Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 9 marzo 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    si stima che in Europa il numero di soggetti affetti da malattie rare sia compreso tra i 25-30 milioni;
    in Italia, si ritiene che il numero delle persone colpite da malattie rare sia intorno ai 2 milioni. Appare dunque evidente come le «malattie rare», che non sono affatto tali quando vengono viste nel loro complesso per le, peculiarità che di norma rendono difficoltosa la loro diagnosi e il loro trattamento, costituiscono un tema cruciale nella sostenibilità delle politiche di sanità pubblica;
    assolutamente speciale è poi la condizione dei pazienti affetti da malattie rare residenti nelle aree insulari del Paese, dove l'incidenza è di gran lunga superiore a quella delle altre regioni italiane per via della stretta correlazione tra la condizione di segregazione geografica e la ridotta circolazione del patrimonio genetico. Per quanto attiene in particolare alla regione Sardegna, la componente genetica alla base delle malattie rare conferisce all'Isola un triste primato negativo;
    le malattie rare hanno un elevato costo di gestione e incidono in modo significativo sulla spesa del sistema sanitario regionale, specie nelle aree del Paese particolarmente svantaggiate. Tale condiziona genera il rischio di creare vere e proprie «malattie orfane», prive di adeguata risposta sanitaria, con conseguente «sensazione di abbandono» dei malati e delle famiglie e accentuazione della triste consuetudine dei «viaggi della speranza» verso il sistema sanitario di regioni diverse da quella di residenza, se non verso altri Paesi europei;
    il 29 febbraio 2016 si è celebrata la IX giornata delle malattie rare: il più importante appuntamento nel mondo per i malati rari, i familiari, gli operatori medici e sociali del settore. Questa ricorrenza persegue fondamentalmente tre obbiettivi: superare le disuguaglianze dell'accesso alle cure e ai farmaci nei diversi Paesi Ue (e, talvolta, all'interno di uno stesso Paese); diffondere tra i cittadini e tra gli stessi operatori la più ampia consapevolezza sulle malattie rare e sollecitare nuovi fondi per la ricerca;
    tra le numerosissime malattie rare, è annoverata la fibrosi polmonare idiopatica (Idiopatic Pulmonary Fibrosis – IPF): patologia cronica, progressiva ed irreversibile ad esito infausto, che determina la formazione di tessuto fibrotico-cicatriziale a livello polmonare con conseguente declino della sua funzionalità. Il decorso di questa malattia provoca nel tempo ingravescente insufficienza respiratoria con intolleranza allo sforzo e dispnea intensa, sino all’exitus. Il periodo di sopravvivenza dalla diagnosi, mediamente non supera i 2-5 anni, con una progressiva limitazione della funzionalità respiratoria che costringe al ricorso sistematico all'ossigenoterapia;
    attualmente, in Europa si stima che il numero di soggetti affetti da IPF sia compreso tra 80.000 e 111.000, ma tali cifre sono destinate ad aumentare dal momento che ogni anno la IPF viene diagnosticata a circa 35.000 nuovi pazienti nell'ambito dell'Unione europea. In Italia, la prevalenza di questa patologia è di circa 30-40 casi ogni 100.000 abitanti. Sono colpiti soprattutto gli uomini tra i 50 e 70 anni, ma si registrano anche diversi casi in età precoce;
    l'eziologia di questa patologia è tuttora sconosciuta (per tale ragione viene classificata come «idiopatica») e la stessa diagnosi è spesso ritardata sia a causa della sua origine oscura, che per la particolare complessità di identificazione dei sintomi iniziali da parte del personale sanitario. Per molti anni la fibrosi polmonare idiopatica è rimasta incompresa, proprio poiché la sintomatologia era spesso sovrapponibile a quella di molte altre malattie polmonari, soprattutto dell'anziano. Ancora oggi l'assenza del corretto «dubbio diagnostico» porta il paziente ad effettuare innumerevoli e defatiganti esami prima di giungere ad una diagnosi certa, per la quale sono talora necessari diversi anni;
    per una persona affetta da fibrosi polmonare idiopatica i più semplici atti quotidiani della vita diventano via via più difficili con il decorso della malattia e le limitazioni alla conduzione di una normale vita lavorativa, familiare e relazionale sempre più pesanti. È pertanto fondamentale una diagnosi precoce finalizzata sia ad un rapido accesso ad un centro specializzato in grado di offrire la presa in carico globale del paziente che all'affiancamento psicologico del malato e dei suoi familiari;
    in tale quadro, un ruolo centrale è attualmente svolto dalle associazioni di pazienti e dalle molteplici azioni di awareness che queste ultime svolgono, spesso sostituendosi alle istituzioni sanitarie, riuscendo a garantire una migliore aderenza alla terapia;
    la scarsità di informazioni e la carenza di consapevolezza del pubblico (e degli stessi operatori sanitari) verso questa malattia rara ha favorito la nascita di network tra i malati ed i principali stake holders del settore (medici, ricercatori, industria farmaceutica). Il risultato tangibile di tale collaborazione è rappresentato dalla nascita della Federazione europea per la fibrosi polmonare idiopatica e i disturbi correlati – European Idiopathic Pulmonary Fibrosis & Related Disorders Federation – EU-IPFF, costituita da 11 associazioni di pazienti (tra le quali l'italiana AMA Fuori dal Buio), afferenti a 9 Paesi europei;
    la EU-IPFF è diventata portavoce e punto di riferimento dei malati, ma anche strumento per il sostegno e l'avanzamento di programmi europei e nazionali volti a potenziare e rendere più efficaci le modalità di accesso ai trattamenti sanitari e a promuovere la ricerca sulle nuove opzioni terapeutiche. Alla EU-IPFF si debbono importanti iniziative, quali la « IPF World Week» e la Carta europea del paziente con FPI (consultabile sul portale www.ipfcharter.org), presentata per la prima volta al Parlamento europeo il 30 settembre 2014;
    la gravità, l'incidenza e la mortalità di questa rara patologia è stata fatta oggetto di specifiche azioni sindacato parlamentare a livello europeo e nazionale, attraverso le quali sono state portate all'attenzione delle autorità dell'Unione europea e del Ministero della salute diverse criticità, quali: le modalità stabilite dall'Unione europea per un accesso agevolato ai medicinali orfani; l'individuazione in Italia di criteri omogenei per la produzione e la commercializzazione delle apparecchiature e degli accessori necessari all'ossigenoterapia; la disponibilità in Italia del farmaco Nintedanib quale inibitore di tirosin-chinasi (TKI) avente come bersaglio i recettori del fattore di crescita coinvolti nella patogenesi della fibrosi polmonare;
    nonostante ad oggi non esista ancora una cura per l'IPF, la comunità scientifica ha messo a punto procedure di auto-gestione per favorire la respirazione e terapie farmacologiche in grado di rallentare il decorso e alleviarne e ritararne il progressivo peggioramento. L'estrema opzione disponibile resta il trapianto di polmone, che costituisce tuttavia un trattamento possibile solo per coloro i quali presentino complessive condizioni fisiche ottimali per sottoporsi all'intervento e non abbiano comunque superato i 65 anni (limite imposto in numerosi centri italiani);
    tra le malattie rare del polmone, l'IPF rappresenta in definitiva una delle patologie con il maggior impatto finanziario per frequenza ed elevato carico di bisogni assistenziali: dalla diagnosi, alla gestione delle terapie, at follow up;
    in Italia, la fibrosi polmonare idiopatica non è ancora riconosciuta a livello nazionale come «malattia rara»; solo le autorità sanitarie della regione Piemonte e della regione Toscana hanno inserito l'IPF nell'elenco delle malattie rare e hanno identificato un codice di esenzione che permette l'accesso gratuito a tutte le prestazioni diagnostiche, gli esami di controllo, le terapie ed i supporti socio-assistenziali;
    tale situazione rappresenta un'inaccettabile compressione dei livelli essenziali di assistenza per i pazienti non residenti in Piemonte e in Toscana ed una discriminante disparità di trattamento tra cittadini affetti dalla stessa patologia che si vedono costretti a farsi carico degli altissimi costi associati al monitoraggio costante e alle cure dell'evoluzione di questa gravissima patologia,

impegna il Governo:

   ad assumere, per quanto di propria competenza e ferme restando le attribuzioni esclusive delle regioni in materia sanitaria, tutte le iniziative necessarie volte al riconoscimento della fibrosi polmonare idiopatica come malattia rara e a prevedere omogenei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale;
   ad adottare le necessarie determinazioni volte a superare le note disomogeneità regionali e ad assicurare, indipendentemente dall'età del paziente, l'accesso a carico del Servizio sanitario nazionale di tutti i trattamenti di diagnosi e cura sia in termini clinici (ivi incluse le cure palliative e di fine vita), che di affiancamento psicologico per i pazienti e per le loro famiglie, altrimenti destinati a sentirsi abbandonati nel dramma;
   a prevedere iniziative, per quanto di competenza, volte a favorire il supporto e la formazione del personale sanitario, garantendo un approccio «olistico» alla cura dell'IPF che coinvolga ogni possibile esigenza del paziente: dalla diagnosi precoce, al trattamento e alla riabilitazione, dall'accesso a team multi-disciplinari per la gestione di tale patologia, ai servizi di fornitura di ossigeno ambulatoriali e domiciliari;
   a promuovere campagne informative volte a diffondere la conoscenza e la consapevolezza in ambito sanitario e presso l'intera popolazione della fibrosi polmonare idiopatica quale malattia rara, cronica e irreversibile, formando le risorse professionali dedicate e fornendo cognizioni esaustive e di alta qualità, comprese le informazioni sulle cure disponibili, il trapianto ed il supporto psicologico disponibile a pazienti e famiglie;
   a promuovere l'integrazione dei Centri di riferimento italiani nelle reti europee delle malattie, con l'obiettivo di consentire la crescita delle conoscenze e delle capacità diagnostiche e terapeutiche specifiche e la libera circolazione dei pazienti verso le risposte più adeguate alla propria patologia;
   ad attivarsi, per quanto di propria competenza e ferme restando le attribuzioni esclusive delle regioni in materia sanitaria, per promuovere azioni di monitoraggio sull'effettiva operatività dei, centri di riferimento regionale per le malattie rare, nonché a prevedere dei censimenti aggiornati circa l'incidenza e la mortalità di tale patologia.
(1-01191) «Vargiu, Matarrese, Galgano, Capua, Quintarelli, D'agostino, Bombassei, Catania, Librandi, Vezzali».


   La Camera,
   premesso che:
    i fondi del diritto allo studio universitario sono distribuiti alle regioni secondo criteri che generano gravi sperequazioni a danno delle regioni del Sud;
    per effetto di tale distribuzione il 75 per cento degli studenti che, secondo la Costituzione italiana, avrebbero diritto a beneficiare di borse di studio e non ne beneficiano sono iscritti nelle università del sud;
    è grave fenomeno migratorio di diplomati che, in numero di 24 mila, ogni anno abbandonano le regioni del Sud per studiare in università del Centro e del Nord e questo aggrava la già depressa situazione del Meridione;
    il calo delle immatricolazioni segnalato da più parti, con la perdita di oltre 60 mila matricole negli ultimi anni, è soprattutto a carico delle regioni meridionali e colpisce soprattutto le classi meno agiate;
    come lamentato dal rapporto dell'OCSE (Education at glance) e recentemente sottolineato da tre funzionari della Commissione europea, l'Italia ed in particolare il Sud ha la più bassa quota di laureati di tutte le democrazie industriali ed il Sud, in tale ambito, occupa l'ultimo posto tra tutte le regioni degli Stati aderenti alla Unione europea;
   questo è una delle principali cause di arretratezza economica del Meridione;
   è urgente e improcrastinabile un intervento correttivo e perequatorio,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per incrementare il fondo del diritto allo studio;
   ad assumere iniziative per modificare i criteri di distribuzione del fondo per il diritto allo studio applicando la regola delle quote capitarie e suddividendo quindi il fondo tra le regioni esclusivamente in base al numero di idonei ai benefici;
   ad adottare iniziative per applicare una deroga temporanea di almeno 5 anni per le università del Sud, in relazione alle norme restrittive inerenti al rapporto tra numero di docenti e attivazione dei corsi di studio, consentendo di attivare corsi di studio, indipendentemente dal numero dei docenti, per dare risposte alle esigenze ogni anno manifestate dai diplomati.
(1-01192) «Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    il grado di civiltà e di democrazia di una nazione si misurano anche dal grado di diffusione tra la popolazione delle conoscenze scientifiche e culturali e dal grado di innovazione. Tale consapevolezza ha spinto i Padri costituenti a stabilire, all'articolo 9 della Costituzione, che: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica». Nonostante questo, gli ultimi governi italiani, disattendendo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo il dettato costituzionale, hanno progressivamente ridotto ad università ed enti di ricerca il supporto finanziario pubblico necessario per la loro sopravvivenza;
    per tale ragione in questi giorni è in atto una campagna di sensibilizzazione promossa dal mondo scientifico ed accademico sullo stato allarmante in cui versa la ricerca pubblica italiana che, nell'indifferenza generale, sopravvive da anni, nonostante la pressoché totale assenza di risorse e di programmazione, contrariamente a quanto, vece, avviene in altri Paesi europei i cui governi investono percentuali significative del loro Pil e programmano in anticipo piani di spesa dettagliati. Con il loro accorato appello, che conta oltre 45.000 adesioni, gli scienziati italiani invitano l'Unione europea a fare pressione sul Governo italiano affinché finanzi adeguatamente la ricerca portando i relativi fondi ad un livello sensibilmente superiore a quello della pura sussistenza;
    la ricerca in Italia è particolarmente svantaggiata rispetto agli altri Paesi europei: non c’è classifica, con i parametri più diversi per verificarne il livello quantitativo e qualitativo, che non ci veda relegati agli ultimi posti. Secondo le ultime statistiche Ocse, infatti, l'anno 2015 si è chiuso confermando a livello internazionale quel trend di flessione degli investimenti pubblici in università e ricerca che si protrae dal 2010, quadro nel quale il nostro Paese, inginocchiato da una crisi frutto anche di mancate scelte di investimento nella conoscenza e nelle filiere alte del valore, si distingue per un colposo e costante disimpegno che conferma il sotto finanziamento cronico dell'intero settore e che, con una quota di finanziamenti erogati pari all'1,1 per cento del Pil, contro il 2 per cento destinato in media dagli altri Paesi europei, è capace di evocare lo spettro di una strisciante desertificazione culturale, scientifica e tecnologica;
    invero, la globalizzazione dell'economia e l'impetuoso sviluppo di Paesi come l'India e la Cina, uniti all'accelerazione tecnologica, hanno determinato negli altri la necessità di aumentare la competitività dei propri settori produttivi, ricorrendo a nuove ricerche e sperimentazioni, al fine non solo di migliorare le condizioni di vita dei singoli individui ma anche di contribuire, in modo più incisivo, al proprio sviluppo economico: in tale accezione, la ricerca, sia pubblica che privata, rappresentando uno dei settori fondamentali e strategici per accrescere lo sviluppo culturale e la competitività economica e tecnologica di una nazione, è chiamata ad assurgere al ruolo anticiclico di driver della crescita di lungo periodo. Del resto, anche nell'ambito delle teorie dello sviluppo economico uno degli assiomi maggiormente condivisi è quello del nesso che lega gli investimenti in ricerca e innovazione di un'economia alla loro capacità di accrescere il livello di benessere nel tempo;
    l'attività relativa alla ricerca ed all'innovazione è oggetto di attente e condivise politiche comunitarie mirate all'ottimizzazione dei risultati per mezzo di un'azione sinergica e di obiettivi comuni che, per tale motivo, hanno trovato regolamentazione in numerosi accordi e programmi. La Commissione europea, infatti, nell'ambito della strategia «Europa 2020», volta a garantire e difendere la competitività globale del vecchio continente, ritenendo che, in un momento in cui i processi e le produzioni si differenziano in funzione dell'innovazione, anche l'Unione europea debba raccogliere queste sfide, investendo in fattori di stimolo come il così detto «triangolo della conoscenza» (istruzione/ricerca/innovazione), ha avviato il programma «Horizon 2020», con il quale finanziare, in un arco temporale che va dal 1o gennaio 2014 fino al 31 dicembre 2020, i progetti di ricerca ed innovazione di imprese, università, aziende attive nel settore tecnologico, istituti di ricerca e ricercatori dei Paesi membri;
    per effetto della sua partecipazione alla Comunità europea, sono rilevanti gli impegni che derivano al nostro Paese. In particolare, il Consiglio europeo, già nel marzo del 2005, procedendo alla revisione intermedia della strategia di Lisbona, aveva sottolineato l'importanza di conseguire l'obiettivo generale di aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico per arrivare, tendenzialmente, entro il 2010 e per ciascun Paese membro, ad un livello pari al 3 per cento del proprio Pil. Obiettivo complementare dello stesso Trattato era anche quello di modificare il rapporto tra le fonti di finanziamento, facendo sostenere al settore privato almeno i due terzi della spesa per la R&S da parte di imprese e settore privato non profit;
    nonostante l'assunzione di una posizione avanzata su tale versante avrebbe consentito al nostro Paese di aumentare capacità produttiva e competitività nei processi di crescita economica, culturale e sociale, e di partecipare alla cooperazione internazionale in forma non subalterna, di contro, l'azione politica italiana si è limitata a definire le linee di sviluppo delle attività connesse alla ricerca, attraverso il riordino e la razionalizzazione degli interventi diretti a promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e tecnologica, nonché di tutti gli organismi operanti nel settore, nel tentativo, fino ad oggi fallito, di realizzare una visione sistematica del settore e ricondurre a coerenza le funzioni assolte da soggetti diversi, pubblici o privati, coinvolti;
    la ricerca in Italia è un settore da tempo sotto osservazione per altre ragioni: accanto alla suddetta scarsa attenzione da parte delle istituzioni ed alla carenza di risorse pubbliche e private, si deve lamentare anche la cattiva gestione delle stesse e l'incapacità di incrementare il capitale umano che vi si dedica, tanto che si assiste al costante fenomeno di trasferimento in università ed imprese straniere di ricercatori italiani e scienziati (la cosiddetta «fuga di cervelli») che negli altri Paesi trovano condizioni migliori per esprimere i propri talenti. Altro fattore critico è quello dell'incertezza dei tempi di finanziamento o di rimborso delle risorse: nel nostro Paese, infatti, accanto a schizofreniche disposizioni incentivanti, come il riconoscimento di un credito d'imposta per investimenti in ricerca ed innovazione, convive una burocrazia che inibisce l'operatività dei programmi comunitari e blocca l'avvio dei bandi pubblici: insomma) un mix di concause che determinano quello noto oramai come il «paradosso italiano», in virtù del quale continuiamo a contribuire ai fondi europei in misura nettamente maggiore rispetto all'entità dei finanziamenti che, con l'esiguo numero dei nostri ricercatori, riusciamo ad attrarre. A tutto questo occorre aggiungere anche l'attività di ricerca diffusa ma sommersa, che sfugge alle rilevazioni statistiche e che consente all'Italia di essere, comunque, all'avanguardia in diversi settori;
   di più, il sistema italiano della ricerca è affetto da molti anni anche da altre deficienze di carattere strutturale quali: l'assenza di un programma nazionale della ricerca, le difficoltà di mantenimento gestionale del personale e delle strutture all'interno dell'università e degli enti di ricerca e la mancanza di controlli efficaci sul merito e sui risultati. Anche i finanziamenti, instabili e discontinui, inducendo la parcellizzazione delle risorse ed una insicurezza che non agevola l'attività di studio e ricerca, impediscono anche una programmazione a medio periodo e formazione di personale altamente specializzato. Inoltre, secondo l'indagine conoscitiva sullo «Stato della Ricerca in Italia», svolta nel 2012 dalla VII Commissione della Camera dei deputati, circa il 43 per cento del finanziamento alle università ed agli enti di ricerca sarebbe destinato per spese di personale e la frazione restante per spese relative alle infrastrutture: in definitiva, le risorse sarebbero utilizzate quasi completamente per il funzionamento degli stessi;
    le poche risorse, oltre che insufficienti, sono anche mal gestite e disperse fra molti enti, senza che vi sia alcun collegamento e programmazione, spesso assegnate senza adeguati sistemi di referaggio. Nell'ambito del bilancio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ad esempio, spesso esiste una sovrapposizione tra la spesa per la ricerca con la spesa universitaria e risulta perciò poco chiara la attribuzione alla didattica rispetto alla ricerca. Inoltre fondi per ricerca esistono tradizionalmente anche in altri ministeri quali agricoltura, salute, difesa, industria e ambiente. Sin dal 2003, per migliorare la situazione, si è proposto da più parti di istituire l'Agenzia italiana per la ricerca scientifica (Airs), con l'obiettivo principale di raggruppare e gestire, in sinergia con l'Agenzia europea per la ricerca, tutte le risorse pubbliche disponibili per la ricerca, sulla falsariga di quanto avviene, come si vedrà più avanti, in altri Paesi del resto del mondo, e che dovrebbe permettere di stabilire un programma triennale scorrevole tale da non determinare soluzioni di continuità nei finanziamenti;
    anche questo Esecutivo, dimostrandosi in piena continuità con quelli precedenti, non riesce ad invertire quella rotta che sta portando alla deriva il sistema della ricerca italiano, la cui fonte di finanziamento, accanto a quello erogato dalla Commissione europea, che finanzia soprattutto grandi progetti internazionali di collaborazione, è per il 44,8 per cento di origine privata, per il 41,9 per cento di origine pubblica, e per il 9,50 proveniente dall'estero dati che dimostrano come la componente privata dell'investimento in ricerca è cresciuta rispetto a quella pubblica, ma non abbastanza per colmare il grande divario rispetto agli altri Paesi europei. La spesa dei pochi fondi a disposizione si ripartisce, per lo 0,70 del Pil verso la ricerca industriale, per lo 0,18 verso la ricerca degli enti pubblici, e per lo 0,36 verso la ricerca universitaria, con una spesa complessiva, in termini reali, che oscilla fra i 19 e i 20 miliardi di euro, dei quali 8 provenienti da intervento pubblico, a fronte dei 48 miliardi di euro investiti dalla Francia e dei 31 miliardi di euro dalla Gran Bretagna;
    anche l'analisi del bilancio dello Stato testimonia come e quanto l'attuale Governo contrae da anni la spesa pubblica in ricerca, una tendenza che emerge chiaramente dal raffronto delle due missioni: la missione 17 (ricerca e innovazione) che dal 2008 al 2014 è passata da 4 miliardi di euro a 2,8 miliardi di euro, e la missione 23 (istruzione universitaria) che nel medesimo arco temporale è passata invece da 8,6 miliardi di euro a 7,8 miliardi di euro, con un calo totale del 20 per cento e pari a 2 miliardi di euro. Come anche dichiarato nel corso di un'audizione al Senato dalla Ragioneria dello Stato, tra le complessive 34 missioni che costituiscono il bilancio statale quelle maggiormente ridimensionate (nel suddetto periodo) sono state, nell'ordine, la missione istruzione universitaria (-19,9 per cento in media), la missione fondi da ripartire (-14,5 per cento in media) e la missione ricerca e innovazione (-12,17 per cento in media);
    altro, caso paradigmatico è quello dei finanziamenti per la ricerca di base, i cosiddetti Prin (Progetti di ricerca di interesse nazionale), rimasti inattivi dal 2012. Istituiti nel 1996 dal governo Prodi, rappresentavano allora il principale supporto per la ricerca pubblica: da un budget di 137 milioni di euro destinati nel 2003 alle 14 aeree di ricerca, si è passati con una riduzione media del 30 per cento, «complice» la spending review, ad appena 92 milioni di euro, da destinare a tutte le aree di ricerca. I progetti Firb; invece, partiti nel 2004, con 155 milioni di euro, sono andati estinguendosi progressivamente fin a cessare dal 2013 in poi;
    per quanto riguarda i fondi europei, nonostante nel periodo 2007-2013 l'Italia abbia contribuito al settimo programma quadro per un ammontare di 900 milioni di euro l'anno, ne sono rientrati, a causa del suddetto definanziamento alla ricerca di base, solo due terzi, con una perdita secca per la scienza italiana di 300 milioni di euro;
    la struttura dei finanziamenti pubblici alla ricerca, stanziati dal Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca quale organo istituzionalmente deputato ad alimentarla, è riconducibile a due tipi, di fondi, a seconda che siano attribuiti attraverso bandi competitivi o vengano versati direttamente alle università-sedi, peraltro, queste, di almeno il 70 per cento della ricerca di base; per sostenere le loro due attività istituzionali, cioè la didattica e la ricerca. Questi sono: il fondo ordinario all'università (Ffo), che dovrebbe coprire la spesa per gli stipendi del personale docente e amministrativo, per la ricerca e per la manutenzione delle strutture, il fondo ordinario agli enti (Foe), i finanziamenti competitivi (Prin) e (Firb) a università ed enti e di finanziamenti alla ricerca industriale (Far). L'analisi dei dati relativi restituisce tale realtà: a fronte di un costante declino dei fondi Ordinari, si può osservare anche l'esiguità dei finanziamenti ai ricercatori su base competitiva, essenziali per selezionare nel Paese quei gruppi che, svolgendo ricerca ai livelli più alti, potranno confrontarsi a livello internazionale. Infatti nel bando Prin 2012, il finanziamento per il costo stipendiale dei ricercatori a tempo determinato oscillava dai 10.000 euro ai 261.000 euro per tre anni di ricerca, con una media annua di poco più di 24.000 euro, importi che, oltre a costituire le briciole del finanziamento complessivo, sono anche erratici, come dimostra il caso dei bandi Prin, fermi dal 2012 al 2015, diversamente da quanto invece accade in altri Paesi europei in cui i Bandi competitivi alimentano costantemente e adeguatamente la ricerca di qualità, vedi la Gran Bretagna, che con i suoi sette Research Council che finanziano i ricercatori con 3 miliardi di sterline all'anno, la Germania che eroga molti dei finanziamenti competitivi attraverso organismi come la German Research Foundation (Dfg) la più grande agenzia di finanziamento della ricerca d'Europa che riceve fondi dai länder e dal Governo federale, o la Francia, ove nel 2005 è stata istituita l'Agenzia nazionale della ricerca (Anr), che distribuisce fondi per la ricerca e l'istruzione su base competitiva, tramite processi di peer-review svolti da esperti internazionali, con importi che variano da 400 a 900 milioni di euro l'anno;
    anche la Spagna si accinge ad istituire un'Agenzia per la valutazione e il finanziamento della ricerca competitiva, mentre in Finlandia l'Academy of Finland, che raggruppa quattro Research Council, ciascuno attinente a un'area tematica, già finanzia la ricerca scientifica tramite peer-review (cioè il meccanismo della revisione tra pari), spesso affidate a esperti internazionali. Negli Stati Uniti la valutazione ed il finanziamento della ricerca competitiva sono affidati a due pilastri: il National Institute of Health (Nih) e la National Science Foundation (Nsf);
    di contro, nel nostro Paese, non esiste un'Agenzia di questo genere, indipendente dal Governo, che possa gestire un budget per finanziare la ricerca competitiva con valutazioni ex ante. Attualmente le funzioni sono svelte dall'Anvur, che, al pari di analoghe agenzie negli altri paesi valuta ex post la qualità della ricerca degli enti e delle università, e sulla base delle sue valutazioni viene erogata la quota premiale del Ffo e del Fob. La stessa, inoltre, si occupa dell'abilitazione nazionale all'insegnamento e di altre funzioni, ma con budget e personale davvero limitati rispetto alle corrispettive agenzie straniere e con controversi sistemi di referaggio;
    sul fronte della mobilità dei ricercatori, la scarsa attrattività dell'Italia ha portato all'estero già molti di essi, e cioè circa 15.000 unità, creando nella ricerca un vero e proprio buco generazionale e facendoci perdere competitività rispetto agli altri Stati membri: un regalo di intelligenze non compensato da contestuali ingressi dall'estero. Secondo recenti rilevazioni, infatti, le uscite sono pari al 16,2 per cento, mentre gli ingressi dall'estero sono fermi al 3 per cento. Nel 2013, operava in Italia un numero di ricercatori pubblici e privati pari a 164 mila unità (4,9 ogni 1.000 occupati), mentre negli altri maggiori Paesi europei, la presenza di ricercatori è più numerosa e capillare: 357 mila in Francia (9,8 ricercatori per 1.000 occupati); 522 mila in Germania (8,5); 442 mila nel Regno Unito (8,7); 216 mila in Spagna (6,9);
    il Presidente del Consiglio dei ministri ha ufficialmente presentato il progetto definitivo dello Human Technopole, il cui il concessionario è l'Istituto Italiano di, Tecnologia (Iit), ovvero una fondazione privata finanziata direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, associato in questo progetto ai tre atenei milanesi ed a diversi istituti di ricerca di area confindustriale; progetto per il quale verranno stanziati 1,5 miliardi di euro in dieci anni, nonostante la legge di stabilità per il 2016 abbia imposto ulteriori tagli mascherati al settore pubblico dell'università e della ricerca facendo raggiungere il definanziamento del sistema universitario a quota 1,1 miliardi di euro;
    il suddetto progetto è perciò un ennesimo esempio di destrutturazione del sistema pubblico della ricerca: no a caso è prevista l'assunzione dei ricercatori e dei tecnici amministrativi per chiamata diretta. Infine va ricordato che, nel 2008, l'Iit ha ricevuto in dotazione il patrimonio finanziario della fondazione Iri, pari a circa 130 milioni di euro, cioè, risorse pubbliche provenienti dalle spoglie della più grande holding industriale pubblica del Paese: un trattamento di favore per l'Iit che dovrebbe, secondo i firmatari del presente atto far sollevare l'indignazione e la protesta di tutta la comunità scientifica contro un Governo che, una mano, toglie fondi e risorse alla ricerca ed all'alta formazione pubblica scientifica e universitaria, mentre, con l'altra, sostiene operazioni, come il cosiddetto lo human technopole, assolutamente prive di trasparenza sia sul piano dell'uso delle risorse, che su quello del reclutamento di tutto il personale;
    lo stesso Presidente Renzi ha annunciato nei giorni scorsi lo stanziamento di 2,5 miliardi per la ricerca, pur sapendo che non si tratta di risorse aggiuntive ma della quota di cofinanziamento spettante al nostro Paese per la sua appartenenza al programma europeo «Horizon 2020». Nello stesso contesto il premier ha confermato il varo di un Programma nazionale per la ricerca 2015-2020 da 2,5 miliardi di euro, importo che non sarebbe però costituito da risorse «fresche», ma che corrisponderebbe a fondi contabilizzati da oggi al 2017, tra stanziamenti già presenti nel bilancio del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca per un importo pari a 1,9 miliardi di euro e una quota relativa alla programmazione nazionale del fondo per lo sviluppo e la coesione, relativa al periodo 2014-2020 per un importo di 500 milioni di euro;
   il suddetto piano del Governo per rilanciare ricerca ed innovazione manca all'appello dal 30 gennaio 2014 quando il Consiglio dei ministri esaminava, in via preliminare il testo elaborato dall'allora ministra Maria Chiara Carrozza e mai varato;
   nonostante quello che appare ai firmatari del presente atto come il tentato e continuo «depistaggio cognitivo» da parte del premier resta un'amara realtà: il Governo ha stanziato per i prossimi due anni solo 100 milioni di euro per tale settore, con i quali poter assumere solo 861 ricercatori all'anno, mentre, invece, a giudizio dei firmatari del presente atto ne servirebbero almeno 2400 all'anno per i prossimi otto;
   in un mondo dominato oramai dall'economia della conoscenza, la ricerca insieme all'istruzione sono i pilastri su cui si costruisce il futuro e la prosperità di un Paese, pertanto un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura è condannato a non avere futuro,

