica. Non si vuole destare alcun alla e sociale, ma focalizzare una particolare attenzione sulla tutela della salute dei cittadini. La discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, a stretto confine con il comune di Furnari, altro non è, ad avviso dell'interrogante, che una «bomba» ecologica per la salute delle comunità interessate, ulteriormente amplificata dall'ampliamento disposto dalle autorità competenti. Oltre all'inquinamento ambientale, desta grave e particolare preoccupazione la connivenza tra discarica e ambiente malavitoso scaturente dagli ingenti interessi economici che ruotano intorno ad essa. Si vorrebbe capire meglio quali interessi si celano di fatto dentro la discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, visto che si è sciolto un consiglio comunale, quello del comune di Furnari, ed è stato arrestato un ex sindaco, Salvatore Lopes, la cui notizia stupisce perché lo stesso, in passato, si era contraddistinto con numerose denunce alle varie istituzioni competenti e per le numerose proteste contro la discarica, il suo ampliamento e le sue emissioni nell'atmosfera, che inquinano i comuni di Terme Vigliatore, Rodi Milici, Mazzarrà Sant'Andrea, Furnari, tutta la provincia di Messina e zone limitrofe. Tra le proteste, le più eclatanti hanno riguardato il blocco dei mezzi dinnanzi alla discarica e lo sciopero della fame, effettuato per ostacolare l'ampliamento della stessa;
   l'interrogazione n. 4-11731 del 2011 riporta, tra le altre cose, quanto segue : il settimanale Centonove, edito a Messina, nel n. 12 del 25 marzo e nel n. 13 del 1o aprile 2011, usciva in prima pagina rispettivamente con i seguenti titoli: «Pattumiera Sicilia» e «Rifiuti Pericolosi». Secondo il settimanale, più di cinquecento tonnellate di rifiuti vengono trasportate giornalmente in Sicilia e conferite, all'insaputa dei cittadini e senza alcun controllo a tutela della salute e della legge, nella discarica di Mazzarrà Sant'Andrea (Messina), comune recentemente noto per la scoperta del più grande cimitero di mafia in Sicilia e attiguo ai comuni di Terme e Vigliatore e di Furnari, i cui organi amministrativi sono stati sciolti per condizionamenti della criminalità organizzata, il primo dal mese di gennaio 2006 al giugno 2008, il secondo tutt'oggi retto da una commissione straordinaria. Il trasferimento dei rifiuti cosiddetti speciali nasce da un accordo tra Tirrenoambiente, gestore della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea e la società pubblica Sap. Na. Spa. Ogni giorno, più di cento articolati della ditta fratelli Adiletta di Nocera Inferiore sono diretti in Sicilia provenienti dagli stabilimenti di tritovagliatura ed imballaggio rifiuti (Stir) di Gugliano e di Tufino (Napoli). I rifiuti solidi urbani, com’è noto, per poter essere trasferiti in altre regioni devono essere classificati come «speciali», cioè resi biostabilizzati. Per stessa ammissione di esponenti del governo regionale, la Sicilia ha una tale carenza di discariche da non escludere la necessità di trasportare i rifiuti fuori dalla regione. per l'emergenza rifiuti, la regione Sicilia è stata dotata di un commissario straordinario nella persona del governatore regionale, Raffaele Lombardo. Gli stessi identici rifiuti sono stati mandati indietro dalla regione Puglia a seguito dei rilievi dell'A.R.P.A. che, a dispetto del codice tranquillizzante (19.12.12), con cui i rifiuti erano classificati, li ha ritenuti chimicamente «non esportabili in altre regioni». La Spagna sembra abbia rinunciato all'affare «per la difficoltà di sapere con certezza cosa contengono i rifiuti che escono dagli impianti di tritovagliatura». Le amministrazioni locali e le associazioni culturali ed ambientaliste del comprensorio hanno sempre contestato l'ubicazione della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, posta al confine dell'omonimo torrente e non molto distante da altri comuni: Tripi, Novara di Sicilia, Rodi Mitici, Furnari, Te e Vigliatore. Sulla discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, la commissione Pecorella si pronuncia in questi termini: «negli ultimi due anni uno degli affari più importanti dal punto di vista del settore della gestione e dello smaltimento dei rifiuti, è stato quello della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea, discarica che per una serie di ragioni è stata deputata a servire le esigenze di smaltimento rifiuti della maggior parte dei Comuni della Provincia di Messina. Proprio con riferimento alla discarica di Mazzarrà sarebbe emersa una sorta di gestione non ufficiale da parte della mafia barcellonese»;
   l'interrogazione n. 4-18604 del 2012 tra le altre cose riporta quanto segue: «Persino il libro-inchiesta “La collina della munnizza” di Carmelo Catania (pubblicato nel 2012 da Nicola Calabria editore) – in cui si traccia un quadro piuttosto esauriente sul grado di penetrazione mafiosa nella gestione della discarica comprensoriale dei rifiuti nel vicino comune di Mazzarrà Sant'Andrea (sulla discarica 0-1 Mazzarà la commissione Pecorella si è pronunciata in questi termini: “negli ultimi anni, uno degli affari più importanti dal punto di vista del settore della gestione e dello smaltimento dei rifiuti, è stato quello della discarica di Mazzarà Sant'Andrea, discarica che per una serie di ragioni è stata deputata a servire le esigenze di smaltimento rifiuti della maggior parte dei comuni della provincia di Messina. Proprio con riferimento alla discarica di Mazzarrà sarebbe emersa una sorta di gestione non ufficiale da parte della mafia barcellonese”) – nel ripercorrere le tappe dell'inchiesta denominata “Vivaio” sulla cosca mafiosa del comprensorio, svela quanto accaduto nei giorni della campagna elettorale presso il comune di Falcone e, attraverso le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Santo Cullo, evidenzia il ruolo di primo piano assunto dal Salvatore Calcò Labruzzo nella organizzazione malavitosa: “Dopo Bisognano, al processo ‘Vivaio‘ fa la comparsa un altro pentito. Santo Cullo, che venne sentito a cominciare dall'udienza del 17 ottobre 2011. La collaborazione di Santo Cullo, 47 anni, insospettabile meccanico di Falcone, ha avuto inizio il 4 aprile 2011 (ovvero a meno di due mesi dal voto) e per tutto il mese di aprile sarebbe andata avanti così: Gullo il giorno prima incontrava il pastore Salvatore Calcò Labruzzo, 59 anni, che curava – in assenza dei capi cosca – i collegamenti tra i vari componenti della famiglia. All'indomani di ogni incontro con il Calcò, Gullo riferiva ai carabinieri del Ros che annotavano e predisponevano le indagini i cui effetti non sono ancora noti. Il pentito raccontava, ad esempio, della raccolta delle tangenti provenienti dalla discarica di Mazzarrà e della suddivisione che ne faceva Salvatore Calcò Labruzzo tra tutti i componenti della cosca a piede libero e tra quanti, boss e gregari, erano in carcere”»;
   ad agosto 2012, molti giornali locali, tra i quali la testata online tempostretto, riportano la notizia inerente «lo strano caso del Consiglio comunale del comune di Mazzarrà Sant'Andra». I consiglieri comunali di maggioranza, infatti, si sono dimessi in massa pochi mesi dopo l'avvenuta elezione per «consentire un'efficace azione della Giunta», avendo come conseguenza la nomina di un commissario in sostituzione dell'organo consiglio comunale, una sorta di autoscioglimento del consiglio comunale così come avviene, di solito, su disposizione del Governo, per fatti che fanno concretamente sospettare un'elevata contaminazione mafiosa;
   il 21 febbraio 2013, sempre la stessa testata ordine tempostretto riporta la notizia delle dimissioni del Commissario Straordinario Vincenzo Lauro, e l'imminente nomina, da parte del Governatore della regione Siciliana, di un nuovo commissario che permetterà al sindaco di «amministrare in serena libertà», come si può leggere testualmente sulle pagine di tempostretto.it;
   la discarica di Mazzarrà Sant'Andrea è situata all'estrema periferia del comune di Mazzarrà, ma molto vicino al centro abitato di un altro comune, Furnari. L'attuale sindaco di Furnari da tempo denuncia la pericolosità del sito, tanto che la stessa discarica è stata chiusa per ordine della magistratura anche a causa del materiale abbancato oltre ogni limite tanto da raggiungere l'altezza di un palazzo di trenta piani, con un conseguente serio rischio di collasso imminente. Oltre questo è stato più volte denunciato, in varie forme, il rischio di inquinamento della falda acquifera a causa della pessima, se non inesistente, gestione del percolato prodotto dal sito;
   il 13 ottobre 2015 finalmente con decreto del Presidente della Repubblica avviene la nomina della commissione straordinaria per la provvisoria gestione del comune di Mazzarrà Sant'Andrea, a norma dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e solo dopo che sindaco, allora in carica, Salvatore Bucolo, ha rassegnato le dimissioni con nota acquisita al protocollo dell'ente in data 17 settembre 2015, dimissioni avvenute solo dopo che in data 8 settembre 2015 è stata disposta un'ordinanza di custodia cautelare in carcere dell'allora sindaco in carica Bucolo. Il decreto del Presidente della Repubblica in questione contiene alcune parti della relazione d'indagine e alcuni fatti illustrati in questo atto di Sindacato ispettivo che, a parere degli interroganti, dimostrerebbero che questa parte di territorio Italiano sia stata per lungo tempo totalmente abbandonata dallo stato e, contestualmente, e probabilmente scarsamente monitorata dagli organi preposti al controllo ed alla persecuzione di eventuali reati più o meno evidenti;
   a solo titolo informativo e come probabile/possibile dimostrazione di quella che appare agli interroganti una «sincronicità junghiana» (principio di nessi acausali) va riportato che a capo della prefettura di Messina, dal 2007 al 2012, c’è stato il dottor Alecci, protagonista e destinatario, in passato, di uno dei rarissimi casi di provvedimento di arresto nei confronti di un prefetto in carica;
   sempre senza alcun apparente nesso di causalità corre l'obbligo di riportare che in quegli anni, a Barcellona Pozzo di Gotto operava in qualità magistrato il dottor Olindo Canali divenuto, in seguito, protagonista di burrascose e bizzarre vicende giudiziarie. Stessa sorte, forse ancora più sfortunata, ha travolto l'ormai ex Procuratore Generale di Messina, che ha subito una condanna penale per altre vicende giudiziarie;
   la gravità della situazione è testimoniata anche da filmati e documentazione varia che dovrebbe essere già dalla fine del 2015 nella disponibilità della autorità giudiziaria –:
   se il Governo sia a conoscenza di tutti i fatti e di tutti gli atti esposti in premessa;
   se il Governo nell'ambito delle sue competenze, intenda prendere in considerazione l'eventualità di adottare iniziative straordinarie, anche per il tramite della commissione straordinaria per la provvisoria gestione del comune di Mazzarà Sant'Andrea in relazione alla discarica citata a causa dell'elevato grado di pericolosità del sito;
   se, nell'ambito delle competenze, intenda, avviare una seria ed approfondita verifica, per quanto di competenza, sui fatti accaduti nel corso degli anni e sull'attività delle autorità che dovevano rappresentare lo Stato in questa porzione d'Italia definita, da altri e forse anche a ragione, la «Corleone del ventunesimo secolo». (4-12466)


   BRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da notizia di stampa pubblicata su Il Fatto Quotidiano.it in data 1o marzo 2016 si apprende della prima delle tre giornate di sciopero nazionale, tenutasi il 2 marzo 2016, organizzata dai rappresentati dei lavoratori del gruppo Caltagirone Editore e dai lavoratori poligrafici stessi con lo scopo di contestare lo spacchettamento e le cessioni di alcuni rami d'azienda attuate dal gruppo;
   come riportato nella nota del 29 febbraio 2016 rilasciata congiuntamente dalle sigle sindacali di categoria Sindacato lavoratori della comunicazione — CGIL, Federazione informazione spettacolo e telecomunicazioni — CISL, Unione italiana lavoratori della comunicazione — UIL, il 23 febbraio 2016 Francesco Gaetano Caltagirone e Azzurra Caltagirone (vicepresidente della Fieg) hanno comunicato lo spacchettamento delle attività produttive delle testate dei quotidiani « Il Messaggero» di Roma, « Il Mattino» di Napoli e « Il Gazzettino» di Venezia; 
   sia nella nota sindacale, che nella fonte stampa sopracitata, si riporta che, procedendo con il trasferimento di determinati rami d'azienda, «Francesco Gaetano Caltagirone e Azzurra Caltagirone [...] destrutturano il CCNL dei lavoratori poligrafici, dopo avere intascato gli ultimi provvedimenti previsti dalla Legge di Stabilità per il settore dell'Editoria»;
   a detta delle segreterie nazionali e del coordinamento nazionale delle rappresentanze sindacali unitarie del Gruppo Caltagirone, la procedura attuata in data 23 dicembre 2015 dal gruppo e che ha portato alla costituzione di «Servizi Italia 15 S.r.l.», «Stampa Napoli 2015 S.r.l.» e «Stampa Roma 2015 S.r.l.», società beneficiarie destinate ad acquisire i rami d'azienda delle testate dei quotidiani sopracitati, avrebbe come scopo alcuni interventi finanziari e sarebbe stata sviluppata venendo meno a ogni regola contrattuale sottoscritta, attraverso licenziamenti individuali senza giustificato motivo e spostamenti forzosi di lavoratori da un'attività all'altra;
   nell'articolo sopracitato il segretario nazionale della UILCOM, Roberto Di Francesco, sostiene che tale operazione ha già comportato «il licenziamento di 3 dipendenti a Napoli, 1 a Venezia e ben 77 appaltati con altro contratto», ovvero lavoratori e lavoratrici appaltati in una società esterna ai quali sarà applicato il CCNL terziario, distribuzioni e servizi, contratto di lavoro che li priverebbe delle tutele e dei diritti di cui godono attualmente in base al contratto poligrafico;
   il trasferimento di determinati rami d'azienda a favore delle società beneficiarie sarà effettivo a partire dal 1o aprile 2016. Nel frattempo il coordinamento dei rappresentati dei lavoratori del gruppo Caltagirone ha proclamato lo stato di agitazione in tutte le testate del gruppo, ovvero « Il Messaggero», « Il Mattino», « Il Gazzettino» e il « Corriere Adriatico», ha indetto tre giornate di sciopero nazionale e ha richiesto un confronto nazionale di tutto il settore poligrafico in data 14 marzo 2016, nonché il ritiro dei licenziamenti e delle cessioni di ramo d'azienda;
   nel comunicato inviato dagli organi dirigenziali alle rappresentanze sindacali unitarie di categoria si legge che «la scissione parziale delle Società “Il Messaggero S.p.A”, “Il Mattino S.p.A” e “Il Gazzettino S.p.A” (“Società Scindente”), nella società “Servizi Italia 15 s.r.l.” (“Società Beneficiaria”) si inserisce in un programma di riorganizzazione generale finalizzato a semplificare le strutture organizzative con lo scopo di massimizzare sia le sinergie aziendali sia l'equilibrio economico complessivo delle società coinvolte dalla presente operazione, ciò anche in considerazione della grave crisi che ha interessato il settore e che ha comportato pesanti perdite negli ultimi 5 anni»;
   in effetti, per ben tre volte negli ultimi anni è stato dichiarato lo stato di crisi per il gruppo Caltagirone Editore. Da notizia di stampa pubblicata su Il Fatto Quotidiano.it in data 2 aprile 2014 è riportata una nota del comitato di redazione de « Il Messaggero» relativa allo stato di crisi annunciato nel maggio 2012: «questo stato di crisi, il secondo in pochi anni, ha permesso all'azienda di ridurre sensibilmente i propri costi con l'uscita di 25 colleghi (dopo i quasi cinquanta usciti con il precedente). Altri risparmi di spesa sono stati ottenuti con sacrifici a carico dei giornalisti e dei poligrafici». Difatti, negli scorsi anni i giornalisti e poligrafici del gruppo Caltagirone hanno accettato di ricorrere agli ammortizzatori sociali previsti dalla legge 416 del 1981, quali prepensionamenti e cassa integrazione, come anche alla stipula di contratti di solidarietà, al fine di impedire il licenziamento collettivo del personale, soluzione proposta dall'editore Caltagirone;
   in un altro articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano.it in data 23 agosto 2014 e relativo ai 25 milioni di euro stanziati nel 2014 dal Governo Renzi per i prepensionamenti come fondo a sostegno dell'editoria, si riporta infatti che «anche per il Messaggero è stato scelto l'ammortizzatore sociale dei prepensionamenti (circa 36) dopo che il quotidiano della capitale ha aperto il primo stato di crisi nel 2009 per un anno e mezzo e il secondo nel 2012 fino agli inizi dello scorso maggio. Comunque a favore dell'imprenditore romano si è dichiarato persino il sottosegretario all'editoria Luca Lotti, dicendosi “convinto che anche il Messaggero accederà ai fondi” nonostante sia il terzo stato di crisi in pochi anni presentato dalla casa editrice del giornale»;
   tenendo perciò conto dei risparmi di spesa ottenuti negli scorsi anni dal gruppo attraverso l'attuazione di contratti sociali per i dipendenti, della cassa integrazione, e grazie finanziamenti statali a sostegno dell'editoria per ricorrere ai prepensionamenti, sarebbe utile comprendere le ragioni che hanno comunque portato al trasferimento di determinati rami d'azienda del gruppo Caltagirone a favore di società beneficiarie pur rischiando di danneggiare i propri dipendenti –:
   se il Governo intenda verificare, per quanto di competenza, i fatti esposti in premessa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di verificare se e in quale forma il gruppo Caltagirone Editore abbia beneficiato di finanziamenti diretti o indiretti all'editoria, ovvero dei finanziamenti previsti sia dalla legge 5 agosto 1981, n. 416, «Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria», articolo 28 «Tariffe telefoniche, telegrafiche, postali e dei trasporti», sia dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 settembre 2014 recante l'istituzione del fondo straordinario per interventi di sostegno all'editoria per il triennio 2014-2016; in particolare, se il medesimo gruppo abbia usufruito di quelle misure di sostegno ai programmi di ristrutturazione aziendale che prevedo o una revisione dell'organico con il ricorso ai prepensionamenti e al parziale finanziamento degli ammortizzatori sociali;
   se il Governo intenda appurare, per quanto di competenza, se il gruppo abbia utilizzato correttamente i finanziamenti statali di cui avrebbe beneficiato, destinandoli ad esempio alla ristrutturazione aziendale al fine di evitare il licenziamento di personale;
   se intenda monitorare la procedura di trasferimento dei rami d'azienda del gruppo Caltagirone in riferimento alla conformità alla normativa vigente dei licenziamenti individuali causati da tale operazione e del dislocamento dei dipendenti che dal 1o aprile 2016 saranno appaltati in una delle società esterne beneficianti, affinché ne siano tutelati i diritti. (4-12471)


   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Infiltrato.it in data 3 febbraio 2013, pubblica «IL CASO/Il calvario del professor Emmanuel Zagbla, da 30 anni sposato in Italia, cittadino non riconosciuto»;
   come si legge nell'articolo «all'uomo, di origini ivoriane, da trenta anni in Italia e sposato con un'italiana, non solo non è mai stata riconosciuta la cittadinanza ma ha dovuto subire una serie di terribili ingiustizie. La prima è la mancata discussione della tesi di dottorato di ricerca nei 1995; poi la proclamazione a dottore – tra il 2001 e il 2002 – senza ricevere un centesimo per il lavoro svolto. Nel 2007 l'Università di Padova tenta di farlo ricoverare al Reparto di Psichiatria patavino. (...) Ecco l'assurda storia di razzismo e menefreghismo di cui è vittima il Professor Il signor Zagbla, simbolo di una generazione di migranti i cui diritti in Italia non vengono ancora riconosciuti, dopo anni spesi a sudare per il Belpaese»;
   il dottor Zagbla, cittadino della Costa D'Avorio, è in Italia dal 1981 e dopo trent'anni di residenza legale, nonostante abbia moglie e figlia italiane, non ha ancora ottenuto la cittadinanza italiana; e come dichiara «Per un motivo assurdo quanto incredibile. Non si può chiedere infatti, stando alla legge, la cittadinanza italiana per motivi di carriera»;
   si laurea in scienze politiche il 27 novembre 1990 presso l'università di Padova. Subito dopo ha partecipato al concorso per il dottorato di ricerca in relazioni internazionali; nel 1992 gli viene assegnato come tutor il dottor Antonio Papisca, il quale però si rifiuta di riceverlo. Da qui sono iniziate le segnalazioni al preside della facoltà di scienze politiche Giuseppe Zaccaria ma la situazione non cambia: il tutor continua a rifiutarsi di riceverlo, mentre il signor Zagbla continua a seguire le lezioni; e tre anni più tardi, nel 1995, presenta una tesi di dottorato dal titolo «Le implicazioni delle politica internazionale nei processi migratori in Africa»;
   quando il signor Zagbla chiede al tutor di esprimersi sulla qualità del suo lavoro, ottiene la risposta: «Lo saprà il 4 dicembre», cioè il giorno stesso della discussione; e in quella data, seduto di fronte alla commissione conosce il verdetto: «Lei non passa perché il titolo non coincide con il contenuto»; e viene quindi bocciato;
   nello stesso anno, qualche mese prima della discussione della tesi, il signor Zagbla si iscrive regolarmente al bando di concorso post dottorato, con alcuni posti riservati a cittadini stranieri; ovviamente essendo stato bocciato «a sorpresa» all'esame non ha potuto partecipare, perdendo la possibilità di lavorare come ricercatore;
   un mese prima della discussione, il Mattino di Padova pubblica un articolo dal titolo: «Un Africano a un passo dalla docenza universitaria in città»;
   il 5 luglio del 2001, il signor Zagbla ha avuto la possibilità di superare l'esame e di diventare dottore di ricerca in relazione internazionali;
   come si legge nell'articolo di Infiltrato.it l'allora rettore promise al signor Zagbla una ricompensa per il danno subito a seguito dell'ingiusta bocciatura e per la conseguente perdita di opportunità di lavoro come ricercatore; il giorno della vigilia della proclamazione ufficiale infatti il rettore lo invita nel suo ufficio, dove il signor Zagbla si presenta accompagnato da un amico italiano; il rettore invita il signor Zagbla a prendere contatti con un certo professore che si occupa di cooperazione allo sviluppo perché potrebbe offrire una opportunità lavorativa, e per quanto riguarda «il danno subito» lo tranquillizza dicendo che «avrebbe pensato ad una soluzione»; a proclamazione avvenuta il signor Zagbla fa visita al professore di cooperazione allo sviluppo, il quale reagisce stupito, non avendo avuto alcuna notizia del suo caso dal rettore;
   così commenta Infiltrato.it «Perché allora il Rettore promise e non mantenne? Semplicemente per cautelarsi da un'eventuale reazione negativa da parte di Emmanuel durante la cerimonia davanti alle autorità cittadine e alla stampa. Il giorno successivo infatti era come se non fosse accaduto nulla»;
   successivamente il signor Zagbla avrebbe tentato più volte di avvicinare il rettore per chiedere spiegazioni, ma non riuscirà mai più ad incontrarlo;
   nel mese di agosto 2004 il signor Zagbla si reca in Costa d'Avorio in occasione di una conferenza nella quale dovrà parlare della diaspora ad Abidjan. È allora che un collega ivoriano del signor Zagbla cerca i documenti che attestano il titolo di dottore di ricerca a Padova, non trovandoli; cioè il dottorato ottenuto dopo tanti sacrifici, per più di tre anni, vale a dire dal 5 luglio 2001 fino al 15 settembre 2004, è rimasto in qualche cassetto, fuori dell'archivio elettronico ufficiale del sito dell'università di Padova dove erano invece presenti tutti gli altri dottorati, con i titoli e gli anni di conseguimento;
   come riportato da Infiltrato.it il signor Zagbla «chiede i verbali della Commissione del 4 dicembre 1995 per scoprire una cosa che lui stesso ha definito “rivoltante”: la Commissione ha scritto che durante la discussione dell'elaborato non sono stato all'altezza; che le argomentazioni sollevate non corrispondevano al tema assegnatomi. Un giudizio totalmente fasullo perché il nostro dottore ivoriano non ebbe nemmeno la possibilità di discutere la sua tesi davanti alla Commissione»;
   il signor Zagbla si reca al commissariato di Padova e sporge denuncia agli autori delle ingiustizie subite; la prima volta lo fa nel 2004, e viene invitato a non proseguire nella stessa;
   uno studente ruandese che aveva assistito a tutte le fasi dell'inadempienza del professore Papisca si sarebbe detto disposto ad aiutarlo al 75 per cento perché aveva problemi con la sua posizione di rifugiato; ma al momento della deposizione in tribunale lo studente ruandese avrebbe dato una versione dei fatti diversa, da quel momento viene archiviata la denuncia nei confronti del professor Papisca;
   nel 2007 succede qualcosa che segnerà in maniera irreversibile la vita del signor Zagbla; come dichiara su Infiltrato.it: «Il 5 marzo 2007 alla vigilia dell'apertura dell'anno accademico, mi presentai al rettorato coi miei diplomi (Laurea in Scienze Politiche, conseguito presso questa università il 27 novembre 1990, Diploma di dottore di ricerca in Relazioni Internazionali). Il mio obiettivo era lo stesso: ottenere la compensazione economica promessa dall'università. Al posto della compensazione, l'Università fece chiamare due ambulanze per portarmi in psichiatria !»;
   il signor Zagbla scrive più volte alla Presidenza della Repubblica; la prima volta nel 1999 quando al vertice c'era Carlo Azeglio Ciampi e poi ancora quando la carica è passata nelle mani di Giorgio Napolitano;
   il signor Zagbla viene convocato dalla questura di Padova per l'acquisizione delle informazioni di rito. Una volta in questura, al Zagbla, venne detto che non si rilevava alcun reato;
   appare quantomeno discutibile, ad avviso degli interroganti, il comportamento della Prefettura di Padova, la quale avrebbe riferito che il signor Zagbla avrebbe avuto modo, in occasione della presenza del Capo dello Stato Padova il 27 marzo 2002, di partecipare alla cerimonia svoltasi nell'ateneo, assieme ad altri neoricercatori, su personale invito del Magnifico rettore;
   si dà il caso che il signor Zagbla non avrebbe mai ricevuto l'invito cui fa riferimento la prefettura;
   nel 2009 il procuratore di Padova chiude definitivamente le indagini sul caso;
   nel 2008 il signor Zagbla scrive l'ultima lettera all'ateneo per tentare in qualche modo di ottenere giustizia. Nel 2010 scrive al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed al dipartimento delle pari opportunità chiedendo l'invio di un ispettore all'ateneo padovano a verifica di quanto accaduto;
   il regolamento di tutorato dell'università di Padova all'articolo 1 descrive le finalità delle attività di tutorato, che hanno lo scopo di orientare ed assistere gli studenti lungo tutto il corso degli studi;
   il regolamento di ateneo per i corsi di dottorato di ricerca dell'università di Padova l'articolo 13 «compiti del collegio» prevede che entro tre mesi dall'inizio dei corsi il collegio assegni a ciascun dottorando le attività da svolgere e individui tra i membri del collegio un supervisore;
   l'articolo 25 «cause di esclusione» prevede che:

«Art. 25.
(Cause di esclusione).