impegna il Governo:

   a rilanciare, con la massima urgenza, il comparto delle ricerca italiana, attraverso l'immediato varo dell'annunciato programma nazionale per la ricerca 2015-2020 e l'assunzione di iniziative per l'elevazione dell'attuale spesa per investimenti in ricerca e sviluppo ad un livello pari al 3 per cento del Pil anche al fine di accrescere i livelli di produttività, di occupazione e di benessere sociale del nostro Paese;
   ad assumere iniziative per istituire, sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, un'Agenzia italiana per la ricerca scientifica al fine di superare l'attuale sistema burocratizzato e frammentato di assegnazione delle risorse, che rappresenti un organismo di stimolo, di rinnovamento e di qualificazione della ricerca scientifica italiana con il compito di riassumere in una sola sede tutte le risorse destinate al settore.
(1-01193) «Carlo Galli, Pannarale, Giancarlo Giordano, Nicchi, Ricciatti, Gregori, Ferrara, Martelli, Scotto».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    una delegazione della Commissione difesa – formata dal presidente Francesco Saverio Garofani e dai deputati Tatiana Basilio, Francesca Bonomo, Elio Massimo Palmizio e Rosanna Scopelliti – ha svolto una missione a Firenze il 18 febbraio  2016 visitando lo Stabilimento chimico farmaceutico militare;
    a ricevere la delegazione erano presenti il direttore generale dell'Agenzia Industrie Difesa (AID), ingegner Gian Carlo Anselmino, il direttore dello stabilimento, colonnello Antonio Medica, insieme ad altri ufficiali del medesimo stabilimento (il vice direttore, colonnello Flavio Paoli, il tenente colonnello Lorenzo Funaro e il tenente colonnello Stefano Mannucci);
    la delegazione ha potuto verificare il ruolo importante ricoperto dallo stabilimento in questione sia per l'amministrazione della difesa sia per il sistema sanitario nazionale;
    è utile ricordare come al fine di assicurare una gestione unitaria di tipo privatistico all'area tecnico-industriale del Ministero della difesa, è stata istituita, con decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, articolo 22, l'Agenzia Industrie Difesa (AID) che opera secondo i princìpi del mercato e della libera concorrenza;
    l'AID è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico istituito come strumento di razionalizzazione e ammodernamento delle unità industriali del Ministero della difesa. L'AID opera secondo criteri industriali sotto la vigilanza del Ministro della difesa, con la missione di portare all'economica gestione gli stabilimenti industriali assegnati in gestione, in una logica di creazione di valore sociale ed economico per lo Stato e la collettività;
    nel processo di riforma iniziato dal Ministero della difesa nel novembre del 2000 il Farmaceutico militare di Firenze, insieme ad altri 9 enti distribuiti sul territorio italiano, è stato inserito alle dipendenze di un'agenzia denominata Agenzia Industrie Difesa (decreto legislativo n. 300 del 30 luglio 1999, decreto ministeriale del 24 aprile 2001, decreto ministeriale del 24 ottobre 2001), perché ritenuto non più strategico, con la finalità di ridurne i costi di funzionamento e di raggiungere l'equilibrio economico-finanziario seguendo criteri di economicità ed efficienza;
    con i decreti ministeriali in data 24 aprile 2001 e 24 ottobre 2001 sono stati trasferiti alla gestione dell'AID ben otto strutture militari, tra cui appunto lo Stabilimento chimico farmaceutico di Firenze, azienda che negli ultimi due anni ha raggiunto il pareggio di bilancio ed ha mantenuto un costante livello di esercizio, in ossequio a quanto disposto dall'articolo 2190 del codice dell'ordinamento militare;
    la predetta struttura riveste una fondamentale importanza nel settore della ricerca e della sperimentazione farmacologica, posto che alla stessa è demandata fin dal 2014, in via esclusiva, la produzione di medicinali cannabinoidi, oltre che antidoti, farmaci, medicature e presidi medico chirurgici in tutte le situazioni di emergenza nazionale quali il terremoto in Irpinia, il terremoto del Friuli-Venezia Giulia, l'alluvione nella Val Nerina, il colera in Campania e l'influenza AH1N1;
    in occasione dell'emergenza internazionale derivante dall'esplosione della centrale termonucleare di Chernobyl in sole 24 ore vennero prodotte e consegnate dallo Stabilimento chimico farmaceutico di Firenze un milione di pasticche di potassio ioduro, necessarie a prevenire gli effetti più devastanti sulla tiroide dall'esposizione alle radiazioni emesse dallo iodio radioattivo 131, mentre in tempi più recenti la struttura ha contribuito allo sviluppo del progetto Stop-shock di uso militare, rivelatosi efficace anche contro gli effetti più devastanti dell'Ebola, svolgendo di fatto e da sempre un ruolo operativo strategico e sociale, intervenendo prontamente come «organo tecnico dello Stato» in molte emergenze nazionali ed internazionali;
    lo Stabilimento chimico militare di Firenze è l'unico ente farmaceutico di Stato in Italia che produce cosiddetti «farmaci orfani» senza scopo di lucro, farmaci che non vengono prodotti dalle aziende farmaceutiche private a causa dello scarso ritorno economico ma che sono dei «salvavita» per le migliaia di persone affette da malattie rare;
    per peculiarità funzionali e operative del Farmaceutico militare, che più che uno stabilimento è un'istituzione, è impensabile trarre profitti economici dalle proprie produzioni;
    come riportato dalla stessa relazione fatta alla Commissione difesa dal presidente Francesco Saverio Garofani «in conclusione del briefing, il colonnello Medica ha evidenziato i punti di forza e le criticità dello Stabilimento. Tra i punti di forza, c’è il fatto che lo Stabilimento è l'unica officina farmaceutica dello Stato: un'officina in grado di produrre farmaci in conformità con i più elevati standard di qualità, nonché di assicurare una risposta pronta e sicura, con una grande flessibilità, che le consente di produrre medicinali in varie forme e a vari livelli di scala (da quello della farmacia a quello industriale). Punti di criticità sono invece: i costi necessari per mantenere pronti ed efficienti i reparti di produzione; l'età media del personale, che è elevata; il progressivo pensionamento senza sostituzione di personale altamente specializzato; l'incertezza dell'organigramma»;
    recentemente inoltre la Fondazione FIRMO «Raffaella Becagli» impegnata nella ricerca sulle oltre 400 malattie dell'osso rare, ha allestito i suoi laboratori nelle stanze dell'Istituto farmaceutico militare segno di una importante collaborazione con le istituzioni di ricerca civili;
    vista la valenza che riveste riguardo alle proprie particolari produzioni di interesse strategico-sociale per il Paese, lo SCFM non può più essere gestito dall'AID che, per assetto normativo e per le proprie peculiarità, va in contraddizione con le finalità del Farmaceutico. Dovendo quest'ultimo sottostare a dinamiche e piani economici, tipici degli stabilimenti di produzione e che di fatto comprometterebbero il futuro del Farmaceutico,

impegna il Governo:

   a valutare la ridenominazione della struttura da «Stabilimento chimico farmaceutico militare» ad «Istituto chimico farmaceutico militare», al fine di riportarlo nella giusta collocazione delle proprie funzioni operative;
   ad assumere iniziative per sottrarre la struttura dall'attuale gestione dell'AID per favorirne il diretto controllo da parte del Ministero della difesa, compresa la posizione dei 47 dipendenti civili del Farmaceutico militare, posto che il pareggio di bilancio non si conforma alla missione istituzionale perseguita dall'ente benché comunque lo stesso sia stato, negli ultimi anni, costantemente raggiunto;
   proporre soluzioni alternative e più efficaci nella gestione del Farmaceutico militare, nel panorama delle emergenze farmaceutico sanitarie nazionali ed internazionali;
   ad assumere iniziative per adeguare gli stanziamenti di bilancio destinati al funzionamento dell'Istituto chimico farmaceutico militare;
   a contrastare la perdita di professionalità e conoscenza del Farmaceutico stesso garantendo un turn over adeguato a partire dall'assunzione a tempo indeterminato di almeno 10 unita di giovani da formare all'interno dell'Istituto da impiegare nei reparti di produzione dei farmaci;
   ad assumere nuove iniziative al fine di ottimizzare e valorizzare i laboratori del Farmaceutico, nonché le conoscenze del suo personale specializzato, anche attraverso la stipula di apposite convenzioni.
(7-00947) «Basilio, Frusone, Corda, Rizzo, Tofalo, Paolo Bernini, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gallinella, Parentela, Lupo, Gagnarli, L'Abbate, Baroni, Lorefice, Mantero, Di Vita, Colonnese, Silvia Giordano».


   La Commissione XI,
   premesso che:
    la pesca nel nostro Paese da sempre segna l'economia italiana e ne rappresenta una risorsa e un'opportunità, presentando un importante ruolo sociale e culturale nelle molte comunità di mare del nostro Paese. La crisi che oggi sta minando l'economia è molto accentuata nel settore ittico. Negli ultimi dieci anni l'occupazione è scesa del 40 per cento, la redditività delle imprese è diminuita del 31 per cento, mentre i costi di produzione sono aumentati del 53 per cento;
    il quadro giuridico di riferimento per la pesca si inserisce nel più ampio contesto del diritto internazionale, della normativa comunitaria e nazionale, oltre che della legislazione regionale;
    un settore prezioso che impiega circa 30 mila persone e che da vita ad un sistema come quello della trasformazione del pesce che fattura 2,2 miliardi di euro. In Italia, con 12 mila imbarcazioni, è presente circa il 14 per cento della flotta europea;
    il settore, in modo peggiore di altri, è stato investito da numerosi fattori che ne causano tutt'oggi l'impoverimento: l'esplosione del caro gasolio, l'impoverimento degli stock ittici, il mancato ammodernamento delle imbarcazioni, pesca illegale, competizione con i prodotti importati di scarsa qualità e venduti a basso costo, una politica europea che non tiene conto delle specificità del Mediterraneo, – l'incapacità dimostrata dalle regioni nello spendere le risorse comunitarie a sostegno del settore, uno scarso ricambio generazionale;
    un settore, dunque, a grave rischio di sopravvivenza, dovuto soprattutto al fatto che le imprese ittiche vivono un equilibrio precario tra ricavi decrescenti e costi delle produzioni continuamente in crescita; riduzione dei ricavi che minacciano ormai la qualità e la consistenza degli investimenti, persino di quelli indispensabili a garantire la sicurezza a bordo ed in mare;
    si rende dunque indispensabile l'elaborazione di un progetto generale che tenga conto delle necessità del comparta armonizzandone la redditività, la sicurezza e la salute dei lavoratori impiegati nel settore alla stregua di quelli impiegati in altre imprese ed attività;
    il comparto pesca è caratterizzato di fatto dalla mancanza di un efficace sistema di ammortizzatori sociali: il legislatore nazionale ha progressivamente assimilato, per alcune analogie ricorrenti, il settore della pesca marittima a quello agricolo, ribadendo, da ultimo, il concetto nel recente decreto legislativo n. 4 del 2012, che ha stabilito l'equiparazione tra imprenditore ittico a quello agricolo. Tuttavia, nel settore della pesca si rileva una grave carenza che genera disparità di trattamento tra il sistema pesca e quello agricolo;
    nel comparto ittico manca infatti un idoneo e generalizzato sistema strutturale di ammortizzatori sociali, da attivarsi in caso di sospensione dell'attività di pesca stabilita con provvedimento delle autorità competenti, per crisi di mercato, per avversità meteo marine o per circostanze connesse alla gestione delle risorse marine, nonché al fine di garantire stabilità occupazionale per tutti i casi di sospensione straordinaria dell'attività connessi ad interventi straordinari di manutenzione, ammodernamento e messa in sicurezza del peschereccio, fenomeni di inquinamento ambientale, alla presenza di agenti patogeni che colpiscono la risorsa ittica, crisi strutturali di mercato, ristrutturazioni aziendali, cessazione attività ed ogni altro evento, imprevisto e/o imprevedibile, comunque non imputabile alla volontà del datore di lavoro;
    il decreto legislativo n. 148 del 2015, con cui il Governo ha inteso estendere ad una più ampia platea di lavoratori lo strumento degli ammortizzatori sociali, non soddisfa per gli interroganti in nessun modo la necessità delle imprese e lavoratori del settore pesca professionale, in quanto oltre il 90 per cento degli addetti sono occupati in imprese al di sotto di cinque dipendenti e, quindi esclusi da tale provvedimento;
    il mondo datoriale della pesca, armatoriale e cooperativo, unitamente alle rappresentanze sindacali dei lavoratori della pesca condividono l'esigenza di dotare anche il settore della pesca di un sistema di ammortizzatori sociali alle medesime condizioni alle quali vi accede il comparto agricolo (Cisoa). Proprio a tal fine, inoltre, le parti sottoscrittrici i due vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro, (FLAI-CGIL, FAI-CISL e UILA Pesca e AGCI-AGRITAL, Confcooperative-Federcoopesca e Legacoop-Legapesca per il personale imbarcato su natanti di cooperative di pesca e FLAI-CGIL, FAI-CISL e UILA Pesca e Federpesca per il personale imbarcato su navi adibite alla pesca marittima), hanno già condiviso nei citati contratti collettivi del lavoro un intento comune per sollecitare l'introduzione nel settore di un appropriato sistema di ammortizzatori sociali;
    un nuovo sistema di ammortizzatori a regime per la pesca avrebbe effetti positivi ad esempio sulle condizioni di sicurezza del lavoro e della salvaguardia della vita umana in mare: infatti, molte volte si eviterebbe di dover forzatamente avventurarsi per mare anche in presenza di condizioni meteo-marine proibitive, come purtroppo oggi avviene, per la necessità di realizzare comunque un minimo di reddito in presenza del divieto-normativo di recuperare le giornate perse per maltempo;
    infine, anche se indirettamente, verrebbero favorite le possibilità di una maggiore articolazione delle politiche di gestione delle attività che incidono sulle risorse marine, tutelandone i relativi stock ittici, in linea con le regolamentazioni comunitarie in materia di politica comune della pesca;
    secondo l'Agenzia europea per la sicurezza (EU-OSHA) «la pesca è uno dei mestieri più pericolosi e usuranti: in questo settore il rischio di infortunio è 2,4 volte maggiore della media di tutti i settori industriali dell'UE»;
    nell'ultimo rapporto annuale dell'Inail si legge che sono avvenuti circa 1.000 infortuni, per il 98,6 per cento sono accaduti a bordo delle navi, e 5 gli infortuni mortali nella pesca, settore che, annualmente, conferma la sua rischiosità, soprattutto a causa dei naufragi che mettono a repentaglio la vita dell'intero equipaggio, mentre registriamo soltanto 56 domande accolte di riconoscimento di malattie professionali;
    sulle barche da pesca e in generale sui pescherecci, vi è un'alta percentuale di rischio di scivolare o di caduta anche fuori bordo. Guardando alle condizioni climatiche, è ben noto come i pescatori si trovino spesso a lavorare in condizioni di freddo e in ambienti umidi, sono soggetti per ore a rumori incessanti dovuti alle macchine del motore (soprattutto delle piccole imbarcazioni) e soggetti ad orari di lavoro notturno e quindi a stress psicofisico;
    svolgere quindi, attività lavorative in condizioni di questo tipo può comportare un abbassamento delle difese immunitarie oltre a disagi di tipo psicologico;
    sono 3 i decreti legislativi ai quali far riferimento quanto si parla di normativa sulla sicurezza sul lavoro per i pescatori e in generale il settore: il decreto legislativo n. 271 del 1999 – «Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi mercantili da pesca nazionali, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485»;
    il decreto legislativo n. 272 del 1999 – «Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell'espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485»;
    il decreto legislativo n. 272 del 1999 – «Attuazione della direttiva 93/103/CE relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per il lavoro a bordo delle navi da pesca»;
    il corpo legislativo di riferimento in materia di tutela dei pescatori è costituito dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 271 del 1999, nel decreto legislativo n. 298 del 1999, nel decreto legislativo n. 272 del 1999, riguardante la manutenzione in banchina cui si aggiunge il decreto legislativo n. 81 del 2008; vero e proprio testo unico in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro;
    l'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008 stabilisce che con decreti, da emanare entro trentasei mesi (15 maggio 2011) a partire dalla data di entrata in vigore del decreto predetto, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Ministro della salute, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, si provvede a dettare le disposizioni necessarie a consentire il coordinamento con la disciplina recata in materia di salute e sicurezza sul lavoro relative alle attività che si svolgono a terra con la normativa riguardante le attività lavorative a bordo delle navi, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271, in ambito portuale, di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, e per il settore delle navi da pesca, di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 298;
    la prima stesura del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevedeva l'emanazione di tali decreti di coordinamento entro 12 mesi e quindi entro il 15 maggio 2009, scadenza che fu poi posticipata, una prima volta, al 15 maggio del 2010 dal decreto-legge, 30 dicembre 2008, n. 207 (articolo 32, comma 2-bis e comma 2-ter) convertito dalla legge 27 febbraio 2009, ed ulteriormente prorogato al 15 maggio 2011 dal decreto-legge 30 dicembre n. 194 (articolo 6 comma 9-quater), convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25;
    a tutt'oggi, i decreti di coordinamento non risultano ancora emanati;
    si sottolinea, inoltre, la precarietà del rapporto di lavoro del personale imbarcato: secondo l'articolo 343 del codice di navigazione, infatti, nel caso di assenza per malattia o per infortunio, che comporti lo sbarco del personale addetto, il contratto di lavoro si intende risolto di diritto;
    in pratica, secondo il codice di navigazione, l'assenza del personale imbarcato, determina di diritto, la risoluzione del contratto;
    sarebbe auspicabile che, almeno nei casi comprovati di malattia o infortunio, fosse concesso al marittimo un periodo di sospensione dal rapporto e non la risoluzione di diritto, con la possibilità per l'armatore di poter sostituire lo stesso con un altro addetto per tutta la durata dell'assenza così come è previsto per gli altri settori;
    quello della pesca è un settore la cui normativa è da tempo deficitaria, troppo lontana dall'eterogeneità che caratterizza le varie tipologie di imprese operanti nel comparto e che da oltre 10 anni attende un adeguamento,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative volte ad introdurre, nell'ambito della revisione prevista entro un anno dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, l'istituto della cassa integrazione ordinaria per il comparto ittico alla stregua di quello previsto per il comparto agricolo;
   ad assumere iniziative affinché siano adottati quanto prima, alla luce dei sopra elencati rischi connessi all'attività in mare, i decreti ministeriali, di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008 recante le disposizioni necessarie a consentire il coordinamento tra la disciplina recata in materia di salute e sicurezza sul lavoro relativamente alle attività che si svolgono a terra e la normativa riguardante le attività lavorative a bordo delle navi;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per prevedere, nell'ambito di una revisione complessiva del sistema pensionistico, l'inserimento nell'elenco delle lavorazioni definite «usuranti», di cui al comma 1 dell'articolo 1 del decreto-legislativo 21 aprile 2011, n. 67, anche di quelle esplicate dal personale dipendente imbarcato sulle navi adibite alla pesca marittima, ivi compresi i soci lavoratori delle cooperative di piccola pesca, di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250;
   ad assumere iniziative per introdurre nel codice di navigazione una norma che preveda espressamente la sostituzione del marittimo in caso di assenza imprevedibile e breve, o in caso di malattia ed infortunio fino a cinque giorni, fermo restando il rapporto di lavoro dello stesso, con espressa previsione della riammissione in servizio terminato il periodo di assenza.
(7-00948) «Rostellato, Venittelli, Oliverio, Crivellari, Gnecchi, Di Salvo, Arlotti, Giacobbe, Miccoli, Rotta, Boccuzzi, Gribaudo, Casellato, Baruffi, Incerti, Albanella, Patrizia Maestri, Paris, Mognato, Romanini, Marco Di Maio, Galperti, Iori, Lattuca, Iacono, Crimì, Capodicasa, Ragosta, Basso, Moretto, Manfredi, Bossa, Currò».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014, definito comunemente «Sblocca Italia» è stato convertito con la legge l'11 novembre 2014, n. 164 recante: «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive»;
   all'articolo 35, comma 2, del decreto-legge si prevede: «[..]entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, effettua la ricognizione dell'offerta esistente e individua, con proprio decreto, il fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni; sino alla definitiva realizzazione degli impianti necessari per l'integrale copertura del fabbisogno residuo così determinato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare, ove tecnicamente possibile, un incremento fino al 10 per cento della capacità degli impianti di trattamento dei rifiuti organici per favorire il recupero di tali rifiuti raccolti nel proprio territorio e la produzione di compost di qualità»;
   secondo la Commissione europea, nella sua più recente «Strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti» il successo nella diminuzione delle quantità di rifiuti biodegradabili messi a discarica dipende dal successo della raccolta differenziata e dal loro trattamento in impianti dedicati. Benché i rifiuti biodegradabili possano essere estratti dai rifiuti solidi urbani, questo processo è laborioso e fornisce un prodotto contaminato. Perciò un rifiuto «pulito» ottenuto tramite la raccolta differenziata e il successivo trattamento in impianti dedicati produce un compost che soddisfa gli standard di qualità e la cui vendita ed utilizzo siano appropriati per apportare benefici ambientali ed economici, dato anche lo scarso costo del processo;
   nell'elaborazione dei dati riferiti all'anno 2014, forniti nel 2015 dal «Consorzio Italiano Compostatori», sono state separate oltre 5,7 milioni di tonnellate di rifiuti organici, pari al 43 per cento di tutta la raccolta differenziata del Paese; la frazione umida ha quindi avuto un incremento annuo del 9,5 per cento e dal recupero degli scarti organici in Italia si ottengono oltre 1,3 milioni di tonnellate all'anno di compost con un risparmio di 1,4 Mt di CO2 equivalenti rispetto all'invio in discarica;
   la Conferenza delle regioni e delle province autonome del 20 gennaio 2016 ha espresso un parere con osservazioni sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo «all'individuazione del fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata» –:
   in quali tempi si intenda emanare, il decreto previsto dall'articolo 35, comma 2, del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito in legge 1'11 novembre 2014, n. 164, inerente alla ricognizione dell'offerta esistente e all'individuazione del fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni. (4-12423)


   D'AGOSTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità) per il 2016, ai commi da 98 a 108 dell'articolo 1, prevede che a decorrere dal 1o gennaio 2016 e fino alla chiusura del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019 è riconosciuto un credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Campania, Basilicata, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna), in misura variabile dal 10 al 20 percento a seconda delle dimensioni delle aziende;
   tale misura è scaturita dalla necessità di sostenere l'economia del Mezzogiorno attraverso una serie di strumenti che servano ad incentivare gli investimenti delle imprese;
   i bonus relativi al credito d'imposta sono in larga parte non usufruibili per la mancanza dei decreti attuativi;
   tale circostanza è stata recentemente evidenziata, tra l'altro, anche dai vertici di Confindustria;
   è diffusa la consapevolezza che il varo dei decreti preveda un iter di per sé lungo ma tuttavia, non si può correre il rischio che si vanifichi lo sforzo fatto per varare le misure a favore delle imprese che intendono investire nelle regioni meridionali;
   c’è il rischio che nessuno dei possibili investimenti nel Mezzogiorno veda la luce;
   nonostante l'economia italiana stia lentamente uscendo dalla crisi, nel Mezzogiorno non si vedono significativi segnali di ripresa;
   dopo due anni caratterizzati dalla recessione, il prodotto interno lordo torna a crescere con un + 0,8 per cento. Un dato, quello diffuso dall'Istat, migliore rispetto allo 0,7 che era nelle previsioni del Governo. Tuttavia, nel presentare i risultati della gestione della finanza regionale, la Corte dei Conti ha recentemente evidenziato la condizione di perdurante difficoltà nella quale versa l'economia del Sud;
   occorre pensare ad un programma di potenziamento infrastrutturale che dia al Mezzogiorno la possibilità di ridurre in maniera significativa il gap che lo separa dal resto del Paese. Senza nuove infrastrutture, e senza l'ammodernamento di quelle esistenti, non può esserci la ripresa dell'economia meridionale;
   il Sud ha bisogno di decisioni assunte con celerità per consentire ad un'economia duramente provata dalla crisi di cogliere appieno le opportunità offerte dalla ripresa in atto nel Paese;
   a giudizio dell'interrogante, occorre superare le lungaggini burocratiche, specie quando queste si ripercuotono pesantemente sull'economia del Mezzogiorno con le conseguenze che si possono immaginare –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per accelerare l’iter di adozione dei decreti attuativi del credito d'imposta per le imprese che investono nel Mezzogiorno. (4-12425)


   FASSINA e GREGORI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   sono preoccupanti le affermazioni di Roberto Giachetti, oggi a un quotidiano romano. Prospettano, ad avviso degli interroganti, una grave violazione dei compiti istituzionali del Presidente del Consiglio;
   Giachetti comunica che ha ottenuto, evidentemente in via riservata, l'impegno del Governo su tre «cose»: il prolungamento della Metro B fino a Casal Monastero, flessibilità nella gestione del debito storico del comune di Roma e continuazione del piano sicurezza dopo la conclusione del Giubileo. Sono tre «cose» necessarie per Roma;
   si tratta di impegni chiesti da lungo tempo in precedenza al Governo, è urgente un chiarimento, in particolare, se l'assunto dal Governo con Giachetti varrebbe solo in caso di vittoria di quest'ultimo, se si tratta quindi di utilizzare il bilancio dello Stato a seconda delle convenienze politiche –:
   se non intenda chiarire attraverso iniziative urgenti le posizioni e gli impegni del Governo, formali o informali, assunti nei confronti del candidato sindaco del Pd, Roberto Giachetti, con particolare riferimento ad eventuali stanziamenti economici. (4-12430)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   POLIDORI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il sito di cronaca e costume Dagospia, il 4 agosto 2015, riportava la seguente notizia: «Non dite al viceministro Carlo Calenda, delegato al made in Italy nel governo, che tale Anthony Peth, all'anagrafe Antonio Petretto da Alghero, sedicente quanto sconosciuto presentatore televisivo, si presenta ovunque come “ambasciatore del made in Italy nel mondo” forse perché testimonial della pubblicità di un piccolo pastificio. E a chi gli chiede da chi gli sia stata attribuita una carica così pomposa e altisonante risponde, col suo fortissimo accento sardo, che è stato nominato tramite un bando europeo (sic). Come se Bruxelles si occupasse ora anche di nominare “ambasciatori” dei prodotti tipici nazionali»;
   in effetti, da semplici ricerche effettuate sul web, risulta che tale presentatore di tv locali o piccoli canali televisivi, personaggio completamente sconosciuto al grande pubblico, rilascia da oltre un anno decine e decine interviste definendosi in modo inequivocabile «ambasciatore», parlando di ruoli istituzionali, decreti di nomina, e funzioni svolte nell'interesse del Paese;
   il signor Petretto non solo non smentisce gli equivoci sul presunto incarico di «ambasciatore», ma anzi parla nelle sue interviste di funzioni «istituzionali» e di essere «il più giovane ambasciatore della storia», alludendo chiaramente ad una carriera diplomatica, come ad esempio sul sito lifestylemadeinitaly.it: «Spesso le persone o i giornalisti mi chiedono come ci si sente ad essere l'ambasciatore più giovane della storia, quello che rispondo sempre è che non bisogna “tirarsela” perché si ha un ruolo istituzionale o di spicco nella società, ma anzi si ha una responsabilità nei confronti della propria nazione»;
   circa un calendario realizzato dal signor Petretto per, a suo dire, promuovere il Made in Italy, si legge sul quotidiano La Nuova Sardegna che «la realizzazione del progetto nasce da un'idea dell'organo direttivo del Made in Italy in collaborazione con Rm Consulting che gestisce il progetto nel mondo»;
   in una intervista all'emittente Keep Radio il signor Petretto parla addirittura di un decreto che sarebbe stato promulgato, presumibilmente dal Governo, fissando però la sede di questo organismo per la promozione del Made in Italy presso l'ambasciata degli Stati Uniti in Italia, cosa apparentemente piuttosto insensata: «finalmente è arrivata la lettera, tanto attesa, dalla Repubblica con il decreto nel quale mi viene stipulato un riconoscimento come primo ambasciatore del Made in Italy nel mondo con la sede dell'ambasciata d'America in Italia. Sono il primo nella storia così giovane a soli trent'anni»;
   nonostante i numerosi richiami all'Expo 2015 fatti dal signor Petretto nelle sue interviste, anche giocando con la parola «ambasciatore» e la sua asserita presenza presso il Padiglione Italia, è facilmente verificabile come lo stesso non sia mai stato nella lista degli «Ambassador di Expo 2015», tutte alte personalità di chiara fama e indubbio prestigio nazionale ed internazionale;
   le diverse versioni riportate nel tempo dal signor Petretto circa l'attribuzione di questo presunto incarico, inizialmente venutogli da aziende private nel settore alimentare collegate a bandi europei e da tale «organo direttivo» del Made in Italy, in seguito con un decreto di nomina con assegnazione di una sede per questo progetto presso un'ambasciata, rendono legittimi i dubbi sulla autenticità di tali affermazioni, perlomeno nella forma esposta dal signor Petretto;
   tale carica di «ambasciatore» inoltre utilizzata dal signor Petretto, come risulta in modo facilmente verificabile sul web e sui suoi profili nei social network, per ricevere prestazioni professionali retribuite quale presentatore di piccoli eventi locali, fiere paesane e concorsi di bellezza presso centri minori soprattutto del Mezzogiorno, ricevendo quindi compensi da aziende ed enti locali per garantire la partecipazione all'evento del sedicente «ambasciatore del Made in Italy nel mondo» –:
   se il Governo abbia effettivamente attribuito la carica di ambasciatore al signor Antonio Petretto, in che data, con quali criteri di individuazione, con quale provvedimento e sulla base di quali normative;
   quali requisiti presenterebbe il signor Petretto, essendo un personaggio privo di notorietà e qualifica, che si esprime addirittura con forte accento dialettale, per ricoprire un incarico di tale rilevanza, qualora fosse veritiero quanto lo stesso Petretto afferma, vale a dire quello di essere stato nominato con decreto «ambasciatore del Made in Italy nel mondo»;
   se il Ministro in interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare il marchio del Made in Italy ed evitare il ripetersi di evidenti abusi come quelli riportati;
   se il Ministro interrogato non ritenga che l'utilizzo incontrollato del titolo di ambasciatore del made in Italy, possa generare equivoci e confligga con i titoli e i ruoli diplomatici. (4-12427)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a partire dalle ore 8:30 del 1o marzo 2016, per più ore nel corso della giornata, inequivocabili esalazioni di idrocarburi hanno investito i quartieri Villanova, Centro e Palombina Vecchia di Falconara Marittima;
   il vento, nelle ore in cui sono avvenute le segnalazioni, soffiava da nord-ovest (NW), cioè con direzione dalla raffineria API verso la città, come mostra la ricostruzione riportata nel sito http://ventifalconara.wix.com;
   i cittadini hanno segnalato la situazione al telefono delle emergenze ambientali del comune di Falconara M., altri hanno avvertito anche i carabinieri della locale stazione;
   si tratta dell'ennesimo episodio relativo a esalazioni che stanno esasperando i cittadini, già oggetto di precedenti interrogazioni del sottoscritto, con preoccupazioni per le conseguenze sulla salute;
   risulterebbe che, in questi giorni, tutti o molti impianti dell'API per la raffinazione del petrolio siano fermi per manutenzione. Dato che è noto che la manutenzione e la bonifica degli impianti di raffinazione del petrolio (colonne, e altro) dai residui idrocarburici dei processi di raffinazione, avviene anche attraverso lavaggi con azoto gassoso (cosiddetti soffietti/pressurizzazioni di azoto) e con vapore a pressioni elevate, da più parti si ipotizza che quella possa essere la causa. Da più parti, inoltre, si ipotizza che quanto accaduto appena 36 ore prima delle esalazioni del 1o marzo – nella notte tra il 27 e 28 febbraio – possa costituire una traccia nell'individuazione dell'origine delle esalazioni. Infatti la notte del 27/28 febbraio 2016 i residenti del quartiere Fiumesino di Falconara avevano documentato in video il forte rumore sprigionatosi da potenti getti di vapori in uscita dagli impianti della raffineria API, già allora in manutenzione. Il vento da Sud-Est aveva tenuto lontano quei vapori dalle abitazioni del quartiere;
   sino al 4 marzo 2016, era impossibile consultare le centraline di monitoraggio della qualità dell'aria poste a Villanova e Falconara Alta (quelle sottovento rispetto al vento da nord-ovest) per vedere i livelli di inquinanti validati dall'ARPA Marche nella giornata del 1o marzo: «temporaneo disservizio ... l'applicativo relativo ai dati sulla qualità dell'aria nella Regione Marche è temporaneamente inattivo» –:
   se un possibile cambio di direzione dei venti il 1o marzo 2016 possa aver trasportato in città eventuali esalazioni sprigionatesi nel corso delle manutenzioni e bonifiche degli impianti;
   se la taratura nazionale delle centraline di rilevamento della qualità dell'aria organizzata dall'ISPRA a Falconara M. (Circuito interconfronto ISPRA) a partire dal 29 febbraio 2016, prevedesse il «temporaneo disservizio» e quali siano i reali dati sulla qualità dell'aria a Falconara Marittima del 1o marzo 2016. (5-08049)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FURNARI e CIVATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   ancora una volta i media tornano a parlare dello stabilimento siderurgico dell'Ilva e ancora una volta per denunciare una nuova catastrofe che si sta abbattendo sulla popolazione e sull'ambiente circostante lo stabilimento;
   ad essere incriminati sono i valori della diossina che sembra aver raggiunto livelli altissimi proprio nel quartiere Tamburi di Taranto. Numeri «schizzati» anche quaranta volte oltre i limiti, ben superiori al «record storico» registrato in Italia e circa diciotto volte oltre i numeri toccati durante i rilevamenti dell'Arpa tra il 2008 e il 2011;
   i dati che emergono e che si riferiscono al periodo compreso tra l'agosto 2013 e il febbraio 2015, sono stati raccolti da due laboratori per conto della stessa Ilva. I dati sono contenuti in una delle due relazioni stilate dal Politecnico di Torino e sarebbero stati trasmessi, almeno così si legge nell'articolo del 26 febbraio 2016 pubblicato su il Fatto quotidiano, dall'azienda al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il quale però non li avrebbe resi noti;
   dati che l'Ilva ha dovuto raccogliere come prescritto nell'autorizzazione integrata ambientale, non resi pubblici, ma che hanno spinto l'associazione ambientalista Peacelink a scrivere al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiedendo di «conoscere urgentemente i rapporti di prova con le analisi relative ai controlli sulle deposizioni della diossina...»;
   non avendo però ottenuto una risposta in merito se non il consiglio di rivolgersi all'Arpa Puglia, l'Associazione in parola si è rivolta alla stessa Arpa la quale ha deciso non solo di inviare i propri tecnici presso uno dei laboratori che ha raccolto i dati per capire come sono stati effettuati i campionamenti, ma ha anche informato il presidente della regione Puglia sottolineando che qualora i dati fossero verificati si parlerebbe: «di ordini di grandezza pericolosamente superiori ai limiti» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di porre in essere al fine di verificare la fondatezza dei dati contenuti negli studi di cui sopra;
   quali iniziative di competenza il Governo abbia intenzione di adottare al fine di tutelare la salute dei cittadini residenti nei quartieri limitrofi allo stabilimento industriale per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori dell'Ilva. (4-12418)