  1. Con motivata delibera il Collegio dei docenti, acquisito il parere del supervisore e sentito il dottorando, può proporre anche in corso d'anno al Rettore l'esclusione del dottorando dal proseguimento del corso nei seguenti casi:
   a) prestazioni di lavoro non autorizzate;
   b) prolungate assenze ingiustificate;
   c) valutazione insufficiente da parte del Collegio docenti»;
   l'articolo 30, comma 2, dispone che entro la fine dell'ultimo anno di corso il collegio docenti dovrà formulare un giudizio sull'attività di ricerca svolta dal dottorando e ammettere il dottorando alla valutazione della tesi da parte dei valutatori;
   il comma 4 dello stesso articolo dispone che:
  «4. Al fine di ottemperare a quanto previsto dall'articolo 8 del decreto ministeriale n. 45 del 2013, il competente Servizio di Ateneo coordina una procedura atta a raccogliere i corrispondenti giudizi dei due valutatori esterni e attivare la successiva valutazione di una commissione di esame finale salvaguardando la possibilità del dottorando di poter riformulare la tesi di dottorato in caso di rinvio richiesto dai valutatori».
   il comportamento del tutor affidato al signor Zagbla pare non conforme a quanto disposto dall'articolo 1 del regolamento di tutorato;
   il giudizio riportato nel verbale della commissione del 4 dicembre 1995 non pare giustificato in quanto non ci fu la possibilità di discutere la tesi davanti alla Commissione;
   non è stata salvaguardata la possibilità del dottorando di poter riformulare la tesi di dottorato, come previsto dal comma 4 dell'articolo 30 del regolamento di ateneo;
   l'ingiustificata bocciatura, ha determinato la perdita di opportunità per il signor Zagbla di accesso al concorso post dottorato –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione alla vicenda descritta in premessa e siano state assunte o si intendano assumere iniziative, anche per il tramite dell'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, volte a verificare eventuali comportamenti discriminatori a carico del signor Zagbla e a evitare che possano ripetersi in futuro casi analoghi;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere al fine di verificare l'anomalo comportamento della prefettura nonché della questura di Padova in relazione al caso sopra menzionato;
   se il Governo ritenga di assumere iniziative per verificare la sussistenza dei requisiti necessari affinché il signor Zagbla possa finalmente vedersi riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana, così come previsto dalla normativa vigente. (4-12473)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA, SPADONI, AGOSTINELLI, ALBERTI, BARONI, BASILIO, BATTELLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, NICOLA BIANCHI, BONAFEDE, BRESCIA, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, BUSTO, CANCELLERI, CARIELLO, CARINELLI, CASO, CASTELLI, CECCONI, CHIMIENTI, CIPRINI, COLLETTI, COLONNESE, COMINARDI, CORDA, COZZOLINO, CRIPPA, DA VILLA, DADONE, DAGA, DALL'OSSO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, DE ROSA, DEL GROSSO, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, DI VITA, DIENI, D'INCÀ, D'UVA, FANTINATI, FERRARESI, FICO, FRACCARO, FRUSONE, GAGNARLI, GALLINELLA, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, L'ABBATE, LIUZZI, LOMBARDI, LOREFICE, LUPO, MANNINO, MANTERO, MARZANA, MICILLO, NESCI, NUTI, PARENTELA, PESCO, PETRAROLI, PISANO, RIZZO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, RUOCCO, SARTI, SORIAL, SPESSOTTO, TERZONI, TOFALO, TONINELLI, TRIPIEDI, VACCA, SIMONE VALENTE, VALLASCAS, VIGNAROLI, VILLAROSA e ZOLEZZI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la dirigente indigena Berta Caceres, storica leader del Consejo Cívjco de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (Copinh), è stata uccisa in Honduras il 2 marzo 2016 nella città di Esperanza, dipartimento occidentale di Intibucà, dove viveva. Due uomini armati le hanno sparato nella notte, eludendo la sorveglianza di una guardia armata, ora sotto inchiesta, mentre suo fratello è rimasto ferito;
   la polizia honduregna parla di una rapina finita male, ma la storia di Berta Caceres non fa escludere la pista dell'omicidio premeditato;
   Berta Caceres era sottoposta a misure cautelari dopo l'ennesimo processo subito per la sua attività in difesa delle risorse naturali. La Commissione interamericana dei diritti umani aveva ordinato al Governo neoliberista di Juan Orlando Hernandez di garantire la sua sicurezza;
   un anno fa, dopo aver ricevuto il premio Goldman, il massimo riconoscimento mondiale per un'ambientalista (una sorta di Nobel «verde») lei stessa denunciava: «Mi seguono, minacciano di uccidermi, di sequestrarmi. Minacciano la mia famiglia. A questo dobbiamo far fronte»;
   l'ultima lotta a cui ha partecipato Berta è stata quella contro l'attività di un'impresa idroelettrica in una comunità indigena del Rio Blanco, a Santa Barbara. La settimana scorsa, aveva denunciato in una conferenza stampa che quattro dirigenti della sua comunità erano stati assassinati e altri minacciati. E nelle ultime settimane la repressione si era intensificata. Il 20 febbraio 2016, nel Rio Blanco, i nativi si sono scontrati con l'impresa honduregna Desa, che gode di grandi finanziamenti internazionali e che ha preso di mira il fiume Gualcarque;
   la resistenza organizzata delle popolazioni indigene contro le grandi imprese idroelettriche e minerarie che devastano il territorio e obbligano gli indigeni ad andarsene, ha però realizzato anche vittorie importanti, seppur pagate a caro prezzo. Caceres, il Copinh e le comunità indigene in lotta per la difesa dei propri territori ancestrali, sono riusciti a fermare la multinazionale Sinohydro la quale ha deciso di ritirare la partecipazione nella costruzione del Rio Gualcarque a cui era interessata anche la Corporazione finanziaria internazionale, istituzione della Banca mondiale. Un progetto che, oltre a privatizzare il fiume, avrebbe distrutto le attività agricole intorno per vari chilometri;
   l'Honduras è uno dei Paesi più pericolosi al mondo per gli ambientalisti. Secondo la Ong Global Witness, tra il 2002 e il 2014 ne sono stati ammazzati 111 e solo nel 2014 in America Latina sono stati uccisi 88 ecologisti, il 40 per cento dei quali indigeni. Una cifra che equivale ai 3/4 degli omicidi commessi contro ambientalisti in qualunque parte del mondo;
   le figlie, il figlio e la madre di Berta, mediante un comunicato diffuso dopo l'omicidio, affermano chiaramente che i responsabili della morte di Berta sono «gruppi di affari in combutta con il governo nazionale, i governi municipali e le istituzioni repressive dello Stato, che stanno dietro ai progetti estrattivi sviluppati nella regione» e individuano «i finanziatori di questi progetti estrattivi di morte» come «responsabili per la morte della nostra Berta e di tante persone che lottano contro lo sfruttamento dei territori, dal momento che i loro soldi rendono possibile l'imposizione di interessi economici sopra i diritti ancestrali dei popoli»;
   i firmatari del comunicato esigono che si istituisca una commissione internazionale imparziale per l'investigazione di questo crimine, cui possano partecipare la Commissione interamericana per i diritti umani, organizzazioni internazionali per i diritti umani e gli organi governativi competenti, data la dimostrata mancanza di obiettività sulle indagini che sono state avviate nel Paese –:
   quali iniziative efficaci di competenza intenda adottare affinché venga istituita la commissione internazionale per l'investigazione del crimine evidenziato in premessa. (4-12469)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso:
   la legge n. 6972 del 17 luglio 1890, cosiddetta «Legge Crispi», sulle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, è stata superata dalla legge 8 novembre 2000, n. 328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» e dal successivo decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207, con i quali – tra l'altro – sono state delegate le regioni a procedere alla riforma delle suddette istituzioni;
   la legge 8 novembre 2000, n. 328, all'articolo 10 detta i principi per l'inserimento delle ex Ipab nella rete dei servizi sul territorio, favorendo la trasformazione in aziende di servizi alla persona (Asp). Si assiste, quindi, ad una depubblicizzazione residuale, tramite la pretesa di una serie di requisiti tipici degli enti del terzo settore quali il richiamo all'efficienza, all'efficacia all'economicità di gestione, all'adozione di forme gestionali privatistiche (personale, contratti), all'attribuzione in capo alle stesse dei controlli formali e dei controlli dei risultati, alla possibilità di separare la gestione delle attività da quella dei patrimoni;
   il decreto legislativo n. 207 del 2001, in particolare, prevede, al capo II, che le Asp da personalità giuridica di diritto pubblico possano assumere una capacità di diritto privato che conferisce loro una serie di benefici previsti per le onlus (ad esempio erogazioni liberali), nonché permette loro l'esercizio di tutti i negozi funzionali al perseguimento dei propri scopi istituzionali e all'assolvimento degli impegni assunti in sede di programmazione regionale; tra questi si rilevano quelli di costituire società o fondazioni per svolgere attività strumentali a quelle istituzionali e per provvedere alla manutenzione del proprio patrimonio;
   con la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione del 2001, la materia relativa ai servizi sociali e, quindi, alle Ipab è diventata residuale e di esclusiva competenza regionale;
   ad oggi, dopo quasi 16 anni dall'approvazione della legge n. 328 del 2000, la regione Lazio è una delle poche regioni italiane a non aver ancora proceduto a riformare le Ipab, lasciate in tal modo in una sorta di pericoloso limbo giuridico, foriero di incertezze normative, di confusioni e sovrapposizioni di competenze e di responsabilità e, soprattutto, di depauperamento di un ingente patrimonio immobiliare, frutto di lasciti privati, con un valore stimato per difetto in non meno di 1 miliardo e mezzo di euro;
   la mancata riforma delle Ipab ha, tra l'altro, favorito e continua a favorire il continuo ricorso a nomine politiche ai vertici di queste istituzioni; in assenza di trasparenza, ha agevolato il sistema cooperativo sociale, che ha – non di rado – sfruttato le Ipab fino al loro fallimento, ha determinato abusi, gravi illegittimità e distorsioni gestionali, alimentando ricorrenti scandali, arrivati alle cronache nazionali;
   da diverso tempo un uso distorto ed illegittimo dell'istituto del commissariamento da parte della regione Lazio sta privando queste Istituzioni dei legittimi e regolari organi statutari a vantaggio di commissari fiduciari, scelti discrezionalmente dal presidente della regione Lazio;
   l'Ipab SS. Annunziata di Gaeta, la più importante della provincia di Latina e tra le più importanti, per patrimonio, storia ed attività, della regione Lazio, proprio per superare il continuo ricorso discrezionale al sistema cooperativo locale per la gestione delle proprie strutture, ricorso che aveva determinato un enorme debito, aveva promosso, d'intesa con la regione, la costituzione di un proprio ente strumentale, ovvero una fondazione di partecipazione, prevista dallo statuto dell'Ipab, approvato con deliberazione della giunta della regione Lazio n. 695 del 2009;
   gli organi statutari dell'Ipab SS. Annunziata di Gaeta a partire dal 2014 avevano promosso importanti iniziative legali a tutela dell'Istituzione e per contrastare autonomi atti amministrativi e gestionali messi in piedi dal presidente pro-tempore dell'Ipab, dottor Raniero Vincenzo De Filippis, anche direttore della regione Lazio, sospeso poi dall'incarico a seguito delle misure restrittive alle quali è stato sottoposto dall'autorità giudiziaria per fatti commessi nell'esercizio delle sue funzioni di direttore regionale;
   con deliberazione della giunta regionale del Lazio n. 4 del 13 gennaio 2015, su proposta dell'assessore regionale, Rita Visini, si è provveduto a commissariare per sei mesi l'Ipab SS. Annunziata con la motivazione che lo statuto dell'ente, che prevede un consiglio di amministrazione di 6 membri, si sarebbe dovuto adeguare al decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e alla legge regionale n. 4 del 2013 e prevedere un consiglio d'amministrazione di non più di 5 consiglieri;
   come ripetutamente denunciato anche dagli ex organi dell'Ipab alla regione Lazio, alla procura della Repubblica di Roma, alla Corte dei conti e all'Anac, le motivazioni alla base del suddetto commissariamento sono illegittime, poiché la normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica non si applica direttamente alle Ipab e quella regionale le esclude categoricamente, nonché pretestuose, in quanto il commissariamento – come denunciato – sembrerebbe finalizzato al blocco delle iniziative di contrasto alle illegittimità della passata gestione dell'Ipab allora presieduta dal dottor De Filippis (mancata consegna dopo oltre 15 anni dei lavori di restauro del Complesso della SS. Annunziata, anomalie procedurali nell'ambito di lavori pubblici solo per citare alcuni esempi già oggetto di denunce alle preposte Autorità) e al superamento dell'organo strumentale dell'Ipab – la Fondazione di partecipazione – a vantaggio del sistema cooperativo sociale del territorio già attivato negli anni addietro;
   a dimostrazione della pretestuosità di tale commissariamento, così come denunciato dagli ex organi statutari dell'Ipab SS. Annunziata, è stato evidenziato come altre Ipab del Lazio continuino ad avere organi statutari superiori a 5 membri, come nel caso dell'Ipab «Baratta» di Priverno-LT (il cui presidente e alcuni membri del consiglio per statuto in vigore sono di nomina del Vescovo di Latina), che ha un consiglio d'amministrazione di ben 7 membri ed è tuttora, dopo oltre tre anni, in regime di prorogatio, senza che l'assessore regionale, Rita Visini, abbia mai avvertito l'esigenza di commissariarla, come è avvenuto al contrario per l'Ipab SS. Annunziata;
   il commissariamento suddetto, che ad avviso dell'interrogante sarebbe di dubbia legittimità, ha poi determinato la nomina inconferibile presso l'Ipab SS. Annunziata del signor Giovanni Agresti, nomina che è avvenuta attraverso una procedura che si è caratterizzata per una incredibile sequela di irregolarità ed illegittimità, che ha coinvolto la responsabilità del Presidente della regione Lazio, oltre a quella di funzionari e dirigenti regionali, al punto da portare il presidente dell'ANAC, dottor Raffaele Cantone, ad evidenziare (nella segnalazione del 22 dicembre 2015, prot. Anac 0174597) anomalie gravi, criticità e contraddittorietà in tutto l’iter che ha portato alla nomina del signor Agresti e al successivo annullamento del decreto, nonché nell'impianto complessivo anticorruzione della regione Lazio, invitando l'ente ad adottare opportune iniziative;
   a distanza di 15 mesi dal commissariamento dell'Ipab SS. Annunziata (commissariamento prorogato nel tempo) e nonostante due commissari e modifiche successive in ordine alle motivazioni del commissariamento (a dimostrazione che quando si è preceduto con il primo commissariamento sia stata adottata da parte della regione Lazio una motivazione assolutamente pretestuosa), ad oggi lo statuto dell'Ipab non è stato modificato (come prevedeva la prima delibera di commissariamento e il primo decreto di nomina del commissario), mentre una costante azione soprattutto da parte del secondo commissario regionale starebbe, a quanto risulta all'interrogante, determinando difficoltà all'organo strumentale dell'Ipab SS. Annunziata, con l'obiettivo di superarlo;
   tali azioni poste in essere dai due commissari nominati dalla regione Lazio, non prive secondo l'interrogante di profili di dubbia legittimità sarebbero supportate dall'assessorato regionale alle politiche sociali, nonché da altri uffici regionali, i quali sembrano continuare di converso a non svolgere adeguata azione di vigilanza sul complesso delle Ipab laziali, a partire – come si evidenziava – dall'Ipab «Baratta» di Priverno (LT);
   il commissariamento dell'Ipab SS. Annunziata secondo l'interrogante sta avendo gravissime ripercussioni sui servizi e sull'attività portata avanti direttamente o attraverso il proprio ente strumentale e sta comportando danni all'Istituzione e ai cittadini: dopo cinque stagioni teatrali presso il teatro Remigio Paone di Formia, con oltre 40 mila spettatori, da quest'anno il teatro è chiuso; la casa famiglia e la casa di riposo attualmente in funzione e che ospitano la prima circa 10 minori e la seconda circa 38 anziani, rischiano la chiusura; il sito dell'Ipab ristrutturato e per quattro anni quotidianamente aggiornato è da mesi in ristrutturazione; servizi e strutture pronti per l'attivazione sono stati inspiegabilmente bloccati e altro –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda avviare, in collaborazione con le regioni, un monitoraggio in ordine alla situazione in cui versano le istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza e all'avanzamento del loro processo di riforma;
   se, agli esiti di tale monitoraggio, non ritenga opportuno assumere iniziative, anche in sede di conferenza Stato-regioni, che permettano di individuare un percorso di concreta evoluzione di tali istituti, nell'ambito della rete dei servizi sociali, secondo principi di efficienza, economicità e trasparenza, delineando ogni strumento utile ad evitare che si verifichino le criticità e le anomalie gestionali, che hanno interessato la Ipab ss. Annunziata di Gaeta. (4-12472)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VICO, PELILLO, CAPONE, GRASSI, GINEFRA, MASSA, MONGIELLO, VENTRICELLI, CASSANO, MARIANO e MICHELE BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di informazione hanno riportato la notizia, di una relazione messa a punto dal Politecnicodi Torino, nella quale si descrive un forte aumento e concentrazione di diossine particolarmente nel quartiere «Tamburi» di Taranto, a seguito di una serie di analisi raccolte a novembre 2014 e a febbraio 2015 nei «deposimetri» installati all'esterno dello stabilimento siderurgico dell'Ilva di Taranto;
   lo studio del Politecnico di Torino, commissionato dall'Ilva, esplicita che la composizione delle diossine rilevate nel «deposimetro» ubicato nel quartiere Tamburi è differente da quella delle diossine rilevate all'interno dello stabilimento e che gli alti valori della diossina non dipendono dalla produzione ma da altre fonti;
   l'Arpa Puglia, con una nota inviata alla presidenza della regione in data 2 marzo 2016 mette in discussione la risultanza del Politecnico, sottolineando come «all'eccezionale aumento di diossine rilevato nel “deposimetro” del quartiere Tamburi non ha corrisposto un aumento della quantità complessiva di polveri raccolta dal deposimetro (...)», che il «confronto tra i profili dei congeneri delle diossine delle polveri raccolte dai deposimetri nei due mesi incriminati e quelli delle polveri di abbattimento dell'impianto di sinterizzazione dello stabilimento, porta a credere che le polveri abbiano la stessa matrice»;
   il presidente della regione, Michele Emiliano, ha dato mandato all'Arpa e alla Asl di Taranto di effettuare ulteriori accertamenti al fine di comprendere le ragioni e le origini della diossina e dei picchi rilevati per pubblicare entro la fine di marzo 2016 i dati della rete dei deposimetri che saranno gestiti direttamente da Arpa;
   dall'8 marzo 2016 è entrata in vigore una delle misure previste dall'Aia (autorizzazione integrata ambientale) rilasciata nel 2012 dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che impone di scendere dall'attuale soglia di 0,30 nanogrammi di diossina per metro cubo a 0,15 –:
   se, in considerazione di quanto espresso in premessa, il Governo sia a conoscenza di tale rapporto e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare, con la massima trasparenza e oggettività scientifica, al fine di appurare gli effettivi livelli di presenza di diossina nell'ambito delle attività industriali e della città, sottraendo rilievi e analisi ad ogni tipo di strumentalizzazione, nell'interesse prioritario della salute della città di Taranto. (5-08073)


   PIZZOLANTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese è fra quelli con il maggior numero di veicoli a gas metano in circolazione, nonostante le difficoltà incontrate dagli automobilisti per fare rifornimento siano ancora innumerevoli e limitino fortemente lo sviluppo di un settore, quello della mobilità sostenibile, decisivo per il contenimento dell'inquinamento ambientale. Un motore alimentato a metano, infatti, produce circa l'80 per cento in meno di monossido di carbonio e di ossidi di azoto rispetto a uno a benzina e le emissioni di CO2 risultano mediamente inferiori del 23 per cento, così come nettamente inferiore è la quantità di idrocarburi rilasciata nell'atmosfera;
   a questi indubitabili vantaggi ambientali vanno sommati quelli economici. Il prezzo medio del metano al distributore è infatti di 0,987 euro/chilogrammo (un chilogrammo di metano equivale all'incirca a 1,5 litri di benzina), dunque nettamente inferiore non solo a quello della benzina, ma anche a quello del gasolio e dello stesso Gpl;
   il decreto-legge 7 agosto 2012, n. 134 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese), capo IV-bis (Disposizioni per favorire lo sviluppo della mobilità mediante veicoli a basse emissioni complessive) all'articolo 17-bis, recita che «al fine di perseguire i livelli prestazionali in materia di emissioni delle autovetture fissati dal regolamento (CE) n. 443/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, e di contribuire alla strategia europea per i veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico, di cui alla comunicazione COM(2010)186 della Commissione, del 28 aprile 2010, la realizzazione delle reti infrastrutturali di cui al comma 1 nel territorio nazionale costituisce obiettivo prioritario e urgente dei seguenti interventi: a) interventi statali e regionali a tutela della salute e dell'ambiente; b) interventi per la riduzione delle emissioni nocive nell'atmosfera, per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico e per il contrasto del riscaldamento globale prodotto dall'uso di combustibili fossili; c) interventi per l'ammodernamento del sistema stradale urbano ed extraurbano; d) interventi per la promozione della ricerca e dello sviluppo nel settore delle tecnologie avanzate; e) interventi per l'incentivazione dell'economia reale e per l'adeguamento tecnologico e prestazionale degli edifici pubblici e privati.»; l'articolo 17-decies prevedeva, inoltre, una serie di incentivi per l'acquisto di veicoli a basse emissioni di CO2 per il periodo 1o gennaio 2013-31 dicembre 2015 e l'istituzione, nello stato di previsione della spesa del Ministero dello sviluppo economico, di un apposito Fondo per l'erogazione degli incentivi (articolo 17-undecies), con una dotazione di 50 milioni di euro per l'anno 2013 e di 45 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, per provvedere all'erogazione dei, contributi statali di cui all'articolo 17-decies. Tuttavia, la legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014, ha sospeso gli ecoincentivi per l'acquisto di auto ecologiche, siano esse elettriche, ibride a metano o GPL, che nel corso del 2015 non sono stati erogati. Tuttavia, lo stesso articolo 17-bis del succitato decreto del 7 agosto 2012, dichiara di essere finalizzato «allo sviluppo della mobilità sostenibile, attraverso [...] la sperimentazione e la diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive, con particolare riguardo al contesto urbano» –: 
   se non ritenga necessario assumere iniziative normative volte a ripristinare un adeguato regime di incentivi all'acquisto di veicoli a basso impatto ambientale al fine di perseguire gli obiettivi comunitari in materia di qualità dell'aria e di sostenere un settore economico – quello della mobilità sostenibile – che può contribuire in maniera significativa alla ripresa economica del nostro Paese. (5-08091)


   CRISTIAN IANNUZZI, BUSTO, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Latina è la seconda discarica più grande del Lazio: i rifiuti nucleari confluiscono nella discarica di Borgo Sabotino, quelli urbani ed industriali invece nella raccolta di Borgo Mantello;
   il 25 febbraio 2016, il comune di Latina ha pubblicato un'ordinanza comunale con la quale vieta l'utilizzo dell'acqua, proveniente da fonti e pozzi interni ed esterni al perimetro della centrale nucleare di proprietà della Sogin, situata a Borgo Sabotino, perché nelle falde acquifere sono presenti valori troppo alti di cloruro di vinile, uno dei maggiori agenti cancerogeni per l'essere umano e gli animali, utilizzato soprattutto per la fabbricazione di pvc;
   in particolare, è vietato utilizzare l'acqua dei pozzi per qualsiasi uso: alimentare, igiene personale, uso agricolo nell'area compresa tra strada del Bottero fino al mare ed al confine con il canale delle acque alte, entro una distanza di 1 chilometro dal confine di proprietà della centrale;
   la Sogin, Società gestione impianti nucleari, la società pubblica responsabile, in ottemperanza al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, dello smantellamento degli impianti nucleari italiani (decommissioning) e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare, attraverso una nota ufficiale sottolinea che «il clorulo di vinile è un analita estraneo al ciclo produttivo della centrale di Latina e che i valori riscontrati oltre la soglia di legge nella falda non sono riferibili agli interventi di decommissioning che sono portati avanti nel rigoroso rispetto della normativa». «Sogin – prosegue la nota – garantisce il proprio impegno a rimuovere tempestivamente dall'area di proprietà della centrale di Latina, qualora fosse rinvenuta, la fonte di tale inquinamento e a continuare i monitoraggi ambientali e radiologici i cui risultati saranno prontamente comunicati agli Enti di Controllo (Provincia di Latina, Comune di Latina e ARPA Lazio)»;
   già nell'autunno del 2013 le analisi sui campioni di acqua prelevati nella zona della centrale avevano manifestato valori di cloruro di vinile fino a venti volte superiori rispetto a quelli fissati dalla legge che sono dello 0,5 microgrammi per litro;
   il 17 gennaio 2014 Sogin, appena ricevuti i certificati di laboratorio, ha attivato le procedure standard, previste dalle normative vigenti e ha subito notificato quanto riscontrato agli enti preposti: comune di Latina, asl di Latina, provincia, regione. Immediatamente dopo, in ottemperanza al decreto legislativo 2 aprile 2006, n. 152, Sogin ha proceduto a redigere il piano di caratterizzazione su quanto riscontrato e ad avviare un'ulteriore campagna di monitoraggio estesa a 20 piezometri, riscontrando solo in alcuni di questi valori anomali. La seconda campagna ha mostrato, lungo il perimetro dell'impianto a valle dello stesso, l'assenza di valori anomali. Il 16 febbraio Sogin ha quindi inviato il piano di caratterizzazione alla conferenza di servizi che ha deciso con determina n. 225 del 2014 in data 5 settembre 2014 attraverso un piano di indagine specifico di estendere l'indagine specifiche al territorio circostante, anche a monte della centrale, dato che gli inquinanti rilevati in falda non sono riconducibili direttamente al ciclo produttivo dell'impianto. I composti alifatici clorurati vengono infatti impiegati per la pulitura a secco, come solventi per l'estrazione di particolari elementi chimici, nei processi di lavorazione della plastica, della gomma, della carta, di vernici, di adesivi e sono anche un prodotto della degradazione di tali materiali;
   l'OCSE, per prima, nella raccomandazione del 26 maggio 1972 n. 128, ha formulato, a livello internazionale il principio «chi inquina, paga», affermando la necessità che all'inquinatore fossero imputati «i costi della prevenzione e delle azioni contro l'inquinamento come definite dall'Autorità pubblica al fine di mantenere l'ambiente in uno stato accettabile»;
   Sogin ritiene che i valori rilevati oltre la soglia di legge non siano riferibili alle proprie attività, in quanto sono stati riscontrati analiti estranei al ciclo produttivo della centrale, e ribadisce che il rigoroso processo di verifiche in corso costituisce un ulteriore elemento di garanzia a tutela dell'ambiente e della popolazione;
   l'avvelenamento delle acque che servono alla popolazione per bere, per l'igiene personale, per annaffiare campi e abbeverare animali da allevamento e che finiscono poi per inquinare il mare è un fenomeno preoccupante per una zona ad alta intensità abitativa, soprattutto d'estate, dove sono lamentati da anni casi di tumore, soprattutto alla tiroide, maggiori rispetto ad altre aree;
   il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 ha affidato a Sogin il compito di localizzare, progettare, realizzare il parco tecnologico, comprensivo del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani, compresi quelli prodotti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro. Nel deposito, un'infrastruttura ambientale di superficie, saranno definitivamente smaltiti in massima sicurezza circa 75.000 metri cubi di rifiuti a bassa e media attività e custoditi temporaneamente circa 15.000 metri cubi rifiuti ad alta attività, destinati al deposito definitivo in struttura profonda (deposito geologico). Il parco tecnologico sarà un centro di ricerca aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere attività nel campo del decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato;
   la discarica di Borgo Montello, nata nel 1971, è cresciuta a dismisura inquinando con il suo percolato la falda acquifera sottostante e il vicino fiume Astura quello che un tempo era un tessuto agricolo sano. Attualmente è gestita da Indeco (gestore completamente privato) e Ecoambiente, società partecipata tramite Latina Ambiente che ne detiene il 51 per cento, e a sua volta partecipata dal comune di Latina per un identico 51 per cento;
   i principali imputati per l'inquinamento (ancora in corso) della falda idrica sottostante la discarica sono i primi bacini del sito non impermeabilizzati e riconducibili, oggi, principalmente alla gestione partecipata del comune, Ecoambiente;
   la relazione presentata dall'Arpa nel 2014 confronta i dati delle analisi sui piezometri (interni ed esterni) tra il triennio 2006-2008 e l'ultimo quadriennio 2009-2013 mostrando un lento e progressivo migrare degli inquinanti dagli «epicentri» verso zone esterne; questo farebbe sì che la sua concentrazione si abbassi negli «epicentri» andando a aumentare leggermente in zone limitrofe verso cui è avvenuta la diffusione;
   nel 2014 l'operazione « Evergreen» condotta dalla procura e squadra mobile di Latina ha portato alla luce la distrazione sistematica, verso paradisi fiscali grazie a operazioni illecite, di risorse economiche destinate al fondo previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 per la realizzazione dei lavori di bonifica da effettuarsi una volta dismessa la discarica;
   nel gennaio 2016 il GIP ha disposto i sigilli al sito Indeco, perché ormai saturato, nonostante la società procedesse con gli abbancamenti di rifiuti –:
   se i Ministri interrogati siano informati dei fatti esposti;
   quali iniziative intendano adottare affinché, per quanto di competenza, vengano accertate le cause dei valori anomali della concentrazione di cloruro di vinile e degli altri inquinanti e, individuata la sorgente contaminante, si provveda alla bonifica dei territori interessati;
   se intenda promuovere, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, indagini epidemiologiche riguardo alla popolazione umana ed animale;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza e considerato il coinvolgimento della Sogin, intendano assumere iniziative per chiarire le responsabilità e promuovere il riconoscimento dei danni economici e sanitari procurati all'ambiente ed agli abitanti del territorio interessato dall'avvelenamento delle acque;
   considerato il grave inquinamento delle falde acquifere accertato nel territorio compreso tra i Borghi di Latina Sabotino e Montello, se i Ministri interrogati non ritengano opportuno escludere il sito dell'ex centrale nucleare di Latina dal novero dei siti candidati a divenire deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani. (5-08093)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «norme in materia ambientale», vieta tassativamente lo sversamento dei reflui di fogna, anche depurati, in corpi idrici che poi finiscono in falda;
   26 comuni della provincia di Lecce, collegati ai depuratori consortili, sversano i reflui di fogna nel corso d'acqua denominato «Torrente Asso», il maggiore canale naturale della provincia di Lecce che nasce nell'agro di Collepasso e attraversa diversi centri abitati;
   questo canale, così come viene chiamato localmente, è un sistema endoreico che alimenta le falde del sottosuolo carsico ed il suo recapito finale è in agro di Nardò nelle vore carsiche del Parlatano (Colucce), Manieri 1 e 2 e Olivari, dove il torrente termina il suo corso;
   nel «piano regionale di tutela delle acque», lo scarico dei reflui nella «Vora del Parlatano», non viene considerato come «scarico in falda»;
   dal documento di «caratterizzazione dei corpi idrici superficiali della regione Puglia» si evince anche come il torrente Asso assicuri il drenaggio delle acque meteoriche recapitandole in una naturale forma carsica epigea (vora);
   il consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di ricerca delle acque, ipotizza che le acque meteoriche e i reflui fognari «inghiottiti» dalla Vora del Parlatano (Colucce), Manieri 1 e 2 e Olivari (recapiti finale del Torrente Asso) possano sfociare, dopo aver terminato il loro percorso sotterraneo, nel tratto di mare tra Porto Selvaggio e S. Isidoro, nei pressi dell'area marina protetta e comunque in uno dei luoghi più incontaminati del Salento;
   l'ARPA (Agenzia regionale di protezione ambientale) interpellata per conoscere la qualità delle acque del Torrente Asso, con risposta a firma del direttore scientifico dottor Massimo Blonda, riporta che nell'ambito del «monitoraggio qualitativo e quantitativo dei corpi idrici superficiali della regione Puglia» commissionato dall'ente regione all'ARPA, «lo stato di qualità del Torrente Asso è risultato «cattivo» (quindi inquinato) per il periodo di riferimento 2010-2011» e la stessa classificazione è stata confermata anche per il periodo di monitoraggio aprile 2012-marzo 2013;
   i livelli di inquinamento preoccupano le comunità locali e gli agricoltori che attingono le acque irrigue da pozzi realizzati nelle vicinanze dei recapiti finali delle acque inquinate –:
   se siano stati avviati o si intendano avviare o sia stato richiesto di avviare, per quanto di propria competenza, così come previsto dagli articoli 305, 306, 308, 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006, procedimenti inerenti alla problematica evidenziata. (4-12443)


   FORMISANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 gennaio 2016 la procura della Repubblica del tribunale di Lanciano ha realizzato un sequestro preventivo di scarichi fognari di un intero villaggio residenziale denominato «Valle del Sole» in località San Domenico, nel comune di Pizzoferrato, provincia di Chieti, composto da circa 1.600 unità abitative;
   il sequestro è stato adottato per prevenire un grave fenomeno di inquinamento ambientale nel parco nazionale della Maiella che, da affermazioni giornalistiche, dura da circa dieci anni;
   nel complesso residenziale «Valle del Sole» manca il sistema idrico integrato (SII) costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acque ad usi civici, di fognature e di depurazione delle acque reflue;
   il decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che per i comuni superiori a 1.000 abitanti, come appunto Pizzoferrato, viene attribuita alla regione la gestione dei servizi idrici integrati; in Abruzzo tutto ciò avviene attraverso le autorità d'ambito territoriali ottimali (ATO), purché il comune e trasferisca ad essi la gestione;
   con delibera n. 142 del 3 ottobre 2007, il commissario prefettizio del comune di Pizzoferrato, aveva avviato la cessione all'ATO della rete idrica e fognaria del comprensorio della Valle del Sole;
   tale procedimento non si ultimava a causa di una contestazione da parte di un Comitato civico Valle del Sole, in ordine ai poteri di rappresentanza del liquidatore del Consorzio San Domenico in Silvis, che aveva effettuato la cessione gratuita della rete idrica e fognaria del comprensorio a tale scopo; pertanto il comune di Pizzoferrato, nel trasferire il sistema idrico integrato di tutto il comune stesso all'ATO n. 6 chietino, si riservava successivamente di effettuare il trasferimento, all'ATO competente, anche del sistema idrico integrato della Valle del Sole, che a tutt'oggi ancora non è avvenuto;
   attualmente, in assenza del sistema idrico integrato, le acque domestiche che utilizzano anche per uso alimentare gli abitanti dell'intero comprensorio Valle del Sole non risultano depurate ne controllate, e dunque possibili veicoli di tifo, paratifo ed epatite virale;
   il comune di Pizzoferrato, non intendendo trasferire la gestione del sistema idrico integrato del complesso residenziale Valle del Sole, costituito prevalentemente da abitazione di non residenti, all'ATO n. 6 chietino, ha adottato un regolamento, approvato con delibera del consiglio comunale n. 46 del 30 ottobre 2015, imponendo una nuova tassa (circa 8 – 10 euro al mese) a carico dei soli proprietari di abitazioni della Valle del Sole, denominata «servizi essenziali del villaggio turistico Valle del Sole», la cui natura tributaria si ricava dagli articoli 3, 4 e 5 del regolamento stesso;
   in forza all'articolo 23 della Costituzione, nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, e dunque appare all'interrogante che non è strumento idoneo a ciò un regolamento comunale;
   gli atti concessori relativi alla costruzione del comprensorio Valle del Sole, licenza edilizia n. 5/1974 e licenza edilizia n. 19/1975, non prevedono la realizzazione di impianti di depurazione;
   con relazione del Consorzio intercomunale per i servizi tecnici del 1o settembre 1977, veniva dichiarato il rispetto di tutti gli obblighi di cui al punto 2 dell'atto di compravendita alla Valle del Sole spa, rep. 36121 del 12 luglio 1962;
   ai sensi dell'articolo 1346 del codice civile l'oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile, e dunque non può sicuramente essere oggetto di pretesa la realizzazione di un impianto di depurazione delle acque luride a carico di 1.600 abitanti del tutto estranei agli obblighi di cui all'atto di compravendita;
   il comune di Pizzoferrato, sulla scorta di una lettera (prot. 5993 del 21 dicembre 2005) della società Delberg, costruttrice solo di una parte del complesso residenziale, che affermerebbe che gli obblighi dei costruttori assunti nel 1962, di realizzare i servizi del comprensorio sono stati trasferiti ai proprietari acquirenti degli immobili – senza rappresentare alcuna verifica in ordine alla fondatezza di tale affermazione ed ai contenuti di tale clausola – approvava in virtù del regolamento del 30 ottobre 2015, una lista di carico di tributi per tutti i proprietari del complesso residenziale emettendo tra il mese di novembre dicembre 2015, circa 1.300 fatture per servizi essenziali San Domenico anno 2015 con iva al 22 per cento, a giudizio dell'interrogante in contrasto con il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, che disciplina le imposte sul valore aggiunto;
   il comune, con determina n. 63 del 10 ottobre 2015, attribuiva l'incarico di progettazione del depuratore ad un geometra; su tale incarico e sulla procedura di affidamento dei servizi di ingegneria e architettura, relativi alla realizzazione di un impianto di depurazione, è stato recentemente aperto un fascicolo (n. 5677/2015) da parte dell'ANAC;
   in virtù delle prerogative riconosciute dall'articolo 39 della legge 256 del 2000, il 27 gennaio 2016, prot. 198, veniva richiesta da consiglieri comunali del gruppo di minoranza una convocazione in seduta straordinaria del consiglio comunale, al fine di sciogliere la riserva del commissario prefettizio di cui alla delibera n. 42 del 3 ottobre 2007; la seduta consiliare tenutasi il 29 gennaio 2016, non risulta ancora verbalizzata e la delibera non è pubblicata;
   con delibera di giunta comunale del comune di Pizzoferrato, n. 6 del 26 febbraio 2016, veniva approvato il progetto esecutivo di un depuratore, subordinandone la realizzazione all'effettivo pagamento da parte degli utenti degli importi previsti nella lista di carico, confermando con ciò l'intendimento del comune di non voler trasferire agli organi competenti, e cioè all'ATO, la gestione del sistema idrico integrato, come da delibera n. 142 del 3 ottobre 2007 del commissario prefettizio –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, in relazione all'inquinamento ambientale derivante dalla gestione del ciclo dell'acqua e degli scarichi fognari del villaggio «Valle del Sole», inquinamento che si riverbera sul parco nazionale della Maiella e che produce preoccupazione e situazioni di rischio per gli abitanti dell'area. (4-12449)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 febbraio 2016, il vice presidente nazionale del Codacons ha presentato una istanza di accesso agli atti presso il comune di Sellia Marina (CZ), evidenziando di aver avuto, «incidentalmente», notizia che le analisi effettuate dall'azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, avrebbero evidenziato la presenza di arsenico nell'acqua destinata al consumo umano. Ciò risulta attraverso la comunicazione della citata azienda prot. 133 del 13 gennaio 2016;
   in quella comunicazione secondo l'interrogante non adeguatamente resa nota cittadinanza il sindaco era stato invitato dall'ASP a provvedere «con urgenza a limitare l'uso dell'acqua», a dare comunicazione sempre all'ASP «dei provvedimenti adottati e della data di adozione degli stessi» e «ad informare adeguatamente i consumatori»;
   il Codacons ha chiesto, formalmente, al sindaco, al segretario comunale ed anche al prefetto di Catanzaro, chiarimenti sui motivi per cui quei risultati allarmanti siano stati taciuti alla popolazione;
   quanto alla pericolosità, sostiene il Codacons, basti ricordare come la normativa vigente preveda il limite di 10 microgrammi per litro, limite che risulterebbe abbondantemente superato. L'Organizzazione mondiale della sanità e il Comitato scientifico europeo hanno evidenziato il rischio di «alcune forme di cancro» a seguito dell'assunzione di acqua all'arsenico;
   né il sindaco né il prefetto hanno ritenuto di dover rispondere alle preoccupazioni, legittime, del Codacons. A questo punto il Codacons, preso atto di cotanto disinteresse ha presentato una denuncia, ipotizzando il reato di omissione e di attentato alla salute pubblica, chiedendo alla procura della Repubblica di Catanzaro un immediato intervento;
   ad aggravare la gravissima lacunosità informativa, vi è la circostanza che già in passato — comunicazione del 30 marzo 2015 — era stato chiesto, senza successo, l'intervento del prefetto per sopperire all’«assoluta assenza di informazione ai Cittadini» e per «porre in essere ogni azione in proprio potere affinché venga riconosciuto il diritto» dei cittadini a conoscere;
   in data 19 febbraio 2016 dopo numerose diffide e la denuncia in procura, è stata emessa una ordinanza che attesta la presenza di arsenico nell'acqua «potabile» –:
   quali iniziative urgenti e necessarie, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere, al fine di verificare, anche per il tramite dell'istituto superiore di sanità, se e quali effetti sulla popolazione possano essere derivati dall'attuale situazione di sostanziale compromissione delle acque di falda;
   se non sia il caso che vengano utilizzati i fondi Cipe stanziati per le emergenze idriche al fine di agevolare le necessarie bonifiche e rendere le tubature prive di residui di arsenico;
   se intenda promuovere una verifica da parte del coniando carabinieri per la tutela dell'ambiente sui pozzi piezometrici disposti lungo il perimetro della vicina discarica di San Simone per comprendere se l'inquinamento della falda possa avere origine proprio dalla discarica;
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze e anche sul piano normativo, al fine di potenziare le attività di vigilanza sulle falde acquifere e sull'erogazione dell'acqua per uso domestico;
   quali iniziative concrete abbia intrapreso il Governo a seguito dell'avvio della procedura d'infrazione n. 2014-2125 concernente la «Cattiva applicazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità dell'acqua destinata al consumo umano».
(4-12465)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   notizia di questi giorni è il sequestro da parte del Corpo forestale di 1300 ettari di bosco a Bocchigliero, nel Parco nazionale della Sila, a seguito di accertate illegalità nel rilascio delle concessioni al taglio e alla raccolta da parte dei dirigenti pubblici;
   l'interrogante ha presentato tre atti di sindacato ispettivo n. 4-03942, n. 4-06804, n. 4-06995, rimasti senza risposta, denunciando l'abbattimento incontrollato di alberi a cui si sta assistendo in Calabria in spregio alle normative nazionali e comunitarie. È emblematico il taglio boschivo di pini laricio secolari e faggi proposto proprio dall'Ente parco nazionale della Sila, costituito per legge per assicurare l'integrità del territorio protetto e non per aggredirlo insensatamente;
   l'associazione Uisp (Unione italiana sport per tutti), comitato territoriale di Catanzaro, ha chiesto un accesso agli atti in regione per conoscere le motivazioni dei provvedimenti che avrebbero autorizzato, tra il 15 novembre 2014 ed il 10 dicembre 2014 il taglio di oltre 55 alberi secolari in «zona 1 — conservazione» ove è assolutamente vietato effettuare tagli, Al rifiuto della regione Calabria, l'associazione ha fatto ricorso al Tar che con sentenza n. 01747/2015 ha accertato l'illegittimità del diniego all'accesso ordinando alla pubblica amministrazione ricorrente di esibire i documenti richiesti entro il termine di 30 giorni. Ad oggi né l'Ente Parco (non costituitosi in giudizio) né tantomeno la regione Calabria (delegata al rilascio delle autorizzazioni sino alla nomina del direttore dell'ente) hanno dato esecuzione, per ciò che risulta all'interrogante, a quanto disposto in sentenza;
   il 7 gennaio 2016, Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo nel quale viene disegnato un quadro desolante per quanto riguarda la situazione della guida dei diversi parchi nazionali. Dallo studio condotto risulta che in ben 12 parchi su un totale di 24 si registrano assetti precari. In particolare, nell'articolo si evidenzia che:
    il parco nazionale della Sila è commissariato da quasi 2 anni ed è privo di una guida autorevole legittimata dal sostegno di un consiglio direttivo che, tra le altre cose, al momento, non esiste;
    il parco nazionale del Pollino non ha il direttore, ma è retto da facenti funzioni senza i titoli previsti dalla legge;
   il WWF sottolinea come senza i vertici i parchi non possano intraprendere azioni di ampio respiro e agire nel pieno dei loro poteri con danni che non coinvolgono solo gli aspetti ambientali ma anche quelli legati all'economia e alla legalità;
   l'interrogante è cofirmatario dell'atto di sindacato ispettivo n. 4-10739 presentato in data 14 ottobre 2015 nel quale si evidenziava come, nonostante l'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 171 del 2011 disponga la risoluzione del rapporto di lavoro nel caso di «accertata permanente inidoneità psicofisica assoluta», la carica di direttore presso l'ente parco nazionale della Sila continua ad essere ricoperta dall'ex ufficiale del Corpo forestale Michele Laudati collocato a riposo a seguito del referto dei medici del centro militare di medicina legale di Catanzaro datato 30 novembre 2000, che lo hanno giudicato non «idoneo permanentemente al servizio d'istituto in modo assoluto». Laudati è in carica dal 2006 ed ha percepito indebitamente, per dieci anni, 80 mila euro all'anno, oltre ad una non nota retribuzione di risultato come si evince dal dato riferito all'anno 2013 nella sezione «amministrazione trasparente» del sito Internet dell'Ente parco;
   i compiti cui è chiamato il direttore, secondo quanto stabilito dallo statuto dell'Ente parco nazionale della Sila, sono di primaria importanza: coopera e collabora con il presidente e con gli organi dell'Ente parco per la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare; adotta tutti gli atti di gestione amministrativa, finanziaria e tecnica, compresi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo; assume le determinazioni relative all'instaurazione di rapporti di consulenza e collaborazione con, professionisti e con enti specializzati; assume le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro, ivi comprese le relazioni sindacali –:
   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, per porre fine alla situazione di emergenza nella quale si trovano ad operare i parchi nazionali riportati in premessa e se non si ritenga opportuno intervenire con urgenza al fine di bloccare l'abbattimento incontrollato del quale a giudizio dell'interrogante, non intervenendo, è, di fatto, corresponsabile l'Ente parco nazionale della Sila, il cui direttore, tra l'altro non avrebbe l'idoneità per ricoprire tale carica. (4-12467)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE e BATTAGLIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   come appreso da un articolo de La Gazzetta del Mezzogiorno, firmato da Angelo Morizzi, pubblicato in data 9 marzo 2016, il comune di Bernalda è interessato da una serie di abbattimenti di alberi ritenuti pericolosi per la pubblica incolumità sulla base di una ordinanza dirigenziale dell'amministrazione comunale risalente al 25 febbraio 2016;
   il territorio comunale era già stato interessato da una serie di abbattimenti in particolare di numerose palme a causa del punteruolo rosso, mentre ora ad essere interessati risultano essere pini marittimi di una bellezza straordinaria;
   il taglio sembrerebbe non essere supportato da studi specialistici e la stessa ordinanza come riportato nell'articolo non espliciterebbe in maniera puntuale le argomentazioni in relazione a tale decisione;
   è vero che troppo spesso accade che l'incuria degli alberi, in occasione di ondate di maltempo, metta a rischio l'incolumità delle persone e che in alcune circostanze il taglio è provvidenziale, onde prevenire tragedie;
   a colpire l'attenzione però in questa circostanza è anche il numero degli alberi tagliati, circa 200 unità, un numero ragguardevole considerato il territorio in questione;
   sarebbe opportuno sapere anche quale è la destinazione del legname derivante dal taglio dei suddetti alberi;
   il volto della città e di Metaponto, rinomata località turistica balneare ricadente nel comune di Bernalda, risulta essere cambiato per non dire stravolto da suddetti tagli –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di verificare le ragioni dei suddetti abbattimenti, se siano state opportunamente e adeguatamente informate tutte le istituzioni competenti, a partire dalla soprintendenza, quali cautele siano state adottate per evitare interventi che appaiono agli interroganti fortemente lesivi della bellezza del territorio;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di vigilare sul ripristino del verde in un territorio che nel suo paesaggio identitario risulta oggi essere particolarmente compromesso dall'azione dei citati abbattimenti. (5-08081)