   PELLEGRINO, PANNARALE, SANNICANDRO e DURANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha espresso, in data 22 dicembre 2015, con il decreto ministeriale n. 295, la compatibilità ambientale (VIA) relativamente a un progetto di deposito costiero di Gpl ed opere connesse nell'agro di Manfredonia, presentato dalla Società Energas Spa, con sede legale in via Morelli, 75 – Napoli, condizionato al rispetto di diverse prescrizioni che sono a giudizio degli interroganti, con ogni evidenza irrealizzabili;
   il progetto di massima redatto dalla società Energas Spa di Napoli prevede, su un'area di 18 ettari, la installazione di 12 megaserbatoi di metri 8 di diametro per metri 102 di lunghezza, parzialmente, interrati, per una capacità complessiva di 60.000 metri cubi (60 milioni di litri), e la realizzazione di innumerevoli opere funzionalmente connesse ed un gasdotto lungo 10 chilometri, di cui 5 chilometri sottomarino che collegherà il previsto deposito di stoccaggio gasiero all'esistente pontile, previo suo adeguamento del punto di attracco delle navi gasiere vedi allegato n. 1);
   il progetto di massima presentato per ottenere le diverse autorizzazioni, riveduto in alcune sue piccole parti, utilizza la stessa documentazione e opera le stesse scelte progettuali previste nella richiesta di valutazione di impatto ambientale presentato nel 1999 dall'allora società (Isosar Srl, oggi Energas Spa, su cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per i beni e le attività colturali, in data 27 dicembre 2000, si era già espresso con parere negativo;
   la stessa area dell'impianto confina con aree destinate ad allevamenti di animali e con terreni agricoli (200 ettari) biologicamente coltivati (dotati di certificati Icea fin dal 1990);
   le strutture portanti del porto industriale Alti Fondali presentano vistose lesioni più o meno importanti lungo i piloni dell'attracco A5 Alti Fondali e la stessa lettura del piano di sviluppo e delle linee guida del piano regolatore portuale di Manfredonia, redatto dall'Autorità portuale, fa emergere una «inadeguatezza delle infrastrutture portuali esistenti alla normativa sismica vigente»; la su indicata situazione statica del lungo pontile sicuramente non si gioverà dell'attracco di un «minimo di 53 navi gasiere all'anno da 15.000/20.000 tonnellate di stazza»;
   il traffico marittimo, sommato a quello commerciale, a quello delle marinerie locali e limitrofo, a quello diportistico, aumenterà notevolmente per la presenza di tante imbarcazioni in uno spazio ristretto, quale è il golfo di manfredonia, dove oltre al porto peschereccio c’è un grande porto turistico, e costituirà, a quanto causava gli interroganti, inoltre, un ulteriore elemento di pericolo a causa di probabili collisioni ed interferenze per le attività di pesca;
   le aree interessate dalla navigazione, con la presenza di almeno 5 navi gasiere mensili, causeranno secondo gli interroganti, oltre alle interferenze alla navigazione, probabili danni alle attività di pesca (il comparto della pesca con il suo indotto impiega più di 1000 persone);
   con la risospensione di sedimenti, a causa dei lavori di cantierizzazione durante la posa in opera dei gasdotti sul fondale, si avrà, per gli interroganti, intorbidimento dell'acqua, movimentazione di sedimenti (anche inquinanti, vedi fanghi ex Enichem) che rischieranno di incidere, con effetti letali, sull'ecosistema (nel quale è presente in modo massiccio la Cymodocea nodosa, tutelata dalla Convenzione di Berna e ratificata dallo Stato italiano, che con la sua estensione ad intrigo fa da nursery a tutta la mini fauna del golfo e di gran parte dell'Adriatico;
   la stessa acqua di mare, trattata con antifouling (probabilmente ipoclorito di sodio) e utilizzata per riscaldare il Gpl, onde riportarlo dallo stato liquido di trasporto a quello gassoso (sistema a circuito aperto), una volta utilizzata e reimmessa in mare a bassa temperatura, può condurre ad una moria della fauna marina che, per gli interroganti, non solo inciderà sull'attività di pesca in maniera considerevole, con drastica riduzione dei posti di lavoro, ben oltre i previsti 27 posti di lavoro a regime promessi da Energas, ma danneggerà considerevolmente gli allevamenti di prodotti ittici, alcuni molto vicini alla zona di attività di rigasificazione (200 metri circa), nonché sulla balneazione, con grave danno sulla complessiva economia di Manfredonia;
   il golfo di Manfredonia è ritenuto una delle zone più importanti di riproduzione e ripopolamento di varie specie ittiche del basso Adriatico e forse dell'intero Mediterraneo ed è opportuno rilevare che il tubo gasiero, dopo aver attraversato la terraferma si inabisserà nel mare proprio, in una zona di accumulo biomasse, che fanno da habitat riproduttivo di tutte le specie ittiche della zona;
   le zone adiacenti il sito, su cui sorgerà l'impianto, sono classificate come aree ad alto rischio idrogeologico, in particolare lungo l'attraversamento del gasdotto nei pressi degli ipogei Capparelli, lungo il percorso dell'antica Siponto;
   lo stesso gasdotto attraversa totalmente la omonima area archeologica di grande rilevanza; che testimonia l'importanza raggiunta dall'antica Siponto in epoca romana (colonia dal 194 a.C.), quando assunse il ruolo di uno dei principali porti della Regio II;
   negli elaborati presentati da Energas spa non si fa menzione delle conseguenze sull'ambiente e delle possibili emissioni di sostanze inquinanti potenzialmente immesse durante le fasi di lavorazione del Gpl (travasi, imbottigliamento, collaudo bombole e altro in quanto ritenute irrilevanti;
   il territorio di cui trattasi è fortemente sismico, con fenomeni attivi sia in mare che in terraferma (pericolosità sismica di II categoria, comunque, molte delle faglie attualmente inattive sono zone di debolezza e, quindi, possono essere riattivate a causa degli sforzi tettonici che interessano il Gargano dati rilevati da documenti redatti dal Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Foggia);
   i terreni su cui la società Energas spa intende realizzare l'impianto ed il raccordo ferroviario ricadono in Zona SIC-ZPS (Valloni e steppe pedegarganiche) e in parte sono classificati dal piano di gestione come «pascoli naturali» e «percorsi sub steppici di graminacee e piante annue» (l'articolo 12 del regolamento del medesimo piano prevede il divieto di trasformare, danneggiare e alterare gli habitat d'interesse comunitario e di cambiare la destinazione d'uso colturale delle superfici destinate a pascolo permanente ai sensi dell'articolo 12, punto 2, del Regolamento n. 796/04/CE, mentre il successivo articolo 18 fa espresso divieto di costruire nuove strade o ampliare le strade esistenti);
   il piano paesaggistico territoriale della regione Puglia, approvato definitivamente con la delibera n. 176 del 16 febbraio 2015, tipizza dette aree fra le «Componenti botanico-vegetazionali» negli «Ulteriori Contesti Paesaggistici»: prati e pascoli naturali e l'area di che trattasi presenta un alto valore faunistico in quanto risulta priva di contaminazione antropica, pertanto per gli interventi un intervento di trasformazione del suolo comporterebbe la distruzione dell’habitat esistente;
   non si può non considerare, con la dovuta serietà, quella che appare agli interroganti l'incompatibilità tale impianto con la presenza a pochi chilometri della seconda base militare Nato d'Europa (Amendola), possibile obiettivo di attentati terroristici, senza contare che la stessa base, luogo di esercitazioni militari, può dar vita ad incidenti aerei rilevanti, con possibili ricadute sull'impianto, dalla capacità esplodente probabilmente superiore alla bomba lanciata su Hiroshima;
   l'insediamento del deposito di, Gpl sta destando un elevato allarme sociale, come dimostrato dalle 7.000 firme finora raccolte, da parte di cittadini contrari a detto impianto nello stesso territorio;
   tale territorio ha già subìto l'industrializzazione forzata e la violazione delle vocazioni territoriali da parte dello stabilimento ex Enichem, ora dismesso per la sua grave incidenza ambientale, dopo aver prodotto gravi danni per la salute pubblica e all'ambiente, con una fuga spaventosa di circa 40 tonnellate di arsenico, le cui conseguenze i cittadini hanno pagato e stanno ancora pagando, sia in termini di vite umane (più di 120 morti), sia economicamente, per la bonifica delle aree ancora incompleta, tanto che con riguardo a tale territorio, considerato Sin (sito di interesse nazionale), come è stato evidenziato da una ricerca del Cnr di Pisa, svolta per conto del Ministero della salute, il dato statistico di malformazioni congenite (MC) ha una incidenza più alta dei 37 per cento, rispetto al resto della regione Puglia; e si tratta di Mc cardiopatiche, del sistema digerente e urinarie, con conseguenze non solo generazionali, ma anche transgenerazionali, ovverosia con incidenza prolungata nel tempo;
   Manfredonia, dopo l'industrializzazione funesta ex Enichem, ha avuto una reindustrializzazione che ha determinato solo licenziamenti e capannoni industriali non più in uso e che ha già permesso troppo in termini di devastazione del proprio territorio; non è possibile sopportare oltre lo scempio contro le vocazioni pescherecce, turistiche, artigianali, agricole e di benessere;
   è stato completamente disattesa da Energas spa la disciplina prevista dalla direttiva 2012/18/UE (cd. «Seveso III») sul controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose;
   il consiglio comunale di Manfredonia, nella seduta del Consiglio comunale del 17 settembre 2015, ha dichiarato unanime «la propria assoluta contrarietà alla realizzazione dell'impianto di stoccaggio di 60 milioni di litri di Gpl proposto da Energas spa»;
   tutte le forze politiche e le organizzazioni della società civile della stessa città «confermano la propria contrarietà alla realizzazione del megadeposito Energas sul proprio territorio» ed «esprimono riprovazione per la perseveranza dell'Energas nel non tener conto delle scelte e della volontà della popolazione di Manfredonia espressa anche nelle sedi istituzionali»;
   nella conferenza dei servizi del 21 ottobre 2015, tenutasi presso la regione Puglia, il «deposito viene ritenuto dalla Regione Puglia e dal Comune di Manfredonia non conforme alla legge per le ragioni tecniche che verranno evidenziate e, comunque, assolutamente inopportuno dal punto di vista della sicurezza della comunità di Manfredonia) nonché ai fini del corretto sviluppo dell'area industriale di Manfredonia che verrebbe interrotta, se non addirittura azzerata, dalla presenza di un impianto che potrebbe rivelarsi di particolare pericolosità, come quello in oggetto. Regione e Comune dunque si attiveranno, nelle sedi competenti, a partire dal MISE, per la revoca dell’iter autorizzativo dell'insediamento dell'impianto Energas in considerazione del rischio industriale per la città e dell'impatto ambientale per tutto il territorio circostante» –:
   se, i Ministri interrogati non intendano revocare il decreto ministeriale n. 295, del 22 dicembre 2015, in cui esprime compatibilità ambientale condizionata, relativamente al progetto della Società Energas spa. (4-12438)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che il consigliere di minoranza Giovanni Maiuolo, avrebbe richiesto al sindaco di Borgia (CZ), al responsabile finanziario dell'ente e al comandante della polizia municipale di sapere «in merito ai depuratori di località “Malaidi” e “Spilinga” se gli impianti dismessi da diversi anni, per come confermano gli uffici, vengano bypassati con sistema di auto spurgo o quali misure siano state prese per i fanghi». Maiuolo ha richiesto, inoltre, «la rendicontazione delle eventuali fatture degli interventi dell'auto spurgo e un accertamento dei luoghi in merito ad eventuali inquinamenti dei terreni e magari di qualche falda acquifera, qualora ve ne siano presenti nel sottosuolo»;
   la città di Borgia è sprovvista di impianti funzionanti in grado di garantire la corretta depurazione delle acque reflue di buona parte delle utenze cittadine che scaricano a cielo aperto. L'impianto situato sulla strada provinciale 172 non è in funzione da anni mentre quello che è stato costruito in località «Spilinga» risulta in disuso e privo di manutenzione;
   alla situazione emergenziale in cui versa la città di Borgia si sarebbe dovuto porre rimedio con la costruzione del nuovo depuratore in località «Malaidi», grazie ad un finanziamento regionale di 650 mila euro ottenuto nel 2009; tuttavia, i tempi di costruzione dell'impianto – al quale dovevano allacciarsi anche le utenze del vicino comune di San Floro – si sono rilevati, per tutta una serie di ritardi accumulati in corso d'opera, più lunghi del previsto;
   per anni gli utenti si sono visti addebitare in bolletta un servizio non erogato. Qualche mese fa il comune di Borgia – diffidato al rimborso delle quote non dovute dall'associazione «Borgia civiltà e progresso» – ha predisposto il modello per la restituzione della quota relativa alla depurazione indebitamente richiesta per gli anni 2009/2012;
   in data 16 luglio 2014 con atto di sindacato ispettivo n. 4-05552, ancora senza risposta, l'interrogante ha ricordato al Ministro interrogato che: «al primo gennaio 2016 scatteranno le sanzioni che l'Unione europea ha comminato all'Italia, con sentenza definitiva, per non aver costruito sistemi di depurazione adeguati. I comuni calabresi coinvolti dalle sanzioni sarebbero 90. Le multe saranno salate, una quota una tantum da pagare immediatamente, calcolata sulla base del prodotto interno lordo nazionale e che potrebbe essere di quasi 10 milioni di euro, e una ammenda giornaliera, calcolata sulla base della mora tra la data di messa in regola e la data di esecutività della sentenza, che potrebbe andare da 11 mila a 700 mila euro al giorno» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato abbia posto in essere per affrontare il grave problema per la salute e per l'ambiente messo in evidenza dal ricorso presentato dalla Commissione europea contro l'Italia relativamente al trattamento delle acque reflue urbane;
   se non ritenga opportuno promuovere, per quanto di competenza, diverse e precise ispezioni del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per controllare la regolarità sullo smaltimento dei fanghi derivanti dai depuratori nel comune di Borgia. (4-12441)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI, ZACCAGNINI e MARTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 novembre 2014, è stato adottato il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e degli uffici di diretta collaborazione del Ministro;
   l'articolo 19 della citata norma prevede l'istituzione della direzione generale turismo che, tra le varie attività e competenze, svolge «funzioni e compiti in materia di turismo, e a tal fine cura la programmazione, il coordinamento e la promozione delle politiche turistiche nazionali, i rapporti con le regioni e i progetti di sviluppo del settore turistico, le relazioni con l'Unione europea e internazionali in materia di turismo e i rapporti con le associazioni di categoria e le imprese turistiche»;
   Invitalia spa (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa), società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, si occupa, tra le altre attività, della gestione di incentivi nazionali per sostenere la nascita di nuove imprese e startup; dare impulso alla crescita economica attraverso iniziative in aree in crisi e nel Mezzogiorno d'Italia; offrire alla pubblica amministrazione servizi per la valorizzazione dei beni culturali e per velocizzare la spesa dei fondi comunitari e nazionali;
   nell'ambito di tali attività, la direzione generale turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha siglato una convenzione con la stessa società, con uno stanziamento iniziale di 1,5 milioni di euro, assegnando ad Invitalia il compito di supportare «l'elaborazione degli indirizzi strategici e di programmazione delle politiche per lo sviluppo del settore turistico» e del «piano nazionale sul turismo»;
   il documento contenente l'accordo sottoscritto dai direttore generale del turismo, dottor Francesco Palumbo, è stato reso noto dalla testata ilfattoquotidiano.it, che in data 5 marzo 2016 ha pubblicato la versione integrale dello stesso;
   come correttamente riporta il citato articolo, a firma del giornalista Alberto Crepaldi, nella convenzione, all'allegato A – «piano delle attività», vengono indicate alcune attività demandate a Invitalia, quali lo «studio ed analisi della normativa nazionale e comunitaria e delle politiche turistiche nazionali», la «definizione di strategie volte al rilancio della competitività dell'Italia e della promozione del Made in Italy», l’«analisi di scenario delle dinamiche del turismo internazionale e identificazione del posizionamento competitivo dell'Italia», la «definizione degli indirizzi strategici dei progetti relativi alla promozione turistica degli itinerari culturali e di eccellenza paesaggistica», l’«attuazione di interventi in favore del settore turistico, sia su fondi nazionali sia in riferimento a programmi cofinanziati dall'Unione europea». Attività che sarebbero di competenza proprio della direzione generale turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, istituita solo nel 2014 con il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014, presso la quale operano circa trenta funzionari con varie competenze;
   l'articolo riporta inoltre la testimonianza di un funzionario del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che confermerebbe la sovrapposizione di competenze tra i funzionari in servizio presso la struttura ed il personale esterno incaricato con la convenzione sottoscritta dal direttore generale Palumbo («Da giorni si sono insediati nei nostri uffici alcuni incaricati di Invitalia, senza che a noi qualcuno, a partire dal nostro direttore generale, abbia comunicato il motivo di questa “occupazione” in progress... scoprire poi che, in forza di una convenzione di cui noi non sapevano assolutamente nulla, il primo atto importante del nuovo direttore generale determinerà di fatto il nostro esautoramento dal lavoro per il quale siamo qui, fa riflettere»);
   la convenzione richiamata, sottoscritta dal dirigente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con Investitalia spa, appare agli interroganti una inutile sovrapposizione di risorse e competenze tra la struttura ministeriale e la società esterna affidataria dell'incarico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se la decisione di affidare le attività, specificate nell'allegato A della convenzione richiamata in premessa, sia coerente con gli indirizzi del Governo in materia di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica;
   se i timori di uno smantellamento di fatto della direzione generale turismo siano fondati;
   se non intenda chiarire in modo dettagliato le competenze specifiche, e non reperibili all'interno del personale già in servizio presso la struttura del Ministero, che verranno attivate con la convenzione siglata;
   se non intenda adottare iniziative al fine di ridurre o eliminare l'affidamento in outsourcing di attività, competenze e funzioni proprie della amministrazione pubblica, evitando la dispersione di importanti risorse pubbliche. (5-08057)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, FERRARA e PLACIDO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il castello di Montelabbate, comune in provincia di Pesaro Urbino, è stato eretto nell'XI secolo dagli abati benedettini di San Tommaso in Foglia, a scopo di difesa dalle confinanti signorie di Pesaro e Urbino, che aspiravano ad occuparlo per la sua posizione strategica;
   il castello fu, dapprima, residenza dell'Abate di San Tommaso, probabilmente sino al XV secolo data di soppressione del cenobio benedettino; successivamente castello e territorio di Montelabbate passarono sotto il dominio della signoria dei Malatesta, i quali intervennero sull'architettura del castello con diversi interventi come la rocca e il restauro delle mura;
   il torrione di levante del castello si deve, invece, alla volontà di Costanzo I Sforza;
   a partire dal 1540, il castello è stato concesso in feudo, dal duca Guidubaldo II Della Rovere, a Giangiacomo Leonardi, gli eredi del quale mantennero il possesso del castello fino al 1804;
   si tratta, pertanto, di una struttura architettonica di grande rilievo storico-culturale, oltre che paesaggistico, per la suggestiva passeggiata panoramica che costeggia il fortilizio;
   nonostante il suo pregio il castello di Montelabbate versa, tuttavia, in uno stato di abbandono e degrado, nonostante anche la sua posizione di grande visibilità, essendo posto in cima ad un colle;
   il castello è stato inoltre oggetto di un intervento di restauro negli ultimi anni che, previsto per consolidare un tratto della cinta muraria, ha causato diversi sbancamenti, asportazioni di materiali originali ed ha evidentemente deturpato la struttura con colate di cemento;
   inoltre, tale intervento parziale e discutibile in ordine ai criteri adottati nell'esecuzione del restauro, resta ad oggi incompiuto, aggravando lo stato di desolazione ed abbandono della struttura architettonica –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato al fine di intervenire sul recupero di una opera architettonica di indiscusso valore storico e culturale per la provincia di Pesaro e Urbino. (4-12413)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI, CARELLA, FERRO, MINNUCCI e PIAZZONI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Convezione di Parigi del 1997, istitutiva dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac, prevede, tra l'altro, che la suddetta organizzazione assicuri l'attuazione della convenzione, fornisca assistenza e protezione a tutti gli Stati Parte vittime di minacce o aggressioni con armi chimiche e promuova la cooperazione internazionale per lo sviluppo della chimica a fini pacifici, nonché attribuisce all'organizzazione la facoltà di effettuare accertamenti di vario tipo per verificare che gli Stati Parte rispettino i prescritti obblighi e, in particolare, che distruggano tutte le armi chimiche in loro possesso e non ne producano di nuove;
   l'Italia risulta essere in possesso di armi chimiche prodotte prima del 1946. Tali armi avrebbero dovuto essere distrutte nel rispetto di una particolare procedura entro il 31 dicembre 2012. Tuttavia, all'Italia è stata concessa una deroga temporale, per il prosieguo dell'attività di distruzione delle suddette armi;
   l'organizzazione ha riconosciuto all'Italia per la distruzione delle residue armi chimiche presenti nel territorio nazionale un contributo pari a 3.347.667 euro;
   ai sensi dell'articolo 9 della legge n. 496 del 1995 «Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione, con annessi, fatta a Parigi il 13 gennaio 1993», come modificata dalla legge n. 93 del 1997, il Ministero degli affari esteri è designato come Autorità nazionale;
   per quanto riguarda lo smaltimento degli ordigni a caricamento speciale presenti presso il Centro tecnico logistico interforze nucleare batteriologico e chimico Ce.T.L.I. Nbc, tra le motivazioni che «hanno originato l'eventuale acquisizione» dell'impianto esse derivano, secondo quanto si rileva dalle risposte del Sottosegretario a diverse interrogazioni parlamentari, dal deficit tecnologico che caratterizza gli altri impianti attualmente in funzione, i quali ancorché affidabili in tema di sicurezza delle operazioni, non sono tecnologicamente all'avanguardia, poiché non consentono la distruzione di tutte le tipologie e di adeguati quantitativi di munizionamento chimico stoccato, impedendo di ottemperare pienamente agli impegni assunti con la Convenzione di Parigi.
   una nota del Ministero della difesa, diramata attraverso il proprio ufficio stampa, recita «l'esigenza di dotarsi di un ossidatore termico è determinata dalla necessità di rispettare gli impegni presi dall'Italia con l'Organizzazione per le Proibizioni delle Armi Chimiche che prevedono la distruzione in sicurezza del materiale chimico ancora presente sul territorio nazionale. Il Centro tecnico logistico interforze nucleare batteriologico chimico di Civitavecchia è l'unico impianto nazionale abilitato a questo scopo e dispone del personale tecnico specializzato nel settore»;
   oltre a diverse interrogazioni parlamentari presentate nel corso degli anni sul tema, anche a livello regionale sono stati presentati ed approvati atti di indirizzo. In data 27 febbraio 2014 il Consiglio regionale del Lazio ha approvato all'unanimità la mozione n. 133 con la quale si è espressa la inequivocabile contrarietà ad ogni ipotesi di incenerimento di qualsiasi rifiuto presso il Centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I.) Nucleare batteriologico chimico (Nbc);
   anche il comune di Civitavecchia ha espresso con una mozione approvata nell'ottobre 2013 l'esigenza di ricevere dalle autorità militari chiarimenti in merito alla realizzazione di un ossidatore termico per la demilitarizzazione delle armi chimiche;
   forti preoccupazioni sono state espresse sia dalle organizzazioni politiche presenti sul territorio, che dalle varie associazioni ambientaliste. L'unanimità della protesta nei confronti della realizzazione di un ossidatore termico trova la sua fondatezza nel già eccessivo carico inquinante di cui soffre la città e il territorio circostante. La realizzazione di un simile impianto costituirebbe, per gli interroganti, pertanto, un ulteriore e incomprensibile aggravio ambientale;
   la città di Civitavecchia e l'area intorno ad essa sono sottoposte da molti anni ad una notevole pressione ambientale riconducibile all'attività di: a) un rilevante polo energetico costituito da due centrali termoelettriche, una delle quali alimentata a carbone; b) uno dei principali porti del Mediterraneo, con rilevante traffico crocieristico e di trasporto auto; c) un'importante struttura di depositi costieri con una capacità di movimentazione di prodotti petroliferi di oltre un milione di tonnellate all'anno; d) un cementificio dismesso –:
   se il Ministro interrogato non intenda intraprendere iniziative decise e concrete, volte ad aprire un tavolo tecnico di confronto con le istituzioni regionali e locali al fine di individuare un sito alternativo e distinto come sede del Centro tecnico logistico interforze (Ce.T.L.I.), in ragione delle pressioni territoriali e ambientali, suesposte, che interessano la città di Civitavecchia e l'area intorno ad essa.
(5-08055)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 1984, anno nel quale è stato siglato il nuovo Concordato tra Stato e Chiesa, manca una revisione dell'intesa sullo status dei cappellani militari;
   da trent'anni si va avanti per inerzia, nella passata legislatura i deputati radicali avevano proposto di far passare la spesa per i cappellani militari dal bilancio della Difesa a quello della Chiesa; la proposta era semplice: «Al personale del servizio assistenza spirituale non compete il trattamento economico a carico dello Stato, ovvero del Ministero della difesa»; l'eliminazione del trattamento economico a carico dello Stato per il personale religioso operante nell'ambito delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinariato militare avrebbe prodotto, secondo una stima del 2014, un risparmio di 6,3 milioni di euro l'anno;
   il coordinamento con l'Ordinariato militare e il trattamento economico e previdenziale del personale del servizio di assistenza spirituale è assicurato dalla diocesi dell'ambito territoriale del comando militare, in quanto la materia trattata è oggetto di intesa tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale italiana;
   finalmente sembra giunto il tempo di modificare la vecchia intesa sui cappellani militari (figlia dei Patti Lateranensi del 1929); nel 2014 è stato raggiunto un accordo tra il Ministro della difesa e il nuovo ordinario militare, l'arcivescovo monsignor Santo Marcianò, nel quale è stato accettato il principio che i cappellani militari rinuncino ai gradi; inquadrati nelle Forze armate ci sono infatti 173 tra generali, colonnelli, e capitani con la tonaca, ovviamente senza armi, il loro compito, garantito dal Concordato, è fornire «assistenza spirituale» ai militari;
   ma questo non vuole dire che non rappresentino un costo per le casse dello Stato, la stima è di una ventina di milioni di euro all'anno;
   il cardinale Angelo Bagnasco, per dire, vescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, essendo stato ordinario militare dal 2003 al 2006, ovvero comandante dei cappellani, fu automaticamente nominato generale di Corpo d'armata (oggi tenente generale), con uno stipendio conseguente al grado ed è andato in pensione con il trattamento commisurato; il cardinale ha dichiarato che non trattiene un euro per sé da quella pensione e di devolvere tutto in beneficenza;
   è una legge a regolare la struttura dell'ordinariato militare, che è allo stesso tempo una diocesi della Chiesa e un ufficio dello Stato: il comandante, l'ordinario, assume il grado militare di tenente generale, è assistito da un vicario, che ha il grado di maggiore generale, e da due ispettori, con funzioni di vigilanza, i quali ottengono il grado di brigadiere generale; nei reparti ci sono i primi cappellani capi con il grado di maggiore, i cappellani capi con il grado di capitano e i cappellani addetti con il grado di tenente, ovviamente gli stipendi e poi le pensioni vanno di pari passo con gli avanzamenti;
   nel 2013, ad esempio, al Ministero della difesa la cura spirituale dei militari impegnati in missione è costata quasi 17 milioni di euro; questa cifra comprende gli stipendi, le pensioni e il mantenimento degli uffici; solo questi pesano 2 milioni di euro l'anno;
   i cappellani in attività sono 134 e i loro stipendi, equiparati a quelli dei generali, ammontano a 6 milioni e 300 mila euro; per quanto riguarda le spese pensionistiche, non essendo chiaro l'ammontare complessivo delle erogazioni, è possibile unicamente fare una stima approssimativa; in ogni caso l'importo annuo lordo del trattamento pensionistico ordinario dei cappellani dovrebbe ammontare a circa 43 mila euro lordi; considerando che i cappellani che sono andati in pensione negli ultimi 20 anni sono 156, l'importo complessivo è di 6 milioni e 700 mila euro;
   c’è di più, i cappellani ricevono stipendi dallo Stato, ma possono maturare la pensione in anticipo rispetto agli altri lavoratori dipendenti e rispetto al militare pari grado e non mancano nemmeno casi di «baby-pensionati»; il prelato, che porta a casa la stessa busta paga di un generale di brigata in congedo, ha diritto a una pensione fino a 4 mila euro al mese; questo nonostante abbia prestato servizio per soli 3 anni, compiuti i 63 anni, età per la quale un generale di brigata è collocato in congedo e ha maturato il vitalizio;
   sostenere, a giudizio dell'interrogante, contrariamente alla legge e al diritto, che la disciplina del trattamento economico dei cappellani militari sia tra le questioni tutelate dal Concordato, e quindi indirettamente regolate da norme di rango costituzionale, dimostrerebbe una scarsa conoscenza della materia; infatti, se la Difesa rinunciasse a pagare i ricchi stipendi dei cappellani non inciderebbe in alcun modo sul Concordato perché non modificherebbe alcuna «intesa», che di fatto è inesistente. La riformulazione dell'articolo 17 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (servizio di assistenza spirituale) ha confermato che «l'intesa» a cui fanno riferimento le diverse istituzioni semplicemente non esiste –:
   a che punto siano gli accordi avviati tra il Ministero della difesa e l'Ordinariato militare, tenuto conto che già nel 2014 il responsabile dell'Ordinariato militare aveva dichiarato che i cappellani potrebbero anche rinunciare ai gradi, purché sia garantita l'essenza della loro missione pastorale, che è quella di assistere «spiritualmente» gli uomini e le donne che servono lo Stato in armi. (4-12414)