   DI BENEDETTO, MANNINO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la storia di Villa Tolomei genera dubbi circa i concetti di promozione e valorizzazione del patrimonio culturale nel nostro Paese;
   la Villa in questione era un antico rudere abbandonato perciò, nel 2009, l'Agenzia del demanio decise di cederla al privato, perché la valorizzasse e recuperasse;
   fu pubblicato un bando rivolto a investitori privati per la trasformazione del complesso in un albergo con ampio parco annesso; il contratto di aggiudicazione prevedeva una concessione «lunga», della durata di ben 50 anni, per permettere al beneficiario di intraprenderne la manutenzione e valorizzazione oltre che di ammortizzarne i costi di recupero;
   dopo anni, la Villa è tornata a nuovo splendore divenendo un albergo di lusso, in una posizione esclusiva di Firenze, tra le colline e gli olivi;
   non si può, però, gioire dell'operazione compiuta dato che attualmente il bene risulta compreso all'interno del fondo investimenti per la valorizzazione (comparto extra), amministrato dalla società di gestione del risparmio che fa capo a Cassa depositi e prestiti. Tale circostanza di fatto dimostra la chiara intenzione di cessione del bene sul mercato. Non solo. Il privato gestore avrà diritto di prelazione non appena la società deciderà il disinvestimento dell'immobile. Il passaggio dal Demanio a un soggetto con assetto privatistico, come è la società di Cassa depositi e prestiti, cancella di fatto, le premesse in base alle quali è stata strutturata l'operazione di valorizzazione. A leggere la storia di Villa Tolomei si direbbe che si tratti di una svendita vera e propria;
   in tal modo si tradisce la ratio della cosiddetta «concessione lunga»: alla fine dei 50 anni, il bene demaniale, valorizzato e a reddito, dovrebbe tornare nella piena titolarità dello Stato e non essere oggetto di speculazione;
   il caso su citato non è l'unico esempio di valorizzazione non conclusasi perfettamente: in altri casi l'operazione non ha mai avuto inizio. Si pensi a Villa Favorita a Ercolano dove la gara per la concessione del bene è andata deserta, probabilmente per la diffidenza degli operatori circa il raggiungimento di un parere favorevole da parte della sovrintendenza ai propri progetti;
   solo il Faro di Capispartivento, in località Chia (Ca), di proprietà del demanio militare, dismessa nel 2003, oggi è restaurato e aperto al pubblico come luxury guesthouse gestita da un imprenditore sardo, con un contratto di concessione di 6 anni più un rinnovo di altri 19 anni. È attualmente in corso la gara per la concessione finalizzata alla valorizzazione di altri dieci fari abbandonati in tutta Italia;
   l'articolo 9 della Carta fondamentale impone la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione;
   in attuazione dell'articolo 9 su citato, il codice dei beni culturali sancisce che la Repubblica ha il compito di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale, in tal modo, preservando la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e promuovendo lo sviluppo della cultura;
   in particolare l'articolo 6 del codice definisce cosa si debba intendere per valorizzazione, vale a dire l'esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. La valorizzazione comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale e, in riferimento al paesaggio, include la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposte a tutela compromessi o degradati;
   le finalità su enunciate sono in contrasto con la finalità non dichiarata ma, a giudizio degli interroganti, evidente di fare cassa tramite la vendita del patrimonio culturale, nel caso di specie di Villa Tolomei;
   ad avviso degli interroganti è importante chiarire la finalità di un sistema come quello della cosiddetta concessione lunga: se essa nasca per avvantaggiare l'interesse del privato che ammortizza la spesa del recupero del bene nel lungo periodo per poi acquisire al proprio patrimonio lo stesso bene o se essa costituisca un vantaggio per la collettività che di quel bene restaurato e messo a reddito usufruirà –:
   quali siano le motivazioni che giustifichino che un'operazione di valorizzazione di un bene della collettività possa concludersi con la privatizzazione dello stesso bene, per mezzo di una concessione lunga;
   se, per Villa Tolomei, sia stato stabilito il versamento di una quota di utili, ricavati dalla gestione privata, da versare allo Stato;
   con quali modalità e tempistica saranno ripagati i costi di recupero del bene, sopportati dall'operatore privato;
   con quali modalità il bene in questione verrà venduto e per quale importo. (5-08089)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e CARINELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il progetto denominato «Riqualificazione della viabilità dalla S.R. 177 alla S.R. 464», incluso nel piano regionale delle infrastrutture, della mobilità e della logistica della regione Friuli Venezia Giulia, prevede la realizzazione di una bretella stradale denominata «variante sud di Dignano», di collegamento tra le aree a sinistra e a destra del fiume Tagliamento, a nord di Udine;
   presso l'area oggetto d'intervento, in base alle conclusioni di un recente studio eseguito dall'architetto Luca Vignando, sono emerse numerose criticità sotto il profilo dell'interesse archeologico della zona, motivate dalla presenza di importanti rinvenimenti in prossimità dell'area di cantiere della nuova opera viaria. L'area interessata dalla variante presenterebbe, infatti, strade militari e intercomunali di epoca romana e la conseguente, probabile, centuriazione dell'agro circostante;
   non lontano dall'area interessata dall'intervento, a Vidulis di Dignano, come inserito anche nella relazione archeologica effettuata dalla stessa regione Friuli Venezia Giulia, è stata rinvenuta un'importante villa rustica romana di età giulio-claudia, mentre all'altezza di Bonzicco doveva esistere, con tutta probabilità, un antico attraversamento sul « Tiliaventum»;
   in particolare, tra i sedimenti di viabilità e gli insediamenti di età romana rintracciabili su tale territorio, ci sarebbero la Villa di Vidulis, gli insediamenti di Coseano, la fornace/Villa di Griulis di Flaibano e, soprattutto, il mosaico della cantina di Casa Rota a Bonzicco, posto a poco più di 400 metri a sud dalla futura variante alla quota di -2,5 metri dal piano di campagna;
   la nuova documentazione di analisi basata sugli elaborati del suddetto studio analitico, ha poi evidenziato come, tra le vie Dignano-Banfi a ovest e Casarsa a est, siano documentabili cospicui e preziosi reperti archeologici di età romana attinenti ad una via Glareata (via Crescentia/Dignano-Banfi), che si troverebbe oggi sepolta a circa 3,5 metri sotto l'attuale sedime stradale di via Banfi;
   lo studio analitico dell'architetto Vignando ha rilevato, inoltre, come nel territorio dignanese siano state già censite ben 14 aree archeologiche, oltre alla presenza degli insediamenti del Cristo di Coseano e di Griulis di Flaibano;
   importanti rinvenimenti effettuati a pochi metri dalla progettata opera viaria, testimonierebbero, infine la presenza di molti altri beni archeologici presenti in situ, nonostante per tale opera pubblica è stato valutato non sussistere alcun interesse archeologico;
   risulta evidente agli interroganti come le escavazioni del tunnel per la realizzazione della nuova opera viaria rischiano di seppellire per sempre questi interessanti resti archeologici, distruggendo un patrimonio di valore inestimabile per il nostro territorio –:
   se il Ministro interrogato, sulla base dell'interesse archeologico dell'area sita nel comune di Dignano, evidenziato dagli eminenti studi analitici richiamati in premessa, non ritenga necessario assumere le iniziative di competenza dando immediata applicazione agli articoli 95 e 96 del codice degli appalti, attraverso l'adozione della procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico della zona e delle opportune misure cautelari in corso d'opera, sotto la supervisione della Soprintendenza competente. (4-12458)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la mancata valorizzazione e manutenzione e il conseguente progressivo degrado del patrimonio artistico italiano sono il sintomo di un problema assai più generale del nostro Paese, che attiene all'assenza di salvaguardia dei beni culturali e all'incapacità di promuovere le necessarie competenze manageriali per un'adeguata gestione degli stessi;
   l'arte e la cultura rappresentano oggi asset distintivi e competitivi fondamentali per il made in Italy. La rete dei beni culturali – costituita in Italia da 3.800 musei e 1.800 aree archeologiche – è in grado di creare un «indotto» (turismo, enogastronomia, produzioni artigiane, edilizia di riqualificazione) che produce un valore aggiunto di 167 miliardi di euro e assorbe 3,8 milioni di occupati, senza contare che negli ultimi anni il settore ha registrato una crescita mediamente superiore al totale dell'economia, anche in termini di occupazione;
   anche questo settore è interessato oggi dai profondi mutamenti strutturali del mercato del lavoro, che portano sempre più ad esternalizzare i servizi presenti nei siti museali ed archeologici;
   il Ministro interrogato ha dallo scorso anno in programma di completare l'organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con la pubblicazione dei bandi per i servizi aggiuntivi dei musei;
   il programma era stato sviluppato insieme alla CONSIP ed era denominato «La cultura delle gare nelle gare per la cultura»; il programma prevede tre linee di sviluppo per il rilancio dell'offerta culturale e della qualità dei servizi nei musei italiani: gare di appalto per i «servizi gestionali» (manutenzione, guardaroba, igiene eccetera); il «servizio di biglietteria nazionale» (la previsione è quella di creare un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita che venga utilizzato da tutti i musei statali e, volendo, disponibile anche per gli enti locali); infine, i servizi culturali (noleggio audio-guide, visite guidate, laboratori, didattica e altro);
   i musei e monumenti, spesso perennemente in deficit, sono remunerativi solo per le società private concessionarie di servizi aggiuntivi che operano in base a concessioni in passato spesso discutibili e lesive del principio della libera concorrenza;
   la Corte dei conti ha ritenuto che le percentuali attribuite alle società private sui biglietti siano spropositate; in generale non si può superare il tetto del 30 per cento, ma in taluni casi su 10 euro di biglietto, 7,75 vanno alle società di servizi e 2,25 al polo museale;
   sulle prenotazioni dei biglietti non ci sono royalty per lo Stato e non ce ne sono neppure sulle audio-guide e sulle visite guidate e questo francamente è incomprensibile, visto che i vantaggi si hanno grazie allo sfruttamento a fini economici di un monumento il cui restauro e la cui manutenzione sono effettuate con denaro pubblico;
   dal 2009 quasi tutti i contratti per i servizi aggiuntivi sono scaduti e sono stati prorogati contro ogni norma nazionale ed europea sulla concorrenza. La situazione, infatti, era stata severamente criticata dall'Antitrust e dall'Unione europea. L'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture aveva sollecitato interventi per sanare svariate irregolarità:
   è ormai imprescindibile porre fine al periodo delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura, con un nuovo modello gestionale che prevede la cooperazione tra le migliori risorse pubbliche e private, per garantire la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale dello Stato;
   è improrogabile un punto di svolta nella gestione degli appalti, per non dover più assistere a quanto da anni sta succedendo a Roma nell'assegnazione di molti dei servizi del comune: la colossale corruzione che sta alla base di tutti gli appalti –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative per assicurare la gestione in piena trasparenza e regolarità delle gare d'appalto per i servizi aggiuntivi museali;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per evitare continue proroghe alla scadenza dei contratti per la gestione degli appalti come accaduto fino ad oggi nella gestione dei servizi dei poli museali;
   se il Ministro intenda pubblicare online sul proprio sito istituzionale le convenzioni con i privati per la gestione dei servizi aggiuntivi museali, visto che si tratta di beni dello Stato e che quindi i cittadini hanno il diritto di sapere tutto sulla gestione degli stessi. (4-12460)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LABRIOLA. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'amianto è la sintesi di un gruppo di minerali formati da silicato di magnesio, calcio e ferro, è anche detto asbesto (letteralmente «che non brucia») e come tutti i minerali presenti in natura viene estratto da cave e miniere tramite frantumazione della roccia madre, da cui si ottiene la fibra purificata. Per molti decenni esso è stato uno dei materiali più utilizzati nell'industria siderurgica, automobilistica, meccanica ed edile e perfino come tessuto per indumenti e tute da lavoro ignifughe;
   inoltre, è risaputo che è stato largamente utilizzato anche nell'industria termica e navale, soprattutto come isolante delle tubature e degli ingranaggi dell'oleodinamica. I lavoratori dei grandi stabilimenti e dei cantieri non hanno mai avuto nessun tipo di protezione dall'inalazione pericolosa di queste polveri;
   la pericolosità dell'amianto, conclamata e largamente accertata, è data dal fatto che le sue fibre si liberano facilmente nell'aria, in quanto è materiale molto friabile, le particelle sprigionate durante la manipolazione o lavorazione sono inalabili e, una volta respirate, tendono ad accumularsi nei bronchi e negli alveoli polmonari provocando danni irreversibili ai tessuti;
   tra le patologie e le forme tumorali accertate, derivanti dall'inalazione di particelle di amianto, le più pericolose e diffuse sono l'asbestosi, il mesotelioma pleurico-peritoneale ed il cancro ai polmoni, oltre a varie forme di cancro del tratto gastro-intestinale e della laringe;
   esiste una stretta correlazione tra la durata dell'esposizione alle polveri di amianto e la mortalità indotta dall'insorgenza di queste patologie, con periodi di incubazione che possono arrivare a 40 anni, infatti le patologie asbesto correlate sono definite «lungo latenti»;
   secondo i dati pubblicati sul sito dell'Osservatorio nazionale amianto (Ona) i casi di insorgenza di mesotelioma in Italia è in costante aumento, e ciò è prevedibile anche per gli anni avvenire; infatti, grazie alle segnalazioni ricevute, alle rilevazioni delle sedi territoriali e del gruppo di lavoro del Dipartimento ricerca e cura del mesotelioma, e all'incrocio di tutti i dati, l'Ona ha formulato una stima di 4.560 mesoteliomi per il periodo dal 1o gennaio 2009 al 31 dicembre 2011, che ha ripartito in 1.480 casi per l'anno 2009, 1.520 per il 2010 e 1.560 per il 2011;
   sempre dal sito dell'associazione si evince che le rilevazioni abbiano permesso di avere contezza che per almeno il 15,2 per cento, dei casi di mesotelioma, l'esposizione professionale sarebbe riconducibile alle attività lavorative nel settore edile, più dell'8,3 per cento nel settore dell'industria metalmeccanica, quasi il 7 per cento nell'industria tessile e ancora un 7 per cento nella cantieristica navale;
   inoltre, risulta che il comparto difesa conti più di 620 casi e rappresenti il 4,1 per cento del totale dei mesoteliomi insorti in seguito alle esposizioni professionali, e sarebbe preoccupante anche il numero dei casi di mesotelioma registrati nel settore della scuola (63) che aprono un nuovo e disastroso scenario per gli utenti delle scuole e cioè l'intera popolazione;
   per i lavoratori che sono o sono stati esposti all'inalazione di amianto esistono alcune forme di tutela e, in particolare, i benefici previdenziali contenuti decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 articolo 47, che sancisce che i periodi di esposizione all'asbesto devono essere moltiplicati per 1,25 rispetto all'importo pensionistico complessivo emesso dall'Inail e prevede anche l'anticipazione dell'età minima pensionabile oltre e una serie di provvedimenti legati all'insorgenza di malattie dovute all'inalazione di microfibre nocive;
   successivamente, con la finanziaria del 2008, fu istituito presso l'Inail il Fondo per le vittime dell'amianto, finanziato con risorse provenienti per tre quarti dal bilancio dello Stato e per un quarto dalle imprese; il fondo è utilizzato per erogare una prestazione aggiuntiva a favore del lavoratore titolare di rendita diretta, anche unificata, al quale l'Inail l'ex Istituto di previdenza per il settore marittimo abbiano riconosciuto una malattia asbesto-correlata conseguente a esposizione all'amianto e alla fibra «fibertrax» e la cui inabilità o menomazione abbia concorso al raggiungimento del grado minimo indennizzabile in rendita pari o superiore al 16 per cento. Tale beneficio è riconosciuto anche ai familiari titolari di rendita e superstiti, nel caso in cui la malattia asbesto-correlata abbia contribuito a causare la morte dell'assicurato;
   ultimamente, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con decreto del 4 settembre 2015, emanato di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze ha disposto in via sperimentale che l'Inail eroghi ai malati di mesotelioma che abbiano contratto la patologia o per esposizione familiare a lavoratori impiegati nella lavorazione dell'amianto ovvero per esposizione ambientale comprovata, una prestazione assistenziale d'importo fisso pari a euro 5.600,00 (cinquemilaseicento euro), da corrispondersi una volta sola, su richiesta dell'interessato e ciò per gli anni dal 2015 al 2017, attingendo dall'ordinario Fondo per le vittime dell'amianto;
   molti sono i lavoratori esposti e vittime dell'amianto appartenenti alla Marina militare all'Aeronautica militare e all'Esercito, e poiché non esiste una disciplina che contempli espressamente la tutela in favore anche dei militari e comunque di tutti i lavoratori del comparto delle Forze armate, in condizione di eguaglianza rispetto agli altri lavoratori, l'Ona presta un servizio di tutela legale tramite un suo sportello on line al fine di garantire anche per essi prevenzione e tutela delle patologie asbesto correlate;
   dal sito dell'associazione si apprende che grazie all'impegno dell'Avvocato Ezio Bonanni e del comitato degli appartenenti alla Marina militare e dei loro familiari, sono stati raggiunti significativi risultati, come la equiparazione delle vittime dell'amianto, alle vittime del dovere, con la liquidazione delle relative provvidenze, fino alla richiesta di rinvio a giudizio nel processo Marina bis;
   infatti, numerosi militari della Marina, affetti da patologie asbesto correlate, e loro familiari, con l'assistenza legale dell'Osservatorio nazionale sull'amianto – Ona onlus e dell'Avvocato Ezio Bonanni, hanno ottenuto il riconoscimento di vittima del dovere e l'accredito delle relative prestazioni e tutela dei diritti;
   è parere dell'interrogante che esista una disparità di trattamento per quanto riguarda le vittime da esposizione ad amianto in quanto vengono riconosciuti in maniera del tutto automatica le previdenze ed assistenze dovute ai lavoratori civili che abbiano contratto malattie asbesto correlate mentre ciò non avviene per i militari appartenenti alle forze armate, in particolare della marina militare;
   inoltre, sorge spontaneo il dubbio in merito a quanti aventi diritto delle forze armate non siano a conoscenza della possibilità di ottenere quanto in loro diritto –:
   quali iniziative normative urgenti intendano adottare i ministri interrogati per garantire anche ai militari appartenenti alle Forze armate italiane e in particolare, a quelli della Marina militare, gli stessi diritti riconosciuti alle vittime civili dell'amianto e con quali tempistiche;
   come si intenda tutelare il personale militare coinvolto di cui in premessa e i loro familiari;
   se si intenda, di concerto con l'Ona, avviare una campagna di sensibilizzazione per gli aventi diritti ai benefici di cui in premessa che ancora non sono a conoscenza della possibilità di avere riconosciute le stesse indennità spettanti alle altre vittime dell'amianto e con quali modalità. (5-08086)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO, GRILLO e MARZANA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 6 luglio 2014 veniva trovato il corpo senza vita del caporale Antonio Drago presso la caserma dei Lancieri di Montebello in Roma nella quale prestava servizio;
   due programmi televisivi hanno ripreso le testimonianze della madre del Caporale Drago, la signora Rosaria Intranuovo e dell'avvocato difensore Alessio Cugini su diversi aspetti di questo caso di cronaca;
   da tali testimonianze emerge in particolare che:
    a) fin dai primissimi istanti successivi al ritrovamento del corpo, il personale interno alla caserma ha sostenuto fortemente l'ipotesi di suicidio collegandola all'asserita crisi sentimentale che lo stesso stava attraversando con la fidanzata;
    b) dalle testimonianze dei commilitoni (neppure tutti quelli presenti e con modalità tali da lasciare seri dubbi in merito allo svolgimento delle stesse secondo le prescrizioni di legge e verbalizzate alla medesima ora, nonché in termini perfettamente coincidenti) emergerebbe un forte stato di depressione ed esasperazione del caporale che avrebbe trovato esito nel presunto folle gesto;
   l'avvocato Cugini e la signora Intranuovo hanno denunciato, nelle trasmissioni televisive già citate, alcune discrepanze oggettive tra la versione riportata «ufficialmente» dal personale interno alla caserma e i dati riscontrati sul corpo del giovane (come per le risultanze medico-legali); infatti, secondo la loro tesi, si riscontrano alcuni comportamenti imprevisti da parte delle istituzioni militari, che hanno definito, appena poche ore dopo ciò che accade tra il 5 e il 6 luglio 2014, suicidio per causa d'amore;
   altri aspetti lasciano perplessi la madre e l'avvocato del caporale Drago e riguardano in primo luogo il mancato rispetto delle procedure riferibili al reperimento, secondo legge, delle prove all'interno dei luoghi in cui il caporale avrebbe trascorso le ultime ore della sua vita e, primo fra tutti, il suo armadietto personale;
   in una dichiarazione riportata dal quotidiano « Il Manifesto» (http://ilmanifesto.info/antonino-drago-il-caso-non-e-chiuso/) la signora Intranuovo afferma: «Ci hanno detto che si era buttato dalla finestra. La dottoressa Siciliano che per prima ha visto il corpo ha parlato di «precipitazione e folle gesto». Ma noi avevamo già dei dubbi per cui abbiamo chiesto che all'autopsia partecipasse anche un medico di parte civile. L'esame è stato compiuto al Gemelli dal dottor Senati, nominato dal pm Galanti, e il dottor Bartoloni, per la parte civile. Nelle 12 pagine finali hanno scritto che Tony è morto per la caduta e che sulla schiena aveva dei graffi vecchi di 3 o 4 giorni. Aveva anche una ferita alla testa». Ma l'autopsia non ha detto tutto, mancanze su cui la famiglia punta il dito: «Non è stato mai condotto un esame tossicologico, né prelievi di tessuti o epidermide. Non viene indicata nemmeno l'ora della morte e ai nostri legali è mai stato permesso di visitare la caserma solo un mese dopo, il 6 agosto. Quando ci sono riusciti, erano scortati da dieci militari. Tre mesi dopo la scomparsa del figlio, Rosaria Intranuovo è entrata in quella caserma. Ha visitato il bagno dalla cui finestra si sarebbe lanciato suo figlio. Secondo la versione ufficiale il giovane sarebbe salito su una sedia per potersi buttare. Per la madre invece «il corpo è stato trovato a 5 metri di distanza dall'edificio. Come ha fatto ad arrivare così lontano saltando da una sedia ? Doveva prendere la rincorsa per spingersi così in avanti. E il suo corpo, mi hanno ripetuto due suoi commilitoni, era troppo «perfetto», composto, con le mani a protezione del viso e le infradito ancora ai piedi»;
   nell'articolo si legge ancora: «poi ci sono quei segni sulla schiena, graffi e lividi, e il tatuaggio che si era fatto a memoria del terremoto de L'Aquila sfregiato con un taglio. Il dottor Giuseppe Iuvara, esperto consultato dalla trasmissione «Chi l'ha visto», ha affermato nell'intervista: «Gli interrogativi sono molti. La posizione del corpo, con le braccia a protezione del torace come fanno i paracadutisti, e non aperte come un aspirante suicida; l'assenza dell'esame tossicologico, sempre compiuto in caso di suicidio; il mancato rilevamento della temperatura corporea, il parametro più attendibile per determinare l'ora della morte. Dalla descrizione sullo stato del corpo si può dedurre che sia morto dalle 8 alle 6 ore prima del ritrovamento, ovvero intorno alle 1 di notte». Eppure i militari in stanza con Tony hanno dichiarato di averlo visto nella camerata fino alle 6 del mattino»;
   nell'articolo è inoltre rilevato che sempre secondo il dottor Iuvara «la cui analisi concorda con quella di altri cinque medici legali consultati dalla parte civile», «sulla testa sono state trovate due ferite. Ma non sono fratture «a mappamondo», tipiche di una caduta. Sono due buchi prodotti da un oggetto dalla forma definita. Inoltre è stata riscontrata una frattura della sesta vertebra toracica che si verifica quando si cade all'indietro e non in avanti. Le abrasioni sulla schiena ? Risalgono ad almeno tre giorni prima»;
   «Le incongruenze sono troppe – ha spiegato la signora Rosaria Intranuovo –. Le testimonianze dei commilitoni, le manchevolezze dell'esercito. Questo caso non può essere chiuso. In quella caserma è successo qualcosa: uno scherzo finito in tragedia, nonnismo. Non lo sappiamo, ma siamo sicuri che Tony non si sia ucciso. Qualche tempo prima si era lamentato dell'atmosfera che regnava in caserma, diceva di voler essere trasferito. Ora chiediamo alla Procura di indagare: i nostri legali Cugini, Uricchio e De Paolis hanno presentato un rapporto di 26 pagine. Vogliamo sapere cosa è successo il 6 luglio del 2014» –:
   quali iniziative siano state avviate dal Ministro interrogato per contribuire a fare chiarezza sulla vicenda e per accertare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità dei vertici e del personale della caserma Sabatini;
   se sia stata avanzata alla famiglia del caporale Drago una proposta d'indennizzo economico per comporre la vertenza insorta tra le parti ed, in caso di risposta affermativa, a quanto ammonterebbe.
(4-12463)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI, MISIANI e BRAGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 208 del 28 dicembre 2015, «Legge di Stabilità 2016» è stata prorogata, fino al 31 dicembre 2016, la detrazione fiscale del 65 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica e di adeguamento antisismico degli edifici;
   la detrazione comunemente conosciuta come «ecobonus», al 65 per cento per le spese sostenute fino a fine 2016, è riconosciuta se le spese sono state sostenute per:
    a) la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento;
    b) il miglioramento termico dell'edificio (coibentazioni – pavimenti – finestre, comprensive di infissi);
    c) l'installazione di pannelli solari;
    d) la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale;
   in particolare, la legge di stabilità 2016 ha previsto, all'articolo 1 comma 74, che per le spese sostenute dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali, i soggetti di cui all'articolo 11, comma 2, e all'articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 5, lettera a), del TUIR, in luogo della detrazione possono optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato i predetti interventi;
   le modalità di attuazione della cessione del credito sono demandate ad un provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2016;
   l'emanazione del provvedimento di cui sopra è stata recentemente sollecitata da Legambiente e dal Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori e da un articolo apparso su Qualenergia del 10 marzo 2016;
   il ritardo nei tempi di emanazione, da parte della Agenzia delle entrate, del provvedimento attuativo della cessione del credito rischia di rendere vano l'intento del legislatore: ovvero quello di superare le difficoltà di accesso dei contribuenti incapienti agli incentivi fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica dei condomini, attraverso la possibilità di cedere il relativo credito fiscale ai fornitori che hanno effettuato l'intervento che, anticipando le risorse necessarie, possono così innescare un processo virtuoso di rigenerazione del patrimonio edilizio italiano. Un processo quanto mai necessario oggi per ridurre lo smog che avvolge le nostre città e rispettare gli impegni assunti sul clima dal nostro Paese alla COP21 di Parigi;
   dagli ultimi dati disponibili sui bonus per ristrutturazioni e risparmio energetico si rileva che hanno prodotto 28,5 miliardi di euro di investimenti e 425 mila posti di lavoro fra diretti e indotto. Dal 1998 al 2015 questi incentivi hanno interessato oltre 12,5 milioni di interventi e milioni di famiglie. È evidente come i bonus energetici per la casa abbiano rappresentato una straordinaria misura anticiclica, qualificando il sistema imprenditoriale del settore, riducendo i consumi energetici, l'inquinamento e le bollette delle famiglie e facendo emergere il «sommerso» –:
   se quanto espresso in premessa trovi conferma;
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda assumere iniziative affinché l'Agenzia delle entrate emani celermente la sopracitata circolare per definire le modalità di attuazione della cessione del credito per gli interventi di riqualificazione energetica delle parti comuni di edifici condominiali. (4-12448)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   diversi organi e agenzia di stampa affermano che si stia preparando, proprio in questi giorni, un'operazione con cui Cassa depositi e prestiti, attraverso il fondo F2i (fondo italiani per le infrastrutture), diventerà di fatto un socio della Cir, la holding di un noto imprenditore italiano vicino agli ambienti di Governo;
   l'F2i, il principale fondo chiuso italiano dedicato a investimenti nel settore delle infrastrutture, è stato costituito dalla società di gestione del risparmio F2i SGR. spa ed è partecipato anche da Cassa depositi e prestiti e dalla principali banche italiane;
   il suddetto fondo si appresterebbe ad acquisire più del 40 per cento della Kos, o meglio della quota del private equity francese Ardian;
   la restante parte della società è infatti controllata per il 51,2 per cento dalla Cir (holding della famiglia del suddetto imprenditore), che opera nel campo sanitario, attraverso 52 residenze per anziani, 11 centri di riabilitazione, cliniche psichiatriche e comunità terapeutiche, 24 centri ambulatoriali, 30 centri di diagnostica e terapia, per un totale di 79 strutture e circa 7.100 posti letto soltanto in Italia, a cui si devono aggiungere anche i centri all'estero (Gran Bretagna fino all'India);
   secondo quanto riportato da agenzie di stampa l'operazione si concluderà questa settimana attraverso la firma, da parte dell'F2i, del contratto di acquisto della quota dell'Ardian secondo un prezzo stabilito, però, pari a 12 volte il margine operativo lordo di Kos, che lo scorso anno registrava circa 70 milioni di euro;
   sempre secondo la stampa, infatti, come base delle trattative si sarebbe considerato un valore societario, per il 100 per cento, oscillante tra gli 800 milioni di euro e un miliardo di euro, corrispondente dunque ad un valore tra gli 11 e i 14 Ebitda;
   a luglio 2016 dovrebbe scadere l'accordo parasociale stretto nel 2010 tra la Cir e l'Ardian secondo il quale quest'ultima potrà vendere le quote azionarie del gruppo a un valore quasi doppio rispetto a quello di acquisizione;
   il fondo di Cassa depositi e prestiti, dunque, subentrando attraverso l'F2i all'Ardian, acquisterebbe la relativa quota francese per investire in una delle società leader del settore sanitario, ma ad un prezzo ampiamente sopravvalutato: sembrerebbe, infatti, che nel 2014 la famiglia vicina agli ambienti governativi possedesse una partecipazione della società Kos pari a più di 99 milioni di euro e che una simile quota sarà rivalutata, per effetto dell'accordo che si sta concludendo, per oltre 430 milioni, tra cui anche 100 milioni di debiti, per una plusvalenza pari a 230 milioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga congruente con la mission di cassa depositi e prestiti l'acquisto di quote di una società che gestisce prevalentemente case di riposo;
   se non ritenga opportuno chiarire le ragioni alla base dell'operazione citata in premessa, a parere degli interroganti in aperto conflitto di interessi posto che, di fatto, Cassa depositi e prestiti sarà obbligata a partecipare alla rivalutazione della società di proprietà di imprenditori vicini agli ambienti di Governo, con conseguente grave pregiudizio delle risorse pubbliche. (4-12470)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, GALLINELLA, CIPRINI, AGOSTINELLI, CECCONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 4 marzo 2016 da fonti stampa si è appreso che una vasca di accumulo di acque provenienti dalle attività di scavo del cantiere dell'asse viario Quadrilatero Umbria-Marche, in località Cancelli di Fabriano è stata sequestrata da agenti del Corpo forestale dello Stato, perché avrebbe inquinato il corso del torrente Giano per circa sei chilometri, fino alla città, in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico;
   il Giano peraltro è ricco di fauna rara, come i gamberi di fiume e i salmonidi;
   le acque di lavorazione del cantiere della Quadrilatero confluivano in un bacino di decantazione artificiale dal quale, invece di essere convogliate nell'impianto di depurazione, traboccavano fino nel torrente, tanto da colorarlo completamente di bianco. Per verificare le caratteristiche delle acque sversate è stata chiesta la collaborazione dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, che si è attivata per eseguire le analisi;
   sono cinque le persone denunciate alla procura di Ancona per danneggiamento aggravato di acque pubbliche, deturpamento di bellezze naturali, immissione di rifiuti liquidi in acque pubbliche, getto pericoloso di cose e alterazione dello stato dei luoghi in zone tutelate;
   questo rappresenta l'ennesimo episodio salito all'attenzione della cronaca e della magistratura che coinvolge i cantieri della Quadrilatero –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire, per quanto di competenza, al fine di attivare una campagna di controlli per verificare il rispetto delle prescrizioni e delle procedure all'interno di tutti i cantieri della Quadrilatero;
   se non ritenga di dover approfondire, per quanto di competenza, ciò che è successo e che è stato riportato in premessa per escludere responsabilità amministrative ad ogni livello. (3-02098)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno dell'8 marzo 2016 si apprende che nell'ultimo decennio la Ferrovie Sud-Est abbiano investito per oltre un miliardo di euro grazie a contributi statali e ai fondi europei;
   sempre dalla stessa fonte stampa si apprende che dalle indagini dei revisori Deloitte, per conto del commissario Viero, emerge che la gran parte dei progetti e delle direzioni lavori è stata affidata ad un unico studio di cui il titolare è l'ingegnere Vito Antonio Prato che nell'ultimo decennio avrebbe incassato dalle Ferrovie-Sud-Est, a fronte dei progetti presentati, circa 54 milioni di euro e tale importo potrebbe essere anche in difetto visto il gran numero di incarichi che l'ingegnere Vito Antonio Prato avrebbe svolto per conto dalle Ferrovie Sud-Est;
   tra i vari incarichi svolti dall'ingegnere Vito Antonio Prato sembra esserci stato anche quello di direzione dei lavori per l'installazione lungo tutta la rete dei «sistemi a particolare valenza ambientale» come le barriere antirumore che sarebbero spuntate, secondo la fonte stampa, anche in punti di aperta campagna; inoltre, alcune avrebbero oggi problemi di deterioramento e in alcuni casi sarebbero sporgenti verso i binari tanto da costringere il rallentamento dei treni in questi tratti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di verificare ed eventualmente risolvere le problematiche evidenziate in ordine alla localizzazione delle barriere antirumore, al loro deterioramento e al conseguente rallentamento dei treni;
   se il Ministro possa riferire le motivazioni per cui l'ingegnere Vito Antonio Prato, sia stato scelto in maniera preponderante in relazione alle progettazioni e agli incarichi per conto delle Ferrovie Sud-Est. (5-08087)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria di Stradella, in provincia di Pavia, è una struttura gestita da Rete ferroviaria italiana del gruppo ferrovie dello Stato italiano;
   la stazione, inserita nella categoria « silver» da parte di Rete ferroviaria italiana, presenta varie barriere architettoniche e i sottopassi pedonali riservati all'accesso ai binari sono privi di ascensori o montascale per disabili e persone con difficoltà motorie;
   nella stazione, era presente una struttura, nei pressi del box del capotreno, che fungeva da pedana di attraversamento dei binari, nel caso di passeggeri in carrozzina o, più in generale, per persone impossibilitate ad usufruire delle scale;
   la pedana di attraversamento risulta scomparsa da più di un mese ed il personale della stazione ferroviaria ha motivato tale scelta con un problema di sicurezza, in quanto verrebbe infranta dall'attraversamento dei binari anche da parte di altri viaggiatori irrispettosi delle norme per cui la pedana non potrà più essere rimontata;
   Trenord, che gestisce la linea, afferma che non è obbligata a prestare assistenza;
   risulta quindi evidente che le persone diversamente abili o con momentanee difficoltà motorie, ma anche utenti con carrozzine o passeggini per bambino, sono impossibilitate ad usufruire dei servizi ferroviari dalla stazione di Stradella –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere perché nelle stazioni ferroviarie italiane venga garantito l'accesso alla mobilità e la fruibilità dei servizi da parte di persone con abilità differenti;
   quali iniziative di competenza intenda attivare affinché venga risolta, con urgenza, l'inaccettabile situazione riscontrata nella stazione di Stradella. (4-12457)


   LO MONTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta la viabilità della regione Sicilia è a rischio. A lanciare l'allarme questa volta è il Genio Civile che ha denunciato la grave situazione di pericolo, accertata a seguito di un lungo ed attento sopralluogo, del ponte di Passo Arancia nella Valle D'Agrò, in provincia di Messina;
   è stata dunque chiesta, dal Genio Civile, l'autorizzazione alla regione per redigere una perizia sommaria per la messa in sicurezza della pila del ponte di contrada Aranciara e per la sistemazione del sottostante tratto del torrente Antillo;
   nella relazione inviata al competente assessore regionale si legge testualmente: «il ponte che attraversa il torrente Antillo a passo Aranciara presenta uno scalzamento concentrato alla base della pila di sostegno della struttura. Al fine di non compromettere la staticità dell'intero manufatto, e quindi per la sicurezza della viabilità, è necessario un intervento di sottomuratura alla base della pila, unitamente alla sistemazione dell'asta torrentizia nel tratto interessato»;
   si tratta, come è esposto nel testo, dell'ennesima situazione di degrado e di pericolo che interessa la viabilità della regione Siciliana ed, in particolare, di questa zona dell'isola che vede compromessa anche la viabilità della strada provinciale n. 12 «Santa Teresa-Limina» e della strada provinciale «Santa Teresa-Antillo», a causa di gravi dissesti che, se non sanati, potrebbero provocare l'isolamento dell'intera Valle;
   su queste importanti vie di collegamento insistono altre criticità rilevate dal Genio Civile. Infatti, per quanto riguarda la strada provinciale n. 12, sono state rilevate criticità relative al ponte sul torrente Crapinaro, a passo Murazzo «per la costante erosione di una condotta di scarico delle acque piovane...»; mentre si è riscontrato il distacco del parapetto del ponte del torrente Porcheria sulla strada provinciale n. 15;
   l'elenco delle situazioni di rischio e di degrado della rete stradale in Sicilia, ora riportata, dimostra lo stato di abbandono e di incuria in cui versano centinaia di strade urbane, extraurbane e autostrade che avrebbero bisogno di manutenzione ordinaria e straordinaria al fine di eliminare ogni situazione di rischio per i viaggiatori –:
   se il Ministro interrogato non intenda avviare un attento monitoraggio sullo stato dei collegamenti stradali, assumendo iniziative per quanto di competenza, per stanziare le risorse necessarie per effettuare, in collaborazione con la regione siciliana, gli interventi più urgenti di manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade che, specialmente in questa regione, si trovano oggi in pessime condizioni essendo interessate da continui cedimenti e smottamenti, che rappresentano un serio rischio per l'incolumità dei cittadini e delle cittadine. (4-12462)


   BONOMO, MARIANI, BRUGNEROTTO, TACCONI, BECATTINI, GELLI, BENI, CUPERLO, BENAMATI, TARICCO, VENTRICELLI, BAZOLI, ALBINI, COCCIA, CARRESCIA, ROBERTA AGOSTINI, GANDOLFI, MISIANI, D'INCECCO, ZARDINI, LA MARCA, FEDI, GASPARINI, LENZI, IORI, GUERRA, PATRIARCA, PORTAS, BRUNO BOSSIO, VALIANTE, CAPONE, CAPOZZOLO, FABBRI, FAMIGLIETTI e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 109 del 1994, cosiddetta Legge Merloni, ha introdotto l'istituto degli incentivi spettanti agli Uffici per la progettazione interna agli enti pubblici (articolo 17 e 18);
   la ratio della disciplina consiste, da un lato, nella valorizzazione delle professionalità esistenti dell'ente e, dall'altro, nell'esigenza di promuovere consistenti risparmi di spesa pubblica, atteso che l'espletamento delle mansioni ad opera del personale dipendente ha costi comunque ben inferiori all'aggiudicazione del servizio in favore di soggetti esterni all'amministrazione;
   l'articolo 18 della legge n. 109 del 1994, nella versione originaria, consentiva di riconoscere una quota non superiore all'1 per cento del costo dell'opera o del lavoro in favore dell'ufficio «qualora esso abbia redatto direttamente il progetto esecutivo della medesima opera o lavoro»: la «legge Merloni» trattava, dunque, solamente gli incentivi per la redazione di progetti esecutivi di opere o lavori pubblici;
   tale disciplina – che inizialmente riguardava soltanto gli incentivi per la redazione di progetti esecutivi di opere o lavori pubblici – è stata innovata, una prima volta, con l'articolo 6 del decreto-legge n. 101 del 1995, che ha esteso l'incentivo anche ai progetti (di opere o lavori) preliminari e definitivi, alle indagini geologiche e geognostiche nonché agli studi di impatto ambientale, ed all'aggiornamento dei progetti già esistenti «di cui sia riscontrato il perdurare dell'interesse pubblico alla realizzazione dell'opera»;
   successivamente, con legge 15 maggio 1997, n. 127 (articolo 6, comma 13), l'incentivo è stato esteso anche alla redazione di atti di pianificazione: l'articolo 18 della «legge Merloni» è stato in tal sede modificato nel senso che «L'1 per cento del costo preventivato di un'opera o di un lavoro ovvero il 50 per cento della tariffa professionale relativa ad un atto di pianificazione generale, particolareggiata o esecutiva sono destinati alla costituzione di un fondo interno da ripartire tra il personale degli Uffici tecnici dell'amministrazione aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione, qualora essi abbiano redatto direttamente i progetti o i piani, il coordinatore unico di cui all'articolo 7, il responsabile del procedimento e i loro collaboratori». All'articolo 18 della legge n. 109 del 1994 fu dunque aggiunto il comma 1-bis, secondo il quale «il fondo di cui al comma 1 è ripartito per ogni singola opera o atto di pianificazione, sulla base di un regolamento dell'amministrazione aggiudicatrice o titolare dell'atto di pianificazione...»;
   la «legge Merloni» è stata successivamente oggetto, in parte qua, di ulteriori novelle: con la legge 17 maggio 1999, n. 144 (articolo 13, comma 4) sono stati riscritti i commi 1, 1-bis e 2 dell'articolo 18 della legge n. 109 del 1994. Il primo comma dell'articolo 18 della legge n. 109 del 1994 è stato dedicato agli incentivi dovuti per la redazione dei progetti, del piano-sicurezza, per la direzione lavori ed il collaudo «di ogni opera o lavoro» (da corrispondersi in misura non superiore all'1,5 per cento dell'importo posto a base di gara); il comma 1-bis del medesimo articolo 18 della «legge Merloni» ha invece imposto di riconoscere ai «dipendenti dell'Amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto» il «30 per cento della tariffa professionale relativa ad un atto di pianificazione comunque denominato»;
   tali previsioni sono state poi recepite dal decreto legislativo n. 163 del 2006, cosiddetto «Codice dei Contratti», ed in particolare dall'articolo 92, commi 5 e 6, in tema di incentivi alla progettazione e pianificazione urbanistica. La norma prevedeva compensi incentivanti sia in relazione alla progettazione di opere pubbliche (comma 5) sia in relazione alla redazione di atti di pianificazione (comma 6). Con particolare riferimento a questi ultimi, l'articolo 92, comma 6, statuiva (come già i previgenti articoli 17 e 18 della legge 12 febbraio 1994, n. 109) che «Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5, tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto»;
   l'articolo 13 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 (Gazzetta Ufficiale n. 144 del 24 giugno 2014) ha abrogato i commi 5 e 6 dell'orticolo 92 del codice dei contratti. Peraltro, contestualmente la stessa normativa ha introdotto, nel successivo articolo 93, commi 7-bis e seguenti, una disciplina degli incentivi alla progettazione del tutto analoga – per quanto qui interessa – alla precedente;
   in attuazione di tali disposizioni i comuni e, più in generale, tutti gli enti pubblici dotati di nuclei di progettazione all'interno dei propri uffici, si sono dotati di un idoneo regolamento attuativo, sulla base del quale hanno erogato gli incentivi previsti dalla legge in favore dei propri dipendenti (Regolamento per la definizione ed il riparto dei fondi di incentivazione per la progettazione di opere pubbliche e la pianificazione urbanistica, ai sensi dell'articolo 92 del decreto legislativo n. 163 del 2006);
   la recente legge delega per l'attuazione della nuova disciplina europea in materia di appalti pubblici e concessioni (legge 28 gennaio 2016, n. 11) ha previsto, al comma 1, lettera rr), una revisione della disciplina per gli incentivi per la progettazione interna delle pubbliche amministrazioni;
   con riferimento alle disposizioni in vigore fin dal 1994, la disciplina del cosiddetto incentivo alla progettazione è stata oggetto di dubbi interpretativi, con particolare riferimento alla corretta portata applicativa delle disposizioni recate dall'articolo 92, comma 6, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163: «Il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato è ripartito, con le modalità e i criteri previsti nel regolamento di cui al comma 5 tra i dipendenti dell'amministrazione aggiudicatrice che lo abbiano redatto» ed, in particolare, della definizione ivi riportata «atto di pianificazione comunque denominato»;
   l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP), (deliberazione del 21 novembre 2012, AG 22/12), nell'escludere la possibilità di estendere l'incentivo alla pianificazione dei servizi integrati di igiene urbana, ha diffusamente argomentato l'applicabilità dell'articolo 92, comma 6, del codice alla attività di pianificazione «comunque denominata», a prescindere dalla natura (puntuale o generale) dello strumento in corso di formazione;
   secondo l'AVCP, «la pianificazione urbanistica, anche se in forma mediata, inerisce anche a opere o impianti pubblici... Infatti, i piani regolatori contengono tra le altre sia previsioni di c.d. zonizzazione... sia norme di localizzazione di aree destinate a formare spazi di uso pubblico, ovvero riservate a edifici pubblici o di uso pubblico...»;
   l'Autorità ha sottolineato il nesso comunque sussistente tra pianificazione urbanistica e realizzazione di opere pubbliche: «la natura stessa e il contenuto della pianificazione urbanistica e in particolare dei piani regolatori consente l'erogazione dell'incentivo ex articolo 92, comma 6, del Codice dei contratti a favore dei dipendenti che abbiano partecipato alla redazione di tali strumenti urbanistici, in quanto tali atti afferiscono, sia pure mediatamente, alla progettazione di opere o impianti pubblici o di uso pubblico, dei quali definiscono l'ubicazione nel tessuto urbano»;
   d'altro canto, l'orientamento dell'Autorità di vigilanza assumeva il diritto all'incentivo per l'attività di progettazione urbanistica – a prescindere dalla natura puntuale o meno dello strumento – sin dal 2000, in sede di interpretazione dell'articolo 18 del codice dei contratti (determinazione n. 43 del 25 settembre 2000, G.U. 43/2000 del 25 settembre 2000), dove si recita testualmente: «La dizione utilizzata dal legislatore “atto di pianificazione comunque denominato” fa ritenere che in esso possano ricomprendersi, oltre che i vari tipi di atti di pianificazione, anche quegli atti a contenuto normativo, quali per esempio i regolamenti edilizi, che accedono alla pianificazione, purché completi e idonei alla successiva approvazione da parte degli organi competenti»;
   in nessun passo delle citate previsioni relative alla progettazione urbanistica il legislatore Ancora la spettanza dell'incentivo alla natura di variante puntuale, propedeutica all'approvazione del progetto di opera pubblica, propria dello strumento redatto dagli uffici;
   di diverso avviso, tuttavia, le pronunce del giudice contabile. La Corte dei Conti ha sottolineato, in particolare, che l'incentivo in esame può essere corrisposto esclusivamente nel caso in cui lo strumento di pianificazione sia strettamente connesso con la realizzazione di un'opera pubblica e non anche in relazione alla redazione di atti di pianificazione generale, quali possono essere il piano regolatore o una variante generale, i quali costituiscono diretta espressione dell'attività istituzionale dell'ente e non giustificano la deroga al principio dell'onnicomprensività della retribuzione (in tal senso – dopo diversi e contrastanti pronunce delle sezioni regionali – Corte dei Conti, sezione delle autonomie, deliberazione del 15 aprile 2014, n. 7);
   la Corte ha escluso la possibilità di riconoscere l'incentivo alla progettazione urbanistica ex se, dovendo concorrere – insieme alla redazione dell'atto di pianificazione – un requisito ulteriore individuato nella «intima connessione» tra lo strumento urbanistico in corso di formazione e la realizzazione di un'opera pubblica;
   date le descritte incertezze interpretative, con atto di segnalazione al Governo n. 4 del 25 settembre 2013, l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha richiesto chiarimenti in merito alla medesima questione; a tale atto, tuttavia, non è stato dato alcun riscontro;
   l'ANCI Toscana, in un parere del 20 giugno 2013 denominato «Gli incentivi per la progettazione urbanistica interna – la posizione di ANCI Toscana» ha illustrato come le intenzioni del legislatore fossero quelle di corrispondere l'incentivo per tutti i tipi di pianificazione urbanistica o territoriale, anche non puntuale. L'Associazione ritiene in particolare che: «La duplice ratio legis (contenimento della spesa pubblica e valorizzazione delle professionalità interne all'Ente) induce ad attribuire l'incentivo anche all'attività di pianificazione generale, altrimenti da affidare necessariamente all'esterno dell'Amministrazione. Inoltre, l'attività di pianificazione generale non costituisce espletamento di ordinarie mansioni dell'Ufficio, ricomprese nella retribuzione ordinaria, quanto impegno straordinario richiesto – in circostanze eccezionali (la redazione di un nuovo strumento) – al pubblico dipendente»;
   al contrario, alcuni comuni (tra i quali i comuni di Rivoli e Orbassano in provincia di Torino) hanno già proceduto, sulla base delle pronunce interpretative della Corte dei Conti, a instaurare procedimenti per la ripetizione di indebito nei confronti di propri dipendenti i quali – sulla base di regolamenti comunale emanati conformemente alla disciplina allora vigente – hanno ricevuto i suddetti incentivi per attività di pianificazione generale –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza di questo rilevante contenzioso e contrasto interpretativo in merito all'originaria portata della disciplina relativa alla incentivi alla progettazione e pianificazione urbanistica ex articolo 92, commi 5 e 6, del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   se non ritengano di dover assumere iniziative per chiarire con efficacia erga omnes quale fosse l'effettiva intenzione del legislatore, data la rilevanza dell'argomento – che incide su una delle funzioni fondamentali dell'amministrazione – e la gravità delle possibili conseguenze di un'errata applicazione delle norme;
   se – in particolare – si intenda chiarire l'intenzione del legislatore fosse quella di corrispondere l'incentivo a tutti i tipi di pianificazione (come sembrerebbe dalla dizione «atto di pianificazione comunque denominato») ovvero di circoscriverlo soltanto agli atti di pianificazione collegati alle opere pubbliche (varianti per il recepimento di opere pubbliche), come i recenti pareri (non tutti concordi) della Corte dei Conti hanno evidenziato;
   quali iniziative di competenza, anche normative, intendano assumere per evitare che le pubbliche amministrazioni – solo in base alla citata pronuncia della Corte dei Conti del 2014 – utilizzino lo strumento della ripetizione di indebito in un caso, come quello in esame, dove i dipendenti hanno percepito i descritti emolumenti in forza di atti e regolamenti approvati dalle stesse amministrazioni in attuazione della normativa citata. (4-12464)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina dell'8 marzo 2016, giorno della festa della donna, il sindaco di Petilia Policastro, Amedeo Nicolazzi, recatosi presso il monumento dedicato a Lea Garofalo, la donna uccisa brutalmente dal suo compagno Carlo Cosco, nel 2009 perché aveva deciso di collaborare con la giustizia, scopre che suddetto monumento è stato danneggiato;
   data, luogo e simbolo rendono l'accaduto inquietante e assolutamente non trascurabile;
   l'aver scelto nel giorno della festa della donna di sfregiare un monumento dedicato ad un simbolo del movimento antimafia rappresenta una sfida per tutte le coscienze libere del Paese;
   l'amministrazione di Petilia Policastro inoltre nei giorni precedenti aveva deciso di insignire la compagnia dei carabinieri del premio «Dionisio Sacco» uno dei principali riconoscimenti per chi si è distinto per il bene del territorio e della comunità –:
   se il Ministro sia a conoscenza di suddetto episodio e se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa utile, a partire dalla convocazione di un Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di predisporre una risposta forte da parte dello Stato contro chiunque intenda, anche attraverso atti di vandalismo, intimidire la comunità Petilia Policastro.
(5-08077)


   SCUVERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende che il 12 marzo 2016 è previsto a Pavia un concerto organizzato dal gruppo di estrema destra Skinheads Pavia, al quale partecipano band che inneggiano apertamente al nazifascismo, tra cui i Garrota, i Linea Ostile, gli Onda Nera e i Katastrof Aryan Rock;
   l'iniziativa di cui sopra si sarebbe promossa dalla sigla Skin 4 Skin, un'associazione che dichiara di offrire testualmente «supporto ai camerati in difficoltà», ovvero ai camerati che stiano scontando condanne o custodie cautelari in carcere;
   il concerto in programma rappresenterebbe un'iniziativa propagandistica della destra nazista, razzista e xenofoba;
   il luogo esatto del concerto non si conosce ancora e verrebbe reso noto nell'imminenza dell'evento, come accade di solito in occasione di eventi organizzati nell'ambiente naziskin;
   in concomitanza con il concerto di Pavia, un altro concerto nazi-rock si terrebbe a Milano, promosso da Forza Nuova in occasione della morte del terrorista nero Massimo Morsello, cofondatore della stessa Forza Nuova e prime membro dei Nuclei armati rivoluzionari (NAR);
   la legge n. 645 del 1952 vieta l'apologia del fascismo in tutte le sue forme, comprese le manifestazioni nelle quali chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare che a Pavia si svolgano concerti e raduni dichiaratamente inneggianti al fascismo e al nazismo, a giudizio dell'interrogante incostituzionali e contro la legge. (5-08083)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legittima difesa costituisce un atto estremo di un cittadino lasciato solo;
   la prevenzione della delinquenza e la tutela dei cittadini rappresentano un elemento imprescindibile di qualsiasi società civile e in questo lo Stato deve svolgere un ruolo decisivo e fondamentale;
   i sindacati di polizia in Sardegna hanno denunciato anche nei giorni scorsi una gravissima situazione legata a carenze d'organico e mezzi in tutta l'isola;
   l'epilogo gravissimo di questo allarme sicurezza in Sardegna si è registrato nella notte del 29 febbraio 2016 con una rapina alla Mondial Pol di Sassari messa a segno da un commando militare composto da una ventina di malviventi dotati di armi pesanti;
   l'allarme è arrivato al 113 quando l'evento criminoso era ancora in corso ed era in atto una sparatoria tra guardie giurate e malviventi;
   la nota girata in questura dal 118, nonostante si fosse a conoscenza che i malviventi fossero dotati di armamento pesante, trovava la totale adesione del personale presente in quell'istante;
   i poliziotti in servizio in quel momento si mobilitavano precipitandosi sul luogo dei fatti seppur, passati all'armeria del corpo di guardia, si rendevano conto che non vi erano armi lunghe disponibili e non c'era disponibile nemmeno un giubbotto antiproiettile;
   sarebbe stato assente qualsiasi supporto illuminotecnico (torce elettriche);
   una volta arrivati sul posto gli agenti intervenuti, che non sapevano ancora se all'interno dell'edificio fossero presenti i rapinatori, avrebbero fatto irruzione al buio, facendosi luce con i propri cellulari;
   dai bossoli rinvenuti sul posto e da altro armamento trovato all'interno di un'autovettura in uso ai rapinatori, gli stessi erano in possesso di armi automatiche di grosso calibro ovvero una dotazione militare a fronte di armi limitate nel numero e datate;
   i pochi agenti che avevano il «privilegio» di un'arma lunga erano dotati di PM.12, una mitraglietta Beretta calibro 9 del 1978, un'arma vecchia di 38 anni per fronteggiare un commando militare dotato di ogni genere di armamento;
   sarebbero risultati tutti scaduti anche i giubbotti antiproiettile;
   se l'assalto fosse stato di terroristi, se in ballo ci fosse stato un obiettivo sensibile nel cuore della città, il tracollo della sicurezza pubblica e individuale sarebbe stato di una gravità ancora più inaudita;
   le principali dotazioni delle forze dell'ordine in Sardegna risultano del tutto inadeguate e con la garanzia scaduta da tempo;
   ad un qualsiasi artigiano che riceve la visita dei controlli per la sicurezza sul lavoro vengono elevati verbali su verbali, sino a farlo fallire per un giorno di ritardo nell'adeguamento di un estintore;
   lo Stato, invece, che lascia migliaia di agenti ad operare senza garantire agli stessi strumenti di sicurezza minimi e a norma, non interviene e con ciò diventa corresponsabile di questi misfatti;
   nessun soggetto verifica le dotazioni di sicurezza del personale delle forze dell'ordine;
   tutto questo emerge da un documento interno, con una denuncia puntuale e circostanziata, trasmesso al questore di Sassari, da un'organizzazione sindacale;
   questa volta non ci sono state vittime, ma la rapina poteva finire in un vero e proprio drammatico bagno di sangue;
   occorre sollevare il velo pietoso di chi vuole coprire questa situazione gravissima e intollerabile, a tutela degli agenti e degli operatori tutti delle forze dell'ordine e dei cittadini;
   tra Sassari e Olbia all'appello manca il 30-35 per cento degli agenti previsti in organico;
   un dato di gran lunga superiore alla media nazionale del 13,2 per cento;
   gli agenti nel nord Sardegna sono 432, ma dovrebbero essere almeno il 30 per cento in più;
   ad Olbia – riporta il quotidiano la Nuova Sardegna – dove è stata scoperta la cellula di Al Qaeda non è stato aggiunto un solo agente in più;
   la provincia di Sassari è la quinta provincia d'Italia per estensione, con oltre 90 capimafia dislocati nel carcere di Bancali, ma si registra un'assenza di uomini e mezzi tra le più alte d'Italia;
   a Sassari il pronto intervento è garantito da una sola macchina e un organico che in 10 anni è stato quasi dimezzato;
   il commissariato di Olbia ha 68 agenti, ma dovrebbero essere almeno 90;
   ad Alghero sono 41 e ne mancano all'appello 19;
   sono sotto organico anche Ozieri, Tempio e Porto Cervo;
   vi sono pochi agenti anche nel Nuorese, che in una recente classifica è stata eletta prima provincia d'Italia per omicidi;
   la questura del capoluogo barbaricino dispone di 255 agenti a fronte dei 346 previsti in organico;
   sono tutti sotto organico anche i commissariati;
   a Gavoi, Lanusei, Macomer, Orgosolo, Ottana e Tortolì mancano tra gli 8 e i 9 agenti;
   è gravissima anche la situazione nella questura di Cagliari dove mancano 200 agenti;
   a Oristano si dispone di 150 uomini contro i 210 previsti;
   la polizia postale, nonostante il recente aumento dei reati informatici, dispone solo di 27 agenti –:
   se non ritenga indispensabile adeguare e garantire la presenza di uomini e mezzi delle forze dell'ordine che risultano palesemente insufficienti a garantire la sicurezza dei cittadini e delle comunità locali;
   se non ritenga di dover intervenire, per quanto di competenza, con la necessaria urgenza per fare chiarezza sui fatti legati alla rapina al caveau della Mondial Pol di Sassari per comprendere tutte le falle del sistema di protezione e d'intervento e le carenze dell'intero sistema;
   se non intenda rafforzare, con somma urgenza, i presidi territoriali sardi e la stessa rete di intelligence considerato che la ruspa con la quale è stato aperto il varco nello stabile rapinato è stata rubata dall'altra parte della Sardegna e ha attraversato l'intera isola per giungere a Sassari;
   se non ritenga di dover considerare come priorità organizzativa il fattore insulare, considerato che tale limite rende impossibile il supporto operativo di altre unità da altre regioni, e di adeguare le risorse e i mezzi, da quelli aerei abilitati al volo notturno ai reparti speciali dislocati nell'isola. (5-08088)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come più volte rappresentato dall'interrogante in diverse interrogazioni parlamentari e missive, il territorio riminese ha peculiari necessità di ordine pubblico, legate al massiccio numero delle presenze turistiche: le presenze registrate dalla provincia di Rimini nelle sole strutture ricettive (2.200 strutture alberghiere, di cui 1.200 nel solo capoluogo, più 420 strutture extralberghiere) ammontano infatti ad oltre 16.000.000 di presenze annue, con una media mensile di circa 1.300.000 persone, con picchi nei mesi di luglio e agosto sino a 4.500.000/4.700.000 unità;
   le presenze solo a Rimini sono di circa il 45 per cento di quelle registrate nell'intera regione Emilia-Romagna, mentre gli arrivi di turisti superano i 3 milioni e trecentomila;
   il divario tra il dato numerico della popolazione residente e di quello delle presenze di turisti non sussiste solo durante il periodo estivo, ma anche durante il periodo compreso tra settembre e maggio, a causa del processo di destagionalizzazione dell'offerta turistica riminese, unitamente in ragione della presenza di importanti opere, strutture e manifestazioni (fiera di Rimini, il palacongressi di Rimini, i centri congressi di Riccione, Bellaria e Cattolica, Notte Rosa, MotoGP); il solo calendario 2016 delle manifestazioni fieristiche prevede lo svolgimento di 35 eventi internazionali o nazionali, di cui alcuni di rilevanza mondiale, con la registrazione fino a 150.000 presenze per evento; tali massicce presenze si riverberano evidentemente sulla delittuosità: i dati del Ministero dell'interno sui reati denunciati, riportati dall'annuale rapporto pubblicato dal Sole24Ore (edizione del 7 dicembre 2015), posizionano la provincia di Rimini al secondo posto nella classifica nazionale dei reati denunciati, dopo Milano, con 7.945 reati ogni 100 mila abitanti, in leggero calo rispetto all'anno precedente;
   il totale complessivo di reati denunciati a Rimini è di 26.631 e la provincia risulta in particolare prima per i furti (5.648 su 100 mila abitanti) e per borseggi (1.006);
   sullo stesso Sole24Ore si riconosce come Rimini, pur non essendo una grande provincia, «è penalizzata dal fatto di avere una popolazione di appena 335 mila persone che i flussi turistici portano però alle dimensioni di una grande città con le relative conseguenze sul piano del rischio criminalità»;
   come confermato anche nel rapporto del presidente della corte d'appello di Bologna, la provincia di Rimini occupa la terza posizione – in Emilia Romagna – per numero di procedimenti penali aperti e la prima posizione per il rischio di infiltrazione di associazioni criminali di stampo mafioso come peraltro confermato nella relazione della Direzione investigativa antimafia presentata nel febbraio 2016;
   in relazione a tali fattori di rischio la provincia di Rimini è stata inserita nel progetto «mappatura criminalità organizzata» che consente il censimento delle organizzazioni criminali e dei soggetti ad esse collegati;
   la situazione attuale degli organici delle forze di polizia non considera tali peculiarità che caratterizzano la provincia di Rimini e la determinazione della pianta organica – avvenuta nella provincia di Rimini, all'atto dell'istituzione dell'ente con decreto ministeriale del 1996 – è tuttora commisurata al mero dato demografico della popolazione residente e non può ritenersi più congrua e adeguata rispetto alle esigenze operative connesse alle particolarità del territorio;
   le istituzioni locali hanno più volte manifestato l'esigenza di avere sul territorio una presenza strutturale di forze dell'ordine adeguata alle peculiarità turistiche e alle reali necessità di prevenzione e contrasto della criminalità piccola e organizzata, dell'abusivismo commerciale, della prostituzione;
   la pianta organica della questura di Rimini, risulta infatti al momento priva di 7 appartenenti al ruolo degli assistenti ed agenti anche rispetto all'attuale organico previsto, in ogni caso ritenuto non adeguato al territorio;
   attualmente, in organico, non è presente nessun dipendente con qualifica di agente per la mancata assegnazione di personale di nuova nomina, mentre la quasi totalità di personale di tale ruolo riveste la qualifica di assistenti capo con un'età media di circa 48 anni e con oltre i 20 anni di servizio;
   la carenza di personale del ruolo degli assistenti ed agenti crea non poche difficoltà nell'assicurare quotidianamente i numerosi servizi che per tipologia e competenza rientrano nei compiti tipici di quel ruolo (servizi di vigilanza-questura-prefettura-caserma di polizia-Sala C.o.t.-Controllo del territorio e centralino telefonico), anche in considerazione della particolare dislocazione dei vari uffici della questura di Rimini ubicati ancora in diversi stabili, in attesa di una nuova sede;
   a ragione di quanto sopra descritto, la questura di Rimini necessita a parere dell'interrogante di almeno ulteriori 3 funzionari del ruolo commissari e di 25 dipendenti da trarre dal ruolo agenti e assistenti; dotazioni organiche permanenti che consentirebbero di potenziare i turni delle volanti, gli uffici della divisione polizia amministrativa sociale e dell'immigrazione, della squadra mobile e della Digos;
   ogni anno vengono inoltre definiti gli organici dei rinforzi estivi che vengono inviati sul territorio riminese, con conseguenti oneri aggiuntivi per l'amministrazione: nel 2014 sono state aggregate 60 unità in più (300 contro le 240 del 2013) che hanno di fatto iniziato l'attività dal 6 luglio per terminare all'inizio di settembre; nell'estate 2015 è stato garantito l'invio di altrettante unità fra polizia di Stato, carabinieri, Guardia di finanza e militari dell'operazione «Strade sicure», consentendo importanti azioni di contrasto all'abusivismo commerciale e all'illegalità, anche in collaborazione con i corpi di polizia municipale;
   in vista dell'inizio della prossima stagione estiva risulta indispensabile rendere strutturale l'istituzione dei posti estivi di polizia di Riccione e Bellaria-Igea Marina, dal 15 giugno al 15 settembre, con l'invio di adeguato personale al fine intensificare i necessari servizi di prevenzione e controllo del territorio, nonché gli altri servizi istituzionali –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario rivedere – anche nel contesto dell'attuale riorganizzazione dei presidi sul territorio – gli attuali criteri di determinazione delle dotazioni organiche permanenti della questura di Rimini, rendendoli strutturali e più rispondenti alle effettive esigenze del territorio riminese, e riclassificando la questura stessa nella categoria superiore a quella in cui risulta inquadrata attualmente;
   se intenda valutare, in sede di determinazione dei contingenti da inviare nell'area in questione, per il periodo estivo, le peculiarità della provincia di Rimini, e pertanto di anticiparne l'invio almeno da metà del mese di giugno e stabilirne la presenza fino al 15 settembre 2016.
(4-12451)