   BERRETTA. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori italiani delle basi militari degli USA nel territorio nazionale operano per il settore difesa del Governo italiano in virtù della Convenzione sullo statuto delle forze (SOFA), firmata a Londra il 19 giugno 1951 e ratificata dall'Italia con la legge 1335 del 1955 (trattato di Londra o NATO SOFA), che stabilisce le norme generali relative alla presenza di personale di uno o più Paesi Nato sul territorio di un altro Paese dell'Alleanza e sono assunti direttamente dalle Forze armate degli USA, svolgendo una funzione pubblica a contratto privato;
   Carmelo Cocuzza ha lavorato per tredici anni presso il dipartimento Usa « Navy Exchange» della base militare di Sigonella, che gestisce tutte le unità commerciali fornitrici di servizi e merci in favore dei militari statunitensi e delle loro famiglie;
   nell'anno 2000 Carmelo Cocuzza è stato licenziato dal posto di lavoro che occupava presso il «Navy Exchange» di Sigonella come lavoratore civile, in quanto accusato di aver falsificato il cartellino d'ingresso;
   la giustizia italiana si è chiaramente pronunciata sull'irregolarità della decisione, stabilendo il reintegro e un risarcimento per i danni subiti, quantificato in una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto oltre ai contributi previdenziali;
   in particolare, risale al 2004 la sentenza dal tribunale del lavoro di Catania, che ha disposto il reintegro del lavoratore e che, però, non ha trovato applicazione;
   di seguito, la Corte d'appello, con sentenza n. 812 del 7 ottobre 2010, ha sancito il reintegro retroattivo applicando la tutela reale al lavoratore per licenziamento invalido;
   il 4 marzo 2014, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha confermato la sentenza d'appello con sentenza 4983/14;
   a tutt'oggi, a quanto risulta all'interrogante, il datore di lavoro non ha dato esecuzione alla sentenza suddetta, che riconosce a Carmelo Cocuzza tutte le retribuzioni dal momento del licenziamento fino al reintegro, oltre ai contributi previdenziali;
   un ufficiale giudiziario ha attivato l’iter procedurale volto a rendere esecutivo il titolo rappresentato dalla sentenza, ma invano;
   l'autorità all'interno della base resta comunque sottoposta al Governo italiano e al suo rappresentante;
   si sta mettendo in discussione il rispetto della giustizia italiana, che ha deciso che un lavoratore e nostro connazionale debba essere risarcito ed anche reintegrato nel posto di lavoro presso il dipartimento Usa « Navy Exchange» della base militare di Sigonella, considerato che la base USA non ha provveduto né a riassumere il lavoratore né a risarcirlo per i danni subiti, opponendosi di fatto al pignoramento definitivo –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intendano avviare affinché l'autorità americana presente a Sigonella non ostacoli la piena esecuzione di quanto disposto con sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, n. 4983 del 4 marzo 2014.
(4-12426)


   RIZZO, FRUSONE, CANCELLERI, TOFALO, SCAGLIUSI, MARZANA, DI VITA, GRILLO, BASILIO, DI BENEDETTO, LUPO, CORDA, VILLAROSA, NUTI, D'UVA e MANNINO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'uso di alcuni scali aeroportuali siciliani per le attività delle forze armate Usa in Nord Africa era stato denunciato già nel 2015 da alcuni blogger tunisini. Allora però si trattava di missioni che interessavano esclusivamente la Tunisia nelle aree di Monte Chaambi, Djebal Salloum e Foussena, al confine con l'Algeria (dove erano in corso violenti combattimenti tra le forze armate e i gruppi ribelli), successivamente, Sousse (la località turistica dove si è consumata l'efferata strage dei turisti in spiaggia), Hammamet e Bargou (governatorato di Siliana);
   recentemente tali operazioni d’intelligence sono state estese a buona parte del territorio settentrionale libico;
   la US Africom, il comando statunitense per gli interventi nel continente africano, sta infatti utilizzando un aereo spia che decolla quotidianamente dall'isola di Pantelleria o dall'aeroporto «civile» di Catania Fontanarossa per monitorare una vasta area tra la Libia a la Tunisia. Il velivolo, un bimotore Super King Air 300 numero di matricola N351DY, è di proprietà dell’Aircraft Logistics Group LLC, società contractor del dipartimento della difesa con sede a Oklahoma City, il cui vicepresidente è l’ex generale Peter J. Hennessey, responsabile delle attività logistiche dell'US Air Force durante l'operazione Enduring Freedom in Afghanistan;
   questo ulteriore utilizzo della Sicilia come base di lancio delle operazioni USA nei confronti dell'area nordafricana si aggiunge all'autorizzazione data dal Governo italiano agli Usa per il dispiegamento dei droni nella base di Sigonella, di cui si è comunicato al Parlamento la concessione nelle risposte date alle interrogazioni Frusone ed altri dal Ministro della difesa Pinotti in aula il 24 febbraio 2016 e ribadite in modo più esteso dal sottosegretario Gioacchino Alfano alla Commissione difesa relativamente all'interrogazione n. 5-07891 nella seduta del 3 marzo 2016;
   questa trasformazione della Sicilia in una sorta di portaerei delle forze armate Usa rischia, ad avviso degli interroganti, di esporre eventuali ritorsioni di organizzazioni terroristiche libiche o comunque legate a Daesh e sta creando allarme tra la popolazione civile –:
   in base a quali intese siano stati concessi gli aeroporti di Pantelleria e di Fontanarossa a Catania per le operazioni di intelligence degli Usa citate in premessa e se non reputino che tali iniziative possono pregiudicare la funzionalità degli scali civili e l'incolumità dei passeggeri e dei lavoratori degli stessi;
   quali iniziative straordinarie siano state assunte al fine di tutelare la popolazione civile siciliana da eventuali rappresaglie e ritorsioni per la crescente attività statunitense nei confronti dei Paesi nordafricani. (4-12434)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   GEBHARD, ALFREIDER, PLANGGER, SCHULLIAN, OTTOBRE e MARGUERETTAZ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 629, lettera a), della legge di stabilità per il 2015 (legge 24 dicembre 2014, n. 190), integrando l'articolo 17 del decreto del Presidente della repubblica n. 633 del 1972, ha introdotto nell'ordinamento nazionale ulteriori ipotesi di reverse charge, relativamente al settore edile ed energetico, in conformità alla direttiva 2006/112/CE (cosiddetta direttiva IVA), sostanzialmente estendendolo a tutte le prestazioni di servizi rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l'attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell'appaltatore principale o di un altro subappaltatore;
   dal 1o gennaio 2015, l'applicazione del reverse charge è stata estesa anche alle prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici (articolo 17, comma 6, lettera a-ter), del decreto del Presidente della repubblica n. 633 del 1972);
   successivamente, è intervenuta la circolare ministeriale n. 14/E del 27 marzo 2015, che ha individuato le prestazioni rientranti nella nozione di «completamento di edifici» secondo le classificazioni fornite dai codici attività ATECO 2007;
   in base a tali codici ATECO, nel codice attività 43.39.01 rientrano gli «altri lavori di costruzione e installazione n.c.a. (limitatamente alle prestazioni afferenti gli edifici)», pertanto le prestazioni di opere murarie rientrano nel reverse charge indipendentemente dal fatto che l'edificio sia già esistente o sia di nuova costruzione;
   è utile rammentare che questo codice attività fa parte del gruppo 43.3, ovvero completamento e finitura di edifici, mentre l'attività di costruzione di opere murarie, anche se si tratta di un ampliamento di un edificio, non rientra nel codice attività 41.2, che riguarda invece la costruzione completa di edifici residenziali o non residenziali eseguiti per conto proprio o per conto terzi e poi venduti, anche se nella parte descrittiva di questo gruppo viene specificato che, se si effettuano solo parti specifiche del processo di costruzione, l'attività è classificata nella divisione 43 –:
   se sia conforme alla normativa vigente che l'impresa che effettua lavori di opere murarie per il committente, nell'ambito di un ampliamento di un edificio, rientri nel meccanismo dell'inversione contabile, per cui debba emettere la fattura senza IVA, indicando che si tratta di operazione imponibile ex articolo 17, comma 6, lettera a-ter), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, e successive modificazioni, con applicazione dell'IVA a carico del committente. (5-08065)


   MARCO DI MAIO, PELILLO e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i microbirrifici artigianali rappresentano una realtà produttiva molto dinamica e ad alto livello qualitativo, che negli ultimi anni sta conseguendo una forte crescita economica (più del 20 per cento annuo);
   il settore è attualmente rappresentato da oltre 800 microbirrifici, con un'età media dei titolari d'impresa tra i 30 e i 35 anni, una media di circa tre dipendenti, un fatturato complessivo di 120 milioni di euro, con un volume di export superiore al 10 per cento;
   la specificità del ciclo di produzione e dei prodotti comporta inevitabilmente costi più elevati rispetto alle lavorazioni di tipo industriale, sui quali fra l'altro la liquidazione delle accise, tra le più alte d'Europa, ha un impatto assai significativo, soprattutto in termini di accertamento;
   in questo senso la stessa Unione europea, con le direttive UE 93/83 e 93/84, ha individuato i parametri sulla base dei quali calcolare l'accisa, l'aliquota minima applicabile e la possibilità di ridurre l'aliquota ordinaria in funzione della dimensione d'impresa;
   nella fase di recepimento della direttiva 92/83, 20 Paesi su 28 hanno mostrato attenzione ai piccoli produttori, prevedendo aliquote ridotte per i piccoli birrifici indipendenti con produzione annuale inferiore a 200.000 ettolitri/anno;
   in Italia non sono state previste aliquote ridotte per i piccoli birrifici e da gennaio 2015 gravano anche sui microbirrifici le accise pari a 3,04 euro per ettolitro e per grado-Plato;
   per i microbirrifici (ovvero nelle fabbriche con produzione annua non superiore ai 10.000 ettolitri), l'articolo 35, comma 3-bis, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, recante il testo unico delle accise, prevede che l'accertamento del prodotto finito venga effettuato immediatamente a monte del condizionamento, sulla base di appositi misuratori, direttamente dall'esercente l'impianto. Tale sistema, risponde all'esigenza di riconoscere la specificità e semplificare il processo di accertamento delle accise dovute sulla produzione per i microbirrifici;
   l'Agenzia delle dogane, nella circolare n. 5/D del 6 maggio 2014, ha applicato la citata disposizione prevedendo la misurazione nella fase di produzione del mosto, che è addirittura precedente alla fermentazione dalla quale origina la birra, e non «a monte del condizionamento» (ossia del confezionamento della birra) come prevede il citato articolo 35, comma 3-bis, del testo unico;
   questa interpretazione determina una tassazione più alta rispetto al sistema di accertamento previsto per i grandi birrifici, perché non prende in considerazione gli inevitabili cali di produzione, e, inoltre, obbliga le imprese ad anticipare la tassazione della birra rispetto al momento del condizionamento; momento nel quale, secondo le disposizioni del testo unico sorge l'esigibilità del tributo sulla produzione;
   tali disposizioni rappresentano una significativa criticità per i microbirrifici, in quanto ne limitano fortemente la competitività e determinano evidenti condizioni di svantaggio rispetto alla concorrenza europea –:
   come intenda assicurare la corretta applicazione delle disposizioni normative vigenti su tutto il territorio nazionale, da parte l'Agenzia delle dogane, che prevedono, per i microbirrifici, l'accertamento del prodotto finito nella fase immediatamente a monte del condizionamento, sulla base di appositi misuratori, anziché nella successiva fase di produzione del mosto, come invece risulterebbe dall'interpretazione da parte dell'Agenzia delle dogane. (5-08066)


   VILLAROSA e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 34 della legge n. 388 del 2000 prevede che «il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in euro 700.000 per ciascun anno solare»;
   poiché, tuttavia, un credito può essere generato da varie imposte, ciascuna ovviamente caratterizzata da una autonoma fattispecie, che influenza anche il credito – tanto che la norma stessa parla al plurale di «crediti compensabili» – è al riguardo sorto il dubbio, alimentato dalla pratica operativa, se il limite alla compensabilità operi cumulativamente, oppure singolarmente per ciascun credito d'imposta disponibile; se cioè all'utilizzo di un credito IRES corrisponda un limite massimo autonomo, rispetto all'utilizzo di un credito IVA, o all'utilizzo di un credito IRAP, o per ritenute IRPEF, e così via;
   esemplificando, se un contribuente gode di due crediti, uno generato in ambito IRES ed uno in ambito IVA, entrambi per un milione di euro, non è chiaro se nelle relative compensazioni dovrà rispettare il limite di euro 700.000 per la fruibilità del credito IRES e di euro 700.000 per il credito IVA, o solo, cumulativamente, di euro 700.000;
   sul piano letterale, come accennato, è la norma stessa che si riferisce, utilizzando il plurale, a «crediti di imposta compensabili»;
   tuttavia, da un punto di vista sistematico, la disponibilità di due crediti (conseguenza di dinamiche impositive autonome) sembrerebbe legittimare la fruibilità di entrambi nel limite previsto dalla norma (o illimitatamente se oggetto di compensazione verticale), e ciò, a maggior ragione, se essi risultassero entrambi di ingente importo (superiori dunque ad euro 700.000). Diversa interpretazione sarebbe irrazionale, discriminatoria ed ingiustamente pregiudizievole per il contribuente titolare di più crediti in quanto, per mere esigenze di credito, si imporrebbe un limite unico, cumulativo, a fronte di legittime e molteplici ragioni di credito, e dunque contraria ai principi di cui agli articoli 3, 42, 53 e 97 della Carta Costituzionale;
   inoltre, la differenziazione «qualitativa» dei crediti è confermata dal noto principio, secondo il quale la compensazione assoggettata a limite è solo quella «orizzontale» e mai quella «verticale», e cioè inerente crediti e debiti originati dal medesimo tipo di tributo;
   il dubbio applicativo sulla disposizione è alimentato dalla stessa Agenzia delle entrate, se solo si considera l'operatività del software disponibile in via telematica nel cassetto fiscale, il quale procede ad un calcolo autonomo del credito (liberamente utilizzabile per ciascuna tipologia di credito dedotto), oltre alla verifica di altri crediti utilizzabili in compensazione. In particolare, da gennaio 2010 è attiva una procedura automatizzata che sottopone a controllo preventivo i pagamenti telematici eseguiti con compensazione, totale o parziale, di crediti Iva. Tale procedura di controllo, in sostanza, oltre a monitorare il credito IVA disponibile e le compensazioni effettuate, aggiornando istante per istante il credito residuo utilizzabile, in caso di compensazione con F24 oltre il limite di legge, scarta l'intera operazione impedendo di fatto l'utilizzo del credito in eccedenza (codice errore 218). In altri termini, se si procede in via telematica alla verifica della utilizzabilità di un credito IVA in compensazione, il sistema non tiene conto delle compensazioni effettuate mediante l'utilizzo di crediti di imposte diverse, consentendo dunque all'operatore di effettuare l'operazione, che invece viene bloccata se si supera il limite di legge con l'utilizzo di crediti IVA;
   sulla questione sono già pendenti diversi contenziosi;
   sembrerebbe pertanto opportuno, in considerazione dell'ambiguità della norma – e dei rilevanti effetti pratici, anche sul piano delle sanzioni amministrative e penali, che tale ambiguità può generare – chiarire l'interpretazione della disposizione e stabilire se l'articolo 34 debba essere interpretato nel senso che il suddetto limite massimo di utilizzo del credito operi cumulativamente, per tutti i crediti di imposta dei quali è titolare il contribuente, oppure, come sembra desumersi dall'esegesi sopra richiamata, singolarmente per ciascun credito d'imposta disponibile –:
   se trovi conferma che il limite alla compensazione di cui all'articolo 34 della legge n. 388 del 2000 non opera cumulativamente, per tutti i crediti di imposta dei quali è titolare il contribuente, ma singolarmente per ciascun credito d'imposta disponibile in relazione alle differenti tipologie di tributo e, in caso negativo, quale sia la corretta interpretazione del disposto normativo in relazione alla finalità perseguita. (5-08067)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, ha aggiunto l'articolo 166-bis nel TUIR, al fine di introdurre una specifica disciplina, ai fini delle imposte sui redditi, per i soggetti esercenti imprese commerciali che trasferiscono in Italia la propria residenza ai fini fiscali. Al riguardo, è stato in particolare sancito che: «1. I soggetti che esercitano imprese commerciali provenienti da Stati o territori inclusi nella lista di cui all'articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1o aprile 1996, n. 239, che, trasferendosi nel territorio dello Stato, acquisiscono la residenza ai fini delle imposte sui redditi assumono quale valore fiscale delle attività e delle passività il valore normale delle stesse, da determinarsi ai sensi dell'articolo 9. 2. Nei casi di trasferimento da Stati o territori diversi da quelli di cui al comma 1, il valore delle attività e delle passività è assunto in misura pari al valore normale di cui all'articolo 9, così come determinato in esito all'accordo preventivo di cui all'articolo 31 –ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. In assenza di accordo, il valore fiscale delle attività e passività trasferite è assunto, per le attività, in misura pari al minore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e il valore normale, determinato ai sensi dell'articolo 9, mentre per le passività, in misura pari al maggiore tra questi [...]»;
   tale disposizione trova applicazione a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 7 ottobre 2015 (data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n.147/2015), ovvero, per i soggetti con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, a partire dal periodo d'imposta 2015;
   nella relazione illustrativa al provvedimento, la disciplina regola il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato da parte di imprese non residenti, prevedendo un diverso regime in base alla tipologia di ordinamento fiscale di provenienza. In particolare, ove la società di cui viene trasferita la residenza ai fini fiscali provenga da Stati o territori inclusi nella lista di cui all'articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1o aprile 1996, n. 239, il riconoscimento di un costo fiscale del patrimonio sociale allineato al valore normale al momento dell'ingresso nella sfera impositiva italiana non è necessariamente subordinato all'assolvimento di una corrispondente exit-tax nello Stato estero e ciò in ragione del principio per cui lo Stato italiano può incidere sui plusvalori patrimoniali maturati solo a decorrere dalla data a partire dalla quale lo stesso vanti una potestà impositiva ai fini delle imposte sui redditi sul soggetto trasferito, essendo la stessa, invece, attribuibile, per gli «utili» antecedentemente maturati, al solo Stato «di provenienza», non potendosi infatti legittimare una pretesa fiscale concorrente di due Stati sui medesimi «utili», soprattutto ove sia in vigore una convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni;
   in considerazione della questione sorta in merito all'applicazione della suddetta norma che attiene alla possibilità – da parte dei soggetti che trasferiscono la residenza ai fini fiscali in Italia che, per la predisposizione del bilancio, adottino i principi contabili nazionali – di dedurre quote di ammortamento in via «extra-contabile», ove il costo degli asset «rimpatriati» contabilmente espresso in bilancio risulti inferiore rispetto al relativo costo corrente fiscalmente riconosciuto, ne deriva l'interrogativo, in particolare, dal coordinamento tra la disposizione contenuta nel menzionato articolo 166-bis del TUIR e il principio della cosiddetta «previa imputazione a conto economico» previsto dall'articolo 109, comma 4, del TUIR, secondo cui «Le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all'esercizio di competenza»;
   in ragione del noto «principio di specialità», la disposizione contenuta nell'articolo 166-bis del TUIR ha evidentemente un carattere speciale, poiché diretta a regolamentare una particolare ipotesi (il trasferimento della residenza ai fini fiscali in Italia), mentre quella di cui all'articolo 109, comma 4, del TUIR ha, invece, notoriamente carattere generale. In tal senso, lo stesso articolo 109, comma 4, del TUIR, in deroga al principio della «previa imputazione al conto economico», stabilisce comunque al secondo periodo che «Sono tuttavia deducibili: [...] b) quelli che pur non essendo imputabili al conto economico, sono deducibili per disposizione di legge»;
   la disposizione contenuta nel menzionato articolo 166-bis del TUIR, in tal senso, è oltremodo chiara nel riconoscere un costo fiscale «d'ingresso» nel nostro ordinamento allineato con il valore normale. Il riconoscimento della deducibilità dell'ammortamento dei valori fiscali come sopra identificati è necessario, oltre che per evidenti ragioni di ordine logico e sistematico, anche per fornire le necessarie certezze ai soggetti economici che dovessero decidere di trasferire la sede di società prima operanti all'estero allo scopo di riportarne in Italia il patrimonio e i redditi futuri che ne conseguiranno, nonché le attività e i posti di lavoro agli stessi correlati, mortificando altrimenti la stessa ratio normativa, volta chiaramente a dare impulso a tali processi di «nazionalizzazione», fornendo anche le necessarie garanzie applicative sul piano fiscale (in termini di recuperabilità dei suddetti costi fiscali);
   tale interpretazione del dettato normativo sembrerebbe, quindi, l'unica consentita, anche per evitare, per esempio, un'inaccettabile discriminazione derivante dalla disparità di trattamento rispetto ai soggetti che adottano i principi contabili internazionali (IAS-11-RS), per i quali è, infatti, invece pacificamente consentita la deduzione delle quote di ammortamento, anche in via extra-contabile, quantomeno con riguardo ai marchi e all'avviamento. In tal senso, infatti, si consideri che per i soggetti IAS-adopter «la deduzione del costo dei marchi d'impresa e dell'avviamento è ammessa alle stesse condizioni e con gli stessi limiti annuali previsti dai commi 1 e 3, a prescindere dall'imputazione al conto economico» (cfr. articolo 103, comma 3-bis, del TUIR);
   anche a voler prescindere, quindi, dal succitato principio di specialità della norma in commento, che si ritiene ovviamente di per sé già sufficiente, ove si avvalorasse una tesi negativa, il menzionato articolo 103, comma 3-bis, del TUIR – inizialmente introdotto per evitare una discriminazione tra soggetti che adottavano i principi contabili nazionali (per i quali l'imputazione di quote di ammortamento di marchi e avviamento al conto economico garantiva la relativa deduzione ai fini fiscali) e quelli che, invece, adottavano i principi contabili internazionali (per i quali, invece, la mancata imputazione al conto economico di quote di ammortamento non consentiva la deduzione ai fini fiscali) – finirebbe per legittimare un'ingiustificabile discriminazione di senso opposto, tra coloro che adottano i principi contabili nazionali (per i quali non sarebbe consentita la deduzione in via extra-contabile dei costi fiscalmente riconosciuti rivenienti da trasferimenti in Italia della residenza fiscale di società prima residenti all'estero) e coloro che, invece, adottano i principi contabili internazionali (per i quali tale deduzione risulta invece espressamente ammessa, quantomeno per marchi e avviamento);
   da ultimo, occorre evidenziare che il meccanismo di deduzione dal reddito imponibile delle quote di ammortamento in via extra-contabile (senza quindi operare una previa imputazione al conto economico) non è certo nuovo al nostro ordinamento; a titolo esemplificativo, si consideri:
    a) quanto precisato dall'Agenzia delle entrate con la circolare n.8/E del 4 marzo 2010, in relazione al trattamento fiscale dell'avviamento nell'ipotesi in cui un soggetto abbia in precedenza iscritto in bilancio (per effetto di un'operazione di fusione, scissione o conferimento ex-articolo 176 del TUIR) il relativo valore, riallineando fiscalmente il medesimo come consentito per legge (articolo 15, comma 10, del decreto-legge n. 185 del 2008, ovvero articolo 172, comma 10-bis, 173, comma 15-bis e 176, comma 2-ter, del TUIR) e, successivamente, conferisca ai sensi dell'articolo 176 del TUIR il ramo d'azienda cui è riferibile l'avviamento iscritto e affrancato. In tale occasione, è stato precisato che il soggetto conferente continua a dedurre in via extra-contabile le quote di ammortamento dell'avviamento «cancellato», semplicemente sul presupposto che «tale posta contabile debba essere esclusa dal concetto di azienda conferita, così come definita dal citato articolo 176, comma 1, del TUIR»;
    b) la disciplina del cosiddetto «super-ammortamento», recentemente introdotta dall'articolo 1, commi da 91 a 97, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cosiddetta legge di stabilità per il 2016), che consente di dedurre in via extra-contabile un'ulteriore quota di ammortamento forfettariamente determinata nel 40 per cento del costo di acquisizione del cespite sottoposto al processo di ammortamento –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto, si possa rendere ammissibile, per via extra-contabile, la deducibilità fiscale delle quote di ammortamento del costo fiscalmente riconosciuto per i beni posseduti da società che abbiano trasferito la residenza fiscale in Italia, a prescindere dai principi contabili applicabili alla redazione del bilancio d'esercizio. (5-08068)