   LO MONTE e PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 134 del T.U.L.P.S. (regio decreto del 18 giugno 1931, n. 773) prevede che le guardie particolari e gli istituti di vigilanza e di investigazione privata prestino opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e eseguano investigazioni o ricerche o raccolgano informazioni per conto di privati, escludendo quindi la possibilità di assistenza alla persona a fini di tutela dell'incolumità;
   l'articolo 256-bis del regolamento T.U.L.P.S., così come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 153 del 2008, si preoccupa inoltre di delimitare il settore della vigilanza privata in genere, sia in positivo, inquadrandovi «tutte le attività di vigilanza e custodia di beni mobili o immobili per la legittima autotutela dei diritti patrimoniali ad essa inerenti», sia in negativo, escludendo quelle attività che «implichino l'esercizio di pubbliche funzioni o lo svolgimento di attività che disposizioni di legge o di regolamento riservano agli organi di polizia»;
   il disposto delle succitate disposizioni normative risponde, nella sua originaria impostazione, all'ispirazione che ha improntato il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, mirante a subordinare la gran parte delle attività economiche al controllo del potere esecutivo, in un'ottica politica tipica di quel momento storico, e in modo particolare in settori quali il commercio delle armi ed i corpi armati, ritenuti una potenziale minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica con l'obiettivo, nello specifico, che l'attività di tutela della persona non fosse demandata a privati;
   la conseguenza della mancanza di una specifica regolamentazione del settore è che il servizio di tutela della persona, che il mercato richiede con sempre maggior frequenza anche alla luce della mutata percezione che il cittadino ha delle condizioni di ordine pubblico e del conseguente bisogno di sicurezza sentito a qualsiasi livello, viene oggi svolto in piccola parte da guardie giurate che formalmente tutelano i beni delle persone realmente oggetto di protezione, e per la maggior parte da personale in alcun modo controllato, che riveste i ruoli più disparati spesso senza avere alcuna specifica preparazione in proposito;
   in questa sede è opportuno, infatti, ricordare come le guardie particolari giurate abbiano specificità e requisiti di alto livello e devono essere in possesso di licenza prefettizia e sottostare alla vigilanza della questura competente, cosa che invece non avviene quando la tutela della persona viene garantita da accompagnatori, da personaggi affidatari di contratti diretti con la persona fisica per la quale lavorano o con ulteriori modalità lasciate al libero accordo tra le parti;
   l'impossibilità di svolgere da parte delle guardie giurate e degli istituti di vigilanza l'attività a tutela della persona rappresenta un unicum all'interno del panorama europeo, dove, pressoché in tutti gli Stati, seppur con declinazioni diverse, è presente il servizio della close protection;
   a tal proposito, non si può escludere un prossimo intervento da parte della Corte di Giustizia dell'Unione europea per porre fine ad una difformità tutta italiana, come d'altronde è già accaduto per altre fattispecie con la sentenza di condanna all'Italia del 13 dicembre 2007 (causa C-465/05), con la quale sono state rilevate difformità dall'ordinamento comunitario della normativa con riferimento all'obbligo di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana; alla mancata considerazione degli obblighi già assolti in altro Stato membro per i soggetti che intendano esercitare l'attività anche in Italia; alla validità territoriale limitata e alla subordinazione di un nuovo assenso al numero e all'importanza degli istituti già operanti nel medesimo contesto di riferimento; alla necessità di una sede operativa in ogni provincia; all'individuale autorizzazione di quanti intendano esercitare attività di vigilanza in Italia senza tener conto degli accertamenti e controlli dello Stato di stabilimento; all'obbligo di utilizzare un limite massimo o minimo di personale; all'obbligo di versamento di una cauzione presso la Cassa depositi e prestiti; alla fissazione di prezzi e di una loro limitata oscillazione affidata alla decretazione del prefetto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se siano allo studio ipotesi di modifica della normativa di settore finalizzate a consentire l'espletamento dell'attività di protezione della persona fisica da parte delle guardie giurate e degli istituti di vigilanza che, ottemperando alle rigide disposizioni normative di settore, dispongono delle necessarie caratteristiche tecniche, morali e professionali necessarie ad adempiere tale servizio, contribuendo in piena complementarietà con l'operato delle forze dell'ordine a garantire sempre maggiori livelli di sicurezza per le persone. (4-12455)


   MARCON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Venezia si è tenuto l'8 marzo 2016 un vertice tra Italia e Francia che sia il Presidente del Governo Matteo Renzi sia il Presidente della Repubblica Francese François Hollande hanno voluto proprio a Venezia per dedicarlo a Valeria Solesin, la giovane ricercatrice veneziana uccisa durante l'attacco terroristico al Bataclan il 13 novembre 2015;
   la lunga giornata sul fronte dell'ordine pubblico è iniziata poco dopo le 10, quando dalla stazione di Santa Lucia sono partiti i due cortei di manifestanti che protestano contro la Tav in Val di Susa e il transito delle grandi navi in Bacino San Marco. Sono state circa 500 le persone che hanno partecipato pacificamente alla manifestazione di protesta in rappresentanza di associazioni locali, con l'annunciata partecipazione di esponenti dei No Tav della Val di Susa e di altre realtà del nord e centro Italia. Un corteo si muove a piedi, mentre il secondo in barca. Il percorso si snoda nel seguente modo: Scalzi, Tolentini, campo Santa Margherita, i Carmini, San Sebastiano, San Basilio, le Zattere e Punta della Dogana;
   da mezzogiorno e per circa un'ora e un quarto, una quindicina di barche dei manifestanti hanno manifestato il loro dissenso contro il vertice cercando di entrare in bacino San Marco. Dopo alcune schermaglie tra i manifestanti a bordo delle barche e il cordone di barche delle forze di polizia le imbarcazioni dei finanzieri hanno usato gli idranti per tenere alla larga i manifestanti, provocando alcuni urti tra le barche e mettendo a repentaglio la sicurezza di chi si trovava a bordo;
   dalle 13 è scattata la «zona rossa» davanti a Palazzo Ducale, alla Basilica di San Marco e sulla riva del Bacino, con divieto di transito dei natanti fino a 100 metri di distanza. Da quel momento non è stato più possibile entrare in Basilica e salire sul Campanile di San Marco e sono rimasti chiusi la Biblioteca Marciana, i Musei Civici e naturalmente Palazzo Ducale –:
   quale sia stato il livello di mobilitazione delle forze dell'ordine, davanti ad una democratica manifestazione di dissenso e di protesta e già conclusa senza problemi di sorta;
   se si ritenga la gestione della situazione giustificata da reali ragioni di ordine pubblico, considerato che secondo l'interrogante essa è risultata lesiva del diritto di manifestazione;
   se non si ritenga opportuno assicurare una diversa gestione dell'ordine pubblico, in una città, Venezia, che ha già vissuto negli ultimi mesi episodi discutibili in merito. (4-12459)


   COLLETTI, VACCA e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da organi di informazione emerge che il 9 marzo 2016, nel corso della sessione pomeridiana del consiglio regionale dell'Abruzzo, il Governatore Luciano D'Alfonso ha mosso pesanti accuse nei confronti dell'operato della squadra mobile di Pescara coordinata dal pm Annarita Mantini, titolare dell'inchiesta « La City», una speculazione immobiliare che alcuni vorrebbero come nuova sede della regione, che vede già indagate quindici persone e sulla quale sono state pubblicate delle intercettazioni telefoniche fra D'Alfonso e l'assessore Paolucci, quest'ultimi non indagati;
   D'Alfonso, dopo aver elogiato la pm Mantini «la cui altezza professionale la rende al di sopra di ogni sospetto perché è figura di straordinaria professionalità, credibilità e valore istituzionale», ha aspramente attaccato gli investigatori della questura che ha definito «persone poco corrette, non terze e non obiettive», espressione di «un livello di vizio impastato di una parte della politica e un'attività giudiziarietta»;
   in particolare, il Governatore abruzzese ha sferrato un attacco diretto verso un investigatore del quale, peraltro, ha omesso di fare il nome e che a suo dire avrebbe abusato del suo ufficio concertando, ostacolando, contaminando e inquinando carte e indagini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti a cui ha sibillinamente alluso il governatore abruzzese;
   quali iniziative intenda intraprendere per accertare se vi siano o meno state interferenze nell'attività delle forze dell'ordine da parte dei politici abruzzesi;
   se non ritenga di dover difendere l'onorabilità e l'operato delle forze dell'ordine e, in particolare, di dover tutelare il lavoro dei componenti della squadra mobile di Pescara e verificare la possibilità di costituirsi nelle sedi opportune a difesa degli esponenti dell'autorità di pubblica sicurezza. (4-12474)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO, SOTTANELLI, ASCANI, GALLINELLA, FRATOIANNI, LAFFRANCO, CIPRINI, BRIGNONE, POLIDORI, PASTORELLI, LOCATELLI e BINETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è ad oggi irrisolto il caso «under 40» degli ex lavoratori della ThyssenKrupp Ast di Terni, che hanno accettato di lasciare il lavoro con la «buonuscita» e per i quali, terminato l'anno di mobilità, non è possibile accedere a nessun altro tipo di ammortizzatore sociale;
   la circolare dell'Inps n. 94 del 12 maggio 2015 ha disposto che per avere diritto alla nuova assicurazione sociale per l'impiego (NASpI) è necessario aver assommato trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
   dai terminali dell'Inps non risultano «le trenta giornate di lavoro effettivo» entro l'anno che precede l'inizio del periodi di disoccupazione (è evidente che se l'anno è trascorso in mobilità non può esserci il mese lavorativo), cosa che invece la sopracitata circolare riconosce per chi è stato in cassa integrazione anche per più di un anno;
   tuttavia, la circolare, non facendo riferimento alcuno, al caso di lavoratori in mobilità, determina il passaggio dei lavoratori, da una situazione di «tutela», rappresentata dall'anno di mobilità, ad una situazione in cui quella «tutela» rappresenta un limite rispetto alle tutele previste per tutte le altre situazioni di disagio;
   tutto ciò, a parere degli interroganti, rende incomprensibile una discriminante venutasi a creare verso chi è in mobilità. Nello specifico, chi ha ricevuto un solo anno di mobilità, secondo l'interpretazione testuale della circolare non avrebbe diritto ad una tutela maggiore, come tutti gli altri lavoratori, in disoccupazione –:
   se l'interpretazione della circolare dell'INPS sia nel senso strettamente testuale e, in questo caso, se l'assenza di riferimento ai casi di mobilità sia voluta, quindi non soggetta a possibile modifica, recando in tal senso una effettiva discriminante, e quali urgenti iniziative intenda assumere per sanare l'evidente discriminazione venutasi a creare attraverso l'interpretazione testuale della sopracitata circolare verso i lavoratori in mobilità. (3-02097)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOMBARDI, COMINARDI, CIPRINI, TRIPIEDI, DALL'OSSO e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cessione di Alitalia da C.A.I. (Compagnia Aerea italiana srl) a S.A.I. (Società aerea italiana spa), che ha rilevato il marchio e gli asset operativi della ex compagnia di bandiera e si è resa azionista per consentire l'ingresso di Etihad Airways nel capitale, ha portato con sé il licenziamento di migliaia di dipendenti, tra cui anche soggetti appartenenti alle categorie protette, già impiegati in misura inferiore rispetto alle quote obbligatorie prescritte dalla legge n. 68 del 1999;
   in base a quanto emerso finora, nella stragrande maggioranza dei tribunali, nell'ambito dei centinaia di ricorsi presentati, la quasi totalità dei licenziamenti è stata definita illegittima, in quanto operata in spregio delle norme sui criteri di selezione, sulla tutela delle categorie protette e sul rispetto formale delle procedure;
   in tal modo, Alitalia-Sai, oltre a non rispettare le norme e a non ottemperare alle sentenze che impongono la reintegra dei lavoratori, manifesta secondo gli interroganti una particolare indifferenza rispetto alla funzione di integrazione sociale che svolge il lavoro per persone disabili, i quali così vengono lasciati a casa; il comparto aereo è in costante crescita economica e industriale, il che indurrebbe a pensare che l'operazione condotta dalla compagnia aerea abbia scaricato sulla collettività il prezzo delle ristrutturazioni aziendali, dato che, oltre ai licenziamenti, Alitalia ha posto in essere generose elargizioni di ammortizzatori sociali, a danno della spesa pubblica e del futuro di migliaia di lavoratori espulsi dalla produzione, talvolta riassunti con salari da fame e senza tutele o, addirittura, sostituiti da precari a più basso costo e senza diritti, condannati a 60 mesi di «stagionalità» prima di essere stabilizzati;
   con ordinanza del 15 gennaio 2016, il tribunale di Roma ha disposto la reintegra di cinque lavoratori, dichiarando la nullità del licenziamento intimato da Alitalia nel 2014, in quanto motivato dalla cessione di azienda e dunque vietato dall'articolo 2112 del codice civile e dall'articolo 4 della direttiva 2001/23/CE: il licenziamento di migliaia di lavoratori, infatti, non può essere giustificato con la necessità del buon esito di cessione dell'azienda, la quale, peraltro, dovrebbe avere come scopo proprio la salvaguardia dei rapporti di lavoro ceduti a un nuovo soggetto in grado di conservarli; l'accordo sindacale su cui si basano i licenziamenti è dunque illegittimo, in quanto contrario alla legge e al diritto dell'Unione europea;
   inoltre, Alitalia ha proceduto a nuove assunzioni con contratto a tempo indeterminato, a dimostrazione del fatto che gli esuberi non erano necessari: a giudizio degli interroganti sono stati licenziati i dipendenti più costosi e assunti dipendenti con condizioni lavorative inferiori e minori tutele;
   è chiaro che questo è stato realizzato, secondo gli interroganti, attraverso aggiramento delle norme che, però, la «riforma Fornero» e il Jobs Act, in molto casi, hanno permesso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e dell'uso che Alitalia sta facendo degli strumenti messi a disposizione dal Jobs Act che, invece di dare luogo a nuovi posti di lavoro, determinano una preoccupante «guerra» tra licenziati, cassintegrati e nuovi assunti senza tutele di sorta;
   se, considerata l'ingente mole di ricorsi pendenti, il Ministro interrogato non reputi necessario intraprendere ogni iniziativa di competenza sul piano politico al fine di dirimere le controversie insorte, in accordo con le organizzazioni sindacali coinvolte nella vicenda;
   se non ritenga opportuno intervenire al fine di evitare che Alitalia Sai scarichi sulla collettività i costi della ristrutturazione aziendale, attraverso un'applicazione ad avviso degli interroganti, illegittima, della normativa finalizzata al sostegno del reddito dei lavoratori espulsi dal processo produttivo;
   se il Ministro non pensi che sia necessario assumere iniziative per contrastare in modo chiaro una prassi come quella testé descritta che si sta diffondendo in misura sempre maggiore e via via più preoccupante nell'ambito delle relazioni industriali. (5-08075)


   VALLASCAS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un'istanza dell'assessorato regionale del lavoro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha autorizzato la regione Autonoma della Sardegna a erogare gli assegni della mobilità in deroga relativa al 2014, per un ammontare pari a 116,6 milioni di euro (71,6 del Governo, 45 della regione), impiegando le somme destinate per il 2015;
   secondo quanto riportato dalla stampa locale, sembrerebbe che, nei procedimenti di pagamento, verrebbe data priorità a 2.190 beneficiari, che riceveranno il residuo 2014 e, per effetto della clausola della continuità nei pagamenti, potranno accedere alla mobilità in deroga nel 2015;
   resterebbero temporaneamente esclusi altri 7.000 potenziali beneficiari, già esclusi dalla mobilità in deroga nel 2015 per effetto della già citata clausola della continuità dei pagamenti;
   la questione della decadenza dei benefici era stata sollevata a seguito di una circolare esplicativa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, inviata il 12 dicembre 2015, nella quale il Ministero specificava meglio che uno dei presupposti per il riconoscimento della mobilità in deroga nel 2015 sarebbe stata la continuità dei pagamenti sino al 31 dicembre 2014, presupposto che sarebbe venuto meno nel caso di una sopraggiunta interruzione dei pagamenti;
   la decadenza dei citati benefici si verificherebbe, non solo nel caso di ripresa dell'attività lavorativa del beneficiario, ma anche nell'evenienza che l'interruzione delle erogazioni sia determinata da un'indisponibilità dei fondi, circostanza che, in Sardegna, avrebbe interessato appunto 7.000 potenziali beneficiari;
   secondo i rappresentanti sindacali, i circa 7.000 potenziali beneficiari sarebbero doppiamente penalizzati: oltre a non ricevere gli assegni relativi al 2015, inizieranno a ricevere gli assegni del 2014, se vi saranno risorse residue, solo dopo il completamento delle procedure di pagamento della mobilità 2014 e 2015 dei primi 2.190 beneficiari;
   si verificherebbe pertanto la spiacevole circostanza che vedrebbe coloro ai quali è stata sospesa per primi la mobilità in deroga essere pagati per ultimi;
   è il caso di rilevare che il riconoscimento degli ammortizzatori sociali assume una rilevanza di primaria importanza soprattutto in un contesto come quello sardo, fortemente provato dalla crisi economica che ha compromesso il tessuto produttivo della regione con ripercussioni negative sul tessuto sociale;
   sull'argomento, nel mese di gennaio 2016, l'interrogante ha depositato un analogo atto di sindacato il n. 5-07426, ancora senza risposta –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire a tutti i potenziali beneficiari della mobilità in deroga della regione Sardegna l'erogazione dei benefici per gli anni 2014 e 2015;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire ad oltre 7.000 beneficiari della mobilità in deroga, gli assegni relativi al 2015. (5-08080)

Interrogazione a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i voucher sono stati introdotti, nell'ordinamento italiano, dalla legge delega n. 30 del 2003 (articolo 4, comma 1, lettera d)) per regolamentare la retribuzione delle prestazioni occasionali di lavoro di tipo accessorio, poi disciplinate dal decreto legislativo n. 276 del 2003 (articoli 70-73);
   lo scopo era chiaramente quello di favorire l'emergere del lavoro nero e di consentire anche il pagamento di lavori occasionali e discontinui (come il giardinaggio, l'assistenza domestica, le ripetizioni private), per prestazioni di lavoro accessorie;
   con i successivi interventi normativi – legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010) e decreto legislativo n. 81 del 2015 – sono state introdotte significative novità rispetto al campo di applicazione che di fatto è stato esteso a tutte le categorie lavorative;
   ciò ha prodotto un progressivo aumento del numero di voucher. Il rapporto dell'INPS ha confermato il boom anche per il 2015:115 milioni di buoni-lavoro staccati da gennaio a dicembre, contro i 69 milioni del 2014 e i 36 milioni del 2013. Un aumento nazionale del 67,5 per cento in dodici mesi;
   il ricorso ai buoni lavoro è concentrato nel nord del Paese, e in particolare nel nord-est, che con 82 milioni di voucher venduti incide per il 38,7 per cento. La Lombardia, con 37,5 milioni, è la regione in cui sono stati venduti più buoni lavoro, seguita dal Veneto (29,9 milioni) e dall'Emilia-Romagna (26,3 milioni), ma si sta estendendo anche al sud;
   oggi i settori di maggior impiego del voucher sono il commercio (18,0 per cento), il turismo (13,7) e i servizi (13), mentre solo il 6 per cento ormai è venduto nel settore agricolo e appena il 3 per cento nei servizi domestici, le tipologie per cui era nato;
   alcune inchieste giornalistiche evidenziano delle storture nell'uso di voucher che, nati per contrastare il lavoro nero, di fatto invece lo alimenterebbero e lo proteggerebbero, in particolare mediante aggiramento del vincolo che si tratti di lavoro accessorio;
   dietro un singolo voucher si nasconderebbero, ad esempio, giornate di lavoro non regolamentate: è facilissimo impiegare un lavoratore in modo continuativo ma far emergere solo un'ora – un voucher di lavoro, da esibire in caso di infortunio o di ispezione. Infatti, non è necessario specificare quando si userà il voucher, ma solo l'arco di tempo (30 giorni) di «presunto» utilizzo;
   c’è chi parla addirittura di una nuova classe sociale, i nuovi poveri che, nonostante lavorino, vivono appena sopra il limite di sussistenza, o addirittura al di sotto. I buoni lavoro spesso rappresentano non un lavoro accessorio, ma l'unico mezzo di sostentamento di lavoratori svantaggiati che non hanno diritti, non maturano il trattamento di fine rapporto, non maturano ferie, non hanno diritto ad ammalarsi, a curarsi, a maternità o paternità, a ottenere un mutuo per la casa, al congedo matrimoniale, al permesso per accudire i figli malati, agli assegni familiari;
   l'uso di voucher inoltre sta dando corpo anche a due categorie di datori di lavoro: quelli che rispettano la norma e trasformano il rapporto accessorio in contratto non appena l'impiego diventa stabile e quanti continuano a suddividere illegalmente l'impiego stabile in più rapporti accessori;
   si afferma di imprenditori che una volta passato il controllo dei carabinieri del nucleo di tutela del lavoro hanno disattivato il voucher. Attivando il voucher tutti i giorni per una sola ora e disattivandolo a fine giornata porta alla conseguenza dell'impossibilità di contestare il lavoro nero;
   l'Inps non ha nessuna banca dati sulle disattivazioni e ha un'attività ispettiva limitata: può solo controllare il rispetto dei limiti di 7000 euro per lavoratore e 2000 per committente, ma non può entrare nel merito della prestazione lavorativa;
   il tema è sociale, ma anche economico; oltre all'aggiramento del vincolo di lavoro accessorio c’è tutto il tema dell'elusione fiscale e dei rimborsi a seguito di denunce di infortuni coperti da voucher. Nei 10 euro all'ora del ticket, il contributo Inail è standard: 70 centesimi. Che si tratti di un potatore arrampicato su un albero o di un'insegnante di greco, il versamento anti-infortuni è lo stesso. Così i rimborsi agli incidenti da «lavoro accessorio» ricadono sulla fiscalità generale. E gli infortuni, seppure pochi, accadono sempre più spesso –:
   quali urgenti iniziative di competenza, volte ad intensificare i controlli sugli abusi esposti in premessa e a dare seguito agli strumenti normativi attualmente previsti per il lavoro accessorio, intenda adottare perché il travaso da lavoro «standard» verso le mere «prestazioni» non cresca ulteriormente. (4-12456)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GAGNARLI, PARENTELA, GALLINELLA, LUPO, BENEDETTI e L'ABBATE. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   in merito all'uso dei prodotti fitosanitari (PF), lo strumento normativo attualmente in vigore è il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan), approvato con decreto ministeriale 22 gennaio 2014, entrato in vigore il 13 febbraio 2014, in applicazione della direttiva europea 2009/128/CE recepita dal decreto legislativo n. 150 del 2012;
   il decreto legislativo n. 150 del 2012, all'articolo 10, comma 4, ha stabilito che entro e non oltre il 26 novembre 2013, il Ministero della salute, d'intesa con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, avrebbe dovuto adottare specifiche disposizioni per l'individuazione dei PF destinati ad utilizzatori non professionali. Al comma 5 dell'articolo 10 è precisato che decorso il termine di due anni dall'adozione delle disposizioni di cui al comma 4 è da considerarsi vietata la vendita agli utilizzatori non professionali di PF non recanti in etichetta la specifica dicitura «prodotto fitosanitario destinato agli utilizzatori non professionali». Attualmente, agli interroganti non risultano emanate disposizioni in tal senso, con la conseguenza che gli utilizzatori non professionali non hanno più prodotti a disposizione;
   al punto A.5.6, il Pan ai fini della tutela della salute e della sicurezza pubblica, tra le altre misure previste, ha stabilito che, nelle aree agricole adiacenti alle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, individuate in maniera esemplificativa e non esaustiva, quali parchi e giardini pubblici, campi sportivi, aree ricreative, cortili e aree verdi all'interno con plessi scolastici, parchi gioco per bambini, superfici in prossimità di strutture sanitarie, è stato vietato l'utilizzo, a distanze inferiori di 30 metri, di PF classificati tossici, molto tossici e/o recanti in etichetta le frasi di rischio R40, R42, R43, R60, R61, R62, R63 e R68, ai sensi del decreto legislativo n. 65 del 2003 e successive modificazioni e integrazioni, o le indicazioni di pericolo corrispondenti, di cui al regolamento (CE) n. 1272/2008. Nel caso in cui venissero adottate misure di contenimento della deriva, tenuto conto delle prescrizioni indicate in etichetta e fatte salve le determinazioni più restrittive delle autorità locali competenti, tale distanza può essere ridotta fino ad una distanza minima di 10 metri;
   al successivo punto A.5.6.1 il Pan ha stabilito che in ambiente urbano, le autorità locali competenti per la gestione della flora infestante devono individuare le aree dove il mezzo chimico sia vietato e le aree dove il mezzo chimico può essere usato esclusivamente all'interno di un approccio integrato con mezzi non chimici e di una programmazione pluriennale degli interventi;
   al successivo punto A.5.6.2 il Pan ha stabilito, altresì, che le Autorità locali competenti, relativamente all'utilizzo dei PF ad azione fungicida, insetticida e acaricida devono tener conto che: sono da privilegiare misure di controllo biologico, trattamenti con prodotti a basso rischio come definiti nel regolamento (CE) 1107/09, con prodotti contenenti sostanze attive ammesse in agricoltura biologica, di cui all'allegato nel regolamento (CE) n. 889/08. In ogni caso è comunque escluso l'utilizzo di PF classificati tossici e molto tossici o che riportano in etichetta le seguenti frasi di rischio: da R20 a R28, R36, R37, R38, R42, R43, R40, R41, R48, R60, R61, R62, R63, R64 e R68, o le indicazioni di pericolo corrispondenti di cui al regolamento (CE) n. 1272/2008. La norma, inoltre, ha stabilito che tali prodotti non devono comunque, contenere sostanze classificate mutagene, cancerogene, tossiche per la riproduzione e lo sviluppo embriofetale, sensibilizzanti, ai sensi del regolamento (CE) n. 1272/2008. Per trattamenti mediante endoterapia, ferma restando l'esclusione delle sostanze che soddisfino i requisiti sopra indicati, è invece consentito l'impiego di PF classificati nocivi con frase di rischio R22 ed irritanti con frasi di rischio R36 e R38, purché espressamente autorizzati per la somministrazione endoterapica;
   entro due anni dall'entrata in vigore del Pan, lo stesso ha stabilito che le regioni e le province autonome devono definire protocolli tecnici che regolamentino i trattamenti nelle aree frequentate dalla popolazione o dai suddetti gruppi vulnerabili;
   con riferimento alla responsabilità del controlli sull'osservanza delle tante disposizioni del decreto legislativo n. 150 del 2012 e del relativo Pan quest'ultimo, al punto E, ha stabilito che le regioni e le province autonome, nell'ambito della propria organizzazione e legislazione, individuavano le autorità competenti preposte ai controlli, che il consiglio tecnico scientifico propone le linee guida sui controlli, costituite dalla raccolta di disposizioni e indicazioni aventi funzioni di indirizzo nei confronti delle Autorità competenti per le attività di controllo, ed un piano nazionale annuale per il coordinamento delle attività di controllo. Mentre il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali qualora lo avesse ritenuto opportuno, predispone una banca dati dei risultati dei controlli, al fine di garantire un adeguato flusso delle informazioni;
   il decreto legislativo n. 150 del 2012, all'articolo 12, ha stabilito, altresì, che le attrezzature per la distribuzione dei PF devono essere sottoposte, da parte dell'utilizzatore professionale, a controlli tecnici periodici ed a manutenzione. In particolare, il controllo funzionale delle irroratrici è reso obbligatorio per garantire un corretto funzionamento della macchine e quindi per ottenere il miglior risultato dal trattamento antiparassitario, evitare gli sprechi sia di prodotto distribuito che di denaro, evitare la dispersione di sostanze inquinanti e dannose per la salute dell'operatore e dell'ambiente;
    il decreto ministeriale 22 gennaio 2016, al punto A.3.2, ha stabilito l'elenco delle macchine irroratrici per le quali il primo controllo è previsto entro il 26 novembre 2016, mentre i controlli successivi, sono previsti ogni 5 anni fino al 2020 ed ogni 3 anni successivamente. Le stesse macchine sono suddivise in 3 categorie: macchine irroratrici per la distribuzione su un piano verticale, macchine irroratrici per la distribuzione su un piano orizzontale, macchine irroratrici e attrezzature impiegate per i trattamenti alle colture protette;
   l'articolo 12 del decreto legislativo n. 150 del 2012 ha stabilito che siano le regioni e le province autonome, gli enti preposti all'organizzazione e gestione dello svolgimento dei controlli funzionali attraverso l'autorizzazione conferita ai centri di prova ed ai tecnici abilitati per svolgere i controlli. Dagli ultimi dati a disposizione degli interroganti risulta che in Italia sono stati riconosciuti, o sono in via di riconoscimento, 194 centri di prova e 517 tecnici abilitati (database Enama) e, su 650.000 macchine irroratrici, ad oggi soltanto il 15-20 per cento sono state sottoposte al primo controllo funzionale;
   le imprese agricole, già vessate dalla pressione fiscale e sommerse da adempimenti burocratici, non stanno percependo il controllo funzionale delle irroratrici come un'opportunità di crescita professionale, di tutela dell'ambiente e di risparmio reale, ma come un ulteriore «balzello» sul loro utile di impresa;
   anche in base a constatazioni dello stesso Enama e considerati il numero di centri prova autorizzati, la diversità di efficienza delle regioni, la scarsa informazione degli agricoltori ed i tempi tecnici necessari alla esecuzione del controllo tecnico funzionale, è altamente probabile che, alla prima data di scadenza sopra indicata, l'Italia si ritrovi con oltre 300.000 macchine non controllate, sottoponendosi a pesanti sanzioni da parte dell'Unione europea –:
   quali siano i motivi del ritardo nell'adozione degli atti normativi per l'individuazione dei prodotti fitosanitari destinati agli utilizzatori non professionali, che avrebbero dovuto essere emanati entro il 26 novembre 2013;
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati, per quanto di propria competenza, circa le regioni e le province autonome che hanno provveduto a definire protocolli tecnici che regolamentano i trattamenti nelle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili;
   quali autorità competenti siano state individuate per la effettuazione e gestione dei controlli concernenti l'attuazione delle disposizioni previste dal decreto legislativo n. 150 del 2012 e dal Pan;
   se risulti che il Consiglio tecnico scientifico, di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 150 del 2012, per quanto stabilito al punto E del piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN), al fine di coordinare ed omogeneizzare i controlli a livello nazionale, abbia predisposto le linee guida sui controlli, nonché il piano nazionale annuale per il coordinamento delle attività di controllo;
   se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi del punto F del piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN), abbia assunto iniziative per predisporre la banca dati dei risultati dei controlli, al fine di garantire un adeguato flusso delle informazioni;
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati, nell'ambito delle proprie competenze, posto che il termine del 26 novembre 2016 entro il quale effettuare il primo controllo funzionale delle tipologie di irroratrici elencate al punto A.3.2 dei Pan è da considerarsi improrogabile in quanto derivante da una normativa comunitaria, per evitare l'irrogazione di sanzioni europee a causa del mancato rispetto delle scadenze imposte. (5-08085)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la manifestazione promossa dalla Coldiretti prevista per il 10 marzo 2016 a Catania, per difendere l'agricoltura made in Italy, che rischia di perdere i prodotti simbolo come le arance, ma anche i pomodori, il grano, l'olio e il latte, sotto attacco delle politiche comunitarie, delle distorsioni di mercato e delle agromafie, ripropone nuovamente, a giudizio dell'interrogante, le difficoltà del Governo e del Ministro interrogato, nel prevedere adeguate misure di tutela e salvaguardia nell'applicazione delle norme che tutelano i marchi ed i segni distintivi dei vari prodotti agroalimentari italiani, eccellenze del panorama mondiale, uniche ed inimitabili rispetto a qualsiasi altro Paese;
   l'interrogante evidenzia, in particolare, come la mobilitazione organizzata dalla suddetta organizzazione di agricoltori, parta dal Mezzogiorno, la cui area geografica rappresenta notoriamente le maggiori criticità socioeconomiche del Paese, in particolare con riferimento al settore agricolo, comparto da cui dipende tradizionalmente larga parte dell'economia meridionale;
   al riguardo, il recente rapporto sui crimini agroalimentari elaborato dall'Eurispes, la Coldiretti e l'Osservatorio sulla criminalità in agricoltura e sul sistema agroalimentare, rileva come, fra le molteplici cause legate alla contraffazione dei prodotti agroalimentari del made in Italy, quella legata al fenomeno del cosiddetto italian sounding produce conseguenze deleterie per l'economia italiana;
   accanto al predetto fenomeno, il medesimo rapporto aggiunge una realtà ancora più insidiosa: l’italian sounding di matrice italiana, rappresentato ad esempio dall'azione di chi importa materia prima (latte, carni, olio) dai Paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia, attraverso un meccanismo di dumping che danneggia il vero made in Italy, non esistendo ancora per tutti gli alimenti l'obbligo di indicare la provenienza in etichetta;
   in tale ambito, l'interrogante segnala come nel corso della manifestazione in precedenza richiamata, la presentazione dello studio sul rischio di estinzione della vera spremuta italiana (di cui regione Sicilia è portabandiera con il 79,5 per cento della quota produttiva nazionale) e la proiezione del documentario che evidenzia nell'isola un'inquietante «collezione» dei più scandalosi prodotti agroalimentari, venduti in Italia, in Europa e nel mondo con nomi che richiamano gli episodi, i luoghi e i personaggi della mafia, prodotti che vengono sfruttati per fare un business senza scrupoli sul dolore delle vittime e a danno dell'immagine del Paese, confermano la necessità di introdurre rapide misure al fine di incrementare i livelli di contrasto al fenomeno della contraffazione –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere, anche in sede europea, al fine di potenziare il sistema dei controlli e di contrasto all'italian sounding;
   quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare la qualità dei prodotti agroalimentari del made in Italy, in particolare quelli siciliani a denominazione di origine protetta, e indicazione geografica protetta, o costituenti specialità tradizionale garantita, la cui produzione rappresenta un fattore fondamentale e strategico dell'economia isolana e dell'intero Mezzogiorno. (4-12445)


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 16 febbraio 2016 la società alla Hippogroup spa ha notificato 22 lettere di licenziamento rivolte ai propri dipendenti;
   la Hippogroup spa, che ha in gestione l'ippodromo di Capannelle, è stata destinataria negli anni di numerose sovvenzioni pubbliche. Come si apprende da fonti stampa, infatti, dal 2007 al 2011, la Hippogroup Roma Capannelle Spa, grazie a una convenzione con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali si è aggiudicata 46.780.825 euro per «gestione impianti e corse» e «diritti immagine tv», riuscendo ad incassare la somma nonostante la messa in mora del comune di Roma e il concordato preventivo in continuità aziendale concesso dal tribunale civile;
   grazie alla chiusura dell'ippodromo del trotto a Tor di Valle, nel 2013 il Ministero ha concesso alla Hippogroup altri 1,6 milioni di euro come remunerazione per «gestione impianti e corse» e «diritti immagine tv» delle gare di trotto, anche se, a quanto risulta agli interroganti, la struttura di Capannelle era sprovvista dei servizi richiesti e necessari per il trotto, tipo centro di allenamento, obbligo di cavalli stanziali e impianto di illuminazione –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative urgenti al fine di salvaguardare i livelli occupazionali dell'azienda; se s'intendano vincolare le iniziative volte alla riassegnazione dei bandi sull'ippodromo di Capannelle alla presenza di clausole di riorganizzazione dell'ippodromo stesso. (4-12447)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARONI, LOMBARDI, DI BATTISTA, SARTI, VIGNAROLI, RUOCCO, GRILLO, DI VITA, MANTERO, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, DAGA, TERZONI e SARTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la società Geress srl (amministratori-Manfredi Genova e Massimo Forti) gestisce la casa di cura neuropsichiatrica Colle Cesarano di Tivoli con 200 posti letto accreditati definitivamente;
   la Colle Cesarano è una delle realtà maggiormente finanziate dalla regione Lazio con un budget di circa 8.300 milioni annuo. I dati di bilancio indicano, inoltre, un volume di produzione medio annuo di circa 10.300 milioni eppure dal 2010 al 2014 la società ha fatto ricorso per ben cinque volte agli ammortizzatori sociali, riducendo drasticamente un numero già esiguo di dipendenti e non solo;
   in costanza di cassa integrazione e procedure di mobilità, aperte sempre per «crisi aziendale» come si legge dalle procedure in esame, la Geress:
    ha licenziato un terzo del personale dipendente;
    ha aumentato del 20,75 per cento il ricorso all’outsourcing;
    ha «dirottato» circa 6 milioni di euro di fondi pubblici ad altre due società di cui controlla il Consiglio di amministrazione;
    ha fatturato prestazioni extra accordi regionali per circa 3,5 milioni di euro;
    ha aumentato del 168 per cento il compenso agli amministratori (2012/2013);
    ha disatteso accordi e normative regionali, con danno per le casse erariali come meglio specificato di seguito;
    è salita agli onori della cronaca per bassissimi livelli di assistenza e un elevato tasso di mortalità e mala gestio. Si richiamano, all'uopo, le interrogazioni del gruppo radicale (n. 495 del 16 giugno 2011; n. 553 del 18 agosto 2011; n. 690 del 12 gennaio 2012) a firma di Giuseppe Rossodivita. In queste risalta la statistica «in tre anni un morto ogni 50 giorni»;
    ha adibito un piano della struttura a due moduli di RSA per i quali mancherebbero i requisiti minimi previsti per l'accreditamento, per esempio si registrerebbe la mancanza di una considerevole metratura. Sono eloquenti le foto e il video allegati all'articolo di Tommaso Verga del 15 ottobre 2015 su hinterland;
    utilizza spazi destinati agli ospiti della Colle Cesarano (chiesa, bar, palestra, e altri due enormi locali adibiti per le attività ricreative) divenuti dal 2011 alloggi per gli immigrati (senza che venisse garantito di fatto un'effettiva separazione tra i primi ed i secondi) vicenda finita nel filone di inchiesta di «mafia capitale»;
    ha prestato l'attività sanitaria con un'autorizzazione all'esercizio sia di Villa Maddalena (sita in Castel Madama e asset della Colle Cesarano fino al 2008, oggi gestita da società appaltatrice) sia di Colle Cesarano tuttora poco chiara;
    ha gestito in enorme conflitto di interesse la liquidazione della Colle Cesarano Spa con la Casa di Cura gestione Geress. L'ingegner Massimo Forti (socio Geress) è stato liquidatore della Colle Cesarano Spa;
    ha ottenuto dall'ASL RMG dichiarazioni di conformità e verbali di ispezione rivelatisi secondo gli interroganti inattendibili come rilevato in sopralluoghi condotti dal primo firmatario del presente atto oltre che cose ricavabile dalla documentazione ufficiale disponibile (pianta organica, bilanci e relazione tecnica, planimetria della Colle Cesarano, copia fatture ASL RMG dal 2008-2011, mail inoltrate agli uffici regionali);
   quanto esposto è stato continuamente segnalato ai governatori del Lazio avvicendatisi negli ultimi anni. Numerose sono state, infatti, le interrogazioni in argomento, le notizie passate su stampa e televisione, le mail inviate ai funzionari regionali per competenza e contestualmente al presidente di giunta pro tempore, prima Renata Polverini e subito dopo Nicola Zingaretti;
   il riscontro ha prodotto esclusivamente vantaggi alla Geress:
    aumento di budget del 5 per cento sul tetto del 2012 tramite decreto del commissario ad acta (DCA) 9 aprile 2013 n. U00102 (definizione budget per l'anno 2013 delle prestazioni neuropsichiatriche con onere a carico del SSR erogate da strutture private), grazie al quale il budget della Colle Cesarano nel 2013 è aumentato di circa 600.000,00 euro raggiungendo 8.976.240 euro;
    rilascio dell'accreditamento istituzionale definitivo con DCA n. U00155 del 9 maggio 2013 per 160 posti letto di psichiatria e con DCA n. U00169 del 9 maggio 2013 per 40 posti letto di RSA;
    autorizzazione PRUSST asse tiburtino – comune di Tivoli – Centro Clinico Colle Cesarano SPA – intervento privato T34. Ristrutturazione ed ampliamento casa di cura in variante al piano regolatore generale vigente. Deliberazione n. 116 del 24 marzo 2015;
   al solo scopo di chiarire alcuni punti si specifica che:
    in attesa di ottenere l'accreditamento definitivo la Geress ha avviato tre procedure di riduzione del personale contravvenendo a quanto previsto dalla delibera n. 905 del 24 settembre 2004 e alla determina D0122 del 21 gennaio 2004, atti in vigore fino all'ottenimento dell'accreditamento definitivo e che stabilivano inderogabilmente l'assunzione d'obbligo da parte della Geress a «...non procedere a licenziamento di personale dipendente». Procedure di riduzione del personale a firma del funzionario regionale responsabile del procedimento dottor Raffaele Fontana;
    subito dopo l'ottenimento dell'accreditamento istituzionale, la Geress ha posto in essere altre due procedure di licenziamento collettivo, più precisamente il 17 maggio 2013 protocollo 104/2013 (appena 9 giorni dopo il decreto di accreditamento) per 10 unità lavorative ritenute in esubero, e il 26 settembre 2014 prot. 198/2014 coinvolgendo n. 28 unità lavorative. Procedure di licenziamento collettivo a firma del funzionario regionale responsabile del procedimento dottor Raffaele Fontana;
   nelle premesse di entrambi i decreti di accreditamento istituzionale definitivo sono riportate le attestazioni di conformità del direttore generale della ASL RM/G, prot. n. 2934 del 18 dicembre 2012 e prot. n. 2935 del 18 dicembre 2012, con le quali si certifica che i presidi sanitari denominati Colle Cesarano RSA e Colle Cesarano Psichiatria risultano essere in possesso dei «requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi e degli ulteriori requisiti per l'accreditamento di cui al DCA n. U00090/2010 con annessi allegati e successive modificazioni e integrazioni»;
   nell'ultima procedura di licenziamento collettivo, tra le motivazioni si menziona la «fuoriuscita delle figure professionali non previste dalle normative regionali sopra indicate e l'esternalizzazione di attività quali manutenzione e amministrazione. Il personale in esubero ha qualifiche non fungibili con quelle che dovranno essere impiegate»;
   in realtà l'accreditamento istituzionale della Casa di Cura «Centro Clinico Colle Cesarano» come detto, è avvenuto con i decreti innanzi richiamati e si è concretizzato sulla scorta delle maestranze impiegate, le stesse che per quattro anni ad avviso degli interroganti «sorprendentemente» sono considerate eccedentarie e non qualificate dalla gestione della Società Geress s.r.l.;
   se effettivamente così fosse, la regione Lazio avrebbe concesso un indebito accreditamento ai danni dell'erario, poiché avrebbe consentito la corresponsione di fondi pubblici e risorse in favore di soggetti privi di abilitazione alcuna, anche rispetto agli stessi ricoveri dell'utenza presso la struttura in questione. Ad ogni modo nella dotazione organica allegata alla procedura di mobilità risultano essere presenti n. 29 operatori tecnici assistenziali (posti in cassa integrazione guadagni in deroga per circa tre anni assieme ad altre 12 figure amministrative e non) mai riqualificati in operatore socio sanitario come previsto dalle normative regionali (DCA n. U0090/2010); inoltre, la società dichiara che è carente di n. 29 figure professionali tra terapisti, educatori professionali e tecnici di psicologia e ritiene altresì di sopprimere gli uffici amministrativi e di esternalizzare i servizi;
   per quanto esposto se ne deduce, ad avviso degli interroganti, che o l'accreditamento è nullo in quanto la società Geress s.r.l. è ancora nella fase di conclusione del piano di ristrutturazione e di adeguamento normativo, oppure l'accreditamento è regolare e la Società Geress s.r.l. ha mutato i presupposti normativi, disattendendo, a giudizio degli interroganti, apertamente i precetti regionali ed i requisiti in essi sanciti per procedere a quella che appare un'ingiustificata limitazione del personale;
   inoltre tutte le procedure poste in essere presso la casa di cura adducono tra le motivazioni, come si diceva, la «crisi aziendale» piuttosto che la diminuzione di budget. In realtà, la Geress contemporaneamente alle procedure elencate, godeva del più alto budget regionale, incrementava le casse della Colle Cesarano con la gestione del centro immigrati, finanziava in maniera cospicua altre due società, aumentava il ricorso a società di servizi, aumentava i compensi agli amministratori.
   il danno nei confronti dell'Erario è notevole, poiché si è sostanziata una condotta di dubbia leggittimità, l'INPS nel mentre, ignara di simili manovre, pagava la cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga ai dipendenti, dietro espressa autorizzazione di programmi salariali siglati presso e dalla regione Lazio;
   in relazione a tali aspetti è stata presentata una denuncia presso la competente procura della Repubblica;
   l'interrogante ha già segnalato, tramite atto di sindacato ispettivo del 16 settembre 2015 n. 4-10386 e che deve intendersi richiamato integralmente, le gravi anomalie riscontrate dopo un sopralluogo presso la Colle Cesarano effettuato il 23 giugno 2015. La senatrice Elena Fattori con atto di sindacato ispettivo del 23 maggio 2013 n. 4-00251, e la senatrice Paola Taverna con interrogazione del 18 settembre 2015 n. 4-04533, hanno evidenziato circostanze e formulato richieste di intervento. Risultano numerose anche le interrogazioni regionali del MoVimento 5 Stelle che dal 2013 segnala fatti diventati di volta in volta sempre più gravi, (n. 148 del 4 settembre 2013; n. 150 del 4 settembre 2013; n. 31 del 17 dicembre 2013; n. 772 del 29 dicembre 2014; n. 774 del 29 dicembre 2014; n. 194 del 17 giugno 2015; n. 196 del 18 giugno 2015; n. 235 del 23 luglio 2015). È evidente che i mancati provvedimenti da parte degli organi preposti abbiano consentito alla Geress un'operosità sempre peggiore e al pari è inquietante il mancato intervento nonostante le tante segnalazioni riguardanti la malasanità e la malagestio dei fondi pubblici;
   va tenuto conto delle funzioni di rilievo pubblicistico esercitante e dell'inserimento funzionale nel servizio sanitario nazionale;
   il perseguimento di interessi pubblici, in uno con il finanziamento statale e con i controlli della Corte dei conti, fa sì che anche le strutture private che esercitino in forma societaria l'attività di pubblico interesse siano soggette agli stessi limiti;
   ad avviso degli interroganti, il potere imprenditoriale, infatti, nel momento in cui è esercitato con i finanziamenti pubblici e consiste in servizi per la collettività, cede il passo al buon funzionamento e alla legalità della pubblica amministrazione, poiché il danno che si verrebbe a creare sarebbe cagionato in concorso dallo Stato –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se sussistano in capo alla clinica i requisiti richiesti ai fini dell'accreditamento al servizio sanitario nazionale;
   se non intenda attivarsi affinché vengano chiarite le ragioni per le quali non sia ancora stato sospeso o revocato l'accreditamento al servizio sanitario nazionale della struttura sanitaria;
   se non ritenga che sussistano i presupposti affinché, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi, vengano assunte iniziative per la revoca dell'accreditamento, al fine di salvaguardare il fondamentale diritto alla salute dei cittadini, messo a rischio da una struttura sanitaria priva dei requisiti minimi richiesti dalla normativa nazionale e regionale e, comunque, quali iniziative, di competenza, si intendano assumere al riguardo. (4-12461)


   ROSTELLATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   tra il 12 e il 13 novembre 2015, il gruppo di audit del Ministero della salute, si è recato presso gli uffici della regione Veneto per svolgere un «audit di sistema» sul sistema regionale di prevenzione in sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria (SPVeSA), ed in particolare sui criteri operativi previsti dal regolamento 882/04, concernente l'organizzazione del controllo ufficiale in sicurezza alimentare e sanità pubblica veterinaria, nonché il grado di utilizzo degli strumenti di governo del sistema sanitario nazionale (programmazione, management della dirigenza sanitaria, e altro) nel medesimo ambito, previsti dalle norme quadro di riferimento: legge 833 del 1978 e decreto legislativo 502 del 1992 e successive modificazioni;
   lo scopo dell'audit è stato quello di verificare le criticità di settore tenendo conto anche delle altre misure adottate a sostegno del sistema di gestione del servizio sanitario regionale quali, ad esempio, piani di azione conseguenti dagli uffici del Ministero, progressi nell'attuazione dell'accordo Stato-regioni del 7 febbraio 2013 relativo al funzionamento e miglioramento delle AC, risultanze dell'attuazione degli eventuali programmi operativi 2013-2015, per la parte di competenza alimentare e veterinaria, qualora applicabile, ed eventuali variazioni nell'organizzazione ed eventuali modifiche degli assetti regionali e territoriali;
   dal report pubblicato da Ministero della salute – Direzione Generale Per l'Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione emerge quanto segue:
    a) inadeguatezza numerica del personale a livello locale; b) carenze nella definizione di compiti, obiettivi e responsabilità del personale della struttura regionale competente in SPVeSA o tra Autorità; c) inadeguatezza delle risorse strumentali per l'effettuazione dei controlli ufficiali a locale e a livello regionale; d) mancata predisposizione di procedure per la gestione dei conflitti di interesse; e) carenze relative alle anagrafi per il controllo ufficiale, alla registrazione e riconoscimento degli stabilimenti e all'aggiornamento delle anagrafi animali; f) carente disponibilità o aggiornamento o alimentazione o disallineamento o non completo utilizzo dei sistemi informativi per la raccolta e rendicontazione dei dati relativi ai controlli ufficiali; g) carenze nel coordinamento e cooperazione tra autorità competente regionale e altri enti o e tra servizi della medesima ASL che eseguono il controllo ufficiale; h) carenze nella categorizzazione degli stabilimenti in base al rischio; i) carenze nella programmazione dei controlli, nella definizione delle frequenze dei controlli ufficiali e/o nella programmazione dei controlli basata sul rischio; j) carenze nella emanazione, aggiornamento e/o completezza e coerenza delle procedure documentate per effettuare alcuni controlli specifici; k) carenze nella esecuzione dei controlli ufficiali in alcuni ambiti specifici e nella loro efficacia ed appropriatezza; l) carente effettuazione di audit su OSA; m) carenze nella gestione delle non conformità da parte degli operatori del controllo ufficiale; n) carenze nella verifica dell'efficacia dei controlli ufficiali a livello regionale ed aziendale; o) assenza di attività di audit in alcuni settori specifici della regione sulle o nella predisposizione dei piani d'azione da parte delle ASL alla luce dei risultati degli audit; p) necessità di rafforzare la formazione mirata;
   si apprende dal report che alcune delle suddette carenze o criticità sono in parte risolte, o in avanzamento del processo di soluzione, mentre per altre non vi è ancora stato effettuato uno studio o verifica;
   fanno parte di quest'ultima categoria la carenza dovuta all'inadeguatezza numerica del personale a livello locale e l'inadeguatezza delle risorse strumentali per l'effettuazione dei controlli ufficiali a locale e a livello regionale;
   va tenuto conto degli standard di funzionamento previsti dalle linee guida contenute dall'accordo siglato il 7 febbraio 2013 concernente il funzionamento ed il miglioramento dell'attività di controllo ufficiale da parte del Ministero della salute, delle regioni e province autonome e delle asl in materia di sicurezza degli alimenti e sanità pubblica veterinaria e delle inadempienze rilevate alla regione Veneto –:
   quale sia, dai dati in possesso del Ministro interrogato il numero del personale veterinario dipendente pubblico o convenzionato distribuito per singola regione al fine di poter valutare effettivamente il fabbisogno di veterinari nella regione Veneto e di effettuare un confronto con le altre realtà regionali.
(4-12468)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FRATOIANNI, RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI, ZACCAGNINI e MARTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 marzo 2016, presso la sede di Confindustria a Perugia, si è tenuto un incontro tra il management della società multinazionale Nestlé, proprietaria dello storico marchio dolciario Perugina, e una rappresentanza dei lavoratori dello stabilimento Perugina di San Sisto (Perugia);
   nel corso dell'incontro, Nestlé-Perugina ha illustrato il piano industriale relativo allo stabilimento citato, prevedendo un investimento di 60 milioni di euro in tre anni, da ripartire in innovazione tecnologica (macchinari e strutture) e politiche di marketing focalizzate sullo sviluppo di quote di mercato internazionali di marchi e prodotti dell'azienda legati al cioccolato, con particolare attenzione al marchio «Baci Perugina», considerato un asset strategico per lo sviluppo futuro;
   l'azienda ha annunciato di voler fare dello stabilimento di San Sisto un polo di eccellenza per la produzione di cioccolato, concentrando tutti gli investimenti su tali produzioni, non prevedendo invece alcun investimento su altre tipologie di prodotto, comunque patrimonio storico dell'azienda, quali i marchi «Rossana» e «Ore Liete»;
   la scelta strategica annunciata da Nestlé comporta un cambio di rotta rispetto alla diversificazione delle produzioni che ha rappresentato – sia pur a fasi alterne, nel corso degli anni – un elemento di stabilità occupazionale per l'azienda dolciaria umbra;
   tale scelta desta una serie di perplessità, pertanto, in ordine al mantenimento dei livelli occupazionali, considerato che la decisione di non investire in altre linee produttive, insieme alla predisposizione di investimenti in innovazione tecnologica potranno comportare una riduzione della manodopera, con conseguenti possibili esuberi futuri –:
   se il Ministro interrogato non intenda convocare i vertici dell'azienda Nestlé-Perugina, al fine di chiarire se ci siano margini per una revisione del piano industriale in ordine agli investimenti sui marchi «Rossana» e «Ore Liete»; se comunque il piano industriale presentato preveda un graduale assorbimento del personale impegnato nelle linee produttive dei prodotti citati sulle linee produttive del cioccolato; quali misure l'azienda intenda adottare – in caso contrario – al fine di garantire i livelli occupazionali del polo produttivo di San Sisto; se l'investimento di 60 milioni di euro annunciato sia da considerarsi, in particolare per la quota relativa alle politiche di marketing, ulteriore rispetto ai budget già previsti, o se si tratti dell'investimento complessivo per i prossimi tre anni. (5-08074)


   ALBANELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda giudiziaria che ha colpito le società del gruppo Tecnis (Cogip holding e Tecnis spa), il colosso delle costruzioni del sud Italia, con ramificazioni, imprenditoriali, in tutto il mondo, mette a rischio le attività che la società sta svolgendo a Palermo e a Catania coinvolgendo i lavoratori che da tempo aspettano il pagamento degli stipendi arretrati;
   la settimana scorsa, la sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania ha disposto l'amministrazione giudiziaria di Tecnis spa, Artemi spa e Cogip Holding srl e il sequestro delle relative quote e azioni per oltre un miliardo e mezzo di euro, nominando amministratore giudiziale il docente Ruperto, che in Tecnis ricopre anche il ruolo di amministratore straordinario;
   nel corso dell'incontro al Ministero dello sviluppo economico è emerso che ci sarà un incontro a livello territoriale tra azienda e sindacati per verificare la situazione di ciascun cantiere;
   per il salvataggio della Tecnis è in corso lo studio di una ipotesi che metta al riparo i crediti. Potrebbe trattarsi di un concordato o di un nuovo Piano di ristrutturazione del debito;
   da articoli di stampa si legge che tale scelta dovrà però essere effettuata prima che avvenga la riscossione dei Sal (stato avanzamento lavori) grazie ai quali potrebbero ripartire i cantieri, essere pagati i 4,2 milioni di euro di salari e versata la cassa edile per i lavoratori;
   si legge ancora che il commissario Ruperto ha confermato che non si opporrà al pagamento diretto dei lavoratori attraverso le ditte appaltanti ed è stata confermata presso la prefettura di Catania la richiesta di revoca dell'interdittiva antimafia;
   sarebbe opportuno addivenire all'approvazione della proposta di legge d'iniziativa popolare, già approvata in testo unificato alla Camera dei deputati in prima lettura l'11 novembre 2015 (AC 1138), riguardante misure per favorire l'emersione alla legalità e la tutela di lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata;
   ad avviso dell'interrogante è fondamentale che le aziende sequestrate continuino a lavorare, bisogna impegnarsi per salvaguardare il perimetro delle attività mettendole al riparo dalla frammentazione e attivarsi per salvaguardare l'occupazione anche in quelle aziende collegate e consortili che a causa della Tecnis sono in crisi e rischiano di chiudere –:
   quali immediate iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere al fine di salvaguardare i lavoratori dell'azienda, di quelle collegate, consortili e dell'indotto e in tal modo consentire il completamento delle opere in corso.
(5-08076)


   CARRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Belleli di Mantova è un'azienda storica della città e di tutto il territorio provinciale ed è, da alcuni anni a questa parte, di proprietà della multinazionale statunitense Exterran ed è seguita, nel nostro Paese, dalla società di consulenza milanese Alix Partners;
   da alcuni giorni, gli oltre 300 dipendenti della Belleli stanno scioperando;
   le giuste ragioni dello sciopero vanno ricondotte alle proposte avanzate dalla proprietà. Proposte che minano le conquiste sindacali ottenute nel corso di alcuni decenni e che hanno consentito l'affermazione di fondamentali diritti per questi lavoratori;
   tra le proposte avanzate dalla proprietà si ritrova l'individuazione di un certo numero di esuberi, l'esternalizzazione di determinate lavorazioni del ciclo produttivo, il recesso unilaterale del contratto aziendale, tagli al premio feriale ed alla maggiorazione per il lavoro notturno;
   a parere dell'interrogante, tali proposte sono inaccettabili e prefigurano, nel medio periodo, scenari differenti circa la continuità produttiva dell'azienda;
   questi scenari devono essere scongiurati per l'interrogante non solo per evitare un ulteriore colpo al tessuto produttivo di Mantova, ma anche per impedire un sostanziale ridimensionamento delle politiche industriali del nostro Paese;
   se il Ministro interrogato intenda convocare rapidamente un tavolo istituzionale con le organizzazioni sindacali e la rappresentanza sindacale unitaria interna con gli enti locali coinvolti (a partire dall'amministrazione comunale di Mantova) e con la proprietà statunitense, con l'obiettivo di individuare un percorso che garantisca continuità produttiva e livelli occupazionali quantomeno identici agli attuali. (5-08079)


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   negli anni 2010-2011 è stato siglato l'accordo tra regione Marche, provincia di Ancona, comune di Jesi, organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil, Rsu ed Eridania Sadam, per a riconversione produttiva dello storico zuccherificio Sadam di Jesi che prevedeva:
    a) l'attivazione di una nuova realtà produttiva, con sede legale a Jesi, nel settore della componentistica industriale
    b) l'attivazione di Jesi Cube, incubatore di imprese costituito tra l'università Politecnica delle Marche, il comune di Jesi e l'Eridania Sadam, per l'avvio nell'area di spin off universitari propedeutici alla nascita di nuove realtà imprenditoriali;
    c) lo sviluppo di un'area con destinazione produttiva, terziaria, ricreativa e per il tempo libero che prevede la realizzazione di metri quadri 60.000 di nuove superfici edificabili. In tali superfici era prevista l'inclusione della promozione di un parco tecnologico di imprese;
    d) il mantenimento delle professionalità che svolgono attività a livello di servizi aziendali;
    e) l'attivazione del progetto di ricerca e sviluppo di tecnologie per la valorizzazione di sottoprodotti della filiera vitivinicola (progetto MED);
    f) la realizzazione di tre medie strutture commerciali da metri quadri 2.500 e un retail park di 30.000 metri quadri;
   si ricorda l'impegno dell'Eridania Sadam con accordo sindacale del 2008 ad adottare misure di ricollocamento dei dipendenti –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al riguardo, quali delle misure sopra descritte siano state concretizzate, quali siano in fase di realizzazione e se alcune misure siano state riconsiderate, modificate o annullate e, in questo caso, con quali soluzioni siano state sostituite e se ve ne siano alcune del tutto nuove;
   quale sia lo stato occupazionale (cassa integrazione, licenziamenti, mobilità, impieghi a Jesi e nelle aziende del gruppo) degli ex dipendenti Sadam.
(5-08082)


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 2 marzo 2016 il management della multinazionale svizzera Nestlè ha illustrato a Perugia alle delegazioni sindacali di Fai, Flai e Uilta il piano industriale per il rilancio del sito di San Sisto di Perugia;
   nel corso dell'incontro Nestlè, pur non avendo smentito esplicitamente le indiscrezioni circolate nei giorni scorsi circa la probabile vendita di biscotti «Ore Liete» e caramelle «Rossana» che hanno messo in allarme i sindacati con l'effetto di provocare un'ora di sciopero dei dipendenti, ha precisato che i marchi in questione non sono stati ancora ceduti, lasciando intendere tuttavia che non c’è nessuna intenzione di continuare ad investire su di essi, considerando che si tratta di segmenti che valgono, ad avviso della multinazionale, meno del 5 per cento del fatturato di gruppo;
   Nestlè ha, invece, annunciato un investimento di 60 milioni di euro da impiegare nel triennio 2016-2018 di cui 45 milioni saranno investiti sul marketing per trasformare il marchio del cioccolato in un brand globale e 15 milioni saranno destinati all'ammodernamento degli impianti: i lavori dovrebbero partire entro fine anno;
   la produzione si concentrerà quasi esclusivamente sul «Bacio», il notissimo cioccolatino della Perugina e allo stabilimento di San Sisto si intensificherà solo la produzione di cialde per gelato che dovrebbe consentire la saturazione per tutto l'anno dei 900 addetti di Perugina, cui si aggiungono 150 stagionali;
   lo stabilimento di San Sisto con sede in Perugia rappresenta una delle più grandi industrie del capoluogo umbro oltre che una azienda «storica» della città di Perugia: in realtà, da due anni l'azienda applica già i contratti di solidarietà, e il blocco degli stagionali, così come il rischio, più volte denunciato anche dagli interroganti, di oltre 200 esuberi, unitamente alla probabile vendita dei marchi «Ore Liete» e «Rossana» e dunque la dismissione delle linee di produzione dei biscotti, potrebbe concretizzare una ulteriore e drastica diminuzione della produzione dello stabilimento perugino con evidenti effetti sulla occupazione;
   i dipendenti che più volte hanno incalzato l'azienda per sollecitarla a presentare un piano di rilancio hanno presentato persino un piano industriale alternativo, prospettando l'apertura di nuove linee di produzione e la diversificazione della produzione come la torrefazione del caffè anziché puntare esclusivamente sullo sviluppo del «Bacio»;
   il piano di investimenti prospettato dall'azienda, ad avviso degli interroganti, non prevede l'apertura di nuove linee di produzione – anzi verrebbero venduti i marchi «Ore Liete» e «Rossana» – né una diversificazione delle produzioni tali da sostenere produzione e occupazione, verrebbe «finanziato» dalla vendita dei suddetti marchi, e soprattutto non affronta il problema del rischio di esuberi ed appare dunque carente di una visione sul versante occupazionale: ad agosto 2016 sono in scadenza i contratti di solidarietà e nessuna proposta concreta è pervenuta dai vertici Nestlè sul tema con il rischio di una ulteriore proroga dei contratti di solidarietà, laddove ammissibile, e di costi per la intera collettività –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta;
   se il Ministro intenda convocare le rappresentanze dei lavoratori, l'azienda e le istituzioni locali e regionali al fine di conoscere quali garanzie Nestlè intenda fornire sul versante occupazionale dello stabilimento di San Sisto, considerato che agli interroganti appare inappropriato l'investimento in marketing, prospettato dall'azienda senza una diversificazione delle produzioni, per scongiurare il rischio di negative ricadute occupazionali sul territorio umbro o l'ennesimo ricorso ad ammortizzatori sociali con evidenti costi per la collettività. (5-08084)


   CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Ray Way è la società italiana proprietaria delle infrastrutture e degli impianti per la trasmissione e diffusione televisiva e radiofonica della Rai ed è presente capillarmente su tutto il territorio nazionale, con una sede centrale, 23 sedi territoriali e oltre 2.300 siti dislocati sul territorio italiano;
   la legge di stabilità 2016 ha introdotto una nuova presunzione di possesso dell'apparecchio televisivo attraverso la presenza di un contratto di fornitura dell'energia elettrica nell'abitazione di residenza ed ha quindi accorpato la fatturazione del canone Rai a quella dell'utenza elettrica;
   negli ultimi dieci anni, numerosi enti territoriali, primi fra tutti le comunità montane e le unioni montane, hanno acquistato e gestiscono direttamente, con notevoli costi, impianti di diverse dimensioni e potenza per assicurare la trasmissione del segnale televisivo anche nelle valli più interne e nelle zone d'ombra non raggiunte dal segnale delle torri gestite da Ray Way;
   numerosi sindaci e amministratori hanno segnalato, in seguito all'introduzione del digitale terrestre, le costanti e crescenti difficoltà di accesso al servizio televisivo da parte dei residenti nelle zone montane, in particolare nei borghi più difficilmente raggiungibili delle aree interne;
   è necessario ridurre l'evasione dell'imposta, ma allo stesso tempo deve essere assicurato un adeguato servizio agli utenti consentendo la ricezione di tutti i canali, in particolare quelli del servizio pubblico, garantendo così parità di trattamenti e di servizi agli utenti residenti nelle terre alte;
   nelle aree montane italiane, alpine e appenniniche, resta elevato il digital divide che ha la sua prima fonte nelle difficoltà di ricezione del segnale tv e radio –:
   se siano disponibili dati aggiornati sull'attuale copertura del segnale Rai sull'intero territorio nazionale e, in caso contrario, se il Ministro interrogato non ritenga urgente avviare un completo monitoraggio sulla reale ricezione del segnale televisivo nelle diverse aree, coinvolgendo a tale fine anche le regioni, le unioni di comuni e le associazioni di enti locali;
   se non ritenga doveroso mettere in atto ogni iniziativa di competenza al fine di potenziare le infrastrutture per la trasmissione del segnale televisivo, in particolare nelle aree montane e più interne del Paese;
   se non reputi opportuno agevolare la realizzazione di un tavolo di concertazione fra le parti interessate, anche coinvolgendo le emittenti pronte che operano in ambito locale e regionale, considerata la capillare copertura che offrono sui territorio nazionale, finalizzato a cercare soluzioni concrete per il superamento del digital divide. (5-08092)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e CARNEVALI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 26 febbraio 2016 la Gepin Contact spa ha avviato la procedura di licenziamento collettivo di 352 lavoratori tra Roma e Napoli, a causa del recesso dal contratto da parte del Gruppo Poste Italiane spa per i servizi di call center;
   come denunciato dalle principali sigle sindacali, Poste Italiane Spa ha indetto la nuova gara d'appalto per l'erogazione di servizi di customer service senza rispettare l'applicazione della clausola sociale, determinando di fatto un gravissimo scenario occupazionale per i lavoratori della Gepin Contact che da 13 anni gestivano il call center nazionale del servizio postale;
   a causa della perdita della commessa principale dei servizi di contact center di Poste italiane, assegnata a costi irrisori pari a 0,29 centesimi di euro al minuto, la drammatica situazione finanziaria di Gepin Contact potrebbe sfociare in una revisione drastica del numero degli addetti, fino ad arrivare ad una riduzione del 60 per cento;
   risulta inoltre agli interroganti che gli ammortizzatori di cassa integrazione ordinaria siano ormai in fase di esaurimento e che non sia stata acquisita alcuna nuova commessa dalla nuova proprietà societaria;
   come noto, con l'approvazione della legge recante delega al Governo per la riforma del codice degli appalti (legge 28 gennaio 2016, n. 11), viene prevista per gli appalti pubblici di servizi – e quindi anche per le imprese che svolgono come la Gepin Contact attività di call center – l'introduzione di clausole sociali per garantire la stabilità dei livelli occupazionali del personale impiegato, escludendo espressamente il ricorso al solo criterio di aggiudicazione del prezzo più basso o del massimo ribasso;
   nonostante le suddette previsioni normative, oggetto della legge di riforma del codice degli appalti, è intervenuta la decisione di Poste Italiane di assegnare le attività di call center senza rispettare la clausola sociale che sembra contrastare con le vigenti disposizioni normative in tema di salvaguardia dei posti di lavoro nei casi di subentro di un nuovo appaltatore –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere, nel rispetto delle norme contenute nella legge delega in materia di appalti pubblici e con l'urgenza richiesta dal caso in esame, a tutela dei lavoratori di Gepin Contact spa che rischiano il licenziamento a causa della mancata applicazione da parte di Poste Italiane spa della clausola sociale.
(4-12444)


   CIRIELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 10 dicembre 2015, l'assessore all'ambiente, territorio e politiche della sostenibilità della regione Basilicata, Aldo Berlinguer, scriveva al Ministero dello sviluppo economico e alla direzione generale per la sicurezza, ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, per segnalare le preoccupazioni dei cittadini circa i numerosi «episodi di visibilità della fiaccola del Centro Olio Val d'Agri (C.O.V.A.) sito in Viggiano (PZ)» che si sono succeduti negli ultimi due anni;
   in particolare, l'assessore Berlinguer chiedeva «di disporre, con la celerità del caso, ogni utile accertamento presso il Centro Olio di Viggiano al fine di meglio chiarire le cause degli eventi citati ed individuare tutte le risposte utili ad evitare in futuro il ripetersi di fenomeni analoghi, anche in relazione alla messa in esercizio della 5a linea»;
   nella missiva l'assessore, che riportava i numerosi casi di innalzamento della fiaccola da gennaio 2014 a dicembre 2015, riferiva altresì di un episodio di fuoriuscita di una nube di fumo nero da uno dei camini del centro, occorso in data 1o marzo 2016;
   numerosi sono stati gli interventi delle forze politiche lucane volti a stimolare il governo regionale della Basilicata a chiarire la natura di tali eventi e a prendere provvedimenti nei confronti della società Eni per evitare il ripetersi di simili fenomeni che allarmano, a ragione, i residenti delle zone limitrofe determinando sfiducia nelle istituzioni;
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-03364 l'interrogante aveva denunciato l'incidente verificatosi il 13 gennaio 2014 presso il medesimo centro Eni di Viggiano che aveva causato una forte esplosione con boati e fiammate di oltre 15 metri;
   nonostante la gravità dell'episodio e la necessità di un intervento urgente per garantire sicurezza alle persone e all'ambiente, all'interrogazione non è stata data risposta dal Governo e sembrerebbe che nulla sia stato fatto dalle istituzioni per arginare e prevenire il ripetersi di fenomeni analoghi;
   per quanto il petrolio lucano, come l'acciaio tarantino, rappresentino risorse strategiche per gli interessi economici del Paese, la salute dei cittadini, dell'ambiente e delle attività agricole e produttive dei territori e delle comunità locali deve rimanere in cima alle preoccupazioni della politica e dello Stato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e delle cause dei ripetuti episodi di innalzamento anomalo della fiaccola del centro Olio Val d'Agri di Viggiano e quali iniziative di competenza intendano adottare per avviare un accertamento sugli eventuali danni ambientali, anche a tutela della sicurezza dei cittadini, nonché se ritengano necessario convocare un tavolo istituzionale, con Eni e gli organi competenti per verificare la sicurezza dell'impianto, anche al fine di rassicurare la popolazione interessata e prevenire ulteriori episodi analoghi. (4-12452)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Carfagna e altri n. 1-01187, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gullo.

Apposizione di firme ad una interrogazione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Maria e altri n. 5-08030, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Garavini, Patrizia Maestri, Stella Bianchi, Carrozza, De Menech, Magorno, Rigoni, Tullo, Paglia, Placido, Borghese, Merlo, Ciracì e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato «De Maria, Benamati, Fabbri, Fiano, Nardi, Zampa, Luciano Agostini, Albini, Amato, Amoddio, Arlotti, Stella Bianchi, Blazina, Bargero, Baruffi, Basso, Becattini, Beni, Bergonzi, Paola Boldrini, Bolognesi, Bonomo, Borghi, Braga, Campana, Carloni, Carnevali, Carocci, Carra, Carrozza, Causi, Cenni, Chaouki, Cimbro, Cominelli, Cova, Crivellari, Culotta, Cuperlo, D'Ottavio, Dallai, Damiano, Dell'Aringa, De Menech, Marco Di Maio, Ermini, Gianni Farina, Fedi, Ferrari, Cinzia Maria Fontana, Fontanelli, Fossati, Fregolent, Gadda, Garavini, Gasparini, Ghizzoni, Giacobbe, Gnecchi, Guerra, Iacono, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Laforgia, La Marca, Lenzi, Lodolini, Patrizia Maestri, Magorno, Malisani, Manfredi, Manzi, Marchi, Mariani, Mazzoli, Miccoli, Miotto, Mognato, Monaco, Montroni, Moretto, Murer, Narduolo, Pagani, Parrini, Patriarca, Peluffo, Pes, Giuditta Pini, Pollastrini, Porta, Preziosi, Richetti, Rigoni, Rocchi, Romanini, Giovanna Sanna, Sbrollini, Scuvera, Senaldi, Sgambato, Taricco, Tentori, Terrosi, Tidei, Tullo, Venittelli, Ventricelli, Verini, Zappulla, Zardini, Zoggia, Di Lello, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Carlo Galli, Martelli, Melilla, Distaso, Vecchio, Paglia, Placido, Borghese, Merlo, Ciracì, Andrea Maestri».

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Placido e altri n. 5-08059, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Scotto.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza Duranti n. 2-01309, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 586 del 9 marzo 2016.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   come si apprende anche da diversi organi di stampa i dati che emergono dalle analisi condotte tra il novembre del 2014 ed il febbraio del 2015 – raccolti attraverso i «deposimetri» installati fuori dallo stabilimento siderurgico dell'Ilva di Taranto ed inseriti in una relazione messa a punto dal Politecnico di Torino – evidenziano che la concentrazione di diossine ha raggiunto livelli straordinariamente elevati. I picchi più alti riguardano particolarmente il quartiere Tamburi della città capoluogo e sono assimilabili – secondo quanto espresso dal Direttore dell'Arpa Puglia, Assennato – a quelli rilevati nella discarica di Giugliano, la peggiore della «Terra dei fuochi». La stessa «ARPA Puglia» ed il suo direttore generale individuano ed indicano la compatibilità dell'impronta di questo tipo di diossina con «materiali polverulenti contaminati in misura estremamente alta, quali le polveri di abbattimento dell'impianto di sinterizzazione dello stabilimento siderurgico»;
   a quanto si apprende, nello specifico, negli ultimi due anni al rischio della dispersione nell'aria della diossina si è aggiunto quello legato alla possibile ingestione della stessa (direttamente o indirettamente tramite catena alimentare). Le polveri in questione sono compatibili con quelle provenienti dai filtri dell'impianto di abbattimento delle diossine presente nel siderurgico tarantino, che devono essere smaltite in discariche per rifiuti pericolosi fuori dal territorio regionale della Puglia;
    i picchi di diossina – decine di volte superiori ai valori soglia – si erano riscontrati nel novembre del 2014 e nel febbraio del 2015, ma in base a quanto scritto dall'ingegner Maurizio Onofrio del Politecnico di Torino, incaricato per conto dell'Ilva della relazione in questione, i valori non sarebbero imputabili agli scarichi del siderurgico, «poiché le impronte digitali delle diossine non corrispondono a quelle dell'Ilva»;
   l'Arpa Puglia, nella persona del direttore Giorgio Assennato, con una nota inviata alla presidenza della regione in data 2 marzo 2016 mette in discussione la ricostruzione, – e le risultanze, – fatte dal Politecnico. Si sottolinea in particolare come «all'eccezionale aumento di diossine rilevato nel “deposimetro” è del quartiere Tamburi non ha corrisposto un aumento della quantità complessiva di polveri raccolta dal deposimetro (...)» che «la concentrazione delle diossine in tali polveri ha raggiunto limiti così elevati da essere confrontabile solo con materiali polverulenti contaminati in misura estremamente alta, quali le polveri di abbattimento delle emissioni dell'impianto di sinterizzazione dello stabilimento siderurgico» ed inoltre ha rilevato che il «confronto tra i profili dei congeneri delle diossine delle polveri raccolte dai deposimetri nei due mesi incriminati e quelli delle polveri di abbattimento dell'impianto di sinterizzazione dello stabilimento, porta a credere che le polveri abbiano la stessa matrice»;
   come denunciato sia dall'Arpa Puglia che da associazioni come Legambiente Taranto, nella pubblicazione dei dati riguardanti l'incredibile aumento di diossina è mancato l'elemento della trasparenza – da parte della gestione commissariale dell'Ilva – e della tempestività. Anche a detta dell'interpellante infatti, la gravità della questione avrebbe richiesto immediata comunicazione alle autorità locali, alle Asl e agli enti preposti al monitoraggio e controllo dell'inquinamento, a partire dalla stessa Arpa Puglia;
   la mancanza degli elementi di cui sopra (trasparenza e tempestività) rende quindi di difficile comprensione il «cosa» abbia provocato tali anomalie nelle emissioni oltre che la precisa individuazione delle eventuali responsabilità. Il tutto con l'aggravante della gestione commissariale del siderurgico, che nei fatti identifica una gestione riconducibile all'ambito statale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto espresso in premessa ed, in caso contrario, quali siano i motivi per cui non sia stato informato dai commissari dell'Ilva;
   se il Governo non intenda appurare le motivazioni – oltre che le responsabilità – che hanno portato i commissari a non comunicare tempestivamente i valori riscontrati alle autorità locali, alle Asl ed agli enti preposti al monitoraggio dell'inquinamento;
   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, per appurare le ragioni e le responsabilità di quanto accaduto;
   quali iniziative di competenza intenda disporre per la salvaguardia della salute dei cittadini della provincia jonica.
(2-01309)
«Duranti, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini, Martelli».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Bonomo n. 2-01282 del 23 febbraio 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Lombardi ed altri n. 4-12356 del 3 marzo 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08075.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Frusone e altri n. 5-07953 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 580 del 1o marzo 2016.
  Alla pagina 34837, prima colonna, alla riga ventesima, deve leggersi: (Cagliari) nel 2013, viene eletto consigliere e non come stampato.

  Interrogazione a risposta in Commissione De Maria e altri n. 5-08030 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 584 del 7 marzo 2016. L'interrogazione deve intendersi sottoscritta dal deputato Luciano Agostini e non dalla deputata Roberta Agostini, come stampato.