   BUSIN e BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo la sentenza del 27 marzo 2013 della Commissione tributaria di Sondrio il professionista che ha percepito il compenso al netto della ritenuta d'acconto del 20 per cento operata ma non versata dal committente è legittimato a detrarla non potendo «pagare due volte, e certamente non per sua colpa», l'imposta dovuta;
   nel caso di specie l'amministrazione finanziaria aveva iscritto a ruolo, dopo un controllo formale ex articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 600 del 1973, l'importo della ritenuta perché non risultava versata dal sostituto d'imposta. A fondamento della pretesa era stata sostenuta la vigenza della «totale solidarietà per il pagamento tra sostituito e sostituto». Il contribuente ha quindi prodotto in contenzioso la documentazione sull'assoggettamento a ritenuta del compenso e la Commissione tributaria provinciale ha ritenuto valide le sue ragioni «per giustizia sostanziale»;
   l'articolo 22 del Tuir consente la detrazione dall'imposta delle ritenute d'acconto «operate» e l'articolo 36-ter prevede la possibilità di escludere lo scomputo se le ritenute non risultano dalle dichiarazioni o dalle certificazioni dei sostituti d'imposta. Poiché tali disposizioni non pongono come condizione il versamento delle ritenute, la risoluzione 68/E/2009 ha affermato che se il contribuente non riceve la certificazione del sostituto può comunque scomputare le ritenute subite esibendo la fattura e la documentazione bancaria nonché una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui dichiara che la documentazione si riferisce a tale fattura, regolarmente contabilizzata. Il fisco si è, quindi, concentrato solo sull'idoneità della prova sull'effettuazione della ritenuta;
   la sentenza della commissione tributaria di Sondrio riprende quindi la tesi della risoluzione 68/E/2009 non condivisa, però, dalla Corte di cassazione che, nelle sentenze 10082/2003, 14033/2006, 8316/2009, 24962/2010 e 23121/2013 ha, invece, subordinato lo scomputo delle ritenute all'effettivo versamento, perché anche il sostituito sarebbe originariamente obbligato solidalmente al pagamento dell'imposta, fermo restando il diritto di regresso verso il sostituto;
   l'articolo 35 del decreto del Presidente della Repubblica 602 del 1973 limita, però, la responsabilità solidale del sostituito alle ritenute a titolo d'imposta non «effettuate né versate» –:
   non ritenga opportuno assumere apposite iniziative per indicare la giusta interpretazione della fattispecie normativa esposta in premessa al fine di chiarire l'imputabilità della responsabilità sulle ritenute d'acconto non versate dal sostituto d'imposta, tenendo conto che la richiesta di versamento dell'importo già «trattenuto» provocherebbe una duplicazione impositiva, evitabile solo con un'azione esercitabile in sede civile con mezzi meno rapidi ed efficaci di quelli a disposizione delle stessa amministrazione finanziaria per richiedere le ritenute direttamente al sostituto. (5-08069)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il passaggio dal regime normativo dell'ICI a quello dell'IMU ha determinato numerose lacune tra le quali quella relativa all'assoggettamento impositivo a quest'ultima dei cosiddetti imbullonati, cioè quei beni strumentali che, per il solo fatto di essere ancorati al suolo, vengono equiparati fiscalmente ad un immobile;
   a conclusione di un lungo contenzioso tra il comune di Pineto (Teramo) e la società ENI spa la Corte di cassazione con sentenza n. 3618 del 25 febbraio 2016, facendo seguito ad un ricorso del medesimo comune contro le deliberazioni delle commissioni tributarie di merito che avevano in passato esentato l'Eni dal versare il tributo relativo alle quattro piattaforme per l'estrazione di idrocarburi installate nel mare prospiciente il lido di Pineto, ha stabilito l'obbligo per le stesse di pagare l'imposta che nella fattispecie, trattandosi di competenze fiscali relative all'anno 1999, è risultata essere l'ICI. Per la Corte di cassazione le quattro piattaforme sono soggette ad ICI e classificabili nella categoria D/7, stante la riconducibilità delle stesse al concetto di immobile ai fini civili e fiscali e la loro suscettibilità di accatastamento e di produrre un reddito proprio in quanto la redditività deve essere riferita allo svolgimento di attività imprenditoriale-industriale e non alla diretta produzione di un reddito da parte della struttura;
   la legge di stabilità 2016, nel rivedere talune disposizioni in materia di accatastamento, ha previsto che: «A decorrere dal 1o gennaio 2016, la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del “suolo” e delle “costruzioni”, nonché degli “elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l'utilità”, nei limiti dell'ordinario apprezzamento. Sono dunque esclusi dalla stessa stima diretta “macchinari, congegni, attrezzature ed altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo”»;
   il principio giuridico che deriva dalla suddetta sentenza ha creato un precedente al quale senz'altro si richiameranno le altre amministrazioni italiane ove insistono le 106 piattaforme per l'estrazione di idrocarburi. È pertanto immaginabile che si genererà un rilevante contenzioso tra le società proprietarie ed i comuni pronti a chiedere sulle stesse il pagamento dell'imposta sugli immobili –:
   se non ritenga, anche in questa occasione, alla luce della recente sentenza della Corte di cassazione sopracitata e della normativa vigente, di dover assumere iniziative per chiarire se le piattaforme petrolifere italiane sono soggette o meno all'imposta in questione. (5-08070)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è recentemente posta la questione del ritardo nei pagamenti delle rate di rimborso del credito concesso relativamente all'acquisto di beni immobili residenziali e dell'avvio delle relative procedure esecutive, anche in relazione all'attuazione della direttiva 2014/17/UE;
   nell'affrontare la questione occorre evitare che il finanziatore adotti procedure indefinite e comunque aleatorie per gestire i rapporti con i consumatori in difficoltà nei pagamenti;
   è necessario evitare il rischio che si persegua esclusivamente l'obiettivo di abbreviare e semplificare le procedure nel caso di inadempimento del debitore, senza dover far necessariamente ricorso a procedure esecutive giudiziali che gli istituti di credito hanno giudicato e giudicano molto lunghe e complesse;
   non si possono soddisfare le esigenze del finanziatore, riducendo pertanto il rischio e i costi esecutivi gravanti sul solo finanziatore in caso di inadempimento del debitore, ignorando totalmente la condizione di crisi sociale ed economica che grava sulle famiglie;
   è semplicemente falso che una simile semplificazione contribuisca ad ampliare la disponibilità di credito da parte delle banche, migliorando inoltre le condizioni di prestito, a vantaggio dei debitori; il risultato sarà esattamente il contrario, perché costituirà un restringimento delle possibilità di contrarre prestiti e mutui;
   bisogna evitare che si sacrifichi il patrimonio immobiliare con il solo obiettivo di affrontare le sofferenze bancarie;
   merita ricordare che già la vigente disciplina in materia di prestito vitalizio ipotecario prevede strumenti molto incisivi a favore del creditore in caso di inadempimento del debitore, consentendo al creditore stesso di porre in vendita direttamente l'immobile gravato da ipoteca a il del finanziamento. Infatti il comma 12-quater dell'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge n. 203 del 2005, stabilisce che «qualora il finanziamento non sia integralmente rimborsato entro dodici mesi dal verificarsi degli eventi di cui al citato comma 12, il finanziatore vende l'immobile ad un valore pari a quello di mercato, determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, utilizzando le somme ricavate dalla vendita per estinguere il credito vantato in dipendenza del finanziamento stesso;
   in Italia e in Sardegna in particolar modo sono in migliaia le famiglie a rischio;
   la Banca d'Italia rivela che solo in Sardegna sono il 32 per cento le famiglie indebitate e cresce il numero di quelle che vengono considerate insolventi o potenzialmente in difficoltà;
   le recenti iniziative assunte dal Governo in questa materia, incluse quelle volte all'attuazione della direttiva 2014/17/UE, si traducono per la Sardegna, ma non solo, in un atto di una gravità inaudita;
   alla crisi economica e occupazionale che mina alla radice la vita familiare si aggiunge il rischio di portare via la casa a migliaia di famiglie in difficoltà scavalcando di fatto le procedure esecutive che sono rese più complesse sia per Equitalia che altri soggetti di riscossione;
   in quest'ottica è opportuno salvaguardare il disposto dell'articolo 2744 del codice civile, che vieta il cosiddetto «patto commissorio» ovvero «il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore» –:
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative al fine di evitare che sia nella facoltà di un soggetto privato come una banca aggredire, senza tutele per il consumatore, l'immobile destinato a destinazione principale;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative normative adeguate in grado di salvaguardare in ogni modo il diritto alla prima casa e la sua intoccabilità;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per prevedere strumenti sociali che possano salvaguardare la proprietà della prima casa;
   se il Governo non ritenga di dover salvaguardare in ogni modo quanto stabilito dall'articolo 2744 dei codice civile. (5-08052)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il ponte sul fiume Po lungo la statale 16 collega Pontelagoscuro e Santa Maria Maddalena che unisce le province di Ferrara (regione Emilia Romagna) e di Rovigo (regione Veneto) è stato costruito nel 1949 dopo i bombardamenti del secondo conflitto mondiale;
   il 29 febbraio 2016, a causa della rottura di un giunto è stata decisa la chiusura della percorribilità del ponte e la viabilità deviata;
   si tratta della principale via non autostradale di collegamento tra Emilia Romagna e Veneto;
   gli altri attraversamenti distano uno 8 chilometri circa (a pagamento con pedaggio autostradale sulla A13) e l'altro circa 20 chilometri (località Polesella (RO));
   il traffico, quindi, si riversa prevalente sulla viabilità ordinaria che non è in grado di sostenere soprattutto il volume dei mezzo pesanti;
   il vecchio ponte, infatti, si è deteriorato proprio a causa del transito dei numerosi tir, in considerazione del fatto che quell'attraversamento è la via più breve tra le due province;
   nel 2008 è stato siglato, tra le province di Ferrara e Rovigo e i comuni di Ferrara e Occhiobello, un documento nel quale i quattro enti locali chiedevano di costruire un nuovo ponte vista l'inadeguatezza della struttura costruita nel 1949;
   a supporto di tale iniziativa vi era anche l'esperienza drammatica della piena del Po che aveva evidenziato la necessità di ammodernare la rete stradale e ferroviaria;
   ad oggi, però, nonostante la presenza di quel protocollo non vi è ancora alcun progetto concreto di realizzazione di un nuovo ponte in grado di superare definitivamente le criticità del manufatto;
   l'Anas ha, infatti, manifestato la propria contrarietà a realizzare un nuovo ponte e non intende riconoscere neppure la possibilità di rimborsare, per il periodo dell'interruzione, il pedaggio a chi, residente, è costretto a prendere l'autostrada A13 –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di attivare, con urgenza, un tavolo di confronto istituzionale con l'Anas per il superamento delle criticità relative alla fragilità del ponte in questione sulla strada statale 16, e per il riconoscimento di una forma di rimborso per i residenti pendolari nel periodo di chiusura del ponte, nonché per la realizzazione di un nuovo manufatto come da protocollo d'intesa tra le due province interessate in considerazione dei volumi di traffico e della strategicità dell'infrastruttura. (5-08051)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ALIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 222 del 2007 è stata istituita l'area di sicurezza, individuata con decreto ministeriale 24 gennaio 2008, ritagliata tra due distinte zone marittime (Reggio Calabria e Catania) cui è stata preposta, in deroga agli articoli, 16 e 17 codice navale e all'articolo 14, comma 1, legge 84 del 1994, l'autorità marittima della navigazione dello Stretto di Messina (AMNS);
   con legge 31 del 2008 articolo 18-ter, è stata demandata ad un decreto ministeriale di natura regolamentare la disciplina dell'organizzazione e delle funzioni dell'AMNS nonché del traffico marittimo dello Stretto;
   la struttura organizzativa dell'autorità e le relative aree funzionali sono state definite con decreto ministeriale 128 del 2008; in particolare essa «ha rango corrispondente sul piano gerarchico organizzativo a quello di Direzione Marittima e dipende dal Comando generale, espleta tutte le funzioni di natura amministrativa e tecnico operativa in materia di sicurezza nell'Area di sicurezza e nei porti ivi ricadenti di Messina, Messina-Tremestieri, Reggio Calabria e Villa San Giovanni» (rilascio di concessioni, autorizzazioni ed emanazione di altri provvedimenti relativi ai servizi tecnico nautici e relativa attività di regolamentazione compresi i procedimenti amministrativi; rilascio dei certificati di sicurezza, inchieste sui sinistri marittimi, disciplina della navigazione e potere di ordinanza; controllo e monitoraggio del traffico marittimo, coordinamento e intervento nelle operazioni di ricerca e soccorso assumendo il ruolo di MRSC ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 662 del 1994, coordinamento e intervento in materia di lotta agli inquinamenti marini, controllo e vigilanza attuazione misure di sicurezza, verifica e mantenimento efficienza risorse strumentali assegnate per l'esercizio funzioni operative di controllo e monitoraggio del traffico marittimo per il perseguimento delle finalità di sicurezza preordinate);
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228 articolo 1 commi 159, 160, 161, (legge di stabilità 2013), con un «rinvio» alla fonte regolamentare, ha soppresso l'AMNS e con una reductio ad unum, senza compromettere l'efficienza del dispositivo organizzativo chiamato a garantire l'interesse primario della sicurezza, ha affidato attribuzioni, funzioni e compiti dell'autorità soppressa alla capitaneria che ha assunto la denominazione di capitaneria di porto-autorità marittima dello Stretto, lasciando inalterata la risposta che sul piano normativo aveva ispirato il legislatore del 2007;
   avuta comunicazione ufficiale dell'accorpamento e delle risorse assegnate in data 28 dicembre 2012, il nuovo ente CP-AMS rapidamente si strutturava in linea con il quadro normativo di riferimento secondo una interpretazione letterale e logico-sistematica e avuto riguardo allo spirito della norma, e in data 3 gennaio 2013 ne dava comunicazione al comando generale;
   dopo tre mesi di lineare applicazione, senza pregiudizio alcuno all'interesse pubblica sotteso e alla gestione del personale, si interveniva con DDG n. 313 del 25 marzo 2013, su materia già compiutamente disciplinata da norme di rango superiore, operando con un atto amministrativo a giudizio dell'interrogante di dubbia competenza, una poco chiara rivisitazione di organizzazione, funzioni e compiti di un'autorità istituita con la legge 222 del 2007 (articolo 18-ter, del decreto-legge n. 248 del 2007) regolamentata (decreto ministeriale 128 del 2008) e in toto trasferita al nuovo ente (legge di stabilità 2013);
   incerta appariva la natura e le finalità dell'atto, non ricognitivo, quanto venivano enunciate solo alcune delle attribuzioni affidate dalla legge, non abrogativo di disposizioni aventi forza di legge, che richiamava alcune funzioni e una dipendenza funzionale primaria dal comando generale e gerarchica dal comando della marina, al pari degli altri direttori marittimi senza riconoscere all'autorità il rango di direzione marittima, il ruolo di MRSC, l'autonomia finanziaria necessaria;
   per quasi tre anni la CP-AMS ha operato in un quadro di assoluta incertezza normativa e di mancate risposte, dovendo assolvere a compiti ed attribuzioni affidate dalla legge e assumendo i provvedimenti necessari, di competenza del direttore marittimo, mai avvallati dal comando generale, ma neppure esplicitamente contestati, provvedimenti che solo nelle materie di competenza della direzione generale del Ministero, trovavano sollecito e positivo riscontro;
   la specificità dello Stretto di Messina già normativamente sancita, in deroga alle previgenti norme sulla suddivisione del litorale della Repubblica nelle circoscrizioni marittime, con l'istituzione dell'area di sicurezza dello Stretto e della preposizione ad essa di un'autorità unica, che costituisce il primo ponte istituzionale tra le due sponde, e che sembra trovare ulteriore riconoscimento nella nuova riforma dei porti in una logica di sistema, che non può non assumersi in un'area vasta per i problemi correlati alla conurbazione, all'aumento della mobilità, in particolare ai collegamenti fisici via mare, coniugati all'aumento dei traffici nello Stretto, non può essere mortificata –:
   se la dichiarata dipendenza funzionale e gerarchica della capitaneria di porto-autorità marittima dello Stretto dalla direzione marittima di Catania abbia un fondamento normativo;
   se sia in itinere una qualunque iniziativa normativa che, sconfessando lo spirito innovatore del legislatore del 2007 e in netta contraddizione con i principi che disegnano un nuovo sistema portuale nello Stretto, riproponga modelli organizzativi poco funzionali a garantire la sicurezza marittima nell'ambito della specificità dell'area dello Stretto di Messina;
   se non sia, viceversa necessario ristabilire un quadro di certezza del diritto attraverso la semplice revoca del provvedimento DDG 313 del 2013. (4-12431)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   magistrati e forze dell'ordine stanno svolgendo un lavoro intenso per monitorare la situazione relativa a possibili e prevenire attentati;
   in questo lavoro rientra l'inchiesta sui tragitti seguiti dal signor Karim Franceschi. Difatti, da indiscrezioni a mezzo stampa su alcuni quotidiani online, alcune dichiarazioni rese da signor Karim Franceschi combattente volontario a Kobane contro l'Isis, sarebbero finite nel mirino dell'Antiterrorismo;
   sembrerebbe che la direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo di Ancona abbia infatti aperto un fascicolo sulle dichiarazioni rese dal signor Karim Franceschi in più occasioni, sia alla stampa che in vari incontri tenuti in giro per l'Italia dopo il suo rientro. Franceschi, 27 anni, residente a Senigallia (An), figlio di padre italiano e madre marocchina, nel gennaio 2015 partì alla volta di Kobane per unirsi come volontario alle Forze di difesa del popolo. Qui Karim ha imbracciato le armi per tre mesi;
   tornato a casa, si legge negli articoli di cui sopra, ha raccontato, in varie circostanze, la sue esperienza omettendo particolari «non riferibili». Tra questi il modo in cui è riuscito a raggiungere Kobane;
   la procura parrebbe voler ora chiarire questi aspetti per capire se ci sia rischio di infiltrazioni dell'Isis nel nostro Paese. Lo stesso percorso compiuto da Karim per entrare a Kobane infatti potrebbe essere fatto al contrario dai terroristi dell'Isis;
   per la Procura, si legge proprio nell'articolo citato, «l'interesse investigativo» sta nel capire anche come Karim sia riuscito ad arruolarsi nelle file di curdi, nel verificare la veridicità delle sue dichiarazioni ed eventuali pericoli di infiltrazioni terroristiche in Italia;
   la regione balcanica è zona di transito privilegiato di foreign fighters nonché area di «realtà oltranziste consolidate»;
   le Marche, per posizione geografica e per il ruolo di alcuni porti sull'adriatico, si trovano in prima linea di fronte a possibili spostamenti di persone o materiali dai balcani –:
   se il Ministro sia a conoscenza di questo sopra esposto, quali eventuali rischi e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (5-08056)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATARRELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli scorsi mesi la situazione dell'ordine pubblico in provincia di Brindisi si è notevolmente complicata a causa dell'accadimento di una serie di episodi e vicende criminose di diversa origine e varia entità;
   si è assistito a una lunga sequenza di attentati incendiari, spesso ai danni di beni appartenenti ad esponenti delle istituzioni locali, naturalmente suscitando una diffusa inquietudine sociale;
   quasi quotidianamente vengono registrati rapine, furti di auto e beni differenti, effrazioni nelle abitazioni private o in aziende, atti vandalici anche rilevanti che incidono pesantemente sulla vivibilità delle comunità territoriali;
   il 23 febbraio 2016 la brillante operazione denominata «The beginners», condotta dalla magistratura, dalla direzione investigativa antimafia e dalla squadra mobile della questura di Brindisi, ha portato ad eseguire 27 ordinanze di custodia cautelare in carcere e a ingenti sequestri patrimoniali, contestando tra gli altri i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché evidenziando il tentativo di ricostruire in forma strutturata l'organizzazione mafiosa della Sacra corona unita;
   l'intero quadro degli eventi esposto ha originato uno stato di comprensibile preoccupazione nella parte sana della società civile brindisina, che è maggioritaria, ed un altrettanto comprensibile clamore nei media locali, regionali e nazionali, anche e soprattutto in considerazione della ormai trentennale storia brindisina di lotta contro la criminalità organizzata –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se il Ministro interrogato ne sia a conoscenza e quali iniziative urgenti intenda assumere, a partire da una approfondita ricognizione sullo stato dell'ordine pubblico, posta la necessità di contrastare i gravi segnali di ripresa delle attività delinquenziali;
   se intenda rafforzare la presenza dello Stato inviando ulteriori unità delle forze di polizia in supporto a quelle già presenti le quali, pur tra molte difficoltà materiali e logistiche, svolgono un lavoro encomiabile. (4-12416)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Torre Santa Susanna, in provincia di Brindisi, l'amministrazione comunale sta sostenendo con grande impegno uno sforzo nella lotta alla criminalità organizzata e, in particolar modo, contro l'attività criminosa del clan della famiglia Bruno;
   il clan, affiliato alla Sacra corona unita, è considerato una delle cosche più potenti della Puglia, e tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta ha trasformato Torre Santa Susanna in un territorio ad alta intensità criminale: omicidi, lupare bianche, spaccio di droga;
   in seguito all'attività della magistratura che a partire dai primi anni novanta ha messo in carcere numerosi esponenti del clan la situazione nel territorio comunale è migliorata ma esistono ancora gravi zone d'ombra e di illegalità;
   nella primavera del 2014 con l'esecuzione, da parte del Ros dei Carabinieri, della relativa sentenza della Cassazione sono stati definitivamente confiscati beni mobili e immobili per un valore di cinque milioni di euro appartenenti al clan dei Bruno, tra i quali terreni, aziende, un'antica masseria, macchine agricole, auto e moto di grossa cilindrata e conti correnti bancari;
   sulle mura dei beni confiscati, e ora affidati almeno in parte al comune di Torre Santa Susanna, negli anni sono comparse scritte di minacce quali «chi compra muore» o anche «chi coltiva muore»;
   un bando pubblicato nel novembre 2015 per dare in affidamento il lavoro di raccolta delle olive in un uliveto confiscato al clan dei Bruno è andato deserto;
   un ulteriore bando di gara per l'affidamento a fini sociali dei beni confiscati al clan dei Bruno è in via di pubblicazione;
   questo dimostra come le attività criminose nel territorio comunale non siano affatto cessate e quanto queste attività determinino ancora forte paura nella popolazione;
   recentemente è stata chiusa la caserma dei carabinieri del comune di Torre Santa Susanna e ora il presidio più vicino è a Francavilla Fontana, ad una distanza di quasi venti chilometri;
   il ripristino di un presidio delle forze dell'ordine nel territorio stesso del comune trasmetterebbe alla cittadinanza un indispensabile e rasserenante segnale di presenza dello Stato, nonché permetterebbe una più efficace attività di contrasto alla ripresa di eventuali attività criminose nella zona –:
   se non si ritenga di intervenire con urgenza al fine di ripristinare la piena operatività dei carabinieri nel comune di Torre Santa Susanna. (4-12428)


   BORGHESI e GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Castegnato, in provincia di Brescia, esiste da tempo in via Verginello un sedicente centro culturale islamico, frequentato in massima parte da cittadini extracomunitari di origine pakistana;
   agli interroganti risultano, tuttavia presenti nello stabile elementi tipici dell'arredo delle moschee, quali i tappeti destinati all'area di preghiera e i rubinetti per le abluzioni rituali;
   le infiltrazioni jihadiste in Lombardia sono state documentate da numerose indagini e ricerche, che non permettono di tenere bassa la guardia;
   il venerdì i locali di via Verginello a Castegnato risultano, a quanto consta agli interroganti, visitati da un maggior numero di persone;
   esiste il sospetto che il centro culturale islamico ospiti una moschea clandestina –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'esatta natura delle attività ospitate nello stabile di via Verginello in Castegnato e se si tratti effettivamente soltanto di un centro culturale islamico e non di una moschea;
   se il Governo non ritenga di monitorare attentamente, per quanto di competenza, le attività che comunque si svolgono nel sedicente centro culturale islamico generalizzato in premessa. (4-12432)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è tuttora in vigore in Italia la legge n. 645 del 1952 («legge Scelba») che vieta, tra le altre, l'apologia del fascismo, cioè la propaganda per la costituzione di un'associazione, di un movimento o di un gruppo che nei fatti, nei modi, o nelle manifestazioni esteriori abbia carattere fascista e le manifestazioni fasciste, cioè manifestazioni che abbiano caratteristiche simili al disciolto partito fascista ovvero di organizzazioni naziste;
   il 12 marzo 2016 è previsto un concerto a Pavia, organizzato dal gruppo di estrema destra Skinheads Pavia, che vede tra i tanti ospiti sul palco, gruppi musicali (Garrota, Linea Ostile, Onda Nera, Katastrof Aryan Rock) che nei testi delle loro canzoni promuovono apertamente il nazifascismo;
   questi concerti sono il pretesto per svolgere attività illegali come la propaganda fascista, razzista e xenofoba;
   di questo raduno non si conosce il luogo esatto, come se un concerto con più gruppi musicali non avesse bisogno di tempo e permessi per l'organizzazione –:
   quali iniziative di competenza intenda promuovere il Ministro interrogato affinché non venga offesa la memoria antifascista della città di Pavia, con un concerto e un raduno che dichiaratamente si rifanno a ideologie, parole d'ordine e principi del nazifascismo, dando vita così ad azioni e comportamenti ad avviso dell'interrogante al di fuori del dettato Costituzionale e vietati dalla legge italiana;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per impedire che la città di Pavia e le zone circostanti divengano luogo fertile per l'insediamento di realtà di ispirazione neofascista, xenofoba e razzista. (4-12435)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Venaria Reale (TO), con un'ordinanza, ha vietato l'accesso ai veicoli di massa superiore a 2,5 tonnellate e altezza superiore a 2,4 metri nelle aree di parcheggio situate nei pressi di via di Vittorio. La limitazione è stata prevista con ordinanza n. 60 del 2005. Inoltre, sono state installate sbarre ad altezza ridotta dalla sede stradale;
   a detta dell'Associazione nazionale coordinamento camperisti, il comune non avrebbe mai trasmesso copia degli atti richiamati dall'ordinanza n. 60 del 2008, adducendo la motivazione del pagamento di una tassa di 106,00 euro per l'accesso di atti in quanto si tratterebbe di atti non digitalizzati che andrebbero prima fotocopiati e poi scansionati;
   l'Associazione di cui sopra lamenta la possibilità di accesso alla documentazione se non attraverso il pagamento di un tributo che potrebbe essere comunque facilmente superabile attraverso la scansione e l'invio via email del documento;
   al di là del mancato accesso agli atti si deve rammentare, di recente la sentenza del TAR toscano n. 576 del 13 aprile 2015, in materia, che ha annullato l'ordinanza di divieto emessa dal sindaco del comune di San Vincenzo indirizzata esclusivamente a caravans ed autocaravans;
   lo stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota n. 4680 del 3 ottobre 2014, ha precisato che le amministrazioni comunali possono emettere ordinanze limitative solo se l'ente proprietario, della strada comprovi «la sussistenza delle esigenze e dei presupposti (già previsti a livello normativo) attraverso documenti o analisi tecniche che giustifichino il provvedimento adottato. In mancanza, l'ordinanza di regolamentazione della circolazione potrebbe risultare illegittima per violazione di legge o eccesso di potere riscontrandosi quantomeno un difetto di motivazione ovvero di istruttoria»;
   inoltre, il Dicastero ha confermato che «L'autocaravan è definito quale autoveicolo avente una speciale carrozzeria ed attrezzato permanentemente per essere adibiti al trasporto e all'alloggio di sette persone al massimo, compreso il conducente (articolo 54 comma 1 lettera m)) del Codice della Strada. Ai, fini della circolazione stradale in genere e agli effetti dei divieti di cui agli artt. 6 e 7 del Codice, gli autocaravan sono soggetti alla stessa disciplina prevista per gli altri veicoli (articolo 185 comma 1). La loro sosta, ove consentita, non costituisce campeggio, attendamento e simili se essi poggiano sul suolo esclusivamente con le ruote, non emettono deflussi propri e non occupano la sede stradale in misura eccedente il proprio ingombro (articolo 185 comma 2). Nel caso di sosta o parcheggio a pagamento, le tariffe sono maggiorate del 50 per cento rispetto a quelle praticate per le autovetture (articolo 185 comma 3)»;
   inoltre, con la nota ministeriale n. 65235 del 25 giugno 2009: «Fermo restando che la sosta è un momento della circolazione stradale, gli enti proprietari della strada devono garantirne la possibilità oggettiva per tutte le tipologie di veicoli, anche in caso di parcheggio a loro riservato. L'obbligo deriva dal diritto alla libertà di circolazione, sancito dall'articolo 16 della Costituzione, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza; (...). Pertanto, l'ente proprietario della strada non può vietare la sosta o il parcheggio ad una sola tipologia di veicoli su tutto o in larga parte del territorio ancorché riservi un parcheggio a tale categoria –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza intendano adottare al fine di dar accesso da parte di tutta la collettività relativamente ai documenti della pubblica amministrazione;
   quali iniziative di competenza il Ministro dell'interno intenda adottare al fine di garantire il rispetto di quanto disposto dal decreto ministeriale del 5 agosto 2008 laddove si stabilisce che la difesa della sicurezza urbana debba avvenire nel rispetto di norme che regolano la vita civile, tenendo conto che, ad avviso dell'interrogante, il potere sindacale di ordinanza, ex articolo 54 del decreto legislativo 267 del 2000, al di fuori dei casi in cui assuma carattere contingibile e urgente, non può che limitarsi a prefigurare misure che assicurino il rispetto di norme, ordinarie volte a tutelare l'ordinata convivenza civile, tutte le volte in cui dalla loro violazione possano derivare gravi pericoli per la sicurezza pubblica. (4-12437)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   com’è ormai noto a tutti, l'ex presidente della regione Puglia e segretario nazionale del partito «Sinistra ecologia e libertà», Nichi Vendola, con il suo compagno Eddy Testa si sarebbe avvalso all'estero della surrogazione di maternità, secondo una pratica della fecondazione assistita vietata dal nostro ordinamento e dai più conosciuta con la locuzione «utero in affitto»;
   detta pratica sarebbe stata finalizzata al concepimento di un bambino ottenuto dal seme di Eddy Testa, unito all'ovulo di una donna californiana, con la partecipazione di una seconda donna, di origini indonesiane a cui è stato affidato il compito di sostenere la gravidanza;
   secondo quanto riportano diversi organi di stampa l'operazione avrebbe avuto un costo di circa 135 mila euro;
   lo stesso Vendola è sempre stato in prima fila nella battaglia contro la mercificazione del corpo femminile; ci si chiede come possa ora sfruttarlo, previo compenso economico, per quella che appare all'interrogante la «compravendita» di un bambino;
   secondo numerosi e qualificati interventi di interpretazione giuridica e giurisprudenziale, non essendo la pratica dell'utero in affitto compiuta all'estero considerata reato penale e non potendosi, quindi applicare l'articolo 12 della legge 40 del 2004, si potrebbe configurare il reato di alterazione di stato di cui all'articolo 567, comma 2, del codice penale;
   si è infatti ampiamente discusso in dottrina se l'indicazione del padre o della madre biologica nel certificato di nascita rilasciato nel Paese estero sia circostanza idonea ad integrare la fattispecie di cui all'articolo 567, comma 2, del codice penale, recante «alterazione di stato»;
   la questione non è di poco conto, posto che la suddetta norma incriminatrice prevede la reclusione da cinque a quindici anni per chiunque nella formazione di un atto di nascita alteri lo stato civile di un neonato mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità di carattere interpretativo –:
   se intenda adottare iniziative normative per rendere univocamente applicabile la fattispecie di cui all'articolo 567, comma 2 del codice penale a casi come quello descritto in premessa. (4-12440)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'OTTAVIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni le organizzazioni sindacali e le associazioni dei dirigenti scolastici hanno denunciato che il prossimo anno potrebbero essere 200 le autonomie della regione Piemonte senza dirigente scolastico su circa 650;
   il direttore dell'ufficio scolastico regionale ha confermato le condizioni di emergenza della realtà piemontese;
   la legge n. 107 del 2015 ha affidato ai dirigenti scolastici nuove ed importanti responsabilità;
   le reggenze sono diventate un carico difficile da sostenere e raggiunta la soglia pensionabile non si accetta di proseguire nell'incarico –:
   se sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative intenda assumere;
   se il concorso per nuovi dirigenti scolastici sia previsto e in quali tempi. (5-08050)


   ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 15 marzo 2010, regolamento recante «Revisione dell'assetto ordinamentale, Organizzativo e didattico dei licei ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133», ha disciplinato, all'articolo 7, la nascita del liceo musicale e coreutico;
   la mancata definizione delle nuove classi di concorso relative ai docenti di strumento per le secondarie di secondo grado ha consentito, a partire dall'anno scolastico 2010/2011, di attivare i 126 licei musicali esclusivamente facendo ricorso ad insegnanti di musica e strumento musicale provenienti dalle scuole secondarie di primo grado, dagli ex istituti magistrali (in quanto nel nuovo liceo delle scienze umane non era più previsto l'insegnamento della materia) e a docenti selezionati tramite bandi per meriti artistici predisposti dai singoli istituti;
   con decreto del Presidente della Repubblica n. 19 del 14 febbraio 2016 sono state definite le nuove classi di concorso per licei musicali e coreutici senza tuttavia recepire i suggerimenti e le indicazioni formulate al riguardo dalla rete nazionale qualità e sviluppo dei licei musicali italiani con un documento sottoscritto anche dal direttore della Accademia nazionale di danza e dal presidente della Conferenza nazionale dei direttori di conservatorio; documento richiamato nei pareri resi dalle commissioni VII di Camera e Senato sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica (Atto di Governo n. 220);
   con decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 23 febbraio 2016 (prot. 0000106) è stato bandito un concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento di personale docente per i posti comuni dell'organico dell'autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado;
   il decreto sopra citato, all'articolo 3, circoscrive l'ammissione al concorso ai soli candidati in possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento, rispettivamente per i posti della scuola secondaria di primo grado e per la scuola secondaria di secondo grado, conseguito entro la data di scadenza del termine per la presentazione della domanda. Altresì esclude dalla partecipazione al concorso i docenti già assunti su posti e cattedre con contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato nelle scuole statali (articolo 3, comma 2);
   tali condizioni di ammissione ed esclusione al concorso per gli interrogati non tengono conto in modo compiuto della specificità dei licei musicali e coreutici e rischiano di determinare, in molte situazioni, un ricambio pressoché totale del personale docente che, in questi anni, ha garantito il funzionamento di queste istituzioni scolastiche, compromettendo la continuità didattica ed una solidità organizzativa con fatica conseguita dopo l'istituzione dei licei musicali;
   la specificità dei licei musicali e coreutici è stata riconosciuta dalla stessa Ministra interrogata la quale, nel corso dell'audizione svoltasi martedì 1o marzo 2016 presso la VII Commissione Istruzione pubblica e beni culturali del Senato, rispondendo ad un chiarimento richiesto proprio su questo punto, ha individuato nell'istituto della mobilità lo strumento utile a garantire la permanenza in servizio a quei docenti di strumento che, seppur di ruolo nella scuola secondaria di primo grado, a seguito dell'avvio dei licei musicali, sono diventati negli anni docenti di questi ultimi;
   l'istituto della mobilità, secondo gli interroganti, potrebbe non rispondere compiutamente all'obiettivo se non venisse attivato in tempi certi ed in anticipo rispetto alla immissione in ruolo dei vincitori del concorso bandito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 23 febbraio 2016, e se non venisse considerata come prioritaria, nella valutazione delle domande, l'anzianità specifica di servizio nella scuola secondaria di secondo grado rispetto all'ordinaria anzianità in ruolo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e se, valutata la peculiarità delle materie insegnate nei licei musicali, considerato anche il fatto che il numero di studenti per classe di strumento varia di anno in anno, non ritenga di considerare l'opportunità di riconoscere ai licei musicali e coreutici una specificità nella selezione del corpo docente che valorizzi anche il merito artistico, che è stato alla base della selezione di molti docenti di strumento;
   se non ritenga ragionevole, per rendere agibile il percorso di mobilità indicato dalla stessa Ministra, come rilevato in premessa assumere iniziative per prevedere tempi differenziati di copertura delle cattedre dei licei musicali, dando corso in primo luogo alle mobilità – attribuendo adeguata e prevalente considerazione all'anzianità specifica di servizio nei licei musicali rispetto alla generica anzianità in ruolo – e solo successivamente alla immissione in ruolo dei vincitori del concorso per titoli ed esami bandito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 23 febbraio 2016, finalizzato al reclutamento di personale docente per i posti comuni dell'organico dell'autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado. (5-08071)


   MARZANA, BRESCIA, PISANO, VILLAROSA, NUTI, LUIGI DI MAIO, RIZZO, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, D'UVA, SIBILIA, D'AMBROSIO, LIUZZI, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, BONAFEDE, CASTELLI, FRACCARO, PETRAROLI, FRUSONE, DI BENEDETTO e TOFALO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le «indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento in relazione alle attività e agli insegnamenti compresi nel piano di studi», emanate con decreto ministeriale n. 211 del 2010 concernente il riordino dei licei, relativamente all'insegnamento della letteratura italiana del Novecento, hanno indicato, per la poesia, le esperienze di Ungaretti, Saba e Montale, per la narrativa, autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, Primo Levi;
   si rileva che in esse, a parte Verga e Pirandello e l'indicazione di una sola donna (Elsa Morante), su 17 poeti e scrittori consigliati non c’è un solo nome a sud di Roma; mancano, quindi autori meridionali che hanno dato lustro alla letteratura italiana del XX secolo, come Gesualdo Bufalino, Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Domenico Rea, Salvatore Quasimodo, Matilde Serao, Anna Maria Ortese;
   in tal modo, si è operata una esclusione di un pezzo significativo della cultura essenziale per la storia del nostro Paese con gravi ripercussioni sia a livello culturale che a livello editoriale, poiché le case editrici per l'elaborazione dei manuali per i licei, si attengono principalmente alle indicazioni del Ministero, magari classificando tutti gli esclusi come «minori», e creando in tal modo una immagine falsata della letteratura italiana del Novecento;
   già in data 16 ottobre 2014 il Sottosegretario di Stato per l'Istruzione l'università e la ricerca Angela D'Onghia, in risposta all'interrogazione 5/03432 confermava l'impegno del Ministero riguardo all'introduzione degli autori meridionali nelle «indicazioni nazionali» e dava atto che: «Nell'anno scolastico in corso giunge a compimento il riordino del secondo ciclo di istruzione, e in particolare, per quanto riguarda la questione sollevata nell'interrogazione in oggetto, (...) i percorsi liceali sono oggetto di un processo di monitoraggio e valutazione che in questa fase dovrà intensificarsi per realizzare una approfondita riflessione sui curricoli del nuovo ordinamento. Solo al termine di questo complessivo processo di verifica sarà possibile procedere ad un aggiornamento delle Indicazioni Nazionali per i Licei, unico documento tecnico idoneo a risolvere la questione prospettata»;
   contestualmente presso la VII Commissione della Camera dei deputati era in discussione la risoluzione 7-00385 del 10 giugno 2014 «Sull'inserimento di autori meridionali nei programmi di letteratura delle scuole italiane» all'esito del dibattito è stata approvata in data 24 febbraio 2015 la risoluzione conclusiva n. 8-00099 con la quale si impegna il Governo: «al fine di proporre un quadro completo della Letteratura italiana idoneo a valorizzare tutte le aree culturali del Paese, a rivedere il regolamento recante le Indicazioni nazionali concernenti l'insegnamento della letteratura del Novecento nei licei eliminando gli elenchi esemplificativi;
   a ristrutturare le Indicazioni in modo che indirizzino i docenti a proporre testi rappresentativi le diverse correnti e tipologie letterarie, i differenti linguaggi espressivi e lo studio di un ampio numero di autori e autrici in modo da cogliere in maniera omogenea, anche su base geografica, la ricca tradizione letteraria e artistica italiana;
   al fine di implementare l'autonomia didattica, a definire le linee guida e favorire la diffusione gratuita di materiali didattici digitali autoprodotti, anche mettendo a disposizione un portale in cui caricare i testi, come sancito dall'articolo 6 del decreto-legge n. 104 del 2013»;
   l'articolo 6 del decreto ministeriale 7 ottobre 2010, n. 211 stabilisce che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo attivi un sistema di monitoraggio che consenta di raccogliere elementi da considerare nel processo di implementazione del complessivo riordino dei licei;
   da uno scambio telematico del 31 luglio 2015 con la dottoressa A. D'A. dirigente dell'Ufficio III, Ordinamenti dei percorsi liceali, scrutini ed esami di Stato della scuola secondaria di secondo grado, si apprende di: «(...) favorire il confronto, la sperimentazione e lo scambio di esperienze metodologiche, sempre con l'irrinunciabile convinzione che ogni grande scrittore italiano del XX secolo rappresenta la letteratura italiana “tout court”, quale che sia la collocazione geografica eventualmente autorizzata dalla sua biografia»;
   inoltre dalla sopracitata corrispondenza la dottoressa A. D'A. conferma che: «Non c’è dubbio che la questione in oggetto da più parti sollevata potrà trovare ulteriori spazi di approfondimento in sede di, aggiornamento delle “Indicazioni nazionali”. È in questo periodo che sta per essere avviato il gruppo tecnico di monitoraggio dei licei»;
   è opportuno segnalare che al 31 luglio 2015 il monitoraggio delle Indicazioni doveva già giungere a compimento e invece come informa la dottoressa A. D'A. stava ancora per essere avviato il «gruppo tecnico» palesandosi un cronico e inspiegabile ritardo visto che l'aggiornamento doveva completarsi entro l'anno scolastico 2014/2015 –:
   se il tavolo tecnico di monitoraggio menzionato in premessa sia stato attivato e con quali modalità, quali ne siano i soggetti incaricati e coinvolti e quale sia l'ambito dei suoi lavori;
   quale sia lo stato dei lavori di aggiornamento delle «Indicazioni nazionali per i licei» e delle «Linee guida» che dovevano giungere a compimento entro l'anno scolastico 2014/2015;
   considerato che l'aggiornamento delle indicazioni nazionali per i licei è, come affermato dal sottosegretario D'Onghia, «l'unico documento tecnico idoneo» a recepire l'impegno approvato con la risoluzione conclusiva n. 8-00099, quali siano i tempi che il Ministro interrogato preveda per la soluzione della questione. (5-08072)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreto del 24 aprile 1992, ha inserito in ordinamento un corso triennale d'istruzione professionale per l'acquisizione della qualifica di «operatore dei servizi sociali»;
   tale qualifica è stata successivamente confermata con decreto ministeriale 14 aprile 1997, n. 250;
   lo stesso Ministero, con decreto del 15 aprile 1994, ha istituito un corso biennale di post-qualifica d'istruzione professionale per il conseguimento del titolo di «tecnico dei servizi sociali», il cui accesso è riservato a coloro i quali abbiano già acquisito precedentemente, la qualifica corrispondente di operatore;
   nei decreti ministeriali, relativamente alla qualifica di «operatore dei servizi sociali» si legge che: «(...) con una specifica formazione professionale di carattere teorico e tecnico-pratico e nell'ambito dei servizi socio-educativo-culturali, svolge la propria attività a sostegno di persone di diversa età, per favorire le loro potenzialità individuali e il loro inserimento e partecipazione sociale. (...) Alla conclusione del ciclo di studi l'Operatore dei Servizi Sociali può lavorare nelle strutture pubbliche e private del territorio a sostegno delle comunità, per salvaguardare l'autonomia personale e sociale dei cittadini con lo scopo di salvaguardare l'autonomia personale e sociale dei cittadini con lo scopo di evitare o ridurre i rischi di isolamento o di emarginazione...)»;
   nel decreto ministeriale del 15 aprile 1994, si legge che «Il Tecnico dei servizi sociali possiede competenze e capacità per adeguarsi alle necessità e ai bisogni delle persone con le quali deve operare. È in grado di programmare interventi precisi e mirati secondo le esigenze fondamentali della vita quotidiana e di svago, curandone l'organizzazione e valutandone l'efficacia. Con l'esperienza anche pratica (attraverso stage e tirocini) il tecnico dei servizi sociali è capace di cogliere i problemi e di risolverli efficacemente e tempestivamente tenendo conto dell'aspetto giuridico, organizzativo, psicologico e igienico sanitario»;
   i corsi di istruzione professionale negli indirizzi di operatore e tecnico dei servizi sociali si sono diffusi sul territorio nazionale, attraendo migliaia di giovani interessati a lavorare nel settore sociale;
   il riordino dell'istruzione secondaria superiore di Stato ha rideterminato i diplomi prevedendo che fosse presente l'indirizzo socio-sanitario al termine del quale viene rilasciato il diploma di «tecnico socio-sanitario», visto il decreto del Presidente della Repubblica n. 87 del 15 marzo 2010, con un curriculum di studi non sostanzialmente diverso da quello del «tecnico dei servizi sociali»;
   le regioni rispetto al riconoscimento della qualifica di «operatore dei servizi sociali» e del diploma di «tecnico dei servizi sociali» hanno avuto comportamenti difformi. Alcune non riconoscono in alcun modo tali titoli come utili all'accesso al lavoro in strutture sociali e socio-sanitarie, determinando confusione e delusione nei giovani e nelle loro famiglie che al termine di un percorso di studi, prevalentemente mirato al lavoro in relazioni di aiuto alle persone, si trovano con un titolo di studio non riconosciuto a tale scopo; il comportamento di alcune regioni è stato talmente rigido che, in seguito ad ispezioni è stato richiesto l'allontanamento dalle mansioni ricoperte nel lavoro in strutture residenziali sociali e socio-sanitarie accreditate, di giovani con tale diploma, che ivi erano utilmente impiegati con soddisfazione delle strutture che li avevano assunti, dei loro utenti e dei giovani lavoratori stessi;
   in molte regioni l'accesso a mansioni lavorative che prevedono relazioni di aiuto nei servizi sociali e socio-sanitari, è previsto esclusivamente o con diploma di laurea o con la qualifica di operatore sociosanitario, qualifica che si consegue attraverso corsi di formazione professionale generalmente annuali, il cui requisito d'accesso è dato dall'adempimento dell'obbligo scolastico;
   alcune regioni riconoscono la figura del tecnico dei servizi sociali per quanto riguarda l'educazione nel settore dell'assistenza all'infanzia, ma non riconoscono il titolo come idoneo a formare una figura professionale specifica inserita nei servizi sociali e socio-sanitari in quanto «tecnico dei servizi sociali»;
   vi sono regioni che riconoscono agli studenti con diploma di tecnico dei servizi sociali o di operatore dei servizi sociali solo alcuni limitati crediti formativi spendibili nell'ambito dei percorsi di formazione professionale di «operatore socio-sanitario». Per accedere in alcuni casi è richiesta la partecipazione a prove di selezione (che spesso prevedono esplicitamente una precedenza a favore di persone disoccupate con più di 26 anni, mentre in altri casi sono i contenuti e le modalità dei test che favoriscono le persone disoccupate non più giovani), in altre regioni si richiede il pagamento del corso di formazione;
   molti diplomati nei corsi di tecnico dei servizi sociali che hanno successivamente frequentato i corsi di «operatore socio-sanitario» ritengono la prevalente inutilità della ripetizione di gran parte delle lezioni teoriche, mentre alcuni rilevano l'utilità di un'integrazione della formazione con attività di tirocinio in ambiti differenziati;
   la mancanza del riconoscimento di cui in premessa pone in essere una condizione ingannevole nei confronti dei giovani e delle loro famiglie, convinti, in base alle descrizioni dei profili professionali forniti dal Ministero, di seguire corsi dell'istruzione professionale di Stato utili all'inserimento nel mondo del lavoro, per poi ritrovarsi o a dover accedere a corsi professionali a pagamento o soggetti a test selettivi, oppure, a dover proseguire gli studi in ambito universitario –:
   se il Governo intenda quanto prima affrontare il problema del riconoscimento nel settore sociale e socio-sanitario dei titoli conseguiti nell'istruzione professionale di Stato, quale «operatore dei servizi sociali» e quale «tecnico dei servizi sociali» previsti nell'ordinamento previgente e in prospettiva quello di «tecnico dei servizi socio-sanitari», previsto nel decreto del Presidente della Repubblica n. 87 del – 15 marzo 2010;
   se il Governo intenda assumere iniziative, in accordo con le regioni, affinché ai giovani in possesso del titolo di «operatore dei servizi sociali» e «tecnico dei servizi sociali» che intendano svolgere la professione di «operatore sociosanitario», possa essere riconosciuto il titolo di «tecnico dei servizi sociali» come valido per ricoprire la mansione di operatore socio-sanitario, fatto salvo un necessario periodo di prova, prevedendo magari ambiti professionali specifici per il cui accesso sia spendibile il titolo di «tecnico dei servizi sociali» e di «tecnico socio-sanitario» e introducendo, eventualmente, una revisione del curriculum del «tecnico sociosanitario». (4-12417)


   BENEDETTI, BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI, BUSINAROLO, COZZOLINO, DA VILLA, GAGNARLI, LUPO e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ufficio regionale per l'Europa nel 2010 ha prodotto e diffuso, nei 53 Paesi della regione europea dell'OMS, un documento recante come titolo «Standard per l'Educazione Sessuale in Europa. Quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti»; obiettivo di questo documento è quello di indicare indirizzi e linee guida a diversi ambiti istituzionali tra cui quello scolastico, al fine di «fornire informazioni imparziali e scientificamente corrette su tutti gli aspetti della sessualità» per aiutare i ragazzi in età scolare a «sviluppare le competenze necessarie ad agire sulla base delle predette informazioni, contribuendo così a sviluppare atteggiamenti rispettosi ed aperti che favoriscano la costruzione di società eque»; oltre all'OMS, anche altre agenzie delle nazioni Unite, come l'UNESCO, in questi anni hanno sollecitato, sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, programmi di educazione sessuale come percorsi curricolari, attraverso cui acquisire una corretta informazione sulla prevenzione di malattia trasmissibili sessualmente e sulla prevenzione delle gravidanze, ma anche sviluppare il rispetto di sé e dell'altro/a e il valore della uguaglianza nel rapporto tra i sessi ed il rispetto delle differenze;
   in Italia purtroppo, a differenza di altri Paesi dell'Unione europea, la promozione dell'educazione sessuale nelle scuole trova ostacoli ed è spesso oggetto campagne che vanno nella direzione opposta a quanto viene raccomandato dalle organizzazioni internazionali, oltre che ai contenuti della Convenzione di Istanbul, votata dal Parlamento europeo all'unanimità, e ancora non attuata nel nostro Paese; a giudizio degli interroganti è molto grave quanto accaduto in Veneto, dove l'assessore regionale alla scuola e alla formazione, Elena Donazzan, lo scorso 8 gennaio in una lettera indirizzata ad alcune associazioni trevigiane, facendo riferimento a due delibere del consiglio regionale veneto (92/2014 e 51/2015) e ad una delibera di Giunta (268/2014) che fissano la linea politico-amministrativa a cui devono attenersi psicologi della Usl, istituti scolastici ed insegnanti, scrive che «in tema di educazione sessuale nelle scuole, la Regione Veneto prende le distanze dai contenuti degli standard dell'Oms e auspica non siano presi a modello nella scuola del territorio» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative abbia assunto il Governo per far sì che le disposizioni dell'Organizzazione mondiale della sanità siano attuate negli istituti scolastici di ogni ordine e grado del Paese. (4-12422)


   BRESCIA, D'UVA, DE LORENZIS, SIBILIA e MARZANA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 27 gennaio 2016 si sono riunite congiuntamente a Roma nella sede del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca le Conferenze nazionali dei conservatori statali e non statali dei presidenti, dei direttori e dei presidenti delle consulte degli studenti con lo scopo di discutere della precaria situazione del sistema dei Conservatori statali e non statali italiani;
   in tale sede è stata votata all'unanimità una mozione indirizzata al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e agli organi istituzionali competenti, che denuncia il blocco del processo di riforma del sistema dell'alta formazione musicale (AFAM) a seguito della mancata emanazione dei decreti attuativi di cui all'articolo 2, comma 7, della legge 21 dicembre 1999, n. 508, «Riforma delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati»;
   difatti a distanza di 17 anni dall'entrata in vigore della sopracitata legge, sono stati emanati soltanto due decreti attuativi di cui all'articolo 2, comma 7: il decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, che ha sancito i criteri per l'autonomia statutaria, regolamentare e organizzativa delle istituzioni artistiche e musicali e il decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212, che ha disciplinato la definizione degli ordinamenti didattici degli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica;
   attraverso la mozione, le Conferenze nazionali riunite hanno chiesto alle istituzioni e agli organi competenti risposte immediate e azioni concrete da realizzarsi «non oltre il mese di febbraio 2016, [...] in tempo utile per garantire l'efficacia delle procedure per l'avvio del prossimo anno accademico» relativamente alla definizione un nuovo sistema di reclutamento del personale docente, all'ordinamento dei corsi di studio, alla statizzazione degli Istituti superiori di studi musicali (ex istituti musicali pareggiati) e all'incremento delle risorse a disposizione del sistema;
   nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-11420 presentata in data 16 dicembre 2015, trattando nello specifico il caso dell'Istituto superiore di studi musicali «Giovanni Paisiello» di Taranto, il primo firmatario del presente atto ha già sollecitato una risposta al Ministro interrogato in merito ai ritardi nel processo di statizzazione degli ex istituti musicali pareggiati;
   in data 26 novembre 2015 il Sottosegretario di Stato, Angela D'Onghia, rispondendo all'interrogazione in Commissione n. 5/04948 a prima firma della deputata Marzana, che sollecitava l'emanazione del regolamento previsto dall'articolo 2, comma 7, lettera e) della legge n. 508 del 1999 e relativo alle procedure di reclutamento dei docenti affermava che «il tema del nuovo reclutamento nel settore AFAM è strettamente collegato ad almeno altre due questioni rilevanti; l'assetto istituzionale e di governance delle istituzioni ed il riordino dell'offerta formativa. Si tratta quindi di un problema che va affrontato tenendo presente tutti questi aspetti congiuntamente. Per questo un gruppo ristretto di rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'Università e della Ricerca e di esperti è impegnato nella redazione di una proposta di riforma complessiva del settore. [...] si ribadisce che è intenzione di questo Ministero giungere ad una proposta organica di revisione dell'assetto delle istituzioni AFAM» –:
   quale sia lo stato dei lavori in ordine alla redazione della proposta di riforma complessiva del settore AFAM che attui le disposizioni di cui all'articolo 2, comma 7, della legge 508 del 1999;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di giungere a una celere conclusione del lavoro di revisione e riorganizzazione del settore AFAM ad opera del team di esperti, nell'ottica di una quanto più rapida statalizzazione degli istituti superiori di studi musicali che da tempo affrontano una situazione di crisi causata dalla soppressione delle province e dai tagli di risorse agli enti locali, e della definizione di un nuovo sistema di reclutamento del personale docente. (4-12424)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XI Commissione:


   SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'innalzamento repentino dell'età pensionabile operato dalla «Riforma Fornero», combinato con la crisi socio-economica perdurante, sta accrescendo in misura esponenziale il problema delle migliaia di lavoratori che hanno perso l'occupazione e non possono più accedere agli ammortizzatori sociali;
   in mancanza della volontà di riformare la vigente normativa pensionistica prevedendo un accesso flessibile alla pensione, urge – a parere dell'interrogante – un intervento sperimentale di sostegno che contempli la possibilità di anticipare quota parte della pensione a coloro che sono prossimi all'età pensionabile;
   sulla falsariga dell'istituto dell'anticipazione per l'erogazione degli ammortizzatori sociali (introdotto dall'articolo 7-ter, comma 3, del decreto-legge n. 5 del 2009, in via sperimentale per gli anni 2009 e 2010 e prorogato per gli anni 2011 e 2012 dalle leggi di stabilità 2011 e 2012), le banche potrebbero anticipare una quota del trattamento pensionistico spettante, sulla base del calcolo dell'entità del trattamento e della certificazione dell'avente diritto operata dall'Inps;
   la certificazione dell'ente dovrà essere obbligatoria non solo per quantificare l'entità del trattamento ed identificare l'avente diritto, ma anche per fungere da salvaguardia di futuri eventuali riforme in pejus dei requisiti di accesso pensionistico (cosicché da non creare nuovi ed ulteriori esodati);
   una volta che il pensionando avrà maturato il diritto al trattamento, l'Inps provvederà mensilmente a stornare dal medesimo la percentuale anticipata –:
   se condivida la proposta di cui in premessa ovvero quali altre iniziative il Ministro intenda adottare per accompagnare alla pensione chi è privo di occupazione e di ammortizzatore sociale.
(5-08058)


   PLACIDO, AIRAUDO e MARTELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   risulta ancora in alto mare la vertenza che vede coinvolti 429 addetti di 8 alberghi Atahotels – Gruppo Unipol a Milano, Roma, Aosta e Cagliari che da 15 giorni hanno interrotto le attività;
   la motivazione della chiusura delle strutture alberghiere Atahotels è nel mancato raggiungimento di un accordo tra la società assicurativa Gruppo Unipol proprietaria di Atahotels e la proprietà degli immobili, il fondo di previdenza integrativa dei Medici e Dentisti, il Fondo Enpam;
   gli incontri sindacali che si sono succeduti con Atahotels-Gruppo Unipol e con il Fondo di investimenti Antirion Global, a cui l'Enpam ha conferito nel frattempo la gestione di 7 immobili su 8 dal 23 dicembre 2015, non hanno sortito effetti ma soprattutto non hanno fornito nessuna certezza ai lavoratori;
   nonostante le assicurazioni fornite ai sindacati sul fatto che gli immobili continueranno ad essere destinati ad uso alberghiero, anche laddove l'attività non si è interrotta per neanche un giorno, come nei caso del Residence Ripamonti di Milano la cui gestione è stata nelle scorse settimane conferita al Jsh, i lavoratori di fatto di fatto sono stati sospesi, ad avviso degli interroganti senza alcun rispetto della normativa vigente, relativa ai trasferimenti d'azienda;
   la proprietà degli immobili, il fondo Enpam, non ha ancora risposto alla richiesta di incontro delle organizzazioni sindacali, inoltrata un mese fa;
   Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, hanno richiesto con forza che tutte le parti in causa siano responsabilizzate e che si affermi un principio fondamentale, ovvero che l'attività degli alberghi deve riprendere al più presto, e i lavoratori devono essere presi in carico dai futuri gestori, a prescindere dai rapporti tra i contendenti;
   appare necessario e improrogabile l'apertura di un tavolo istituzionale, come d'altronde, richiesto dalle organizzazioni sindacali, allo scopo di raggiungere una intesa tra tutti i soggetti coinvolti che abbia come obiettivo prioritario la salvaguardia dell'occupazione e del reddito dei lavoratori coinvolti;
   il 1o marzo 2016 i lavoratori hanno manifestato a Roma davanti la sede dell'Enpam a Roma in piazza Vittorio Emanuele, per chiedere che il Fondo apra un canale di dialogo con le rappresentanze dei lavoratori e i sindacati; il 2 marzo 2016 i lavoratori hanno manifestato a Milano davanti la sede del Fondo Antirion Global in Via San Prospero –:
   se sia a conoscenza dei fatti citati in premessa e quali iniziative intenda avviare o ha già avviato al fine di salvaguardare i livelli occupazionali dei lavoratori degli alberghi Atahotels, tenuto conto che riguarda un settore strategico per l'Italia come quello turistico-alberghiero colpito anche esso dai pesanti effetti della crisi economica. (5-08059)


   BALDASSARRE e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso nel mese di febbraio 2016 ha consegnato un troncone di nave da 95 metri al cantiere di Castellammare di Stabia, per colmare un vuoto produttivo di quel polo;
   il livello di produzione e del carico di lavoro dello stabilimento di Riva, attuale e in prospettiva, in particolare, a seguito delle nuove e importanti commesse del programma navale 2015 (cosiddetta «Legge Navale» approvata da questo Parlamento circa un anno fa), risulta decisamente elevato: testimonianze dei sindacati riferiscono che in alcuni reparti è pure stato chiesto ai lavoratori di non usufruire delle ferie, tale la mole di lavoro;
   eppure il 7 marzo 2016, a seguito del fallimento delle trattative con le rappresentanze sindacali su un complesso di misure alternative (dopo che l'azienda ha proposto l'aggiunta di un'ulteriore clausola inerente allo smaltimento di permessi annuali retribuiti e ferie arretrate, che è stata rigettata dai lavoratori in modo quasi unanime), sono iniziate tredici settimane di cassa integrazione ordinaria nello stabilimento, che coinvolgeranno, fino al 5 giugno, un massimo di trentacinque dipendenti e che nei fatti sta interessando quindici lavoratori;
   l'applicazione della cassa integrazione appare incongrua a fronte dell'attuale livello di produzione dello stabilimento di Riva e delle sue prospettive a 5 anni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e come intenda spiegare l'evidente incongruenza dell'applicazione della cassa integrazione, chiarendo quali passi concreti abbia intenzione di muovere, per quanto di competenza, per garantire la razionalità delle scelte industriali dell'impresa, salvaguardando la massima produttività dello stabilimento di Riva Trigoso e il diritto al lavoro dei suoi dipendenti e assicurando il massimo impegno suo e del Governo nei confronti di Fincantieri. (5-08060)


   GARNERO SANTANCHÈ e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'8 settembre 2015 con delibera del consiglio d'amministrazione n. 82 sono state indette le elezioni per l'assemblea dei delegati e del consiglio d'amministrazione di Enasarco, ente di previdenza privatizzato degli agenti di commercio e dei promotori finanziari;
   l'8 luglio 2015, con decreto interministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 30 luglio 2015 è stato approvato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il nuovo statuto dell'Enasarco precedentemente deliberato dal consiglio d'amministrazione dell'ente;
   il 5 giugno 2015 è stato approvato con nota del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 30 luglio 2015) il nuovo regolamento elettorale Enasarco precedentemente deliberato dal consiglio d'amministrazione dell'ente;
   alle elezioni, che si terranno dal 1o al 14 aprile 2016 concorreranno 4 liste in rappresentanza degli agenti di commercio ed una in rappresentanza delle ditte mandanti;
   rappresentanti di due delle 4 liste che concorrono alle elezioni fanno parte del consiglio d'amministrazione uscente;
   il regolamento elettorale prevede che le operazioni di voto avvengano esclusivamente con modalità telematica, ovverosia tramite PC, tablet, smartphone;
   con delibera del consiglio d'amministrazione di Enasarco del 3 febbraio 2016 si è previsto che la Fondazione stessa provveda a: «trasmettere a ciascun elettore provvisto di un indirizzo di posta elettronica certificata apposita informativa contenente l'avvertenza che, salvo i casi di diniego espresso da manifestarsi nel termine di 14 giorni, potranno essere comunicati ai rappresentanti delle liste elettorali che ne facciano richiesta: nome e cognome o ragione sociale, codice fiscale, regione, e provincia di residenza/domicilio e indirizzo di posta elettronica certificata al fine esclusivo dell'inoltro di materiale di propaganda elettorale, da parte delle liste elettorali, per l'elezione dell'Assemblea dei delegati che si terrà nei giorni dal 1o al 14 aprile 2016; comunicare alle liste elettorali che ne facciano richiesta mediante trasmissione di apposita istanza a firma del rappresentante di lista gli elenchi degli iscritti che non abbiano manifestato espresso diniego in tal senso, contenenti per ciascuno di questi il nome e cognome o ragione sociale, codice fiscale, regione e provincia di residenza/domicilio e indirizzo di posta elettronica certificata, e con impegno da parte del rappresentante della lista ad utilizzare tali dati esclusivamente per le finalità e nei limiti sopra indicati e a non comunicarli a terzi»;
   nei giorni scorsi, la Fondazione Enasarco (a seguito della delibera appena sopra richiamata) ha inviato una email a tutti gli iscritti di cui si riporta il testo integrale: «Gentile Iscritto, La informiamo che, con riferimento allo svolgimento delle prossime elezioni dei componenti dell'Assemblea dei Delegati della Fondazione Enasarco (di seguito la “Fondazione”) che avranno luogo dal 1o al 14 aprile 2016, alcune liste elettorali hanno chiesto alla Fondazione di poter comunicare agli elettori i loro messaggi elettorali, acquisendo a tale unico scopo i dati degli stessi elettori relativi a: nome e cognome o ragione sociale, codice fiscale, regione e provincia di residenza/domicilio e indirizzo di posta elettronica certificata. La trasmissione alle liste elettorali certificata dei dati sopra indicati permetterà agli elettori di avere informazioni complete in relazione ai programmi elettorali presentati dalle liste stesse e quindi di esercitare il proprio diritto di voto in piena consapevolezza. Ciò consentirà inoltre il corretto svolgimento della tornata elettorale in quanto tutte le liste elettorali si troveranno in condizione di raggiungere tutti gli elettori. Pertanto, salvo Suo diverso avviso, la Fondazione provvederà a trasmettere alle liste elettorali dati che la riguardano sopra indicati. Qualora non intendesse ricevere materiale elettorale da parte delle liste elettorali Lei è invitata a manifestare il proprio diniego entro il termine di 14 giorni dalla data, della presente PEC. A seguito dell'eventuale manifestazione di diniego sarà inviata una ricevuta di conferma della volontà espressa»;
   a parere degli interroganti la delibera del consiglio d'amministrazione di Enasarco del 3 febbraio 2016 è di dubbia legittimità e palesemente contraria alle disposizioni dettate dal Garante per la protezione dei dati personali (provvedimento n. 107/2014 del 6 marzo 2014) in materia di consultazioni politiche ed elettorali a rilevanza nazionale. Infatti, tale provvedimento evidenzia tra le altre diverse categorie di dati non utilizzabili, gli elenchi di iscritti agli albi ed agli ordini professionali e, infine, gli indirizzi PEC tratti dall'indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti. Si desume quindi, in maniera palese, che il divieto di utilizzare gli indirizzi PEC per l'invio di comunicazioni non sollecitate, in assenza di consenso, sia assoluto e totale, visto che il registro per eccellenza di tali indirizzi (l'indice nazionale) è per sua natura dato non utilizzabile in assenza di consenso. Inoltre, l'istituto del «silenzio-assenso» – che l'Enasarco vorrebbe applicare per sostituire al consenso espresso del titolare della PEC – ricorre nei casi in cui il legislatore attribuisce all'inerzia di una amministrazione il valore di provvedimento di accoglimento di una istanza presentata dal privato e non può giammai essere introdotto, «d'ufficio», dall'Enasarco per attribuire al silenzio di un suo iscritto valore sostitutivo di un «consenso espresso» richiesto dalla legge, anche perché soprattutto nel caso del diritto alla privacy, si deve essere certi che l'interessato abbia capito e liberamente espresso il proprio consenso a quanto prospettato;
   l'esecuzione della sopra citata delibera quindi può esporre la Fondazione Enasarco ad azioni da parte degli iscritti per una evidente violazione delle norme sulla privacy;
   l'ipotesi di una qualsiasi pubblicità elettorale a cura della Fondazione non è contemplata nel regolamento elettorale, per cui sorgono dubbi sull'opportunità che una decisione del genere venga assunta dal consiglio d'amministrazione dell'Enasarco (in cui siedono rappresentanti di 2 delle 4 liste partecipanti alle elezioni) e non, al limite, dalla commissione elettorale, organo terzo che dovrebbe garantire il corretto esercizio del diritto e delle operazioni di voto, anche in considerazione del fatto che la PEC dell'iscritto è parte fondamentale della procedura di voto telematico ideata dalla fondazione –:
   se il Ministro interrogato, cui spetta la vigilanza sulla fondazione Enasarco, sia a conoscenza della delibera del consiglio d'amministrazione di Enasarco del 3 febbraio 2016 e se ritenga tale operazione conforme alle attuali norme di legge, allo statuto dell'ente vigilato e al regolamento elettorale e se non intenda intervenire sollecitamente per evitare quella che pare agli interroganti una palese violazione delle norme di legge in tema di privacy, anche sottoponendo eventualmente la questione al Garante della privacy. (5-08061)


   BARUFFI, GIAMPAOLO GALLI, CAUSI, COLANINNO, DELL'ARINGA, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GNECCHI, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MARCHI, MISIANI, PARRINI, PETRINI, SIMONI, TABACCI e TINAGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2007, n. 247, all'articolo 1, comma 67, secondo periodo, ha istituito, dal 1o gennaio 2008, nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello, con dotazione finanziaria pari a 650 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008-2010;
   ai sensi dei commi 67 e 68 del richiamato articolo 1, è concesso, nel limite delle risorse del predetto fondo, a domanda delle imprese, uno sgravio contributivo, relativo alla quota di retribuzione imponibile di cui all'articolo 12, terzo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153, costituita dalle erogazioni previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, delle quali siano incerti la corresponsione o l'ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di incrementi di produttività, qualità e altri elementi di competitività assunti come indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei suoi risultati;
   a fronte della conferma dello strumento tramite legge di stabilità per il biennio 2011-2012, tale agevolazione fiscale, ai sensi dell'articolo 4 della legge 28 giugno 2012, n. 92, è stata resa strutturale a decorrere dal 2012, assicurando la dotazione annuale di 650 milioni di euro;
   successive misure – l'articolo 1, commi 249 e 254, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, l'articolo 4, comma 1, lettera a), del decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2013, n. 85, l'articolo 15, comma 3, lettera c), del decreto-legge 31 agosto 2013, 102, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124 – hanno però gradualmente ridotto la dotazione annuale del fondo e, in particolare, destinato interamente ad altre finalità lo stanziamento per l'anno di competenza 2013;
   il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, all'articolo 10, comma 2, ha quindi introdotto, a decorrere dall'anno 2014, un nuovo meccanismo di copertura dello strumento, stabilendo che le risorse del richiamato fondo fossero riferite allo sgravio contributivo da riconoscere con riferimento alle quote di retribuzione corrisposte nell'anno precedente;
   lo stanziamento previsto per il 2015, nel limite complessivo annuo di 391 milioni di euro, come individuato dal decreto ministeriale 8 aprile 2015 a seguito dei diversi interventi di riduzione delle risorse del fondo (da ultimo all'articolo 1, comma 313, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità per il 2015) ha dunque finanziato la decontribuzione sui premi erogati nel 2014 e lo stanziamento per il 2016, da individuare nell'anno in corso, dovrebbe finanziare la decontribuzione sui premi erogati nel 2015;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016) ha introdotto, all'articolo 1, comma 182, a regime e a decorrere dal periodo d'imposta 2016, la detassazione del salario di produttività, con imposta del 10 per cento sostitutiva di IRPEF e addizionali sui premi di risultato di ammontare variabile, la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione;
   la parziale copertura degli oneri recati da tale nuovo strumento è garantita, ai sensi dell'articolo 1, comma 191, della citata legge 28 dicembre 2015, n. 208, dalle risorse del fondo per gli sgravi contributivi per 334,7 milioni di euro nel 2016, 325,8 milioni di euro nel 2017, 320,4 milioni di euro nel 2018, 344 milioni di euro nel 2019, 329 milioni di euro nel 2020, 310 milioni di euro nel 2021 e 293 milioni di euro a decorrere dal 2022;
   lo stanziamento relativo al fondo per gli sgravi contributivi è stato, in tal modo, interamente destinato al nuovo strumento della detassazione di cui alla legge di stabilità per il 2016 –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di rispondere alle legittime aspettative delle aziende riguardo all'ammissione allo sgravio contributivo previsto ai sensi dell'articolo 1, commi 67 e 68, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, con particolare riferimento alle somme corrisposte nel 2015. (5-08062)


   COMINARDI, CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la reversibilità della pensione rappresenta l'importo della pensione che un beneficiario del nucleo familiare riceve alla morte del lavoratore assicurato o pensionato. Tale quota della pensione è un diritto dei «superstiti» (detta anche pensione ai superstiti) qualora il soggetto deceduto abbia avuto diritto alla pensione di vecchiaia, di anzianità o di inabilità;
   la pensione di reversibilità è stata introdotta per tutelare i coniugi (soprattutto le donne) che non avevano una pensione propria e che spesso avevano un reddito al di sotto della soglia di povertà dopo la morte del coniuge;
   oggi quando si parla di pensioni di reversibilità si fa riferimento a circa 3,9 milioni di donne, e 500.000 uomini, quasi tutti vedove e vedovi, con una età media di 74-75 anni (dati Inps, Bilancio sociale 2013, arrotondati, come tutti quelli che seguono). Sul totale delle pensioni i suddetti 4,4 milioni rappresentano il 25 per cento delle pensioni erogate, mentre le pensioni di reversibilità erogate alle donne rappresentano il 40 per cento di tutte le pensioni percepite da donne. Numeri che danno chiaramente il segno dell'importanza fondamentale che questa tipologia di supporto previdenziale abbia nel nostro Paese;
   l'importo spettante ai superstiti va dal 60 per cento della pensione di riferimento per il solo coniuge senza figli al 100 per cento per il coniuge con due figli o per tre figli, con il 15 per cento per ogni altro familiare. Questi importi vengono ridotti se gli aventi diritto hanno altri redditi: del 25 per cento se questi sono superiori, al lordo, a tre volte il trattamento minimo del fondo pensioni lavoratori dipendenti, del 40 per cento se quattro volte, del 50 per cento se cinque volte;
   per capire il problema sociale che è insito nell'erogazione della pensione ai superstiti basti pensare che l'ultimo monitoraggio dei flussi di pensionamento pubblicato dall'Inps per il 2014, dice che, appunto, nel 2014 sono state attivate 124.000 pensioni ai superstiti, di cui 101.000 alle donne. L'importo medio (uomini e donne) è di 711 euro mensili, mentre il differenziale tra uomini e donne nel 2012 era intorno al 65 per cento, dal momento che gli uomini riscuotono una pensione di reversibilità su pensioni femminili più basse, e in percentuale assai maggiore godono anche di pensione propria che aumenta le riduzioni. Orbene l'89 per cento di tutte queste nuove pensioni è stato calcolato secondo il metodo retributivo, un 10 per cento con il sistema pro quota misto retributivo/contributivo. È evidente che, a mano a mano che si passerà a una prevalenza del calcolo misto, e poi del contributivo, che così come è parametrato oggi offre una copertura molto più bassa rispetto agli ultimi stipendi o salari (e la offrirà sempre più bassa in una situazione di lavoro precario e intermittente), l'importo monetario della pensione di reversibilità sarà destinato a ridursi drasticamente per milioni di donne. E ancor di più se, in linea con il sistema contributivo, si vorrà ricalcolare il montante contributivo delle nuove pensioni di reversibilità;
   non è possibile sapere quante tra le donne che hanno diritto a questa pensione siano anche titolari di altri redditi, tuttavia tanto la situazione del mercato del lavoro, quanto le recenti riforme in materia pensionistica, inducono a pensare che questo diverrà in molti casi l'unico reddito di milioni di donne anziane. D'altra parte, è noto che il tasso di attività delle donne è in Italia patologicamente basso. Nel 2013 il tasso di occupazione come definito da Eurostat (molto ristretto: 1 ora di lavoro retribuito a qualsiasi titolo nella settimana di riferimento) era del 50 per cento per le donne, contro il 70 per cento degli uomini, il differenziale più alto di tutta l'Unione europea, salvo Malta. A questo bisogna aggiungere che il lavoro delle donne è a tempo parziale per il 38 per cento. Dunque, allo stato di cose presente, solo metà delle donne avrà una pensione propria, e comunque essa sarà particolarmente bassa. L'altra metà, se non sarà stata sposata con un lavoratore occupato o pensionato, avrà solo la pensione sociale; se invece godrà di una pensione di reversibilità si tratterà del 60 per cento di una pensione che raggiungerà a mala pena il 50 per cento dell'ultima retribuzione. Del resto tra i 124.000 nuovi titolari di pensione di reversibilità circa 30.000 hanno pensioni sotto i 500 euro, e altri 72.000 ossia complessivamente il 90 per cento, sotto i 1000;
   a ciò si aggiunge, che dando uno sguardo all'immediato futuro, preoccupa non poco la relazione tra il Jobs Act, risalente alla legge di stabilità 2015, e i conti dell'Inps. Infatti, la riforma del lavoro introdotta dal Governo è stata pubblicizzata come strumento utile per aumentare il numero dei contratti a tempo indeterminato (o, meglio, dei contratti a tutele crescenti che sono cosa ben diversa). Se però i fatti non daranno ragione al Governo, e sussistono già parecchi dubbi sulla correttezza dei calcoli operata dal Governo in tema di crescita dell'occupazione, e quindi non ci saranno incrementi effettivi del numero degli occupati tali da assicurare introiti previdenziali per l'Inps, gli sgravi fiscali introdotti per favorire l'occupazione non verranno compensati con la conseguenza che occorrerebbero ulteriori trasferimenti da parte dello Stato tramite la fiscalità generale. In entrambe le situazioni il «buco» nei conti dell'Inps crescerebbe con conseguenti tagli al sistema previdenziale, primo tra tutti proprio quello delle pensioni di reversibilità di cui, per le ragioni già sopra esposte, è assolutamente necessario mantenere intatte le erogazioni;
   analoghe considerazioni valgono, inoltre, per altre importanti prestazioni da ritenersi fondamentali nel sistema di welfare: l'assegno sociale, l'integrazione al minimo, la maggiorazione sociale del minimo, l'assegno per il nucleo con tre o più figli minori di cui si paventa, in sede di riordino delle prestazioni e del sistema degli interventi e dei servizi sociali una, allo stato, poco chiara razionalizzazione –:
   se sia intenzione del Governo, e in caso di risposta affermativa, attraverso quali forme di intervento, affermare il carattere individuale del diritto alla pensione per i superstiti, assumendo ogni utile iniziativa finalizzata a garantire la sostenibilità dell'istituto, nell'alveo del diritto previdenziale, nonché il mantenimento di un'adeguata copertura di altre tipologie di prestazioni quali l'assegno sociale, l'integrazione al minimo, la maggiorazione sociale del minimo, l'assegno per il nucleo con tre o più figli minori. (5-08063)

Interrogazione a risposta scritta:


   MUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il fondo di previdenza del clero e dei ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, istituito con la legge 22 dicembre 1973, n. 903 (di seguito «Fondo»), presenta una gestione economico patrimoniale costantemente in passivo (secondo quanto riportato dalla stessa INPS), tanto da riportare risultati d'esercizio annuali negativi nel periodo 2002- 2015 compresi tra 56 e 115 milioni di euro, nonché giungere nel 2015 ad un disavanzo patrimoniale pari a 2.211 milioni di euro;
   è obbligatoria l'iscrizione al suddetto fondo per tutti i sacerdoti secolari nonché tutti i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, dal momento della ordinazione sacerdotale, con cittadinanza italiana anche se residenti all'estero;
   risulta che tale fondo abbia erogato, nel 2014, 13.788 pensioni;
   circa il 72 per cento dei soggetti iscritti al fondo è titolare di altre pensioni erogate da diverse gestioni, essendo il fondo compatibile con l'assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti, nonché con altre forme previdenziali sostitutive, esclusive ed esonerative, il che permette agli iscritti di essere titolari di più prestazioni pensionistiche;
   in relazione a tale peculiarità nel 2014, secondo l'INPS, 9.960 pensionati del fondo erano titolari di un'altra pensione, con importo medio pari a 1.000 euro mensili;
   circa 1.000 pensionati, sempre secondo l'INPS, ricevevano nel 2014 una seconda pensione di importo superiore ai 2.000 euro lordi;
   tale fondo non è stato interessato dalla riforma previdenziale di cui all'articolo 24 del decreto-legge 201 del 2011 (cosiddetta legge Fornero), ma presenta un sistema di calcolo peculiare, né retributivo né contributivo, che si concretizza in prestazioni definite in somma fissa;
   i contributi versati al fondo dai soggetti interessati sono versati in misura fissa, e pari, nel 2014, a 1.718,64 annui (secondo quanto riportato nel decreto ministeriale 30 ottobre 2015) e non sono commisurati ad un'aliquota percentuale della retribuzione o del reddito;
   tale fondo prevede una misura minima per l'insieme delle pensioni erogate, corrispondente al trattamento minimo dell'assicurazione generale obbligatoria, e pari, per il 2016, a 501,89 euro, con possibilità di essere incrementata con specifiche maggiorazioni;
   la pensione di vecchiaia erogata dal fondo poteva essere richiesta al compimento dei 65 anni con almeno 10 anni di contributi versati; successivamente, ai sensi dell'articolo 42 della legge 23 dicembre 1999, è stato stabilito l'incremento progressivo dell'età anagrafica fino a 68 anni a decorrere dal 2013 e dell'anzianità contributiva a 20 anni di versamenti (riconoscendo contestualmente il pensionamento a 65 anni in presenza di 40 anni di contributi versati);
   la legge 122 del 2010 ha esteso al suddetto fondo il meccanismo di adeguamento dell'età pensionabile all'incremento della speranza di vita rilevato periodicamente dall'ISTAT –:
   quale sia l'entità economica, il numero e la natura delle pensioni erogate derivanti da gestioni diverse da quella del fondo, che si vadano a cumulare (con decurtazione massima di un terzo dell'assegno) al trattamento pensionistico erogato ai sensi della legge 903 del 1973;
   quali siano i versamenti contributivi medi dei soggetti iscritti a fondo;
   quali siano i versamenti contributivi medi dei soggetti iscritti all'Inps;
   quale sia il numero e il valore delle pensioni erogate ai superstiti;
   quali siano tutti i dati disaggregati disponibili delle pensioni erogate, anche a ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica;
   quale sia l'importo medio degli assegni pensionistici in relazione alle varie tipologie di incarichi ecclesiastici.
(4-12420)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MATARRELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'enfiteusi è un diritto reale su un fondo altrui che attribuisce al titolare (enfiteuta) di avere pieni poteri sul fondi in analogia con quelli goduti dal proprietario (concedente);
   l'enfiteusi consiste nel diritto di trarre ogni godimento da un fondo (comprese le sue accessioni) con l'obbligo di effettuarvi miglioramenti e di pagare quale corrispettivo un canone periodico in denaro o in prodotti naturali (articoli 959, 960 del codice civile);
   sull'enfiteuta gravano principalmente due oneri: quello di versare un canone periodico (che può consistere sia in una somma di danaro sia in una quantità fissa di prodotti naturali) al concedente e quello di migliorare il fondo;
   la legge 14 giugno 1974, n. 270, ne ha parzialmente modificato lo statuto: si segnala in questa sede la fissazione dei limiti massimi della misura del canone previsti all'articolo 1 che recita «All'articolo 2 della legge 18 dicembre 1970, n. 1138, è aggiunto il seguente comma: In ogni caso il canone dei rapporti di enfiteusi costituiti successivamente al 28 ottobre 1941 non può risultare inferiore alla quindicesima parte dell'indennità di espropriazione determinata ai sensi delle leggi di riforma agraria 12 maggio 1950, n. 230 e 21 ottobre 1950, n. 841, e successive modificazioni e integrazioni»;
   sino a qualche anno fa si riteneva l'istituto dell'enfiteusi di fatto estinto e superato dalla storia e dalle pratiche economiche sociali;
   in vari territori d'Italia si invece si è improvvisamente risvegliato l'interesse dei concedenti tornando a chiedere il pagamento del canone enfiteutico;
   nella provincia di Brindisi, specie nei territori compresi tra il comune di Francavilla Fontana, Oria, Latiano San Vito dei Normanni e San Michele Salentino, molti enfiteuti sono stati raggiunti da richieste di pagamento abnormi, calcolati sulla base di indici del canone per ettaro fuori da ogni reale capacità produttiva dei terreni;
   queste abnormi richieste di denaro possono rappresentare il definitivo colpo di grazia per tante piccole attività agricole già duramente colpite dalla crisi economica generale in atto, particolarmente virulenta nel settore primario, danneggiato altresì da forme di concorrenza sleale proveniente dai Paesi del Mediterraneo i quali esportano illegalmente prodotti a prezzi bassissimi, costringendo il settore agricolo, soprattutto nel Mezzogiorno, a subire gravissime perdite economiche e finanziarie –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero, se il Governo ne sia a conoscenza e quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per evitare richieste di canone eccessivamente alte e incompatibili rispetto al valore produttivo reale dei terreni;
   se il Governo intenda assumere iniziative, eventualmente anche di natura normativa, per dare certezze giuridiche ai soggetti interessati e così disporre di parametri certi di riferimento per calcolare del canone enfiteutico, come ad esempio un riferimento al reddito dominicale del terreno su cui si esegue il calcolo.
(4-12415)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel gennaio 2015 la Food and Drugs Administration statunitense ha approvato in maniera accelerata il farmaco Nivolumab per il trattamento endovenoso del melanoma metastatico o non operabile e in progressione dopo terapia con Ipilimumab;
   nel maggio 2015 l'Agenzia europea dei medicinali (EMA) ha raccomandato il rilascio di un'autorizzazione all'immissione in commercio di Opdivo (nivolumab) in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti con melanoma avanzato (non resecabile o metastatico);
   il 28 gennaio 2016 l'AIFA ha approvato l'uso del nivolumab per il trattamento del melanoma;
   questo farmaco è indicato per il trattamento dei pazienti con melanoma non operabile o metastatico e in progressione dopo terapia con Ipilimumab (altro farmaco per il trattamento del melanoma avanzato) e, in caso di mutazione di BRAF V600 (BRAF V600 è un particolare gene che in questi casi può presentare un'alterazione, ovvero una mutazione), con un inibitore di BRAF;
   all'interno della percentuale pari al 32 per cento di tasso di risposta (ovvero 38 pazienti su 120) circa il 3 per cento dei pazienti (4 su 120 totali) ha ottenuto una risposta completa e il 28 per cento (34 su 120) una risposta parziale, dei 38 pazienti che hanno avuto una risposta (sia totale che parziale), 33 (dunque l'87 per cento) hanno mostrato una durata di tale risposta, in corso al momento dell'analisi, compresa fra 2,6 e 10 mesi, mentre 13 persone presentavano risposte in corso da almeno 6 mesi;
   la sicurezza del farmaco è stata dimostrata nello studio di fase III CheckMate-o37;
   il melanoma metastatico è la forma più letale di tumore della pelle, caratterizzato da una crescita incontrollata delle cellule che producono il pigmento (melanociti), localizzate nella cute, e nonostante i recenti passi in avanti, vi sono limitate opzioni terapeutiche disponibili per i pazienti già trattati con i farmaci approvati;
   attualmente in Italia costituisce il terzo tumore più frequente in entrambi i sessi al di sotto dei 49 anni ed oltre il 50 per cento dei casi di melanoma viene diagnosticato entro i 59 anni;
   si stimano nel nostro Paese quasi 10.500 i nuovi casi attesi (con una lieve preponderanza nei maschi);
   sebbene negli ultimi vent'anni l'incidenza di questa malattia sia cresciuta significativamente, si riscontra invece una diminuzione del tasso di mortalità grazie ad una migliore educazione sanitaria, alle campagne di prevenzione ed alla diagnosi precoce delle lesioni atipiche;
   per tali ragioni appare importante la presenza nelle diverse realtà territoriali di strutture sanitarie idonee a sensibilizzare la popolazione e ad offrire le strutture idonee per efficaci visite di screening –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative per favorire l'uso futuro del nivolumab garantendone l'accesso ai pazienti affetti da melanoma;
   se non ritenga opportuno potenziare i progetti di prevenzione su scala nazionale, data l'importanza di identificare precocemente la malattia per intervenire tempestivamente con successo. (5-08053)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAMBILLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   davanti al GIP del tribunale di Brescia nel procedimento n. 6471/15 RG.NR il 12 febbraio 2016 la difesa di imputati per vari reati ha patteggiato pene da un anno e otto mesi a anno e dieci mesi per tre dipendenti del mattatoio Italcarni di Ghedi (Brescia), il macello sequestrato dalla procura della Repubblica di Brescia per maltrattamenti sugli animali e per la vendita di carne infetta. Due veterinari dell'asl di Brescia andranno invece a processo con rito abbreviato il 22 aprile 2016;
   in tale udienza l'avvocato della difesa di uno dei due veterinari asl imputati ha prodotto in favore del suo assistito, per il reato di cui all'articolo 440 c.p, cioè adulterazione sostanze adibite al commercio, una consulenza tecnica datata 11 febbraio 2015 a firma del dottor Giorgio Varisco, qualificatosi in tale atto come, fra l'altro, direttore sanitario dell'istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna, operante dalla sede centrale di Brescia, e direttore del centro di referenza nazionale del Ministero della salute, per i rischi emergenti in sicurezza alimentare, «relazione scritta con la collaborazione del dottor Paolo Daminelli, responsabile del laboratorio di microbiologia dell'istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna;
   «in staff alla direzione sanitaria dell'istituto zooprofilattico sperimentale» citato, si legge sul sito dell'istituto stesso www.izsler.it sono istituite sette strutture, fra le quali la sorveglianza epidemiologica Lombardia e l'analisi del rischio;
   l'istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna è quello deputato alla normale attività di vigilanza e analisi delle attività sul proprio territorio, fra le quali quella del citato mattatoio Italcarni di Ghedi (Brescia);
   in tale procedimento giudiziario il pubblico ministero ha prodotto analisi terze per territorio di competenza, effettuate dall'istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte e della Valle d'Aosta e dall'istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno;
   il decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270, come modificato e integrato dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 206, prevede fra l'altro che «gli istituti zooprofilattici sperimentali svolgono attività di ricerca scientifica sperimentale veterinaria e di accertamento dello stato sanitario degli animali e di salubrità dei prodotti di origine animale» e che «gli istituti zooprofilattici sperimentali operano nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, garantendo ai Servizi veterinari delle regioni e delle province autonome e delle unità sanitarie locali le prestazioni e la collaborazione tecnico-scientifica necessarie all'espletamento delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica veterinaria»;
   con la consulenza tecnica citata, il direttore sanitario dell'istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e Emilia Romagna «con la collaborazione del dott. Paolo Daminelli, responsabile del Laboratorio di Microbiologia dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna» ha svolto un'attività, non dovuta in base al suo ruolo pubblico, qualificabile, secondo l'interrogante con attività di consulenza privata, firmata menzionando il relativo ruolo pubblico ruolo peraltro che si sarebbe dovuto svolgere proprio sull'attività commerciale e sui veterinari dell'azienda sanitaria locale ora sotto inchiesta –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro, per quanto di competenza, circa l'operato descritto del direttore del Centro di referenza nazionale del Ministero della salute per i rischi emergenti in sicurezza alimentare, operato a giudizio dell'interrogante quanto meno improvvido;
   se risulti se il dirigente sanitario citato abbia optato per l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria, e quindi con un rapporto di lavoro esclusivo per l'istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna, ai sensi del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229;
   se risulti al Governo se, in caso contrario, sia stata utilizzata, nell'esercizio della libera professione extramuraria, la possibilità di partecipazione ai proventi di attività richiesta a pagamento da singoli utenti, svolgendola individualmente o in équipe, ma al di fuori dell'impegno di servizio, e in strutture di altra azienda del servizio sanitario nazionale o di altra struttura sanitaria non accreditata, previa convenzione dell'azienda con le predette aziende e strutture, come recita la normativa vigente;
   se sia stata rispettata «l'autonomia tecnica e professionale» del dirigente sanitario ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29;
   se sia quindi conforme alla normativa vigente tale prestazione d'opera privata per due dipendenti pubblici che ricoprono ruoli nei quali avrebbero dovuto vigilare e controllare su quanto avveniva nel macello Italcarni di Ghedi (Brescia) in riferimento ad attività di carattere privato e a quelle pubbliche esercitate da colleghi del servizio sanitario nazionale;
   se, in ogni caso, non ritenga opportuno assumere iniziative normative per definire delle regole che salvaguardino l'attività dei veterinari pubblici che, a parte gli obblighi di legge previsti in questi casi (nomina ad ausiliari di polizia giudiziaria, richieste dei tribunali), a tutela dell'indipendenza della propria professionalità e dello Stato, non dovrebbero, secondo l'interrogante, prestare consulenza privata per utenti nel territorio in cui esercitano le attività di competenza per la quale sono retribuiti dal servizio sanitario nazionale. (4-12419)


   PLACIDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la stampa ha dato notizia del rigetto da parte del giudice per le indagini preliminari (Gip) del tribunale di Lecce della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero e dell'accoglimento dell'opposizione del legale del dottor Minelli, nella causa che lo oppone al presidente dell'Ordine dei medici della provincia di Lecce, dottor Luigi Pepe;
   le motivazioni dell'ordine del gip evidenziano la necessità di approfondire «le ragioni e gli esatti contorni oggettivi dell'agire del Dr. Pepe» e di valutare adeguatamente le decisioni disciplinari assunte nei confronti del dottor Minelli («invero abbastanza enigmatiche»);
   la risposta a firma del Ministro Lorenzin del 15 settembre 2015 all'interrogazione a risposta scritta n. 4-06381 del 13 ottobre 2014 a firma dell'interrogante elude il quesito circa la correttezza degli atti e delle procedure poste in essere dall'Ordine dei medici di Lecce nell'esercizio dei suoi poteri disciplinari, essendo tale questione sottoposta al giudizio della magistratura –:
   entro quali limiti normativi possano legittimamente esplicarsi i poteri attribuiti agli ordini provinciali dei medici e se possano essere ritenute compatibili con il loro corretto esercizio, le esternazioni a mezzo stampa («millantatore, usurpatore di titoli, truffatore») che ripetutamente il presidente dell'Ordine dei medici di Lecce avrebbe rivolto all'indirizzo del dottor Minelli in pendenza del giudizio del magistrato. (4-12421)


   VALIANTE. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   presso il consiglio regionale della Campania, con alcune interrogazioni, veniva sollevata la questione della delibera del direttore generale dell'Asl di Salerno n. 365 del 2014, che, accogliendo l'istanza presentata dal dirigente interessato, avrebbe provveduto a trattenere in servizio il dottor Pantaleo Palladino fino al 25 gennaio 2019 e, cioè, fino al compimento dei settanta anni di età;
   il provvedimento appariva in contrasto con l'articolo 22 della legge n. 183 del 2010 che prevede come limite massimo per il collocamento a riposo il compimento del sessantacinquesimo anno di età ovvero, su istanza dell'interessato, la maturazione del quarantesimo anno di servizio effettivo senza superare i settanta anni di età. Avendo il dirigente compiuto i sessantacinque anni il 25 gennaio 2014 e maturato i quaranta anni di servizio effettivo il 6 ottobre 2014, alla luce anche della nota operativa dell'Inpdap n. 56 del 22 dicembre 2010 (punto 5, cpv. 3), si evidenziava come per servizio effettivo si sarebbero dovute intendere tutte le attività lavorative rese presso l'ente di appartenenza o comunque rese presso la pubblica amministrazione;
   nella risposta del 1o agosto 2014 del presidente della giunta regionale della Campania (nota prot. 16080 del 16 settembre 2014), a sostegno della validità della delibera n. 365 del 4 aprile 14, veniva richiamata, in contrapposizione alla circolare Inpdap n. 56 del 2010, una nota del dipartimento della funzione pubblica DEP 0054991 P-1.2.2.2. del 9 dicembre 2010, indirizzata all'ospedale S. Camillo Forlanini di Roma. Da un'attenta analisi risultava che la citata nota della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento funzione pubblica, in materia di «Collocamento a riposo per limiti di età della dirigenza medica e di quella del ruolo sanitario del Servizio Sanitario Nazionale», ricevuta dal San Camillo Forlanini in data 14 dicembre 2010 (prot. n. 18845), confermava in maniera ancora più puntuale quanto disposto dalla citata circolare Inpdap n. 56 del 2010 ossia che «l'espletamento del servizio a qualunque titolo sia pure presso altro ente, datore o azienda, costituiscono servizio effettivo, come tale computabile nell'ambito dell'anzianità massima di servizio dei 40 anni» e ancora che «... per servizio effettivo deve intendersi qualunque tipo di lavoro espletato dal pubblico dipendente presso qualunque datore di lavoro sia pubblico che privato»;
   con la delibera n. 365 del 2014 il dirigente percepirà di fatto un aumento economico grazie al doppio regime retributivo e contributivo introdotto dall'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. Antecedentemente alla legge n. 214 del 2011 al dipendente non spettavano, ai fini pensionistici, miglioramenti economici trascorsi i 40 anni di servizio, differentemente da quanto accade oggi in forza del regime contributivo introdotto dalla decreto-legge n. 92 del 2012 «Fornero», che consentirà il computato del trattamento pensionistico, grazie al regime contributivo, oltre i 40 anni di servizio effettivo;
   recentemente, il 18 settembre 2014, il sub-commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro della regione Campania con circolare n. 3957/C ha comunicato ai direttori generali delle aziende sanitarie, che i dirigenti medici maturano i requisiti per il collocamento a riposo al «raggiungimento del quarantesimo anno di età» in accordo a quanto disposto dall'articolo 22 della legge n. 183 del 2010. A conferma di ciò l'azienda ospedaliera di Salerno ha recepito la direttiva regionale 3957/C del 2014 con deliberazione n. 921 del 30 settembre 2014 –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere al fine di chiarire l'applicazione al caso in questione del decreto-legge n. 201 del 2011, dell'articolo 22 della legge n. 183 del 2010, della circolare Inpdap n. 56 del 2010, della comunicazione del Dipartimento della funzione pubblica DEP 0054991 P-1.2.2.2. del 9 dicembre 2014, nonché della circolare del sub-commissario ad acta della regione Campania 3957/C del 18 settembre 2014 per una rapida soluzione della problematica. (4-12429)


   SBROLLINI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'osservatorio dei minori denuncia un'emergenza rispetto ai casi di maltrattamento negli asili e nelle scuole materne. Quasi quotidianamente sui giornali e sui media di tutta Italia si assiste a denunce di gravi episodi che minacciano la serenità di migliaia di cittadini e delle loro famiglie affidati a realtà sociali, sanitarie ed educative;
   all'ordine del giorno sui media locali si leggono episodi di violenza con parolacce, insulti, bestemmie e umiliazioni, racconti ed immagini di bambini ed anziani strattonati e picchiati, presi per i capelli e per le orecchie;
   il presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori chiede a gran voce da molti anni che venga istituita per legge una visita periodica di «tenuta emotiva» di chi si occupa dell'educazione dei bambini;
   recentemente, l'8 febbraio 2016, i carabinieri del nas di Roma hanno arrestato 10 persone per maltrattamenti nei confronti dei pazienti disabili del centro di riabilitazione neuropsichiatrico di Grottaferrata;
   pochi giorni fa a Parma in una struttura residenziale privata per anziani altre 3 persone sono state arrestate con le accuse di furto aggravato e maltrattamenti nei confronti degli anziani che avevano in custodia e cura;
   sempre recentemente, a Cagliari, 14 operatori impiegati presso l'Aias di Decimomannu (Cagliari), sono stati sospesi per sei mesi dal pubblico servizio con l'accusa di maltrattamenti, percosse, lesioni personali e omissione di referto nei confronti di soggetti portatori di gravi disabilità psicofisiche e perciò incapaci non solo di reagire, ma anche di denunciare;
   sul sito web www.change.org diverse petizioni con migliaia di adesioni richiedono che nelle strutture pubbliche adibite alla cura, al sostegno e all'educazione di minori ed anziani vengano installate delle telecamere per monitorare la qualità dei livelli di assistenza;
   reati di percosse, omissione di referto, maltrattamenti e lesioni personali sembrano essere situazioni non rare in tutta la penisola, e si può ragionevolmente immaginare che molti altri episodi analoghi a quelli emersi non vengano individuati –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se e quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda assumere per evitare che, all'interno di strutture pubbliche o private, destinate a servizi sociali o all'educazione, abbiano luogo altri episodi di violenza;
   se si stia valutando la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative volte all'introduzione all'interno delle strutture con finalità sociali ed educative, come per le strutture residenziali, di telecamere a circuito chiuso che riprendano gli ambienti di lavoro al fine di tutelare gli utenti, specialmente quelli più deboli.
(4-12433)


   QUARANTA. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso autunno il consigliere comunale genovese Leonardo Chessa promuove una raccolta di firme fra medici (suoi colleghi) per richiedere la radiazione dall'ordine dei medici dei dottori Toccafondi Giacomo (il famigerato «dottor Mimetica) e Zaccardi Marilena, che si resero protagonisti di atti odiosi presso la caserma di Bolzaneto durante i fatti dei G8 a Genova, in quanto con il loro comportamento avrebbero screditato l'intera categoria dei medici italiani. La petizione raggiunge 117 firme e in data 22 ottobre 2015 viene inoltrata al presidente F.N.O.M.C.e O. (Federazione nazionale ordine medici chirurghi e odontoiatri), dottoressa Roberta Chersevani – Roma, ai consiglieri della F.N.O.M.C.e O. – Roma, al Ministro e all'Ordine dei medici di Genova;
   il consigliere Chessa non riceve risposta da parte dei destinatari, pertanto in data 12 novembre 2015 invia un sollecito alla presidente della Federazione dottoressa Chersevani. Nemmeno il secondo sollecito riceve risposta;
   lo stesso Chessa già nel marzo 2014, insieme ai consiglieri comunali Brasesco, Nicolella, Repetto (anche loro dottori) aveva inviato una lettera al presidente dell'ordine dei medici di Genova chiedendo la radiazione del Toccafondi a seguito della conclusione dell’iter giudiziario che condannava il medico, allora responsabile dell'infermeria della caserma di Bolzaneto, accusato di omissioni di referto, violenza privata, lesioni e abuso di ufficio, a un anno e due mesi e a risarcire le vittime. A seguito della condanna il medico veniva licenziato dalla Asl 3 di Genova;
   nella petizione sopra menzionata, i medici firmatari manifestano le proprie perplessità per la decisione assunta dall'Ordine dei medici di Genova nei confronti dei due colleghi oggetto dell'interrogazione, di infliggere solo una breve sospensione al dottor Toccafondi, senza prendere alcun provvedimento nei confronti della dottoressa Zaccardi e senza tener conto della sentenza della Corte di cassazione n. 1865 in cui il giudice rigetta anche il ricorso della Zaccardi che era stata condannata in secondo grado per reati analoghi a quelli di Toccafondi, dichiarandone tuttavia l'avvenuta estinzione solo in conseguenza della prescrizione. Per quanto riguarda la Zaccardi, il risarcimento alle parti civili dei danni, in solido con il Ministero della giustizia, resta al momento l'unica pena comminata. Costei continua quindi ad esercitare il suo ruolo di, dirigente medico ora presso la casa circondariale di Genova Marassi, paradossalmente operando con pazienti privati della libertà e inseriti in un sistema chiuso, situazione che richiama proprio quella delle persone allora ristrette nella caserma di Bolzaneto, dove sono avvenuti i fatti per i quali è stata condannata;
   i 117 medici firmatari della petizione ritengono che nell'Ordine non ci sia posto per chi ha dileggiato, deriso, offeso, percosso e umiliato i suoi pazienti. Un tale convincimento è ancor più rafforzato dalla constatazione della Corte di cassazione che si trattava di «persone trascinate, umiliate percosse, spesso già ferite, atterrite, infreddolite, affamate, assetate, sfinite dalla mancanza di sonno, preda dell'altrui capriccio aggressivo e violento, sostanzialmente già seviziate». Toccafondi e Zaccardi non erano soli a Bolzaneto, ma per il loro ruolo erano tenuti in modo mandatorio a farsi carico di quelle persone. «Nel rifiutarsi di curare quelle ragazze e ragazzi e di refertare, di rendere testimonianza delle ferite che erano state loro inflitte essi hanno disatteso il compito primario e sostanziale di un Medico – scrivono i medici nella petizione – Chiediamo al nostro Ordine di riconoscere che un tale comportamento ferisce la dignità del medico e del suo lavoro»;
   la sentenza 678 del 2010 del 5 marzo 2010 della Corte d'appello di Genova così descriveva quanto subito dai 150 fermati per mano di poliziotti, guardie penitenziarie e personale medico: «trattamenti inumani e degradanti o azioni di tortura che esprimono il massimo disonore di cui può macchiarsi la condotta del pubblico ufficiale»;
   il suddetto Toccafondi, come ricorda l'avvocato Alessandra Ballerini su la Repubblica Genova/Il lavoro dell'8 marzo 2015, è già stato condannato a un anno per omicidio colposo per la morte, nel 2002, di una detenuta rinchiusa nel carcere di Pontedecimo e la dottoressa Zaccardi è tornata agli onori delle cronache cittadine lo scorso aprile per un presunto pestaggio avvenuto da parte di una guardia a un detenuto recluso nel carcere di Marassi dove la Zaccardi è chiamata a rispondere per «omessa denuncia» e la vede iscritta al registro degli indagati per «omissioni e favoreggiamento» insieme ad altri cinque medici della Asl Tre;
   tali comportamenti, confermati anche dalla giustizia italiana, sviliscono e discreditano tutta la categoria –:
   se il Governo sia al corrente di quanto accaduto;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative, anche normative, per allontanare persone condannate per i reati sopramenzionati da luoghi sensibili come caserme e infermerie di case di detenzione;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in relazione al funzionamento dell'Ordine dei medici la cui attività dovrebbe essere volta a garantire quei valori di etica professionale a cui si ispira. (4-12442)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   come si apprende anche da diversi organi di stampa i dati che emergono dalle analisi condotte tra il novembre del 2014 ed il febbraio del 2015 – raccolti attraverso i «deposimetri» installati fuori dallo stabilimento siderurgico dell'Ilva di Taranto ed inseriti in una relazione messa a punto dal Politecnico di Torino – evidenziano che la concentrazione di diossine ha raggiunto livelli straordinariamente elevati. I picchi più alti riguardano particolarmente il quartiere Tamburi della città capoluogo e sono assimilabili – secondo quanto espresso dal Direttore dell'Arpa Puglia, Assennato – a quelli rilevati nella discarica di Giugliano, la peggiore della «Terra dei fuochi». La stessa «ARPA Puglia» ed il suo direttore generale individuano ed indicano la compatibilità dell'impronta di questo tipo di diossina con «materiali polverulenti contaminati in misura estremamente alta, quali le polveri di abbattimento dell'impianto di sinterizzazione dello stabilimento siderurgico»;
   a quanto si apprende, nello specifico, negli ultimi due anni al rischio della dispersione nell'aria della diossina si è aggiunto quello legato alla possibile ingestione della stessa (direttamente o indirettamente tramite catena alimentare). Le polveri in questione sono compatibili con quelle provenienti dai filtri dell'impianto di abbattimento delle diossine presente nel siderurgico tarantino, che devono essere smaltite in discariche per rifiuti pericolosi fuori dal territorio regionale della Puglia;
   i picchi di diossina – decine di volte superiori ai valori soglia – si erano riscontrati nel novembre del 2014 e nel febbraio del 2015, ma in base a quanto scritto dall'ingegner Maurizio Onofrio del Politecnico di Torino, incaricato per conto dell'Ilva della relazione in questione, i valori non sarebbero imputabili agli scarichi del siderurgico, «poiché le impronte digitali delle diossine non corrispondono a quelle dell'Ilva»;
   l'Arpa Puglia, nella persona del direttore Giorgio Assennato, con una nota inviata alla presidenza della regione in data 2 marzo 2016 mette in discussione la ricostruzione – e le risultanze – fatte dal Politecnico. Si sottolinea in particolare come «all'eccezionale aumento di diossine rilevato nel “deposimetro” del quartiere Tamburi non ha corrisposto un aumento della quantità complessiva di polveri raccolta dal deposimetro (...)» e che «la concentrazione delle diossine in tali polveri ha raggiunto limiti così elevati da essere confrontabile solo con materiali polverulenti contaminati in misura estremamente alta, quali le polveri di abbattimento delle emissioni dell'impianto di sinterizzazione dello stabilimento siderurgico» ed inoltre ha rilevato che il «confronto tra i profili dei congeneri delle diossine delle polveri raccolte dai deposimetri nei due mesi incriminati e quelli delle polveri di abbattimento dell'impianto di sinterizzazione dello stabilimento, porta a credere che le polveri abbiano la stessa matrice»;
   come denunciato sia dall'Arpa Puglia che da associazioni come Legambiente Taranto, nella pubblicazione dei dati riguardanti l'incredibile aumento di diossina è mancato l'elemento della trasparenza – da parte della gestione commissariale dell'Ilva – e della tempestività. Anche a detta dell'interpellante infatti, la gravità della questione avrebbe richiesto immediata comunicazione alle autorità locali, alle Asl e agli enti preposti al monitoraggio e controllo dell'inquinamento, a partire dalla stessa Arpa Puglia;
   la mancanza degli elementi di cui sopra (trasparenza e tempestività) rende quindi di difficile comprensione il «cosa» abbia provocato tali anomalie nelle emissioni oltre che la precisa individuazione delle eventuali responsabilità. Il tutto con l'aggravante della gestione commissariale del siderurgico, che nei fatti identifica una gestione riconducibile all'ambito statale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto espresso in premessa ed, in caso contrario, quali siano i motivi per cui non sia stato informato dai commissari dell'Ilva;
   se il Governo non intenda appurare le motivazioni – oltre che le responsabilità – che hanno portato i commissari a non comunicare tempestivamente i valori riscontrati alle autorità locali, alle Asl ed agli enti preposti al monitoraggio dell'inquinamento;
   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, per appurare le ragioni e le responsabilità di quanto accaduto, iniziando dall'aumento delle emissioni;
   quali iniziative di competenza intenda disporre per la salvaguardia della salute dei cittadini della provincia jonica.
(2-01309) «Duranti, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini, Martelli».

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, MARTELLI e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 4 marzo 2016 i lavoratori della Belleli di Mantova sono in sciopero a tempo indeterminato per protestare contro quello che è un vero e proprio «diktat» arrivato dai consulenti della Alix Parteners insediati alla guida della Belleli dalla multinazionale statunitense Exterran;
   alla rappresentanza sindacale unitaria dell'azienda Belleli di Mantova la Alix Parteners ha comunicato: a) il recesso unilaterale dal contratto aziendale; b) il taglio di diritti ottenuti dai lavoratori in decenni di contrattazioni; c) il taglio di 1.400 euro relativi al premio feriale; d) il taglio del 40 per cento di maggiorazione per il lavoro notturno; e) il taglio dei cosiddetti accordi di miglior favore; f) il taglio del bonus di 48 euro mensili. Come se non bastasse ciò si è provveduto ad esuberi e contestualmente a esternalizzazioni sempre più estese sia di servizi che di parte della produzione;
   in pratica, per i lavoratori significa avere oltre 2.200 euro in meno all'anno, senza prospettive di recupero e con l'incubo della eventuale perdita del posto;
   a detta dei dirigenti dell'azienda le azioni messe in atto si basano sul proposito dichiarato di migliorare drasticamente, nel breve volgere di alcuni mesi, la redditività dell'azienda;
   i consulenti della Alix Parteners hanno comunicato alla rappresentanza sindacale unitaria aziendale che intendono portare il costo-orario aziendale per le singole commesse da 74 a 52 euro all'ora, una riduzione rilevante se avviene in mancanza di contestuali investimenti in tecnologia e soprattutto di una contrattazione con i lavoratori;
   Alix Parteners ha comunicato, altresì, alla rappresentanza sindacale unitaria che d'ora in avanti la società non accetterà più commesse con margine di guadagno al di sotto del 10 per cento e che, di conseguenza, non prenderà più ordini per scambiatori;
   gli scambiatori negli scorsi anni hanno tenuto in vita l'azienda fondata da Rodolfo Belleli;
   Mantova e i lavoratori della Belleli ricordano benissimo i lunghi mesi al lavoro senza stipendio fra il 1995 ed il 1996, quando una forte crisi investì la Belleli, un dramma industriale, finanziario e occupazionale, che la città e i lavoratori non vogliono rivivere tenuto conto che oggi la Belleli è un'azienda che ha ripreso a lavorare a pieno regime;
   quanto comunicato dalla Alix Parteners rischia seriamente di svuotare una delle ultime eccellenze industriali italiane lasciando nell'incertezza più di trecento famiglie, in quanto se a settembre 2016 partiranno i tagli, la selezione delle commesse a favore di quelle più redditizie, la revoca del contratto, gli ammortizzatori sociali e la cancellazione dei diritti acquisiti, allora sarà troppo tardi per intervenire;
   il 1o marzo 2016 Exterran ha inviato una lettera alla rappresentanza sindacale unitaria, Fiom, Fim e Uilm, che recita: «La situazione deve essere affrontata con urgenza perché oggi la società non è in grado di presentare offerte per l'acquisizione di commesse competitive ma al tempo stesso economicamente sostenibili. Per tentare di preservare il futuro stesso dell'azienda è necessario porre in essere con urgenza un serio e concreto piano di riorganizzazione produttiva secondo le linee guida presentatevi nell'incontro del 29 febbraio. La nostra società ha deciso di recedere da tutti i contratti integrativi e/o collettivi aziendali in essere, nel rispetto del preavviso di sei mesi» –:
   se non ritenga necessario e improrogabile promuovere un tavolo di confronto finalizzato ad una trattativa che veda la presenza della multinazionale Exterran e dei rappresentanti dei lavoratori e che, a fronte del miglioramento progressivo della redditività, produca certezza di investimenti in tempi adeguati attraverso l'adozione di piani industriali credibili e verificabili. (5-08064)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a dicembre 2015 la Telecom Italia, in qualità di committente, ha comunicato alla società di call center «Datacontact» con sede a Matera l'interruzione del contratto di appalto delle attività di contact center mettendo a repentaglio l'occupazione di 400 lavoratori;
   la scadenza del contratto era prevista inizialmente per il 31 dicembre 2015 e dopo un incontro interlocutorio presso la regione Basilicata nel mese di dicembre si è avuta solo una proroga fino al 31 marzo 2016;
   rischiano il licenziamento circa 400 posti di lavoro tra donne e uomini, con età non superiore ai 35 anni, che avevano conquistato con fatica un contratto a tempo indeterminato;
   dal 1o gennaio 2016 si apprende, da fonti di stampa locale, che si siano svolti incontri tra il Ministero dello sviluppo economico, Telecom, regione Basilicata, Datacontact e nuovi probabili gestori, ma sia al sindacato che ai lavoratori non è stata trasmessa alcuna informazione e confronto;
   la scelta di Telecom Italia di non proseguire il rapporto contrattuale, per la gestione del servizio 119 TIM, con la società materana mette a rischio la sostenibilità complessiva delle attività svolte dalla società da 11 anni con risultati eccellenti, sempre riscontrati, dove trovano impiego un numero di dipendenti pari a circa 400 unità, su un totale aziendale di 1.303;
   la città di Matera, capitale europea della cultura 2019 deve svolgere un ruolo da protagonista nei prossimi anni per il Mezzogiorno, valorizzando il patrimonio artistico e culturale, e deve essere in grado di offrire un trend positivo dell'occupazione salvaguardando realtà aziendali come quelle della società «Datacontact» –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per scongiurare la perdita di 400 posti di lavoro e preservare un segmento significativo della realtà produttiva lucana.
(5-08054)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATALANO, QUINTARELLI, CRISTIAN IANNUZZI, D'ALIA, COPPOLA, GALGANO, BONACCORSI, ASCANI, BRUNO BOSSIO, GRIBAUDO, BARGERO, CARROZZA, BARBANTI e DALLAI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   attualmente, alcuni internet service provider italiani non rilasciano ai propri clienti le loro credenziali di registrazione/autenticazione come i dati di registrazione VoIP, ID ed ogni ulteriore utile parametro di configurazione, così imponendo, di fatto, l'utilizzo obbligatorio dei loro apparati di proprietà;
   al contrario, già oggi, nelle connessioni su rete mobile 3G/4G, i vari operatori rilasciano i parametri di configurazione e connessione alle loro reti mobili, e pubblicano i dati degli A.P.N. e altri: può quindi essere impostato per la navigazione internet qualsiasi apparato, anche diverso da quello proprietario fornito dall'operatore;
   ne consegue che, ad ogni cambio di contratto, l'utente del servizio è costretto a cambiare il proprio apparato hardware, rispedendo il vecchio al precedente operatore, aspettando l'arrivo del nuovo e dovendo poi provvedere alla sua installazione, con esborsi di tempo e/o denaro;
   inoltre l'esborso mensile dovuto al comodato d'uso, a pagamento nella gran parte dei casi, e la «blindatura» del firmware che equipaggia gli apparati dell'ISP, le cui modifiche sono anch'esse a pagamento in molti casi, limita ulteriormente la piena accessibilità e sana concorrenza per una tecnologia, come quella relativa all'accesso su rete fissa che potrebbe invece costituire un importante volano di sviluppo socio-economico del territorio e della popolazione italiana, come previsto dall'Agenda digitale italiana in attuazione dell'Agenda digitale europea;
   tutto ciò limita drasticamente la libertà di scelta degli utenti, impossibilitati ad utilizzare apparati diversi da quelli dati in comodato d'uso, e costituisce una significativa barriera non tariffaria alla libera concorrenza tra i diversi operatori;
   il problema risulta sentito anche in altri ordinamenti, tanto che recentemente il Governo federale tedesco ha depositato una proposta di legge (Drucksache 18/6280 dell'8 ottobre 2015) per risolverlo;
   nelle premesse della citata proposta si legge tra l'altro che «spesso gli utenti non hanno la possibilità di scegliere liberamente il Router da essi utilizzato», che «ciò è dovuto al fatto che alcuni gestori di rete del collegamento a banda larga consentono esclusivamente l'utilizzo dell'apparecchio da loro prestabilito», che «alla base di tale prassi viene posto il punto di vista che la rete di telecomunicazioni pubblica finisca solo in un punto che sarebbe da individuare dopo un'interfaccia per il collegamento di apparecchi e che per questo motivo l'apparecchio proprio dell'offerente per motivi funzionali farebbe parte della rete» e che «tuttavia questa gestione non è compatibile con il mercato dei terminali completamente liberalizzato ai sensi della Direttiva 2008/63/CE del 20 giugno 2008 riguardante la concorrenza sul mercato dei terminali nel campo delle telecomunicazioni»;
   infatti, come evidenziano i proponenti, nella motivazione circa l'articolo 1 del progetto di legge federale sopra richiamato, «se i gestori di rete stessi fossero in grado di stabilire fin nell'ambito dei clienti finali la portata della loro rete, allora potrebbero stabilire alla fine anche al di là della portata del loro obbligo di tolleranza del collegamento di dispositivi di telecomunicazione» e «ciò porterebbe ad ostacolare la libera concorrenza, cosa che contraddirebbe lo scopo della Direttiva 2008/63/CE» –:
   se quanto premesso trovi conferma;
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alla questione e alle sue ripercussioni sull'Agenda digitale e sul digital divide;
   se il Governo condivida la valutazione espressa dall'esecutivo della Repubblica federale tedesca, in riferimento all'identica situazione che si verifica nel mercato tedesco, circa la incompatibilità dell'attuale gestione degli apparati terminali «con il mercato dei terminali completamente liberalizzato ai sensi della Direttiva 2008/63/CE del 20 giugno 2008», già attuata con il decreto legislativo n. 198 del 2010, e, in caso affermativo quali iniziative di competenza intenda adottare per dare più completa attuazione alla citata direttiva;
   in ogni caso, se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, anche nell'ambito del prossimo disegno di legge di concorrenza, al fine di prevedere il divieto per gli internet service provider di imporre ai clienti apparati di loro proprietà per le offerte internet fibra/VDSL2 e tecnologie simili o derivate. (4-12436)


   BERGAMINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore dei prodotti agricoli ed alimentari è un settore strategico per l'economia italiana. Il fatturato è di oltre 130 miliardi di euro annui, con 58.000 aziende produttrici, che impiegano 385.000 addetti nella produzione quotidiana di prodotti di eccellenza nazionale, espressioni del made in Italy su tutti i mercati internazionali;
   il panorama della produzione agroalimentare in Italia è caratterizzato, da un lato, dalla presenza di un gran numero di piccole e medie aziende, dall'altro dalla presenza di poche società di distribuzione commerciale, di media e grande dimensione;
   queste società di distribuzione commerciale si aggregano in centrali e supercentrali d'acquisto, andando a configurare posizioni di prevalenza o dominanza sul mercato;
   per scongiurare e sanzionare l'effettivo verificarsi di pratiche scorrette sul mercato di prodotti agricoli ed alimentari, l'Italia ha adottato una specifica normativa per disciplinare gli accordi commerciali nei rapporti di filiera agroalimentare; in particolare, con l'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, sono state introdotte disposizioni finalizzate a tutelare le piccole e medie imprese da possibili comportamenti sleali e penalizzanti da parte delle aziende della grande distribuzione;
   in virtù del comma 8 dell'articolo 62, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) provvede d'ufficio a monitorare e ad accertare la sussistenza di pratiche sleali (in osservanza delle fattispecie individuate dall'Unione europea), avvalendosi della collaborazione della guardia di finanza o raccogliendo una segnalazione dell'ispettorato centrale per la tutela della qualità e la repressione delle frodi del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   l'AGCM, proprio adempiendo a questa funzione, ha comminato a Coop Italia e Centrale adriatica una sanzione amministrativa pecuniaria di poco meno di 50.000 euro, con provvedimento n. 25797, per non aver rispettato l'articolo 62. Le due aziende della grande distribuzione avevano concluso accordi contrattuali realmente vessatori nei confronti del grossista agricolo Celox Trade di Cesena, che si era visto costretto chiudere un intero settore della sua azienda, con perdite economiche ed occupazionali;
   nel provvedimento n. 25797 viene evidenziato il tentativo della Coop di porre in essere «una serie di condizioni contrattuali a carico del fornitore ingiustificatamente gravose, quali sconti sul prezzo di listino e compensi da riconoscere al distributore, non oggetto di negoziazione tra le parti»;
   pratiche scorrette, come quella che ha visto vittima il grossista Celox Trade di Cesena, vengono messe in atto dalle grandi aziende in posizione dominante e spesso mettono in ginocchio le piccole e medie aziende che non riescono a reggere il confronto negoziale, rischiando addirittura il fallimento intero o di alcuni settori, come avvenuto proprio nel caso della Celox Trade di Cesena;
   l'articolo 62 interviene anche in un altro problema cronico del settore agroalimentare e degli accordi commerciali nei rapporti di filiera agroalimentare: quello dei mancati pagamenti nei termini prescritti nei confronti delle aziende fornitrici. Le disposizioni dell'articolo 62 fissano termini certi ed inderogabili di pagamento, e, in caso di violazione della norma, si prevede l'irrogazione di sanzioni pecuniarie amministrative –:
   come e in quali tempi, auspicabilmente brevi, abbia intenzione di intervenire il Governo al fine di assumere, per quanto di competenza, iniziative volte a rafforzare le attività preventive di vigilanza e di difesa delle piccole e medie aziende che operano nel settore della produzione agroalimentare, nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 62 del decreto-legge n. 1 del 2012;
   se i Ministri interrogati intendano utilizzare tutti gli strumenti in loro possesso, anche per il tramite dell'ispettorato centrale per la tutela della legalità, della qualità e la repressione dei comportamenti sleali e vessatori e delle frodi, al fine di scongiurare la persistenza di relazioni commerciali distorte per i prodotti agricoli ed alimentari, per assicurare a tutte le aziende del comparto il diritto ad operare in un mercato regolato da pratiche commerciali certe e rigorose, leali, corrette e trasparenti, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, per quanto di competenza e anche in collaborazione con l'AGCM, assumere iniziative per predisporre un sistema di controlli costante sulle condizioni contrattuali in essere, per garantire il rispetto e la conformità di queste alle disposizioni di cui all'articolo 62, anche in relazione all'osservanza dei termini prescrittivi ed inderogabili per i pagamenti;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per aumentare l'incidenza delle sanzioni pecuniarie da irrogare alle aziende che si rendano responsabili di pratiche scorrette in violazione dell'articolo 62, considerato che l'incidenza delle attuali sanzioni non risulta all'interrogante adeguata a evitare il riproporsi di condotte sleali nei confronti delle piccole e medie aziende. (4-12439)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Latronico n. 3-02086, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sberna.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Oliverio e altri n. 3-02091, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Rostellato, Antezza.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Businarolo n. 5-05913, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Di Benedetto.

Apposizione di firme ad una interrogazione e cambio di presentatore.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Pesco n. 3-02094, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 marzo 2016, è da intendersi sottoscritta dal deputato Crippa che ne diventa il primo firmatario.

Apposizione di firme ad una interrogazione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Maria e altri n. 5-08030, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Roberta Agostini, Albini, Amato, Amoddio, Arlotti, Blazina, Bargero, Baruffi, Basso, Becattini, Beni, Bergonzi, Paola Boldrini, Bolognesi, Bonomo, Borghi, Braga, Campana, Carloni, Carnevali, Carocci, Carra, Causi, Cenni, Chaouki, Cimbro, Cominelli, Cova, Crivellari, Culotta, Cuperlo, D'Ottavio, Dallai, Damiano, Dell'Aringa, Marco Di Maio, Ermini, Gianni Farina, Fedi, Ferrari, Cinzia Maria Fontana, Fontanelli, Fossati, Fregolent, Gadda, Gasparini, Ghizzoni, Giacobbe, Gnecchi, Guerra, Iacono, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Laforgia, La Marca, Lenzi, Lodolini, Malisani, Manfredi, Manzi, Marchi, Mariani, Mazzoli, Miccoli, Miotto, Mognato, Monaco, Montroni, Moretto, Murer, Narduolo, Pagani, Parrini, Patriarca, Peluffo, Pes, Giuditta Pini, Pollastrini, Porta, Preziosi, Richetti, Rocchi, Romanini, Giovanna Sanna, Sbrollini, Scuvera, Senaldi, Sgambato, Taricco, Tentori, Terrosi, Tidei, Venittelli, Ventricelli, Verini, Zappulla, Zardini, Zoggia, Di Lello, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Carlo Galli, Martelli, Melilla, Distaso, Vecchio, e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato «De Maria, Benamati, Fabbri, Fiano, Nardi, Zampa, Roberta Agostini, Albini, Amato, Amoddio, Arlotti, Blazina, Bargero, Baruffi, Basso, Becattini, Beni, Bergonzi, Paola Boldrini, Bolognesi, Bonomo, Borghi, Braga, Campana, Carloni, Carnevali, Carocci, Carra, Causi, Cenni, Chaouki, Cimbro, Cominelli, Cova, Crivellari, Culotta, Cuperlo, D'Ottavio, Dallai, Damiano, Dell'Aringa, Marco Di Maio, Ermini, Gianni Farina, Fedi, Ferrari, Cinzia Maria Fontana, Fontanelli, Fossati, Fregolent, Gadda, Gasparini, Ghizzoni, Giacobbe, Gnecchi, Guerra, Iacono, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Laforgia, La Marca, Lenzi, Lodolini, Malisani, Manfredi, Manzi, Marchi, Mariani, Mazzoli, Miccoli, Miotto, Mognato, Monaco, Montroni, Moretto, Murer, Narduolo, Pagani, Parrini, Patriarca, Peluffo, Pes, Giuditta Pini, Pollastrini, Porta, Preziosi, Richetti, Rocchi, Romanini, Giovanna Sanna, Sbrollini, Scuvera, Senaldi, Sgambato, Taricco, Tentori, Terrosi, Tidei, Venittelli, Ventricelli, Verini, Zappulla, Zardini, Zoggia, Di Lello, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Carlo Galli, Martelli, Melilla, Distaso, Vecchio.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Giampaolo Galli n. 5-07960 del 2 marzo 2016.
   interrogazione a risposta scritta Fabrizio Di Stefano n. 4-12380 del 4 marzo 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Valiante n. 5-05175 del 26 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12429.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-12396 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 585 dell'8 marzo 2016. Alla pagina 35182, prima colonna, alla riga quarantaquattresima, deve leggersi: «Kusterer emessa nel 2008 dalla Corte», e non come stampato.